Contesto emotivo Sherlock...

di Sherly82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il muro ***
Capitolo 2: *** Fish&Chips ***
Capitolo 3: *** Lontano ***



Capitolo 1
*** Il muro ***


“Contesto emotivo Sherlock. Ti distrugge. Sempre”

“Io ti amo….io ti amo....Molly...ti prego…”

Erano passati 4 mesi da quando Eurus l’aveva costretto a quella telefonata a Molly Hooper.

4 mesi in cui aveva ricostruito il suo appartamento di Baker Street assieme a John.

Dove ora una piccola e dolce Rosie giocava.

4 mesi in cui aveva ripreso il suo lavoro come consulente investigativo.

Quasi tutto era tornato alla normalità.

Mancava Mary. Ma quel vuoto era in parte colmato dalla “presenza” che avvertivano sia lui che John, tanto da mettersi a chiaccherare con lei, come se lei fosse presente.

Mary non sarebbe mai stata dimenticata.

Consapevole delle sue emozioni, grazie al massacrante perverso gioco di Eurus, ora era diverso.

Non si prendeva più gioco delle emozioni altrui. Una piccola dose di sarcasmo c’era sempre, ma non feriva più nessuno. E di questo se ne erano accorti tutti.

Era la nuova versione di Sherlock Holmes: un uomo sempre freddo e distaccato (quando non si trattava della sua ‘famiglia’), ma dal cuore grande.

Quando avevano invitato tutti a casa per festeggiare, dopo la ricostruzione dell’appartamento, c’era anche Molly.

Lestrade l’aveva informata su quanto accaduto, e sulla telefonata che Eurus aveva obbligato Sherlock a fare, per salvarle la vita.

Da una parte si era sentita stupida, non sapeva che in ascolto ci fossero altre persone.

Ma era stanca, incredibilmente stanca di Sherlock, di quello che lei provava per lui da anni, con la sola illusione di essere ricambiata un giorno.

Era stata una liberazione alla fine.

Finalmente lui lo sapeva chiaramente, non era solo ipotizzato, e lei finse per qualche secondo che quel ‘io ti amo’ fosse vero.

E per un attimo ci aveva creduto, solo perchè lui lo aveva detto due volte.

Ma c’era Eurus dietro.

Per cui imparò a prendere quell’informazione e metterla via, in un angolo, come un palazzo mentale, ma aveva sede nel suo cuore.

Perchè Molly era cuore, non testa.

Appena la vide entrare Sherlock lasciò John in compagnia di Lestrade e le si avvicinò.

Lo sguardo di lei era sereno, gioioso ma quando i suoi occhi incontrarono quelli di Sherlock, come un’ombra passò in quello sguardo, e qualcosa di impercettibile era cambiato.

“Ciao Molly, grazie per essere venuta”, un accenno di sorriso accompagnava quella frase.

Lei gli sorrise imbarazzata e gli porse un pacchetto.

“E’ un piccolo pensiero per il vostro appartamento. Complimenti è identico a prima dell’esplosione…”

Sherlock che ancora non aveva smesso di guardare Molly negli occhi, prese il pacchetto e lo osservò tra le mani.

Era un semplice regalo impacchettato, senza nessun richiamo cromatico a quello che lei indossava in quel momento. Quasi anonimo.

Un nodo in gola si stava formando...si ridestò dai pensieri e guardandola negli occhi, le sussurrò: “Grazie Molly, non dovevi disturbarti….”

Si accorse che nella stanza John, Mycroft e la signora Watson li stavano fissando, in silenzio.

Questa tensione che avvertiva dentro di lui era come se la circolazione gli si fosse fermata, e fosse pervaso in tutto il corpo da un fastidioso formicolio.

“Senti Molly, devo parlarti, ti devo delle spiegazioni…”

“Sherlock non servono. Greg mi ha già raccontato tutto e … la telefonata, so che è stata Eurus. Non devi spiegarmi proprio niente.”

Lo guardò qualche istante negli occhi, in quegli occhi color ghiaccio che ora sembravano vibrare come fiamme.

Un leggero brivido la scosse, e deglutì quasi a fatica.

Lo lasciò lì, col pacchetto in mano, andando da John a congratularsi e prendendo un flute di champagne dalle mani di Lestrade.

La serata continuò allegra, con racconti e storie divertenti, evitando di menzionare Eurus.

Sherlock cercava con lo sguardo Molly, ma lei evitava di incrociare i loro sguardi, e quando ciò non era possibile, lei accennava un sorriso, per poi guardare altrove.

Sherlock non capiva quello che stava provando, voleva scusarsi, chiederle perdono...ma lei aveva eretto come un muro e lui non sapeva come superarlo.

Ora che lui aveva iniziato a sgretolare il suo, permettendosi di far fluire in sè le emozioni che per anni, fin dall’infanzia, aveva allontanato...proprio ora, sentiva che Molly si stava allontanando da lui.

Da quella serata passarono diversi giorni, fino a quando Sherlock non dovette andare al Bart’s per un’indagine.

Fece la sua entrata spingendo la maniglia della porta e lasciandola chiudere alle sue spalle.

Molly era di spalle, stava scrivendo degli appunti al computer.

Alzò la testa e quando vide che era Sherlock, tornò a scrivere, concentrandosi al computer.

Quanto era difficile...perchè Molly lo ignorava in quel modo? Non rispondeva neanche più ai suoi messaggi. Sapeva di averla ferita, ma voleva porvi rimedio, senza sapere da quale parte cominciare. O quelle rare volte che ci provava, lei metteva una barriera.

“Ti ho preso le patatine, conoscendoti avrai saltato il pranzo per continuare gli esami sul corpo della vittima” e dicendo questo, tirò fuori un sacchetto delle patatine preferite di Molly, avvicinandosi a lei.

“Bhe, mi spiace deluderti Sherlock, ma ho pranzato”

Lei alzò gli occhi per osservarlo e scoprì che era possibile stupire Sherlock Holmes. O forse era solo preoccupato per i risultati che lui aspettava con impazienza.

“Tranquillo, quello che cerchi è in quella cartelletta sulla scrivania. Troverai di cosa è morto il signor Jane e gli indizi portano al sospettato che dicevi. Caso chiuso”

“Io…”

Sherlock che non aveva parole? Certo che Eurus l’aveva distrutto per bene.

Preso alla sprovvista, sia perchè lei aveva pranzato, sia perchè i risultati erano pronti senza che lei l’avesse aspettato per lavorare insieme, come succedeva fino a qualche mese prima, Sherlock non sapeva cosa fare. Era disorientato e succedeva raramente.

“Bhe, complimenti come sempre Molly Hooper, non mi deludi mai.”

Ma si accorse troppo tardi dell’infelice scelta di parole.

Lui, lui era una delusione per lei, e ne ebbe la conferma quando lo guardò seria dicendogli: “Scusa ma ho del lavoro da terminare”

“Certo...stasera John passa con Rosie, vuoi unirti per una serata tra amici?”

“Grazie ma ho un impegno. Ci sentiamo nei prossimi giorni Sherlock.”

Era quasi come ricevere uno schiaffo in pieno volto.

Lasciò il Bart’s meditando sulle parole della patologa: “Ho un impegno”

Molly aveva davvero un impegno? Nah, era certo che glielo aveva detto come scusa. D’altronde non era vero nemmeno che John sarebbe andato a Baker Street quella sera, ma se gli avesse detto che sarebbero stati soli, certamente non avrebbe accettato.

