Libro secondo: La dea della luna. Halanda

di charly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra il cielo e le nuvole ***
Capitolo 2: *** Dove tu andrai ***
Capitolo 3: *** Qualcosa di rosso ***
Capitolo 4: *** Luna di fiele ***
Capitolo 5: *** Un piano ben riuscito ***
Capitolo 6: *** Piccoli i passi, lunga la via ***



Capitolo 1
*** Tra il cielo e le nuvole ***


NOTE INIZIALI: Bentornati, miei cari lettori, benvenuti nuovi lettori! Nel caso siate arrivati per caso a questa storia, come è facilmente intuibile dal titolo c’è un primo libro, la cui lettura è fondamentale per la comprensione della storia, sono solo 6 capitoli, non ci vorrà molto!
Con il secondo libro cominciamo a entrare meglio nella storia, alcune cose verranno finalmente spiegate su Zaron e sui costumi di Rakon. Spero non rimaniate delusi. La narrazione diverrà un pelo più esplicita, specialmente verso gli ultimi capitoli, sesso morte e rock and roll senza il rock and roll, ma metterò gli avvisi adeguati, niente paura. Infine: qui ho messo il genere Romantico alla storia e voglio spiegarvi perché. Ancora non ci sarà nulla tra i protagonisti perché, come vi ho accennato nel primo libro, non ci sarà nulla di immorale (vedi rapporti sessuali) tra Deja e Zaron finché lei sarà minorenne (e parlo dei 18 anni italiani, non i 15 della storia), per quello dovrete aspettare il terzo libro (che spero sia quello conclusivo) perché all’ultimo capitolo de La dea della luna Deja avrà solo tredici anni. Ho messo la spunta a Romantico perché… perché ho buttato i semi dell’amore e se guardate bene, stringendo le palpebre e guardando con la coda dell’occhio li vedrete! Quindi: il dado è tratto e già potete immaginarvi su che faccia cadrà nel prossimo libro.
Buona lettura e ricordatevi di COMMENTARE!!!!
Aggiornamento gennaio 2017: ho sistemando gli errori e l'impaginazione, le modifiche alla storia sono minime!

I. TRA IL CIELO E LE NUVOLE

 
 
Per la prima volta in vita sua Deja si svegliò in un letto che non era il suo, per fortuna che c’era Larissa, un viso familiare a confortarla in quel posto sconosciuto. Provò nuovamente quella gratitudine che aveva sentito la sera prima: anche Larissa aveva abbandonato la sua casa, la sua famiglia e tutti i suoi amici ma lo aveva fatto per seguirla, nessuno l’aveva costretta e il fatto che fosse stata una sua libera scelta la commoveva profondamente.
L’aveva aiutata a indossare l’abito giallo da giorno e poi si erano guardate, incerte sul da farsi.
- Dato lo spazio limitato non hanno voluto lasciare qui i vostri bauli, mia signora. Ho potuto prendere solo alcune cose e lasciare che portassero tutto il resto nella stiva. Spero che gli abiti e i gioielli che ho selezionato per lei siano adeguati. Se vuole posso farmi accompagnare nella stiva a cambiarli…
Deja le sorrise, rassicurandola.
- Vanno benissimo, Larissa, non ti preoccupare.
Si lisciò la gonna.
- Hai scelto bene: questo è uno dei miei preferiti e l’abito azzurro andrà benissimo per il mio arrivo a Halanda.
Sospirò.
- Peccato che tu non abbia preso neanche un libro, però.
Larissa sembrò sinceramente dispiaciuta per quella dimenticanza.
- Sono così spiacente, mia signora… Ieri sera ero così nervosa… Avrei dovuto immaginarlo che avrebbe voluto leggere per passare il tempo! Che stupida che sono stata.
Deja era seduta sul letto e, anche se aveva chiesto alla sua ancella di prendere l’unica sedia, quella aveva categoricamente rifiutato, preferendo sedersi per terra, sulle coperte ripiegate che le avevano fatto da giaciglio. Deja aggrottò la fronte.
- Smettila Larissa. Non sei stupida. Se dovessi usare degli aggettivi per descriverti quelli sarebbero coraggiosa e fedele!
Lei la fissò, stupita.
- Coraggiosa, mia signora?
Deja le sorrise, incoraggiante.
- Ma certo! Sei rimasta con me anche quando il palazzo è stato occupato dall’esercito rakiano e adesso sei qui con me, su quest’aeronave che ci sta portando alla capitale dell’impero. Non riesco a pensare a nessun’altra prova di coraggio e fedeltà più grande di questa!
Larissa aprì la bocca per replicare ma fu interrotta da un deciso bussare alla porta. Si alzò e andò ad aprire, facendo un balzo e scostandosi dalla soglia in tutta fretta mentre sprofondava in una riverenza.
L’imperatore entrò nella stanza e Deja si alzò lentamente dal letto.
Lui le fece un cortese cenno del capo e poi le porse la mano.
- Mia signora, posso invitarti a fare colazione con me?
Deja annuì, gli si avvicinò e mise le dita sul palmo della mano di lui. Zaron le sfiorò le nocche con le labbra, senza l’intensità della sera precedente, e la guidò in corridoio portandosi la sua mano all’incavo del braccio.
La condusse in una stanza con una tavola apparecchiata per due e una parete dotata di finestre da cui entrava la luce del giorno. La camera che le aveva ceduto Zaron aveva una piccola finestrella in alto da cui Deja non era riuscita a vedere altro che il cielo, quindi ora lasciò il suo sposo e si avvicinò alla vetrata, guardando in basso e vedendo il mondo scorrerle veloce sotto i piedi. Socchiuse le labbra, affascinata e incantata da quello spettacolo: poteva vedere foreste e campi coltivati che sembravano fazzoletti colorati appoggiati languidamente su terreno, i fiumi e i laghi sembravano di liquido argento e anche se l’aeromobile pareva muoversi lentamente, poteva immaginare quanta distanza invece stessero percorrendo.
Zaron le venne vicino e lanciò un’occhiata fuori dalla finestra.
- Non sei mai stata a bordo di un’aeronave, Deja?
- Sono salita su una pallone aerostatico e ho guardato Issa dall’alto, ma non ho mai viaggiato: questa è la prima volta che lascio la mia città.
Lui si voltò a guardarle il profilo, il naso e la fronte quasi premuti contro il vetro.
- Avevo pensato di portarti a fare un giro del nostro regno. Forse ti andrebbe di viaggiare in aeronave? Una più comoda di questa.
Deja si voltò verso di lui e poi andò al tavolo.
 - Più comoda?
Zaron attese che lei fosse seduta prima di prendere posto anche lui, al lato opposto del piccolo tavolo.
- Questa è un’aeronave da guerra, ma non ho fatto modificare tutte le aeronavi comprate da Issa: alcune hanno ancora gli interni originali, con ambienti comodi e lussuosi.
Ebbe un attimo di esitazione e poi proseguì, con un’espressione indecifrabile.
- In effetti le mie concubine ci stanno seguendo in una di esse. Ho dato ordine che anche le nobildonne issiane che lo avessero desiderato fossero prese a bordo. Le altre ci seguiranno via terra, con il resto delle truppe e dei soldati issiani della tua guardia personale; non tutti amano volare.
Deja non commentò, ma contemplò la scelta difronte a sé; c’era un piatto contenete della frutta: una pesca matura, un paio di albicocche e un grappolo d’uva, del pane bianco già tagliato accompagnato da vasetti di marmellata e miele, uova sode e carne affettata. Da bere c’era una caraffa contenente acqua, una di succo di frutta e una teiera.
- Non sapevo cosa preferivi per colazione quindi…
Deja annuì.
- Grazie per la tua sollecitudine. Di solito mangio della frutta.
Prese il grappolo d’uva e un’albicocca e cominciò a mangiare gli acini. Lui la osservò per un attimo e poi si riempì il piatto con la carne e prese anche qualche fetta di pane. Mangiarono in silenzio, poi lui si versò una tazza di thè e Deja gli porse la propria, chiedendosi se lui l’avrebbe servita. Zaron le versò il liquido fumante senza nessuna esitazione, sorridendo.
- Almeno abbiamo qualcosa in comune.
Deja restituì il sorriso.
- Immagino che a Halanda non sia difficile reperire le foglie di thè, dato che ne è uno dai maggiori produttori. Noi lo importavamo da Karne.
- E adesso potrete importare direttamente da Rakon.
Lei annuì, sorseggiando lentamente. Aveva molte domande da fargli e non sapeva da cosa cominciare.
- Solitamente la mensa è affollata in ogni ora del giorno, ma ho pensato che sarebbe stato più facile conversare senza essere circondati da soldati. Mi piacerebbe che dividessi con me anche il pranzo.
- Con piacere.
Rispose lei. Poi aggiunse, esitante.
- Potresti chiedere di mandare un piatto anche in camera, per la mia ancella?
- Certamente. Allora, hai della domande, qualcosa da chiedere …?
Deja sospirò, distogliendo lo sguardo e contemplando le nuvole fuori dalla finestra.
- Ho molto da chiedere. Com’è Halanda?
Zaron si mise comodo e bevve un altro sorso di thè.
- Assolata e polverosa. È disposta attorno a un vecchio vulcano spento, che non ha più eruttato a memoria d’uomo. Le pendici del vulcano sono ripide, dentro la caldera si trova il Palazzo Reale e la Città Vecchia. La Città Nuova è più in basso, a neanche mezz’ora di cammino a piedi, le carrozze eleganti a cui sei abituata a Issa non riescono a percorrere la strada, troppo ripida e con curve troppo strette, si sale a cavallo o con i muli, sempre che tu non preferisca la portantina. La Città Nuova è cresciuta disordinatamente nel corso dei secoli, le vie sono strette e caotiche, l’unico quartiere decente è quello dei mercanti. Al margine ovest c’è l’accademia militare con i campi d’addestramento dove attraccheremo questa sera e il collegio dei cadetti. Io sono cresciuto lì. La Città Vecchia è dove risiedono i nobili; i loro palazzi e anche il Palazzo Reale sono costruiti con la pietra ocra del vulcano, l’interno invece è in lucido marmo e pareti affrescate e decorate con mosaici così vividi da sembrare reali. Ci sono enormi cisterne per l’acqua e la città non è mai rimasta a secco, neanche durante i peggiori periodi di siccità. Fa caldo, i palazzi sono privi di finestre verso l’esterno, la luce entra dalle numerosi corti interne e dai giardini. Vedrai, ti piacerà: è così brullo e smorto all’esterno che i giardini rakiani sono una sorpresa, verdi e lussureggianti, con fiori e fontane. Nell’ala femminile del Palazzo Reale ci sono uccelli esotici dalle penne variopinte che cantano tutto il giorno e piante che fioriscono tutto l’anno.
Deja lo interruppe.
- L’ala femminile? Cosa vuoi dire?
- Nel Palazzo Reale durante il giorno si svolge tutta la vita politica e sociale, è dove tengo la mia corte, dove incontro i miei funzionari e si svolgono i ricevimenti. Ma il khan e la sua famiglia sono gli unici che vi risiedono assieme ai servitori. Ho un palazzo nella Città Vecchia apposta per gli ospiti stranieri. Persino le guardie sono acquartierate all’esterno. All’interno del Palazzo c’è un’area pubblica, a cui tutti possono accedere, i miei appartamenti, quelli assegnati al principe ereditario e l’ala riservata alle donne, in cui solo io posso entrare. Neanche i miei servitori maschi possono mettervi piede, neanche il principe ereditario: se è sposato o ha delle concubine, quelle hanno un palazzo separato, anche se collegato a quello reale tramite una strada privata.
Deja era confusa.
- Ma perché?
Zaron le rivolse un sorriso tirato.
- È lì che risiedono la regina, le concubine e le figlie del khan. E gli uomini rakiani sono gelosi delle loro donne. Violentemente gelosi.
Deja era profondamente turbata, ma prima di lasciare sfogo alla rabbia decide di dargli la possibilità di spiegarsi.
- Quale sarà il mio destino, Zaron? Hai intenzione di rinchiudermi nel tuo palazzo?
Lui scosse la testa e la guardò negli occhi, intensamente.
- No Deja. Tu non sei una regina rakiana. E comunque ti assicuro che le donne della famiglia reale hanno più libertà di quello che le mie parole possano lasciarti supporre. Ho intenzione di farti preparare delle stanze nella zona pubblica del Palazzo in cui tu possa conferire con i tuoi consiglieri e continuare a esercitare il tuo ruolo di regina di Issa, anche se da lontano. Dopotutto alcuni membri del tuo consiglio ti stanno seguendo, giusto? Mi farebbe anche piacere se tu assistessi alle sedute del mio governo. È una cosa inaudita per noi, ma potresti trovarlo interessante e potrebbe aiutarti a conoscere il tuo popolo. E poi, come ti ho già accennato, desidero che tu mi accompagni attraverso i regni che ho conquistato e che sono sicuri, desidero che i miei sudditi conoscano la loro nuova regina.
Deja si rilassò visibilmente.
- Le nostre usanze sono molto diverse da quelle issiane, per qualsiasi incertezza che tu possa avere, ti prego, vieni pure da me.
Deja annuì e poi tornò a qualcosa che lui aveva detto prima e che l’aveva incuriosita.
- Hai detto di essere cresciuto all’accademia militare, ma non hai anche detto che a Palazzo ci sono gli appartamenti riservati al principe ereditario?
Zaron si immobilizzò, sembrava respirare appena, e poi fu lui a distogliere lo sguardo, prendendo in mano la tazza vuota e guardando le foglie di thè che si erano depositate sul fondo.
- Non sono sempre stato il principe ereditario.
Si interruppe per un attimo e poi continuò.
- Dovevo parlartene prima o poi. È un’usanza rakiana che probabilmente troverai barbara, ma c’è una ragione per cui è stata istituita. Il khan può avere tutte le figlie femmine che desidera dalla sua regina e dalle sue concubine. Ma un solo figlio maschio da sua moglie e un solo figlio maschio da una delle sue concubine.
Deja sgranò gli occhi. Non si era mai soffermata a riflettere sulla famiglia di Zaron, non si era mai chiesta se avesse fratelli o sorelle. O avesse già figli. E adesso lui le stava dicendo che un khan poteva avere solo due figli maschi? Era impossibile, non si può ordinare alla natura!
- Ma come…?
Lui ancora non la guardava negli occhi
- Ti prego. È un argomento delicato, di cui non è … educato… discutere. È una prassi consolidata, di cui tutti conoscono l’esistenza, ma di cui nessuno parla. In genere, dopo l’arrivo dei figli maschi, la moglie e le concubine assumono dei contraccettivi per non rimanere nuovamente incinte. Gli incidenti, come è ovvio, capitano. Se il bambino che nasce è un altro maschio… ci si aspetta che sia la madre a occuparsi della questione. A tutti viene detto che la bambina non è sopravvissuta al parto.
Deja rantolò sconvolta. Era barbarico, era inconcepibile, inumano!
- C’è una ragione per questo comportamento mostruoso, Deja. Fino a trecento anni fa Rakon era costantemente dilaniata da guerre interne. Solo uno dei figli del khan può diventare re e spesso fratelli e fratellastri complottavano uno alle spalle dell’altro perché se non c’erano figli legittimi era il figlio primogenito di una concubina a ereditare. Persino il khan doveva guardarsi dal suo principe ereditario, che poteva cercare di ucciderlo per diventare khan a sua volta prima che il secondo in linea di successione pensasse a eliminarlo. Le guerre che scoppiavano erano tremende, fomentate da odi feroci e fratricidi, e non era raro che il nuovo khan facesse trucidare tutti i suoi fratelli e fratellastri subito dopo la sua salita al trono. È per questo che si è instaurata questa crudele tradizione: se l’erede è uno solo non ci sono lotte per il potere. Ma anche così può capitare qualcosa al principe, o il khan può morire giovane. E allora accanto all’erede designato, figlio della regina, ce n’è un altro, figlio di una concubina: l’erede di ripiego.
Zaron sorrise ironico, ma era un sorriso amaro.
- Come me. L’erede di ripiego viene portato via dal Palazzo Reale e nessuno sa della sua esistenza, tranne i suoi genitori e un nobile della corte, un uomo che ha la fiducia incondizionata del khan e che fa passare il bambino come un suo figlio illegittimo. Ho vissuto i miei primi otto anni di vita tra la servitù di quello che pensavo essere mio padre, poi sono stato messo all’accademia militare. L’accademia è piena dei bastardi della nobiltà, nessuno ci fa caso. Lì sono cresciuto e mi sono laureato e ho iniziato la mia carriera. Poi, quando avevo ventinove anni, la barca su cui viaggiava il principe ereditario mentre visitava la regione di Myanam è affondata. Lui non sapeva nuotare. Il khan, nostro padre… si è ammalato ed è morto il mese dopo. L’uomo che avevo sempre creduto mio padre è venuto da me, accompagnato dai nobili più influenti del regno, e si è prostrato ai miei piedi, dichiarandomi khan.
Deja era senza parole. Non sapeva neanche cosa pensare di quello che Zaron le aveva rivelato. Lo guardò con occhi nuovi, cercando di immaginarsi cosa si potesse provare a scoprire che per tutta la tua vita ti hanno mentito e non hai mai saputo realmente quale fosse la tua vera identità. E alla fine venire a sapere della tua vera famiglia solo quando quella non c’era più.
- Ma... se tuo fratello non fosse morto... cosa ne sarebbe stato di te?
Zaron sospirò nuovamente.
- L’erede di ripiego è tale solo finché il fratellastro non ha un figlio maschio. A quel punto scivola quietamente nel dimenticatoio. Nel corso di una generazione il segreto muore con il suoi custodi e se non sai di poter aspirare al trono non puoi cercare di reclamarlo per te o i tuoi eredi.
- Ma… se tutti quelli che conoscono il segreto muoiono e l’erede designato muore comunque senza eredi e non è rimasto più nessuno a rivelare l’identità di quello di ripiego?
Zaron sollevò le spalle.
- Finora non è mai capitato. Suppongo che a quel punto succede quel che succede ogni volta in cui c’è un vuoto di potere al vertice: scoppia una guerra tra le famiglie più potenti per accaparrarsi il trono.
- Quindi le figlie femmine non ereditano neanche in quel caso.
- No, ma considerando che tutte le più influenti famiglie rakiane sono imparentate con il khan tramite i matrimoni delle principesse, suppongo che in un certo senso sarebbero proprio loro a dare fondamento ad eventuali pretese al trono. Se vuoi approfondire l’argomento ti consiglio di parlarne con Oscia. Oscia è la mia terza concubina e adora la storia antica. Di certo ne sa più di me sull’argomento.
Deja batté le palpebre interdetta e bevve un altro sorso di thè, facendo una smorfia perché ormai era freddo.
- Hai una concubina che ha interesse per lo studio della storia?
Zaron sbuffò divertito.
- Definirlo interesse mi pare poco, direi che è più un’ossessione. Sono stupito che non stia scrivendo lei stessa una raccolta di libri sulla storia del regno.
Poi continuò, approfittandone per cambiare argomento.
- Ho cinque concubine. Forse non lo sai ma per i canoni rakiani sono poche: l’harem di mio padre ne conteneva ventisette, ma io ho preferito la qualità alla quantità. Ci sono Perla, Mira, Oscia, di cui ti ho già accennato, Tallia e Cara. Perla e Cara mi hanno seguito a Issa, Perla perché valuto molto la sua compagnia e Cara perché… Cara è una dolce ragazza, ma se fosse nata uomo sono sicuro che si sarebbe fatta strada tra i ranghi del mio esercito fino a diventare uno dei miei generali. Tuba come una colomba leggendo i rapporti militari che le passo e, giuro, conosce le strategie dei miei generali meglio di me. Ha minacciato di non rivolgermi mai più la parola se non la portavo con me durante le mie campagne.
L’espressione di Deja si fece attenta.
- Sembri molto… legato… a loro.
- Perché lo sono. Conosco Perla da vent’anni, da prima di diventare khan e anche alle altre sono affezionato. Non le avrei prese con me altrimenti. So che il concetto di concubinaggio è probabilmente difficile da comprendere nella tua cultura, ma a Rakon ci si aspetta che un uomo ricco abbia delle concubine. Sono un simbolo di status sociale.
- Ma cosa succede a una concubina quando l’uomo a cui è legata muore o non la vuole più?
- Dipende. Soprattutto dalla sua estrazione sociale. Le concubine sono per la maggior parte prostitute che hanno trovato un ricco protettore che si prende cura di loro, ma possono anche essere nobili: a me sono state offerte le figlie di tutte le più importati casate, prima come possibili mogli poi, quando le ho rifiutate, come concubine. Mira è la figlia illegittima di uno dei miei ministri, figlia di una delle sue concubine. Se hanno una famiglia alle spalle che le può accogliere tornano da loro quando vengono licenziate, altrimenti… se sono fortunate il loro ex protettore dà loro una somma più o meno ingente come regalo d’addio, se ci sono dei figli la consuetudine vuole che il padre si prenda cura di loro anche se manda via la madre. Se sono sfortunate finiscono in qualche bordello. Se sono davvero sfortunate non escono vive dalla casa dell’uomo. Quando ho chiesto di mia madre mi è stato detto che mio padre l’aveva licenziata una volta stancatosi di lei, mia madre non aveva avuto famiglia e aveva quattordici anni quando era stata selezionata per entrare nel suo harem. Mio padre le aveva dato un’ingente somma ma lei non riusciva a immaginarsi una vita diversa da quella che aveva conosciuto, con un uomo diverso da lui. Quindi si è uccisa. 
A Deja si mozzò il respiro.
- Mi… mi dispiace così tanto, Zaron, io…
- Non dispiacerti, non l’ho mai conosciuta, non so neppure che aspetto avesse.
Deja gli rivolse un sorriso incerto.
- A quanto pare abbiamo trovato una seconda cosa che abbiamo in comune: neanche io ho mai conosciuto mia madre, è morta quando sono nata. Lei aveva quarantasette anni quando è rimasta incinta. Troppo vecchia le dissero i guaritori, ma lei mi voleva così tanto… ero il suo più grande desiderio, per questo mio padre mi ha chiamato Deja: desiderata.
La voce di Deja tremò parlando della madre. Zaron si alzò e la invitò ad alzarsi pure lei.
- Deja, non era mia intenzione addolorati, ti prego di perdonarmi. Permettimi di accompagnarti in giro per l’aeronave per distrarti e scacciare tutti questi cupi ricordi.
Lei annuì e gli permise di condurla fuori e poi a visitare il ponte di comando. Deja era affascinata da quello che vedeva: il modo in cui i rakiani avevano convertito le lussuose aeronavi costruite da Issa in micidiali vascelli da guerra era ingegnoso, terribile, ma ingegnoso. Si sentiva come se avesse dovuto indignarsi per come avevano corrotto lo scopo per il quale erano state inventate, ma provò invece un certo rispetto per come avessero preso l’idea issiana e l’avessero modificata, adattandola a un fine completamente diverso da quello per cui era stata concepita. Avevano avuto ingegno e fu colpita quando Zaron, mentre le mostrava il deposito bagagli, le disse come quella zona, sul fondo della chiglia, fosse stata modificata in altre aeronavi per ospitare dei boccaporti attraverso cui i suoi soldati potevano colpire il nemico dall’alto.
- Quindi è come se voi le aveste trasformate in fortezze volanti e mobili, che vi permettono di andare in cerca dei nemici invece di attendere che siano loro ad attaccare per primi, e non solo mezzi per il trasporto rapido di truppe e salmerie.
Lui le rivolse un sorriso raggiante.
- Esatto.
Quando finirono il giro era già ora di pranzo e lui la scortò nuovamente in sala mensa.
Il pranzo era semplice, ma vario ed abbondante e, arrivati alla frutta, Deja ne approfittò per ricominciare con le domande. Avrebbe voluto chiedergli ancora della sua famiglia ma c’era un’altra questione che le premeva.
- Hai detto che arrivati a Halanda ci saremmo sposati con il rito rakiano. Quando sarà, e che cosa comporta?
- Spero che non ci vogliano più di due giorni: avevo ordinato di far preparare dei festeggiamenti imponenti per il mio ritorno dall’ultima campagna. Issa era il mio ultimo obbiettivo, d’ora in avanti sarà solo una questione di rafforzare il confine e consolidare il dominio sulle popolazioni assoggettate. Non dovrebbe essere così difficile convertirli nei festeggiamenti per il mio matrimonio.
Cominciò a sbucciare una mela, raccogliendo le idee.
- Finché non saremo sposati definitivamente agli occhi di tutti, dovrai risiedere al palazzo dei dignitari stranieri. In genere a un matrimonio la sposa, adeguatamente adornata, esce dalla casa paterna, portando con sé dei doni a simboleggiare la dote e accompagnata dal corteo nuziale. Lo sposo l’accoglie sulla soglia di casa, mostra di accettare i doni e poi le toglie il velo e i gioielli che lei indossa e che le aveva dato il padre, per sostituirli con gioielli donati da lui; ricevono la benedizione dei sacerdoti di Stave, la dea del focolare domestico e del matrimonio, e a quel punto la fa entrare in casa. Questo è tutto. Il mio matrimonio sarà più elaborato solo perché sono il khan. E lungo, con banchetti pubblici offerti da me alla popolazione e festeggiamenti che proseguiranno per almeno nove giorni.
Deja era interdetta e stizzita.
- Doni? Nessuno mi aveva detto che dovevo portarti dei doni! Perché non me lo hai detto? Non ho niente di adeguato con me!
Zaron la calmò.
- Non preoccuparti, ne avevo già parlato a tuo padre: le casse contenti i regali di nozze sono imbarcati con noi. Oltretutto, come ho detto, la consegna dei doni è solo simbolica. In genere sono cibo e vino, per i più ricchi stoffe preziose, oggetti di pregio e gioielli. Dirò al mio ciambellano di preparare tutto. È un uomo serio e dedicato, si chiama Rispra, vedrai che si occuperà di ogni aspetto della cerimonia senza darti pensieri.
Deja era scontenta e irritata, non tanto con Zaron quanto con il padre, che non le aveva detto nulla. Poi però considerò la frenesia che aveva caratterizzato i suoi ultimi giorni a casa e ritenne che probabilmente il genitore non l’aveva giudicata una faccenda abbastanza importante.
- In seguito risiederò a Palazzo con te, nell’ala femminile.
Zaron annuì e poi chiuse gli occhi e si portò una mano al viso, massaggiandosi la radice del naso, in un gesto di esasperazione.
- Dovrò chiedere alla nobile Ingis di lasciare gli appartamenti della regina. Prevedo già sarà una cosa spiacevole.
Deja lo guardò incuriosita, forse era uno spunto per chiedere più dettagli sulla sua famiglia.
- Chi è la nobile Ingis?
Zaron sospirò e fece una smorfia scontenta ripensando a quanto sgradevole fosse quella donna.
- Ingis era la moglie di mio padre, la madre del mio fratello morto. Era talmente sconvolta dalla perdita di figlio e marito in un così breve lasso di tempo che le ho permesso di rimanere nei suoi appartamenti e poi non le ho più chiesto di andarsene, né lei si è trasferita. Credo lo abbia fatto perché sa quanto sgradita trovi la sua presenza. Finora non l’avevo allontanata perché ha una figlia non sposata e non potevo mandare via mia sorella, ma ora dovrà tornare da suo padre.
- Quante sorelle hai?
Lui sorrise divertito.
- Solo sei per fortuna. Quattro sorelle maggiori e due minori, figlie di Ingis. Le mie quattro sorelle maggiori sono tutte sposate a piccoli membri della nobiltà senza tante pretese: dopotutto sono figlie di concubine. Non credo avrai modo di conoscerle. La principessa Sali ha circa trentacinque anni ed è sposata con il nobile Brafit, hanno tre figli maschi e due femmine, credo. Quell’arpia di Cefan invece ha sempre rifiutato tutti i pretendenti, ma a ventinove anni non è ancora troppo vecchia, sono sicuro che troveremo qualcuno disposto a prendersela, se offro abbastanza denaro. Il fatto che finalmente mi sposo mi dà l’occasione di mandare via alcuni membri della famiglia che finora ho sempre dovuto tollerare. Quindi ti ringrazio.
Deja era interdetta dal veleno con cui parlava di sua sorella e della madre di lei. Dovevano essere delle persone spiacevoli e considerò tra sé e sé che forse gli uomini non avevano poi quel potere totale sulle loro donne che aveva pensato all’inizio se persino il khan si era dovuto tenere in casa la vedova di suo padre e la sorellastra che evidentemente non sopportava.
- E tu quanti anni hai?
Zaron batté le palpebre, stupito da quella domanda.
- Pensavo che lo sapessi: ho trentasei anni.
Deja fece velocemente il calcolo.
- Quindi hai ventiquattro anni più di me…
Lui fece una faccia scontenta.
- Già. Non ricordarmelo, potrei essere tuo padre.
Lei colse subito l’occasione per soddisfare un’altra curiosità.
- E lo sei? Padre intendo. Hai figli?
Lui sorrise e i suoi occhi si addolcirono.
- Sì. Ho tre figlie: Kirsis di otto anni, avuta da Mira, Palif ha sei anni ed è figlia di Oscia e infine Elina, di due, avuta da Tallia. Sono adorabili, vedrai.
A quel punto si mise a descrivere le bambine e a raccontare in che guai riuscissero a cacciarsi, nonostante non fossero mai uscite da Palazzo, e come lui non riuscisse mai a restare arrabbiato con loro per più di qualche minuto. Deja annuiva e sorrideva. Quando Zaron parlava delle sue concubine e delle sue figlie si illuminava: era evidente che la sua famiglia fosse molto importante per lui e che vi fosse molto legato. Ripensò a come aveva immaginato inizialmente il suo harem e sorrise di sé stessa e dell’idea superficiale e pregiudiziosa che se ne era fatta. Sembravano una famiglia normale, solo più grande di quella a cui era abituata, con una preponderante presenza femminile che doveva riempire ogni aspetto della sua vita privata. Si ricordò che era cresciuto in un’accademia militare, circondato da soli uomini e ragazzi, e che poi aveva proseguito intraprendendo una carriera riservata esclusivamente agli uomini. All’inizio si era immaginata che fosse abituato a comandare e aveva temuto che non vedesse le donne come eguali, dato anche il comportamento cortese ma susseguioso che i suoi nobili le avevano riservato. Era invece rimasta sorpresa, piacevolmente sorpresa, dalla cortesia e dal rispetto che le aveva sempre tributato, trattandola come una sua pari, nonostante lui fosse il vincitore e lei la sovrana di un regno conquistato. A quanto pareva nella società rakiana le donne nella famiglia dovevano avere una rilevanza nascosta, non facilmente intuibile per uno straniero, oppure era Zaron a essere particolare. Deja cominciava a rendersi conto che l’uomo che aveva sposato era molto diverso da come le si era figurato inizialmente, che quel guerriero brutale e sanguinario, intransigente e autoritario era sì una parte di ciò che Zaron era, ma non tutto il suo essere. Al fianco del khan e del conquistatore spietato c’era anche l’uomo che con orgoglio le aveva mostrato le modifiche apportate all’aeronave, cercando di colpirla e riuscendoci, e ora emergeva anche l’uomo di famiglia, che amava le donne che aveva scelto per essere le sue compagne di vita e le figlie che da loro aveva avuto.
Conversarono ancora per un po’, piacevolmente, e poi lui la riaccompagnò in cabina, per permetterle di riposarsi e prepararsi al suo prossimo arrivo alla capitale. Prima di accomiatarsi le baciò nuovamente il dorso della mano e Deja gli chiese se quel gesto avesse un qualche particolare significato.
- Dopo che viene annunciato un fidanzamento al futuro sposo è concesso di toccare solo le mani della sua fidanzata. Baciarle la mano è un’appropriata dimostrazione di interesse nei confronti della fanciulla che non vìola il suo onore ma che può diventare un elemento di corteggiamento. Spero di non averti messa a disagio, ma se non ti baciassi la mano apparirebbe strano agli occhi del mio popolo e scortese ai miei.
Il giorno prima Deja sarebbe arrossita e probabilmente avrebbe interpretato come il segno di un interesse morboso quell’atto. Ma adesso credette alle parole di Zaron, riconoscendo che lui non aveva nessun fine nascosto.
Gli rivolse un sorriso comprensivo.
- Nessun disagio, mio signore. A che ora attraccheremo?
- Dopo il tramonto. Ti farò mandare in stanza qualcosa da mangiare, verso sera: probabilmente riuscirai a cenare solo a notte inoltrata.
- Della frutta la gradirei moltissimo. Magari anche del thè?
Lui le sorrise raggiante.
- Sarà fatto, mia signora.
Deja si ritirò con un sorriso rilassato. Era ancora nervosa per l’accoglienza che le sarebbe stata riservata una volta giunta a Halanda, ma ora aveva la certezza che Zaron sarebbe stato dalla sua parte. Forse quel matrimonio partito così male avrebbe davvero potuto funzionare.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE. Mission “far smettere Deja di sobbalzare ogni volta che mi avvicino”: un successone! Bravo Zaron, 10 +.
Finalmente abbiamo scoperto qualcosa del nostro protagonista! Avevo lasciato, come Pollicino, briciole di informazioni ne “Il dio della guerra”, sperando di stuzzicare la vostra curiosità. Mi auguro che siate rimasti soddisfatti.
Per la questione dell’harem: quando ero adolescente avevo questa visione romanzata degli harem ottomani, pieno di donne bellissime e mezze nude che aspettavano solo di essere scelte per una notte d’amore con il sultano. Poi crescendo la mia visione romantica si è scontrata con la realtà: nell’harem vivevano anche la madre e le sorelle e i figli piccoli del sultano, non è che ti stendi mezza nuda a bordo di una piscina, facendo la languida con il tuo amante, se c’è la vecchia suocera che ti osserva e con i bambini che scorrazzano e schiamazzano in giro. Ed è questa visione realistica dell’harem che ho voluto riportare, un luogo separato in cui vivono le donne della famiglia, giovani e vecchie e persino imparentate con il re.
L’aeronave: punto dolente, questo. Fin dall’inizio ho voluto fortemente il trasporto aereo (poi toccherò il perché ci sono i dirigibili e non i treni), per l’aeronave ho pensato a un dirigibile semirigido con motore a vapore. Ho guardato alcune foto su internet e le gondole mi sono parse terribilmente piccole quindi.. usate un po’ la fantasia. Per la velocità non so quanto vadano veloci, dipende comunque dai venti, ma nel 1919 un dirigibile inglese ci ha messo 75 ore a fare la traversata dell’Atlantico e quindi in una notte e un giorno credo che siano capaci di percorrere distanze ragguardevoli, soprattutto se corrono dietro al sole e non incontro.

