Incontriamoci in questa vita

di Huilen4victory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due (prologo) ***
Capitolo 2: *** 2.1 ***
Capitolo 3: *** 2.2 ***
Capitolo 4: *** 2.3 ***
Capitolo 5: *** 2.4 ***
Capitolo 6: *** 2.5 ***
Capitolo 7: *** 2.6 ***
Capitolo 8: *** 2.7 ***
Capitolo 9: *** 2.8 ***
Capitolo 10: *** 2.9 ***
Capitolo 11: *** L'amore è un'illusione (interlude) ***
Capitolo 12: *** 2.10 ***
Capitolo 13: *** 2.11 ***
Capitolo 14: *** Zero ***



Capitolo 1
*** Due (prologo) ***


NDA: mi ero ripromessa di non pubblicare perchè ho decisamente troppa carne al fuoco. Ma non ho resistito e poi presto avrò più tempo a disposizione quindi non credo le mie storie ne soffriranno. Perciò abbiate fiducia in me. Aggiornerò sempre tutte le mie storie ;)
Comunque, dimenticatevi di Un mondo per noi due. Questo è tutto un altro viaggio!
Enjoy!





Let’s meet in this life- Incontriamoci in questa vita

Due (prologo)

 

“Puoi non andare, Namjoon. Potresti.”

Il maggiore era seduto pigramente sulla sedia. Si dondolava su di essa, spingendo ogni volta sempre più forte fino al limite, ma Namjoon sapeva che non sarebbe caduto. Era solo che Yoongi sembrava non poter fare a meno della sensazione di precarietà.

Una boccata di fumo colpì il suo viso e Namjoon cercò di non arricciare il naso. Si conoscevano da due anni, da quando Namjoon aveva avvicinato il quindicenne Yoongi che aveva appena fatto la sua prima apparizione sul palco, ma ancora non riusciva ad abituarsi alle abitudini poco salutari del suo amico. Si ricordava come al tredicenne sé stesso Min Yoongi era sembrato il massimo. Due anni dopo lo considerava ancora il massimo anche se con maggior ragione e più buon senso. Quel lasso di tempo gli erano infatti serviti per sviluppare a sua volta una discreta dose di esperienza e capire cosa poteva considerarsi buono e cosa da buttare, anche se aveva una lunga strada davanti a sé e molto ancora da imparare. O almeno così aveva creduto.

“Sai che non posso,” Namjoon aveva detto con irritazione. Yoongi gli aveva lanciato un’occhiata di traverso, con quel suo sguardo penetrante che sembrava trapassarlo da parte a parte. Si trovavano nel garage che il locale metteva a disposizione degli artisti per fare loro le prove prima delle esibizioni. Yoongi era in ottimi rapporti con il padrone del locale e questi quindi gli lasciava usare quel ripostiglio per registrare i suoi pezzi. Era una stanzetta piccola e male illuminata. Era il loro rifugio e, per quanto angusto e desolato, era l’unico posto in cui entrambi riuscivano a respirare.

“Potresti.”

“No, non potrei. Lo sai benissimo hyung. Non importa cosa pensi o cosa voglia nella vita, non si sfugge alle leggi di questo mondo per quanto sbagliate esse siano.”  Namjoon disse con amarezza.

“Sai, ho sempre pensato che si fossero sbagliati a darmi lo status di numero due.” Namjoon continuò sarcastico. “Però me ne ero fatto una ragione, dopotutto essere numeri due aveva i suoi lati positivi, potevo dedicarmi alla musica senza temere che qualcuno potesse sbarrarmi la strada. Avrei dovuto prevedere che le cose non sarebbero andate lisce. Doveva esserci la fregatura da qualche parte.” 

La sedia di Yoongi sbattè rumorosamente sul suo posto e solo allora questi si diede la pena di dedicare la sua attenzione a Namjoon.

“Se ti fa sentire meglio, ho sempre pensato tu fossi sprecato come musicista,” Yoongi commentò facendo spallucce.

“Hyung!” esclamò Namjoon sgonfiandosi come un palloncino. Yoongi si lasciò sfuggire una risata lugubre. “Come Kim potresti arrivare laddove noi comuni mortali non potremmo arrivare mai, ti si aprirebbero un sacco di porte e con le doti e il tuo cervello potresti davvero arrivare lontano. Chi lo sa, magari un giorno avrai l’autorità di cambiare l’algoritmo.” Il maggiore commentò e Namjoon non sapeva se faceva sul serio oppure no. Yoongi aveva sempre avuto un pessimo senso dell’umorismo.

“Come se fosse possibile. Tutti i sistemi mondiali in tutte le società della storia si sono retti sull’iniquità. Il problema non è l’algoritmo Yoongi.” Namjoon disse serio.

Yoongi sospirò. “Sto cercando di vedere il lato positivo qui, potresti darmi una mano, sai.”

“Non c’è alcun lato positivo.” Namjoon sbuffò. Yoongi scoppiò in una grossa risata e quasi rotolò per terra.

Namjoon alzò il sopracciglio e lo guardò perplesso.

“Come hai ragione.” Yoongi disse con la sua voce bassa.  Fu la volta di Namjoon di squadrarlo. C’era un motivo per cui all’ingenuo giovanissimo Namjoon, che era entrato di nascosto dalla porta sul retro del locale, Yoongi era sembrato il massimo. I suoi testi erano sconnessi, le sue rime non sempre brillanti e il suo difetto di pronuncia evidente ma c’era qualcosa nei testi del maggiore e nella sua presenza sul palco che ti colpivano come un pugno sullo stomaco. Era la crudità dei suoi sentimenti, messi per iscritto affinché tutti potessero vederli che ti lasciavano senza fiato. In quei due anni Namjoon aveva cercato di comporre il puzzle, non era poi così difficile bastava seguire gli indizi che il suo hyung lasciava tra le rime delle sue canzoni, tuttavia non aveva mai avuto il coraggio di affrontare l’argomento con lui.

Parlavano d’amore le canzoni di Yoongi, di un amore da disperati, da ubriachi, i suoi sentimenti erano come alcool che ti brucia la gola quando lo ingerisci, eppure non puoi farne a meno. Un amore che urlava solitudine fin nelle viscere anche nelle sue note più leggere.

Namjoon ne aveva dedotto che quali fossero le motivazioni del suo amico, e lui aveva svariate teorie al riguardo, entrambi trovavano il proprio cosiddetto fortunato status, un fardello. Ed era stato questo, questo che glielo rendevano così caro. Yoongi lo capiva.

“Cosa faccio ora hyung?” Namjoon si prese la testa tra le mani.

Allora Yoongi si alzò, si avvicinò alla figura di Namjoon, accovacciata sul tappetto di quella stanza angusta che chiamavano studio, e gli posò con gentilezza una mano sulla testa. Namjoon pensò buffamente che quello sarebbe stato l’unico modo in cui Yoongi avrebbe potuto torreggiare su di lui, lui il gigante genio che dimostrava più anni di quelli che in realtà aveva. Pensò anche che il suo hyung sarebbe stata l’unica persona con cui d’ora in avanti avrebbe potuto essere sé stesso.

Yoongi non gli disse né “andrà tutto bene”, né “mi dispiace”, ma si limitò a stare lì con lui. 

“Beh mi dicono che il giovane Kim è molto attraente,” commentò sedendosi di fianco a lui.  Fu la volta di Namjoon di scoppiare a ridere.

“Da quando in qua l’aspetto importa per un numero due?” Namjoon chiese ironico. Yoongi gli lanciò un’ultima occhiata e poi gli offrì una sigaretta e Namjoon disse al diavolo e per quella volta la prese, anche se lui odiava il fumo.

Già, tu non sei un numero due qualunque, lo sguardo di Yoongi sembrava suggerirgli.  Non era auto celebrazione, era la verità, Namjoon sapeva di essere diverso. E i fatti di quegli ultimi giorni lo avevano dimostrato.

 

 

Una mattina di maggio una berlina scura si fermò davanti a casa sua. Namjoon non ci aveva fatto caso, stava ancora litigando con il cuscino e sua sorella maggiore stava cercando, senza successo, di svegliarlo quando sua madre era entrata in tutta fretta in camera e aveva tolto senza pietà le coperte dal suo corpo.

“Abbiamo visite. Namjoon, presto.”

Non era la prima volta che sua madre, scocciata, era venuta a svegliarlo personalmente, ma era stata la prima volta che aveva usato quel tono. C’era nervosismo nella sua voce, della tensione nella linea delle sue labbra e Namjoon sentì sparire il suo sonno di colpo. Aveva quindi scambiato uno sguardo perplesso con sua sorella ma lei era sembrata presa in contropiede quanto lui. Namjoon scivolò fuori dalle coperte e si diresse senza esitazioni a prepararsi in bagno. Aveva preso con sé la sua camicia migliore perché, dal modo in cui sua madre aveva pronunciato la parola “visite”, Namjoon ne aveva dedotto che doveva trattarsi di qualcuno di importante.

Nulla, ad ogni modo, aveva potuto prepararlo alla scena che lo accolse in salotto. Sua madre e sua sorella avevano apparecchiato la colazione con il migliore servizio di tè che possedevano e Namjoon sarebbe stato vagamente ammirato della prontezza delle donne di casa se non fosse stato che erano tutti seduti rigidamente su divano e poltrone e sembravano aspettare tutti, lui. Namjoon deglutì.

L’ultima volta che si era sentito così era stato quando sua madre a sei anni lo aveva portato da un dottore per quello che tutti credevano un problema di attenzione. Namjoon da piccolo era stato un bambino irrequieto a cui non piaceva seguire le regole. Si addormentava spesso in classe, si distraeva e aveva la snervante abitudine di fare troppe domande e mettere in discussione tutto e tutti, incurante delle conseguenze.

“Non ha senso mamma! Perché non possiamo essere tutti felici? Perché io dovrei essere più bravo di un numero zero?”

“Namjoon! Non parlare così!” Sua madre disse spaventata. Erano nel bel mezzo del parcheggio della scuola e il bambino a quanto pareva aveva avuto la sua prima lezione sulle anime gemelle.

“Ma mamma! Non capisco!”

“Non dire più queste cose Namjoonie. Mai! Promettimi che non lo farai!” Namjoon naturalmente a sei anni non aveva capito la gravità del suo punto di vista e sebbene avesse annuito per educazione, era intimamente convinto che gli altri si sbagliassero di grosso e che lui invece avesse ragione. Il sistema di anime gemelle faceva acqua da tutte le parti, come potevano le maestre insegnarlo come se fosse più esatto della matematica? Namjoon non capiva. Era come dire che due più due faceva cinque.

Gli avevano detto che la loro società era la migliore possibile. Che un sistema perfetto aveva permesso di assegnare un’anima gemella alle persone e questo le aveva rese meno sole e migliori. Queste persone erano i numeri due e Namjoon sapeva di essere anche lui uno di loro. Sua madre gli aveva sempre detto che c’era un amico speciale per lui e che prima o poi Namjoon lo avrebbe conosciuto e che doveva essere paziente e aspettare, perché ne sarebbe valsa la pena. Sua madre non aveva nominato i numeri zero però. Secondo la sua maestra i numeri zero erano un errore, delle persone che erano nate con un difetto e che per questo avrebbero solo vissuto una vita imperfetta. Erano uno scarto e come tali andavano trattati. Ed era stato allora che Namjoon aveva pensato che quello che la maestra diceva non aveva senso. Un sistema perfetto che faceva uno scarto? Un sistema perfetto non faceva scarti! E perché mai lui come numero due doveva essere migliore di qualcuno detto numero zero? In base a cosa? Il vicino della casa accanto aveva due macchine invece di una ma questo non lo rendeva migliore del papà di Namjoon! Più ricco forse, ma non migliore.

Naturalmente una volta che era tornato a scuola, Namjoon si era assunto il compito di correggere la maestra. Non andò molto bene e finì con una nota e una visita dalla preside. Sua madre era furiosa perché lui aveva disobbedito e la preside, che lo considerava un bambino problematico e poco brillante, lo aveva guardato come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in lui. Namjoon si era sentito malissimo.

I suoi genitori quindi, preoccupati, si decisero a consultare uno specialista. Tuttavia quello che sembrava essere una brusca svolta, finì invece col rivelarsi una scoperta felice. Si scoprì infatti che il motivo per cui lui non prestava mai attenzione in classe, e per cui non voleva fare i compiti, era perché in realtà si annoiava a morte. E il motivo per cui faceva tante domande era perché aveva un’insaziabile sete di sapere. Aveva un quoziente intellettivo al di sopra della media e questo lo rendeva un bambino più incline all’introspezione e alla riflessione. Era naturale che le lezioni di prima elementare risultassero fin troppo facili per un bambino che sapeva leggere al livello di un alunno di quarta. Fu deciso allora che, attestato il suo livello, Namjoon sarebbe stato spostato nella classe più adatta. Era stato con stupore, orgoglio e una buona dose di preoccupazione che i suoi genitori appresero che avrebbero dovuto iscrivere il loro brillante figlio almeno quattro classi più avanti.

Fu allora che i suoi genitori presero la decisione più importante per il futuro del loro figlio.

Namjoon era intelligente, spiccava prepotentemente tra i suoi coetanei ma questo significava che, allo stesso tempo, non aveva un posto tra loro. Non volendo sconvolgere la vita sociale di un bambino che sebbene intelligente a quell’età aveva bisogno di giocare e di farsi delgi amici, i suoi genitori lo cambiarono di scuola e decisero di limitarsi alla terza elementare. Namjoon era un bambino alto per la sua età, poteva facilmente passare per un bambino di terza un po’ piccolo. Fecero promettere a Namjoon che avrebbe comunque fatto del suo meglio per seguire le lezioni e gli insegnarono l’importanza di seguire le regole,  anche quelle che Namjoon considerava “troppo stupide per essere vere.”

La scelta dei suoi genitori risultò vincente, Namjoon ebbe un’infanzia felice e riuscì a farsi degli amici, a giocare e a divertirsi, anche se si sbucciava spesso le ginocchia e le sue gambe erano sempre piene di cerotti. Nel complesso, comunque, era cresciuto come qualsiasi bambino della sua età.

Tuttavia Namjoon aveva un segreto. Uno che custodiva gelosamente e che i suoi coetanei troppo presi dai loro giochi non potevano capire. Namjoon aveva delle parole in testa. Aveva un sacco di pensieri che si accumulavano nello spazio senza fine della sua mente, domande, soluzioni, quesiti, espressioni di sentimenti troppo grandi e profondi, che lui non sapeva bene dove sistemare. Namjoon iniziò a soffrire di mal di testa sin da piccolo, all'inizio lievi e non frequenti ma man mano che gli anni passavano questi si fecero più intensi e, Namjoon notò, essi sembravano proporzionali alla quantità di incongruenze di quella loro realtà imperfetta che lui non riusciva a fare a meno di notare. Continuava ancora a pensare che il sistema mondiale fosse stupido e che ci fossero molte cose che non andavano. Questo e molti altri sentimenti lo stavano soffocando e seppur crescendo fosse diventato più consapevole e capisse perché sua madre fosse stata così terrorizzata da un bambino troppo perspicace per il suo bene, questo non curava i suoi mal di testa. Finchè un giorno, forse per caso, forse per curiosità, durante una noiosissima lezione di storia, Namjoon scrisse delle parole ai lati dei margini dei suoi libri di testo. A quelle parole fecero seguito delle frasi intere e la sensazione di soddisfazione fu tale che Namjoon non aveva più smesso e aveva finito col ricoprire per intero tutti i margini dei suoi libri di testo. Era stato liberatorio, la carta catturava le sue parole e lo aiutava ad organizzare la sua mente. I mal di testa si fecero più sopportabili e radi.

Tutte queste parole dopo che ebbe conosciuto Yoongi si trasformarono in testi e più tardi quei testi divennero musica. Fu allora che Namjoon si sentì finalmente libero e la testa smise di fargli male. Il peso della sua mente aveva finalmente trovato una via d’uscita.

Non aveva mai pensato alla sua intelligenza come ad un problema né come a qualcosa di cui andare fieri, era qualcosa che era con lui e basta. Sapeva fare operazioni matematiche complicatissime a mente senza avere bisogno di una calcolatrice da quanto aveva dieci anni e sapeva più parole di un’enciclopedia ma Namjoon non sarebbe riuscito a cuocere qualcosa neanche se ne andava della sua vita, aveva un senso dell’orientamento pessimo ed era l’unico destro che si macchiava il dorso della mano come un mancino. Perciò si Namjoon si era sempre più sentito un disastro ambulante che aveva un cervello un po’ più veloce degli altri, che un genio. Una persona qualunque insomma con i pregi e difetti di qualsiasi altro essere umano.

Fu lì davanti a due persone estranee vestite di tutto punto che a Namjoon fu infine fatto pesare gravemente il bagaglio delle sue qualità.

“Sono l’avvocato Jun e questo mio collega è l’avvocato Yoo. Ci scusiamo per aver interrotto in modo così sconveniente il vostro sabato mattina, ma non potevamo permetterci di discutere di tali argomenti per telefono. La discrezione, capirete ben presto, è giustificata. Ad ogni modo ci troviamo qui in rappresentanza della famiglia Kim.”

Un silenzio di tomba segui quelle parole. Nessuno aveva osato prendere il tè che sua madre aveva preparato e neppure assaggiare uno dei deliziosi caldi crossaint. Namjoon pensava fosse uno spreco. Aveva fame, non aveva fatto colazione ma sapeva che non poteva ignorare la scena che si stava svolgendo e quindi si costrinse ad ignorare il suo stomaco.

Suo padre, schiarendosi la gola, visto che quelle due persone sembravano aspettarsi una riverenza o qualcosa di simile, chiese, garbato.

“Kim?” dopotutto anche loro facevano Kim di cognome ma non andavano dicerto a sguinzagliare i legali nelle case di altri Kim il sabato mattina, anche se li avessero avuti.

“La famiglia Kim. Intendo la famiglia presidenziale Kim.”

Era un bene che nessuno di loro, e soprattutto lui, avesse preso la tazza fumante di te che sua madre aveva apparecchiato, perché sicuramente si sarebbe schiantata a terra.

“Se posso chiedere, perché mai la famiglia presidenziale Kim ha sentito il bisogno di mandare voi due da noi?” Namjoon sapeva che sua madre stava cercando nella mente qualcosa che loro potessero aver fatto di male, anche se sapeva che eccetto una multa di suo padre per eccesso di velocità di cinque chilometri oltre il limite e occasionalmente i vasi di piante dei suoi vicini che Namjoon aveva rotto inciampando, non vi era nulla che giustificasse un intervento consolare.

“Non c’è nulla di cui preoccuparsi signora,” cercò di rassicurarla l’avvocato Yoo. “Siamo qui per comunicarvi una lieta notizia, la nostra presenza qui è solo per assicurare che certe misure vengano rispettate.”

“Signora Kim, Signor Kim, vostro figlio Kim Namjoon è l’anima gemella dell’erede dei Kim, Kim Seokjin.”

A quel punto tutti gli sguardi dei presenti si concentrarono su di lui. Namjoon si sentì di nuovo come quella volta in cui aveva rotto senza volere la tazza preferita di sua madre. A quel punto, si disse, tanto valeva mangiare qualcosa. Si infilò un cornetto in bocca per evitare di urlare.

La sua vita, lo sapeva, era sul punto di cambiare ma non sapeva se questa volta avrebbe gradito la svolta.

 

 

La famiglia Kim aveva inviato a Namjoon un abito firmato per l’occasione. Gli calzava a pennello e la stoffa gli dava una bella sensazione al tocco ma Namjoon avrebbe scambiato quegli abiti costosi per la sua maglietta, jeans e converse in qualunque momento. Aveva solo quindici anni, dannazione, super cervello o meno non si sentiva affatto pronto.

“D’ora in avanti sarai un Kim a tutti gli effetti. Quindi ci sono una serie di regole che dovrai sempre ricordarti,” disse l’avvocato Yoo serio.

Namjoon aveva deglutito pesantemente e sua madre lo aveva guardato preoccupata. Come lui, doveva star pensando alla stessa cosa. A come a Namjoon le regole non fossero mai andate a genio e come lui ancora pensasse che il sistema mondiale fosse spazzatura.

“Primo: nessuno mai e per nessun motivo dovrà sapere la tua età, neanche la tua anima gemella o perlomeno non nell’immediato futuro. Secondo: la tua vita non sarà più tua in quanto tale. I Kim sono la famiglia più famosa e importante del paese, come consorte dell’erede le tue azioni saranno sotto gli occhi di tutti. Per questo la tua educazione e la tua immagine dovranno essere misurati così come il tuo grado di libertà, che verrà limitato per la tua stessa sicurezza. Terzo e ultimo: la famiglia e le sue esigenze verranno sempre prima e in ogni circostanza.

Da quel sabato mattina erano trascorse un paio di settimane e Namjoon nel frattempo aveva finito l’ultimo anno di superiori con successo. Nonostante la sua iscrizione fosse già stata approvata all’accademia e le iscrizioni alle altre università fossero da tempo scadute, a Namjoon era stato fatto cambiare carriera scolastica ed era così che era stato accettato alla facoltà di economia di una delle più facoltose università del paese. Nessuno aveva battuto ciglio, neppure sua madre, che aveva sempre avuto a cuore la sua felicità, aveva obbiettato.

Namjoon si guardò allo specchio di camera sua per l’ennesima volta. Si sentiva ridicolo, avrebbe voluto che Yoongi fosse lì anche solo per prenderlo in giro e chiamarlo pinguino. Avrebbe reso le cose meno terrificanti.

“Stai benissimo.” Disse una voce alle sue spalle. Era sua madre che, vestita elegantemente quanto lui, lo guardava ammirata dalla porta. I suoi genitori gli avevano sempre permesso di fare le sue scelte, eppure da quando i legali dei Kim avevano fatto irruzione nella sua vita, si erano attenuti alle loro disposizioni. Namjoon era furioso e si sentiva tradito. Era bastato sentire la parola “famiglia Kim” e tutto era cambiato. Avevano persino accettato che l’introduzione avesse luogo a procedere nonostante Namjoon fosse ancora chiaramente minorenne e le introduzioni a quell’età, illegali. Tutto ciò, tutto questo ridicolo spettacolo era stato fatto in nome della sicurezza della famiglia Kim. Il giovane erede aveva da poco compiuto diciott’anni e ben presto avrebbe iniziato la sua vita pubblica. Aveva bisogno della sua anima gemella designata al suo fianco. Namjoon sbuffò internamente. Si immaginò che i Kim si fossero dati un gran da fare a coprire le tracce che chiarivano la sua età. 

“Mamma, devo proprio?” Namjoon chiese in ultimo disperato tentativo.

“Namjoon. Lo so che tutto questo ti spaventa, so che pensi che queste richieste non siano giuste. Ma al di là della famiglia Kim e di cosa ciò comporti, oggi tu incontrerai la tua anima gemella. Voglio che ti concentri su questo. Oggi è un giorno felice.”

Namjoon chinò la testa e sua madre si avvicinò a lui.

“So che devo essere felice e che tutti pensano che dovrei sentirmi onorato. Ma come faccio a esserlo quando è proprio la mia anima gemella che mi sta portando lontano da quello che ho sempre desiderato?”

“Namjoon quando diventi un adulto, ti renderai conto che devi fare delle scelte e queste scelte a volte ti porteranno lontano dal punto di partenza, tuo malgrado. E quando questo accade so che la frustrazione sarà il sentimento più predominante. Ma non lasciare che questo sentimento ti impedisca di sfruttare una buona opportunità. Ti è stato dato un dono Namjoon ed è tuo dovere farlo fruttare. Ho sempre saputo che eri destinato a grandi cose.”

Namjoon annui ma non disse nulla per non dir qualcosa di cui si sarebbe pentito. Non era giusto. Non era giusto. Lui non aveva fatto scelte erano le scelte di altri che si erano riversate su di lui con la violenza di un grosso macigno. Lui non aveva scelto nulla e gli era stato strappato tutto. Non poteva dare il suo contributo al mondo con la sua musica? Non era un sentiero abbastanza degno? Ma soprattutto perché lui? Perché?

Namjoon non aveva mai visto le sue capacità come un peso, ma per una volta desiderò essere qualsiasi cosa, essere chiunque altro, tranne che essere trascinato anzitempo ad una introduzione che lui non voleva. Dio, non sapeva neanche se gli piacevano i ragazzi! Sì, molti lo avrebbero rimproverato per avere ancora dei limiti di genere in un mondo in cui ciò che contava era l’anima gemella chiunque costei fosse, ma Namjoon non poteva farci niente se il suo cervello ragionava per pensieri poco battuti.

Vorrei che si fossero sbagliati. Vorrei che qualcuno uscisse fuori e gridasse “candid camera” e tutto ciò si rivelasse uno scherzo da parte di Yoongi e del suo pessimo senso dell’umorismo.

La testa iniziò a fargli male come tutte le volte che aveva pensieri e non poteva esprimerli.

Tutto ciò non poteva essere giusto c’era sicuramente un errore, lui era solo Namjoon e se c’era un errore o era in lui o era nel sistema.

“La macchina è arrivata,” venne la voce di sua padre dal piano terra. Sua madre gli sistemò la cravatta e Namjoon sentì lo stomaco fare le capovolte.  Non era pronto, non lo sarebbe mai stato, il panico gli chiuse la gola e scese le scale con le gambe pesanti e la testa ronzante.

 Tutta la sua famiglia era tirata a festa e Namjoon se possibile si sentì peggio. Dunque tutto ciò era reale.

C’erano due macchine parcheggiate di fronte e al portone di casa sua, in una macchina fu fatta salire tutta la sua famiglia mentre invece nell’altra fu fatto salire solo lui. Namjoon avrebbe voluto protestare ma si sentiva la gola serrata e quindi riuscì solo a lanciare un’occhiata spaventata a sua madre, che cercò di sorridere per rassicurarlo.  Col cuore in gola e le mani sudate si sedette nel sedile posteriore della berlina e quando la macchina si mise in moto, Namjoon seppe che oramai era impossibile fermare l’inevitabile.

Guardò fuori dal finestrino per distrarsi, si era dimenticato il cellulare sul letto e quindi non aveva neanche quello per distrarsi. La musica lo avrebbe calmato, invece ora era più nervoso che mai.

La macchina si fermò quasi un’ora dopo di fronte al cancello di quella che Namjoon non poteva definire che una villa.  Si trovavano nella zona lussuosa della capitale, in un quartiere in cui Namjoon non aveva mai messo piede. Qualcuno venne ad aprire la porta e lui dovette concentrarsi per non inciampare sul marciapiede come suo solito.

La sua famiglia per fortuna fu subito accanto lui e tutti loro vennero scortati attraverso il bellissimo giardino e in seguito all’interno dell’ancora più bella villa. In un’altra occasione Namjoon avrebbe apprezzato tanto squisito gusto soprattutto la magnifica biblioteca che aveva intravisto da una delle porte aperte che davano sul corridoio principale ma Namjoon non era nel suo stato mentale migliore. La sua famiglia fu condotta in quella che poteva essere definita una sala per le conferenze e lui si chiese quanto grande fosse quel posto. Probabilmente almeno dieci volte casa sua.

La sua famiglia fu fatta sedere da un lato del lungo tavolo, Namjoon alla destra del posto da capotavola che si trovava in quel momento vuoto. La famiglia consolare Kim non era ancora arrivata. Non dovettero aspettare molto, solo cinque minuti scarsi prima che si aprisse la doppia porta della sala uno stuolo di quelli che dovevano essere collaboratori e famigliari.  Poi, dietro a tutta questa gente fecero il loro ingresso la coppia consolare Kim, il console Kim andò a sedersi a capotavola mentre la signora occupò il secondo posto vuoto, lasciando quello di fronte a Namjoon libero. Il posto dell’erede.

Infine la porta si aprì un’ultima volta.

Era alto, ben vestito e aveva un’aria gentile che stonava così magnificamente rispetto a tutto quel freddo sfarzo, che Namjoon dovette farsi forza per resistere l’impulso di guadarlo in viso.  Era tutta colpa sua, si disse, di questo ragazzino viziato di diciott’anni erede dei Kim, se la sua vita era stata capovolta. Era colpa sua se per una qualche sfortunatissima coincidenza aveva finito col essere designato da un sistema obsoleto come sua anima gemella.

Namjoon provò davvero a resistere, non voleva darla loro vita, ma la curiosità e qualcos’altro a cui non sapeva dare nome, lo costrinsero a sollevare lo sguardo.

I loro occhi si incrociarono.

Fu come essere colpiti da un violento pugno allo stomaco.

Si era ripromesso di odiarlo e ancor prima di vederlo in viso Namjoon si era detto che lui era più forte del sistema e l’avrebbe sconfitto. Eppure sebbene avesse solo frustrazione dentro di se, gli fu impossibile non trovare questa persona, ancora prima di catturare i dettagli del suo viso, perfetta.

Tutto il suo corpo sembro esultare nel riconoscere in Kim Seokjin la sua anima gemella. Tutto il suo corpo, eccetto la sua mente.

“Ho mal di testa,” pensò.

Namjoon chiuse gli occhi nel sentire le prime avvisaglie di un violento mal di testa.


 






 

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Capitolo 2
*** 2.1 ***


2.1


 


 

Namjoon era terrorizzato. Guardava fuori dalle grandi vetrate sperando che la vista del giardino meraviglioso della residenza dei Kim riuscisse a calmarlo.

Si disse che era un sentimento irrazionale, si disse che era solo un altro giorno di scuola come altri, che avrebbe dovuto abituarsi perché avrebbe fatto quello stesso percorso, quella stessa vita per almeno altri tre anni. La cosa, naturalmente, invece di tranquillizzarlo contribuì ad aumentare il suo nervosismo. Aveva solo quindici anni, quasi sedici. Super cervello o meno, Namjoon si sentiva ancora un ragazzo, molto ingenuo e molto impreparato a tutto quello che gli era stato scaraventato addosso per un qualche scherzo del destino. Ce la posso fare. Ce la posso fare. Forse se lo diceva abbastanza forte, abbastanza a lungo, sarebbe stato vero. Forse se continuava a ripeterselo, ci avrebbe creduto anche lui.

Come tutte le volte che Namjoon si trovava a dover affrontare qualcosa di più grande di lui, lasciava che la sua mente vagasse libera su altri argomenti, su altri universi. Un verso con cui aveva avuto difficoltà, per esempio. Quale poteva essere la parola migliore per poterlo finire affinché suonasse meglio? Con uno scatto fulmineo che in altre circostanze sarebbe finito con lui che si schiantava la faccia a terra, tornò a sedersi sul letto, prendendo il block notes che aveva appoggiato sul comodino. Era troppo in ordine quella stanza, troppo vuota, non c'erano i suoi libri sparsi per terra, i suoi fogli e i vestiti di cui sua madre si lamentava sempre fossero ovunque tranne che al loro posto. Non c'erano ed era questo il motivo per cui Namjoon non era inciampato, perché non si trovava a casa. Si trovava, invece, in una casa che era una reggia e in un stanza che era il doppio della sua. C'era morbida moquette invece di duro pavimento in legno e i muri erano freddi, come l'inevitabilità dell'aria di quegli ambienti in cui Namjoon si sentiva soffocare.

Seokjin lo trovò così, mentre tormentava una penna con le dita e guardava nel vuoto, troppo assorto in qualunque cosa stesse pensando perché si rendesse conto dei passi della sua anima gemella sulla soglia.

“Buongiorno!” Lo salutò Seokjin con quel tono di voce vivace e gentile che era così caratteristico in lui. Namjoon si sentiva avvolgere da un ulteriore strato di morbide coperte quando Seokjin si rivolgeva a lui. Il più giovane fece un piccolo balzo sul letto, non essendosi accorto dell'ingresso del suo compagno.

“Ciao Jin,” era strano, in quella nuova vita un sacco di cose erano strane, pronunciare il nome di Seokjin in modo così famigliare, come se fossero amici di vecchia data e non ci fossero un milione di differenze a dividerli, a cominciare dall'età.