Guardò l’ora e si diresse in un locale, dove ordinò patatine fritte.

Erano le 19.30 e Molly era rientrata a casa da circa un’ora.

Si era cambiata, fatta una doccia calda (aveva visto il vapore uscire dalla finestra del suo bagno) e sicuramente ora stava cucinando, mentre accarezzava il suo gatto Toby, sulla sedia, a pochi cm da lei.

Stava per lasciare il locale, quando il portoncino d’ingresso si aprì e vide uscire Molly Hooper.

Un cappotto verde, i capelli raccolti, probabilmente indossava un abito perchè le gambe erano coperte solo da collant, e tacchi. Non esagerati, ma raramente l’aveva vista così elegante.

Una sciarpa attorno al collo per scaldarsi e un sorriso.

Non vedeva Molly sorridere da molte settimane. Non quando lui era nei paraggi.

La seguì con lo sguardo, vedendola incamminarsi lungo la strada.

Lasciò i soldi sul tavolo e uscì dal locale. Voleva capire dove stava andando Molly e soprattutto da chi.

Non sapeva perchè si stava comportando così. Si sentiva in colpa per quella telefonata, si sentiva in colpa per tutte le volte che l’aveva trattata male, si sentiva in colpa perchè non sapeva come scusarsi, e soprattutto perchè lei non gli permetteva di avvicinarsi.

Aveva immaginato fosse una serata tra amiche. Al Bart’s ne aveva un paio e di certo era utile per lei svagarsi assieme a loro.

Il passo sicuro si fermò. Lo stupore arrivò all’improvviso, come all’improvviso era comparso quell’uomo che sorridendo a Molly l’aveva presa tra le braccia e l’aveva baciata.

Il senso di formicolio riprese a scorrere nelle vene di Sherlock e sbattè le palpebre due volte per essere certo di non aver visto male.

Molly non solo aveva realmente un impegno, ma usciva con un uomo e si baciavano.

In una frazione di secondo capì il comportamento di lei, così distaccato.

Se voleva liberarsi da Sherlock e da quello che provava, doveva innalzare un muro e soprattutto doveva incontrare un altro uomo.

Razionalmente la capiva, ma perchè allora qualcosa nel petto gli bruciava?

Osservò lui. Alto ma non troppo, moro, occhi scuri, un cappotto, niente sciarpa.

Occhi scuri e niente sciarpa? Non era un altro suo surrogato come il povero Tom…

Questo voleva dire che aveva chiuso definitivamente con quello che provava per Sherlock.

Non sapeva se le emozioni, sì, emozioni, che sentiva in quel momento erano dovute al fatto che non aveva mai visto Molly baciare qualcuno o se semplicemente lo infastidiva che baciasse un uomo.

Si girò e con lo sguardo serio e concentrato, si diresse verso Baker Street.

Erano passati mesi da quella sera. Quattro da quando tutto era cambiato per colpa di Eurus.

Sherlock aveva risolto brillantemente numerosi casi con John, e la sua fama era ormai conosciuta in tutta l’Inghilterra.

Era andato avanti con la sua vita, esattamente come aveva fatto Molly.

John si era prodigato a informarlo sulla relazione che lei aveva avviato con Spencer, un collega che si era trasferito a Londra da pochi mesi.

Aveva cercato di usare tutto il tatto possibile, ricordandosi bene come Sherlock aveva reagito dopo la telefonata partita da Sherrinford.

Ma non notò nessuna reazione da parte sua. Ancora una volta Sherlock Holmes riusciva a lasciare di stucco il suo più grande amico, John Watson.

“Sherlock...non dici niente?”

“Sono felice per lei. Ora se vuoi scusarmi, ma ho un caso che mi attende”

“Non vuoi che vengo con te Sherlock?”

“No grazie, al momento me la cavo benissimo da solo. E tra poco la baby sitter ti porterà Rosie. E’ da stamattina che non la vedi. Stai con lei John”

Da quando Mary era morta, lasciando un vuoto enorme in John e Sherlock, quest’ultimo faceva il possibile affinchè la piccola Rosie passasse molto tempo con il padre.

Era un cambiamento di cui si erano accorti tutti.

L’edificio si stagliava silenzioso e freddo, davanti a lui.

Le sue visite al Bart’s erano diminuite di molto, da quando aveva capito che Molly aveva una relazione.

Voleva proteggerla, far si che fosse felice, e se per lei essere felice significava frequentare quel Spencer, lui non aveva nulla da dire a riguardo.

Ovviamente si era informato su di lui.

E nulla di spiacevole era saltato fuori. Single, bravo medico, donatore di sangue, un passato da boyscout. Era quasi nauseante scoprire tutte queste qualità.

Di certo lui non lo avrebbe mai preso a schiaffi, Molly Hooper.

Entrò a passo deciso, dirigendosi verso la porta del laboratorio dove lei lavorava.

Avea calcolato che in 3 minuti avrebbe avuto tutte le informazioni di cui aveva bisogno per il caso e se ne sarebbe andato.

Un tempo, che ora gli sembrava lontanissimo, non avrebbe mai pensato a quanti minuti sarebbe stato nel suo laboratorio.

Quel posto che per lui era un rifugio, era stato la sua salvezza, dove lui andava quando aveva bisogno di lei, perchè solo lei avrebbe potuto aiutarlo, ma non solo nella maniera che lei conosceva.

Era la sua Molly, e ora l’aveva perduta.

Indugiò un momento prima di aprire la porta.

Doveva cacciare la tristezza prima di guardarla in faccia. Lei era l’unica che si accorgeva di quando lui era triste.

Molly era di spalle, stava sistemando dei reperti.

A sinistra c’era un sacco, sul tavolo da lavoro. Un altro cadavere.

Si spostò verso quest’ultimo, spinto come sempre dalla curiosità di conoscere e sapere.

Aprì la cerniera e trovò il volto di un uomo anziano, senza ferite apparenti.

Il suo cervello stava iniziando ad analizzare le informazioni quando la voce di Molly lo interruppe.

“Le informazioni che volevi te le ho inviate via email. Ti ho mandato un messaggio per avvertirti. Potevi risparmiarti la strada”

Email. Messaggio. Evitare.

Era questo che stavano facendo. Si stavano evitando. Da mesi. O era quello che aveva iniziato a fare Molly. In realtà era quello che aveva sempre fatto lui. Ma ora quanto lo faceva soffrire questa situazione.

Contemporaneamente riascoltò le parole pronunciate da Molly.

Il tono. Era...diverso dal solito. Era...triste. Come non lo sentiva da tantissimo tempo.

Si girò di scatto verso di lei per guardarla, ma lei era ancora di spalle.

Si avvicinò a lei, che curva sui reperti che stava catalogando, non lo aveva ancora degnato di uno sguardo.

La osservò.

Aveva le spalle strette e la schiena curva. Posizione insolita per lei, che adorava quel che faceva e quindi manteneva sempre il profilo eretto e spalle larghe.

Si mordicchiava le guance dall’interno, cosa che le aveva visto fare solo un paio di volte, quando era nervosa.

Non era truccata, e dal profilo che gli permetteva di vedere solo mezzo volto, scorse del rossore attorno al naso e gli occhi gonfi.

Aveva pianto.

Ecco perchè non voleva che lui venisse in laboratorio.

Non voleva farsi vedere così da lui. Così...fragile.