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Capitolo 2
*** Dove tu andrai ***


II. DOVE TU ANDRAI*

 
 
Mentre attendeva che l’aeronave attraccasse, Deja era tornata a essere un fascio di nervi. Continuava a toccarsi i capelli, acconciati e legati in modo da ricadere morbidamente sulla spalla sinistra e decorati con piccoli fermagli di diamanti che scendevano dalla corona come una cascata luminosa di gocce di rugiada. Anche Larissa era nervosa e le aveva sistemato innumerevoli volte la gonna e lo strascico, in modo che tutto cadesse perfettamente. L’abito, azzurro come i suoi occhi, aveva ricami in oro dalle forme geometriche ed era impreziosito da una cintura di acquamarina. Indossava il sigillo al pollice della mano sinistra, la lunga collana di sua madre con il pendente e a entrambi i polsi portava dei braccialetti a catenella in cui erano incastonati dei topazi della stessa tonalità.
Quando Larissa aprì la porta a Zaron, lui la guardò con approvazione, le sfiorò con un bacio la mano e la poggiò all’incavo del braccio. Deja inspirò profondamente ed espirando lasciò che tutto il suo nervosismo uscisse assieme all’aria, drizzò le spalle, gomito in fuori, mano poggiata sul corpetto e il volto atteggiato a imitare inconsciamente l’espressione “da stato” del padre.
Poco prima di uscire all’aria aperta, Zaron si fermò e si rivolse a lei.
- So che a Issa è comune cortesia che un uomo porga il braccio per accompagnare una signora, tuttavia qui a Halanda uomini e donne non si toccano spesso in pubblico. Se tu fossi una nobile rakiana ci si aspetterebbe che camminassi al mio fianco, a mezzo passo dietro di me. Come vuoi che ci presentiamo?
La mano di Deja, che era stata con leggerezza posata sull’avanbraccio di Zaron, si strinse.
- Se per te è lo stesso, preferirei avere il tuo braccio, mio signore.
Scendendo la breve rampa che li separava dal terreno Deja fu investita dall’aria calda e secca della capitale. Si guardò in giro velocemente, cercando di assimilare il più possibile i particolari dell’ambiente circostante.
Era notte ormai, il cielo era nero e pieno di stelle, la luna un piccolo spicchio argenteo, il campo su cui erano atterrati era spoglio, di polverosa terra battuta color ocra; sulla destra poteva vedere un’altra aeronave in procinto di attraccare. C’erano numerose torce piantate nel terreno a fare luce e a favorire le operazioni di sbarco. Il campo su cui si trovavano terminava con una serie di edifici in mattoni e pietra le cui finestre illuminate facevano intuire i profili di molte persone che osservavano incuriosite il ritorno del loro sovrano. Alla sua sinistra poteva vedere i bagagli, che venivano caricati su carri trainati da muli. La sua attenzione però fu catturata dalle persone che se ne stavano in piedi difronte a loro, ad attenderli: soldati rakiani, a cui si unirono quelli provenienti dall’aeronave mentre le venti guardie issiane rimanevano il più vicino possibile a lei, e una quindicina di uomini, per la maggior parte con addosso la leggera armatura che indossava anche Zaron, gli altri con ricchi abiti colorati e ricamati. All’avvicinarsi di Zaron si inchinarono, i cortigiani portandosi entrambe le mani al petto, i soldati solo il pugno della mano destra. Quando si drizzarono, Deja poté sentire i loro sguardi curiosi su di sé; la squadravano, osservandole criticamente il viso, alzando gli occhi sulla sua corona, abbassandoli sull’abito per poi posarsi con disapprovazione sulla sua mano, adagiata sul braccio del loro khan.
Uno di loro, con un ampio ventre che tendeva la stoffa della casacca arancione che indossava, si fece avanti.
- Mio khan, acconsentimi di rivolgervi, a nome di tutta la tua corte, un caloroso bentornato a casa. La notizia della vostra vittoria sul regno di Issa e del vostro matrimonio, vi ha preceduto. Desidero essere il primo ad offrirvi le sue felicitazioni, mio signore.
Quando Zaron rispose lo fece con voce profonda, priva di tonalità; anche il suo viso era una maschera impassibile.
- Grazie per il tuo augurio, Brafit, soprattutto perché ti sei trascinato fin qui per accogliermi, ma è ancora prematuro: le nozze si svolgeranno nei prossimi giorni. Visto che siete qui permettetemi di presentarvi la mia promessa sposa, la vostra futura sovrana: la regina Deja di Issa.
Deja sollevò ulteriormente il mento, in un gesto di sfida, ma tutti loro si chinarono con la stessa deferenza mostrata al khan. Quando si raddrizzarono però, notò che erano nuovamente rivolti verso il loro re e non le prestavano più attenzione.
- Vi ringrazio per il vostro caloroso benvenuto, signori.
Zaron al suo fianco sbuffò divertito, cercando di trattenere una risata, mentre i suoi cortigiani si voltavano come un sol uomo a fissarla, alcuni spalancando la bocca. Fu nuovamente Brafit a parlare per loro, dopo averla guardata interdetto ed essersi schiarito nervosamente la voce.
- Sì, mia signora, ovviamente. Siamo tutti lieti di offrirle il nostro più caloroso benvenuto nella nostra splendida città, come siamo grati della sua presenza al fianco del nostro signore e ansiosi di potervi chiamare nostra regina.
Deja gli rivolse un piccolissimo cenno per indicargli che aveva accettato il suo benvenuto e poi lo fissò dritto negli occhi finché lui non li abbassò.
Zaron riprese la parola.
- La vostra futura regina è issiana, le usanze sono diverse e farete meglio ad abituarvi in fretta. Ora, è sera inoltrata e sono sicuro che la mia signora desidera ritirarsi.
Detto questo si rivolse a un uomo anziano, vestito meno riccamente degli altri, che era rimasto leggermente in disparte.
- Rispra, le accomodazioni sono state preparate?
Il ciambellano si fece avanti, inchinandosi profondamente sia a Zaron che a Deja, prima di rispondere.
- Come hai ordinato così è stato fatto, mio khan. Il palazzo degli ospiti è stato preparato per accogliere la regina e i suoi accompagnatori.
Zaron si rivolse a lei.
- Rispra ti guiderà, mia signora. Riposa serena e domani parleremo ancora.
Le prese la mano destra in entrambe le sue e, guardandola negli occhi, le baciò intensamente il dorso. Anche se Deja si rendeva perfettamente conto che un simile gesto era esclusivamente a beneficio dei suoi cortigiani e non implicava niente di più, non poté trattenere il rossore che le si diffuse sulle guance, ricordando come Zaron le avesse spiegato le varie sfumature che il baciamano poteva assumere.
Zaron si prese un attimo per guardarla salire su una delle carrozze chiuse che attendevano lei e le nobildonne al suo seguito. Aveva fatto preparare anche un cavallo, per lei, ma non glielo aveva neanche offerto: non aveva una sella adatta al vestito. Le sue concubine invece, pesantemente velate, lo avrebbero accompagnato a cavallo fino a Palazzo; non vedeva l’ora di raccontare a Perla di come Deja avesse messo in imbarazzo il suo orgoglioso cognato.
Prima di partire per Issa, aveva dato ordine a Rispra di far preparare il palazzo riservato ai dignitari stranieri, sicuro di tornare con una moglie e numerosi ospiti. Era sollevato che le cose fossero andate come aveva previsto e che ora il palazzo sarebbe stato occupato secondo i suoi piani. Non era stupito che Brafit sapesse della regina: probabilmente tutta la Città Vecchia e anche quella Nuova ormai, erano un brulicare di supposizioni e voci contrastanti. Gli informatori dovevano aver ammazzato i cavalli per essere giunti prima di lui.
I suoi cortigiani e i consiglieri gli si assieparono attorno, ansiosi di riferirgli cosa fosse successo a corte durante la sua assenza, e di congratularsi personalmente con lui della vittoria su Issa e per aver conquistato la mano della sua regina. Notò che il nobile Varkis era assente. L’anziano signore era il più grande pettegolo della città e si sarebbe mangiato le mani la mattina quando avrebbe saputo di essersi perso l’arrivo della regina issiana.  Soprattutto quando la voce della sua impertinenza si sarebbe diffusa.
Deja gli piaceva ogni giorno di più ed era sinceramente lieto della vena di umorismo che aveva scoperto in lei. Avrebbe di sicuro reso la vita coniugale interessante. E si sarebbe anche fatta un sacco di nemici, rimuginò cupamente, considerando Brafit. Suo cognato, in virtù del matrimonio con la sua sorellastra, si era sempre considerato un personaggio importante a corte, attorno a cui avevano finito per gravitare numerosi ruffiani. Non potendo sapere se il khan avesse già generato o meno un figlio maschio, si era considerato una specie di erede presunto, dato che Zaron si era fino a quel momento astenuto dal prendere moglie e la guerra di conquista che aveva intrapreso era, dopotutto, un’attività pericolosa. Adesso invece la guerra era finita e dalla sua ultima campagna il khan era tornato con una moglie e questi due fattori contribuivano ad offuscare l’astro di Brafit.
In un tintinnio di gioielli e avvolte in una nuvola di profumo e veli Perla e Cara si avvicinarono, scortate da tre guardie faliq ciascuna. Zaron salì a cavallo, seguito dalle concubine e dai nobili, Guardò in alto, verso la montagna, scura contro il cielo dato che l’accademia dava sul versante sbagliato. Sapeva che presto, appena avessero fatto il giro della città, avrebbe potuto vedere le luci della Città Vecchia. Si concesse un largo sorriso soddisfatto. Era a casa.
 
Deja non vide nulla della Città Nuova. In seguito Larissa le avrebbe riferito che la parte bassa di Halanda che aveva visto lei, dal carro che trasportava i bagagli e su cui era salita con le cameriere delle altre cinque nobildonne che avevano scelto di prendere l’aeronave, era sporca e puzzolente e che la strada che si inerpicava lungo la china della montagna era scomoda e sassosa. La carrozza su cui era salita Deja era ben diversa da quelle a cui era abituata: bassa, chiusa, interamente imbottita all’interno e con un pesante tenda rossa che copriva le piccole finestre, rendendo l’ambiente buio e soffocante. Avrebbe voluto scostarle, ma ritenne non sarebbe stato dignitoso essere sorpresa a sbirciare con il naso di fuori come una ragazzina curiosa. A trainare il mezzo erano, come le aveva anticipato Zaron, dei muli e dovette ammettere la saggezza della scelta, e dell’imbottitura sul soffitto, quando cominciò la salita. Tirò un sospiro di sollievo quando finalmente la carrozza si raddrizzò di nuovo, a segnalare che erano in piano e ringraziò sentitamente la dea quando questa si fermò e Rispra aprì la porta. Il cortigiano fece un passo indietro e si inchinò, attendendo che lei scendesse e Deja si rese conto con stizza che la cortesia rakiana imponeva che lui non la toccasse, neanche per aiutarla a smontare; se avesse indossato un abito moderno scendere non sarebbe stato difficile, ma l’abito tradizionale era rigido e lungo e le impediva di chinarsi bene. Per fortuna Ostin si era affrettato a raggiungerli e le allungò una mano con un leggero inchino, a cui Deja si aggrappò con gratitudine mentre si piegava a fatica e scendeva da quella trappola. Conscia di come il ciambellano potesse trovare impropria tale sollecitudine ritirò immediatamente la mano una volta che entrambi i suoi piedi furono sul selciato di pietra, con una certa fatica perché Ostin le aveva stretto l’arto e aveva cercato di trattenerlo.
- Credo che lady Pastis gradirebbe il tuo aiuto, lord Ostin.
Deja indicò al ragazzo la carrozza che si era appena fermata dietro di loro e la nobildonna di mezza età dall’espressione arcigna che era ferma sulla soglia della porta spalancata.
- Fai strada lord Rispra.
L’uomo si inchinò nuovamente.
- Solamente Rispra, mia regina. Da questa parte, prego.
La precedette attraverso i portoni spalancati del palazzo davanti al quale si erano fermati, seguiti dalle guardie issiane e dalle nobili scese dalla carrozza. Gli ambienti interni erano fortunatamente freschi, i pavimenti di marmo coperti da tappeti e le pareti intonacate. Rispra le presentò un uomo ossuto e una donna anziana che sprofondarono in un prolungato inchino senza mai incrociare i suoi occhi, che il ciambellano introdusse come il divro e la divra, il capo della servitù maschile e della servitù femminile. Poi anche lui si congedò.
Dopo aver conferito brevemente con lady Pastis che, neanche a dirlo, aveva assunto il comando delle sue compagne, chiese che a tutte loro fossero mostrate le loro stanze e poi servita in camera una cena leggera.
- Sono arrivati i bagagli e le nostre cameriere?
Fu il divro a rispondere.
- No, mia signora.
- Appena arrivano mandateci tutto in camera. Adesso desidero ritirarmi, ma domani mattina mi farete fare un giro della residenza, anche se non so per quanto tempo la occuperò.
Lady Pastis si fece avanti.
- Vi accompagnerò, vostra maestà.
Deja era così stanca che non ebbe neanche la forza di irritarsi. Dopo un attimo di incertezza il divro le chiese esitante.
- Come desiderate che vengano acquartierati i vostri uomini, mia signora?
- Non ci sono stanze per loro?
Il divro parve in imbarazzo.
- Solitamente la scorta degli ospiti stranieri del khan rimane nella Città Nuova.
Deja considerò un attimo la cosa e poi decise.
- Gli ufficiali avranno delle stanze, dato che sono anche nobili della mia corte. I soldati semplici, invece… se fosse possibile vorrei che gli trovaste posto nell’ala della servitù. So che è un inconveniente per voi, ma si trasferiranno dopo il matrimonio, quindi non dovrete ospitarli a lungo.
- Come la mia signora desidera, così sarà fatto.
Il divro rispose ossequiosamente.
A Deja fu mostrato il suo appartamento, una serie di stanze eleganti con delle finestre spalancate che davano in un giardino. C’erano due servitrici rakiane ad attenderla e presto giunse il pasto ordinato: un’insalata di pollo al limone, formaggio e frutta, accompagnati dal thè di cui Deja temeva ormai di non poter più fare a meno. Larissa arrivò a metà pasto, fece una reverenza e poi diede istruzioni ai servitori di portare dentro alcuni dei suoi bauli. Mentre masticava e guardava quegli uomini, Deja si stupì che fossero nelle sue stanze, data la rigida divisione che vigeva a Rakon tra i due sessi, poi si ricordò che quello era il palazzo riservato agli ospiti stranieri e quindi era probabile che la servitù fosse abituata alle tradizioni differenti delle persone che avrebbero dovuto via via ospitare. Finito di mangiare congedò le due servitrici, dato che Larissa era più che capace di occuparsi di lei per quella sera. Rimaste sole, mentre l’aiutava a indossare la camicia da notte e a togliere i gioielli, la cameriera le riferì dei pettegolezzi che aveva raccolto chiacchierando con le altre cameriere. Solo cinque nobildonne avevano avuto il coraggio di salire sull’aeronave rakiana, quando ce n’era stato posto per otto, ed erano state rintanate nelle cabine per tutto il tempo a spettegolare delle concubine dell’imperatore che viaggiavano con loro e, ammise con mortificazione Larissa, di Deja stessa, che viaggiava assieme al khan. Le riferì che le cameriere l’avevano interrogata in maniera incalzante, per carpirle particolari di quello che era successo tra Deja e suo marito, ma Larissa non aveva detto nulla, rimanendo caparbiamente muta.
- Non sono affari loro, ho detto loro. Spero di aver fatto bene mia signora, oppure preferivate che riferissi come re Zaron vi abbia ceduto la sua stanza?
Deja aveva sospirato esasperata ed era violentemente arrossita rendendosi conto di cosa sospettavano quelle donne e cosa avrebbero poi riferito alle loro signore.
- No, hai fatto benissimo Larissa. Continua con questa linea anche in futuro. Desidero che i particolari della mia relazione con mio marito rimangano interamente privati. Non devi dire nulla, non voglio che abbiano materiale su cui speculare. Lascia che facciano galoppare l’immaginazione.
A casa, a Issa, Larissa e le altre sue due ancelle avevano condiviso una piccola stanza a fianco dei suoi appartamenti, così da poterla servire costantemente ed essere pronte e vicine quando lei le chiamava.
Ora invece la sua cameriera le indicò una piccola corda al fianco del letto, dicendole che tirando quella avrebbe suonato una campanella corrispondente nelle stanze riservate alla servitù e che lei sarebbe accorsa.
Deja annuì e la congedò; fece fatica a prendere sonno, in quella stanza sconosciuta, senza la familiare presenza dell’altra ragazza a farle compagnia.
 
La mattina seguente, subito dopo colazione, Deja volle incontrare lord Ostin per permettergli di fare rapporto. Lady Pastis, l’unico ex membro del suo consiglio che fosse già arrivato a Halanda, era presente. Ostin riferì delle accomodazioni adeguate e delle postazioni presso cui aveva sistemato i soldati, insistendo per essere una delle due guardie che avrebbero accompagnato Deja ovunque.
- Mi dispiace se sono troppo schietto maestà, ma lei deve permetterci di fare il nostro lavoro. Ieri sera non ci ha dato modo di controllare le sue stanze prima di entrarvi e anche oggi si è spostata senza di noi. La imploro, sarebbe meglio che due guardie la seguissero ovunque, precedendola, e altre due fossero sempre in posizione al di fuori delle porte della stanza dove lei si trova.
Deja era scontenta: a Issa i suoi movimenti non erano mai stati controllati così serratamente ma comprendeva il punto di vista di Ostin, a cui era stato affidato il compito di occuparsi della sua sicurezza.
- E sia come vuoi tu. Tuttavia ti devo avvisare che non potrai fare lo stesso quando saremo a Palazzo Reale: a quanto pare nell’ala femminile l’unico uomo ammesso sarà l’imperatore.
Ostin si irrigidì e digrignò visibilmente i denti.
- Ne sono stato informato, maestà.
- Suppongo che potrete scortarmi durante lo svolgimento delle mie funzioni pubbliche, attendendomi all’uscita e poi accompagnandomi nuovamente quando vi rientro.
Davanti all’espressione sorpresa del ragazzo elaborò:
- Khan Zaron mi ha promesso una spazio in cui tenere la mia corte e mi ha anche proposto di assistere quando lui terrà la sua. In quelle occasioni sarebbe opportuno che io avessi la mia scorta, non trovi?
Lord Ostin annuì doverosamente.
- Direi che può bastare. Ti prego, chiedi alle lady di raggiungerci.
- Sì, mia regina.
Il ragazzo si inchinò, ma poi sembrò esitare, lanciando un’occhiata fugace a lady Pastis.
- Mia signora, io volevo esprimervi tutto il mio … cordoglio, per le vostre nozze affrettate con l’imperatore. Non posso fare a meno di considerarmi in parte colpevole. Se le nostre truppe avessero resistito, se solo fossimo stati più forti... Issa non sarebbe caduta e ora lei non si troverebbe in questa orribile situazione.
Deja rimase interdetta dalla passione dietro le parole pronunciate da Ostin, ricordando poi che era stato presente quando Zaron le aveva estorto il consenso al matrimonio e addolcì l’espressione, commossa.
- Ti ringrazio, ma non è stata colpa tua, né di nessuno. E poi è un matrimonio, non un funerale. Non devi preoccuparti per me, anche se mi rendo conto che è il tuo lavoro.
Lui parve frustrato, ma si congedò con garbo.
Negli attimi che precedettero l’ingresso delle lady issiane, lady Pastis le si avvicinò.
- Quel ragazzo sarà un problema, vedrete. Pensava di avere già in testa la corona di principe reggente, dato che vostro padre lo favoriva spudoratamente.
E questa era la ragione per cui Deja trovava irritante quella donna: oltre a essere orgogliosa e convinta di sapere tutto meglio lei, aveva anche l’abitudine di tirare conclusioni da supposizioni traballanti e poi difenderle a spada tratta anche difronte all’evidenza contraria.
- Ti sbagli, lady Pastis. Ostin è solo preoccupato per l’incarico che gli ha affidato mio padre e demoralizzato, come tutti noi, dalla sconfitta subita. Non si era mai parlato neanche di un possibile futuro fidanzamento tra di noi, quindi ti prego di non rivangare mai più la questione. Sono sposata adesso, e a breve lo sarò anche secondo le usanze rakiane. Sarebbe oltremodo imbarazzante per entrambi e spiacevole per mio marito se certe voci riprovevoli cominciassero a circolare.
Le quattro donne che entrarono erano ben note a Deja, una di loro l’aveva conosciuta all’Accademia, dove avevano seguito le lezioni di filosofia insieme, un’altra era una nobile che aveva voluto intraprendere anche la carriera di guaritrice e a cui si affidavano molte signore della corte issiana, mentre le ultime due erano madre e figlia, quest’ultima con i suoi quattordici anni era la ragazza più vicina alla sua età tra quelle che l’avevano accompagnata. Fu la madre a prendere la parola per prima.
- Quando arriveranno tutti gli altri, maestà?
Deja comprendeva la sua ansia: la donna era lady Jodina, conosciuta in tutta la corte issiana come la madre vedova di sette figlie femmine. La penultima, Famira, era una sua cara amica e aveva insistito con la madre per partire. Lei non aveva voluto lasciarla andare da sola e quindi l’aveva seguita portandosi appresso, necessariamente, la figlia più piccola ancora minorenne.
- L’imperatore Zaron ha detto che viaggeranno davanti all’esercito, accompagnati da una scorta adeguata e un piccolo contingente di soldati issiani. Mi ha assicurato che non ci vorranno più di un paio di settimane. Dipende dal tempo che incontreranno. È un peccato che Famira soffra di vertigini, mi avrebbe fatto piacere che fosse stata qui in questo momento.
Dopo aver fatto l’esperienza del pallone aerostatico, Deja aveva entusiasticamente invitato Famira e Anka a provarlo. Anka aveva condiviso la sua esaltazione, Famira invece si era sentita male, diventando isterica e urlando finché non l’avevano fatta scendere.
- Mi stupisco invece che non abbiate viaggiato con lei via terra.
Lady Jodina poggiò una mano sulla spalla della figlia piccola.
- Aduna voleva a tutti i costi volare e Famira mi ha detto di accompagnarla, così almeno noi avremmo viaggiato comode.
Deja annuì comprensiva e poi cambiò argomento.
- Vi devo parlare della vostre future accomodazioni. Come voi anche io avevo ritenuto che avreste risieduto con me, pensando che il Palazzo Reale rakiano fosse concepito come quello issiano, ma non sarà così. A quanto pare al Palazzo Reale risiede esclusivamente la famiglia reale. Credo che, se non verrà approntato un edificio appositamente per voi, finirete per risiedere qui. 
Lady Pastis sobbalzò per la sorpresa.
- Come sarebbe a dire? Quell’uomo vi vuole isolare dalla vostra gente e questa è una scusa bella e buona! Perché farci venire se non possiamo starvi vicino?
Deja si indignò.
- Quell’uomo è mio marito e il vostro re!
Passò lo sguardo su tutte le presenti, inalberandosi davanti alle espressioni di ribrezzo al termine marito.
- E come tale esigo che gli tributiate il rispetto che merita!
Lady Pastis assunse un’aria indulgente e poi continuò, con voce esitante e parlando piano.
- Maestà, ci siamo solo noi qui, non deve difenderlo in nostra presenza.
Deja era arrabbiata, ma trattenne l’ira e cercò di vedere la situazione attraverso i loro occhi. Quando parlò usò un tono deciso e autoritario, che non ammetteva repliche.
- Signore, non lo sto difendendo. Zaron è mio marito e ciò lo rende il vostro re, questo è un fatto. Quello che dite su di lui si riflette su di me. Dovrete accettare che “quell’uomo” come lo hai inelegantemente definito tu lady Pastis, è sua maestà re Zaron di Issa, khan di Rakon e imperatore di tutto Zabad. Userete uno di questi titoli quando vi rivolgerete a lui e questo è quanto. Rispetterete me, che sono la sua regina, rispettando lui che è il mio re. Sono stata chiara?
Le donne annuirono contrite e in un coro di “sì, vostra maestà”, si inchinarono accettando la sua volontà.
Prima che potessero procedere oltre ci fu un leggero bussare e la divra entrò a capo chino nella stanza.
- Mia signora, il khan è qui e richiede la vostra presenza.
Deja si congedò dalle nobildonne presenti e seguì la servitrice che la portò in giardino lasciandola con un inchino e scivolando via silenziosamente quando furono in vista di Zaron.
Lui corrucciò le sopracciglia davanti alle due guardie issiane che le camminavano affianco.
- Mia signora, spero tu abbia riposato bene.
Lei gli si avvicinò, intimando alla sua scorta di allontanarsi di qualche passo.
- Mio signore, grazie per la tua sollecitudine. Ho riposato adeguatamente.
Lui guardò fisso ancora per un attimo i due soldati.
- Vedo che i tuoi uomini prendono seriamente la questione della tua sicurezza. Bene.
Deja sospirò insoddisfatta.
- Anche troppo. A quanto pare mi seguiranno ovunque io vada. Come faranno quando risiederò a Palazzo con te?
Zaron si concesse un mezzo sorriso.
- Dovranno accontentarsi di farti la guardia quando sarai fuori dai tuoi appartamenti. Potranno risiedere con le altre guardie di palazzo.
Lei annuì, era come aveva previsto.
- Desideravi parlarmi di qualcosa in particolare, mio signore?
Lui fece un cenno affermativo col capo.
- In giornata Rispra verrà da te per parlarti dell’organizzazione del matrimonio.
Zaron esitò un attimo.
- La tradizione vuole che le donne già sposate della casa dello sposo, assieme alla madre e alle sorelle maritate della sposa, l’aiutino a prepararsi assistendola nell’indossare l’abito nuziale, i gioielli e applicando le pitture tipiche. Poi accompagnano la ragazza fino alla sua nuova casa. Per correttezza ho chiesto prima di farlo alla nobile Ingis e a mia sorella, ma solo Sali ha accettato, più per curiosità credo, sua e di suo marito. Lui lo hai conosciuto, il nobile Brafit era quello vestito in arancione che ci ha accolti ieri sera.
Deja si sentì sprofondare.
- Quindi avrò solo lei ad aiutarmi e a scortarmi. Sarà una ben misera processione.
Lui scosse la testa.
- Ho parlato con le mie concubine e se tu le accetti verranno insieme a Sali.
Deja annuì sovrappensiero. Da un po’ aveva desiderio di parlare con le concubine di Zaron, anche se la presenza di sua sorella sospettava che avrebbe inibito la conversazione.
- La loro partecipazione sarebbe un sollievo. Ti prego di porgere loro da parte mia i miei più vivi ringraziamenti.
L’espressione tesa di Zaron si rilassò per un attimo, poi si accomiatò da lei con un leggero baciamano.
Zaron lasciò la residenza che ospitava temporaneamente Deja con animo più sereno di quello che aveva quando vi si era recato. La sera prima, appena entrato nell’ala femminile per salutare le ragazze e le sue figlie, era stato aggredito da Ingis e Cefan, che avevano saputo della sua moglie issiana. Ingis aveva come sempre sputato veleno, accusandolo di avere gli stessi gusti malsani di suo padre per le ragazzine giovani e innocenti, con Cefan che la incalzava con gli occhi colmi di gioia maligna, sapendo quanto quelle accuse lo ferissero.
L’harem che suo padre aveva tenuto era stato pieno di ragazze giovani che venivano mandate via quando invecchiavano, a diciotto anni. Ingis ne aveva avuti solo tredici quando aveva sposato il khan, molto più anziano di lei, e non era stato un matrimonio felice; l’unica gioia che la donna aveva avuto dal marito erano stati i suoi figli e specialmente il suo figlio maschio. Dopo la sua nascita il marito aveva smesso di visitarla, concentrando la sua attenzione sulle ragazzine che preferiva. La morte del suo amatissimo ragazzo l’aveva distrutta e il mese dopo anche suo marito, spezzato dalla perdita di quell’erede che aveva anche lui amato e che era stato il suo orgoglio, era morto lasciandola senza figli maschi e senza corona. Avrebbe potuto tornare da suo padre, a trentanove anni avrebbe persino potuto trovare un altro marito, magari vedovo con figli, ma non aveva voluto lasciare quella che per la maggior parte della sua vita era stata la sua casa e dove aveva vissuto con suo figlio. Zaron aveva avuto pietà di quella donna distrutta dalla sofferenza e sconvolta dai lutti, ma si era pentito presto di quel gesto di compassione, quando lei si era riscossa dalla depressione in cui era scivolata e aveva cominciato a riversare un fiume di rancore sull’uomo che aveva preso il posto che avrebbe dovuto essere del figlio morto. Non mancava mai di criticarlo, dalla concubine che aveva selezionato a come camminava, dalle sue scelte politiche alla guerra che aveva intrapreso, augurandogli ogni volta che partiva di morire in battaglia. Lui l’aveva sempre lasciata parlare, per rispetto in quanto ex regina e madre delle sue sorelle e perché lei era il suo unico legame con la propria madre, essendo l’unica persona ad averla conosciuta e a ricordarsi di lei. Ma qualsiasi rispetto che avesse provato per Ingis e affetto che aveva sperato di ricevere da sua sorella Cefan si era eroso assieme alla sua pazienza e con estrema soddisfazione aveva detto a Ingis che doveva vacare gli appartamenti riservati alla regina e in fretta. Con riluttanza aveva invitato Cefan a restare, avvertendola però che le avrebbe trovato al più presto un marito e che non le avrebbe permesso di rifiutarlo: con il suo matrimonio era tempo che nel suo palazzo si facesse spazio alla sua famiglia e alle nuove generazioni e lei ormai era parte di un mondo passato. Ingis si era ritirata in uno svolazzo di vesti, offesa e indignata e urlando che se voleva la sua camera per sollazzarsi con la sua nuova moglie bambina poteva tenersela, lei di certo non sarebbe rimasta: sapeva per esperienza che le urla acute delle ragazzine non la lasciavano dormire. Cefan lo aveva guardato con disprezzo e lo aveva informato che avrebbe seguito la madre, non sarebbe rimasta in quel covo di bastarde e meretrici di infima estrazione sociale a permettergli di appiopparle come marito il primo contadino di passaggio. Era stata una conversazione estremamente spiacevole e le insinuazioni di Ingis lo avevano offeso e disgustato. Tuttavia aveva sopportato, sapendo che quelle erano le ultime parole sprezzanti che loro gli rivolgevano: una volta uscite dal suo palazzo non facevano più parte della cerchia interna della sua famiglia e la protezione che questo aveva sempre comportato sarebbe cessata. Se gli avessero mancato nuovamente di rispetto sarebbe stato in pubblico e la punizione sarebbe stata veloce e brutale. Come khan aveva il diritto di farle imprigionare e fustigare a seconda dell’offesa arrecata. E lo avrebbe fatto, perché era stato anche fin troppo comprensivo con loro e quelle due ne avevano approfittato troppo a lungo.
Solo al mattino successivo Perla gli aveva fatto notare che la tradizione prevedeva che la madre e le sorelle maritate dello sposo aiutassero la sposa nei preparativi per le nozze e Zaron si era reso conto con disappunto che avrebbe dovuto parlarne con Ingis e Sali. Perla gli aveva detto che lei e le altre ragazze erano pronte a ricoprire quel ruolo se loro non si fossero fatte avanti e se la sua sposa avesse accettato di farsi accompagnare da semplici concubine. Zaron era andato da Sali, presso cui Ingis e Cefan si erano rifugiate, e le aveva parlato assieme al marito di lei. Le aveva chiesto se desiderasse aiutare la regina Deja nei preparativi, avvisandola che probabilmente le sue concubine sarebbero state presenti e rifiutando categoricamente la possibilità che partecipasse anche la nobile Ingis. Zaron non voleva che quell’arpia smontasse tutto il lavoro che aveva fatto con la propria moglie sull’aeronave per metterla a suo agio con lui, permettendole di entrare in contatto con Deja e riempirle la testa di storie d’orrore di quella che doveva essere stata la sua vita da sposa bambina con suo padre. Per fortuna il rapporto che aveva con Sali era diverso, forse perché quest’ultima era già stata sposata quando era divenuto khan e sembrava contenta del suo matrimonio con Brafit, inoltre il fatto che a ogni nascita avesse fatto ricchi doni ai suoi nipoti aveva di certo aiutato. Brafit era pomposo e ambizioso, tronfio d’arroganza, ma non era pericoloso, almeno non per lui, e nessuno degli attentati alla sua vita avevano mai portato al cognato, non era neanche mai stato sfiorato dall’ombra del sospetto. Ma ora che stava per prendere moglie avrebbe dovuto farlo sorvegliare con più attenzione, anche perché la sua piccola regina issiana lo aveva pubblicamente messo in imbarazzo. Sali per il momento era sembrata solamente curiosa e aveva accettato con entusiasmo di aiutare e accompagnare la sua futura sovrana, la sua futura cognata, promettendogli solennemente che non avrebbe lasciato che l’astio di sua madre rovinasse il giorno delle nozze della fanciulla. Riguardo alla presenza delle sue concubine, non la disturbava: suo marito ne aveva dodici e con loro era sempre andata abbastanza d’accordo.
Ora che aveva avuto il permesso di Deja di mandarle anche Perla e le altre si sentiva più tranquillo: anche se Ingis avesse cercato di intervenire, o alla peggio Sali le avesse parlato male di lui, loro avrebbero limitato gli eventuali danni.

