Walk tall, Torres

di Ghillyam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine della tempesta ***
Capitolo 2: *** It also means BI ***
Capitolo 3: *** Realize ***
Capitolo 4: *** La volta buona ***



Capitolo 1
*** La fine della tempesta ***


La fine della tempesta
 

«È mia figlia!»

«Allora posso andare con una troia in libera uscita, ma questo supera ogni limite.»

«Avrei potuto denunciarti alla polizia.»

«Oh, certo, adesso è la tua bambina. Io ho dovuto addirittura convincerti ad avere un figlio!»

«E io ho dovuto convincerti a sposarmi!»

«Si, perchè sapevo che sarebbe stato un errore. E sai la novità? È così!»

Callie era furiosa: il senso di vuoto che l'aveva invasa quando aveva visto la dottoressa Boswell con indosso il camice di Arizona era stato riempito da rabbia e disperazione, e adesso stava esternando tutto ciò che si era tenuta dentro per mesi. Dal giorno dell'incidente aereo.
Era stata paziente, era stata forte, aveva cercato di fare del suo meglio per aiutare Arizona a risollevarsi dal buco nero e profondo in cui era caduta e nel quale sembrava volesse rimanere, ma tutto quello che aveva ottenuto era stato un tradimento. Un altro, e ancora una volta da parte della persona che amava di più al mondo; questa volta, però, non credeva di potercela fare a riprendersi: era semplicemente... troppo.

Sentiva la voce di Arizona urlarle contro, ma le sue parole non la raggiungevano. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era sua moglie in compagnia di un'altra donna, dimentica del fatto che fosse sposata e avesse una famiglia, mentre lei era in sala operatoria per cercare di salvare delle vite, sicura che alla fine di quella tempesta avrebbe trovato conforto tra le braccia della persona che le aveva rubato il cuore. Ma per lei la tempesta non era ancora finita ed era stata Arizona a gettarsi tra le braccia di qualcun altro.

«Credi di poter sparire così, portando via mia figlia?!»

«Quindi adesso sono io la cattiva della situazione? Perdonami se me ne sono andata da una casa dove ogni cosa mi ricorda che razza di donna ho sposato, scusa davvero.»

Callie non poteva crederci: lei veniva tradita eppure doveva scusarsi? Aveva chiesto scusa troppe volte ormai e non aveva più intenzione di farlo.

Hai lottato, hai amato, hai perso. Cammina a testa alta, Torres.
Le parole di Mark le risuonavano in testa, ma lei non riusciva più a crederci: aveva perso troppo, incluso l'uomo che aveva pronunciato quella frase, e camminare con fierezza non le sarebbe stato più possibile, non dopo l'ennesima umiliazione.

«Callie, dannazione, ascoltami!»

«No. Ascoltami tu: non sono io che ti ho tradita, non sono io ad aver commesso un errore, non sono io quella che, ancora una volta, è fuggita dai suoi problemi. Sei tu, e non cercare di farmi sentire in colpa per questo perchè non lo farò.»

«Sentirti in colpa non è il tuo sport preferito.»

La frase pronunciata a denti stretti da Arizona colpì Callie in pieno viso perchè la latina capì immediatamente dove sarebbe andato a parare quel discorso e a che conclusione sarebbero arrivate: Arizona in lacrime e lei rappresentata come la persona peggiore del mondo. Questa volta però non l'avrebbe permesso, era stufa di sentirsi rinfacciare il fatto di averle salvato la vita e avrebbe messo in chiaro una volta per tutte le sue ragioni.

«Ancora Arizona? Sul serio? Stai riportando tutto alla gamba? Bene, se è della gamba che vuoi parlare allora parliamo della gamba.»

«Mi fidavo di te e tu mi hai tolto tutto.»

«Tutto? Tutto? Io ti ho salvato la vita! No, non mi interrompere - disse Callie bruscamente, vedendo che Arizona stava per replicare per l'ennesima volta che quella non era vita, che sarebbe stato meglio essere morta che passare il resto dei suoi giorni con una protesi di plastica - Questa volta sei tu che devi ascoltare: ti ho amputato una gamba e...»

«Mi avevi promesso...»

Callie non la fece finire «Ti ho amputato una gamba e l'ho fatto per te, perchè potessi continuare a vivere, perchè potessi essere ancora una moglie, una madre, un chirurgo. Ho infranto quella cavolo di promessa perchè tutto ciò che mi rimanesse di te non fosse una lapide quando avrei potuto impedirlo. Quindi no, non mi sentirò mai in colpa per questo.»

Tra le due calò il silenzio: un silenzio carico di risentimento e rabbia, un silenzio che per lungo tempo le aveva consumate e che adesso aspettava di essere infranto definitivamente.

«Non è solo la gamba.»

Callie sgranò gli occhi e aprì la bocca un paio di volte per provare a replicare, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Dopo interminabili secondi finalmente si riscosse «Cos-cosa vuoi dire?»

Adesso anche la paura si era aggiunta al turbine di emozioni che la possedevano, un dubbio si era fatto velocemente strada nella sua mente: e se lei non fosse stata abbastanza per Arizona anche prima dell'incidente, prima della gamba, prima di Lauren? Dopotutto era stata proprio il chirurgo pediatrico ad indicarle tutte le sue avventure di una notte, e se ne avesse avute altre anche mentre stavano insieme?

«Cosa vuoi dire, Arizona?!» ripetè più forte, vedendo la bionda abbassare lo sguardo e passarsi nervosamente una mano tra i capelli.

«Tu...Tu non mi vedevi. Per te ero diventata una paziente, qualcuno da accudire. Non ero più una donna ai tuoi occhi, ero qualcosa da aggiustare e Lauren mi ha fatta sentire di nuovo viva

La latina non sapeva se essere più sollevata per aver scoperto di non essere stata tradita durante tutti quegli anni o più sconvolta per ciò che aveva appena sentito; chiuse gli occhi e respirò profondamente prima di parlare di nuovo «Non mi permettevi di vederti in un altro modo; non ho potuto toccarti per mesi, non mi lasciavi avvicinare e la mia unica possibilità è stata quella di prendermi cura di te - il tono di Callie era calmo, quasi rassegnato - Ho cercato in tutti i modi di esserci per te, ma me l'hai impedito. Vai pure a sentirti donna con qualcun altro.»

«Callie, io...»

«Vattene. Io verrò a prendere le mie cose e quelle di Sofia non appena avrò trovato un nuovo appartamento, quello tienilo tu, io non voglio rimanerci.»

«Mi stai lasciando?»

«Sei tu ad avermi lasciata per prima.»

Callie si voltò, dando le spalle ad Arizona, e asciugò le lacrime che le avevano bagnato il viso, sapendo che comunque non sarebbe servito per impedirne altre; sentì Arizona fare qualche passo verso di lei e si irriggidì.

«Calliope, ti prego.»

«Avevi detto di essere un buon marinaio nelle tempeste - cominciò, la voce le tremava leggermente - Ma non appena hai dovuto affrontarne una hai permesso che la tua nave affondasse e venisse tutto distrutto. Vattene, per favore.»

Callie sentì Arizona allontanarsi e poi il tonfo della porta che si chiudeva; immediatamente scoppiò in un pianto tanto disperato quanto liberatorio, sentiva che un peso le si era sollevato dallo stomaco, ma al tempo stesso era come se fosse stata privata di qualcosa e la parte peggiore era che questo la faceva sentire tremendamente, meravigliosamente libera. Non provava una sensazione simile da moltissimo tempo e le era mancata da impazzire.

«Callie, stai bene?»

Derek era rientrato insieme a Sofia e Zola e subito sua figlia le corse in braccio con un'espressione indecifrabile in viso «Mami, perchè mamma 'Zona è andata via?» le chiese.

Callie restò in silenzio per qualche secondo, lanciando uno sguardo implorante a Derek che in risposta scosse leggermente la testa. Quella domanda aveva colto entrambi alla sprovvista.