“Sei nervoso? Lo sono anche io un pochino, ma non preoccuparti è un primo giorno per entrambi e poi possiamo sempre incontrarci per pranzo,” Seokjin aveva circumnavigato il suo nuovo letto per andarsi a sedere di fianco a lui. Il suo ginocchio piegato faceva direttamente contatto con la coscia di Seokjin, era un contatto minimo ma il suo corpo sembrava sempre particolarmente reattivo al tocco della sua anima gemella. “E stasera se vuoi possiamo fare qualcosa insieme,” concluse con affetto.

“Certo, va bene,” Namjoon rispose incapace di opporsi davvero. Quando si trattava di Seokjin il suo corpo sembrava andare in conflitto. Il desiderio di averlo vicino era fortissimo e allo stesso tempo Namjoon non riusciva a sopportarne la vista. Neanche due settimane prima, in occasione dell'inizio delle lezioni e con l'approssimarsi del suo compleanno, i Kim avevano ritenuto opportuno che lui si trasferisse presso di loro. Era stata ennesima violenza, ennesima decisione unilaterale che aveva dovuto subire. A nessuno sembrava importare che lui potesse avere un'opinione diversa, che a lui potesse mancare la sua famiglia, la sua vita, la sua casa.

Sentì la mano di Seokjin sulla sua spalla, calda confortante, e labbra umide sulla sua guancia.

Fu un attimo ed era già finito e Namjoon si trovò ad osservare occhi castani, impossibilmente vicini, che lo guardavano gentili.

“Andrà tutto bene, Namjoon. Ci vediamo all'ingresso,” Seokjin disse alzandosi dal letto e uscendo con passo tranquillo dalla sua stanza. Namjoon aspettò di sentire i passi allontanarsi, prima di prendere il cuscino al suo fianco e urlarci dentro.

Seokjin era così gentile, sempre così gentile e affettuoso.

Abbassò lentamente la mano, fino ad appoggiarla su quelle di Namjoon che si stava tormentando le dita sin da quando l'introduzione era iniziata. Le sue dita smisero di tremare.

Sin dal loro primo incontro a Namjoon era stato chiaro come Seokjin, sebbene fosse la causa dello sfasciamento del suo piccolo mondo, era ancora la persona più bella che avesse mai conosciuto.

Nonostante ciò Namjoon non poteva fare a meno di odiare il giorno in cui i loro destini si erano incrociati.


 


 


 

“Se non inghiottisci subito, è peggio,” sua madre era solita dirgli quando Namjoon si ostinava a non buttare giù l'orrenda medicina per la tosse. Sua madre, naturalmente, aveva avuto ragione anche se Namjoon pensava che non importava quanto veloce fosse il supplizio, nulla avrebbe cancellato il gusto dell'amaro. Era stato così con ogni brutto farmaco nella sua vita e con tante altre brutte cose. Namjoon si era sempre prodigato nel buttare giù tutto il più velocemente possibile.

Alcune cose però erano più difficili da ingoiare e anche più indigeste. Gli sembrava di avere inghiottito già parecchie brutte cose e sospettava che avrebbe dovuto continuare a farlo.

La macchina dei Kim lo aveva lasciato a pochi passi dall'entrata del college, Namjoon si disse che doveva essere grato che la macchina non li avesse lasciati direttamente davanti agli scalini ed era successo solo grazie all'insistenza di Seokjin.

Era sceso con lui al suo fianco, un po' nervoso a sua volta. Seokjin era stato accettato nella facoltà di giurisprudenza del suo stesso college. Era apparso entusiasta quanto lui lo era statp di seguire economia ma, eccetto qualche sospiro di disappunto, il più giovane non l'aveva mai sentito lamentarsi. Namjoon era incerto se trovare questo tratto ammirevole oppure trovare quell'atteggiamento infiniti livelli di irritante. Si disse di ricordarsi che Kim Seokjin era nato e cresciuto come un Kim e che quindi per lui accettare il suo fato a testa bassa doveva essere qualcosa che gli era stato marchiato a fuoco sin dalla sua tenera infanzia.

Non come me, che sono stato catapultato in questa realtà alternativa senza che mi venisse chiesto un parere. Senza che io possa oppormi.

Strinse i pugni, per non cedere alla rabbia e cercò di mettere più distanza tra se e Jin mentre percorrevano il viale che li avrebbe portati all'ingresso.

“Namjoon, la facoltà di giurisprudenza è nell'edificio principale mentre quella di economia è nell'edificio a sud. Vuoi che ti accompagni?” Seokjin aveva chiesto gentile. Avevano passato abbastanza giorni insieme perché Seokjin sapesse che Namjoon era un tipo distratto. Abbastanza perché, con suo enorme imbarazzo, fosse riuscito nel glorioso intento di perdersi nella loro villa.

“No grazie Jin me la cavo,” Namjoon rispose, ma non finì neppure la frase che inciampò su un sasso del sentiero acciottolato. Video Seokjin portarsi una mano davanti alla bocca per soffocare le risate e Namjoon sarebbe sbottato allora, ma quando si voltò le parole gli morirono in gola. Seokjin era tutto rosso in faccia e la sua risata aveva un suono ridicolo. Eppure appariva così genuino, innocente.

Il maggiore venne verso di lui e gli mise un mano sulla avambraccio stringendolo a mo' di scusa.

“Va bene, ci vediamo dopo allora,” Namjoon quasi si aspettò di essere baciato di nuovo ma non accadde niente di tutto ciò. Seokjin semplicemente si sistemò meglio la sua tracolla sulla sua giacca leggera e lo salutò con un cenno di una mano e un sorriso.

Namjoon si infosso nelle spalle mentre osservava il suo hyung proseguire per la sua strada con tutta la calma del mondo.

Si diresse con passo pensante verso la sua classe, sperando di riuscire a inghiottire il suo sciroppo amaro abbastanza in fretta.

Non fu affatto così.

Il primo anno della facoltà di economia contava un sacco di iscritti e Namjoon fu costretto ad accaparrarsi un posto in un angolo così lontano dalla scrivania del professore che quasi non riusciva a vederlo bene in faccia. La cosa positiva nonostante la visuale pessima della lavagna era che quanto meno poteva farsi i fatti suoi in pace. Iniziò a scarabocchiare a matita sul suo libro e poi senza neanche rifletterci iniziò a scrivere i versi di quella mattina, tutto pur di ignorare quel brusio osceno di concetti che gli ricordavano quanto quello che stava facendo fosse distante da quello che aveva sognato di fare.

Mandò un messaggio a Yoongi, nascondendo il cellulare sotto il banco, nella speranza che il suo amico venisse a salvarlo da quella noia. Magari se fingeva di avere un impegno non avrebbe dovuto passare il pranzo con Seokjin. Namjoon sbuffò appoggiando la testa sulle braccia incrociate sopra il suo libro.

Sua madre gli aveva tanto raccomandato di dare una possibilità a Seokjin e ai Kim, di non essere così se stesso, cocciuto e senza voler sentire ragioni, ma era difficile riuscire a dare una possibilità alla sua anima gemella quando questo significava arrendersi corpo e mente ai Kim.

Lanciò un'altra occhiata al cellulare ma ancora nulla. Sospirò. Namjoon non sapeva cosa stesse succedendo al suo migliore amico. Non ne avevano mai parlato anche se in un certo senso Yoongi non aveva fatto altro sin da quando Namjoon lo aveva conosciuto. Le sue canzoni, la sua storia era scritta nelle sue canzoni. Ma esse si erano fatte più cupe, più disperate, finchè Yoongi un mese prima aveva smesso di scrivere. Namjoon ne era sicuro perchè il maggiore non lo aveva chiamato neanche una volta all'una di notte in preda all'ispirazione.

Doveva era successo qualcosa a Yoongi e Namjoon non sapeva cosa. Non poteva neanche andare da lui e affrontarlo perchè il suo migliore amico aveva proibito a chicchessia di mettere piede a casa sua e Namjoon stesso era stato così occupato dal suo incubo personale da non aver avuto l'energia per stare col fiato sul suo collo, l'unico metodo che funzionasse con Yoongi. Perciò Namjoon ora non rimaneva altro che aspettare. Sperando che arrivasse il momento giusto. Si sentiva in colpa perchè cosi spesso lui riversava su Yoongi tutte le sue preoccupazioni mentre gli sembrava di non fare altrettanto per l'altro.

Il telefono vibrò. Fu con sollievo che vide che era un messaggio di Yoongi che gli diceva che sarebbe passato durante la pausa pranzo. Ce la poteva fare, si ripetè per l'ennesima volta. Senti aria finalmente arrivargli nei polmoni, lo stomaco distendersi al pensiero che avrebbe sentito un'ondata di casa. Era tutto cosi nuovo così diverso, corridoi infiniti e facce sconosciute, che aveva bisogno di vedere un volto amico.

Sentendosi rinfrancato Namjoon si decise a prestare finalmente attenzione a quello che il professore stava dicendo. Non sarebbe mai stata la sua musica ma forse, poteva essere che le lezioni non fossero così male.

Quattro ore dopo e Namjoon si sentiva come la testa gli fosse stata riempita a forza. Iniziò ad avvertire un leggero mal di testa all'altezza delle tempie. Questa sarà la tua vita, tutti i giorni, per i prossimi anni.

Namjoon corse fuori dall'aula non appena il professore li congedò. Corse lungo i corridoi e poi fuori nel grande giardino del campus. L'aria ancora calda dei primi di settembre lo colpì dritto in faccia, così come il sole di mezzogiorno che scendeva in picchiata. Poggiò le mani sulle ginocchia cercando di inspirare grosse boccate. Cosa gli stava succedendo.

Sentì il telefono vibrare di nuovo questa volta in modo ripetuto, lo tolse subito dalla tasca dei suoi jeans nuovi di zecca e firmati che lo stringevano da tutte le parti in modi sbagliati.

“Sono all'ingresso principale. Sbrigati, mi stanno guardando tutti,”

Era la voce più seccata che sentiva da tempo ma Namjoon la trovò confortante. “Arrivo,” rispose prima di chiudere la chiamata. Con passo tranquillo si diresse verso l'ingresso cercando di non inciampare su nessun ciottolo come quella mattina. Yoongi era seduto sui gradini della grande scalinata dell'edificio principale. Era vestito nel modo più inappropriato possibile, con i jeans strappati in più punti e un maglione che aveva visto tempi migliori. Aveva il cappuccio che gli copriva la testa e stava fumando.

In un ambiente così d'elite, Yoongi spiccava come un fiore selvatico in mezzo a un campo di lavanda. Vuoi dire un'erbaccia, disse una voce nella sua testa che era fin troppo simile a quella del del suo amico.

“Finalmente,” Yoongi disse voce resa aspra dal fumo. Chissà quante sigarette aveva fumato quel giorno o in quei giorni. Yoongi si alzò dalla sua posizione come un gatto che si stiracchia al sole, gettò via il mozzicone e guardò Namjoon come se questi avesse qualcosa da farsi perdonare.

“Ce l'hai fatta,” Namjoon disse sorridendo. Yoongi lo guardò in modo strano, sospirò e infine si mise le mani in tasca.

“Si sono qui. Coraggio andiamo a mangiare, ho fame e tu hai l'aria di uno che deve riempirsi lo stomaco,” Yoongi disse scrollando le spalle.

Namjoon sorrise ma non riuscirono neanche a fare qualche passo che una voce lo chiamo dall'alto delle scale.

“Namjoon!” Era vivace e gentile come il tono che Seokjin sembrava riservare solo a lui. Namjoon si fermò e dei sentimenti contrastanti si intervallarono sul suo volto. Fastidio, rassegnazione. Un senso d'adorazione che non voleva essere lì ma c'era.

“E' lui vero?” Namjoon non rispose ma rimase immobile spalle infossate. “Beh almeno avevano ragione sull'attraente,” Namjoon si lasciò scappare una risata.

Seokjin percorse gli scalini che li separavano e Namjoon si decise a guardarlo, rimanendo come sempre senza fiato. Era la sua anima gemella, il suo corpo la riconosceva come tale, era un Kim, eppure era anche solo Jin.

Il maggiore gli posò subito una mano sulla spalla e poi tese una mano a Yoongi.

“Piacere io sono Seokjin,” disse e persino Yoongi rimase preso in contro piede da tanta aperta fiducia.

“Min Yoongi,” Yoongi disse laconico.

Seokjin inclinò la testa e Namjoon si sentì in dovere di fare le dovute presentazioni. Si schiarì la gola.

“Yoongi e io siamo amici dai tempi delle superiori,” Namjoon spiegò. “E' passato a farmi un saluto,”

“Oh eravate in classe insieme! Che college frequenti Yoongi?” Seokjin chiese senza rendersi conto dell'ingenuità della sua domanda. Namjoon lanciò un'occhiataccia a Yoongi quando questi scoppiò a ridere. Yoongi sapeva che nessuno, nessuno mai, avrebbe dovuto sapere l'età di Namjoon. Quest'ultimo avrebbe tanto voluto dargli un calcio.

“Oh dio no. Non ci siamo affatto conosciuti a scuola. Considerando che io sono ancora all'ultimo anno delle superiori e vivo dall'altra parte della città sarebbe impossibile. Diciamo che io e Joon siamo diventati migliori amici sul reciproco senso di ribellione,”
Seokjin sembrò confuso e Namjoon sospirò. Avrebbe dovuto saperlo che sarebbe andata a finire così. Che Yoongi ne avrebbe approfittato per metterlo nei guai e testare la pazienza di Seokjin.

“Ci siamo intrufolati di nascosto in un pub una sera,” il suo amico spiegò. Seokjin parve sorpreso ma non scandalizzato e in qualche modo piacevolmente divertito.

“Devo confessare che mio cugino Hyosang mi ha trascinato in una esperienza simile,” Seokjin rispose lasciandosi sfuggire una risata. Fu Namjoon a essere sorpreso questa volta e ciò gli strappo il primo sorriso genuino in settimane.

“Sorpreso che non sono così noioso Joonie?” Seokjin scherzò. “Avanti andiamo a mangiare, vi invito entrambi a pranzo se vi va. A meno che non vogliate fare una rimpatriata, giuro che non mi offendo,” offrì Seokjin. La sua mano scivolò dalla spalla di Namjoon fino a stringergli la mano e il più giovane gliela strinse di rimando perchè era un impilso più forte di lui. Quando Namjoon sollevò lo sguardo Yoongi aveva in volto un sorriso strano.

“Perchè no,” Yoongi disse sorprendendo Namjoon. Aveva voluto non vedere Seokjin perché sapeva che quando la sua anima gemella era vicina, era difficile non farsi risucchiare, non desiderare il contatto e tutto ciò lui non lo poteva tollerare. Per questo aveva chiamato il suo migliore amico ma Yoongi sembrava di altro avviso. Namjoon sapeva che era il suo modo di capire chi fosse mai questa persona il cui mondo sembrava spaventare il più giovane così tanto.

Camminarono insieme verso la mensa del college e il loro era uno strano trio, tre persone così diverse, eppure eccoli lì. Yoongi si sforzò di rispondere alle domande che Seokjin gli rivolse e per Namjoon fu un'esperienza strana, un po' come se vecchio e nuovo mondo si stessero prendendo le misure.

La mensa del college era già piena di studenti, persone distribuite a coppie o in gruppi più larghi. Eppure, quando loro tre fecero il loro ingresso, Namjoon ebbe l'impressione che molti sguardi si soffermassero su di loro. Su Seokjin. Quest'ultimo sembrò non farci caso, Namjoon cercò di imitarlo anche se lui forse non avrebbe mai avuto la naturale dote di farsi scivolare sguardi e chiacchiere nello stesso modo efficiente di Seokjin. Presero pigramente i loro vassoi con e si riempirono i piatti di cibo. Infine scelsero un posto possibilmente lontano dalla accozzaglia di studenti in cui sedersi.

“Cosa pensi di fare dopo che avrai finito la scuola Yoongi?” Seokjin chiese prima di addentare una grossa fetta di pane. Namjoon deglutì il suo boccone rumorosamente. Un paio di anni prima lui e Yoongi erano soliti trastullarsi in sogni di gloria in cui entrambi riuscivano a farsi strada con la loro musica. Namjoon aveva tredici anni e aveva appena iniziato e Yoongi ne aveva solo quindici. Era stato probabilmente il suo periodo più felice. Namjoon aveva trovato la cura ai suoi mal di testa e Yoongi, sebbene sempre cinico, aveva quel suo sorriso che ogni tanto tirava fuori che era in grado di incoraggiare Namjoon anche quando questi si sentiva frustrato per la sua inesperienza.

“Vorrei dedicarmi alla musica. Ecco mi piacerebbe poter fare della mia passione una carriera in qualche modo,” Yoongi rispose secco, guardando prima Namjoon e poi Seokjin.

“Se è quello che ti piacerebbe fare, perchè no?” Seokjin rispose incoraggiante. Namjoon si sentì girare la testa. Con quale disarmante innocenza Seokjin diceva certe cose, lo sapeva, lo sapeva lui che quello era stato ed era ancora il suo sogno? Che avrebbe barattato qualunque cosa pur di vedere quel sogno realizzarsi. Sentì una fitta di dolore alle tempie, violenta. Namjoon sussultò leggermente, le posate gli scivolarono di mano facendo rumore sul piatto.

“Namjoon stai bene?” Seokjin chiese preoccupato posando una mano delicata sul suo polso.

“Si tutto bene, solo un po' di mal di testa,”

“Sono tornati,” commentò aspro Yoongi. Non era una domanda era una osservazione pesante e Namjoon lo guardò di traverso.

Fu il turno di Seokjin di guardare dall'uno all'altro.

“vuol dire che sei solito soffrire spesso di questi episodi?”

Yoongi non riuscì a trattenere uno sbuffo di scherno e Seokjin fu costretto a riportare l'attenzione su di lui, sorpreso, sopracciglio inarcato, ed espressione anche vagamente ferita dall'atteggiamento impertinente di Yoongi. Ma conosci la tua anima gemella almeno? Sembrava voler dire.

“Si soffrivo spesso di mal di testa, anche se per un po' sono stato meglio.” Namjoon rispose. Se da un lato era vero che voleva far pesare a Seokjin il fatto che il ritorno del suo disagio fosse indirettamente colpa sua, dall'altro non voleva farlo. Non poteva, perchè non era colpa di Jin e forse questo rendeva la cosa ancora più difficile da accettare. Non aveva chiesto Jin di essere la sua anima gemella, ma aveva accettato Namjoon a braccia aperte comunque. Gli aveva voluto bene solo per il fatto che Namjoon era suo e viceversa.

“Avresti dovuto dirmelo. Mi dispiace, so che non deve essere simpatico. Tieni prendi queste pastiglie, per fortuna porto sempre qualcosa con me per casi come questi,” disse il maggiore tirando fuori degli antidolorifici dalla sua tracolla. “ Ma prendili a stomaco pieno mi raccomando.”

Quando Namjoon riuscì a distogliere lo sguardo dal viso preoccupato di Seokjin vide che Yoongi aveva ripreso a mangiare come se nulla fosse.

Per un attimo pensò che pensare di mettere Yoongi e Seokjin nello stesso spazio non era stato affatto una buona idea, quei due non avrebbero mai potuto andare d'accordo.

Ma quel pranzo non sarebbe durato in eterno e a sembrava che Yoongi si fosse calmato e Namjoon si disse che potevano uscirne indenni.

“Secondo te è un numero zero?” La domanda era stata posta con un tono si voce troppo alto perchè potesse passare inosservato e Namjoon si chiese se fosse stato una mossa deliberata.

“Ma cosa dici i Kim non frequenterebbero mai gente di quel genere,” rispose la seconda voce e quando Namjoon si voltò vide una ragazza lanciare uno sguardo oltraggiato a Yoongi prima di decidersi a distogliere lo sguardo.

Oh no. Era impossibile uscire indenni da questo considerando che il suo stesso sangue gli stava ribollendo nelle vene. Vide Yoongi stringere forte la sua forchetta come se volesse spezzarla, Namjoon si guardò intorno ostile pronto a fulminare chiunque osasse dire qualcosa, al diavolo l'etichetta dei Kim.

Erano davvero in un nuovo mondo, si disse

La scuola superiore pur con i suoi difetti, rappresentava ancora un universo sicuro. Prima dei diciott'anni, quando ancora i numeri due non avevano incontrato la loro anima gemella, spesso i ragazzi erano soliti sperimentare, amalgamarsi, essere meno rigidi con le differenze di status. Era normale, era quasi inevitabile ed era tollerato, per quanto Namjoon non avesse mai compreso la pratica perchè sapeva che qualsiasi intreccio tra numero zero e numero due non poteva che finire male. Tuttavia accadeva più spesso di quanto i numeri due fossero disposti ad ammettere ma poi, come un incantesimo di mezzanotte, con il raggiungimento della maggiore età tutto quello che era stato smetteva di essere e un numero due prendeva il suo giusto posto nella società tra i suoi pari. E il mischiarsi, quello che fino a poco prima veniva tollerato, non era più qualcosa che doveva accadere.

Non era ancora il mondo adulto di chi lavorava e aveva una famiglia, ma le differenze già c'erano all'università, più marcate e palpabili rispetto alle superiori, e Namjoon osservò che in effetti nessuno era seduto da solo. Anche nel caso probabile che ci fossero numeri zero, questi sapevano fin troppo bene che non era augurabile farsi vedere da soli. Visto lo status di Seokjin, tutti sapevano chi fosse e di conseguenza conoscevano anche Namjoon. Ma yoongi con il suo vestire così inconsueto per quell'ambiente e con quel suo fare annoiato e così visibilmente scontento, perchè i numeri due sorridevano sempre, sembrava gridare al mondo numero zero. Anche se tutto ciò non era più lontano dal vero.

“Ma che bell'ambiente,” Yoongi disse imprecando, facendo voltare alcune persone sedute li vicino.

“Anche da numero zero varrei più di qualsiasi altra testa vuota qua dentro,” Yoongi commentò e Namjoon temeva che avrebbe perso le staffe. Era un argomento sensibile per il suo migliore amico e Namjoon sapeva che era una ferita che si portava dietro e a cui lui non aveva saputo dare nome ma sapeva che c'era ed era profonda.

“Yoongi,” Namjoon lo chiamò.

Ma non fu lui a trattenere il suo amico dal saltare dalla sedia.

“Hai perfettamente ragione, Yoongi,” Seokjin disse a voce abbastanza alta perché molte persone lo sentissero.

“Poi credo di poter frequentare chi mi pare e piace, anche un cactus se ne ho voglia,” Seokjin disse con tono altezzoso. In tutto quel tempo che si erano conosciuti, Namjoon non lo aveva mai visto approfittare del suo status, Seokjin non lo avrebbe mai fatto. Tranne forse che per difendere qualcuno. E infatti la sua anima gemella aveva appena difeso Yoongi anche se questi era stato poco più che sgarbato con lui.

Questo sembrò placare il suo migliore amico che si sedette di nuovo e infine si decise a finire di mangiare con tutta la dignità che gli riuscì di ostentare.

Namjoon osservò la sua anima gemella. Seokjin aveva ripreso a comportarsi come se nulla fosse successo, come se quello che aveva appena fatto non fosse stato qualcosa di speciale.

Non poté evitare di provare un moto violento di ammirazione. Seokjin incrociò il suo sguardo e sorrise, facendo arrossire Namjoon.

Si separarono poco dopo per tornare alle rispettive lezioni pomeridiane. Namjoon lo salutò pieno di pensieri e domande, mal di testa leggermente migliorato grazie agli antidolorifici, anche se sapeva che aveva bisogno della sua musica per poter tornare a stare meglio.

Era una compulsione, Namjoon non riusciva a spiegare, la musica era qualcosa che lo faceva stare bene che lo rendeva felice, era qualcosa di cui non poteva fare a meno ed era un sentimento d'attaccamento difficile da spiegare a parole. Sospettava che, anche se ci fosse riuscito, sarebbe suonato folle alle orecchie della maggior parte delle persone.

Namjoon osservò la schiena di Seokjin allontanarsi e si chiese perchè le cose dovevano per forza essere così complicate.

“Hey,” Yoongi gli diede una pacca sulla spalla cercando di confortarlo.

“Stasera c'è una serata al pub. Ti passo a prendere alle dieci,” Namjoon si voltò verso Yoongi.

“ Non abito più a casa lo sai,”

Yoongi scrollò le spalle.

“Accidenti me l'ero dimenticato. Ora abiti nella residenza dei Kim,” aggiunse mesto. “Ma la serata c'è lo tesso però e sappiamo entrambi che sia io che te ne abbiamo bisogno. Pensi di farcela a venire?” Namjoon pensò alla reggia che i Kim chiamavano casa, ai corridoi vuoti, alla sua stanza troppo grande e in ordine. Pensò a come aveva promesso a Seokjin che avrebbero fatto qualcosa insieme quella sera.

“Certo, ci vediamo là.”

Doveva farlo, doveva andarci, si disse Namjoon. Eppure perchè nonostante ne avesse bisogno per respirare, si sentiva lo stesso in colpa?


 

A cerimonia conclusa, piano piano le loro famiglie uscirono dalla grande sala. Sentì sua madre accarezzargli affettuosamente la guancia, prima di uscire anche lei, le porte che si chiudevano alle sue spalle. Erano rimasti soli.

Namjoon si guardò intorno, cercando di rimandare il momento in cui avrebbe dovuto guardare lui. La sua anima gemella Kim Seokjin. Ma il suo sguardo sembrava non poter fare a meno di tornare sulla sua perosna. I loro sguardi si incrociarono di nuovo. Persino i suoi occhi sembravano sorridere. Namjoon sorrise timidamente di rimando. Era la persona più bella che Namjoon avesse mai visto. Sembrava irradiare luce e calore e sebbene si sentisse nervoso, allo stesso tempo si sentiva al sicuro come non lo era mai stato.

Seokjin si alzò, circumnavigò il tavolo per andare a sedersi nella sedia accanto a Namjoon.

Ciao, sono Seokjin, piacere di conoscerti,” aveva già sentito la sua voce, aveva pronunciato le promesse in modo serio e solenne, eppure ora suonava così affettuosa.

Namjoon,” rispose lui, muovendo nervosamente le gambe e andando a sbattere senza volere con le ginocchia di Seokjin. “Oh scusa,” Namjoon disse sentendosi il solito impiastro. Seokjin rise, senza scherno ma quasi fosse deliziato dalla sua goffaggine, quasi la trovasse adorabile.

Namjoon sorrise di rimando. Video gli occhi di Seokjin farsi più grandi in sorpresa e adorazione, lo vide sollevare una mano e affondare dolcemente il suo dito sulla fossetta sulla sua guancia.

Namjoon si sentì fremere quando avvertì il suo tocco e anche Seokjin rabbrividì.

Il sorriso di Seokjin si fece più largo. Abbasso lentamente la mano, fino ad appoggiarla su quelle di Namjoon, che si stava tormentando le dita sin da quando l'introduzione era iniziata.

Le sue dita smisero di tremare.

Sono stato così sciocco. Ero così nervoso prima di incontrarti,” Namjoon annuì perché anche lui si era sentito così anche se per motivi che non poteva confessare, che probabilmente non avrebbe potuto confessare mai.

Ma ora che ti ho incontrato, non ho più dubbi.” Seokjin strinse le sue dita. “Credo proprio che saremo felice insieme, io e te.”

Namjoon sentì un pezzo del suo cuore morire.


 


 


 


 


 


 


 

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Capitolo 3
*** 2.2 ***


2.2


 


 

Il locale era sempre pieno di persone di ogni genere e potevi davvero essere sicuro di trovare di tutto al Pub.

All'inizio Namjoon si era sentito intimidito da un ambiente così diverso e così diametralmente opposto a ciò che era la sua vita, scarpe bianche pulite e casa con un giardino tenuto in modo impeccabile. C'era voluto poco per farsi conquistare dalla confusione, dal marasma, da quel brusio eccitato, che era la sua musica di sottofondo preferita, quando metteva piede sul palco, come un ringhio di attesa che anticipava con calore quello che stava per succedere.

Il palco intimidisce, ma non ne puoi fare a meno. Era una frase che Namjoon aveva sentito dire da uno dei tanti musicisti che, ammassati in quella stessa stanzetta sul retro che lui e Yoongi usavano per le prove, aspettava il suo turno. Namjoon non aveva capito quelle parole se non dopo. Dopo che gli era stato concesso l'onore di salire su quello stesso palco.

“Una volta che saremo sicuri non ci farai fare brutta figura,” aveva detto uno dei suoi mentori, musicisti molto più adulti ed esperti di lui che guardavano con serafico divertimento l'impazienza dei più giovani.

Era stato... Come poteva Namjoon descrivere l'esperienza a parole? Era stato terrorizzato, era abbastanza sicuro che se non fosse stato per Yoongi che lo aveva spinto in avanti non si sarebbe ricordato come si faceva a mettere un passo dopo l'altro. Namjoon non si ricordava nulla di quella prima volta. Si ricordava però di come l'adrenalina era scorsa nelle sue vene, come una volta sceso da la sopra non aveva desiderato altro che tornarci. Era possibile sentirsi così vivi, così a posto con l'atto così semplice di urlare delle rime a tempo di musica su un palco? Si, si era possibile.

Lui e Yoongi si erano guardati allora e si erano riconosciuti come due animali famelici dello stesso sogno.

“Dobbiamo farcela, Namjoon. Ad ogni costo.” Yoongi era solito sussurrare nei pomeriggi lunghi in cui un verso non ne voleva sapere di aggiustarsi. Namjoon lo capiva anche se la sua determinazione non nasceva dalla stessa disperazione di Yoongi. Per il suo migliore amico era diverso, era come se nel palco ci fosse il suo fondamento, come se riuscire nella musica fosse stato la sua via di fuga e l'unica cosa che avrebbe mai accettato di fare. La folla e il palco, Yoongi avrebbe sacrificato tutto per loro.

Per Namjoon era diverso. Non era il palco in se, era il connettersi con il pubblico. Era molto più contento quando qualcuno veniva nel backstage e gli diceva quanto aveva significato per lui un pezzo. Era sapere che la fuori c'era qualcuno che aveva vissuto emozioni simili che la sua musica per qualcuno aveva senso. Era questo a cui non poteva rinunciare. Sapere che le folli elucubrazioni della sua mente non erano veramente folli e che c'erano persone che nel sentirli pensavano, si è così anche per me. Era quello il suo bisogno. Quello per cui avrebbe fatto di tutto. Forse in un certo senso la musica era sempre riuscita nell'intento di farlo sentire meno solo.

Inconcepibile.

Avrebbero detto. Farci sentire meno soli è il ruolo delle anime gemelle.

“Yoongi, ti chiedi mai cosa succederebbe se incontrassimo la nostra anima gemella molto prima di incontrarla per davvero?” Yoongi lo aveva guardato per un attimo e poi senza un apparente motivo era scoppiato a ridere come se fosse stata la battuta più divertente dell'anno. Namjoon aveva scosso la testa, eppure quelle risate non gli erano mai sembrate risate più prive di gioia.

“Tutti i giorni,” aveva sussurrato più tardi Yoongi. Namjoon non aveva fatto il collegamento se non dopo che era arrivato a casa e aveva capito che quelle parole dette così a caso erano la risposta alla sua domanda. E se non fosse una persona ma una cosa? Namjoon aveva poi pensato. Aveva scossa la testa, Yoongi avrebbe riso di nuovo a quella domanda.

Quel particolare pensiero gli tornò alla mente nel momento in cui si trovò a dover scavalcare la finestra di camera sua per poter sgattaiolare fuori dalla residenza dei Kim e andare al Pub come concordato con Yoongi. Quello che era disposto a fare per il suo grande amore: la musica.