 
* “[…] dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio;”. Lo so, devo smetterla con queste citazioni. Ps: nonostante sia spesso usata ai matrimoni qui Ruth non sta parlando al marito, ma alla cognata.

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Capitolo 3
*** Qualcosa di rosso ***


III. QUALCOSA DI ROSSO

 
 
La mattina del giorno del suo matrimonio rakiano iniziò per Deja con un brusco risveglio prima dell’alba. Fu Larissa a destarla, entrando nella sua stanza seguita dalla divra, visibilmente nervosa.
- Cosa succede, Larissa?
La sua cameriera si affrettò ad aprirle le finestre parlando velocemente e con una nota di panico.
- La principessa Sali e le concubine del re sono già qui mia signora!
Deja guardò fuori, scendendo dal letto. Il cielo cominciava a schiarire ma si vedevano ancora alcune stelle brillare fioche.
- Ma che ora è?
- Poco prima dell’alba, mia signora.
Larissa l’aiutò a indossare la veste da camera e mentre lei sbadigliava e si stropicciava stancamente gli occhi, le stava già pettinando i capelli, intrecciandoli in una semplice treccia.
Deja non avrebbe voluto ricevere le sue ospiti ancora in camicia da notte ma, stizzita per essere stata svegliata a quell’ora irragionevole, considerò che se la volevano già vestita e sveglia avrebbero dovuto darle almeno il tempo di fare colazione: il matrimonio non era previsto che per il pomeriggio, cosa ci facevano lì a quell’ora?
Irruppe quindi nel salotto dove l’aspettavano le sue ospiti, con la mente ancora annebbiata dal sonno e la cameriera che le sia agitava intorno, dopo averla futilmente implorata di permetterle di aiutarla a vestirsi prima.
C’erano sei donne nella stanza ad aspettarla. Era facile intuire quale fosse la principessa, dato che cinque erano raggruppate da una parte e la sesta sedeva separata dal gruppo. Erano vestite in modo esotico, le servitrici rakiane che aveva visto fino a quel momento indossavano vesti semplici non dissimili da quelle delle issiane, concepite per lavorare e spostarsi facilmente. Quelle sei donne erano invece vestite come la sarta che le aveva preso le misure due giorni prima: pantaloni larghi in seta leggera, stretti alle caviglie, una lunga gonna con due profondi spacchi ai lati che lasciavano vedere i pantaloni, ai fianchi portavano arrotolata una lunga stola di stoffa che poi passava per la schiena come una specie di corto mantello e si appoggiava su una spalla per ricadere infine sul davanti, coprendo parte del petto e venendo in alcuni casi infilata all’altezza della cintola, il torso era vestito da una camicia abbottonata davanti,  a mezze maniche, così corta da lasciare scoperta la pancia e l’ombelico e così stretta da non lasciare nulla all’immaginazione. Quando la sarta le aveva preso le misure Deja aveva dovuto rimanere a torso nudo, mentre quella donna le misurava persino la coppa del piccolissimo seno che cominciava a spuntarle. Non si era mai sentita così imbarazzata in vita sua, e l’imbarazzo era aumentato rendendosi conto che l’aspettava un abito nella foggia non dissimile da quello indossato dalla solerte ma silenziosa sarta che non le aveva dato la possibilità di scegliere nulla dell’abito, non lo stile, non la stoffa né i motivi decorativi, ripetendo con deferenza ma insistenza che la foggia e i tessuti erano tradizionali e che non vi era nessuna possibilità di scelta.
La principessa e le concubine indossavano con naturalezza quegli abiti che a Issa sarebbero apparsi scandalosi. I vari elementi dell’abito erano coordinati, i colori variopinti e accesi, le decorazioni in filo dorato seguivano il bordo delle gonne ed erano particolarmente carichi sulla stola. I pantaloni e la camicia, o blouse come l’aveva definita la sarta, erano invece disadorni. Erano tutte pesantemente ingioiellate, collane, braccialetti ai polsi e alle caviglie e orecchini ingemmati decoravano il profilo delle loro orecchie. Anche i capelli erano dotati di numerosi fermagli dorati. Fermagli e bracciali tintinnarono quando quelle donne si alzarono per accoglierla. Mentre i profumi che indossavano raggiungevano il suo naso Deja si rese acutamente conto che loro erano già vestite e preparate per il matrimonio e che lei era ancora in camicia da notte, con la veste da camera, i capelli raccolti in una semplice treccia e non si era ancora neanche lavata il viso.
Tirò su il mento e drizzò le spalle.
- Signore. Vi ringrazio per essere presenti e aver acconsentito a prepararmi alle mie nozze, come è secondo i vostri usi. Tuttavia devo dire che non vi aspettavo così presto.
Fu la principessa a prendere la parola.
- Mia signora, vedendovi ci appare chiaro che nessuno vi ha parlato di quello che comporta la preparazione della sposa. Aiutarla a vestirsi è facile, sono le pitture che richiedono tempo e che danno alla sposa l’occasione di conoscere le componenti della sua futura famiglia.
Deja era confusa, e non era solo per il sonno.
- Pitture, quali pitture?
Le sei donne si guardarono, confuse a loro volta.
- Nessuno le ha detto niente?
Deja scosse la testa.
- Il khan ha accennato a delle pitture tradizionali ma io ho pensato che intendesse il trucco.
Una delle concubine, una donna molto bella nonostante i fili argentati tra i capelli nerissimi, parlò prendendo il controllo della situazione.
- Vi abbiamo buttata giù dal letto, mia signora, quando ci aspettavamo di trovarvi già in piedi. Ci dispiace molto. Forse potremmo parlare mentre fate colazione?
Fece cenno alla divra e le ordinò di portare una colazione leggera per tutte, poi si presentò.
- Io sono Perla, queste sono Oscia, Tallia, Mira e Cara.
Le donne che via via indicava si inchinavano, portandosi entrambe le mani al cuore, come aveva visto fare ai cortigiani di Zaron. Erano tutte molto belle, con occhi e capelli neri, forme voluttuose e accattivanti sorrisi bianchi.
- E io sono la principessa Sali, mia signora. Ho l’onore di essere la sorella di khan Zaron.
La principessa si inchinò come le concubine. Anche lei era bella e qualcosa nel sorriso obliquo che le fece le ricordò intensamente Zaron.
- Ma certo…
Deja annuì a tutte loro, invitandole a sedersi con lei intanto che arrivava la colazione. Mentre mangiava fu Perla, che a quanto pareva aveva una certa autorità tra le concubine, a parlare.
- Alla sposa, in segno beneagurante, vengono applicati dei tatuaggi con l’henné, alle mani e a i piedi, che hanno bisogno di un minimo di cinque ore per fissarsi sulla pelle. Sapete di cosa si tratta, mia signora?
Deja scosse il capo in segno di diniego, irritata e sconfortata perché nessuno sembrava dirle niente delle tradizioni rakiane che pareva ci si aspettasse che conoscesse.
- Vi faremo dei disegni sulla pelle con una pasta rossa ricavata da una pianta. I disegni andranno via nel giro di una decina di giorni, dipende da quanto tempo resteranno in posa oggi e da quanto strofinerete la pelle quando vi lavate.
Sali si intromise lasciando che una punta di malizia le colorasse il tono di voce.
- Quello di essere disegni beneaguranti è la scusa ufficiale. In pratica il tempo che ci vuole per il colore ad essere assorbito dalla pelle dà l’opportunità alla sposa di conoscere la suocera e le cognate e di spettegolare del futuro sposo. Inoltre…
L’espressione di Sali si fece ammiccante.
- … alla futura, vergine sposina vengono dati consigli e suggerimenti per come comportarsi nel talamo nuziale. Per me è stata una vera rivelazione e le parole di mia suocera sono state perle di saggezza che mi hanno aiutato tantissimo nella vita coniugale.
A una concubina vestita in rosa pallido sfuggì una risatina, fece per parlare ma Perla la zittì, con un sorriso indulgente.
- Non ancora Cara, non abbiamo ancora iniziato.
Deja divenne scarlatta come la buccia della pesca matura che stava mangiando e dovette fare uno sforzo per non abbassare gli occhi per l’imbarazzo davanti a quelle donne.
- La sua pelle! Che delizioso colore!
Sali la guardava affascinata e fece come il gesto di allungare la mano per toccarla prima di ricomporsi, contrita.
- Mi dispiace, mia signora.
- Non è nulla, Sali. Ho la carnagione chiara e arrossisco facilmente.
Sei sorrisi risposero al suo. Finito di mangiare Perla batté le mani.
- Bene, direi che è ora di cominciare. Abbiamo portato tutto l’occorrente per il suo bagno, mia signora. L’attenderemo qui. Si ricordi che dovremo avere accesso alle braccia e alle gambe per fare i disegni.
Deja annuì, leggermente stordita, e si lasciò condurre da Larissa e dalle servitrici rakiane nella sala da bagno dove la sua pelle fu grattata con finissima sabbia bianca e i suoi capelli cosparsi di olio profumato prima di essere raccolti sulla testa strettamente, in modo da non intralciare i preparativi successivi.
Quando tornò nel salottino si bloccò di botto, rimanendo di stucco e spalancando gli occhi: la principessa e le concubine si erano tolte la stola e il blouse, rimanendo a seno scoperto. Indossavano dei grembiuli di cuoio per coprire la gonna e i pantaloni e stavano chiacchierando e ridendo tra loro, sorseggiando del thè.
Deja indicò il loro petti, farfugliando. Non si era mai trovata in una situazione simile in tutta la sua vita, era la prima volta che vedeva una donna seminuda e non riusciva a capire cosa stesse succedendo, anche se la parte razionale del suo cervello le diceva che quella doveva essere un’altra usanza rakiana d cui non sapeva nulla. Fece per voltarsi verso Larissa ma si rese conto che né lei né le altre ancelle l’avevano seguita e loro erano sole nella stanza.
Sali le prese le mani.
- Siamo sole, adesso, mia signora. Ci sono solo donne in questa stanza e in quest’ala. I tuoi soldati sono stati allontanati e la divra e le servitrici ci fanno da cordone, impedendo l’accesso a qualsiasi uomo.
Le concubine annuirono.
- L’henné macchia terribilmente e quindi ci siamo tolte ogni indumento non necessario. Inoltre, è così che vestiamo tradizionalmente noi donne rakiane quando siamo nell’ala femminile della casa.
Le concubine annuirono nuovamente, mormorando parole d’assenso e Perla le sorrise incoraggiante, spingendola sulla sedia che avevano preparato per lei, vicino alla finestra da cui entrava la luce del sole del mattino.
- Non ha niente di cui preoccuparsi. Non c’è posto per la vergogna oggi, in questa stanza. Siamo tutte donne fatte.
Guardò Sali.
- E maritate.
La principessa annuì e poi aggiunse.
- Nulla di quello che sarà detto in questa stanza verrà riferito a un uomo.
- Nessun uomo
Ripeterono le altre.
- E nessuna donna non sposata: è lecito parlare liberamente di queste cose solo in occasione dei matrimoni. Per questo non ci sono fanciulle con noi. Solo lei, mia signora.
Deja era la sovrana del suo regno e presto sarebbe stata la regina di quelle donne, eppure in loro presenza, in quel frangente, si sentì vulnerabile, ignorante e terribilmente giovane. Ebbe l’impressione di essere un anatroccolo implume al cospetto di maestosi cigni. Si lasciò denudare in silenzio, loro le si fecero attorno, prendendole le mani e i piedi, accarezzandole le braccia e le gambe e facendole complimenti sul tono e sul colore della pelle e Deja non riuscì più a trattenere il turbamento, davanti a quell’usanza così aliena e lontana da lei, che non riusciva a trovare nessun appiglio con alcuna sua esperienza pregressa e che la lasciava sperduta come una chiatta alla deriva e senza terra all’orizzonte. Le sfuggì un debole singhiozzo e una lacrima.
Sali le asciugò la guancia, intimando a tutte di lasciarle spazio per respirare.
- Mia signora, no! Non pianga. Non deve piangere! Oggi è un giorno di trionfo.
La donna si inginocchiò ai suoi piedi, guardandola negli occhi e catturando tutta la sua attenzione e Deja, dalle sue parole, si rese contro che doveva aver interpretato erroneamente il suo pianto.
- Le dirò quello che è stato detto a me il giorno del mio matrimonio: qui non siamo solo donne, ma sorelle e oggi, che all’apparenza è il giorno in cui veniamo date via come un oggetto, vendute e comprate, è in realtà il giorno del nostro potere. Il matrimonio può sembrare un affare da uomini, ma è nostro. Ogni moglie è regina in casa sua. L’uomo può illudersi di essere il padrone della casa, ma è la moglie che decide dove dorme, quando mangia, cosa mangia, cosa indosserà quel giorno, perché è la donna che lava e cucina. È la madre che si occupa di crescere i figli, anche quelli maschi. Racconta loro le storie che sua madre ha raccontato a lei, li allatta, li cresce, li veste, li ama. Oggi è il suo giorno e nessun uomo glielo può portare via.
Deja le fece un sorriso tremante, senza correggerla, senza dirle che lei sua madre non l’aveva mai conosciuta che era stato suo padre a crescerla, a rimboccarle le coperte la sera, mandando via la sua tata e leggendole le prime fiabe, fino a che Deja non era stata in grado di leggerle da sola e a aveva insistito a leggerle lei a lui. Le parole di Sali sottolineavano quanto diverse fossero le due culture ma, invece di scoraggiarla ulteriormente, l’aiutarono a vedere la cosa in prospettiva. Si calmò e si disse che quella era un’esperienza unica per districare la cultura rakiana e cominciare finalmente a comprenderla. Perlomeno la metà femminile della popolazione.
Annuì in maniera decisa e rivolse un sorriso complice alla sorella e alle donne di suo marito.
- E sia. Istruitemi.
Perla e Sali si scambiarono un’occhiata trionfante e Perla le porse una tazza.
- È camomilla, per calmare i nervi. La beva, mia signora, perché fino a che non avremo finito con le mani e le braccia, non potrà né bere né mangiare se non imboccata.
Deja bevve la tisana, grata del pensiero, e poi porse la tazza a una concubina vestita di giallo pallido, Oscia forse, prima di rilassarsi sulla sedia, allungando le mani e le braccia. Le donne cominciarono subito a lavorarvi, passandosi delle ciotole piene di un liquido rossastro, denso e granuloso che ricordò a Deja vagamente l’argilla. Vi intinsero delle cannucce appuntite e poi con maestria cominciarono a lasciare una striscia di sostanza sulla pelle delle mani e degli avambracci, prima i palmi e poi i dorsi. Lei guardava ammirata gli intricati disegni che comparivano: in un motivo geometrico a scacchiera le dipinsero sulle mani petali e fiori e sulle braccia, appoggiati a delicati rampicanti e intervallati da foglie, nascevano uccelli esotici e pavoni con lunghe code ornate dai tipici disegni a occhio. Finite le mani le due donne passarono ai piedi per poi risalire le caviglie mentre le loro compagne terminavano gli avambracci e cominciavano con i gomiti. Intanto parlavano, a turno, spiegando il significato di quello che disegnavano.
- I motivi floreali e le piante indicano felicità e devozione.
- Il cigno è per il successo, il pavone indica bellezza, inoltre gli occhi della sua coda scacciano il malocchio.
La donna che le stava dipingendo il ginocchio indicò il motivo astratto con cui le stavano ricoprendo le gambe: non era nulla di riconoscibile, linee e trattini, cerchietti e fiori stilizzati. Era molto elegante e a Deja ricordava le decorazioni sugli abiti di alcune concubine.
- Questo è per la fertilità e la buona fortuna.
Sali osservava annuendo ogni tanto e dando suggerimenti sui motivi da disegnare e su dove.
- Solitamente vengono dipinti solo le mani e i piedi. A me, per il mio matrimonio hanno fatto solo quelli. Ma tu sei la nostra regina e più complicati sono i disegni e più scuri, quindi più lungo il tempo di lavorazione, più onore la famiglia dello sposo mostra alla sposa.
Cara, dal suo gomito aggiunse:
- Come volevo dire prima: più scuro è il colore, più intricato il disegno, maggiore è la passione con cui lo sposo attende la sua sposa.
Guardando il risultato finale Sali si complimentò con le concubine.
- Avete fatto un lavoro straordinario.
Sospirò con un pizzico d’invidia.
- Magari avervi avute al mio matrimonio.
Scoppiarono tutte e sei a ridere e Deja fu nuovamente colpita dalla familiarità con cui si trattavano, loro che all’inizio di quella mattina erano parse tese e guardinghe, l’una nei confronti delle altre.
Perla ne convenne, sembrava molto soddisfatta del lavoro fatto.
- Sarete l’invidia di tutte le nobili signore. I nobili di corte vedranno i tatuaggi e sapranno in quale riguardo il khan vi tiene.
- Vuoi dire che tutti vedranno i miei tatuaggi?
Deja chiese con un filo di voce.
Una concubina vestita in blu rispose.
- Vedranno quelli sulle mani, sulle braccia e sui piedi e le caviglie lasceranno intuire che i tatuaggi proseguono, ma quelli sono solo per gli occhi del marito.
Le bendarono braccia e gambe, così da permetterle di muoversi e rivestirsi. Le donne chiamarono le servitrici rakiane a portar via le ciotole di henné avanzato e si tolsero i grembiuli, alcune avvolgendosi la stola sui fianchi e drappeggiandola sulla spalla e sul petto. Nessuna si rimise il blouse. Un discreto bussare annunciò la divra che con un sussurro avvisò che l’abito era arrivato. Sali si lasciò sfuggire un gridolino di gioia e battendo le mani le intimò di portarlo dentro. La divra lo distese su un divanetto. Era rosso. I pantaloni erano in seta finissima, quasi trasparente. La gonna e il blouse erano iridescenti, la stoffa fresca e liscia al tatto, i bottoncini del blouse decorati da minuscoli rubini. L’orlo della gonna era interamente ricoperto di filo d’oro e decorazioni floreali e rampicati salivano a spirale dal bordo fino alla cintura in filo d’oro intrecciato. Non c’era la stola ma un enorme velo rosso semi trasparente, decorato con piccoli fermagli in oro a forma di fiorellini e uccellini.
Le donne lo ammirarono, dicendole che era davvero stupendo, poi Perla si voltò verso di lei.
- Ha già pronti i gioielli?
Deja fece un vago cenno verso la porta, senza staccare gli occhi dal vestito. Improvvisamente l’abito che Zaron aveva indossato al loro matrimonio a Issa aveva senso: il rosso doveva essere il colore per le nozze, a Rakon. Purtroppo lei non possedeva molti rubini, preferendo acquemarine e topazi a tutte le altre pietre.
- La mia ancella, Larissa, lei ha il mio portagioie.
Una delle concubine si sporse dalla porta, confabulando con la servitù in attesa e dopo pochi attimi Larissa entrò, portando a fatica lo scrigno contente i gioielli di Deja.
Si bloccò un attimo sulla soglia, arrossendo, vedendo quelle donne seminude ma a un cenno del capo della sua signora si riscosse e si affrettò a poggiare il suo pesante carico sul tavolo. Lo aprì e poi fu congedata. Deja, assieme a Perla e a Sali vi guardarono dentro.
- Avevo inizialmente pensato di portare la corona, ma poi mi hanno detto che lo sposo toglie tutti i gioielli della sposa e quindi… Quali gioielli pensate siano i più adatti?
Le due donne si scambiarono un’occhiata e poi cominciarono a rimuovere alcuni gioielli dallo scrigno. Presero collane d’oro, braccialetti e anelli, ma solo quelli con perle e rubini. Poi Perla si bloccò di colpo, voltandosi di scatto verso Deja e sollevandole il mento, facendole girare il capo ed esclamando con sorpresa e costernazione:
- Non ha le orecchie forate!
Deja si liberò.
- Certo che no!
Poi, difronte ai loro sguardi.
- È un problema?
Perla assunse un’aria cupa.
- Devo mandare un messaggio a Palazzo: ho preparato io i gioielli che il khan vi deve mettere oggi e ho messo tra gli altri anche un paio di orecchini. Non sapevo quanti fori aveste alle orecchie e lui non me lo ha saputo dire, gli uomini possono essere di vista acuta ma questi dettagli a volte proprio gli sfuggono. Sono andata sul sicuro e ho immaginato che alla peggio aveste avuto un solo foro per lobo.
Poi indicò le proprie orecchie, seguita da Sali. Entrambe le donne indossavano almeno una decina di orecchini a testa. Sali aveva anche un piccolo diamante alla narice destra.
- Scusatemi, faccio in un attimo.
Perla si rimise il blouse grigio e il velo, prima di uscire in tutta fretta. Intanto Sali aveva scelto tre collane e cinque anelli, dopo aver osservato con interesse il sigillo, che Deja scartò con decisione: né il sigillo né la corona le sarebbero stati tolti da chicchessia. Neanche per il tempo della cerimonia nuziale, piuttosto non li avrebbe indossati.
- Quindi questi sono la vostra corona e il vostro sigillo personale?
Sali sembrava davvero interessata e Deja considerò che dovesse sembrarle strano vedere in possesso di una donna quelli che erano i simboli di un potere che a Rakon era prettamente maschile.
- Sì. Il sigillo è personale, me lo sono fatto fare su misura quando sono diventata regina. La corona invece era di una mia bisnonna: a quanto pare era parecchio minuta. Io invece spero di diventare alta quanto mio padre, che è più alto di me di una testa.
- E i tuoi sudditi ti ubbidiscono, anche se sei femmina?
Anche le concubine sembravano incuriosite.
- Sì, ovviamente. Tra i nobili del mio consiglio ci sono anche delle donne. O almeno c’erano, prima che il khan mi imponesse dei nobili rakiani. Adesso c’è una sola donna, lady Vidissa: lei è l’esperta di leggi commerciali e Issa è una città portuale, viviamo principalmente di commercio.
Sali la guardava a occhi spalancati, le sue labbra componevano la parola “consiglio” e “leggi”, poi si distesero in un ampio sorriso.
- Tu sei una regina, e sei abituata a comandare, vero? E non solo in casa.
Sembrava estremamente soddisfatta.
- Direi che appena Perla ritorna possiamo iniziare l’ultima parte della preparazione alla tua futura vita matrimoniale.
Perla tornò presto, accompagnata dal pranzo. Le donne si rivestirono e si misero a tavola con Deja. Mentre mangiavano chiacchieravano degli avvenimenti a corte, cercando di includere la sposa spiegandole chi erano le persone di cui parlavano.
- Si dice che la nobile Priska sia incinta, è vero?
La domanda era stata rivolta a Sali.
- Sì, verissimo: è gonfia come un’anguria. Varkis va già vantandosi di un altro maschio.
Tallia rise senza freni e poi aggiunse con un pizzico di malizia.
- Sì, ma sarà suo figlio o suo nipote?
Sali si rivolse a Deja.
- Il nobile Varkis era vedovo, ha superato gli ottanta e ha sposato una ragazza giovane, lei ha circa diciotto anni e suo marito ha in casa ancora i figli della sua quarta moglie, che sono ventenni.
Poi rispose alla insinuazione di Tallia.
- Sono sicuramente di Varkis. Quel vecchio sembra cieco e sordo ma ti assicuro che ha la vista lunga e governa con pugno di ferro la sua numerosa prole: i suoi figli sono terrorizzati dall’idea di venire esclusi dall’eredità, nessuno si azzarderebbe anche solo a guardare in direzione della sua giovane moglie. E poi conosco la nobile Priska: è furba e ambiziosa, se anche avesse messo gli occhi su un altro uomo, non sarebbe mai così sciocca da generare figli che non sono di suo marito!
Finito il pasto aspettarono che tutto fosse portato via e che le servitrici portassero bacinelle colme d’acqua tiepida e panni, prima di spogliarsi nuovamente e invitare Deja a sedere e a spogliarsi. Le tolsero le bende e cominciarono a lavare via delicatamente l’eccesso di pasta rossa.
Sali riprese la parola.
- Quando mi sono sposata è stata mia suocera a istruirmi. Non sto qui a raccontarti di mia madre, perché non è il luogo né il tempo, ti basti sapere che il suo matrimonio non è stato felice e non ha avuto consigli utili da darmi, non ti dirò cosa mi disse come non lo dirò alle mie figlie, quando sarà il loro momento.
Le concubine annuirono, conoscevano bene la nobile Ingis.
- Mia suocera mi disse di non avere paura, che la paura è il tuo nemico durante la tua prima notte di nozze, non tuo marito. La paura ti irrigidisce, ti fa essere un tronco di quercia: dura e inflessibile, quando invece devi essere come l’acqua: fluida, che si piega e accoglie il marito. Ora considera questo, cos’è più forte: il tronco di una quercia che si spezza col vento, che si riduce in polvere con il fuoco, o l’acqua, che si lascia trasportare, che si lascia condurre dove vuole la mano dell’uomo, ma che non puoi estinguere, che non puoi abbattere? Il fuoco la fugge, la pietra ne viene inghiottita per non essere più rivista, il legno ne viene impregnato e marcisce e non può contenerla per sempre, la terra l’accoglie e la lascia passare. L’acqua si piega ma non si può vincere, l’acqua accoglie e inghiotte e può uccidere.
Sali chiuse gli occhi per un attimo, il volto contratto dal dolore e Deja ricordò con un lampo di compassione il fratello della principessa, morto annegato.
- Tu devi essere come l’acqua, accogliente, fresca e, alla bisogna, impetuosa e selvaggia. Devi accogliere tuo marito ed essere la fonte a cui desidera abbeverarsi, non devi respingerlo e renderti impenetrabile.
Sali tornò a sorridere, gioiosamente, e i suoi occhi si riempirono di tenerezza.
- Poi mia suocera mi parlò di Brafit. Di com’era nell’intimità della sua casa e io ebbi la conferma che avevo scelto bene mio marito.
Deja la guardò con curiosità.
- Quindi hai scelto tu tuo marito?
Sali rise e sospirò, sembrando una ragazzina innamorata.
- Oh sì. Mia madre e mia sorella vi potrebbero parlare male di mio padre, ma io ne ho un ricordo differente. Lui ci voleva bene, a noi figlie, e ci ha lasciato scegliere i nostri mariti, tra gli uomini che ci ha proposto lui, ovviamente. Anche alle mie sorellastre. Per questo Cefan è ancora nubile: nessuno le andava bene.
Deja ricordò l’uomo grasso e dall’apparenza poco virile che aveva conosciuto qualche giorno prima.
- E a te è piaciuto lui?
- Sì! Mio padre mi aveva proposto solo militari, prima. Poi mi ha parlato del nobile Brafit. Un burocrate che non aveva mai maneggiato la spada e ho voluto vederlo. Già all’epoca era un po’ pesante al girovita e io l’ho trovato adorabile! Quando ho detto a mio padre che ero interessata a conoscerlo lui ci ha presentati e Brafit è sempre stato cortese e gentile, mi piaceva la sua voce, così dolce. Mi ha recitato poesie e ha comparato i miei occhi alla luna e il mio sorriso alle stelle! L’ho trovato molto romantico e ho accettato di sposarlo. Con me è sempre stato molto gentile e rispettoso e a letto... è davvero straordinario e premuroso. Sono una donna felice!
Deja arrossì nuovamente, rendendosi conto dove avrebbero portato i discorsi d’allora in avanti e chiuse gli occhi con un gemito di imbarazzo, realizzando che non sarebbe più riuscita a immaginare il nobile Brafit senza sentirsi risuonare nelle orecchie le parole entusiaste di sua moglie che lo elogiava per come era a letto.
- Hai ragione, futura cognata: non siamo qui per parlare dell’abilità di mio marito. Direi che a questo punto posso cedere la parola alle concubine di mio fratello.
Con un ghigno divertito e ammiccando suggestiva, si volse verso Perla.
- Credo che inizierò parlandoti degli uomini in generale, mia signora. Mia madre, quando mi ha istruita nelle arti del talamo mi ha detto che il piacere degli uomini è facile e immediato. Aveva ragione: è facile dare piacere a un uomo, il corpo maschile sembra fatto per l’immediata soddisfazione della carne. Da questo punto di vista, gli uomini sono facili.
La maggior parte delle concubine annuiva, solo Mira guardava attenta Perla, come se quelle parole le fossero nuove.
- Il piacere di una donna è più elusivo, l’uomo deve lavorare per ottenerlo, ma è anche più soddisfacente per la donna: lei può provare piaceri diversi, a seconda di quale parte del corpo viene stimolata. E lascia che ti riveli un segreto: un uomo può provare piacere una volta sola, poi deve riposare. La donna invece può provare piacere più spesso e numerose volte se l’uomo non cede subito. In effetti, diceva mia madre, il corpo di un uomo sembra fatto per una donna sola, mentre il corpo di una donna può ricavare piacere da molti uomini.
Quest’ultima osservazione suscitò l’ilarità generale, solo Deja non rideva, confusa. Perla la guardò, perplessa.
- Mia signora, non per essere indelicata, ma sa cosa succede nel talamo nuziale, tra moglie e marito?
La ragazza si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie.
- Sì, la meccanica almeno. L’ho letto in un libro di medicina…
La voce le si affievolì davanti agli sguardi scandalizzati delle donne.
- Un libro, mia signora? Sua madre non le ha detto niente?
Deja si inalberò.
- Mia madre è morta quando sono nata. Mio padre non si è risposato e non abbiamo concubine a Issa. Quando mi è iniziato il ciclo la mia tata ha cercato di spiegarmi cosa mi stava succedendo ma la sua spiegazione era così confusa che sono andata a leggermi i libri di medicina della biblioteca: quelli sono stati più chiari, senza mi chiederei ancora da dove vengono i bambini!
Sali sembrò contrita.
- Mi dispiace, non sapevo di vostra madre. Una tata è una nutrice, giusto?
Deja annuì.
- E quindi non avrebbe avuto il coraggio di dire niente alla figlia del suo signore.
Perla riprese la parola.
- Mia signora, mi scuso nuovamente per la mia franchezza, ma... si è mai toccata, nell’intimità della sua camera?
Deja con orrore sentì il rossore diffondersi anche al collo e al petto. Non riusciva a smettere e l’imbarazzo la soffocava. Perla aggiunse con dolcezza.
- Niente vergogna, ricorda cosa abbiamo detto questa mattina?
Deja sospirò e poi gracchiò con una voce non sembrava neanche la sua.
- No, non l’ho mai fatto, anche se a volte mi sono sentita… strana.
Le donne scossero il capo, sconsolate. Sali riprese a parlare.
- Questo non è un bene. Se non sai cosa ti piace come puoi dirlo a tuo marito? Il consiglio più prezioso di mia suocera è stato proprio questo. Quando sarai sola con il tuo sposo nella camera da letto, mentre lui combatte per toglierti tutti i gioielli e poi gli abiti, lascialo fare, non aiutarlo, ma parlagli. Digli che sei spaventata, se hai paura, digli che sei eccitata, se lo sei, sii sincera. Stuzzica il suo orgoglio maschile, dicendo di avere timore della sua virilità e chiedigli di essere gentile e lento. E soprattutto, quando siete nudi a letto e lui comincia a toccarti, mostragli senza vergogna cosa ti piace, incoraggiandolo con gemiti e una reazione entusiasta ogni volta che lui ti dà piacere.
Le concubine annuivano con vigore.
- Ora, non so come sia mio fratello quindi…
Perla riprese la parola, con un sorriso.
- Zaron è il migliore amante che una fanciulla possa desiderare. È attento, premuroso, e mette il piacere della sua compagna davanti al proprio.
Le altre concubine risero e Tallia si inchinò con reverenza alla donna più anziana.
- Tutto merito tuo, oh dea dell’amore, che hai insegnato tutto quello che c’è da sapere sulle arti del talamo al nostro venerabile khan.
Questo suscitò l’ilarità delle concubine e la reazione interdetta di Deja e Sali. Perla parve imbarazzata ma poi rispose a tono alle sue compagne.
- È vero, ma come sapete la modestia è la mia più grande virtù, non pensavo di parlarne.
Poi si rivolse alla regina e alla principessa, ma Tallia si intromise nuovamente.
- È stata Perla a introdurre khan Zaron ai piaceri della carne, tanto, tanto tempo fa. E ora noi, e anche voi, mia signora, abbiamo l’immenso piacere di goderne i risultati!
Per Deja fu come ricevere un pugno nello stomaco. Zaron le aveva detto che valutava Perla sopra ogni altra, le aveva anche detto che si conoscevano da vent’anni. Ora guardò Perla e vide una donna ancora molto bella, nonostante l’età, una donna che vent’anni prima doveva essere stata una ragazza straordinariamente bella, una ragazza che aveva colpito così tanto il giovane Zaron che lui le aveva chiesto di diventare la sua concubina. Sentì qualcosa divenire freddo e duro all’altezza dello sterno, rendendosi conto che lui doveva amarla davvero molto, più di quanto lei avesse considerato all’inizio. Quando aveva deciso di sposare Zaron si era disperata, pensando che non si sarebbe mai innamorata e sposata con l’uomo amato; il fatto che neanche Zaron stesse sposando la persona che amava non l’aveva neppure sfiorata. Si sentì un’egoista e un’egocentrica guardando quella donna che doveva avere il cuore di suo marito, ma che non avrebbe mai potuto esserne la moglie. Perla dovette vedere qualcosa che non le piacque nell’espressione di Deja perché sembrò allarmarsi.
- Il khan Zaron è stato uno dei miei numerosi clienti, quando ero la più ricercata cortigiana di tutta Halanda. E io, anche se sono stata la prima, non sono certo stata l’unica.
Fulminò Tallia con uno sguardo.
- Ha avuto altre amanti dopo di me, e non sto parlando solo di cortigiane.
Tallia sollevò le spalle, mostrando che il richiamo di Perla non la turbava, poi si rivolse a Mira.
- Potremmo chiedere a Mira com’è Zaron con le vergini: tu se l’unica di noi a essere passata dalla casa di tuo padre direttamente all’harem, giusto?
La donna annuì, facendosi improvvisamente timida, e Deja ricordò che Zaron l’aveva indicata come la figlia illegittima di uno dei suoi ministri.
- Lui è stato molto gentile e ha voluto conoscermi prima di giacere con me. Mi ha fatta sentire a mio agio e ha voluto sincerarsi che io fossi contenta di essere a palazzo e con lui. La prima volta lui è stato molto... attento a me, mi ha dato piacere prima, e quando alla fine mi ha preso ho sentito pochissimo dolore.
Se prima Deja aveva combattuto contro il rossore ora si sentì impallidire. Le parole di Mira le ricordarono l’atteggiamento che Zaron aveva avuto con lei nei giorni passati, era stato sempre gentile e cortese, attento a non invadere il suo spazio personale, quando la toccava era sempre parso innocente e aveva voluto conversare con lei, l’aveva voluta conoscere, soprattutto aveva voluto che Deja conoscesse lui e si sentisse a suo agio in sua presenza. Zaron aveva giurato a suo padre che non l’avrebbe toccata la loro prima notte di nozze, ma si era comportato con lei come si era comportato con Mira. Forse avrebbe pensato che, dato che ora Deja non aveva più timore di lui, avrebbe potuto… Numerose mani l’aiutarono a sedersi e le misero davanti una tazza di thè che non riuscì a bere perché qualcuno l’aveva addolcito eccessivamente.
Mira sembrava agitata e si torceva le mani, scusandosi con Perla.
- Mi dispiace, pensavo che raccontandole di come lui era stato con me si sarebbe rasserenata. Non avrei mai creduto che reagisse in questo modo.
- Basta adesso.
Intimò Perla, poi si rivolse a Tallia.
- Soprattutto tu. Qualsiasi cosa tu abbia da dire sulla tua esperienza personale non è di certo un buon esempio di quello che dovrebbe essere il rapporto tra un uomo e la sua sposa per una fanciulla agitata dalla prospettiva del matrimonio.
La donna più giovane si fece cupa.
- Eppure lui ha bisogno di quello che io riesco a dargli, altrimenti non farei parte della famiglia.
- Taci Tallia!
A parlare era stata Cara e Tallia sembrò sgonfiarsi difronte alla censura unanime delle altre concubine. Sollevò le mani in segno di resa.
- D’accordo, non dirò più nulla.
Sali la distrasse da quella conversazione, prendendole le mani e parlandole lentamente e con dolcezza.
- Mia signora, non deve aver paura. Mi rendo conto che questi discorsi possono turbare gli animi più sensibili, ma la imploro: non abbia paura. Soprattutto non di mio fratello. È un uomo spietato con i nemici ma con i suoi familiari è sollecito.
Perla era d’accordo e aggiunse.
- E sarà paziente, non deve aver alcun timore di lui.
Poi si rivolse alla principessa.
- Altezza, per cortesia, potrebbe andare a vedere se i fiori sono pronti? Così possiamo cominciare a vestire la regina.
Sali la guardò, interdetta, poi sembrò comprendere che era una scusa per allontanarla e annuendo lentamente accettò di uscire dalla stanza, lasciandole sole.
Una volta che la principessa fu uscita Perla si rivolse nuovamente a Deja.
- Mia signora, non deve agitarsi: noi sappiamo che khan Zaron non ha nessuna intenzione di consumare il matrimonio né oggi né in un prossimo futuro, ma la principessa deve esserne invece convinta, riesce a capire?
Deja chiuse gli occhi, tremando. Poi annuì, sentendosi sollevata e confortata.
- Siamo spiacenti se i nostri racconti l’hanno indotta a credere il contrario. Perché è di questo che si è trattato, vero?
Deja annuì nuovamente, non fidandosi della sua voce.
Dopo qualche attimo Sali rientrò con collane di fiori bianchi e profumati tra le braccia.
- I fiori sono pronti e la processione nuziale attende solo la sposa!
Le concubine furono infervorate dalla notizia. Il conflitto di prima completamente dimenticato, si passarono un olio dal profumo inconfondibile di olive e lo spalmarono sulla pelle tatuata di Deja, poi applicarono un unguento al profumo dolce di fiori sul suo collo e sul petto e addirittura sulle cosce.
Perla, con un’espressione indecifrabile sul volto, le porse una tazza contenente una tisana sulla cui superficie galleggiavano ancora dei piccoli semi rossi a forma di cuore.
- Beva mia signora.
Le intimò. La principessa sobbalzò vedendo cosa Perla le aveva dato.
- Cos’è?
Le chiese Deja, allertata dalla reazione di Sali.
- È una tisana di silfio*.
- Un anticoncezionale,
Precisò la principessa.
- È molto efficace, anche se ha un gusto terribile. Non è una cattiva idea, mia signora.
Deja guardò a turno le due donne e poi lentamente e con mano tremate si portò la tazza alle labbra. Aveva un gusto davvero orribile e odorava vagamente di finocchio.
- Lo beva tutto, non è il caso di rischiare una gravidanza in così giovane età. Ci sarà tempo più avanti.
Le disse a bassa voce Perla, togliendole dalla mano la tazza vuota. Poi l'aiutarono a vestirsi, sciogliendole i capelli e legando indietro con un nastrino rosso solamente le due ciocche delle tempie, per agganciare il velo, le spiegarono. Oscia aggiunse ridendo.
- Solitamente la sposa ha anche degli ornamenti per i capelli, ma ieri pomeriggio mi sono offerta volontaria per fungere al khan da cavia e per togliermeli mi ha strappato anche parecchi capelli. Quindi abbiamo deciso che era meglio che si limitasse a metterli!
Le donne risero e Deja si unì a loro con un sorriso tirato e nervoso.
Oltre alle collane in oro le misero anche tre collane di fiori e, una volta applicato il velo, le poggiarono sulla testa una corona floreale.
Deja sfiorò i fiori che portava al collo, sotto il lungo velo rosso che la ricopriva interamente e che toccava il terreno.
- Sono bellissimi, hanno qualche significato?
Fu Cara a rispondere.
- Portano fortuna e chi non può permettersi dei gioielli può almeno permettersi dei fiori e se un povero può ricoprire la sua sposa di fiori perché il khan dovrebbe essere da meno?
- Il velo non è troppo lungo? Come farò a non inciampare?
- Ci penseremo noi.
Rispose Sali.
La principessa e le concubine si erano rivestite interamente. La principessa aveva fissato alla capigliatura un velo bianco trasparente che le ricopriva delicatamente i capelli senza occultarli. Le concubine invece indossarono un velo pesante che lasciava appena intuire il loro profilo e che scendeva davanti e dietro fino quasi alle ginocchia ma che a lato era più corto, lasciando scoperte le mani e parte degli avambracci.
Vedendo che Deja le fissava, incuriosita da tale differenza, Sali spiegò.
- Le concubine sono solo per il loro signore. Una donna nobile e sposata può invece far vedere il suo viso senza problemi.
Le donne la circondarono ai lati e dietro, con Sali e Perla rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra, le presero ognuna un lembo del velo, sollevandolo e così facendo, come una sola persona, uscirono dagli appartamenti che Deja aveva occupato in quei due giorni e che non avrebbe occupato più. Uscite dalla casa ad attendere la sposa c’era un tappeto di petali rossi e bianchi che dalla porta del palazzo ricopriva la strada che avrebbe dovuto fare fino al Palazzo Reale. Un seguito armato di soldati issiani in alta uniforme l’avrebbe scortata, i servitori che portavano le casse dei doni l’avrebbe preceduta.
Con Rispra aveva controllato le casse e aveva constatato che suo padre aveva scelto bene. Una conteneva del raro sale rosa, molto suggestivo ma puramente decorativo, una conteneva un fonografo decorato con intagli in madreperla, un’altra conteneva oro e gioielli e difronte a questa Deja aveva fatto una smorfia dispiaciuta, consapevole di come la guerra contro Rakon avesse ridotto il tesoro reale e riconoscendo con un tuffo al cuore alcuni dei gioielli materni tra quelli offerti. L’ultima cassa conteneva bottiglie di vino d’annata, distinguibili per le etichette sbiadite dal tempo, che Deja sapeva essere molto ricercate e molto costose e che dovevano provenire dalla tenuta del suo zio materno, che le collezionava.
Infine, davanti ai servitori con le casse, c’erano dei suonatori di flauto e tamburello che annunciavano il passaggio del corteo nuziale.
Il percorso da fare era di pochi minuti e presto attorno al corteo si radunò una piccola folla di uomini e donne che vociavano festosi e lanciavano petali di fiori sulla sposa, che andavano a depositarsi sulle anse formate dal velo retto dalle sue accompagnatrici.
Molto presto giunsero in vista del Palazzo Reale. Attraversarono le porte esterne, entrando in un ampio cortile pavimentato dove l’attendeva Zaron circondato dalla sua corte disposta in modo da fare da ala al corteo, i nobili sulla sinistra e le loro mogli sulla destra.
I doni furono presentati allo sposo che fece mostra di esaminarli con attenzione. Si soffermò soprattutto sulla cassa contenente il fonografo e Deja fu sicura che la curiosità con cui esaminava quel particolare dono fosse sincera. Da quello che il velo le permetteva di vedere, Zaron era vestito di rosso anche questa volta, persino i suoi stivali erano di cuoio tinto dello stesso colore dei pantaloni e della casacca. I ricami dorati erano più accentuati e poteva scorgere il luccichio di pietre preziose, sicuramente rubini, intessuti nei ricami. Indossava nuovamente numerose collane d’oro e anelli e anche lui aveva al collo dei fiori bianchi, identici ai suoi. In testa portava una corona ingemmata e Deja era certa che avesse lo stesso disegno rosso sulla fronte che aveva avuto durante la cerimonia issiana. Si rammaricò di non averne chiesto il significato a Sali quando ve n’era stata la possibilità.
Infine lui si avvicinò a lei e Deja sentì la tensione rimontarle dentro. Un uomo con delle lunghe vesti gialle si mise di fianco a loro e cominciò a recitare delle benedizioni, invocando Stave, la dea della famiglia e del matrimonio, affinché riconoscesse come valida quell’unione e la rendesse feconda. Poi Sali e le concubine lasciarono andare il velo e si allontanarono e Zaron le tolse la corona di fiori prima di prendere il velo da davanti, sollevandolo lentamente, scoprendole il capo e lasciandolo cadere alle sue spalle, spinto a terra dal peso degli ornamenti dorati.
Deja ignorò i bisbigli della corte, scrutava il volto di Zaron e lo vide spalancare leggermente gli occhi per la sorpresa alla vista dei tatuaggi rossi che le decoravano le mani, gli avambracci e che salivano appena più su dei suoi gomiti. Due giovani servitrici a capo chino si disposero a fianco a lui, entrambe reggevano degli scrigni aperti, uno pieno e uno vuoto.
Silenziosamente lui cominciò a rimuoverle i gioielli, prima le collane, poi gli anelli, baciando ogni dito e infine i braccialetti, accarezzando con le dita i disegni che si attorcigliavano sinuosamente sui suoi polsi.
Deja tremava, si sentiva terribilmente esposta, in quell’abito così strano che ai suoi compatrioti doveva sembrare terribilmente rivelante, quei tatuaggi bellissimi ma esotici e il khan che le accarezzava la pelle in modo suggestivo e difficilmente equivocabile. Ed era appena a metà.
Zaron aveva depositato i suoi gioielli nello scrigno vuoto e poi cominciò a pescare da quello pieno, prima gli ornamenti per i capelli, lunghi pendenti dorati con minuscole campanelle che le fissò alle tempie, in modo che ricadessero sulle sue orecchie a imitare degli orecchini, poi una catenella da cui partivano a rete rubini e diamanti e che, una volta poggiata sulla fronte e sui capelli, si adagiava a imitare una corona, poi le mise al collo una mezza dozzina di collane lunghe appesantite da granati, rubini e perle e infine le passò al collo una lunghissima collana che poi le incrociò davanti tra i seni e dietro, sulla schiena, finendo poi di agganciarla poco sotto l’ombelico, e che lei realizzò essere un’elaborata cintura**. Sopra tutto mise un’altra corona di fiori bianchi. Poi le mise i bracciali, tutti rigidi e rotondi, alcuni semplicemente ingemmati, altri ritraevano vari animali e la lavorazione a sbalzo ne imitava la pelliccia o le piume. Infine Zaron si accovacciò ai suoi piedi, scostandole la gonna per scoprire le caviglie tatuate. Si fermò per un attimo a contemplare i disegni che salivano dal dorso del suo piede fino oltre il bordo dei pantaloni e poi le agganciò altri bracciali rigidi, cavigliere le aveva definite Perla, quattro per gamba. Tutti quei gioielli pesavano, soprattutto i bracciali che le occupavano buona parte dell’avanbraccio. Per ultimo Zaron si fece passare un sottile velo rosso, tempestato di rubini, e lo agganciò al retro della coroncina, in modo che cadesse come quello bianco di Sali, e rivolgendosi agli ansanti declamò a gran voce.
- Mirate la mia sposa: Deja, regina di Issa e da oggi regina di Rakon e imperatrice dei Zabad.
Tutti gli uomini e le donne presenti si inchinarono con deferenza alla volta della loro nuova sovrana.
 