«La mamma è dovuta tornare in ospedale, c'è un bambino molto malato che ha bisogno di lei; domani però dico alla mamma di venire a prenderti all'asilo okay?» disse alla fine la latina.

«Okay.» rispose Sofia prima di appoggiare la testa sulla sua spalla e addormentarsi immediatamente.

«Posso metterle a letto io.» propose Derek a Callie per poi prendere Sofia dalle braccia della donna e portarle entrambe nella cameretta della figlia.

Callie sorrise davanti a quella scena e si lasciò cadere sul divano: era esausta, ma si sentiva stranamente sollevata e decise che per quella sera tutto ciò che avrebbe dovuto fare era dormire e lasciarsi alle spalle quella devastante tempesta.

Hai lottato, hai amato, hai perso. Cammina a testa alta, Torres. 



NdA: allora, questa è una One Shot che avevo tra le bozze da una marea di tempo e finalmente mi sono decisa a pubblicarla.
Come si sarà capito è una versione alternativa di quello che secondo me sarebbe dovuto accadere durante la discussione tra Callie e Arizona in seguito al tradimento della Robbins. Non ho mai amato particolarmente il personaggio di Arizona e dopo l'avventura con la Boswell l'ho solo detestata di più perciò questo è quello che avrei voluto succedesse fin da subito. Spero che vi sia piaciuta, le altre fic le pubblicherò man mano e soprattutto quando non sarò sommersa dai mille impegni. Fatemi sapere che ne pensate :-)

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Capitolo 2
*** It also means BI ***


It also means BI




 
 
 
Era per giornate come quella che Seattle si era presa la nomea di città costantemente umida e ventosa.
La pioggia batteva con insistenza sui tettucci delle auto imbottigliate nel traffico e sulle finestre di appartamenti e vari palazzi, per non parlare degli ombrelli dei poveri passanti, incappati sfortunatamente in quella bufera, che rischiavano di volare via da un momento all’altro.
 
Anche il Grey Sloan Memorial non era immune agli effetti del temporale e, come ogni volta, il pronto soccorso era nel caos più di quanto non lo fosse di solito. Pazienti più o meno gravi – senza contare chi di grave non aveva niente – si aggiravano tra le barelle mandando nel panico sia medici che infermieri.
 
«Scommetto che in questo momento le mancherà il caldo sole della Florida.»
 
«Non mi dispiace bagnarmi un po’. E poi, era il cambiamento che stavo cercando.»
 
«Be’, buon per lei e meglio per noi: fanno sempre comodo due mani in più.»
 
Il dottor Hunt stava attraversando lo E.R. – stetoscopio, camice e cartelle cliniche al seguito – in compagnia di una giovane dottoressa dai capelli scuri e lo sguardo attento, che aveva da poco fatto il suo ingresso nello staff dell’ospedale. Un’aggiunta preziosa per il reparto di traumatologia.
 
«Sono felice di aiutare.» rispose la mora, firmando la cartella di dimissioni di un paziente con una grafia ordinata: Eva Zambrano risaltava sul fondo bianco della pagina.
 
«Grandioso. Più tardi la presenterò al resto degli strutturati.»
 
E dopo un saluto veloce, Owen venne risucchiato dalla folle routine che qualsiasi chirurgo dovrebbe conoscere.
 
*
 
Otto ore dopo il temporale si era placato e anche il via vai tra una sala operatoria e l’altra aveva cominciato a diminuire.
Eva, tolti camice sterile e guanti, si concesse un momento per distendere i muscoli e gustarsi la soddisfazione che solo un’operazione andata a buon fine può dare. Anche il suo stomaco sembrava in vena di festeggiamenti perché un sonoro brontolio la ridestò dal suo stato di momentanea pace, ricordandole che sarebbe stato il caso di mettere qualcosa sotto i denti.
 
Felice di assecondarlo si mise alla ricerca di una delle macchinette che aveva incrociato durante i primi giri dell’ospedale, sicuramente più facili da trovare della caffetteria. Per sua fortuna fu davvero così.
I biscotti al cioccolato sembrarono chiamarla da dietro al vetro, e lei non se lo fece ripetere.
 
«Maledetto affare.!» borbottò quando la sua cena rimase incastrata nell’erogatore. Era la storia della sua vita.
 
Con insistenza iniziò a battere sul vetro, ben conscia che non sarebbe servito a niente in ogni caso; provare, però, non le sarebbe costato nulla.
Da quel punto di vista trovò che Seattle e Miami fossero più simili di quanto pensasse.
 
«Sono sicura che abbia una valida spiegazione, io aspetterei a prenderlo a calci così.»
 
Callie Torres si avvicinò divertita a quel singolare duo e colpì con moderata delicatezza un punto a metà del distributore, liberando lo snack dalla sua trappola.
 
«Ecco a te.» disse sorridendo e porgendolo alla collega.
 
«Io… uhm, grazie. Scusa, ma esco ora da un intervento.»
 
«Non preoccuparti, è successo a tutti almeno una volta.»
 
«Grazie lo stesso. Dottoressa Zambrano, piacere.»
 
«Callie Torres. Sei la nuova traumatologa di Hunt, vero?»
 
«Sì. Sarei dovuta venire a presentarmi, ma il caos dilagava.»
 
«Rimedio io, vieni con me: ti offro un pasto vero. Si fa per dire.»
 
Callie afferrò Eva sottobraccio e si diresse verso la caffetteria, approfittando del tragitto per indicare alla cubana luoghi e medici che le sarebbe stato utile conoscere – sia in negativo che in positivo.
Eva ascoltò divertita i commenti sarcastici del chirurgo ortopedico e si rallegrò nel constatare che fino a quel momento i suoi colleghi si erano dimostrati persone affabili e competenti. Aveva fatto bene a scegliere quell’ospedale come meta, soprattutto dopo aver appurato i miglioramenti apportati al pronto soccorso.
 
«E questa è la caffetteria, è qui che devi venire se ti interessano i pettegolezzi.» annunciò Callie, aprendo la porta. Medici, infermieri e parenti dei pazienti erano seduti ai vari tavoli o in fila al bancone e ognuno di loro aveva dipinta in viso un’ espressione più o meno distrutta, ma a quell’ora della giornata non ci si poteva aspettare niente di diverso.
 
«Di solito preferisco concentrarmi sul lavoro.» replicò Eva, il cui sguardo venne subito attirato dalla vetrina dove erano esposti i diversi tipi di sandwich e panini. Il suo stomaco brontolò nuovamente e anche la latina se ne accorse.
 
«C’è sempre tempo, e comunque ora staranno tutti parlando di te quindi il problema non si pone.» scherzò l’ortopedico prima di trascinare la collega verso il bancone dove entrambe finalmente poterono ordinare la loro cena, sempre che tale si potesse definire.
Dopo aver saldato il conto, Callie puntò verso il tavolo dove aveva individuato le figure di Karev e di April Kepner, a cui in quel momento si aggiunsero anche Cristina e Arizona.
Nel vedere la bionda ebbe un attimo di esitazione: non era ancora pronta a parlarle come se tra di loro andasse tutto bene, ma sapeva che non poteva continuare ad evitarla in eterno. Inoltre, a quel punto, sarebbe parso strano se avesse fatto dietro front e fosse fuggita da lì come una criminale.
 
Si costrinse a sorridere e con un tono di voce più alto del normale disse «Ragazzi, vi presento il nostro nuovo acquisto: la dottoressa Eva Zambrano.»
 
Leggermente imbarazzata Eva fece un cenno con la mano per poi sedersi sulla sedia che Callie aveva appena rubato da un altro tavolo. Strinse la mano che April le stava porgendo e le rivolse un sorriso timido «Sei di traumatologia anche tu, giusto? Hunt ci ha presentate stamattina.»
 
«Sì, sono io – rispose la rossa con il suo solito tono squillante – Ho visto come riesci a gestire le situazioni critiche, sei molto brava!»
 
