Lost Creatures

di Cry_Amleto_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Fall] ***
Capitolo 2: *** [Return] ***
Capitolo 3: *** [Forgot] ***
Capitolo 4: *** [Remember] ***
Capitolo 5: *** [Scream] ***
Capitolo 6: *** [Plans] ***
Capitolo 7: *** [Lost] ***
Capitolo 8: *** [The phoenix's last song] ***
Capitolo 9: *** [Farewell] ***
Capitolo 10: *** [Unmei no akai ito] ***
Capitolo 11: *** [Lies and hidden truths] ***



Capitolo 1
*** [Fall] ***


{Seconda parte-Falling inside the black}

[Fall]

Tonight I'm so alone
This sorrow takes ahold...
(Stanotte sono così solo
Questa pena è soverchiante...)

Aveva freddo, tantissimo freddo.
Un freddo mortale, come mai ne aveva provati in vita sua. 
Un freddo che gli aveva artigliato le viscere, che gli aveva congelato il cuore.
Eppure... Eppure credeva di star andando in fiamme. Credeva di non essere diventato altro che cenere.
E invece eccolo lì, a tremare di freddo, mentre lentamente cadeva.
Cadeva, cadeva, cadeva. 
Non c'era alcun appiglio da afferrare, nessuna mano gentile tesa verso di lui. 
I suoi occhi non riuscivano a cogliere niente che non fosse Oscurità, un nero pece da cui non sapeva sottrarsi. Neanche la flebile luce del Reattore riusciva a tagliarla.

Non riusciva a fare alcunché. Il suo corpo non reagiva agli ordini che gli imponeva, abbandonato a se stesso in quella lenta ma inesorabile caduta senza fine. 
Non riusciva neanche a dar voce alle parole sconnesse che si agitavano nella sua mente esausta. Aveva bisogno di riposare. Era così stanco, sarebbe stato così facile lasciarsi andare...
No! Non poteva arrendersi in quel modo! Aveva promesso a Steve che sarebbe tornato, e lui avrebbe onorato la promessa in tutti i modi possibili ed impossibili che gli venissero in mente.
Ma, per quanto la sua mente viaggiasse veloce, era incapace di muovere un muscolo, figurarsi aprire un portale interdimensionale con meno di niente a portata di mano! 
Aveva fatto tanto in vita, di buono, di brutto. Nel suo DNA non era incisa la parola 'impossibilità'. Perché era quello che faceva, rendeva 'possibile' ciò che il resto del mondo considerava 'impossibile'. 
Eppure eccolo lì, condannato a cadere cadere cadere, senza riuscire a risalire, senza riuscire a schiantarsi, come in quell'incubo che l'aveva tormentato così a lungo. 
Solo che questa volta non ci sarebbe stato alcun risveglio.
E fu allora che lo sconforto fu spazzato via dalla rabbia. Una rabbia cieca, che gli annebbiò la vista, che fece nascere un grido inumano dal centro del proprio petto, che giunse alle secche labbra socchiuse. Non era giusto! Non poteva morire in quello sciocco modo! Voleva tornare a casa, voleva tornare da Steve, riabbracciarlo, baciarlo, dirgli che non lo avrebbe lasciato, mai più. Voleva fargli capire che, per quanto potesse essere difficile, lui avrebbe imparato ad amarlo come mai aveva fatto, avrebbe imparato ad amare veramente. Avrebbe rinunciato a tutto quello che lo aveva reso Tony Stark fino a quel momento, avrebbe lasciato le luci della ribalta, avrebbe ceduto tutti gli arti, la sua mente brillante, TUTTO , pur di tornare a casa, pur di non morire da solo, in quel territorio infinito, sconosciuto, irraggiungibile.
E fu allora che la caduta si fermò dolcemente, come se stesse planando. Poi fu solo Luce.

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Capitolo 2
*** [Return] ***


[Return]

...Don't leave me here so cold
Never want to be so cold...
(...Non lasciarmi qui al  freddo
Non voglio essere così infreddolito...)

Il gelo della notte lo fece rabbrividire, mentre cercava di stringersi il più possibile nel giaccone che gli era stato gentilmente ceduto.

L'agente non aveva smesso di guardarlo per un attimo, gli occhi sgranati di chi ha appena assistito all'apparizione di un fantasma. Se non fosse stata Natasha Romanoff, l'agente di cui si stava parlando, Tony avrebbe potuto dire che l'altra fosse sotto shock.

«Non che non mi senti... a mio agio, quando mi squadri dalla testa ai piedi mentre sono completamente nudo, ma mi stai decisamente mettendo inquietudine» disse a quel punto l'inventore, con il solito sorrisetto stampato sulle labbra e il sopracciglio destro inarcato, interrompendo lo spiacevole silenzio che era calato.

«Non ti perderà di vista neanche per un attimo, finché non avremmo capito chi sei» rispose al suo posto Clint, cingendo le braccia al petto e appoggiando la schiena ad un albero.

«Come?! Io sono l'unico ed inimitabile Anthony Edward Stark! Perdonatemi se speravo in un "bentornato dal regno dei morti" più caloroso.» sbottò a quel punto l'inventore, seccato da tutto quel sospetto.

«Questo lo dirà il test del DNA. Sai com'è Tony Stark è morto da appena tre anni, ed è stato un brutto colpo per tutti. Quindi, sul serio, se non sei lui, smamma e chiuderemo un occhio su tutta la faccenda. Più o meno.» ribatté Barton, sollevando le sopracciglia con il tono di rimprovero di chi sgrida un bambino.

Ma l'altro non ascoltava più. Era sbiancato di botto, ed aveva fatto qualche barcollante passo all'indietro.

«Tre anni...?» il suo era un gemito soffocato, più che una domanda.

Nessuno ebbe il tempo di rispondere però, che con il rumore assordante delle eliche, il piccolo hovercraft che lo avrebbe riportato finalmente a casa, scese su di loro. 
Da questo, uscì Fury con la sua solita espressione burbera, seguito a ruota da una pallida quanto imperscrutabile Maria Hill. 
Gli agenti si scambiarono sguardi carichi di parole non dette, ignorate dall'inventore che aveva uno sguardo perso nel vuoto, la mente smarrita altrove.

Tre anni.
Erano passati tre lunghi anni. Troppo, davvero troppo tempo. 
Poteva essere successo di tutto, il suo mondo sarebbe potuto essere totalmente cambiato. 
E, ovviamente, la sua mente volò verso il Capitano. Lo aveva fatto aspettare così a lungo... E se lo avesse trovato diverso, cambiato? In quella faccenda l'inventore era l'unico che sembrava essere rimasto esattamente com'era, persino il suo aspetto non era invecchiato. Lo Steve che avrebbe potuto trovare, forse non sarebbe stato il SUO Steve. 
No. Non poteva pensarla in quel modo. Loro due erano legati più che da semplice affetto, il loro rapporto chiamava in campo il Destino, era pronto a perdere la vita per quella convinzione. Non sarebbero bastati tre soli, miseri anni a spezzare ciò che li univa. 
Ripeté a fior di labbra, non udito da nessuno, quel suo ultimo pensiero, quasi per auto-convincersene, mentre altri agenti dello S.H.I.E.L.D. lo scortavano nell' hovercraft. 
Il viaggio non fu lungo, ma gli sembrò ugualmente infinito. 
Stava per tornare finalmente a casa, e una paura mista ad eccitazione gli artigliava le viscere e suggellava le labbra.

Appena arrivato alla Tower, fu immediatamente scortato in una stanza dalle pareti candide e dal mobilio essenziale. 
Entrò nella stanza con quanta più dignità i capi di bassa sartoria che in quel momento indossava potessero concedergli, calamitando l'attenzione degli stanti. Maria Hill sgranò un attimo gli occhi, ma si affrettò a tornare impassibile.

« Non tema, signorina Hill, faccio questo effetto a tutte le donne» disse con un sorrisetto, il tono di voce rilassato e completamente a proprio agio.

Si sedette al lungo tavolo stile interrogatorio che troneggiava nella stanza, difronte a Fury e affiancato dall'agente Hill e da qualche pezzo grosso del governo che non perse tempo ad esaminare, completamente disinteressato.

«Signor Stark» iniziò Fury, formale «E' una quanto mai piacevole notizia saperla vivo. Come... sta?»

Tony non poté trattenersi dal ridacchiare, esasperato da quella commedia. Dopo una manciata di secondi ritornò serio, una luce accattivante che gli brillava negli occhi. Prese subito la parola, decidendo che, dopo aver salvato la vita a quei tipi impomatati fin troppe volte rischiando la vita anche per loro che abitavano quella Terra che tanto si era impegnato a proteggere, quello non sarebbe stato un interrogatorio, anzi, sarebbe stata una conversazione che avrebbe diretto lui stesso.

«Oh, saltiamo tutti questi convenevoli, e mi ponga le domande di cui vuole sentire veramente la risposta: "E' veramente lui, Tony Stark, o è solo un sosia nonché un ottimo attore?"; "Se è davvero lui, dov'è stato per tutti questi anni e come ha fatto ha tornare da quest'altra parte del portale? E' forse una spia mandata da qualche altro popolo che ha intenzione di conquistare la  Terra?"; cosa più importante "Come fa ad essere ancora vivo?". Giusto?»

Fury rimase impassibile, mentre gli altri membri di quel ristretto consiglio si scambiarono sguardi l'un l'altro, spiazzati dalla piega che aveva preso la faccenda, così l'inventore continuò la propria orazione imperterrito:

«Ebbene, alla prima domanda rispondo con un "Nessun attore sulla terra è IN GRADO di imitare Tony Stark"; alla seconda rispondo "Non ho la più pallida idea di dove mi trovassi né di come abbia fatto a tornare, e di sicuro non diventerei una spia al servizio di nessuno, S.H.I.E.L.D. compreso"; alla terza... non so rispondere neanche io.» fece una breve pausa, per tirare un sorso profondo d'acqua dalla bottiglia sigillata che gli si trovava di fronte. Ogni pausa era calcolata, in modo da calamitare del tutto l'attenzione su di sé, così come successe.

«Ma immagino che lei voglia una prova della veridicità delle miei risposte. La prima è la più facile da provare... F.R.I.D.A.Y., quando vuoi.» Riprese e , tre secondi dopo, i pezzi della sua armatura ruppero una parete-finestra e si attaccarono al suo corpo assecondati dai suoi gesti.

Con il volto coperto dalla maschera, la sua voce risuonò metallica per tutta la stanza: «Per fare questo giochetto con l'armatura, mi sono dovuto iniettare nelle vene una soluzione speciale, e non potrebbero farlo neanche su un mio sosia, considerato il fatto che ne ho realizzato uno solo proprio per evitare che qualcun altro potesse rivolgermi contro le mie stesse armi... Se volete conferma anche di ciò, posso farvi leggere i miei progetti.» uscì facilmente dall'armatura, dedicando agli stanti un sorrisetto sornione.

«E con questo, scartata l'idea di un sosia. Passiamo alla seconda domanda. F.R.I.D.A.Y., aiutami, apri una schermata.» continuò, assecondato prontamente dall'AI.

Accedette velocemente alle foto satellitari e risalì al periodo, più o meno, della sua Caduta. Ne trovò una che ritraeva una figura che precipitava da un piccolissimo Portale. Nella foto successiva, il Varco non c'era più ma la figura era quasi alla stessa altitudine.

«Io.» disse zoomando sulla figura «Il Varco è rimasto aperto per 5 secondi, calcolati per eccesso.» continuò per poi zoomare sul Portale «Ecco la mia buca della posta.»

«Sappiamo chi è il destinatario del pacco, quindi, ma il mittente?» lo interruppe Fury.

A quella domanda, Tony scrollò le spalle. «Non le so rispondere. Non ricordo molto di ciò che è successo dopo l'esplosione. Ero completamente allo sbando, l'armatura era fuori funzione, poi una potente luce, e infine mi sono svegliato sprofondato in quasi un metro di neve, tre anni dopo a quanto pare, tutto qui.»

«E come pensi che potremmo fidarci della tua parola, Stark?» disse quindi inacidito uno degli uomini del governo.

Tony non si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo.

«Domanda prevedibile, per questo ho fatto registrare da F.R.I.D.A.Y. la mia voce e misurare il mio battito cardiaco. Se avessi mentito, anche solo per poche parole, sarebbe partito un rumore alquanto rumoroso. Volete una prova?» fece una breve pausa, per poi dire convinto: «Sono astemio.»

Un allarme sembrò scuotere la stanza dalle fondamenta.

«Per quanto riguarda la terza domanda... davvero non ho idea di come sia possibile che io sia qui, completamente identico a come lo ero prima di quella battaglia. I test del DNA dovrebbero arrivare a breve per confermarvi che sono davvero Tony Stark, e io nel frattempo, se non vi dispiace, vorrei schiacciare un pisolino. Non capita tutti i giorni di risorgere e, sapete?, sa essere alquanto sfiancante.»

Così dicendo, si alzò dalla sedia con teatralità e si diresse con passo rilassato verso l'uscita della stanza. Un agente dello SHIELD gli si parò davanti, lanciando sguardi interrogativi ai propri superiori. 
Sbuffando seccato, si voltò verso Fury.

«Non temere Monocolo, non lascerò Manhattan per scappare ai Caraibi. Al più potete trovarmi alla mia villa a Malibu nel caso in cui i test genetici vi diano qualche problema. Tanto, so che comunque mi starete addosso, quindi il minimo che possiate fare è darmi l'illusione di libertà, non credi?» inarcò un sopracciglio, il tono sarcastico.

Il direttore dello SHIELD annuì una sola volta, e finalmente fu libero di andare.   

Quando uscì dalla porta, si ritrovò difronte a Clint e Natasha che avevano spiato l'intero interrogatorio. Clint lo guardò finalmente sorridendo e scambiando con l'altro un abbraccio da orso. Anche Natasha gli sorrise accusandolo di aver rovinato la tranquillità che negli ultimi anni regnava alla Tower con la sua sola presenza.
Ma Tony aveva ben altre cose in mente.

«Dov'è il Capitan Ghiacciolo?» chiese a quel punto, cercando di nascondere la propria impazienza.

«A quest'ora starà dormendo in quella che è stata la tua stanza. Ma Ton-» gli rispose Barton interrompendosi subito dopo. L'inventore che era già sfrecciato per i corridoi senza dargli la possibilità di terminare la frase. Quindi si limitò a sospirare, per poi dirigersi verso la sua camera da letto, con l'intenzione di concedersi qualche ora di sonno.

Quando si trovò davanti alla porta della camera, si fermò di botto. Il cuore gli pompava veloce nelle vene, sia per la breve corsa sia per l'eccitazione.
Già quasi poteva vedere nel proprio letto il profilo addormentato di Steve, con la schiena rivolta alla porta come, di ritorno da tre mesi di auto-esilio, l'aveva trovato.

Con un sorriso stampato sulle labbra che mal conteneva la gioia che traboccava da esso, socchiuse la porta sempre aperta del Capitano, scivolando oltre essa.

Sbiancò di colpo. Il sorriso scivolò velocemente via dal suo viso, per lasciare spazio ad un espressione confusa che si fece via via più consapevole.

Steve era girato verso la porta, sprofondato in un sonno profondo. Il suo petto nudo, era cinto da dietro da un lucente braccio meccanico con a monte dipinta una stella rossa. Aldilà delle larghe spalle del Capitano, scorse una zazzera disordinata di capelli castani.

Il Soldato d'Inverno era tornato.
E giaceva con Captain America.

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Ho l'impressione che, dopo ciò, qualcuno voglia uccidermi(?) Ma su, sorridete, che la vita è piena di gioi- no, vabbè, scherzavo <3 

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Capitolo 3
*** [Forgot] ***


[Forgot]

Your touch used to be so kind
Your touch used to give me life
I've waited all this time, I've wasted so much time
(Il tuo tocco era così gentile
Il tuo tocco per me era vita
Ho aspettato per tutto questo tempo, ho sprecato troppo tempo)

Dalle sue labbra sfuggì un rantolo, mentre indietreggiava fino a sbattere rumorosamente e dolorosamente contro il muro, svegliando così il Capitano.

Steve aprì lentamente gli occhi, la fronte aggrottata di chi è stato appena destato controvoglia.
Quando mise a fuoco il profilo di Tony, quando ne riconobbe i grandi scuri occhi, lucidi, alzò di scatto il busto, puntellandosi sui gomiti, e sgranò gli occhi, iniziando a muovere le labbra cercando inutilmente di articolare qualche parola.

«T-Tony...» riuscì infine a sussurrare.

Era lui. Era davvero lui. Era... Tony, il suo Tony, identico all'ultima volta che l'aveva visto. 
La pura gioia che provò in quel momento, gli fece nascere spontaneo un largo sorriso.
Poi però si accorse dello sguardo ferito, distrutto, dell'altro e ripiombò dolorosamente coi piedi per terra. Il suo sguardo si fece via via più dolorosamente colpevole, consapevole di essere egli stesso la causa di quell'inesprimibile dolore che traspariva dagli occhi ambrati dell'altro. Le guance gli si colorarono velocemente di rosso.

Ma Tony... Benché la scena che si era trovato davanti fosse stata un'a dir poco spiacevole sorpresa, non era stata quella a farlo sprofondare in un baratro da cui – ne era convinto – non sarebbe più riuscito a risalire. 
Erano passati tre anni, poteva ben capire che l'altro 'passasse il tempo' con qualcuno: nei suoi panni era improbabile che non avrebbe fatto lo stesso, quindi non poteva certo biasimarlo per quello. 
Ma, oh, quello che lo colpì improvviso e doloroso come un fulmine a ciel sereno, fu lo sguardo di Steve.
Sotto la gioia iniziale e il seguente imbarazzo, di fatto, non aveva scorto quella luce che caratterizzava ogni sguardo che il Capitano a lui solo rivolgeva. Una luce che faceva risplendere le sue iridi come le più affascinanti cave marine, una luce che dava a Tony la speranza che il mondo non fosse così piatto, grigio e prevedibile come sempre aveva creduto.
E lo seppe in quel momento, con assoluta certezza: lo aveva perso.
Lo aveva fatto aspettare troppo a lungo, e Steve lo aveva dimenticato.

