La vita così come accade!

di Candy11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forse dovrei prima cominciare dal presentarmi...! ***
Capitolo 2: *** I miei anni francesi ***
Capitolo 3: *** Adieu... ***
Capitolo 4: *** Un nuovo inizio? ***
Capitolo 5: *** LA, la città delle occasioni? ***
Capitolo 6: *** James? Sei QUEL James?! ***
Capitolo 7: *** Il primo giorno di lavoro ***
Capitolo 8: *** Un compleanno da non dimenticare ***
Capitolo 9: *** Chris Evans, chi? ***
Capitolo 10: *** Un appuntamento inaspettato ***
Capitolo 11: *** Ho così tanto da imparare ***
Capitolo 12: *** Amicizia o amore? ***
Capitolo 13: *** La mia nuova vita ***
Capitolo 14: *** La mia prima volta ***
Capitolo 15: *** Una fine improvvisa ... ***
Capitolo 16: *** ...e una rinascita guadagnata ***
Capitolo 17: *** Il ritorno di una vecchia amicizia...? ***
Capitolo 18: *** Ryan ***
Capitolo 19: *** Finalmente sei tornato ***
Capitolo 20: *** Si può fare la scelta giusta? ***
Capitolo 21: *** Non esiste giusto o sbagliato ***
Capitolo 22: *** Devi essere sincera ***
Capitolo 23: *** Lontano da tutto ***
Capitolo 24: *** From London with love ***
Capitolo 25: *** Tom Hiddleston ***
Capitolo 26: *** Ora basta! ***
Capitolo 27: *** Conta su di me ***
Capitolo 28: *** A piccoli passi ***
Capitolo 29: *** Il bacio ***
Capitolo 30: *** E poi...? ***
Capitolo 31: *** Tu mi fai felice (FINE) ***



Capitolo 1
*** Forse dovrei prima cominciare dal presentarmi...! ***


--- INTRODUZIONE E PRESENTAZIONE ---
Incipit:






Febbraio 1988, nasce Martin Arnaud.
Sono io, non sono francese, ma nemmeno italiana. Non sono italiana, ma nemmeno americana. Fino a una certa età non ero capace di riconoscermi con alcuna cultura, non provavo quel famoso sentimento di appartenenza che per molti era pressoché indispensabile.
Nasco in un piccolo paese toscano il cui nome è sorvolabile. Ho vissuto in Italia per quindici anni frequentando il liceo di lingue. Ho da sempre amato l’idea di poter conversare con persone totalmente diverse da me: diverse esteticamente, dal diverso pensiero, dal diverso sguardo, dal diverso atteggiamento e dal diverso odore.
Il mio aspetto fisico non è nulla di eccezionale. Sono bassa. Molto. Da quando iniziarono a prendermi in giro per questa mia caratteristica smisi di misurarmi. Ad occhio e croce, posso dirvi che sono alta circa 1 metro e 55. Lo so, non c'è nulla di cui vergognarsi, la mia altezza non ha nulla di male. Ma a 15 anni fai fatica a rendertene conto. Ho i capelli castani, gli occhi nocciola. Ho degli occhi enormi, me lo hanno sempre detto. Ma sono nascosti da un paio di occhiali. Dai 10 ai 15 anni ero cicciottella. Non ero proprio "na' bellezza". Col tempo riuscì a perdere del peso e a rendermi carina. Le mie sopracciglia folte, che prima mi creavano imbarazzo, col tempo non solo riuscì ad accettarle, ma diventarono addirittura di moda! 
Sono sempre stata una ragazza semplice, ma gli avvenimenti della mia vita mi hanno profondamente cambiata. Sono partita come una semplice ragazzina senza provenienza e sono diventata la regina dei media. Forse ora sto esagerando... Non voglio spoilerarvi troppo la mia storia, dovete gustarvela a pieno! 
Mi sono da sempre piaciute le piccole cose. Adoro fare compere, o almeno, adoro camminare per negozi e toccare i tessuti dei diversi abiti. A causa dei problemi e del rapporto conflittuale con il mio corpo non sono sempre dell'umore giusto per fare compere. 
Ho da sempre amato leggere, fare foto e girare film amatoriali e remake buffi di vecchi film europei e non. Dipingo. Come una bambina di cinque anni, ma dipingo. 
Ho vissuto in tante città diverse, ho perso e ritrovato le mie radici tante volte.
Forse vi potrebbe interessare anche la mia vita amorosa.
E' stata un continuo traballare e una montagna russa perenne. 
Fino a che non ho incontrato una persona speciale, che ha messo in ordine i tasselli della mia vita con tanto amore e cura. 
La mia vita è costellata di persone nocive ma anche di persone importanti, alcuni nomi possono essere James, Ryan, Blake, Wes, Chris, Tom... Vorrei quindi raccontarvi cosa mi è successo, e come sono arrivata ad essere dove e chi sono oggi.
Non vi dirò più nulla su quello che accadrà, non voglio ritrovarmi poi a scrivere di cose che già sapete! 
Mio padre, Pierre Arnaud, era un rappresentante di chissà quale industria multinazionale, il che comportò quella che, in un primo momento, sembrava essere la sfortuna più grande della mia vita ma che, in seguito, si rivelò la cosa migliore che mi potesse capitare: viaggiare, sempre, di continuo. Non avevo fissa dimora, era tutto un “vivere alla giornata”.
Una persona a cui questa condizione di pellegrinaggio perenne piaceva particolarmente era mia madre, Vanessa Poli. Italiana doc, a lei, però, la stabilità stava stretta. In giovinezza viaggiò tantissimo in veste d’interprete (probabilmente il mio amore per le lingue è dovuto a lei) fino a che non incontrò Pierre.
Si sposarono e, senza volerlo, saltai fuori io.
Loro ci provarono a darmi un’infanzia tranquilla e ci riuscirono abbastanza. Rinunciarono alla loro passione: uno (Pierre) ai soldi, rifiutando i continui viaggi di lavoro, e l’altra (Vanessa) al piacere stesso del viaggiare, per essere una madre affettuosa e presente. A un certo punto della loro vita, però, non riuscirono più a sopportarlo, decidendo così di spostarsi e ricominciare a balzare da una città all’altra. Inizialmente rimasero in Italia, successivamente, sfruttando il fatto che avevo studiato per due anni il francese con tanta dedizione, esercitandomi in casa (per la precisione, ero costretta a parlare a giorni alterni il francese e l’inglese), decisero che la Francia sarebbe stata la mia nuova casa.   
È da qui che vorrei iniziare la mia storia. Dai miei anni in Francia e da ciò che accadde dopo… 
 







Ciao lettori! Grazie per aver aperto la mia storia! 
Sono Candy e vorrei raccontarvi la storia di una ragazza semplice, come noi, ma che tenta la scalata verso il successo. Ci racconterà dei suoi amori, delle sue paure e delle sue avventure. 
Avremo come "co-star", personaggi come James Franco, Wes Anderson, Ryan Reynolds, Black Lively e, ovviamente, CHRIS EVANS. Ma lo avete già letto questo, quindi non insisterò molto... CHRIS EVANS.
Volete saperne di più? Leggete i prossimi capitoli! Questo non è altro che un incipit, una brevissima introduzione! 
Continuate a leggere per le prossime avventure!
Un bacio! <3

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Capitolo 2
*** I miei anni francesi ***


CAPITOLO 1 - I MIEI ANNI FRANCESI









Ho deciso di omettere il periodo che va dalla mia nascita ai miei quindici anni. Non perché fossi infelice, anzi, proprio perché vissi così spensieratamente, così allegramente che non riesco a dare il giusto peso a quegli anni. In Italia era tutto fantastico, avevo amici e mi divertivo. Però avevo la costante sensazione che mi stessi perdendo qualcosa. Molto probabilmente perché i miei genitori non facevano altro che parlare di quanto bello fosse il resto del mondo e di che peccato fosse non poterlo girare.
Col senno di poi, mi resi conto che sì, era bello viaggiare… ma non trasferirsi.
 
Amai i miei tre anni in Francia, tra alti e bassi, furono brevi ma intensi. Ebbi la possibilità di conseguire il diploma italiano e quello francese (il BAC), non perdendo così lo studio della mia lingua d’origine.
Per i miei genitori era fondamentale potersi muovere tra una lingua e l’altra. D’altronde crebbi in un contesto sociale di profondo cambiamento.
Gli anni Novanta si sono presentati come gli anni in cui tutti sarebbero potuti diventare Qualcuno, realizzarsi, puntare al top del top. Sono cresciuta così, senza se e senza ma. Nella mia vita non c’era spazio per le incertezze. Anche se…
A pensarci bene la certezza di non volere incertezze era l’unica certezza della mia vita.
Forse sto esagerando, comincio a sembrare noiosa e non è proprio “noia” la parola che mi si addice di più.
In Francia conobbi alcune fra le persone più antipatiche della nazione. Non solo loro, ovviamente. Mi feci molti amici. L’amore e l’amicizia non mi mancava.
Feci tutte le esperienze che una ragazzina di 15-16 anni meritava di fare. Iniziai ad ascoltare band pop-punk, ad attaccarmi ai capelli finte meches rosa shocking, a guardare MTV di nascosto e consumare le cassette a furia di guardarle.
Avevo un’amica speciale: Clotilde.
Condividevamo una passione: il cinema. Amavamo qualsiasi tipo di film. Andavamo in biblioteca a cercare libri di recitazione, di regia e di fotografia.
Trascorrevamo il nostro tempo a fare film con la videocamera di suo padre.
Quanto s’inc***ò quando scoprì che rubavamo la sua adorata videocamera da vacanza, per filmarci mentre proponevamo remake di film altezzosi francesi!
Ero felice, come ho detto, amai i miei anni francesi.
Un po’ come per un pittore o un letterato che, per prassi, nel periodo della Belle Epoque risiedeva a Parigi. Definendo, così, quegli anni: “Il proprio periodo Parigino”.
Ma non fu tutto rosa e fiori. Ebbi un problema.
Solo uno… ma enorme.
Il mio unico problema era che non ero magra. Quei ragazzi antipatici si divertivano a trascorrere le loro giornate a ricordarmi quanto fossi cicciottella. Mi lasciavano sul banco delle carte di merendine con un biglietto: “obèse”. Ma, grazie… non posso dire altro. Grazie a loro riuscì ad affrontare questo mio … “problema”.
Non riuscivo a convivere con me stessa.
Avevo diciassette anni quando, dopo un anno passato a vomitare e a cercare di mangiare il meno possibile, stetti male. Mi chiusi in me stessa e non parlai più con nessuno. L’unica persona che mi restò vicina fu Clotilde.
Per fortuna, avevo capito il mio errore. Corressi la mia alimentazione e iniziai a fare attività fisica… questa vita sana e salutare durò poco. Le mie condizioni fisiche variarono negli anni, e anche parecchio. Tentai sempre un approccio salutare ma non riuscì mai a mantenerlo.
Una volta dimagrita e un poco (ma poco poco) più sicura di me, ero abbastanza in forma da riprendere a frequentare le lezioni. Mancava poco al mio compleanno. Stavo per compiere 18 anni. Stavo per diventare un membro burocraticamente funzionale della società.
Ma nel profondo, non era ciò che volevo. Volevo tornare indietro nel tempo, volevo rivivere i miei giorni da bambina spensierata. Non era possibile, ovvio.
Gli unici momenti in cui non sentivo il pesante alito delle responsabilità sul collo erano quelli trascorsi con Clotilde. Ma, successe che lei non volle più fare i film con me. Progressivamente, cominciò a non voler nemmeno vedere più i film.  Fino a non volermi più parlare.
Clotilde scomparse dalla mia vita. Negli anni scoprì che Clotilde si era trasferita in un’altra zona della Francia, il padre aveva avuto problemi di salute ma non mi spiegai mai perché non mi disse nulla.
Sono sicura lo fece per proteggermi, o forse per proteggersi, dal dolore che provammo nell’abbandonarci.
Con le amiche rimaste, iniziai così a programmare il mio compleanno. Erano i diciotto anni, una data importante, l’avrei ricordata per tutta la vita.
Decisi di invitare alla mia festa anche Nicolas, la mia cotta. Era nel mio stesso corso di italiano. Lui fu da sempre gentile con me. Era curioso e si divertiva a chiacchierare con me in italiano. E io mi facevo un sacco di risate. Era divertente sentirlo parlare in italiano. Era bello vederlo parlare italiano… era bello.
Ero follemente cotta di lui, non c’è molto altro da dire!
Tutti i tasselli della mia vita cominciavano piano piano a mettersi al loro posto. Volevo stare bene e mettercela tutta. Da cicciotta ragazzina italiana ero diventata una giovane ragazza. Ogni tanto qualche ragazzo mi guardava e la cosa se da un lato mi metteva a disagio, dall’altro contribuiva ad aumentare sensibilmente la mia autostima.
Che tutto stesse iniziando ad andare per il verso giusto?
 
 
 
 
   
 
 
 
 
Ciao lettori! :) 
Ho deciso di scrivere un po' più di capitoli e di raccontarvi tutta la storia di Martin. So che siamo nella sezione "Chris Evans" e, state tranquille, tra un po' arrivera'! Non l'ho mica dimenticato! :D  
Spero la storia vi piacera', parlera' di tutto. Della storia di una ragazzina come tante, come lo eravamo/siamo noi e della sua crescita!  
Un bacione :)  
Candy  

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Capitolo 3
*** Adieu... ***


CAPITOLO 2 - ADIEU... 




“Martin… ho bisogno di parlarti”
 
Aprii gli occhi, erano le 23:00. Ero andata a dormire alle 21:30, accompagnata da un gran mal di testa.
“Mamma, che vuoi?”, dissi un po’ seccata massaggiandomi le tempie.
Improvvisamente, nella penombra della mia cameretta francese, notai una lacrima rigarle il viso.
“Mamma! Ma che succede?”
“Tesoro… io non so come dirtelo. So che non è il momento, né il modo…” disse sedendosi sul mio letto.
“Stai bene?” chiesi preoccupata.
“Io e tuo padre siamo in serie difficoltà economiche. Abbiamo cercato di trovare una soluzione e l’unica possibile è di lasciare che papà accetti il nuovo contratto statuniten…”
“EH?!” esclamai involontariamente.
Cherie… Mon cherie attends” disse in francese.
“No, no, cherie un corno…!” trattenevo le lacrime “Mamma… io sto per compiere diciotto anni, qui, in Francia, con i miei amici. Non puoi chiedermi di festeggiare uno dei giorni che ricorderò per sempre a casa. Da sola. In america!”
La mamma scoppiò a piangere. Non era la Vanessa che conoscevo. Non era la mamma forte che voleva essere e nemmeno la viaggiatrice che è sempre stata.
“Devi capirmi…” disse.
“e tu devi capire me, mamma!”
“Martin… ascoltami” mi prese il viso fra le mani e singhiozzò.
“Io e tuo padre non andiamo d’accordo ultimamente. Litighiamo per i soldi, per i problemi che abbiamo qui in Francia e l’unico modo per cercare di salvare questa famiglia è di trasferirci in America… e pregare che tutto vada bene e si sitemi”
“quindi è deciso… non sei venuta a chiedermelo, sei venuta a dirmelo”
“Sì Martin… lo sai che soffro per questo e non puoi farmene una colpa… tuo padre partirà domani e noi lo seguiremo tra due giorni, giusto il tempo di sistemare le ultime cose in Francia…”
 
Sistemare le ultime cose in Francia. Certo. Io non potevo crederci. Guardai mia madre alzarsi, spegnere la luce e andare vie col viso fra le mani.
Ero incredula. Stavo tremando e mi buttai con la faccia sul cuscino.
Gridai il più forte possibile, sbattendo i piedi sul materasso soffice.
Sollevai il viso e decisi di guardarmi bene attorno. Di imprimere nella mia mente ogni dettaglio di quella camera. Lo avevo fatto anche con la vecchia cameretta italiana. Ma penso di averlo fatto male, dato che non riesco a ricordarmi nulla. Ho solo un vago ricordo del mio poster di “freak and geeks”. Ci rimasi davvero molto male quando scoprì che non lo avrebbero più mandato in onda. C’era quell’attore statunitense, adorabile: James Franco. Mi piaceva molto, con la sua aria innocente, il suo sorriso disarmante. Di certo, nel ’99 non potevo che avere una pesantissima cotta per lui. D’altronde avevo solo 11 anni e lui sicuramente una ventina.
Ora, a quasi diciotto anni, pensavo che non solo fosse adorabile, ma che fosse decisamente sexy.
Scossi la testa, come a cacciare via un ricordo, un immagine che mi ronzava nella testa come una mosca fastidiosa.
Stavo passando uno dei momenti più brutti della mia vita e cosa facevo? Pensavo al mio vecchio poster di James Franco.
Mi sedetti sul letto e presi la bottiglia d’acqua che tenevo sul comodino. La bevvi per mandare giù il sapore amaro delle lacrime.
Mi concentrai e iniziai a guardare la ma scrivania:
C’erano un sacco di fogli sparsi, appunti di francese e di matematica. La lampada bianca, con i bordi di pizzo si poggiava sul bordo della scrivania, di fianco al pc. Il mio pc era nero, non me ne ero mai accorta. Non ci avevo mai fatto attenzione, o meglio, non avevo mai dato peso alla cosa. Di fianco c’era la mia stampante e sul muro, erano attaccate tante piccole foto. Le avevo fatte stampare dalla copisteria vicino scuola. Ero con Clotilde quel giorno. Ora che ci penso, quel giorno è stato fantastico. Eravamo uscite prima per saltare la verifica di fisica e ci stavamo dirigendo in centro. Decidemmo però, di scattarci delle foto e di riprendere a girare il nostro remake di “Pulp fiction”, avevo insistito tanto per essere io ad interpretare Mia.
Le foto erano stupende e le andammo a far sviluppare. Spesi tantissimo quel giorno, ma ne valse la pena. Ora era tutto solo un ricordo, incollato alla parete rosa confetto di una camera ormai non più mia.
Continuai a fissare gli oggetti inanimati della mia stanza come se fossero vecchi amici da salutare fino a che non mi addormentai, fra una lacrima e un incubo.
 
 
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Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa ancora più forte del precedente.
Mi lavai la faccia e decisi di non truccarmi. Le occhiaie e la faccia da depressa non me le sarei tolte di torno con del trucco. Infilai un maglione azzurro cielo, un po’ sbiadito sui gomiti, e un jeans scuro. Eravamo a febbraio e fuori c’era la neve. Mi infilai gli scarponi marroni e presi distrattamente il mio giaccone.
Scesi le scale controvoglia, sapendo che di sotto avrei trovato papà con le valigie e mamma in lacrime.
 
Bonjour¸ es-tu prêt ?” (Buongiorno, sei pronta?), mio padre mi guardò sorridente, con le valigie in mano vicino alla porta. Quasi come se tutta questa storia fosse una buffa barzelletta.
“Pronta? Per cosa?” chiesi in italiano.
Lui s’incupì. “Tu ne veux pas parler an française?” (Non vuoi parlare francese ?)
Scossi la testa, senza guardarlo in faccia. Lui capì, e vidi il dispiacere nei suoi occhi.
Cherie” disse avvicinandosi a me e lasciando la valigia, “lo sai che mi dispiace… non possiamo fare altro, d’altronde i soldi ci servono… e in America le feste dei diciotto anni sono sempre più belle…no?” cercava di smorzare la tensione.
“Sì, lo sono… se hai degli amici” dissi. “friends?” disse con orribile accento francese. Voleva farmi ridere a tutti i costi.
“Lascia perdere papà. Se questo servirà a sistemare le cose, facciamolo… non ho voglia ne’ tempo di mettermi a piagnucolare. Mi avete sconvolto il mondo una volta portandomi qui, in fondo immaginavo sarebbe successo di nuovo” lo guardai negli occhi “fai buon viaggio, scrivici quando arrivi e vedi di trovare una casa non troppo schifosa”.
Presi il mio zainetto giallo diedi un bacio sulla guancia bagnata di lacrime di mia madre e una su quella appena rasata di mio padre e afferrai al volo la prima cosa che trovai sul tavolo della cucina, una mela.
Uscii quasi correndo dalla porta di casa scivolando sui gradini ghiacciati.
Fuori era freddo e probabilmente avevo appena perso l’autobus. Iniziai a camminare, sperando di vederlo passare. Ma niente.
Avendo iniziato la scuola un anno prima, in Italia, avevo finito le superiori con un anno di anticipo e trascorrevo le mie giornate come tirocinante presso il municipio, dove aiutavo Mme Poulain a tradurre documenti. Non volevo iscrivermi all’università, a dire il vero avevo un’ambizione assurda. Volevo diventare attrice. Non avevo mai seguito alcun tipo di corso ma partecipai a tutte le recite della scuola. Le solite cose coeme l’intramontabile classico francese il Cyrano de Bergerac, o Notre-Dames de Paris.
Dovetti arrivare in municipio a piedi, tra freddo, neve e ghiaccio, camminando per un quarto d’ora.
Mentre marciavo, pensavo a cosa mi aspettava:
Il mio compleanno sarebbe stato fra due settimane e mezzo. Che bella sfiga… mai tempismo fu più perfetto.
 



Martin!”, sobbalzai. Ero assorta nei miei pensieri quando sentii il mio nome da una delle più adorabili voci. Nicolas.
“Ciao Nicolas”, dissi in francese e sorridendogli. Lui però aggrottò la fronte, coperta da qualche ciuffo biondo e dal berretto di lana blu e verde.
“Che succede?”, mi chiese. Fino a quel momento non mi ero accorta delle lacrime che mi scorrevano sul volto.
“Oh…” dissi toccandomi le guancie. “Nulla…” lo guardai. “forse tutto…”
“Martin? Stai bene?” mi chiese guardandomi con i suoi occhi azzurri sopra ad un adorabile naso all’insù.
“No Nicolas… purtroppo no” mi fermai, smisi di camminare, “mi trasferisco, mio padre ha trovato lavoro negli Stati Uniti e ovviamente io e mia madre andremo con lui”
Nicolas era confuso, un po’ amareggiato. “E il tuo compleanno?” mi domandò.
“Lo festeggerò in America… sta tranquillo, mi farò un sacco di amici in tempo se è questo che ti preoccupa”.
“Ho un regalo per te, Martin”, disse prendendomi la mano. Io mi voltai di scatto a guardarlo, sorpresa.
“Non era necess…” m’interruppe con un veloce “ssshh, ssshh” e tirò a sé.
Stava succedendo. Le mie gambe tremavano. Questo sarebbe stato il mio primo vero bacio.
Ora starete pensando “ma che sfigata! A 18 anni non ha mai avuto un ragazzo?!”. Sì, è proprio così. Ho avuto qualche flirt infantile e da bambini in Italia con Marco, il mio migliore amico. Ci scambiammo un bacio a stampo sotto la cattedra della prof di italiano delle medie. Sicuramente non un vero bacio, ma pur sempre da ricordare.
Ora ero con Nicolas, il ragazzo per cui perdevo la testa. Mi stava attirando a sé, vidi tutto a rallentatore. I suoi occhi ghiaccio si confusero con l’ambiente glaciale e le nostre mani ti toccavano mediate da spesi guanti.
E successe. Mi baciò. Lo fece e io ero… ero…
Triste.
 
 
Ero disperata, il mio primo bacio con il ragazzo che adoravo… sarebbe stato non solo il primo, ma l’ultimo.
Io non avrei mai più rivisto Nicolas. Io non volevo più rivederlo. Ora capisco Clotilde, lei è scappata. Scappata dalla responsabilità del dolore di una separazione.
Non solo la capisco, ma non la biasimo.
Le sue labbra screpolate dal freddo erano sulle mie, coperte di burro cacao. Eravamo davanti casa di Mme Croiseau che ci spiava da dietro la finestra con in braccio il suo gatto Bretaudeau.
Nicolas mi mise una mano sul fianco e l’altra sul viso. I nostri nasi rossi e freddi poggiavano sulle guancie l’uno dell’altro e improvvisamente smisi di avere freddo.
Una vampata di calore invase il mio corpo fino ad arrivare alle insensibili e ghiacciate punte dei piedi.
 
Mi allontanai da Nicolas, mettendogli una mano sul petto. Sentii il suo cuore battere all’impazzata e in quel momento capii che anche il mio andava ai cento all’ora.
“Scusa, forse non avrei dovuto…” disse imbarazzato.
“no, non è questo, stai tranquillo”, dissi sistemandomi il berretto. “Mi piaci Nicolas, ma penso che sarebbe meglio se questa fosse l’ultima volta che ci vediamo”
Lui annuì, mettendosi la mano in testa e abbozzando un sorriso. Il sorriso più triste che io avessi mai visto.
“Ho capito, mi dispiace… sappi che mi mancherai e che il regalo non era proprio .. ehm, questo” disse. “Ti ho comprato una cosa ma ce l’ho a casa… te la farò trovare nella buchetta della posta… per evitare momenti… imbarazzanti diciamo”
Mi sentii una persona orribile. Ma volevo evitarlo a tutti i costi. “D’accordo… grazie Nicolas…”.
“Mi mancherai Martin”.
“Mi mancherai anche tu”.

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Capitolo 4
*** Un nuovo inizio? ***


CAPITOLO 3 - UN NUOVO INIZIO?




Era arrivato il momento. Avevo ormai salutato tutti, fatto il giro dei vicini e amici stretti dei miei per l’ultimo “ci mancherete tanto!”, fatto gli scatoloni, aiutato la mamma ad imballare tutto e a caricarlo sul furgone che chissà grazie a quale magia della logistica avrebbe portato tutto in America. E io, beh, io ero seduta al centro della mia camera. A fissare le pareti spoglie macchiate dall’alone del mobile che prima vi era poggiato.
Sbuffai e mi ressi in piedi. Scesi le scale lentamente respirando l’aria familiare di quella che un tempo chiamavo casa.
 
“Mamma, non mi avete ancora detto dove ci trasferiamo”, dissi appoggiandomi alla colonna portante del soggiorno.
“Ah, papà ha detto che sarà una sorpresa. Ha prenotato i biglietti e scopriremo al nostra destinazione in aeroporto”, disse distrattamente prendendo su tutte le valigie e la sua borsa.
“Una sorpresa?!” sbottai, “non è già abbastanza non sapere cosa ci succederà? Dobbiamo anche essere sorprese di leggere sul nostro biglietto aereo il nome di qualche città sconosciuta?” dissi acida.
“Sì Martin, è andata così. Tuo padre sta cercando di sistemare le cose, quindi cerchiamo di dargli una mano”
“Voi parlate di sistemare cose, ma sinceramente io non ho ancora capito cosa stia succedendo qui…”
“Martin, io e tuo padre stiamo valutando l’opzione del divorzio. Pensiamo che questa sia la nostra ultima chance di fare andare bene le cose. Sono sempre stata una donna accondiscendente per il bene tuo e di tuo padre, e continuerò a esserlo finché vedo che le cose rimangono insieme. Tuo padre ha rinunciato a una bella carriera per noi, ora ha bisogno di fare qualcosa per se stesso e noi ne paghiamo le conseguenze. Sappi che lo stipendio percepito qui in Francia non è neanche la metà di quello statunitense per il semplice fatto che la posizione che gli è stata offerta è davvero ottima. Questo ci permetterebbe di vivere in una bella casa, non in una catapecchia delle periferie francesi… Vuoi restare qui? D’accordo. Ma sappi che dovrò farlo anch’io e che avremmo fatto meglio a firmare i moduli del divorzio già il mese scorso!”
Rimasi di stucco ma non volli darglielo a vedere. Sospirai lievemente e annuì.
“Ho capito, allora muoviamoci e partiamo” dissi impassibile. Presi i miei borsoni e uscii dopo mia madre.
Mi chiusi la porta alle spalle e osservai la piccola casetta viola, dalle finestre azzurrine e gialle. Non era poi così brutta... a me è sempre piaciuta, piccola e semplice. Ma forse, ora che ci guardo bene… il giardino incolto, l’intonaco e il legno scheggiati, prossimo allo staccarsi e i colori sbiaditi donavano alla mia… alla casa, un aspetto definibile con l’aggettivo di “catapecchia”.
Passai davanti alla buchetta della posta e improvvisamente mi venne alla mente che lì c’era qualcosa per me.
Infilai la mano nella buchetta e sentii qualcosa. Era della carta, che copriva un oggetto piccolo e leggero. Lo tirai fuori, la carta era arancione con un nastro azzurro.
Bon anniversaire – Nicolas”, recitava il bigliettino attaccato al nastro.
Lo aprii con cura e all’interno c’era una collanina. Probabilmente era d’argento. La catenina era sottile e leggera, con un ciondolo a forma di piccola sfera e con al suo interno i petali del “soffione”, il fiore che una volta secco diventa preda di bambini armati di soffio e desideri. Sulla sfera di vetro era incisa con tratto leggero la parola “Wish”.
Che gesto carino, pensai. Avrò un ricordo di lui, almeno.
 
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Arrivate all’aeroporto andammo a ritirare i biglietti.
“Allora? Dove ci tocca andare?” Chiesi sorridendo ma nascondendo, forse neanche troppo bene, un pesante sarcasmo.
Vivi lo sguardo di mamma illuminarsi. Sorrise e le brillarono gli occhi. “Ricordi quando ti lamentavi dell’assenza di mare?” disse.
Io annuì. Non sapevo se avere buoni o cattivi presentimenti.
“Secondo me non lo farai più a LA” disse.
Io rimasi zitta per un istante che sembrò interminabile. La guardai. Lei mi guardò.
“… ho detto… LA… Los Angeles …” ripetè, più esaustiva.
“Sei… sei sicura?” domandai perplessa, attonita e chissà che altre sensazioni provavo in quel momento.
“Sì Martin! Andiamo a vivere a Los Angeles!” esclamò abbracciandomi.
“Oddio, non ci posso credere… niente più neve e -20° ?!” chiesi sorridendo. Lei rise e in quel momento ci rendemmo conto che la prospettiva del trasferimento non era poi così orribile!
Rimaneva il fatto che avrei compiuto diciotto anni da sola, senza i miei amici… ma chi lo sa, magari questa nuova avventura, pagando il prezzo giusto, sarebbe potuta risultare una grande fortuna per me.
Pensai che, nonostante tutto, Los Angeles era il luogo perfetto per perseguire un sogno che pareva impossibile: entrare nel mondo del cinema, della regia e della fotografia.
Con lo sguardo sognante e con un po’ più di speranza, seguii mia madre mentre si dirigeva al nostro “gate”, pronte a seguire tuta la prassi di check-in e così via…
 
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Sull’aereo, trascorsi il mio tempo leggendo, dormendo e guardando film francesi offerti dalla compagnia aerea. Mia madre, vicino a me, dovette prendersi dei calmanti. Per quanto amasse viaggiare, non sopportava i viaggi aerei. Il viaggio durò 14 h, sembrò interminabile, il tempo non passava mai, soprattutto inchiodate ad quelle sedie, chiuse in un aereo.
 
Ero profondamente addormentata quando arrivammo. Mia madre mi svegliò con dei colpetti leggeri sulla spalla. Aveva già messo nel mio zaino tutti i miei oggetti.
“Sei pronta?” domandò.
Ready”, dissi scherzando.
Fortunatamente il mio inglese non era per niente male, anche se purtroppo a volte avevo dei vuoti lessicali che colmavo con parole franco-italiane, creando una lingua tutta mia. Spesso succedeva nei momenti di ansia e/o imbarazzo. Pregai non mi accadesse spesso e in pubblico.
“Papà ci sta aspettando, ha prenotato un taxi e ci porterà alla casa nuova!” disse Vanessa.
“Speriamo bene…” borbottai.
 
Scendemmo dall’aereo e andammo a prendere i nostri bagagli. Arrivammo in aeroporto, era tutto così grande, bianco, moderno, liscio, luminoso. Rimasi accecata.
Lì, c’era Pierre che ci aspettava. Indossava un abito nero, giacca e pantaloni, con una camicia azzurro chiaro e una cravatta a motivi tipicamente anni 90’, ormai fuori moda.
“Le mie donne!” esclamò vedendoci. Non l’avevo mai visto così allegro, così positivo.
In Francia era un continuo litigio, borbottio e ansia. Ora era abbronzato, i suoi capelli neri s’intonavano col vestito e con la carnagione. Indossava un paio di occhiali da sole Ray-Ban, che nascondevano il suo sguardo allegro e i suoi occhi azzurri.
Si avvicinò a mia madre cingendole la vita e dandole un bacio. Mi sentii in imbarazzo. Quando ero piccola era normale per me vederli così affiatati. Ma in Francia erano molto freddi, in armonia con l’atmosfera della piccola città francese di montagna.
Mia madre sorrise, era così felice di vedere Pierre rimettersi in sesto. Era anche molto sorpresa, non si aspettava un cambio così repentino in così poco.
“Pronte? Vi avverto, la casa non è il massimo e  nemmeno la zona. Ma per un po’ dovremo arrangiarci, i soldi cominceranno ad arrivare a breve, ve lo prometto! Non vi farò mancare niente e tu, Martin, ti prometto, te lo giuro, tu sarai la ragazza più felice del mondo, basta che ti fidi”, disse abbracciandomi.
Camuffai il mio imbarazzo e la mia ansia per leggero fastidio. “D’accordo… cercherò di fidarmi”, dissi diffidente.
 
Uscimmo dall’aeroporto e ci dirigemmo verso il taxi. L’esterno era quasi più bello dell’interno. Auto, autobus e taxi sfrecciavano e sostavano davanti all’entrata. Gente che saliva, scendeva, correva, camminava, si fermava. Era tutto così frenetico e pieno di vita. Era febbraio, inverno anche in America, ma era tutto così diverso. Non faceva così freddo e all’improvviso la mia enorme giacca imbottita mi sembrò un’esagerazione.
Entrai velocemente nel taxi e sedetti vicino alla mamma. Papà andò nel sedile davanti e disse, in inglese, con un goffo accento francese al tassista di partire.
 
Partiti. 

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Capitolo 5
*** LA, la città delle occasioni? ***


CAPITOLO 4 - LA, LA CITTA' DELLE OCCASIONI?






Dopo un viaggio in auto di 20 minuti arrivammo a casa. Non mi capacitavo della grandezza di questa città. Guardai per tutto il tempo fuori dal finestrino, a bocca aperta. È vero che il mondo è così grande.
Scendemmo dal taxi e Pierre pagò l’autista corpulento. Ci fermammo davanti ad un appartamento di tre piani, formato da due parti, una speculare all’altra.
Home sweet home”, disse Pierre. Io lo guardai in cagnesco. Non era casa mia, non ancora.
Vanessa rise e lo seguì quasi saltellando. Non era entusiasta della sistemazione momentanea, ma si stava già gustando la prossima.
Salimmo le scale, non c’era l’ascensore ma, ad ogni modo, non l’avrei usato comunque. Detesto gli ascensori.
Ma, forse, avendo un sacco di valigie e mobili da portare, avrebbe fatto davvero comodo.
Mi trascinai per le scale i miei borsoni ed entrammo. L’appartamento non era molto grande. C’era una grande stanza, che comprendeva cucina e sala, divisa da un bancone per la colazione collegato ai mobili della cucina. Mancavano ancora i mobili quindi l’impressione era quella di “wow, è spaziosa”. Mi ricredetti una volta posizionati tutti i nostri mobili che ci stettero a fatica.
Un bagno, e due camere. La mia, era minuscola. C’era lo spazio per un letto e un armadio. Cercammo di farci entrare anche la mia scrivania che, tra un incastro e l’altro, a mo’ di “tetris”, riuscimmo a farci stare.
Tutti i muri erano bianchi, tranne uno che era coperto di mattoni rossi a vista.
La parete est era fatta interamente di larghe vetrate, molto luminose. La cucina era in legno chiaro e il nostro divano bianco panna ci si sposava perfettamente. Le pareti erano un po’ rovinate, c’era della muffa sulla parete nord e un sacco di ragnatele negli incavi del soffitto. I lampadari erano impolverati e il parquet tutto rigato.
Cerca di ignorarne i difetti e di apprezzare la presenza di un tetto sopra la testa in una delle città più belle d’America.
 