«Grazie. Anche tu non sei affatto male: hai intubato e portato in sala operatoria quel tipo nel giro di due minuti.» ricambiò la bruna, che aveva avuto modo di osservarla quella mattina.
 
«Sì, ma ricordiamoci chi gli ha salvato la vita; intervento perfetto non c’è che dire. Cristina Yang, cardiochirurgo.»
 
Ad Eva per un attimo parve di essere di nuovo di fronte al suo vecchio collega, Chris Deleo. Anche lui aveva la tendenza ad esagerare sulle sue capacità chirurgiche e lei spesso l’aveva preso in giro per questo sebbene sapesse quanto in realtà fosse bravo. Su Cristina ancora non poteva pronunciarsi, ma dagli sguardi che gli amici stavano rivolgendo all’asiatica capì che la situazione non doveva essere poi tanto diversa.
 
«Chiudi la bocca, Yang.» la riprese l’unico uomo seduto al tavolo, che senza alcun tipo di pudore stava masticando a bocca spalancata l’ultimo pezzo della fetta di pizza che aveva nel piatto.
 
«Chiudila tu, Karev – intervenne Callie – Lui è Alex e lei è Arizona Robbins, sono i nostri migliori chirurghi pediatrici.»
 
«Anche se spesso e volentieri è lui a comportarsi da bambino.» disse la bionda, dando una lieve sberla sulla nuca del suo protetto.
I suoi occhi incontrarono quelli della latina e nello stesso istante tutte due distolsero lo sguardo, quasi come se si fossero scottate. Tutti al tavolo parvero accorgersi dell’improvvisa tensione creatasi e delle occhiate veloci corsero tra i presenti.
 
April tentò di rompere il silenzio imbarazzante fingendo di ridere alla battuta di Arizona, ma il risultato non fu quello sperato e anche lei tornò a concentrarsi sulla sua insalata.
Alex infossò la testa tra le spalle e Cristina finse di controllare i messaggi sul cellulare. Eva addentò il suo panino e aspettò che fosse qualcun altro a parlare, non riusciva a capire cosa fosse appena successo.
 
«Be’, io ora devo andare. Sapete, i piccoli umani.»
 
«Già, anche io devo controllare una cosa nel… coso. Di nuovo, ben arrivata.»
 
Ed entrambe le dottoresse si dileguarono, dirigendosi in due direzioni opposte.
La Zambrano osservò incuriosita i suoi nuovi colleghi, chiedendo una muta spiegazione. Non voleva apparire troppo invadente ma non pensava ci fosse niente di male nel voler sapere quale strana dinamica intercorresse tra Callie e Arizona.
 
«Sì, ecco, sono sposate.» spiegò Alex, rubando una patatina dal piatto di Cristina.
 
«Oh, e come mai…?»
 
«La Robbins l’ha tradita.»
 
Già, Miami e Seattle erano decisamente più simili di quanto pensasse.
 
*
 
Callie abbassò il volume della radio e spense la macchina, i tergicristallo si bloccarono al centro del parabrezza.
Stava ancora piovendo – era da quasi tre giorni che andava avanti così – e dai nuvoloni grigi che continuavano ad accumularsi non sembrava avesse intenzione di smettere tanto presto; la latina appoggiò la testa contro al sedile e per qualche breve minuto si lasciò cullare dall’immagine della baia soleggiata di Miami, dove da ragazza aveva trascorso pomeriggi interi.
Ora che ci pensava forse sarebbe stato il caso di telefonare a suo padre, era da tempo che non lo sentiva e le loro chiacchierate le mancavano, specie da quando aveva cacciato Arizona di casa.
 
Un violente colpo al finestrino del passeggero la fece sobbalzare, rischiando di farle prendere un infarto. Per sua fortuna era nel parcheggio di un ospedale che si trovava.
Tentò di capire cosa si fosse appena schiantato contro la sua auto, ma con il vetro appannato era impossibile vedere qualcosa. Afferrò la borsa dal sedile posteriore e scese dalla macchina; il vento freddo la colpì dritta in faccia, facendole volare i capelli sugli occhi e in bocca.
Un po’ impacciatamente riuscì a ottenere un aspetto moderatamente dignitoso e sporgendosi da dietro il cofano vide un ammasso nero e informe, che prima doveva essere stato un ombrello, giacere sull’asfalto. Doveva essere volato via dalle mani di qualcuno, del resto con quel tempo non c’era nulla di più facile.
 
La conferma la ebbe quando vide arrivare verso di lei una donna che stava tentando in tutti i modi di coprirsi con un misero giubbotto di pelle, sebbene ormai fosse fradicia.
 
«Ehi – la salutò la dottoressa Zambrano, trovando rifugio sotto al suo ombrello – Temo di aver perso l’appuntamento con l’arca di Noè.»
 
«Non fa niente, prenderai la prossima.»
 
Senza indugiare oltre le due si avviarono verso l’entrata del Grey Sloan il cui riscaldamento fece tirare ad entrambe un sospiro di sollievo.
Eva era bagnata da capo a piedi e i corti capelli corvini le ricadevano lungo il viso in ciocche disordinate e appiccicaticce. Come se non bastasse, ad ogni suo passo le scarpe producevano dei ciak imbarazzanti.
 
«Il lato positivo è che non avrò bisogno di lavarmi per entrare in sala operatoria.» ci rise su la cubana, seguita a ruota da Callie che suggerì di andare a cambiarsi.
 
«Diluvio a parte, come ti sembra Seattle finora? Anche io mi sono trasferita da Miami quindi capisco perfettamente il disagio, credimi.» disse, appendendo il cappotto nell’armadietto.
 
«Mi piace, è fantastica. E l’ospedale è fenomenale.»
 
«Già, dopo la tempesta non pensavamo di riuscire a ricostruire tutto.»
 
«Be’, pare che abbiate fatto un ottimo lavoro.» si complimentò Eva, legandosi i capelli in una coda improvvisata e togliendosi i jeans, che adesso erano di una sfumatura molto più scura del normale a causa dell’acqua che li aveva infradiciati.
Callie non riuscì a trattenersi dal lanciare un’occhiata sbieca alle gambe della bruna, mentre questa si infilava pantaloni e camice. Rimase a guardarla più di quanto volesse e dovette simulare un attacco di tosse improvvisa per distogliere l’attenzione dai suoi sguardi inopportuni quando la bruna si voltò verso di lei.
 
«Andiamo?» propose la latina, accennando un sorriso imbarazzato.
 
«Certo! Ho fissato un intervento insieme alla Yang per oggi pomeriggio, dimmi, è così brava come sostiene?» rise la bruna, cui non era sfuggito il pavoneggiarsi del cardiochirurgo.
 
«Oh sì, è molto brava. Ma tu non dirglielo e non badare a quello che dice, lo fa da quando è una specializzanda.»
 
«Ci sono abituata, avevo un collega così.»
 
«Davvero?» indagò Callie con interesse.
 
«Già… Immagino che sarà uno spasso rimanere cinque ore in sala operatoria con lei.»
 
«Puoi giurarci.»
 
Entrambe si misero a ridere e insieme varcarono la porta del pronto soccorso, che per quella mattina sembrava essere ancora piuttosto tranquillo, soprattutto considerati gli standard dei giorni precedenti: un susseguirsi infinito di incidenti, traumi e ossa rotte dovuti alla pioggia perenne.
Per qualche strano motivo sembrava che le persone diventassero più maldestre e pericolose – per se stesse e per gli altri – non appena il sole venisse coperto da qualche nube nera in più. E in una città come Seattle non poteva che essere un guaio serio.
 
Dietro al banco vicino all’ingresso un’indaffarata Jo Wilson stava compilando alcune cartelle. A quanto pareva, quel giorno era suo il compito di occuparsi del pronto soccorso, mansione spiacevole per qualunque specializzando.
 
«È in arrivo qualcosa?» domandò Callie, dopo che la ragazza ebbe risposto al telefono che aveva appena squillato.
 
«Niente di grave: solo un ragazzo caduto dalla bici.»
 