L'impresa era stata particolarmente impegnativa anche se la sua stanza si trovava al piano terra. Uno, la finestra era particolarmente alta; due, anche se aveva le gambe lunghe era anche dotato di pochissima coordinazione corpo mente quindi era molto probabile che finisse col spiaccicarsi per terra; terzo, qualcuno poteva bussare alla sua porta, Seokjin ad esempio, e lui avrebbe perso la concentrazione risultando in lui che si schiacciava comunque la faccia per terra.

Non era successo nulla di tutto ciò, era riuscito ad uscire dalla finestra con rara destrezza, i suoi jeans ora avevano un buco, ma considerando i suoi passati incidenti dovuti alla sua goffaggine, si disse fosse qualcosa di cui andare fieri. Naturalmente a quel punto uscire dal portone principale non era augurabile ma era stato facile per lui ricordarsi che c'era un cancello di servizio per il personale e si disse che il suo pass elettronico doveva essere lo stesso che per il portone d'ingresso e anche se non fosse stato così, il cancello da quella parte era più basso. Per fortuna non fu necessario un altro esercizio di funambolismo e le sue deduzioni si dimostrarono corrette. Una volta in strada non fu difficile chiamare un taxi e farsi portare al locale. Magari per la volta successiva avrebbe provveduto a studiare meglio la zona e i bus che passavano a quell'ora ma per quella volta data il piano escogitato all'ultimo momento, andava più che bene.

Perciò si non era stato difficile uscire e farsi trovare all'ora concordata con Yoongi nel Pub.

Era stato difficile invece scacciare dalla mente l'espressione preoccupata di Seokjin quando Namjoon aveva declinato il suo invito a fare qualcosa insieme con la scusa che non si sentiva bene. Naturalmente la sua anima gemella gli aveva creduto senza batter ciglio e aveva pure insistito per fargli portare un te in camera. Non pensarci si disse, mentre era seduto sul sedile posteriore del taxi. Non pensarci.

Era sempre così per i numeri due quando vedevano i loro numeri uno?

Numero uno era un'espressione che aveva sempre fatto sorridere Namjoon, l'idea che fosse un'espressione usata solo dai numeri due per indicare la loro anima gemella, per dire che erano le due unità che finalmente si erano trovate, a lui era sempre sembrata troppo artefatta per essere vera. Namjoon si riteneva una persona razionale, forse troppo anche per il suo stesso bene almeno a giudicare dalle occhiate che sua madre gli lanciava quando se ne usciva fuori con commenti del genere. Nonostante il suo scetticismo comunque, doveva ammettere che alcune cose erano vere. La sentiva anche lui questa stretta al cuore, questa attrazione invincibile verso il suo numero uno. Era debole ai sorrisi di Kim Seokjin così come era debole all'espressione preoccupata e provava una sorta di sollievo quando casualmente la sua mano sfiorava la sua come una sorta di reazione chimica inevitabile.

Ma l'amore. Quel senso di follia, di estremo rapimento, di desiderio di voler esserci per l'altro, quel senso di appartenenza totale che tutti gli avevano raccontato fosse l'amore tra due anime gemelle, no, questo non lo provava affatto nei confronti di Kim Seokjin.

Aveva provato a parlarne con sua madre ma lei era convinta che la sua resistenza fosse dovuta alla sua animosità nei confronti dello stile di vita dei Kim. E forse lei aveva ragione o forse no. Forse Namjoon preferiva pensare che lei avesse torto, perchè gli faceva comodo pensare che Seokjin non era la sua anima gemella per lenire il suo senso di colpa nei confronti dei sentimenti poco gentili che provava verso la sua famiglia e a volte verso di lui per il solo fatto che ne faceva parte.

Scosse la testa.

Gli tornò in mente come gli occhi di Jin si erano stretti in preoccupazione come si era morso leggermente il labbro inferiore in un gesto quasi impercettibile a chiunque tranne che all'acuto osservatore e Namjoon ne era uno. E perché onestamente era difficile perdersi qualcosa del viso perfetto della sua anima gemella.

Quasi si scaraventò fuori dal taxi per sfuggire ai suoi pensieri.

“ Ce l'hai fatta,” disse Yoongi, col solito tono di voce distaccato che usava per tutto, non appena Namjoon fece il suo ingresso nella stanzetta sul retro. Namjoon si limitò ad annuire e l'altro a scrollare le spalle ma c'era l'ombra di un sorriso sulle sue labbra. “Andiamo,”

Namjoon si diede a sua volta una scrollata, ripassò velocemente nella sua testa i pezzi su cui aveva lavorato entrambe per giorni e poi scuotendo la testa segui Yoongi fuori dalla stanza, a ridosso della parte posteriore del palco. Preso un profondo respiro mentre il brusio della folla aumentava di volume come se qualcuno avesse aperto un coperchio.

Là sopra non poteva esserci posto per altro. Nessun mal di testa, nessun pensieroso angoscioso, nessuna preoccupazione per quanto futile. Solo lui e la sua voce e le urla sotto di se.


 


 


 

Il giorno dopo naturalmente Namjoon era distrutto. Non sapeva come era riuscito nel compito di riuscire a rientrare nella villa dei Kim senza essere scoperto e soprattutto senza rompere qualcosa o rompersi qualcosa nel difficile compito di arrampicarsi di nuovo nella sua stanza. Era rovinato a terra così fragorosamente che Namjoon era convinto qualcuno sarebbe venuto a controllare ma era notte fonda e la dependance era lontano dalle altre camere da letto e anche dalle stanze del personale di sorveglianza. Quando fu chiaro nessuno sarebbe venuto Namjoon si infilo a letto ancora vestito dei suoi jeans e maglietta sporchi e probabilmente ancora impregnati della puzza di sigaretta e fumo. Tuttavia era troppo stanco per cambiarsi e aveva ancora meno aveva energie per farsi una doccia. Ci avrebbe pensato la mattina dopo, si disse.

Era stata una pessima idea. La mattina dopo Namjoon non si era svegliato neppure con la sua seconda sveglia ed era dovuto venire una cameriera a bussare alla sua porta. Namjoon si era svegliato di soprassalto cercando di capire dov'era e cosa fosse successo, gli eventi della sua fuga notturna e le ossa indolenzite a dargli il buongiorno mattutino. Si strofinò la faccia sentendosi uno straccio. Forse rimanere con gli stessi vestiti che puzzavano di fumo non era stata la sua idea più geniale. Poi il suo sguardo cadde sull'orologio sul comodino.

Si alzò di soprassalto quasi inciampando sul copriletto che era caduto sul pavimento e si precipitò in fretta e furia in bagno. Aveva venti minuti scarsi per lavarsi, vestirsi e cercare di assumere un aspetto dignitoso. Diciotto minuti più tardi Namjoon si trovava vestito di tutto punto di fronte all'ingresso principale, maglia messa miracolosamente nel verso giusto, anche se al secondo tentativo, e pantaloni nuovi senza buco. Vide Seokjin uscire nel vialetto che portava al portone d'ingresso e Namjoon approfittò di quel tempo per lisciarsi i capelli ancora umidi con le dita e cercare di riprendere fiato.

Gli si avvicinò come era suo solito, con quel modo di fare così confortevole che non conosceva spazi tra di loro. Senti le sue dite solleticare la base del suo collo mentre Namjoon faceva del suo meglio per non irrigidirsi.

“Avevi il colletto ancora all'interno,” Seokjin disse gentile per poi mettergli in mano un sacchetto di cartone. Namjoon quasi fece cadere il contenuto.

“Questo cos'è?” chiese andando dietro a Jin che stava uscendo dal portone e verso la strada dove li stava aspettando la macchina.

“La colazione, dormiglione,” disse prima di aprire la portiera della macchina ed entrare. Namjoon rimase per un attimo impalato fuori dall'abitacolo. Un orribile senso di colpa lo colpì allo stomaco.

Lui era una persona orribile.

“Allora vieni dentro o no? Faremo tardi,” disse la voce allegra di Seokjin da dentro la macchina. Namjoon si costrinse ad entrare cercando di apparire normale. Qualcuno chiuse la porta dietro di lui e l'autista mise in moto la macchina.

“Stai un po' meglio oggi? Mi sembri ancora un po' pallido,” Seokjin chiese. Namjoon non sapeva se ridere o piangere. Come faceva a dire alla sua anima gemella che le occhiaie che vedeva erano li per via della sua notte brava e che la sera prima gli aveva mentito? E non solo. Che quella non era neanche la prima volta che gli mentiva, che lui gli aveva mentito su se stesso e le sue circostanze sin dall'inizio.

“Sto bene Jin non preoccuparti,” Namjoon rispose.

“Non sono convinto, forse oggi era meglio se rimanevi a casa.”

“ Ti preoccupi troppo, sto bene.” Namjoon disse cercando di sorridere anche se era sicuro che gli fosse venuta fuori una smorfia.

“Sei la mia anima gemella certo che mi preoccupo,” Seokjin gli rispose con uno dei suoi sorrisi più brillanti. E ogni sorriso genuino di Jin gli portava via un pezzetto di se.

Namjoon afferrò Seokjin per il polso e strinse delicatamente. Seokjin sussultò un po' sorpreso perchè era raro che fosse Namjoon a iniziare il contatto fisico.

“Grazie,” e Namjoon sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza che le sue parole erano largamente insufficienti per esprimere tutto ciò che non poteva dire e che sentiva. Ma non era colpa di Jin, per quanto oscuro fosse tutto non sarebbe mai stata colpa sua. Seokjin si rilassò sul sedile e Namjoon ne fu lieto.

Senti l'inizio di un leggero mal di testa alle tempie ma non vi badò.


 


 


 

Le cene con i genitori di Seokjin alla residenza Kim erano forse una delle tante novità di cui Namjoon avrebbe volentieri fatto a meno. Non erano bastate le orribili lezioni all'università quel giorno, che tra parentesi non erano migliorate affatto, ma tornato a casa aveva trovato un invito del console Kim che richiedeva la loro presenza a cena. Namjoon soffocò un sospiro interno mentre si sedeva rigidamente di fronte a Jin che cercava di rincuorarlo con un'occhiata.

I genitori di Seokjin non erano eccessivamente terrificanti, erano molto cortesi e si interessavano alla sua vita e a quella di Jin. Ma erano anche molto deferenti e sebbene la signora Kim fosse dotata di una bellezza straordinaria, che il figlio aveva ereditato, spesso tuttavia appariva glaciale. Non era affatto come Seokjin che era premuroso e il cui sorriso illuminava tutto il suo viso, il suo comportamento invece era avaro di affetti, anche quando usava il dorso della mano per accarezzare la sua sua guancia e quella di suo figlio. Namjoon non dubitava dell'amore genitoriale della signora Kim perchè era evidente nel suo sguardo ma a volte Namjoon si chiedeva come doveva essere stato per Jin vivere in quella casa fredda e vuota e in cui tutto sembrava doversi conformare a un certo livello. Forse il giardino di casa sua era piccolo, camera sua ancora di più e raramente uscivano a cena fuori perchè non potevano permetterselo ma sua madre, sebbene lo sgridasse spesso per la sua sbadataggine, gli dava spesso grossi abbracci, sua sorella poteva anche urlare ma lo spalleggiava in tutto, e suo padre sebbene sbadato e goffo quanto lui, era buono e comprensivo.

Il padre di Seokjin invece metteva addosso una soggezione a cui Namjoon non era affatto abituato. Probabilmente, si disse, era il suo ruolo che avevano finito col plasmare il suo carattere e a renderlo così incline ad avere tutto sotto controllo e a guardare tutti dall'alto verso il basso. Namjoon non osava immaginare cosa doveva significare essere il primo console e il reggitore dello stato. Si disse che probabilmente avrebbe finito col scoprirlo presto visto che la sua anima gemella sarebbe stato il successore. Eppure più osservava le dinamiche della famiglia Kim, più Seokjin stonava con l'ambiente e la cosa non era affatto una critica. Namjoon si chiese se era possibile che un accadimento nella loro vita potesse mai finire di col trasformare quello che era Jin, una persona gentile e solare e così straordinariamente disinteressata, nella maschera di marmo che era il primo console Kim.

Seokjin non era perfetto Namjoon se ne rendeva conto per quanto il suo istinto gli dicesse che lo era. Il maggior aveva una insana mania per l'ordine, sistemava e lisciava sempre le pieghe dei vestiti di Namjoon, faceva sempre in modo che mangiassero allo stesso tavolo in mensa e tollerava poco i ritardi e i ritardatari, peccava di eccesso di fiducia e aveva spesso un pessimo, pessimo senso dell'umorismo. Ma era Jin, e sembrava portarsi una luce dietro ovunque andasse come se fosse una dannata lampadina accesa a tutte le ore.

Nonostante avesse vissuto tutta la vita tra quelle mura e tra quelle regole Seokjin non aveva perso quasi nulla del suo spirito e in confronto lui, con le sue poche settimane li, sembrava invece il Greench del natale. Sospirò cosa che non passò inosservata dal momento che Seokjin sollevò leggermente le sopracciglia, come se stese chiedendo se ci fosse qualcosa che non andava. Namjoon scosse impercettibilmente la testa e Jin allora roteò gli occhi in direzione dei suoi, come a voler dire che quella cena era barbosa anche per lui. Namjoon quasi rischiò di soffocare nella zuppa.

“Tutto bene, figliolo?” chiese il signor Kim.

“Si tutto bene,” rispose dopo che fu evidente non sarebbe morto di soffocamento. Lanciò un'occhiataccia a Jin che sorrise divertito.

“A proposito, visto che siamo tutti riuniti a cena, c'è una cosa che vi devo dire.” L'attenzione di tutti si spostò improvvisamente su di lui.

“Come sapete a fine mese il nostro Namjoon compirà diciannove anni,” quest'ultimo dovette farsi forza per non sospirare sonoramente a quella mezza verità. “L'evento sarà festeggiato con una festa degna degli eredi dei Kim, sarà un ottimo modo per presentarti alla società Namjoon. A questo riguardo verrai istruito a dovere sull'etichetta a partire da domani e quello che non ti dovesse essere chiaro sono sicuro che Seokjin sarà felice di aiutarti,” Seokjin fece un cenno mentre Namjoon si sentì il sangue gelare nelle vene.

Perchè questa notizia gli giungeva nuova? Quando era stato deciso che il suo compleanno doveva diventare uno show mediatico e da chi? E perchè mai nessuno pensava di chiedere la sua opinione? Ah già a nessuno importava in quella casa. Lo shock doveva esser evidente in viso perchè di nuovo sul viso della sua anima gemella apparve quella espressione di sollecitudine che faceva contorcere lo stomaco di Namjoon. Preoccupazione, senso di protezione, sentimenti così simili a quelli che sua madre aveva in viso quando la febbre del figlio una volta non ne voleva sapere di passare.

Era l'espressione di malessere che si prova verso al sofferenza di coloro che si ama. Ed era lì, dipinta sul volto di Jin.

“Tuttavia capiamo che questa cosa possa renderti nervoso Namjoon,” aggiunse la signora Kim. “I due eventi a cui hai partecipato di certo non ti potevano preparare a una festa quale sarà quella del tuo compleanno. Per fortuna il figlio del secondo console Park compie gli anni il giovedì della settimana prossima e credo sia un'ottima occasione per fare le prove generali,” disse con uno dei suoi rari sorrisi.

“Quindi tu e Seokjin farete bene a preparavi. Seokjin conto su di te,” concluse il signor Kim. Vide Seokjin annuire e suo padre sorridere compiaciuto, dopodiché il discorso fu lasciato morire e tutti ripresero a mangiare. Tutti tranne lui che riusciva a malapena a inghiottire la poca zuppa rimastogli nel piatto.


 

Namjoon, Yoongi che ne dite se la prossima serata fate l'esibizione principale?”Namjoon aveva dovuto serrare la mascella per impedirsi di fare qualcosa di imbarazzante come rimanere a bocca aperta mentre Yoongi, sempre più bravo di lui a mantenere un contegno, aveva avuto solo un brevissimo attimo di smarrimento prima di rispondere al padrone del locale e organizzatore della scaletta delle esibizioni con un semplice va bene.

Avevano aspettato che fossero al sicuro nella stanzetta sul retro ormai vuota prima di saltare in aria, Namjoon, e imprecare, Yoongi. Finalmente dopo innumerevoli serate passate a fare il fanalino di coda ecco che avevano la loro occasione. Namjoon era contento, almeno la sua fuga ora era stata più che giustificata.


 

Ci volle un secondo al suo cervello super veloce per fare i conti in testa e rendersi conto che quell'evento coincideva con la serata speciale che lui e Yoongi si erano guadagnati al pub.


 


 


 

Namjoon aveva un piano. Insomma non era un piano geniale ma era un piano. Il suo turno e quello di Yoongi al Pub non sarebbe iniziato se non alle undici e mezza. La cena dai Park sarebbe ufficialmente iniziata alle sette e Seokjin gli aveva assicurato sarebbe rimasti solo per un paio di ore. Perciò secondo la sua logica c'era tutto il tempo per tornare a casa e sgattaiolare dalla finestra e andare al Pub. Aveva persino controllato gli orari degli autobus di tutta la settimana, la quale tra l'altro era stata un incubo. Tra lo studio, le lezioni di etichetta, che lui riusciva a fallire miseramente, e tutte le pause e ore della notte trascorse a comporre, Namjoon era esausto ogni giorno.

Lui e Yoongi avevano una fitta corrispondenza via messaggio, si inviavano file audio e si scambiavano feedback Yoongi era apparso occupato e più nervoso del solito, sembrava tenerci particolarmente a quella serata col risultato che era più severo che mai con ogni testo che lui scriveva così come con quelli di Namjoon. Di nuovo si affacciò nella sua mente l'interrogativo su cosa stava succedendo al suo migliore amico e di nuovo fu sul punto di chiamarlo e chiedergli direttamente cosa c'era che non andava, ma non lo fece. Se tutto andava bene con l'adrenalina dello show ancora in corpo, Yoongi sarebbe stato abbastanza di buon umore da volerne parlare con lui. O comunque Namjoon ne avrebbe approfittato per interrogarlo.

“Dobbiamo fare del nostro meglio Joon. Ho davvero bisogno che facciamo del nostro meglio,” gli aveva detto una volta che erano usciti dal locale e nell'aria fresca della notte. E c'era stata una disperazione così carica nella sua voce che Namjoon di solito più eloquente aveva solo annuito anche se probabilmente Yoongi neanche se ne era accorto vista la scarsa illuminazione.

Quei momenti passati insieme ora potrebbero essere memoria. Erano le parole dei testi cheYoongi gli aveva inviato. Il suo amico gli aveva chiesto di scrivere qualcosa di diverso, e Namjoon spinto dalla sue parole aveva provato a farlo. Aveva quindici anni quasi sedici però, sentiva che ancora alcune cose non gli riuscivano bene come al maggiore. “Ho vissuto di più, per questo,” lo avrebbe preso in giro il suo amico. Ma Namjoon sentiva che forse quello sarebbe stato sempre più lo stile di Yoongi e non il suo.

Perchè tra le interminabili ore di quella sua nuova vita che era pesante come un macigno, in cui il senso di colpa si mischiava al dovere ogni giorno, e Jin li sempre presente a tenergli la mano anche quando lui non glielo aveva chiesto, l'unico sentimento che Namjoon sentiva era confusione.

E tutto, tutto era era troppo.

Come faceva a trarre fuori una canzone da un sentimento tanto terrificante?

“Ti sta benissimo,” disse Seokjin dalla soglia di camera sua. Namjon dovette trattenersi dal roteare gli occhi. Non stava affatto bene. Sembrava un pinguino mascherato in quello smoking. Jin invece appariva come un modello da rotocalchi.

“Quanto scommettiamo che riuscirò a rovesciarmi qualcosa nell'arco di un'ora?” Rispose invece Namjoon con un ghigno. Seokjin rise leggermente.

“Forse anche meno ma non importa. Ti sta comunque benissimo. Macchia di Chardoney addosso o meno,” Seokjin commentò lisciandogli una piega invisibile sulla spalla. Namjoon scosse la testa, poi, dando le spalle al riflesso nello specchio, prese il suo cellulare dal comodino e se lo mise in tasca. Non poteva permettersi di dimenticarselo era essenziale per vedere l'ora e leggere eventuali messaggi di Yoongi.

Rimasero per un po' in camera sua a chiacchierare del più e del meno, Seokjin si interessava sempre ai libri che Namjoon aveva letto, diceva sempre che lui aveva un gusto per le letture interessanti. Infine vennero a chiamarli.

“Non sono così terribili sai,” Seokjin disse una volta che furono in corridoio. Namjoon gli lanciò un'occhiataccia.

“Si va bene. Lo sono. Ma poi con il tempo ti ci abitui.”

“A volte mi chiedo come fai a vivere tra tutte queste costrizioni,” Namjoon non potè fare a meno di impedirsi di dire. Si morse la lingua poco dopo. Non avrebbe dovuto dirlo.

Seokjin lo guardò ma non sembrava affatto offeso forse un po' rattristito.

“A volte me lo chiedo anche io, Joonie. So che non è facile per te, credimi non lo è neanche per me. Ogni tanto ho come l'impressione che le maglie della rete non si allenteranno mai ma continueranno a restringersi invece, ma poi mi dico che sono fortunato, che poteva andarmi peggio. Potevo avere destini molto peggiori. Potevo non avere un'anima gemella, potevo non incontrare te.” Seokjin disse.

Namjoon si era sempre vantato di essere una persona che si esprimeva bene, con parole confacenti e in modo efficace. Tutti gli avevano sempre detto che era un bravo oratore, ma poi c'era Jin che con parole semplici riusciva sempre ad abbattere ogni risposta formulata dal suo cervello. Fortunatamente gli intendenti e la guardie del corpo vennero a prelevarli. La sicurezza quel giorno era raddoppiata e Namjoon si sentiva perso. Quando infine arrivarono alla residenza dei Park la sensazione di smarrimento si acuii. C'era così tanta gente, tutti numeri due del più alto lignaggio e poi c'era lui Kim Namjoon. Il cui unico merito e disgrazia era avere un'intelligenza sopra la media ed essere l'anima gemella di un Kim. Poi sentì le dita di Seokjin intrecciarsi con le sue.

Era un andrà tutto bene, era un staremo insieme. Namjoon prese un profondo respiro. La serata era appena iniziata.

Un sacco di persone gli si avvicinarono incuriositi, compresi i consoli e il figlio del console Park che lo interrogarono educatamente ma lo riempirono comunque di domande. Namjoon cercò di rispondere a tutto con garbo.

“Piacere Kim Namjoon, diciannove anni, studio economia,” era il succo di ciò che continuava ripetere. Mi chiamo Kim Namjoon, ho quindici anni e vorrei fare musica.

“Avevi detto che non erano così male questi eventi,” Namjoon si lamentò dopo che ennesima persona era venuta loro incontro impedendo loro di raggiungere il loro tavolo.

Seokjin rispose inclinando la testa di lato con uno strano sorriso. “Mi dispiace oggi in effetti è più difficile del solito, almeno il cibo sembra divino e possiamo sempre prendere in giro alcuni di questi loschi figuri. Voglio dire secondo te chi ha detto al console Park che uno smoking bianco era una buona idea?”

Namjoon scoppiò a ridere.

Le ore si susseguirono e infine lui e Seokjin vennero lasciati un po' in pace e liberi di mangiare un po', i festeggiamenti stavano raggiungendo il loro culmine con la portata in scena della torta e Namjoon si augurava non ci sarebbe voluto ancora molto. Namjoon guardò il suo cellulare preoccupato: erano le dieci.

Prese un tovagliolo dalla loro tavolata e iniziò a giocarci innervosito. Non aveva detto niente a Yoongi e non aveva potuto dirgli niente. Significava troppo per entrambi quell'occasione.

Tuttavia un'altra ora trascorse e nessuno dei Kim sembrava intenzionato ad andarsene troppo presto. Namjoon cercò di calmarsi e di non lasciarsi prendere dal panico.

Ma le undici si stavano avvicinando e lui era ancora inchiodato li. Era ancora inchiodato ai suoi doveri di quella nuova vita.

I minuti passavano. Inesorabili. Sentì il telefono vibrare. Una volta. Poi una seconda e lui sapeva chi era. Si scusò dal tavolo con la scusa di dover andare in bagno sotto lo sguardo attento di Seokjin.

Il telefono continuava a vibrare, quasi scottava nella tasca dei suoi pantaloni.

Namjoon vide il nome di Yoongi lampeggiare sul display.

“Dove sei?” la voce di Yoongi era bassa e minacciosa ma era ben chiara anche con la musica e le grida di sottofondo.

“Non riesco a venire. Sono ancora a una stupida festa e pensavo sarebbe finita ma sono ancora qui e non so cosa fare.” Namjoon confessò disperato.

“Dimmi che stai scherzando. Namjoon dimmi che stai scherzando!”

“Io pensavo di farcela davvero, ma..”

“Non mi interessa Namjoon!”

“Yoongi! Credi che non preferivo essere li piuttosto che qui? Credi che non voglia?”

“Non mi interessa quello che credi!Avevo bisogno di te qui. Ora. Ma tu non ci sei!”

“Io..”

La linea cadde ma era piuttosto sicuro che Yoongi gli avesse sbattuto il telefono in faccia.

Namjoon si prese la testa tra le mani.

“Namjoon, tutto bene?” Chiese Seokjin. Namjoon avrebbe voluto voltarsi e dirgli che no, non andava tutto bene che stava tutto andando a rotoli e che lui era probabilmente l'anima gemella più indegna così come un pessimo amico e tutto, tutto, stava andando storto e aveva un cervello e non gli serviva a niente perchè non riusciva a sistemare nulla, e non vi sarebbe mai riuscito e lui era solo bravo a rovinare qualsiasi cosa che aveva la sfortuna di incrociare il suo cammino.

“Si. Sono solo un po' stanco,” Namjoon mentì. E un altro macigno scese su di lui al peso di ennesima bugia.

“Ho chiesto a mio padre se possiamo ritirarci e ha detto di si. Vieni Nanmjoon, andiamo. Sembri davvero esausto,” Namjoon annui e si lasciò guidare per mano da Seokjin.


 


 


 







NdA: eccomi qui. Purtroppo ho più impegni di quelli che riesco a gestire (lavoro, lavoro) e perciò è difficile per me trovare il tempo per aggiornare. Comunque farò sempre del mio meglio. Just so you know, stiamo scendendo sempre di più ed è solo l'inizio (evil laugh). Il prossimo capitolo sarà cruciale per un sacco di cose.
Un grazie ai lettori e ai commentatori <3
Al prossimo capitolo ;)

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Capitolo 4
*** 2.3 ***


2.3


 


 

C'era voluta un'eternità a salutare tutti gli ospiti, perché come Kim non potevano salutarne alcuni e non altri e sgattaiolare via come e quando volevano. Namjoon lo aveva fatto comunque, aveva salutato ciascuno con un sorriso a denti stretti, ma pur sempre un sorriso, mentre cercava di tenere a bada il tremore del suo piede che aveva la voglia irrefrenabile di sbattere sul pavimento con impazienza. Se Seokjin si era accorto del suo strano nervosismo, non lo aveva dato a vedere se non per una strana occhiata che gli aveva lanciato quando infine si erano diretti verso l'uscita.

La macchina li stava già aspettando ma neanche allora Namjoon poté precipitarsi ma dovette procedere con passo calmo accanto al suo numero uno e lasciare che fosse il valletto ad aprire la portiera della macchina. Era così snervante e così superfluo questo continuo dover seguire l'etichetta, questo dover sempre seguire un copione. Si morse il labbro mentre entrava goffamente in macchina.

O forse era l'urgenza, il fatto di sapere di trovarsi nel posto sbagliato e lontano anni luce da dove voleva essere, e di stare sul punto di deludere il suo miglior amico, che lo rendevano particolarmente sensibile.

“Stanco, vero?” Seokjin gli chiese una volta che finalmente la macchina si era messa in moto. Namjoon avrebbe voluto essere più eloquente di un semplice gesto con la testa, ma il nervosismo gli chiudeva la gola.

“Presto saremo a casa, Joonie,” lo rassicurò Seokjin e Namjoon avrebbe voluto ridere, perché era quello che si augurava anche lui ma non poteva certo chiedere alla macchina di andare più veloce o al tempo di fermarsi. Namjoon affondò nel sedile rassegnato, cercando di reprimere uno strepito di frustrazione che si dibatteva nella sua cassa toracica. Fu allora che sentì la mano di Seokjin appoggiarsi leggera sul suo ginocchio. Sorpreso, il più giovane si voltò a guardarlo finché non si accorse allora che la sua gamba aveva smesso di tremare al suo tocco.

Namjoon arrossì.

“Scusa, è solo, non sono molto tagliato per queste cose. Immagino l'avrai capito,” Namjoon rispose un po' impacciato. Perché Seokjin doveva rendere tutto più difficile, perché era sempre così gentile?

“Allora siamo in due. Tanti anni e ancora non riesco ad abituarmi, almeno adesso non devo tornare a casa da solo,” Seokjin rispose, facendogli l'occhiolino. Ah. Namjoon lo squadrò contemplativo, per un attimo scosso dalle sue preoccupazioni perchè il senso di solitudine che era emanato da lui mentre diceva quelle parole era stato quasi tangibile.

Erano Seokjin e Namjoon che condividevano lo stesso spazio in un cubicolo, due persone diverse con un marea di segreti a dividerli ma erano anche due anime gemelle, destinati a farsi compagnia l'un l'altro per il resto delle loro vite. Namjoon cercò di guardare Seokjin cercando estrapolarlo dal contesto dei Kim, ma era difficile, quando era stata quella stupida festa ad avergli fatto perdere un'occasione importante.

La macchina infine si fermò davanti al cancello della grande villa dei Kim e Namjoon aveva tirato un sospiro di sollievo, tuttavia ancora Namjoon non aveva potuto usare l'andatura che avrebbe voluto. Doveva mantenere le apparenze e quindi non era come se potesse precipitarsi fuori dalla macchina e correre in camera sua a cambiarsi. Dovette pertanto percorrere il vialetto a passo tranquillo e lo stesso anche una volta che fu in casa. Namjoon avrebbe voluto urlare.

“Buonanotte,” gli sussurrò infine Seokjin baciandolo sulla guancia, le sue labbra umide e soffici si soffermarono per un attimo. Namjoon sperimentò come sempre quella sensazione di sollievo di sentire l'altro addosso che lui non sapeva bene come categorizzare.

“Buonanotte,” disse quindi di rimando, rimanendo un attimo un po' imbambolato perché era questo l'effetto che gli faceva Jin, la sua anima gemella. Ma poi quando Seokjin sparì dalla sua vista e dopo aver svoltato l'angolo del corridoio per andare nelle sue stanze, Namjoon si riscosse. Non aveva più tempo. Finalmente si precipitò, con la fretta che aveva tanto anelato, nella sua stanza. Non voleva neanche guardare l'ora nel suo cellulare perché sapeva che era già dannatamente tardi ma voleva ancora sperare di riuscire ad arrivare se non in tempo, almeno li. Per spiegarsi, per cercare di sistemare le cose anche solo un po', non importava se Yoongi lo avrebbe ucciso.

Sgusciò fuori da quell'abito elegante che lo faceva sentire così tanto un pinguino e così poco se stesso, e indossò il primo paio di jeans e maglietta che trovò nel suo armadio e poi, prendendo il cellulare e infilandoselo in tasca, aprì la finestra e sgusciò fuori con destrezza dettata dall'urgenza. Riuscì ad uscire dal cancello senza problemi, proprio come l'ultima volta e quindi, senza indugi, corse a perdi fiato verso la fermata dell'autobus sperando di essere ancora miracolosamente in tempo per l'ultima corsa. Le gambe gli dolevano e il suo fiato scorreva a fatica ma non si fermò finché non arrivò li, così di corsa che quasi andò a sbattere contro il palo della fermata.

Doveva esserci ancora una corsa. Doveva esserci.