Sgusciò via dalla stanza veloce così com'era entrato, richiudendosi delicatamente la porta alle spalle, quasi come se temesse che il minimo rumore potesse spazzar via tutto ciò che rimaneva di lui. 
L'ultima cosa che giunse alle sue orecchie, prima di iniziare a correre il più lontano possibile da lì, furono le parole assonnate, trasudanti affetto, che il Soldato rivolse a quel Capitano che oramai non era più suo.

~o~

Chiamò il barista con un cenno e quello in risposta fece scivolare sul lungo bancone il suo ennesimo Whisky che afferrò prontamente, tracannandolo tutto d'un fiato.

Dopo la fuga frettolosa dalla Tower, aveva vagato per le strade di Manhattan senza alcun obiettivo, lo sguardo vuoto di chi ha perso tutto. Si era fermato solo quando era calata la notte, di fronte ad uno dei tanti bar notturni. Si era lasciato cadere ad uno dei tanti sgabelli di cuoio nero davanti al bancone e aveva iniziato ad ordinare bicchieri su bicchieri di Scotch, senza riuscire a togliersi dalla testa quello sguardo che valeva più di mille parole.
Non c'era più spazio per lui.
Era questa la semplice e crudele verità che Steve gli aveva sbattuto in faccia. 
E si sentì perso, fuori luogo, peggio che morto.

Fece passare lentamente il dito sul bordo doppio del proprio bicchiere di scotch, gli occhi fissi su di esso, con la concentrazione di chi sta compiendo qualche atto d'importanza vitale. La sua mente e il suo sguardo si persero in quel bicchiere, superandone la superficie e sprofondando nel riflesso dei propri occhi lucidi e arrossati. E gli restituì attraverso quello specchio - che rappresentava al tempo stesso la sua unica certezza e il suo più grande peccato - lo sguardo supplicante e devastato di un uomo che chiede aiuto, che chiede una spiegazione, che chiede un risarcimento. Un risarcimento per tutto ciò che quel Portale gli aveva portato via, ossia l'unico futuro a cui avesse mai aspirato, al fianco dell'unica persona che avesse mai amato.  
La sua mano si strinse con vigore quel bicchiere di scotch, concentrando tutta la sua forza in quel piccolo atto, cercando di mettere a tacere quella rabbia che improvvisa prese a scorrergli nelle vene. Solo quando il bicchiere cedette alla sua presa, rompendosi e ferendolo, questa rabbia scivolò via, lasciando dietro di sé un'arida desolazione mai aveva sperimentato con eguale intensità.  
Senza un commento, si tolse lentamente e meticolosamente le schegge di vetro che erano rimaste conficcate nella sua mano. Non badò al barista che, borbottando, gli aveva porto dei fazzoletti, rimanendo per qualche attimo a seguire con lo sguardo le scie vermiglie che avevano preso a solcargli il palmo, come se stesse assistendo al componimento di un quadro dalle buone premesse. 
Poi, lentamente, abbassò la mano e si avviò barcollando verso l'uscita del locale. 
Non fece che pochi passi, oltre l'uscio di quel bar di periferia, che si dovette appoggiare pesantemente contro il lercio muro che dava sull'altrettanto lurido vicolo, per poi riversare tutto il pessimo l'alcool che aveva ingerito. 
Alzando lo sguardo, scorse il luccichio della propria armatura che, ferma davanti a lui, sembrava essere lì pronta per proteggerlo. 
Le sue labbra si aprirono in un largo, mesto sorriso.

«Grazie, F.R.I.D.A.Y.» disse all'AI tramite l'auricolare che indossava continuamente.

«Di nulla, Mr. Stark.» rispose educatamente l'altra.

F.R.I.D.A.Y. , l'AI che aveva sostituito a Jarvis quando quest'ultimo era diventato Visione, era l'unica amica che gli era rimasta, e il fatto che Tony stesso l'avesse costruita con lo scopo di compiacerlo, non migliorava di certo la situazione.

Si fece velocemente avvolgere da questa e in breve si ritrovò a sorvolare Manhattan.
Atterrò poco dopo, difronte alla sua villa a Malibu. Si rifugiò velocemente nel proprio laboratorio, mentre la puzza di chiuso gli aggrediva le narici.
Da quanto tempo non tornava lì... Era dalla separazione con la signorina Potts che non ci metteva più piede, avendo preferito trasferirsi alla Tower.

"E adesso sono di nuovo qui, come all'inizio, al principio di ogni cosa. Come prima di Iron Man, degli Avengers, di Loki, di Ultron, di... Steve."

Con un sorriso mesto dedicato a se stesso, aprì la dispensa di liquori della villa ed iniziò a scolarsi alcune bottiglie senza dar peso alla data di scadenza. 
Terminò solo quando si ritrovò per terra, le tempie che gli martellavano e il volto verdognolo per la nausea. 
Strisciò facendo leva con le braccia fino a raggiungere il bagno. Si arrampicò su per la tazza del water, quasi fosse quella l'unica ancora cui aggrapparsi mentre con il resto del corpo penzolava al di là di un nero baratro.

"Ti ho fatto aspettare troppo
Ho perso troppo tempo. 
O forse il tuo amore era semplicemente troppo per me".

Troppo. Troppo. Troppo.
Troppo tempo.
Troppo amore.
Troppo dolore.
Prima, avrebbe tranquillamente detto che, in un certo senso, se lo meritava, poiché era impossibile trovare in natura qualcuno che fosse sia ricco che felice. 
Prima, avrebbe riso sopra a quella relazione e al mondo in cui era finita, magari, e avrebbe scrollato le spalle indifferente verso chi gli avrebbe chiesto "come stava".
Così era stato con Pepper e con tutti quelli che dicevano di provare affetto per lui, e poi se ne andavano, scomparendo nel nulla, dimenticandosi di lui. Se ne era ormai assuefatto.
O almeno, così era convito fino a quel momento.
Mai, MAI prima di allora si era sentito così Perso, così Vuoto.
Aveva lasciato entrare Steve dove nessuno sapeva neanche l'esistenza di una porta.
Aveva lasciato che Steve gli accarezzasse le Ferite, richiudendole con pochi semplici gesti.
Aveva lasciato che Steve lo pugnalasse alle spalle, che lo uccidesse, che lo dimenticasse.
Era lui stesso la causa del proprio male.

~o~

Erano passati sette giorni. Forse di più.
Aveva telefonato alla Tower ogni giorno, chiedendo che gli fosse affidata qualche missione, qualunque missione, l'importante e che lo traesse in salvo dalla spirale autodistruttiva in cui era scivolato.
Ma niente.
Con vaghe risposte, tutti gli dicevano che era un periodo piatto, che aveva bisogno di riposare "dopo tutto quello che aveva passato" – come se qualcuno ne avesse avuto anche solo una vaga idea –, che all'occorrenza si sarebbero fatti sentire loro... Modi 'gentili' per evitarlo che non fecero che accrescere la sua disperazione e i litri di alcool giù per la propria gola.

Fu infine Fury a rispondere al telefono quel giorno, dopo una lunga attesa, e a dirgli chiaro e tondo che per il momento era meglio che Tony Stark - e con lui Iron Man - restasse morto, che il mondo non era pronto a venire a sapere della sua 'resurrezione' e che, anzi, era meglio che se ne restasse nascosto per un po', avendo meno contatti possibili con gli altri Avengers e con gli altri civili che conosceva. Ed era meglio che per un po' non mettesse più piede nella Tower o fuori dalla villa.

E quello fu il colpo di grazia.

Tony capì di essere morto.
Era morto, perché non era più nessuno.
Non era più Tony Stark, il miliardario filantropo dalla mente geniale.
Non era più Iron Man, l'Avenger che aveva un proprio posto in una vera squadra.
Non era più Tony, in quanto quest'ultimo era morto assassinato da un singolo sguardo.

Guardò il proprio riflesso nel bicchiere di Whisky - suo unico costante compagno in quei solitari giorni – ed incontrò uno sguardo spento, morto, vitreo. Lo sguardo di un cadavere. 
Con esausta lentezza, si alzò dal divano in cui era sprofondato. Si diresse, con lo sguardo ipnotizzato e muovendosi come in sogno, verso il vecchio giradischi nascosto in un angolo del largo salone, costantemente presente ma il più lontano possibile dai suoi occhi.
Rimase per qualche istante immobile, lo sguardo perso oltre la superficie trasparente del coperchio. Con mano tremante lo sollevò. Accarezzò con la punta delle dita la superficie del disco in vinile già al suo posto. Attivò il giradischi e abbassò il braccio metallico.
Restò fermo ad ascoltare il brano blues che la macchina riproduceva per una manciata di minuti, la testa leggermente chinata di lato.
Le note sembrarono avvolgerlo in una mistica spirale, per poi raggiungere ogni remoto angolo della vuota villa, riempiendola.

Quel disco e quel grammofono erano tutto ciò che gli rimaneva dei propri genitori, della propria infanzia.
Il sabato sera, sul tardi, quando il piccolo Anthony – come lo chiamava suo padre – doveva essere già a letto da un pezzo, nel silenzio della loro grande e per lo più vuota casa, rimbombavano le note di quella stessa canzone. Si sentivano i bicchieri di cristallo tintinnare in un brindisi, poi il rumore dei passi del signore e della signora Stark, mentre ballavano al ritmo di quell'avvolgente musica, e in fine la dolce risata della donna e l'altrettanto dolce mormorio dell'uomo. E il piccolo Anthony rimaneva nel suo lettino, ad ascoltare tutti quei singoli rumori, a imprimerseli nella memoria, riuscendo poi a riconoscerli ovunque.

Chiuse brevemente gli occhi, Tony Stark, riuscendo quasi a sentire l'eco lontano di quei suoni. 
Poi li riaprì e un'innata calma mosse i suoi gesti. 
S'inginocchiò davanti al giradischi e mise le mani sotto il mobiletto che lo reggeva, fino a far scontrare le dita contro del duro metallo freddo.
Prese l'oggetto nascosto, e il suo sguardo calmo, vuoto, morto, vitreo, lo percorse da cima a fondo, studiandone ogni dettaglio.
Una piccola pistola semiautomatica.
Controllò che fosse carica, poi tolse la sicura.
Mentre le note del brano sfumavano, chiuse nuovamente gli occhi, sigillando le palpebre.

E vide lo sguardo di Steve, mentre quasi lo implorava di tornare da quel Portale.
Uno sguardo carico di amore, dolore, speranza. L'ultimo sguardo del SUO Capitano.
E vide lo sguardo di Steve, quando finalmente era ritornato a casa.
Uno sguardo felice, sì, ma distaccato, lo sguardo di chi è andato avanti, di chi ha dimenticato.
Sollevò lentamente la pistola, stringendola, ancorandosi a essa e alla sua muta promessa di Fine.
La portò alla tempia.
Una singola, calda lacrima gli rigò il volto immobile.
Poi fece scivolare il dito sul grilletto.

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Okay, okay, okay. È tutto okay. *lacrime copiose le rigano il volto mentre scava con il cucchiaino nel barattolo di Nutella da un chilo ormai vuoto*

Scrivere questo capitolo è stato un dolore fisico e psichico, ma ce l'ho fatta. Più o meno T.T

E con questo... Sayonara. Vado a scavarmi la fossa~~

 

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Capitolo 4
*** [Remember] ***


[Remember]

[...]Don't leave me alone
Cause I barely see at all
Don't leave me alone, I'm... [...]
([...]Non lasciarmi solo
Perché sono quasi cieco
Non lasciarmi solo, io...[...])

«Tony...!»

Un urlò riempì il silenzio della villa.
L'uomo ormai privo di identità, si ritrovò fulmineamente schiacciato contro una parete, due mani che gli tenevano bloccati i polsi in una stretta ferrea, facendogli scivolare di mano l'arma e il bicchiere di scotch, che si infranse con un rumore cristallino sul pavimento in marmo.
Sollevò di poco le palpebre, quanto bastava a vedere il liquido ambrato sparso ovunque e una t-shirt bianca che gli ostruiva la visuale.

«Non importa quante volte te lo dirò...» continuò la Voce che lo aveva intrappolato «... NON SEI SOLO.»

A quel punto, colui che fu Tony Stark, alzò lo sguardo fino ad incontrarne un altro, cristallino. Uno sguardo che avrebbe potuto riconoscere ovunque.

Il Capitano dovette trattenere un gemito quando incrociò gli occhi vitrei dell'altro. Sembrava che qualcuno gli avesse aspirato via l'anima, e la consapevolezza che quella situazione - quello sguardo - era avvenuta colpa sua non migliorava le cose.

L'uomo che un tempo era stato un inventore, disse con la voce monotona di un automa: «Menti, Rogers. Questo non è più posto per me. Sono morto tre anni fa, e così sarei dovuto restare.»

«No...» il mormorio di Steve era quasi un' incredula supplica «Il mondo ha bisogno di te... I-io ho bisogno di te.»

Quest'ultima affermazione sembrò riaccendere un tiepido barlume nello sguardo dell'altro.

«E allora perché non mi sei venuto a cercare? Non dico negli ultimi 3 anni, ma quando sono tornato. Sai, non so se te ne sei accorto, ma è passata più di una settimana.»

Se non fosse stato per la mancanza di espressione nella voce e nel suo viso, il Capitano avrebbe potuto dire di star parlando con il sarcastico Tony di sempre. Invece quello che aveva di fronte, sembrava una sua macabra copia sbiadita.

Steve non riuscì a rispondere, le labbra tese in una linea sottile.

«Tu lo ami, non è così? Ami Barnes e la tua lealtà ti impone di non pensare neanche alla possibilità di poterlo tradire.» continuò l'altro, mentre gli angoli delle labbra si sollevarono in quello che doveva essere il suo solito sorrisetto, ed invece appariva come una incolore smorfia mesta.

Ancora una volta, il Capitano non seppe cosa dire. Si limitò ad annuire, una sola volta, lentamente, il volto cinereo.

Si sentiva colpevole, Steve, colpevole di aver colpito quasi a morte quel grande, fragile uomo di cui aveva imparato a conoscere le sfaccettature.

«Va bene così.» disse pacato il fantasma di Tony Stark, sottraendosi alla presa dell'altro con gesti altrettanto moderati.

«NO CHE NON VA BENE!!!» urlò a quel punto il Capitano, prendendolo per le spalle e iniziando a scuoterlo, come a volerlo risvegliare dallo stato simil catatonico in cui era caduto. «HAI APPENA TENTATO IL SUICIDIO, DANNAZIONE!! Se fossi arrivato qualche istante più tardi... ancora pochi secondi e...» la voce gli si ruppe, non riuscendo più a terminare la frase.

«...E  avresti lavato dalle pareti la mia materia grigia, dicendo addio a tutti i tuoi ostacoli morali tra te e lui.» terminò l'altro, sottraendosi alla sua presa «Se ti fa sentire in colpa, allora non ci riproverò, se è questo che vuoi sentirti dire. Ora va, prima che lui noti la tua assenza.»

«Buck capirà sicuramente. Non è da me non aiutare gli amici in caso di bisogno...» ribatté il Capitano, con fare più accomodante.

A quel punto, Tony scoppio in una rumorosa risata priva di gioia che, se possibile, sembrava più dolorosa di una crisi di pianto.

«Cosa vuoi, Rogers?» il suo tono era freddo, così come l'ira che lentamente aveva iniziato a scorrere in lui, riscaldandolo e facendogli, quanto meno, provare qualcosa. «Hai fatto irruzione a casa mia, quindi, cosa vuoi?»

L'altro rimase per qualche istante in silenzio, prima di rispondere quasi in un sussurro: « F.R.I.D.A.Y. mi ha chiamato avvisandomi che stavi per commettere qualche sciocchezza, o almeno era questo il succo del suo discorso pieno di numeri, dati e robe simili.»

«Mi dispiace aver interrotto qualsiasi cosa tu stessi facendo, allora. Ora, per favore, vattene.» Rispose l'inventore, lasciandosi crollare sul divano, la bottiglia di nuovo prontamente alla mano.

«Dovresti smetterla di bere.» Le parole gli sfuggirono dalle labbra quasi senza che se ne rendesse conto.

Tony si girò verso di lui, un sopracciglio inarcato, portandosi la bottiglia alle labbra e bevendone un lungo sorso con fare quasi provocatorio.
Si guardarono, ed entrambi ricordarono.
Quante volte avevano iniziato discussioni in quel modo? Di solito finivano per litigare aspramente, poi per fare a botte e infine per baciarsi con foga. 
A Steve sembrò di tornare indietro di tre anni.
A Tony sembrò di riavere indietro il suo Steve. 
Quasi senza accorgersene, si sorrisero genuinamente e, in qualche modo, l'uno lesse negli occhi dell'altro e viceversa il perdono.
Perdono per aver fatto tardi.
Perdono per non aver aspettato.
Perdono per le promesse mantenute e quelle mancate.
Ed entrambi capirono, con quel singolo sguardo, che il Destino aveva tessuto per loro una storia che non si può cambiare. Erano legati inesorabilmente l'uno all'altro: per quanto avessero potuto provare a scappare, era inevitabile ritrovarsi.

Quindi, quando il Capitano gli diede le spalle, entrambi sapevano che quello non sarebbe stato un addio, ma un arrivederci. 
Perché non si può combattere il Fato, né tanto meno spezzare il suo Filo Rosso.

«Non sei solo.» ripeté ancora una volta Steve, una mano sul pomello, l'altra a torturarsi il petto, vicino al cuore, lì dove una pressione invisibile gli premeva in modo quasi doloroso.