«Ma si può essere tanto idioti? Già che c’era poteva buttarsi sotto un’auto.» sospirò la Torres contrariata.
 
«Sarà lo spirito dell’avventura.» scherzò insieme a lei Eva, che stava iniziando ad abituarsi piacevolmente al carattere solare e spigliato dell’ortopedico. Le piaceva parecchio.
 
«Che ne dici di un caffè? Sono in debito per il panino dell’altra sera.»
 
«Ci sto.»
 
Quella volta il distributore non le tradì e pochi minuti dopo stavano gustando un caffè caldo e… be’, non esattamente delizioso ma perlomeno era accettabile.
 
«Eva, raccontami qualcosa di te – disse Callie, rompendo il ghiaccio: aveva resistito ma la curiosità di sapere qualcosa di nuovo sulla collega bussava frenetica – Non voglio sembrarti un’impicciona, ma mi farebbe piacere conoscerti meglio.»
 
«Mi sembra giusto. Dunque: vengo da Cuba e sono arrivata qui quando avevo cinque anni; ho un padre fantastico, è grazie a lui che ho potuto studiare per diventare medico, e sono bisessuale.»
 
La naturalezza con cui pronunciò quelle ultime parole lasciò la latina interdetta per qualche istante. Non che per lei fosse un problema dirlo – dopo aver superato lo scoglio della sua prima volta non aveva avuto problemi ad affermarlo – ma non si aspettava di sentirlo da Eva; forse il suo gay radar non funzionava a dovere o, forse, per averlo occorreva essere gay al cento per cento. Se non fosse stata ad un passo dall’odiarla probabilmente l’avrebbe chiesto ad Arizona.
 
Il silenzio calato dopo l’affermazione del chirurgo d’urgenza si stava protraendo decisamente troppo a lungo e Callie si costrinse a dire qualcosa.
 
«Da Cuba eh? – quel misero tentativo di evitare una figuraccia fece pena persino a lei stessa – Sai, conosco un tipo che…»
 
«Ma perché reagiscono tutti così? Insomma, tu non dovresti avere problemi.» si lasciò sfuggire Eva, memore delle parole di Karev riguardo la donna.
 
Questa volta la risposta fu facile per Callie da trovare «Nessun problema, davvero. È solo che… insomma, nessuno dice “Sono etero” se gli si chiede di parlare di sé. Non so, è come se dovessimo far presente che siamo diverse. Non ti sembra retrograda la cosa?»
 
«Hai ragione, sono assolutamente d’accordo. Però, be’, sapevo di te.»
 
La dichiarazione della bruna lasciò aperti tanti sottintesi che il primo istinto dell’ortopedico fu quello di fingere una chiamata urgente al cercapersone – in che modo non lo sapeva, ma il tempo per trovare una spiegazione lo avrebbe avuto in seguito – per andarsene da lì. Per sua fortuna, però, ci pensò Eva a continuare il discorso.
 
«Mi dispiace per il tuo matrimonio.»
 
Forse avrebbe preferito un argomento che non vertesse su quell’ultima umiliazione. Due matrimoni finiti erano troppi, sotto ogni punto di vista.
Le tornarono in mente le scene di una vecchia sitcom*: mai più avrebbe riso per le prese in giro ad uno dei protagonisti, con ben tre divorzi a perseguitarlo.
 
«Grazie. Ma, sai, credo che a un certo punto sia giusto andare avanti. No?»
 
«Immagino di sì.»
 
Lo sguardo di Eva si incupì: era quello il motivo per cui si era trasferita dalla parte opposta del paese, eppure, nonostante i 5000 kilometri di distanza, le sembrava di essere rimasta allo stesso punto. Dopo Serena, era stata un’impresa tornare al lavoro e il risultato finale si era dimostrato anche peggiore di quanto non pensasse; sperava che al Grey Sloan le carte in tavola sarebbero cambiate completamente, ma non riusciva a togliersi la sensazione che i guai l’avessero seguita fino a lì.
 
«Oh merda!»
 
L’esclamazione di Callie la fece tornare coi piedi per terra.
 
«Ho un intervento tra cinque minuti, la Grey mi uccide se arrivo in ritardo. Vieni da Joe stasera, è il bar qui di fronte; è una specie di tradizione per noi. Ora scappo, a più tardi.!»
 
E in men che non si dica la Torres scomparve, inghiottita dai meandri dell’ospedale.
 
*
 
Anche quella sera il bar di Joe si era popolato di medici – e numerose altre persone – che tra le freccette e la pista da ballo si divertivano ad animare il locale con risate e sbronze a non finire. Come ogni sabato sera, erano già molte le chiavi che il barista aveva dovuto sottrarre alla custodia dei proprietari; era una routine necessaria se non si voleva assistere ad incidenti a cui poi avrebbero dovuto porre rimedio gli stessi dottori che proprio in quell’istante stavano dando prova di una maturità pressoché inesistente.
Diversi tra gli strutturati dell’ospedale erano radunati attorno ad un tavolo, dove numerosi bicchieri da shot giacevano vuoti sulla superficie lignea. Dopo tutti quegli anni Joe si era abituato alle serate in cui erano i poveri specializzandi a sorbirsi il turno di notte, lasciando il via libera ai loro capi, e aveva imparato a gestirli.
 
Un coro di scherni e battute si levò dal gruppo quando Alex e Avery ingaggiarono una gara di rutti che coinvolse anche Owen, decisamente ubriaco.
Tutti e tre ricevettero in premio una sonora sberla di rimprovero da parte delle donne al loro fianco.
 
«Quando pensi che finalmente siano cresciuti, ecco che ti deludono di nuovo.» commentò sarcastica Meredith, ingoiando un sorso di tequila.
 
«Tu non puoi lamentarti: hai un maritino perfetto che fa il babysitter perché tu possa distruggerti il fegato.» la riprese subito Callie con voce leggermente strascicata. Sofia quella sera era da Arizona e una volta tanto la cosa non le dispiacque.
 
«Dio quanto è vero, siete così noiosi voi due. Gli Stranamore, bleah.»
 
Il commento di Cristina si perse nell’ondata di improperi che seguirono la vittoria di Jackson a braccio di ferro. Il suo stato terribile offriva a Karev un’ottima scusa che giustificasse la sua sconfitta, ma il chirurgo plastico non sembrava disposto ad accettarla.
Ci pensò Callie a porre fine alla diatriba e a dichiarare nulla la sfida.
 
Leggermente in disparte, Eva osservava divertita ogni singolo momento, combattendo per non farsi attanagliare dalla nostalgia che imperterrita le ricordava come anche lei e i suoi colleghi fossero soliti trascorrere le serate in quel modo. Frammenti di scene le scorrevano davanti agli occhi: lei e Chris, lei e Serena, loro tre insieme.
 
«Non ti stai divertendo affatto, vero? Mi dispiace, dovevo pensare che sarebbe stato un delirio.» si scusò la latina, avvicinandosi all’orecchio della traumatologa per farsi sentire meglio sopra la musica sparata a tutto volume dalle casse.
 
«Non serve scusarsi – la tranquillizzò Eva – È un bel posto.»
 
«Purtroppo credo sia la compagnia il tasto dolente.»
 
«Niente affatto.»
 
Gli occhi di Eva si incatenarono a quelli di Callie e un campanello d’allarme risuonò nelle orecchie di entrambe. Segnale che tutte e due ignorarono.
 
«Ti va una partita a freccette?»
 
«Assolutamente sì.»
 
Un secondo dopo che ebbero lasciato il tavolo, Cristina diede il via alle scommesse su quanto ci avrebbero messo a finire a letto insieme. Nessuno di loro gli diede più di due ore.
 
«Allora, ad ogni tiro quella che si avvicinerà di più al centro potrà fare all’altra la domanda che preferisce, ci stai?» propose l’ortopedico, lanciando uno sguardo di sfida alla collega.
 
«Certo che sì, sono una maestra del tiro a freccette.»
 