* Silfio: è una pianta davvero esistita, che cresceva sulle coste della Cirenaica. L’uso massiccio che se ne fece in età romana la portò all’estinzione. Il suo uso come contraccettivo era solo uno dei tanti: veniva utilizzata anche in cucina e come medicina per tosse, indigestione, verruche, ecc. Non ho idea come venisse assunta per il suo uso come anticoncezionale, né che sapore avesse quindi ho inventato. Che i suoi semi avessero la forma di cuore è vero e ci sono alcuni che ipotizzano che il simbolo del cuore come lo conosciamo noi derivi appunto dalla forma dei semi di questa pianta.
**Questo tipo di cintura-collana l’ho vista su un servizio riguardante i gioielli rinvenuti a Pompei, peccato che la mia descrizione non le renda giustizia.
 
NOTE DELL’AUTRICE: Finalmente sono riuscita a descrivere i vestiti delle donne rakiane! Sono sicura che avrete riconosciuto il sari indiano, ho fatto una piccola ricerca e il costume tipico delle donne indiane varia a seconda della regione, io mi solo ispirata a quello più suggestivo (per me). Un piccola curiosità che ho scoperto: il blouse, quello stretto top che indossano le donne indiane, è stato imposto dagli inglesi, dato che le donne giravano a torso semiscoperto, avendo solo il sari a coprire metà seno.
Infine, se ci sono uomini che leggono, spero non si siano sentiti offesi dal mio definirli “facili”. Io mi limito a riportare il pensiero dei personaggi che, come sa ogni scrittore, non sempre corrisponde a quello dell’autore. La parte di “parla con lui mentre è impegnato con i nodi del vestito” e “il piacere degli uomini è facile, quello delle donne è elusivo” l’ho presa da una fanfiction su Archive of Our Own: “A Bed of Thorns” una Rumbelle di Nym, fantastica scrittrice, se vi piace la coppia Tremotino/Belle di Once Upon a Time, andate a leggerla: lui come prezzo per il suo aiuto chiede una moglie, non una domestica.

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Capitolo 4
*** Luna di fiele ***


IV. LUNA DI FIELE

 
 
L’interno del Palazzo Reale di Halanda non era affatto come Deja se l’era immaginato.
Le rare volte in cui si era soffermata a pensare alla sua futura residenza, aveva sempre immaginato una struttura similare al palazzo dove aveva sempre vissuto, a Issa, caratterizzato da un’architettura che favoriva le linee semplici, con corridoi lineari e ampie sale soleggiate.
Il Palazzo Reale di Halanda invece era vivacemente decorato con ampie pitture a parete che ritraevano paesaggi verdeggianti con variopinti uccelli esotici. I pavimenti erano in marmo o in mosaici geometrici, i corridoi dotati di numerose alcove da cui soldati vestiti di rosso facevano la guardia e servitori dalla livrea marrone scuro si inchinavano con lo sguardo puntato a terra al passaggio del khan, la sua regina e i loro ospiti. Il salone rettangolare in cui Zaron la condusse, seguito da tutti i nobili, aveva il pavimento di marmo giallo lucidato a specchio. Il lato destro della sala era colonnato e dava su un giardino lussureggiante, il lato sinistro era decorato da un impressionante mosaico bianco e nero che ritraeva linee e curve che rappresentavano la stilizzazione di fiori e piante. Il soffitto a volta era sorretto da numerose colonne dall’apparenza fragile con capitelli incisi in delicati arabeschi.
L’enorme sala era occupata da due file di tavoli bassi con larghi sgabelli imbottiti dotati di ampi cuscini dorati, disposti in modo da lasciare un ampio spazio centrale e un tavolo singolo disposto sul lato opposto da quello da cui erano entrati; Deja riconobbe la disposizione per la similitudine con quella del ricevimento di nozze che si era svolto ai giardini reali a Issa. A differenza di quell’occasione però i posti a sedere erano sistemati solo su un lato di ciascun tavolo e la ragione fu evidente quando gli invitati si apprestarono a prendere posto: gli uomini si sedettero al tavolo vicino all’esterno, con la schiena rivolta al giardino, le donne a quello vicino alla parete mosaicata, a fronteggiare i loro uomini. Deja si sedette dalla parte delle donne e Zaron da quella degli uomini. Ci fu un attimo di confusione in quanto le servitrici che accompagnavano le ospiti ai loro posti non seppero dove far sedere le quattro lady issiane che avevano accompagnato Deja, quattro perché alla giovane Aduna, nonostante le sue proteste, era stato intimato di rimanere alla residenza loro assegnata. La principessa Sali ordinò alle servitrici di portare altri quattro coperti e di far sedere le nobili ospiti vicino alla loro regina, ma sul lato interno della tavolata, difronte a sé. La divra di palazzo chiese conferma dell’ordine a Zaron in persona che acconsentì con un brusco cenno del capo, dopo essersi brevemente consultato con Deja. Sali sembrava molto soddisfatta di aver ottenuto posti vicini per le ospiti issiane e di sicuro le avrebbe a lungo interrogate sugli usi della terra natia.
La tavola rakiana era davvero particolare, considerò tra sé e sé Deja, sedendosi. Il tavolo era molto basso e gli sgabelli, pur essendo molto comodi e spaziosi, erano troppo bassi per essere definiti sedie e permettevano di stare seduti comodamente solo incrociando le gambe o allungandole sotto il tavolo. Da seduta Deja poteva facilmente toccarsi le caviglie e ringraziò l’abito rakiano che le permetteva di star comoda. Guadò con commiserazione le quattro lady issiane che indossavano eleganti abiti tradizionali dalle ingombranti gonne e bustini rigidi che impedivano loro di chinarsi verso il tavolo basso. Le nobildonne rakiane invece stavano reclinate, appoggiate ai cuscini e gli spacchi lungo le gonne permettevano loro di muovere meglio le gambe, modestamente coperte dai pantaloni.
Cominciarono ad arrivare le portate e tra una e l’altra, a intrattenere gli ospiti che mangiavano, al centro della sala si svolgevano spettacoli di vario tipo: giocolieri a torso nudo che facevano volare palle colorate e addirittura bastoni infuocati, danzatrici coperte da diafani veli dorati e dai lunghi capelli neri sciolti che danzavano sinuose e suggestive al suono delle numerose campanelle bronzee fissate alle cinture e legate ai polsi e alle caviglie. L’intrattenimento che Deja gradì di più fu quello di una graziosa fanciulla che si sedette al centro della sala su uno sgabello portato appositamente per lei e suonò una melodia dolce e struggente con uno strumento a corda straordinariamente intarsiato, simile a una chitarra.
- È meraviglioso.
Sussurrò emozionata a Zaron, dopo il primo spettacolo della suonatrice.
- Sono contento che ti piaccia. Lo strumento si chiama sitar e Mira è straordinariamente brava a suonarlo. Sono sicuro che sarà lieta di esibirsi per te.
Deja annuì contenta poi, mentre portavano una nuova pietanza, Zaron riprese a parlarle.
- C’è una cosa che volevo chiederti. La divinità principale della tua gente è una dea, giusto?
- Sì, la dea Lona.
Zaron bevve un sorso dal calice che avevano in comune. A quanto pareva per rafforzare il legame i neosposi mangiavano dallo stesso piatto e bevevano dallo stesso calice.
- Parlami di lei.
- Lona è la dea della luna, porta luce nell’oscurità e soprattutto governa le maree. È la madre di Naraìs, la dea dei venti, e sorella di Palos, il dio del sole. Issa è molto legata alla venerazione di Lona perché si dice che abbia scelto proprio il golfo di Issa per partorire sua figlia. Inoltre, essendo la luce della notte è la protettrice di coloro che ricercano la conoscenza e quindi patrona dell’Accademia delle Scienze.
Zaron sembrò considerare qualcosa per un attimo e poi sorrise divertito.
- Lo sai che tra tutti i regni che ho conquistato Issa è l’unico a venerare come divinità principale una dea invece che un dio?
Deja sollevò un sopracciglio.
- E Rakon, quale dio venera più di ogni altro?
Zaron sorrise ironicamente e poi chinò il capo, come se stesse per sussurrarle un segreto.
- Thiros, il dio della guerra, chi altro?
Scoppiarono entrambi a ridere.
- A essere sinceri le divinità sono tre: Vurgul, il dio del fuoco che risiede nei vulcani, sua moglie Stave e il loro figlio Thiros. Tutti i guerrieri venerano Thiros ed essendo Rakon un regno a vocazione militare… il dio della guerra ha finito per essere il più venerato. La luna non ha una divinità, perché viene considerata come il semplice riflesso di Gasto, il dio del sole, ma la dea del cielo è Sien ed è la sposa di Thiros.
Poi aggiunse con una smorfia e parlando a voce bassa, come sovrappensiero.
- Ma lui non ha tempo per lei e per consumare le loro nozze: è sempre impegnato a combattere quindi Sien attende, eternamente vergine, nel firmamento notturno, che il suo sposo la raggiunga.
L’argomento aveva toccato un tasto vicino alla loro situazione e per spezzare la tensione che era venuta a crearsi Deja cercò di distrarlo con altro.
- Ho notato che nel cibo c’è un’abbondanza di verdura, poca carne e niente pesce.
Zaron accolse il cambio di argomento.
- Data la conformazione del mio regno è più facile far crescere verdure e cereali che allevare grandi animali: noterai che la carne servita è principalmente di pecora. Le foreste dell’ovest sono state abbattute secoli fa per far spazio ai campi quindi la selvaggina è scarsa. In quanto al pesce, c’è solo quello di fiume, ma non a Halanda, che si trova lontano da ogni fonte d’acqua corrente. Non vale la pena importarlo perché con il caldo che c’è va subito a male.
Zaron parve a questo punto animarsi e i suoi occhi si illuminarono.
- A questo proposito, desideravo parlare con te della possibilità che i cantieri issiani comincino a produrre aeronavi dedicate all’esclusivo trasporto di merci. Immagina il commercio via aerea! Niente strade, niente rischio di essere attaccati da briganti. Un viaggio breve che permetta il trasporto di merci esotiche e facilmente deperibili a lunga distanza. Potremmo avere pesce fresco qui a Halanda.
Deja aveva annuito lentamente, considerando la proposta di Zaron. Issa basava la maggioranza del suo commercio sul trasporto via mare, le aeronavi non erano mai state prese in considerazione come possibili mezzi di trasporto di merci perché poco pratiche in quanto i regni vicini non avrebbero permesso il passaggio di mezzi che non potevano controllare, e tassare, alle frontiere. Ma adesso che tutto Zabad era divenuto un unico impero il problema era risolto e per il trasporto aereo si potevano aprire nuove possibilità, prima impensate.
I due sposi cominciarono a discutere della faccenda, parlando di leggi commerciali e usando le pietanze nel piatto come una rappresentazione del loro regno per tracciare possibili rotte.
I nobili signori e le nobili signore rakiane li osservavano, confabulando tra di loro dell’attenzione che il loro khan riservava alla sua giovane sposa, tanto da non badare agli spettacoli a lui offerti e da non degnare di uno sguardo i suoi ospiti. Le lady issiane soprattutto osservavano sorprese e perplesse l’atteggiamento della loro regina, non riuscendo a capacitarsi di come lei sedesse rilassata al fianco del conquistatore, conversasse e scambiasse con lui sorrisi.
Ma poi il banchetto finì e lady Pastis, che era la più vicina al tavolo degli sposi, prese nota con animo pesante di come la loro regina si fosse quietata, divenendo pallida e visibilmente tesa, gli occhi le guizzavano per la sala, mentre gli invitati si inchinavano profondamente e cominciavano a essere accompagnati fuori, a partire da quelli seduti più lontani, fino alla principessa Sali, che per tutto il banchetto le aveva interrogate su Issa e sulla loro sovrana. Il re aveva poggiato una mano sulla schiena della regina mentre le servitrici accompagnavano le lady issiane verso l’uscita e lady Pastis poté solo lanciarle un ultimo sguardo al disopra della spalla, e vederla scomparire attraverso un’altra uscita assieme all’uomo che l’aveva costretta a quel matrimonio.
 