Poi se ne andò, lasciando dietro di sé una scia che sapeva di Speranza. E di Amore Ancestrale.

 

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Capitolo 5
*** [Scream] ***


[Scream]

...Falling in the black 
Slipping through the cracks 
Falling to depths can I ever go back...
(...Precipito nell'oscurità 
Scivolo nelle fenditure 
Cado in un pozzo da cui non potrò mai risalire...)

Le palpebre gli si erano sollevate lentamente, poi si erano strizzate sotto la luce invadente delle lampade a neon. 
Bianche lenzuola avvolgevano il suo corpo coperto da una quadrettata tunica ospedaliera. 
Aveva cercato di alzarsi puntellandosi sui gomiti, per poi ricadere sfinito sul cuscino.
L'infermiera di turno, vedendolo vigile, gli aveva sorriso.

«Abbiamo vinto, Capitano» gli aveva detto.

A quel punto, aveva fatto scivolare lo sguardo più in là, sulle brandine degli altri Avengers posizionate poco distanti dalla propria. 
Nessuno era stato ferito gravemente ed erano riusciti a salvare il mondo ancora una volta.
Eppure sui volti dei suoi compagni non brillava quella luce che sapeva di vittoria, di felicità, di vita. Avevano sguardi cupi, le sopracciglia aggrottate e le espressioni affrante di chi ha perso più di quanto potesse vincere.

Un meschino presentimento aveva iniziato a farsi strada in lui. Un presentimento a cui non voleva dare ascolto,  nonostante stesse prendendo possesso di lui.
Sotto alla pressione di questo, era scattato a sedere, attirando l'attenzione della squadra che gli aveva rivolto cenni di saluto. Clint aveva persino cercato di fare una battuta su quanto rumorosamente russasse nel sonno il Capitano, ma il suo sorriso appariva tirato, fioco, forzato, fuori posto.
A quel punto, aveva posato nuovamente lo sguardo in quello degli altri Vendicatori. 
E si accorse che ne mancava uno.
Uno un po' arrogante, ammiccante, sfacciato, brillante.
Uno ambrato, dalle mille sfaccettature sfuggenti che aveva appena iniziato a cogliere.
Uno, la cui sola presenza calamitava gli altri sguardi.
Uno, che era diventato il centro di ogni suo pensiero.
Uno, che non c'era.

Un lamentoso, silenzioso, piccolo gemito si librò dalla sua gola stretta in una smorfia soffocante, mentre uno dei dolori più forti che aveva mai provato si faceva strada nel suo corpo, frantumando le ossa, squarciando gli organi, avvelenando il sangue.
Mosse piano le labbra tremanti ad articolare una domanda di cui già conosceva la risposta, gli occhi lucidi che facevano da specchio all'agonia che lentamente lo stava uccidendo dall'interno.

«Dov'è Tony?»

Poi l'oblio lo richiamò a sé, cancellando i suoi pensieri e i suoi ricordi.

~o~

Il freddo del braccio metallico, a contatto con la sua pelle nuda, lo fece rabbrividire. Nonostante questo, attirò il proprietario di quest'ultimo più vicino a sé, ancorandosi alle sue spalle e abbandonando il volto nell'incavo del suo collo. I capelli tenuti lunghi dell'altro, gli solleticarono piacevolmente le guance.

Erano passati tre anni.
Ancora non ci poteva credere che fosse passato tutto quel tempo da quel giorno.

Durante i primi sei mesi dalla scomparsa dell'inventore, si era chiuso in un mutismo carico di dolore. Le uniche parole che pronunciava erano dirette a F.R.I.D.A.Y., che Tony gli aveva lasciato in eredità, e solo quando era da solo con l'AI. In quel periodo, aveva persino sfiorato l'idea del suicidio, solo per potersi rincontrare così con l'inventore. Solo il pensiero di deludere, così facendo, Tony l'aveva tenuto a bada.

Poi un giorno, quasi casualmente, si era imbattuto in quelle mail che loro due si erano scambiati, prima dell'inizio della fine. Tony gli aveva lasciato delle coordinate, tramite le quasi avrebbe potuto trovare il Soldato d'Inverno.
Il Soldato d'Inverno. 
Bucky, il suo più caro amico.
Ricordava ancora con chiarezza il dolore che aveva provato quando l'aveva visto cadere da quel treno, un dolore che gli aveva scosso l'anima e che gli aveva fatto credere che non sarebbe più riuscito a sorridere.
Un dolore che solo l'inventore, in un modo a lui ancora estraneo, era riuscito a lenire. 
Poi però la perdita di Tony aveva riaperto quella ferita ricucita, l'aveva ingrandita ed infettata. 
Forse... Forse Bucky sarebbe riuscito a rimetterlo in sesto.
Era stato questo il suo pensiero quando aveva poi iniziato a cercarlo.
E infine l'aveva trovato, dietro il bancone di una caffetteria a Seattle. 
La riconciliazione era stata tenera, ed ancor più le loro parole quando si erano confidati l'uno con l'altro, parlando senza filtri di tutto ciò che era successo loro, dei loro dolori e dei loro desideri sopiti.
E poi... Poi fu come se quegli anni di lontananza si fossero annullati, come se fossero tornati i due ragazzini di Brooklyn che volevano arruolarsi nell'esercito per servire la propria patria. Due ragazzini che erano l'uno la famiglia dell'altro, che erano cresciuti insieme, che erano andati avanti insieme.
Il passo successivo, una volta ritrovatosi, era stato spontaneo, naturale, come se non potesse essere altrimenti.

E quando tutto sembrava essere finalmente giunto a conclusione, lo shock.
Tony era tornato. 
Quando l'aveva visto lì, ritto davanti alla porta della sua camera, aveva creduto in un'apparizione, poi in un miracolo. 
Solo dopo la fuga frettolosa dalla propria stanza da parte dell'inventore, la felicità di vederlo vivo si era tramutato in qualcos'altro dal retrogusto amaro. 
Colpevolezza.
Colpevolezza, perché Steve era andato avanti, perché lo aveva dimenticato, così come aveva dimenticato la promessa fatta all'altro. 
E non poteva tornare indietro.
Con Bucky, il Capitano aveva fatto finta di niente, come se fosse semplicemente felice di sapere che l'inventore, in qualche modo, fosse riuscito a tornare a casa. Steve se lo era ripetuto talmente tanto spesso da autoconvincersene. 
Ma le sue lotte interiori continuarono a non lasciargli tregua, specialmente al calar del sole, quando il Soldato si addormentava profondamente al suo fianco lasciandolo solo con i propri dilemmi.

Non avrebbe tradito Bucky, questa era la sua unica certezza.
Purtroppo, però, era ben consapevole delle reazioni del proprio corpo e del proprio cuore ogni volta che sentiva anche solo nominare Tony. Era pura chimica. Il cuore iniziava a battere più velocemente e negli occhi gli si accendeva una luce particolare, che non riusciva proprio a nascondersi.
Forse, ignorandolo totalmente, anche il suo corpo si sarebbe adattato alla sua scelta.

Mai, MAI si sarebbe aspettato quello che poi derivò da quel suo allontanamento.

Era tardo pomeriggio. Era appena uscito dalla doccia, cedendo il posto al Soldato, e si stava preparando per un uscita con quest'ultimo.
Poi, la voce di F.R.I.D.A.Y. che, allarmata, gli descriveva le intenzioni di Tony.
In seguito, la corsa sfrenata verso la villa dell'inventore.
E infine quella scena.

Il volto di Tony illuminato dal sole morente appariva disteso, rilassato, senza nessuna ruga a deturpargli il volto, come mai prima di allora. 
Delle leggere note blues stavano sfumando in una dolce conclusione, fino a tacere.
Le sue mani erano ferme, mentre impugnava il calcio della pistola, la canna poggiata alla tempia.
Vide come in un incubo, con le gambe che non riuscivano a muoversi, il dito dell'altro scivolare sul grilletto, pronto a far fuoco, e una singola lacrima rigargli la guancia ispida. 
Ed era stata forse quella lacrima a farlo uscire dalla trance in cui era caduto.

«Tony...!» l'urlo che gli sfuggì dalle labbra, sembrava il richiamo di una bestia difronte all'inesorabile distruzione della propria casa, della propria famiglia, della propria vita, da parte di un alto fuoco ruggente.

Si precipitò verso l'altro con gli occhi sbarrati, inchiodandolo alla parete e boccandogli le mani, da cui scivolarono l'arma e il bicchiere di liquore che impugnavano.   

«Non importa quante volte te lo dirò... NON SEI SOLO.» continuò, la voce ferma che mal celava il turbine di emozioni che gli si agitava sotto pelle.

Perché lo sapeva, lo sapeva il Capitano che la Solitudine era il problema.
Anche lui si era svegliato un giorno, in un mondo che non gli apparteneva e anche lui si era sentito solo e spaesato. 
Ma mai quanto doveva essersi sentito Tony. 
L'inventore si era ritrovato in quello che ERA il suo mondo, con tutte le persone che conosceva e i luoghi a cui apparteneva, ma tutti lo avevano sorpassato, erano andati avanti, lasciandolo da solo.
LUI l'aveva lasciato da solo.

Ma se la precedente scena l'aveva sconvolto, ancor di più lo fece lo sguardo dell'inventore.
Il Vuoto che prima aveva solo scorto in quegli occhi color miele, ora sembrava averlo inghiottito del tutto.
Era come se qualcuno gli avesse strappato l'anima, come se quello che stava davanti ai suoi occhi non fosse che un rimpiazzo del grande uomo che era Tony Stark.

Il senso di colpa lo afferrò per la gola, mentre lentamente quello sguardo privo di vita scivolava nel suo. 
Poi ci furono altre parole, sferzanti, accomodanti, ironiche, dolci, vive, morte. Ma, più di ogni altra cosa, ci furono gli sguardi.

Sguardi, uno cristallino, uno ambrato, che ballavano insieme un'incantevole danza di cui solo loro conoscevano i passi.
Sguardi che solo l'uno dentro l'altro assaporavano la sensazione di completezza.
Sguardi che si allontanavano, si combattevano, si rincorrevano.
Sguardi da cui non si poteva fuggire.
Sguardi che non potevano che essere dettati da ciò che più c'è di umano in ognuno di noi.
Sguardi, che annullarono tutte le distanze, che cancellarono tutte le menzogne dietro cui si nascondevano.
Sguardi, che non erano altro e che erano tutto.

Quando era tornato nella sua stanza alla Tower, scosso come non mai, a Bucky era bastato uno sguardo per capirlo. Le parole poi, erano scivolate fuori dalle sue labbra da sole, anche se non sarebbe mai riuscito a tradurre in poche lettere una seguita da un'altra tutto ciò che era successo.
Il Soldato era rimasto in silenzio, ad ascoltare attentamente le sue parole. Poi, senza un commento, lo aveva attirato a sé, in un abbraccio rassicurante come solo lui sapeva regalargli. 
In quei forti abbracci, Steve tornava ad essere il ragazzino pelle ed ossa di Brooklyn, quello che ha costantemente bisogno di essere protetto. 
In quegli abbracci, Steve si sentiva al sicuro come mai prima di allora.

Eppure... Eppure ricordava troppo chiaramente la sensazione delle proprie braccia intorno alle gracili spalle dell'inventore, quando lo aveva sostenuto da ubriaco. Ricordava troppo chiaramente la sensazione di benessere che provava quando quest'ultimo si rannicchiava contro di lui, come a volersi nascondere dal resto del mondo.
 

Erano questi i suoi pensieri, anche in quel momento, mentre stringeva il braccio meccanico dell'altro e l'alba lentamente rischiarava la stanza.

Un'altra notte insonne, come tante da quella sera in cui Tony Stark aveva tentato il suicidio. Per colpa sua.

Come ormai era diventato di routine, si scostò dolcemente dal Soldato, facendo attenzione a non svegliarlo, e si vestì con l'intenzione di dedicare alla corsa quelle prime ore del nuovo giorno.

Di solito, esitava per qualche secondo prima di sparire al di là della porta, di cui in quel momento stringeva la maniglia, per voltarsi indietro e restare per qualche attimo ad osservare la figura dormiente di Bucky, quel suo amico d'infanzia che, in fin dei conti, non era mai stato solo quello.
Ma non quella volta.  
Troppo distratto dai pensieri che gli vorticavano in testa, varcò velocemente l'uscio della porta, chiudendosela alle spalle.

E furono quei mancati attimi di esitazione, che Steve si sarebbe rammaricato più di ogni altra cosa.

Aveva fatto solo pochi passi, quando il rumore di un esplosione di vetri rimbombò per i corridoi.
Il Capitano spalancò la porta della propria camera giusto in tempo per vedere un folto gruppo di uomini con sulla divisa lo spiccante stemma dell'Hydra, volare al di là della parete-finestra rotta con sulle spalle il corpo privo di sensi del Soldato.

Immobilizzato sul posto, gli occhi sgranati e il volto cinereo, vide quegli uomini sparire, strappandogli, ancora, la propria famiglia.

E fu solo allora che iniziò ad urlare, urlare il proprio tormento, urlare una richiesta d'aiuto.
Urlare un nome, che tante volte si era trovato a sussurrare, inconsapevolmente, in sonno, a fior di labbra, quasi come se stesse esprimendo un desiderio.

Tony.

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Capitolo 6
*** [Plans] ***


[Plans]

...Dreaming of the way it used to be
Can you hear me
Falling in the black ...
(...Sognando il modo in cui è preferito essere
Mi senti 
Precipitare nell'oscurità ...)

 

Era nel proprio laboratorio con gli altoparlanti che trasmettevano a palla l' 'unico vero rock' - l'unico che gli permetteva di non pensare -, quando, non udito, ebbe inizio l'insistente scampanellio alla propria porta. Fu F.R.I.D.A.Y. che, accorgendosene, glielo comunicò.

Quando aprì la porta, incuriosito – l'ultima visita che aveva ricevuto era stata quella di Steve, quando aveva scioccamente tentato il suicidio – tutto si sarebbe aspettato di vedere tranne quello che si parò di fronte a lui: il volto sconvolto di Steve e i suoi grandi occhi blu arrossati dal pianto.

Si scostò in fretta facendolo entrare, intimando l'AI a spegnere quella musica assordate ormai fuori luogo.

Tony non smise di guardare neanche per un attimo, preoccupato, Steve ritto in piedi al centro della stanza. Si affrettò verso la il mobile dalle ante in vetro che mettevano in bella mostra la sua scorta di alcool e versò un doppio scotch in un tozzo bicchiere di vetro.

«Pensavo che avessi smesso di bere...» il commento del Capitano gli giunse fioco alle orecchie, cose se quasi non avesse la forza neanche per parlare.

«Infatti, Capiscle, questo è per te. » ribatté abbozzando un sorrisetto e porgendogli un bicchiere, per poi accomodarsi insieme all'altro sul divano di pelle bianca che troneggiava in mezzo alla soggiorno. «Ora, bevi e dimmi tutto.»

Contro ogni previsione, Steve accettò il liquore.

"Steve che beve? Le cose devono essere davvero molto MOLTO gravi..." pensò l'inventore con preoccupazione sempre crescente, guardando il Capitano buttare giù tutto d'un fiato il liquore.

«L'hanno preso.» disse Steve dopo aver deglutito «I-io non c'ero, me ne sono andato, e gli uomini dell'Hydra l'hanno preso. »

Lo sguardo spiritato del Capitano esprimeva un dolore ed un tormento che Tony conosceva fin troppo bene. Era il identico al proprio sguardo riflesso nei vetri che davano su una stanza ospedaliera, quella in cui era stato ricoverato Steve, dopo lo scontro distruttivo che aveva avuto con il Soldato d'Inverno , il suo grande corpo che sembrava così piccolo e fragile collegato a quelle decine di macchinari.

L'inventore già sapeva perfettamente chi fosse il motivo di tanto dolore, ma chiese ugualmente: «Chi? Chi hanno preso, Steve?»

«Bucky.» rispose l'altro, il tono di voce piatto e morto di chi ha appena perso quanto di più importante avesse al mondo, dopo un lungo silenzio «Hanno preso Bucky.»

Steve si era quasi fatto ammazzare dal fantomatico Soldato d'Inverno quando lo ricordava solo come un amico d'infanzia, cosa avrebbe fatto se si fosse scontrato con lui un'altra volta – dopo che l'Hydra l'avrebbe ritrasformato in una macchina da guerra - , ora che si amavano? Si sarebbe lasciato uccidere pur di non ferirlo, Tony lo sapeva perfettamente.

"Lo devo impedire ad ogni costo. Devo andare a salvare Barnes prima che sia troppo tardi sia per lui che per Steve." Questa era una delle sue poche certezze.

«Okay, Stevie, andiamo a riprendercelo.» disse sicuro quindi Tony, un sorrisetto incoraggiante sulle labbra, alzandosi dal divano e trascinando con sé l'altro.

«Come? Come possiamo farlo, se non sappiamo nemmeno dove si trova?» ribatté Steve, molto meno fiducioso, ma nei suoi occhi brillò un luccichio di speranza.

Percependo quella nuova luce nel suo sguardo, l'inventore inarcò le labbra nel suo perfetto, solito, arrogante sorrisetto.

«Ehi, Capiscle, così mi offendi! Sono o non sono Tony Stark?»

Così dicendo, batté una mano sulla spalla del Capitano, per poi scendere nel laboratorio, seguito a ruota dall'altro.

«Perdona il disordine» si scusò mentre aggirava cumuli di cartoni di pizza e di cibo d'asporto «ma la domestica mi crede ancora morto...»

Finalmente, superati vari ostacoli, riuscì a raggiungere la propria postazione di lavoro. Estrasse da uno dei numerosissimi cassetti della scrivania alcune bombolette spray.