“Molly….cos’è successo?” il suo tono era basso ma deciso. Una lieve preoccupazione si percepiva.

“Sherlock non è serata. Vai a casa”

Stava per fare come lei gli aveva chiesto, ma appena fatti due passi, si fermò, proprio dietro di lei, che si era incurvata ancora di più.

Le mise una mano sulla spalla e con voce sicura le disse: “Molly, noi siamo amici. Vorrei che se ci fosse qualcosa che non va, tu me ne parlassi.”

Seguirono secondi di silenzio.

“Non sei la persona adatta Sherlock”

Il suo sguardo stranito diceva tutto. Come poteva non essere la persona adatta?

Forse un tempo, in cui credeva che non provare niente era una scelta perfetta.

Ma quel tempo, quel Sherlock, non esisteva più.

E la cosa che più voleva in quel momento era vedere un sorriso sul bel volto di Molly.

Prese uno sgabello e si sedette accanto a lei.

“Ho tutta la sera libera Molly Hooper. Non me ne vado da qui fino a quando non mi dici cosa ti è successo”

In tutta risposta, lei, iniziò a singhiozzare e appoggiando la testa sulle braccia, si lasciò andare in un pianto, quasi abbracciando il tavolo dove si era adagiata, per nascondersi il più possibile da lui.

Aveva già assistito ad un pianto. Era stato John. In quell’occasione si era alzato dalla sua poltrona e abbracciandolo, lo aveva consolato, con poche semplici ma profonde parole.

Era facile con John.

Ma trovarsi davanti Molly Hooper che piangeva, lo bloccava.

Passarono alcuni secondi quando lui pronunciò il suo nome.

Lei iniziò a calmarsi, il piantò iniziò a diminuire e Sherlock capì che poteva essere pronta.

Avvicinò ancora di più lo sgabello. Ora il suo cappotto toccava le gambe di lei.

Con la mano sinistra si mise ad accarezzare la testa di lei, dolcemente.

“Andrà meglio Molly, ora ci sono io qui con te”

Si stava chiedendo se Spencer sarebbe spuntato all’improvviso da quella porta.

Le porse il suo fazzoletto e lei ringraziandolo, si soffiò il naso.

Alzò la testa e le lacrime le bagnavano il viso. Gli occhi tristi cercavano disperatamente di assumere un tono meno doloroso, di quello che in realtà lei stava provando.

“Cos’è successo per farti stare così male?” la dolcezza di quella domanda non riusciva a lasciarla indifferente.

Sherlock sembrava essere una calamita in questi momenti.

Compariva sempre quando lei aveva bisogno.

In fondo, erano amici.

“Tu sei mia amica Molly, noi siamo amici”

Non riusciva a dimenticare quella telefonata con Sherlock.

Si fece forza e girò la testa verso di lui.

I suoi occhi azzurri sembravano tremare.

Era davvero preoccupato per lei.

“Una cosa stupida in realtà, sai? … Ecco io….”

Un sospiro mise in pausa il suo racconto.

Questo diede tempo a Sherlock di spostare un ciuffo dei suoi capelli ribelli, che si erano attaccati alla sua guancia.

Per Molly era stata quasi una carezza. E l’avrebbe pensato davvero, se davanti non avesse avuto Sherlock.

“Io...ho avuto un ritardo...bhe, sai di cosa parlo..”

All’improvviso si sentì le guance diventare calde e rosse. Perchè era così imbarazzante parlarne con lui?

Sherlock fu scosso da un brivido sentendo quelle prime parole.

“Continua” le disse.

“Ero spaventata all’inizio ma contenta. Sai, Spencer...io ...eravamo innamorati e mi sembrava una cosa naturale per una coppia”

-eravamo?- perchè Molly stava parlando al passato?

Il sopracciglio si alzò, esprimendo la costernazione che lui stava provando.

“Così, a cena gli avevo dato la notizia, aggiungendo che avrei fatto un test. Lui ha reagito malissimo. Mi ha detto che un figlio non lo voleva, che gli avrebbe portato dei problemi col lavoro, che era stato un errore”

Il dolore che quelle frasi avevano riportato in lei, la fecero scoppiare nuovamente in lacrime.

Sherlock era ancora scioccato dalla brutalità che Spencer aveva usato verso Molly.

Come aveva potuto ferirla in questo modo?

Una cosa era certa.

Sarebbe andato da lui e gli avrebbe fatto rimpiangere di aver detto quelle parole.

Asciugatasi le lacrime, riprese il racconto.

“Quella sera mi ha detto che aveva accettato un trasferimento a New York. Un progetto importante e che sarebbe partito entro 3 giorni. Non voleva saperne niente di un eventuale figlio”

Sherlock serrò la mascella e strinse i pugni così forte che le nocche diventarono bianche.

Spencer non aveva idea di quello che Sherlock gli avrebbe fatto, se solo se lo fosse trovato davanti.

“E’ partito questa mattina. Mi ha lasciato un biglietto con scritto Addio”

La voce le tremava, il dolore così visibile sul suo volto.

“E il test?” la voce di lui che si schiariva nel pronunciare quelle parole.

“Negativo”

Un sospiro di sollievo si fece largo in lui. Non perchè non volesse che Molly fosse incinta, ma perchè ne avrebbe sofferto molto di più se lo fosse stata.

“Mi dispiace Molly, mi dispiace davvero”

Una triste e afflitta Molly Hooper alzò lo sguardo verso di lui e chiese: “Perchè?”

“Perchè cosa?”

“Perchè mi innamoro di uomini che mi rendono infelice e sola”

Era come una pugnalata che lo trapassava all’altezza del cuore.

Sapeva quanto lei aveva sofferto per lui. Quanto dolore aveva provato lei per averlo amato, prima che lui si accorgesse di amarla, quando era troppo tardi per lui.

Le mise una mano sul ginocchio e tenendo lo sguardo su quella mano, a voce bassa le sussurrò: “Molly...mi dispiace per tutto il dolore che ti ho dato. Sei una persona splendida e non meriti la sofferenza che stai provando. Io….ti prometto....che farò di tutto per riportare il sorriso sul tuo volto. Perchè io non riesco a sorridere se non lo fai anche tu”

Il turno di Molly era finito. Era andata in bagno a sciacquarsi il volto.

Sherlock l’aspettava accanto alla porta di uscita.

L’aria era fredda e gli occhi di lei ancora bruciavano per tutte le lacrime versate.

In silenzio camminarono fianco a fianco, fino ad arrivare all’appartamento di lei.

“Sicura che vuoi stare da sola? Posso restare se vuoi compagnia”

“Me la cavo, grazie. E poi ho Toby”

“Già, Toby ….Molly se hai bisogno di parlare, chiamami, ok?”

Un cenno del capo era segno che aveva capito.

“Buonanotte Molly” e si abbassò per darle un leggero bacio sulla guancia.

La vide entrare e chiudere il portoncino di ingresso.

Aspettò qualche secondo, poi si girò e scese le scale.

Dopo qualche metro, prese il cellulare dalla tasca, compose un numero e aspettò la risposta dall’altro capo del telefono.