Zaron aveva notato come Deja si era innervosita al termine del banchetto, mentre tutti i loro ospiti se ne andavano. L’aveva aiutata ad alzarsi e poi le aveva poggiato con leggerezza una mano sulla schiena, guidandola a una piccola porta sul retro della sala e che dava in uno stretto passaggio che Zaron preferiva percorrere, preceduto e seguito dalla sua scorta, per recarsi direttamente ai suoi appartamenti. Raggiunsero l’ampio corridoio che portava all’ingresso dell’ala femminile del palazzo la cui porta era dirimpetto a quella dei suoi appartamenti privati e lì le sue guardie si fermarono. Aveva provato a prendere la mano di Deja per poggiarsela nell’incavo del gomito, ma lei aveva tenuto le braccia rigide lungo i fianchi, i pugni chiusi. I servitori aprirono con un inchino le porte delle sue camere e le richiusero silenziosamente al loro passaggio. Zaron, sempre più indispettito, spinse Deja verso la propria camera da letto. La ragazzina, alla vista del talamo entrò in panico, allontanandosi da lui con uno scatto e un gemito di terrore, arretrando fino ad avere le spalle contro il muro e sollevando le mani come a difendersi.
Zaron sbuffò esasperato, aggrottando la fronte e irritandosi ulteriormente: durante la cerimonia e il banchetto era andato tutto bene e lei era stata tranquilla e rilassata, e adesso quello! Tuttavia fece un passo indietro, per mostrarle che non aveva intenzione di avvicinarla e cercò di mantenere un tono di voce calmo.
- Deja, cerca di calmarti. Di cosa hai paura?
Lei guardò lui e spostò velocemente lo sguardo sul letto prima di tornare a fissarlo a occhi sbarrati. Quello che temeva era evidente e Zaron non riuscì a evitare che parte del suo disappunto trapelasse dal viso e dalla voce.
- Deja! Ti ho già detto che non ti toccherò. L’ho giurato a tuo padre. Hai avuto la mia parola e ora pensi che me la rimangerò? La tua mancanza di fiducia è... offensiva.
Il suo terrore sembrò perdere intensità alle sue parole e lei si accasciò contro la parete, abbassando le mani, ma tremando ancora difronte al suo tono, non convinta che lui non le avrebbe fatto del male.
Lui sospirò ancora, spazientito, e poi decise di comportarsi come se lei non ci fosse, sperando che il suo disinteresse nei suoi confronti l’aiutasse a quietarsi. Si tolse gli anelli e le collane riponendoli in uno scrigno, lasciato su un tavolo per l’occasione, che avrebbe dovuto contenere anche i gioielli di sua moglie. Con un sospiro di sollievo si tolse la corona, massaggiandosi le tempie, poi sfilò dagli stivali e dalla cintura i pugnali che vi aveva inserito, prima di sollevare le maniche della casacca e slacciare i lacci di cuoio che avevano fissato ai suoi avambracci dei sottili coltelli da lancio. Solitamente avrebbe riposto uno di quei pugnali sotto il cuscino e un altro sotto il letto, ma considerò che forse era meglio non lasciare armi alla portata della sua nervosa sposa, quindi ripose tutto in un cassetto che poi chiuse a chiave, infilando la chiave in una tasca dei pantaloni. Poi tornò a guardare Deja.
Deja aveva dimenticato completamente le parole di Sali, di come la paura fosse il vero nemico, e aveva lasciato che il panico si impossessasse di lei mentre rimaneva da sola con Zaron. L’idea di passare la prima notte di nozze in sua compagnia, per salvare le apparenze, era sembrata fattibile e logica ma, posta difronte alla prospettiva di restare da sola con lui per tutta la notte e di dormire nel suo letto, Deja era crollata mentre i dubbi e il terrore si impadronivano di lei e le parole che suo padre le aveva detto il giorno della sua incoronazione le tornavano a risuonare nella testa: prega con me che mantenga la parola data.
Lui le aveva ripetuto la promessa fatta, ribadendo che non l’avrebbe toccata, e parte del timore l’aveva lasciata. Ma non riusciva a smettere di tremare e mentre lui si voltava per togliersi i gioielli e un’impressionante quantità di armi che aveva celato sulla sua persona, Deja cominciò lentamente a piangere, scivolando a terra e sedendosi sul pavimento. Si guardò intorno: la camera da letto di Zaron era ampia, com’era da aspettarsi essendo quella del re. Il soffitto era affrescato a rappresentare il cielo, con uccelli e nuvole. Le pareti erano mosaicate con varie scene naturali: c’erano boschi, campi, deserti e fiumi. I mobili erano in legno dorato, dalle linee semplici; il letto, posizionato al centro della stanza, era ampio, basso e ricoperto con lenzuola di seta rossa ed era provvisto di numerosi guanciali. Non c’erano finestre, ma molti lumi dotati di specchietti per aumentarne la luminosità erano disposti per la stanza. La porta da cui erano entrati era ancora aperta e Deja ne notò un’altra, a fianco di una scena di pesca fluviale, chiusa.
Sobbalzò rendendosi conto che Zaron le si era avvicinato lentamente. Rimase a una certa distanza da lei e si accovacciò, per portarsi alla sua altezza prima di parlarle nuovamente. Questa volta il viso non mostrava nessun segno di rabbia e le parole erano pacate e scandite.
- Deja, mi rendo conto che tu abbia timore, so che ci conosciamo da poco ma io mantengo le mie promesse. Ho giurato che non avrei consumato questo matrimonio finché tu non fossi cresciuta e manterrò la parola data. Devi fidarti di me Deja, o non riusciremo a convivere. Ti ho dato forse motivo di dubitare di me?
Zaron attendeva pazientemente una risposta e Deja scosse il capo.
- Ti ho forse maltrattata o toccata in maniera disonorevole?
Di nuovo Deja fece un cenno di diniego.
- Non succederà nulla qui, questa notte, Deja. Sono stanco e desidero dormire. Sono sicuro che anche tu sarai stanca, quindi perché non ti alzi da quel duro pavimento e non ti metti comoda? Puoi avere il letto, io dormirò altrove.
Inizialmente Zaron aveva pensato di poter dividere il letto con la ragazzina: era abbastanza ampio e potevano tranquillamente dormirvi entrambi senza mai toccarsi, ma data la reazione di lei a trovarsi nella stessa stanza da sola con lui, non voleva immaginare come avrebbe reagito alla prospettiva di doversi stendere al suo fianco sotto le lenzuola.
Per il momento lei sembrava essersi calmata, almeno non ansimava più di terrore né piangeva.
Con un sospiro rassegnato si diresse al suo armadio, lo aprì e dopo un attimo di esitazione selezionò una semplice camicia nera. La sua mano si fermò sopra un paio di pantaloni, ma sua moglie era così minuta che le sarebbero stati ridicolmente larghi.
Tornò da lei, che era ancora seduta a terra e che seguiva muta ogni suo movimento, e le porse la camicia.
- Prendi. Dietro quella porta chiusa c’è la mia sala da bagno: puoi cambiarti lì. C’è anche una vestaglia, dello stesso colore della camicia, mettila se ti fa sentire più a tuo agio.
Deja con mano tremante aveva preso l’indumento ed era impallidita di nuovo rendendosi conto che non c’era nessuna camicia da notte per lei, né ancelle per aiutarla a svestirsi perché, ovviamente, quella era la sua prima notte di nozze e ci si aspettava che fosse il marito a spogliarla e che poi loro avrebbero giaciuto insieme, nudi.
- Se dormi vestita il tuo abito si riempirà di pieghe e i servitori se ne accorgeranno.
Aggiunse lui, parlando lentamente prima di aggrottare nuovamente la fronte.
- Riesci ad alzarti o ti serve una mano?
Deja si era alzata in tutta fretta, appoggiandosi al muro, e poi gli era passata vicino per andare al bagno, quasi sfiorandolo, e il suo cuore aveva battuto all’impazzata per timore che lui allungasse la mano per toccarla o fermarla. Invece lui era rimasto immobile, non si era neppure voltato per seguirla con lo sguardo. Lei aprì la porta e si fermò sulla soglia, poi si girò verso di lui, guardandogli la schiena rigida.
- Grazie.
La voce uscì gracchiante, così si schiarì la gola.
- Perdonami se ho dubitato del tuo onore, offendendoti.
Poi si chiuse velocemente la porta alle spalle.
Zaron scosse la testa, sconsolato. Poi si guardò intorno, chiedendosi dove avrebbe dormito. Contemplò il tappeto facendo una smorfia disgustata: assolutamente no, non era un cane. Infine prese due sedie e le mise una dirimpetto all’altra contro la parete, prese anche dei cuscini dal letto e una coperta leggera prima di togliersi gli stivali e cambiarsi gli abiti, velocemente; dopotutto quello che aveva detto a Deja era vero: i servi se ne sarebbero accorti se avessero dormito con i vestiti del matrimonio, ma se indossavano altri abiti… quando le sue servitrici fossero entrate la mattina seguente e avessero visto Deja con addosso solo una camicia di Zaron questo avrebbe dato sostegno all’ipotesi che il matrimonio fosse stato consumato. Fece una smorfia, per nulla desideroso di dover spiegare alla ragazzina perché al mattino avrebbe dovuto macchiare di sangue le lenzuola.
Lei rientrò nella stanza avvolta nella sua vestaglia che le copriva i piedi tanto le stava lunga, e stringendosi convulsamente al petto gli abiti. Aveva ancora i gioielli addosso. Le si avvicinò lentamente.
- Puoi riporre i gioielli in quello scrigno, sul tavolo. Se desideri puoi già andare a letto, io dormirò sulla sedia.
Le indicò il tavolo e le sedie.
- Adesso, se permetti, vorrei usare anche io il bagno.
Proseguì, con tono ironico.
Lei trasalì e si scostò dalla porta, lasciandolo passare.
Finite le abluzioni rientrò nella stanza, aspettandosi di trovarla già rannicchiata sotto le coperte e invece lei era in piedi, davanti al tavolo. Si era tolta quasi tutti i gioielli, tranne un paio di braccialetti.
- Non riesco ad aprirli.
Gli porse esitante il braccio desto e Zaron aprì la chiusura, che quel pomeriggio aveva fissato con troppa forza, e glieli sfilò, stando attento a toccarla il meno possibile. Mentre li riponeva nello scrigno Deja però lo sorprese, sfiorandogli la manica della casacca.
- Zaron… Perdonami per come mi sono comportata questa sera, ma… sono stanca, spaventata e tanto lontana da casa…
Deja aveva ripreso a piangere, lui voleva confortarla ma rimase immobile, lasciandola finire.
- Grazie per la tua pazienza. Mi fido di te e della tua parola.
Zaron annuì, rasserenandosi.
- Va bene. Scuse accettate. Ora prova a riposare Deja.
Lei lo lasciò e si infilò sotto le coperte, senza togliersi la vestaglia. Lui fece il giro della stanza, spegnendo quasi tutti i lumi, lasciandone acceso solo uno, coperto da un paralume che lasciava la stanza quasi completamente al buio ma che gli permetteva di vedere ancora e muoversi senza dover procedere a tentoni. Cercò di sistemarsi meglio che poteva sulla sedia, poggiando la testa contro il muro e allungando le gambe. Rilassò i muscoli e rallentò il respiro, scrutando la forma di sua moglie. Ne vedeva a malapena il profilo delineato dalle lenzuola, lei aveva girato il corpo dandogli la schiena, ma nel silenzio poteva sentire il respiro affrettato e spezzato causato dai singhiozzi che cercava di soffocare con il cuscino. Lei ci mise molto ad addormentarsi e lui fece ancora più fatica, data la posizione scomoda.
Gli dispiaceva sinceramente per come era andata a finire la serata, era amareggiato e frustrato dalla sfiducia che lei gli aveva dimostrato. Lui non usava violenza alle donne e di certo non toccava le ragazzine. Non lo aveva mai fatto, anche se la sua avversione era uno sviluppo abbastanza recente. Non aveva mai fatto caso a quanto giovani fossero alcune prostitute, né all’età in cui si sposavano molte fanciulle. Le ragazzine non gli erano mai interessate, preferiva le donne mature, dalle forme morbide e possibilmente esperte a letto. Quando non frequentava cortigiane era corso dietro alle donne sposate o alle serve di taverna che dimostravano di gradire le sue attenzioni. Poi era divenuto khan e aveva fatto la conoscenza delle concubine di suo padre.
Suo padre non era stato un mostro e le sue concubine non erano maltrattate o picchiate, erano solo… spente, sottomesse. Loro gli avevano proposto i loro servigi ma non vi erano stati sorrisi né sguardi ammiccanti, solo rassegnazione. La più giovane aveva avuto solo undici anni ed era stata quella con più vitalità di tutte; lei gli aveva detto, quando lui l’aveva interrogata, che suo padre mandava via quelle che non si adattavano a lui, che non gli piaceva quando le ragazze piangevano, o urlavano, o cercavano di sfuggirgli. Se dopo qualche settimana non si abituavano al suo tocco le mandava via, con una ingente somma per compensarle della virtù perduta.
A Zaron si era rivoltato lo stomaco difronte a quegli sguardi piatti ed espressioni vuote. Aveva fatto chiamare Perla e poi le aveva mandate via tutte.
E adesso anche lui aveva sposato una ragazzina. Ma non provava nessuna attrazione per lei, che era ancora una bambina; quando aveva reagito con puro terrore al rimanere da sola con lui, all’idea che lui avrebbe potuto toccarla, Zaron si era arrabbiato e offeso. Lui non era un depravato e aveva pensato di averla convinta di questo, lei era sembrata a suo agio in sua compagnia nei giorni passati e gli aveva permesso di toccarle la mano senza mostrare alcun disgusto. E poi, in pochi minuti, era regredita come se tutto il suo impegno per abituarla a lui non ci fosse mai stato, come se la sua parola non valesse nulla.
Zaron cambiò posizione cercando di mettersi più comodo, sapendo che era impossibile e che al mattino seguente si sarebbe svegliato con i muscoli doloranti: nulla che un vigoroso allenamento con la spada non avrebbe fatto passare. Le sedie scricchiolarono sotto il suo peso e lui si immobilizzò, temendo che lei si svegliasse. Deja si agitò tra le lenzuola, ma non diede segno di essersi destata. Aveva buttato a lato le coperte e si era voltata, lasciando uscire da sotto le lenzuola un braccio e una gamba. Guardò la gamba tatuata di rosso, la vestaglia che le aveva prestato le si era attorcigliata addosso, scoprendola fino a metà coscia.
I tatuaggi salivano fino al ginocchio. Aveva mezza idea di urlare addosso a Perla e alle altre ragazze per averla ricoperta di disegni. Si era sentito mortificato vedendo l’estensione dei tatuaggi, ben oltre i normali mani e piedi. Sapeva che più le pitture erano elaborate e scure più onore davano alla fanciulla, ma sapeva anche che indicavano passione e desiderio da parte dello sposo. La sua corte doveva essere convinta che lui fosse stato smanioso di giacere con lei e le nozze affrettate dovevano solo aver rafforzato questa idea.
Da una parte gli andava bene: se i suoi nobili lo vedevano favorire la sua regina issiana, e nei giorni seguenti l’avrebbe onorata con un garbo e un favoritismo che nessuna regina rakiana aveva mai ricevuto, si sarebbero affrettati a mandarle le loro mogli per creare legami e alleanze, dando inizio a quel processo di assimilazione in cui lui sperava. Il suo favore l’avrebbe anche in parte protetta da eventuali avversari politici: Zaron era un khan spietato con i nemici e aveva effettuato un’epurazione brutale e sanguinaria di tutti i nobili che non avevano voluto accettare la sua ascensione al trono. Anche la reazione agli attentati alla sua vita era stata terribile e alcune famiglie nobili ne erano risultate estinte: all’inizio si era mostrato misericordioso, ma dopo gli ultimi due tentativi di ucciderlo aveva fatto passare a fil di spada tutti, donne e bambini compresi. Nessuno si era più sollevato contro di lui.
D’altra parte però gli bruciava che tutti nel regno ora lo considerassero un uomo che preferiva le ragazzine. Aveva incoraggiato i suoi nobili a sposare donne, non bambine, mostrando apertamente il suo scorno per tali unioni, ma ora che lui stesso aveva sposato una dodicenne gli avrebbero dato dell’ipocrita. Sperava solo che con il tempo si sarebbero accorti che Deja era l’unica eccezione che aveva fatto alla sua regola, perché lui una regola l’aveva ed era stata messa in chiaro quando gli avevano offerto mogli e concubine: non ne voleva nessuna che avesse più di quindici anni meno di lui. Per il resto si era affidato a Perla, che conosceva i suoi gusti.
Sistemò meglio la testa sul cuscino appoggiato al muro e chiuse gli occhi, cercando almeno di riposare un po’.
 
La mattina dopo Deja si svegliò malissimo. Aveva dormito scomodamente, in quel letto enorme, avvolta nella camicia e nella vestaglia di Zaron, che aveva addosso il suo odore, e nient’altro. Al risveglio aveva un forte mal di testa e gli occhi rossi dal pianto. La destò lui e lei era ancora così stanca che lo lasciò fare quando lui l’aiutò a districarsi dalle lenzuola e la guidò verso la sala da bagno, reggendola per il braccio. 
Quando ne uscì era più lucida e lo trovò a torso nudo, seduto sul letto. La pelle era dorata, più chiara di quella delle braccia, dove era abbronzato, e il petto era coperto da una leggera peluria nera. All’altezza del cuore non poté fare a meno di notare un tatuaggio nero che rappresentava un drago, come quello del suo sigillo. Lei arrossì, vedendolo così poco vestito, e poi impallidì perché la conversazione che ne seguì non fu affatto piacevole.
Lui aveva sollevato lo sguardo, vedendola rientrare in camera. Era immobile, con le mani aperte appoggiate sulle lenzuola.
- Deja, dobbiamo creare delle prove che il matrimonio sia stato consumato.
Lui aveva fatto una smorfia alla parola “prove” e Deja si era stretta nella vestaglia che ancora indossava e che la copriva, proteggendo la sua modestia dato che la camicia che Zaron le aveva fornito la notte precedente era troppo corta.
Zaron si alzò, prese una sedia e si sedette su di essa al contrario, porgendole la schiena.
- Graffiami, usando la mano destra per graffiare la spalla sinistra e quella sinistra per graffiare la spalla destra, così che sembri che mi stavi abbracciando.
Deja gli si avvicinò, esitante. La schiena di Zaron era ampia e muscolosa e, a differenza delle sue braccia, non aveva cicatrici. Appoggiò una mano tremante sulla sua spalla sinistra e fece correre le unghie sulla sua pelle calda. Zaron sobbalzò.
- Più forte, Deja, così sembra una carezza. Graffiami come se stessimo combattendo, come eri di sicuro pronta a graffiarmi ieri notte se ti avessi toccata.
Deja si lasciò sfuggire un mugolio disperato, pensando alla notte prima, immaginando che disastro sarebbe stato se lui non fosse stato un uomo di parola. Si immaginò come sarebbe stato se invece di porgerle la camicia che indossava in quel momento le avesse strappato di dosso gli abiti e l’avesse spinta sul letto.
Graffiò selvaggiamente, arcuando le dita come se fossero artigli. Zaron sibilò e inarcò la schiena mentre quattro strisce rosse comparivano sulla sua pelle.
- Ancora. Dall’altra parte.
Di nuovo Deja lo graffiò, cercando di essere rapida, perché non provava piacere a infliggergli dolore.
- Bene. Brucia: hai rotto la pelle?
- Non c’è sangue se è questo che chiedi.
Rispose lei con un filo di voce. La schiena di lui era tuttavia marchiata, riusciva a sentire sotto le unghie la pelle che gli aveva graffiato via.
Lui si alzò e girò il capo, istintivamente, per cercare di guardarsi le spalle.
- Ottimo, ora…
Si interruppe, guardandola fissamente negli occhi, e Deja si rese conto che toccava a lei essere segnata in qualche modo.
- Cosa devo fare?
Gli chiese in tono preoccupato. Lui deglutì e assunse un’aria contrita.
- Mi dispiace ma ti devo toccare per questo. Prendimi le mani e non ti preoccupare. Ti devo… mordere. Ma non fa male, te lo giuro. Se non ti piace o è insopportabile, dimmelo e mi fermerò.
Deja gli porse le mani e lui gliele strinse prima di chinarsi su di lei e avvicinare il viso al suo collo. Si mosse lentamente, per non spaventarla, ma Deja si sentì terribilmente a disagio sentendo il suo respiro sul proprio collo e poi al contatto delle sue labbra con la propria pelle. Non trattenne un gemito di allarme, sentendo che lui la baciava a bocca aperta e poi… Non fu un morso, non sentiva i denti ma… quello che lui faceva con la bocca …!  I versi che Deja emetteva non erano di paura, né di dolore, e lei non si accorgeva nemmeno di farli. Era strano, era stranamente piacevole e si lasciò sfuggire un rantolo quando lui si staccò, liberandole le mani e facendo un passo indietro. Si portò una mano alla gola: era bagnata dalla sua saliva e dove lui l’aveva baciata sentiva formicolare la pelle, ma al tatto sembrava fosse tutto a posto. Lui la guardò criticamente, valutando il proprio lavoro.
- Un bel livido rosso.
Commentò sottovoce.
Lei non capì inizialmente, poi con un lampo ricordò come una sua amica aveva dovuto portare una sciarpa di seta per giorni, lamentandosi con chiunque la volesse ascoltare che suo marito era stato troppo passionale e le aveva lasciato dei lividi. Deja era inorridita, vedendo le ecchimosi marroni che la donna aveva avuto al collo, pensando che lui le avesse fatto del male, ma quando aveva chiesto alla sua amica se suo marito l’avesse picchiata, lei era parsa sorpresa e arrossendo aveva negato, affermando che era tutto il contrario, che era stato molto piacevole. Deja all’epoca era stata scettica e non aveva compreso, ma aveva accettato la spiegazione, anche perché la sua amica non era tipo da accettare di essere maltrattata da chicchessia. Ora capiva e, come la sua amica, arrossì violentemente perché, come lei aveva detto, era stato piacevole.
Zaron sembrava ancora a disagio.
- Non è finito. Per favore, prendi il calice che c’è su quel tavolo.
Mentre Deja prendeva il calice indicato lui apriva il cassetto in cui aveva riposto le armi e ne tirò fuori un pugnale. Deja non capiva a cosa gli servisse ma gli porse silenziosamente il calice.
Lui si abbassò leggermente la cintura e con la lama si procurò un piccolo ma profondo taglio sul fianco, affrettandosi a mettere il calice sotto la ferita, per raccogliere le gocce di sangue che vi stillavano.
- Vai in bagno, ci sono degli asciugamani. Bagnane uno e portamelo.
Deja si affrettò a obbedire, confusa dal fatto che lui si fosse autoinflitto quel colpo.
Zaron si premette la stoffa bagnata sulla ferita, finché non smise di sanguinare e poi le chiese di sciacquare l’asciugamano lasciando una macchia sbiadita e di buttarlo per terra, per i servi da trovare. Infine sotto gli occhi attoniti di Deja, che cominciava a intuire il motivo di quel bizzarro atteggiamento, Zaron versò alcune gocce di sangue sulle lenzuola, al centro del letto.
- Non troppe, non poche.
Lo udì borbottare. Poi uscì dalla stanza con il calice ancora in mano e gli udì dire che stava versando il sangue rimanente su una pianta.
- Sai perché ho macchiato il letto Deja?
Le chiese quando tornò. Lei annuì, perché era troppo mortificata per parlare. Lui ripulì il calice e lo rimise al suo posto. Poi indossò nuovamente la casacca con cui aveva dormito e si mise gli stivali e una leggera armatura. Per finire si rimise i pugnali che si era tolto la sera prima.
- È metà mattina. Tardi per me, rispetto a quando mi alzo di solito, ma è il mio primo giorno da sposato, ho ritenuto che fosse lecito lasciar credere che avevo voluto indugiare a letto. I servi sapevano che non dovevano disturbarci. Io esco e dico di mandarti qualcuno. Vuoi che chieda alla divra di far venire la tua ancella personale, quella che era con te sull’aeronave?
Deja annuì e lui esitò prima di parlarle nuovamente, con voce bassa.
- Hai ancora paura di me, Deja? Ti senti a disagio in mia presenza?
Lei cercò di farsi forza e lo guardò negli occhi, cercando di essere sincera con lui e con sé stessa.
- No, non ho paura. Non più. Ma… mi sento terribilmente in imbarazzo e a disagio per questa situazione.
Indicò con un gesto vago il letto e poi il tavolino su cui era stato riposto il calice.
- Io volevo… ringraziarti per la tua gentilezza, la tua sollecitudine. E soprattutto per la tua pazienza con me ieri notte. Non posso che farti nuovamente le mie scuse per aver dubitato di te. Sei un uomo d’onore.
Zaron le sorrise e Deja si costrinse a restituirgli il sorriso. Lui si era comportato bene con lei mentre lei era stata una pena per lui da sopportare. Si meritava una dimostrazione che lei aveva capito e apprezzato il suo comportamento. Per questo gli porse la mano, con il dorso in alto e lui la prese e le baciò le nocche. Quel gesto sembrò rilassarlo e la lasciò con il sorriso sulle labbra.
Attese l’arrivo di Larissa seduta sul bordo del letto sfatto, ancora avvolta nella vestaglia di Zaron. La sua cameriera entrò, seguita da altre due servitrici rakiane che, a capo chino, cominciarono a riassettare la stanza, portando via lo scrigno dei gioielli e dirigendosi in sala da bagno, per cambiare la biancheria. Prima che ne uscissero Deja era balzata in piedi.
- Voglio uscire di qui, Larissa. Aiutami a cambiarmi.
Larissa aveva portato un semplice abito da giorno issiano. Non aveva detto nulla, consapevole della presenza delle altre due donne e anche il volto era stato una maschera impassibile. Le mani però le avevano tremato mentre l’aiutava a togliere la vestaglia e la camicia nera da uomo che indossava al disotto e Deja sentiva il suo sguardo sul livido che aveva al collo. Appena l’abito fu al suo posto scattò fuori dalla stanza perché le servitrici rakiane stavano cambiando le lenzuola e la mortificazione al pensiero di quello che avrebbero visto, e pensato, la soffocava.
- Mia signora, aspetti!
Larissa le corse dietro e Deja le permise a malapena di aprire le porte davanti a sé. Uscita dagli appartamenti di Zaron si bloccò in corridoio. Era stata convinta che, una volta uscita, si sarebbe calmata, ma ad attenderla c’erano due guardie issiane, tra cui Ostin. Lui le fissò il collo, mentre un’espressione di rabbia gli si dipingeva sul viso.
- Scortami alle mie camere, Larissa. Adesso.
Deja non riuscì a trattenere una nota di isteria, non poteva sopportare quegli sguardi d’orrore e rabbia. La sua ancella la precedette, mentre due guardie rakiane aprivano le porte dell’ala femminile, dirimpetto a quelle da cui erano appena uscita in tutta fretta. Deja quasi ci entrò di corsa, ansimando forte. Non fece caso agli ambienti che attraversò, né rispose ai saluti con cui le concubine che incontrò l’accoglievano. Larissa l’accompagnò in quelle che dovevano essere le sue camere e lì Deja si immobilizzò, stupita, davanti a quel letto su cui non aveva mai dormito, ma su cui erano state stese le sue lenzuola, portate da Issa. Lentamente si guardò intorno. C’erano bauli aperti sparsi per la stanza e ne aveva notati altri, nelle stanze che aveva attraversato. C’erano servitrici rakiane che disfacevano i suoi bagagli, ma Larissa le mandò via con un ordine deciso. Rimasero sole e Deja si avvicinò tremante al letto, si lasciò cadere a faccia in giù sulle lenzuola familiari e si mise a piangere. Sentì Larissa che, esitante, si sedeva sul bordo del letto e le poggiava una mano sulla spalla. Quando parlò la voce le tremava e Deja si rese conto con costernazione che anche lei stava piangendo.
- Mia signora, oh, mia povera signora. Vuole che faccia chiamare la guaritrice?
La regina sobbalzò con orrore, perché comprese cosa la sua scenata doveva aver fatto sospettare alla sua cameriera. Si tirò su a sedere, asciugandosi gli occhi e la guardò.
- No, Larissa, sto bene. Ho solo bisogno di stare un po’ sola…
Si guardò intorno, tutti quegli oggetti a lei così cari e familiari, in un ambiente così alieno.
- Mi manca tanto casa.
La voce si spezzò e ricominciò a singhiozzare.
- Mi manca il mio papà!
Detto questo nascose nuovamente il viso contro i cuscini e lasciò scendere lacrime. Avrebbe voluto smettere, sapeva che stava preoccupando a morte la povera Larissa, ma non ci riusciva. Avrebbe voluto dirle che Zaron non l’aveva toccata, ma non poteva, nessuno doveva sapere la verità. Le dispiaceva lasciare che Larissa immaginasse che lui fosse la causa di tutte quelle lacrime e che il dolore che stava sfogando fosse dovuto da un’offesa fisica mentre ciò che le doleva era il cuore. Aveva tenuto a bada l’angustia per il distacco dal padre, la pena per l’abbandono della patria, era stata forte e aveva concentrato la sua attenzione sul matrimonio, e solo la sera prima, quando si era lasciata travolgere dalla paura di Zaron, l’argine che aveva imposto alle sue emozioni si era crepato e ora era rovinosamente crollato, lasciandola in uno stato pietoso, senza difese e in lacrime.
- Mia signora, è sicura di non voler vedere la guaritrice?
- Sì Larissa, smettila di chiedermelo!
Quasi urlò quelle parole, poi proseguì con più calma.
- Perdonami, ma non voglio vedere nessuno, oggi. Lasciami sola, anche tu, per favore. Voglio solo… starmene sola per un po’.
Poi cercò di sorridere per rassicurarla, ma il risultato fu pessimo.
- Sul serio Larissa. Non preoccuparti. Adesso vai.
A malincuore, e con un’espressione angosciata la ragazza più vecchia se ne andò, chiudendosi quietamente la porta alle spalle.
Deja rimase a letto quasi tutto il giorno, piangendo e fissando il soffitto. Rifiutò il vassoio con il pranzo che Larissa le portò e solo verso sera la chiamò, chiedendole di portare qualcosa da mangiare e di prepararle il bagno.
Dopo aver mangiato si sentì molto meglio e il bagno con i sali profumati che Larissa le aveva fatto preparare la fece sentire di nuovo sé stessa. Riuscì persino a sorridere con sincerità alla sua povera ancella che era stata in uno stato di panico per tutto il giorno.
- Mi dispiace di averti fatta preoccupare Larissa.
Le disse mentre lei le asciugava i capelli e le districava i nodi con un pettine.
- Oggi è stata davvero una pessima giornata. Non sapevo cosa fosse la nostalgia prima. È davvero una brutta sensazione.
Larissa annuì allo specchio, mordendosi il labbro. Era evidentemente ancora preoccupata e avrebbe voluto dire qualcosa, ma non osava.
- Chiedi pure, Larissa.
Concedette con un sospiro la regina.
- Mia signora.
Ogni parola usciva esitante dalle sue labbra.
- Lui … le ha fatto male?
Deja incrociò il suo sguardo. Aveva riacquistato la sua compostezza e il dominio delle sue emozioni e quando parlò lo fece con voce ferma e sicura, il viso sereno ma deciso.
- No, mio marito non mi ha fatto del male. È andato tutto per il meglio.
Larissa sembrava dubbiosa, ma annuì. Poi aggiunse, con voce incerta.
- Però non è quello che sembrava questa mattina, mia signora. Lady Pastis ha mandato numerosi messaggi durante tutta la giornata, chiedendo di vederla, ma io ho sempre respinto le sue richieste. Lord Ostin era furioso quando gli ho riferito che non volevate vedere nessuno e che oggi non sareste uscita dalle vostre stanze.
La regina gemette, coprendosi il viso con le mani. Vide da una diversa prospettiva la sua fuga dalle stanze di Zaron, la vide con gli occhi di Ostin, che poi doveva aver parlato con lady Pastis e poté solo immaginare quale conclusione quei due ne avessero tratto. Loro e tutti gli altri a Palazzo.
- Domani uscirò, mi incontrerò con lady Pastis e mi farò vedere da tutti, così potranno constatare che mio marito non mi ha uccisa.
Disse le ultime parole ironicamente, ma Larissa non sorrise.
- Se vi sentite meglio le concubine di re Zaron vi hanno invitata a cenare con loro nella sala da pranzo comune.
Deja annuì, distratta. Almeno loro sapevano che Zaron non le aveva fatto niente e quindi non vi sarebbero stati sguardi compassionevoli o pieni d’orrore ad attenderla. Non era per nulla ansiosa di incontrarsi con lady Pastis l’indomani mattina.
- Dì loro che accetterò.
- Come volete vestirvi mia signora?
Deja sospirò.
- Un semplice abito da giorno andrà bene, niente gioielli a parte la collana con lo zaffiro. Dopotutto è una cena di famiglia.
Larissa si affrettò a selezionare un abito dal guardaroba che aveva riempito solo per metà e Deja rifletté che era stata egoista a far mandare via le serve rakiane e chiedere solo la compagnia della sua ancella issiana. Larissa non poteva badare a lei da sola; avrebbe dovuto accettare la presenza di quelle ragazze e imparare a conoscerle. Annuì tra sé: dal giorno dopo si sarebbe messa d’impegno a conoscere il Palazzo Reale e la servitù, e avrebbe esplorato l’ala femminile in cui si trovava.
Gli appartamenti che le erano stati assegnati erano estremamente lussuosi e areati. Avevano finestre coperte da sottili tende bianche che davano in uno splendido giardino privato e dalla sua camera da letto aveva potuto udire lo zampillare di una fontana e il canto di numerosi uccelli. Le pareti erano intonacate di bianco da poco e poteva ancora sentire l’odore della pittura aleggiare nelle stanze. Probabilmente avevano coperto le decorazioni che aveva fatto fare la precedente regina. Persino i mobili sembravano nuovi, anche le tappezzerie non avevano segni di usura. Deja aveva già pensato a che colore voleva alle pareti e a come voleva cambiare le tende e la disposizione del mobilio. Tali progetti l’avevano aiutata a calmarsi, dandole l’impressione che stava prendendo possesso dell’ambiente che la circondava. La camera da bagno era stata una rivelazione: come quella di Zaron era enorme, piastrellata d’azzurro, con la vasca da bagno interrata in cui poteva immergersi completamente stando in piedi. A Issa invece aveva avuto una vasca in rame lucido in cui doveva stare seduta. A casa era abituata ad avere l’acqua corrente e calda, ma la vasca era stata piena d’acqua appena tiepida che non aveva invitato a rimanere a mollo a riflettere, anche se immergersi completamente era stato molto piacevole. Tuttavia, ricordando come la città mancasse di fonti d’acqua le era sembrato uno spreco terribile. Aveva usato i suoi asciugamani e i suoi saponi e aveva sorriso contenta, pensando a quanto premurosa fosse stata Larissa a prendere tutte le sue cose, anche quelle a cui lei non avrebbe mai pensato e che adesso erano così preziose nella loro confortante familiarità.
A parte la camera da letto e quella da bagno c’erano altre quattro stanze a sua disposizione. Una era stata già preparata come una sala da pranzo privata, un’altra come un salottino e le ultime due erano rimaste spoglie, in attesa che lei scegliesse la loro destinazione e Deja aveva già deciso che avrebbero ospitato la sua biblioteca e il suo studio. C’era inoltre una porta chiusa a chiave nella sua camera da letto e quando aveva chiesto a Larissa se sapesse dove conduceva lei le aveva risposto che quella era la porta della nursery e che veniva tenuta chiusa fino a che non ve ne era bisogno. Deja aveva lasciato andare la maniglia come se bruciasse. Fuori da quelle stanze si stendeva l’ala femminile del Palazzo Reale e la regina se la fece descrivere da Larissa mentre quest’ultima la preparava per la cena.
- Vi sono numerose stanze comuni, a cui accede tutta la servitù, sono molto grandi e le altre serve mi hanno detto che sono state concepite per ospitare molte più donne di quelle che ci sono ora, perché il khan ha poche concubine e solo tre figlie, per il momento. Ci sono i giardini comuni, in cui non sono ancora stata, e gli appartamenti delle concubine, quelli non occupati sono chiusi. Poi ci sono i due appartamenti delle figlie del khan, la più piccola sta ancora in camera della madre. In quelli entrano solo le servitrici personali. Mi hanno detto che a me sarà chiesto di servire solo lei, mia signora. Le altre servitrici sono molto cortesi e mi trattano con una certa deferenza, non so se perché sono la cameriera personale della regina o perché sono straniera, ma hanno l’abitudine di guardare fisso a terra; solo la divra mi ha guardato negli occhi. Mi ha consigliato anche di non lasciare mai l’ala femminile o le stanze dedicate alla servitù, a meno che non sia in compagnia. Che strano.
Venne l’ora di cena e una servitrice rakiana si presentò alla porta, conferendo con Larissa la quale le riferì che le concubine l’attendevano e che la domestica l’avrebbe accompagnata da loro.
Drizzando le spalle e alzando il mento Deja la seguì.

 
 

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Capitolo 5
*** Un piano ben riuscito ***


NOTE INIZIALI: questo capitolo è più esplicito degli altri e tocca delle tematiche davvero delicate (rapporti con minori, non-con, incesto) ma, visto che ogni cosa è solo sottintesa e non descritta, ho deciso di mantenere il rating arancione. Ditemi se trovate la lettura offensiva o comunque non adatta agli occhi innocenti dei minori (scherzo, almeno su “occhi innocenti”: ho letto cose scritte da minorenni da far accapponare la pelle!) e passerò al rosso senza problemi.