«Spruzzato questo mio piccolo gioiellino su un qualunque metallo o lega, ne da una frequenza particolare distinguibile unicamente da un mio altrettanto particolare radar. L'ho ideato e realizzato un bel po' di anni fa, all'inizio della mia 'carriera' come Iron Man, per fare in modo che J.A.R.V.I.S. potesse trovarmi in qualsiasi situazione. Ci ho messo un po' ma alla fine sono riuscito a farlo spruzzare sul braccio bionico del tuo Soldatino. In questo modo sono riuscito a rintracciarlo anche la scorsa volta, quando ti inviai tramite mail quelle coordinate...» Quelle mail... dalla sua prospettiva era passato così poco tempo, invece in quell'arco temporale era cambiato tutto.

Steve annuiva alle parole di Tony, cercando di capire il succo del discorso.

«Quindi... grazie a questo coso riusciremo a trovare Buck? » chiese quando -finalmente- l'altro tacque.

«In sintesi... sì.» rispose l'inventore, con un sorriso appena accennato, la mente già altrove.

"Cosa sto facendo?" si stava chiedendo. Stava aiutando il proprio ex – di cui, tra l'altro, era ancora follemente innamorato – a ritrovare il suo ragazzo – senza di cui sarebbe stato molto più facile riconquistare l'altro. Se tutto quello non fosse così tragico, sarebbe potuto essere quasi esilarante.

«F.R.I.D.A.Y., trova il nostro Soldato Baguette.» disse dopo un microscopico sospiro, che il Capitano non colse, troppo perso nei propri pensieri.

Dopo una manciata di minuti, si aprirono davanti a loro alcune schermate.

«È in periferia.» disse quindi Tony, zoomando un vecchio edificio industriale sul quale lampeggiava una spia rossa.

Il Capitano annuì, prese lo scudo e fece per dirigersi immediatamente sul posto.

«Ehi, ehi. Aspetta un attimo, stai agendo troppo impulsivamente.» disse parandosi davanti a lui «So che è il tuo Bucky quello in mano ai nemici, ma stiamo parlando di una sede dell'Hydra, non di un paio di contrabbandieri. Probabilmente si aspettano che da un momento tu piombi su di loro, e saranno preparati. Ciò che non si aspettano, invece, è di essere attaccati da un esercito di Iron Man, o almeno di quello che ne rimane dopo l'Invasione.» disse per poi far scorrere lo sguardo sulle 5 sole armature rimaste, in cui era compresa quella che aveva salvato la vita del Capitano. Si soffermò su questa particolarmente, accarezzandola con lo sguardo: quell'armatura, in origine, rappresentava la sua unica probabilità di sopravvivenza, e l'aveva ceduto senza pensarci due volte a Steve, vedendolo morente sul campo di battaglia.

«Con quella armatura mi hai salvato la vita e F.R.I.D.A.Y., un paio di mesi dopo la tua scomparsa, mi ha detto che con quella, avresti avuto speranze di ritorno dal varco...» disse quindi Steve, seguendo il suo sguardo e quasi leggendogli nel pensiero «Non ti ho ancora ringraziato, scusami.»

«Non devi ringraziarmi, è naturale che io l'abbia fatto. Non ti avrei mai lasciato morire.» rispose Tony, guardandolo dritto negli occhi, facendo trasparire quel forte sentimento che ancora gli scorreva nelle vene e che, probabilmente, non avrebbe mai smesso di farlo.

Colpito dalle emozioni che sembravano fluire dagli occhi di Tony al proprio cuore, sgranò gli occhi. Sentì il cuore battergli più velocemente nel petto, e una nuova urgenza invadergli arti. Fu pervaso da un Calore a cui non sapeva dare origine se non quegli occhi ambrati fissi nei suoi. Si perse in quelle sfaccettature castane, scavando in ognuna di esse e ritrovando quello Steve che apparteneva a Tony riflesso in essi, quello Steve che ormai pensava essere morto insieme al suo compagno. Come se le proprie braccia fossero guidate da qualche forza invisibile, cinse la schiena di Tony attirandolo a sé in un abbraccio.

«Mi sei mancato.» gli sussurrò ad un orecchio il Capitano.

Tony chiuse gli occhi, al sentire quelle parole, per poi rispondere all'abbraccio con foga, come se si stesse attaccando alla propria ancora di salvezza in mezzo alla tempesta.

«Anche tu, non sai quanto.» il tono di Tony era dolce, così come il timido sorriso che era sorto sul suo volto, lentamente come la più bella delle albe.

E rimasero così, per un tempo che sembrò loro infinito eppure troppo breve, fin quando non fu F.R.I.D.A.Y. a riportarli con i piedi per terra. Steve si scostò in imbarazzo mentre le labbra di Tony continuavano ad avere quella curvatura che non avrebbe abbandonato presto le sue labbra.

«Va bene, porta con te le armature, ma non esiste che tu vada da solo.» disse categorico il Capitano.

«Chissà com'è ma mi aspettavo che dicessi una cosa del genere... Per questo voglio che tu prenda un' armatura, quella che ti diedi quel giorno.» ribatté l'altro, indicandogli la citata armatura.

«È uno scherzo forse?» sbottò dopo un lungo, esterrefatto silenzio Steve «Sai quanto poco d'accordo io vada con la tecnologia. Non riesco nemmeno ad accendere un computer, e tu vorresti darmi una delle tue armature?!»

«Non temere Capiscle!» esclamò l'altro, ridendo sotto i baffi e lasciandogli alcune pacche sulle spalle «Sarà F.R.I.D.A.Y. a fare tutto il lavoro, e, nel caso, ricorda che ci sono anch'io qui.»

Poi gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisetti alla Tony Stark e indossò la propria armatura. Dopo tanto eppure così poco tempo, Iron Man era ritornato.

 

 

 

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Capitolo 7
*** [Lost] ***


[Lost]

...Slipping through the crack
Falling to the depths can I ever go back...
(...Scivolare nelle fenditure
Cadere in un pozzo da cui non potrò mai risalire...)

«Direi che adesso tutto il mondo sa che sei ancora vivo.» commentò il Capitano.

«Indubbiamente cinque Iron Man che sorvolano Manhattan facendo 'ciao' ai passanti, farà nascere qualche interrogativo.» ribatté l'inventore, non senza una nota di divertimento nella voce.

«A Fury non piacerà.» gli fece notare Steve, cantilenando.

«Oh, ci conto.» ribatté l'altro, il sorrisetto arrogante che, nascosto dall'armatura, gli incurvava le labbra.

Tony fece fermare le armature: sotto di loro si estendeva quello che doveva essere stato un grande e fiorente magazzino che doveva aver donato lavoro a centinaia di persone, ma che in quel momento era solo un enorme, vecchio, edificio decadente.

Con un tonfo, le armature atterrarono davanti a quest'ultimo.

L'inventore si voltò verso l'armatura indossata dal Capitano.

«Ricordati di lasciar parlare me. Il 'camuffamento' non servirà a nulla se si accorgono che sei qui.» gli disse Tony, il tono serio come non mai.

«Io ancora non ho capito il senso di questo tuo piano ma, dato che ti considero la persona più intelligente che conosca, eseguirò.» rispose, domandandogli implicitamente cosa avesse in mente.

«Bravo soldatino.» ribatté Iron Man, il tono fin troppo compiaciuto. Fianco a fianco - come sempre – entrarono nella struttura.

Non dovettero attendere molto che furono ben presto circondati da una cinquantina di uomini dalle tute nere su cui campeggiava lo stemma dell'Hydra.

«Il grande Tony Stark!» rimbombò la voce di un uomo, tra le grigie pareti dell'edificio «E io che ho provato un immenso dispiacere, sentendo di non poter più essere la causa della tua fine!»

L'inventore assottigliò lo sguardo. Quella era una voce che aveva già sentito, molti anni prima e per molto molto tempo. Una voce considerata amica, prima di quel tradimento che gli aveva fatto vedere molto da vicino il fondo del baratro.

«A quanto pare, non sono l'unico ad essere risorto dal regno dei morti, Obadiah.»

La voce dello Stark, resa meccanica dall'armatura, era carica di sarcasmo che poco conteneva l'odio che provava verso Obadiah Stane, l'uomo responsabile del proprio rapimento e della sua quasi-morte, che aveva provato a rubargli la società e che aveva infangato il nome della sua famiglia.

Lo aveva sconfitto tantissimi anni prima, agli albori della propria carriera come Iron Man, e si era illuso che fosse rimasto ucciso dallo scontro.

Difronte a lui, gli uomini in divisa nera si aprirono in due per lasciar spazio al capo dell'Hydra.

Era indubbiamente lui, Tony avrebbe riconosciuto ovunque quegli occhi porcini coperti da una patina vuota da cui si poteva scorgere solo il suo odio verso il mondo e la sua incommensurabile sete di potere. Una grossa ustione gli percorreva il volto, sfigurandolo, e ciò non poté che in qualche modo rallegrare l'inventore, in quanto grazie all'odio senza eguali che Stane doveva provare per lui, la riuscita del suo piano per salvare il Soldato d'Inverno divenne una certezza. 

«Allora, Stark, cosa spinge questa tua mossa suicida? Ti manca troppo essere morto?» disse colui che un tempo era stato suo mentore.

«Ho saputo che hai catturato il Soldato d'Inverno. Sono qui per proporti uno scambio vantaggioso per entrambi....» iniziò, mentre all'interno dell'armatura mandava ordini a F.R.I.D.A.Y., che l'AI velocemente eseguì. «Mi consegnerò spontaneamente a voi, e in cambio voi libererete Barnes.»

Per un attimo regnò un silenzio tombale che fu poi rotto dalla sprezzante risata priva di gioia di Stane.

«Sinceramente, non mi sarei mai aspettato da te un comportamento così altruista.» commentò, prima di fare una pausa pensierosa, prendendo in considerazione la sua proposta. «Affare fatto.» concluse, spalancando le labbra in un sorriso da tagliagole.

Diede velocemente gli ordini a due suoi uomini che in breve si ripresentarono con sottobraccio uno scalpitante Soldato d'Inverno che chiedeva a gran voce cosa stesse succedendo. Quando poi vide le 5 armature, rimase allibito e non proferì più parola.

Tony uscì rapidamente dall'armatura facendo posto a Bucky.

«Non ringraziarmi, Soldatino. Se provi anche solo a pensare di ferire Steve, ti uccido, è una promessa. Ed io mantengo sempre le mie promesse.» mormorò, quando furono a poche spanne l'uno dall'altro.

Quando l'armatura si richiuse, con un ordine prestabilito, si alzarono in volo, portando al sicuro Steve e Barnes.

Gli sfuggì un microscopico sospiro, mentre gli uomini dell'Hydra lo perquisivano togliendogli tutti i cheap di localizzazione e quelli tramite cui comunicava con Friday.

«Prediti cura di lui.» fu l'ultimo suo messaggio all'AI, prima che tutti i suoi contatti fossero staccati.

Chiuse gli occhi per pochi istanti. Quando li riaprì, una luce brillò nei suoi occhi prima di spegnersi inesorabilmente. Una luce di chi finalmente sa di aver fatto una scelta giusta.

~o~

«Tony! Cosa vuoi fare?!» provò ad urlare il Capitano, ma la sua voce non raggiunse l'esterno dell'armatura.

Provò a raggiungerlo, ma l'Iron Man in cui era rimase immobile.

Irritato come non mai, provò a scrollarsela di dosso, ma niente, tutto rimaneva immobile.

«Mi dispiace, Capitano.» lo raggiunse la voce di F.R.I.D.A.Y., con un tono molto umanamente dispiaciuto «Mr. Stark mi ha ordinato di bloccare ogni suo impulso.»

Assistette impotente, il Capitano, a quel patto col Diavolo, senza poter far nient'altro che tentare inutilmente da uscire da quell'ammasso di metallo. Era sempre stato questo il suo 'grande piano', era per questo che aveva tanto insistito nel fargli indossare l'armatura. Tony aveva sempre avuto intenzione di barattare la libertà di Buck con la propria vita. E lui era stato troppo cieco da riuscire a leggerlo negli occhi dell'altro, era stato troppo proiettato verso la libertà del suo Bucky da non capire ciò che l'altro stava pianificando.

Se solo fosse stato più attento... Se solo fosse stato meno cieco... Se solo non si fosse lasciato travolgere dalle emozioni... Se solo fosse stato meno egoista... Tony sarebbe stato ancora al sicuro.

Quando vide Bucky entrare nell'armatura di Tony mettendosi così al sicuro, non poté trattenersi dal sentirsi sollevato. E si odiò per questo. Un odio viscerale verso se stesso che annullò ogni sinapsi del cervello.

Poco dopo, nonostante le sue mute grida, le armature si misero in moto pronte a lasciare all'unisono l'edificio.

Fu in quel momento che, difronte agli occhi di Steve, si aprì una schermata con su un messaggio da parte di Tony.

Ehi, Capiscle. 
Ormai è diventata quasi un'abitudine lasciarti messaggi prima di... andarmene, ma se te lo avessi detto, se ti avessi detto cosa avevo intenzione di fare, mi avresti fermato con ogni mezzo  a tua disposizione e saresti stato tu a compiere qualche sciocchezza. Potrai ben capire che non lo avrei mai permesso.

Dovevi riavere il tuo Bucky, dovevi riaverlo per tornare ad avere quella felicità che io, saltando in quel portale, ti ho portato via. Ma io conosco l'Hydra così come la conosci tu, solo che diversamente da te sono abbastanza lucido da capire che l'unico modo per poter riprendere il tuo Soldatino è dandogli qualcosa dal valore superiore. 
Ho raccolto delle informazioni in queste ultime settimane. E queste informazioni hanno accennato al fatto che Obadiah Stane non solo è ancora vivo, ma è a capo della fazione dell'Hydra stanziata a New York in questo momento... Tu non lo conosci, eri ancora un ghiacciolo quando ci ho avuto a che fare, e so che darebbe qualunque cosa al mondo pur di mettere le mani su di me. Quindi... Sì, mi offrirò come merce di scambio. E non lo faccio per Barnes, né per te – non del tutto almeno –, ma per me. Ormai sono ridotto all'ombra di me stesso... Tony Stark è morto in quel portale, lo sappiamo entrambi, quindi non rendere le cose difficili, sii felice con il tuo uomo e non pensare neanche lontanamente di venire a riprendermi. È meglio così, lo sappiamo entrambi. Quindi... per favore, goditi quella felicità che ti meriti e accetta i miei ringraziamenti per avermi davvero fatto capire per cosa vale la pena vivere... e morire.

Un' ultima cosa... Se quelli dell'Hydra mi dovessero fare il lavaggio del cervello, per favore, uccidimi.

Irrimediabilmente tuo, 
Tony.

Quelle parole gli scorrevano veloci davanti agli occhi velati di lacrime, urlò ancora ed ancora il nome dell'altro, con tutto il fiato che aveva in gola, inutilmente. 
Ormai era troppo lontano. 
Ormai era irraggiungibile. 
Ormai era perduto.

___________________

Ho mai detto che sono una stronza sadica masochista? Ecco, ora ne avete la prova lampante~~

Comunque, scusatemi se ci ho messo tanto a partorire questo schifo... 

Al prossimo capitolo~~

 

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Capitolo 8
*** [The phoenix's last song] ***


[The phoenix's last song]

...Falling inside the black 
Falling inside falling inside the black...
(...Precipitare nell'oscurità
Precipitare, precipitare nell'oscurità...)

L'ultima cosa che vide, mentre gli legavano i polsi con delle spesse corde, furono le armature volare via, lasciando nel tetto di legno del magazzino 5 grossi fori. Poi sentì il colpo di un calcio di un fucile alla testa, e il buio lo avvolse facendo cadere su di lui in suo nero sipario.

~o~

«Dobbiamo tornare a riprenderlo.» fu la prima cosa che disse Steve, appena uscito dall'armatura, nel laboratorio dell'inventore.

«Toglitelo dalla testa.» replicò asciutto il Soldato, uscendo anch'egli dall'Iron Man. «Sarebbe un suicidio, e lo sai. Stark in qualche modo è riuscito a farci tornare a casa incolumi, e di questo gli sono grato, ma è stato comunque un azzardo. Non possiamo fare niente per lui.»

«No. Lo uccideranno. Tu non hai visto la luce che brillava negli occhi di Stane, mentre sigillava l'accordo. Non avrà alcuna pietà.» ribatté il Capitano, infilandosi rapidamente la propria divisa.

«È stato Stark a volersi consegnare, e farti uccidere sicuramente non gli farà piacere... Ascolta. Lo so che non è da te lasciare soldati indietro, ma si è immolato lui stesso. Dobbiamo apprezzare il suo sacrificio e continuare a vivere la nostra vita...» Bucky gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla, il tono consolatorio.

Steve se la scrollò di dosso, girandosi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi. Nello sguardo cristallino del Capitano, brillava una luce che sapeva di determinazione. E di disperazione.

«Come puoi parlare così? Se non fosse per lui e la sua cocciutaggine tu saresti ancora nelle mani dell'Hydra e io probabilmente mi sarei fatto ammazzare nel tentativo di salvarti. Il minimo che posso fare per sdebitarmi è salvarlo da un destino che sarà sicuramente peggiore di quello che sarebbe stato il nostro senza il suo intervento!» insistette, senza dar alcun peso alle parole dell'altro.

Il suo tono era salito di più di un ottava, e il suo sguardo trasmetteva quasi un accusa. L'accusa di non voler capire quanto essenziale per lui fosse rischiare la vita per salvare quel singolo uomo.

«Non lo libererai facendoti ammazzare!» ripeté ancora il Soldato, alzando anch'egli il tono. Poi fece un piccolo sospiro, imponendosi di calmarsi «E di sicuro lui non vorrebbe una cosa del genere. È vero, non conosco per niente Stark, ma ho visto come ti guarda e, per quanto mi dolga ammetterlo, ho capito che prova ancora qualcosa di profondo per te. E ci scommetto che non vorrebbe vederti morto così come non lo voglio io. Quindi... Lascia stare. Ci ha dato una seconda possibilità, con il suo sacrificio, non sprechiamola...» fece per afferrargli il braccio, il tono conciliante, ma Steve si sottrasse nuovamente.