“Fratellone, come stai? Oh non dirmi che stavi dormendo. Io stavo passeggiando, è una bella serata….e mi sono ricordato che sei in debito con me per via di Eurus. Oh, non ti sto ricattando Mycroft. Sto riscuotendo un debito. Bene, devi fare una telefonata ai tuoi amici a New York…”

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Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. L'ho scitto quasi di getto, in poche ore. Fatemi sapere ;)

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Capitolo 2
*** Fish&Chips ***


CAPITOLO 2
 

NOTE: Intanto vi ringrazio per aver letto il primo capitolo! Grazie per le recensioni! Questo secondo capitolo era nato diversamente, ma ovviamente quando comincio a scrivere, poi la storia evolve di suo. Spero vi piaccia l'idea...accetto critiche, perchè mi aiutano a migliorare. Non è facile scrivere di Sherlock, e pian piano spero di inserire scene con più personaggi. Per ora...spero apprezzerete questo capitolo tutto Sherlolly.
 

Il sole era sorto da parecchie ore, ma aveva la giornata libera. Non aveva nessuna voglia di uscire e incontrare persone.
Stava ancora soffrendo per Spencer e sapeva che sarebbe stata dura riprendersi.

Ad un tratto sentì bussare alla porta di casa.

Non aveva voglia di vedere nessuno, soprattutto la sua vicina (era certa fosse lei) che le avrebbe chiesto del perchè non vedeva Spencer da due giorni.

Il picchiare alla sua porta era diventato incessante e fastidioso.
Chiunque fosse non sembrava intenzionato a desistere.

Aveva sperato che ignorare la cosa sarebbe bastato per far smettere chiunque fosse dall’altra parte.

Invece quel chiunque, continuava a bussare.

Si soffiò il naso, mentre il cellulare suonò, avvertendola di un messaggio in arrivo.

Prese il telefono contro voglia.
Non sapeva se sperare che fosse Spencer, dispiaciuto per quanto successo.

Invece il mittente era chi non si aspettava.

- Mi apri? Non vorrei stare sul pianerottolo a bussare per tutto il giorno alla tua porta. I tuoi vicini potrebbero preoccuparsi. SH -

Un sospiro, un battito del cuore rallentato...non pensava che Sherlock...diamine, perchè quell’agitazione improvvisa?

Si sistemò la vestaglia, diede un’occhiata in giro per controllare lo stato del suo appartamento e poi, facendo un respiro profondo, si avvicinò alla porta, facendo girare le chiavi, per aprire.

Un sorriso.
Uno splendido sorriso, era stata la prima cosa che aveva visto, quando la porta si era aperta.

Sherlock era li davanti a lei, e sorrideva.
Probabilmente stava ancora dormendo e quello era un sogno.

Lo osservò. Il suo classico e immancabile cappotto, la sciarpa blu, i suoi capelli ricci e i suoi occhi color ghiaccio.
Per un attimo pensò come poteva essersi innamorata di Spencer, ma i suoi pensieri vennero interrotti dalla voce calma di lui:

“Mi fai entrare o facciamo colazione qui sul pianerottolo?”

Colazione? Non si era accorta, sopraffatta dal sorriso di lui, che in mano teneva un sacchetto e due bicchieri, sicuramente con del caffè dentro. Aveva iniziato a sentirne il profumo.

La sua testa stava andando in tilt. Sherlock a casa sua, sorridente e con la colazione.

Avrebbero fatto colazione assieme.

Stava andando decisamente nel panico.

Si spostò per far accomodare Sherlock in casa, mentre ancora disorientata, cercava di riprendere il controllo di se stessa.

Lui entrò a passo deciso, e si diresse in cucina, dove appoggiando i bicchieri e il sacchetto, si tolse il cappotto e sciarpa, per appenderli.

Sembrava sicuro di sé e a suo agio, quando invece avvertiva quel nodo allo stomaco, a cui non riusciva a dare una spiegazione, sorto nel momento in cui era arrivato davanti alla sua porta.
Si sentiva strano e cercava di capire perchè non riusciva a rilassarsi completamente.

Ancora quel fastidioso formicolio che iniziava ad avvolgerlo.

Aspettò di sedersi, fin quando Molly non lo fece per prima.

Nell’aria si sentiva l’evidente imbarazzo di entrambi, ma Sherlock era deciso a non fermarsi.

“Ho preso il caffè, come ti piace, e la torta alle mele che adori, quella con la cannella. E’ ancora tiepida…”

“Sherlock...non dovevi disturbarti per me, davvero. Sono in grado di superare la cosa e non voglio che perdi tempo prezioso per i tuoi casi, che …”

“Non dire assurdità” la sua voce era seria.

“Ho già risolto 9 casi da quando ho aperto gli occhi stamattina, e Lestrade mi chiamerebbe se ci fosse un’emergenza. Detto questo…” si fermò facendo tamburellare piano le dita delle mani sul tavolo, pensieroso.

“Detto questo Molly, non c’è altro posto al momento dove vorrei essere. Mi hai aiutato innumerevoli volte, mi hai sostenuto e perdonato...ora è giunto il mio momento di fare qualcosa per te” quasi sussurrando, guardandola con sfuggita, quasi non riuscisse a sostenere lo sguardo mentre le parlava.

Temeva che lei, in qualche modo, potesse cacciarlo, urlargli contro che lui non meritava di essere in casa sua, che la causa del suo dolore era solo lui, da sempre.

Perchè era questo che Sherlock pensava di se stesso.

Per questo indugiava a guardarla negli occhi, per paura di leggere sentimenti negativi.

Ma il silenzio di lei, adesso lo stava facendo preoccupare. Si decise ad affrontare i suoi demoni e la guardò negli occhi. Quegli occhi color nocciola, con cui lui si era addormentato solo qualche ora prima, a Baker Street, pensandola.

Molly, accortasi che lui aspettava una sua risposta, cercò di fare ordine in tutti i pensieri che le erano apparsi da quando lui le aveva detto quelle parole.

“Sherlock….io….tu….” l’incertezza della sua voce non aiutava nessuno dei due.

Si schiarì la voce.

“Non mi devi niente. Davvero. Sai perchè ti ho sempre aiutato, non solo perchè….ti amavo”, quanto dolore in due semplici parole.

Un passato che sembrava impossibile da essere tale, ma a cui lei doveva assolutamente mettere fine.

“Ma perchè ho sempre ammirato il tuo lavoro, la tua intelligenza, il tuo modo di fare; si, sicuramente fuori dalle righe e spesso spericolato e incosciente, ma diamine, sei Sherlock Holmes…” e un piccolo dolce sorriso comparve sulle labbra di lei, nel pronunciare quelle parole.

Parole che per Sherlock erano come un miele velenoso, di cui ne aveva un infinito bisogno e che ora gli procuravano solo dolore.

- ti amavo -

Possibile, era davvero possibile che in soli 4 mesi, lei avesse smesso di amarlo?

Si, poteva esserlo.

Aveva incontrato Spencer, aveva amato quell’uomo così diverso da lui e stava immaginando la sua vita, la sua intera vita con lui, con l’idea di avere un figlio insieme...e Spencer aveva preso il suo sogno e l’aveva distrutto, sgretolato, bruciato, in pochi terribili secondi.

La rabbia verso quell’uomo stava risorgendo….quanto avrebbe desiderato trovarselo davanti in quel preciso momento. Conosceva centinaia di modi per torturarlo e provocargli così tanto dolore....

Ma scacciò i pensieri su di lui, per concentrarsi sul sorriso appena accennato di lei.

Quel sorriso che era nato mentre lei parlava di Sherlock.

In fondo, aveva ancora qualche piccola speranza.