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“Penso che potresti cercarti un lavoro”, disse mio padre il girono dopo mentre facevamo colazione.
Io alzai lo sguardo dalla mia tazza di cereali “Un lavoro? Del tipo? Chi prenderebbe mai una ragazzina che non conosce perfettamente la lingua e neanche maggiorenne a lavorare?”domandai.
“Siamo in America, cherie, qui iniziano a lavorare a sedici anni”, disse guarda domi da dietro il suo giornale.
“Ah…” mi limitai a dire.
“La aiuterò a cercare qualcosa, d’altronde, devo mettermi all’opera anch’io”, disse Vanessa, uscendo dalla stanza da letto con addosso una vestaglia bianca lunga.
Mio padre sorrise e annuì, “Buona ricerca allora!” disse. Noi gli sorridemmo e ci salutò per andare a lavoro.
Rimase sole, aprimmo il giornale e andammo nella pagina degli annunci di lavoro.
“Gelataio”, “Babysitter”, “Impiegato”, “Dog-sitter”, “Cameriera”, “Contabile”, “Traduttore”… “Eccolo!” Esclamò mia madre. “Questo fa per me!” disse indicando col dito la scritta “Traduttore”. Io annuii, “decisamente”, dissi. Io continuai a leggere mentre mia madre blaterava sul colloquioo di lavoro, su cosa mettersi e su come truccarsi.
Mia madre era una donna bellissima. Era alta, castana chiaro, quasi biondo grano. I suoi capelli erano lunghissimi e il suo sguardo, gliel’ho sempre detto, è uguale a quello di Demi Moore. Dopo mezz’ora, uscì dalla stanza con una camicia azzurra, un jeans e un elegantissimo tacco nero. Si legò i capelli e si mise il mascara. Era molto bella e professionale. Io le diedi il mio okay, dentro al mio pigiama, in tutta la mia autorevolezza.
“Hai trovato niente?” mi domandò.
Qualcosa avevo trovato… ma non avevo il coraggio di dirlo. La guardai colpevole.
Lei si avvicinò curiosa e vide che ero su un’altra pagina: stavo guardando l’offerta di un corso di recitazione. Mi guardò un po’ perplessa. “non è un lavoro”, disse.
“potrebbe esserlo” replicai. “Posso trovarmi un lavoro part-time e pagarmelo da sola!” esclamai.
Lei mi guardò e scosse la testa. “Sono soldi buttati Martin”.
“Ma no mamma, potrebbe essere utile invece! Mi aiuterebbe con la lingua e a essere più sciolta con l’inglese!” cercai di convincerla “e poi siamo a Los Angeles… potrei fare dei casting e diventare famosa… fosre…” le dissi.
Lei continuava a scuotere il capo “se ci tieni… non posso impedirtelo”, mi disse rassegnata. “Ma devi pagartelo da sola, in questo momento non abbiamo soldi per fare degli investimenti poco probabili come questo” disse facendo le virgolette con le dita alla parola “investimenti”.
Io saltai giù dalla sedia e l’abbracciai. “Grazie mamma!”, dissi.
“Mi ringrazierai quando avrai trovato un lavoro. Vestiti che andiamo a fare un giro, mi propongo al colloquio di lavoro e tu dovrai fare lo stesso”, mi disse scompigliandomi i capelli.
“D’accordo, penso di aver trovato anche il lavoro giusto!”, indicai sul giornale “Cerasi assistente per set”. Lei rise. “In qualche modo ce la farai, me lo sento”, disse uscendo, “ti aspetto di sotto, chiamo un taxi”.
 
Corsi in camera mia e indossai un jeans e una t-shirt grigia con sopra una felpa blu. Coprii lo scempio che avevo in testa con il cappuccio e m’infilai la giacca, una più leggera stavolta.
Scesi le scale a due a due e arrivai giù, mia madre stava già salendo sul taxi ed io la seguii.
 

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Capitolo 6
*** James? Sei QUEL James?! ***


CAPITOLO 5 - JAMES? SEI QUEL JAMES?


Lasciai mia madre in un ufficio super chic, era tutto, completamente, bianco. Vetrate immense e dipendenti in giacca e cravatta correvano da una parte all’altra e mitragliavano le persone al telefono con le parole.
Mi guardai attorno, un po’ attonita. Mia madre si presentò con eloquenza al datore di lavoro e mi salutò, raccomandandosi di tenere con me il cellulare.
A quei tempi avevo un bellissimo nokia, resistente e funzionale. Mia madre non sopportava che lo dimenticassi a casa, doveva sempre sapere dove fossi.
Io tornai al taxi e mi feci portare nel quartiere più in della città: Hollywood.
 


Arrivammo in cinque minuti: eravamo sulla celebre Sunset Boulevard. D’inverno non faceva la stessa figura che invece faceva negli episodi di 90210. Ma era davvero eccitante lo stesso.
Hollywood è formata da bassi edifici e da larghe strade e viali, circondati da palme altissime e auto di lusso. Tutto era così splendido, quasi quanto la città di Monaco.
Sapevo tutto su Hollywood, con Clotilde passavamo le giornate a guardare programmi su MTv e a leggere riviste al riguardo. Il quartiere raccoglie i grandi teatri di posa e le abitazioni degli attori, dei registi e dei produttori più famosi del mondo. Si trovano in genere vicino alla collina di Beverly Hills.
Ero così felice ed entusiasta, soprattutto quando arrivammo agli Studios.
Scesi dal taxi e pagai l’autista. Mi voltai e mi ritrovai davanti a tanti edifici bassi e larghi, intonacati di giallo chiaro, con spiazzi occupati da roulotte e da auto.
L’indirizzo era giusto e così entrai passando dalla cabina dove all’interno sarebbe dovuta esserci una guardia, per controllare chi entrava negli studios. Forse era in pausa o forse questo lavoro non è preso così sul serio, pensai dirigendomi verso lo studio 18. Era uno dei pochi studi vuoti, era tutto deserto, a parte una vecchia Ford azzurro cielo. Bussai ma nessuno mi rispose. Così aprii piano la porta e mi ritrovai dentro un set fotografico, anch’esso deserto. C’erano solo alcuni strumenti tecnici e alcune valigie dallo stile di Louis Vuitton.
 
“C’è nessuno?”, dissi timida in inglese.
Improvvisamente sentii dei passi frettolosi e nervosi avvicinarsi. Comparve da una porta un uomo alto, coi capelli lunghi rossicci, gli occhi azzurri e un sorriso a 32 denti. Indossava un abito di velluto marrone, dei mocassini rossi e una cravatta bordeaux.
Goodmorning! Welcome dear, sorry, I didn’t hear you coming. You are here for...” , l’uomo aveva un inconfondibile accento texano. Si aspettava una risposta da me. Così sfoggiai il migliore inglese della mia vita.
Oh… hello! It doesn’t matter. I’m Martin, I’m here for the… ehm… the… travail”, imbarazzata, mi accorsi di aver detto “lavoro” in francese. L’uomo scoppiò a ridere ma sembrò entusiasta allo stesso tempo.
“Parli francese?”, mi disse in inglese.
“Oh, sì… vengo dalla Francia. O meglio, vengo dall’Italia, ma poi mi sono trasferita in Francia e ora sono qui… trasferita a Los Angeles”, dissi.
C’es magnific!” Esclamò. “Io amo la Francia, ho studiato francese al college, oltre che a regia ovviamente”.
Era un uomo così quieto, gentile e calmo. Ma c’era qualcosa in lui di particolare, era come se avesse un tic alla mano, continuava a sfregarla sul suo abito e ad aggiustarsi la cravatta. Io gli sorrisi, mi piaceva.
“Ad ogni modo, cara, penso sia meglio parlare inglese. Sei qui per l’offerta di lavoro?”, mi disse.
“Sì, sono Martin Arnaud, aspirante attrice in realtà. Amo qualsiasi cosa riguardi i set, la regia, la fotografia e la recitazione… sono arrivata ieri e ho pensato sarebbe stata un’ottima occas…” dissi.
“Ottimo, cominci domani” m’interruppe.
“C….cosa?”, ero un po’ perplessa, “non vuole, chessò, farmi domande, chiedermi moduli, diplomi e certificazioni…”
“No, mi piaci” mi tese la mano “domani penseremo a tutti i moduli e bla bla bla…” si aspettava gliela stringessi.
“D’accordo allora… sempre qui?” chiesi
“Sempre qui, ma voglio che non ti vesta più così… insomma… così sciatta”, disse guardandomi.
“Sciatta? Ah… certo, vedrò cosa… cosa posso mettere”, gli risposi guardandomi i vesiti.
“Sarebbe perfetto un lupetto nero e un pantalone, mocassini? Ne hai?”
Ero davvero molto confusa. Non avevo cose del genere, ma se desiderava che me li procurassi, lo avrei fatto senza problema. Effettivamente, aveva un’aria così curiosa e curata, girare con un’assistente in felpa lo faceva vergognare?
“Sarà fatto signor…”, cazzo. Avevo dimenticato il nome. Lo avevo letto, ne ero certa… o forse avevo letto solo “regista”? Mi sarebbe bastato a convincermi.
“Anderson… Sono Wes Anderson”, disse.
GIUSTO. Wes Anderson, come potevo dimenticarlo?
“Certo, signor Anderson mi scusi”, dissi rossa.
 “Non c’è problema, a domani, alle 8:00”, si voltò sorridendo e tornando nella stanza da cui era uscito. Chissà cosa stava combinando.
 
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Uscii dallo studio e mi diressi verso dove mi aveva lasciato il tassista, prendendo il cellulare e componendo il numero del servizio taxi. Distratta, mi dimenticai dove fosse l’entrata e iniziai a gironzolare per gli studios, cercandola.
Passai per un sacco di set e roulotte di attori, chissà chi c’era lì dentro!
Curiosando di qua e di là, finii sul set di “Flyboys”. Mai sentito prima, neanche per pubblicità. Mi affacciai sul set da dietro un muro: c’erano costumi di scena, videocamere, ragazzi intenti a provare le loro battute, riproduzioni di aerei…
 
“Salve signorina”, una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi voltai e per poco non persi i sensi.
Dietro di me, c’era uno dei ragazzi più belli che io avessi mai visto. Indossava una maglietta bianca, infilata nei jeans e una giacca di jeans. Stava sorridendo. Stava sorridendo mentre mi guardava.
Era James Franco.
QUEL James Franco.
“Oh, salve”, dissi sistemandomi il cappuccio in testa.
“Che ci fai qui?”, mi domandò appoggiandosi al muro e tirando fuori una sigaretta.
“Io… sono l’assistente di Anderson e…”
“L’assistente di Anderson? Tu?” mi chiese guardandomi dall’alto in basso.
“Sì. Io.” risposi offesa. “Perché così sorpreso?”
“Hai un leggerissimo accento… non lo so… non so di dove, so solo che non sei di qui. Sei vestita male per essere la sua assistente”, mi rispose buttando fuori il fumo.
“Sì, beh, oggi non dovevo lavorare e mi sono concessa la comodità di una felpa… e no, non sono di qui” gli dissi cercando di non mostrarmi affascinata da lui.
“Io sono James, comunque”, disse tendendomi la mano.
So benissimo chi sei, pensai afferrandola. Era congelata e screpolata. Aveva dei calli, era così forte e … sexy.
“Martin, piacere”, gli dissi, “stai girando?” domandai guardando il set.
“Oh sì, Flyboys… sembra venirne fuori una gran figata”, rispose sistemandosi i capelli.
“Oh bene, mi fa piacere”, mi chiusi la giacca, ancora imbarazzata per la storia della felpa.
“Vuoi una?” chiese porgendomi il pacchetto di sigarette.
“No grazie, non fumo”, risposi un po’ schifata.
“Neanche le canne?” mi domandò sorpreso, “tutti alla tua età lo abbiamo fatto… io lo faccio ancora!” rise.
“Alla mia età? Ti senti tanto più grande di me?” gli domandai.
“Beh, avrai sì e no 15 anni… anzi, forse 16, altrimenti non potresti lavorare”, disse rimettendosi il pacchetto in tasca.
“Oh grazie. Tanto per dire, ho 18 anni… sembro solo più piccola. Anche tu non scherzi comunque! Non dimostri l’età che hai, sappilo”, dissi offesa.
“Ah sì? Sai quanti anni ho?” mi chiese divertito.
Certo che lo so, pensai, sei un cavolo di attore famoso, la tua data di nascita è su tutti i giornalini.
“Beh sì, l’altro giorno leggevo un giornale e c’era la tua data di nascita.. hai solo dieci anni più di me”, risposi come se dieci anni fossero niente. Speravo lo pensasse anche lui.
“In dieci anni sai quante esperienze si fanno? Potrei insegnarti tantissime cose piccolina…” mi disse avvicinandosi.
Mi sentii avvampare. Non come mi successe con Nicolas. Ero molto più vulnerabile. Forse perché era famoso, forse perché era bello e forse perché era così sexy. Io indietreggiai.
“Ci si vede in giro Martin”, mi disse appoggiandomi una mano sulla spalla e passandomi vicino. Svoltò l’angolo e si unì agli altri ragazzi che recitavano.
Mi sentii scombussolata e scossa da questo incontro. Mi tremavano le gambe e sentii l’impellente bisogno di trovare l’uscita al più presto.
 
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Tornando all’ufficio dove avevo lasciato mia madre, pensai che non conoscevo alcun lavoro di Wes Anderson. Chissà, sarà stato qualche introspettivo regista texano, che tenta di emarginarsi dalla società e distinguersi.
“Ma dov’eri finita?!” disse mia madre correndomi incontro.
“Ero al mio colloquio…” risposti, “com’è andata?”
“e a te?” disse titubante.
“l’ho chiesto prima io!” dissi ridendo.
“diciamolo assieme al mio tre…” disse. Io annuii.
“Uno…Due…Tre!”
 
Mi hanno accettata!”, dicemmo in coro. Ci guardammo contente e iniziammo a saltellare abbracciandoci. 

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Capitolo 7
*** Il primo giorno di lavoro ***


CAPITOLO 6 - IL PRIMO GIORNO DI LAVORO






Quella sera, annunciammo a papà i nostri successi e ne fu molto felice. Gli dicemmo anche del mio progetto e della mia intenzione di seguire il corso di recitazione. Non ne fu contrario, anzi, m’incoraggiò e tutti sembrava prendere una piega inaspettatamente felice.
Passai la serata ad usare il PC di mio padre, cercando sul web informazioni su Wes Anderson. Aveva girato quattro film e stava procedendo alle riprese del quinto “Il treno per Darjeeling”. Aveva uno stile pazzesco, qualcosa di mai visto prima. M’innamorai dei suoi lavori, della sua tecnica e fremevo dalla voglia di vederlo all’opera. Era entusiasta di incontrare Owen Wilson, Adrien Brody e Jason Schwartzman, tremavo quasi dalla felicità. Ero ancora incredula della fortuna che avevo avuto nel trovare un lavoro del genere e non potevo fare a meno di chiedermi perché Wes Anderson avrebbe preso come assistente una ragazzina che neanche conosceva, senza esperienza e senza colloquio.
 
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Il giorno dopo, mi preparai per andare a lavorare, prendendo in prestito da mia madre un lupetto nero e indossando un paio di scarpe nere semplici e un pantalone rigato blu e grigio.  Sapevo non sarebbe stato l’ideale, ma era quello che potevo fare per il momento. Mi legai i capelli in un concio e decisi di truccarmi un po’. Misi del mascara e del fondotinta, pensai che però il rossetto sarebbe stato troppo… ma, magari, mi avrebbe fatta sembrare più grande e professionale. Professionale per Wes e grande per…
Scossi la testa e pensai di essere così sciocca e ingenua da pensare di poter rivedere James e addirittura di parlarci di nuovo.
Però, per sicurezza, lo infilai nella borsa.
Decisi che il giorno seguente avrei fatto shopping e avrei aggiunto al mio guardaroba qualcosa di più elegante e… particolare? Qual’era esattamente lo stile che il signor Anderson voleva? La sera prima me ne ero fatta un’idea, ma forse oggi lo avrei scoperto con più precisione, ero pronta e decisa ad imparare e scoprire il più possibile sul set ed ero disposta a fare di tutto pur di piacere a Wes Anderson.
Mio padre era già uscito e mia madre si stava preparando. Io ero già pronta e decisi di avviarmi per prendere un bus, dato che il taxi era così caro.
Arrivai in fermata quando stava per partire, ma riuscii a saltarci su e a prenderlo al volo. Mi ritrovai col viso schiacciato sull’ascella di un corpulento omino dalla testa spelacchiata che con una mano parlava animatamente al telefono e con l’altra si reggeva a una maniglia in alto, inondando il veicolo di un delizioso odore di uomo “al natural”.
Disgustata mi allontanai e mi avvicinai al conducente: “scusi, è questo il bus che porta alla Sunset Boulevard?”, chiesi gentilmente.
“Ah-ah”, disse.
“È un sì?” domandai confusa.
“sì, signorina, lo è”, rispose.
Feci una smorfia e mi voltai. Che modi… pensai. Sarà sceso dal lato sbagliato del letto.
Nel frattempo, io ero troppo felice perché mi lasciassi abbattere da gente scortese e puzzolente. Non potevo fare a meno di pensare a cosa sarebbe potuto succedere oggi e… mi domandavo se avrei potuto rivedere James.
No! Martin! Non ci devi pensare! Dissi dandomi un pizzicotto per farmi smettere di sognare così ingenuamente. Un ragazzo sul bus mi vide, e sghignazzò.
Me ne accorsi così lo guardai sorridendo imbarazzata. Lui mi sorrise e si alzò dal posto dove era seduto, indicandomelo. Io mi avvicinai. “Prego, siediti”, mi disse.
Era un bel ragazzo, alto, moro, con gli occhi azzurri. Molto magro, dai lineamenti delicati. Indossava una camicia rosa e un jeans. “Grazie, come mai me lo offri? Hai notato quanto fossi pazza e hai voluto cedere il posto ad un’inferma?” scherzai.
“A dire il vero, ho visto la tua faccia appena salita e arrivata direttamente sotto l’ascella di quel puzzone laggiù”, disse indicando l’ometto grassoccio. Scoppiai a ridere. “Ho sentito che vai ad Hollywood, ci vogliono almeno 20 minuti da qui in bus, quindi se ti appioppi un posto a sedere è meglio”, mi disse.
“20 minuti? Cavolo è tantissimo”, dissi. “però ti ringrazio…”
“Sono Kevin”, mi disse, “ tu?”
“Io mi chiamo Martin”, gli porsi la mano e lui me la strinse. Aveva le mani delicate e soffici, nulla a che vedere con le mani sexy e virili di James.
“Non sei di qui vero?” mi domandò appoggiandosi al mio sedile con l’anca.
“Oh no, sono italo-francese, mi sono trasferita qui per diventare attrice”, mentii. Ero stufa della solita storia di mio padre che mi trascina da una parte all’altra del mondo.
“è fantastico!”, esclamò battendo leggermente le mani, “io studio moda e design, vorrei diventare uno stilista…!” mi disse.
“Wow, che grande ambizione, speriamo tu riesca nel tuo intento Kevin!”
“Lo spero anch’io per te”, disse tirando fuori il cellulare, “mi daresti il tuo numero?” mi domandò pronto a segnarselo. “Così possiamo organizzarci e sentirci per non stare soli in bus o… non lo so, per un caffè… sei nuova qui a Los Angeles, hai bisogno di un cicerone!”
Io sorrisi e accettai dettandogli il mio numero. Chissà perché, ma non mi sembrava cercasse di rimorchiarmi. Sembrava offrire un supporto amichevole e sincero.
Per tutto il tragitto ridemmo e scherzammo, finché non scese dal bus, due fermate prima di me. Ci salutammo con una stretta di mano e lui saltellò fuori dal bus, dirigendosi verso il college.
 
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Arrivata agli studios corso verso lo studio 18, ero in ritardo di 10 minuti e Wes mi sembrava una persona precisa, non avrei fatto una bella figura. Correndo, passai davanti al set di James, lo riconobbi dagli aerei ma oggi sembrava non esserci nessuno, forse stavano girando da qualche altra parte.
Aprii la porta dello studio e la situazione era totalmente diversa dal giorno prima. Era pieno di gente, tutti intenti a prepararsi per girare le scene. Sul retro dello studio c’era un immenso set allestito. C’erano diversi vagoni di un treno divisi a metà, come nelle case delle bambole. Ogni vagone era caratterizzato da differenti tonalità di colori pastello. Sembrava davvero qualche accessorio per le barbie, ma era la versione a grandezza naturale!
Wes Anderson era seduto sulla sua sedia che dava ordini e indicazioni alla troupe. Era seduto composto, con una sciarpa verde di seta, un abito di camoscio blu e dei mocassini verdi.  Quando entrai si voltò e mi sorrise.
Tu est magnific aujourd-hui!” mi disse dandomi due baci sulle guance. Io sorrisi, contenta che avesse apprezzato il mio cambio di look.
“Sei pronta? Oggi ci daremo da fare”, mi fece strada verso il set. Lì, a provare, c’era Bill Murray e Adrien Brody. Io arrossii guardando Wes. Lui mi sorrise, capendo la situazione.
Mi presentò alle due leggende del cinema e loro mi accolsero sorridenti e cordiali. Bill Murray era esattamente come me lo ero sempre immaginata: il nonno o lo zio che tutti vorrebbero.
Adrien Brody, invece, aveva un disarmante fascino che mai avrei potuto immaginare. Mentre Wes conversava con loro, arrivò anche Owen Wilson. Si presentò, come se davvero avesse bisogno di una qualche presentazione e prese parte alla discussione mentre attendevano l’arrivo di Jason Schwartzman. Quando fu arrivato e furono fatte le dovute presentazioni, Wes iniziò a dare ordini e a spiegare le prossime scene da girare.
Io ero a bocca aperta, osservavo il loro lavoro entusiasta e senza parole. Le loro doti da attori erano fantastiche e lo stile di Wes qualcosa di unico. Non potevo fare a meno di pensare a quanto mi sarebbe piaciuto essere al posto di uno degli attori sul set.
Durante la giornata Wes mi commissionò varie cose, come il prendergli il caffè, portargli dei documenti, dei copioni, degli sketch e cose del genere. Ogni volta che terminava di fare qualcosa mi spiegava tutto e mi rendeva partecipe all’attuazione di un progetto tanto grande quanto quello di un film.
Ero davvero eccitata da tutto quello che stava accadendo e non mi ero mai sentita così felice in vita mia… e così fortunata.
 
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Alla fine della giornata, Wes mi diede tutti i documenti da firmare in modo da poter lavorare in regola per lui. Mi avrebbe dato 500$ al mese. Non molto, ma per una ragazza giovane che vive con i genitori, è abbastanza
Il corso di recitazione costava 50$ al mese, con i restanti avrei aperto qualche conto e li avrei iniziati a mettere da parte.
Tutte queste novità mi fecero sentire grande e libera, pronta ad affrontare il mondo e … perché no, lasciare la casa di mamma e papà e diventare autonoma, mettere le radici da qualche parte e…
Improvvisamente, mi resi conto di una cosa:
dovevo ancora compiere 18 anni. 

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Capitolo 8
*** Un compleanno da non dimenticare ***


CAPITOLO 7 - UN COMPLEANNO DA NON DIMENTICARE






Le mie giornate trascorsero sempre allo stesso modo, con entusiasmo e passione. Wes si è rivelata essere una persona preziosa, dolcissima e affettuosa.  M’insegnò tantissimo e mi diede altrettanto dal punto di vista umano. Mi apprezzava e desiderava vedermi migliorare.
Trascorrevo con lui tantissimo tempo, a volte mi trattenevo a lavoro fino a tardi. Gli confidai le mie aspirazioni e lui non solo le comprese e le fomentò, ma mi diede preziosi consigli e mi anticipò i soldi per poter cominciare il mio corso di recitazione.
Le cose andarono avanti così, per una settimana, fino al giorno del mio compleanno.
Quel giorno mi sentivo uno straccio.
Tutta l’allegria che avevo accumulato in quei giorni sembrava come svanita. Mi sentivo sola. Gli unici amici che avevo erano un ragazzo gay sull’autobus e un regista texano. Sul set erano tutti gentili con me, persino gli attori.
Owen era una persona divertentissima, mi faceva sempre tornare il sorriso. Ma quel giorno dubitavo sarebbe successo.
Arrivai a lavoro in taxi, non volevo vedere Kevin. Non avrei sopportato quella conversazione.
Mi avrebbe chiesto perché fossi così triste e gli avrei detto che oggi era il mio compleanno ma ero lontana dai miei amici e per gentilezza mi avrebbe fatto gli auguri con entusiasmo. Sarebbe sceso dal bus e mi sarei trovata di nuovo sola.
 
Arrivai sul set sconsolata, ma non sapevo che una notizia ancora più brutta mi si sarebbe presentata.
“Ehy Martin, puoi venire un attimo nel salotto?”, mi disse Wes.
Io lo raggiunsi e mi sedetti davanti a lui sulla poltrona di pelle nera.
“Che succede?” domandai.
Wes notò una vena di tristezza nella mia voce ma cercò di ignorarla e la cosa mi diede sollievo sul momento.
“Non te l’ho detto prima perché non sapevamo quando avremmo cominciato le riprese in esterna, ma ora che la data è stata fissata ho bisogno di comunicartelo”, cominciò.
Io tesi le orecchie e confusa cercai di capire. Riprese in esterna?
“Per continuare le riprese abbiamo bisogno di andare in India Martin… e siccome sei minorenne, non possiamo portarti con noi quindi mi sono messo d’accordo con Tony Bill. Mi ha proposto di “prestarti” come assistente per un mesetto o due, giusto il tempo di finire le riprese. Una volta tornati avrò assolutamente bisogno di uovo di te, quindi tornerai a lavorare per me”, mi disse sfregandosi ansiosamente le mani.
“Ah, Wes… io, in realtà oggi compio gli anni e… beh, da oggi sono maggiorenne”, balbettai.
“Oggi?! E non mi dici nulla?! Santo cielo Martin è un gran bel giorno! No?”, disse sorridente.
“sì beh, lo sarebbe stato di più se avessi avuto degli amici” sussurrai.
Fece finta di non aver sentito ma il suo sguardo s’incupì, dispiaciuto.
“Quindi vorresti venire con noi in India? Tony mi aveva detto che tu eri amica di James e che…”
“cosa?” domandai con un tono di voce un po’ troppo alto. “James? Tony è il regista del film in cui recita James Franco?”
“Beh sì, Flyboys, ma dato che mi hai detto di essere maggiorenne beh, credo non ci sia più bisogno” mi disse alzandosi.
“No!”, esclamai, “voglio dire… i miei genitori non mi permetterebbero mai di andare in India… forse la soluzione migliore sarebbe quella di rimanere qui”, dissi.
Stavo rinunciando all’India per poter lavorare sullo stesso set di James. Ero un’idiota.
Wes sorrise e si sedette vicino a me, sul bracciolo della poltrona, mettendomi un braccio sulle spalle.
“Allora mi mancherai questi due mesi”, disse dandomi un bacio sulla testa. “Mi raccomando, non fare idiozie e vedi di farti un nome, so che ce la puoi fare, lavora al meglio che puoi e sfoggia questi vestiti, mostra che capolavoro sei… grazie a me”, sghignazzò.
Ci alzammo entrambi e gli diedi un abbraccio. Wes era diventato come un secondo padre per me, dato che il mio vero padre lo vedevo solo la sera per un’oretta o due.
Quel giorno lavorammo come sempre e io cercai di dimenticare che fosse il giorno del mio diciottesimo compleanno. Staccammo solamente alle 4:00 PM, tutti distrutti, stanchi e assonnati.
Andai in bagno a lavarmi la faccia e poi passai dal camerino di Wes per prendere le mie cose. Mentre sistemavo gli ultimi documenti sulla scrivania, sentii un “click” provenire dalla porta.
Mi voltai di scatto e mi diressi verso la porta. Era chiusa.
Qualcuno aveva chiuso la porta dall’esterno. Non si sentiva alcun rumore, se non quello di passi frettolosi da una parte all’altra del set.
“EHI! AIUTO!”, gridai. “Si è chiusa la porta! Ragazzi! Aprite!” continuai a gridare colpendo la porta.
Possibile che nessuno riuscisse a sentirmi?
Dopo circa un minuto sentii qualcuno appoggiarsi alla porta. “Martin?”, quella voce… mi era familiare.
“Ehi! Scusa, puoi aprire? Qualcuno mi ha chiusa dentro!” esclamai.
“Lo so, sono stato io”.
Improvvisamente riconobbi la voce. Era James.
“James? Sei tu?” dissi incredula.
“Oh yess…” disse colpendo la porta con i polpastrelli e picchiettando.
“Ma che cavolo fai? Apri immediatamente”, dissi molto scocciata.
“Non ti diverti?” mi chiese, lo sentivo ridere.
“James, ma sei impazzito?” ero davvero esterrefatta.
“Ti piacerebbe di più se fossi lì?” mi chiese e in quel momento sentii il “click”. La porta era aperta.
Ma dovevo aprire?
Attesi qualche istante, esitai. Non c’era più, non parlava, si sentiva il silenzio più totale e la luce che passava da sotto la porta non c’era. Era tutto spento.
Raccolsi la mia borsa e aprii piano la porta. Era tutto completamente buio.
Feci un passo e all’improvviso, s’illuminò tutto e sentì elevarsi un coro: “AUGURI!”.
Ero pietrificata, imbarazzata e confusa.
Tutta la troupe e lo staff de “Il treno per Darjeeling” era lì, tutti sorridenti e con qualche palloncino in mano.
Wes mi si avvicinò abbracciandomi “non dire mai più di non avere amici”, mi sussurrò.
Scoppiai a piangere, non resistetti.
Non potevo credere a quello che aveva fatto per me. Non gli avevo dato fiducia e avevo sbagliato di grosso.
Ero solo una ragazzina, non ero la donna che mi sentivo di essere. Ero così spaventata dalla vita che nemmeno me ne accorgevo. Erano tutti lì, con gli occhi sulle mie ginocchia tremanti e il mio naso rosso dal pianto.
Questo fu il regalo più bello e, col senno di poi, mi resi conto che non solo avrei ricordato per sempre il giorno del mio diciottesimo compleanno. Ma avrei ricordato l’intero mese, tutto, completamente tutto. Tutto quello che, Wes in particolare, avevano fatto per me e di quanto mi avevano fatto crescere e reso forte.
All’improvviso mi ricordai di James. C’era anche lui. Dopo che tutti mi ebbero fatto gli auguri e dopo aver aperto lo spumante e mangiato i pasticcini che Wes aveva comprato per me, James si avvicinò.
“Auguri”, mi sussurrò.
Io gli sorrisi. “Prima mi hai fatto preoccupare…” dissi.
“Mi piacciono gli scherzi”, disse appoggiandosi al muro. “Ho voglia di fumare, mi accompagni fuori?”, mi chiese.
Io annuii. “Come sapevi di questa cosa? Non ti ho visto sul set per un po’”, dissi.
“Me lo ha detto Anderson… diciamo che mi è scappata una bugia e ho detto a Tony di essere tuo amico… lui lo ha detto ad Anderson e…”
“E ora sembra che io lavori con te” dissi interrompendolo.
“Per me”, disse.
“Per il tuo capo”, lo corressi.
Lui tirò fuori una sigaretta e l’accese. “Quindi siamo amici?”, gli dissi guardandolo, mangiandolo con gli occhi, morendo per lui. Sapevo sarebbe stato impossibile, ma amavo sognare e amavo guardarlo.
“No, ho detto che mi è scappata una bugia. Quindi non siamo amici”, disse tirando su il fumo dalla sigaretta.
“Ho capito, e perché sei qui?” domandai.
“Per… non lo so, per farti gli auguri credo. E per dirti che quando ci siamo parlati non avevi 18 anni”, rise.
“Era come se li avessi”, mi dava fastidio questa storia dell’essere piccola.
“Sei adorabile, mi sembra di parlare col coniglietto di Bambi”, rise.
Mi allungò il pacchetto di sigarette. “Per i tuoi diciotto anni, una la devi almeno provare”.
Lo guardai e capii che era come se fosse la tentazione fatta a persona.
Poi pensai, è per sempre un’esperienza, che male c’è?
Allungai incerta la mano e afferrai il pacchetto. Lo guardai dubbiosa e lui mi sorrise, si avvicinò e mi prese le mani. Tirò fuori la sigaretta per me e me la mise fra le labbra. Poi si avvicinò con la sua e mi disse di aspirare con la bocca attraverso la sigaretta. Lo feci. Lui si avvicinò col viso al mio e poggiò le due estremità delle sigarette, facendola accendere.
Un sapore acre, sporco, pesante, mi invase la bocca e i polmoni. Iniziai a tossire.
“Tipico!” esclamò ridendo. “Va tutto bene?” chiese guardandomi divertito.
“cert… certo che sto bene, ma questa roba fa schifo…!” dissi disgustata. “E poi, era così difficile accendermela con un accendino? Perché sei dovuto venire così vicino a me!”, esclamai fingendo un gran fastidio per l’invasione del mio spazio personale.
“Pensavo ti sarebbe piaciuto…” sussurrò. “Finisci la sigaretta o buttala a terra, scegli tu… io devo andare  e tu hai degli amici che ti aspettano dentro. Buonanotte Martin”, disse, gettando il suo mozzicone di sigaretta e andandosene con le mani in tasca.

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Capitolo 9
*** Chris Evans, chi? ***


CAPITOLO 8 - CHRIS EVANS, CHI?



Fu il compleanno più bello di sempre. Mandai un messaggio ai miei genitori dicendogli di venire, ma rifiutarono. Mi avrebbero aspettato a casa.
Stetti un paio d’ore con la troupe e ci divertimmo a chiacchierare. Nel frattempo Jason, Owen e Adrien se n’erano già andati. Wes dovette andare dalla sua compagna ad una certa ora e noi sistemammo il casino che avevamo fatto.
Tornai a casa alle 9:30 PM, esausta.
Ad aspettarmi c’era mia madre sul divano. Mio padre era già a dormire. Non aveva neanche aspettato il mio ritorno.
Vanessa si alzò di scatto, correndomi incontro. “Auguri tesoro mio! Stamattina non ci siamo incrociate! Com’è andata la giornata? Non sarà stata la festa coi tuoi amici che sognavi, ma i tuoi colleghi sono stati dolcissimi!” esclamò.
Io le sorrisi “è stato bellissimo, sono contenta mamma. Scusa se non ho mai creduto in questa cosa del trasferimento e della nuova vita…” le dissi abbracciandola.
Lei ricambiò il mio abbraccio e mi diede una cosa. “è il mio regalo per te”, disse, “aprilo”.
Ruppi la carta di giornale che lo avvolgeva e mi ritrovai in mano una carta: era la mia iscrizione al corso di recitazione. Mia madre aveva pagato per i prossimi due mesi. “Ma… perché? Dovevo…”
“E’ un regalo, e il mio modo per parti sapere che appoggio tutto quello che fai”. Con gli occhi lucidi ci abbracciammo.
Per la prima volta nella mia vita, provavo una sensazione di felicità consapevole. Diversa dalle volte in cui mi sono sentita felice in passato. Ho sempre provato una felicità inconsapevole dovuta all’ingenuità dell’infanzia.
Ora ero consapevole, sentivo e provavo la vera felicità. Mi sentivo accettata e parte di qualcosa.
 
Andai a letto col cuore leggero, anche se un po’ stanco. James lo aveva fatto battere così forte. Povero cuore.
 