V. UN PIANO BEN RIUSCITO

 
 
La sala da pranza comune era davvero grande e il tavolo a cui si sedette era stato concepito per ospitare molte più commensali. C’erano solo quattro delle concubine di Zaron e Deja si rese conto che mancava quella che la mattina prima era stata vestita d’azzurro pallido e aveva ironicamente definito Perla la dea dell’amore. Tallia, la donna si chiamava Tallia. Non c’era un coperto anche per lei così, mentre si sedeva a capotavola dietro invito della prima concubina, chiese per correttezza informazioni sulla donna mancante.
- Dobbiamo aspettare Tallia?
A risponderle con un sorriso rassicurante, che metteva in mostra le fossette sulle guance, fu Cara.
- No, sua figlia, che ha due anni, questa sera non voleva proprio lasciarla andare, quindi Tallia è rimasta con lei a mangiare e a metterla a letto.
Quello che Cara non disse fu che Perla, spalleggiata dalle altre, aveva detto a Tallia che se non era capace di stare zitta era meglio che non venisse. Tallia non era una donna cattiva, anzi. Rispettava Zaron e teneva a lui, come tutte le altre del resto, amava fieramente le sue “sorelle” ed era capace di difenderle con ferocia, ma non aveva peli sulla lingua, diceva tutto quello che pensava, senza badare a come potevano essere interpretate le sue parole, divertendosi a scioccare e a provocare il suo interlocutore. Solo lei era capace di suscitare la rabbia furiosa di Zaron e sempre lei sembrava l’unica in grado di gestirla quando questa scoppiava. Dato lo stato d’agitazione in cui era apparsa la ragazzina quel mattino, quando era passata di corsa per le stanze comuni e si era chiusa nei sui appartamenti, rifiutandosi di vedere chiunque, avevano ritenuto di comune accordo che la presenza di Tallia sarebbe stata dannosa e l’avrebbe agitata di più. Meglio introdurla alla concubina gradualmente, quando lei fosse stata più calma e la donna di umore giocoso e non battagliero: Tallia aveva detto cose parecchio crude su Deja e su quello che doveva essere capitato la notte prima per ridurla così. C’era stato un velo di pietà nei suoi occhi che tuttavia non aveva frenato le sue congetture. Alla fine lei e Perla avevano litigato, con la concubina anziana che aveva difeso urlando il carattere del loro uomo, affermando che Zaron non avrebbe mai e poi mai fatto del male a Deja e Tallia che invece sottolineava come gli uomini a volte diventassero insensibili al dolore che procuravano, quando si facevano prendere dalla loro lussuria, senza badare a nulla se non al loro soddisfacimento personale. L’atmosfera nell’ala femminile era stata tesa e anche le servitrici si erano mosse con prudenza, e solo quando la giovane regina aveva accettato il loro invito a cena si erano rilassate. Perla aveva mandato un messaggio a Zaron, chiedendogli di non venire e informandolo che lo avrebbe visitato più tardi, nei suoi appartamenti.
Ora valutavano cautamente l’umore della giovane che avevano accolto nel loro gruppo. Sembrava rilassata, molto diversa dalla ragazzina isterica che era parsa solo quel mattino. I loro sguardi erano inevitabilmente attratti dal grosso livido purpureo che aveva sul collo, un livido familiare, che Zaron aveva lasciato numerose volte sui loro corpi, in preda alla passione.
Deja si portò la mano alla gola, consapevole di quegli sguardi e poi, una volta che il primo piatto fu servito e le servitrici allontanate, si rivolse alle concubine parlando a voce bassa e arrossendo leggermente.
- Non è successo nulla. Questo me l’ha fatto al mattino, prima di andare via. Ha detto che era per salvare le apparenze.
Perla sembrò tirare un sospiro di sollievo e Mira si guardò intorno, con espressione trionfante.
- Ve l’avevo detto, io!
Sussurrò soddisfatta.
- Scusate mia signora,
La incalzò Cara.
- Ma questa mattina apparivate sconvolta, e noi…
Deja si coprì il viso, gemendo.
- Lo so cosa sembrava. Ero solo… agitata. Questa mattina, io… mi sono resa improvvisamente conto di quanto lontana fossi da casa, quanto diversa Halanda fosse da Issa e… non so cosa mi sia preso! Ho cominciato a piangere e non sono più riuscita a fermarmi.
Le concubine sorrisero e annuirono, come se riuscissero a capire.
- È l’età, mia signora, non si preoccupi. Mi ricordo quando mia sorella minore passò per questa fase. Gli sbalzi d’umore erano tremendi! Neanche nostro padre riusciva a gestirla, ed essendo la più piccola lei era la sua preferita! Era sempre stata un dolce angioletto, poi tutto d’un tratto ha cominciato a comportarsi come un’indemoniata: rispondeva male, si ribellava e l’attimo dopo piangeva e chiedeva scusa, cercando di farsi coccolare dalle sorelle, dalla madre e dalle altre concubine di nostro padre. Per fortuna si è calmata nel giro di un paio d’anni.
Disse Mira con un sospiro e una smorfia.
Oscia sbuffò.
- Io non mi ricordo di essermi mai comportata così!
- Io invece piangevo in continuazione, per un nonnulla.
Commentò Cara, serafica, cominciando a mangiare.
- Dipende dalla ragazza, suppongo, e dalla situazione.
Aggiunse la donna più giovane.
- Io e Mira abbiamo avuto una fanciullezza diversa della vostra, anche se quella di Mira è stata anche più riparata della mia essendo lei la figlia di un nobile. Forse questo ha influito.
A quel punto le concubine si lanciarono in racconti della loro infanzia e Deja si rilassò completamente, ridendo con loro e soffrendo privatamente perché a volte i loro racconti lasciavano intuire un passato difficile. Soprattutto le risultava penoso conciliare quelle donne eleganti e sofisticate, così garbate e sorridenti, con l’immagine che stavano presentando del loro passato. Due di loro erano cresciute in un bordello, essendo figlie di prostitute, e quando dicevano di aver cominciato a lavorare non parlavano di spazzare pavimenti e cambiare lenzuola. Deja decise fermamente di non soffermarsi su quello che Perla e Oscia dovevano aver subito ma di concentrarsi su come avessero brillantemente superato le prove a cui la vita le aveva costrette ed erano riuscite ad arrivare fin lì, compagne dell’uomo più potente dell’intero continente di Zabad. La storia di Cara era forse la più commovente: figlia di contadini era stata data a un importante generale appena quattordicenne per diventare la sua concubina in cambio di una grossa somma di denaro e aveva vissuto con lui tre anni prima che questi morisse. Non aveva potuto tornare a casa, in quanto per lei non c’era posto e non avrebbe più potuto trovare un marito nel villaggio in cui era nata, quindi si era spostata a Halana, con un’altra concubina dell’uomo con cui aveva vissuto e nel bordello da cui questa veniva. Cara le aveva assicurato che il posto in cui si era trasferita era stato estremamente ricercato, frequentato unicamente dagli uomini più ricchi della capitale e che comunque vi era rimasta davvero poco: l’anno dopo il proprietario del bordello l’aveva offerta al khan in dono e, dopo aver passato una selezione effettuata proprio da Perla, era stata scelta.
- Ed eccomi qui, la piccola della famiglia.
Commentò ironicamente la donna, alludendo al fatto che era la concubina più giovane.
- O almeno lo ero, finché non è arrivata lei, mia signora. È un sollievo cedere il titolo!
Concluse ridendo. Anche Deja sorrise e poi prese una decisione impulsiva.
- Signore, avendo sposato Zaron ritengo che ormai facciamo tutte noi parte di un’unica famiglia. Come ha sottolineato Cara sono la più giovane e anche l’ultima arrivata. Voi avete avuto anni per conoscervi ed è evidente, osservandovi, che non solo siete a vostro agio le une con le altre, ma siete amiche e io vorrei davvero che mi consideriate una di voi. Un’amica. Quindi voglio che smettiate di chiamarmi “mia signora” e mi diate del tu, chiamandomi semplicemente Deja.
Le donne sorrisero, dimostrando il loro entusiasmo, e Cara si allungò sul tavolo per stringerle la mano.
Parlarono ancora, dandosi del tu e chiamandosi per nome, e Perla le spiegò com’era strutturata l’ala femminile e come si svolgeva la giornata tipica delle donne che l’occupavano.
- Solitamente facciamo colazione nei nostri appartamenti, perché ci svegliamo quando vogliamo e quindi non ha senso incontrarci per la colazione. Il pranzo è servito solitamente qui, ma la presenza di tutte non è richiesta, soprattutto Oscia, Mira e Tallia in genere pranzano con le figlie nei loro appartamenti. Di giorno ci occupiamo ognuna di cose diverse, a seconda delle nostre inclinazioni e interessi, ma per cena cerchiamo sempre di riunirci.
Perla si astenne per il momento dal dire che a volte una di loro cenava con Zaron e poi passava con lui tutta la notte.
- Dopo cena in genere stiamo in compagnia, chiacchierando o giocando. Ti avviso che Cara cercherà di coinvolgerti in una partita di shah-mat e che è terribilmente abile al gioco. Solo Zaron riesce a batterla, e non sempre!
- In effetti,
Si intromise con aria di soddisfazione la donna in questione.
- In genere vinco io!
Poi Perla continuò a parlare.
- Solitamente Mira ci intrattiene suonandoci qualcosa, è davvero brava.
Deja si illuminò e si rivolse alla concubina.
- Zaron mi ha detto che suoni il sitar. Durante il banchetto di nozze una donna ha suonato per noi ed è stato fantastico! Non avevo mai udito un suono simile, mi farebbe molto piacere se tu volessi suonare qualcosa più tardi.
Mira sembrò estremamente compiaciuta e fece un solerte cenno d’assenso.
- Un’altra cosa, Deja. Abbiamo, forse sbagliando, incoraggiato le bambine a muoversi liberamente nei nostri appartamenti e a rivolgersi a noi come a delle zie. Potrebbe capitare che si avventurino nelle tue stanze non invitate e ti chiedano di giocare con loro.
E questa era principalmente la ragione per cui Zaron preferiva appartarsi con loro nei propri appartamenti: non c’era il rischio che una delle sue figlie li sorprendesse.
- Non è un problema.
Le rassicurò Deja.
- Anche se non sono abituata ad aver a che fare con i bambini. Non mi sono mai trovata veramente a mio agio con le mie coetanee, ho solo un’amica della mia età, le altre sono tutte più vecchie. A parte Anka, che conosco da tutta la vita, la mia migliore amica è Famira che ha diciannove anni. Famira sta viaggiando via terra insieme ad altri nobili e arriverà a Halanda in un paio di settimane; sua madre e sua sorella minore sono invece venute in aeronave da Issa, forse le avete viste.
Le ultime parole erano state rivolte a Cara e a Perla.
- Non abbiamo visto nessuno.
Rispose laconicamente la donna più anziana.
- E la tua amica viaggia per terra con il padre?
Chiese Mira.
- Be’ no. Il padre di Famira è morto. Lei viaggia con le altre lady e i lord che si uniranno a me qui.
Deja guardò perplessa gli sguardi stupiti che si scambiavano le concubine.
- Ci stai dicendo che la tua amica viaggia da sola, senza un familiare ad accompagnarla?
Deja rifletté un momento.
- Lord Sadij è suo cugino per parte di madre, quindi in effetti è accompagnata da un membro della famiglia. Perché tutto questo stupore?
- Perché,
Disse Perla.
- Qui a Rakon è sconveniente per una fanciulla di buona famiglia muoversi senza essere accompagnata dalla madre, dal fratello o dal padre. Una volta sposata invece i suoi movimenti non sono più così limitati. La tua amica è forse sposata?
Deja scosse il capo.
- Quindi viaggia da sola con numerosi uomini. Per un rakiano è… scandaloso.
Deja era interdetta.
- Ma non viaggia da sola con molti uomini! Ci sono le altre nobildonne con lei!
- Ma nessuna è sua madre.
Replicò Mira.
- Le nobili issiane allora hanno una maggiore libertà rispetto a quelle rakiane. L’unico limite è dovuto all’età: sotto i quindici anni alle ragazze, ma anche ai ragazzi, non è permesso spostarsi senza un adulto che li accompagni.
Concluse Deja.
- Eppure tu sei venuta qui a Halanda.
Osservò Mira. Deja sembrò spegnersi e abbassò lo sguardo.
- Questo perché ho sposato Zaron. A Issa è illegale contrarre matrimonio sotto i quindici anni. Legalmente parlando io sono considerata ancora una bambina e infatti mio padre è il mio tutore e l’ho nominato Lord Protettore del regno: con questo titolo può fare le mie veci, anche se io dovrò approvare tutte le decisioni da lui prese.
- Ti manca tuo padre, vero?
Chiese gentilmente Mira. Deja annuì e con fastidio sentì i suoi occhi inumidirsi. Batté velocemente le palpebre, per scacciare le lacrime. Rendendosi conto di averla rattristata Mira scattò in piedi con forzata giovialità.
- Allora, vi va bene se vi suono qualcosa?
Tutte annuirono e Mira corse a prendere il suo sitar mentre Deja e le concubine si spostavano in un’ampia sala dipinta di blu con cuscini e tavoli bassi sparsi un po’ ovunque. Mira tornò con il suo strumento, si sedette, con le concubine e la regina attorno, e cominciò a suonare una melodia dolce e struggente, a memoria.
Dopo un po’ Perla si alzò, scusandosi a bassa voce, e si allontanò dalla stanza.
 
La giornata di Zaron era iniziata bene. Dopo una pessima serata e una brutta notte Deja era sembrata più tranquilla, più sicura di sé e di lui e aveva acconsentito subito, e senza ritrarsi, ad aiutarlo a fabbricare le prove della consumazione del loro matrimonio. Era rimasto molto sorpreso per come lei avesse reagito al suo bacio, gli era sembrata quasi eccitata ma lui aveva scacciato con fastidio quel pensiero. Lei non poteva certo controllare le reazioni del suo corpo a certi stimoli, di sicuro sarebbe stata mortificata dal sapere come i suoi gemiti erano suonati alle orecchie di Zaron e di certo avrebbe avuto di nuovo paura, quindi si era ben guardato dal fare commenti. Poi lei gli aveva porto la mano perché gliela baciasse e gli aveva sorriso e a Zaron era sembrato che la crisi fosse stata superata e che fossero tornati all’atteggiamento amichevole che si era instaurato sull’aeronave. Aveva lasciato le sue stanze molto soddisfatto e aveva persino rivolto un sorriso compiaciuto alle guardie issiane che attendevano Deja.
Si era diretto ai giardini, verso quell’area che aveva fatto sistemare per i suoi allenamenti privati, e dopo aver sciolto i muscoli aveva passato l’intera mattinata a esercitarsi con la spada, duellando con le guardie che il maestro d’armi selezionava di settimana in settimana: cambiava spesso avversario perché non voleva abituarsi a un nemico abbastanza da memorizzare il suo stile di combattimento. Si era lavato e poi aveva mandato un messaggio a Deja, chiedendole se voleva pranzare con lui. Il servitore era tornato e gli aveva riferito che la regina non desiderava essere disturbata. Era stato il primo segno che qualcosa non andava ma Zaron, pur rimanendone interdetto, non vi aveva badato più di tanto, ritenendo che lei fosse impegnata a prendere possesso dei suoi appartamenti o a consultarsi con le nobili donne che si era portata appresso.
Nel pomeriggio aveva visto i suoi ministri, che gli avevano rinnovato le loro felicitazioni per il matrimonio e alcuni di loro lo avevano guardato in maniera obliqua e Zaron si era spazientito, ma non era riuscito a capire cosa quegli sguardi e mezzi sorrisi stessero insinuando.
Infine, verso sera l’aveva raggiunto il messaggio di Perla che gli chiedeva di non andare nell’ala femminile e di attenderla nei suoi appartamenti. Aveva cenato da solo, di pessimo umore, e aveva atteso l’arrivo della donna.
Quando un servitore bussò alla porta annunciando l’arrivo della concubina, Zaron era impegnato a lucidare i suoi pugnali da lancio. Poteva sembrare un’attività strana per un sovrano, ma Zaron a proposito delle armi che portava sulla propria persona era pignolo e non voleva lasciarne la cura a nessun altro.
Lei si tolse il velo che la copriva e gli sorrise con calore. Zaron invece corrucciò la fronte e poggiò con decisione le lame che stava maneggiando.
- Perla, cosa sta succedendo? Prima Deja non vuole vedermi e poi tu mi tieni fuori dalle vostre stanze. Persino la servitù mi ha guardato in maniera strana.
Lei si inginocchiò per terra, al suo fianco, poggiandogli il capo sulle ginocchia e guardandolo dal basso verso l’alto, attraverso le ciglia. Era una posa studiata per apparire fragile e sottomessa e al tempo stesso invitante e civettuola. Gli accarezzò una gamba.
- Nulla di preoccupante, solo una piccola incomprensione. Questa mattina la tua regina ha avuto una specie di crollo nervoso, nulla di grave, è solo nostalgia di casa che, aggiunta alla sua giovane età, le ha fatto venire una violenta crisi di pianto. Se ne è stata rintanata nelle sue stanze tutto il giorno, ma poi è uscita e ha cenato con noi. Sembrava tranquilla e rilassata quando l’ho lasciata, sono sicura che domani vorrà vederti.
Zaron sembrò interdetto e le carezzò i capelli, mentre rifletteva.
- Ma perché mi hai chiesto di stare lontano questa sera? Avrei volentieri cenato con voi.
Perla si lasciò sfuggire una smorfia desolata.
- Il fatto è che non sapevamo cosa avesse scatenato tutto quel trambusto. Era davvero sconvolta quando è uscita dalla tua camera, ha fatto una terribile impressione alla servitù. Mi hanno riferito che circolano… voci… sulla vostra prima notte assieme, voci che non ti dipingono in una luce favorevole.
Zaron aveva smesso di carezzarla e i suoi occhi si erano spalancati in un’espressione di incredulità.
- Cosa? Cosa si dice in giro?
Perla gli salì in grembo e gli circondò le spalle con le braccia tintinnanti di braccialetti, premendo il seno nudo contro il petto dell’uomo.
- Si sussurra che devi averla usata con violenza per farla scappare così dai tuo letto, si parla del sangue sulle tue lenzuola, del livido sulla sua gola e soprattutto dei graffi che lei ti ha lasciato sulla schiena, graffi da difesa.
Zaron poggiò mortificato la fronte sulla spalla di Perla, ricordando come si fosse cambiato la camicia intrisa di sudore al campo d’addestramento. Lo faceva sempre e il gesto era stato meccanico, non aveva neanche pensato alle ferite che aveva chiesto a Deja di infliggergli finché l’aria fresca non aveva fatto pizzicare i graffi ancora freschi.
- E lei, Deja, cos’ha detto?
- Deja si è affrettata a confermare che non l’hai toccata e ha detto che l’isteria che l’aveva colta era dovuta al fatto che si era trasferita definitivamente a Halanda, lontana dalla casa della sua infanzia e da suo padre. Ricordi? Anche Mira era triste all’inizio. Ti assicuro che la reazione di Deja è stata normale, solo che è avvenuta al momento sbagliato, facendo fiorire congetture e tirare conclusioni errate a tutti quelli che vi hanno assistito.
Perla gli baciò la nuca, usando le unghie per massaggiargli il cuoio capelluto e lo sentì irrigidirsi sotto di sé. Si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto quando Zaron cominciò a depositare baci bagnati sulla sua spalla e sul collo, accarezzandole la schiena e poi poggiandole una mano sul seno, sfiorando il capezzolo con il pollice.
- Devi aver avuto una giornata stressante, mio signore. Lascia che mi prenda cura di te.
La voce di Perla era bassa e roca e sollevò il mento dell’uomo per poterlo baciare appassionatamente sulla bocca.
- Pessima nottata, anche. Deja era così nervosa che ho dovuto dormire su una sedia.
Perla mugolò un poverino e poi si alzò, strusciandosi su di lui e lo prese per mano, conducendolo verso la camera da letto.
 
Il giorno seguente Deja fece colazione nelle sue stanze, servita da Larissa a cui poi disse di finire di disfare i bagagli, facendosi aiutare dalla servitù e le diede licenza di selezionare altre due ragazze che l’aiutassero in futuro nello svolgimento dei suoi compiti. Dopo mandò un messaggero presso Zaron, chiedendo di vederlo. Il messaggio di risposa la informava che il khan era lieto che lei quel giorno si sentisse meglio e che sarebbe presto passato a prenderla. Deja indossò uno dei suoi abiti da giorno più elaborati, contrariata perché era lo stesso che aveva indossato il giorno che aveva conosciuto suo marito. Mise poi una lunga collana di e la corona, dopo aver chiesto a Larissa di acconciarle i capelli in modo che le ricadessero sulla spalla sinistra, a coprire parzialmente il livido che ancora decorava la sua pelle. Mentre attendeva difronte alle porte dell’harem stava valutando l’utilità di farsi preparare degli abiti rakiani, perlomeno quando si accompagnava con suo marito per il Palazzo Reale.
Quando le porte si aprirono Zaron aveva un’espressione cupa, ma poi rispose senza esitazione al sorriso che Deja gli rivolse. Lei gli porse la mano destra e lui la baciò con deliberata lentezza, prima di portarsela all’incavo del braccio facendola camminare al suo fianco.
- Hai un aspetto radioso questa mattina, mia signora. Noto con piacere che qualunque cosa ti avesse adombrata ieri, oggi non ti disturba più.
Deja abbassò leggermente il capo, contrita dal velato rimprovero che lui le aveva rivolto.
- Una semplice indisposizione, mio signore, ti ringrazio per la tua preoccupazione. Spero di non aver disturbato i tuoi piani per la mattinata, chiedendoti di incontrarmi.
- Niente affatto, mia signora. La mattina la dedico solitamente agli esercizi con la spada, che ho interrotto senza problemi per il piacere della tua compagnia. Dimmi, c’è qualcosa in particolare di cui desideri parlarmi?
La regina annuì, guardandosi intorno. Stavano passeggiando lentamente e lei non aveva idea di dove Zaron la stesse portando. Per quanto ne sapeva stavano camminando in cerchio.
- Avevi accennato alla possibilità di fornirmi delle stanze in cui io potessi ricevere i miei nobili. Mi piacerebbe conferire con le lady issiane che mi hanno accompagnata quindi, se potessi mostrarmi quali sale avevi in mente…
Zaron aumentò il passo, ora che aveva una meta precisa, e le rivolse un sorriso sollecito.
- Ma certo, mia signora.
Le mostrò una serie di salette, spiegandole che venivano solitamente utilizzate per far attendere i suoi ospiti prima di conferire privatamente con lui, e poi un piccolo salone, che era quello in cui lui solitamente teneva le udienze private.
- Me ne posso facilmente privare, tanto non ho usato granché queste stanze negli ultimi anni. Pensi che possano andarti bene?
Deja annuì, mentre i soldati issiani che l’avevano scortata controllavano le porte e le finestre, riferendo poi a lord Ostin le eventuali criticità strategiche.
- Sì, ti ringrazio nuovamente per la tua sollecitudine e non ti trattengo oltre dai tuoi impegni.
Deja sfilò la mano dal suo braccio, dopo averlo stretto una volta, per segnalare che non intendeva essere scortese.
- Mia signora, pensavo che magari potresti pranzare con me e i miei ministri oggi, se non hai altri programmi.
Deja lo guardò incuriosita.
- Mi farebbe piacere. 
Zaron le rivolse un cenno col capo e poi la lasciò. Deja non si rese neppure conto di quante infrazioni al protocollo e alle tradizioni rakiane Zaron stesse facendo per lei: non solo l’aveva invitata a desinare in compagnia dei suoi ministri, che di certo non avrebbero portato con sé le mogli, facendo di Deja l’unica donna presente, ma l’aveva lasciata sola in compagnia degli uomini della sua scorta, senza nessuna donna, neanche una servitrice, a fare da garante per il suo onore. Quest’ultima concessione gli era costata un po’, era stato restio a lasciare sua moglie con quegli uomini, ma non solo si fidava di Deja, era anche moderatamente sicuro che nessun uomo issiano avrebbe guardato nella sua direzione con lussuria, data l’età della regina. Oltretutto aveva affidato loro la sua vita. Avrebbe dovuto affidargli anche il suo onore.
 