“Molly Hooper, mi conosci bene, per cui sai che non lascerò perdere, nonostante il tuo pessimo tentativo” e concludendo con un sorriso rivolto a lei, iniziò a sorseggiare il caffè.

Una piccola scintilla. Da qualche parte nel petto di lei, si era accesa.

Non capiva come poteva sentirsi così, quasi serena, solo per il fatto che Sherlock era li con lei.

L’aveva scordato, ma tutte le volte che Sherlock era a pochi metri da lei, lei....stava bene.

Prese la torta, che era davvero ancora tiepida e assaporandone il dolce profumo, iniziò a mangiarla.

Sherlock attese pazientemente che Molly finisse di gustare la colazione. Era impossibile per lui non notare le occhiaie e gli occhi ancora rossi, sul viso stanco di lei.

Quel ciuffo ribelle che le incorniciava il volto, sottolineando la sua delicata bellezza.

Come poteva, come era possibile per lui, immaginare la sua vita senza di lei?

Quando ebbe finito, Sherlock si alzò dalla sedia e stette ad aspettare Molly, che confusa, non capiva cosa volesse.

“Ti suggerirei di cambiarti Molly. Dove andremo il pigiama non è un abito consentito”

“Perchè? Dove andremo Sherlock?” quell’uomo aveva in serbo altre sorprese per lei, e questo la lasciava perplessa.

“Vorrei mantenere il segreto ancora per un pò, ma posso dirti con assoluta certezza, che sarai entusiasta” il tono soddisfatto era come una musica per lei.

Perchè sentirlo felice e sicuro la rendeva così?

Credeva di aver sepolto quello che lei provava per lui, da mesi.

Si concesse il tempo di una doccia veloce e scelse rapidamente i vestiti da indossare. Non aveva proprio idea di dove Sherlock volesse portarla, anche se conoscendolo, forse avrebbe passato un’altra giornata di indagini con lui. E questo non le dispiaceva,

Quando fu pronta, lo trovò seduto sul divano, mentre stava scrivendo un messaggio a qualcuno.

Fu rapido a  mettere il cellulare nella tasca e un sorriso, di nuovo, fece capolino sul suo volto.

La camicia bianca che indossava, sotto la giacca elegante, lo rendevano magnifico e bellissimo, ogni volta.
Come aveva potuto pensare di sperare di non essersi mai innamorata di lui, tanti anni prima?

“Bene, possiamo andare”.

Dopo aver chiamato un taxi, la fece salire per prima, prendendo posto accanto a lei.

Regnava il silenzio tra loro, interrotto solo dal suono di un messaggio, arrivato dalla tasca del cappotto di Sherlock. A cui lui non diede importanza.

Chissà chi è, si stava chiedendo Molly, mentre dal finestrino del taxi, osservava le strade che le passavano accanto, tentando di capire dove si stessero dirigendo.

Dopo circa 20 minuti il taxi accostò, e Sherlock pagò l’autista, ringraziandolo.

Quando Molly scese cercò di orientarsi ma non conosceva bene quella zona. E al primo sguardo non c’era nulla che sembrasse interessante. Probabilmente Sherlock doveva andare da un cliente per un caso.

“Seguimi Molly” le disse all’orecchio, mentre lui si incamminava verso un vicolo.

Quando lo raggiunse, tentò di capire cosa volesse fare ma non ci riusciva. Lui era immobile, con le mani dietro la schiena, in tipica posizione di attesa.

“Sherlock io non capisco, perchè siamo qui?”

In tutta risposta lui si mise a bussare ad una porta di servizio.

Dopo qualche secondo un rumore di catene che venivano sciolte e una serratura che girava, fece capire che qualcuno li attendeva.

“Signor Holmes, la ringrazio infinitamente per aver accettato il nostro invito. Prego, accomodatevi”

Un uomo, sulla cinquantina, distinto e ben vestito, li aveva accolti in un corridoio semibuio.

Sul suo volto si percepiva la gioia. Come aveva immaginato Molly, erano li per un caso.

“Signor Parrett, le presento la dottoressa Molly Hooper, la patologa di cui le ho parlato”

Il sorriso estasiato del signor Parrett faceva sembrare che fosse sul punto di urlare di gioia.

“Oh, quale immenso piacere! Sherlock mi ha parlato così bene di lei dottoressa Hooper, sono davvero felice che abbia accettato di venire. Prego seguitemi” e li precedette lungo il corridoio, che portava ad una stanza illuminata.

Sherlock le sorrise, prima di incamminarsi. Molly stupefatta, si stava domandando quale misterioso caso poteva richiedere la sua presenza, e rendere così entusiasta quell’uomo.

“Eccoci...come le ho detto al telefono signor Holmes, qui avrete a disposizione 15 corpi a cui abbiamo lavorato intensamente in questi ultimi mesi. Vorremmo sapere cosa ne pensate e dove dobbiamo migliorare per rendere tutto perfetto”

La stanza illuminata conteneva 15 corpi umani e alcune teche, che contenevano degli organi.

I corpi avevano diverse pose, alcuni seduti, altri in piedi, sdraiati, curvi...si vedevano i muscoli, le vene, le ossa…

Lo sguardo stupefatto di Molly Hooper era gioia per Sherlock Holmes. Era riuscito a sorprendela.

“Il signor Parrett ha ideato una mostra, decidendo di esporre dei veri corpi umani, per mostrare il funzionamento di questa macchina perfetta, che è l’uomo. I corpi ovviamente sono donazioni volontarie, e tutto è assolutamente in regola, se te lo stai chiedendo”, le spiegò Sherlock.

“Hanno fatto una mostra simile anche a Milano, dottoressa. E’ stata un grande successo e voglio ricreare qui a Londra la stessa...magia. Per questo ho chiesto aiuto al signor Holmes, e a lei, per avere un attento controllo e analisi di quanto realizzato, per far si che sia davvero credibile e affascinante, come l’ho visto a Milano”

Entrambi gli uomini guardavano Molly Hooper, in attesa di una sua risposta.

“Molly?” con una leggera preoccupazione Sherlock aspettava che dicesse qualcosa.

“Davvero….Sherlock, vuoi che lavoriamo insieme, per questa mostra?” gli occhi che le brillavano, nel porgli quella domanda.

“Il signor Holmes ha categoricamente escluso i 3 patologi che lavorano qui, dicendomi chiaramente che avrebbe accettato esclusivamente se avessi permesso a lei, dottoressa Hooper , di lavorare con lui, raccontandomi grandi cose sulla sua capacità lavorativa e deduttiva sul corpo umano.”

Un quasi imbarazzato Sherlock Holmes, che non si aspettava la rivelazione da parte del signor Parrett sulle sue clausole per accettare, guardò Molly affermando: “Sai che non lavoro con nessun altro sui corpi, a parte te”.

All’improvviso i mesi di distanza tra loro sembravano svaniti in un soffio.
Come dimenticati o mai esistiti,
Di certo, in quel momento, nel cuore di Molly, non c’era la benché minima traccia di Spencer.

Il signor Parrett li lasciò da soli, permettendo loro di cominciare ad esaminare corpi e organi, annotando cosa non andasse bene e soffermandosi, ogni tanto, a guardarsi negli occhi, entusiasti, felici di essersi ritrovati.

Le ore volarono, fin quando il custode venne loro ad avvertirli che doveva chiudere.

Erano le 21. Non avevano pranzato o cenato, talmente presi dallo studiare e analizzare quei corpi, che sotto i loro occhi, erano meravigliose opere d’arte.