Il testa a testa che seguì quell’affermazione provocò una sequenza di racconti imbarazzanti da parte dei due chirurghi che le persone attorno a loro iniziarono a fulminarle con lo sguardo a causa delle risate fin troppo sonore.
A Callie ci erano voluti tre minuti buoni per riprendersi dall’immagine di Eva svegliatasi nuda nel letto del suo superiore senza che si ricordasse come ci fosse finita, solo per scoprire poi che era troppo ubriaca per poter tornare a casa da sola e lui l’aveva ospitata.
 
«E piantala di prendermi in giro, sarà capitato anche a te!» esclamò il chirurgo d’urgenza, bevendo l’ultimo sorso del suo drink. Non era ben sicura di cosa contenesse, ma di certo era forte.
 
«Be’, una volta sono entrata mezza nuda nel bagno delle coinquiline del mio ragazzo. Mentre loro erano dentro. Vale?»
 
«Direi di… sì, ahahah. E che hai fatto dopo?»
 
«Oh, ecco, io e George ci siamo sposati e lui è morto. Prima però mi ha tradita.»
 
Eva venne presa in contropiede da quella confessione, senza sapere cosa dire. Il viso di Callie si rabbuiò per un attimo: pensare a George era sempre un duro colpo, ma dopo tanti anni aveva imparato a ricordarlo con il sorriso perciò scosse la testa e disse «Sembra terribile, lo è stato, ma lui era un ragazzo fantastico e sarebbe stato un grande chirurgo.»
 
*«Se ti può consolare, anche io non sono messa bene in fatto di relazioni – la bruna si interruppe un attimo: aveva deciso di non parlarne più e di dimenticare senza fare marcia indietro, ma sentendo le storie di Callie si rese conto che, forse, lei avrebbe potuto capirla. O tirarle il suo drink in faccia – Stavo insieme a un mio collega, Chris, e le cose sono andate bene… per un po’. Eravamo in tre: io, lui e Serena, inseparabili quasi quanto voi. Insomma, sembrava tutto perfetto, ma, ecco, Serena era davvero stupenda.»
 
Callie iniziò a capire dove il discorso sarebbe andato a parare.
 
«Ho avuto delle ragazze, anche al liceo, ma con lei, non so, abbiamo lavorato insieme parecchio e non era mai scattato niente. Nessuna di noi due era di turno quella sera e siamo andate a mangiare insieme, non so cosa mi sia preso, ma dopo averla accompagnata a casa l’ho baciata e… è stato come se fosse amore al primo bacio. Per me, almeno.»
 
La latina le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Riusciva a sentire quanto per Eva fosse stato difficile, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere «E Chris?»
 
«L’ho lasciato. Mi starai odiando adesso e non posso biasimarti, ma non potevo controllare quello che sentivo per lei.»
 
La cubana dovette trattenersi per non far scendere le lacrime, mentre si azzardava a incontrare lo sguardo di Callie. Si stupì quando vi scorse della comprensione.
Di nuovo qualcosa le suggerì che sarebbe stato meglio troncare immediatamente qualunque rapporto si stesse instaurando tra loro, c’era una chimica che si riusciva chiaramente a percepire, ma non poteva che portare ad un nuovo disastro. Eppure non riusciva a sottrarsi al tocco confortante della latina sul suo braccio.
 
«Per me e Arizona è stato diverso – disse Callie – E almeno tu hai fatto chiarezza in ciò che sentivi. Mi dispiace, immagino che il lavoro sia diventato un inferno.»
 
«Perlomeno mi ha permesso di venire qui.»
 
Una nuova serie di parole sottaciute intercorse tra di loro e il danno divenne inevitabile.
Come se qualcuno ve l’avesse spinta, Callie fece unire le sue labbra a quelle di Eva, prendendosi dei lunghi secondi per assaporarle e godersele nella loro morbidezza e sensualità.
La reazione di Eva fu immediata e le braccia prima stese lungo il busto le avvolse attorno al collo di Callie, mentre sentiva le sue mani poggiarsi sui suoi fianchi. I pochi centimetri di differenza tra loro, la costrinsero ad alzare leggermente il mento permettendole finalmente di gustare appieno quel bacio.
 
Dal tavolo dove erano ancora seduti gli altri si alzò la voce di Jackson «Fuori i soldi gente, ho vinto io!»
 
*
 
I pochi metri che separavano il bar da casa di Callie erano stati una tortura e non appena avevano varcato la porta i vestiti di entrambe erano finiti sul pavimento, e loro sul divano. La camera da letto era troppo lontana.
Combatterono contro la foga e il desiderio che le aveva accese non appena le loro labbra si erano incontrate e si concessero di studiare e conoscere l’una il corpo dell’altra nei minimi dettagli, facendo scorrere le loro mani e lingue in ogni punto raggiungibile, sentendo i fremiti e i gemiti che le scuotevano andare ad aumentare l’eccitazione.
 
Non doveva andare così, nessuna delle due lo aveva pianificato e, forse, proprio perché fin dal primo momento si erano inconsciamente imposte di non permettere che i sentimenti si intromettessero in quel nuovo rapporto, che doveva rimanere puramente professionale, che invece quelli si erano insinuati tra loro, tentando di ricucire ferite che dopo molto tempo avrebbero potuto finalmente trovare la cura giusta.
 
 
 
*la serie TV citata è F.R.I.E.N.D.S, sitcom degli anni ’90, e il personaggio in questione è Ross Geller
*il racconto di Eva sulla sua storia con Chris e Serena così come il fatto che sia bisessuale è puramente inventata da me, mentre il resto dei fatti che fanno riferimento alla serie originale sono veri.
 
 
NdA: cosa vi devo dire? È da questa estate che avevo in mente un crossover tra Grey’s e Miami Medical – serie conosciuta da me e da altri quattro sfigati probabilmente – visto e considerato che Sara Ramirez e Lana Parrilla sono due delle donne più sexy che esistano, cosa che per altro va seriamente a nuocere alla mia salute mentale.
A parte questo, sono davvero contenta di essere riuscita a riprendere in mano questa raccolta e ho già più o meno pronte altre due OS che mi auguro di pubblicare presto.
Grazie a chi a letto, a chi si ricorda ancora di questa raccolta e a chi ha recensito la storia precedente, grazie mille!

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Capitolo 3
*** Realize ***


Realize
 
 
 
Quando Callie gli aveva proposto di andarsene dal bar era stato più che felice di accettare. Conosceva la sua collega – la sua amica – e sapeva quanto fosse fenomenale a letto.
Adesso, però, mentre si trovava sopra di lei e sentiva i suoi gemiti mescolarsi ai suoi, stava iniziando a capire che non era solo il desiderio di sesso ad averlo condotto fin lì. C’era qualcos’altro, una sensazione sfuggevole che non appena era sul punto di carpire subito spariva di nuovo.
Non era una novità, non del tutto. Gli era capitato solo una volta prima di allora, con Addison. E forse per quello si sentiva strano. Spaventato.
Perché Callie era un chirurgo straordinario e una donna bellissima – di così sexy non era facile incontrarne – ed era stata lei a chiedergli di andare a casa sua, proprio come la prima volta, il che era insolito: le donne aspettavano che fosse lui a farsi avanti sebbene sapessero benissimo tutte che alla fine ci sarebbero state. Ma l’apparenza prima di tutto!
Già, ma non con la Torres.
Callie non era come le altre – e non solo perché faceva figo dirlo – e questa era la pura verità: gli c’era voluto un po’ per capirlo, ma la caliente donna latina con cui spesso si era trovato nello stanzino del medico di guardia era stata la prima in grado di farlo sorridere dopo che Addison aveva deciso di trasferirsi a Los Angeles. Per quel motivo, adesso lo capiva, quando la rossa aveva rifiutato le sua avances da Joe ed era stata Callie a toglierlo dall’imbarazzo del rifiuto si era sentito in ogni modo fuorché deluso. No, decisamente non si trattava né di un rimpiazzo né di un contentino.
Mark Sloan aveva avuto poche certezze nel corso della sua vita, ma una di queste, e non avrebbe esitato un secondo nell’urlarlo al mondo, era che il posto che Callie Torres occupava nel suo cuore era completo e assoluto, e non poteva essere diversamente.
 