«Io non lo abbandonerò lì.» ripeté caparbiamente «Chiamerò anche gli altri Avengers e insieme...»

«"Gli altri" chi, Steven? Thor è ad Asgard, la Romanoff è appena partita per una missione, Banner è chissà dove... L'unico rimasto a disposizione è Clint, e tu vuoi davvero condannare a morte insieme a te il padre di tre bambini?» il tono del Soldato si era fatto incalzante e accorato.

Steve scosse lentamente la testa, e la disperazione spazzò ciò che rimaneva della speranza nel suo sguardo.

«Non posso non provarci, Buck. Non posso.» mormorò il Capitano, abbassandolo lo sguardo sulle proprie mani strette in pugno portate all'altezza del petto. 
Alzò la testa di scatto e, senza temporeggiare oltre, fece per uscire dal laboratorio e raggiungere il parcheggio che ospitava la sua moto.

«No, Steve, non te lo lascerò fare.» la voce risoluta del Soldato lo bloccò a pochi passi dall'uscio.

Pochi attimi dopo, il Capitano si ritrovò circondato da una ventina di uomini armati, uomini dello S.H.I.E.L.D. .

Steve si voltò verso l'altro, gli occhi sgranati dall'incredulità.

«Cosa stai facendo, Buck?» gli chiese perplesso, mentre quegli uomini lo scortavano fuori dalla stanza, verso le celle sotterranee della Tower.

«Ti sto salvando la vita.» rispose mentre lo conducevano in gattabuia. Al sicuro.

~o~

Fu svegliato da una secchiata d'acqua gelida. I suoi polsi erano stretti da una corda, che a sua volta era annodata a una barra metallica che attraversava il soffitto. A un occhiata più attenta, la barra risultava essere parte di un nastro trasportatore. Quale ironia: quella non era una fabbrica comune, era un mattatoio.

Sollevò lentamente le palpebre. Nonostante la vista sfocata, riuscì a riconoscere la figura che aveva di fronte come quella del suo storico nemico. Quest'ultimo stava giocherellando con un ferro rovente, passandoselo da una mano all'altra.

«Sai, mi hanno tutti suggerito di applicare su di te il nostro 'lavaggio del cervello'. Considerano che sarebbe molto vantaggioso avere il tuo intelletto dalla nostra parte.» disse il suo carceriere, il tono tranquillo di chi discute amabilmente di come ha intenzione di trascorrere il proprio weekend «Ma io preferisco di gran lunga restituirti il... favore.» continuò, accennando al proprio volto ustionato «E ho deciso che, dato che non usufruiremo di te e della tua intelligenza... beh, mi prenderò pezzo dopo pezzo il tuo corpo e la tua anima, e dopo che avrò finito con te, Tony Stark, non avrai più una mente che ti si possa invidiare. Non l'avrai più affatto.»

Con un ghigno che non mostrava nulla che potesse essere definito 'umano', Stane premette il ferro incandescente contro la pelle del suo petto esposto. Premette a fondo, quasi a volergli perforare la pelle e raggiungergli il cuore. 
Tony urlò con quanto fiato aveva in gola, mentre la sofferenza gli bloccava le sinapsi del cervello.
Il suo aguzzino si fermò, però, prima che l'altro potesse svenire dal dolore. Gli concesse una manciata di secondi, per poi mirare al collo questa volta, sul pomo d'Adamo. Poi sulla fronte. Sotto l'ombelico. Sui muscoli delle braccia contratti nello sforzo del reggere il peso del suo corpo. 
L'inventore non aveva voce per urlare, non aveva la forza per formulare pensieri. C'era solo dolore, dolore, dolore. 
E Steve. 
Il suo sorriso, la sua risata, i suoi magnifici occhi dalle mille sfumature di celeste, e quel riflesso verde che da sempre lo stregava.

Strinse i denti, cercando di farsi forza. 
Voleva rivederlo, almeno un'altra volta. Voleva guardarlo negli occhi, dirgli chiaro e tondo quanto lo amava, e promettergli che non se ne sarebbe andato, mai più.

Con questa nuova meravigliosa forza nata dal desiderio che gli scorreva portentosa nelle vene, sollevò gli occhi e guardò Stane con aria di sfida. 
Non si sarebbe piegato, né quel giorno né mai.

Il ghigno si spense sulle labbra tese dell'altro.
Accecato da un impeto d'ira, prese a bastonarlo disordinatamente con il ferro rovente, rompendogli qualche costola. Una o due dovettero foragli un polmone, perché iniziò a tossire spasmodicamente sangue. 
Ma Obadiah, non ancora sazio dell'agonia dell'altro, lo fece bruscamente girare di spalle. Prima iniziò a tormentarlo con il ferro che impugnava con una stretta così ferrea da sbiancargli le nocche, poi si fece portare dai suoi uomini, che assistevano muti alla scena, una lunga frusta di cuoio. Il suo vessatore lo fece girare nuovamente, prendendo a frustargli i bicipiti già arrossati dal ferro rovente. L'inventore si ritrovò dunque a fissare una telecamera impugnata da un uomo in divisa nera. Non sapeva chi stesse ricevendo quelle immagini, ma pregò che non arrivassero in alcun modo a Steve. Vedendo un compagno di squadra torturato in quel modo, sarebbe diventato poco lucido, e avrebbe attaccato subito, anche da solo, senza uno straccio di piano. 
Nel frattempo, Obadiah era passato dalla frusta alla mazza chiodata, con cui aveva iniziato a tormentargli i fianchi e la schiena.

«Quanti altri strumenti di tortura medievale ti sei procurato, eh, Obadiah? Non credi che questi siano un po'... superati?» disse ironico, guardando dritto verso la videocamera. Non si sarebbe lasciato fiaccare nella mente, non avrebbe perso del tutto ciò che era rimasto di Tony Stark.

«Ma sentitelo! Ha anche da ridire sul modo in cui lo torturo!» ribatté Stane dopo una secca risata. 
Poi si rivolse verso a suoi uomini, corrucciato, come se stesse cercando di riportare alla mente qualcosa
«Ma, se non sbaglio, nel medioevo ancora non esisteva la corrente elettrica.» E così dicendo, le labbra del suo torturatore si aprirono in un grande, agghiacciante, ghigno.

Avvicinò a Tony un apparecchio elettronico. Applicò delle ventose sulle sue tempie. 
Un lampo di paura attraversò gli occhi dell'inventore, sostituito poi da fredda determinazione. Non sarebbe morto, non quel giorno, non in quell'angusto e fetido luogo, per mano di quell' 'uomo' che di umano conservava ancora poco. Non prima di essere sprofondato ancora un'ultima volta nello sguardo magnetico del suo Capitano.

«Vediamo quanto ancora resisterà la tua sfacciataggine!» disse rancoroso il suo aguzzino, facendo partire dall'apposito strumento una scarica potente d'elettricità. Sentì quest'ultima attraversargli l'intero corpo, partendo dalla testa, e si sentì scuotere in preda agli spasmi. Il dolore era talmente acuto, che benché il suo volto fosse accartocciato in un espressione di pura agonia, dalle sue labbra socchiuse non sfuggì neanche un basso gemito. Poi, esausto, si lasciò scivolare nell'oblio. 
Prima che la sua coscienza svanisse del tutto, sentì Stane mormorare ad un soffio dal suo volto: «Oh, non temere piccolo Anthony, questo è solo l'inizio del nostro gioco.»

~o~

«...Il direttore ha detto che non possiamo fare niente...»
«...Quale mostro può essere l'artefice di tale violenza...»
«...Non riesco neanche ad immaginare di riuscire a sopportare una cosa del genere. Immagino che abbia rimpianto non poco l'essere ritornato dal regno dei morti...»
«...La morte sarebbe di gran lunga preferibile rispetto a tutto quello...»

Rannicchiato nell'angolo più buio della propria angusta cella, Steve Rogers giaceva immobile. I suoi occhi era arrossati, le palpebre appesantite. Non aveva più lacrime da poter piangere, solo un profondo ed incolmabile vuoto al centro del petto. E sensi di colpa.
Se fosse stato abbastanza attento da capire quale fossero le reali intenzioni di Tony... Se non si fosse lasciato bloccare così passivamente da Bucky... Se lo avesse raggiunto e lo avesse liberato... Tutto quello non sarebbe successo.

Era passata meno di un'ora dalla sua incarcerazione, quando in tutta la Tower erano risuonate le terribili grida di dolore dell'inventore. Quelli dell'Hydra avevano preso possesso di ogni schermo a disposizione, dalle televisioni ai monitor dei computer agli schermi dei cellulari, riuscendo a raggiungere persino lui ai sotterranei.
E aveva assistito a tutto.
Il dolore, l'agonia, che aveva letto sul volto di quell'uomo che tanto intensamente aveva amato e che poco a poco, inconsciamente, aveva riscoperto di amare, era tale da farlo gemere con la stesse veemenza dell'altro.
La sofferenza che gli straziava il cuore, non era affatto mitigata dalla sua impotenza. Non poteva lasciare quella gabbia. Aveva provato più e più volte a rompere lo spesso vetro che lo imprigionava con tutta la forza di cui il siero lo aveva dotato, senza altri risultati se non quello di ritrovarsi le mani sanguinati.

«Steve...» era la voce del Soldato, quella che lo chiamava al di là della sua cella.

Il Capitano non distolse il proprio sguardo fisso dal pavimento in cemento armato.

«Steve...» insistette Bucky, poggiando una mano contro il vetro freddo, come a cercare di instaurare un contatto con l'altro. «Anche se fossi andato lì, non avresti cambiato niente...» provò ancora.

Fu allora che il silenzio della prigione semivuota fu interrotto dalla secca risata priva di gioia del Capitano.

«Non mentire. Avrei potuto salvarlo, e invece non l'ho fatto.» il suo tono era privo di inflessioni, piatto, morto, come se qualcuno avesse spento tutto ciò che lo caratterizzava, tutto ciò che faceva di lui Steve Rogers, tutto ciò che lo rendeva vivo.

«Non è colpa tua... Siamo soldati, e questa non sarà né la prima né l'ultima volta in cui perderemo un compagno di squadra. Tra poco ti riprenderai, fidati di me.» provò ancora Bucky, una morsa alla gola. Non lo aveva mai sentito così distante, così freddo. E fu travolto dalla consapevolezza di averlo perso, perché aveva fatto ciò che mai avrebbe dovuto fare. Lo aveva imprigionato, aveva tolto alla Sentinella della Libertà, la libertà di scegliere come agire, o in quel caso, in nome di cosa morire.

Un sorriso amaro piegò le labbra del Capitano, che alzò il proprio sguardo vitreo verso quello verde dell'altro.

«Sai, quando l'Hydra ti ha preso ero disperato. Sono andato da Tony, direttamente, senza neanche perdere tempo a spiegare agli altri cos'era successo. Mi ha aperto la porta, mi ha accolto in casa sua come se fosse la cosa più naturale del mondo – anche dopo quello che gli ho fatto - e mi ha detto che avrebbe fatto di tutto pur di riportarti da me. E l'ha fatto. L'ha fatto, nonostante io l'abbia ferito, tradendolo con te, anche quando gli avevo promesso che l'avrei aspettato, promessa che non ho mantenuto. 
Poi è stato Tony ad essere nei guai, e tu, invece di aiutarmi a riportarlo a casa, mi hai fatto rinchiudere come un criminale. Quindi ora, Barnes, dimmi: come posso continuare a fidarmi di te?»

La voce, lo sguardo, il pallore del volto, tutto gridava un agonia che il Soldato non riuscì a reggere. Abbassò lo sguardo e non poté evitarsi di fare un passo indietro.

«Mi dispiace.» fu tutto quello che il Soldato d'Inverno riuscì a dire, prima di voltargli le spalle e lasciarlo in quella gabbia di vetro.

«Anche a me.» disse al corridoio silenzioso Steve quando ormai l'altro era troppo lontano per sentirlo, nascondendo poi il volto tra le ginocchia.

L'ultima cosa che provò prima di lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo, fu stupore. Perché no, ancora non aveva pianto tutte le sue lacrime che in quel momento avevano iniziato ad accarezzargli calde e quasi consolanti il volto.
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Molto probabilmente in questo momento avete voglia di mandare tutto all'inferno ma sorridete (??), la Stucky è andata a farsi benedire e l'happy ending è vicino - più o meno - !!

Fatemi sapere se sono stata troppo stronza, così cercherò di rimediare~~

 
 

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Capitolo 9
*** [Farewell] ***


[Farewell]

...You were my source of strength
I've traded everything
That I love for this one thing...
(...Eri la mia forza
Ho perso tutto quello che amo
Per questa unica cosa...)

Tre giorni.
Tre giorni passati in quella cella, sorvegliato da uomini armati che indossavano quelle divise alleate.
Tre giorni senza notizie di Tony.
Tre giorni senza sapere se l'inventore fosse ancora vivo oppure no.
Tre giorni in cui l'impotenza e la disperazione avevano lasciato posto ad una vuota apatia fatta di silenziosa agonia.

Il suo sguardo era spento, morto, mentre ripercorreva i preziosi ricordi che Steve serbava dello Stark. 
Era solito spiarlo, il Capitano, osservarlo di nascosto in un angolo del laboratorio dell'altro, lì dove Tony Stark si mostrava realmente. Tony era così preso dal proprio lavoro che non si accorgeva mai della sua presenza. Poteva rimanere a guardare per ore le sue espressioni – che alla 'luce del giorno' sembravano quasi congelate nel suo solito sorrisetto – mutare e mostrare spicchi di uno Stark che aveva lentamente ma inesorabilmente iniziato ad amare: osservava le sue labbra inarcarsi nel suo sorrisetto sardonico e sentiva la sua risata quasi sprezzante quando nel suo laboratorio collaudava qualcosa che modificava il concetto di 'impossibile', prendendosi gioco del mondo; lo udiva imprecare contro quel braccio metallico che chiamava borbottando Ferro Vecchio; lo guardava passarsi una mano sulla fronte corrucciata mentre disegnava progetti su progetti; lo scorgeva mentre si sporcava d'olio da motori, quando si ficcava sotto le sue costosissime auto per dare loro un tocco Stark; lo spiava mentre sorrideva, si illuminava come un bambino mentre spacchetta i regali di natale, quando finalmente raggiungeva la formula perfetta; lo vedeva crollare assopito sulla propria scrivania, sui fogli sparsi ovunque e con un espressione talmente innocente da non poter essere associata in nessun modo a quella del Tony Stark che si mostrava alla luce del sole.
Poi tutte quelle piacevoli immagini furono ben presto sostituite dal corpo martoriato dell'inventore, dalle sue grida di dolore, dalle ferite inferte che difficilmente si sarebbero cicatrizzate dalla propria mente più che dal corpo dell'inventore. Immagini spietate che presero ben presto a fissarsi sulla sua retina oculare come aguzzi aghi che traevano godimento nello spillare sangue e lacrime.

Ed era colpa sua. Era tutta colpa sua.
Era stato lui ad averlo coinvolto in quella storia. Ma perché lo aveva fatto? Più ci ripensava più non sapeva rispondersi. Anzi, sì, lo sapeva, la risposta era ovvia, scontata: aveva bisogno di lui. Captain America aveva bisogno di Iron Man, Steven Grant Rogers aveva bisogno di Anthony Edward Stark, Steve aveva bisogno di Tony.
Si era sempre illuso che fosse il contrario, che fosse l'inventore a dipendere dal Capitano. Ma non era così, non era mai stato così.
Tony gli dava un motivo, qualcuno a cui guardare le spalle, da proteggere, di cui prendersi cura, e senza di lui si sentiva inutile. L'inventore in tanti indiretti modi, lo aveva lasciato fare, si era reso il suo motivo. Lo aveva salvato. Di nuovo.
Sì, si era sempre illuso di essere lui l'eroe, il paladino della libertà, invece non aveva fatto altro che prendersi quasi i meriti dell'altro.
Ripercorse velocemente tutte le loro battaglie, e si accorse che era proprio Iron Man ad essere sempre in prima linea contro il nemico, lui si era semplicemente preoccupato del fatto che non si lasciasse ammazzare.
E ora non era riuscito a svolgere neanche quel compito. Per la seconda volta.
Non era riuscito ad impedire a Tony di buttarsi in quel Portale che lo aveva tenuto prigioniero per 3 lunghi anni, e ora lo aveva consegnato all'Hydra.
Indirettamente, certo, e, come il Soldato d'Inverno aveva più volte affermato, era stato l'inventore a volersi immolare. Ma anche quella era stata colpa sua. Sapeva che l'altro provava ancora dei forti sentimenti per lui, e inconsciamente si era diretto proprio verso Tony, sicuro che avrebbe fatto di tutto pur di non vederlo in quel pietoso stato disperato. Lì per lì non ci aveva pensato, ma ora riflettendoci capì di averlo sfruttato, lo aveva egoisticamente sfruttato condannandolo a morte.
E ora non poteva fa niente per salvarlo.

«Capitano! Spero proprio che lei non si sia abituato al comfort di questa magnifica... gabbia.» la voce di Clint Barton gli giunse attutita al di là dello spesso vetro della cella.

Quando Steve alzò il proprio sguardo spento, incrociò quello dell'agente Barton, affiancata dal dottor Banner, la Romanoff e Thor.

«Siamo venuti il prima possibile, appena abbiamo saputo.» continuò Banner, mentre la parete della cella contro la quale a lungo si era scorticato le nocche nel vano tentativo di romperla, si sollevava lentamente.

Una ventata d'aria gelida proveniente dall'esterno lo fece rabbrividire.