Il loro lavoro era stato intenso, portando a migliorare quanto di già fatto in precedenza.

Erano stanchi ma sui loro volti c’erano sorrisi.

Era da tanto, troppo tempo, che non si sentivano così bene e così felici, l’uno accanto all’altra.

“Dottoressa Hooper...lei si è meritata la cena migliore di Londra”, affermò Sherlock, mentre erano nel vicolo, diretti a raggiungere un taxi.

Il piccolo furgone di Fish & Chips era a pochi isolati da Baker Street.

Mark, il proprietario, conosceva bene Sherlock e gli aveva riservato le migliori attenzioni, non appena questi lo aveva avvisato del suo arrivo, tramite messaggio.

Aveva posizionato due sgabelli vicino al fungo che riscaldava l’aria fredda di Londra, per permettere che ne Sherlock, ne la sua amica, avessero freddo, durante la loro cena.

“Fish&Chips...ricordo che me lo avevi proposto in passato”, una sorridente Molly guardava Sherlock.

“Bhe, dovevo farti assaggiare il meglio dottoressa Hooper, dopo questa intensa giornata di lavoro. Se non era successo quel giorno, ciò non implica che non dovesse accadere in un altro momento” rispose con tono soddisfatto lui.

“Grazie Sherlock, davvero...sono stata bene...anzi, direi che per assurdo, questa è stata in assoluto la giornata più bella della mia vita”, una timida Molly parlava mentre giocherellava con una patatina.

Il sorriso sul volto di lui era la risposta migliore che in quel momento potesse dare.

L’aria era ancora più fredda, mentre camminavano a piedi, in silenzio.

Una volta arrivati al portoncino di ingresso della casa di Molly, si fermarono, cercando entrambi le parole per concludere quella giornata così speciale.

“E’ tutto il giorno che mi ripeto, ma davvero, Sherlock, grazie, per quello che hai fatto per me. Non credevo di essere importante per te” parlava, mentre guardava a terra, impossibile per lei guardarlo negli occhi e mentirsi, mentre si diceva che non provava più niente per lui.

“Non è vero Molly…” ancora quel tono di voce dispiaciuto in lui.

“Lo sai che sei molto importante per me. Ho molto da farmi perdonare e questo, è solo l’inizio. Non voglio che tu soffra Molly, e aver capito quanto dolore io ti abbia causato, mi ha distrutto. Non voglio più ferirti Molly…”

Sapeva, lei sapeva che stava parlando della telefonata fatta mesi prima.

Quella terribile e perversa telefonata, in cui entrambi si erano scambiati parole d’amore, ma che erano vere solo per lei.

Una fitta, una piccola e breve fitta al cuore, le riportò alla mente quei giorni.

Aveva capito che Spencer era una conseguenza di ciò che lei aveva provato verso Sherlock, perchè lei doveva andare avanti.

Erano così vicini, eppure così lontani…

Una magnifica giornata, con l’ombra di un dolore che non voleva andarsene.

Lui fermo davanti a lei, immobile, mentre attorno a loro, la città si muoveva.

Sherlock fece un piccolo passo avanti, accorciando la distanza, mentre si abbassava leggermente, avvicinando il suo volto a quello di lei.

Un fremito, un sospiro, e un passo indietro.

Molly si allontanò da Sherlock, rendendo vano il bisogno di lui di darle un bacio sulla guancia, e sentire il suo profumo.

“Mi dispiace...io...non è il momento Sherlock” e concludendo la frase, lo lasciò per entrare nel suo piccolo appartamento.

Con lo sguardo ancora bloccato a mezz’aria, dove prima c’era il volto di Molly, Sherlock respirava quasi a fatica.

Non capiva dove avesse sbagliato, quale parola era stata usata male, quale non detta…

La sensazione di benessere che aveva provato in quella inusuale giornata, era svanita all’improvviso, nel momento in cui lei si era allontanata da lui.

 

Dopo qualche secondo si girò e riprese la strada percorsa qualche minuto prima.

 

Un bip lo avvisava di un messaggio.

 

Aveva sperato fosse Molly, ma leggere il testo gli diede comunque gioia.

 
  • Operazione Caterpillar avvenuta con successo. Sicuro che non fosse troppo anche per lui? MH -

 

Un sorriso di soddisfazione si fece largo, mentre si dirigeva verso Baker Street.

 
  • Sicuramente meno doloroso di quello che avrei potuto fargli personalmente. SH -

 

Un altro bip.

 
  • Diamine Sherlock. Sei davvero innamorato di lei. MH -

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Capitolo 3
*** Lontano ***


Si chiuse la porta alle spalle, gli occhi chiusi nonostante attorno a lei fosse ancora buio.

Il respiro veloce, le mani che tremavano.

Era scappata.

Scappata da Sherlock, spaventata all’idea di quello che avrebbe potuto fare, se non avesse avuto controllo di sè.

Quella giornata era stata la più bella della sua vita.

Solo lei e Sherlock.

E lui stava per darle un altro bacio, sulla guancia...anche se per un attimo le era sembrato che non fosse la sua guancia che interessava a Sherlock.


Panico. Era quello che aveva provato. E il bisogno di allontanarsi era stato così forte, dal doversi scusare e scappare via. Lasciarlo sul marciapiede, con quell’espressione di sorpresa sul volto.


Non poteva, non poteva assecondare se stessa. Aveva sofferto troppo. Sofferto per Spencer e in passato, si era distrutta per Sherlock.

Con quale diritto lui ora si comportava così?

Era preferibile restare amici, o quello che loro erano sempre stati.
D’altronde non vedeva altre possibilità. Non dopo quella telefonata.


Andò in camera a cambiarsi. Indossò il pigiama e osservò il suo volto triste allo specchio.

Doveva smettere di soffrire. Non avrebbe più permesso a Sherlock di ridurla in quello stato.

Spense la luce e abbracciando il cuscino, si mise a piangere, prima di addormentarsi.


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Stava analizzando dei liquidi ad un microscopio, quando sentì la porta del laboratorio aprirsi ed entrò una sua collega.

Aveva in mano un quotidiano, e la guardava senza parlare, indecisa su come avviare il discorso.


“Ciao Carol, come mai quella faccia seria?” iniziò Molly.


“Io...mmmh...mi chiedevo...ecco….se avevi letto il giornale di oggi…” la voce titubante della sua amica, le aveva trasmesso un leggero stato di ansia.


“No, non ne ho avuto ancora il tempo. Sono stata indaffarata….ma perchè?”
Domandò con un leggero sorriso, cercando di capire lo stato di agitazione di Carol.


“Ecco Molly...c’è un articolo...parla di...Spencer…”


A quelle parole la dottoressa si sentì gelare. Era accaduto qualcosa a Spencer?

Corse in direzione della sua collega e quasi strappò il giornale dalle sua mani.

Con un’ansia febbrile i suoi occhi si misero a cercare l’articolo che riguardava il suo ex.

E il cuore quasi le si fermò.

Non riusciva a crederci.

“Non è possibile...non è vero…” si mise una mano alla bocca, per cercare di fermare quella cascata di emozioni che in una frazione di secondo le si erano riversate addosso.


“Molly...mi dispiace…” era l’unica frase che Carol riusciva a dirle.


L’articolo non approfondiva bene quanto successo.

Raccontava di come Spencer Trevis, stimato ricercatore e dottore, che aveva lavorato per mesi al Bart’s e appena trasferitosi in America, fosse stato accusato di ricettazione.