--------------------
 
Il mattino dopo mi svegliai di soprassalto. Non ero tranquilla, non lo ero per niente.
Stavo per andare a lavorare per un nuovo regista, sul set di James. Buttai la faccia tra i cuscini e sbuffai.
Scesi dal letto e mi diressi in bagno, per farmi una doccia. Notai le ossa delle scapole e delle costole inziare a vedersi. Non ne ero totalmente felice… ignorai questo dettaglio pensando di dover essere felice: stavo diventando magra!
Mi piastrai i capelli e sistemai le sopracciglia. Decisi di truccarmi come si deve. Misi il fondotinta, la matita, il mascara e un leggero rossetto roseo, per colorare le labbra. Mi guardai soddisfatta allo specchio. Strano. Soddisfatta?
Andai in camera e indossai una camicia bianca infilata nel pantalone beige di velluto, dei mocassini rossi con i calzini bianchi a vista e una sciarpa rossa. Wes mi aveva istruito bene e non mi ero mai sentita così a mio agio in nessun tipo di abiti. Aveva trovato la parte migliore di me e gli ero infinitamente grata, per tutto.
Corsi fuori di casa, mancando di nuovo papà. Erano quasi due giorni che non lo vedevo. Salutai la mamma che si preparava per il lavoro e mi fiondai sul bus che prendevo sempre all’ultimo.
Kevin era sempre lì ad aspettarmi. Sorridente. Io avevo capito fosse gay quasi dal primo giorno che lo vidi. Ma non me lo aveva ancora mai detto.
“Sei fantastica” mi disse, appena mi vide.
“Anche tu caro Kevin”, risposi toccando la sua giacca bordeaux.
“Ti piace? L’ho cucita io!” esclamò.
“Ma sei serio?!” chiesi in ammirazione.
“Proprio così! Sto diventando bravo eh?”
“Decisamente! Quando inizierai a cucire abiti per me?” chiesi.
Lui abbassò lo sguardo.
“Che c’è?” chiesi.
“Niente, è che… non amo cucire abiti per ragazze così… piccole ecco”, disse.
Che diavolo voleva dire?
“Per la mia altezza dici…?” chiesi imbarazzata.
“No beh, non solo… è anche per la tua magrezza, e, il fatto che sei così minuta… preferisco le modelle del college che sono alte e muscolose, capisci? È più semplice modellare gli abiti”, disse gesticolando energicamente.
Io scossi la testa “certo, d’accordo, tranquillo...”
In quelle settimane avevo mangiato pochissimo, per l’ansia, per la frenesia della mia nuova vita e per la paura costante di non piacere. Che avessi esagerato?
In fondo, mi sentivo abbastanza bene con me stessa, ma non mi era mai successo che qualcuno mi dicesse una cosa del genere. Cominciai a dubitare dell’aspetto che avevo. Ero davvero troppo magra? Sembravo poco sana?
Mentre continuavo a farmi delle seghe mentali su come apparivo alla gente, arrivammo alla fermata di Kevin, che scese dandomi un bacio sulla guancia, scusandosi e suggerendomi di andare in palestra per farmi qualche muscolo. Irritata, gli risposti che anche lui ne aveva bisogno.
Quando mi rispose era troppo tardi, le porte si erano già chiuse e vidi solo le sue labbra incurvate verso il basso muoversi energicamente.
 
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“Sono Martin Arnaud”, mi presentai a Tony Bill. Lui mi sorrise porgendomi una pila di fogli.
“ciao carissima, fammi un favore, compila questi moduli, così potrò pagarti. Veloce che tra poco iniziamo e sei leggermente in ritardo”, disse così tante parole in così poco tempo che rimasi confusa.
“Certo, subito”, dissi titubante.
Iniziai a firmare, sentendomi in ansia a causa dello sguardo di Tony su di me. Mi sbrigai.
Sfilò i fogli da sotto le mie mani e li diede a una donna che li portò nel suo camerino. Mi fece velocemente vedere il set, e mi spiegò alcune cose nulla realizzazione del film.
Quando iniziarono a girare, arrivò James, che m’ignorò.
Ci rimasi un po’ male ma pensai fosse a causa della concentrazione e dell’imminente scena finale che avrebbero dovuto girare. Credo.
Non staccai gli occhi da lui, non smisi di mangiarlo con gli occhi e di pensare che cosse la cosa più bella a questo mondo.
 
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Tony si avvicinò a me durante una piccola pausa e mi diede un faretto per la regolazione della luce artificiale. Dovevo portarlo allo studio 25. Da sola.
Era davvero pesante, ma non potevo dire di no. Così iniziai a far strusciare a terra i suoi piedini di gomma, stando attenta a non farlo cadere.
 


Lo studio 25 era davvero lontano, circa 6 o 7 set di distanza dal nostro. Con tanta fatica arrivai a metà percorso quando, improvvisamente, una voce arrivò dalla mia sinistra “Ehi, tu, vuoi una mano?”
Mi voltai e vidi un bellissimo ragazzone biondo, con gli occhi azzurri e un sorriso mozzafiato.
Ad Hollywood erano tutti così belli? Mi domandai.
“Ehi, no… tranquillo, non disturbarti” dissi imbarazzata.
“Ma smettila, sono in pausa, ti aiuto io”, disse avvicinandosi a me e sollevando il faretto come se fosse la cosa più leggera del mondo.
“Oh, beh, grazie”, dissi passandomi la mano fra i capelli.
“Come ti chiami?” mi chiese guardandomi.
Io stavo camminando con la testa china, calciando sassolini a terra per l’imbarazzo del momento.
“Mi chiamo Martin… e tu?” chiesi sperando non fosse un attore. Se lo fosse stato, gli avrei fatto capire che non era abbastanza famoso da essere conosciuto.
“Sono Christopher… ma chiamami Chris” mi sorrise.
“Dove lo portiamo questo bel faretto, piccola Martin?”, disse canticchiando.
Io sorrisi spontaneamente, “allo studio 25”, risposti.
“Ottimo, è il mio studio!” disse allegro, “non avrò fatto un giro a vuoto”.
“s…sei, un attore?” chiesi imbarazzata.
“Sì, ma tranquilla, sento che non sei americana, quindi è normale che tu non mi conosca. In Europa non sono conosciutissimo… ancora” disse, con un tono di fiducia e spensieratezza che mi colpì.
Era una delle persone più positive che io avessi mai conosciuto.
“Oh, capisco. Sì, effettivamente sono italo-francese” risposti “Ti chiami Chris… cognome? Così nelle mie prossime lettere alla Francia ti pubblicizzo!” risi.
“Sarebbe gentile da parte tua! Sono Evans, Chris Evans”, mi rispose dandomi una leggera gomitata sulla spalla e ridendo.
Era così alto… mi superava di circa trenta centimetri. Era stupendo. Era simpatico.
Scossi la testa. Ormai lo facevo troppo spesso per scacciare pensieri che non dovevo avere.
“Tutto bene? Ti vedo turbata?” chiese.
“Sì sì, tutto apposto grazie”, gli sorrisi.
Arrivammo allo studio 25 e Chris mi passò il faretto “tieni, così sembrerà che sia stata tu a portarlo fino a qui”, mi fece l’occhiolino.
Lui mi superò ed entrò. Eravamo sul set de “I fantastici quattro” chissà chi avrebbe interpretato lui.
Vidi passare per di là Jessica Alba e rimasi a bocca aperta, era una donna davvero stupenda.
Si avvicinò un tecnico che ringraziandomi mi sfilò di mano il faretto e corse via.
Chris si girò a guardarmi sorridente.
“Beh, adesso mi tocca andare a lavorare” disse indicando una tuta blu da supereroe.
“Wow, ti starà d’incanto quella … tuta”, risi.
“Sto una favola, credimi” disse prendendola su.
“Quindi sei uno dei fantastici quattro?” chiesi guardandomi intorno.
“Stai parlando con l’uomo torcia in persona” disse assumendo una posa da eroe.
Scoppiai a ridere, era un ragazzo adorabile.
“Fantastico!” dissi, “non vedo l’ora di guardare il tuo film, così conoscerò questo Chris Evans attore!”
“Chi lo sa, magari ci andremo assieme a vederlo”, disse sfilandosi la maglietta e infilandosi nel suo camerino. Attonita mi voltai per andarmene e dissi “chi lo sa…!”

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Capitolo 10
*** Un appuntamento inaspettato ***


CAPITOLO 9 - UN APPUNTAMENTO INASPETTATO


Trascorsi i seguenti cinque mesi tra uno studio e l’altro. Wes mi adorava, ero sempre con lui.
Ma il mio nome era diventato sinonimo di efficienza. Tutti richiedevano Martin Arnaud. Non solo perché ero efficiente, ma anche perché costavo pochissimo. Non cercavo la ricchezza in quel periodo. Volevo solo farmi conoscere e apprezzare in quell’ambiente ma… non come assistente.
Wes aveva in programma di realizzare un nuovo film, e ogni tanto scherzava dicendo di volermi nel suo cast. Per me sarebbe stato semplicemente un sogno.
Andavo al corso di recitazione tre volte a settimana: il lunedì, il mercoledì e il venerdì.
Lì mi ero fatta qualche amico. C’era una ragazzina che si chiamava Vanessa. Aveva appena dato un provino per un musical: “High School Musical”. Non ho mai amato questo genere di cose, ma lei aveva una gran bella voce e mi aveva parlato di un ragazzo dolcissimo che era stato preso. Non poteva non andare, quel posto sarebbe stato suo.
Frequentammo il corso di teatro per tre anni, insieme. Nonostante entrambe riuscimmo ad ottenere delle parti, per quanto piccole fossero, non smettemmo di frequentare il corso.
C’era anche un ragazzo che recitava a teatro, si chiamava Michael. Non desiderava diventare famoso, a lui bastava poter essere se stesso e per farlo aveva bisogno del palco e del contatto con i suoi spettatori, che fossero due o che fossero duemila.
Vanessa ed io diventammo amiche, passavamo spesso i pomeriggi assieme e a volte pensavamo addirittura di trasferirci a Hollywood. Era un’idea pazza, lo so, ma con quei soldi che mi ero guadagnata e che avevo messo da parte, mi sarei potuta permettere un affitto smezzato con Vanessa.
Ogni tanto passavamo le giornate a guardare gli appartamenti in affitto, i più piccoli e nelle zone meno in del quartiere. Avevano sempre e comunque prezzi non bassi, ma non demordevamo.
Il nostro primo appartamento l’avremmo preso solo un anno dopo. Ma questo lo scopriremo più avanti.
 
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In quei cinque mesi, spesso incontravo Chris mentre correvo da un set all’altro. Scambiavamo due chiacchiere, ci divertivamo. Ci eravamo scambiati il numero e stava nascendo una bella amicizia. Era proprio un bravo ragazzo e mi piaceva molto. Un giorno mi confidò che si era trovato la ragazza. Stavano insieme da tanto, circa due anni e si chiamava Jessica. Smisi di pensare a lui come a un potenziale ragazzo… mi sorpresi del fatto che avessi anche solo sfiorato con la mente quell’ipotesi. Un dio greco come lui di certo non si metterebbe mai con una pulce come me.
Ero contenta per lui e per la bella amicizia che avevamo instaurato.
Mi confidavo sempre, su tutto. Gli parlai anche di James. Non ammisi mai di avere una cotta per lui, dopotutto era impossibile tanto quanto Chris.
Ma gli raccontai che  James cercò di evitarmi il più possibile per tutto quel tempo ed io feci lo stesso.
Finchè…
Una mattina ero intenta a sistemare la strumentazione di Wes, chiusa nell’ufficio. Quando qualcuno bussò.
“Avanti”, dissi distratta.
“Ehi”, alzai gli occhi di scatto e vidi James. Indossava un pantalone nero e una camicia verde scuro. Teneva le mani in testa, mentre si appoggiava al divanetto in camoscio rosso di Wes.
“Ciao James”, sussurrai tornando a fare il mio lavoro. Volevo continuare a trattarlo freddamente.
“Sei proprio incazzata, eh bestiolina?” disse ridendo.
Ma come si permetteva? Non mi parlava da cinque mesi e ora era un tenero ragazzetto che mi dava nomignoli buffi…
“James che vuoi?” chiesi spazientita.
“Uscire con te”, disse con un filo di voce.
“Cosa?” domandai allibita.
“Senti, ho cercato di evitarti. Sei troppo piccola per me, pulce… ma non faccio che pensarti. Se vuoi uscire con me, ne sarei felice, Martin”, disse avvicinandosi alla scrivania.
Lo guardai sconnessa, ero scossa. Non capivo se mi stesse prendendo in giro.
“James, se mi stai facendo uno scherzo, sappi che è davvero di cattivo gusto”, dissi continuando a smanettare con videocamere e lenti.
“Martin, ti chiedo scusa se ti ho trattata male. Ma che motivo avrei di farti uno scherzo del genere? Ti prego credimi, sto impazzendo e vederti quasi tutti i giorni mi uccide”.
Mi stava guardando con i suoi occhi nocciola, così dolci, ma così bugiardi.
Non era affatto il bravo ragazzo che tanto mi piaceva guardare in Freak and geeks. Era un ragazzo fuori di testa, amava la vita sregolata e voleva che io ne facessi parte.
Dovevo farne parte?
Volevo?
Lo guardai anch’io. Pensai che dopotutto i miei occhioni marroni potevano reggere il confronto.
“Sei sicuro di voler uscire con me?” chiesi.
“Ci ho pensato più di quando avrei dovuto”, disse mordendosi le labbra.
Voleva trascinarmi con sé, nel suo vortice di sregolatezza.
Era troppo, dovevo farne parte. IO VOLEVO. Sono stata troppo corretta, troppo calma. La vita mi stava mettendo alla prova e io volevo essere sfidata. Io volevo essere sua.
“Allora forse potrei dirti di sì” dissi.
“Domani sera, alle 8:00 PM, fatti trovare pronta” disse allungandomi un biglietto, “scrivimi il tuo indirizzo”
Non volevo dirgli dove abitavo… né che stessi coi miei genitori, anche se era piuttosto palese.
Lo sapeva che aveva a che fare un con una ragazzina e sembrava stargli bene. Scrissi il mio indirizzo ma decisi di farmi trovare già di sotto quando sarebbe arrivato.
Lui mi sfiorò la mano e se ne andò facendomi l’occhiolino.
Il mio cuore era impazzito.
 
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Nel mio turno pomeridiano incontrai Chris che stava facendo una pausa.
“Ehi supereroe”, dissi.
“Ehi superassistente”, rispose avvicinandosi a me.
“Piantala, sai che non mi piace”, gli dissi colpendolo sulla spalla.
“Scherzo lo sai… sai che credo che tu un giorno diventerai una delle più pagate e famose attrici” si sedette su un muretto e m’invitò ad unirmi a lui.
Saltai sul muretto. “Sei sempre così ottimista Evans”, mi guardai i piedi. Indossavo delle scarpe marroni, modello uomo.
“Come stanno andando le riprese?” chiesi.
“Nel 2007 il film sarà nelle sale americane” esclamò entusiasta.
“Congratulazioni Chris!” gli dissi abbracciandolo. Era così muscoloso…
“Grazie Martin”, disse, “stai andando al corso di recitazione?” chiese.
“Oh sì, sempre e sta andando piuttosto bene… però… non ho ancora il coraggio di fare provini, credo di voler aspettare”
“Aspettare cosa?”
“Beh… è successa una cosa assurda oggi”, cominciai, dondolando le gambe.
“Ah sì?” m’incalzò a proseguire.
“James mi ha chiesto di uscire” dissi tutto d’un fiato.
Vidi lo sguardo di Chris annuvolarsi. Non ne era felice? Probabilmente sapeva della sua reputazione…
“E’ un po’ grande per te” disse grattandosi la testa. “sono quanti? Dieci anni di differenza?” domandò.
“Beh sì, ma non sono così evidenti e credo che non possano essere questo gran problema” risposi un po’ rattristata dalla sua reazione.
“Quindi lui ti piaceva fin dall’inizio o… è una cosa nata ora?” ero confusa da queste sue domande
“Beh, credevo fosse un bel ragazzo ma non ci ho mai dato importanza”, risposi con nonchalance, anche se sapevo di mentire spudoratamente.
“Se ti rende felice, allora a me va bene”, mi disse mettendomi un braccio sulla spalla.
“Grazie Evans”
“Prego Arnaud” 

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Capitolo 11
*** Ho così tanto da imparare ***


CAPITOLO 10 - HO COSI' TANTO DA IMPARARE... 




Ore 6:00 PM.
“Mamma, io stasera esco con Vanessa”, gridai dalla mia camera.
“D’accordo, non fare tardi”, disse dalla cucina.
Mamma e papà stavano andando molto d’accordo ultimamente e, quando sono così felici, io quasi non esisto. O meglio, sono libera di fare qualsiasi cosa io voglia. Davvero comodo…!
 
Andai a farmi una doccia e pensai alla serata imminente. James stava per venirmi a prendere. Mentre mi sciacquavo le gambe dal sapone, pensai di dovermi radere.
Mi imbarazzai con me stessa. Stavo davvero già pensando a quello?
Sapevo che non lo avrei fatto, ma sapevo anche che mi sarei sentita più tranquilla a farlo. Ormai era estate e anche se a distanza qualche peletto non si sarebbe notato, mi sembrava d’obbligo farlo.
E se poi mi avrebbe messo una mano sulla gamba? Sarebbe stato imbarazzante.
Finsi di fare la cosa più giusta in assoluto e mi depilai le gambe. Decisi sul momento che sarebbe stato giusto anche farmi l’inguine. Non si sa mai… giusto?
Tentai di convincermi che il motivo sarebbe stata la possibilità di una giornata al mare e che già che c’ero sarebbe stato giusto farla subito.

Giusto?
 
Uscita dalla doccia andai in camera e m’infilai un tubino nero, scoperto sulla parte alta della schiena. Misi un mocassino nero, molto sottile di una stoffa leggera. Non amavo i tacchi, o almeno, non erano da indossare sempre.
Mi infilai dei semplici orecchini a brillantino e mi misi del mascara e mi tracciai una linea sopra l’occhio con l’eyeliner. Venne particolarmente precisa e mi sentii abbastanza fiera di me.
Tra una cosa e l’altra, si erano fatte le 7:50 PM, così presi una borsa nera con le frange e ci buttai dentro i miei occhiali (in caso mi si togliessero le lenti), il portafogli e le chiavi di casa.
 
“Io vado!”, dissi correndo fuori.
“Ciao tesoro”, gridò mia madre. Ma ormai ero già per le scale.
Corsi giù e mi fermai nell’atrio del palazzo. Osservai fuori ma non vidi nessuno, così mi sedetti sulle scale e attesi.
Cinque minuti dopo arrivò un’auto nera, luccicante. Scese James che entrò dal portone d’ingresso che si apriva con un pulsante.
“Ciao James”, dissi alzandomi.
“Sei bella” disse, “bella, bella…” continuò.
Mi sentii avvampare, ho imparato che le estati a Los Angeles sono terrificanti, terribilmente torride. E questa sensazione non aiutava con il caldo.
“Anche tu James” dissi ridendo. Indossava un jeans leggero chiaro e una camicia nera. Aveva messo il gel e un profumo buonissimo.
Mi sorrise con quel suo sorriso sghembo, così sexy con quelle rughette di espressione attorno alla bocca.
Mi prese per mano e mi accompagnò all’auto.
“dove andiamo?” chiesi una volta partiti.
“Al ristorante, non sono un tipo che esagera e fa cose spaziali… voglio solo passare del tempo con te”, disse imbarazzato.
Gli presi la mano e sorrisi. “James, è perfetto”, dissi avvicinandomela alla bocca e dandogli un leggero bacio.
Lui sorrise. Era bellissimo.
 


--------------------------
 
Andammo al ristorante, era italiano. Sorrisi nel pensare che avesse scelto quel ristorante per le mie origini. Ma magari non ci aveva neanche pensato… ammisi a me stessa.
Entrammo tenendoci per mano e non potei fare a meno di notare che certa gente lo fissava.
Ci fissava.
Era questo? Questo voleva dire essere famosi? Capii di essere uscita dall’anonimato non appena udii un “click” da dietro le mie spalle. Era una macchina fotografica e io ne ero la “vittima”.
Sperai che la foto non sarebbe uscita sui giornali o chissà dove. O forse speravo di sì?
Superato lo “shock” iniziale, la gente smise di fissarci e riprese a mangiare.
“Cosa ordiniamo?”, mi disse James porgendomi il menù.
Mi sentivo a casa, un menù degno di un palato italiano. Era da tanto che non mangiavo con calma e come si deve. Pensai che Kevin avesse aveva tutti i torti quando mi disse che cominciavo a essere magra in modo malsano.
A James non sembrava una cosa sbagliata a quanto pare. Lo dico perché se gli piacevo… un motivo ci sarà stato, pensai narcisisticamente.
Martin? Che ti prende? Mi dissi. Stai diventando così sicura di te. Mi sorprendi!
Mi dissi tra me e me.
Una volta ordinato, passammo la serata a guardarci e a mangiarci con gli occhi, ignorando il cibo sotto i nostri nasi. Avevamo fame, ma non di spaghetti.
Parlammo tutta la sera delle nostre vite e io decisi di espormi, che male poteva fare?
Gli raccontai dell’Italia, della Francia, dei miei disturbi alimentari e del corso di recitazione. Finimmo per parlare di aspirazioni nella vita e tra una cosa e l’altra, James si offrì di propormi a un suo amico regista per un provino.
La cosa era così eccitante. Ero entusiasta di questa cena e della situazione che si era creata.
James si aprì con me, mi raccontò della sua famiglia, delle sue origini e di com’era arrivato a fare l’attore.
Era una persona piena di valori e interessi. Iniziava a interessarsi ai diritti della comunità omosessuale e la cosa mi fece pensare a Kevin che, come un ladro, sentiva il bisogno di nascondersi.
Mi domandai se alla fine me lo avrebbe mai detto.
Era un ragazzo molto creativo che aspirava a diventare non solo attore impegnato, ma anche regista e sapevo, con quasi assoluta certezza, che ce l’avrebbe fatta.
Alla fine della serata lui volle pagare il conto e ritornammo in auto.
“Torniamo a casa?” chiesi.
Lui scosse la testa “ti porto in un altro bel posto”, disse.
Io risi, ero molto contenta di continuare la serata. Erano le 12.00 AM. Ma ero ancora piena di energie.
 
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 Arrivammo in un bellissimo spazio verde, tra alcune dune della costa. Ci trovavamo su qualche famosa spiaggia di LA. C’era un piccolo gazebo rosso e bianco in quest’area colorata di verde da erba e fiori. Era molto bello e soprattutto romantico.
Guardai sorridente James e lui ricambiò il sorriso. Mi sfilai i mocassini e li lasciai in macchina, non volevo si rovinassero con la sabbia.
Mi prese per mano e ci sedemmo sull’erba. Lui mise una mano sulla mia gamba e in quell’attimo pensai: visto Martin?! Te lo avevo detto io…
Ignorai il mio grillo parlante e guardai James negli occhi.
“Posso?”, chiese mettendomi una mano sul fianco e avvicinandosi sempre di più.
Posso? Posso cosa? Cosa voleva fare? No, non poteva. Poteva?
Non dissi nulla così lui accolse il mio silenzio come assenso. Avvicinò il suo volto al mio e mi sfiorò le labbra con le sue. Socchiusi gli occhi, in estasi. Volevo che mi baciasse. Sì, poteva.
Mi guardò e poi appoggiò come si deve le sue labbra sulle mie. Iniziai a pensare al bacio timido e impacciato di Nicolas. Lo misi a confronto.
James era come un uragano, tutto il mio corpo, ogni mia cellula era momentaneamente morta. Non capivo e non volevo capire più nulla.
Aveva un amaro sapore di sigarette, ne aveva fumata una in auto. Ma non mi fece così schifo, anzi. Mi venne voglia di riprovare a fumarne una.
Mi venne voglia di fare le più sbagliate cose.
Era forse la sua influenza sbagliata?
No, nulla era mai stato così giusto. Continuò a baciarmi finché non appoggiò la sua lingua alla mia.
Non avevo mai dato un bacio alla francese ma mi lasciai guidare la lui.
Era tutto così spontaneo che gli permisi di continuare finchè…
Sentii la sua mano salire dal ginocchio alla coscia e dalla coscia…
“No!”, esclamai.
“Che c’è?” disse perplesso, “non vuoi?”
“No James, non voglio…” dissi sistemando la gonna e rimettendola al suo posto, alla sua giusta lunghezza.
“Andiamo…” disse buttando la testa all’indietro.
“Hai voluto tu uscire con una ragazzina” dissi seccata “e la ragazzina non vuole”.
Alzò di scatto la testa e inarcò le sopracciglia “ah! Ho capito!”, esclamò.
“Che cosa credi di aver capito?”
“Non l’hai mai fatto”, disse accarezzandomi i capelli.
“E se così fosse?”, risposi seccata e molto in imbarazzo.
“Se così fosse, ho così tanto da insegnarti” mi disse baciandomi. Io mi allontanai e lo guardai negli occhi “non stasera” gli dissi.
“non stasera”, ripeté, “ho più pazienza di quanto immagini”. 


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Capitolo 12
*** Amicizia o amore? ***


CAPITOLO 11 - AMICIZIA O AMORE?





 Il giorno dopo mi svegliai con una carica in più. Ero felice. Non vedevo l’ora di incontrare James e di raccontare tutto a Chris.
La sera prima non feci sesso con James ma, in realtà, ogni tanto gli permisi di allungare un po' le mani...  Mi piacque moltissimo e mi sentii come in un film anni ’80. Non credevo di poter finire in una situazione del genere. Non ero più io, non riuscivo a riconoscermi ma forse era un bene. Stavo lavorando su me stessa e la cosa mi soddisfaceva. Quell'appuntamento mi fece aprire gli occhi e capire cosa volevo: buttarmi a capofitto nelle avventure che la vita mi avrebbe offerto e accettarle così come erano. Brutte o belle che fossero. 
Tornai a casa alle 2:00 AM, i miei dormivano e non mi sentirono entrare, per fortuna. Mi avrebbero di sicuro fatto il terzo grado e di raccontare cosa fosse appena successo non ne avevo decisamente voglia, non ai miei genitori.
 
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Agli studios era tutto più calmo. Wes non stava girando quindi mi “concedeva” ad altri registi che avrebbero avuto bisogno. Non vidi Chris per tutto il giorno, forse era da qualche parte a girare o forse aveva già finito le riprese. James lo incrociai solo durante la pausa pranzo. Mi propose di mangiare assieme e andammo a comprarci un trancio di pizza.
La sua compagnia mi faceva bene, avevo ripreso a mangiare regolarmente, forse troppo. Ma ero felice e mi andava bene.
Ci baciammo tante volte e tutto mi sembrava un sogno. Cominciavo a dimenticare le mie origini, chi ero e perché fossi lì. Non mi sentivo più la pecora nera, mi sentivo parte del gregge. James mi aveva fatto entrare nel suo recinto e ora ero una di loro. Mi mancava solo…
 
“Il provino”, disse James.
“Come?” chiesi sovrappensiero.
“Ti ho fissato un provino per domani pomeriggio alle 5:00 PM”, disse leccandosi le dita una volta finita la pizza.
“Cosa? No, domani non posso, ho promesso a Wes di…”
“Wes capirà. Non era lui che ti motivava e spronava, incoraggiandoti a diventare attrice? Beh questa è la tua occasione. Anzi, sai cosa? Digli di mettere una buona parola per te con Martin Hynes”, disse con tono sprezzante. Non apprezzavo il suo atteggiamento nei confronti di Wes… probabilmente non condivideva il suo stile, me lo aveva detto. Lo definì come un inutile esagerazione di stile e caramellosità. Io mi offesi leggermente. Trovavo le sue opere, dei capolavori e sentirle sminuire così mi rattristava. Ma a James non poteva piacere tutto ciò che piace a me e viceversa. Annuì e gli diedi un bacio.
“D’accordo, ora torno in studio, dirò a Wes che sono impegnata, spero capirà”, dissi.
“Capirà senz’altro, ci vediamo stasera piccola”, rispose.
 
 
 
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“Ehy, tutto bene?” dissi a Wes che era intento a disegnare delle volpi. “Che cosa sono?” domandai.
“I probabili personaggi di un nuovo film… volpi!” esclamò entusiasta.
“E’ questo il film a cui vuoi farmi partecipare?” chiesi.
“Beh, per cominciare, sì” disse sorridente. Più avanti, magari, mettiamo in scena la tua faccia, che dici?”, mi rispose allegro.
“Sarebbe un onore”, gli dissi avvicinandomi, “senti, James mi ha procurato un provino con Martin Hynes, che ne pensi?”
Wes si grattò la testa e annuì “non male, puoi cominciare da lì, perché no” disse.
“Il provino è domani”
“Farò una telefonata allora”, mi disse, aveva capito tutto. Adoravo Wes, era sveglio, serio e creativo.
“Sei il migliore, grazie”, dissi abbracciandolo.
Certo che nella vita le spintarelle servono. Che brutta cosa, pensai. Ma pensai anche di essere stata fortunata.
“Sabato sera andrò ad una festa, ci sarà tanta gente interessante. Perché tu e James non venite?” mi disse allungandomi un invito.Sorrisi e guardai stupita il mittente: Woody Allen.
“Stai scherzando?” dissi.
“Sono uno che scherza spesso?” disse sorridendo.
“Non ci posso credere, grazie!”, mi diressi verso la porta.
“Non ci vedremo domani pomeriggio quindi?” chiese continuando a disegnare.
“Ehm no… ma se vuoi appena ho finito…”
“No, no, ti lascio l’intero pomeriggio libero”, disse facendo gesto di “sciò” con la mano.
Lo ringraziai e uscii.
Mandai un messaggio a James dicendogli della festa di Sabato, mi rispose poco dopo accettando l’invito.
Mentre messaggiavo incappai in Chris. Stava andando a casa, avevano finito le riprese. Iniziava il conto alla rovescia per la prima del film.
“Ehi sbadata”, disse quando gli finii incontro mentre fissavo il minuscolo schermo del nokia.
“Ciao Chris!” esclamai allegra, forse troppo.
“Sei fantastica quando sei così felice, che succede? Andato bene l’appuntamento?”, mi chiese.
“Benissimo, sono davvero contenta! Non mi sarei mai aspettata nulla del genere, no è così stronzo come pensi tu”, dissi sventolandogli un dito accusatorio sotto al naso.
“Mi fa tanto piacere, mi piace vederti felice”, mi disse mettendomi i capelli dietro l’orecchio. Io gli sorrisi.
“Sto andando a casa”, mi disse, “sono in auto, vuoi un passaggio?” mi chiese.
Sapevo che avrei dovuto aspettare James ma avevo già finito e lui non si sarebbe liberato prima delle 5:00 PM. “Sì grazie, dammi solo un minuto che avviso James”, dissi.
Chris sorrise e si avviò verso la macchina.
Io lo seguii e digitai il numero di James, che avevo imparato a memoria. Gli dissi che sarei andata a casa e dall’altra parte del telefono sentii un tono leggermente scocciato, ma finsi di non essermene accorta e lo salutai.
Saltai sull’auto dove Chris mi stava aspettando e partimmo. Non era la prima volta che Chris mi portava a casa. Era già successo che staccassimo allo stesso orario.
“Allora, come va con la tua ragazza?” chiesi facendo il terzo grado.
“Prossima domanda?” disse un po’ rattristato.
“Che succede?” domandai preoccupata. Mi sentii in colpa per aver tirato in ballo l’argomento.
“Tranquilla… credo voglia lasciarmi. Le cose non vanno più bene come prima e forse è meglio così… credo”, rispose.
“Mi dispiace… si perde il migliore dei ragazzi”, dissi sorridendo ma notai il suo sguardo triste, “non mi perdere il tuo ottimismo, ti prego. È l’unica cosa che mi fa andare avanti!” scherzai.
Lui rise e mi sentii meglio. Non era uno che si abbatteva facilmente.
Arrivati a casa ci demmo un fugace bacio sulla guancia e scesi dall’auto.
 
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Il tempo trascorse veloce come un fulmine, neanche me ne accorsi. Io e James diventammo una coppia fissa. Ma io continuavo a non voler andare oltre i preliminari. Non mi sentivo pronta o forse temevo di non essere all’altezza o, ancora peggio, temevo per il mio corpo. Sapevo che mi avrebbe fatto fare una pessima figura.
Era ormai passato un anno da quando ci eravamo trasferiti in America e tutto era cambiato.
La famosa festa a casa di Woody Allen mi valse il provino per un suo film. Fui scritturata non solo da Woody ma anche da Martin Hynes. Recitai in American Sunshine Basta che funzioni. Stavo decollando e la sensazione era strepitosa.
La mia faccia iniziava a comparire sui giornali e la mia relazione con James era ormai un dato di fatto per tutti. Fui denominata come “la piccola stella nascente”, “la sconosciuta che stravolge il nuovo cinema americano”, “la piccola nuova musa di Allen”… e tante altre stronzate del genere.
Non credevo al potere dei media ma sapevo che sarei stata costretta a cambiare idea.
Fui molto criticata per la questione dell’età. James aveva dieci anni in più di me ma la cosa non ci toccava. Stavamo benissimo insieme.
Lui forse, era un po’ stanco di aspettarmi.
Nonostante le libertà che avevo iniziato a conquistare, continuavo a vivere con i miei. James mi propose di andare a vivere da lui ma continuavo a rifiutare. Non potevo permettere una cosa del genere. Era troppo.
Parlando di troppo… James se da un lato era stato la mia fortuna, dall’altro era la mia rovina.
Cominciai sporadicamente a fumare, soprattutto quando ero con lui. Mi portava a un sacco di feste e c’era sempre così tanto alcool che la metà le ho dimenticate.
Non credevo di poter finire a fare certe cose. Per me era inconcepibile eppure ero io. Mi guardavo allo specchio e non vedevo più la ragazzotta francese che aveva paura del mondo. Vedevo una donna. O almeno, il germe di ciò che sarebbe diventato donna.
Ma che tipo di donna volevo essere? Non me lo domandavo. Vivevo alla giornata e confidavo nella mia buona sorte.
Arrivai al farmi convincere a provare una canna. Non mi piacque l’esperienza ma a furia di fare tentativi la cosa cominciò ad essere più apprezzata.
Io e James ci chiudevamo in casa a guardare film idioti fumandoci delle canne.
Mi stavo rovinando.
Lentamente la mia amicizia con Chris si stava allentando. James era geloso di lui e Chris non lo apprezzava molto. Ed io, ingenuamente, diedi la priorità a James. Chris non era altro che un amico.
Soltanto un amico, non ne valeva la pena. 

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Capitolo 13
*** La mia nuova vita ***


CAPITOLO 12 - LA MIA NUOVA VITA



La situazione era assurda. Io non mi riconoscevo e stavo perdendo ogni mia convinzione, ogni mio valore morale. Amavo James, ormai ne ero perdutamente innamorata ma avevo paura della sua reazione una volta delle le parole “Ti Amo”. Che cosa avrebbe fatto? Che cosa avrebbe detto? Avrebbe ricambiato?
Non ero pronta a scoprirlo e, di conseguenza, non ero pronta a concedermi a lui al 100%. Qualcosa delle mie “vecchie virtù” era rimasta d’altronde.
Mi divertivo con James, lui mi aprì un mondo a me sconosciuto fino allora. I suoi amici erano quasi tutti attori e anche molto simpatici, bevevano e fumavano tutti e quasi ogni sabato ospitavano festini in casa loro. James aveva amici grandi, d’altronde stava per compiere 30 anni. A pensarci, la cosa mi pareva strana. Ma quando stavo con lui cercavo di non dare peso alla cosa e soprattutto di adattarmi.
Se da un lato desideravo fare certe cose, dall’altro mi sentivo obbligata. Mi divertivano, ma mi spaventavano.
La mia amicizia con Chris era ormai alla deriva. Non ci parlavamo più. Ero diventata quel tipo di persona che disprezzava, ma non voleva ammetterlo. Così preferì evitarmi.
Mi mancava terribilmente, ma la mia scelta l’avevo fatta e volevo stare con James a tutti i costi. Spesso capitava di chiedermi che cosa stesse facendo, se avesse rotto con la sua ragazza Jessica, se ne avesse trovata un’altra…
Ma erano cose che non mi riguardavano e non ci dovevo pensare. Affatto.
Dopotutto, tra una festa sregolata e un pomeriggio tranquillo a casa sua, James era una ragazzo dolcissimo. Così intelligente, impegnato nel sociale, bravo nel suo lavoro e, soprattutto, per quanto a volte irruento potesse sembrare, era la persona più dolce e gentile del mondo.
Mi trattava come una regina e la cosa mi lusingava. Non mi capacitavo di come una ragazzo del genere potesse avere così tanto interesse in me.
 