 
 
NdA: ehm, okay… Non so esattamente cosa sia questa cosa, so solo che ho sempre shippato profondamente i Mallie, sia come amici che come amanti che come qualunque altra cosa, ma inizio a rendermi conto del fatto che riesco a scrivere su qualsiasi argomento ad eccezione delle mie coppie preferite perciò devo accontentarmi di quel poco che riesco a fare. In ogni caso, spero che almeno un po’ la flash vi sia piaciuta; io sono qui sia che vogliate tirarmi pomodori sia che vogliate lasciarmi le vostre impressioni.
Grazie per aver letto!

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Capitolo 4
*** La volta buona ***


La volta buona
 
Gira, gira, gira e va
Come un punto di domanda
E non si sa
Quando si fermerà
La volta buona
(La volta buona, Max Pezzali)

 
 
«La vuoi piantare di fissarmi le tette?»
«No.»
«Come scusa?»
«Non posso smettere di fissarti le tette se te ne vai in giro con vestiti del genere.»
«Andiamo, mi avrai vista nuda un milione di volte e ancora non ti controlli per un abito scollato?»
«È proprio perché ti ho vista nuda che è così difficile.» rispose Mark Sloan con un'espressione maliziosa stampata sulla faccia.
«Piantala di fare il cretino e offrimi da bere.» disse Callie Torres, dando all'amico una leggera sberla sul braccio.
«Joe, un altro giro per la dottoressa.»
«Tornando a noi – riprese il chirurgo plastico – Hai deciso di far impazzire tutte le donne e gli uomini di Seattle?»
«Nah, giusto una... o due.»
«Era ora!» esclamò l'uomo, bevendo un sorso di birra.
Da quando Erica Hahn se n'era andata, rompendo la sua relazione con Callie senza darle uno straccio di spiegazione, la latina era caduta in un vortice di auto-commiserazione che non le si addiceva affatto, ma dal quale Mark credeva che ci avrebbe messo davvero troppo tempo ad uscire perciò sentire quella notizia lo rallegrava non poco.
«Non posso continuare a piangermi addosso, è ora di rimontare in sella.»
«O su altri.» rise Sloan.
«Già, ahah. Su, andiamo a ballare.» 
«Agli ordini.»
I due chirurghi si unirono ad un altro paio di coppie al centro del locale e iniziarono a muoversi a ritmo di musica, strusciandosi l'uno contro l'altra. Era Callie a condurre i passi: sembrava essere nata per ballare tanto era sexy mentre seguiva il tempo dettato dalla canzone, ancheggiando a pochi centimetri dal corpo di Mark, che si limitava a tenere le mani sui fianchi di questa e ad accompagnare i suoi movimenti. Gli occhi del chirurgo plastico erano ancora puntati sul seno prosperoso della latina e pensieri poco puri si facevano strada nella sua mente, incoraggiati dalla vicinanza con la mora che, intanto, stava scandagliando il bar alla ricerca di qualcuno che avrebbe potuto tenerle compagnia per la serata.
«Che ne dici della mora vicina al bancone?» chiese Callie.
Mark si voltò leggermente per capire di chi stesse parlando l'amica.
«Troppo sciatta, meglio la rossa là in fondo.» ribatté Sloan, facendo un cenno in direzione di una donna dai corti capelli ramati che stava giocando a freccette.
«Mmm... preferisco la bionda a quel tavolo.»
«Carina.» commentò l'altro, lanciando un'occhiata interessata alla ragazza indicata da Callie.
«Ehi! – esclamò la latina – Non pensarci neanche, l'ho vista prima io.»
«Era meglio quando ti piacevano solo gli uomini.» borbottò Mark.
«Meglio per te, adesso hai concorrenza.» replicò la mora, sorridendogli compiaciuta.
«Ho paura di sì – ammise l'uomo, facendole l'occhiolino – Buttati, Torres.»
«Okay, vado.» disse Callie, smettendo di ballare e prendendo un grosso respiro.
Il chirurgo ortopedico si avvicinò con passo sicuro, o quasi, alla sua “preda” e prese posto sulla sedia di fronte a lei.
«Ciao.» esordì, non riuscendo a nascondere una punta di nervosismo nella voce.
La bionda sollevò lo sguardo e osservò Callie con interesse.
«Salve.» rispose, accennando un sorriso.
«Ti dispiace se ti faccio compagnia?» domandò la mora.
«Solo se non mi offri da bere.» replicò la ragazza, indicando il bicchiere vuoto davanti a lei.
«Cosa prendi?»
«Tequila.»
Callie attirò l'attenzione di uno dei baristi e ordinò due bicchieri di tequila prima di presentarsi «Callie Torres, piacere.»
«Sadie Harris, piacere mio.»
«È la prima volta che ti vedo qui.» disse la latina, cercando un modo per avviare una conversazione.
«In effetti sono arrivata da poco in città, volevo fare una sorpresa ad una persona.»
«Una persona?» chiese Callie titubante, pregando con tutte le sue forze di non averci provato con una ragazza già impegnata.
«E' solo un'amica che vive a Seattle e non vedo da un po'.» la rassicurò Sadie, sottolineando appositamente la parola solo.
Callie si lasciò sfuggire un «Ah.» che tentò di coprire con una risatina nervosa: non era il caso di farsi vedere così sollevata dalla risposta della bionda. Apparire una disperata in cerca di qualcuno che potesse risollevarle l'umore non era il modo migliore per fare colpo; per sua fortuna Sadie le sorrise, prima di bere lo shot datole dal cameriere.
«Hai un sorriso bellissimo.»
«Ehm, grazie.» rispose Callie, arrossendo leggermente. Si sentiva incredibilmente impacciata per essere una che aveva appena offerto da bere ad una perfetta sconosciuta: forse rimorchiare in un bar non faceva più per lei.
Ancora una volta, però, ci pensò Sadie a tranquillizzarla. La latina la intrigava con quell'insicurezza molto dolce, ma al tempo stesso seducente; era una persona che si sarebbe rivelata sicuramente interessante.
«È una cosa carina.»
«Cosa?»
«Il tuo imbarazzo.»
«Oddio, si nota tanto? Sono decisamente fuori allenamento.»
«Lo prendo come un complimento. Incontrare una bella donna nel primo bar di Seattle in cui entro è sicuramente un buon segno.»
«Immagino di sì – disse Callie con un tono di voce più basso – Quindi quanto hai intenzione di fermarti in città?» riprese il chirurgo.
«Per un po', inizio a lavorare domani.»
«Fantastico.! – esclamò la latina senza pensarci – Cioè, è una bella notizia per... i frequentatori di questo bar.» concluse, coprendosi il viso con entrambi le mani.
«Sei fantastica.»
«No – la contraddisse la mora, scuotendo la testa – Lo sono?» chiese poi, abbassando lo sguardo.
Sadie rise davanti alla goffaggine di Callie. La donna di fronte a lei era bellissima e vederla così impacciata di fronte a dei semplici complimenti la divertiva tantissimo, da una donna così si sarebbe aspettata una grande sicurezza e parecchia autostima non che si sentisse in imbarazzo a causa delle sue parole.
«Senti, che ne dici di uscire da qui e andare a fare una passeggiata?» domandò la bionda per smorzare la tensione.
Callie ringraziò mentalmente Sadie per quella proposta e acconsentì senza pensarci due volte, probabilmente l'aria fredda di Seattle le avrebbe fatto riacquistare un minimo di lucidità mentale e avrebbe evitato altre figuracce.
Le due si alzarono e, dopo aver lasciato un paio di banconote sul tavolo, uscirono dal locale; prima di chiudersi la porta alle spalle, la latina lanciò un'occhiata in direzione di Mark, seduto al bancone, che le mimò con le labbra un «Dacci dentro, Torres.» accompagnato da un sorriso di incoraggiamento.
 