Contro di lui, mesi di indagini e alla fine, colto in flagrante proprio a New York.

Era stato arrestato e per lui il carcere sarebbe durato molti anni.


Le mancò il respiro. Credeva di averlo conosciuto, e invece ora si dava della stupida, perchè sicuramente lei era stata solo un ripiego, in mezzo ai suoi sporchi traffici.

Non lo aveva capito. Mai un sospetto. Solo quando lei aveva parlato del ritardo e della possibilità di avere un bambino, lui era cambiato, e non sembrava affatto l’uomo che per mesi aveva amato.


Chiuse il giornale, dove c’era la foto a ricordargli il suo volto, come se fosse necessario, ed espirò profondamente.


“Molly…” la voce preoccupata di Carol la fece ridestare dai pensieri.


“Va...tutto bene. Ora ho solo bisogno di un pò di aria fresca. Grazie” e detto questo, uscì quasi di corsa dal laboratorio.


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John arrivò a Baker Street nel tardo pomeriggio.

Aveva portato Rosie ad una visita pediatrica per la crescita ed era rimasto entusiasta delle parole del dottore.

Sapeva che Mary ne sarebbe stata orgogliosa quanto lui.


Sentì la splendida melodia che Sherlock stava suonando e si stupì quando entrando nel salotto, trovò Mycroft seduto alla sua poltrona.


“Mycroft, non credevo di trovarti qui”


Sherlock smise di suonare immediatamente, andandosi a sedere di fronte a suo fratello.


“E’ venuto a farmi un saluto. Stava andando via”


“Sherlock dobbiamo ancora parlare invece”. Il tono di Mycroft era serio.


In risposta, lui fece roteare gli occhi sbuffando.


“E’ per un nuovo caso? E’ successo qualcosa di cui non sono ancora al corrente?” John cercava di capire cosa stesse accadendo, ma era sempre difficile capire i fratelli Holmes, quando erano in disaccordo. Il che capitava sempre.


“John, non ne sa nulla immagino..bene, dovrò aggiornarlo sugli sviluppi sentiment”


“FUORI!” la voce tuonante di Sherlock bloccò Mycroft e fece sobbalzare John.


“Sherlock” il tono calmo di suo fratello era l’opposto di quanto udito un attimo prima “dobbiamo parlarne”.


“Ho. Detto. FUORI!” lo sguardo serio non lasciava adito ad altre risposte.


“Bene fratellino. Capisco l’ondata di emozioni che ultimamente fanno parte della tua vita, ma prima o poi, ne dovremo parlare”, e dicendo questo Mycroft si alzò dalla poltrona sistemandosi la giacca.
Si girò verso John, che ancora era in silenzio con gli occhi sbarrati cercando di capire cosa stesse accadendo, e facendo un sorriso di circostanza, si congedò.


John guardò prima Mycroft, poi una volta che questi era uscito da casa, si girò verso Sherlock, che nel frattempo si era alzato per controllare alla finestra suo fratello.


“Mi vuoi dire che è successo?” il tono quasi rassegnato di John lo ridestò dai pensieri.


“Niente”


“Come niente? Se era niente perchè hai urlato in quel modo interrompendo Mycroft? Cos’è questa storia sugli sviluppi sentimentali?”


Un sospiro e gli occhi chiusi per un secondo lo convinsero che c’era molto da sapere, ma ancora una volta Sherlock rispose niente alle sue domande.


Girò la testa verso il computer che era sul tavolo, e notò che c’era il giornale aperto, un articolo in evidenza parlava dell’ex di Molly Hooper, il dottor Spencer.

Si avvicinò incuriosito e sorpreso, mettendosi a leggere.

Sherlock aveva osservato il suo amico e in attesa che leggesse, mise la mani giunte sotto il mento, riflettendo.


“Sherlock...mio dio...povera Molly” lo stupore che provava John venendo a conoscenza di quanto scritto era nulla a quello che avrebbe provato Molly. Ne era certo.


“Sherlock? Hai chiamato Molly per sapere come sta?”


“Non mi risponde” la voce asciutta del suo amico era un campanello di allarme.


“E perchè? Sei andato al Bart’s? Credo abbia bisogno di un amico in questo momento”

“Credo abbia più bisogno di amiche, e al Bart’s ne ha.”


Quella frase era strana, anche detta da Sherlock.


“Stai scherzando? Lo sai quanto sei importante per lei, dovresti andare da lei, ora.”


“Non credo che vedermi sia nelle sue priorità. In fondo era innamorata di me e Spencer è un suo ex, che l’ha appena lasciata, facendola soffrire. No, non credo che voglia vedermi”.


In realtà stava cercando di convincersene.

Da quando lei si era allontanata, rifiutando il suo bacio, Sherlock era rimasto nervoso e quando aveva letto l’articolo su Spencer, nonostante fosse contento che lui ora stesse pagando, si era chiesto se non fosse stato eccessivo per Molly.
Un altro dolore da sopportare.
Ed era un’idea che lo faceva stare male.


“Ma potresti andare tu John. In fondo siete ottimi amici e le farà bene parlarne con te”


Un’espressione incredula era stampata sul volto di John Watson, sentendo quelle parole. Non capiva le frasi di Sherlock, ma di certo non poteva lasciare Molly da sola.

Si girò, e senza dire una parola, si diresse verso le scale.

Non era ancora uscito da casa che le note del violino si erano diffuse per l’aria.


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Trovò Molly intenta su un cadavere.

Per un attimo, prima di salutarla, si era chiesto se sapesse già di Spencer, ma un’occhiata al tavolo accanto gli diede la risposta.

Il giornale lì, aperto sull’articolo del suo ex.


“Ciao Molly…” si schiarì la voce.


“Ciao John, cosa ci fai qui?” gli parlò senza alzare gli occhi dal lavoro.


“Nulla, passavo di qui e mi sono detto perchè non andare a salutarla?”


Un mezzo sorriso sul volto della patologa affiorò.


“Come scusa non è male John. Comunque ti ringrazio, immagino che avrai letto anche tu il giornale…”


“Si, bhe...ecco...volevo sapere come stai…”


“Me la caverò John. Ormai ho una certa esperienza con il dolore. Non sarà questo a spezzarmi”


“Sherlock dice che non gli rispondi al telefono…”


Si fermò per un attimo nell’udire quella frase. Sherlock. Non sapeva cosa dire a John, riguardo a Sherlock, ma non aveva nemmeno voglia di pensare a lui. Quando aveva visto il suo nome sul telefono...no, non aveva voglia di sentirlo.


“Ero impegnata”


Aveva il sapore di una mezza bugia. John se ne accorse, ma non disse nulla.


“Bhe, non voglio distrarti ulteriormente. Se vuoi parlarne o solo uscire e bere una birra insieme, chiamami, va bene?”


“Grazie John”


Senza aggiungere altro, la lasciò continuare l’autopsia e uscì dal laboratorio.


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Erano passati 3 giorni.

Sherlock non aveva più telefonato a Molly, ne scritto sms.

Non c’erano stati casi interessanti e nulla lo aveva obbligato a presentarsi al Bart’s, fino a quel momento.

Lestrade gli aveva chiesto una consulenza per una morte sospetta e lui doveva capire la provenienza di alcuni materiali trovati sotto le scarpe della vittima.

Decise che era un bene, forse avrebbero potuto parlarsi.