James aveva un carinissimo fratello: Dave. Era un attore anche lui, gli stavo molto simpatica, a ogni festa passava del tempo con me, ballavamo insieme, bevevamo e condividevamo le canne.
Era tutto così normale. Così innocente. Era la prassi.
Non diedi mai peso agli atteggiamenti di Dave, fino a quella sera.
Ma andiamo con ordine…
 
Vivevo ancora con i miei genitori e la cosa mi infastidiva un po’ , a volte. Avevo guadagnato molto con gli incassi dei miei due primi film. Ero fiera di me, e così felice. I miei genitori eccellevano nel loro lavoro, soprattutto mio padre che ottenne un proficuo aumento. La cosa comportò enormi novità. Io e la mia famiglia lasciammo quel piccolo appartamento di periferia e ci trasferimmo.
Forse il trasferimento migliore fatto fino ad allora.
Quando arrivammo a casa, rimasi senza fiato. Era una vera, enorme, casa. Era bellissima e mi domandai quanto dovesse prendere papà, ora che potevamo permetterci una cosa del genere.
Cominciava a piacermi davvero molto l’America.
La casa era su due piani, con un bel giardino e addirittura un garage. Per quale macchina? Che avessero comprato anche quella? Le pareti esterne erano bianche come quelle interne, interamente coperte di enormi vetrate. Quelle della vecchia casa erano nulla a confronto.
La mia stanza era enorme ma, a furia di cambiare case, cominciavo a sentire le camere sempre meno mie.
“Wow, è davvero bellissima”, ammisi, pensando però che, nonostante l’eleganza e la bellezza della nuova casa, non vedevo l’ora di andarmene.
“Lo so, l’abbiamo cercata per molto!” disse papà, “e se vai in garage, c’è un regalo per te”, disse.
Non poteva essere.
Non poteva.
Non.
No.
Sgranai gli occhi guardandolo e scattai di sotto, correndo verso il garage. Aprii la porta con enfasi e la trovai lì: una piccola Mini nera vicino a una possente Jaguar. “Sei impazzito?” dissi una volta che mio padre mi sbucò alle spalle.
“è il mio modo per chiederti scusa. Sono stato molto assente ultimamente ma questi sono i risultati” mi disse.
Mi sarei sentita un mostro, una volta annunciato il mio intento di trasferirmi.
Abbracciai mio padre e lo ringraziai fino allo sfinimento. Era felice di vedermi così allegra. E mi faceva piacere.
 
Continuavo a seguire il corso di recitazione, anche se molti mi dicevano di sprecare tempo: ero brava, non mi serviva. Io usavo quel piccolo teatro e le prove tra amici come scappatoia. Durante quelle due ore di corso m’isolavo dal mondo e vivevo un’altra vita: fatta di battute, di copioni e di espressività. Era come la mia pausa sigaretta, ma più salutare e rilassante.
Continuando il corso non persi di vista Vanessa. Eravamo rimaste amiche e non mi giudicò mai. Anzi, ogni tanto veniva con noi alle feste e mi faceva compagnia mentre James balzava da un amico a un altro.
Con lei mi sentivo a mio agio. Non dovevo fingere come quando stavo con gli amici di James, ma capiva perché dovevo cambiare atteggiamento alle volte. Al contrario di Chris.
Forse serbavo rancore. Ero arrabbiata e un po’ delusa. Chris non volle restarmi a fianco, non cercò nemmeno di capire.
 
Vanessa abitava con altre due ragazze: Blake e Scarlett. Blake aveva un anno in più di me e Scarlett quattro. Si erano conosciute a un provino e tutte e tre avevano bigono di un posto dove stare a LA. Decisero di affittare un appartamento.
Blake era molto simpatica e dolce, adoravo passare del tempo con lei. Era alta, bionda e bellissima. Spesso mi metteva in soggezione ma il suo carattere era troppo adorabile per essere invidiosi di lei. Scarlett era bassina come me, ma aveva un viso perfetto, sembrava scolpito da angeli. Era un po’ più riservata e seriosa di Blake ma quando la portammo ad una delle “famose” feste la vidi sotto una nuova luce: si scatenava come non mai. Nel suo lavoro era ineccepibile: era quella che recitava da più tempo di tutte noi e forse la più brava.
 
Una sera mi trovavo a casa delle ragazze, indecisa su cosa mettere.
“Che tipo di party sarà?” mi chiese Vanessa.
“Ah, il solito… alcool, fumo, musica… inizio quasi ad annoiarmi”, dissi scherzando.
“Secondo me una bella gonna nera, corto e sexy, è l’ideale”, disse Blake. Lei adorava la moda.
“Sono stufa anche di vestirmi come una stracciona” dissi riportando le parole di Wes.
La nostra “collaborazione” non era mai cessata. Nonostante avessi molto meno tempo da dedicare alla mia attività di “assistente”, per Wes ci sarei stata sempre. Stava anche lavorando ad un nuovo progetto e mi aveva detto di voler assolutamente me per una delle voci dei suoi personaggi. Diceva spesso si sarebbe trattato di un cartone in Stop Motion e la cosa mi elettrizzava alquanto.
“Stracciona?!” disse Vanessa che intento aveva trovato una minigonna nera dal suo armadio, sentendosi colpita sul personale.
“Voglio dire che vorrei mettermi qualcosa di meno… non so… anonimo e grunge”, dissi guardando Blake che sapevo avrebbe capito.
In quel momento entrò Scarlett. Era appena rientrata da una giornata di riprese, aveva il viso stanco. Ci sorrise e salutò, infilandosi in bagno per farsi una doccia.
“D’accordo… ma credo che i completi e i mocassini non vadano bene per queste occasioni”, disse Blake.
“I mocassini vanno sempre bene” alzai la gamba mostrandole le mie bellissime scarpe eleganti da barca.
Ridemmo e Vanessa avvicinò a me la gonna.
“se la metti con un bel lupetto o una camicia chiara, farai una gran figura… magari con i tuoi cavolo di mocassini neri”, disse appoggiandomi l’indumento addosso e squadrandomi.
“Eh va bene…” mi arresi e afferrai la gonna. “Vado a cambiarmi” dissi rovistando nell’armadio delle ragazze e prendendo una camicia color panna di Blake e un lupetto nero di Vanessa.
Mi cambiai un paio di volte, indecisa. Alla fine optai per la camicia, molto più pratica.
Mi truccai e domandai alle ragazze se avessero avuto voglia di venire con me. Rifiutarono gentilmente l’invito. Scarlett doveva uscire con un ragazzo e le altre due avevano in programma una serata tranquilla.
Un po’ le invidiavo, ma sapevo che una volta alla festa avrei dimenticato tutto.
 
Scesi di sotto e m’infilai nella mia Mini parcheggiata minuziosamente. Era così comodo muoversi liberamente. Io e James ci demmo appuntamento a casa sua, così ci saremmo diretti all’appartamento dell’amico insieme. Parcheggiai nel garage di James che mi aveva aperto da dentro casa. Aspettai di sotto e scese nel giro di un minuto. Indossava una camicia a scacchi rossa, nera e blu, un jeans e una t-shirt nera. Era bellissimo, come sempre.
Mi salutò con un bacio e il suo sorriso sghembo e ci dirigemmo alla festa.
 
Arrivati. Notai che poco lontano dal portone di casa dell’ospite della festa, c’era l’entrata di una discoteca… la serata stava già prendendo una piega particolare.
Erano solo le 9:00 PM, quando salimmo, c’era poca gente, ma tutte le birre, gli shot e la musica erano in posizione.
Dave, il fratello di James, era già lì e ci accolse sorridente come sempre. I due fratelli si scambiarono due chiacchiere prima che James andasse a salutare altra gente.
Dave rimase con me e parlammo del più e del meno. Era attore anche lui, ma non lo reputavo bravo quanto il fratello. D’altro canto, era davvero bello, quasi quanto James. Avevano lo stesso sorriso sghembo, che mi faceva tanto impazzire.




 
Sulle 10:30 PM la festa decollò. Erano arrivati tutti, la musica era al massimo e gli alcolici in mano. Per la prima ora della serata stetti con James e ballammo un po’, andammo a fumare e ci divertimmo. Ad un certo punto, arrivò un ragazzino, forse più piccolo di me, e mi offrì un bicchiere.
Ingenuamente lo accettai e mi feci uno shot con lui.
Nell’arco di 20 minuti ero stata messa K.O.
Qualcuno aveva drogato la bevanda e io non capivo più nulla. Non so dire cosa accadde, so solo che non ricordo assolutamente nulla delle due ore successive.
I miei ricordi partono da me, su un tavolo, senza la camicia e in canottiera, con in una mano un bicchiere e nell’altra una sigaretta. Stavo ballando, da sola, fregandomene del mondo.
Era tutto così lento, così opaco e ovattato.
Non sapevo dove fosse James e non m’interessava. Volevo stare da sola in mezzo alla gente. Mi affidai alle note della canzone che girava in quel momento, non avevo idea di cosa fosse, ma andava bene così.
 
Ad un ceto punto, qualcuno mi afferrò per la vita, mi fece scendere dal tavolo e iniziò a ballare con me.
Non mi voltai, non avevo interesse nello scoprire chi fosse, finchè… 





 

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Capitolo 14
*** La mia prima volta ***


CAPITOLO 13 - LA MIA PRIMA VOLTA

Mi voltai.
Era Dave.


Aveva messo le mani sui miei fianchi e ballava a col viso a pochi centimetri dal mio.

Ancora intontita, mi lasciai avvicinare e ballai con lui.
Improvvisamente, sentii le sue labbra sulle mie e le sue braccia stringermi a sé. Continuavo a non dare importanza a cosa stesse accadendo e come poco prima feci con la musica, mi lasciai trasportare da Dave. Ci baciammo a lungo finché non mi portò in una delle camere.
Mi bloccai all’istante sulla porta. Guardandomi attorno, mi misi una mano sulla fronte e mi appoggiai allo stipite. Dave sbuffò e si avvicinò.
“va tutto bene?” disse toccandomi il sedere.
Io lo spinsi via e tentando di mantenere il controllo, cercai di guardalo male.
Non avevo padronanza di me, di nulla. Mi sentivo inerme e colpevole on appena realizzai cosa stesse accadendo.
“io me ne vado” sussurrai voltandomi e scappando via.
Nel correre fuori vidi con la coda dell’occhio James. Era buttato su un letto di un’altra stanza. Era da solo per fortuna… o per sfortuna? Se anche lui avesse commesso un piiiiiccolissimo errore, mi sarei sentita meno una stronza colossale.
Confusa, uscii dall’appartamento afferrando la mia borsa da un mobile del corridoio e corsi giù per le scale.
Uscii dallo stabile e mi resi conto che aveva iniziato a piovere. Anzi, diluviava.
Stavo troppo male per tornare là dentro e avevo bisogno di aria.
Tirai fuori una sigaretta notando che la metà mancava. Qualcuno doveva aver rovistato nella mia borsa, pensai. Incurante, l’accesi e mi sedetti sulle scale dell’appartamento. Cominciavo a inzupparmi. Chissà dov’era finita la camicia di Blake, mi chiesi.
Mi avrebbe uccisa.
La testa pulsava, le mani tremavano e gli occhi mi bruciavano. Volevo tornarmene a casa.
Mi alzai per chiamare un taxi ma non ne passavano. O meglio, non si fermavano.
Davanti alla discoteca si era creata una crocchia di gente, erano in fila per entrare ma molti a causa della pioggia cominciarono ad arrendersi.
 
Cominciai a passeggiare avanti e indietro per il viottolo. La gente ben vestita dalla discoteca mi guardava male, come se fossi appena uscita da chissà quale vicolo e intendessi rapinarli tutti.
Ero conciata così male?
Avevo quasi finito le sigarette. Allungai la mano per accenderne un’altra. Non avevo altro da fare, la festa era diventata un inferno e fuori, nonostante fosse quasi estate, non era poi così caldo e la pioggia non aiutava.


 
“Martin…?” una voce incerta mi giunse alle orecchie. Così familiare e così dolorosa da risentire.
Alzai lo sguardo e vidi Chris. Era fradicio anche lui, ma dove stava andando?
Non dissi nulla, stavo per piangere. Mi toccai le guancie e vidi che sulle mani avevo delle macchie nere di mascara e matita. La pioggia e delle lacrime sfuggite al mio controllo mi avevano trasformata nel Joker.
Chris si guardò attorno, come se parlare con me fosse motivo d’imbarazzo.
“Che fai per strada conciata così?” mi chiese.
Io continuai a non dire nulla, mi tremavano le mani e le lacrime mi rigavano il viso confondendosi, però, con la pioggia. Ero emotivamente instabile anche per tutto l’alcool e le canne che mi ero fatta.
Mi sentivo tremendamente in imbarazzo.
Come potevo essermi ridotta a questo?
“Stai bene… Martin?” il tono della sua voce, ad aspro, diventò impensierito.
“Mi faccio schifo da sola, ma per il resto bene” risposi buttando via la sigaretta, che mi aveva nauseata. “la vuoi sapere l’ultima?” dissi senza aspettare la risposta “sono quasi andata a letto con il fratello del mio ragazzo… sono una zoccola”.
Chris mi guardò aggrottando le sopracciglia. Sembrava dispiaciuto ma anche che mi compatisse. Non avevo bisogno però, di essere compiaciuta. Mi faceva sentire ancora più inadatta.
“Dove stai andando?” dissi.
“In discoteca… ho un appuntamento”, mi disse, “comunque sì, sei diventata un po’ zoccola”.
Lo guardai arrabbiata, celando un dispiacere immenso scaturito dal fatto che una persona che, nonostante tutto, stimavo profondamente, mi considerava una poco di buono.
In quel momento capii che non dovevo essere lì. Dovevo correre di sopra, da James. Dovevo dirgli che l’amavo.
Chris non mi capiva. Forse allora non volevo essere capita.
Ma una cosa la sapevo: non volevo più ridurmi così. La vergogna era troppa e la presenza di Chris mi aiutò a capirlo.
Mi alzai di scatto, senza staccare lo sguardo dal suo. Mi voltai senza dire una parola e salii le scale. Sentii i suoi passi allontanarsi e scoppiai a piangere.
Salendo le scale, notai che nel tono della sua voce, quando mi disse che effettivamente mi considerava una squallida, non c’era disprezzo, ma rabbia e delusione. Non voleva offendermi, voleva darmi una svegliata.
Ci era riuscito, gliene ero grata, ma non lo avrei mai ammesso. Mi sentivo troppo ferita.


 
Scossi la testa come da abitudine e iniziai a pensare che avrei detto a James cosa provavo per lui e cosa, però, mi spaventava e bloccava.
Entrai in casa, fradicia, e mi diressi verso la stanza dove uscendo lo avevo visto.
Era ancora lì, con un cuscino sulla faccia. Stava dormendo?
La stanza era vicino ad un bagno, dal quale presi un asciugamano, mi asciugai alla meno peggio e lo legai attorno ai capelli gocciolanti. Mi guardai allo specchio: avevo gli occhi arrossati, circondati da un alone nero. Non mi piacevo… per niente.
Mi sedetti sul letto e James si levò il cuscino dalla faccia. Riconoscendomi mi tirò a sé, e mi diede un bacio sulla fronte.
“ho fatto una cazzata” dissi prendendolo per mano. Avevo paura di perderlo, ma sapevo di doverglielo dire.
Lui mi guardò, in ascolto e un po’ preoccupato.
“Ho baciato tuo fratello”, sputai tutto d’un fiato.
James scoppiò a ridere. “Ah sì?” disse, “non so perché, ma immaginavo sarebbe successo”, disse tranquillo.
Rimasi di sasso. Perché si aspettava una cosa del genere?
“Mio fratello ha un debole per quelle come te… così frizzanti e ribelli” rise “sapevo che avrebbe ceduto… ma tu, da te non me lo spettavo” disse.
Abbassai lo sguardo e mi difesi “mi hanno drogato il drink e non appena mi sono resa conto dell’errore me ne sono andata e…” James mi strinse a sé. “Smettila, non è successo nulla”, disse.
Ero così sollevata.
“James”
“Sì?”
“Ho un’altra cosa da dirti” dissi sospirando.
“Ti amo”, disse James, precedendomi. Io mi alzai di scatto e lo guardai. Era abbastanza sobrio da capire cosa stesse succedendo?
“Io…” balbettai “anche… anche io” cercai di dire.
“e questo basta” disse baciandomi.
Quella notte, facemmo l’amore.
Per la prima volta, decisi di dedicarmi totalmente a qualcuno e concedermi con tutte le mie paure e insicurezze.
Forse era questo quello di cui avevo bisogno. Di fiducia e di amore. Dopotutto, avevo ancora solo 19 anni e non bisogna aspettarsi molto da una 19enne.
James sembrò felice, chissà quante donne aveva avuto e chissà se era stato diverso.
Il contatto delle sue mani ruvide sulle mie cosce morbide, il sapore della sua bocca… era tutto un calderone di preoccupazioni, angosce e incertezze che rese quella notte unica e importane per me.
James fu molto dolce, ma solo inizialmente. Capì che la cosa mi andava bene e mi piaceva. Si mostrò in tutto il suo animo irruento e mi piacque.
Era tutto così nuovo e così bello.
Sarebbe durato?
Ci sarebbe bastato?

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Capitolo 15
*** Una fine improvvisa ... ***


CAPITOLO 14 – UNA FINE IMPROVVISA...




 
Mi svegliai in un letto estraneo fra braccia conosciute.
Ero nuda, con James.
Ricordai tutto quello che era successo la sera prima e sospirai.
Era partita male, ma finita nel migliore dei modi possibili.
Da quella prima volta, diventò come una droga per me. Nulla a che vedere con alcolici e stupefacenti. Era meglio, molto meglio.
Smisi di fumare per un po’ e cominciai a passare le mie giornate nel letto di James.
Facemmo di tutto non mi bastava mai. La novità aveva su di me l’effetto che l’eroina aveva su un tossicodipendente. E il sesso era LA novità.
Non mi bastava mai e James sapeva come soddisfare i miei bisogni. Da lui, d’altronde, me lo aspettavo e ne fui lieta. Lo amavo ma cominciavo ad amare di più il modo in cui trascorrevamo il nostro tempo che lui stesso.
 
Dopo circa cinque mesi, decisi di andare via da casa di mamma e papà.
Ci rimasero male, ma non troppo. Capii che se lo aspettavano e ne fui felice perché l’”abbandono” sembrò meno crudele e duro.
Non smettemmo di vederci, anzi. Abitavamo nella stessa città e ci ritrovavamo nei weekend per mangiare e passare del tempo insieme. Paradossalmente, vedevo più spesso i miei genitori una volta trasferita che quando vivevamo insieme.
Andai a vivere con Vanessa e Blake. Loro lasciarono il vecchio appartamento e decidemmo di comprare una nuova casa, più vicina ad Hollywood, più, grande e più bella.
Era un piccolo loft, con tutte le comodità. Moderno, spazioso e luminoso. Ognuna aveva la sua stanza, cucinavamo a turni e trascorrevamo il tempo a fare dolci, scherzare, guardare film e chiacchierare.
Scarlett si era da poco sposata con un ragazzo, anche lui attore. Si chiamava Ryan, ma non l'avevamo ancora mai conosciuto. Vanessa e Blake accettarono volentieri la mia proposta anche perché col matrimonio Scarlett andò a vivere con Ryan. Era, però, spesso a casa nostra e continuavamo a vederci e sentirci spesso. 
Raccontai alle ragazze della mia prima volta e di come le cose erano cambiate.
Ero felice di condividere le mie esperienze con qualcuno che mi avrebbe capito e che aveva già passato quello che stava capitando a me. Mi dispiaceva molto, però, non poter più parlare con Chris. Non lo vedevo dalla sera della festa e mi mancava molto il suo supporto. 
Scarlett era molto amica di Chris, così ogni tanto chiedevo a lei informazioni su di lui.
Mi disse che stava lavorando molto, non si sentiva con una donna da tanto tempo ed era ciò che voleva. Non so perché, ma la cosa mi tranquillizzò. Non me ne sarebbe dovuto fregare nulla, ma non resistetti.
 
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Il mio secondo anniversario.
Avevo da poco compiuto 20 anni e le cose andavano a gonfie vele. Recitai in altri due film “Non è un paese per vecchi” e “Into the wild”.
Era assurdo. La gente iniziava a riconoscermi per strada, le riviste chiedevano interviste e set fotografici. Era tutto così frenetico e nuovo.
Le persone mi chiedevano cose inconcepibili e personali per strada, mi scattavano foto o mi chiedevano di farla con loro, chiedevano autografi sulle mie foto.
Era un mondo nuovo, assurdo ma piacevole.
Nonostante tutto, riuscivo a conservare la mia privacy e la mia vita privata. Con James andava tutto bene e stavamo per festeggiare il nostro secondo anniversario.
Con James andava tutto bene…
Andava tutto bene?
 
Seduti a un tavolo di ristorante, ci ritrovammo a fissare i nostri piatti e a giochicchiare col cibo. Quasi imbarazzati della presenza dell’altro.
“Ma… se andassimo in bagno?” disse.
Scoppiai a ridere e in preda all’ansia da prestazione accettai senza esitare. Tutto pur di alzarsi da quell’imbarazzante tavolo.
Dopo la nostra scappatella nel bagno del ristorante, accendemmo una piccola fiammella di passione e andammo a casa.
Cominciammo a baciarci quando James mi offrì una canna.
Avevo smesso di usare quella roba e di bere. Mi era rimasto l’orribile vizio del fumo ma desideravo debellarlo con tutta me stessa.
La rifiutai con disgusto e tutta l’eccitazione svanì.
Andai in bagno a lavarmi la faccia lasciando James nel suo salotto.
“Andiamo… perché ti sei offesa?” disse.
“James… io non sopporto più tutto questo”, dissi.
“che cosa? Quello che abbiamo sempre fatto?”
“No, non questo… dico… insomma…” balbettai confusa.
Ma cosa volevo? Che stavo dicendo? Io effettivamente non sopportavo più quello che avevamo sempre fatto.
James mi parlava dal salotto ed io mi fermai a guardarmi allo specchio. Ma ero io quella?
Io non mi riconoscevo più. Era partito tutto come un gioco, come dei piccoli vizi adolescenziali e ribelli e ora mi ritrovavo a vivere nel corpo di un’altra. Mi vestivo, mi atteggiavo e parlavo in modo diverso. In un modo che volevo piacesse a James, ma che non ero io e non mi piaceva.
Perché lo facevo?
“Io voglio tornare a essere me stessa…” dissi guardandomi allo specchio.
James si affacciò alla porta del bagno. “Ma che stai dicendo?” mi chiese sgranando gli occhi.
“James… le canne, la droga, il sesso, le feste, l’alcool… sono cose che ho sempre odiato e che ora faccio… pur di entrare nel tuo mondo. Io non rimpiango nulla, ho amato ogni singolo giorno passato con te… ma ora sento il bisogno di andare oltre… oltre queste cose infantili, dedicarmi a qualcosa di più… a me”, dissi senza staccare gli occhi dalla mia immagine nello specchio.
“Io non capisco”, disse.
“Neanche io”, risposi, “so solo che non è questa la vita che immaginavo per me… e sta andando avanti da troppo tempo”, ero così austera nel dirlo. Stavo insinuando principalmente due cose:
Uno: ci saremmo dovuti lasciare.
Due: lui doveva cambiare.
Lo stavo ferendo.
Sentendomi in colpa mi voltai verso di lui e gli presi una mano. Aveva lo sguardo basso.
“Io non cambierò”, disse James, “ho fatto le mie scelte e questo sono io… quali sono le tue e chi sei tu?” mi chiese. Improvvisamente, tra le due opzioni, ne rimase una.
Io mi bloccai. Lo guardai e mi venne voglia di baciarlo. Sapevo, però, che questi erano sensi di colpa. Non volevo perderlo ma sapevo che per essere me stessa avevo bisogno di allontanarmi da lui.
“Non sono questo” dissi.
James mi lasciò la mano e mi diede un bacio sulla fronte.
“L’ho sempre saputo”, disse allontanandosi.
L’aveva sempre saputo?! E da quando lui era così saggio?! Confusa lo seguii.
“Ah sì?” chiesi cupa.
“ho sempre pensato di poter essere nocivo per te, ma egoisticamente ho deciso di pensare a me ed io ero felice con te”, disse, “ma tu sei infelice…”.
Non dissi nulla, sapevo che aveva ragione.
Le lacrime cominciarono a uscire dai miei occhi. Non volevo perderlo. Volevo disperatamente che restasse nella mia vita. Lui capì e venne ad abbracciarmi. Lo strinsi a me, dicendogli che non avrei permesso a nessuno di dividerci, saremmo rimasti uniti per sempre ma le nostre strade si dividevano.
Non sarei invecchiata con lui, non avremmo avuto una casa in montagna e dei figli.
Non ero mai riuscita a immaginarmi una vita del genere con lui e mai mi sarebbe venuto in mente.
Ora era tutto chiaro, mi sentivo sollevata.
James aveva capito, non era abbattuto, solo rassegnato. Ma ormai lo era da tempo.
Mi baciò la guancia e mi aiutò a raccogliere le mie cose rimaste a casa sua.
Scendemmo le scale e arrivammo alla mia macchina. Mi salutò dandomi un altro bacio sulla fronte e stringendomi in un abbraccio.
“Sarai una delle persone più importanti della mia vita”, dissi, come a rassicurarlo. Ma sapevo che cercavo di rassicurare solo me.
“E tu una della mia”, mi lasciò la mano e tornò in casa.
 
 
-------------------------
 
In auto provai un senso di solitudine e di vuoto implacabile.
Cos’era appena successo? Nel giro di mezz’ora, un amore di due anni si è spento. Soffocato, impiccato, ucciso… assassinato.
Che avessi fatto delle scelte sbagliate fin dall’inizio? Mi sentivo in colpa per James, ma anche un po’ sollevata. Tutto il dolore che avrei potuto provocare continuando a fingere era stato evitato.
Mi sentii libera. Libera di rinascere, di reinventarmi.
Avevo trascorso due anni tra esagerazioni, estremi e feste, alcool e sigarette erano l’ordine del giorno. Così come lo era James.
Il primo amore della mia  vita.
 




Scusate la brusca e trucida fine della storia tra Martin e James, ma per arrivare al nostro Chris era purtroppo necessaria e sentivo di doverlo fare il prima possibile perché mi stavo affezionando troppo al tenero James..! :( ahahahaha spero la storia vi piaccia, un abbraccio <3

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Capitolo 16
*** ...e una rinascita guadagnata ***


CAPITOLO 15 – ... E UNA RINASCITA GUADAGNATA
 
Tornai a casa dalle ragazze. Erano andate tutte a dormire quella sera ma Scarlett era ancora lì. Perché non era a casa sua?
“Sei già di ritorno?” mi chiese con un tono a metà tra il preoccupato e il sorpreso.
Non stavo piangendo, ma era evidente avessi smesso da poco. Lei si alzò dal divano e mi raggiunse sulla porta. Mi mise una mano sulla spalla e sorrise. Scarlett non era una persona che si può considerare fisica o espansiva, ma il suo viso era molto rassicurante.
“Stai tranquilla, penso che non siamo mai state più unite di adesso”, mi disse.
Io non capii, ero troppo scossa per capire.
“Hai rotto con James, vero?”, chiese in modo onnisciente.
“Sì, Scarlett…” dissi togliendomi la giacca e buttandola sull’attaccapanni.
“Capisco cosa stai provando”, mi rispose abbassando lo sguardo. Tornò sul divano prendendosi prima un bicchiere d’acqua.
“Cos’è successo?” le domandai sgomenta a mia volta seguendola in sala.
“Penso che io e Ryan divorzieremo, è per questo che passo la notte qui… abbiamo avuto una bruttissima litigata… l’ennesima a dire il vero” mi diede risposta.
Io rimasi di sasso, come se tutte queste brutte notizie messe insieme ne formassero una unica, gigante e insostenibile.
“Sono un po’ felice che tu non stia più con James”, mi disse dopo qualche minuti di silenzio.
“Come scusa?”, le domandai offesa. Cos’aveva di male James? Non ci ha mai avuto a che fare, non poteva saperlo.
“So che puoi essere meglio di così… lui ti limitava… ed è la stessa cosa che mi è successa con Ryan”, mi rispose esaustiva.
Quanto aveva ragione… per quanto riguarda James, intendo… Ryan neanche lo conoscevo.
Strano, però, che non avessi mai incontrato il marito di una delle mie amiche più strette….
“Stai bene?”, mi chiese facendomi tornare sulla terra.
“Si… penso di sì… credo di aver sempre saputo ciò che hai appena detto” le dissi, “tu invece stai bene?”
“Sì, grazie Martin…” la sua voce era come sempre calda e vellutata, ma una vena di tristezza la tradiva e delle sbiadite occhiaie le affossavano gli occhi.



Mi avvicinai a lei e le misi una mano sulla spalle e con l’altra cercai a tentoni il telecomando. Una volta trovato accesi la tv e feci partire ciò di cui entrambe avevamo bisogno: “Dirty Dancing”.
Scarlett scoppiò a ridere e mi sorrise.
Non eravamo mai state legate così. È proprio vero, purtroppo, che i momenti difficili fanno legare più di quelli felici.  Quelli felici non possono essere che una conseguenza di quelli tristi. Ma, in un certo senso, meglio così. È bello sapere di poter contare su qualcuno.


 
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Il mattino dopo mi svegliai sul divano insieme a Scarlett. Ci svegliò Vanessa leggermente preoccupata. Ovviamente, le raccontammo l’accaduto e successivamente si unì a noi Blake.
Mi sentivo protetta, capita e a casa.
Avevo perduto il primo amore della mia vita, ma sapevo che non poteva essere altro che una rinascita per me e un nuovo punto di partenza.
Insieme alle ragazze, decidemmo che era arrivata l’ora di dedicarci a noi, alle nostre carriere e alla nostra felicità. Nulla ci avrebbe impedito di raggiungere i nostri obiettivi.
Eravamo unite e forti. Pronte a svelare le nostre potenzialità.


 
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Nel 2009 presi parte al mio primo “cartone”. Wes mi propose di dare la voce ad uno dei personaggi del suo film “Fantastic Mr. Fox” e accettai con grande gioia. Era il primo progetto di Wes a cui prendevo parte ed ero così emozionata!
Io e Wes non perdemmo mai l’affiatamento e formavamo un gran bel team. A volte si diceva addirittura ispirato da me. Questa sua affermazione non tardò ad essere dimostrata: nel 2012 girammo un film la cui protagonista era stata creata ispirandosi a me.
Tornai a vestirmi come piaceva a Wes… o meglio, come piaceva a me. Dedicavo le mie giornate interamente al lavoro. Saltavo da un provino all’altro così come da un set all’altro.
Non vidi più James per un po’. Ci scambiavamo sporadici messaggi e ci incontrammo per un caffè un paio di volte. Stavamo entrambi bene. Ci faceva piacere rivederci ma anche un po’ male.
Lui era bello come sempre, sempre attivo e in mezzo a mille progetti. Si era trovato una ragazza. Lui non voleva definirla tale ma da quel che mi disse era così. Non ci rimasi male… non più di tanto almeno. Mi dispiaceva che mi avesse rimpiazzata così facilmente, ma mi piaceva pensare che tutto sommato non sarebbe mai stata la stessa cosa. Pensai che, nel bene e nel male, una relazione non poteva essere uguale ad una passata. Ed era meglio così.
Recitai per alcuni tra i più famosi film dell’anno come: “Zombieland”, “Transformers” e “Sherlock Holmes”.
Ebbi l’occasione di conoscere tra i più influenti attori sulla scena del cinema statunitense, fra i quali Robert Downey Jr. Era un uomo brillante ma totalmente fuori di testa. Una persona divertentissima ma che metteva molto in soggezione.
Imparai a comportarmi e a reagire a questo tipo di pressione.
Questo tipo di ambiente lavorativo è costellato di persone che ti fanno sentire costantemente inadatto e, la bravura, sta nel fingersi totalmente a proprio agio.
Quando mi trovavo agli Studios sentivo parlare del film “Push” e sapevo benissimo chi recitava… ogni tanto volevo inventare qualche scusa per piombare sul set e rivederlo. Chris era completamente sparito dalla mia vita… ma quel che non sapevo era che entro breve sarebbe tornato.
Per fortuna.
 
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Nel frattempo mi presi una pausa da tutto e tutti. Concentrandomi su me stessa e sul mio miglioramento. I miei genitori erano più felici che mai, avevo tante amiche, il lavoro dei miei sogni. Era tutto perfetto.
Fui invitata a molte trasmissioni i cui conduttori, dallo charme tipico americano, i capelli brizzolati e il completo blu notte, mi facevano domande a raffica sulla mia vita. Da dove venivo, che progetti avevo, che passato presentavo, che idee politiche avevo (ne avevo?), quanti ragazzi avevo avuto, perché la mia storia con James fosse finita, perché ero ancora single, perché, perché, perché…
Nonostante il bassissimo livello di privacy che mi era rimasto, le interviste si rivelavano anche divertenti. Si scherzava, si parlava di film e scoprii che il poter parlare liberamente di me mi piaceva. Non mi vergognavo di me stessa e mi piaceva molto poter essere considerata un punto di riferimento per chissà quante persone.
Non avevo più problemi di peso da un po’. Avevo iniziato a mangiare sano (ma non troppo), a fare sport (ma non troppo) e non avevo smesso di fumare. Era davvero una gran vizio del…
Mi ero tinta i capelli per l’ultimo film che avevo girato ed ero diventata biondo cenere.
Questo cambio di look mi fruttò ben tre servizi fotografici con tanto di stilyst e prima pagina.
 
Ma fra tutta questa caotica ondata di novità, non potevo che pensare:
chissà se Chris, quando vede uno dei giornali che sbatte a destra e a manca la mia faccia, ci pensa almeno un po’ a me. 

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Capitolo 17
*** Il ritorno di una vecchia amicizia...? ***


CAPITOLO 16 - IL RITORNO DI UNA VECCHIA AMICIZIA…?
 