Ma poi quando tirò fuori il cellulare per controllare l'ora quasi con timore, impallidì e subito dopo imprecò. Era arrivato dieci minuti più tardi dell'ultima corsa.

Poteva ancora farcela però si disse, poteva ancora chiamare un taxi e farsi portare la, gli sarebbe costato soldi ma quelli li aveva. Istintivamente si portò la mano nella tasca posteriore dei jeans dove di solito metteva il portafoglio ma la sua mano toccò il vuoto. Fu allora che lo colpì l'aberrante realizzazione: aveva dimenticato di portare il portafoglio.

E allora non si trattenne più, Namjoon lanciò un urlo nella notte. Perché. Perché era tutto contro. Diede un calcio all'aria perché non c'era nulla da calciare e non poteva calciare se stesso.

Non era giusto come ultimamente tutte le cose che contavano per lui erano anche quelle a cui era costretto a rinunciare. Non era giusto che fosse costretto a seppellire i suoi sogni come se fossero polvere d'avanzo da nascondere sotto un tappeto.

Sconsolato si sedette sulla panchina della fermata dell'autobus, prese il cellulare e stringendolo forte in mano aprì un messaggio per scrivere due parole, soltanto due parole ma sapeva che non sarebbe stato abbastanza. Sapeva che era andato tutto a puttane.

“Yoongi, mi dispiace.”


 


 


 

Furono i giorni più brutti che Namjoon ricordasse.

Quella nuova vita, quelle lezioni tediose di cui capiva tutto ma di cui detestava ogni dettaglio, di cui tuttavia doveva riempirsi la testa perchè era suo dovere, senza poter dedicare invece la sua attenzione a quello che veramente voleva. E poi quella casa, i Kim, le stupide lezioni di etichetta e le prove, per quello che sarebbe stato il compleanno più sconvolgente dei suoi miseri quasi sedici anni.

Ma soprattutto, niente Yoongi. Zero, silenzio tombale.

Namjoon aveva provato a chiamarlo e a mandargli messaggi, era persino tornato al locale la sera dopo quasi rischiando di essere scoperto da qualcuno del personale di sorveglianza. Nessuno aveva saputo dirgli nulla comunque, e nessuno aveva voluto dirgli nulla, il direttore del locale aveva scrollato le spalle quando Namjoon aveva provato a interrogarlo.

“Almeno lui è andato bene?” Namjoon aveva chiesto speranzoso e forse anche con una puntina di invidia.

“Ha lasciato tutti a bocca aperta,” fu la riposta laconica e Namjoon incassò il colpo infossandosi nelle spalle, perchè avrebbe tanto voluto esserci.

“Dov'eri finito comunque?” gli aveva poi chiesto l'uomo, come a voler sapere se Namjoon aveva avuto veramente una ragione valida per mollare il suo partner e aver rinunciato a una opportunità del genere. Lui si era lasciato sfuggire uno strano sbuffo allora.

“Impegni di famiglia,” ed era stato amarissimo dirlo. Poi, non riuscendo più a resistere lo stare lì, Namjoon se ne era andato. Aveva preso il bus di ritorno verso la residenza dei Kim ed era sgattaiolato nuovamente nella sua gabbia, soffocando la frustrazione nel suo cuscino.

La sua vita in apparenza sembrava completa, privilegiata, la sua relazione con Jin lo aveva portato a uno status così alto che molti sarebbero morti di invidia. Namjoon, tuttavia, non si era mai sentito così insoddisfatto e così solo. L'unica anima gemella che si sentiva sola su quello stupido pianeta.

Eppure per quanto fosse tutto triste non aveva neanche il tempo di leccarsi le ferite, perchè i giorni passavano inesorabilmente e altrettanto inesorabilmente la sua festa di compleanno si avvicinava. Si consolò pensando che almeno avrebbe rivisto la sua famiglia anche se non Yoongi il quale, sebbene fosse stato inviato, non aveva risposto a nessuno dei suoi messaggi. Nessun compleanno con gli amici, nessun festeggiamento al pub a suon di rime. Il libro di economia dentro la sua borsa non era mai sembrato così pesante.

Namjoon si lasciò sfuggire ennesimo grasso sospiro mentre sfogliava svogliatamente il libro di principi di macroeconomia. Seokjin sollevò il viso dal suo ancora più grosso libro di diritto. Namjoon si sistemò meglio sulla sedia, come sempre un po' in soggezione quando il maggiore lo guardava così, come se Namjoon meritasse sempre tutta la sua più devota attenzione. Come prima quando Seokjin era entrato nella stanza con i suoi libri e aveva sollevato lo sguardo per incrociare il suo. Era stato così limpido quello sguardo, così pieno di affetto che Namjoon aveva finito col rovesciare i suoi libri e le sue matite per terra. Seokjin aveva riso come se lui che faceva come sempre una pessima figura fosse qualcosa di adorabile invece di penoso. Namjoon non avrebbe mai capito cosa Seokjin trovava di così folgorante in lui, anime gemelle o meno.

Sotto quello sguardo così intenso, comunque, il più giovane si sentì in dovere di dire qualcosa.

“Facciamo una pausa? Credo che di questo passo mi scoppierà la testa,” Namjoon disse cercando di suonare leggero, quando invece sentiva la nuca pesante come un blocco di cemento. Vide le sopracciglia perfette di Seokjin corrugarsi leggermente.

“Di nuovo il mal di testa? Non va affatto bene, sono troppo frequenti. Forse è il caso di fare una visita medica,” Seokjin suggerì sporgendosi dalla sedia e scostandogli la frangia dalla fronte in una carezza. Namjoon come sempre si sforzò di non rabbrividire sotto il suo tocco.

“Ci sono già stato, non c'è una cura per i mal di testa eccetto prendere antidolorifici o aspettare che passino.”

“Però c'è qualcosa che li scatena?” Seokjin chiese.

“Non proprio. Però quando sono stressato si fanno più frequenti,” Namjoon si lasciò sfuggire. Scioccato dalla sua stessa ammissione, guardò la sua anima gemella per studiarne la reazione. Sul viso di Seokjin passò una strana espressione per poi soffermarsi in un'espressione colpevole. E sebbene Namjoon avesse questo insano impulso di prendersela con lui per quello che rappresentava, allo stesso non voleva che Jin ne soffrisse. Questa dualità inconciliabile avrebbe finito con l'essere la sua fine si disse una parte di lui.

“E' questa festa vero? Mi dispiace che non potrai festeggiarla con i tuoi amici Joonie, davvero, però il giorno dopo possiamo invitarli qui se vuoi o puoi andare tu da loro. Io faccio sempre così, be' non che io abbia molti amici, però io e Hyosang siamo soliti sparire ai nostri doveri per l'intera giornata quando arrivano i nostri compleanni. Fa bene ogni tanto fare finta di non essere un Kim,” Seokjin disse. Namjoon sorrise leggermente per l'innocenza delle parole di Seokjin. Di nuovo fu colpito da quanto cariche di sentimento fossero le sue parole, e di nuovo l'immagine di un Seokjin solo a passeggiare per quegli interminabili corridoi gli attraversò la mente. “Sono così contento di aver incontrato te,” Seokjin gli aveva detto, come se trovare Namjoon, la sua altra metà, avesse messo fine ad anni di agonia, come qualcuno che aveva sofferto la sete avesse trovato finalmente una fonte d'acqua. Namjoon distolse lo sguardo. In un altro universo, in un'altra vita avrebbe voluto poter dire altrettanto.

“Non credo che lo farò. Neanche io ho molti amici, dopo il diploma abbiamo preso tutti strade diverse,” Namjoon commentò.

“Aspetta però, e Yoongi? Ci sarà alla festa no? Potete fare qualcosa dopo, giuro che non mi intrometterò,” Seokjin disse battendo leggermente le mani.

“Vorrei potesse essere così semplice. Ecco, io e Yoongi non ci parliamo da giorni. Credo di averlo fatto arrabbiare per davvero stavolta,” Namjoon rispose scuotendo la testa. Perchè stava dicendo tutte queste cose a Seokjin? Non aveva previsto di lasciarsi sfuggire tanti pensieri, o forse era di nuovo quella cosa delle anime gemelle, impossibile resistere volenti o nolenti.

Si chiese vagamente se il suo mal di testa diventati così frequente fossero legati anche a questo, alla sua forte testardaggine di voler resistere a Seokjin con tutte le sue forze. Ma il fatto era che Namjoon temeva che abbandonarsi a Jin avrebbe significato accettare tutto di lui e lui voleva dire anche questa vita. E non credeva di essere pronto a farlo, non senza perdere una parte troppo importante di se stesso. Eppure l'impulso c'era ed era forte, e Namjoon sapeva che se solo se lo fosse concesso sarebbe stato così facile amare Jin. Ma non poteva. Non poteva.

“Qualsiasi cosa sia, sono sicuro che Yoongi ti perdonerà,” Seokjin disse prendendo la sua mano. Il maggiore era una persona molto affettuosa, a cui piaceva il contatto fisico e Namjoin si disse che doveva essere una cosa normale il toccarsi tra due anime gemelle, era solo lui a trovarlo strano. Seokjin non si era spinto troppo in la con le sue dimostrazioni di affetto comunque, quasi sentendo a livello subconscico la sua resistenza.

“Dici?” Namjoon chiese come un bambino in cerca di rassicurazioni.

“Yoongi sembra tenerci molto a te,” Seokjin ripose scuotendo la testa. “E' strano sai, anche se è più giovane di te si comporta quasi come un fratello maggiore.” Namjoon quasi si lasciò sfuggire una smorfia. Perchè lo è. Yoongi è più grande di me.

“Si sistemerà tutto, fidati. E ora se vuoi possiamo fare una pausa, e andarcene via di qui. Per un po',” Seokjin aggiunse.

“Non ti preoccupare, finiamo pure di studiare Jin. Il mal di testa mi passerà, passa sempre alla fine,” Seokjin lo valutò per un lungo attimo ma poi assenti.

“Giusto il tempo per cui tu mi spieghi questo grafico ma poi niente storie andiamo a prenderci un po' d'aria in giardino,” Seokjin disse in uno strano tono giocoso avvicinandosi con la sedia a lui e le loro teste erano così vicine che sentiva il suo profumo e se avesse voltato la testa Namjoon avrebbe potuto. Fu allora che Seokjin gli schioccò un sonoro bacio sulle sue labbra. Fu breve solo un leggero sfiorarsi di labbra ma Namjoon fu troppo interdetto per dire alcunché figuriamoci spiegare un grafico. Vide il viso di Seokjin illuminarsi di un ampio sorriso e Namjoon capì che quella di Jin era stata solo una scusa per rubargli un bacio.

“Jin,” Namjoon disse, mentre l'altro ridacchiava del suo imbarazzo. Non era che non fosse mai successo, Seokjin gli aveva dato un bacio anche il giorno stesso della cerimonia di introduzione e qualche altro paio da quando Namjoon si era trasferito. Ma non era neanche che accadesse tanto di frequente. Eppure ogni volta che accadeva, ogni volta che Jin lo coglieva di sorpresa capitava che miracolosamente la sua testa diventava sgombra.

Quasi Seokjin potesse avere su di lui lo stesso effetto della sua musica.

“Oh e questo cos'è ?” Seokjin chiese all'improvviso quando il suo occhio cadde sulla pagina scarabocchiata del suo libro. Namjoon ebbe l'istinto di coprire il suo libro con il braccio.

Ma Seokjin fu più svelto e non gli lasciò il tempo di nascondere il suo libro e in attimo il maggiore lo aveva tra le mani. Namjoon avrebbe voluto morire. Non era previsto che Seokjin venisse a sapere mai di questa attività. Erano come due mondi troppo diversi per potersi incontrare o coesistere. Poi l'altro disse le parole che cambiarono di parecchio il modo in cui Namjoom aveva sempre visto Kim Seokjin.

“Namjoon ma questo è bellissimo! Di cosa si tratta, di poesia? L'hai scritta tu?” E gli occhi gli brillavano di una tale sincerità che il più giovane sentì un pezzo di se stesso capitolare. Si coprì il viso con le mani.

“E' mio. Ma non è nulla di importante.”

“L'hai scritto tu, certo che è importante,” Seokjin rispose. Namjoon tolse le mani dal suo viso e guardò Seokjin come se lo vedesse per la prima volta.

“Vieni qui,” sussurrò Namjoon infine. Forse se ne sarebbe pentito, forse avrebbe maledetto quel momento perchè sapeva che non sarebbe potuto tornare indietro. Ma in quel momento fu più forte il suo desiderio di voler smettere di sentirsi solo tra le mura di quella casa quando poteva non esserlo. Sapeva che non poteva permetterselo, ma almeno, per quel momento, Namjoon si concesse di provarlo.

“Ho iniziato a scrivere quando avevo tredici anni,” iniziò e Seokjin non lo interruppe mai e ascoltò ogni sua parola.

Quel pomeriggio Namjoon infine lo lasciò entrare un po'.

Credo che saremo felici insieme io e te.

Avrebbe davvero potuto essere così semplice, avrebbe potuto, avrebbe dovuto.

 


 


 

Non era come se Namjoon avesse mai dato molto peso al suo compleanno. Visto e considerando quanto la sua età reale fosse risultata fuori posto tra quelli che avrebbero dovuto essere suoi coetanei, Namjoon non aveva mai avuto amici veri con cui fare festa prima di Yoongi e del pub. Era piuttosto sicuro che se ne sarebbe scordato sistematicamente se non fosse stato per sua madre. Il giorno del suo compleanno infatti lei non aveva mai mancato di dargli il benvenuto al mattino con biscotti appena sfornati e tutta la giornata era sempre stata un susseguirsi dei suoi piatti preferiti.

Quel compleanno sarebbe stato diverso e difficilmente se lo sarebbe scordato.

Se aveva pensato di sembrare un pinguino durante la festa della settimana prima, incarcerato in un abito costoso di cui aveva paura persino di toccare la stoffa, Namjoon non aveva fatto i conti con lo smoking scelto dai Kim per lui. Si sentiva come un enorme ingombrante blocco di cera a cui era stato detto di camminare. Ed oltretutto non era neanche ora di cena e lui era già stanco.

Lo avevano svegliato infatti a un'ora insana del mattino per un ultimo ripasso sul programma e per delle congratulazioni formali a colazione da parte dei Kim. Poi lo avevano mandato a tagliarsi i capelli, e dio solo sapeva quale altro trattamento di bellezza, fatto sta che Namjoon sentiva che le sue sopracciglia non sarebbero state più le stesse. Quando infine ne era uscito per ora di pranzo, non aveva potuto riposarsi perchè allora qualcuno aveva rapito sia lui che Seokjin (con il quale non era riuscito neppure a scambiare una parola) per essere impomatati per bene. La sua anima gemella naturalmente avendo già un'ottima base aveva raggiunto livelli ancora più ridicoli di avvenenza, mentre lui ne era uscito così diverso che riusciva a stento a riconoscersi nello specchio.

Namjoon sospirò mentre osservava il suo riflesso, incapace di ricongiungere quell'immagine con se stesso.

Quello non era lui, era qualcuno che aveva preso il suo posto e si divertiva a sorridergli di rimando come a volergli ricordare chi era la versione migliore tra in due.Namjoon onestamente trovava entrambe le versioni detestabili e avrebbe dato qualunque cosa per essere semplicemente se stesso.

Sbatte la testa contro la superficie dello specchio. Non era neanche iniziata e lui già si sentiva la nausea. Preso dal panico ed essendo troppo nervoso per distrarsi con la sua musica, Namjoon si precipitò fuori dalla sua stanza in cerca di Seokjin.

Non lo aveva mai fatto prima da allora. Aveva visto Jin tornare nella sua stanza un sacco di volte ma non lo aveva mai seguito e quelle poche in cui c'era stato era stato quando il maggiore lo aveva invitato, il più delle volte per restituirgli un libro che aveva preso dalla raccolta personale di Namjoon, le uniche vestigia della sua vecchia vita, e pochissime volte per passare del tempo insieme. Quello spesso e volentieri accadeva negli spazi comuni, in giardino, in salotto, in biblioteca. Rare volte in camera di Namjoon e solo quando Seokjin timidamente si affacciava alla porta di camera sua per chiedergli cosa stesse facendo.

Era strano, vivere sotto lo stesso tetto e passare così poco tempo insieme, quasi fossero due estranei forzati a convivere che due anime gemelle. Il fatto era che a Namjoon il tutto non sembrava poi così lontano da quello che descrivevano quelle parole.

Eppure dopo quel giorno in biblioteca, dopo che Jin aveva avuto un assaggio del suo mondo Namjoon non riusciva più a vederlo come un'appendice estranea e indesiderata. Jin, dopotutto era sempre apparso come qualcosa di troppo luminoso per le mura di quella casa, ma ora forse lo era ancora di più. Perchè Seokjin non aveva riso, non aveva definito il suo solo un hobby o un passatempo stupido. Aveva ascoltato e nel suo sorriso Namjoon vi aveva letto comprensione, e in quel momento era stato come se non fosse più uno contro tutto il mondo, ma due.

Namjoon sospirò. Per la prima volta gli passò per la mente il pensiero di come sarebbero stato se lui e Jin avessero potuto esistere da qualche altra parte lontano da li. Scosse la testa, non era il momento di pensare a quello. Dopotutto cosa sarebbe cambiato? Era qualcosa che non sarebbe potuto mai accadere.

Namjoon percorse lentamente il lungo corridoio che separava la dependance dalla casa principale dopo si trovava la camera di Jin. La porta era socchiusa ma Namjoon bussò comunque perché non voleva interrompere il maggiore.

“Avanti,” questi disse con voce distratta. Quando Namjoon aprì la porta per entrare la prima cosa su cui posò il suo sguardo furono le dita di Seokjin che abbottonava la camicia. Namjoon si immobilizzo sulla porta, mentre Seokjin si voltava colto di sorpresa come se non riuscisse a credere che Namjoon avesse bussato alla sua porta.

“Oh scusa non eri ancora pronto,” si scusò, ma il maggiore fece un gesto con la mano e poi lo tirò dentro per la manica.

“Nervoso?” Seokjin chiese con la sua solita gentilezza ma Namjoon vide che anche lui sembrava stranamente poco a suo agio.

“Un po'. Sembra tutto così gigantesco che al solo pensarci mi vengono le vertigini,” Namjoon commentò. “Ho come l'impressione che finirò col spiaccicarmi per terra non appena scenderemo dalla macchina.”

“Non pensò che accadrà anche perchè significherebbe che cadrei anche io che ti tengo per mano e questo non è possibile,” Seokjin cercò di scherzare. Namjoon si lasciò sfuggire un leggero sorriso a sua volta.

“Novità su Yoongi?” Seokjin chiese un po' titubante. Namjoon scosse la testa.

“Ancora nulla, sto incominciando a pensare che mi odierà per sempre.”

Seokjin allora fece una cosa buffa. Come tutte le volte in cui sentiva che Namjoon era in preda a qualche emozione forte, sollevò la mano per toccarlo in qualche modo, sapendo quanto il contatto fisico sebbene superficiale, riuscisse a calmare entrambi. Eppure invece di posare le sue dite direttamente sulla sua pelle come al solito, gli sfiorò invece a malapena la spalla in una carezza frettolosa.

“Mi dispiace Joonie. Davvero. Che lui non ci sia oggi. Ma ci siamo io e la tua famiglia e so che questa festa ti può sembrare troppo, ma faremo in modo che comunque tu abbia una gran compleanno,” Seokjin disse e sembrava davvero dispiaciuto, quasi il fatto che Yoongi non fosse li fosse stato una sua personale mancanza. Poi voltandosi alla svelta, come se fosse imbarazzato, cosa che non capitava mai, si diresse verso l'armadio da dove tirò fuori un pacchetto.

“Oggi non abbiamo neanche avuto un po' di tempo soli io e te e non ho potuto neanche farti gli auguri come si deve. Perciò ecco. Buon compleanno Namjoon,” Seokjin disse con un tono talmente carico di emozione che Namjoon non seppe cosa dedurne. Ma le sue mani furono ben presto piene del suddetto pacco e questo contribui a distrarlo. Lo prese tra le mani ispezionandolo.

“E' una sciocchezza so che avrei potuto prenderti qualcosa di più importante, però quando l'ho visto ho pensato fosse perfetto per te,” Seokjin disse passandosi una mano tra i capelli. Era una scena nuova per Namjoon avere un Seokjin meno sicuro di se, ma lascio perdere per il momento e si diede da fare per scartare il suo regalo. Quando riuscì infine ad avere la meglio sulla carta che lo avvolgeva le sue dita sfiorarono spessa pelle.

“So che preferisci i margini dei tuoi libri a giudicare da quanto sono pieni. Ma il commesso mi ha detto che la copertina di questo libro è praticamente a prova di bomba, e quindi anche se ti cade non si rovinerà, e poi volevo fosse un incoraggiamento a continuare,” Seokjin disse blaterando. Tra le mani Namjoon aveva un libro dalle pagine vuote e dalla bellissima copertina in pelle. Era così bello che Namjoon aveva paura persino ad aprirlo figuriamoci a riempirlo dei suoi scarabocchi.

“Grazie,” Namjoon disse facendo per la prima volta un passo avanti e Seokjin interdetto arrossì.

“Di nulla,” la sua anima gemella disse con un sorriso. “Sono contento che ti piaccia,” il maggiore sussurrò. In quel momento qualcuno bussò alla porta. Seokjin allora fece un passo indietro. “Credo che sia ora, se sei pronto andiamo,” disse, stavolta porgendogli la mano nel solito gesto. Namjoon la prese.

“Andiamo.”


 


 


 

Sembrava una torta esplosa per la troppa melassa messa sopra, ecco cosa sembrava la sua presunta festa di compleanno. I Kim avevano affittato l'intero attico e terrazzo di una palazzo di lusso e avevano fatto arredare tutti i locali a nuovo e Namjoon non era mai stato a una festa così in vita sua. La cosa peggiore era che tutta quella baraonda era in suo onore. Peccato, davvero, che lui fosse il tipo che si sarebbe accontentato di una cena offerta al fast food e un chiacchierata serale e perchè no della buona musica, per il suo compleanno.

Che tutte quelle persone fossero li per vedere che faccia avesse l'anima gemella dell'erede dei Kim era a dir poco ridicolo ma a giudicare da come tutti lo avevano scrutato, Namjoon dovette ricredersi. Ogni singolo ospite lo aveva squadrato da capo a piedi, dalla sua pettinatura al tipo di scarpe che indossava. L'unica cosa positiva era la presenza della sua famiglia che sembrava poco a suo agio quanto lui. Erano tutti tirati a lucido in abiti costosi, regalo dei Kim, e apparivano disorientati in mezzo a gente tanto importante e facoltosa.

Namjoon intimamente li adorava e voleva che rimanesse così, che spiccassero sempre perchè voleva dire che erano diversi da tutta quella fiera delle vanità. Per fortuna non dovette aspettare troppo per poterli riabbracciare, non appena gli applausi al suo ingresso plateale mano nella mano con Jin ebbero fine, fu Seokjin stesso a camminare in quella direzione.

“Mamma!” Namjoon si sentiva come un bambino. Certo tecnicamente lui non era un ostaggio, poteva tornare a casa dei suoi genitori ma era anche vero che altrettanto tecnicamente lui aveva cambiato ufficialmente domicilio.

Fu ancora più felice di constatare che i loro tavoli erano uno di fianco all'altro. Non era come mangiare nella loro vecchia cucina ma era qualcosa. Poi il suo sguardo si posò sulla sedia vuota al tavolo dei suoi genitori e il suo sguardo si rabbuiò. Quello era il posto che era stato riservato a Yoongi.

Namjoon distolse subito lo sguardo.

Sarebbe stato il primo compleanno in anni che avrebbe passato lontano dal suo migliore amico.

Il tavolo dove erano seduti lui e Jin era centrale ben visibile da tutti e Namjoon si sentiva esposto come in una vetrina anche se per fortuna ad attirare la maggior parte degli sguardi non erano lui ma i Kim che erano seduti anche loro allo stesso tavolo, insieme agli zii di Seokjin e il loro figlio.

Namjoon aveva parlato con il cugino di Seokjin, Hyosang, solo un paio di volte in occasione di qualche cena di famiglia. Gli era sembrato eccentrico, terribilmente sveglio e anche un po' vanesio. Ma lui e Seokjin apparivano molto legati e non era stato difficile immaginare quei due da bambini a spasso per la magione dei Kim a eludere la sorveglianza del personale. Seokjin gli aveva detto che Hyosang era sempre stato il ribelle della famiglia ma che da quando aveva incontrato la sua anima gemella aveva messo la testa a posto.

Proprio in quel momento Hyosang, oramai suo cugino acquisito, si voltò. I loro sguardi si incrociarono e un sorriso strano si dipinse sulle labbra di quest'ultimo. Namjoon si ritrasse. Anche la prima volta che l'aveva visto il più giovane aveva avuto la sensazione che l'altro lo scrutasse con uno strano interesse di sorta e questo lo rendeva guardingo. Tuttavia non aveva nulla di cui rimproverarlo se non questa sensazione che provava, e del resto era sempre stato gentile e divertente le poche occasioni che avevano avuto di parlare.

Namjoon si osservo i costosi gemelli ai polsini della sua camicia che spuntavano dal suo smoking. Si erano seduti ma sapeva che sarebbe durato poco, erano solo agli aperitivi. La spalla di Seokjin sfiorò la sua, a rassicurarlo con la presenza confortante. Namjoon lo guardò di sottecchi perché il maggiore sembrava distratto quella sera, ma quando si accorse di essere osservato gli rivolse il suo solito sorriso gentile e questo lo tranquillizzò.

La serata andò avanti per ore, ma Namjoon allo scoccare della terza aveva sviluppato ennesimo terribile mal di testa. Gli si doveva leggere in faccia perchè sia sua madre che Seokjin lo guardarono preoccupati e persino il volto impassibile della signora Kim sembrava scosso da un velo di preoccupazione. Probabilmente doveva apparire molto pallido, Namjoon sapeva che quando la sua emicrania era molto forte il suo colorito di solito così in salute diventava cereo.

“Joonie,” Seokjin gli sussurrò in mezzo alla pista da ballo quando toccò loro aprire le danze, “ti prometto che dopo il brindisi ti porto via di qui,” disse stringendo la presa sulla sua spalla.

Namjoon sorrise vagamente anche se debolmente.

“Cosa farai mi rapirai?”

“Se devo,” ma Seokjin sembrava stranamente determinato. Questo fece sorridere Namjoon di più e gli fece schiarire un po' la mente. Forse era stato un bene che Yoongi non fosse venuto. Si sarebbe annoiato a morte e avrebbe cercato di sgattaiolare fuori di li dopo la prima ora cercando magari di trascinarselo dietro con la scusa del “tanto nessuno se ne accorgerà anche se è il tuo compleanno,” il che sarebbe stato fin troppo vero.

Sebbene in apparenza tutto, dal menu, all'orchestra, alla torta fosse tutto in suo onore per il più finto dei diciannovesimi compleanni, tutti avevano perso interesse in lui dopo la prima ora. Certo lo avevano guardato per bene e nessuno aveva perso l'occasione per presentarsi e parlarci se potevano, primo tra tutti il secondo console Park che dal compleanno di suo figlio non perdeva occasione di fargli domande complicate di politica di cui Namjoon non aveva alba e a cui rispondeva usando parole il più difficile possibile solo nel tentativo di essere lasciato in pace. Il fatto che Seokjin dovesse soffocare le risate dietro un bicchiere di champagne lo incentivava in questo comportamento dalle tinte irriverenti. “Non ti preoccupare il console Park non sta simpatico a nessuno,” gli aveva confessato Seokjin quando Namjoon gli aveva chiesto se avesse esagerato.

Alla fine Seokjin mantenne la sua promessa e riusci veramente nell'intento di trascinarlo via dopo il brindisi. Namjoon salutò la sua famiglia che sarebbe rimasta li ancora un pochino prima di ritirarsi anche loro. Probabilmente i festeggiamenti sarebbero continuati ad oltranza solo senza il celebrato. Ma dopotutto quella macchina era stata montata più per esibire e stupire il mondo della grandezza dei Kim che per celebrare lui, anche se lo avevano ricoperto di regali.

“Grazie,” Namjoon sussurrò appoggiandosi leggermente a Seokjin.

“Mi dispiace, sussurrò,” Seokjin guardando il pavimento dell'ascensore. Il tono fu abbastanza per destare curiosità in Namjoon perchè il maggiore sembrava davvero averlo detto per scusarsi di qualcosa.

“Lo continui a dire ultimante.”

“Perchè mi dispiace davvero,” Seokjin ripete lo sguardo ancora a terra.

“Non è stato così male. Il cibo era ottimo e la torta era divina. Credo di non avere mai mangiato niente di più buono. E miei genitori si sono divertiti a ballare a conoscere nuova gente. Anche io mi sono divertito,”

“Non mentire, sei un pessimo bugiardo,” Seokjin disse finalmente sollevando la testa, e lanciandogli uno sguardo.

“E' stato divertente spiazzare il console Park, non pensavo che le poche parole di latino che so lo avrebbero fatto andare di matto. Ed è stato divertente quando Hyosang ha versato accidentalmente il suo champagne sull'abito dell'erede dei Park,” Seokjin rise leggero allora.

“Quei due si odiano dai tempi della scuola, sin da quando Hyosang è riuscito a farlo finire nei guai per qualcosa che aveva combinato lui.”

Namjoon rise di rimando, ma se ne pentì subito perchè il pulsare alla testa peggiorò.

Seokjin lo guardò con preoccupazione, mentre uscivano dall'ascensore ma Namjoon non piacque quello sguardo, era come se stesse per chiedere scusa ancora una volta e lui non capiva il perchè.

Poi Namjoon andò a sbattere contro la schiena di Seokjin che si era fermato di botto in mezzo all'atrio. Namjoon sorpreso fu sul punto di chiedere al maggiore cosa fosse successo, ma fu allora che notò una figura in piedi alle porte girevoli dell'ingresso. Era Yoongi, vestito elegante anche se in modo distratto come se si fosse buttato i vestiti addosso in fretta e furia. Nonostante l'eleganza sembrava fuori di se.Yoongi sembrò notare il suo sguardo.

“Credevo non mi avrebbero fatto passare se venivo vestito in felpa e jeans,” Yoongi disse e il suo tono sembrava distrutto, spezzato, disperato.

“E' stata una buona idea perchè avevo ragione dovevi vedere lo sguardo delle guardie del corpo all'ingresso. Ma dovevo vederti Joon. Io...dovevo vederti. So che mi sono comportato male anche se avevo diritto ad essere arrabbiato ma so anche che sono stato pessimo a non farti nemmeno gli auguri, è solo che...” Namjoon diede qualche passo avanti.

Non aveva mai visto Yoongi così, nessuno dei Yoongi che va nella sua memoria era mai stato così e questo lo spaventava. Doveva esser successo qualcosa e improvvisamente tutti i segnali che aveva colto ma su cui non aveva agito rimbombarono rumorosi nella sua testa. Avrebbe dovuto preoccuparsene prima, chiedergli come stava, insistere. Avrebbe dovuto pensarci prima che accadesse quel disastro di quel appuntamento mancato. Namjoon si voltò verso Seokjin e non ci fu bisogno di dire una parola perchè Seokjin, la sua anima gemella, lo capisse.

“Vai. Ti copro io,” Seokjin disse.

Namjoon avrebbe voluto dire di più, fare di più, invece annui, prese Yoongi per la manica e lo trascinò fuori verso la porta sul retro.


 


 


 


 


 


 

NdA: ahhhhh ce l'ho fatta! Cries. E ora vai col Yoongi tango;)


 

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Capitolo 5
*** 2.4 ***


2.4


 


 

Ricordava bene l'odore acre di fumo e di come era stato quasi schiacciato dalla folla mentre cercava di avere una visuale del palco. Nonostante la sua altezza, non c'era niente che un tredicenne potesse fare per tentare di conquistarsi un po' di spazio in mezzo a quel marasma. Ma dopotutto non era esattamente una brutta cosa, in quel modo perlomeno sarebbe passato inosservato perché era vero che il Pub era frequentato da un sacco di gente fuori dalla norma, ma Namjoon era un po' troppo anche per il pub data la sua giovane età.