Entrò sicuro nel laboratorio di Molly, ma si fermò immediatamente.

Al suo posto c’era un altro patologo. Non si ricordava il nome, ma era certo di averlo visto qualche mese prima, mentre con Molly scambiava opinioni su una morte per assideramento.

Stupito, fece mente locale sugi orari di Molly e lei avrebbe dovuto trovarsi al Bart’s in quel momento.

“Buongiorno signor Holmes. L’ispettore Lestrade mi ha avvertito del suo arrivo. Il corpo si trova nella cella 7”

“Dov’è Molly Hooper?” il tono serio di Sherlock, unito allo sguardo duro diretto al giovane dottore, fece preoccupare quest’ultimo.


“E’ in vacanza. Si è presa una settimana di ferie” con stupore e quasi timore, aveva risposto al consulente investigativo di fronte a lui.


Senza dire altro, Sherlock si avvicinò alla cella, tirò fuori il cadavere e iniziò ad analizzare tutto ciò che gli serviva per risolvere il caso.

Finì dopo un’ora, quando telefonò a Lestrade per comunicare i risultati.

Senza salutare il patologo, che aveva ignorato per tutto il tempo, indossò sciarpa e cappotto ed uscì.

“Non capisco come lo trovi affascinante Molly…” l’unico commento del dottore, risentito dalla mancanza di gentilezza da parte del famoso consulente.

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Un’altra giornata di sole. Non sembrava possibile, abituata al cielo nuvoloso di Londra.

Dopo una gustosa colazione, aveva deciso di fare una passeggiata sul lungomare.

Il calore del sole sulla sua pelle aveva un effetto magnifico sul suo umore.

Era da tanto che non si concedeva una vacanza e il mare era stata una scelta perfetta.

Il rumore delle onde che si infrangono sulla sabbia, i gabbiani che volano liberi, la pace che quell’atmosfera sapeva donarle, erano stato un balsamo per il suo cuore e per mettere ordine ai mille pensieri che l’avevano travolta nei giorni precedenti.

Aveva bisogno di staccare, di ritrovare se stessa e la pace che da tanto non aveva.

Bournemouth era perfetto in primavera.

Aveva spento il telefono da quando era partita. Non voleva essere disturbata.


Quella splendida vacanza sarebbe finita entro 2 giorni e lei voleva gustarsi il più possibile ogni momento, prima di tornare a Londra.


La passeggiata era durata un paio di ore e al ritorno aveva bisogno di bere.

Si avvicinò al bancone del bar che dava sulla spiaggia, frequentato dalle poche persone che avevano la possibilità di godere di tempo libero, e ordinò un cocktail  dissetante.


“Dovresti mettere la crema solare. La tua pelle non è abituata a tutto questo sole. Rischi di scottarti.”

La voce alla sue spalle la fece trasalire. Si girò pensando che non era possibile.

E invece, davanti a lei, in camicia nera, c’era Sherlock.


Lo stupore sul suo volto era come se avesse visto un fantasma.


“Tu...come hai fatto a trovarmi? Non ho detto a nessuno dove sarei andata…”


“Andiamo Molly, vuoi che io non riesca a seguire le tue tracce? Che razza di investigatore sarei?” rispose sorridendo, con uno sguardo profondo.

Stava ammirando il volto di lei, che aveva iniziato a prendere colore e il profumo della sua pelle, che percepiva così chiaramente. Quanto le era mancata…


“Cosa ci fai qui Sherlock?”


“Bhe sei sparita senza dire niente. Non rispondevi alle mie chiamate...mi ero preoccupato” si sorprese a rispondere, come se cercarla fosse una colpa.


“Evidentemente volevo sparire e stare da sola. Era facile da dedurre”


Si sentiva come quando l’aveva preso a schiaffi. Quella volta, sapeva che se l’era meritato, ma adesso, non capiva perchè Molly lo trattasse con quella freddezza.


“Cosa ti ho fatto Molly per meritare tutto questo? Neanche quando ero sotto gli effetti delle droghe, mi hai trattato così. Non mi hai mai...rifiutato.” e nel pronunciare quella parola, un dolore sordo si fece largo in lui.


Molly chiuse un attimo gli occhi, pensando alle ultime settimane. Subito le venne alla mente Sherlock davanti alla porta di casa sua con la colazione...Sherlock che le sorrideva quando avevano lavorato insieme alla mostra...Sherlock che si avvicinava e cercava di darle un bacio, l’ennesimo sulla guancia.


Aprì gli occhi di colpo e lui era ancora davanti a lei, in attesa. Lo sguardo ferito.


“Io….ho bisogno di difendermi Sherlock. Ho passato anni a soffrire per te e adesso ho davvero bisogno di voltare pagina. Devo smettere di amarti e sai, posso farcela. Lo sento. Per cui ti chiedo io un favore stavolta. Torna a Londra e lasciami in pace.”

Si girò dandogli le spalle, in attesa che lui andasse via, lontano da lei e da quello che ancora provava per lui.


“Molly…” la sua voce calda, dietro di lei.

“Non posso perderti” il dolore nella sua voce era uscito senza permettergli di controllarlo.


“Sei un maledetto egoista!” la voce alta, diretta a lui, che non guardava negli occhi per non mostrargli la sofferenza che provava in quel momento.


“Vuoi lasciarmi stare? Ti prego Sherlock vai via…” le tremava la voce, stava iniziando a piangere e non voleva farlo davanti a lui.


Sentì la sua mano sul suo braccio. Delicatamente ma con decisione la fece voltare verso di lui, obbligandola a guardarlo in faccia.

Gli occhi di quel meraviglioso colore, che improvvisamente le ricordarono il mare che aveva ammirato in quei giorni, ora stavano fissando i suoi, pieni di dolore.

Restarono a guardarsi per qualche secondo, osservando il dolore ognuno negli occhi dell’altro.

Poi, senza dire altre parole, Sherlock si avvicinò e la baciò.

Un bacio inaspettato, travolgente, pieno di passione.

Le sue labbra morbide che accarezzavano le sue, mentre la stringeva forte tra le sue braccia.

Era come assistere all’esplosione di milioni di stelle.

Il nodo allo stomaco che si contorceva, in preda alle emozioni che correvano come torrenti impetuosi.

Il bagno sognato per anni, che mai avrebbe immaginato così intenso.


Quando finì, come se fosse sazio...lui le appoggiò la fronte alla sua e tenendo gli occhi chiusi, le sussurrò…”Io ti amo...e l’ho capito solo grazie a Eurus. Perdonami per questo...ma non voglio perderti Molly Hooper”


I mesi che erano passati da quel giorno erano stati un lavoro intenso sul cuore di Sherlock, ora l’aveva capito. E quel lavoro l’aveva portato avanti da solo, giorno dopo giorno, e lei capì quanto questo fosse importante per Sherlock Holmes.

Sorrise e rispose, anche lei sussurrando: “Ti amo...e non ho intenzione di perderti mai più Sherlock”.


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Mi ero data più tempo per scrivere e finire la storia. Ma il mio bisogno di scrivere è stato più alto, una valvola di sfogo in giorni difficili.

Non doveva andare così, non nei miei appunti.
Bhe, credo che li userò per altre storie Sherlolly.

Spero vi sia piaciuta...e mi auguro di non essere uscita dai personaggi (cosa che detesto).

Vi prego, fatemi sapere e criticate. Mi aiuta a migliorare.

Grazie, alla prossima ;)









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