Il pranzo con i ministri di Zaron fu teso; gli uomini presenti, una ventina, erano gli stessi che avevano accolto il khan al suo rientro a Halanda, più alcuni che non avevano fatto in tempo quella sera a raggiungere il campo d’atterraggio. Furono visibilmente sorpresi dalla sua presenza, con la notevole eccezione del nobile Brafit che questa volta fu estremamente cortese e durante la conversazione si rivolse numerose volte a lei, chiedendo prima sempre il permesso al khan e attendendo immancabilmente il suo cenno d’assenso prima di guardarla e rivolgerle la parola, in un’apparente eccesso di cortesia che lasciò Deja confusa. Gli altri sembrarono preferire che il nobile cognato del loro sovrano cominciasse per primo e si limitarono ad osservare Brafit e Deja e come Zaron reagiva al fatto che lui stesse cercando di coinvolgerla nella conversazione. Deja trovò il marito di Sali quasi simpatico: sicuramente l’opinione che aveva di lui migliorò, dopo il loro poco educato primo incontro. Tuttavia ogni volta che Brafit chiedeva cortesemente a Zaron se poteva rivolgere una domanda alla sua regina, a Deja veniva in mente il viso illuminato di entusiasmo e d’amore della principessa mentre declamava la sua abilità amatoria e si sentiva terribilmente in imbarazzo. Il rossore, che di tanto in tanto le dipingeva delicatamente le guance, sembrò attirare gli sguardi ammirati dei nobili presenti che offrirono numerosi complimenti a Zaron, elogiando la sua bellezza. Deja si chiese se la ignoravano perché era una donna o perché pensavano che parlando con Zaron invece che direttamente a lei non ne avrebbero suscitato la gelosia.
Nel pomeriggio incontrò le donne della sua corte e, se pensava che quell’incontro sarebbe stato più facile che sedere a tavola con Zaron e i suoi ministri, si era gravemente sbagliata.
Ser Ostin era stato ostile e rigido per tutto il giorno e lady Pastis era rossa di rabbia quando finalmente raggiunse il Palazzo Reale e chiese di parlare con lei, privatamente. Quando furono sole esplose.
- So che mi aveva ordinato di mostrare rispetto per re Zaron, ma come posso? Quel-quel… quell’animale! Dopo che siamo state allontanate alla fine del banchetto ho visto come vi toccava, quel depravato! Lord Ostin mi ha riferito cos’è successo ieri! Oh, mia povera regina, dovete essere distrutta! Siete sicura di sentirvi bene? Non volete che lady Asill vi visiti?
Deja rimase sconcertata dalla veemenza della donna e dalla sua sincera preoccupazione. Lady Pastis le esaminava le braccia e i polsi e le scrutava con insistenza la gola e il livido che i capelli non riuscivano a coprire interamente. La regina sollevò gli occhi al cielo e quando parlò lo fece scandendo le parole con lentezza e decisione.
- Sto bene, mio marito, re Zaron, non mi ha fatto del male. Non riesco a immaginare cosa Ostin possa averti raccontato ma deve aver frainteso, perché io sono perfettamente in salute, non ho bisogno della guaritrice!
Lady Pastis parve interdetta ma poi proseguì.
- Mia regina, lord Ostin ci ha riferito come la mattina a seguito delle nozze voi siate fuggita correndo dalle stanze di vostro marito, visibilmente alterata e sconvolta e che lui vi aveva marchiata e lasciato dei lividi. Poi per tutto il giorno vi siete rifiutata di rispondere ai nostri messaggi e di vederci. Eravamo tutti molto preoccupati. So che deve essere doloroso per voi, dopo l’ordalia che dovete aver vissuto, ma vi scongiuro, non cercate di proteggerlo negando il suo aberrante comportamento.
Deja trasse un profondo respiro per non urlare.
- Come dicevo, lord Ostin ha frainteso la situazione. Io non fuggivo da mio marito, né da quello che è successo nell’intimità della sua camera. Lady Pastis, mi rendo conto che non sei sposata, ma ciò non giustifica la tua insistenza. Quello che succede tra moglie e marito è privato. Ti basti sapere che re Zaron non mi ha in alcun modo recato offesa. Mio marito è stato molto corretto nei miei riguardi. Per quanto riguarda i supposti lividi sono solo il segno evidente della passione del mio sposo. Sia ben chiaro che questa è l’ultima volta che tocco questo argomento. Guai a te se oserai nuovamente parlare male del tuo re o fare insinuazioni sul suo carattere che, ti assicuro, è estremamente onorevole.
Si allontanò dalla donna e irruppe nella sala dove si trovavano le altre tre lady, anche questa volta Aduna era stata lasciata a casa, e i soldati della sua scorta, tra i quali lord Ostin.
- Vi ordino di smetterla con quegli sguardi di pietà e orrore. Non so che idea vi siate fatte, ma è sbagliata. Mio marito non è stato violento con me e comunque la mia prima notte di nozze non è argomento di pettegolezzo! E tu …
Con il dito indicò il giovane soldato che aveva assunto un’espressione testarda.
- Tu ti tratterrai in futuro dallo spargere voci sul mio conto e infangare l’onore di mio marito, sono stata chiara?
Spostò uno sguardo oltraggiato e furioso su tutti i presenti che abbassarono gli occhi e si inchinarono, accettando il suo decreto.
Non ci furono altre insinuazioni, né sguardi pietosi, e Deja passò in relativa tranquillità i seguenti dodici giorni, prima dell’arrivo del contingente issiano a Halanda, impegnando il suo tempo a conoscere meglio le concubine e le adorabili figlie di Zaron e, una volta pronti gli abiti in foggia rakiana che aveva richiesto, cominciò a sedere al fianco del marito, mentre egli discuteva di leggi con i suoi ministri e dispensava giustizia. Gli unici incontri a cui Zaron le chiese di non partecipare furono quelli con i suoi generali, e questo in virtù del fatto che lei era la regina di un regno conquistato.
Solo due avvenimenti si distinsero in quelle prime settimane: l’incontro snervante con la sarcastica Tallia e la cena privata che ebbe con Zaron.
Ci mise giorni a incontrarsi da sola con Tallia e capitò mentre Deja esplorava il giardino privato dell’harem. La donna era in un angolo secluso, seduta su una panchina di pietra, a guardare la figlioletta che correva tra le aiuole, raccogliendo fiori.
La regina era rimasta in piedi, incerta se avvicinarsi o lasciarle da sole, ma Tallia si era voltata verso di lei, le aveva sorriso e con un gesto l’aveva invitata a sedere al suo fianco. Per un po’ erano rimaste a guardare la bambina che giocava: Elina aveva disposto sull’erba i fiori raccolti e li muoveva facendoli interagire gli uni con gli altri, come se fossero persone. Poi Tallia si volse verso di lei, fissando con insistenza il livido scuro che ancora faceva bella mostra di sé sulla gola della ragazzina e parlò a voce bassa.
- Zaron è un uomo passionale, vero? Cerca sempre di trattenersi ma quando si lascia prendere la mano dopo si scusa. E comunque non è mai violento, neanche nei suoi momenti peggiori. Credimi, io conosco la differenza tra un uomo che gode nell’infliggere dolore e uno che semplicemente si lascia trascinare dalla passione.
Deja aveva sgranato gli occhi, coprendosi con una mano la gola e poi guardando velocemente la bambina che giocava.
- Oh, non badare ad Elina, non ci sta ascoltando. E poi è troppo impegnata a regnare sul suo impero floreale per badare ai discorsi noiosi dei grandi.
Deja si era sentita a disagio difronte alle insinuazioni della donna.
- Lo sai che Zaron non mi ha toccata.
Tallia sbuffò.
- Quel livido della forma della sua bocca dice altrimenti.
- Be’, sì, mi ha morso il collo, ma… Lui non ha… Sai cosa intendo!
Tallia l’aveva guardata fissa, socchiudendo gli occhi, prima di aggiungere, dubbiosa.
- Se lo dici tu…
- Tallia, non ti fidi di Zaron?
L’espressione della concubina divenne cinica, la bocca si piegò in una smorfia crudele.
- Secondo la mia esperienza gli uomini non hanno nessuna capacità di controllo, non quando si trovano nel letto una ragazza che non può digli di no.
Deja era sobbalzata, inorridita, e difronte alla sua espressione Tallia si era leggermente ammorbidita.
- Scusa. Ma io non ho avuto esperienze positive con gli uomini.
- Ma… Zaron. Lui sicuramente…
Deja non sapeva come spiegarsi; Zaron doveva essere diverso, con lei si era comportato sempre onorevolmente, come poteva lo stesso uomo, elogiato anche dalle altre concubine, apparire diverso agli occhi di Tallia?
- È il padre di tua figlia, non ti fidi di lui? Non lo ami, almeno un poco?
Concluse la ragazza, indicando la bambina felice che giocava sull’erba. Tallia guardò sua figlia, prima di rispondere sussurrando.
- Fidarmi? Non mi fido di nessun uomo, non fino in fondo. Amarlo? Suppongo di essergli affezionata. Di certo gli sono grata per Elina.
Gli occhi della donna si riempirono di un amore incondizionato.
- La mia bambina… Sono felice che lui sia suo padre. So che non le farebbe mai del male.
La sua espressione si fece feroce e il suo sguardo si indurì.
- Se così non fosse potrei ucciderlo con le mie mani, nel sonno, con uno dei coltelli che ama tanto nascondere in giro per la camera da letto.
Si rivolse nuovamente a Deja, che ebbe timore di lei, perché il volto di Tallia era divenuto brutto, cattivo, e quando parlò nuovamente la voce era alterata.
- Sai perché io sono qui? Perché anche Zaron ha i suoi momenti di aggressività e io sono brava a gestire gli uomini rabbiosi. È raro che il khan abbia desiderio di sfogarsi e così il più delle volte sono io a provocarlo fino a far esplodere la sua violenza.
Tallia arricciò le labbra, mostrando tutti i denti in un ghigno. Sembrava orgogliosa della sua capacità.
- E comunque, anche nei suoi momenti peggiori, non mi ha mai picchiata né ha inteso farmi veramente male.
La donna si avvicinò a Deja, chinando il capo per sussurrare ancora più piano.
- Perla non ha voluto che parlassimo apertamente delle nostre esperienze con gli uomini il giorno del tuo matrimonio. Mira è stata l’unica a parlarne e tu sei quasi svenuta. Come avresti reagito se ti avessi parlato della mia prima volta?
Deja aveva scosso il capo, non voleva ascoltare, ma Tallia la ignorò, sembrava esaltata da come il volto della regina era impallidito.
- Zaron ha sempre rifiutato le ragazzine che gli venivano offerte, tu sei l’unica che abbia voluto.  Ha una regola: nessuna che sia di quindici anni più giovane di lui. È una regola saggia, a cui pochi uomini pensano*. Sai perché ce l’ha? Nel bordello dove sono cresciuta hanno venduto la mia verginità all’asta**. Avevo quattordici anni, anche se a quegli uomini dissero che ne avevo compiuti tredici da poco. Quando venne a sapere chi aveva vinto, offrendo la cifra più alta, mia madre protestò a gran voce con la proprietaria. Lei conosceva quell’uomo, era stato uno dei suoi clienti fissi quando era rimasta incinta di me e c’erano buone probabilità che fosse mio padre. Non l’ascoltarono, ovviamente. Anzi, le intimarono di tacere e anche a me ordinarono di tenere la bocca chiusa con lui. Non volevano scontentare un cliente così ricco e importante. Così non gli dissi niente. Quell’orribile uomo, quel disgustoso maiale!  A lui piaceva far del male, per questo cercava di accaparrarsi tutte le vergini del bordello. Ma io non emisi un fiato. Piansi, ma non urlai mai, non importava quanta violenza lui usasse. Da quel giorno cominciò a chiedere sempre di me e alla fine dovette pensare che derivassi piacere dal dolore che mi infliggeva. Mi feci una certa fama e i clienti… difficili… cominciarono a chiedere di me. Poi Perla mi ha prelevata dal bordello e mi ha fatto entrare a Palazzo. Sono qui per soddisfare i bisogni particolari di Zaron, ma lasciamelo dire: lui è il cliente più gentile e considerato che io abbia mai avuto.
Guardò la sua bambina e la sua espressione si svuotò da ogni cattiveria, il tono si fece flebile e sembrò, per un attimo, sperduta e confusa.
- Ed è anche un padre affettuoso e presente.
Volse nuovamente il capo verso Deja.
- Come deve esserlo stato il tuo, di padre. Scommetto che il tuo paparino non ti ha mai toccata dove non doveva, non ti ha mai allargato a forza le gambe…
Deja saltò in piedi, con lo stomaco in subbuglio e scappò correndo. Piangeva e singhiozzava apertamente quando rientrò nella zona comune, quasi scontrandosi con Mira.
- Cosa succede, Deja?
Mira era allarmata e aveva cercato di trattenerla. Deja si era divincolata, aveva farfugliato il nome di Tallia ed era scappata nei suoi appartamenti, dove aveva pianto fino a rimanere senza fiato. Le parole finali di Tallia l’avevano disgustata, ma ciò che l’aveva sconvolta di più era stato il resoconto della vita che la donna aveva vissuto, gli abusi che doveva aver subito.
Quando uscì dalle sue stanze lo fece perché attirata dalle urla. Le concubine avevano circondato Tallia che stava litigando con Perla la quale le chiedeva a gran voce cosa avesse fatto a Deja per farla piangere.
La regina si era intromessa, prendendo inaspettatamente le difese di Tallia.
- No Perla, basta. Io e Tallia abbiamo parlato in giardino e l’argomento è stato delicato e mi ha scossa nel profondo. Tallia, anche se cruda, è stata sincera e si è aperta a me, non deve essere rimproverata per questo.
Perla aveva chinato il capo, accettando le sue parole e si era rasserenata, abbracciando l’altra donna e chiedendole scusa. Tallia aveva risposto all’abbraccio e da sopra la spalla di Perla aveva guardato Deja con espressione indecifrabile, prima di farle un piccolo cenno con capo e un brevissimo sorriso. Ancora Deja non lo sapeva, ma ne aveva vinto la fiducia ed era entrata in quel limitato circolo che componeva le amicizie strette della donna.
Per contrasto la cena che aveva avuto con Zaron era stata piacevole e rilassata. Avevano cenato nella sala da pranzo privata di Zaron, all’interno dei suoi appartamenti, e avevano seduto vicini al basso tavolo quadrato. Lui l’aveva stupita, facendole servire i piatti che aveva preferito di più al banchetto di nozze, mentre per sé aveva ordinato del cibo fortemente speziato, confidandole che aveva sentito la mancanza del pepe, di difficile reperimento, durante le sue campagne militari. Deja, incuriosita, l’aveva voluto assaggiare ma se ne era presto pentita: la spezia le aveva bruciato la lingua e la gola, facendole lacrimare gli occhi e pizzicare violentemente il naso. Si era affrettata a bere dal suo calice, ma neanche quello aveva sembrato calmare il fuoco che le ardeva in bocca. Zaron, ridendo, le aveva messo in mano del pane, suggerendole di provare con quello che, per lo sorpresa di Deja, era riuscito a quietare il bruciore. Zaron rideva e rideva, piegato in due sul suo piatto e Deja, piccata, gli aveva tirato in testa un pezzo di mollica, prima di unirsi a lui. Era stato piacevole: la cena, lui e la sua risata e Deja si era sentita a suo agio, tutto il nervosismo e il terrore che aveva provato l’ultima volta che si era trovata lì completamente dimenticato.
- Volevo parlarti di una cosa, Deja.
Zaron le guardava l’abito rakiano verde acqua che indossava, i polsi nudi e il petto su cui era poggiato il pendente di zaffiro, l’unico gioiello che la ragazzina indossasse. Deja seguì il suo sguardo, confusa.
- C’è qualcosa che non va nel mio abbigliamento?
Lui scosse inizialmente il capo, poi fece una smorfia e annuì.
- C’è qualcosa che non va. Non indossi abbastanza gioielli.
- Come?
Deja aveva spalancato gli occhi per la sorpresa, cosa c’entravano i gioielli?
- Avrai notato il numero di braccialetti che indossano le mie concubine, le collane e gli orecchini. La quantità e la qualità dei gioielli indossati da una donna è un riflesso della ricchezza del marito, ed è anche un segno evidente che lui la favorisce. Per questo al nostro matrimonio ti ho messo tutti quei bracciali e cavigliere e tutte quelle collane e anelli. Ti farò avere degli scrigni con dei gioielli e vorrei che tu li indossassi, soprattutto i bracciali e le cavigliere dato che non puoi metterti gli orecchini. A questo proposito, potresti prendere in considerazione l’idea di farti forare i lobi?
Deja si era coperta entrambe le orecchie con le mani.
- Assolutamente no!
Poi, difronte all’espressione delusa di suo marito aveva concesso.
- Magari più avanti, magari un solo foro per lobo…
Lui le aveva sorriso.
- Mi basta che ci pensi, per adesso. Se non vuoi non sei costretta.
Lei aveva sospirato, rassegnata.
- Quanti braccialetti pensi che siano adeguati?
Lui vi aveva riflettuto sopra.
- Almeno tre in più di quelli che indossano Perla e le altre concubine che, noterai, portano lo stesso numero di bracciali e cavigliere. Non ho mai voluto che ci fossero ostentazioni di favoritismo.
- Ma vuoi che si pensi che favorisci me.
Aveva aggiunto esitante Deja.
- Tu sei mia moglie. È ovvio che io preferisca te.
Aveva replicato risolutamente Zaron. Poi aveva aggiunto, per placarla dato che lei era visibilmente scontenta.
- Ti chiedo di indossarli solo quando sei abbigliata alla maniera rakiana, non pretendo che tu li indossi quando vesti secondo gli usi della tua terra.
Deja aveva annuito, ancora svilita all’idea di essere appesantita da tutto quell’oro.
- Posso chiedere una cosa?
- Deja, tu mi puoi chiedere tutto.
Aveva replicato lui.
- Ho notato,
Aveva proseguito la ragazzina con fare pensoso.
- Che ci sono delle guardie che rimangono sempre a Palazzo, quando tu avevi detto che solo la famiglia reale e i servitori vi risiedono. E ho anche notato che le stesse guardie mi accompagnano quando esco dall’harem. Eppure mi era parso di capire che ci fosse una certa … ritrosia a lasciare delle donne in compagnia di uomini sconosciuti. La stessa cosa non dovrebbe valere per le guardie?
Zaron aveva poggiato la schiena contro la sedia sorridendo.
- Ma quelle sono guardie faliq. Sono speciali.
- In che senso?
Aveva chiesto perplessa Deja.
- I faliq sono una speciale divisione del mio esercito, vengono selezionati durante l’accademia o l’addestramento, quando dimostrano le loro… inclinazioni. Per quanto ne so non esiste nulla di simile in nessun esercito del mondo. Quando un uomo che ha intrapreso la carriera militare dimostra di preferire la compagnia degli altri uomini a quella delle donne, viene selezionato per entrare nel gruppo dei faliq. Sono guerrieri ben addestrati che vengono impiegati principalmente come guardie del corpo e per scortare le donne delle famiglie nobili. Nessun marito sarebbe geloso di loro, nessun padre li sospetterebbe di insidiare l’onore delle sue figlie. Per il semplice motivo che i faliq non sono attratti dalle femmine. Per questo i loro servigi sono molto richiesti e apprezzati.
Deja lo guardava a bocca aperta, arrossendo leggermente. Poi si schiarì la voce.
- Ci sono uomini del genere anche a Issa, ma vengono guardati con… disprezzo.
Lui scosse il capo sorridendo mesto.
- Solo i soldati faliq vengono trattati con onore a Rakon. Un uomo che non appartiene a quella falange ma che dimostra inclinazioni simili viene considerato con disprezzo anche qui, soprattutto se appartiene alla nobiltà, perché ci si aspetta che un nobile abbia molte concubine, una moglie e generi numerosi figli.
- Capisco.
Sussurrò Deja, ritenendo chiuso l’argomento.
Mangiarono in silenzio e dopo un po’, schiarendosi la voce, Zaron le porse una domanda che la stupì.
- Il tuo compleanno cade tra quattro mesi, giusto Deja?
Lei aveva annuito.
- Sì, tra quattro mesi e una settimana.
Lui aveva scosso la testa divertito da quella puntualizzazione.
- Che ne diresti di tornare a Issa, per festeggiare il tuo tredicesimo compleanno?
Deja si era impietrita, fissandolo a occhi spalancati e Zaron era parso esitante.
- Dici davvero?
Aveva chiesto lei con un filo di voce e Zaron aveva annuito.
- Sì, certo. Se ti fa piacere.
La ragazzina era esplosa in un gridolino di gioia, battendo le mani e poi, incapace di contenere la contentezza, si era alzata in ginocchio e si era sporta al di là dello spigolo che li divideva, buttando le braccia al collo di Zaron e gridando.
- Grazie! Grazie! Grazie!
Poi gli aveva rumorosamente baciato la guancia destra prima di tornare a sedere al proprio posto, un sorriso enorme a tenderle le labbra e gli occhi brillanti di felicità. Zaron si era toccato la guancia e aveva sollevato un sopracciglio, Deja era arrossita leggermente e poi aveva osservato, con tono difensivo.
- Le tue figlie ti baciano sempre sulla guancia! Non ti sarai offeso, spero?
Zaron aveva schiarito la gola e scosso il capo.
- Certo che no, mi hai solo sorpreso.
Deja sembrava persa in un mondo tutto suo e Zaron era stato restio a introdurre il seguente argomento, ma aveva dovuto.
- Ho pensato che sarebbe meglio se tu cenassi con me, nei miei appartamenti, almeno una volta al mese e poi, dalla prossima volta, non da oggi, dormissi qui.
Lei aveva fatto una smorfia e un po’ della sua felicità si era offuscata, ma poi aveva annuito.
- Deja…
Aveva continuato Zaron, parlando lentamente.
- Cerca di capire. Non posso continuare a dormire sulle sedie. Il letto è abbastanza grande, possiamo coricarvici entrambi comodamente senza toccarci.
Deja aveva roteato gli occhi.
- Sì, ho capito. Non ti preoccupare, non ho paura di te. Lo so che mantieni le tue promesse e che comunque non sei interessato a me. Per tornare a Issa viaggeremo via terra o prenderemo nuovamente l’aeronave?
Era ancora di buonumore, e sorridente, quando uscì dall’appartamento di Zaron e rientrando nell’harem incrociò una delle concubine che ne usciva, velata, per percorrere il cammino opposto al suo. Guardò la porta chiusa alle sue spalle, pensosa, e poi andò nell’area comune, in cerca di Perla.
- Rientrando ho incrociato Oscia. Stava andando da Zaron, vero?
Perla, che stava leggendo reclinata sui cuscini nella sala comune, l’aveva invitata a prendere posto a fianco a sé.
- Sì. Questa notte è il turno di Oscia.
Deja aveva assunto un’espressione perplessa e vagamente mortificata.
- Ha dei turni per vedere le sue concubine?
Perla era scoppiata a ridere, rovesciando la testa all’indietro.
- No, hai frainteso. Noi abbiamo una lista dei giorni! A meno che non richieda espressamente di una di noi, siamo noi a decidere con chi passerà la notte.
Poi aveva aggiunto, con espressione maliziosa.
- E cambiamo continuamente l’ordine, così che non sappia mai chi busserà alla sua porta!
Deja era rimasta a pensare, riflettendo sulla cosa prima di parlare nuovamente.
- A volte cena qui e gioca con le bambine e poi va via, accompagnato da una concubina…
Perla aveva annuito e poi aveva continuato.
- Ma altre volte siamo noi che ceniamo da lui e poi passiamo la notte nei suoi appartamenti.
- E lui non si ferma mai a dormire qui?
Aveva chiesto Deja, incuriosita.
- No, quasi mai. Le bambine possono essere indiscrete e così preferiamo tenere lontane certe attività dai loro occhi. Però a volte capita, e cerchiamo di essere riservati e non farci scoprire da loro.
Deja aveva annuito e poi si era ritirata, tornando a sorridere al pensiero di riabbracciare presto il padre.


* La regola dei 15 anni. Mi è venuto in mente guardando “Il trono di spade” (prima stagione, poi è diventato progressivamente troppo differente dai libri e ho smesso di guardarlo). Re Robert, il re che muore all’inizio, viene descritto come un donnaiolo impenitente che corre dietro a ogni sottana e che frequenta assiduamente i bordelli. Nel libro gli unici suoi bastardi che sfuggono all’epurazione di Cercei sono Gendry e la sua figlia bastarda primogenita (che, per quanto ne so, c’è solo nel libro) che è un’adulta. E pensando a lei mi sono chiesta: se durante le sue visite ai bordelli incontra una delle sue bastarde adulte, avrà la capacità di riconoscerla ed evitarla? La risposta che mi sono data è stata: non credo proprio. Quindi è nata questa idea. Avrei potuto dire 17 anni, ma ho preferito 15, un bel numero tondo.
** Venduta all’asta. Qui mi sono ispirata al film del 1996 “Moll Flanders” con Morgan Freeman, anche questo completamente diverso dal libro.
 
NOTE DEL’AUTRICE: Non riuscivo a trovare un titolo per questo capitolo e poi, improvvisamente, mi è balenata in testa l’immagine di Hannibal Smith (del telefilm anni ’80 “A-team”), che si porta il sigaro alla bocca e sorridendo afferma: mi piacciono i piani ben riusciti! In questo caso il piano di Zaron è riuscito anche troppo bene.
Deja sembra volubile in questo capitolo ma, come ho fatto dire alle concubine, è l’età. E sarà sempre peggio: la crescita (alla fine della storia guarderà Zaron dritto negli occhi), la maturazione sessuale e gli ormoni che ti fanno comportare come una che soffre di personalità bipolare e ti fanno urlare a pieni polmoni le cose più assurde e imbarazzanti. Oh, le gioie dell’adolescenza! Non ne sento minimamente la mancanza….
 
 

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Capitolo 6
*** Piccoli i passi, lunga la via ***


NOTE INIZIALI: Anche qui, come nel capitolo precedente, mi tocca avvisarvi che ci sono una scena in cui è sottinteso un rapporto sessuale violento, anche se perfettamente consensuale, e che qualcuno ci lascia anche le penne e in maniera cruenta per di più. Quindi, se trovate che il capitolo sia “troppo” per il rating arancione, ditemelo.

VI. PICCOLI I PASSI, LUNGA LA VIA

 
 
Sedici giorni dopo l’arrivo in aeronave di Deja, fece il suo ingresso a Halanda il gruppo di nobili e soldati issiani. Cinquanta uomini con i colori blu di Issa scortavano una trentina di nobili, in maggioranza donne. Accompagnati da un numero anche maggiore di soldati rakiani avevano attraversato la Città Nuova, dove la scorta issiana aveva dovuto fermarsi, e poi si erano inerpicati per la pendice del vulcano, fino alla Città Vecchia e al palazzo riservato a loro, dove i nobili si fermarono giusto per rinfrescarsi prima di andare subito al Palazzo Reale, per presentarsi alla loro regina.
Deja dovette forzarsi a trattenere le lacrime davanti a quelle persone così familiari che riempivano la stanza che fungeva da sala delle udienze. La regina e suo padre avevano personalmente selezionato coloro che avrebbero seguito Deja a Halanda, per la loro vicinanza alla famiglia reale e per la mancanza di legami a Issa, non volendo dividere fidanzati o genitori da figli giovani. Soprattutto Aborn aveva chiesto alle famiglie nobili issiane di privarsi delle loro figlie più giovani, perché Deja potesse avere con sé delle persone più vicine alla sua età. Questo faceva sì che solo otto delle lady giunte nella capitale rakiana fossero sposate mentre le altre erano per la maggior parte tra i sedici e i vent’anni, così come erano giovani o non sposati sette dei lord che completavano il gruppo. A parte lady Pastis, erano giunti anche tre lord che avevano composto il consiglio del padre di Deja e che da tempo ormai si erano ritirati dal servizio pubblico ma che avevano accettato di seguire la giovane regina per aiutarla a gestire in remoto le attività del regno.
Il principale problema che emerse fu la disponibilità di accomodazioni adeguate e la mancanza di spazio. Oltre al palazzo dei dignitari stranieri, che ormai non era più in grado di contenere adeguatamente il gruppo proveniente da Issa, Zaron aveva messo a disposizione altri due palazzi nella Città Vecchia che erano recentemente entrati in possesso della corona rakiana e aveva suggerito l’acquisto o la costruzione di edifici nel quartiere mercantile della Città Nuova.
- Se le signore sono d’accordo io suggerirei di spostarvi in uno dei palazzi forniti da re Zaron, in modo da lasciare libero il palazzo dei dignitari stranieri. Quelli di voi che sono sposati invece potrebbero trasferirsi nella Città Nuova e comprare delle sistemazioni adeguate. Lo stesso per i lord non sposati, a meno che non vogliate condividere il secondo palazzo qui nella Città Vecchia.
L’anziano lord Fasil si fece avanti.
- Mia regina, io, lord Gurvin e lord Bodin saremo lieti di condividere una collocazione che ci permetta di rimanere vicini al Palazzo Reale e di fare il minor numero di volte possibile quell’infernale salita.
Lord Sadij si rivolse alla regina e ai tre nobili anziani.
- Se i miei signori mi accettano, gradirei rimanere anch’io nella Città Vecchia, per rimanere vicino a mia zia e alle mie cugine.
I tre lord avevano annuito. Durante il viaggio i lord e le lady che non avevano mai avuto veramente modo di socializzare alla corte issiana, si erano conosciuti più a fondo e avevano deciso di formare un gruppo stretto e di rimanere vicini durante la loro permanenza nella capitale straniera.
- Bene. Vedrò di parlarne con mio marito e di far sistemare il prima possibile i due palazzi qui nella Città Vecchia. Per quanti di voi che lo desiderino posso mettervi in contatto con Rispra, il ciambellano di corte, che sono sicura vi potrà consigliare come procedere per il trasferimento nella Città Nuova. Ora, vorrei parlare con voi della questione della sicurezza…
Così uno dei palazzi aveva finito per ospitare dodici nobildonne più due coppie sposate che non avevano voluto affrontare la Città Nuova e prese il nome di palazzo azzurro per la processione di nobili scortate dai soldati issiani che ogni giorno si recavano al Palazzo Reale. L’altro invece, dove avevano trovato alloggio tutti i nobili non ammogliati, aveva finito per essere scherzosamente soprannominato dalla popolazione il palazzo degli scapoli. Le restanti sei coppie avevano affittato delle modeste residenze nella Città Nuova e poi avevano acquistato il terreno per costruire delle abitazioni adeguate al loro status e alle loro esigenze e soprattutto secondo lo stile issiano. Ci sarebbe voluto più tempo, perché avrebbero dovuto far venire degli ingegneri e architetti da Issa, per non parlare delle rifiniture, anche quelle importate, ma il risultato sarebbe stato un angolo di Issa a Halanda. Con il tempo anche i giovani lord non sposati si sarebbero trasferiti nella Città Nuova, imitando quelli che li avevano preceduti e facendosi costruire delle abitazioni in stile issiano, finendo per suscitare la curiosità e il desiderio di emulazione nei loro ricchi vicini rakiani, che negli anni avrebbero modificato le loro residenze per seguire la nuova moda, facendo ribattezzare una parte del quartiere dei mercanti in quartiere issiano.
 
Deja era stata molto felice di riabbracciare Famira e il giorno dopo il suo arrivo l’aveva voluta vedere privatamente. Avevano passeggiato sottobraccio per uno dei giardini del Palazzo Reale aperti al pubblico, scortate da tre soldati issiani e due rakiani e Famira le aveva dettagliatamente raccontato tutti i momenti più buffi e divertenti del viaggio.
- … e allora lord Bodin ha esclamato: ma quella non è mia moglie!
La ragazza più grande si piegò quasi in due dalle risate, mentre Deja si limitò a sorridere debolmente.
- Ci pensi? Lord Bodin e lady Karre? Lui potrebbe essere suo nonno! Anzi, bisnonno!! Dovevi vedere che faccia ha fatto quel locandiere!
Famira si volse verso la ragazza più giovane e smise di ridere quando si accorse che lei non rideva.
- Non lo trovi divertente?
Chiese confusa.
- A Rakon non è poi così strano, Famira. Quando Bodin ha detto che Karre non era sua moglie il locandiere deve aver pensato che fosse la sua concubina…
Famira fece una faccia disgustata, come se avesse messo in bocca un limone intero.
- Scherzi, vero?
- Affatto.
Deja sospirò.
- A quanto pare molte donne rakiane si sposano giovani e i nobili, come anche gli uomini ricchi, hanno numerose concubine.
Famira si chinò su Deja, che era più bassa di lei, e le parlò piano.
- Anche l’imperatore ha delle concubine giusto?
Lei annuì e non disse nulla. Famira guardò le guardie che le scortavano da vicino e poi disse a voce alta.
- Ma è proprio necessario essere seguite così? Siamo nel Palazzo Reale, non si può avere un po’ di riservatezza?
Deja si voltò verso gli uomini armati e fece loro gesto di allontanarsi ulteriormente di alcuni passi.
- Sì, ha cinque concubine e sono anche poche. Il marito di sua sorella, il nobile Brafit, ne ha dodici.
Famira fremeva di curiosità.
- E come funziona? Stanno in un harem, giusto? È così esotico!
Deja questa volta rise davvero, difronte all’espressione curiosa della sua amica.
Famira era sempre apparsa strana agli altri e aveva avuto poche amiche prima della principessa Deja; era molto alta e dinoccolata, con lunghi capelli scuri e ricci e occhi neri ereditati da chissà quale antenato straniero che la distinguevano da tutte le sue sorelle, che avevano capelli lisci e castani e gli occhi chiari degli issiani. Si erano conosciute quasi un anno e mezzo prima, a una festa danzante a palazzo. Deja aveva aperto le danze con suo padre e ne era stata molto orgogliosa perché era la prima volta che partecipava a una di quelle feste e che danzava in pubblico, ma l’unico ballerino con cui poteva accompagnarsi era suo padre, quindi finito il primo ballo aveva girato un po’ tra i nobili, annoiandosi e finendo per avventurarsi all’esterno, incappando, per suo enorme imbarazzo, in una coppia impegnata a baciarsi con passione. I due giovani non l’avevano vista e lei, arretrando lentamente per non disturbarli, era andata a sbattere contro Famira. La ragazza più grande le aveva sorriso e fatto cenno con la mano di seguirla. Si erano allontanate un po’ e poi lei si era rivolta a Deja.
- Disgustosi, vero?
Aveva ridacchiato difronte all’espressione mortificata della bambina.
- Sono mia sorella Giasi e il suo fidanzato. Io dovrei restare con lei ma tanto si sposeranno tra tre mesi, e io non ho voglia di fare da cane da guardia.
Le aveva porto la mano, come se fossero tra uomini.
- Io sono Famira, tu come ti chiami?
Deja le aveva sorriso e stretto la mano.
- Io sono Deja, piacere di conoscerti.
La ragazza si era impietrita ed era poi sprofondata in una riverenza.
- Mi dispiace, altezza! Non l’avevo riconosciuta! Oh, mia madre mi ucciderà!
Deja aveva riso forte.
- Non preoccuparti, se tu non glielo dici, io non glielo dirò! Non mi avevi vista aprire le danze con mio padre, re Aborn?
La ragazza aveva scosso il capo e si era giustificata, con voce sarcastica.
- No, appena arrivati mia sorella si è precipitata all’appuntamento galante che aveva con il fidanzato.
Famira si era tappata la bocca con entrambe le mani e spalancato gli occhi scuri, inorridita.
- Possiamo dimenticare quello che ho appena detto?
Deja aveva riso ancora più forte.
- Il suo segreto è al sicuro con me! Visto che stai cercando di svicolare ai tuoi doveri da cane da guardia, ti va di tenermi compagnia? Così se tua madre lo viene a sapere puoi sempre dirle che non potevi sottrarti a un ordine regale.
Famira le aveva rivelato che era finita a far da guardia a sua sorella perché tanto nessuno la invitava mai a ballare, visto che era più alta di quasi tutti i ragazzi, e che lei aveva accettato perché odiava essere relegata a fare da tappezzeria assieme alle lady anziane che non facevano che parlare dei loro malanni, dei tempi d’oro quando erano loro a ballare e che la subissavano di frecciatine e critiche dato che non riusciva a trovare un cavaliere.
- Mi annoio anch’io.
Aveva confidato Deja.
- Pensavo che le feste fossero più divertenti. È il primo anno che posso partecipare e devo ammettere di essere un po’ delusa. Sono rimasta vicino a mio padre, ma nessuno parla di argomenti interessanti: solo di matrimoni e pettegolezzi.
- Almeno tu hai potuto ballare.
Aveva commentato con voce carica di rimpianto Famira.
- Mio padre è morto e non ho fratelli che posso costringere a ballare con me! Solo sei inutili sorelle. E quelle sposate non mi prestano i loro mariti neanche se le imploro!
- Mi dispiace per tuo padre. E comunque a me non interessa tanto ballare.
Aveva fatto una smorfia.
- Sono contenta di dover fare solo il primo ballo e che nessuno può invitarmi a danzare!
Avevano riso insieme e passato insieme il resto della festa e il giorno dopo Famira aveva ricevuto un invito per trascorrere il pomeriggio a palazzo, con la principessa. Deja le aveva presentato Anka e loro tre, nonostante la differenza d’età, erano divenute amiche.
Quindi Deja non si fece problemi a parlarle dell’harem di Zaron, rivelandole che c’era ben poco di scandaloso dato che ci vivevano anche le sue tre bambine e poi, giusto per stuzzicarla, aggiunse.
- L’unica cosa strana è che le concubine, quando sono chiuse nell’ala femminile, in genere sono a seno scoperto.
Famira emise un verso strozzato e le sue orecchie divennero rosso fuoco.
- Vuoi dire che sono nude?
Deja rise, rovesciando indietro la testa.
- No! L’abito tradizionale rakiano comprende una gonna con dei pantaloni al di sotto; a coprire il torso c’è il blouse, una specie di camicia molto stretta e corta che nell’ala femminile, dove nessun uomo tranne il padrone di casa è ammesso, non indossano. Non ti dico come sono rimasta io, quando ho visto quelle donne seminude!
Le due ragazze continuarono a lungo a sghignazzare, mentre Deja descriveva gli usi di Rakon e riferiva a Famira come le concubine di Zaron fossero rimaste scandalizzate dal fatto che la ragazza più grande avesse viaggiato non accompagnata da un parente maschio o dalla madre.
Passeggiando giunsero in vista del campo d’addestramento privato di Zaron. L’imperatore stava duellando con una guardia e anche da lontano potevano vedere la concentrazione e l’abilità con cui maneggiava la spada, come se fosse un vero duello e le lame non fossero spuntate e arrotondate per non arrecare lesioni gravi. Nonostante ciò, quando Zaron riuscì a colpire il suo avversario allo stomaco di piatto, decretandone la sconfitta, aveva un sottile graffio rosso sul braccio dove la spada dell’altro lo aveva ferito di striscio. Zaron era sudato ma fece cenno a un altro avversario di farsi subito avanti, senza darsi il tempo di riposare, senza neppure tamponarsi la leggera ferita, rivolgendo appena uno sguardo alla moglie in compagnia dell’amica, ferme al limitare dell’area. Mentre il duello incominciava Famira parlò con voce grave, senza staccare gli occhi dal re.
- E così quello è tuo marito. Mi è spiaciuto tanto che mia madre non mi abbia permesso di partecipare al tuo matrimonio, ma lei ha avuto una crisi isterica e a me è toccato badare ad Aduna. Eravamo tutte spaventate, lo sai? Pensavamo che saremmo morte quando la città è caduta. Ma poi non è successo nulla. Niente saccheggi, niente stragi, niente edifici dati alle fiamme. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando è stata annunciata l’annessione di Issa all’impero e non la sua conquista. Abbiamo pensato di averla scampata. Abbiamo creduto che re Aborn in qualche modo ci avesse salvati tutti.
La voce di Famira si fece rabbiosa e due lacrime le sfuggirono prima che lei le asciugasse con stizza.
- Ma non lo aveva fatto, vero? Non è stato tuo padre a salvarci. Sei stata tu. Hai accettato di sposare lui e lui ci ha risparmiati. Tu ti sei sacrificata e noi ci siamo salvati. Non è giusto Deja, non è giusto!
Deja strinse forte una mano dell’amica.
- Non devi preoccuparti per me, Famira. Re Zaron… lui non è un cattivo marito.
Famira rivolse il viso pieno d’angoscia verso la sua amica e parlò a voce bassa, muovendo appena le labbra.
- Mi madre mi ha parlato del vostro matrimonio, dopo che Aduna era andata a dormire, e di quello che è successo il giorno dopo.
Deja aveva sollevato gli occhi al cielo, esasperata.
- Ti prego, non mettertici anche tu! Pensavo che l’argomento fosse stato chiuso. Il mio comportamento è stato frainteso da una guardia del corpo troppo zelante e da quella impicciona di lady Pastis! Lui non è un cattivo marito.  Ti prego, non dirlo in giro, ma lui è … simpatico, galante, mi fa ridere e … le circostanze non sono terribili come sembrano. Ti prego, Famira, fidati di me e non parliamo più di questa cosa. So come può apparire, dall’esterno. Ma il mio matrimonio non si è rivelato terribile come anche io avevo creduto all’inizio. Come ti ho detto non è strano che le ragazze a Rakon si sposino giovani, anche se di solito non giovani come me. Mio marito è un uomo d’onore e mi ha sempre trattata bene.
Famira aveva annuito, anche se c’era stata un’ombra di dubbio nei suoi occhi.
- Come vuoi.
Aveva concesso.
- Andiamo adesso, non mi piace come ci stanno fissando. Se continuano così, giuro che gli mostro la lingua.
Deja guardò gli uomini che si trovavano nel capo d’addestramento. Erano militari, per la maggior parte, che concentravano la loro attenzione sul khan e sul duello e se guardavano la loro regina e la ragazza che l’accompagnava con tale familiarità, non lo facevano apertamente; a fissare invece erano una decina di nobili che però, notò Deja, stavano ben attenti a non incrociare mai il suo sguardo, preferendo riservare il loro interesse per Famira. Improvvisamente si sentì a disagio e trascinò l’amica sulla strada del ritorno.  
 