Ricordava bene anche il momento in cui era accaduto, come aveva controllato due volte quello stesso palco prima di credere ai suoi occhi, perché lassù, proprio di fronte a lui che sputava le sue rime come se la sua vita dipendesse da questo, c'era un ragazzino che reggeva possessivamente il microfono con pallide dita tremanti.

Dopo quella scena tutti i suoi piani erano andati in fumo. Era deciso. Doveva rimanere.

Non era stata sua intenzione quella di rimanere lì per troppo tempo. Namjoon era semplicemente stato curioso di controllare questo posto dopo che un paio di ragazzi più grandi della sua scuola, avevano parlato del Pub come il posto da non mancare se amavi la musica, e aveva quindi deciso di sgattaiolare nottetempo dalla sua stanza e andarci. Sorprendentemente era riuscito a farlo senza svegliare nessuno quando era uscito di nascosto dalla finestra, il che data la sua goffaggine era una sorta di miracolo, ma non voleva sfidare la sua fortuna e se sua madre avesse mai saputo che era fuori dal suo letto a quell'ora, sarebbe finito in guai seri.

Tuttavia, dopo aver visto che c'era qualcuno così giovane (non poteva essere troppo più grande di lui) su quello stesso palco su cui lui aveva fantasticato per settimane, i piedi erano rimasti incollati in quel punto e Namjoon era quindi rimasto fino alla fine dello spettacolo, nella speranza di vedere nuovamente quel ragazzo. Purtroppo il ragazzino aveva avuto solo un paio di versi nella canzone di chiusura di gruppo, ma Namjoon era stato contento di essere rimasto, lo spettacolo era stato fantastico e sarebbe stato un ricordo che avrebbe conservato con cura, sperando un giorno di aggiungerne di altri più preziosi.

Il suo cervello dopotutto aveva appena elaborato un paio di un piani e affinché funzionassero, aveva bisogno di quel ragazzino.

Aveva visto quest'ultimo scendere dal palco mentre la folla cominciava a disperdersi lentamente ma Namjoon era rimasto lì giusto in tempo per vedere il ragazzo entrare nella stanza sul retro da cui lui si era intrufolato prima. Aveva trovato la porta aperta e la confusione era tale, che nessuno si era accorto dell'ingresso di un ragazzino. Quindi Namjoon era uscito di corsa dal pub, per farsi trovare nel vicolo su cui dava quella stessa porta.

Il ragazzo era uscito un paio di minuti dopo insieme ad altri ragazzi più grandi, ma questi ultimi si erano allontanati ridendo e fischiando, e per loro la notte era ancora giovane e quel momento solo l'inizio del loro divertimento. Il ragazzo era rimasto indietro fortunatamente, le mani che affondavano nelle tasche dei suoi jeans in cerca di un accendino e di una sigaretta.

Namjoon aveva deciso che fosse il caso di rendere la sua presenza nota e il ragazzo era sembrato sorpreso dalla sua alta silhouette, occhi che si riducevano a due fessure nel tentativo di capire se lui fosse un pericolo o meno. Ma non appena la faccia di Namjoon fu colpita dalla luce proveniente dalla porta aperta, il ragazzo aveva quasi sbuffato annoiato. Aveva acceso quindi la sigaretta rilassando le spalle.

"Che cosa ci fa un bambino fuori a quest'ora e in questo posto?" Aveva chiesto, il tono annoiato.

"Potrei dire lo stesso," Namjoon aveva risposto, felice di essere perlomeno alto dal momento che questo ragazzo lo intimidiva un sacco a dispetto delle sue dimensioni. Quella volta il ragazzo aveva finito per sbuffare per davvero.

"So come calciare molto bene, non importa se sei più alto di me,” aveva risposto in tono seccato.

"Bene, puoi farlo dopo, ma prima devo chiederti una cosa,” aveva detto Namjoon mentre l'altro si voltava verso di lui, sopracciglio inarcato in modo sdegnoso, come se non riuscisse credere all'impudenza di quel moccioso e se Namjoon era onesto con se stesso, neanche lui sapeva da dove veniva tutta quella baldanza.

"Insegnami.”

"Che cosa?"

"Avrai iniziato da qualche parte e non puoi essere tanto più grande di me, quindi chi meglio di te. Perciò insegnami! "Namjoon aveva ripetuto con veemenza, afferrando l'altro per le spalle in modo brusco come se fosse qualcosa di troppo importante da lasciar andare. Era stato allora che il ragazzo gli aveva dato un calcio. Forte.

E quello era stato come lui e Yoongi si erano conosciuti.

Ogni volta che Namjoon ripensava a quell'episodio non poteva fare a meno di sentirsi imbarazzato, era stato così pesante e insistente e allora non sapeva neppure quello che stava chiedendo veramente.

"Non è qualcosa che può essere insegnato, è qualcosa che hai, qualcosa che è in te,” Yoongi gli aveva detto quella volta, ma non aveva esattamente respinto la richiesta di Namjoon.

Namjoon non seppe mai cosa era stato che Yoongi aveva visto in lui quella notte, ma anche se non avesse detto subito sì, aveva lasciato che Namjoon continuasse a venire a salutarlo dietro le quinte e prima che ne rendessero conto, la cosa era diventata una routine. Namjoon sgattaiolava fuori per guardare gli spettacoli rap e Yoongi gli dedicava del tempo.

I loro incontri notturni si erano trasformati presto in pomeriggi e, alla fine, Yoongi aveva finito per insegnargli davvero come fare, anche se il maggiore insisteva nel dire che lui lo aveva semplicemente aiutato a togliere gli strati di qualcosa che c'era già. Il suo amico aveva avuto ragione. Perché Namjoon aveva sempre avuto pensieri da esprimere, parole da dire, così tanti che talvolta si aggrovigliavano nel suo cervello, causandogli orribili mal di testa. Scrivere i suoi pensieri lo aveva aiutato e avevano offerto un po' di sollievo, ma mettere in ordine quel groviglio affinchè acquistasse un senso era un'altra cosa. Non sapeva che nel sistemare quei pensieri armoniosamente su una traccia musicale, avrebbe finito col dare un senso anche a se stesso.

Era stato come trovare la via del ritorno a casa dopo essersi sentiti persi per così tanto tempo, era stato come tornare a respirare aria pura dopo anni di nebbia.

Era iniziato tutta quella notte, era iniziato tutto con Yoongi e Namjoon gli era grato in molti modi anche se non avrebbe mai potuto esprimere i suoi sentimenti in modo adeguato perché Namjoon era beh, se stesso, un disastro ambulante, e Yoongi era allergico alle dimostrazioni di affetto e non l'avrebbe mai permesso. Sarebbe finita con Yoongi che lo calciava di nuovo e lui sapeva per esperienza quanto fossero duri i suoi calci.

Yoongi che amava agire, che era duro e tutto spigoli, ma Namjoon aveva sempre saputo che sotto tutti quegli strati c'era una morbidezza di fondo. Ma dopotutto non era così difficile da capire era sufficiente ascoltare le sue canzoni per rendersene conto e tuttavia mai avrebbe pensato che quel che c'era sotto fosse così profondo. Era stato così stupido. Era stato così preso dalla sua tragedia personale tutto quel tempo che non aveva notato fin dall'inizio che se Yoongi era così bravo e in grado di trasmettere così tanto nonostante fosse così giovane, era perché quelle parole scaturivano dalle sue esperienze personali e da un cuore danneggiato quanto quello di Namjoon, o forse ancora di più.

Aveva sempre guardato Yoongi e lo aveva giudicato forte perché lo era. Ma era anche fragile come la persona che tanto lottava di essere.

Namjoon avrebbe voluto prendersi a calci da solo per tutte le volte in cui nonostante avesse saputo che Yoongi fosse dolorante, non aveva notato come questo dolore lo avesse spezzato.

Era il peggiore degli amici, pensò Namjoon mentre trascinava Yoongi fuori dall'atrio del palazzo e nella notte buia. Non potevano allontanarsi troppo comunque, perché Namjoon era ancora vestito del suo smoking, e anche dopo senza essersi tolto la giacca, attirava lo stesso un sacco di sguardi curiosi. Così entrarono rapidamente in una caffetteria, e comprarono due tazze di caffè fumanti da portare via e andarono verso il posto più vicino che avesse uno spazio su cui sedersi per una chiacchierata.

Erano finiti quindi in un parco e più precise sulle altalene, Namjoon sorseggiava dalla tazza di carta mentre guardava con preoccupazione crescente Yoongi. Non l'aveva mai visto così prima di allora, non aveva nemmeno provato a tirare fuori una sigaretta come era diventata sua abitudine ogni volta che si trovavano all'aperto, se ne stava seduto lì, spalle ricurve, che si dondolava leggermente sull'altalena che cigolava con suono triste. Namjoon non sapeva se doveva essere lui a intavolare la conversazione o se fosse meglio invece aspettare che fosse Yoongi ad aprirsi, e si sentiva così inutile e così impotente, ma fortunatamente il suo amico lo levò dall'impaccio. Namjoon lo udì sospirare, rassegnato, prima di aprire la bocca per parlare.

"Come ben sai sono nato un numero due, come te. La gente dice che siamo quelli giusti, che siamo quelli fortunati. Non ho mai pensato che avessero ragione e non ho mai pensato di essere fortunato. Ma ci sono alcuni vantaggi, devo ammetterlo. Essere numeri due mi ha permesso di non dovermi mai preoccupare della mia scelta di carriera, posso amare la musica, ma soprattutto mi lascia libero di provare a fare della musica una carriera. Era una piccola consolazione, ma mi ci aggrappavo con tutto me stesso perché era la mia sola consolazione. Li odio tutti Namjoon, per quello che pensano di essere, per quello che fanno ogni giorno a me, a quelli che non sono come me. Non potevo accettare di essere così, di appartenere alla stessa categoria di quelle persone che odiavo così tanto. Così non l'ho fatto. Era facile farlo quando ero piccolo e il mio diciottesimo compleanno sembrava così lontano. Era facile ingannarmi e convincermi di avere, tempo. Di avere una sorta di scelta. Ma non ce l'abbiamo, e tu più di ogni altro sai bene che è così. Mi andava bene però, perchè credevo di poter accettare di annegare nel mio odio finché potevo continuare ad avere quell'amore, la mia musica. "

Yoongi sorrise amaramente e Namjoon sapeva che non doveva interromperlo con le sue domande, sebbene ne avesse parecchie, che doveva ascoltare perché il suo migliore amico stava per svelare qualcosa, probabilmente quel qualcosa per cui Yoongi era apparso sconvolto per tutte quelle settimane, ma Namjoon era stato troppo codardo per chiedergli cosa fosse.

Erano amici, il loro legame si fondava su uno stesso febbrile amore per la musica e anche se davano voce alle proprie sofferenze attraverso le loro canzoni, non ne avevano mai parlato tra di loro e questo era stato il loro errore per tutto quel tempo. Perché alcune cose andavano dette esattamente come erano. Nessun fronzolo ad abbellire il tutto.

"Ma poi ho incontrato da lui,” Yoongi ridacchiò amaramente mentre abbassava la testa e la sua voce si abbassava di un ottava, come a voler accarezzare il ricordo con il tono della sua voce.

"Ho incontrato lui e tutto è cambiato. Non ho mai pensato di poter desiderare qualcosa che non fosse la musica prima di incontrare lui. Perché lui è così spensierato, così incontaminato dalla bruttezza di questo mondo, così autentico, che non potevo lasciarmelo scappare. Sono un egoista. Sono un fottuto egoista perché anche se so che non mi è permesso, anche se so che non è mio e non sarà mai mio da avere, non ho potuto lasciarmelo scivolare tra le dita. Quindi non l'ho fatto, ho intrecciato i nostri destini così strettamente che non potrei sciogliere il nodo anche se lo volessi. Sai cosa significa tutto questo, vero? Perché ho fatto quello che ho giurato che non avrei mai fatto. Ho agito come quei numeri due che ho sempre detestato si comporterebbero verso un numero zero. Con egoismo e senza riguardo.”

Namjoon sentì il torpore impadronirsi delle sue membra e guardò Yoongi allarmato, incapace di comprendere come una persona così intelligente potesse fare qualcosa di così ... quest'ultimo si alzò bruscamente e Namjoon cercò di incontrare il suo sguardo, ma il maggiore continuava a fissare il terreno per la vergogna.

Namjoon scosse la testa. Regola numero uno del manuale di sopravvivenza del numero due.

Non lasciarsi mai coinvolgere sentimentalmente con un numero zero, poteva solo causare inutili sofferenze e poteva finire solo in un modo. Male.

Almeno questo era ciò che sua madre gli aveva sempre raccomandato di fare e Namjoon ne aveva capito la logica. Personalmente, non si era mai lasciato coinvolgete dai numeri zero, per lo più perché aveva avuto poche occasioni ma anche perché comprendeva bene le innumerevoli lacune del loro sistema che non proteggeva affatto i membri più vulnerabili. E se il sistema era difettoso, come Namjoon era sempre stato convinto, era dovere dei singoli individui di fare del loro meglio per correggere quella ingiustizia nel quotidiano.

Erano solo numeri due dopotutto, e numero due era sinonimo di anima gemella non del concetto di perfezione, non importava quanto il governo si impegnasse a fargli credere ciò.

E perciò i numeri due agivano spesso per capriccio e non sempre con le migliori intenzioni. Tuttavia, anche se era convinto che il suo migliore amico non avesse avuto davvero brutte intenzioni, Yoongi avrebbe dovuto sapere che lasciare a se stesso, ma soprattutto all'altra persona, l'opportunità di provare qualcosa, era cadere in acque torbide.

Perché Yoongi era un sacco di cose ma non era senza cuore e lui era il tipo che si avvicinava solo quando trovava quel qualcosa o qualcuno interessante. E dove c'era interesse c'era un sentimento, perchè lui era fatto così, era incapace di amare a metà, di interessarsi a metà, come con Namjoon, che aveva posto sotto la sua ala. Tuttavia, se era vero che Namjoon come numero due non costituiva un pericolo, non poteva che essere tutta un'altra storia se l'altra persona era un numero zero, qualcuno che non apparteneva a nessun altro.

Yoongi aveva fatto l'errore di pensare che potesse appartenere a lui.

"Ho conosciuto la mia anima gemella mesi fa. Lei è adorabile ed è molto di più di quello che mi meritavo. Ma io non la amo, non nel modo in cui so di poter amare. È perfetta, ma non è lui. E ho provato a pensare a una soluzione, a qualcosa, a qualsiasi cosa, ma andarmene significherebbe rinunciare alla musica e farle del male, ma rimanere significherebbe rinunciare a lui e non posso. Non posso farlo. Come potrei farlo?”Yoongi disse istericamente, e quando sollevò infine il viso e Namjoon lo vide, vide che cosa voleva dire essere giù, sul fondo.

"Lo ami,” disse il più giovane chiudendo gli occhi per un attimo.

"Così tanto che non ha nemmeno senso.”

"Avresti dovuto lasciarlo andare quando ti sei reso conto dei tuoi sentimenti."

"Lo so," Yoongi disse con rabbia, ma non verso Namjoon, verso se stesso.

"E dovresti lasciarlo andare ora prima che sia troppo tardi".

"So anche questo."

"Ma non lo farai,” disse Namjoon e non era una domanda ma piuttosto un'affermazione, era scritto in tutte le parole di Yoongi. Il suo amico non era venuto a cercarlo in cerca di conforto o di una soluzione, perché sapeva benissimo cosa doveva essere fatto. Yoongi era venuto solo per-

"Non finirà bene. Non può finire bene. Perché sei un numero due e lui non lo è, e anche se non è destinato a nessuno, non significa che potrà mai appartenere a te.”

"Lo so, Namjoon!" Gridò Yoongi e Namjoon sapeva che Yoongi aveva torto, che era tutto così maledettamente sbagliato, perché stava facendo del male a se stesso, alla persona che amava, alla persona a cui lui apparteneva, eppure quando le ginocchia del maggiore cedettero, Namjoon si inginocchiò accanto a lui e mise un braccio intorno alle sue spalle tremanti.

Yoongi non era venuto alla ricerca di conforto o di comprensione perché sapeva benissimo cosa doveva essere fatto.

Era venuto per sputare i sentimenti più reconditi e più sofferti del suo cuore, anche se non avrebbe risolto nulla.

"Sai cosa è la cosa peggiore? Mi hanno preso Namjoon, i talent scout mi hanno preso,” sussurrò Yoongi, ridendo ma Namjoon sentì le sue spalle tremare e indovinò il perché. Strinse la presa.

Rimasero in quella posizione a lungo, fianco a fianco.


 


 


 

Namjoon era tornato molto tardi. Non aveva voluto lasciare Yoongi, ma sapeva che doveva tornare alla residenza Kim. Per di più Seokjin lo aveva coperto e lui non voleva rischiare di metterlo nei guai più di quanto fosse necessario. Così accompagnò Yoongi a casa sua e da lì prese un taxi di ritorno. Tornare indietro era stato più difficile e pesante, e le sue membra erano intorpidite non dalla sua solita goffaggine ma da un nuovo peso sul suo cuore che non sapeva come gestire.

Per un attimo mentre sgattaiolava dentro alla villa gli venne il dubbio che la finestra della sua stanza potesse essere chiusa ma fortunatamente non fu così. La finestra di camera sua era aperta, e fu facile scavalcarla quindi ma aveva messo solo una gamba dentro, che Namjoon si accorse che non era vuota.

Lì, addormentato nel suo letto con addosso ancore i suoi vestiti eccetto per la giacca, c'era Seokjin. Aveva il cellulare ancora stretto nella sua mano e aveva il naso sepolto nel suo cuscino. Il cuore di Namjoon si fermò per un attimo.

Numeri due. Il sistema di algoritmi assegnava alla maggior parte di loro una persona e quella persona era chiamata anima gemella. Essendo numeri due, era stata assegnata una persona a lui come lo era stata assegnata a Yoongi, ma questo era stato forse abbastanza per renderli felici o fortunati?

Scosse la testa, non era il momento di pensare a questo.

Namjoon fece passare l'altra gamba da sopra il davanzale ma nel farlo fini col rimanere impigliato e nel tentativo di non spiaccicarsi a terra atterrò rumorosamente sul pavimento, finendo con lo svegliare Seokjin.

I loro occhi si incontrarono, occhi a mandorla che leggermente socchiusi per il sonno incontravano i suoi altrettanto stanchi. Seokjin si sollevo dal materasso non appena si rese conto che lui era tornato, sbattendo gli occhi per cercare di disperdere un po' di sonno, i capelli sconvolti e la camicia tutta spiegazzata. Ma anche in quel modo, Namjoon senti un qualcosa che, per un attimo, lo immobilizzò sul posto.

"Sei tornato," disse Seokjin sollevato.

"Sì, mi dispiace se ho fatto tardi. Non volevo che Yoongi tornasse da solo a casa.”

Seokjin annuì sbadigliando un po'.

"Come sta?" Chiese e Namjoon lo guardò come per valutarlo, ma nel suo volto riconobbe solo una preoccupazione sincera e si senti male per aver dubitato del buon cuore di Seokjin. Eppure non poteva esattamente dirgli tutto.

"Non si sente bene,” rispose Namjoon e il maggiore capi che non avrebbe aggiunto altro. E comunque anche se Seokjin avesse conosciuto Yoongi abbastanza perchè Namjoon si sentisse a suo agio nel condividere con lui i segreti del suo migliore amico, non sapeva se avrebbe trovato le parole giuste per farlo. Non c'erano state molte volte in cui si era sentito così perso, questa tuttavia era una di quelle.

Un silenzio pesante cadde tra di loro e Namjoon vide il maggiore muoversi un po' disagio sotto il suo sguardo e capì di averlo probabilmente fissato troppo intensamente.

"Immagino che tu sia stanco Joonie," disse Seokjin alzandosi definitivamente dal letto. "Mi dispiace di essermi addormentato qui, avevo paura che qualcuno venisse a controllare, ma ho creduto che se avessero saputo che mi trovavo qui non sarebbero venuti, così sono rimasto,”Seokjin arrossì nel dire queste parole, "probabilmente domani riceveremo qualche occhiata di troppo, scusa.”

"Hyung, va bene. Grazie per avermi coperto,” disse Namjoon avvicinandosi al maggiore, abbastanza per poter vedere come il cuscino avesse lasciato delle pieghe sulla guancia dell'altro

Ma Seokjin sorrise in modo imbarazzato facendo un passo indietro. Namjoon lo guardò perplesso.

"Ti lascio riposare, buona notte Namjoon. E di nuovo, buon compleanno, "disse Seokjin prima di tornare indietro fino alla porta e uscire, lasciandolo da solo.

Il più giovane rimase lì, per un lungo momento, fissando la porta e cercando di capire se c'era qualcosa che gli era di nuovo sfuggito, ma il suo cervello passò rapidamente in rassegna tutti i fatti del giorno e non vi trovò niente.

Scosse la testa e all'improvviso tutta la stanchezza della giornata cadde come un macigno su di lui. Si gettò sul letto, troppo stanco per cercare di uscire dal bozzolo dei vestiti costosi, così si lascio cadere a peso morto sul materasso, seppellendo la testa nel cuscino.

Ebbe solo il tempo di registrare che profumava di buono, come Jin, prima di soccombere al sonno.


 


 


 


 

I giorni a seguire furono dei più strani. Dopo i fatti della sua festa di compleanno Yoongi era tornato, niente più silenzio radio anche se anche se i suoi messaggi sembravano più pezzi sconnessi di qualcosa di irrimediabilmente incrinato ma per c'erano, Yoongi era sincero e comunicava con lui, ed era bello essere di nuovo amici anche se non era il più felice dei momenti. Namjoon avrebbe voluto avere un termine di paragone, ma era giovane e inesperto e nonostante i suoi sforzi non sapeva cosa dire al suo migliore amico per farlo sentire meglio.

Amare qualcuno così. Amare qualcuno così, da disperati e da folli. Namjoon non riusciva a capire quel sentimento, perché non aveva mai sperimentato un amore così accecante così irraggiungibile, quindi non riusciva in tutta verità a capire come Yoongi potesse sentirsi.

Per la prima volta sentì l'esigenza di poter parlare e aprirsi con qualcuno, perchè era una verità troppo pesante da affrontare da solo, ma non sapeva con chi. Aveva anche preso in considerazione l'eventualità di raccontare a Seokjin ogni cosa, ma ogni volta che erano rimasti soli e lui era stato sul punto di parlare qualcosa finiva col fermarlo, sempre.

Sapeva che Seokjin avrebbe ascoltato perché era Jin ed era gentile, ma il nuovo senso di freddezza che all'improvviso il suo numero uno a emanare non lo aiutava a dissipare le sue titubanze. Ed era ironico davvero, perchè Namjoon era stato riluttante nei confronti dell'altro fin dall'inizio e anche adesso era difficile per lui affrontare la situazione, ma Jin era sempre stato quello sicuro tra loro e stava cominciando a capire ora che, probabilmente, questo gli aveva dato un senso di sicurezza senza che lui se ne rendesse conto. Qualcosa si era spostato, quasi impercettibilmente, ma Namjoon che aveva osservato le persone per tutta la sua vita, era stato il suo hobby sin da bambino, lo avea notato, e riconosceva un sorriso forzato quando ne vedeva uno. Soprattutto quando questi era sul volto di Jin, che sorrideva sempre di tutto cuore.

Che diavolo stava succedendo a tutte le persone a lui vicine? Fulminò il suo libro di economia infastidito, come se fosse colpa di questi se lui aveva letto la stessa frase per oltre mezz'ora.

Non riusciva a capire Yoongi. Non capiva cosa stava succedendo nella testa di Seokjin.

La gente gli ripeteva di continuo quanto lui fosse intelligente, eppure chissà come mai lui si sentiva spesso e volentieri tutto il contrario. Addirittura inutile, soprattutto per le cose che contavano.

Uscì dalla sua stanza, che improvvisamente avvertiva più soffocante che mai e andò nel giardino della villa Kim per respirare dell'aria fresca. Forse aveva bisogno di una distrazione, forse più tardi avrebbe potuto prendere un autobus e visitare la sua famiglia. Sua madre sarebbe stata felice di vederlo e forse, una volta che fosse stato circondato dalla sua famiglia, sarebbe riuscito a calmare il suo cuore e per un attimo convincersi che tutto poteva essere semplice.

Non era passato nemmeno un anno, ma sembrava che fosse passato molto, molto tempo.

Namjoon aveva sempre saputo che la vita non era semplice, non l'aveva saputo fin dall'inizio quanto sbagliato fosse il sistema? Ma una cosa era constatare analiticamente lo stato delle cose, un'altra era sperimentarlo in prima persona e vedere quelli che amava sperimentarlo a loro volta, realtà bruciante sulla loro pelle. Quelli che amava. La sua famiglia, che gli mancava, Yoongi. Seokjin?

Mentre si avvicinava al bellissimo e grande giardino della villa dall'erba verde e perfettamente tagliata, scorse la sua anima gemella in mezzo al prato. Si trovava li sdraiato di schiena, a braccia aperte ed occhi chiusi, godendosi la sensazione di raggi di sole sulla sua pelle. Namjoon esitò.

Aveva un aspetto così pacifico che non voleva disturbarlo, ma non era qualcosa che poteva davvero evitare. Ogni volta infatti che uno dei due entrava nello stesso spazio fisico dell'altro, c'era un'attrazione troppo grande e troppo irresistibile che faceva si che i loro occhi si incontrassero sempre e la loro pelle era percorsa da un pizzicore che li spingeva a voler toccare e accarezzare. Non era razionale, pensò Namjoon, non c'era nessun algoritmo che potesse spiegarglielo, e questi erano i momenti in cui Namjoon trovava infondato il suo scetticismo.

Seokjin aprì gli occhi e si voltò leggermente verso di lui.

"Mi dispiace, ti ho disturbato?"

Seokjin sollevò un braccio per schermare gli occhi dal sole e scosse la testa.

"Certo che no", rispose, e Namjoon sentì la sua sincerità e per questo osò sedersi accanto a lui, così vicino che c'erano solo pochi centimetri di distanza a separarli. Per un attimo, tutto sembrò andare al suo posto.

"C'è qualcosa che ti preoccupa, Joonie?" Chiese Seokjin come se già intuisse la risposta,"sei preoccupato per Yoongi?"

"Sì, tra le altre cose".

"Sei preoccupato per altre cose?" Chiese Seokjin, improvvisamente preoccupato. Namjoojn avrebbe voluto farsi piccolo e nascondersi. Sì, sono preoccupato per me, per il futuro, sono preoccupato per te.

"Hyung, hai mai voluto qualcosa che sapevi che non avresti dovuto?" Domandò improvvisamente Namjoon.

"Riguarda sempre Yoongi?" Chiese Seokjin dopo un po' in tono strano. Il più giovane lo guardò, ma non rispose.

Seokjin si sollevò e si sedette a gambe incrociate come Namjoon. Quindi sospirò.

"Sì,” rispose infine, e proprio come lui quella notte, quando era tornato dalla sua breve fuga, non aggiunse altro. Namjoon avrebbe voluto chiedergli perché lui suonava proprio come se potesse capire perfettamente quel sentimento, come mai qualcuno che aveva avuto tutto dalla vita potesse capire così bene.

Seokjin avrebbe davvero potuto capirlo se avesse osato aprirgli il suo cuore?

Namjoon fu scosso da una sensazione improvvisa, la sua pelle prudeva per la voglia di toccare, di fare qualcosa. Coprì il ginocchio del maggiore con il palmo della sua mano, sporgendosi in avanti. Seokjin lo guardò sorpreso. "Hyung?" Chiese Namjoon in un sussurro. Ma qualunque cosa stesse per dire, non ebbe il tempo di uscire dalla sua bocca, perché all'improvviso il rumore di una porta che si apriva e di passi che avvicinavano li interruppero.

Namjoon, tuttavia, non ritirò la mano anche quando la cameriera si fermò vicino a loro. Come Seokjin aveva predetto, molti sguardi dello staff si soffermarono più del solito su di loro dopo che qualcuno aveva visto Seokjin entrare nella sua stanza di notte, ma nessuno aveva naturalmente osato chiedere qualcosa, dopotutto a quel punto non era da considerarsi una cosa normale? Per quanto ne sapevano gli altri loro erano due anime gemelle maggiorenni, era ovvio che stessero insieme, era in realtà una stranezza che non fossero sempre fisicamente l'uno addosso all'altro (un'altra delle loro stranezze, pensò Namjoon).

"Il console Kim vuole parlarti, "disse la cameriera appena entrò nel loro giardino. Entrambi trattennero il respiro ma il primo ad alzarsi fu Jin.

"Ha richiesto la presenza di Namjoon in realtà," si corresse la cameriera. Namjoon scambiò uno sguardo perplesso con Seokjin, ma quest'ultimo sembrava più perplesso di lui e la sua espressione si oscurava ogni secondo che passava.

"Ti aspetto qui Namjoon,” disse Seokjin, prima che lui potesse allontanarsi troppo.

Namjoon annuì, cercando di sorridere. C'erano innumerevoli dettagli che non c'era verso di far coincidere e un sacco di pensieri che vorticavano nella sua mente e molte, molte, parole che aspettavano di essere dette, ma non era quello il momento.

Diede quindi la schiena a Seokjin e seguì la domestica all'interno della villa.

Non era certo raro che lui interagisse con i genitori di Seokjin, specialmente con il primo console. Il console sembrava infatti essersi interessato a lui, ed era comprensibile, in fin dei conti lui era il compagno di suo figlio, l'erede del titolo consolare. Era ragionevole quindi che volesse conoscere Namjoon a fondo e trascorrere del tempo con lui, considerando il grande ruolo che Seokjin era stato chiamato a giocare.

Tuttavia, Namjoon non si fidava di lui, non poteva. L'intero compromesso sulla sua età era qualcosa deciso da lui, era stata sua l'imposizione di iniziare la sua vita con i Kim come bugiardo, ed era stata sua l'idea di farlo iscrivere alla facoltà di economica e Namjoon si sentiva spesso come una pedina su un tavolo da gioco, ma non era lui il giocatore e neppure conosceva le regole.

Così era con mente guardinga che si avvicinò all'ufficio del primo console Kim, perché fino ad allora tutte le parole che erano uscite da quella bocca e che erano state dirette verso di lui non erano state affatto piacevoli.

Bussò alla porta chiusa e sentì un basso e distintivo, "avanti" venire dall'altra parte. Fece un respiro profondo.

"Oh Namjoon, sei tu, entra", Namjoon entrò in silenzio, un po 'sconcertato perché non era stato lui che lo aveva chiamato in primo luogo? Allora perché si comportava come se si fosse imbattuto in Namjoon per pura coincidenza?

Non c'era niente del signor Kim che gli ricordasse Seokjin e questo era una cosa negativa perché non aveva elementi per cercare di leggere quel volto, ma anche una cosa buona perché voleva dire che Seokjin non aveva ereditato quell'espressione fredda, e il modo in cui il volto di Seokjin si apriva in un sorriso caldo sarebbe sempre qualcosa che sarebbe stato solo Jin.

"Mi hanno detto che volevi parlare con me, signore."

"Namjoon, non essere così formale con me, siamo famiglia ormai,” disse il padre di Seokjin invitando il giovane a sedersi sulla sedia dall'altra parte della scrivania in mogano.

"Quindi sei diventato più vecchio,” esordi con una battuta, “so che probabilmente è una cosa nuova per te, ma spero che ti sia piaciuta la tua festa di compleanno. Seokjin mi ha detto che non ti sei sentito troppo bene dopo."