«Andiamo a riprenderci quell'idiota di uno Stark che si è lasciato catturare.» concluse la Vedova.

Una scintilla brillò nello sguardo di Steve, dopo un lungo periodo in cui gli era stata sottratta.

Una scintilla che sapeva di speranza.

~o~

Steve. Gli stava sorridendo. Stava tendendo una mano verso di lui. Tony ricambiò il sorriso e fece per avvicinarsi e afferrare quella grande mano che sapeva essere così calda ed accogliente. Ma non riusciva in alcun modo a raggiungerlo. Si mise a correre, cercando di urlare il suo nome, ma per quanto di sforzasse la voce gli rimase imprigionata in gola. E Steve diventava sempre più irraggiungibile. Più si allontanava, più la sua espressione diventava triste, delusa, fin quando non abbassò la mano e si girò di spalle allontanandosi.
La voce del suo Capitano lo raggiunse chiara, mentre con il volto rigato dalle lacrime, l'inventore continuava a cercare di raggiungerlo e di urlare il suo nome.

"Mi hai fatto aspettare troppo"

Un secchio d'acqua gelida lo sottrasse da quell'incubo, per gettarlo in un altro da cui era impossibile svegliarsi. Spalancò gli occhi, ansimando. Doveva essere svenuto, di nuovo. Non sapeva quanto tempo era passato dalla sua cattura, ormai quest'ultimo era scandito solo dai suoi svenimenti e dai bicchieri d'acqua che ogni tanto gli lasciavano sorseggiare per tenerlo in vita il più a lungo possibile.

Il boia si girò verso il proprio 'carello degli attrezzi' schermando quest'ultimo con le sue larghe spalle e impedendo a Tony di vedere cosa stesse per usare.

Obadiah, dopo due o tre svenimenti, si era stancato, lasciando ai suoi il compito di inventare nuovi metodi di tortura. Ora se ne stava lì, seduto su quello che credeva un trono, ma in realtà era una semplice sedia. Osservava compiaciuto la scena, senza perdersi neanche una delle sue espressioni di dolore.

Ormai la sofferenza era diventata una costante, e Tony quasi non riusciva a ricordare quando non la provava, ma sapeva di aver raggiunto il limite.
Per quanto si fosse sempre vantato della sua testardaggine, sapeva che in quel momento avrebbe fatto qualunque cosa pur di mettere fine a quel supplizio. E ciò lo spaventava quanto e più del nuovo strumento impugnato in quel momento dal boia che si stava avvicinando pericolosamente a lui, uno stiletto dalla lama sottilissima.

«Questo nuovo giocattolino può raggiungere ad uno a uno i tuoi organi e graffiarli, senza però perforarli e quindi ucciderti, ed è talmente sottile che non rischierai il dissanguamento.» illustrò Stane, quasi gongolante.

L'inventore provò a sottrarsi, ma il dolore alle spalle – che nel frattempo si erano lussate nello sforzo di reggere il suo corpo – lo fece desistere dal futile sforzo.

Sentì la lama entrargli lentamente nel costato, tra una costola e un'altra, e 'graffiargli' il polmone. Una nuova esplosione di dolore gli annebbiò la vista e dalle sue labbra sfuggì un sordo gemito. Non aveva più la forza per urlare.

Quando il pugnale fu estratto dalla ferita, il dolore se possibile fu anche maggiore. Il sangue defluì velocemente dalla ferita, accarezzandogli il busto e creando una pozza sempre più larga sul pavimento, andando a unire le altre piccole pozze di sangue che lo circondavano.

«Ops, forse dopotutto il dissanguamento lo rischi.» commentò Stane sardonico «Ma c'è un modo, Stark, per porre fine a tutto questo. Io non ero d'accordo, ma i capi delle altre fazioni della mia... società, hanno molto insistito. Quindi ti è stata data una chance: lavora per noi, e non solo avrai salva la vita, ma potrai ritornare a casa. Come infiltrato e dopo esserti sottoposto al lavaggio del cervello, ovviamente, ma queste sono solo sottigliezze.» continuò, alzandosi dalla sua postazione per avvicinarglisi.

Lo guardò dall'alto in basso, con l'aria di chi sa di aver già vinto.

E fu proprio quell'atto e quelle parole a fargli capire che non c'erano più vie di fuga, non c'erano più speranze. Ma non per questo avrebbe rinunciato a tutto ciò che era.

Accarezzò con la lingua la capsula si cianuro che gli era stata impiantata quando era entrato a far parte degli Avengers e a cui si era sottoposto senza pensarci due volte, figurandosi uno scenario come quello. 

Chiuse brevemente gli occhi e rincontrò nuovamente in cangiante sguardo di Steve nei propri ricordi.

"Mi dispiace Capiscle,  ma non può essere altrimenti."

Approfittò di un momento di distrazione di Stane – un uomo dell'Hydra era appena entrato trafelato per segnalare alcuni problemi di una certa urgenza – e ruppe la capsula.

Il veleno gli invase amaro la bocca e gli scivolò giù per la laringe. I suoi effetti – essendo questo stato potenziato in modo tale da essere istantaneo – non lo fecero attendere. Il cuore iniziò a battere talmente forte da rimbombargli nelle orecchie in modo quasi doloroso. Poi fu colto da qualcosa molto simile ad un capogiro, mentre la testa gli sembrava volergli esplodere, e di accasciò su sé stesso. Chiuse gli occhi, mentre, con difficoltà dovute al trisma, mosse le labbra ad articolare un nome. Spirò sussurrandolo.

«Steve.»

~o~

«TONY!» 
La voce del Capitano rimbombò tra le pareti dell'industria abbandonata.

Dietro di lui, gli Avengers. Ancora più indietro una settantina di uomini dell'Hydra, chi morto, chi svenuto, chi si contorceva per il dolore.
Lo scontro era stato fulmineo. Erano entrati dall'altro, dai cinque fori lasciati nel soffitto dal decollo delle armature. I primi 30 li avevano presi velocemente di spalle, gli altri 40 li avevano affrontati in un corpo a corpo e ne erano usciti vittoriosi con nessuna ferita se non qualche graffio superficiale. Il dottor Banner era rimasto a guardia del Quinjet che li aveva portati fin lì e che li avrebbe riportati indietro. Tutti insieme, loro sei dopo fin troppo tempo.

«Capitano! Che piacevole sorpresa! Non attendevo una tua visita, mi dispiace non aver indossato il mio abito migliore.» Obadiah Stane fece il suo ingresso, accennando distrattamente alle proprie vesti inzaccherate di sangue. Il sangue di Tony.

Steve serrò la mascella, lo sguardo inferocito.

«Lui dov'è?! DOV'È?!» urlò il Capitano, il volto contratto in un espressione di collera.

«È ancora vivo, forse, se è questo che vuole sapere. Ma se vi aspettare che ve lo dia in regalo siete proprio degli scioc-» il vociare fastidioso del capo dell'Hydra fu messo a tacere da un colpo netto della Vedova Nera, apparsa alle spalle dell'altro.

«Con te facciamo i conti più tardi.» commentò la donna.

In breve, però, altri uomini in divisa nera si riversarono nella stanza.

«Vai, ti copriamo noi le spalle.» disse Clint, aprendo l'arco con uno scatto.

Steve gli rivolse un cenno, esprimendo la sua gratitudine con lo sguardo, poi si dileguò, aprendosi un varco tra i nemici.

«TONY!» urlò ancora a gran voce, quando si ritrovò in un'enorme stanza per lo più vuota.

Girando per il vasto ambiente, finalmente intravide la figura dell'inventore, appeso per le mani ad un nastro trasportatore. Come un animale da macello.

Gli si avvicinò fin quando non si ritrovò a pochi centimetri da lui, il corpo martoriato in modi che non osava neanche immaginare, le spalle lussate dallo sforzo di sostenere il corpo, una larga pozza di sangue che si apriva sotto di lui.

Sentì un gemito sordo, come quello di un animale morente. Ci mise un po' a comprendere che erano state le sue labbra ad articolarlo.

«Tony...» il suo ora, era un sussurro spezzato.

Con un gesto secco, ruppe le catene che lo imprigionavano con il proprio scudo.
Lo afferrò delicatamente prima che toccasse terra. 
Un ginocchio puntato per terra, l'altra gamba piegata, sostenne l'inventore senza staccare gli occhi dal volto dell'altro.
Nonostante i lividi, il sangue che gli incrostava metà viso, la sua espressione era distesa, innocente, la stessa che aveva visto addormentata sulla scrivania di quel laboratorio, circondato da marchingegni e fogli di carta blu. 
Con il volto rigato dalle lacrime, prese a scuoterlo prima delicatamente poi sempre con maggiore forza, invocando il suo nome. Ma niente, non rispondeva. Così come il suo petto immobile, dentro cui non soffiava più vita.

Rimase a cullare dolcemente il corpo sempre più freddo dell'altro, ripetendo il suo nome come in una litania, un incantesimo, una preghiera. 
Tante volte, nei suoi incubi, era stato tormentato da immagini come quella che stava vivendo e si illuse per qualche attimo che da un momento all'altro si sarebbe svegliato e avrebbe trovato l'inventore al suo fianco, come sempre.
Quando capì che non ci sarebbe stato nessun risveglio, il suo corpo fu scosso da capo a piedi, come se avesse appena ricevuto il colpo di una pistola in pieno petto. 
Prese ad accarezzare i capelli del moro, per poi posargli un lungo bacio sulla fronte insanguinata, senza smettere neanche per un secondo di cullarlo dolcemente. 
Se lo strinse con forza al petto, accarezzandolo come nel tentativo di cancellare tutto il dolore che aveva subito. Per colpa sua.

«Oh... Tony... È colpa mia... È tutta colpa mia...»

Gli aveva fatto una promessa, tanto tempo prima: avrebbero vinto insieme oppure sarebbero caduti insieme. E invece lo aveva abbandonato alla mercé del nemico. Pianse, pianse tutte le sue lacrime, stringendo al petto il corpo di quell'uomo che l'aveva amato così tanto da sacrificare la propria vita per la sua felicità.

"Ma come potrò, Tony, essere felice senza di te al mio fianco?"

Non era riuscito a dirglielo, non era riuscito a dirgli quanto l'amava. Tony era morto pensando di non essere nient'altro che un bel ricordo per lui. Era morto prima che Steve gli chiedesse scusa per averlo dimenticato. Era morto, e ormai niente di quello che avrebbe potuto fare sarebbe riuscito a portarlo indietro.

 

____________

*Dondola lanciando fazzoletti a caso* Avvolte non so neanche io perché scrivo queste cose oscene.............. In questo momento mi sto odiando non poco, ma... beh... sono una stronza sadica masochista.

Dopotutto vi avevo promesso un happy ending, quindi... aspettatevi di tutto per il prossimo capitolo (e perdonate questo coso sproporzionatamente lungo e feelsoso e cososo).

Non posso chiedervi di non bestemmiarmi in cirillico, ma se cado per le scale so a chi dare la colpa XD.

Al prossimo capitolo ~~~

 

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Capitolo 10
*** [Unmei no akai ito] ***


[Unmei no akai ito]

...Don't leave me here like this
Can't hear me scream from the abyss?...

(...Non lasciarmi qui così
non riesci a sentirmi urlare dagli abissi?...)

 

La prima cosa che percepì, fu il freddo. Un freddo insidioso che gli fece accapponare la pelle. Proveniva in particolar modo da ciò su cui era appoggiato, un tavolo di metallo forse. 
Poi un panno fresco e leggero, un lenzuolo probabilmente, che gli copriva fastidiosamente il volto.
E ancora, un vociare prima confuso poi più definito di due voci familiari.

«È colpa mia.» stava dicendo la voce maschile, il tono che esprimeva una sconsolatezza infinita. La riconobbe immediatamente come quella di Captain America. «Dovevo proteggerlo. Era mio compito proteggerlo. E ho fallito miseramente...»

«No, non dire così. Lo sai che Tony fa, beh, faceva tutto quello voleva senza chiedere pareri o consigli a nessuno. Non saresti riuscito a impedirgli di consegnarsi comunque.» ribatté la voce femminile, consolatoria.

«Non mi sarei dovuto rivolgere a lui da principio, quando Bucky era nelle mani dell'Hydra. Oppure non mi sarei dovuto rivolgere a Bucky quando era Tony quello in pericolo... Avrei potuto evitare tutto questo... Avrei...»

'Dio, Capiscle, se non la smetti di addossarti così la colpa per qualcosa che non potevi assolutamente gestire, giuro che mi metto ad urlare.' Erano queste le parole che voleva dirgli, magari scendendo da quel coso freddo e avvolgendosi in una coperta, ma non riusciva a muovere le labbra né tanto meno riusciva ad emettere qualche gemito per segnalare la sua presenza o, semplicemente, aprire gli occhi. Era come se qualcuno gli avesse iniettato del calcestruzzo nelle vene.

«Ti ricordo che anche tu hai imprigionato Stark, alla vigilia del combattimento contro quel portale che solo lui poteva chiudere. Lo amavi troppo perché si sacrificasse per il bene comune, così come ti ama Barnes, motivo per il quale ti ha impedito di buttarti in una missione suicida...» gli fece notare saccente la stessa voce femminile che riconobbe solo allora come quella dell'agente Romanoff.

«Non è la stessa cosa.» ribatté contrariato il Capitano

«Perché si parla di Tony? Il tuo Tony?» disse, con una nota di malizia nella voce.

«Ora non ha più importanza.» disse brusco «È... è morto, ormai niente ha più importanza...»

'Mi permetterei di dissentire, in questo momento, se solo ricordassi com'è che si parla...' borbottò tra sé l'inventore.
Eppure... eppure il Capitano aveva ragione: a quel punto doveva essere bello che stecchito, la dose di cianuro era letale... Ma allora perché era vivo? Perché sì, era abbastanza sicuro di esserlo.
'Forse sono davvero immortale...' si ritrovò  a pensare, beffardo.

«Mi lasceresti...» era un sussurro quello di Steve, e la frase lasciata a metà fu velocemente colta dall'altra.

«Ci vediamo in sala riunioni.» la voce dell'agente fu accompagnata dal rumore secco dei tacchi che battevano sul pavimento in marmo, a cui seguì il fruscio di una porta automatica che si apriva e poi si chiudeva.

Erano rimasti soli, Steve e Tony, dopo fin troppo tempo.

Con un morbido fruscio, il lenzuolo scivolò via dal suo volto e l'aria fredda della stanza – probabilmente un obitorio – gli punse leggermente le guance per lo più insensibili.
Sentì il tocco caldo e gentile, quasi timoroso, del Capitano che tracciava il profilo del suo viso con delicatezza, come se avesse paura di fargli male.

«Non riesco proprio a mantenerle le promesse io, eh Tony? Ti avevo promesso che non ti avrei dimenticato, così come ti avevo promesso che saremo stati insieme fino alla fine e non sono... non sono riuscito a mantenere nessuna delle due...»

La voce di Steve era talmente abbattuta, intristita e tormentata, che Tony capì di non riuscire a tollerarla un minuto di più. Quando poi una calda e grossa lacrima piovve sullo zigomo del moro, l'inventore prese a urlare con tutte le forze il nome dell'altro, urla che non trovarono voce e che rimasero a rimbalzare quasi dolorosamente tra le pareti della sua scatola cranica.

Poi ci fu una pressione. Una pressione dolce, salata di lacrime, una pressione di cui tanto aveva avuto nostalgia. Una pressione sulle labbra, un bacio, che cancellò ogni confine tra vita e morte, tra verità e menzogna, tra giusto e sbagliato. Un bacio accompagnato da una forte stretta alla mano, che lo trasportò indietro in un tempo non troppo lontano, quando si rifugiava in quelle calde mani e in quelle forti braccia per nascondersi da tutti e da sé stesso. Mani che non esitavano a trarlo in salvo, braccia sempre pronte ad accoglierlo in un dolce abbraccio.

~o~

Era così bello, anche lì, immobile su quel tavolo da obitorio. Anche irrigidito ed impallidito dalla morte. Anche senza i suoi abiti eleganti e il suo sorrisetto disarmante.
Sembrava così vulnerabile, così fragile, come se un colpo di vento potesse spazzare via ciò che rimaneva del grande Tony Stark.  
E tutto a causa sua. Lo aveva tradito, lo aveva abbandonato nelle grinfie del suo peggior nemico, era scappato.
Non faceva altro che pensare e ripensare a tutto quello che era successo e a come le cose sarebbero potute andare diversamente se avesse fatto di più o se non avesse agito affatto.
Quando Tony aveva sigillato il patto con Stane, sarebbe potuto uscire da quell'armatura, anche distruggendola se fosse stato necessario: era un super-soldato, aveva la forza per piegare un po' di metallo. Eppure non lo aveva fatto, era rimasto ad assistere immobile, senza muovere un dito. 
 Era tutta colpa sua...  
Una lacrima ruppe gli argini che faticosamente aveva eretto, rotolando giù dalla sua guancia, bagnandogli le labbra e cadendo sullo zigomo di Tony, il quale viso non riusciva a smettere di accarezzare, come a cercare di restituirgli il calore che gli era stato portato via. Quelle stesse dita si soffermarono per qualche doloroso attimo sull'ustione che brutalmente attraversava la fronte nell'altro, tremando leggermente, il senso di colpa che gli schiacciava la trachea in una morsa che avrebbe potuto essere mortale se fosse stata leggermente più ferrea.
Quando poi i suoi polpastrelli incontrarono le sottili e ruvide labbra del moro, il Capitano non resistette, poggiando le proprie morbide e bagnate su quelle dell'altro.

La sua grande mano calda avvolse quella fredda e immobile dell'altro, mentre quel dolce, nostalgico e straziante contatto sembrava protrarsi all'infinito. 
Fu allora che accadde.
Una stretta leggera alla mano intrecciata con quella dell'inventore.
Si sarebbe potuto trattare di uno scherzo della sua mente esausta, se non fosse che, dopo qualche istante, quella stretta di ripetette, questa volta più salda ed impossibile da ignorare.