*
 
Il sole filtrava dalle fessure delle tapparelle della camera di Callie, illuminando i visi delle donne addormentate nel letto, entrambe con un sorriso stampato sulle labbra.
Il suono della sveglia interruppe il sonno delle due, strappandole dal mondo dei sogni. Callie allungò svogliatamente un braccio e spense quell'aggeggio infernale, mentre con l'altra mano si stropicciava gli occhi per cercare di svegliarsi; con un sospiro si sollevò e appoggiò la schiena contro la testata del letto. Con piacere vide Sadie rigirarsi sotto le coperte, coprendosi gli occhi dai raggi di sole; le immagini della sera prima erano vivide nella sua mente e lei non poteva esserne più felice: il loro incontro non sarebbe potuto andare meglio – tralasciando le sue figuracce iniziali – e adesso una bellissima sensazione di serenità si era impossessata di lei.
Guardò l'ora segnata sulla sveglia e a malincuore scese dal letto: doveva prepararsi per andare in ospedale. Scosse leggermente il corpo di Sadie, che borbottò qualcosa di incomprensibile prima di aprire gli occhi e rivolgerle un sorriso luminoso.
«Buongiorno.»
«'Giorno.» la salutò Callie, mentre si infilava un paio di pantaloni neri e una maglia grigia a maniche lunghe.
Sadie si sedette sul bordo del letto, cercando di svegliarsi completamente.
«Vuoi un caffè?» le chiese la padrona di casa.
Come risposta Sadie sbadigliò sonoramente prima di alzarsi e raccogliere i suoi vestiti sparpagliati ovunque sul pavimento.
«Okay, io preparo il caffè, tu fai come se fossi a casa tua.»
«Aspetta – la fermò la bionda prima che uscisse dalla stanza – Mi sono divertita molto stanotte.» disse, prima di baciarla intensamente.
 
*
 
Callie stava osservando il tabellone operatorio con aria concentrata quando un sorridente Mark Sloan le si avvicinò, esordendo con un «Allora, Torres, ci hai dato dentro stanotte?»
«Sei sempre il solito, Mark – lo rimproverò Callie, scuotendo la testa, prima di aggiungere – E comunque sì.»
«Come è stato?»
«Mark! Smettila di fare il pettegolo e vai a fare il medico.»
«Oh andiamo, dimmi tutto.»
«Eh va bene – cedette Callie, rassegnata – È stato bello, bellissimo e ci siamo divertite parecchio. Penso proprio che ci rivedremo.»
«Tutto qua? Voglio i dettagli.»
«Ma smettila. Devo andare: ambulanza in arrivo» disse l'ortopedico, guardando il cerca-persone che aveva appena suonato.
Il chirurgo cominciò a correre attraverso i corridoi del Seattle Grace per arrivare il prima possibile al pronto soccorso dove stava per arrivare l'ennesimo trauma che l'avrebbe tenuta impegnata per Dio solo sa quante ore.
«Che abbiamo?» chiese Callie, non appena varcò la porta dell'ospedale, ai suoi due colleghi.
«Trauma da schiacciamento.» rispose, pronta come sempre, Cristina.
L'ambulanza arrivò a sirene spiegate e subito Nicole, il paramedico, prese ad informare Hunt del caso.
«Maschio non identificato. E' stato perso tempo per estrarlo dalle lamiere, era in un camion dell'immondizia, fratture multiple da schiacciamento, esposte. GCS 3 e non siamo riusciti a sganciarlo sul posto.»
«Sganciarlo?»
«Il femore si è spezzato in due e gli ha perforato il torace: è impalato.» spiegò il paramedico.
«E' impalato su se stesso.» ripeté la Yang incredula e certamente entusiasta per il caso che le era appena capitato.
«Accartocciato su se stesso.» confermò Callie prima di portarlo dentro accompagnata dagli altri due.
I tre chirurghi si muovevano velocemente intenti ad auscultare e a valutare i danni. Nessuno di loro aveva mai visto niente del genere, perfino Owen che aveva prestato servizio come chirurgo d'urgenza in Iraq non sapeva come muoversi e a conferma di questo arrivarono Mark e Derek che restarono senza parole di fronte a quell'uomo con un femore a perforargli il torace. Anche Meredith si aggiunse alla squadra, ma chi attirò l'attenzione di Callie fu la ragazza insieme a lei.
«Sadie! – esclamò – Che ci fai qui?»
«Te l'ho detto che iniziavo a lavorare oggi.» rispose l'altra con tranquillità, per niente stupita di vederla lì.
«Voi due vi conoscete?» chiese Meredith, facendo passare lo sguardo dall'una all'altra.
«Direi proprio di sì.» la informò Sadie, strizzando l'occhio in direzione di Callie.
«Molto interessante, ma è il tuo primo giorno quindi perché non ti fai da parte?» si intromise in modo brusco Cristina, allontanando Sadie.
Callie riportò l'attenzione al suo paziente, cercando di ignorare il commento di Mark «Scommetto che non pensavi di rivederla così presto. Prenoto una stanza del medico di guardia per voi.»
Tutti quanti smisero di parlare mentre Hunt dava istruzioni su cosa fare, poi ripresero a muoversi. Sembravano un unico corpo. Dopo aver fatto le radiografie necessarie, si misero intorno all'uomo per estrarre l'osso dal torace; Callie iniziò a tirare, aiutata da Mark, mentre Meredith, Cristina e Sadie lo tenevano per le spalle, ma non appena l'osso fu fuori completamente l'uomo si svegliò per il dolore tremendo, cominciando ad urlare e generando un attimo di panico generale. Si prospettava davvero una giornata impegnativa.
 