"Ah sì, credo che sia stata la stanchezza, non sono ancora abituato a questo tipo di eventi,” replicò Namjoon.

"È comprensibile, completamente comprensibile. Credo che ci metterei poco a prendere il ritmo però, sei un ragazzo intelligente, dopo tutto, "disse gentilmente il vecchio Kim, ma Namjoon lo interpretò come una imbeccata, e ancora una volta annuì senza dire una parola.

"Comunque, volevo parlare con te ragazzo. Ora che sei più grande e ti sei abituato un po' alla nostra vita, penso che sia arrivato il momento che tu venga coinvolto maggiormente nei nostri affari. Sai che siamo la famiglia Kim e che Seokjin è l'erede del titolo di console. Lui sa già cosa ci si aspetta da lui, certo avrei preferito che lui fosse stato più naturalmente incline a questo ruolo, ma è un ragazzo brillante e tutti sembrano volergli bene all'istante. Non è una cattiva qualità quando si è in politica,” disse il padre di Seokjin, e ancora una volta le apparenti parole gentili che lui diceva sembravano avere un intento e un significato nascosto.

Non gli piaceva, nemmeno un po'.

"Ecco perché sono felice che sia tu il suo compagno per la vita. Seokjin ha molte qualità ma come tutti, ha cose che potrebbe fare meglio e cose che non è proprio in grado di fare. Spesso non riesce a vedere il quadro generale delle cose e con ingenuità si attacca ai piccoli dettagli e ignora il resto. Tu sei diverso Namjoon, ed è una benedizione per la nostra famiglia. Il mio numero uno, la madre di Seokjin non è stata solo un'amorevole compagna, ma anche una fonte di forza per me e mi ha aiutato moltissimo negli anni. Stanno arrivando tempi difficili e anche tu dovrai fare la tua parte, per la famiglia Kim e per il futuro del suo erede.”

"Ammiro Seokjin moltissimo," replicò invece Namjoon ignorando l'ultima imbeccata perché una persona come Seokjin poteva essere solo una benedizione per l'istituzione del consolato. Nonostante tutti i suoi orribili dubbi verso l'intera faccenda delle anime gemelle, non poteva non difendere il suo numero uno. No. Non il suo numero uno, stava difendendo Seokjin per la persona che era, e non perché era la sua anima gemella.

"Buono a sapersi, davvero. Ecco perché penso non avrai nulla in contrario se a partire dalla prossima settimana inizierai a trascorrere più tempo con me per imparare. So che hai le tue lezioni, e il mio staff ha già controllato il tuo programma e lo ha organizzato a secondo delle nuove attività. Seokjin verrà con noi la maggior parte delle volte, ma a volte saremo solo tu e io e il nostro entourage."

"Capisco," Namjoon non sapeva cosa altro dire, sentiva una corda stringersi intorno al suo collo e sapeva che non c'era spazio alcuno per protestare, per dire nulla. Non gli piaceva questo uomo anche se era il padre di Seokjin, anche se era famiglia, e sopratutto perché nonostante questo non lo sentiva paterno affatto.

L'uomo si alzò e gli indicò di fare lo stesso. "Voglio mostrarti la mia biblioteca personale Namjoon, e forse possiamo parlare un po' di più e poi giuro che ti lascerò andare, non voglio affaticarti già dal primo giorno,” disse l'uomo sempre in tono affabile, mentre posava una mano sulla sua spalla, quasi come se fosse l'artiglio di un predatore, e lo guidava fuori dalla stanza. Namjoon gettò un ultimo sguardo all'orologio sul muro dell'ufficio prima di uscire, sperando che non ci volesse troppo tempo perché anche se non aveva fatto promesse, c'era comunque un posto in cui voleva tornare.

"A proposito Namjoon, quanto sai dell'algoritmo?" Gli chiese l'uomo mentre camminavano insieme lungo corridoio e lo guidava verso un'altra parte della enorme villa.


 


 


 

Il sole non era più alto in cielo, e Namjoon sapeva che non doveva essere trascorsa più di un'ora, ma a lui era sembrato un tempo eterno, più interminabile del tempo gettato nelle sue soporifere lezioni. Inutile, doloroso e che lo lasciava con un senso di vuoto immancabilmente. Avrebbe tanto voluto seppellirsi nelle sue canzoni e nella sua musica e dimenticare lo sguardo negli occhi del padre di Seokjin. Tuttavia, i suoi piedi lo portarono di nuovo verso il giardino, verso l'angolo dove vi aveva trovato Seokjin, pacificamente disteso come se non potesse esserci nulla di più bello che godersi i raggi del sole sulla sua pelle.

Namjoon si mosse rapidamente, ma quando infine giunse in quello stesso angolo, Seokjin non c'era più e lui provò qualcosa di simile alla delusione tra le altre emozioni che riusciva a provare e che sapeva un giorno avrebbero finito con l'annegarlo.


 

"Signor Kim, quando potrò dire la verità a Seokjin?"

L'uomo lo aveva guardato freddamente, anche se come sempre il tono usato era stato cortese e controllato.

"Non ancora," disse chiudendo l'argomento, ma a Namjoon era suonato troppo come un mai.


 

Sentimento soffocati, segreti, stranezze e molte cose che Namjoon non poteva accettare, quella era la sua vita con Seokjin e non importava quanto lui cercasse disperatamente di far combaciare i pezzi, questi non combaciavano.

"Namjoon", il giovane si voltò immediatamente a quella voce, la voce di Seokjin.

"Scusa, visto che ci stavi mettendo un po', sono tornato a prendere un libro per cercare di studiare mentre ti aspettavo,” disse Seokjin con un leggero sorriso. Lui se ne stava li, le guance arrossate dal caldo e alcuni fili di erba impigliati nei capelli, e mai immagine gli era apparsa così a posto.

Namjoon sorrise e, facendo qualcosa che non aveva mai fatto prima, fece un passo in avanti e senza dare all'altro il tempo di reagire, senza pensarci troppo lui stesso, coprì le labbra dell'altro con le sue.













ndA: yay. Ce l'ho fatta. Ce l'ho fatta, volgio piangere dalla gioia. Siccome questa storia esiste anche in inglese è sempre un incubo coordinare le traduzioni (perchè si cerco sempre di stra fare). Posso finalmente andare a dormire ora!! Grazie per le recensioni, riescono sempre a darmi energia per continuare. Love you <3
ahhhh e Yoongi. Yoongi. 

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Capitolo 6
*** 2.5 ***


2.5


 

Contrariamente a ciò che uno poteva ipotizzare, considerando il non celato scetticismo che aveva sempre dimostrato nei confronti delle anime gemelle e del fallace sistema di assegnazione delle stesse, Namjoon aveva avuto davvero poche esperienze in campo amoroso.

Era sempre stato troppo preso da se stesso, dai suoi pensieri e dalla sua musica per lasciarsi prendere dalla curiosità, e dalla tentazione, di voler provare a vedere come fosse avvicinarsi fisicamente a qualcuno. Quanto alla vicinanza emotiva, Namjoon non poteva neanche pensare di immischiarcisi, i rischi di perdere il controllo su ciò che non si poteva scegliere erano troppo alti ed era troppo insensato e folle credere che non ci potessero essere delle conseguenze.

Il suo amico Yoongi ne era uno sfortunato esempio.

Per farla breve, in definitiva, Namjoon non aveva mai baciato nessuno prima di Seokjin.

E tutti i baci che erano seguiti a quello di quel primo giorno durante l'introduzione, in cui il maggiore aveva con tanta naturalezza e calma appoggiato le labbra sulle sue, non erano peraltro mai stati un'idea di Namjoon. Era sempre stato Seokjin a iniziare ogni loro contatto fisico.

Namjoon si era spesso domandato se questa inattività fisica potesse essere considerata una idiosincrasia reale o indotta, se fossero infatti i suoi principi a frenarlo o se ci fosse invece qualcosa di tangibile che gli stesse impedendo di farlo. Il fatto che una parte di lui volesse credere che la loro unione fosse stata una ennesima bizzarria del sistema, era un elemento che aveva sempre sospeso il suo giudizio.

Il sospetto che in realtà fosse solo una mal celata paura di cedere, perchè cosa ne sarebbe stato di lui se non avesse avuto i suoi principi a tenerlo in piedi, era qualcosa che non riusciva a togliersi dalla testa.

Esistono destini peggiori, si era detto Namjoon cercando miseramente di razionalizzare con se stesso. Esistono destini peggiori del dover rinunciare a ciò che si vuole.

Tuttavia, nonostante l'ombra che era scesa su di lui e che non ne voleva sapere di andare via, più il tempo passava e i giorni trascorsi in compagnia di Seokjin andavano accumulandosi l'uno dietro l'altro, più Namjoon iniziava a pensare che anche se una metà di lui veniva uccisa almeno l'altra avrebbe potuto avere Jin.

Dopotutto era innegabile che ci fosse un che di recondito, e perchè no di dannatamente romantico, nel preservare ogni parte di se per la propria anima gemella. Se Namjoon avesse saputo guardarsi meglio sin dall'inizio, e andare oltre il suo pregiudizievole scetticismo, avrebbe capito subito che una capitalizzazione dei suoi sentimenti era inevitabile.

Perciò si, in quell'attimo di assoluta perfezione in cui Seokjin lo aveva guardato con tutta la sua affettuosa benevolenza, Namjoon non aveva potuto fare altro che sporgersi in avanti e carpire le labbra di Jin in un bacio, il primo che lui avesse iniziato.

C'era stato un senso di soddisfazione, come se tutto il suo corpo avesse gioito di quel suo momento di resa, euforia che gli esplodeva nel cervello nel sentire le labbra di Seokjin muoversi con le sue, mentre una folle necessità di toccare Jin, di sentire il calore della sua pelle si faceva strda dentro di lui.

Chissà come sarebbe stato se Seokjin lo avesse guardato da sotto in su, disteso di schiena su quello stesso prato, labbra umide e in attesa.

Fu allora che la sua mano, come se si fosse mossa di sua propria volontà, si appoggiò sulla spalla di Jin e prima che ne se rendesse conto le loro prospettive si erano ribaltate e il maggiore era finito col trovarsi veramente disteso di schiena che lo guardava da sotto in su con sguardo leggermente stupito. Namjoon lo guardava stupito a sua volta perché non era questo che aveva avuto in mente, (anche se davvero dio solo sapeva che cosa aveva avuto in mente). Era come se tutte le volte in cui si era opposto a quella attraente corrente elettrica presente fra di loro, si fosse accumulata per scoppiare in quell’unico momento e il suo corpo avesse agito richiedendo, pretendendo, il contatto con Seokjin.

“Namjoon,” aveva sussurrato il maggiore e Namjoon aveva continuato a guardarlo come ipnotizzato mentre la mano dell’altro si sollevava per accarezzargli la guancia come per riportarlo in sé.

Funzionò. Perché fu allora che realizzò la situazione in cui lui stesso li aveva messi. Il maggiore lo stava guardando con lo stesso sguardo gentile di sempre, ma il suo corpo si era irrigidito in una evidente posa di rifiuto.

Namjoo boccheggiò.

Fu come essere colpiti allo stomaco, capire che lui non era l'unico ad avere delle remore, e che forse c'era la possibilità che fosse così da un po'. Ma da quando? In quale frangente aveva dimenticato di badare a un dettaglio così importante.

Namjoon lasciò subito andare il maggiore troppo scosso dalla rivelazione, e Seokjin si mise a sedere lentamente, e il più giovane sentì il suo sguardo posarsi intensamente su di lui, e con la coda dell'occhio vide la mano di questi alzarsi come a voler accarezzare, per poi tuttavia cadere inerte sul fianco.

“Andiamo,” Seokjin suggerì poco dopo, alzandosi e porgendo una mano a Namjoon per aiutarlo a rialzarsi. Namjoon annui ancora rosso in volto, e nonostante all'apparenza non ci fosse nulla che tradisse cosa potesse star pensando Jin in quel momento, le loro mani si lasciarono non appena il più giovane si fu messo in piedi e anche se poi aveva camminato a meno di mezzo metro di distanza l'uno dall’altro, improvvisamente sembrava ci fosse uno spazio troppo grande fra di loro.

Cosa era successo in quei pochi attimi in cui erano saliti in alto per poi ricadere dolorosamente a terra? Perchè era evidente che a Namjoon per ennesima volta era sfuggito qualcosa, e ultimamente sembrava che le sue capacità deduttive di cui era sempre andato fiero, stessero facendo cilecca e di brutto.

Era sempre stato evidente per lui quanto fossero due pezzi male assortiti perchè non potevano esserci persone più diverse che fossero destinate a stare insieme, ed ora che aveva infine un'evidenza dei suoi sospetti di tante notti, ma allora perché dunque quel pensiero lo feriva invece di fargli provare soddisfazione?

Il modo in cui Jin lo aveva guardato lo tormentò per tutta la notte e il mattino non contribuì affatto a spazzare via il suo senso di smarrimento, perché quando infine Namjoon si sedette in sala da pranzo per fare colazione si era trovato il sorriso gentile di Jin ma anche un mal celato imbarazzo nei suoi modi, e una cortesia un po' affettata che era troppo Kim e troppo poco Jin e Namjoon desiderava non sentire più Seokjin usare quel tono di voce con lui, anche se gli aveva solo chiesto di passargli il burro.

Avrebbe voluto poter parlare con la sua anima gemella a tu per tu e provare ad avere una conversazione sincera con lui. Si rese penosamente conto che non era qualcosa che avevano fatto spesso e il pensiero lo rattristò un po'. Era la prima giornata che avrebbe trascorso assieme al console Kim e Namjoon non sapeva cosa aspettarsi ne quando avrebbe trovato un momento adatto per poter parlare con il maggiore.

Cercò di rassicurarsi pensando che almeno avrebbe trascorso del tempo con Seokjin, dal momento che il console Kim gli aveva assicurato che suo figlio sarebbe stato presente alla maggior parte dei loro incontri. Tuttavia non appena ebbero finito di fare colazione e furono congedati, Namjoon si trovò da solo a percorrere il lungo corridoio che dalla sua dependance portava alla parte della villa dove trascorrevano più tempo i Kim, e aveva continuato a esserlo anche quando l'attendente lo aveva infine fatto accomodare nella biblioteca dove la volta prima il signor Kim gli aveva fatto fare un brevissimo tour.

Namjoon si disse che era pronto, che era stato avvisato di questa eventualità, ma non poteva fare a meno di sentirsi smarrito e decisamente preso in contro piede. Si rese conto ancora una volta quanto avesse contato sulla la presenza positiva di Seokjin.

Namjoon avrebbe voluto volentieri avere la possibilità di avere un faccia a faccia con il suo cervello e capire cosa esattamente avesse fatto corto circuito li dentro.

In quel momento qualcuno bussò alla porta annunciandosi e poi entrò nella stanza. Namjoon impacciato, si alzò dalla poltrona dove si era seduto, pensando si trattasse del signor Kim (segretamente sperando fosse invece Jin).

Certamente non si era aspettato che da quella porta entrasse una sconosciuta. Si trattava infatti di una donna sopra i trenta, che il giovane si ricordava vagamente di aver visto tra l'entourage dei Kim.

Perplesso, Namjoon rimase in piedi, immobile e in attesa. Per fortuna gli venne risparmiato il compito di rompere il ghiaccio.

“Buongiorno Namjoon, io sono la signorina Choi, una dei collaboratori del console Kim. Il console stamani aveva un'importante riunione, e mi ha incaricato quindi di iniziare a introdurti in quelli che saranno i tuoi futuri compiti,” disse con voce gentile e sorriso impeccabile. Namjoon si disse che avrebbe dovuto aspettarselo, che non poteva certo aspettarsi che il console Kim, l'uomo più impegnato della nazione, dedicasse del tempo a lui, Kim Namjoon, neanche se era il numero uno dell'erede e quindi di fatto suo genero. Per quanto il fatto di non dover passare del tempo con lui lo sollevasse, lo disturbava al tempo stesso.

Aveva sempre l'orribile impressione che le parole del console fossero mendace.

“Dove è Jin?” chiese, perchè questa era un'altra delle cose che lo disturbava di tutta questa faccenda.

“Il giovane erede è andato a lezione come ogni mattina,” prosegui la signorina Choi come se fosse quasi insensato che Namjoon se lo domandasse. Naturalmente, pensò questi, ma anche lui aveva lezione eppure non ci era andato, si trovava invece in quella stanza con una sconosciuta per fare dio solo sapeva cosa e il tutto aveva l'aria di uno strano esperimento da laboratorio.

“Non so se il console Kim ti ha mai accennato perché sei qui e perché hai bisogno di imparare il più possibile, il prima possibile, ma nel qual caso sarò lieta di spiegarti tutto in modo chiaro ed esaustivo,” continuò la giovane donna senza smettere un attimo di sorridere. Quello di lei era un sorriso che non conosceva preoccupazioni o quasi, quello che dicevano fosse il sorriso dei numeri due, di quelle persone che avevano raggiunto uno stato di beata completezza. Non può piovere in presenza del sole pertanto non si poteva essere tristi in presenza della propria anima gemella. Eppure Namjoon non ricordava di aver sorriso mai meno che da quando i Kim erano entrati nella sua vita.

“Si, sembra che tutti si siano sforzati di farmelo notare sin dall'inizio,” Namjoon rispose sopprimendo un sospiro mentre tornava a sedersi sulla poltrona e ripensava alle parole che avevano detto, peraltro neppure a lui, i due avvocati il giorno in cui erano piombati in casa sua. “La formazione di Namjoon è importante perché importante sarà il ruolo che vostro figlio andrà a ricoprire.”

Erano state queste grosso mode le parole con cui avevano giustificato la messa in moto di tutti gli accorgimenti successivi. Il trasferimento, le scelte imposte, le menzogne, tra cui la bugia più grande di tutte, quella che Namjoon era stato costretto a dire alla sua anima gemella, con cui invece avrebbe dovuto condividere tutto.

Ma in quella casa, fra quelle mura, c'erano fin troppe cose non dette e tutti erano capaci di mascherare i propri sentimenti e pensieri talmente bene, che Namjoon spesso si chiedeva se non fosse finito dentro un'opera buffa, in cui tutti si fossero messi d'accordo per recitare la propria battuta al momento debito. In un certo senso il giovane poteva capire quanto in politica fosse importante mantenere il controllo, ma era triste rendersi conto come questo si trascinasse persino all'interno delle mura domestiche, quanto ci fosse di non detto nella casa dei numeri due per eccellenza.

Persino da parte di Jin.

Aveva sempre pensato che il maggiore fosse un'eccezione, che non ci fossero nuvole nel suo cielo, ma dopo l'episodio del giorno prima Namjoon stava iniziando a pensare che Jin fosse più stratificato di quanto gli avesse dato credito e che lui lo avesse dato - a torto - troppo per scontato.

“I Kim sono una famiglia consolare, di primo grado Namjoon. Sebbene il peso dello stato non si regga interamente sulle spalle dei due consoli, perchè i padri fondatori nella loro avvedutezza hanno messo più organi a garanzia, tra cui il nostro benemerito senato, il ruolo ricoperto dai consoli è fondamentale. Ogni numero uno di un erede Kim è passato per la stessa preparazione anche la signora Kim,” aggiunse la signorina Choi cordiale e Namjoon dovette farsi forza per non sollevare un sopracciglio scettico. La madre di Seokjin sebbene più affettuosa e più normale nei suoi modi di quanto lo sarebbe mai stato il console Kim, non sembrava affatto qualcuno che si occupasse o avesse occupato un ruolo politico di peso nel consolato.

“Il nostro è il mondo migliore possibile e il senato con i consoli lavorano affinché così rimanga, ma nonostante nel tempo molte delle imperfezioni siano state smussate, molte cose ancora vanno fatte. Il ruolo di chi lavora al servizio dello stato è operare nell'interesse comune anche quando la comunità non comprende o non ha ben chiaro dove risieda questi. Mai sentita l'espressione reggere il timone del governo? Considera lo stato come una nave e i consoli come i timonieri di questa nave che devono guidare verso la giusta direzione. La violenza o la forza non sono opzioni percorribili, quindi molto spesso la politica è di fatto solo una questione di fiducia e credibilità. Il primo console Kim è un genio della politica manca tuttavia di quelle qualità che rendano appetibili le sue proposte ed è qui che è entrata in campo la signora Kim. Probabilmente molte leggi impopolari sarebbero state accolte con meno favore se non ci fosse stata la signora Kim a smussarne gli angoli. Concetti come percezione e immagine sebbene all'apparenza superficiali, sono importanti. I Kim non sono solo una famiglia consolare, ma rappresentano tutte le coppie numero due e come tali devono sempre dare l'esempio,” spiegò la giovane con entusiastica convinzione.

Namjoon non sapeva bene quali sarebbero state le parole adatte ad un discorso del genere. Era ovvio che questa signorina Choi fosse molto devota alla famiglia Kim, e sebbene razionalmente Namjoon avesse compreso le sue parole, e quanto detto non facesse una piega, il tutto era, tuttavia, in grado di fargli girare la testa.

Il peso di quanto veniva implicato era tale che se gli fosse stato concesso di essere se stesso per un attimo, si sarebbe volentieri rotolato sul pavimento in protesta.

Forse la sua reazione era eccessiva, forse, dopotutto, si trattava semplicemente dell'ineluttabilità del crescere e del diventare adulti e dell'imparare ad assumersi le proprie responsabilità, e poco importava se lui di anni ne aveva solo sedici, Namjoon era abituato ad essere trascinato in anticipo e suo malgrado nelle tappe della vita.

Tuttavia non era un ingenuo, e Namjoon aveva visto abbastanza da sapere che perfino nel loro mondo dall'apparenza stucchevolmente perfetta le cose ancora si guadagnavano con la fatica. Ma non credeva che diventare adulti avrebbe significato rinunciare a tutto quello che aveva sempre desiderato per qualcosa di cui lui capiva il senso, ma di cui non riusciva a vedere il valore.

“Seokjin si è preparato a questo ruolo tutta la vita mentre tu invece dovrai iniziare adesso. So che è difficile adattarsi ma tutti crediamo in te Namjoon e nelle tue capacità. Con un po' di preparazione sarai la spalla perfetta del prossimo console,” concluse la giovane donna e Namjoon seppe ancora una volta che non c'era nulla di intelligente che lui potesse dire per smorzare il suo entusiasmo.

“Questa formazione, in cosa consiste?” chiese resistendo all'urgenza di passarsi una mano sul viso. Era mattino presto e la prospettiva di tutto ciò già lo faceva sentire stanco.

“Sono lieta che tu l'abbia chiesto!” rispose lei con entusiasmo ancora più strabordante. Aveva un viso gentile, e non si rivolgeva a Namjoon con quella supponenza che aveva visto spesso sui volti della maggior parte dello staff consolare, quasi lui fosse un soprammobile da spostare a convenienza e non una vera persona, eppure era anche la sua insegnante e al contempo la sua sorvegliante e Namjoon non avrebbe mai potuto trovare la sua presenza rassicurante perchè sapeva che dopotutto a pagarle lo stipendio era il primo console Kim.

“Il primo console Kim si è raccomandato che tu venga informato delle deliberazioni e leggi ferme in senato. Tuttavia ci tiene che tu ti concentri sugli studi sulle anime gemelle e il mio compito è informarti quanto più possibile a riguardo,” Namjoon la guardò con genuina curiosità per la prima da quando lei aveva messo piede in quella stanza. Il console sembrava fissato con un argomento che lui trovava sgradevole per una svariata serie di motivi.

“Capisco,” Namjoon rispose laconico, chiudendo brevemente gli occhi e sospirando internamente. “Ora se vuoi seguirmi, abbiamo moltissimo da fare,” il giovane si trovò suo malgrado costretto a seguirla, i corridoi erano deserti e dalla finestra poteva vedere la macchina, che di solito trasportava lui e Seokjin, ferma sul selciato, ma quella mattina non stava aspettando lui.

La signorina Choi lo portò comunque in quella parte di cortile e fu allora che Namjoon notò una seconda macchina, la porta che gli venne aperta in perfetta sincronia con il suo arrivo.

“Dove stiamo andando?” si permise di chiedere Namjoon afferrandosi alla portiera. Si sentiva sballottato qua e la come un pacco ma voleva perlomeno sapere stavolta dove sarebbe andato a finire.

“In parlamento,” rispose lei illuminandolo con ennesimo brillante sorriso. Namjoon incassò il colpo, e, senza dire un'altra parola, entrò nella macchina lussuosa e dai vetri oscurati, fotocopia di chissà quante altre macchine al servizio della famiglia Kim. Namjoon si lasciò scivolare sul sedile e quasi automaticamente si voltò a guardare dal vetro posteriore in direzione della villa. Ma la macchina si accese e si mise in moto imboccando la strada, e proprio quando credeva che lui non sarebbe uscito in tempo, Seokjin apparve in giardino.

Namjoon lo vide fermarsi in mezzo al sentiero e guardare verso la sua direzione con uno sguardo così diverso dall'affettuoso Jin che il più giovane quasi provò lo strano l'impulso di fermare la macchina e scendere ad abbracciare l'altro. Provò a fare un segno con la mano per poi ricordarsi che la macchina aveva i vetri oscurati e che quindi il maggiore non l'avrebbe comunque visto.

La macchina si allontanò in fretta e Seokjin scomparve alla sua vista ma Namjoon rimase congelato in quella stessa posizione.


 


 

“Rapiscimi.”

Namjoon aveva scritto questo a Yoongi, una sera di qualche giorno dopo, quando il suo mal di testa era stato così colossale che aveva solo avuto la forza di trascinarsi dall'ingresso della villa fino in camera sua, per tuffarsi nel suo letto da dove non si era più rialzato. Era stato vagamente cosciente del fatto che ad un certo punto una cameriera era venuta a chiamarlo per la cena ma lui aveva cercato, il più cortesemente possibile, di dire che sarebbe rimasto li dov'era.

E Namjoon era rimasto, testa affondata nel cuscino che non profumava più di Jin e li era collassato.

Erano stati giorni intensi, lezioni all'università, lezioni con la signorina Choi, la testa piena di nozioni di cui Namjoon non riusciva a capire l'utilità ma che il suo cervello comunque immagazzinava perchè chissà, magari sapere le proposte di legge promosse dalla famiglia Kim negli ultimi cinquanta anni poteva tornare utile a lui, anzi a Seokjin, in qualche futuro remoto.

Seokjin.

Non lo vedeva da giorni eccetto che a colazione ed così bizzaro e innaturale questo impaccio. C'era stata timidezza tra loro ma mai distanza.

Se avesse proprio voluto comunque, avrebbe potuto percorrere il corridoio che li separava e andare da lui. E prima di quell'incidente in giardino magari sarebbe finito col farlo, ma ora c'era un velo di imbarazzo, e una paura che prima non c'era, insieme alla sensazione orribile che forse Namjoon non sarebbe stato poi così tanto il benvenuto.

Hai combattuto il vostro legame fin dall'inizio ed ora che ti sei reso conto che non eri l'unico a cui questo creava un problema osi lamentarti? Gli suggerì il cervello. Namjoon sbuffò sul cuscino, che strinse stretto mentre rotolava su un fianco. Ma era sempre stato così? Non riusciva a credere che l'affetto con cui Seokjin gli aveva preso le mani e l'aveva guardato quella prima volta che si erano incontrati fosse artefatto, che il modo in cui l'aveva baciato potesse essere insincero.

No, percepiva ancora quell'affetto in Seokjin, c'era ancora gentilezza e calore nel suo timido chiedergli, “hai dormito bene,” a colazione. Ma c'era anche qualcos'altro, che prima non c'era e Namjoon voleva capire cosa.

Avere Seokjin significava avere i Kim e Namjoon sapeva che, sebbene a torto, era arrabbiato con la sua anime gemella per questo. Tuttavia ora che capiva che aveva un'idea del peso che Seokjin aveva sempre portato, il più giovane si pentiva di essere stato così ingiusto, nel negargli quel po' di conforto che il maggiore si era aspettato di trovare in lui. “Sono felice di averti incontrato,” Seokjin gli aveva detto. Namjoon non poteva ritornare quelle parole forse non avrebbe mai potuto, ma sapeva che non vedere Seokjin, che quel silenzio che si era creato fra di loro come un muro, non era quello che voleva.

Ed era un paradosso perché o era una cosa o l'altra, perché Seokjin era anche la sua famiglia, e avere lui voleva dire il resto e sebbene l'idea ancora gli risultasse insopportabile, Namjoon sapeva che voleva bene a Jin.

E forse qualcosa di più.

Questa era una cosa difficile con cui fare i conti. Ecco perchè, ignorando i suoi doveri e i documenti che avrebbe dovuto studiare e che aveva lasciato dimenticati sulla scrivania, aveva scritto a Yoongi nella speranza che avesse un piano, qualcosa da proporgli, perchè la musica non mancava solo a lui ma anche alla sua testa, e perché aveva bisogno di vedere un volto amico.

“Solo se mi rapisci anche tu.” Gli aveva risposto laconicamente il suo amico qualche minuto dopo.

Un sorriso si fece largo sul suo volto per poi tuttavia spegnersi. Aveva riavuto Yoongi ed era sempre il solito scontroso Yoongi, ma Namjoon sapeva che qualcosa era cambiato. Negli attimi di pausa di questa sua vita piena di cose da fare, Namjoon faceva del suo meglio per ascoltare le canzoni che Yoongi gli mandava via mail e dargli il suo parere.

Quella notte in cui lui aveva mancato la loro esibizione, il suo amico era stato notato dai talent scout di una casa discografica. Yoongi aveva già firmato un pre accordo che prevedeva che passasse del tempo a formarsi presso di loro e anche che lui si esibisse più spesso in diversi locali di modo che acquisisse esperienza. Ma non era ancora a tutti gli effetti un artista sponsorizzato da loro, volevano infatti che Yoongi prima si diplomasse e che finisse di formarsi, e infine che producesse abbastanza canzoni per un album commerciabile.

Namjoon era contento che per il suo migliore amico quello che avrebbe potuto trasformarsi un disastro, si fosse invece trasformato in un'opportunità. E per quanto fosse difficile da credere, non era affatto geloso del suo successo perchè ascoltava Yoongi da abbastanza tempo da sapere che c'era qualcuno che aveva un talento musicale, quello era lui. Non poteva tuttavia nascondere una punta di delusione quando provava a immaginare cosa sarebbe successo se fosse riuscito a presentarsi in tempo.

Niente, probabilmente, pensò poi con una punta di amarezza, perché anche se fosse successo qualcosa le probabilità che questo cambiasse il suo destino, che potesse contare qualcosa per la famiglia Kim, erano pari zero. Perciò perlomeno era contento che uno dei due fosse riuscito a raggiungere il traguardo dei propri sogni da bambino o che perlomeno questo apparisse più vicino. Paradossalmente la sua contentezza, anche se intrisa di tutti questi sentimenti contrastanti, sembrava essere di gran lunga superiore a quella di Yoongi.

Si erano incontrati solo un'altra volta dopo il fiasco di quella sera e si erano sentiti per lo più per telefono, ma Namjoon aveva riconosciuto tristezza nella sua voce. Ma soprattutto nella sua musica. In qualità di amico non sapeva bene cosa dire, perchè quello che lui pensava andava contro ogni decisione che Yoongi aveva preso, però una cosa la sapeva. Yoongi non era più lo stesso, quel nuovo fragile Yoongi che era emerso quella notte non se ne era più andato.

La cosa positiva in tutto questo era che perlomeno per quanto il cambiamento non fosse stato l'evento felice che entrambi si erano augurati, almeno dava ad entrambi una via di fuga. Yoongi aveva fatto in modo che il più giovane potesse partecipare agli eventi, se non come artista almeno come amico che poteva visitare il back stage e assistere alle performance. Una manna per Namjoon che non desiderava altro che perdersi nella musica e scordare tutto, i Kim, le lezioni.