«Tony...?» fu il suo mormorio strozzato ed incredulo, contro le labbra dell'altro, che descrisse in pieno ciò che in quel momento attraversava la sua mente e il suo volto sorpreso e quasi sconvolto.

Dopo un attimo di esitazione, afferrò il polso dell'altro. Eccolo, un battito debole ma costante.
L'incredula speranza si faceva spazio in lui, mentre poggiava l'orecchio sul suo petto, all'altezza del cuore.
Eccola lì, quella vita che borbottava appena in quel petto che non aveva abbandonato come si era creduto.

«BANNER!!» prese ad urlare a squarcia gola, mentre delicatamente prendeva Tony tra le braccia, facendo attenzione che il lenzuolo non scivolasse via.

Correndo verso l'ala medica, finalmente si imbatté nello scienziato, che lo guardò sgomentato portare in giro quella seppur cara salma.

«È vivo!» esclamò Steve, una luce speranzosa che gli bruciava quasi febbrilmente negli occhi, permettendo al dottore di ascoltare il battito dal polso e dal collo di Tony, mentre il volto fino a poco tempo prima sbiadito dell'inventore, iniziava a riprendere colore.

«L'equipe medica! SUBITO!» ordinò il dottor Banner, lo sguardo stralunato per lo stupore, ad un'infermiera di passaggio.

Ben presto le infermiere prelevarono Tony dalle braccia del Capitano – che permise loro di prenderlo solo dopo un attimo di esitazione – e lo misero su una barella per trasportarlo velocemente al reparto 'Terapia Intensiva', dove Steve non poté seguirlo. Si sedette su una sedia di plastica nella piccola sala d'attesa, incurvato, i gomiti piantati nelle gambe e le mani intrecciate che premevano contro il mento e le labbra, lo sguardo perso nella moquette blu che ricopriva il pavimento della sala.

Tony era vivo. Tony era vivo. Tony era vivo.
Per quante volte se lo ripetesse, ancora non riusciva a crederci. Solo poche ore prima aveva bagnato di lacrime il suo cadavere, e invece ora avrebbe potuto riabbracciarlo.

«Abbiamo sentito che Stark è un po' immortale.» la voce dell'agente Romanoff lo distolse dai propri pensieri. «Abbiamo mai pensato di fargli fare un esame del DNA, sai per vedere se è davvero umano...»

«Se così non fosse, tutto avrebbe un senso: la sua super testardaggine, il suo super ego, il suo super conto bancario... » ricalcò Clint, al fianco di quest'ultima, beffardo.

«Ritieniti fortunato che non abbia anche un super udito allora, perché sappiamo come siano divertenti le piccole vendette di Tony» ribatté quindi Natasha.

Per quanto le loro battutine fossero sagaci, sembravano entrambi sollevati e sulle loro labbra aleggiava un sorriso precedentemente del tutto assente. 
In quei tre anni di lontananza, si erano tutti resi conto di quanto mancasse loro la carismatica figura del miliardario, e riaverlo per poi essere strappato via in quel modo, era stato un brutto colpo per tutti, Hawkeye e Black Widow per primi, surclassati solo da Steve.

«Noi presumiamo l'assunzione di C6, brevettato da Stark stesso poco prima della sua sparizione oltre il varco, che ha effetti molto simili al cianuro con la differenza che reca uno stato di morte apparente della durata di 5-6 ore.» era stato il dottor Banner a parlare, uscendo dal reparto 'Terapia Intensiva' e facendo girare repentinamente tutti e tre verso di lui «D'altronde, è stato lui stesso a confermarcelo.»

«Tony si è svegliato? Come sta?» disse Steve, scattando in piedi e facendo quasi rovesciare la sedia per la foga.

«Ha fratture multiple in tutto il corpo, compresa qualche costola che rompendosi gli ha forato un polmone, e numerose ustioni un po' ovunque, ma è vigile e seccante come al solito. Ciò di cui ha bisogno adesso è riposo, vedete se riuscite a convincerlo a restare a letto almeno per le prossime 48 ore.» durante quelle ultime parole, il dottore lanciò una lunga occhiata a Steve. D'altronde il Capitano era l'unico che riuscisse a persuadere l'inventore, le rare volte in cui dava ascolto a qualcuno.

«Dov'è Thor?» chiese Steve agli altri due, mentre si dirigevano verso la stanza dove l'inventore era ricoverato.

«A quanto pare, ad Asgard si commemorano i compagni caduti ubriacandosi... Quando siamo andati da lui per dirgli che Stark era ancora vivo, lo abbiamo trovato svenuto – seminudo – sul divano.» rispose alzando gli occhi al cielo Natasha.

«Thor è svenuto per aver bevuto troppo? Non credevo che una cosa del genere fosse possibile...» commentò sinceramente stupito il Capitano.

«Ha svuotato tutta la dispensa alcolica di Tony, riuscendo anche a trovare le bottiglie nascoste per la Tower.» disse quindi Clint, ridacchiando, mentre entravano nella stanza d'ospedale dell'inventore.

Ciò che videro una volta entrati, fece però perdere ogni traccia di ilarità sui loro volti: Tony Stark era lì, immobile in quel letto, con bende che ricoprivano la stragrande maggioranza del suo corpo e diversi macchinari collegati al suo corpo. Ma non fu tanto quello che quasi li impietrì sul posto, quanto la sua espressione: per quanto nei suoi occhi trasparisse una stanchezza e una sofferenza inimmaginabile per ciò che aveva subito, le sue labbra erano inarcate nel suo sorrisetto arrogante ed indolente come al solito, come se non fosse cambiato nulla, come se non se ne fosse mai andato, come se non fosse mai morto.

«Chi ha osato prosciugare tutto il mio liquore?!» 
Le sopracciglia dell'inventore saettarono accompagnando quelle parole, modificando teatralmente la sua mimica facciale. Anche bloccato in un letto senza quasi riuscire a muoversi, Tony riusciva a sembrare la solita primadonna.

«Oh, non te la prendere tanto Stark, tanto sappiamo tutti benissimo che entro domani la tua dispensa sarà magicamente di nuovo piena.» ribatté l'agente Romanoff, con un sorrisetto beffardo, benché la sua espressione tradisse sollievo nel vederlo così... Tony Stark.

Clint, Natasha e Tony si punzecchiarono per un po', mentre Steve osservava la scena con le braccia incrociate, appoggiato contro lo stipe della porta. Gli angoli della sua bocca non poterono che sollevarsi spontaneamente in un sorriso genuino, nel vedere tutto così uguale a com'era prima. Un prima che risaliva a un tempo fin troppo lontano e che gli era mancato più di ogni altra cosa. 
Vedere Tony scherzare con gli altri, vederlo sorridere, era qualcosa che trovava indescrivibilmente meraviglioso, soprattutto in quel momento, quando aveva creduto di non poter più sentire la sua voce o vedere il modo in cui si formavano quelle piccole rughette agli angoli dei suo occhi quando sorrideva.

I due agenti, dopo un ultimo commento sagace da parte della Romanoff, uscirono dalla stanza in tacito accordo per lasciare al Capitano e all'inventore qualche attimo di intimità.

A quel punto Steve si avvicinò al letto di Tony e si sedette sulla sedia di fianco ad esso.

«Come stai?» chiese il Capitano all'altro, un dolce sorrisetto sulle labbra e la voce velata di preoccupazione, prendendogli una mano nella propria.

«Sicuramente meglio di te in questo momento, considerato in questo momento nelle vene ho più morfina che sangue. Quand'è stata l'ultima volta che hai dormito? E non uscirtene con la solita battuta di aver dormito per 70 anni, che ormai probabilmente li hai recuperati tutti.» ribatté l'inventore, rispondendo al sorriso dell'altro con uno altrettanto dolce e prendendo ad accarezzare il dorso della mano dell'altro con il pollice.

E successe di nuovo, come tante altre volte in passato e come sempre sarebbe successo: si persero uno nello sguardo dell'altro, lo sguardo cristallino del Capitano di perse in quello profondo nell'inventore, lo sguardo splendente di Steve si perse in quello più cupo e magnetico di Tony, lo sguardo schietto della Sentinella della Libertà di perse in quello dalle mille sfaccettature dell'Uomo di Metallo. Si fusero, diventando un tutt'uno, ritrovando l'uno la metà perduta dell'altro. E furono di nuovo l'uno al fianco dell'altro, di nuovo insieme, di nuovo completi. Si ritrovarono più forti, temprati dalle tragedie che li avevano colpiti e che avevano fatto comprendere ad entrambi quanto bisogno avessero l'uno dell'altro. Non bastano però queste parole, per riuscire a descrivere la luce brillante che si accese nei loro occhi, quando finalmente i loro sguardi si intrecciarono.

«Non hai colpe per ciò che mi ha fatto Stane.» disse Tony, interrompendo il silenzio carico di parole non dette, il tono quasi duro, come se lo stesse rimproverando. «Ho fatto le mie scelte, e se anche tu avessi capito le mie intenzioni non saresti riuscito a fermarmi e lo sai.»

«Non avrei dovuto coinvolgerti.» mormorò Steve tra i denti, abbassando lo sguardo.

Poi il Capitano sentì la mano fresca dell'altro sotto il proprio mento, e poco dopo i loro sguardi erano di nuovo lì, l'uno nell'altro.

«Non dire cazzate, Capiscle. Tutto ciò che riguarda te, riguarda pure me. Se tu fossi andato a salvare Barnes da solo, l'Hydra ti avrebbe catturato. A quel punto ti avrei trovato e mi sarei offerto come merce di scambio così come ho fatto per il tuo Soldatino, e i risultati finali non sarebbero cambiati» il tono di Tony era serio, sebbene un dolce sorrisetto gli inarcasse le labbra.

Poi, con il pollice della mano che aveva afferrato il mento spigoloso del Capitano, accarezzò il suo labbro inferiore, gli occhi calamitati verso quest'ultimo.

Ricordava perfettamente la dolce pressione delle morbide labbra di Steve contro le proprie, lì in obitorio. Era certo di non avere più speranze con l'altro, era convinto che Steve avesse scelto il Soldato d'Inverno, eppure quel contatto dolce era avvenuto, spazzando via tutte le sue certezze e convinzioni. Si chiese se quel bacio avesse avuto luogo solo perché era apparentemente morto, ma quel suo triste dubbio fu spazzato via da ciò che avvenne in quel momento: il Capitano si chinò verso di lui, gli occhi puntati nei suoi, e cancellò ogni distanza, mosso da qualcosa che forse era istinto o semplicemente Destino. 
Inizialmente il loro fu un bacio timoroso, come se si stessero conoscendo solo in quel momento, poi acquistò forza, desiderio, passione, il silenzio della stanza interrotto solo dai sempre più frettolosi BIP della macchina che contava i battiti dell'inventore. Ma anche quello non rimase che un rumore di sottofondo, mentre finalmente si ritrovarono e il loro Filo Rosso che sembrava ormai essere stato tagliato, riprese a legarli inestricabilmente. 
Sorrise, Tony, contro le labbra di Steve. Sorrise, come mai aveva sorriso prima. Un sorriso carico di vita, di possibilità, di speranza. Sorrise e chiuse gli occhi, perché se tutto quello fosse stato un sogno, non avrebbe voluto più svegliarsi.

«Linguaggio.» fu tutto ciò che riuscì a dire Steve, mentre ormai la realtà diventava sempre lontana e indistinta, sostituita da quel momento infinito.

 

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Ehi, guys~~
Che fine avrà fatto Stane? Come avrà fatto /realmente/ Tony a sopravvivere?Avevo intenzione di darvi più spiegazioni, ma il capitolo già a spropositatamente lungo così, quindi più spiegazioni e meno giri di parole al prossimo capitolo~ 
Abbiate pazienza, che vi infiocchetto un bel happy ending~~

P.s.: il titolo è la traslitterazione di Filo Rosso del Destino in giapponese, da cui proviene la leggenda.

 

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Capitolo 11
*** [Lies and hidden truths] ***


[Lies and hidden truths]

...Don't leave me alone
Cause I barely see at all
Don't leave me alone, I'm
Falling in the black...
(...Non lasciarmi solo
perché io lo capisco a malapena
Non lasciarmi sono, io sto
Sto cadendo nell'oscurità...)

Seduto sulla sedia di plastica pieghevole, le mani ingrembo e la schiena ingobbita, rimase ad osservare assorto il volto addormentato del suo uomo. Il rassicurante bip... bip... di una delle tante macchine collegate al corpo dell'inventore, segnava la vita che scorreva senza tregua nell'altro, vita che aveva così disperatamente creduto che fosse andata persa. Tony si stava rimettendo con una velocità sorprendente, ma numerose cicatrici attraversavano il suo corpo a testimonianza di tutto ciò che quell'uomo così minuto eppure così forte aveva sopportato. Accarezzò lentamente la fronte dell'altro, soffermandosi sulla cicatrice che la percorreva con mano tremante.
Quanto avrebbe voluto essere stato forte come lui... Perché sì, lui era un debole al suo cospetto, un debole che era ricaduto nel peccato, di nuovo, di sua spontanea volontà. Si passò sul volto la mano che stava accarezzando Tony, incapace di arrestare i ricordi che presero a figurarglisi difronte agli occhi.

Quando i suoi compagni di squadra lo avevano raggiunto, dopo aver fermato gli uomini dell'Hydra, erano rimasti immobili ad osservare basiti il corpo di Iron Man segnato da mille ferite che veniva così dolcemente cullato dal Capitano in lacrime. 
Solo dopo lunghi istanti, Steve si era rivolto loro con un'unica parola, il tono apatico, il volto congelato in un espressione di pura agonia: «Stane?»

«È ancora vivo.» aveva risposto asciutta l'agente Romanoff.

Senza altre parole, Captain America si alzò, appoggiando delicatamente il corpo del suo amato a terra, per poi andare con passo lento, quasi trascinato, verso la sala principale, dall' 'uomo' che aveva ridotto in quell'orrido stato l'inventore.
Gli altri Vendicatori, in tacito accordo, rimasero a sorvegliare la salma del loro compagno, aspettando che Steve portasse a termine la propria Vendetta.

Quest'ultimo nel mentre si stava avvicinando ad Obadiah Stane con un maschera impenetrabile sul volto.

«Oh, da quanto posso dedure dalla tua espressione, il nostro amichetto in comune è passato a miglior vita!» disse sghignazzando il Carnefice, gli occhi porcini arsi da una luce di folle gioia, ammanettato ad una delle strutture della vecchia fabbrica. «Si vede che il piccolo Anthony non era così forte come il resto del mondo credeva...»

Il Capitano gli fu addosso repentinamente. Con un manrovescio, gli fece voltare di scatto la testa.

«Non. Osare. Pronunciare. Il. Suo. Nome.» scandì lentamente, accompagnando le parole con colpi secchi, forti, mirati a frantumare le ossa, ormai privo di alcun freno morale.

«Cos'è principessina? Avevi una cotta per il bellimbusto? E dire che fino a poco tempo fa, avresti fatto anche di peggio al caro Tony Stark se solo ti fosse stato chiesto...» ribatté quel mostro, accartocciato su se stesso dal dolore, ma ancora ghignante, sputando ai piedi di Steve un miscuglio di saliva e sangue. «Peccato non aver avuto il tempo di mostrare a Stark il documento d'autorizzazione per l'eliminazione di Howard e la sua incantevole moglie, da te firmato insieme agli altri pezzi grossi dell'Hydra... sarebbe stato bello guardare la sua espressione mentre si rendeva contro che il suo Capitano non era meglio del proprio carnefice!»

La risata di Obadiah risuonò per le fredde, grigie, mura della fabbrica, la risata di sa di aver già vinto, nonostante fosse lui stesso quello sanguinante ed in catene.
E sapeva, Steve, di aver perso. Aveva perso su tutti i fronti, anche prima che avesse iniziato a combattere.

«Non sono più dei vostri» abbaiò secco lui «Non lo sono più da tanto tempo»

«Il fatto che tu abbia trascorso gli ultimi tre anni da buon samaritano non potranno mai cancellare ciò che hai fatto in passato, Captain.» rispose quindi Stane, con un ghigno distorto sulle labbra insanguinate.

E Steve sapeva, sapeva che l'altro aveva ragione, e fu proprio questa consapevolezza che cancellò ogni suo limite, facendo esplodere la rabbia che da fin troppo tempo covava sotto pelle, rabbia indomita e distruttiva, rabbia contro se stesso.

Strinse in un pugno il ferro ancora rovente e bagnato del sangue di Tony – che aveva recuperato poco prima di recarsi da Stane - e con questo prese a torturarlo con maestria, ferendolo dove sapeva facesse più male. Le grida dell'altro presero ben presto il posto del denso silenzio sceso sulla fabbrica.
Ma non era abbastanza, no, non era abbastanza
Afferrò lo scudo con entrambe le mani e nel farlo ricordò le parole dell'inventore mentre glielo donava: 
"I bordi sono fatti in modo da trapassare cemento armato come burro"

Senza esitare oltre, calò con tutta la forza da super soldato che possedeva, lo scudo sul braccio dell'altro, staccandolo di netto. Poi prese il ferro rovente e cicatrizzò la ferita, mentre le urla disumane di colui che era stato Carnefice ed ora era Vittima rimbombavano nella sua scatola cranica.