 
Tra un set e l’altro vedevo spesso Chris che cercava palesemente di evitarmi. Non ci incrociavamo mai direttamente, anzi, era un continuo scappare.
La vecchia scusa dell’assistente dei registi non funzionava più. Ormai lavoravo solo per Wes e neanche più come assistente ma come collaboratrice. Ero a tutti gli effetti, un’attrice:
facevo film, interviste, servizi fotografici… eppure non mi sentivo totalmente appagata.
Mi mancava la presenza assidua di James nella mia vita ma ancora di più quella di Chris.
Eravamo diventati amici finché il mio amore per James non mi portò a vivere una vita di sregolatezze, le quali Chris disapprovava totalmente. Io sono da sempre stata d’accordo con lui ma, una volta dentro “il giro” fai fatica a renderti conto di cosa succede all’infuori di esso.
Ero piccola, ingenua e alle prime armi. Stavo iniziando a conoscere il mondo e tutto era così nuovo e diverso.
Avevo bisogno di qualcuno che mi appoggiasse e che mi aiutasse.
Quella famosa notte della festa, grazie alle fredde e brutali parole di Chris, mi resi conto dei miei errori. Mi resi conto di quanto lui tenesse a me (perché se così non fosse stato non mi avrebbe mai detto quelle cose) e di cosa dovevo fare:
salire in casa, dire a James che l’amavo e smetterla con le bambinate.
Ed è quello che feci. Il successivo anno passato con James fu più serio e maturo, ma troppo superficiale. Io e James eravamo così diversi… Che Chris lo sapesse?
Ogni tanto mi balenava per la testa l’idea che forse era solo un po’ geloso di me e James… ma quest’idea svaniva non appena pensavo al suo comportamento…. Più da fratello maggiore che altro.
Grazie a Chris, non solo capii il mio errore iniziale e il mio bisogno di tornare ad esse me stessa… ma anche il fatto che la mia relazione con James, per quanto passionale, profonda e sincera, non era destinata a grandi cose.
Chris aveva fatto molto per me, forse senza nemmeno rendersene conto.
 
------------------------
 
Un giorno, decisi di affrontare la situazione e di andare a parlargli.
Dovevo?
Forse sì, forse no… non m’interessava, volevo solo chiarire la situazione e almeno porci le dovute scuse.
Un pomeriggio mi presentai sotto casa sua. Indossavo una gonna di jeans a vita alta, una t-shirt rosa e delle scarpe di cuoio marrone scuro. Era estate e faceva molto caldo.
Mi trovavo sotto il sole, davanti al portone bianco di casa sua.
Con le mani un po’ sudate bussai tre volte… ma nessuno mi aprì. Pensai così che forse sarebbe stato meglio suonare il campanello. Premetti il piccolo pulsante d’argento e sentii in lontananza che suonava.
Attesi qualche minuto ma ancora niente. Il sole mi stava facendo bollire la testa e sentii i miei capelli soffrire: non solo a causa della nuova tinta ma anche a causa dell’acqua salata dell’oceano e ai potenti raggi del sole californiano.
 Mi feci aria con una mano mentre indietreggiavo per cercare di vedere da una finestra e capire se mi avesse visto e mi stesse evitando o se non ci fosse proprio nessuno in casa.
Abbattuta e rassegnata, sbuffai e mi diressi verso la macchina quando sentii la porta aprirsi.



Mi voltai di scatto e vidi una bellissima ragazza bionda, alta e abbronzata… una dea. Imbarazzata, la guardai.
“Scusa, hai bisogno?”, mi chiese da lontano.
E ora che cosa cavolo potevo dire? Richiusi la portiera dell’auto e mi avvicinai. Ad ogni passo che facevo, la soggezione aumentava e lei diventava sempre più bella e alta.
“Ehi… ehm, in realtà cercavo Chris ma vedo che siete occupati, ripasserò in futuro…” dissi notando che la ragazza indossava solo un paio di pantaloncini chiaramente di Chris e una canotta.
“Gli dirò che sei passata allora”, mi rispose con un leggero tono di superiorità, “tu sei…” disse come a intendere che avrei dovuto finire io la frase.
Davvero non mi conosceva? O faceva solo la spiritosa?
“Una sua amica”, le sorrisi e tornai in macchina. Sentii chiudere distrattamente la porta e poi la voce di Chris urlare “chi era?”. Poi più nulla… probabilmente lo aveva raggiunto e tra un un bacio e l’altro si sarà presa gioco di me.
Ma perché mi sentivo così offesa?
Chris ha tutto il diritto di uscire delle ragazze… era uno dei ragazzi più belli che io avessi mai visto e mi sarei sorpresa nel non vederlo uscire con nessuna. Eppure Scarlett mi aveva detto che non fosse in cerca di relazioni, anzi.
Che fosse solo una scappatella?
Da Chris non me lo sarei aspettato… ma chi ero io per giudicare?
 
---------------------
 
Tornai a casa afflitta e mi feci una doccia. Il caldo era terrificante e spossante. Una bella doccia fresca non avrebbe fatto altro che tirarmi un po’ su.
Quando uscii presi il telefono e vidi sullo schermo la notifica di un nuovo messaggio:
Chris.
Come aveva fatto a sapere che ero io? Mi aveva vista? O forse molto più semplicemente la tipa sapeva benissimo chi fossi.
Aprii il cellulare e lessi:
Scusa per oggi… non potevo immaginare fossi tu alla porta. Scusa anche per Ivy, non è proprio il massimo della simpatia eh? Ad ogni modo, mi dispiace non essere venuto ad aprire, è successo qualcosa?
Era preoccupato? Sorvolai sul suo commento su Ivy… che quasi certamente era la ragazza con cui avevo parlato e che sempre quasi certamente era solo una tipa che si stava sbattendo.
Un po’ (ingiustamente) irritata da questo piccolo dettaglio, mi concentrai sulla preoccupazione che trapelava da quelle parole.
Va tutto bene… volevo solo parlarti ma effettivamente potevo avvisarti prima. Non preoccuparti, ci si vede in giro”, risposi con nonchalance e calma.
D’accordo, ci si vede” rispose con altrettanta freddezza.
Non sono mai stata così tanto irritata in vita mia! Pensai.
Lanciai il telefono su un asciugamano e iniziai ad asciugarmi i capelli, arrabbiata. A che gioco stava giocando mister Evans?!

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Capitolo 18
*** Ryan ***


CAPITOLO 17 – RYAN
 
 


Ci si vede in giro”, ci eravamo detti io e Chris.
Ma non fu così. Continuammo a non avere notizie l’uno dell’altro. Questa situazione mi faceva sentire frustrata e mi affliggeva moltissimo. Passarono mesi senza avere sue notizie.
In quei giorni Scarlett stava terminando le scartoffie per il divorzio, era agitata ma sollevata allo stesso tempo. Non parlava mai male di Ryan, anzi, ci era molto legata, un po’ come per me e James.
Ci trovavamo in pieno inverno. L’inverno a LA era quasi una barzelletta a confronto di quello francese, tra le montagne. 
Insieme a Wes stavamo iniziando a dare forma al progetto “Moonrise Kingdom”. Eravamo in alto mare, ma lentamente le nostre (soprattutto le sue) idee prendevano vita. Wes creò il personaggio di Suzy pensando a me. Alla me piccola e ingenua, ma allo stesso tempo forte e determinata, pronta a mollare tutto per un ideale, un sentimento, una persona. Si riferiva a James, ovviamente.
La storia parlava di due ragazzini innamorati il cui amore era malvisto e impedito da tutti. Questi due ragazzini fuggono e pur di proteggere il loro amore vanno contro tutti.
Fui davvero felice che almeno Wes avesse capito cosa provavo e cosa passai per amare il mio James.
Ora James ed io eravamo buoni amici. Ci sentivamo e lui mi raccontava le stupidaggini che continuava a fare. Io, d’altro canto, gli raccontavo di quanto tranquilla fossi diventata e iniziò a chiamarmi noiosona.
Noiosona? Forse… ma mi sentivo appagata, felice di me stessa. James lo sapeva e mi capiva, non solo, mi appoggiava pure.
Io e le ragazze iniziavamo a diventare sempre più famose e il loft iniziava a starci figurativamente stretto.
Avevamo racimolato abbastanza per una nuova casa, indipendenti e separate. Non volevamo più vivere insieme per quanto la nostra avventura da coinquiline fosse stata fantastica.
Avevamo bisogno dei nostri spazi e della nostra indipendenza ed era giusto così.
Iniziai a girare case con un agente immobiliare e ne trovai una in una deliziosa zona di Hollywood, circondata da giardini verdi e piscine sul retro.
Stavo per comprarmi una casa con piscina. Ancora non ci credevo.



La casa era grande il giusto per una persona. Su due piani, luminosa, brillante e basic. Il pavimento in parquet chiaro, i musi bianchi con qualche mattone a vista, la mobile bianca e la cucina bianca laccata mi davano una sensazione di nuovo, pulito e fresco. Quello che mi serviva lì a Los Angeles.
Il giardino era spazioso, coperto di un’erba fresca e verde brillante. La piscina, non esageratamente grande, luccicava sotto i raggi del sole invernale.
Ero così entusiasta ed eccitata!
Una volta sistemata e pulita, decisi di fare una piccola festa per inaugurarla. Invitai tutti i miei amici, anche James e Chris.
Scarlett mi chiese se poteva venire anche Ryan. Mi sembrava una richiesta insolita ma accettai. Mi faceva piacere vedere che nonostante il divorzio, i due andassero così d’accordo.
 
---------------
 
Alle 20:30 erano già tutti arrivati tranne James (tipico, per lui, le feste dovevano iniziare almeno alle 21:30-22, era quello l’orario in cui la notte iniziava a far baldoria) e Blake, che aveva avuto una terribile influenza… e tranne Chris. Avevo preparato degli stuzzichini, mi piaceva cucinare. Qualche cocktail e della birra. Dell’ottima musica e le luci soffuse.
 
Scarlett si presentò insieme al famoso Ryan. Lo avevo “googlato” (ora che questa cosa di Google andava tanto di moda) e avevo scoperto chi fosse e quanti film avesse fatto. Era un ragazzo bellissimo ma non avevo mai visto nessuno dei suoi film, non ero molto informata.
Decisi che avrei scoperto qualcosa di più su di lui alla festa.
Si avvicinò a me e a Vanessa e ce lo presentò. Chiacchierammo per un po’ tutti e quattro ma poi cominciò una delle canzoni preferite di Scarlett e trascinò via Vanessa a ballare.
Ryan ed io rimanemmo soli.
 

 
“Che tipo che è Scarlett” disse.
“Già, è fantastica”, risposi un po’ confusa.
“è un peccato non abbia funzionato”
“Sì, mi dispiace molto…” gli dissi imbarazzata.
“E’ meglio così, sai? Quando una cosa non funziona e non può essere riparata, è meglio lasciarla stare, potrebbe rompersi del tutto”, mi guardò bevendo la birra, “Capisci cosa intendo?” mi chiese guardando poi verso l’entrata. James era arrivato insieme al suo amico Seth.
Io annuii guardando James che sorrideva e puntava alla tavola con sopra le pizze e le patatine.
Mi scappò un sorriso.
“Capisco cosa intendi”, gli dissi.
Ryan sorrise e sollevò il bicchiere di plastica “ai nostri fallimenti”, annunciò per un brindisi.
Io sollevai il mio bicchiere e risi “che portino a fallimenti migliori”, dissi con falsa solennità.
Scoppiamo a ridere e bevemmo.
“Mi manca un po’” disse.
“Anche a me a volte…” dissi andando verso le panchine in giardino e infilandomi la giacca.
Ryan mi seguì, senza però coprirsi. Fuori non era così freddo, ma ero un tipo freddoloso.
Tirai fuori una sigaretta e mi sedetti. Ryan si accomodò vicino a me.
“è un po’ uno schifo” disse.
Io annuii “già, l’amore è così complicato…” assentii.
Ryan rise e scosse la testa “certo certo, l’amore è una merda, ma io intendevo quello schifo che hai fra le labbra” e indicò la mia sigaretta.
Io risi “lo so, è terribile… ma non riesco a smettere… prima o poi ci proverò sul serio”, dissi buttando fuori il fumo.
Era davvero bellissimo, non mi sorprendeva che stesse con una dea come Scarlett.
“Ti va di darmi il tuo numero?” mi chiese.
Io rimasi di pietra. Dovevo? Era l’ex marito di una delle mie migliori amiche… non mi sembrava il caso. Come dirglielo?
Io gli sorrisi e con un forte tentennamento annuii. Ma che stavo facendo?!
Ryan si accorse del mio sguardo restio e capì.
“Non è il caso eh?” disse.
“Non saprei…” dissi “Scarlett potrebbe offendersi e tu lo fai solo per dimenticarla”, risi.
“Forse, ma tu così potresti dimenticarti di James… o chiunque altro ti renda triste” mi rispose mettendo un braccio sulla panchina dietro la mia schiena. Chiunque altro mi renda triste? Presi il suo cellulare e segnai il mio numero. Mi ero fatta abbindolare troppo facilmente… iniziai a pregare che Scarlett non si arrabbiasse.
Terminai la mia sigaretta e Ryan mi tenne compagnia.
Rientrammo e mi salutò per andare a chiacchierare con altra gente.
Io scrutai tutti i visi alla ricerca del più bello. Trovai James fumarsi una canna con Seth in un angolo della sala.
“Ehi tonto!” dissi avvicinandomi “se mi rovini le pareti col fumo o m’impuzzolisci la casa, ti ammazzo”.
James scoppiò a ridere e mi cinse la vita con un braccio.
“Seth, immagina tutta questa rabbia a letto… era una bomba, la santarellina!” disse e ci mettemmo a ridere. Era sempre il solito ma questo suo modo di fare non mi ha mai dato fastidio, anzi, un po’ mi lusingava e un po’ mi divertiva.
“Secondo me a Seth non interessa, sai?” dissi.
“Oh sì, mi interessa”, rispose ridendo.
“Sei un maiale Seth” disse James.
Mi ricordava le mie serate a casa di Seth a fumarci le canne. Che deficienti, me compresa!
“Vi state divertendo?” chiesi.
“Oh sì! Senti un po’, ora noi siamo amici, no?” mi chiese James. Io annuii preoccupata.
“Se ci provassi con Vanessa?” chiese.
“Ti rifiuterebbe, ma io non t’impedirò di provarci”, risposi ridendo. Vanessa non si sarebbe mia messa con uno come James!
Lui rise e mi baciò sull'angolo della bocca. Lo sapeva che dopotutto mi faceva ancora effetto e si divertiva a stuzzicarmi. Mi sorrise e se ne andò da Vanessa.
Seth rimase con la sua canna tra le dita e scoppiò a ridere.
“Che hai?” chiesi imbarazzata.
“Voi finirete di nuovo a letto insieme” disse ridendo come un pazzo.
“Ma piantala, butta quella roba e vatti a stendere in auto… sei fuori” risposi con una vena di premura nella voce. Seth mi poggiò una mano sulla spalla e con l’altra mi prese la mia e ci mise la canna. Mi sorrise e se ne andò verso l’auto barcollando.
Mi sentii improvvisamente a disagio. Nessuno mi stava guardando in quel momento ma mi sentii al centro dell’attenzione, come se tutti stessero aspettando che quella canna finisse tra le mie labbra e nei miei polmoni.
Nervosa, la presi e la buttai nel lavandino, aprendo l’acqua.
Mi sentii sollevata.
Voltandomi cercai Vanessa e James, non volevo la importunasse troppo. Ma qualcos'altro colpì la mia attenzione.
Chris.

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Capitolo 19
*** Finalmente sei tornato ***


CAPITOLO 18 – FINALMENTE SEI TORNATO
 

 
Chris era in giardino a parlare con un paio di persone. Aveva in mano un bicchiere, una camicia di flanella a scacchi blu e bianchi e un paio di semplici jeans. Era venuto!
Uscii e mi avvicinai a lui. Non appena mi vide dal suo viso sparì il sorriso cordiale che aveva mentre parlava con gli altri e mi guardò. C’era un velo di tristezza sul suo volto, ma anche d’imbarazzo.
Salutò gli altri e si avvicinò a me.
“Ciao Martin”, disse sorseggiando il cocktail che aveva in mano.
Io lo guardai senza dire nulla e lo abbracciai, mi “avvinghiai” al suo petto (dato che era solo fino a lì che arrivavo) e nascosi il viso tra la flanella morbida della camicia. Lui alzò leggermente il braccio che teneva il cocktail e con l’altro ricambiò l’abbraccio.
Mi veniva da piangere ma non era certamente il momento. Dopo qualche istante sciolsi l’abbraccio e lo guardai. Lui mi sorrise, molto più sollevato di prima. Forse, era solo preoccupato per cosa avessi voluto dirgli quel giorno a casa sua.
“Va tutto bene?” mi chiese.
“Ora sì” risposi sorridendogli, “è da così tanto che volevo parlarti” gli dissi.
“Anch’io, ma non ne avevo il coraggio… avevo paura della tua reazione”, mi confessò imbarazzato.
“Vorrei scusami, Chris… e ringraziarti per quello che hai fatto. Forse non te ne sei reso conto, ma quella notte mi hai salvato”, dissi tutto d’un fiato.
Lui aggrottò la fronte “salvato?” chiese.
“Mi hai fatto capire cosa stessi diventando e quanto non mi piacesse… mi hai dato della zoccola e sentirmelo dire da una persona a cui tenevo… tengo così tanto, mi ha dato una svegliata” spiegai.
“Lo sai che non lo penso davvero”, disse accarezzandomi i capelli.
Ebbi un brivido e il cuore accelerò il battito.
“Lo so” dissi.
“Sono stato un idiota… mi sei mancata molto… non facevo che chiedere di te a Scarlett”
“Davvero?” domandai sorpresa. Scarlett non mi aveva mai detto nulla! “Facevo la stessa cosa…” ammisi.
“Che idioti che siamo” Chris mi tirò a sé e ci abbracciammo di nuovo.
“Siamo proprio stupidi… ma ora spero che potremmo ricominciare da capo” gli dissi.
“Senz’altro”, mi rispose sorseggiando il cocktail e offrendomelo. Io scossi il capo e sorrisi.
“Chi è quindi, questa Ivy?” domandai ridendo.
Lui scoppiò a ridere e imbarazzato si grattò la testa guardandosi i piedi. “Nessuno di importante a dire il vero”.
“Te la sei solo fatta, vero?” chiesi camuffando la mia insensata gelosia in scherzo.
“Vuoi biasimarmi? Sono una calamita per le donne, soprattutto per quelle come Ivy, che vogliono solo farsi vedere con me…” disse.
“No, non ti biasimo per niente e, anzi, non sono in posizione di giudicare”, risi mimando il gesto di una sigaretta, alludendo alle canne.
Lui rise “Non ho intenzione di avere alcun tipo di relazione stabile… ma ho dei bisogni anch’io”, mi colpì leggermente con l’anca facendomi l’occhiolino.
“Capisco, capisco… ma ora non entriamo nei particolari, don Giovanni”, dissi ridendo imbarazzata.
 
Passammo la serata ridendo e scherzando, raccontandoci tutto quello che era successo da quando avevamo smesso di parlarci. Gli raccontai di James e di come le cose si erano sistemate ora. Lui mi raccontò della sua rottura con Jessica e della sua scelta di rimanere single e concentrarsi sul lavoro.
Gli parlai anche del mio esistenziale e morale dubbio: Ryan.
“Non so proprio che fare… è molto carino e gentile, ma la cosa mi mette a disagio” dissi.
“Fossi in te, ci andrei piano… non solo lui è appena tornato single ma si è appena separato da una come Scarlett… dev’essere piuttosto giù. In più, Scarlett è tua amica! Non puoi farle questo” mi disse Chris.
Ci eravamo seduti sul divano in sala. Io tenevo d’occhio James che aveva smesso di importunare Vanessa. Ovviamente, lo aveva respinto. Ora stava cazzeggiando con Seth e parlavano con Kevin, il ragazzo che studiava moda e design e che avevo incontrato appena arrivata a LA. Non ci eravamo completamente persi di vista, ogni tanto, ci sentivamo. I suoi studi stavano andando alla grande e si preparava a fare uno stage presso una delle boutique di Marc Jacobs, era così entusiasta.
“Lo so… hai ragione. Devo lasciar perdere tutto e ignorarlo… giusto?” dissi.
Chris annuì e mise un braccio sulle mie spalle. Sbadigliò. Era ormai l’1:00 AM. Molti degli invitati se n’erano andati. Da una quarantina quali eravamo all’inizio eravamo diventati una ventina.
“Ehi ragazzi, io vado a casa. Grazie per l’invito Martin, ci sentiamo. Ciao caro”, disse Scarlett dandoci un bacio sulla guancia e guardando Chris in modo strano. Non capii ma lui non mi diede il tempo di domandare niente che si alzò. “vado in bagno e poi penso che me ne andrò a casa”, mi disse.
“Ah, certo…” dissi mentre si allontanava.
 
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Erano le 2:00 AM quando finalmente se ne andarono tutti, o quasi. James fu uno degli ultimi ad andarsene e quando uscì, ubriaco e fatto, mi diede un bacio a stampo sulle labbra. Lo iniziava a fare troppo spesso, questo giochino… gli sorrisi e lui mi fece l’occhiolino “James, non esagerare”, dissi. Lui annuì e s’infilò in un taxi nel quale lo aspettava Seth. Erano troppo fuori per guidare e gli confiscai le chiavi dell’auto. Sarebbe passato domani a prenderle.
Chris se n’era andato mezz’ora prima salutandomi con un abbraccio e facendomi promettere che in settimana ci saremmo andati a prendere un caffè.
Ero al settimo cielo, finalmente avevo risolto con Chris ed era tornato nella mia vita.
Infine, Ryan rimase per ultimo.
“Ti aiuto con la casa”, disse, “è un porcile”.
“Non ti preoccupare, posso cavarmela da sola” dissi imbarazzata.
“Dai, non ho nulla da fare e sono solo le due del mattino”, rise.
Non riuscivo a dire di no. Mi facevo schifo da sola. Ma, dopotutto, non stavamo facendo nulla di male. Accettai e mi aiutò a sistemare un po’ di cose. Passò un’ora molto velocemente. Chiacchierammo, ci fermammo (mi fermai) a fumare, scherzammo e mi raccontò del matrimonio e della rottura con Scarlett.
Era un ragazzo dolcissimo, divertente e spontaneo. Era piacevole parlare con lui.
Alle tre del mattino se ne andò e io corsi in bagno a farmi una doccia per poi ficcarmi sotto le coperte.
Ero così esausta. Erano successe troppe cose per metabolizzarle tutte velocemente.
 
 
 

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Capitolo 20
*** Si può fare la scelta giusta? ***


CAPITOLO 19 – SI PUO’ FARE LA SCELTA GIUSTA?
 
 
Il giorno dopo, un po’ intontita, andai in sala a preparare la colazione e aspettare James per le chiavi dell’auto. Probabilmente lui sarebbe arrivato ancora rimbambito e senza aver mangiato, così, cucinai anche per lui.
Mentre finivo di sistemare la sala che avevamo lasciato alla meno peggio la sera prima io e Ryan, suonarono al campanello.
“Ciao Bambi”, disse James una volta aperta la porta. Era vestito come la sera prima, non si era nemmeno cambiato.
“Ciao bolide”, dissi alludendo ironicamente alla sua scarsa reattività mattutina e post-sbornia. “Vieni, entra, ti ho fatto la colazione”, lui mi guardò sorridente.
“Sei la migliore”, mi diede un bacio sulla guancia ed entrò. Io roteai gli occhi e lo seguii. “Bel pigiama”, mi disse indicandomi. Indossavo una vestaglia bianca con i fiorellini rosa… l’avevo abituato a sottanelle di raso nero.
“La vera me”, roteai su me stessa mettendo in mostra il pigiama.
“Davvero bella”, disse mangiandosi i pancake che avevo messo sul tavolo. Io mi sedetti a fianco a lui e accesi la tv. Mangiammo chiacchierando e guardando cartoni idioti.
“James, ho bisogno di un parere”, dissi.
“Dimmi tutto. Se si tratta di un ragazzo, non ci pensare, vacci a letto”, rispose con la bocca piena.
“Idiota… si tratta davvero di un ragazzo”, ammisi.
“Perdonami, che succede?”, mi disse tornando serio. Sapeva anche essere una persona normale a volte.
“Diciamo che… l’ex marito della mia migliore amica ci prova con me probabilmente solo per dimenticarla” bofonchiai velocemente.
“Bel problema… la tua amica lo sa?”
“Beh, no… dovrei dirglielo?” chiesi.
“Sì, certo… parlale”, aveva finito i pancake e ora beveva il latte, “se per lei è un problema manda a fan… ehm, chiudi col ragazzo…” disse, “ma se a lei va bene, non c’è problema. Voglio dire, non puoi impedire a questa cosa di nascere senza nemmeno prima dare una possibilità…”
James sapeva essere davvero saggio a volte. Non potei fare a meno di notare la differenza fra i consigli di Chris e i suoi…
Chris era così di parte, per lui era subito un no, come se gli desse fastidio che io pensassi a qualche ragazzo. James, sebbene fosse il mio ex fidanzato, era disponibile e aperto a delle riflessioni e discussioni di questo genere.
E, stranamente, non aveva tutti i torti. Il suo consiglio mi sembrò molto azzeccato.
“Hai ragione, perché hai così tanto buon senso a volte?” chiesi ridendo, “mi fai sentire la scema fra i due”.
“Lo sei Bambi”, rise, “sai bene quanto me che sono un cazzone all’apparenza”, disse.
“Ah, lo so”, gli diedi un bacio sulla guancia e tirai via piatti e tazze dal tavolo.
“Le chiavi sono nel cestino sul mobile all’entrata” dissi.
“Grazie mille, ci sentiamo bambolina”, mi rispose facendomi l’occhiolino e uscendo di casa. Sentii il motore della sua auto accendersi e pregai che non mi rovinasse il prato davanti casa.


 
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Quello stesso pomeriggio andai a casa di Scarlett. Le dissi tutto e parlammo della situazione. Lei, come mi aveva sorpreso James la mattina, mi lasciò di stucco. Era così calma e razionale, non le dava per niente fastidio la situazione e, anzi, mi disse che non aveva alcun problema nel lasciare che Ryan avesse altre storie, anche con sue amiche.
Ero stupita da questa sua reazione e mi sentii stupida. Che strana situazione, non me la sarei mai immaginata ma mi sentii anche sollevata e più serena.
Rimaneva un problema: Ryan probabilmente voleva uscire con me solo per dimenticare Scarlett, ma la cosa non era insormontabile… io, dopotutto, volevo togliermi dalla testa…
Chi volevo togliermi dalla testa?
Sapevo benissimo, ormai, che non era più James il problema.
Era arrivato il momento di guardare in faccia alla realtà e ammetterlo: io pensavo sempre, costantemente a Chris. Era lui il mio problema, non James. Soprattutto dopo la sera precedente, sentivo il bisogno di chiamarlo e vederlo di continuo. Ma lui lo aveva ben chiarito: non voleva storie e, in più, ora si divertiva a farsi bellissime modelle per passatempo… non si sarebbe mai “abbassato” a una come me. Per carità, ero migliorata molto. Mi prendevo cura di me e mi sentivo piuttosto carina, nulla a che vedere con la me 17enne sovrappeso e la me 19enne sottopeso. Ero in forma e felice… ma non ero certo alta un metro e novanta, con gambe perfette e non facevo di certo la modella.
Era Chris che volevo dimenticare. E, in quel momento, Ryan mi sembrava la scelta più giusta, soprattutto adesso che Scarlett mi aveva assicurato le andasse bene.
 
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La settimana dopo, Ryan mi scrisse un messaggio: “Tu ed io a cena, che ne pensi?”.
penso proprio sia una bellissima idea” risposi.
Mi messaggiò l’orario e il luogo del nostro appuntamento e, felice, accettai.
Quella sera, indossai un abito azzurro con un paio di tacchi bianchi. Faceva freddino così misi un paio di calze color carne e una giacca di pelle sintetica marrone.
Ryan venne a prendermi con una bellissima auto sportiva, indossava una giacca nera di pelle, una camicia e dei jeans. Era così carino ed elegante.
Passai una serata fantastica, parlammo di tutto ma, soprattutto, non parlammo di ex. Fu un primo appuntamento perfetto e tutto sembrava filare liscio. Mi sentivo a mio agio con lui. Era un ragazzo con un carattere solare e divertente, sapeva intrattenere e non faceva mai morire la conversazione. Era così semplice parlare con lui. Mi sentivo molto a mio agio.
Una volta finita la cena, fuori dal ristorante, prima di entrare in macchina ci baciammo. Fu un bacio lungo e intenso. Era più di due anni che non andavo a letto con nessuno. Non che fossi mai andata a letto con qualcun altro oltre a James.
Non essendo quindi la prima prima volta, non mi sembrò brutto accettare la sua offerta di andare a casa… sua.
Trascorsi la notte da Ryan. La prima volta con lui fu come una prima volta in assoluto. Tutto nuovo, eccitante e anche spaventoso. Temevo di finire per paragonarlo a James ma questo non accadde. Fu tutto molto spontaneo e romantico. Quando entrammo in casa iniziammo a baciarci e a spogliarci. Finimmo direttamente in camera sua e, finalmente, interruppi il mio periodo di astinenza.
Ryan era una persona molto romantica, mi baciò moltissimo, mi sfiorava la pelle con le labbra e con le dita. Era un amante perfetto, mi fece sentire la donna più bella del mondo, quella notte.
Ma c’era qualcosa che mancava… cosa?
 
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Il mattino dopo mi svegliai da sola nel letto in una camera spaziosa e che gridava “maschio!” da ogni prospettiva. Aveva le pareti grigie e una era di mattoni rossi a vista. Il letto aveva la testiera di pelle nera, le coperte bianche e i mobili laccati neri con un enorme armadio ricoperto di specchi. A terra la moquette era grigio chiaro e davanti al letto una poltrona rossa con a fianco delle riviste da uomo, dello stile di GQ e dei pesi.
Finito di guardarmi intorno, scesi dal letto prendendo la camicia di Ryan e indossandola.
Scesi le scale e andai in cucina. Ryan era lì, nudo, che cucinava. Mi notò e sorrise. Io ricambiai avvicinandomi a lui.
“Buongiorno tigre”, disse.
Lo abbracciai da dietro “buongiorno” risposi appoggiando il viso alla sua schiena nuda.
Tigre? La notte che avevamo trascorso era stata bellissima, ma di certo non passionale.
Ecco.
Improvvisamente capii. Era questo che mancava, non c’era alcun tipo di passione, tutto troppo calmo. Che mi fossi abituata male con James? Forse era così che “doveva essere” il sesso.
Sbuffai inconsapevolmente assorta da questi stupidi pensieri.
“Tutto bene?” mi chiese lasciando le padelle e girandosi.
“Benissimo”, lo baciai, decisa a capire se quella sua “timidezza” sotto le coperte fosse solo rispetto e un “contenersi” a causa del primo appuntamento oppure se il problema ero io, che non riuscivo a farmi andare bene Ryan.
Volevo fare di nuovo sesso con lui, così cominciammo a baciarci. Lui spense il fornello e mi prese in  braccio e mi fece sedere su uno dei banconi della cucina. Ci spostammo poi sul divano e lo rifacemmo. Fu bello ma… niente di più. La sera prima avevo avuto almeno un orgasmo. Ora nulla.
Niente. Di. Niente.
Finsi di essere soddisfatta, ci baciammo e scherzammo un po’. Mi andai a fare una doccia. Non era colpa sua, pensai. Ero io il problema. Il problema era che entrambi volevamo dimenticare qualcosa e forse non dovevo forzare le cose.
Ryan, premuroso, finì di preparare la colazione e mangiammo insieme. Parlare con lui era un piacere. Mi divertii e cercai di non pensare alla passione che mancava del tutto.
Nel pomeriggio Ryan doveva girare e io mi feci accompagnare a casa.
 
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Una volta arrivata, chiamai immediatamente Blake. Non potevo chiamare Scarlett per una cosa del genere e Vanessa era sul set.
Blake arrivò a casa e iniziammo a parlare. In quel periodo si stava sentendo con uno degli attori più famosi e bravi del momento: Leonardo Di Caprio. Lui però era totalmente insensibile e piuttosto stronzo. Blake si era lasciata imbambolare da lui ed era convinta fosse solo un momento di paura da parte di lui dell’impegno.
Io le raccontai del mio problema e cercò di rassicurarmi.
“Forse non è il ragazzo giusto Martin, non ti preoccupare… può succedere” disse.
“Lo so però, non vorrei illuderlo.. capisci?” le dissi preoccupata.
“A te lui piace?” chiese.
“Certo che mi piace” risposi.
“Allora dagli un’altra possibilità e vedi che succede”, mi abbracciò.
“Va bene, grazie Blake, tu sai sempre cosa dire” sorrisi.
“L’importante è che non forzi le cose”, mi disse, “probabilmente tu nemmeno cerchi qualcuno con cui condividere un futuro… prendila come viene, vedrai che se non ti preoccupi andrà tutto meglio”.
”Penso tu abbia ragione… non cerco nulla di serio e Ryan è fantastico… sto solo esagerando probabilmente” dissi.
 
Né io né Blake, però, non avevamo ragione… purtroppo…

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Capitolo 21
*** Non esiste giusto o sbagliato ***


CAPITOLO 20 – NON ESISTE GIUSTO O SBAGLIATO

 

 
Seguii il consiglio di Blake e lasciai andare le cose come dovevano essere. Uscii molte altre volte con Ryan e decidemmo di diventare una coppia. Eravamo belli insieme e stavamo bene! Era tutto molto tranquillo, ai media questa nuova coppia piaceva tantissimo e anche ai fan.
Non scoppiò mai la passione, ogni tanto paragonavo le mie notti con James a quelle con Ryan e l’abisso era evidente. Forse perché James è stato il primo, forse perché con Ryan la relazione era di tutt’altro livello.
Nonostante questo, Ryan era un amore. Stavo bene con lui e ci divertivamo molto. Andammo un weekend in montagna a sciare, era tutto così "idilliaco". Sembrava quasi finto. Era esattamente quel tipo di relazione da pubblicità di divani.
Era una relazione molto matura e mi stava bene.
Era ormai il 2012 ed io non mi ero ancora impegnata a cercare qualche film in cui lavorare.
Wes ed io avevamo finito di preparare “Moonrise Kingdom” e lui desiderava tanto potessi farne parte, anche se non in modo eclatante. Potei, almeno, recitare in un film del mio idolo, anche se solo come comparsa. Ancora non capivo perché non mi voleva come protagonista… ci sarei mai riuscita? Dovevo però attendere un suo futuro film … Lo desideravo con tutto il mio cuore.
In quell’anno, Scarlett recitò insieme a Chris negli “Avengers”  e Chris stava diventando sempre più famoso.
Ci vedevamo spesso e mi raccontava tutte le sue conquiste, lavorative e non. Io ero un po’ in un periodo di magra ma andava bene così.
La decisione di mettermi con Ryan se da un lato lasciò perplesso Chris, dall’altro mi aveva fruttato molta pubblicità mediatica.  
 
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“Perché non ti va bene che io stia con Ryan?” chiesi seccata a Chris un giorno.
“Non è che non mi va bene, semplicemente non mi sembri convinta quando ne parli… io voglio solo che tu stia bene, lo sai, e Ryan è un bravo ragazzo, è un grande… davvero! Ma… non lo so, forse mi sbaglio” disse.
Eravamo a casa sua, lo stavo aiutando a memorizzare il copione e a ripassare la parte, in più, mi aveva promesso una cena all’italiana e non c’era nulla di meglio per convincere qualcuno a restare a cena!
“Sto benissimo con lui, Chris”, risposi, “e levati quelle matite dal naso, che schifo!” risi guardandolo.
“Matite dal naso? Questi sono i miei superpoteri… dall’Uomo Fiamma sono passato all’Uomo Matita! Non lo sapevi?” scherzò.
“Credevo fossi diventato Capitan America…” dissi ridendo, tirandogli via le matite dal naso e appoggiandole sul tavolo.
Lui sbuffò e poi scoppiò a ridere. “Ho fame”, disse.
“Devi cucinare tu”, risposi alzandomi dal tavolo e buttandomi sul divano.
“Dai, aiutami!” disse seguendomi, “sei tu quella che viveva in Italia”
“Ma sei tu quello che si è offerto di cucinare! In più anche tu hai origini italiane”, risi.
“Sì, ma non ci ho mai vissuto!” controbatté facendomi il solletico.
“Piantala immediatamente!” dissi dimenandomi e cercando di sfuggire alla sua presa ma, ovviamente, era troppo forte per me.
“Aiutami a cucinare e la smetto”, mi minacciò.
“Oh, e va bene! Rompiscatole!”, mi lasciò e io mi allontanai mettendomi su un angolo del divano.
Lui rise e ci avviammo verso la cucina. Preparammo un piatto di spaghetti e come dolce decisi di fare un tiramisù che avremmo mangiato la sera tardi. Il tempo di rapprendersi in frigo.
“Rimani stasera? Ci guardiamo un film!” mi propose, poi però mi guardò “sempre che Ryan non sia geloso” sghignazzò.
“Ryan non è geloso… e le tue sciacquette? Lo sono?” colpito e affondato.
Lui scoppiò a ridere “sei tremendamente gelosa, Martin” disse.
“Io?! Ma senti chi parla! Sei tu quello che ha da ridire su ogni mio ragazzo… mi nascondi qualcosa?” avevo la risposta pronta a tutto.
Colpito sul vivo, Chris mi fece una smorfia e andò a sedersi a tavola, davanti al suo enorme piatto. Non mi degnò di risposta così mi andai a sedere vicino a lui e accesi il televisore.
“Stasera Ryan dov’è?” chiese.
“Sta girando a New York… torna tra una settimana” dissi distratta, guardando il “The late night show”.
“Capisco” rispose distogliendo lo sguardo da me per posarlo sul piatto.
 