Jin. Jin che lo ignorava, Jin che teneva le distanze, e che parlava in modo affettato. Namjoon scosse la testa cercando di non pensarci appunto perchè gli faceva male.

Quella sera Yoongi aveva un'esibizione in un noto locale per artisti emergenti e lui era stato invitato e perciò non appena gli arrivò un messaggio con ora e luogo, Namjoon si calò fuori dalla finestra. Sgattaiolare fuori dalla villa non era più tanto difficile e non faceva più così tanta paura. Namjoon non era certo diventato più agile a scavalcare davanzali o a muoversi quatto quatto tra i cespugli, ma aveva perlomeno acquisito una certa baldanza, non sapeva quanto sana o ragionevole, che gli consentivano di mantenere la calma quando passava la sua carta magnetica per uscire dalla porta di servizio. Namjoon si era chiesto più volte se entrate e uscite venissero in qualche modo registrate su un dispositivo, ma aveva tenuto le orecchie aperte e nessuno aveva sussurrato niente di sospetto. Si convinse che il problema dopotutto non fosse tanto l'uscire quanto l'entrare e in ogni caso ad avere quella chiave magnetica era solo personale fidatissimo la cui anamnesi era già stata controllata.

Il problema sarebbe sorto solo se qualcuno andando in camera sua non l'avesse trovato e dopotutto dubitava che qualcuno pensasse che lui avesse veramente un posto in cui scappare e l'unico che poteva veramente scoprirlo era Seokjin. Ma Seokjin era lontano da lui ora e non sarebbe stato un problema, si disse con una punta di delusione.

Namjoon andò alla solita fermata dell'autobus, che ormai conosceva bene, a prendere l'ultimo che lo avrebbe portato in centro. Era piuttosto sicuro di poter tornare senza intoppi, qualcuno del loro circolo conoscenti sarebbe stato presente e avrebbe potuto dargli un passaggio di ritorno.

Si calò il cappuccio, indossava la sua felpa preferita, quella che aveva usato spesso quando era casa e che ora dai Kim invece non veniva più ritenuta appropriata se non come pigiama. Si mise le mani in tasca, jeans strappati e felpa di un grigio sbiadito, sembrava un ragazzo qualunque, anonimo.

Namjoon guardò fuori del finestrino le luci della città.

Era bello per una volta sentirsi se stessi, si disse prima di infilarsi gli auricolari nelle orecchie e rilassarsi al suono della sua musica.

Il locale dove Yoongi si sarebbe esibito era pieno all'inverosimile e un brivido di eccitazione corse lungo la spina dorsale di Namjoon e non era neanche uno dei cantanti che si sarebbe esibito. Ma gli piaceva far parte della frenesia, dell'energia palpabile che precedeva la performance, l'adrenalina, l'aspettativa, le risate e le pacche sulle spalle. Yoongi gli aveva detto che sarebbe bastato dire il suo nome al buttafuori che sarebbe stato lasciato entrare senza che gli venissero chiesti i documenti, il che era un sollievo considerando che lui non avrebbe potuto mettere piede neanche in uno dei locali che aveva sempre frequentato e questo locale era nuovo, quindi non avrebbe neanche potuto contare sull'amicizia dei padroni.

Proprio come Yoongi gli aveva detto Namjoon non ebbe problemi ad entrare, non una parola sul suo aspetto o sul suo volto giovane da parte dei buttafuori e Namjoon si infilò testa bassa all'interno del locale, che si stava riempendo piano piano. Superò i gruppi di persone e percorse il corridoio che costeggiava la pista da ballo e conduceva a una porta dietro il palco dove Yoongi gli aveva detto si trovava il backstage. C'era del personale del locale ma gli bastò dire il suo nome che fu fatto entrare di nuovo senza storie.

Il backstage era stipato di gente, molte vecchie conoscenze e altri volti nuovi, ma Namioon si fermò a malapena a salutare, intento com'era a cercare Yoongi.

Yoongi era li, seduto su una delle sedie sgangherate che dava su un muro specchiato in quello che avrebbe dovuto molto probabilmente essere un camerino. Ma Yoongi non stava guardando il suo riflesso ne era intento a sistemarsi, se ne stava invece a braccia conserte a osservare il vuoto, cellulare stretto in una morsa ferrea.

“Yoongi,”lo chiamò Namjoon, rimanendo a distanza, impacciato e immobile.

Il maggiore si voltò a guardarlo, tornando in sé alla vista del suo amico.

“Meno male, mi stavo iniziando ad annoiare,” il maggiore rispose col suo solito tono, cercando di intavolare le loro solite dinamiche. Namjoon prese una sedia e si sedette accanto a lui.

“Sei in mezzo a un sacco di artisti e sono sicuro che il tuo manager è da qualche parte, impossibile annoiarsi hyung,” Namjoon rispose, scuotendo la testa.

“Metà degli artisti non li conosco, e il mio cosiddetto manager, anche se io lo definirei più una balia, è da qualche parte a discutere con il personale della scaletta perché a quanto pare non è d'accordo sull'ordine di apparizione che mi hanno assegnato,” Yoongi disse scrollando le spalle.

“Lamentati pure quanto vuoi, ma darei il mio braccio destro per essere lassù con te,” Yoongi si voltò a guardarlo lanciandogli un'occhiata penetrante che il più giovane interpretò con un “e di chi credi sia la colpa.” Namjoon gli risparmiò la fatica di doverlo dire.

“Lo so, lo so. Lo avresti voluto anche tu,e si, se solo mi fossi presentato,” Namjoon disse sventolando la mano. “ Ma lo sai anche tu che quando le cose vanno a puttane. Beh, vanno a puttane.”

Yoongi si lasciò sfuggire una mezza risata.

“Questa si che è alta poesia, Joon. Quasi quasi vorrei chiederti il permesso di includerla nella mia prossima canzone,” Yoongi replicò con la solita dose di sarcasmo, perchè Yoongi senza il suo sarcasmo non poteva essere se stesso.

“Fai pure. Non è come se io avrò occasione di farlo.”

Namjoon si sentì stringere forte il polso e quasi gli fece male. Guardò Yoongi negli occhi stupito.

“Non dirlo più,” Yoongi disse quasi arrabbiato. Per quanto entrambe le loro situazioni facessero acqua da tutte le parti, sebbene per motivi diversi, Yoongi gli aveva proibito categoricamente e con ostinazione rabbiosa di abbandonare la musica.

“E' l'unica cosa che rimane a entrambi. Mi rifiuto a essere l'unico rimasto,” aveva detto e Namjoon davvero non capiva come Yoongi sperasse che un Kim potesse veramente coniugare una carriera artistica con i doveri istituzionali, ma il maggiore non voleva sentirne ragioni. Namjoon non voleva abbandonare, non avrebbe mai voluto farlo ma sapeva che realisticamente con l'andare del tempo amare la musica e non poterla perseguire avrebbe fatto troppo male per poter continuare.

E quando il tempo sarà passato e il coperchio di questa scatola si chiuderà su di me, non ci saranno via d'uscita.

Ma per Yoongi era importante, sembrava essere importante pensare che non sarebbe stato solo in quella corsa e perciò Namjoon lo lasciava fare e perchè dopotutto rincorrere quella speranza, anche se ormai inutile faceva, gli faceva ancora bene.

Namjoon rimase con Yoongi fino a pochi minuti prima che venisse chiamato sul palco e quando infine venne il suo turno, lui andò nella sala. Invece di mischiarsi tra la folla decise di stare nel corridoi esterno dove la calca era minore e da dove avrebbe potuto godersi lo spettacolo meglio, sebbene da lontano. E quando Yoongi sali sul palco e iniziò la sua performance Namjoon rimase affascinato come la prima volta che lo aveva visto salire sul palco.

Si chiese se chi aveva sentito il suo amico allora si fosse accorto di come la sua musica fosse cambiata. La notte in cui Yoongi aveva dovuto esibirsi da solo sul palco era stata la prima volta che aveva mostrato al pubblico il suo nuovo se, il suo modo di esibirsi era stato più prorompente e sconnesso ma anche più diretto e sincero, come se Yoongi stesse dedicando quelle parole a un qualcuno che non avrebbe mai potuto ascoltarle e forse per questo le diceva con più cruda convinzione.

Era un tipo di musica a cui era impossibile rimanere indifferenti.

Namjoon rimase fino all'ultima delle canzoni di Yoongi, e batté le mani e urlò assieme agli altri. Yoongi scese dal palco poco dopo e appariva stanco e probabilmente qualcos'altro e Namjoon si disse che avrebbe dovuto apparire più soddisfatto di se stesso invece sembrava che la sua energia fosse rimasta indietro sul palco e quello che aveva davanti fosse qualcun altro. Namjoon aspettò che il manager finisse di parlare con lui, prima di avvicinarlo di nuovo. Namjoon gli diede un cinque che il suo migliore amico ricambiò con un sorriso stiracchiato ma comunque l'espressione più felice che il più giovane gli avesse visto addosso quella sera. Tuttavia, invece di andare fuori come erano soliti fare per chiacchierare mentre Yoongi fumava, a parlare di tutto e del nulla, in quei loro botta e risposta che era la loro particolare amicizia, Namjoon invece chiese.

“Yoongi hai parlato con..?”

“No,” tagliò corto l'altro come se sapesse già cosa il suo amico avesse avuto intenzione di chiedere.

“Non ci riesco,” ammise il maggiore disgustato dalla sua stessa debolezza ma sapendo di non poter fare altrimenti.

Namjoon scosse la testa, senza aggiungere altro. Yoongi sapeva cosa pensava ed era inutile ribadirlo, non aveva bisogno delle sue ramanzine ma solo di essere in grado di lasciar andare.

“Tu hai detto la verità a Seokjin?” Yoongi chiese di rimando. Namjoon si lasciò scappare una bassa risata perchè quello era un colpo basso e lo perdono solo perchè immaginava quanto dovesse pesare al suo amico il suo giudizio, soprattutto se questo era vero.

“Non è la stessa cosa,” Namjoon ribattè. Non era venuto per litigare, non aveva avuto intenzione di provocare Yoongi, Namjoon era solo preoccupato. Preoccupato dei suoi silenzi e delle remore che l'altro aveva nei suoi confronti. Avrebbe preferito che il suo miglior amico si confidasse piuttosto che nascondesse i suoi sentimenti. Poteva anche avere la sua opinione ma Yoongi era un suo amico. Non lo avrebbe abbandonato così.

“Le bugie sono sempre bugie a prescindere,” Yoongi rispose secco. Namjoon si irrigidì e il maggiore dovette capire quanto quelle parole lo avessero ferito.

Appoggiò timidamente la mano sulla sua spalla a mo' di scusa, perchè Yoongi non era mai stato bravo a scusarsi ma voleva bene a Namjoon. “No, hai ragione,” disse quest'ultimo scuotendo la testa.

La mano di Yoongi scivolò dalla spalla fino al gomito e tirò leggermente come a volersi scusare ancora e poi il maggiore sospirò rumorosamente.

“Siamo i numeri due più sgangherati dell'universo Joon. Siamo in due e non riusciamo a fare neppure uno di noi sano,” Yoongi commentò. “Andiamo ti offro qualcosa da bere,”disse infine.

“Sei cosciente del fatto che sono minorenne vero?”

“Come se questo ti abbia mai fermato. Coraggio solo una cosa e poi andiamo a casa,” Yoongi disse con quel suo nuovo fare docile a cui Namjoon non riusciva ad abituarsi. Era abituato a Yoongi che lo chiamava moccioso e lo colpiva sulla nuca, non a un compagno di momenti alcolici filosofici e sentimentalismi repressi.

Le cose cambiano, Namjoon si disse mentre si avvicinava con Yoongi al bancone. Cambiano.


 


 

Naturalmente queste cose potevano solo capitare a lui, Namjoon si disse qualche ora dopo, alcol in corpo che non induceva più nessun senso di allegria, per quanto finto.

Era stato fin troppo sicuro di se, si rimproverò mentalmente, era ovvio che trattandosi di lui, un disastro ambulante, prima o poi sarebbe stato inevitabile che avrebbe finito col perdere la chiave magnetica.

Erano quasi le due di mattina e lui era chiuso fuori dalla villa Kim.

Certo avrebbe potuto provare a scavalcare il cancello ma era stato troppo ottimista la prima volta e il cancello non era così basso come aveva pensato, senza contare che anche nel miracoloso caso in cui fosse riuscito a scavalcarlo era piuttosto sicuro che a una certa ora si attivassero dei sensori e quindi avrebbe probabilmente finito con lo svegliare tutta la villa se non si fosse rotto l'osso del collo durante l'arrampicata.

Cosa doveva fare? Aspettare li fuori finché uno dello staff al mattino venisse ad aprirgli era fuori discussione anche se fosse riuscito a sopravvivere all'addiaccio. Ed era troppo tardi per richiamare Yoongi e chiedergli asilo e, anche in quel caso, non avrebbe saputo spiegare la sua assenza. Namjoon era un membro della famiglia Kim, non gli avevano forse raccomandato di tenere un basso profilo? Era piuttosto sicuro che sgattaiolare fuori per andare in un pub dalla dubbia reputazione e rimanerci illegalmente fino a tarde ore della notte, non corrispondesse affatto alla descrizione di basso profilo.

Si infilò la mano nella tasca dei jeans, le dita che toccavano incerte il cellulare. Poteva sempre chiamare Seokjin, il maggiore probabilmente lo avrebbe aiutato ma avrebbe anche significato dovergli spiegare perchè lui si trovava in quella situazione e non era sicuro di poterlo fare, ne che Seokjin avrebbe approvato.

Poi, come se qualcuno da la sopra avesse risposto alle sue preghiere, il cancello si aprì miracolosamente. Namjoon quasi urlò dalla gioia e svelto entrò dentro, chiudendosi il cancello alle spalle, ma quando si voltò verso la villa, ecco che a pochi passi da lui non vide altri che Seokjin.

Namjoon fece un passo all'indietro e si lasciò quasi sfuggire un grido di sorpresa se Seokjin non si fosse portato il dito sulle labbra. Namjoon annui, gambe irrigidite dallo spavento. Seokjin sembrò avere pietà di lui perchè in un gesto che era così Seokjin, quello che si era preso cura di lui dal primo giorno in cui si erano incontrati, si avvicinò a lui e, prendendolo per mano, lo guidò silenziosamente attraverso il giardino e verso una delle porte finestre sul retro che il maggiore doveva aver lasciato socchiusa. Mai rientro era stato così senza fatica. Seokjin lo accompagnò, fino alla sua stanza dove gli fece segno di entrare svelto.

Namjoon avrebbe voluto avere il coraggio di invitare in camera sua la sua anima gemella di prendergli di nuovo la mano, ma c'era troppo nella sua testa di contrastante al pensiero della distanza che Seokjin aveva tenuto tra i due e perciò fu l'irritazione a parlare.

“Non mi chiedi dove sono stato?” Namjoon osò sussurrare, afferrandolo delicatamente per un gomito.

Soekjin si fermò e lo guardò dritto negli occhi.

“Me lo diresti?” Chiese a bruciapelo poco più di un sussurro. Namjoon avrebbe voluto dire di si, che avrebbe detto tutto alla sua anima gemella, ma non ci riusci. Erano così vicini che se Namjoon avesse ceduto all'impulso una seconda volta si disse che avrebbe volentieri baciato Seokjin di sua iniziativa ancora.

“Ognuno ha i suoi segreti Joonie,” disse infine il maggiore con un sorriso amaro, prima di depositargli un bacio sulla guancia, labbra che rimasero un attimo appoggiate sulla sua pelle, come a chiedere scusa, come a chiedere tempo, per poi andarsene.

Namjoon rimase immobile e si chiese se Seokjin sapesse quanto avesse ragione e, se era vero che ognuno aveva dei segreti, quali fossero quelli della sua anima gemella.


 


 


 


 


 

NdA: le vacanze sono finite ed ho fin troppe cose da fare come sempre. Questo capitolo sebbene di transizione è molto importante ed è anche stato difficilissimo da partorire, ma immagino ci divertiremo di più con il prossimo capitolo (io sicuramente XD). Mi sto preparando per Un mondo di noi, se seguite il mio twitter ne saprete di più ;) grazie mille per leggere e recensire <3


 

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Capitolo 7
*** 2.6 ***


2.6


 

“E questo cosa sarebbe, Namjoon?” la signorina Choi lo guardava da dietro i suoi occhiali, la fronte leggermente corrugata mentre la sua espressione in volto denotava una grande confusione. Namjoon provò per un attimo un senso di oscura soddisfazione nell'osservare l'effetto che le parole scritte da lui avevano su di lei, ancora di più considerando quanto lei lo avesse tartassato per giorni affinché si applicasse, solo per ottenere in cambio dei risultati che non erano di suo gusto. Una parte di lui sapeva benissimo che non era lei la causa delle sue frustrazioni, tuttavia, per sfortuna di lei, la signorina Choi era anche l'unica persona li dentro con cui lui se la potesse prendere. Non poteva infatti ribellarsi ai Kim, come del resto non poteva urlare tutta la sua irritazione contro Jin. I pugni che aveva tenuto serrati sin da quando era stato convocato in biblioteca, si contrassero lungo i suoi fianchi.

“Quello che mi ha richiesto signorina,” rispose lui usando un tono disinteressato. Perché il console Kim avesse insistito tanto affinché Namjoon facesse una relazione sul valore storico dell'algoritmo era qualcosa che andava al di là della sua comprensione. Lui sarebbe stata l'ultima persona che avrebbe promosso con entusiasmo il sistema attuale delle cose, eppure gli era stato chiesto di esprimere la sua opinione sul materiale in merito messogli a disposizione e Namjoon lo aveva fatto, aveva letto ogni singola pagina di quei plichi, noiose e barbose relazione sulla legislazione sulle anime gemelle dell'ultima metà di secolo, e sebbene l'argomento non fosse neanche di sua competenza, considerando che lo studente di diritto non era lui ma Jin, aveva suo malgrado finito col notare alcune cose. Ad esempio come nell'ultimo decennio gli emendamenti in materia si erano fatti più frequenti e più specifici, come in sostanza il controllo si fosse fatto man mano più stretto. C'erano molti riferimenti sull'obbligo di censimenti e studi demografici, e diverse modifiche alla disposizione del cosiddetto parametro dell'algoritmo (di cui Namjoon non aveva trovato specificazioni sebbene fosse nominato in diversi documenti).

“Pertanto se supponiamo che l'algoritmo è perfetto come la narrativa storico- scolastica ha così sapientemente espresso, le imperfezioni innegabili che ancora il sistema soffre sono da imputare all'organo di controllo, le persone dunque, e non al sistema stesso. Si suggerisce una indagine più approfondita e un controllo più stretto sull'oggetto per individuare l'anomalia,” lesse la signorina Choi ad alta voce con incredulità crescente via via che scandiva le parole. Namjoon cercò di rimanere in piedi e impassibile mentre la giovane donna di fronte a lui scuoteva la testa. Come aveva detto prima? Oscura sensazione di soddisfazione anche se purtroppo quello era solo un atomo di sollievo dentro un mare di tumultuosa rabbia.

“Sono queste le tue conclusioni? Ti rendi conto che questo tuo saggio verrà letto dal console Kim in persona?” Si, era esattamente quello che avevo in mente mentre lo scrivevo, Namjoon si trovò a pensare ma, per quanto si sentisse piuttosto imbaldanzito dal questo suo stato sottocutaneo di irritazione, il suo cervello funzionava abbastanza da sapere che non avrebbe ottenuto molto con il sarcasmo, considerando che non era a lei a cui avrebbe voluto rivolgerlo. Aveva voluto dire la sua nella speranza di riuscire a rovinare la giornata al signor Kim, oh come gli sarebbe piaciuto avere questa certezza, ma non voleva farsi affogare da quella stessa sensazione al punto da farlo comportare come un moccioso.

Namjoon era tante cose, ingenuo, goffo e terribilmente sbadato tanto per usare gli aggettivi più calzanti, ma la sua razionalità gli imponeva un certo contegno, non voleva darla vinta a quella casa, ai Kim, dare loro la soddisfazione di vederlo crollare. Tuttavia, non poteva fare a meno di contorcersi al pensiero che l'esistenza di una tale corrente di pensieri nella sua testa significasse l'aver accettato la consuetudine di nascondere i suoi reali sentimenti e che questo, dopotutto, rappresentasse una non insignificante sconfitta perchè voleva dire che i meccanismi oscuri di quella casa, fatta di segreti e manipolazioni, avevano carpito il suo cuore.

Ecco perchè invece di dire tutto quello che gli passava per la mente si limitò ad annuire.

“E ti è sembrato lo stesso opportuno?” Namjoon scrollò le spalle mentre la signorina Choi si toglieva gli occhiali e cercava di non sospirare. Per un breve momento Namjoon si sentì male per lei. Poi si ricordò di come la mole aggiuntiva di lavoro lo avessero costretto a rimanere a casa e a non poter quindi incontrare Yoongi e il sentimento evaporò come neve al sole.

“Molto bene è tutto per oggi Namjoon, ci vediamo la prossima settimana.”

“E' tutto?” chiese lui cercando di non far trapelare la sua di incredulità. Si era aspettato una reazione più energica, un'esplosione, aveva bisogno di un'esplosione perché quel piccolo barlume non era minimamente abbastanza a sfogare il magma che covava dentro. “Immagino che se ci sarà qualcos'altro lo saprai direttamente dal console Kim,” lei aggiunse con tono di definitivo congedo e Namjoon incassò il colpo allora, nocche che erano quasi bianche per la pressione mentre con spalle ancora rigide usciva dalla stanza.

Uscì in corridoio allora, la soddisfazione che aveva pregustato al momento di entrare li dentro, solo un miraggio. Erano giorni che si sentiva così, come se stesse affondando lentamente dentro una vasca e fosse troppo intontito per uscirne fuori. Le sue giornate erano diventate impossibili, non aveva più un attimo per se stesso e tutto il suo tempo era speso per i Kim e l'università mentre le sue dita morivano dalla voglia di prendere una penna e un quaderno per scrivere (si era un nostalgico della carta) e lasciare che pensieri diventassero ritmo e invece no, veniva sbattuto da un posto all'altro senza sosta, con l'orribile impressione che tutto ciò fosse solo l'inizio.

Ma non era neanche la cosa peggiore di tutte, Namjoon si trovò a pensare suo malgrado. Scosse la testa ma si pentì subito del movimento. Decise quindi di andare in cucina per prendersi un bicchiere d'acqua con cui buttare giù un antidolorifico per il mal di testa che di recente era ridiventato un suo stretto amico. La cucina veniva in quel momento pulita e resa impeccabile da un industrioso personale della villa. Ormai Namjoon aveva famigliarizzato abbastanza con la routine della casa che lo staff non interrompeva più le proprie attività ogni volta che lui entrava in una stanza.

La cucina era, e non solo nel senso stretto del termine, il posto meno freddo di tutta la villa Kim. C'erano più voci e gente che effettivamente comunicava fra loro invece di mettere muri e accumulare cose non dette come se fosse un hobby, o forse era speciale più semplicemente perchè Namjoon lo sapeva essere il posto preferito di Jin. Infatti, sebbene non fosse goloso nemmeno lontanamente quanto il maggiore e quindi non avesse reale motivi per frequentare la cucina più di tanto, quando questo capitava era tuttavia certo di trovare Jin, seduto ad un angolo del lungo ripiano in marmo. Era per questo che, in effetti, di recente aveva frequentato il posto con assiduità, ma non vi aveva mai trovato Seokjin, come se quest'ultimo avesse fatto apposta per evitare i posti ovvi in cui farsi trovare. Era irritante, ma più che altro piuttosto mortificante constatare che, nel momento in cui Namjoon aveva ceduto al suo impulso di anima gemella, era stato il momento in cui Seokjin vi si era sottratto.

Fu per questo che quando entrò in cucina per prendere il suo bicchiere d'acqua e vi trovò Jin, a quello che aveva imparato a riferirsi nella sua testa come il suo posto, Namjoon quasi inciampò sui suoi stessi piedi. Sembrava di non vederlo da un tempo infinito eppure non avevano condiviso insieme la macchina al ritorno dall'università il giorno prima? Seokjin non gli aveva forse rivolto il suo solito sorriso gentile mentre usciva svelto dalla macchina per non rimanere solo a lungo con lui?

I suoi occhi brillavano mentre eccitato mangiava un po' della torta con la glassa di quella mattina che, da come stava divorando, Namjoon deduceva fosse la sua preferita. Seokjin sembrò sorpreso di vederlo ma non diede alcuna reazione ovvia, continuò a mangiare mentre osservava Namjoon andare verso il frigo e prendersi una bottiglietta d'acqua. I suoi muscoli improvvisamente apparivano fatti di gelatina ma cercò di non dare a vedere il suo disagio mentre si versava l'acqua nel bicchiere e mandava giù la pillola.

Senza poterlo evitare, il suo sguardo tornò su Seokjin. Quasi sussultò nel constatare che Seokjin non gli aveva staccato gli occhi di dosso e lo guardava in quel modo strano che da un po' di tempo a quella parte sembrava non poter evitare di fare.

“La torta alla glassa è la mia preferita,” Seokjin disse di punto in bianco mentre si portava la forchetta alla bocca e si godeva il boccone come se non ci fosse nulla di più buono al mondo.

Come facevi a sapere che ero fuori? Da quanto tempo sai che esco di nascosto? Perché sembra che all'improvviso non hai nulla da dirmi quando prima eri tu a scavalcare ogni volta il nostro muro, e quale segreto mi stai nascondendo con lo stesso accanimento con il quale io sto nascondendo il mio?

Namjoon sbatté le palpebre mentre tutte queste domande si susseguivano una dopo l'altra nella sua testa, le sue labbra che rimanevano sigillate incapace di dar loro voce.

“Seokjin...” provò a iniziare ma le sue parole morirono in gola quando Seokjin spostò nuovamente la sua attenzione dalla sua torta su di lui. Namjoon guardò l'orologio sulla parete della cucina allora e poi guardò nuovamente Jin. Non avevano tempo per questo, non lì, non in quel momento e scosse la testa allora, fitta di dolore che diede un'altra spiacevole fitta.

“Namjoon?” Chiese Seokjin espressione improvvisamente oscurata da un velo di preoccupazione. Namjoon pensò che lui non avesse davvero il diritto di preoccuparsi quando praticamente agiva come se lui non esistesse. Eppure era Seokjin, gentile e perfetto Seokjin, che nonostante fosse sfuggente pretendeva di preoccuparsi per lui.

“Nulla, ne parliamo un'altra volta. Ti aspetto in macchina,” disse voltandogli le spalle in fretta ma non abbastanza da non vedere l'espressione di Seokjin frantumarsi per un penosissimo breve istante. Quasi corse via dalla cucina rischiando seriamente di andare a sbattere nello stipite della porta.

Cosa stava succedendo a tutti loro? Si chiese mentre attraversava i corridoi e poi giù verso la sua stanza dove si permise di fermarsi a riprendere fiato.

Era quella casa, quella casa stava logorando lentamente tutti.


 


 


 

Dopo l'episodio in cucina il viaggio in macchina era stato pieno di tensione. Seokjin aveva provato a rimediare, le sue dita che sfiorarono il suo braccio in un gesto affettuoso, ma lui aveva sussultato così tanto che il maggiore aveva abbassato la sua mano e Namjoon non aveva dovuto guardarlo per sapere che in viso aveva un'espressione ferita.

I giorni che erano seguiti allora, erano stati di una pesantezza insopportabile. All'esterno continuavano a scambiarsi convenevoli, Seokjin che timidamente cercava di tamponare le rispettive ferite, ma più dell'affetto era il senso di colpa quello che sembrava aleggiare sul maggiore come una nebbia e Namjoon lo trovava insopportabile. Eppure non riusciva a sottrarsi all'ascendente che Seokjin aveva su di lui, a quel nuovo sentimento che sembrava essere nato da quando lo aveva baciato in giardino.

Gli studi sull'algoritmo gli avevano dato qualche spiegazione al grande quesito che lo aveva tormentato da sempre, ossia cosa fosse veramente ciò che determinava l'attrazione tra due numeri due. Naturalmente l'unico modo per capire come funzionava il meccanismo delle anime gemelle sarebbe stato andando direttamente alla fonte, il grande computer che da qualche parte in qualche scantinato governativo segreto emetteva le sue combinazioni come verdetti inoppugnabili, ma sapeva benissimo che le speranze di mettervi mano erano pressoché impossibili.

I numeri due erano le persone che per nascita avevano il più alto livello di compatibilità possibile, era scientifico, era mappato all'interno del loro DNA, era dentro di lui, tatuato all'interno della fibra del suo essere. Se era vero che l'amore una volta era un incontro fortuito che dava una reazione chimica, quello tra i numeri due era un incontro predeterminato a una esplosione. Lo aveva sempre saputo dopotutto, era quello che raccontavano tutti, eppure averne letto la confutazione scientifica lo rendeva più reale, più irresistibile, e lui e Seokjin si trovavano a gravitare l'uno verso l'altro. Nel loro caso farsi male nel farlo per via dei rispettivi muri.

La situazione pertanto non migliorò, soprattutto quando qualche giorno dopo durante una cena in cui stranamente erano tutti presenti, il che avrebbe dovuto fargli suonare un campanello di allarme, sia lui che Seokjin vennero informati di un nuovo evento che avrebbe richiesto la loro presenza.

I due si scambiarono uno sguardo imbarazzato attraverso il tavolo in sala da pranzo, mentre metabolizzavano il fatto che dopo aver passato giorni a far finta di nulla, improvvisamente erano costretti ad agire come la coppia di anime gemelle che non erano. E per giunta sarebbe accaduto a uno di quegli orribili eventi in cui avrebbero avuto gli occhi di tutti addosso a controllare ogni loro minimo movimento in cerca di un sussulto, di una falla nella coppia perfetta.

Era una punizione per la relazione che aveva consegnato? Il signor Kim era consapevole del suo rigetto per tali occasioni al punto da costringerlo così presto a un'altra? Namjoon infilzò la patata al forno con violenza come se fosse colpa del cibo. Probabilmente non era affatto così, era solo che la sua mente era in grado di elaborare mille teorie con cui torturarsi una più ridicola dell'altra. Le parole che il console disse, infatti, confutarono del tutto tale insensato supposizione (e trasformarono in magma incandescente quello che allora era stato solo un fuoco vivo di rabbia).

“Namjoon a proposito, ho avuto modo di leggere la tua relazione. Hai fatto un ottimo lavoro,” il signor Kim disse e lui dovette trattenersi dal non ribaltarsi dalla sedia per lo shock.

Aveva sputato addosso alla gestione statale dell'algoritmo nella speranza di irritare tutti (non importava quanto pensasse di avere ragione, il proposito alla fine era quello) e invece ora gli venivano fatti i complimenti.

“Grazie, signore,” Namjoon rispose meccanicamente cercando di suonare cortese e il padre di Seokjin annuì a sua volta in approvazione come se fosse sordo all'inflessione del tono freddo di Namjoon, o come se non gliene importasse affatto. Cercò di evitare di incrociare di nuovo lo sguardo della sua anima gemella sebbene se lo sentisse addosso. Sarebbe stato meglio se Seokjin lo avesse ignorato del tutto e invece, nonostante il silenzio e la distanza, sapeva che il maggiore non smetteva di coprirgli le spalle ed era questo che più di tutti lo frustrava.

Namjoon si scusò non appena la cena finì, il fuoco che gli scorreva dentro e quasi gli bruciava la pelle in superficie troppo da sopportare se continuava a stare con i Kim. Quella casa era immensa, ci sarebbero potute vivere dieci famiglie comodamente eppure lui si sentiva soffocare tra quelle mura. Doveva uscire, doveva prendere un po' di aria non importava se non aveva niente in cui esibirsi perché le pagine dei suoi quaderni erano vuote di parole, l'importante era uscire dalle mura di quella casa. Non perse tempo allora, non aspettò neanche che fosse più tardi, prese il suo portafoglio, il cellulare e si infilò una giacca mentre con lo sguardo cercava freneticamente la sua chiave magnetica per il portone.