La voce della ragione, quella di cui si era sempre fidato ciecamente, gli disse di fermarsi, che era abbastanza, che se avesse continuato sarebbe diventato un mostro esattamente come quello che aveva difronte. Ma l'immagine del corpo senza vita di Tony, del suo Tony, la mise a tacere. 
Staccò tutti gli arti, sia superiori che inferiori dal massiccio corpo dell'altro, facendo attenzione che non morisse dissanguato. Sarebbe stata una fine troppo dolce, e Stane non la meritava.
Terminato il 'lavoro', di Obadiah non era rimasto altro che un inservibile busto privo di arti, che però ancora respirava, che però avrebbe continuato a vivere, diversamente da Tony, di cui vita era stata strappata per sempre.
Era questa la punizione che Steven Grant Rogers, colui che era Captain America e che per un fin troppo lungo periodo era stato Captain Hydra, aveva scelto. 
Era questa la punizione che il mostro sopito in lui aveva designato, risvegliandosi per poi riassopirsi in un sonno leggero, pronto ad essere nuovamente invocato.

La mente persa in quei ricordi, disgustato da se stesso, si allontanò dal corpo puro di Tony. Quest'ultimo aveva tanti difetti, era vero, eppure in quel momento il Capitano si sentì inconcepibilmente ipocrita per tutte le volte che lo aveva rimproverato per la sua dissolutezza. Lui era peggiore, era di gran lunga peggiore di lui, e sperò che l'inventore non se ne accorgesse mai. Perché lo sapeva: se avesse visto il suo lato oscuro, lo avrebbe guardato inorridito, per poi attaccarlo e distruggerlo insieme agli altri Vendicatori, così come insieme avevano attaccato e distrutto altri mostri non tanto dissimili da lui. 
Si alzò da quella sedia, l'odio verso se stesso che si faceva via via più viscerale, temendo quasi di contaminare la stanza dell'inventore con la sua sola presenza. Si allontanò quasi correndo, rendendosi conto di non meritare affatto l'amore incondizionato che Tony provava verso di lui. Non lo meritava, e non lo avrebbe mai meritato. Ma pur non meritandolo, sapeva di non riuscire a farne a meno.

~o~

Strizzò gli occhi, svegliandosi, infastidito dalle lampade a neon che illuminavano a giorno la stanza. Si stiracchiò mettendosi a sedere, sentendo ogni singola vertebra scricchiolare. 
Nella solitudine della stanza ospedaliera, Tony Stark prese a rimuginare.
Si esaminò attentamente e si accorse non solo di provare meno dolore ed intorpidimento di quello che si aspettava, ma di sentirsi riposato come mai prima di allora, e questo contribuì ad accentuare il proprio cipiglio. 
Erano tante le domande che gli affollavano la testa, ma quella che più gli premeva era: "Come mai sono ancora vivo?" 
Aveva detto al dottor Banner del C6 in modo da rendere plausibile la propria resurrezione dal regno dei morti, ma quello che aveva assunto era sicuramente cianuro in dose letale. 
Perso in quei pensieri, si accorse con la coda dell'occhio di uno strano rivolo di energia dorata che gli aveva appena attraverso il reattore. Con le sopracciglia aggrottate, credendo in un abbaglio, rimase a fissare la morbida luce blu del reattore proveniente dal proprio petto nudo. Ed eccola, di nuovo, quella scintilla che lo percorse rapidamente, una scintilla che, ne era sicuro, non era presente prima del suo risveglio nella foresta del Deschutes.

«F.R.I.D.A.Y.» disse l'inventore attraverso l'auricolare che aveva ripescato dal cassetto del comodino di fianco al letto «Mandami un armatura.»

«Ma sir, il dotto Banner-» provò a protestare l'AI, subito interrotta dall'altro.

«F.R.I.D.A.Y., un armatura.» ripeté categorico.

In breve, dalla finestra lasciata aperta, entrò l'armatura che lo avvolse rapidamente e, sotto suo comando, lo portò in laboratorio. 
Arrivato in quest'ultimo, lo ritrovò esattamente come lo aveva lasciato, con il suo solito disordine che regnava sovrano. Solo uno spesso strato di polvere rivelava che si era assentato per più di pochi muniti. 
Scivolò al di fuori dell'armatura, crollando a sedere sull'unica sedia sgombra. 
Con gesti sicuri che accompagnavano ogni suo movimento lì nel suo ambiente, aprì uno dei tanti cassetti della propria scrivania e estrasse uno dei tanti reattori di emergenza che aveva costruito 'per ogni evenienza'. 
Con gesti precisi, sostituì il reattore che aveva nel petto con quello che in quel momento impugnava. Quando la delicata operazione fu portata a termine, prese a studiare con curiosità sempre crescente quel reattore che sembrava così simile a quello da lui costruito nell'aspetto, eppure nettamente diverso.
Aiutato dall'Intelligenza Artificiale, capì che quella che aveva tra le mani era una tecnologia diversa, molto più sviluppata di quella che possedevano in quel momento, ma senza ombra di dubbio terrestre.
Erano passate all'incirca due ore di studio costante di quella ancora sconosciuta fonte di energia che alimentava il reattore, più potente dell'acceleratore di particelle con il quale aveva sostituito il Palladio, quando il 'cerchietto di luce' che aveva nel petto si spense. 
Lo guardò basito mentre lampeggiava per pochi istanti, prima di smettere di funzionare: era come se il proprio corpo si fosse nutrito della sua energia.
Dedicò una profonda occhiata sorpresa a quel reattore 'alieno', prima di rimetterlo al proprio posto sbarazzandosi di quello consumato.
Dopo ulteriori calcoli fatti con i dati ricavati, capì che la sua 'resurrezione' era dovuta al fatto che, in qualche modo che ancora non riusciva ancora a comprendere alla perfezione, l'energia del reattore che scorreva prorompente nelle sue vene, anche se impiegandoci un po' di tempo, aveva dissolto il veleno e nel mentre aveva messo il proprio corpo in standby, concentrando tutte le forze nell'espellere la tossina, facendolo cadere in uno stato molto simile alla morte. Ma dai dati raccolti capì che, se l'energia che il suo corpo assorbiva fosse continuata ad aumentare così come stava facendo – rendendo il suo corpo molto simile a quello potenziato del supersoldato -, anche quel reattore si sarebbe consumato. Da un veloce calcolo, dedusse che gli rimanevano più o meno sei mesi di autonomia, forse meno. Sei mesi per trovare qualcosa talmente potente da riuscire a sostituire quella tecnologia così avanzata. Riflettendoci, capì che, anche se l'avesse trovato, avrebbe allungato solo di un po' ciò che gli rimaneva da vivere, prima di consumare inesorabilmente anch'esso. 
Si passò una mano sul volto, mentre una nuova consapevolezza lo annichiliva: aveva i giorni contati. 
Fu questo, probabilmente, quello che gli diede la spinta per fare ciò su cui da un bel po' di tempo a quella parte stava rimuginando, senza però essere riuscito a raccogliere il coraggio prima, e senza averne la possibilità poi. Si mise una mano sul petto traendo un profondo respiro, cercando di fermare la corsa del proprio cuore il cui battito era talmente veloce da aver preso a rimbombargli nelle orecchie.

~o~

«Mr. Rogers, il signor Stark richiede la sua presenza nel Laboratorio.»

La voce dell'AI rimbombò nella palestra in cui il Capitano si era rifugiato per scaricare la propria frustrazione contro dei sacchi da boxe, di cui aveva compiuto una vera strage. Minimo una decina erano i sacchi rotti che perdevano sabbia, ammassati contro il fondo della palestra e che erano stati sostituiti ben presto da altri sacchi nuovi di zecca. Anche quella palestra – sua unica valvola di sfogo – era un regalo di Tony. Si chiese se un giorno avrebbe mai potuto ripagarlo per tutto quello che l'inventore gli aveva donato, dalle 'piccole' cose materiali, alla propria vita salva solo grazie a lui.

«Grazie F.R.I.D.A.Y., digli che arrivo subito.» rispose il Capitano, detergendosi il sudore dalla fronte con un asciugamano.

Si cambiò rapidamente la maglietta sudaticcia con una fresca di bucato e si diresse verso ' l'antro oscuro ' dell'inventore.

«Il dottore non ti ha forse ordinato di restare a letto?» gli chiese dolcemente, solcando l'uscio delle porte che si aprirono per lasciarlo passare.

Tony si girò verso di lui con il suo sorrisetto arrogante, addolcito dallo sguardo carico d'affetto che gli rivolse.

"Un affetto che non mi merito." si ritrovò a pensare ancora Steve, cercando di non far trasparire il proprio tormento.

«Lo sai che io seguo solo gli ordini che più mi aggradano, Capiscle.» rispose, rivolgendogli un occhiolino ammiccante.

«Oh, purtroppo lo so fin troppo bene!» Ribatté quindi con un sorrisetto, avvicinandosi a lui e chinandosi per lasciare un leggero bacio sulle labbra dell'inventore, che si distesero in un tenero sorriso.

Poi Tony si alzò, appoggiandosi con nonchalance alla scrivania, cercando di non far trasparire la debolezza del proprio corpo.

Ma quel gesto non sfuggì al Capitano che lo guardò preoccupato, avvicinandosi a lui pronto a sorreggerlo.

«Sicuro che vada tutto bene, Tony?» gli chiese, aggrottando le sopracciglia e passando lo sguardo sul corpo chiaramente affaticato dell'altro.

In risposta l'inventore gli circondò il collo con le braccia, baciandolo profondamente.

«Vediamo... Sono al fianco della persona che amo più di ogni altra cosa e che, straordinariamente, ricambia. Uhm... sì, credo non essermi mai sentito meglio in vita mia.» mormorò contro le sue labbra, ottenendo un sorrisetto divertito da parte di Steve.

Lì, sulle labbra del moro, aveva compreso che non gli importava. Non gli importava di non essere all'altezza di Tony. Non gli importava di non meritare il suo amore. Steve amava quell'uomo imperfetto che continuamente gli dimostrava la propria unicità, lo amava a tal punto da non riuscire a separarsene in nessuno modo, lo amava tanto da volerlo egoisticamente per sé.

«Allora, geniaccio dei miei stivali, perché mi hai chiamato?» chiese visibilmente più rilassato il Capitano.

Seguì con uno sguardo carico di immutabile affetto i passi barcollanti dell'inventore, pronto a sostenerlo nel caso le gambe gli fossero cedute, ma senza stargli eccessivamente addosso per lasciargli il proprio spazio e la propria indipendenza.

Tony si girò verso di lui impugnando tra le mani una scatolina, con un timido sorriso sulle labbra che il Capitano mai gli aveva visto prima.

«Gli ultimi accadimenti - e per ultimi intendo anche l'avventurarsi nel portale aperto da Loki e combattere contro Ultron – mi hanno fatto capire che la vita è molto più breve di quel che sembra, e, beh, per quanto ne sappiamo domani potremmo ritrovarci sul campo di battaglia...» la voce dell'inventore era bassa, a tratti nervosa, totalmente diversa rispetto da quella del sicuro Tony Stark che il mondo conosceva «Io... ci stavo pensando da un po'...» e con quelle parole, fece passare la scatolina da una mano all'altra, mordendosi il labbro inferiore, per poi tirare un profondo respiro.

Steve rimase a guardarlo basito, non riuscendo ad associare quel comportamento con il Tony che conosceva.

«Tony... tutto bene?» gli chiese, avanzando un passo verso di lui, non sapendo come comportarsi difronte a quei modi anomali da parte del compagno.

L'altro gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisetti nel tentativo di tranquillizzarlo, solo che appariva distratto, con le sopracciglia aggrottate, come se cercasse di tenere a mente un concetto difficilissimo.
Quando poi, con un sospiro, l'inventore si inginocchiò difronte a lui, il Capitano pensò ad un mancamento e fece per sorreggerlo, ma anche allora Tony gli sorrise rassicurante. Sotto lo sguardo sempre più confuso di Steve, Tony aprì la scatolina, rivelando al suo interno un elegante anello di forgia maschile.

«Steven Grant Rogers, vuoi sposarmi?»

Con gli occhi sgranati più di quanto l'inventore ritenesse umanamente possibile, Tony vide il Capitano boccheggiare e fu dunque lui a temere uno svenimento da parte dell'altro.
Stark si morse il labbro, mentre il silenzio si protendeva fin troppo per i suoi gusti, lasciando galleggiare quella richiesta che aveva finalmente avuto il coraggio di esporre.
Quando ormai aveva iniziato a temere di essere stato troppo avventato e frettoloso per una richiesta di quella portata, si sentì tirar su dalle muscolose braccia dell'altro e stringere in un abbraccio soffocante, che lo fece gemere per la pressione sulle ferite dalle quali non si era ancora ripreso del tutto.
Al che, il Capitano lo lasciò subito andare scusandosi mortificato e facendo così ridere di cuore l'inventore. 
Steve rimase ad ascoltare incantato la risata di Tony, diversa da quella che regalava al pubblico – composta e quasi forzata -, così tonante e priva di freni. 
Quando questa sfumò, abbracciò l'altro con più delicatezza, per poi mormorare dolcemente all'orecchio dell'inventore:

«Sì, lo voglio.»

Tony lo guardò sorpreso, come se avesse appena assistito ad un miracolo. Quindi, con gli occhi sgranati dallo stupore, sussurrò a pochi centimetri dalle labbra di Steve: «Davvero?»

«Davvero Tony!» esclamò quindi il Capitano, ridendo gaiamente e baciandolo con trasporto.

I sorrisi di entrambi sembravano essere immutabili ed immortali, come se da quel momento in poi niente potesse andare storto. Eppure entrambi avevano celato una verità devastante che, se emersa, avrebbe distrutto tutto ciò che tanto faticosamente avrebbero costruito da quel momento in poi: Steve taceva il suo più grande peccato, Tony nascondeva una data di scadenza inevitabile. 
Ma in quel momento erano felici, felici come non lo erano mai stati prima di allora.
Entrambi scacciarono dalle proprie menti quelle verità occultate e decisero di vivere il proprio amore appieno, senza risparmiarsi.

Le loro labbra erano ancora fuse le une nelle altre in bacio che sugellava la loro promessa, quando un allarme scosse da capo a fondo il laboratorio.
Tony si staccò repentinamente dall'altro, la sua espressione da estasiata si fece via via confusa, preoccupata ed infine disarmata. Il Capitano spaziò con lo sguardo nel laboratorio, alla ricerca di qualcosa da impugnare come arma, non avendo con sé lo scudo e impugnò saldamente una massiccia chiave inglese lunga quanto il suo avambraccio. 
Tutti gli strumenti elettronici del laboratorio parvero come impazziti, mentre l'inventore si affaccendava senza tregua intorno ad essi.
Prima che quest'ultimo o F.R.I.D.A.Y. riuscissero a capire la fonte di tale 'agitazione' dei propri protocolli di sicurezza, essa di materializzò difronte ai loro sguardi smarriti: un portale intra-dimensionale ampio due metri per due metri comparve al centro della stanza, con una luce accecante che li costrinse a distogliere lo sguardo.
Quando riuscirono a mettere a fuoco ciò che li circondava, rimasero ancora più allibiti – se possibile – vedendo, al posto del portale, la figura di una ragazza di non più di diciassette anni ritta in piedi, in posizione fiera. Il viso ben disegnato, sui cui spiccavano due grandi occhi nocciola, era accarezzato da una folta chioma castana leggermente ondulata. Il suo sguardo profondo si posò immediatamente su di Tony, senza degnare la figura massiccia di Steve di un'occhiata. 
Senza pensarci due volte, il Capitano fece per pararsi difronte alla figura debole dell'altro, ma l'inventore glielo impedì con un gesto, l'espressione del viso pietrificata e lo sguardo perso in quello della sconosciuta.
Le labbra di quest'ultima si arcuarono in un piccolo sorriso carico di qualcosa molto simile alla nostalgia. Quando parlò, diretta all'inventore, la sua voce si rivelò arrochita, come se stesse trattenendo un singhiozzo.

«Ciao papà.»

~o~
Tre anni prima

1 ambiente.
500 metri quadrati.
50 file.
555 capsule di ibernazione per fila.

Il passo a tratti sicuro, a tratti strascinato dell'uomo in camice rimbombò nella sala. 
20... 30...50 passi, poi una curva a sinistra.
10...15 passi, poi una curva a destra.
1...2...3 passi.
Eccola, la capsula C-45.
Con un sorrisetto soddisfatto, l'uomo, impugnò il proprio blocco degli appunti, iniziando a scrivere con una grafia a tratti lenta ed elegante, a tratti talmente frettolosa che le lettere andavano a sovrapporsi l'una con l'altra.
Poi si fermò, rimanendo a studiare a lungo il volto dell'Occupante della capsula di ibernazione.
Maschio, di aspetto piacente.
I capelli castani, ancora in una piega ordinata.
La barba squadrata in maniera singolare.
I tratti del volto morbidi e distesi, imperlati dal ghiaccio della cella.
L'uomo picchiettò la matita contro la scheda dell'Occupate di fianco alla capsula, mentre a stento soffocava una risata priva di gioia, una risata quasi inumana.
Con velocità spasmodica, segnò sul proprio taccuino il nome dell'Occupante.
Anthony Edward Stark.
Mise da parte il blocco, senza riuscire a smettere di ridacchiare incontrollabilmente, mentre tornava sui suoi passi.
Si passò una delle sue grandi mani tra i folti capelli biondi tenuti in un ordine impeccabile. Arrivato all'uscita della sala, si sbarazzò del camice, rivelando al di sotto una divisa militare. La luce delle lampade al neon che pendevano dal soffitto illuminò le targhette metallizzate appuntate sul quest'ultima.
Steven Grant Rogers. 
Grado: Capitano.

TO BE CONTINUED...

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Ma ciao! Si conclude qui la seconda parte di questa trilogia~ 
Spero che vi sia piaciuta, io mi sono divertita molto a scriverla, benché avvolte sia stato molto doloroso.
E ora ditemi, cosa vi è piaciuto di più di questa parte? Quale parte vi ha fatto più soffrire?
Quale delle due parti vi è piaciuta di più? Lost Time o Lost Creatures?
Fatemi sapere~~

vostra,
L'autrice sadica è masochista~

 

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