Una settimana dopo l’arrivo dei nobili issiani a Palazzo Reale si tenne una festa per introdurli alla corte rakiana. Gli uomini furono invitati nel primo pomeriggio ad assistere a uno spettacolo equestre e scandalizzarono la corte rakiana portando con sé le loro mogli. Anche Zaron si era fatto accompagnare dalla sua regina, che per l’occasione aveva indossato una abito rakiano in seta azzurra. Si sentiva ancora leggermente a disagio con il ventre e parte della schiena scoperti e il blouse era così attillato che la faceva sentire seminuda quindi, aiutata da Mira, aveva drappeggiato la stola in modo da coprire il più possibile il torso e principalmente il petto, lasciando al velo e ai capelli sciolti sulle spalle il compito di coprirle la schiena. L’unica concessione che aveva fatto alla terra natia erano stati i gioielli, tutti issiani, con la collana con zaffiro al cui fianco spiccava il vistoso sigillo reale, in bella vista sopra la stola, e la corona di platino che portava sopra il velo. Almeno l’abito rakiano le consentiva di poter comodamente montare a cavallo: Deja non era stata molto entusiasta all’idea, dato che era una cavallerizza a malapena adeguata, ma Zaron le aveva suggerito di provare ad andare a cavallo alla maniera rakiana e Deja aveva scoperto che montare ad arcione invece che all’amazzone era infinitamente più semplice e che il pomo della sella le permetteva di aggrapparsi nelle salite e nelle discese, rendendo possibile anche a lei percorrere la strada che portava alla Città Nuova e al campo d’addestramento dell’accademia militare dove si sarebbero svolte le manifestazioni.
I cavallerizzi rakiani erano dei virtuosi e a esibirsi erano i cadetti più abili. Ci furono gare di velocità, giochi in cui due squadre si contendevano come premio un fagotto di stracci, delle battaglie simulate e persino una corsa ad ostacoli. Zaron le rimase vicino tutto il tempo, sfiorandole spesso la schiena e prendendola per mano, spiegandole i vari giochi e indicandole le differenze tra i cavalli: quelli usati nelle battaglie simulate erano più alti e massicci e addestrati a muoversi nel caos scatenato da uno scontro armato; quelli invece utilizzati nelle gare di velocità e destrezza erano più piccoli ed eleganti e la razza era stata selezionata per grazia e velocità.
Deja si era sentita a suo agio con lui, appoggiandosi al suo braccio e sfiorandogli con un dito la mano, quando voleva attirare la sua attenzione, consapevole che i nobili delle due corti osservavano con interesse ogni loro interazione.
Nessuno dei suoi aveva osato parlare del suo matrimonio con Zaron, solo Famira lo aveva fatto, in grazia dell’amicizia che le legava, e Deja era lieta di non aver dovuto nuovamente difendere suo marito e le sue azioni. Sapeva che questo non avrebbe impedito loro di ipotizzare il peggio e di vedere nel tocco più innocente un indizio di perversione, ma non le importava più di tanto. Lei sapeva cosa succedeva dietro le porte chiuse dei loro appartamenti e se lei non dimostrava paura o ribrezzo al tocco dell’imperatore forse presto tutte le speculazioni odiose, che sicuramente ancora venivano fatte nei loro riguardi, sarebbero cessate.
L’altra faccia della medaglia erano i nobili rakiani che notavano come il loro khan mostrasse un riguardo verso la sua giovane regina straniera contrario alle loro tradizioni, permettendole di accompagnarlo in ogni dove, anche alle riunioni di governo, toccandola spesso in pubblico, facendola camminare al suo fianco e consentendo praticamente a chiunque di guardarla e di parlarle direttamente. Guardavano il loro khan con la sua regina e i nobili issiani con le loro mogli e riconoscevano l’atteggiamento come simile. Chi aveva accompagnato il khan a Issa aveva riferito di come le nobildonne issiane sedessero a tavola accanto ai loro mariti, gomito a gomito con altri uomini e di come persino le donne non sposate partecipassero alla vita di corte. Ma quelli erano stati racconti su una terra lontana e diversa dalla loro; vedere con i proprio occhi un simile accadimento era tutt’altra cosa. Zaron vedeva come li guardavano, vedeva gli sguardi scandalizzati, ma soprattutto nelle settimane precedenti aveva fatto attenzione alle espressioni pensose e calcolatrici che erano comparse sui visi dei suoi cortigiani più ambiziosi e scaltri. I suoi nobili avevano preso nota del favore di cui godeva sua moglie e di come lui stesse adottato alcuni degli usi di lei, soprattutto nelle libertà che la incoraggiava a prendersi. L’unico limite che le avesse imposto era stato quello di movimento, non aveva voluto che uscisse dai confini del Palazzo Reale senza che lui l’accompagnasse: se voleva vedere qualcuno avrebbe dovuto chiamarlo presso di sé.  In effetti quella era la prima volta che Deja usciva da Palazzo. La precedente regina, la nobile Ingis, non ne era mai uscita negli anni di matrimonio con suo padre e aveva lasciato l’harem solo per partecipare ai banchetti e alle feste in cui erano presenti anche le mogli della nobiltà.  
Alla fine dello spettacolo, quando fu ora di rientrare a Palazzo Reale per il banchetto, Deja fu molto grata per i pantaloni che indossava guardando le nobildonne issiane entrare nelle soffocanti carrozze chiuse. Almeno avevano seguito il suo consiglio e avevano indossato abiti moderni invece di quelli tradizionali, più maestosi ma molto più scomodi.
A tavola i mariti furono invitati a sedersi al tavolo degli uomini e lasciarono andare a malincuore le loro mogli, a cui si erano unite anche le altre nobildonne, e si sedettero assieme agli altri nobili issiani al centro della tavola riservata agli uomini.
Tradizionalmente il khan avrebbe dovuto sedere a capo della tavola riservata ai nobili e la sua regina a quello del tavolo riservato alle nobildonne, ma Zaron aveva fatto preparare un tavolo a parte, tra i due, per sé e Deja, proprio come al banchetto del matrimonio. Sarebbe stato meglio lasciarle fare la conoscenza delle nobili rakiane, ma aveva voluto essere egoista e tenerla per sé: aveva trovato gradevole la sua compagnia a tavola, più di quella dei suoi stessi nobili, ed era stato restio a privarsene.  
Le nobili issiane questa volta erano state distribuite in modo uniforme lungo la tavola, così che potessero conversare con il maggior numero di donne rakiane. Come in occasione dell’ultimo banchetto lady Asill fu al centro dell’attenzione quando divenne noto il suo ruolo di guaritrice e, dopo numerose domande e richieste di consigli su come affrontare le gravidanze e la cura dei neonati, lady Asill aveva dovuto chiarire che non era una levatrice, non avendo una specializzazione in quel campo, ma una guaritrice generica che si occupava principalmente di malattie comuni, ossa rotte e malanni stagionali. E che no, non si faceva pagare per le sue prestazioni ma svolgeva la sua opera gratuitamente, per vocazione, perché la sua professione non era la sua fonte di reddito, dato che la sua famiglia era più che benestante e le entrate derivanti dalla compagnia ereditata da sua madre erano ingenti.
- Sua madre apparteneva a una famiglia mercantile, dunque?
Volle sapere la donna che sedeva alla sua destra.
- No, mia madre, lady Lahera, era di nobile nascita. La compagnia commerciale di cui parlo apparteneva alla famiglia da generazioni. Praticamente ogni famiglia nobile è proprietaria o socia di un’attività commerciale di qualche tipo. Issa vive di commercio, i nostri cantieri navali sono i migliori del continente. Perché, la sua famiglia di cosa si occupa?
La donna che le aveva posto la domanda rimase interdetta.
- Mio padre possedeva dei terreni nelle montagne di Kahshir, mio marito è il proprietario di alcune miniere che si trovavano nei paraggi, credo. Ha chiesto le terre di mio padre come dote e adesso vi estrae metalli preziosi.
- E allora,
Proseguì pazientemente lady Asill.
- Anche la vostra famiglia ha un’attività commerciale.
Al che la donna alla sua sinistra ribatté.
- Sì, ma la nobile Hilsa non si occupa in prima persona degli affari di suo marito. Mi corregga se sbaglio, ma lei ha detto che l’attività commerciale era di proprietà di sua madre. Non è entrata in possesso di suo padre, quando si sono sposati?
- No, certo che no. Le proprietà di mia madre sono rimaste di mia madre, quelle di mio padre di proprietà di mio padre. Lui si occupa di tutt’altro. La compagnia di mia madre fa commerci via mare, trasportando qualsiasi cosa per conto terzi, mio padre invece ha un fiorente commercio di tessuti. Ha numerose tintorie e rivende le stoffe per tutto il continente. Visto che in famiglia ci siamo solo io e mio fratello minore e che io ho preferito diventare guaritrice, l’attività di mia madre è andata a me, dato che si manda avanti da sola una volta scelto il giusto amministratore, mentre mio fratello lavora con mio padre e ne è l’erede. 
- E lei non è sposata?
Chiese nuovamente la donna alla sua destra, la nobile Hilsa.
- No, non ancora. Non so se mi sposerò mai, a questo punto: ho ventisei anni e non ho più molte occasioni di conoscere giovani lord che possano piacermi.
- Uno dei miei fratelli minori non è ancora sposato. Si chiama Fuldir, ha trent’anni ed è il terzo figlio maschio. Lo so che non ha molte prospettive, non essendo attratto dalla carriera militare, ma ama leggere e scrive poesie. È anche portato per i numeri e nostro padre e i suoi fratelli lo stimano molto e ha buone prospettive di ottenere un posto prestigioso nel governo della regione di Maadun, che se non mi sbaglio è una penisola con molti porti centrali per il commercio via mare.
La nobile Hilsa aveva uno sguardo estremamente soddisfatto e lady Asill si lasciò sfuggire un mugolio di disperazione. 
La maggior parte della curiosità era suscitata dalle ragazze non sposate che avevano affrontato un così lungo viaggio per seguire la loro regina. A essere al centro di numerose domande erano anche lady Jodina e sua figlia Famira che erano state sedute una a fianco dell’altra, vicino al capo del tavolo dove era seduta anche la principessa Sali, la quale aveva nuovamente il dubbio piacere di avere come vicina lady Pastis.
Le donne sedute attorno a madre e figlia erano molto incuriosite dal fatto che la giovane avesse viaggiato da sola via terra mentre sua madre e sua sorella avevano preso l’aeronave.
- E dov’è l’altra sua figlia, nobile Jodina?
Chiese un’anziana donna.
- Mia figlia Aduna è ancora troppo piccola: ha solo quattordici anni. Le fanciulle di nobile nascita a Issa vengono introdotte in società solo al compimento dei quindici anni.
A quell’affermazione numerosi occhi si spostarono verso il tavolo dove il khan e sua moglie stavano chiacchierando.
- La regina Deja è un caso particolare: lei è l’unica figlia di re Aborn e in quanto tale la sua unica erede. Accompagna suo padre nelle sue funzioni da quando aveva dieci anni. E poi è molto seria e intelligente, tutta Issa è sempre stata molto orgogliosa di lei.
Sia lady Jodina che sua figlia si erano irrigidite e l’espressione chiusa che avevano entrambe assunto aveva fatto capire alle loro interlocutrici che quello era un argomento delicato e di cui non avevano piacere a parlare.
- Avete anche figli?
Chiese una donna più giovane alla sua sinistra.
- No, solo figlie femmine, sette per la precisione. Io e mio marito abbiamo cercato a lungo un maschio ma non è stato destino…
Famira sbuffò divertita.
- Ma se padre diceva sempre che ero io il suo figlio maschio mancato!
Sua madre cercò di zittirla, mortificata.
- Dovete scusarla, suo padre in effetti la preferiva e le lasciava passare di tutto, rendendomi impossibile educarla come si conviene a una giovane di buona famiglia!
Le nobili rakiane sorrisero comprensive.
- È normale che un padre vizi le sue figlie. Quando poi manca un figlio maschio… Deve essere stato terribile per voi… Come avete fatto quando il vostro nobile marito è venuto meno?
Prima che la madre si lasciasse andare nelle solite lamentele di quanto fosse difficile essere vedova e trovare da sola dei mariti per le figlie non ancora sposate, Famira decise di rispondere per lei.
- Mia sorella Kile, la primogenita, ha ereditato il titolo e la maggior parte dei beni di famiglia. Suo marito è un uomo abile e sa gestire bene le proprietà di mia sorella, che dal canto suo è senza speranze. È una persona veramente a modo, si è dato da fare per occuparsi di mia madre e delle mie sorelle fino a che non si sono sposate tutte. Manchiamo solo io e Aduna. Per mia madre è molto importante che facciamo buoni matrimoni, visto che siamo le più giovani e che per lei la famiglia è molto importante.
Le sue parole lasciarono interdette le nobili rakiane che le avevano ascoltate con attento interesse.
- La figlia primogenita ha ereditato il titolo e i beni?
- E così state cercando un marito per le vostre figlie più giovani?
Le domande vennero da più fronti e mentre lady Jodina si voltava entusiasticamente a rispondere alla donna che aveva parlato di matrimoni, Famira si rivolse verso l’altra, non prima di aver intonato a sua madre con voce minacciosa.
- Sette mesi madre, ricorda, ancora sette mesi e poi…
Poi con un sorriso rispose alla domanda che le era stata posta.
- In mancanza di un figlio maschio è la primogenita femmina a ereditare. Comunque la questione dell’eredità è parecchio flessibile. I genitori possono decidere di destinare alcuni beni ai figli che preferiscono, così che può capitare che ad alcuni vada una parte di eredità maggiore anche se non sono gli eredi principali. Solo il titolo nobiliare è necessariamente del primogenito, maschio se c’è, altrimenti femmina, come nel caso di mia sorella, lady Kile. Dato che suo marito è il quarto figlio maschio e quindi non è l’erede della sua casata, i loro figli portano il nome di mia sorella, per proseguire la casata di mio padre.
- Ma se voi vi sposaste portereste il nome di vostro marito, visto che non siete l’erede di vostro padre, giusto?
Famira digrignò i denti: non aveva inteso riportare l’argomento sul matrimonio.
- Sì.
Rispose concisamente. La sua interlocutrice sembrò capire.
- Cosa intendevate dire alla vostra nobile madre prima, quando avete detto ancora sette mesi?
- Ho diciannove anni, quando ne avrò venti mia madre dovrà arrendersi e smettere di cercarmi un marito.
L’altra donna aprì la bocca per porre l’ennesima domanda ma Famira la precedette, immaginando cosa volesse chiedere.
- A Issa sotto i vent’anni serve il consenso dei genitori per sposarsi e tutte le richieste di matrimonio passano attraverso di loro anche se il diretto interessato ha ovviamente il diritto di veto sulle richieste sgradite. Dopo, un eventuale pretendente dovrà chiedere a me la mia mano. E io avrò il potere di accettare e rifiutare chi voglio, senza l’autorizzazione di mia madre!
- Chiunque, dice? Senza chiedere il permesso alla sua famiglia?
Famira annuì.
Dirimpetto a loro, ai nobili lord issiani non andava molto meglio. Sorprendentemente gli argomenti toccati dai nobili rakiani non erano di molto dissimili da quelli delle loro mogli. Erano interessati al rapporto tra moglie e marito a Issa, all’autonomia che una moglie poteva avere e al fatto che fosse lecito per fanciulle nobili non sposate fare così liberamente la conoscenza di altri uomini al di fuori dell’ambiente domestico. Le domande rivolte dagli uomini erano solo più schiette di quelle che le loro mogli stavano facendo.
- Quindi le fanciulle issiane sono più, come dire, …libere… nel loro affetto?
La domanda era stata rivolta a lord Sadij che inizialmente non capì, ma poi si imporporò di rabbia quando intese cosa venisse implicato.
- La virtù delle donne issiane è al di là di ogni sospetto, le assicuro, nobile Varkis! Nessun uomo degno di questo nome si permetterebbe mai di infangare con azioni o insinuazioni l’onore di una fanciulla! Le occasioni in cui è concesso socializzare sono strettamente controllate e l’etichetta è rigidamente seguita, nessuna fanciulla verrebbe mai lasciata da sola con un corteggiatore.
Il nobile Varkis alzò le mani.
- Pace, non intendevo mancare di rispetto. È solo che a noi appare davvero strano. Io non lascerei mai mia figlia uscire di casa se non accompagnata da me o da sua madre, non mi fiderei neppure di lasciarla con i suoi fratelli, perché si sa che i giovani si distraggono facilmente. Invece molte nobili issiane hanno viaggiato fino a qui senza la supervisione dei genitori e senza essere sposate. Una simile circostanza potrebbe essere interpretata come l’occasione di approfittare dell’ingenuità e dell’inesperienza di una fanciulla.
Lord Sadij si calmò, difronte alle scuse offerte dall’anziano nobiluomo.
- Dimentichi, nobile Varkis, che non viaggiavano da sole, ma in gruppo. Se una ragazza sola può apparire come una preda facile a un uomo di pochi scrupoli, un gruppo di ragazze che serra i ranghi è un bastione impenetrabile.
Il rakiano parve riflettere sull’argomentazione presentata.
- Non ci avevo mai pensato, questo perché le donne rakiane non viaggiano mai in gruppo, ma sempre con i mariti o i genitori. Ora che mi ci fai pensare,
Concluse con un sorriso.
- Ricordo quando ero giovane e mia madre sedeva all’altro tavolo. Quanto nervoso solevo diventare vedendola conversare con altre nobili signore che avevano giovani figlie nubili da ammogliare! Parlavano tra di loro e ogni tanto si giravano tutte insieme a fissarmi. Hai perfettamente ragione, mio nobile amico issiano, un gruppo di donne determinate è pericoloso quanto uno squadrone di soldati armati e assetati di sangue!
Lord Sadij annuì, soddisfatto di essersi fatto capire, e mise in bocca un generoso boccone del pasticcio che si trovava nel suo piatto.
- Certo, anche le mie concubine, quando decidono di essere cocciute e di allearsi contro di me sono una forza formidabile! Sono sicuro che sai cosa intendo. Io, oltre a mia moglie - la vedi quell’adorabile fiorellino seduto lì che porta in grembo il nostro primo figlio? - ho sette concubine, tutte giovani puledre dal sangue caldo. Tu quante concubine hai?
Lord Sadij quasi si strozzò quando il pasticcio gli andò di traverso. Il nobile Varkis gli batté bonariamente sulla schiena.
- Oh, dimentica la mia domanda sulle concubine. Tua cugina invece, pare abbia la confidenza della regina. È già fidanzata?
Lord Sadij divenne violaceo per lo sforzo di cercare di respirare.
Dal loro tavolo la coppia reale guardava di sottecchi i nobili delle due corti interagire.
- Mi sembra stia andando piuttosto bene.
Commentò Deja, osservando il tavolo femminile.
- Almeno non è ancora morto nessuno.
Replicò Zaron divertito dallo spettacolo offerto dal vecchio Varkis e dalla sua sfortunata vittima.
- Oh, dai! Non scherzare!
Deja gli appoggiò la spalla contro il braccio e gli rivolse un mezzo sorriso.
- Perché dovrebbe morire qualcuno?
Zaron si fece serio.
- È facile che nascano incomprensioni, dato che le nostre culture sono così diverse. La mia speranza è che sia la curiosità a predominare. I rakiani si offendono facilmente e sono veloci a richiedere un duello se pensano che il loro onore sia stato impugnato.
- Duello?
Replicò Deja sollevando un sopracciglio, pensando che lui stesse ancora scherzando.
- È barbarico. Davvero i tuoi nobili ostentano ancora simili atteggiamenti?
- Sono serio Deja. I nobili rakiani sfidano a un duello con i coltelli i loro pari. La legge prevede che siano duelli al primo sangue e non fino alla morte, ma a volte qualcuno ci rimette la vita.
Deja ne fu turbata.
- Spero che nessuno sfidi i miei nobili. Come il tuo esercito ha avuto modo di appurare, non siamo portati per l’uso delle armi.
- Non preoccuparti,
Le disse, poggiandole brevemente una mano sulla spalla.
- Se dovesse capitare vedrò di intervenire, rendendo palesemente manifesto il mio disappunto. Chissà che sia l’occasione buona di bandire una pratica così sciocca.
Lei annuì lentamente, riflettendo.
- Potresti mettere una multa molto salata e stabilire un risarcimento per la parte offesa, non serve che sia monetario, possono essere pubbliche scuse, o qualcosa di simile.
Lui le sorrise, deliziato dalla sua inventiva.
- Sai? È un’ottima idea.
 
I mesi che separarono Deja dal suo ritorno a casa sembrarono volare. Quando Zaron le aveva dato la lieta notizia, aveva pensato che il tempo si sarebbe trascinato pigro e invece la sua agenda piena di impegni le tenne la mente così occupata che i giorni passarono rapidi, quasi in sordina. Il fatto che cominciarono ad arrivare con un flusso costante i rapporti delle sedute di governo tenute da suo padre aiutò: Deja passava le mattine ad analizzare le trascrizioni, discutendone con i suoi consiglieri, e a valutare le decisioni paterne che approvò con poche eccezioni. I pomeriggi invece li trascorreva con Zaron, a seguire le sue sedute di governo. Il tardo pomeriggio lo spendeva nei suoi appartamenti, con un libro e preparandosi per la cena. Iniziava ogni giornata con una passeggiata nei giardini del Palazzo Reale, accompagnata dalle nobildonne issiane. Nel corso dei mesi alcune nobili rakiane si unirono a loro, prima la principessa Sali e poi, timidamente, altre. All’inizio le conversazioni vergevano sulle differenze tra Issa e Rakon, poi cominciarono a spostarsi su argomenti che interessavano entrambi i gruppi, man mano che le donne cominciavano a conoscersi e scoprivano di avere cose in comune. Capitarono incomprensioni che provocarono divisioni e la nascita di antipatie, ma Deja cercava di mediare, sforzandosi di non mostrare preferenze per le sue connazionali, così da mantenere un atteggiamento cordiale e disteso. I lord non furono così fortunati e un litigio in cui volarono insulti particolarmente spregevoli, nato dal fatto che uno dei lord anziani aveva scambiato la moglie adolescente di un nobile rakiano per sua figlia e la figlia adulta per sua moglie*, sfociò in una sfida a duello, che tuttavia non si tenne, per l’intervento di Zaron. Le due parti si scusarono pubblicamente a vicenda per il malinteso e per la reazione esagerata che entrambi avevano avuto e il lord issiano fece dono a quello rakiano di una pesante collana a maglie dorate.
Avvenne anche un fatto di sangue, di cui Deja non venne mai a sapere.
Zaron era preoccupato per la sicurezza della sua regina, sapendo con che fatica la nobiltà avesse accettato la sua presenza a corte, e quindi aveva incaricato il suo maestro delle spie di vigilare con particolare attenzione. Non tutti i nobili avevano accolto con curiosità e spirito d’avventura i cambiamenti alle tradizioni permessi da Zaron e implementati più o meno inconsapevolmente da Deja e un gruppetto di nobili aveva cominciato a esprimere ad alta voce il proprio disappunto per le scandalose usanze corruttrici della morale che gli issiani stavano introducendo a Halanda. Quei nobili avevano cominciato a riunirsi in casa del più facinoroso del gruppo, con la scusa di cenare tra amici, e si lamentavano di Zaron ma soprattutto di Deja. Quando gli furono riferite le oltraggiose insinuazioni e gli epiteti che venivano usati per descrivere la sua piccola regina, come aveva cominciato a soprannominarla con affetto crescente Zaron, il khan si ritrovò quasi a schiumare di rabbia. 
Intimò al nobile Gutor di essere il suo avversario in uno dei suoi allenamenti mattutini, invitando i suoi “amici” ad assistere. Il nobile Gutor sudava pieno d’ansia sotto la leggera armatura di cuoio e, mentre il suo sovrano usava l’allenamento come scusa per riempirlo di lividi e contusioni, rompendogli persino un dente con l’elsa della spada, lo implorava di avere pietà perché erano anni ormai che non impugnava un’arma e che comunque non sarebbe mai stato all’altezza del suo khan. 
- Nobile Gutor,
Disse con tono piacevole Zaron, prima di assestargli un calcio nello stomaco.
- Bisogna sempre essere pronti a difendere quello che ci appartiene, non trovi?
Con cattiveria lo colpì al ginocchio, godendo del rumore della cartilagine che si frantumava e dell’urlo agonizzante dell’uomo che cadeva sul ginocchio sano.
- Io sono sempre pronto a difendere ciò che è mio. E tu, nobile Gutor, sei morto.
Con queste parole calò la spada d’addestramento con tutta la forza che aveva sulla nuca indifesa del suo avversario, con la lama di taglio invece che di piatto. Con un rumore sordo la lama, pur non affilata, si piantò nella sua spina dorsale e con un gorgoglio bagnato il nobile Gutor crollò faccia a terra, morto.
- Che peccato: è morto sul serio. Che terribile incidente…
Commentò seraficamente il khan. Poi si voltò a guardare, uno a uno, i nobili presenti.
- Qualcun altro desidera incrociare le lame con me?
Gli uomini presenti avevano scosso convulsamente il capo e si erano chinati portandosi entrambe le mani sul cuore.
- No, mio khan.
Avevano detto in coro.
- Spero che la lezione sia stata educativa. Andate adesso.
Aveva concluso con disgusto Zaron.
Nessuno di quegli uomini aveva più osato parlare male della regina, ma Zaron aveva comunque dato ordine di non rilassare la sorveglianza, perché anche se non esprimevano più a voce il loro disaccordo con la politica di rinnovamento culturale che aveva iniziato, non voleva dire che avessero cambiato idea o che non avrebbero agito, se gliene fosse stata presentata l’occasione.
Zaron quella sera chiese espressamente di Tallia. Non lo faceva spesso ma era ancora così agitato e arrabbiato, pur avendo ucciso Gutor, che aveva bisogno di sfogarsi e Tallia amava litigare con lui. Non avevano neanche cenato: vedendo la sua espressione di furia a malapena repressa Tallia, sorridendo piena di anticipazione, lo aveva salutato con una parola volgare. Ne era seguita una gara di insulti in cui entrambi avevano urlato parole irripetibili e Zaron si era con sollievo lasciato andare, usando termini e frasi che aveva imparato una vita prima, tra i bastardi dell’accademia, e che non pensava avrebbe più utilizzato. Alla fine Tallia lo aveva addirittura schiaffeggiato e Zaron aveva rovesciato con un ringhio la tavola, ancora imbandita. Si era poi rivolto verso Tallia, con un ennesimo insulto sulle labbra, ma la donna gli era balzata tra le braccia, baciandolo e lui l’aveva portata in braccio in camera da letto. Non vi era stato nulla di tenero in quello che ne era seguito e alla fine, madido di sudore e più calmo, Zaron aveva accarezzato con dolcezza il corpo della sua concubina, vagamente allibito dai segni sulle braccia che cominciavano a comparire.
- Mi dispiace così tanto, Tallia. Non avevo intenzione… Ti ho fatto male?
Lei aveva riso sguaiatamente e lo aveva colpito sulla fronte con l’indice.
- No, stupido.
Poi aveva socchiuso gli occhi, minacciosa.
- Vedi di farti sparire quell’espressione dispiaciuta dalla faccia! Lo sai che non ho problemi a dirti quello che penso. Se tu mi avessi fatto male te l’avrei detto. Ti assicuro che avrei anche protestato, veementemente.
Era il loro accordo: Zaron si permetteva di avere la mano pesante con lei, ma in cambio Tallia gli aveva dovuto giurare che se qualcosa che lui le faceva non le andava bene, o voleva che lui si fermasse, glielo avrebbe detto immediatamente.
Zaron si coprì il viso con le mani.
- Cosa è successo, Zaron?
Gli chiese seriamente la concubina.
- Non dirlo alle altre, soprattutto Deja non lo deve sapere.
Aveva replicato lui e Tallia si era sollevata a sedere.
- Lo sai che quello che succede, e si dice, tra di noi rimane tra di noi.
Lui aveva sospirato.
- Ho scoperto dei … dissidenti, chiamiamoli così. Non ancora congiurati, non hanno avuto il tempo di divenire tali. Ho tagliato la testa del serpente prima che facesse danni, ma ha sputato veleno, Tallia. È solo l’inizio.
- Una congiura? Contro di te?
Aveva chiesto confusa la donna. Era già capitato ma Zaron non aveva mai reagito con tale collera.
- No, contro Deja. Le cose orribili che hanno detto di lei… Simili a quelle che ho detto contro di te poco fa.
Le prese la mano e gliela baciò con delicatezza.
- Scusami ancora. Lo sai che non le pensavo veramente.
Lei sbuffò divertita.
- Come io non penso davvero che tu sia il figlio bastardo di una prostituta ubriaca e di una capra puzzolente e molto confusa.
Replicò con dolcezza Tallia. Zaron rise e tutta la tensione lasciò le sue membra.
- Grazie Tallia, per essere te stessa.
- Lo sai che vivo per compiacerti, mio signore!
Lui aveva sorriso al suo tono falsamente dolce e affettato.
- Non esagerare, adesso.
Poi l’aveva attirata su di sé, baciandola con dolcezza e le aveva dato il piacere che prima le aveva negato, pensando solo a sé stesso.
 
Con l’avvicinarsi della data della partenza si stabilì anche chi avrebbe viaggiato fino a Issa con la coppia reale. Una manciata di nobili issiane vollero cogliere l’occasione per tornare brevemente a casa e riabbracciare le famiglie, dal canto suo Zaron ricevette dalla sorella una cortese richiesta di invitare suo marito. Oltre al nobile Brafit, Zaron chiese al suo consiglio chi desiderava accompagnarlo e quasi metà accettò, il primo a esprimere il desiderio di viaggiare fu l’anziano lord Varkis, che da pochi mesi era divenuto l’orgoglioso padre dell’ennesimo figlio maschio e che si era lamentato, quando non sprizzava orgoglio, e di come i polmoni possenti del suo nuovo rampollo non lo lasciassero dormire. Tra le sue concubine solo Perla lo avrebbe seguito, dato che progettava di stare via poco tempo, un paio di settimane al massimo. Zaron notò qualcosa di strano comparire sul viso di Deja quando le riferì la sua decisione, un velo di tristezza e un qualcosa che non seppe decifrare e che finì per attribuire alla pianificata brevità della visita.
Infine la tanto agognata mattina della partenza arrivò, a sette giorni dal suo tredicesimo compleanno Deja salì sulla passerella dell’aeronave al braccio di suo marito, ma il mezzo su cui salirono non era lo stesso dell’andata. Come le aveva annunciato Zaron, non tutte le aeronavi issiane erano state modificate e quella su cui si imbarcarono era ancora un sontuoso palazzo volante, con una cabina riservata a Deja che, pur non essendo ampia, era comunque lussuosa, con una stanzetta per la sua cameriera che non avrebbe dovuto dormire sul pavimento e un angolo per desinare in tutta tranquillità. Zaron e Perla avevano stanze simili ed erano gli unici a viaggiare con lei, nonostante ci fosse spazio. Questa volta il khan aveva preferito così, per cui quando si staccarono dal suolo del campo di addestramento lo fecero con altre tre aeronavi che si alzarono assieme alla loro e partirono alla volta di Issa.

 
 
 
* Scambia la moglie per la figlia e la figlia per la moglie: mi sembra di ricordare vagamente la pubblicità di una commedia in tv in cui il protagonista faceva una figuraccia salutando la figlia del suo ospite scambiandola per la moglie e poi presupponendo che la sua giovane moglie ne fosse la figlia. Alla fine si rivolge alla piccola nipotina e le dice una cosa tipo “e tu sarai la nonna, vero?”. Non ricordo che film fosse! Qualcuno lo conosce?
 
NOTE DELL’AUTRICE: Yeah! L’ultimo capitolo! Inizialmente avevo voluto includere in questo libro la visita a Issa, visto che poi progettavo un balzo avanti temporale, ma poi ho cambiato idea. Ho pensato al parallelo di finire il primo libro con i protagonisti che lasciano Issa e di finire il secondo con loro che vi fanno ritorno. La permanenza a Issa sarà descritta nei primi capitoli del terzo libro: “Il cuore di un drago” che è anche il titolo della triologia. Potete immaginarvi quanto lieto sarà il padre di Deja del fatto che Zaron dividerà gli appartamenti reali (dove prima stava lui), con la sua bambina… l’idea lo entusiasmerà quanto la prospettiva di una colonscopia… 
Forse vi starete chiedendo: perché tanti vedovi (che si risposano con ragazze giovani) e poche vedove? In mancanza di una sanità adeguata (vedi moderna), l’attività più a rischio per una donna è sicuramente il parto (e anche al giorno d’oggi capita che per ragioni assurde e inspiegabili una donna muoia in sala parto), quindi è più facile che un uomo rimanga vedovo e si risposi. Mi ricordo, in una visita guidata che feci in un castello francese, la guida che si soffermò davanti al ritratto del padrone di casa e di sua moglie e ci disse che il ritratto non era realistico perché lei era stata molto più giovane di lui, tipo molto più giovane, anche se nel ritratto li avevano fatti apparire coetanei. La guida aveva maliziosamente detto che lei probabilmente pensava di rimanere vedova presto e di godersi la fortuna del marito e che invece era morta giovane e che il suo anziano vedovo si era pure risposato!
Spero non odiate Zaron per come si è comportato in questo capitolo, prima uccidendo un uomo e poi per la sua esplosione di violenza con Tallia. Posso solo dirvi che questa sarà l’ultima volta. Succederà di nuovo che lui sia così arrabbiato, ma quando Tallia gli offrirà una facile valvola di sfogo lui le dirà di no.
Al prossimo libro!

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