*
 
Callie uscì dalla sala operatoria esausta e con gli occhi rossi e gonfi. Aveva appena dato spettacolo davanti a metà dei suoi colleghi, ma proprio non era riuscita ad evitare di scoppiare in lacrime dopo aver lavorato tutto il giorno in modo da trovare un sistema per non far perdere la gamba al suo paziente ed avergli ricostruito le ossa col titanio solo per poi vederlo morire su quel tavolo operatorio. Inoltre non era riuscita a parlare con Sadie tutto il giorno perciò ancora non sapeva con esattezza perché fosse lì e quali fossero i suoi rapporti con Meredith Grey. Quando la sera prima le aveva detto che aveva un'amica a Seattle non si sarebbe mai aspettata che potesse trattarsi della specializzanda e ancor meno avrebbe immaginato che si sarebbe trovata a lavorare di nuovo con una donna che si era portata a letto. Le sue relazioni in ospedale non erano mai finite bene e, nonostante con Sadie avesse passato solo una notte e praticamente non sapesse niente di lei, non voleva che finisse come con George o con Erica. Mark non contava, non lo aveva mai considerato una vera e propria storia, soprattutto perché le loro scappatelle nella stanza del medico di guardia erano puro e semplice divertimento per entrambi, nessuno dei due voleva avere un rapporto serio con l'altro: la loro era una grande amicizia e sarebbe rimasta tale. Questo non toglieva che sarebbero potuti ricapitare insieme in una delle stanzette del Seattle Grace.
Callie si infilò nella prima stanza che vide e si lasciò cadere pesantemente su uno dei letti. Era stato un turno estenuante e la crisi di nervi che aveva avuto non l'aiutava di certo a stare meglio, voleva solo dormire.
Naturalmente il suo desiderio fu infranto sul nascere quando dalla porta entrò Mark.
«Tutto bene?» chiese l'uomo.
«Va via, Mark, sono esausta.»
«Avanti, fammi spazio.»
La latina si spostò contro voglia per lasciare posto sufficiente affinché ci stesse anche il chirurgo plastico poi si voltò, premendo la faccia contro il cuscino.
«Stai meglio?» domandò ancora lui.
«No.» rispose con voce soffocata Callie.
«Voltati.»
«No.»
«Torres, voltati.»
Callie si girò su un fianco e guardò Mark con un'espressione contrariata in viso.
«Non mi va di parlare, Mark. Sono a pezzi, in tutti i sensi, e vorrei solo dormire o bere, ma se iniziassi con la tequila non smetterei più quindi lasciami dormire in pace.»
«Andiamo, devi ancora finire il discorso di stamattina e poi non dirmi che non vuoi parlare della nostra nuova matricola – insistette Sloan. Poi aggiunse – E piantala di pensare a Erica, non ti meritava.»
La latina fece un verso esasperato come per dire «E come pensi che possa riuscirci?»
In risposta alla sua muta domanda la porta si aprì di nuovo, rivelando la figura di Sadie e facendo comparire un sorrisetto divertito sulle labbra di Mark che senza dire una parola si alzò e uscì dalla stanza. Subito la bionda prese il suo posto e si mise di fianco a Callie, posandole una mano sulla spalla.
«Ciao.» la salutò la mora.
«Ciao, come stai?»
«Sono stanca, tanto.»
«Non sarà stata una giornata facile.»
«Infatti.»
«Mi dispiace per il tuo paziente.»
«Grazie.»
«Immagino che tu voglia sapere perché sono qui.» disse Sadie, introducendo l'argomento che sapeva interessare Callie.
«In effetti sì. Cioè ho capito che hai iniziato la specializzazione, ma perché non me l'hai detto?»
«Non me l'hai chiesto.»
«Già...»
La latina passò in rassegna gli argomenti di cui avevano parlato la sera prima e si accorse che effettivamente non le aveva chiesto di cosa si occupasse. Beh, dopotutto erano state impegnate a fare altro.
«Come conosci Meredith?» chiese allora Callie.
«Abbiamo girato insieme l'Europa prima della scuola di medicina. Da quanto ho capito io sono stata la sua prima Cristina.» spiegò Sadie.
«Wow, eravate amiche amiche allora.»
«Direi di sì.»
«E come mai vi siete perse di vista?»
«È una storia lunga, forse un giorno te la racconterò.»
«Certo che è piccolo il mondo. Chi l'avrebbe mai detto che una ragazza incontrata in un bar fosse l'ex gemella siamese di una delle specializzande con cui lavoro?»
«Hai detto gemella siamese?» chiese la bionda, ridendo.
«Si, è così che chiamiamo la Grey e la Yang: quelle due sono inseparabili.»
Sadie annuì, ripensando a quando erano lei e Meredith ad essere unite come nessun altro: Teschio e Salma, due impavide ragazze in giro per il mondo che non avevano paura di niente e nessuno. Le mancavano quei tempi.
«Comunque – riprese la matricola, riscuotendosi da quei pensieri – Sono venuta per risollevarti il morale.»
«Ah si?» domandò Callie, a cui sembrava essere passata all'improvviso tutta la stanchezza.
«Si.» confermò Sadie prima di baciarla dolcemente.
«Mi piace l'idea.» sussurrò la latina a pochi millimetri dalle sue labbra.
«Meglio non perdere tempo allora.»
 
*
 
Erano passate tre settimane da quando Callie aveva conosciuto Sadie e tra loro sembrava essere nato un meraviglioso rapporto, in cui le parole d'ordine erano semplicità e serenità. Le due passavano numeroso tempo insieme e si divertivano un mondo; la loro era una relazione fresca sulla quale non incombeva il peso di farla diventare una storia seria e ciò sembrava andare benissimo ad entrambe.
Finalmente Callie non pensava più alla Hahn e aveva riacquistato un po' di spensieratezza, e Sadie… beh, Sadie era felice di avere trovato un'alleata in quell'ospedale dove sembrava che tutti ne avessero bisogno, e poi la sua era un'alleata decisamente molto sexy. Le loro giornate al Seattle Grace, in effetti, non mancavano mai di una pausa nella stanza del medico di guardia, che riusciva a migliorare l'umore di entrambe; Mark ovviamente non perdeva occasione per sottolineare questo fatto e ogni volta si offriva per tenergli compagnia con l'unico risultato di ottenere delle occhiatacce da parte dell'amica.
Callie si stava togliendo il camice dopo un turno estenuante di dodici ore e non vedeva l'ora di tornare a casa per potersi finalmente rilassare e spegnere il cervello per qualche ora. Stava riponendo la maglia blu nell'armadietto quando si sentì cingere per i fianchi mentre un paio di labbra si chiusero intorno a un lembo di pelle sulla sua spalla.
«Ehi.»
«Ehi.»
Sadie iniziò a baciare ogni punto possibile della schiena di Callie mentre le slacciava il nodo dei pantaloni per riuscire a sfilarglieli con più facilità; la latina sorrise per la piacevole comparsa della ragazza. Era un modo decisamente fantastico per concludere la giornata.
Sadie la fece girare e ripeté la stessa operazione di poco prima con il collo della mora, lasciandole un segno rosso vicino alla clavicola. Callie gemette e la matricola si abbassò per baciarla poco sopra i seni. Abbassò le spalline del reggiseno rosa del chirurgo ortopedico per poi slacciarglielo e farlo cadere a terra; Sadie si chinò e prese a mordere il capezzolo destro della donna, che subito si fece più duro. La latina si abbandonò a quel tocco, portando indietro la testa e sospirando; intanto la bionda fece scivolare la mano lungo i suoi fianchi fino ad arrivare all'orlo degli slip, provocandole numerosi brividi. Era incredibile l'effetto che l'una aveva sull'altra. La matricola premette il suo corpo contro quello della mora, facendo andare in corto circuito il cervello di Callie la quale dovette appoggiarsi alle ante degli armadietti per reggersi in piedi. Continuava a tormentarsi il labbro inferiore per non urlare mentre Sadie si muoveva sempre più velocemente. Quando Callie non riuscì più a trattenersi se ne uscì con un «Oh dio, grazie.» facendo sorridere la più giovane.
Sadie si separò di poco da lei e le rivolse un sorriso raggiante, perdendosi negli occhi color cioccolato della donna che la guardavano con un'espressione soddisfatta e certamente entusiasta.
«Beh, questa sì che è una bella sorpresa.»
«Come poteva essere altrimenti?»
«Giusto – affermò la mora – Senti, che ne dici di venire a cena con me? Nulla di impegnativo – si affrettò ad aggiungere, vedendo la perplessità negli occhi dell'altra – Pensavo solo che avremmo potuto variare un po'; se non ti va per me non c'è problema, era solo un'idea, non devi accetta-»
«Credo che sia una fantastica idea.» disse Sadie, interrompendo il suo sproloquio.
Callie si sentì immediatamente più sollevata: quell'idea le era venuta all'improvviso e glielo aveva proposto senza pensarci, ma temeva che alla ragazza potesse non andare.
«Allora, facciamo domani alle otto? Non sarò reperibile.» chiese il chirurgo ortopedico.
«Perfetto.»
Le due si separarono definitivamente e Callie finì di vestirsi, poi si diressero verso l'uscita dell'ospedale per tornare insieme a casa della latina dove avevano intenzione di farsi una lunga doccia per eliminare tutto lo stress accumulato durante il giorno.
Callie sorrise felice mentre varcava le porte del Seattle Grace Hospital: forse la ruota della fortuna aveva deciso di girare in suo favore.
 
 
 
NdA: questa è una versione riveduta e corretta di una One-Shot pubblicata tempo fa con il titolo “Quando la fortuna gira”. Dopo aver ascoltato la canzone di Max Pezzali citata all’inizio ho però deciso di riprenderla in mano e di apportare qualche modifica alle descrizioni più accese – una l’ho eliminata direttamente – per poterla pubblicare anche in questa raccolta, rinominandola tra le altre cose con il titolo del brano sopracitato ossia “La volta buona” (ascoltatelo se ancora non lo avete fatto perché merita).
Qui vi lascio il link per la versione incensurata, modificata anch’essa nel titolo, se vi andasse di leggerla.
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui, baci!

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