Improvvisamente mi squillò il telefono. Era Ryan.
“Ciao caro”, risposi.
Ciao amore, tutto bene?” sentii una voce lontana dall’altra parte del telefono, leggermente incerta.
“Tutto a posto e tu? Che fai?” chiesi, sentendomi gli occhi di Chris addosso.
Benone, il film sta venendo benissimo e New York è meravigliosa” rispose distratto.
“L’ho visitata solo una volta e molto velocemente durante le riprese” risposi dopo un boccone di pasta. Chris fingeva disinteresse.
Ti ci porterò, allora… Ora scusami ma devo andare, andiamo a cena fuori” mi disse, “ci sentiamo bambolinati amo” esitò leggermente, era un po’ strano… forse era solo la distanza. La cosa, però, non mi toccò particolarmente.
“Tranquillo, ci sentiamo, ti amo anch’io” e riattaccai.
 
Alzai lo sguardo dal telefono e vidi Chris con gli occhi sgranati.
“Che hai?” chiesi.
“Ti amo?! Siete impazziti?” disse ridendo.
“Come scusa?”
“State assieme da qualche mese e già vi amate?” aveva un tono leggermente ironico.
“Beh sì…”
“Sì? Sei convintissima vedo” rise.
“Eh va bene, parliamone…” dissi arrendendomi. Era troppo tempo che fingevo, volevo sfogarmi e Chris sapeva benissimo cosa stava succedendo. Più o meno… sapeva che tra me e Ryan sì, andava tutto bene, ma io ero ben poco convinta, ma quel che non sapeva, è che tutto era cominciato per non pensare più a lui.
“No, non amo Ryan…” ammisi imbarazzata.
“E perché fai così?” mi domandò serio.
“Perché con lui sto bene…. Devo solo dare tempo al tempo” risposi poco convinta.
“Credi che l’amore nasca dal tempo?” chiese.
“Potrebbe…”
“Secondo me no”, disse serio, “lo capisci quando ami qualcuno… non devi aver bisogno di tempo. Quando stavi con James, ci hai dovuto pensare?” chiese.
“Veramente no… ma era un po’ diverso” dissi.
“No Martin, è identico…. L’hai capito subito di essere innamorata e hai agito di conseguenza. Che io condividessi o meno, sei stata coerente” mi rispose. Perché aveva sempre ragione?
“E’ che Ryan è così pronto ad impegnarsi… io non sono come Blake… almeno non adesso. Lei è così innamorata dell’amore… non fa altro che pensare a come dev’essere trovare l’amore della vita… ma perché io sento che non è né il momento né la persona giusta? Blake starebbe molto meglio con uno come Ryan che con uno come Leonardo Di Caprio…” sbuffai.
“Stiamo parlando di te o di Blake?” chiese Chris finendo gli spaghetti. Io ero ancora a metà.
“Di me… di me…” bofonchiai “che devo fare?” dissi.
“Quello che hai fatto con James… agisci seguendo il tuo cuore….” A quelle parole, capii cosa volevo. E quello che volevo era Chris. In quell’istante. Lo guardai, decisa. Lo avrei baciato. “Fallo. Ora” mi ripetevo. “Fallo!”
Nell’esatto momento in cui stetti per alzarmi, Chris riprese a parlare.
“E’ come ho fatto io con… Minka” disse.
Mi congelai. Con chi?! Mi chiesi.
Lo guardai sorpresa “scusa?” domandai.
“Beh… non te l’ho detto ma… ho iniziato a sentirmi con una ragazza… Minka. Ci siamo sentiti qualche anno fa, prima di stare con Jessica ma la cosa non è andata bene diciamo… l’avevo lasciata per stare con Jessica e non l’ha presa bene” mi disse, “ma adesso mi sono fatto coraggio e l’ho cercata”.
“Ah”, mi scappò dalle labbra un sospiro.
“Ah?” mi chiese.
“Ah… si! Cioè… bene! Sono così felice per te…” dissi fingendomi entusiasta “hai fatto la cosa giusta, Chris, dovrei farla anch’io…”
“Proprio così”, prese il suo piatto e si avviò verso il lavandino.
“Aspetta, tieni, non ne voglio più” dissi allungandogli il piatto.
“D’accordo…” mi rispose confuso.
“Senti, ho un gran mal di testa e questa storia di Ryan mi ha buttato giù di morale… ti offendi se vado a casa?” chiesi alzandomi fingendo un malessere… che era più emotivo che fisico.
“No, certo che no… vuoi che ti accompagni?” mi domandò premuroso.
“No figurati, prendo un taxi. Ti scrivo domattina, buonanotte”, mi avvicinai e gli diedi un bacio sulla guancia.
 
 
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Chiamai un taxi e mi accesi una sigaretta. Ero distrutta. Ma cosa cavolo mi era passato per la testa? Non sono mai interessata a Chris, dovevo levarmelo dalla testa e smettere di comportarmi da bambina. Dovevo andare oltre. Chiuderla lì.
Mi lasciai sfuggire una lacrima mentre buttavo giù il fumo. Il taxi arrivò e gettai via la sigaretta.
Arrivata a casa, alle 9 di sera, mi gettai sul divano e fissai il soffitto.
Non avevo voglia di parlare con nessuno. Non volevo pensare a niente… volevo…

Composi un numero che sapevo bene a memoria.
Pronto?” mi rispose.
“James? Posso venire da te? Ho bisogno di una cosa”, dissi con la voce spezzata.
Ehm, certo, va tutto bene?
Non risposi, buttai giù e m’infilai in auto.
 
Arrivata a casa sua mi aprì la porta preoccupato.
“Martin che hai?”, domandò.
“Non voglio parlare” dissi, “fammi una canna e non parlare”, trattenevo a stento le lacrime. Non dovevo ma volevo. Ryan non c’era e avevo bisogno di non pensare. Dovevo non pensare. Volevo non pensare.
“No Martin, che succede?” insistette.
“James, nulla di grave, voglio solo rilassarmi, okay?” una lacrima mi scappò.
“Va bene Bambi, ma non farmi più preoccupare così… appena ti riprendi mi dici che succede”, rispose infilandosi le mani in tasca e tirando fuori delle cartine.

 



 
Ci buttammo sul divano e iniziammo a fumare, come ai vecchi tempi. Una volta più a mio agio e con la mente un po’ più offuscata. Raccontai tutto a James, tralasciando il dettaglio “poco” importante riguardo Chris e cosa provavo per lui. Gli parlai dei problemi che avevo con Ryan, soprattutto quelli più… “intimi”.
James allora cercò di distrarmi scherzando.
“Ti manca il cattivone James, eh?” disse avvicinandosi al mio collo.
“Sinceramente? Sì” dissi sfacciata.
James scoppiò a ridere “Sei fantastica… un po’ come un croissant… uno di quelli fatti bene… all’esterno sei così… rigida ma basta darti un morsetto per trovare la crema…” disse baciandomi il collo.
“E’ di questo che parlavo James… mi hai fatto eccitare con una frase sulle brioche… capisci?!” dissi ridendo.
“Non è colpa di Ryan, è colpa mia che sono indimenticabile” rise.
“Non lo so… so che non dovrei essere qui, e non dovrei essere fatta”, avevamo iniziato a ridere.
“So di cosa hai bisogno Martin” mi mise una mano sulla coscia.
“So di cosa parli James” dissi toccandogli un braccio.
Iniziammo a baciarci e improvvisamente quella passione che tanto volevo… scomparve.
Non solo, pensai anche a Ryan. Lui era a New York e non era giusto quello che stavo facendo. Non dovevo, non volevo più.
Mi ricordai di quanto stetti male anni fa, per il mio comportamento. James era un caro ragazzo, ma aveva questa fastidiosa abitudine di tirare fuori il peggio di me.
“Aspetta… scusa” dissi, “non devo farlo…” mi alzai e mi riabbottonai la camicia.
“Sei diventata così brava”, disse James buttandosi con la faccia sui cuscini del divano.
“Matura…” dissi mettendomi la giacca e prendendo la borsa.
“James, perdonami… spero che fra noi…”
“Non è cambiano nulla Bambi, siamo stati stupidi, vai a casa e parla con Ryan…” disse facendomi un gesto con la mano.
Io mi avvicinai a lui, gli tolsi il cuscino dalla faccia e lo baciai.
“So che volevi di nuovo la tua ingenua Martin… ma non c’è più” risi e lui mi guardò facendo quel suo ghigno sghembo e così sexy.
“Lo so, per fortuna è diventata migliore” mi sorrise e io me andai a testa alta. Avevo rischiato, ma ero riuscita a mantenere fede ai miei principi. Non mi sentivo dalla parte del torto, mi sentivo cresciuta.
 

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Capitolo 22
*** Devi essere sincera ***


CAPITOLO 21 – DEVI ESSERE SINCERA
 

 
Trascorsi la settimana in preda all’ansia. Attesi il ritorno di Ryan massacrandomi pensando a cosa avrei dovuto dirgli e come e, soprattutto, a come l’avrebbe presa. L’ultima cosa che volevo fare era ferirlo.
Non uscii con Chris. Ci scrivemmo qualche messaggio ma nulla di più, stessa cosa per James. Non ero in vena di discussioni, consigli, confronti… niente. Volevo solo stare in casa tranquilla a riflettere. Avevo deciso di lasciare Ryan e lo avevo detto alle ragazze.
Scarlett non disse nulla, solo che “era destino”. Vanessa come al solito era molto dispiaciuta ma in quanto a ragazzi, la ragione la dava sempre a me, indipendentemente da come io mi stessi comportando. Blake, invece, che era sempre a difesa del vero amore, del sentimento e della giustizia, mi sorprese. Disse che quando un amore deve finire bisogna farlo, senza pensarci due volte. Era amareggiata e sconsolata ne dirlo.
Quando mi raccontò di com’era andata a finire con DiCaprio capii. Era solo molto delusa da quell’orribile esperienza e, capendo il suo disagio, cercai di rassicurarla.
 
Quando Ryan arrivò, andai a prenderlo all’aeroporto. Era così bello, mi sorrise e mi diede un bacio. Lo sentii, però, molto più freddo. Da brava paranoica mi chiesi se non sospettasse già qualcosa. Poi mi auto-rassicurai, dicendomi di non aver fatto nulla di male… più o meno.
In macchina parlammo pochissimo e la sua freddezza iniziava a mettermi a disagio. Ma che stava succedendo?
Mi fermai davanti casa sua e scendemmo entrambi. Prese la sua valigia dal baule e aprì la porta di casa.
Entrati, lui corse in camera a lasciare la valigia e a cambiarsi dopo il viaggio. Io mi sedetti sul divano, pensierosa.
“Rimani a cena?” disse dopo un quarto d’ora mentre scendeva le scale.
Io mi voltai un po’ dubbiosa.
“Veramente pensavo di no”, dissi, capendo fosse il momento giusto per parlare. Presi fiato e cercai le parole da usare.
“Martin, avrei bisogno di parlare”, mi spiazzò.
Cosa? Allora era successo davvero qualcosa… lo guardai preoccupata.
“Certo… dovrei parlarti anch’io sinceramente”, risposi.
“Ah, davvero?” era leggermente sorpreso anche lui.
 
Si sedette vicino a me, con le braccia conserte. Si era cambiato, indossava una t-shirt e un pantalone di tuta grigio.
“Vuoi iniziare tu?” chiese.
Io scossi il capo “nono, vai pure…” pensai che dopo aver parlato io, lui non avrebbe più voluto parlare con me.
“Martin, lo sai che tengo molto a te… ma c’è una cosa che devo dirti e non mi sembra più il caso di nasconderla”, disse.
Iniziai a preoccuparmi. Cos’era successo?
“Io non credo che fra noi le cose possano andare avanti… forse detto così, di punto in bianco, potrebbe farti del male e credimi, è l’ultima cosa che voglio” a quelle parole, sgranai gli occhi e rimasi di sasso. Stava facendo lui “il lavoro sporco”, per un attimo mi sentii abbattuta e triste… mi stava mollando! Ma poi pensai che questo mi evitava la cattiveria di dire “Sai Ryan, non sei quello giusto per me, è solo colpa mia, non tua!”. Ciò non toglie che ci rimasi male… quindi anche lui non era soddisfatto come me?
“Mi dispiace tantissimo Martin…” mi prese una mano, il suo sguardo era pieno di dispiacere.
“Capisco Ryan… le cose non stavano andando bene, lo accetto” dissi, decidendo di non dire che, effettivamente, anch’io avrei voluto chiudere.
“Sei sicura, va tutto bene?” chiese preoccupato.
“Certo Ryan, non ce l’ho per niente con te, sono felice che tu sia stato sincero” risposi cercando di sembrare il più autentica possibile.
Lui mi sorrise e si avvicinò per abbracciarmi. Risposi all’abbraccio e mi sentii sollevata e tranquilla. Si era risolto tutto, come per magia e ancora non potevo crederci. Nessuno sarebbe uscito distrutto da questa situazione. Non certamente come quando ruppi con James… mi ci vollero mesi per non pensare più a lui.
“E’… tutto a posto quindi?” mi domandò preoccupato.
Io gli sorrisi, cercando di rasserenarlo. Non volevo si preoccupasse inutilmente.
“Ryan sono felice che tu sia stato schietto con me. Non mi hai presa in giro e sei stato leale. Ti ringrazio, non so se avrei avuto la tua stessa serietà nel farlo…” sapevo bene che era così, mi stavo nascondendo, scappando dalla responsabilità della rottura, “quindi stai tranquillo, sono fiera di te e il mio affetto per te non svanirà”, dissi.
Lui mi sorrise “mi fa piacere… senti ma… cos’è che dovevi dirmi?” chiese.
Diventai paonazza e iniziai a pensare a mille cose che avrei potuto volergli dire.
“Io… ehm, niente, era una sciocchezza!” dissi, “volevo solo raccontarti di Blake e Leo… hanno rotto!” cambiai discorso.
Lui sorrise confuso. “Ah, ok…” disse.
Questa mia “bugia” si rivelò essere la cosa migliore che potesse capitare sia a Blake sia a Ryan, ma ancora non lo sapevano e, ovviamente, nemmeno io.
 
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Tornata a casa, mi sentii leggera come una piuma. Mi ero tolta di dosso un peso enorme e ora ero più tranquilla. Messaggiai Chris e James… aggiornandoli sull’accaduto. James mi chiamò e gli raccontai tutto al telefono, Chris mi rispose con un “mi dispiace, compagnia?”. Mi sentivo capita e protetta. Tutto era molto più appagante e sereno. Se da un lato ero brava a creare problemi, ero anche abbastanza sveglia nel sistemarli… a volte.
E’ tardi…” risposi a Chris.
Passo da te, andiamo a mangiare fuori” mi disse poco dopo.
Mi scappò un sorriso. Mi cambiai e mi misi ad aspettarlo. Ero pazza di lui e non potevo ammetterlo né dirlo a nessuno. Non volevo dirlo a nessuno.
Arrivò dopo una ventina di minuti e mi portò in un fast food.
 

 
Indossava una giacca chiara e un paio di jeans, era sportivo come al solito. Mi chiesi che tipo fosse questa Minka e se anche lei riuscisse ad apprezzare tutte quelle piccole cose che rendevano Chris così unico. Non potevo farne a meno, pensavo solo a quanto fosse adorabile il suo modo di sorridere e abbassare subito lo sguardo, il suo modo di guardarti “di sottecchi”, aggrottando la fronte e incrociando le braccia.  Chissà se questa Minka si accorgesse del suo modo di fingersi sicuro e dell’appoggio di cui aveva bisogno…
 
Arrivammo al Fast food e ordinammo. Avevo una gran fame. Lui mi sorrise, non mi chiese di Ryan, forse non voleva saperlo, forse sapeva già. Scherzammo e parlammo del più e del meno.
“Come va con Minka?” chiesi.
“Tutto bene… ci vediamo poco per il lavoro” disse giochicchiando con le sue patatine fritte.
“Capisco, è un po’ una rottura”, stavo finendo l’hamburger, lui l’aveva terminato da un pezzo.
“tu ora sei libera, eh?” disse ridendo, “ti darai alla pazza gioia?”. Io scossi il capo.
“Volevo chiedere alle ragazze di farci un viaggio… andarcene… LA inizia a starmi stretta, pesa dopo un po’” dissi.
“Wow, bell’idea… un viaggio fra donne… io quindi non posso venire vero?”
Scoppiai a ridere “no, mi dispiace, i ragazzi non sono ammessi”.
“Peccato… v’immaginerò fare la doccia insieme allora”, mi tirò una patatina.
“Che maiale che sei!” dissi.
Durante la cena, il telefono di Chris vibrò varie volte ma lui non lo guardò mai. Quell’unica volta che controllò chi fosse a scrivergli, io riuscii a scorgere il nome “Minka”. Sperai fosse lei. Se fosse stata lei, Chris stava evidentemente ignorando la sua ragazza per stare con me.
“Vado a pagare e ti riporto a casa, stasera devo vedermi con Seb” disse Chris alzandosi.
Gli allungai qualche dollaro per pagare la mia parte, ma lui rifiutò, lasciando i soldi sul tavolo e offrendomi la cena.
Mi lasciò a casa e sfrecciò via sulla sua auto sportiva.  
Me ne andai a letto ma quella notte non riuscii a dormire. Ero completamente innamorata di lui. Questo mi abbatteva, totalmente. Non facevo altro che pensare a lui e la cosa mi logorava lentamente.
 

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Capitolo 23
*** Lontano da tutto ***


CAPITOLO 22 – LONTANO DA TUTTO
 

 
Il giorno dopo mi svegliai distrutta. Non avevo dormito ed ero completamente a terra. Passai la giornata a vagare per casa decorata da occhiaie, ciabattine e bicchieri di vino davanti a film come “Che pasticcio Bridget Jones!”.
Quel pomeriggio, per non “rovinare” la mia giornata, decisi di scendere al bar. Ero intenzionata a prendere una boccata d’aria ma non ad abbandonare il “bicchiere della felicità”. Mi sedetti al bancone e ordinai un Martini. Ero lì, da sola in un bar, a bere.
La tristezza era troppa e non riuscivo ad accettare quello che avevo fatto. Volevo fuggire da tutto e da tutti e in quel momento avevo bisogno solo delle mie amiche.
Mi alzai di scatto, pagai velocemente in barista e corsi a prendere un taxi. Andai a casa di Blake con un’idea folle ma irrifiutabile.
 
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Andai di corsa a casa di Blake. Quel giorno ero irriconoscibile: struccata, con i capelli legati alla meno peggio, un vestito nero (la cosa più veloce e facile da infilare) e delle AllStar bianche. Pensai che se qualche paparazzo mi avesse fotografato sarei finita in quelle gallery “Celebrities with no make-up” che tanto piacevano. Ma la cosa non mi preoccupava più di tanto, dopotutto la mia faccia era quella e, stranamente, non me ne vergognavo.
Arrivata a casa sua la incontrai mentre stava per uscire. Indossava un cappotto lungo e grigio, con un paio di jeans neri e delle scarpe nere.
“Martin! Che succede?” disse sorpresa e un po’ confusa.
“Blake devo assolutamente dirti una cosa”, le risposi entusiasta.
“Ah, dimmi tutto” rispose guardandosi attorno.
“Io, te, Vanessa e Scarlett: un viaggio!” aprii le braccia enfatica “shakerando” le mani.
Vanessa rimase basita per qualche secondo, inclinò di lato la testa e scoppiò a ridere: “Un viaggio? Cos, di punto in bianco?”
“Beh, sì… LA mi sta stretta, ho bisogno di aria nuova!” dissi.
“Tu hai bisogno di lavorare Martin” rispose ridendo e alludendo al fatto che era da un po’ che non mi presentavo a provini, “hai mai pensato di farti un agente?” disse.
“Andiamo... piantala con questa storia! Ti sto proponendo una cosa divertentissima, perché non vuoi farla?” dissi pestando i piedi a terra.
La cosa dell’agente era una vecchia storia. Tutte le altre avevano un agente che le procurava i provini e gli eventi, io avevo sempre fatto tutto da sola e spesso non aveva funzionato bene. Mi ero persa molte parti che sarebbero state perfette per me per il semplice fatto di non aver avuto un agente.
“E dove vorresti andare?” disse alzando gli occhi al cielo, tentatissima.
“Ovunque! Qualsiasi posto mi va bene!” risposi.
Improvvisamente vidi Blake sbiancare e guardare verso un punto alle mie spalle. Io mi voltai ma non vidi nulla. “Che hai?” chiesi.
“No, nulla… mi era sembrato di vedere una persona”, rispose sistemandosi i capelli, “facciamo così, parla con le altre e se riesci a convincerle io verrò” disse sorridendomi.
Io annuii e ricambiai il sorriso “prepara le valigie!” dissi allontanandomi. Lei rise e mi salutò.
Mentre camminavo, mi chiesi dove stesse andando Blake così, per pura curiosità mi voltai e la vidi avvicinarsi da una macchina.
Quell’auto l’aveva anche Ryan, il mio ex. Pensai. Parlò con la persona dentro la macchina e poi salì, allontanandosi a tutta velocità… chissà con chi era.
 
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Andai a casa di Scarlett, dove vi trovai anche Vanessa. Cercai di convincerle a fare questo viaggio ma Scarlett dovette rifiutare a causa del lavoro. Vanessa, invece, era la più esaltata fra tutte. Accettò subito e cercò di convincere Scarlett con me ma purtroppo il lavoro le impediva di lasciare LA.
Messaggiai Blake dicendole che il 50% della missione era stata portata a termine e non poteva rifiutare… speravo. Ma non mi rispose subito, per un suo segno di vita dovetti aspettare la sera. Mi rispose dicendo che anche se non ero riuscita a convincerle entrambe, sarebbe venuta, a patto che avessi accettato di contattare un’agente (una sua amica) di cui mi lasciò il numero.
Quel giorno passai il mio tempo con Vanessa ad organizzare tutto. Decidemmo una meta: Londra.
Blake approvò la nostra scelta e, la sera, venne a casa mia a cenare con noi e a finire i preparativi.
Avevamo trovato tre biglietti per la settimana dopo e decidemmo di stare a Londra per circa due settimane.
Quella sera scrissi anche a Chris, dicendogli che ero riuscita a persuadere le ragazze a partire con me. Mi rispose con un’emoticon sorridente e un cuore. Questi cellulari stavano diventando sempre più tecnologici. Ormai era tutto “touch” e i messaggi cominciavano a non essere più tanto usati: era nato “WhatsApp”. Ho sempre apprezzato la tecnologia e con il mio stipendio potei permettermi di restarne al passo, cosa che fino a cinque anni prima mi era impensabile.
Avevo deciso che quello sarebbe stato il mio ultimo messaggio a Chris e che l’avrei risentito una volta tornata. Che fosse sufficiente per “disintossicarmi” da lui?
Passai una fantastica serata in memoria dei “vecchi tempi” insieme a Blake e Vanessa, tra vino, risate e film. Era proprio quello di cui avevo bisogno!
 
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La settimana dopo ci preparammo e ci demmo da fare per organizzare tutto al meglio. Avevamo prenotato un costosissimo ma bellissimo albergo nel centro di Londra. Ero così eccitata che non riuscivo a nascondere neanche per cinque secondi tutto il mio entusiasmo.
Io e Chris avevamo una “tradizione”, ogni mercoledì ci trovavamo a casa di uno dei due per trascorrere una serata di “film demenziali” così, quel mercoledì, non mancai all’appuntamento e ne approfittai per salutarlo. Fu tutto come al solito. Dentro di me speravo che, con il vento tra i capelli, una camicia bianca e su un cavallo, mi fermasse e mi dicesse “Martin, non partire!”.
Ero troppo romantica per smettere di sognare.
Purtroppo non fu così e per le 12 ero a casina, nel mio letto, da sola, pronta per il mio viaggio.
 
La mattina mi vennero a prendere e col taxi andammo in aeroporto. Salutammo l’abituale cara Hollywood e andammo a fare il check-in, cariche per la nostra avventura.

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In aereo ci divertimmo a cazzeggiare e scherzare fra di noi. Non ero ancora abituata al lusso che potevo permettermi. Viaggiammo in prima classe e potemmo usufruire di tutti i tipi di facilitazioni della compagnia aerea. 
“Ehi Blake, con chi eri sabato scorso in auto?”chiesi dandole una leggera gomitata.
Vidi che diventò rossa e si nascose il viso un la mano appoggiandosi al bracciolo del sedile.
“Ah, nessuno, era solo il mio agente… te l’ho detto che è importante averne uno, andavamo ad una cena di lavoro, dovresti farlo anche tu! L’hai chiamata la mia amica?” chiese cambiando discorso.
Io rimasi un po’ perplessa. Ma cercai di crederle dato che, di solito, non appena iniziava ad uscire con qualcuno non vedeva l’ora di parlarne.
“Ah, no, non ho avuto tempo di farlo…” dissi.
“Lo sapevo, per questo l’ho fatto io. Le ho dato il tuo numero e le ho detto di iniziare a cercare dandole anche qualche informazione su di te e sul tuo modo di lavorare”, disse mentre digitava qualcosa sul suo portatile.
“Wow, tu potresti essere la mia agente e la tua amica l’agente dell’agente”, dissi ridendo e mangiando qualche nocciolina.
“Dovresti solo ringraziarmi”, disse facendomi la linguaccia.
Vanessa stava dormendo ormai da tre ore, l’avevamo persa. Mancava circa un’ora e mezza all’arrivo.
 
Quando sentimmo la voce della hostess che ci intimava ad allacciare le cinture e ci comunicava l’arrivo, sentii una strana sensazione e l’unica cosa che riuscii a pensare fu: dovrei avvertire Chris del mio arrivo… 

 

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Capitolo 24
*** From London with love ***


CAPITOLO 23 – FROM LONDON WITH LOVE
 

 
Quando arrivammo corremmo a prendere un taxi e ci fiondammo in albergo. “Stranamente”, pioveva. Eravamo a Gennaio e faceva abbastanza freddo, molto più che a Los Angeles.
Indossavo dei leggins grigi, degli stivaletti neri ed una camicetta lunga azzurra con sopra un cappotto bordeaux che mi copriva dal freddo. Tolta la modalità aereo, controllai i messaggi ma di qualcuno da parte di Chris nemmeno l’ombra. James, invece, mi aveva chiamato tre volte. Mi ero dimenticata di dirgli che sarei partita così, dopo aver chiamato i miei, chiamai anche lui. Si offese un po’ per non averlo informato, ma se c’era una cosa che non sapeva fare è prendersela con qualcuno.
Vanessa chiamò Austin, il suo ragazzo e Blake…
Blake chiamò qualcuno ma non riuscii a capire chi.
Riuscii a trattenermi dal chiamare Chris. Non si era interessato, non mi aveva chiesto a che ora sarei arrivata ne’ mi aveva scritto per sapere se lo fossi. Così, decisi di lasciar correre.
L’albergo, tipicamente British, era tutto sulle tonalità del rosso e del marrone, con decorazioni dorate. Era su 10 piani, dall’esterno era grigio e col tetto azzurrino, ricordava quelli parigini.
Blake adorava questo tipo di sfarzo e si guardava attorno come farebbe un bambino in un parco divertimenti. In più, adorava gli eventi mondani e si era già interessata e aveva già programmato tutte le serate delle nostre prossime due settimane.
Quella giornata, arrivammo alle 6:00 PM così decidemmo di andare a mangiare al ristorante e di restare in camera a rilassarci e a farci passare gli effetti del jet-lag.
Il giorno dopo avevamo deciso di visitare la città e di uscire la sera.
La prima giornata la dedicammo all’arte così ci recammo al British Museum, Natural History Museum e al National Gallery, dove Vanessa e Blake rischiarono di perdermi. Loro non erano molto interessate ma io ho da sempre avuto un debole per l’arte.
Nel pomeriggio andammo a fare un giro sul London Eye e girammo per i centri commerciali, dove, invece, perdemmo Blake.
 
“Stasera dove andiamo?” chiesi una volta sul taxi di ritorno all’hotel.
“C’è un party dato da qualche attorone londinese…” disse distratta Blake massaggiando, “non so dirti di chi ma una mia amica che fa la PR e vive a Londra mi ha procurato degli inviti”.
Vanessa ed io ci scambiammo uno sguardo divertito “va bene boss”, disse Vanessa allungando il collo verso il suo cellulare. Blake lo chiuse e la guardò male. “Piantatela”, disse, “non vi sto nascondendo nulla ma voi lo fate sembrare!”.
“Tu lo fai sembrare!” disse Vanessa.
“Va bene, cambiamo discorso”, rispose, “piuttosto, come ci vestiamo?”.
“Io non ho molta roba da serate eleganti…” Vanessa si guardò il suo jeans, “ho quasi solo tute e abiti da discoteca”, rise, “paillettes e minigonne!”
“Ci ho pensato io… ovviamente!” rispose Blake scostandosi i capelli da una spalla.
 
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Ci vestimmo in albergo, indossando i vestiti che Blake aveva scelto per noi. Dopotutto, era lei l’esperta. Mi aveva prestato un vestito lungo, verde acqua che sfiorava il pavimento. Essendo più alta di me, probabilmente quel vestito doveva arrivare alle caviglie, ma poco importava. Aveva uno scollo a cuore e dei piccolissimi punti luce sulla gonna.
Mi lasciai truccare da lei e mi acconciò i capelli. Mi fece la piastra legando le ciocche vicino al viso dietro la testa creando una piccolissima gigliola che fermò con una forcina. Poi passò a Vanessa.
Mentre si occupava di lei, io andai a prendere il mio cellulare.
Ancora nulla. Era passato un giorno e Chris non si era preoccupato di chiedermi come stessi.
Offesa, mi scattai una foto e la pubblicai su instagram.  Perché, oltre a WhatsApp, aveva preso piede questa “moda dei social network” e fra face book e instagram, le celebrities non facevano altro che mostrare la loro sfarzosa vita da star.
Non ero quel tipo di persona e nemmeno Chris, ma entrambi lo avevamo per una questione d’immagine. Sperai così che, se avesse aperto instagram, avrebbe visto la mia foto. Speravo che avrebbe capito quanto mi divertivo anche senza di lui.
Stavo cadendo proprio in basso, pensai.
Nel frattempo Vanessa e Blake si erano preparate e ci incamminammo verso la hall.
Avevamo chiamato un taxi che, puntuale, ci stava aspettando fuori.
 
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Arrivammo davanti un enorme palazzo, tutto illuminato con un grosso tappeto davanti all’entrata, sul quale sostavamo due buttafuori vestiti di nero e intorno a loro un mare di gente e di giornalisti.
“Testa alta, tette in fuori e sculettate ragazze mie”, disse Blake alzando il mento e mostrando tutta la classe che quel viso perfetto poteva emanare. Vanessa fece una smorfia e finse di ingobbirsi ridendo. Io sorrisi ma immediatamente mi sentii a disagio. Feci un respiro profondo e uscii dal taxi… mi sentivo spaesata e un po’ intimorita da cosa e chi avrei potuto trovare al party. Insieme a Blake e Vanessa mi sentivo a mio agio, ma a volte pensavo di scomparire fra loro due…
Scese, i fotografi iniziarono a mitragliarle di flash e “Vanessa guarda qui”, “Blake, in posa!” e le ragazze, da brave “celebrities”, eseguivano e sfilavano verso l’entrata. Io scesi dal taxxi e, cercando di sembrare disinvolta, mi avvicinai a loro.
“Martin! Martin”, gridavano, “Guarda qua! Girati!”, urlavano.
Io cercavo di mettermi in posa ma, tra un sorriso impacciato e qualche passetto verso l’entrata, le foto che mi erano state scattate erano ormai miliardi.
“Dai ragazze, entriamo!”, dissi dopo qualche minuto che si facevano fotografare.
Nel frattempo io mi ero avvicinata al portone e un giornalista allungò un braccio con una radiolina in mano e mi disse: “Martin! Domanda veloce!”.
Io mi voltai un po’ sorpresa e mi avvicinai, acconsentendo.
“Sei sparita da un po’ dalle scene, è vero che hai rotto con Reynolds?” chiese.
“Oh… ehm, sì… sì è vero”, risposi imbarazzata. Come faceva a saperlo di già?
“E ora ti senti con Evans?” chiese di nuovo.
Io, stupita, alzai le sopracciglia e aggrottai la fronte.
“No… certo che no…” risposi, “da cosa lo avete dedotto?” domandai incerta.
“Sull’ultima edizione di Vanity sono uscite delle foto di voi due al ristorante”, rispose ridendo.
“Siamo molto amici”, dissi sorridendo.
Mi ero persa questo dettaglio dei paparazzi.
Mi sentii prendere da un braccio e Blake mi tirò dentro.
“Ma che fai?!” chiese.
“Come che faccio? Voi eravate lì a farvi fotografare e io parlavo con un giornali…”
“Ecco appunto! Mai rilasciare interviste così… potrebbero rigirare il tuo discorso come gli pare e piace!”
Sbuffai e pensai che avrebbe potuto aver ragione ma che ormai poco importava, non avevamo parlato di nulla di compromettente… forse.
 
L’interno era ampio e chiaro, le luci giallastre donavano un tocco di classicità agli arredi di seta e camoscio.
L’atrio anticipava l’entrata a un enorme salone, dal quale proveniva un vociferare e della musica.
Entrammo e mi sentii come le teenagers che varcano la soglia dell’entrata al loro ballo di fine anno.
Mi guardai intorno, cercando visi noti e, decisamente, ne trovai. Il salone era pieno dei più grandi attori e registi del momento. Tutti intenti a chiacchierare sorseggiando cocktail e mangiando dal buffet.
“Beh, io ho fame!” dissi entusiasta.
“Ti seguo!” esclamò Vanessa.
“Io penso che andrò a presentarmi in giro, da brava agente palerò anche per voi!” disse sistemandosi i capelli.
“Grazie Blake”, risi mangiando una tortina di… di chissà cosa.
Il cibo in Inghilterra non era dei migliori. Questa non era una novità ma non mi aspettavo fosse così vero!
 
“Vanessa!” una voce da dietro le nostre spalle si alzò.
Ci voltammo e vedemmo una persona a Vanessa più che nota. Era Zack, il suo ex ragazzo. Lui era un po’ come James per me. Avevano avuto una storia piuttosto importante e, lasciandosi, erano rimasti in buoni rapporti. Non erano amici come me e James ma in questo tipo di occasioni si fermavano volentieri a chiacchierare.
“Zack! Oh mio dio, come stai?” disse Vanessa baciandolo sulle guance. I due iniziarono a conversare e io iniziai, invece a sentirmi in più. Mi congedai andando verso il bar.
Mi sedetti e ordinai un Martini.
 

 
“Anche per me, grazie”, una voce calda e dall’accento più britannico che avessi mai sentito mi arrivò alle orecchie. Un ragazzo bello, altissimo ed elegante si era appena seduto vicino a me.
“Serataccia?” rise.
Io lo guardai e fui sorpresa dai profondi occhi azzurri di Tom Hiddleston. Lo avevo visto in un film con Chris Hemsworth, Thor e sapevo che ora stava lavorando agli Avengers insieme al “mio” Chris. Che ci faceva lì?
“Non sono un tipo da pubbliche relazioni” dissi sorridendogli.
“Tom”, allungò una mano.
Io gli porsi la mia e mi sorprese il fatto che, invece di stringerla, la baciò.
“M…Martin” dissi intontita.
Tutta quella galanteria mi metteva in soggezione e mi eccitava allo stesso tempo.
“So chi sei, sono un tuo fan”, disse prendendo il Martini che gli porgeva il barista.
“Davvero? Beh, io una tua” risposi sorridendo.
“Allora ti vedrò alle premieres di Avengers” disse.
“Penso proprio di sì, tra la mia grande amica Scarlett e il mio amico Chris sarei la peggiore se non venissi”, risposi.
“Ora hai anche l’amico Tom da accontentare” mi disse guardandomi con i suoi occhi di ghiaccio che, paradossalmente, mi facevano sciogliere.
“Senz’altro” dissi.
In quel momento partì una canzone che mi piaceva particolarmente. Nulla a che vedere con la musica che a fine anni Novanta ballavamo nei party a casa degli amici di James, ma era piacevole da ballare lo stesso.
Involontariamente iniziai a battere il piede sulla sedia a ritmo e canticchiai a bassa voce.
“Vuoi ballare?” mi disse con quella voce attraente e posandomi una mano sulla mia.
“Non sono una gran ballerina… almeno non da sobria” risi.
Lui prese il Martini e lo finì in un sorso, come a incitarmi a finirlo. Sospirai e sorrisi. Perché no? Pensai.
Buttai già l’alcolico e mi alzai dalla sedia, sentendo una sensazione di caldo in tutto il petto e nell’arco di venti minuti la mia testa era improvvisamente più leggera.
Tom mi portò sulla pista da ballo. 

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Capitolo 25
*** Tom Hiddleston ***


CAPITOLO 24 – TOM HIDDLESTON
 

 
Tom era un così bravo ballerino. Era elegante, raffinato, bello e carismatico e si muoveva davanti a me a ritmo di musica. L’effetto del Martini iniziava a farsi sentire e cominciai a lasciarmi andare anch’io. Non ero e non sono mai stata una grande ballerina, anzi. Mi lasciavo guidare da lui.
Quando la canzone cambiò, mutò del tutto anche il ritmo, diventando un lento. Tom mi guardò, come a chiedermi di rimanere in pista con lui. Si avvicinò a me e mi posò una mano sul fianco e l’altra raggiunse la mia.
Eravamo vicinissimi, sentivo il suo respiro veloce, leggermente affannato dal ballo un po’ più scatenato di prima. Io appoggiai la testa sul suo petto e fui totalmente coinvolta nel movimento e guidata dai suoi passi decisi ed esperti.
“Cosa ti porta a Londra?” chiese ad un certo punto.
“Vacanza”, risposi.
“Ti piace qui?”
Pensai che di posti più belli ce n’erano a palate, ma anche che per fare bella figura potevo cominciare complimentando la sua città. “è meravigliosa”, dissi.
“O la ami o la odi, la vecchia cara Londra”, dichiarò con un tenerissimo e sensuale accento britannico, “è una città che ti coinvolge totalmente” continuò. Sì, Londra, era proprio quello che mi coinvolgeva così tanto…
 Io gli sorrisi e rimasi zitta, non volevo esagerare troppo nei complimenti che non ritenevo poi così veri.
“Stai girando qualche cosa?” chiese per fare conversazione.
“Sono in un periodo di pausa, ma ho scoperto di essere abbastanza stakanovista e che questa nullafacenza mi fa andare fuori di testa”, gli dissi, un po’ più onesta.
“Ogni tanto qualche momento per se stessi è più che lecito”, mi passò una mano fra i capelli, “ti vedi con qualcuno?” mi domandò. Questa domanda mi cadde addosso come un masso enorme. No, non mi vedevo con nessuno ed era quello che volevo. Ma allora perché provavo l’irrefrenabile desiderio di uscire con lui? Volevo tanto che lui mi chiedesse di uscire… ma ecco che, come un pressante uccello del malaugurio, mi venne in mente Chris. Che ogni volta finissi nella stessa situazione con i ragazzi per colpa di Chris? Perché, purtroppo, dovevo ammettere a me stessa che rischiavo di far finire molte storie amorose andando avanti di quel passo. Chris qua, Chris là… come potevo non pensarlo?
“No, nessuno” gli sorrisi dolcemente. Questo, nel gergo delle ragazze single, friendzonate e tristi vuol dire: “quindi chiedimi di uscire, sono vulnerabile e annoiata!” vediamo se finirà come con Ryan anche stavolta, mi dissi fra me e me.
“Capisco, ti prendi una pausa proprio da tutto eh?” rise e nel frattempo la canzone era terminata.
“Già…” ero delusa, che aspettava a fare la sua mossa? Che si sentisse già con qualcuno? Ci allontanammo dalla pista e ci fermammo ad un tavolo, stracolmo di cibo. Afferrai un muffin e iniziai a mangiarlo. Era una delle poche cose che mi sembrava commestibile a primo impatto.
“Ehm… senti Martin”, disse guardandomi con quei bellissimi occhi azzurri. Era un ragazzo altissimo, mi risultava quasi difficile guardarlo bene in faccia, d’altronde, c’erano più di una 30ina di centimetri di differenza fra noi due.
Io lo guardai con fare interrogativo e cercai di mandare giù il muffin un po’ troppo stopposo.
“So che rimarresti in Inghilterra per poco, ed è per questo che mi permetto di essere così sfacciato, ma volevo sapere se per caso ti andava di uscire con me una di queste sere” disse educatamente.
Io gli sorrisi e buttai il muffin nel bidone avvicinandomi un bicchiere di non-so-cosa e bevendo. Lui sorrise, un po’ ansioso in attesa di una risposta.
“Volentieri, Tom” dissi prendendo dalla borsa un foglietto e una penna dal tavolo delle firme. Scrissi il mio numero e glielo diedi. Soddisfatto, lui sorrise e lo conservò in tasca.
“Ora scusami, ma devo trovare le mie amiche” dissi.
Lui annuì, “certamente”, si avvicinò e mi afferrò una mano baciandola di nuovo, “è stato un enorme piacere, Martin” disse.
Io arrossii e gli sorrisi “piacere mio”, risposi. Mi allontanai, lasciandolo alla sua serata.
 
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“Martin! È tutta la sera che ti cerchiamo”, disse Vanessa avvicinandosi a me insieme a Blake.
“Io cercavo voi!” dissi mentendo.
“Che fine avevi fatto?” mi domandò Blake.
“Non potrete crederci ragazze” sorrisi.
Le ragazze drizzarono le orecchie e si avvicinarono, curiose e assetate di gossip.
“Tom Hiddleston mi ha abbordato al bar e, dopo aver ballato un lento insieme, mi ha chiesto di uscire!!” dissi saltellando come un’adolescente.
“Non. Posso. Crederci!” esclamò Vanessa, “sei una calamita per gli uomini”, rise.
“Forse gli faccio tenerezza, mi vedono così piccola e bassa…” bofonchiai ridendo.
Blake era un po’ contrariata e non disse nulla. Io la guardai confusa.
“Che c’è?” domandai.
“Hai appena rotto con un ragazzo e già sei tra le braccia di un altro…” mi disse. Che stesse cercando di dire… che ero un po’ zoccola? Rimasi un attimo di sasso e arrossii. “Che intendi dire?” le chiesi.
“Mi sembrano atteggiamenti un po’ affrettati” mi disse.
“Detto da te che credevi che uno come DiCaprio ti avrebbe voluto sposare…” risposi un po’ acida.
“Ma come osi?” si era offesa, ma, d’altronde, anche lei aveva offeso me. “Non solo prendi in giro Ryan per dimenticare Chris, ora pretendi pure di fare la morale a me? Io cerco solo qualcuno con cui stare bene, non come te, che ti basta qualcuno che ti distragga per passatempo” mi disse.
Mi pietrificai. Era questo che stavo facendo. Era così vero che mi venne da piangere. Ma come potevo comportarmi in quel modo? Mi resi conto che il mio atteggiamento, per quanto involontario, era uno schifo. Ero attratta da Tom, allora perché pensavo a Chris? Ero attratta anche da Ryan e comunque pensavo a Chris. L’unica mia eccezione è stata James. Quei tempi, eccessivi, estremi e nocivi, mi mancavano quasi. Questa mia maturità nell’ambito delle relazioni e sessuale aveva portato solo guai. Desideravo tanto tornare indietro e cercare di far funzionare le cose con James fin dall’inizio, non diventare mai amica di Chris e di vivere tranquilla. Ma sarebbe stato davvero quello di cui avevo bisogno?
La vita va presa così, come accade e come ti viene data. Dovevo fare fronte a quello che stava succedendo e, se fossi caduta, mi sarei dovuta rialzare senza battere ciglio. È così che sono cresciuta ed è così che farò. Pensai.
“Se è questo che credi di me, allora non credo di voler continuare a parlare con te” le risposi trattenendo le lacrime e uscendo dalla sala.
Mi diressi verso l’uscita, alla disperata ricerca di un taxi. Notai con la coda dell’occhio Vanessa discutere con Blake. Che stesse prendendo le mie difese? Non m’interessava. Non era importante e non mi serviva.
Dopo qualche minuto un taxi passò e mi feci portare all’albergo.
 
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Dormii nel mio letto, tra un incubo e un altro. Verso le 2:00AM le ragazze tornarono e io feci finta di non notarle. Il mattino dopo, alle 7:00AM mi alzai e, senza farmi sentire, sgattaiolai fuori.
Iniziai a visitare la città da sola.
Non ero in vena di stare con loro. Vanessa non aveva colpe, ma sarebbe stato meglio se fosse rimasta con Blake anche perché il mio interesse era di conoscere Londra, non i suoi negozi.
Lasciai sul letto un biglietto: “Sono in giro per Londra, non so quando e se torno, stasera ESCO CON TOM”.
 
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Stasera alle 8:00PM sono da te, signorina” il messaggio era di Tom e mi arrivò sulle 12PM. Abbozzai un sorriso. Poi pensai di rispondergli invitandolo a mia volta a fare un giro con me per la città.
E se anticipassimo? Tu e io in giro per Londra? Mi puoi fare da cicerone ;)”  risposi.
Dimmi dove e quando
Sto andando a pranzare al The Ledbury, mi raggiungi?
Sarò lì a breve, devo passare dello studio a ritirare dei copioni e sono da te
 
Contenta, mi avviai verso il ristorante. Ero determinata a vivermi questa giornata e questo appuntamento al massimo, lasciando da parte tutti i pensieri negativi.
 
Al ristorante chiesi un posto per due e attesi Tom per prenotare. Dopo venti minuti arrivò, con in mano un enorme copione e sul volto un ancora più grande sorriso.
“Perdonami, ti ho fatta aspettare” disse dispiaciuto.
“Stai tranquillo, sono qui da poco” lo rassicurai.
Ordinammo in fretta, entrambi stavamo morendo di fame. Chiacchierammo e scherzammo. Era serio, acculturato e pacato, con lui si conversava benissimo e la cosa più bella era poter parlare di arte, cinema, musica, danza e chi ne ha più ne metta. Era appassionato di così tante cose che per forza dovevamo trovare delle passioni comuni! E, in più, sapeva così tanto che una conversazione con lui era come riempirsi il cervello d’interessantissime informazioni.
Passammo la giornata correndo da un museo all’altro e non facevamo che parlare e parlare e parlare e…
 

 
In un momento di pausa dal camminare, ci ritrovammo seduti davanti ad un gigantesco muro, ricoperto di quadri. Sospirai, allietata dalla giornata, dall’atmosfera e dalla sensazione di leggerezza che provavo nel non pensare a niente.
“Tutto bene?” mi chiese.
“Benissimo” sorrisi.
“La sai una cosa?”, disse, io mi voltai a guardarlo, incitandolo a continuare, “in mezzo a tutti questi capolavori, l’unica cosa da cui non riesco a staccare gli occhi sei tu”
Il respiro mi si mozzò, rimase spezzato in due. Spalancai gli occhi che probabilmente iniziavano ad assumere la forma di un cuore e sorrisi.
“Tom, così mi fai arrossire”, dissi.
“Se ti dessi un bacio sarei un maleducato?” mi domandò, appoggiando un braccio intorno a me.
“Un po’ affrettato” dissi seria.  Lui si ritrasse leggermente ma si fermò quando vide che stavo ridendo. “Saresti un perfetto gentiluomo” mi corressi sorridendo.
Lui si avvicinò e posò le sue morbide labbra sulle mie, come al solito un po’ screpolate.  Il suo lungo e forte braccio mi passò dietro la schiena e mi tirò a sé. Appoggiò l’altra mano sulla mia guancia e io le appoggiai sul suo viso.
Fu un bacio così “intellettuale”, in mezzo a tutti quei dipinti. Ci sentimmo soli in mezzo alla marea di turisti, solo lui ed io. E in quell’attimo, non pensai davvero a niente. 

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Capitolo 26
*** Ora basta! ***


CAPITOLO 25 – ORA BASTA!
 


 
Quella giornata fu perfetta e altrettanto magnifica fu la serata.
Mi portò in un piccolo ma romanticissimo ristorante, tipico londinese. Come sempre, non impazzivo per il cibo inglese ma quella sera persino la cena sembrò migliore, insieme a Tom .
Continuammo a parlare dell’arte, della musica, del lavoro e del nostro passato. Gli confidai le mie sole due storie e l’abissale differenza fra esse, ma non dissi nulla, come al solito, di quel pallino fisso nel mio cervello che mi faceva impazzire: Chris.
Stranamente, però, la sua presenza immaginaria fu meno prepotente e quando stavo con Tom sembrava davvero di riuscire a fare qualche passo in avanti, lontano da Chris.
“Dove alloggi?” mi chiese innocentemente, con l’intento di riportarmi all’albergo.
“Non penso di volerci tornare stasera in albergo” gli dissi, molto sfacciata. Ma, sinceramente, non volevo ornarci davvero, che fossi andata a letto con Tom o meno.
Lui alzò le sopracciglia e sorrise. “Capisco che rimarrai qui per poco, ma certo che sai come bruciare le tappe” disse.
“Hai davvero capito così male?” gli domandai enigmatica.
“Forse” rispose guardandomi ammaliante.
Io gli sorrisi, “ho litigato con le mie amiche e vorrei che questa giornata non finisse mai, quindi perché non passare la notte insieme? Si vedrà, poi, come ci andrà di trascorrerla” risposi col tono più innocente del mondo. E, nel dire quelle parole, ero sincera, non avevo nessuna fretta, anche se fremevo nel finire nel suo letto. Ero curiosa di sapere cosa, oltre al suo aspetto da damerino inglese, aveva da offrire.
“Mi sembra un’idea fantastica” rispose ridendo.
 
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Verso le 11 PM, finimmo di mangiare e andammo a pagare il conto. Tom mi offrì la cena dopo che oggi avevo insistito tanto per poter pagare almeno la mia parte.
Salimmo sulla sua splendida Porsche nera e sfrecciammo a casa sua. Abitava in un sfarzosissimo palazzo, con tanto di usciere. Il suo enorme appartamento era all’ultimo piano di cinque. Dentro era tutto sui toni del grigio, del bianco e del nero, con qualche arredo blu scuro. Le finestre, non eccessivamente grandi, del salotto, davano sulla strada e su una vista spettacolare della città. Mi affacciai e cominciai ad ammirare il panorama.
“Bello eh?” disse Tom avvicinandosi a me da dietro e cingendomi la vita con le braccia. Appoggiò il suo viso nell’incavo tra la mia spalla e il mio volto.
Londra sembrava improvvisamente ancora più bella di quando non lo fosse già.
“Hai una vista meravigliosa da quassù” dissi.
“Come al museo, la vista migliore sei tu anche qui” disse baciandomi il collo.
Io mi voltai e lo baciai.
E, sì, forse era un po’ scontato che saremmo finiti a letto insieme, ma è comunque una bella storia, no?
Mi portò in camera, sfilandomi dolcemente l’abito che mi ero messa dopo essere corsa in albergo a cambiarmi senza, fortunatamente, incontrare le ragazze. Era un semplice tubino nero, tanto bello quanto facilmente cavabile.
Lui indossava un completo blu notte, decisamente più complicato da cavare.
Si tolse la cravatta e la giacca e lasciò a me l’arduo compito di sbottonare la camicia. Aveva la pelle morbidissima e profumata. Tutto in lui gridava “perfezione”. Era curato dalla testa ai piedi, semplicemente, perfetto.
 
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Quella notte fu splendida e un perfetto continuo della giornata che avevamo trascorso insieme.
Mi svegliai avvolta tra morbide lenzuola bianche. La luce del mattino entrava dalla finestra debolmente.
Mi alzai e mi misi il vestito della sera precedente, mi legai i capelli e andai a lavarmi il viso dal trucco.
Attraversando il corridoio per arrivare al bagno sentii un buonissimo profumo provenire dalla cucina.
 

 
Tom stava preparando la colazione da perfetto gentleman. Era ben vestito, pronto a mangiare per poi correre via a chissà qualche importante meeting o set.
“Buongiorno darling” disse con il suo splendido accento.
“Oh, buongiorno” risposi ammaliata nel vederlo alla prese coi fornelli in un modo così sexy.
“Dormito bene?”
“Benissimo” dissi sorridente allungando una mano verso uno dei toast appena fatti.
In quel momento, il mio cellulare squillò. La sera prima avevo lasciato la borsa attaccata all’appendino dietro la porta. Corsi a prendere il telefono e sbiancai.
“Tutto bene?” domandò Tom notando la mia espressione.
- Chris - lampeggiava il suo nominativo sul mio schermo.
“Benissimo…” dissi a bassa voce rispondendo.
 
“Pronto”
Martin…” quella voce, rabbrividii.
“Che vuoi?” chiesi un po’ scocciata e offesa per non essersi fatto sentire, “Anzi, non dirmi nulla, ti dico io una cosa: perché non ti sei fatto vivo? Non te ne frega nulla di quello che faccio? Nemmeno un –Oh, Martin, sei atterrata? Divertiti!-, NIENTE!”
Scusami, sono successe un po’ di cose” disse a bassa voce.
Io mi pietrificai e iniziai a sperare che non fosse successo nulla di grave. Rimasi in silenzio, in attesa di un suo proseguimento.
Sono dovuto andare di corsa in aeroporto circa un paio d’ore dopo la tua partenza per andare in Massachusetts” mi disse, mantenendo quel tono di voce.
“Stai bene? Cos’è successo?” gli domandai, iniziando a capire la gravità della situazione e sentendomi in colpa per l’inutile e ingiustificata sfuriata.
Io sto bene, ma mio padre ha quasi avuto un infarto, si pensa per colpa del colesterolo” mi rispose.
“Stai scherzando? Oh mio dio, Chris sono un mostro, mi dispiace tento! Come stai? Come stai?” sparai parole a raffica, preoccupata.
Tutto ok, sono all’ospedale ora. Lui sta meglio, nulla di troppo grave ma ci siamo presi un bello spavento. Penso che resterò qui per un po’, non me la sento di lasciare mia madre da sola. Mio fratello e le mie sorelle hanno la loro famiglia e non possono chiudersi in ospedale, il mio lavoro mi permette di stare lontano qualche giorno, il loro no…”.
“Chris, hai bisogno? Dammi l’indirizzo e ti raggiungo” dissi senza pensarci due volte e dimenticandomi della presenza di Tom.
Stai tranquilla” disse.
“Chris, sono seria, mandami un messaggio con l’indirizzo, voglio poterti essere d’aiuto”, sensi di colpa? Voglia di vederlo?
Martin, non voglio rovinarti la vacanza, si sistemerà tutto, volevo solo sentirti, mi sono sentito uno stronzo a non averti scritto neanche un messaggio ma è stato tutto molto caotico
Mi si sciolse il cuore a quelle parole. Voleva solo sentirmi… e io che mi ero infuriata con lui.
“Va bene Chris… tienimi aggiornata” dissi.
Senz’altro, ti voglio bene Martin e scusa ancora, ora devo andare” mi disse per chiudere la telefonata.
“Ti voglio bene anch’io, ciao Chris”, risposi… Ti voglio bene.
 
Riattaccai e alzai lo sguardo. Tom, sereno, stava continuando a cucinare.
“È tutto apposto?” domandò tranquillo.
“Sì, diciamo di sì”, risposi sedendomi al bancone.
“Era Evans?”
“Oh, sì, era lui… giusto un piccolo problemino… nulla di che” dissi imbarazzata.
“Non vi facevo così intimi” disse ridendo.
“Siamo molto amici in effetti” gli sorrisi imbarazzata.
Tom mi mise nel piatto la colazione e mi diede un bacio.
“Io devo andare, mi dispiace lasciarti sola ma se vuoi rimanere non c’è problema”, mi disse infilandosi una giacca.
“No, vai tranquillo, me ne vado anch’io” gli risposi mangiando in fretta il toast e bevendo il succo.
Lui mi sorrise e si avvicinò a me.
“Senti, cosa pensi di fare… noi due intendo…” mi disse.
Quella chiamata mi aveva scombussolato e disorientato. Tutti i progressi fatti il giorno prima erano andati perduti nell’arco di una telefonata di 5 minuti. Era stufa. Di mentire a me e di mentire a tutti gli uomini con coi andavo a letto o pensavo anche solo lontanamente di avere una storia.
“Godiamocela finché sono a Londra” dissi apatica, facendogli capire che, una volta partita, tutto sarebbe finito.
“Mi sembra un’ottima idea” mi disse abbassando lo sguardo. “Martin, a dire il vero devo confessarti una cosa”, continuò.
Preoccupata, lo guardai, sperando non mi dicesse di voler tentare la strada della relazione a distanza.
“Io ho una relazione… da molto… e in questo periodo siamo un po’ in crisi” disse imbarazzato. “Non dovevo uscire con te e ne’ parlarti quella sera al party, ma in quel momento mi sembrava la scelta migliore”  
Stupita, mi sentii un’idiota. Avevo appena preso parte ad un tradimento e, in un certo senso, ero stata tradita anch’io. Quando, inizialmente, avevo visto in lui una possibile storia e un possibile amante “reale” e non di rimpiazzo, in quell’istante, mi stava tradendo. Mi aveva ingannato mentendomi e illudendomi.
E la sua povera ragazza, che cosa avrebbe pensato di me?  Ammesso che lo sarebbe venuta a sapere…
“Stai scherzando?” dissi.
“Mi dispiace tantissimo, spero che tu voglia…”
“No! Non voglio proprio niente”, gli dissi alzandomi arrabbiata e prendendo la giacca e la borsa, “cosa avresti fatto se avessi voluto restare con te?” chiesi.
Lui sbuffò, dispiaciuto.
“Come non detto, non solo hai preso per il culo lei, ma anche me” dissi chiudendomi la porta alle spalle, lasciandola sbattere.
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Tutti a me?! Pensai mentre una piccola lacrima mi scendeva dalla guancia. Mi sentivo usata e presa in giro. Ero davvero stanca di questa situazione. Come potevo evitare tutto questo? Era forse vero che mi andavo a cercare questi drammi, come diceva Blake? Non mi sentivo “zoccola” ma neanche chissà che santarellina. Avevo sbagliata con Ryan, ma con Tom le mie intenzioni erano le più sincere.
Ma allora perché non appena ho letto il nome di Chris in chiamata ho avuto un tale colpo al cuore…
Dovevo smettere di scappare dai miei sentimenti e, una volta per tutte, mettere l’anima in pace e non cercando di rimpiazzare Chris o di fuggire in un altro continente. Dovevo imparare a convivere con la cosa. Così come ho sempre fatto.
Ho imparato a farlo con le mie origini, con la mia famiglia, col mio aspetto fisico.
Ora dovevo riuscire a farlo con la situazione di stallo nella mia vita sentimentale.


 

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Capitolo 27
*** Conta su di me ***


CAPITOLO 26 – CONTA SU DI ME
 
Tornai in albergo dalle ragazze e la prima cosa che mi sentii di fare era di chiedere scusa a Blake. Erano nella camera quando arrivai, Vanessa era nella vasca e Blake si stava mettendo lo smalto.
Spalancai la porta e ci guardammo. Lei si alzò di scatto e mi venne incontro.
Mi dispiace tantissimo”, dicemmo all’unisono.
“No Martin, ti chiedo scusa io, non meritavi di essere trattata in quel modo, capisco benissimo cosa stai passando, sono stata insensibile” mi disse e prima che potessi spiegare le ragioni del mio chiedere scusa, continuò: “devo assolutamente confessarti una cosa che non posso più nascondere”.
Io, preoccupata, pensai alle parole di Tom poco prima “Martin, a dire il vero devo confessarti una cosa”
“Dimmi Blake” le dissi avvicinandomi a lei e sedendoci sul sofà.
“Mi sto vedendo con qualcuno”
Io sorrisi “ma dai? È bellissimo! Perché me lo nascondevi?” chiesi.
“Perché quel qualcuno è Ryan…”
Rimasi un po’ sorpresa, ma non infastidita. Inarcai le sopracciglia e aprii le braccia “congratulazioni!” esclamai.
Blake era stupita “c….come? non sei arrabbiata?” chiese.
“Perché mai?! Sono felicissima per voi… può sembrare strano, ma da quando mi sono messa con lui ho sempre pensato che sarebbe stato perfetto per te uno così… e, ora che ci penso… quando ci siamo lasciati gli ho detto qualcosa come Blake si è appena mollata… Che sia merito mio?” dissi ridendo.
Blake scoppiò a ridere con gli occhi un po’ lucidi, “Blake? Che ti prende?”, dissi.
“Sono felice di averti come amica… anche se non lo dimostro” mi rispose abbracciandomi.
“Lo stesso vale per me, Blake” ricambiai l’abbraccio ma poi l’allontanai per guardarla in faccia.
“Ora devi aiutarmi…” dissi, “voglio dirti cosa mi passa per la testa e ti chiedo, però, di non giudicarmi”, Blake annuì.
“Sono totalmente, completamente, follemente innamorata di Chris” dissi tutto d’un fiato. Sapevo che già qualcosa la sospettava ma non l’avevo detto mai troppo espressamente.
“E fin qui…” disse sorridendo.
“Come e fin qui?! Mi spieghi cosa c’è di normale? Cosa devo fare?!” esclamai buttando la faccia sulle sue gambe e raggomitolandomi sul sofà.
“Diglielo”
“No”
“Devi”
“No Blake, rovinerebbe tutto…” risposi piangendo, “stanotte l’ho passata con Tom, ma lui è solo voluto andare a letto con me… ma mi sta bene… quello che mi scombina è che quando credevo che la giornata con Tom avrebbe potuto aiutarmi a dimenticare Chris, mi è bastata una sua telefonata per capire che non era affatto vero e che stavo mentendo a me stessa”
“Ti ha chiamata? Per cosa?”
“Suo padre è stato male e voleva scusarsi per non essersi fatto sentire…” risposi.
“Suo padre?!”
“Già… volevo andare da lui ma non mi ha voluto dare l’indirizzo… ha detto che va tutto bene e che starà per qualche giorno in Massachusetts” le lacrime stavano rallentando.
“Martin, corri da lui e sostienilo! Avrà bisogno di qualcuno su cui fare affidamento ora!” esclamò Blake.
“Ha la ragazza” dissi abbattuta.
“Ti ha detto che è lì con lui?” chiese.
“No… anzi… ha detto di essere solo con la madre” mi alzai e guardai il viso convincente di Blake.
“Martin… vai!”
Io lo volevo con tutta me stessa. Volevo correre da lui, abbracciarlo e stargli vicino, qualsiasi cosa potesse accadere.
”Hai ragione… hai assolutamente ragione Blake… io lo amo e devo andare!” esclamai mentre prendevo tutte le mie cose e le buttavo in valigia. “Se lascio qualcosa, potete usarla, anzi, vi lascio quello che volete, io corro in aeroporto! CIAO VANESSA” esclamai per farmi sentire dal bagno. Mi misi il cappotto e presi quel che potevo alla meno peggio. Avevo tutti i documenti in borsa, che presi al volo e corsi fuori dall’albergo ringraziando Blake e gridando “Ti voglio bene!”.
Vidi di sfuggita Vanessa che usciva dal bagno con l’accappatoio, confusa che chiedeva spiegazioni a Blake.
 
 

 
Arrivai in aeroporto e prenotai un biglietto per il Massachusetts. Sapevo che la piccola città in cui abitava Chris non aveva un aeroporto e che mi sarei dovuta arrangiare in qualche modo.
Saltai sul primo aereo e trascorsi l’intero viaggio a morire d’ansia e a infliggermi del male psicologico pensando a quello che avrebbe pensato Chris una volta arrivata.
 
Arrivai in Massachusetts nel cuore della notte, in un piccolo aeroporto stranamente accogliente.
“Scusi, saprebbe dirmi come posso arrivare a Sudbury?” chiesi ad una donna presso l’ufficio informazioni.
“Ci sono degli autobus che partono ogni ora, ne è passato uno poco fa, dovrebbe andare a controllare nella tabella degli orari”, disse indicando un enorme tabellone.
Sospirai e, rassegnata ma decisa, mi diressi in quella direzione. Il tabellone aveva un’infinità di date, luoghi, orari… dopo venti minuti trovai la linea della tabella che m’interessava. L’autobus sarebbe passato fra quindici minuti così corsi a fare un biglietto e mi sedetti in una panchina fuori dall’aeroporto, vicina alla fermata.
Mi guardavo attorno, un po’ spaventata dall’essere sola, nel cuore della notte, ad una fermata scura di un autobus. Fortunatamente non girava molta strana gente e la cosa mi tranquillizzava.
Il bus arrivò e io ci saltai dentro, tirandomi dietro la valigia e timbrai il biglietto.
 

 
Ci mise quasi un paio d’ore ad arrivare e nel frattempo si erano fatte le sei del mattino. Quando arrivammo, domandai all’autista come potevo arrivare all’ospedale e mi disse che da lì ci volevano 20 minuti a piedi e mi diede le indicazioni.
Sperando di riuscire a seguirle, lo ringraziai e mi avviai verso la mia destinazione con la mia valigia che mi trascinavo da un continente all’altro.
 
Il piccolo ospedale era bianco panna e giallo, circondato da un bel giardino. Tutta la città, d’altronde, era verdeggiante e piena di alberi. Molto montanara e accogliente.
Entrai nella hall e chiesi di Bob Evans ma mi risposero che fuori dall’orario di visita solo i famigliari potevano accedere ai pazienti e che l’orario di visita sarebbe iniziato tra 2 ore.
Tentai di convincere l’infermiera ma inutilmente. Mi trascinai la valigia fino a un piccolo bar che dava sull’entrata, così avrei potuto vedere se arrivava Chris, sempre che non fosse già là. Ordinai un caffè, cercando di rimanere sveglia ma nel giro di pochi minuti mi addormentai profondamente sul bancone.
 

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“Martin?!” qualcuno mi svegliò appoggiando la mano sulla mia spalla.
Aprii gli occhi e mi ritrovai il viso di Chris a pochi centimetri dal mio. Io sollevai la testa dal tavolo e mi massaggiai le tempie, la testa mi stava scoppiando.
“Ma che ci fai tu qui?” chiese.
 

 
“Chris… volevo vedere come stavi, non ce la facevo a lasciarti da solo…” dissi.
Lui aggrottò la fronte e si grattò la testa. Prese la sedia vicino alla mia e si sedette, appoggiando i gomiti al tavolo e nascondendosi la testa fra le mani.
Allungai un braccio e appoggiai la mano sulla sua spalla.
“Chris…” mormorai.
“Non dovevi, davvero…” a sua voce era strozzata, debole.
“Volevo…”
“Grazie Martin” si voltò verso di me, aveva gli occhi lucidi.
Io sorrisi. Lui si avvicinò a me e mi abbracciò. Appoggiò la testa fra il mio collo e la spalla e mi strinse fra le sue braccia. Era un abbraccio non sensuale, non d’amore… era un abbraccio che chiedeva conforto, ed era quello che volevo fare: confortarlo.
“Mi sono spaventato molto…” disse dopo qualche minuto.
“Immagino” risposi mentre prendevo la mia roba e ci alzavamo dalla sedia, “soprattutto qui da solo ad essere quello che conforta sempre gli altri”.
Lui rise.
“Perché è questo che fai… tu aiuti e sostieni gli altri, ma nessuno è mai al tuo fianco” dissi.
Lui, come sempre di poche parole, mi prese una mano e, senza guardarmi, ci muovemmo verso l’uscita. Emozionata e confusa chiesi “dove andiamo?”
“ti porto a casa, io torno qui da mio padre e…”
“No!” dissi, “ho prenotato un Bed and Breakfast non c’è bisogno”
“Non prendermi per il culo…”
“io preferirei stare qui con te” dissi.
“Lascia la valigia in macchina e andiamo allora… ma stanotte sei nostra ospite, non si discute” mi rispose guardandomi negli occhi, premuroso.
Io sorrisi e annuii.
Andammo nella zona dei ricoveri, dove il padre di Chris stava dormendo. Ci sedemmo su una poltroncina di pelle sintetica nera, più plastica che altro, che si trovava nella stanza.
“Sarai stanca, puoi continuare a dormire… non c’è molto da fare qui” disse sedendosi e indicando le sue gambe.
Io mi stesi sulla poltrona, mi rannicchiai e appoggiai la testa sulle sue gambe.
“Dov’è Minka?” chiesi dopo essermi tenuta dentro la domanda per molto tempo.
“Lavora…” disse a bassa voce, un po’ contrariato, “non la sento da un po’… questa storia non finirà bene… come al solito d’altronde”
“mi dispiace”, gli accarezzai il ginocchio e lui mi spostò i capelli dal collo, accarezzandoli. In poco mi addormentai, un po’ per le carezze e un po’ per la stanchezza.
Dopo qualche ora mi svegliai e sentii Chris parlare al telefono. Continuai a fingere di dormire per sentire con chi stesse parlando.
“Ma stai scherzando?!” sussurrava, ma voleva decisamente gridare.
“Sei una stronza… non ho molto altro da dirti, sono contento che tu abbia deciso di finirla qui perché la cosa non la sopportavo più, ma in questo modo è squallido”
Che stesse parlando con … Minka?
“D’accordo, puoi cancellare il mio numero” chiuse il cellulare e lo lanciò sul divano, ai miei piedi.
Sbuffò e si portò le mani alla testa. Poi silenzio.
Mi stava guardando?
Sentii la sua mano appoggiarsi sul mio fianco e l’altra mi toccava piano i capelli.
Sbuffò di nuovo.
Poco dopo si riaddormentò e io decisi di svegliarmi. Mi sedetti e lasciai scivolare la sua testa sulle mie gambe per dare modo anche a lui di riposare un po’ comodo.
Gli sfiorai il collo con le dita, un po’ fredde. Poi passai la mano fra i suoi capelli corti e infine la poggiai sulla sua spalla.
Nella scomodità, comicità dolce-amara della scena, mi sentii appagata. Era questo ciò che volevo e dovevo ottenerlo, a tutti i costi.

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Capitolo 28
*** A piccoli passi ***


CAPITOLO 27 – A PICCOLI PASSI
 
“Ecco a te”, dissi porgendo a Chris un terribile caffè delle macchinette.
Si era appena svegliato ed era ancora un po’ intontito.
“Grazie bambi” mi rispose buttando giù la bevanda amara. Lanciò uno sguardo a suo padre che stava ancora riposando. Il soprannome “Bambi” era ormai di pubblico dominio, da James, a Chris, da Vanessa a Blake… ero diventata Bambi per tutti per via del mio sguardo da cerbiatto abbagliato dai fari… credo.
“Tutto ok?” chiesi sedendomi affianco a lui.
Chris si appoggiò alla mia spalla e mise una mano sul mio ginocchio. È sempre stato una persona “fisica”, non che toccasse chissà dove, ma era normale per lui dare un abbraccio in più piuttosto che un braccio attorno alla spalla. Ma in queste circostanze era decisamente strano. M’imbarazzava ma mi piaceva allo stesso tempo.
“Comincio a tranquillizzarmi” disse sorridendo, “ieri ho parlato col medico e ha detto che domani lo dimetteranno” guardò l’orologio.
“È fantastico” dissi guardando suo padre.
“Lo è… tra qualche ora arriverà mia madre a darci il cambio” rise, “volevo aspettare si svegliasse”
“Sarà imbarazzante” dissi.
“Che cosa?”
“La mia presenza… è meglio se aspetto fuori”
“Ma che cavolo dici” mi rispose alzandosi.
“Nemmeno li conosco… sono venuta qua per te, non per i tuoi genitori… non sono la tua ragazza, che dovrebbero pensare?” dissi.
Chris indugiò, titubante. “Devi essere per forza la mia ragazza per poter tenere a me?”
“Beh… no…” risposi un po’ abbattuta, cercando di non darglielo a vedere, “Lascia almeno che rimanga fuori, così potrete fare le vostre cose con comodo”
“Però accetta di dormire da noi” concluse.
Io annuii, “e sia”, dissi alzandomi, “ora esco, tu vedi di svegliarlo, è un pigrone come te” risi.
Lui mi sorrise e mi prese una mano.
“Grazie Martin”
“Non ringraziarmi”, avvicinai la sua mano alla mia bocca e gli diedi un leggero bacio.
Lui mi guardò, col suo sguardo impenetrabile e austero, incorniciato da folte sopracciglia chiare, che addolcivano il viso.
Uscii dalla stanza e andai a sedermi in una delle sedie da sala d’attesa. Dopo un’ora passò una donna che entrò nella stanza del padre di Chris, doveva essere sua madre. Gli assomigliava leggermente ma la statura era medio-bassa, nulla a che vedere con lui.
Dopo altre due ore uscì Chris, che mi cercava con lo sguardo. Io mi alzai e lo raggiunsi. Dietro di lui, uscì sua madre.
“Martin, lei è mia madre” mi presentò.
Le mie guance andarono a fuoco e mi sentii avvampare mentre desideravo fervidamente di sparire.
“Lisa” disse la donna tendendomi una mano, accompagnando il gesto con uno splendido sorriso, uguale a quello di Chris, rassicurante e sincero.
Io le strinsi la mano “Martin”, sorrisi.
“Grazie per quello che hai fatto per mio figlio, ci vorrebbero più persone premurose come te” mi disse, “accetta l’offerta di restare almeno una notte da noi, è il minimo”.
“Lisa sei gentilissima, m’imbarazza accettare, volevo solo passare per assicurarmi che Chris stesse bene e poi scappare, nulla di prolungato” risposi.
“Non t’imbarazzare, gli amici di Chris sono amici della sua famiglia, non permetto che tu ti sorbisca ore e ore di volo nell’arco di due giorni” rise. Era molto tenera e gentile.
“Ti ringrazio tanto” risposi abbassando lo sguardo e cercando, fallendo, di sembrare disinvolta.
Vidi Chris sorridere, come se gli avessero appena dato una delle notizie più belle del mondo.
“Ci voleva lo charme della mamma”, disse dandole un bacio sulla fronte, “ora andiamo a casa, papà è nelle tue mani” rise.
Sua madre lo salutò ridendo. Avevano lo stesso tipo di comicità, pensai lasciandomi sfuggire un sorriso.
 
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Arrivammo a casa e Chris mi portò in una piccola camera degli ospiti dove lasciai la mia valigia. Era ormai mezzogiorno. Eravamo in cucina, seduti al tavolo da pranzo.
“Hai fame?” disse.
“Abbastanza”
“Cinese?” indicò il menù da asporto sul frigo.
“Temevo non me lo avresti mai chiesto”, scherzai. Lui rise e prese il telefono per ordinare. Dopo poco arrivò il nostro pranzo che decidemmo di mangiare in camera, tra una birra e un po’ di riso alla cantonese, ci mettemmo a guardare la tv.
Mentre alla televisione davano qualche programma stupido e io m’ingozzavo di riso notai che Chris era leggermente distratto, pensieroso.
“Ehi, sei ancora preoccupato?” dissi.
“Oh, no, no” alzò lo sguardo dal suo cibo e mi guardò “ho solo un po’ la testa altrove”, rispose.
“E dove ce l’hai, di preciso?”
Lui si avvicinò a me e mi mise un braccio sulle spalle, sospirando.
“Minka mi ha mollato con una telefonata stamattina”
“Ah, Chris mi dispiace” mi dispiaceva?
“La cosa che mi fa incazzare, oltre al modo, è il momento…”, riuscivo a sentire il suo nervosismo attraverso i muscoli leggermente contratti e a vederlo dalla mascella serrata, “sai, quando credi che qualcuno tiene a te e vedi che te lo dimostra mollandoti proprio nel momento del bisogno, non puoi fare a meno di sentirti preso per il culo”, mi disse, “sono felice che tu sia qui”.
Io mi sentii le guance e la punta delle orecchie riscaldarsi, e le gambe tremare. Ringraziai di essere seduta, in quel momento.
“Per te, sempre” dissi sorridendogli.
In quel momento, Chris mi guardò negli occhi. Eravamo a pochi centimetri di distanza, il mio naso quasi sfiorava il suo. La stanza s’impregnò di un’atmosfera surreale, carica di aspettative (da parte mia, ovviamente), di speranze e di sogni.
*driiiiiiiiiiiin* *driiiiiiiiiiiiiin*
Il campanello suonò e il rumore giunse alle nostre orecchie dal salotto. Chris si allontanò di scatto e si alzò. Io mi ritrassi e mi sedetti con le ginocchia al petto. Mentre Chris era ad aprire la porta, probabilmente alla madre, rimasi seduta, confusa ed emozionata.
Cosa stava succedendo?
Sentii la voce di Lisa dal salotto e pensai sarebbe stato maleducato rimanere in camera, così, uscii.

“E a che ora?”
“Il dottore mi ha detto di poter andare lì alle 10 del mattino”, Lisa stava scrivendo qualcosa su un foglietto, che attaccò con un magnete al frigo. Era una donna molto elegante, si vedeva fosse stata una ballerina, come si vedeva dai tratti dolci del viso e la carnagione mediterranea, le sue origini italiane.
“Andiamo io e te?” chiese Chris appoggiandosi al mobile della cucina e guardandomi di sfuggita.
“Certo, la tua amica Martin?” chiese Lisa notandomi.
Chris, rivolgendosi a me “Vuoi venire a prendere Bob?”
“Oh no, se non è un problema… posso rimanere e cucinare qualcosa, così quando tornate non dovete lavorare” dissi imbarazzata.
“Sei dolcissima, è una bella idea, però mi raccomando, poco sale, poco burro… poco tutto… Bob non deve mangiare cose troppo grasse e tutto il resto, il colesterolo è una vera e propria piaga” disse Lisa.
Io annuii. Chris sorrise e si scostò dal mobile.
“Andiamo a comprare qualcosa?” chiese guardandomi.
“La lista della spesa è lì”, disse Lisa indicando un post-it.
“Oh, certo, sistemo in camera prima” dissi. Chris mi seguì, “Ti aiuto”.
 
----------------
 
Riordinato in camera, uscimmo e, con la Ford nera dei genitori di Chris, andammo all’alimentari della città.
La lista della spesa era abbastanza breve e nel giro di venti minuti avevamo preso tutto. Andando verso la cassa, mi fermai davanti ad un espositore di cartoline e biglietti.
“Ne vuoi prendere uno a tuo padre?” dissi.
Chris aveva in mano il cestino della spesa e camminava vicino a me quando mi fermai all’improvviso. Si arrestò e si voltò. Iniziai a girare l’espositore alla ricerca di qualche biglietto di bentornato o di pronta guarigione. Ne tirai fuori uno con il disegno di una Ferrari in pista e con in mezzo scritto “Rimettiti in corsa!”. Glielo feci vedere ridendo “allora?”.
Lui rise, “glielo dai tu però!” disse prendendomelo dalle mani per osservarlo.
“Sei tu suo figlio, il mio ero un suggerimento”, risposi.
“E’ un suggerimento carino” mise il biglietto nel cestino che nel frattempo aveva poggiato a terra.
Io stavo continuando a girare l’espositore per vedere se c’erano altri biglietti carini. Chris si mise davanti a me, per vedere dall’altro lato dell’espositore. Notai, però, che non stava guardando i biglietti, ma me. 

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Capitolo 29
*** Il bacio ***


CAPITOLO 28 – IL BACIO
 

 
Continuavo a guardare i biglietti quando notai lo sguardo di Chris. Si posava su di me e non mi lasciava un istante. Alzai, così, gli occhi. Lui non smise di guardarmi.
Io arrossi e sorrisi, “che c’è?”, domandai imbarazzata.
Lui si avvicinò a me. Non disse nulla, assolutamente nulla. Mi prese il viso fra le mani e lo avvicinò al suo. Sentii il suo respiro caldo sulle mie labbra, le sue mani forti e decise mi accarezzarono le guance, poi… mi baciò.
Non riuscii a capire nulla. Era tutto surreale e confuso. Persi la cognizione del tempo e dello spazio. Quello che provavo in quel momento era indescrivibile, nulla a che vedere con tutte le altre sensazioni passate.
Smise di baciarmi e si allontanò, con lo sguardo un po’ preoccupato e intimorito.
Io lo guardai, sorpresa e di stucco.
“Scusami… non riuscivo più a trattenermi” disse abbassando lo sguardo.
Io risi, “se non l’avessi fatto tu… l’avrei fatto io, prima o poi…” dissi imbarazzata.
Lui mi guardò sorpreso. Che non si aspettasse che io provassi qualcosa per lui? Ero stata così brava a nasconderglielo?
“davvero?” domandò.
“davvero…” ammisi.
“E’ solo che, ora mi sembra così sbagliato”, disse.
A quelle parole, mi sembrò che una voragine si fosse aperta sotto i miei piedi e che stessi iniziando a precipitare.
“Sbagliato? Perché?” chiesi.
“E’ stato affrettato, impulsivo e stupido… non voglio rovinare il rapporto che si è instaurato fra noi. Non solamente perché in questo momento mi sento fragile” disse, “sono appena stato mollato, mio padre è andato in ospedale e mi sembra di dare sempre così tanto senza mai ricevere nulla…”
Io non capii. Che intendeva? Iniziai a temere che quel bacio per lui non significasse nulla e che stesse semplicemente facendo ciò che io avevo fatto fino ad allora: usare qualcuno per dimenticare qualcun altro. Forse era solo affranto e cercava conforto. Non mi voleva davvero.
Io annuii, indietreggiando. “Sì, certo… hai ragione” dissi distrutta.
“Sicura?” chiese avvicinandosi.
Io continuai ad allontanarmi e gli voltai le spalle. “Sicurissima” dissi andando alla cassa.
Chris tirò su la spesa e mi seguii. Rimanemmo in silenzio in fila così come durante il viaggio di ritorno a casa, finché non accostammo.
“Martin, parlami”, disse Chris girandosi a guardarmi.
Io non ricambiai lo sguardo e continuai a fissare il vuoto davanti a me.
“Cosa vuoi sentirmi dire?” chiesi.
“Qualsiasi cosa…” rispose abbattuto.
“Torno a Los Angeles”, dissi aprendo la portiera e uscendo.
Chris scese di fretta dall’auto “Cosa!? Andiamo possiamo almeno par…” non ebbe tempo di finire la frase che bussai e sua madre mi aprì. Io le sorrisi e salutandola entrai per andare a prendere la valigia.
Non mi tolsi neanche la giacca, la valigia era ancora chiusa quindi non dovetti sistemare nulla. La presi e me ne andai.
“Cara ma come mai vai via così di fretta?” mi chiese Lisa dispiaciuta.
“C’è stato un imprevisto a Los Angeles e devo assolutamente tornare… mi dispiace molto!” dissi mentendo e cercando di andarmene il più velocemente possibile. Chris nel frattempo era rientrato con la spesa e mi guardava. Io non riuscii a guardarlo in faccia e uscii di casa senza salutarlo.
Sua madre probabilmente aveva intuito qualcosa.
Chris uscì. “Posso almeno accompagnarti all’aeroporto?” disse.
Io lo ignorai e continuai a camminare. Non me ne fregava nulla. Non volevo sentirlo, ne’ vederlo.
 
Camminando, cominciai a pensare a quanto fossi stata stupida e a quanto il karma piacesse divertisti. Dopotutto, me lo meritavo. Non avevo la certezza che Chris si stesse comportando come avevo fatto io, ma era ciò che aveva lasciato intendere e a me come messaggio bastava eccome. Cominciai a guardare su internet un biglietto di ritorno per LA e poi scrissi a Blake, aggiornandola sull’accaduto. A Londra dovevano essere circa le cinque del mattino, non mi aspettavo una risposta.
Era andata così, io ci avevo provato e avevo perso. Dovevo solo rialzarmi, una volta per tutte.
 
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Prima di partire chiamai James e gli chiesi si poteva venire a prendermi all’aeroporto.
Quello fu il viaggio più triste che io avessi mai fatto. Passai ore a fissare fuori dal finestrino a pensare a tutto e a niente. Quando atterrai a LA, mi sembrò di respirare allo stesso tempo aria nuova ma abusata. La sensazione era totalmente diversa dalla prima volta che scesi dall’aereo a 17 anni. Questa volta ero matura e priva di aspettative. Pensavo solo che una volta a casa avrei dovuto chiamare l’agente e iniziare a darmi da fare per la mia carriera, seriamente.
 

 
Bambi!”, sentii la voce del mio dolce James provenire dalla folla di gente che entrava in aeroporto.
“James!” esclamai andandolo ad abbracciare.
“Come andiamo? Perché sei già tornata?” chiese preoccupato.
“Ero a Londra e dopo essermi fatta Tom Hiddleston mi ha chiamato Chris dicendo che suo padre è stato male e, come un’idiota, ho pensato che sarebbe stato bello se fossi andata a porgergli il mio supporto morale… così sono partita per il Massachusetts e da brava amica sono stata vicino a Chris. Ma è sorto un problema quando mi ha baciata”, raccontai.
“C…cosa? Aspetta, tra il fatto che ti sei fatta uno a caso e che il tuo cosiddetto migliore amico ti abbia baciato mi lasci perplesso Bambi, e anche geloso!” disse scherzando.
“Sono confusa e perplessa quanto te… il fatto è che, devo ammetterlo, credo di essere piuttosto presa da Chris ed evidentemente non solo per amicizia… il problema è che Chris mi ha baciata probabilmente solo perché è appena stato mollato e si sentiva giù… un po’ la stronzata che ho fatto io con Ryan… e con Tom, credo…”, dissi mentre lasciavo che James mi aiutasse con le valigie e iniziavamo a dirigerci verso la sua auto.
“Che merda… facevi meglio a rimanere con me” disse accendendosi una sigaretta mentre camminavamo.
“A volte lo penso” dissi.
Lui mi guardò e dopo qualche istante scoppiammo a ridere.
“Okay, okay… non dureremmo” dissi continuando a ridere.
“Devi lasciar perdere questi drammi del cazzo” disse tornando serio, “sprechi tempo, energie e soprattutto perdi di vista il punto della situazione”
“E sarebbe?”
“La tua felicità”, era così intelligente, quel ragazzo mi sorprendeva per la sua bipolarità, sapeva essere il cazzone più stupido del mondo e la persona più sensibile allo stesso tempo.
“La fai facile”
“Lo è più di quanto tu non pensi, Martin. Smettila di cercare di essere amata, non ha senso… datti da fare per riuscire ad amare te stessa, che è meglio… si vede che hai smesso di nuovo di mangiare” indicò la mia maglia larga, “non cadere di nuovo in quella voragine”.
Io annuii, “hai ragione…”
Salimmo in auto.
“Ho deciso di chiamare quell’agente… mi darò da fare, promesso” dissi a James una volta partiti.
“Brava”, rispose, “e riprendi a mangiare come si deve” mi disse scocciato.
Io risi “lo farò, papà James”
Lui mi lanciò uno sguardo malizioso “daddy James?” rise, “quando stavamo insieme non mi ci volevi chiamare così, birichina”
Scoppiai a ridere “ma piantala, pensi sempre male!”
“E’ divertente… alle volte…” mi sorrise, “adesso, ti lascio a casa?” mi domandò.
“Sì grazie, le altre sono ancora a Londra, quindi non devo andare da nessun’altra parte…”
“Agli ordini signorina”
Continuammo il nostro piccolo viaggetto in auto e una volta arrivati a casa mia lo ringraziai per il passaggio e lo salutai.
Entrai in casa, casa dolce casa, pensai. Fino a che non vi entrai, non avevo ancora capito quanto mi mancasse. Lanciai la valigia in camera e corsi in bagno a fare una lunga doccia. Volevo lavare via non solo lo sporco, ma anche i pensieri.
Dopo la doccia chiamai la mia nuova agente. Mi aveva già trovato qualche provino e si era resa disponibile e mostrata capace e affidabile. Questa storia dell’agente comincia a piacermi, pensai.
Mi feci un tè, pensando di voler cenare solo con quello. Poi però pensai a James e se lo aveva notato lui che cominciavo ad avere un aspetto un po’ malsano, era abbastanza evidente. Così optai per una cena più consistente. Il frigo era piuttosto vuoto e dovetti ordinare una pizza.
Mi piazzai davanti al televisore e mi guardai un film.
Cominciamo a far girare le cose per il verso giusto, pensai, fino a che non mi addormentai, non facendo caso al film. 

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Capitolo 30
*** E poi...? ***


CAPITOLO 29 – E POI...?
 
Era ormai il 2014, avevo recitato finalmente per il mio idolo e amico, Wes Anderson. Mi aveva dato un ruolo di protagonista nel suo ultimo film “The Grand Budapest Hotel” e l’esperienza era stata surreale. Vivere per qualche mese all’interno di quel mondo che tanto mi faceva sognare era stato inconcepibilmente fantastico. Quando ero sul set, mi dimenticavo di tutto e di tutti. C’ero solo io e il mio personaggio, riuscii a creare un tutt’uno con esso e a sentirmi libera.
Io e la mia agente, Lucy, eravamo diventate molto unite, una grande squadra. Lei mi procurava tantissimi provini e io mi impegnavo al 101% per passarli tutti e guadagnarmi il mio ruolo nel film.
In tre anni presi parte a numerosissime pellicole e la mia filmografia si espanse, così come la mia notorietà, la mia autostima e il mio portafogli.
Per fortuna e stranamente, questo non mi diede alla testa, anzi. Mi aggregai a molte cooperative e associazioni non profit e di sensibilizzazione a diversi temi sensibili come l’alimentazione e le malattie che la riguardano, ma anche ad associazioni di volontariato.
Mi appagava sapere di poter far parte della società in modo costruttivo e non solo perché piacevo a Woody Allen piuttosto che a David Fincher.
Ero diventata apprezzata anche dal mondo dell’editoria, della fotografia e della moda, se pur con il mio metro e cinquanta. Farmi vedere sulle copertine con un abito di un certo stilista faceva vendere e anche una gran bella pubblicità.
Ormai ero a mio agio davanti alle telecamere dei giornalisti, così come lo ero davanti ad un obiettivo.
In quegli anni, decisi addirittura di fondare una mia associazione di sensibilizzazione alle caratteristiche della femminilità. Misi in mostra il mio corpo, pieno di difetti e ferite di guerra, al naturale, senza ritocchi, per mostrare come e quanto una donna possa essere bella e difettosa allo stesso tempo. E, soprattutto, che non serviva essere un’attrice o una modella: perfetto non lo era nessuno.
Con mia grande sorpresa, trovai appoggio in tantissime colleghe e quella che mi destabilì più di tutte fu Angelina Jolie. Si sa, che a lei queste cose piacciono.
 
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Ora voi, vi starete chiedendo… E Chris Evans?!?!
Beh… Con Chris è tutta un’altra storia. Voi siete fermi al 2011: Chris che mi bacia, Chris che mi rifiuta e Martin che se la svigna depressa.
Ma cos’è successo poi?
Torniamo un attimo indietro:
 
Al ritorno dal mio viaggio in Inghilterra e poi nel Massachusetts, le cose erano piuttosto complicate. Avevo cominciato a darmi da fare e a sistemare la mia vita. Ero determinata, forte, decisa e di nuovo in carreggiata.

Cazzata.
Tornata a casa tutto era difficile e grigio. Sì, forse che mi stessi dando da fare era vero. Ma che la mia vita era movimentata e allegra proprio no.
Non mancavano le piccole gioie e soddisfazioni. Piacevo ai provini, piacevo ai registi così come ai produttori. James era sempre al mio fianco e senza di lui non sarei riuscita ad affrontare il mondo di squali e di avvoltoi che è lo show business. Blake e Vanessa, tornate da Londra, rimasero perplesse dal mio racconto su Chris. Ma nulla di grave. Tutto tornò al suo posto, loro continuavano a essere le mie migliori amiche.
Blake, un anno dopo Londra, si sposò con Ryan. Le feci da damigella insieme a Vanessa e Scarlett. La cerimonia fu stupenda, quasi quanto lei.
Vanessa continuò la sua storia con Austin e Scarlett si sposò con un giornalista, anche se la cosa non fu destinata a durare molto, seppure avessero dei figli.
Chris… beh, Chris fece una cosa assurda, stupida e inaspettata.
 
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Dopo una settimana dal nostro insensato, inconcludente, bacio, i miei sentimenti per Chris erano completamente soffocati e repressi nel profondo del mio cuore. Mi ero messa l’anima in pace, avevo avuto la conferma della sua indifferenza ed ero a posto con me stessa e con lui.
 
Una sera mi ritrovai a guardare un film alla tv, insieme al mio nuovo cucciolo. Dopo l’avventura londinese decisi di adottare un cane che chiamai Joy. Fu un toccasana per il mio umore, mi ricredetti del tutto sulla “pet-terapy”, della quale ero un po’ scettica.
Era ormai mezzanotte quando, quasi addormentata, sentii un rumore provenire dalla finestra e sobbalzai. Qualcosa stava battendo ripetutamente contro il vetro. Joy cominciò ad abbaiare ed io mi alzai dal divano, spaventata.
Mi avvicinai piano alla finestra, scostando la tenda e quello che vidi mi lasciò completamente senza parole.
 
Chris, completamente ubriaco, che lanciava sassolini alla mia finestra.
Io la aprii: “ma che diamine stai facendo?!” gridai, “non vivo in appartamento… potevi bussare!”
“mi sembrava più romantico così… tipo film d’amore da due soldi…” disse sbiascicando le parole.
“smettila di fare lo stupido…”



“Ti amo Martin” disse arrampicandosi sulla mia ringhiera.
“ma sei matto? Non riesci a stare in piedi e ti arrampichi?” uscii di casa, in pigiama, per andare ad aiutarlo.
“Ti amo, ti amo … da impazzire, sono un coglione, non puoi capire come mi sia sentito quando sei partita”
“piantala, vieni dentro” dissi tirandolo giù dalla ringhiera, con il cuore a mille.
“Martin per favore, ascoltami, smettila di ignorare quello che dico”, si era appoggiato alle mie spalle, mentre lo trascinavo in casa per poi buttarlo sul divano.
Joy gli saltò addosso, per annusarlo.
“Sì Joy, puzza di alcool” dissi rivolgendomi al cane.
“Sì, ho bevuto… ma quello che dico è vero”
“Lo immagino, lo hai dimostrato molto bene… soprattutto dopo il tuo silenzio stampa di una settimana e un bacio da stronzo” risposi, sapendo che il giorno dopo avrebbe dimenticato tutto.
Lui cercò di sedersi, ma riuscì solo a ribaltarsi sulle sue ginocchia.
“Se vomiti sul mio tappeto ti spezzo in due…” dissi.
Lui si ributtò sul divano e tacque.
Si stava per addormentare, così gli sfilai la giacca e le scarpe e gli poggiai una coperta. Non mi accorsi di essere rimasta a fissarlo. Era così bello, e così scemo.
Mi lasciai scappare un sorriso e mi voltai per andare a dormire. Joy mi seguì di corsa.
 
 
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Il mattino dopo mi svegliai un po’ preoccupata per quello che sarebbe successo con Chris. Scesi le scale con Joy tra i piedi e lo trovai nella stessa posizione della sera prima. Stava ancora dormendo.
Andai al bar dietro l’angolo a comprare due caffè, una brioche e mi fermai in farmacia a prendere delle aspirine. Le avevo finite e sapevo che sarebbero servite senz’altro a Chris.
Rientrai in casa e il rumore della porta lo svegliò.
Aprì piano gli occhi e si guardò attorno, per poi buttarsi una mano in faccia sussurrando “merda…”.
“merda anche a te”, dissi sorridendo.
Lui cercò di alzarsi e si massaggiò la testa. Io gli passai a fianco, lasciando le aspirine sul tavolo e un bicchiere d’acqua. Lui non aveva il coraggio di guardarmi in faccia.
Io mi sedetti al tavolo a mangiare la brioche e a sorseggiare il caffè, in attesa di qualche segnale di vita da parte sua. Io non avevo assolutamente nulla da dirgli, era lui che era piombato in casa mia gridando di amarmi.
Dopo qualche minuto riuscì finalmente ad alzarsi e mi raggiunse al tavolo. Si sedette affianco a me e iniziò a mescolare lo zucchero al suo caffè. Io finsi indifferenza e continuai la mia colazione come se nulla fosse.
Intanto Joy era tornato ad annusare Chris. Lui si chinò e iniziò ad accarezzarlo, Chris amava i cani e anche nel post sbornia non poteva resistere.
“E’ adorabile, hai fatto bene a prenderlo, farà sicuramente amicizia con Dodger” disse. Io gli sorrisi, ma non dissi nulla, “Cazzo Martin, scusami… sono un idiota, lo so”
“Per fortuna lo sai…”
“ho cercato di dimenticarti, ho cercato di non pensare alla cavolata che ho fatto nel baciarti e nel lasciarti andare, credendo di non provare davvero quello che a quanto pare è amore…”
“non eri tu quello che mi faceva tutte quelle ramanzine su cosa è o non è l’amore quando stavo con James e poi con Ryan? E ora fai queste cose?”
“finché non ci sei in mezzo non lo capisci, immagino…”
“Già”
“Già…”
Un imbarazzante e interminabile momento di silenzio. Chris si alzò.
“Io... vado” disse.
È così che avrebbe combattuto? Pensai.
Ritenni che sarebbe stato brutto lasciarlo uscire da solo, mi sforzai di fingere un interesse ospitale e cordiale nell’accompagnarlo fuori.
 
Uscimmo e mi fermai sulla porta mentre lui iniziò a scendere le scale.
Stavo per voltarmi quando lo vidi immobilizzarsi. Mi fermai e aspettai. Lui si girò e mi guardò. Quei due scalini che aveva sceso, li risalì con un passò e arrivò in breve a me.
 

 
“Devi perdonarmi” disse, senza se e senza ma.
Devo?”
Devi.”
“E perché dovrei?”
“Perché se continuiamo a fare così, butteremmo via la cosa più bella che potrà mai capitarci nella vita. O almeno, io butterei via la cosa più bella che mi è capitata e che potrebbe capitarmi… te”
Non riuscii a trattenere un sorriso e le guance mi andarono a fuoco.
“perdonami, perdonami e ricominciamo da zero”, disse allontanandosi e scendendo le scale. Di corsa, le risalì per l’ennesima volta, porgendomi una mano.
“Sono Christopher” disse.
Io scoppiai a ridere, “piacere… sono Martin”
“Hai un nome splendido, così europeo… sai che qui è un nome maschile?” era così dannatamente adorabile.
“Ti ringrazio… credo?” risposi continuando a ridere.
“E il nome non sembra essere l’unica cosa bella che hai. Sei stupenda” disse avvicinandosi a me, guardandomi negli occhi, “e io sono un tale idiota… ma saresti pazza a non dare una possibilità ad un idiota come me”
“e cosa ci guadagno?” dissi
“guadagni l’ennesimo stupido con cui avrai avuto una relazione…” mi prese una mano, continuò ad avvicinarsi, “ma spero di essere l’ultimo”… e mi baciò.

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Capitolo 31
*** Tu mi fai felice (FINE) ***



 
Quel bacio fu tutto quello che il precedente non era stato. Mi aveva preso tra le sue braccia, mi stringeva a sé e tutta quella timidezza e indecisione che avevo percepito la prima volta erano scomparse. Dal linguaggio del corpo capii come davvero desiderasse non lasciarmi andare. Gli poggiai le braccia attorno al collo e mi lasciai trasportare dalla sua passione.
“Io questo lo prendo come un sì”, disse allontanandosi di poco dal mio viso e guardandomi negli occhi.
“A cosa, esattamente?” chiesi sorridendo.
“Lo prendo come un sì, ti ho perdonato Chris” rispose accarezzandomi i capelli e portandomeli dietro l’orecchio. 
“Sai bene quanto me che sarebbe stato impossibile da parte mia non perdonarti” gli dissi scoprendo tutte le carte in tavolo. Una volta per tutte, volevo dire le cose come stavano.
“Ah sì? Perché dovrei saperlo?”
“Beh, non è evidente? È dalla prima volta che ti ho visto che non mi sei indifferente… ho maturato un sacco di diversi sentimenti per te, ma non te ne sei mai andato dalla mia testa”
Lui sorrise, come se gli avessi fatto chissà quale complimento.
“Cos’hai da ridere?” chiesi.
“Mi rende felice saperlo” mi rispose continuando a sorridermi, “mi rendi felice tu, dal primo momento che ti ho conosciuta”
“Abbiamo avuto qualche problema di… tempistica” gli dissi ridendo.
“Nulla che non si possa risolvere” e mi baciò.
“Forse è il caso di rientrare” dissi guardando la mia vicina che ci guardava incuriosita.
Scoppiammo a ridere ed entrammo in casa. Lui si tolse la giacca e la appese all’attaccapanni. Joy era sul divano, che lo osservava. Io mi avvicinai, lo aspettavo e lo volevo da troppo tempo per poter aspettare. Crediate sia una facile? Forse… ma intanto sono felice. Almeno per ora.
Gli sfilai la maglia e lui, leggermente sorpreso ma allo stesso tempo entusiasta, mi cominciò a baciare. Non ci dicemmo nulla, le parole non servivano. Avevamo parlato fin troppo con le parole e troppo poco coi sentimenti. Era quello di cui entrambi avevamo bisogno e ciò di cui entrambi avevamo paura. Mi sfilò la camicia da notte bianca di raso. Sotto non avevo nulla se non le mutande. Mi prese in braccio e il mio petto, a contatto col suo, sussultò. Mi portò in camera e mi lasciò cadere dolcemente sul letto.
Quel momento, che tante volte mi ero immaginata, era reale, e non poteva essere migliore.
La luce del mattino entrava dalla finestra e cadeva sul pavimento vicino al letto, a illuminare i nostri vestiti. Eravamo nudi non solo di questi, ma anche di tutte le nostre paure, insicurezze e difetti. Era la prima volta che un sentimento così forte per qualcuno, si mescolava con la passione di quel sesso che Carrie Bradshaw definirebbe “buon sesso”. Sapeva esattamente cosa e come farlo, riuscendogli nel più naturale dei modi.
 

 
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“Quel che ti ho detto ieri sera…” disse abbracciandomi nel letto, “lo penso davvero, anche se forse è prematuro… ma credo di amarti”
Io mi voltai e gli passai una mano sul viso, accarezzandolo e guardandolo negli occhi. A guardare quel viso, così rassicurante e familiare, non potevo che pensare anch’io, ti amo da impazzire.
“Potrei crederlo anch’io”, risposi dandogli un bacio sulla punta del naso.
Joy, intanto, era rimasto buono in salotto fino a che non decise di irrompere nella stanza e saltare sul letto, correndo proprio fra me e Chris. Lui scoppiò a ridere e cominciò a giocare col cucciolo.
Una volta contento dell’attenzione ricevuta, Joy andò a stendersi ai piedi del letto, lasciandoci spazio.
Chris cominciò a guardarmi, abbozzando un sorriso compiaciuto.
“Sei così dolce e forte allo stesso tempo, ho paura di non reggere il confronto” disse.
Io, un po’ basita, non sapevo come rispondere. Lui  si sentiva di non reggere il confronto? E io cosa dovevo dire? Una donnina in miniatura che non sapeva mantenere un peso stabile, figuriamoci una relazione con un uomo così perfetto.
“Non ci sono confronti, solo collaborazioni” dissi sorridendo e sedendomi a cavalcioni su di lui.
“Se me lo dici così non posso che darti ragione”, rispose alzandosi e tornando a baciarmi.
 

 
________________
 
È così, che cominciammo a passare le giornate: cercando di fare affidamento uno sull’altra, essendo sinceri e più diretti. Quell’amicizia che c’era fra noi non se n’era andata, anzi, rendeva la relazione più stabile che qualsiasi altra.
Mi aveva presentato tutti i suoi amici con l’ufficiosissimo ruolo di “la mia ragazza” e non c’era una volta che non mi facesse tremare le gambe. Blake e Vanessa erano felicissime quando dissi loro cosa fosse accaduto e James, se pure un tantino titubante, cercò di mostrarsi favorevole.
A Chris non faceva piacere che io continuassi a essere amica di James, ma era una cosa su cui non avrei potuto transigere. Purtroppo, sapevo anche che lo faceva ingelosire e stare male, anche perché sapeva tutta la storia e tutto quello che era successo fra noi. Decisi così di limitare i miei incontri con James a semplici chiacchiere fra amici, meglio se in presenza di Chris.
D’altra parte, io dovevo sopportare il fatto che fosse un cosiddetto “sex symbol” e che moltissime ragazze non appena lo vedevano gli morivano ai piedi.
A ognuno il suo, no?
Fatto sta che le cose non potevano andare meglio. Tutto era assolutamente perfetto.
Dodger e Joy erano diventati grandi amici e passavano tanto tempo assieme quanto lo facevamo io e Chris, per dieci fantastici mesi insieme.
 
Probabilmente, tutto ciò di cui entrambi avevamo bisogno era di tempo e soprattutto tempismo. Il destino, il fato, il caso, la fortuna o chiamatelo come vi pare, qualsiasi cosa essa sia, ha voluto farci conoscere ma non ha voluto farci avere al primo “ciao”. Siamo diventati l’uno dell’altra col tempo, con un po’ di sofferenza e con qualche incomprensione. Tutto quello che si ritiene necessario per far si che una persona possa dire di conoscerne un’altra sul serio. Chris era ciò che mi rendeva felice e completa a tutti gli effetti e io lo ero per lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao lettori! <3
Da quel che ho potuto vedere, un certo numero di persone ha letto la mia storia e la maggior parte dei capitoli. Non ho ricevuto recensioni quindi non posso sapere se la vostra impressione è stata negativa o positiva. In testa avevo l’idea di creare una nuova storia… un: “la vita così come accade pt. 2”, dove racconto solo ed esclusivamente della vita tra Martin e Chris.
Indipendentemente dai feedback che potrei come no ricevere, vedrò se farlo.
Nel frattempo, vi lascio questa piccola storiellina fantasiosa sul nostro bel Chris che spero vi piaccia!
Un bacione da Candy J

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