“Namjoon,” arrivò la voce di Seokjin da dietro di lui, immobilizzandolo sul posto. Namjoon si voltò leggermente, mentre cercava di dominare un fremito. Seokjin era in piedi sullo stipite della porta di camera sua, occhi grandi scuri su di lui e Namjoon non poteva fare a meno di notare come le sue dita si stringevano sullo stipite. Sarebbe stato un buon momento per parlare, sembrava davvero un ottimo momento per farlo, bastava che Seokjin chiedesse dove andava perché si aprisse quella porta, perché Namjoon rispondendo potesse aver la possibilità di fare a sua volta le sue domande.

Nonostante tutto quello che provava, rabbia, irritazione, sdegno, tristezza, voleva veramente provare ad abbracciare questa persona. No, forse era lui per una volta a voler essere abbracciato e farsi dire che sarebbe andato tutto bene.

“Non fare tardi,” uscì dalle labbra del maggiore invece. Namjoon si lasciò sfuggire uno sbuffo di scherno. Perché Seokjin ancora una volta si faceva scivolare una loro occasione volontariamente fra le dita pur guardandolo con un affetto così palpabile da far male?

Namjoon non disse nulla allora, perchè non riusciva a dire nulla, si voltò e aprì la finestra di camera sua, infine scavalcò il davanzale senza guardarsi indietro.

L'aria fresca della notte non servì a snebbiargli la mente ma solo a intirizzirgli le membra mentre camminava verso la solita fermata del bus. Si rendeva conto di essere più noncurante del solito, era ancora presto e c'era ancora dello staff a lavoro e c'erano decisamente più possibilità del solito che qualcuno lo interpellasse, eppure quasi ci sperava di mandare il perfetto staff di sicurezza della famiglia Kim in agitazione.

La voglia di tornare a casa era tremenda, ma sapeva di non poterlo fare di non poter tornare da sua madre e riversargli tutta la sua angoscia personale perché era un adulto anche se non lo era ancora e alcune cose non potevano essere riavvolte. Perciò andò in centro per mescolarsi tra la folla e dimenticare l'ironia della sua sorte, la dicotomia tra quello che lui sarebbe dovuto essere e quello che era, il numero uno di qualcuno eppure solo. Un numero uno perso.

Infine si trascinò al vecchio pub anche se non c'era Yoongi e nessuno degli altri artisti quella sera, tuttavia era l'unico posto che gli ricordava qualcosa di buono, che ancora lo faceva sentire al sicuro. Si sedette a un angolo del locale allora a bere un semplice bicchiere d'acqua perchè anche se i padroni del locale chiudevano un occhio sulla sua età reale durante le performance nessuno avrebbe servito da bere dell'alcool a lui senza Yoongi. Perciò se ne stette li solo, con il suo bicchiere d'acqua, telefono dimentico in un angolo mentre il tempo passava.

Era patetico, non riusciva neanche a ribellarsi davvero, si disse mentre guardava il suo bicchiere d'acqua e i messaggi non letti sullo schermo del telefono si accumulavano. Tornò presto, poco dopo mezzanotte senza alcun imprevisto e difficoltà, la finestra di camera sua socchiusa invece di essere spalancata, segno che Seokjin aveva provveduto a mettere le cose a posto ma senza togliergli una via di ritorno. Namjoon rotolò all'interno esausto come se avesse fatto una serata per davvero e pertanto, dopo essersi cambiato nei suoi abiti da notte, si infilò subito nel letto. Fu allora che affondando il naso nel cuscino percepì qualcosa di diverso, quel misto di colonia e caffè che era tipico del profumo della sua anima gemella.

"Mi dispiace di essermi addormentato qui, avevo paura che qualcuno venisse a controllare, ma ho creduto che se avessero saputo che mi trovavo qui non sarebbero venuti, così sono rimasto.” Seokjin doveva essere rimasto li a lungo, abbastanza perché tutti pensassero loro due due erano insieme e non pensassero di venire a disturbare. Namjoon gemette nel cuscino. Perché anche quando si comportava freddamene il maggiore sembrava pensare a lui sempre, sempre, sempre.


 


 

“Questo Seokjin sta iniziando a non piacermi,”Yoongi disse dall'altra parte del telefono. Namjoon sospirò mentre litigava con i gemelli della sua camicia, il cellulare in bilico tra la sua spalla e la sua guancia. In effetti ci sarebbe voluto veramente poco perché l'apparecchio facesse una brutta fine considerando la sua goffaggine cronica, ma aveva poco tempo e ben presto sarebbe stato inghiottito dalla festa e dai postumi della festa chissà fino a quando.

“E' complicato Yoongi, sto iniziando a pensare che questa storia delle anime gemelle è più complicata di quanto sembri. Almeno per me e te,” Yoongi sbuffò forte e Namjoon quasi se lo riusciva a immaginare sguardo duro e labbra corrucciate.

“Complicato? Sì, ne so qualcosa a proposito di complicato,” Yoongi rispose in tono sarcastico. “Però Namjoon,” proseguì l'altro, “prima o poi dovrai uscire allo scoperto. Se c'è una cosa che ho imparato dalla mia situazione è che la verità non può essere nascosta, non importa quanto ci provi.” Namjoon quasi fece cadere il telefono. Si, se c'era qualcuno che sapeva qualcosa sul disastro di certi segreti era proprio Yoongi, ma lui cosa poteva fare, come poteva aprirsi con qualcuno che si comportava in modo così confuso? Ognuno ha i propri segreti, Seokjin aveva detto. Namjoon sapeva che non era l'unico ad avere qualcosa che lo stava trattenendo, il comportamento di Jin era stato confuso a lungo ma ora stavo raggiungendo una escalation che stava rendendo la situazione quasi insostenibile.

Forse era arrivato il tempo di svuotare il sacco, ma ci avrebbe pensato dopo, prima doveva sopravvivere a quel dannato evento.

“Io so solo che continuo a chiedermi se alla fine la verità ci farà bene oppure finirà col distruggere quel poco che ci è rimasto,” Namjoon confessò, riuscendo infine a infilare il gemello nell'asola e a prendere il telefono come si doveva. Un profondo silenzio seguì le sue parole e Namjoon si sentì il fiato in gola.

“Può essere. Io sono l'ultima persona che può darti delle risposte e non posso prometterti che andrà meglio perché c'è una discreta possibilità che non sarà affatto così. Ma almeno una volta che avrai messo le carte in tavola, saprai. Fallo prima che sia troppo tardi.”

Il suo migliore amico gli disse nel ricevitore. Yoongi più di ogni altra cosa sapeva cosa voleva dire lasciare che le cose cadessero così in basso fino al punto di non ritorno finendo col ferire ciò che invece aveva voluto proteggere.

“Ci proverò. Ora devo andare però, hyung.”

“Mi raccomando,” e con quelle parole si congedò. Rimase qualche minuto immobile e perso nei suoi pensieri, la verità delle parole del suo amico che li ronzavano in testa, infine, rassegnato, lasciò il cellulare sul comò per poi prendere la giacca dal suo armadio e infilarsela, stoffa costosa che scivolava su di lui come un guanto. Namjoon si chiese se si sarebbe mai abituato a tutto questo, se avrebbe mai smesso di apparirgli strano e se prima o poi si sarebbe sentito meno come un pinguino infilato a forza dentro un completo e dentro una vasca piena di squali. Si passò la cravatta intorno al collo mentre andava allo specchio per vedere come allacciarsela. Era diventato abbastanza bravo anche se non aveva ancora raggiunto la perizia di Seokjin, quel modo perfetto in cui le sue dita svelte annodavano la stoffa.

Una volta pronto uscì da camera sua e andò in soggiorno ad aspettare che il resto della famiglia fosse pronta. Seokjin lo raggiunse poco dopo, e Namjoon non poté sopprimere uno sguardo ammirato quando i suoi occhi si posarono sulla sua anima gemella e vide come, a sua volta, il volto del maggiore si apriva nel suo solito caldo sorriso. Per un attimo fu come se quelle settimane di vuoto fossero state solo un frutto della sua immaginazione.

Seokjin percorse in pochi passi la distanza che li separava.

“Sapevo che il grigio perla ti avrebbe donato,” Seokjin disse come se fosse il solito Jin, mentre passava una mano sulla spalla della giacca di Namjoon. Le sue dita poi si spostarono sulla sua cravatta, dita che sistemarono il colletto della camicia e tamburellarono sul nodo.

“Hai imparato,” sussurrò il maggiore. Namjoon evitò di dirgli che a lui ci erano voluti cinque minuti per riuscirci gli sembrò qualcosa di stupido da dire quando aveva Seokjin così vicino come non era da settimane.

“Grazie,” Namjoon disse ma da come lo sguardo del maggiore si scurì, capì che l'altro aveva capito che lui si riferiva ad altro.

La maschera di tranquillità di Seokjin scomparve e per un attimo Namjoon ebbe la certezza che finalmente l'altro avrebbe detto qualcosa ma le sue labbra si serrarono con forza invece, mentre la sua mano scivolava lungo il braccio di Namjoon fino a chiudersi delicatamente sul suo polso. Forse non erano mai stati così vicini, così privi delle rispettive maschere seppure senza dire niente, come in quel frangente in cui entrambi stavano riconoscendo la verità del caos che era la loro situazione.

“Siete qui,” era la madre di Seokjin, il suo volto glaciale che si apriva in uno dei suoi rari sorrisi. Il momento era finito, l'attimo di verità era fuggito, ma con grande sollievo di Namjoon Seokjin non lasciò la sua presa. Forse era solo la necessità di salvare le apparenza o la forza dell'abitudine, non lo credeva eppure qualunque fosse il motivo, dopo tanta rabbia e irritazione, Namjoon era contento di avere Seokjin vicino.

La signora Kim disse loro che era stato deciso che loro due li avrebbero preceduto il resto della famiglia all'evento, in quel modo avrebbero potuto godersi i riflettori come rappresentanti della famiglia, un modo intelligente per abituarli al ruolo in vista del futuro passaggio di consegne. Namjoon credeva non sarebbe accaduto molto presto considerando l'ovvio attaccamento alla sedia che il signor Kim sembrava provare per la carica, ma era senz'altro sicuro che aveva pianificato perché loro entrassero attivamente in politica una volta che entrambi si fossero laureati e tutto questo veniva fatto affinché al momento debito entrambi fossero non solo pronti, ma perfetti.

La loro vicinanza rimase tale anche una volta in macchina, ma era come se per un tacito accordo avessero deciso di seppellire qualsiasi cosa strana ci fosse stata tra di loro quelle settimane per agire invece uniti. Namjoon aveva sentimenti contrastanti perchè non era come se la sua irritazione fosse evaporata, giaceva ancora li incandescente, ma come tutte le cose che riguardavano Jin, non era qualcosa di semplice, il suo cuore aveva spazio a sufficienza per provare una grande varietà di sentimenti, perciò poteva provare sia sollievo quando l'altro allacciava il braccio al suo quando scesero dalla macchina, sia senso di smarrimento nei confronti dell'atteggiamento incostante dell'altro. Namjoon rivoleva indietro il suo Jin, non importava quanto questa frase suonasse ridicola considerando che lui lo aveva praticamente respinto sin dall'inizio, ma in mezzo a tutto quegli orribili sentimenti che provava, desiderò -per una volta - di poter contare sulla sua anima gemella.

Quell'ambiente faceva girare la testa a Namjoon, e non aiutava che tra gli invitati ci fosse il secondo console Park, il quale sfortunatamente non perse tempo a intercettarli. Lui e Seokjin furono costretti a salutarlo naturalmente e il console andò subito all'attacco lasciando Namjoon basito per un attimo.

“Ho letto il tuo saggio sulle dinamiche sociologiche sui numeri zero e due. E' stato così illuminante. Per non parlare delle tue osservazioni sull'algoritmo di mondo due. Ti aspetta sicuramente un brillante futuro Kim Namjoon e, a dire il vero, non riesco a pensare a chi possa essere stato più fortunato se tu ad ottenere il nome dei Kim o i Kim ad ottenere te. Quando si dice colpo di fortuna!"

Non sapeva come ma il suo stupido saggio doveva aver fatto il giro del parlamento o perlomeno il secondo console lo aveva letto. Ebbe la sgradevole conferma quanto tutto quello che facesse fosse sotto lo scrutinio di tutti.

Ma le sue parole non colpirono solo lui ma anche Seokjin che si irrigidì al suo fianco. Il maggiore, Namjoon ormai lo sapeva, era bravo a tenere a bada ai suoi sentimenti, ma lui lo conosceva abbastanza da riconoscere il dolore quando la vedeva. E, nonostante le loro reciproche mancanze e le reciproche ferite Namjoon capì una cosa in quel momento e cioè che nessuno aveva il diritto di toccare Seokjin in nessun modo neppure con le parole eccetto lui. Era un sentimento nuovo ma non meno reale, guardò il console Park negli occhi: la sua irritazione aveva trovato un nuovo obbiettivo.

"Se posso dire una cosa console Park, Seokjin è ancora più sorprendente. Non si tratta solo di me. Potrebbero dire che sono di parte perché è il mio numero uno. Ma, onestamente, non ho mai trovato una persona migliore di Kim Seokjin. Da parte mia, quello speciale è senza ombra di dubbio lui,” Namjoon disse. Seokjin con i suoi segreti e con la sua distanza irritante, lui che senza saperlo era il motivo per cui Namjoon si trovava li, eppure se era vero che lui era il motivo, era comunque il suo e solo lui aveva il diritto di avercela con il maggiore e nessun altro. Mantenne le maniere cortesi ad ogni modo mentre congedava entrambi dal console Park ma lo fece solo per riguardo a Seokjin, la fiamma dei suoi sentimenti era accesa a un tale punto che gli sarebbe bastato poco quella sera per scoppiare. Namjoon dovette soffocare una risata era così innaturale per lui non essere in controllo, lasciare che le emozioni avessero la meglio sul suo cervello.

Senza rendersene conto aveva trascinato Jin verso il tavolo dove era seduto suo cugino Hyosang che lanciò loro un sorriso simpatetico.

Namjoon non aveva mai saputo bene come inquadrare Hyosang. Era vero che lo conosceva poco ed era sempre stato gentile e affabile con lui, ma lo era con tutti in generale. Tuttavia era la persona a cui Seokjin sembrava tenere di più, forse l'unica a cui Seokjin teneva nell'intera famiglia Kim, e questo non poteva non stuzzicare la sua curiosità. Considerando anche che Hyosang lo guardava sempre con quello sguardo col quale sembrava sempre essere due passi avanti.

"Suppongo che il secondo console sia una tenera presenza come suo solito. Devi perdonarlo Jinnie, il poveretto vuole essere promosso alla prima posizione da sempre ma con noi Kim annidati lì da tre generazioni, gli ci vorrebbe un mezzo miracolo per raggiungere l'obiettivo," Hyosang commentò allegramente. Namjoon trattenne a stento una risata mentre invece Seokjin sospirava stanco.

Poi il maggiore disse qualcosa che colpì Namjoon e lo lasciò ancora una volta con molte cose su cui riflettere.

"A volte vorrei che la gente potesse vederci come persona reali, non solo come Kim. E' faticoso.”

Sin da quando si erano incontrati non era capitato spesso che Seokjin facesse vedere il suo lato più vulnerabile. Tuttavia, se c'era una cosa che quelle settimane avevano dimostrato era che, dietro la naturale gentilezza del carattere di Seokjin, si nascondeva un mare di sentimenti inesplorati che il maggiore sembrava conservare gelosamente lontano dagli sguardi altrui. Più dei sorrisi affettuosi di Jin che da soli erano stati abbastanza da mettere in dubbio il suo scetticismo, era il sapere che da qualche parte che c'era un Jin che era simile a Namjoon che faceva in modo che lui si sentisse irrimediabilmente attirato verso di lui. Lo chiamano legame da anime gemelle ma forse era solo il canto unisono di due anime sole che si erano trovate.

Namjoon allora strinse la mano di Seokjin nella sua e fu come se si toccassero veramente per la prima da settimane.

“Ti capisco, ma siamo quello che siamo. Almeno abbiamo le nostre anime gemelle,” disse Hyosang e Namjoon sentì caldo salirgli in viso. Distolse lo sguardo dai due cugini e quando lo riportò su di loro vide che un cameriere aveva raggiunto il loro tavolo con un vassoio pieno di bicchieri di champagne. Namjoon senza pensarci due volte prese un bicchiere a sua volta seguendo l'esempio di quei due, ne aveva bisogno per cercare di bere il suo imbarazzo.

"Niente alcol per te Joonie, sei ancora...” sentì la voce di Seokjin dire per poi fermarsi bruscamente. Il significato di quelle parole non lo colpirono subito, fu come se il tempo si fosse fermato e in quel momento lui fu particolarmente conscio di come le pupille dell'altro si dilatarono, di come le sue labbra perfette si schiusero a o in un'espressione sbigottita quasi non riuscisse credere a quello che si era appena lasciato sfuggire. Namjoon sentì la sua mano appoggiare il bicchiere sul tavolo come se corpo e mente si fossero scollegati, mentre il suo cervello finalmente veniva colpito da ciò che Seokjin aveva appena detto.

C'erano mille modi per finire quella frase, mille parole che potevano essere appropriate ma solo alcune potevano causare quella reazione nel maggiore.

Seokjin sapeva.

Panico, puro panico si diffuse nel suo corpo e per questo quando Seokjin si alzò dal tavolo mormorando qualcosa Namjoon non riuscì a cogliere, ancora congelato per lo shock. Poi il suo sguardo incrociò di nuovo quello di Hyosang e dall'espressione preoccupata di questi capì che anche lui sapeva.

“Namjoon vai,” sentì l'altro dire. Fu quello che infine riuscì a risvegliarlo dal suo stupore.

“Joonie niente alcol per te, sei ancora,” minorenne.

Si alzò svelto dal tavolo e con il cuore che gli batteva a mille uscì dalla sala tuttavia una volta in corridoio il panico di nuovo rischiò di offuscargli la mente perchè non riusciva a cogliere l'altro da nessuna parte. Pensa stupida carcassa, pensa . Si ricordò vagamente che Seokjin aveva nominato la parola 'aria' quindi con molta probabilità si era diretto verso una terrazza perché il giardino interno era troppo lontano.

Namjoon corse a perdifiato lungo il corridoio alla ricerca di una finestra che si aprisse su un balcone, cuore che battezza all'impazzata. Seokjin sapeva, lui sapeva, ma da quanto?

Abbiamo tutti i nostri segreti, aveva detto e Namjoon avrebbe dovuto capire allora, avrebbe dovuto fare due e più due ma ancora una volta era stato troppo assorbito da se stesso. Si erano mentiti a vicenda, non avevano fatto altro per chissà quanto e Namjoon doveva scoprire il perché di tutto questo. Vide infine la porta finestra alla fine del corridoio spalancata e si gettò in avanti l'aria della notte che lo colpì in viso.

Seokjin era li appoggiato alla ringhiera, e Namjoon vedeva solo la sua schiena ma le sue spalle erano curve e il più giovane vedeva le nocche della mano destra stringere la barra in ferro con forza.

“Seokjin,” vide il maggiore rabbrividire ma questi non si voltò, continuò a dargli le spalle e Namjoon si disse che per quanto sembrasse poco promettente non poteva tirarsi più indietro.

"Prima. Cosa stavi per dire?" Chiese Namjoon schiarendosi la gola.

"Niente. Dimenticalo. Ho solo bisogno di una boccata d'aria fresca. Forse non avrei dovuto bere champagne, mi fa male la testa,” disse cercando di suonare leggero ma c'era un tremolio leggero nel suo tono e ancora non si voltava a guardarlo.

"Per favore Seokjin. Mettiamo fine a questa farsa. Parla con me,” Namjoon insistette perché era finito il tempo dei segreti, anche se lui aveva una paura tremenda e le sue emozioni non erano mai state cosi poco sotto controllo. Seguì un silenzio tombale e poi le parole sincere di Seokjin ruppero il silenzio della notte

"E' Seokjin hyung, per te." Ringhiò, voltandosi. Namjoon quasi fece un passo indietro mentre sentiva il sangue lasciargli il viso. Una parte di lui, ora lo riconosceva, aveva desiderato che Seokjin lasciasse cadere la maschera che il più giovane aveva sempre sospettato lui portasse sin da quando quando quella cortina di distanza era calata tra di loro. Ma forse aveva sopravvalutato se stesso. Aveva egoisticamente pensato di essere l'unico a soffrire e invece non era così. La bugia, quella che aveva pesato così tanto sulle sue spalle, era allo scoperto ormai e non c'era modo di tornare indietro.

"Hai mai avuto l'intenzione di parlarmene?" Seokjin chiese la voce sconvolta, ferita.

Di nuovo silenzio. La verità era una cosa difficile da dire anche di fronte all'inevitabile.

"Tu sei la mia anima gemella e io sono la tua. Certo, so che è colpa della mia famiglia, ma quello che non riesco a capire perché tu abbia mentito a me!”

Namjoon fissò a lungo il pavimento, mentre cercava di mettere ordine nella sua testa e riuscire a giustificarsi se poteva. Perchè si, aveva mentito per primo, ma la bugia aveva fatto male a lui quanto a Seokjin.

"La tua famiglia ci ha chiesto di non dire niente visto che sono abbastanza intelligente per poter frequentare il tuo stesso anno. Ho iniziato a considerarmi più grande tempo fa e per questo non ho protestato. Loro hanno chiesto e noi non abbiamo trovato un motivo valido per dire di no,” Namjoon fece una pausa e poi disse la cosa che avrebbe voluto dire sin dal loro primo incontro, sin dalla prima volta che aveva permesso che quella bugia rovinasse ulteriormente il tutto.

“Mi dispiace." Chiuse gli occhi.

"Ti dispiace? Posso aspettarmi questo dalla mia famiglia, che mi ha lanciato addosso tutte queste fesserie sull'essere un Kim da quando ho tre anni, ma non da te! Perché non hai mai pensato di dirmelo, in privato?” Chiese ancora Seokjin e Namjoon vi riconobbe la rabbia e lui strinse a sua volta i pugni perchè non era tutta colpa sua. Come poteva Seokjin pensarlo? L'irritazione, la rabbia il senso di smarrimento che come veleno avevano sobollito per tutto quel tempo iniziarono a risvegliarsi.

"Loro hanno chiesto e non ho potuto dire di no," Namjoon ammise a denti stretti.

"Perché?"

"Perché loro hanno chiesto!" Esclamò Namjoon guardandolo finalmente negli occhi, rabbia che fuorusciva finalmente libera. Tutti quei giorni a mantenere il controllo e ora tutto stava crollando come un castello di carta.

"Non ti azzardare a lasciare il peso di tutto questo solo su di me, perché non è colpa mia. Tu non sai com'è la tua famiglia. Non sai come è la mia famiglia con loro, come il fatto che io sono fidanzato con l'erede dei Kim li abbia colpiti. Loro hanno chiesto e io ho eseguito. Ero felice? Ovviamente no! Perchè tu sei sempre stato gentile con me e ogni volta che mi hai trattato come un tuo coetaneo qualcosa dentro di me si rompeva, ma considera per un attimo la mia posizione. Non ho mai avuto molta scelta,” Namjoon sputò fuori ed era bello liberatorio finalmente poter dire la verità, tutta la verità.

Seokjin sembrò preso alla sprovvista e improvvisamente non fu così sicuro di se. "So che la mia famiglia può essere piuttosto prepotente, ma ora stai parlando come se ti avessero chiesto di fare un sacco di cose che non volevi fare e che ancora non vuoi fare."

Namjoon avrebbe voluto scoppiare a ridere ma si limitò a non rispondere, era possibile che il maggiore fosse così ingenuo? Ma sentiva la sua rabbia fuori controllo ormai e sebbene ce l'avesse avuta con Jin per un sacco di cose, non voleva ferirlo inutilmente.

"Mi dispiace se ti ho mentito. Ora ti prego, torniamo dentro. Oppure torniamo alla residenza dei Kim, se preferisci." Namjoon cercò di concludere il discorso. Ormai la verità era stata detta non c'era bisogno di portare allo scoperto anche il resto. Ma Seokjin sembrava aver intuito ci fosse dell'altro e non sembrava intenzionato a mollare l'osso. Il maggiore fece alcuni passi verso di lui, sempre più vicino, così vicino che si potevano toccare senza aver nemmeno bisogno di sollevare il braccio. Si sentì soffocare, in trappola.

"Namjoon. Perché sento che una delle cose che non volevi è trovarti qui? " Chiese in un sussurro.

"Seokjin, hyung, andiamo,” Namjoon cercò di svicolare perchè non era necessario distruggere anche questo.

“Perché,”Seokjin insistette sempre più vicino costringendo Namjoon a indietreggiare e quando la sua schiena colpì il muro seppe di non avere via di scampo.

"Per una volta, una, dimmi la verità. Credo di meritarmelo,” il maggiore chiese con voce ferma e perentoria. Qualcosa di oscuro si risveglio e tutto quello che aveva provato sin da quando aveva messo piede nella residenza Kim trasbordò e non c'era più modo di fermarlo.

“Perché è vero. Io non voglio trovarmi qui."Vide le pupille di Seokjin tremare ma non poteva fermarsi, non più.

"Sono venuti a casa mia, ci hanno riuniti in cucina e ci hanno fatto questo lungo discorso per poi dichiarare che io ero l'anima gemella dell'erede dei Kim. La mia famiglia si sentiva così onorata, erano tutti così felici, che io non ho potuto dire nulla. Ho sentito il cappio intorno al collo stringersi sulla mia gola e tutte le mie speranze, tutti i miei sogni, svanire. Perché stavo per essere un Kim e questo avrebbe escluso tutto quello che ho sempre fantasticato di fare con la mia vita. Ero così arrabbiato, così arrabbiato ma i Kim erano felici, la mia famiglia era felice così sono rimasto in silenzio. Eppure non potevo fare a meno di chiedermi perché io, perché? Volevo perseguire la mia passione per la musica ma mi hanno iscritto alla facoltà di economia. Ero scettico circa il sistema delle anima gemelle, volendo invece una vita per me stesso, e invece sono stato legato al numero due più desiderato del paese. In seguito sono stato persino portato via dalla mia casa e dai miei affetti e non ho potuto fare nulla. Ma ho incontrato te, la mia anima gemella, quando tutta la mia vita ho dubitato di loro. Tu eri bellissimo e così dannatamente gentile con me e anche se ignoravi che la tua felicità era costata i miei sogni, non potevo odiarti. Non potevo neanche essere felice però. Quindi, per favore torniamo nella residenza. Dimentichiamoci di questo. I miei sentimenti, nel quadro generale delle cose, non sono poi così importanti." Namjoon concluse distogliendo lo sguardo.

Era finita, tutto era stato detto, e avrebbe dovuto sentirsi meglio e invece si sentiva giù a terra sull'orlo dell'abisso.

"Mi dispiace. Mi dispiace tanto Joonie. Non ho mai saputo, mai, se potessi fare qualcosa per sistemare il tutto..,”la voce di Seokjin iniziò a vacillare e Namjoon sollevò lo sguardo di nuovo allarmato dalla piega della sua voce.

"Seokjin!" Namjoon esclamò allarmato quando vide l'altro portarsi le mani al petto mentre il suo respiro si faceva accelerato. Stava avendo un attacco di panico ed era tutta colpa sua, Namjoon gettò le mani in avanti cercando di afferrarlo mentre invece Seokjin indietreggiava, con espressione infine rotta.

"Ti ho amato sin dalla prima volta che ti ho visto,"disse prima di spezzarsi come un liuto e Namjoon fece appena in tempo ad afferrarlo prima che la sua testa toccasse il freddo marmo.

Era triste che quella fosse la prima volta che aveva la sua anima gemella tra le sue braccia.


 

 


 

NdA: è stato difficile riuscire a scrivere questo capitolo che è importantissimo per la storia, ma ce l'ho fatta. Le cose cambieranno per Seokjin e Namjoon, tenetevi forte ;))

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Capitolo 8
*** 2.7 ***


2.7


 


 

Ho un peso sul cuore, è il tuo amore.

Quelle parole erano rimaste impresse in Namjoon per un lungo tempo. Si ricordava vagamente di averle lette in qualche suo vecchio libro e sebbene la trama fosse rimasta una massa nebulosa nello scafandro della sua memoria, non lo erano invece quelle parole, che erano state marchiate a fuoco in qualche anfratto della sua mente.

E quelle stesse parole, che lui aveva trovato affascinanti pur comprendendo quanto fossero al di là della sua portata, tornavano a tormentarlo ora, colpendolo a ondate che lo ferivano ogni volta. Lungo il breve tragitto nel campus per spostarsi tra una lezione e l'altra, nel trovarsi da solo in cucina, quasi come se qualcuno si divertisse a fargli lo sgambetto e privarlo del suo senso di equilibrio.

Le aveva pensate per la prima volta, come una sorta di illuminazione, quella tarda mattina quando, dopo aver adempiuto ai suoi compiti alla velocità della luce per essere in grado di tornare da Seokjin quanto prima, era giunto dal maggiore solo per trovare il letto di camera sua vuoto. E fu sempre allora che ne aveva – infine - capito la portata, il peso specifico.

Namjoon infilò malamente il libro nel suo zaino, rischiando di far fare una brutta fine a entrambi perché il primo non ne voleva sapere di entrare e il secondo sembrava non collaborativo. Poteva anche essere che Namjoon stesse esagerando con la forza, ma tanto poteva sempre sostituirli, si disse con una smorfia. La sua frustrazione invece, quella sarebbe sarebbe rimasta tale e quale.

La verità era che non si era sentito mai così solo e smarrito come si era sentito in quei giorni, neppure quando aveva messo piede per la prima volta nella villa dei Kim. Seokjin infatti non si era limitato a evitarlo, era direttamente sparito e Namjoon era sicuro che mancasse dalla villa da giorni e, per quanto lui volesse risentirsene, era anche in grado di comprenderne il motivo e anche di immaginare, piuttosto accuratamente, quanto dovesse essere difficile per il maggiore.

Aveva amato Namjoon sin dall'inizio, così aveva detto Seokjin e per quanto Namjoon stesso non se ne raccapacitasse non credeva affatto che il maggiore gli avesse mentito, non era possibile mentire su una cosa del genere. Seokjin aveva amato lui, quindicenne e infinitamente smarrito Namjoon, sin dalla loro introduzione e lui non aveva avuto neanche la decenza di riconoscere i suoi sentimenti, non per davvero, tanto meno aveva pensato di ricambiarli, anime gemelle o meno. Forse soprattutto a causa di questo.

Eppure Namjoon non era ingenuo, per quanto avesse provato a tenerlo nascosto anche a se stesso, era perfettamente cosciente del fatto che c'erano dei sentimenti per la sua anima gemella li ingarbugliati da qualche parte dentro di se che aspettavano solo il momento che lui avrebbe infinito trovato il coraggio di dipanarli. Tuttavia, il suo dolore, il suo terribile senso di smarrimento che rischiava di inghiottirlo e che era così forte che era quasi un male fisico cercare di comportarsi in modo normale, derivava dalla paura di non esserne capace. Di non poter ricambiare Seokjin non perché non ne fosse in grado, ma perchè non poteva. Ho un peso suo cuore, è il tuo amore.

Per quanto drammatico potesse suonare anche alle sue stesse orecchie sentiva che amare Jin sarebbe stata l'ultima cosa cosa che avrebbe fatto e temeva fosse un prezzo troppo alto da pagare, eppure l'idea di non averlo, di non avere Jin quando lui non aveva chiesto neppure di essere amato, ma già lo faceva, era inconcepibile. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire il peso del corpo di Seokjin sulle sue braccia, la testa del maggiore appoggiata sulla sua spalla.

Quella sera quando Seokjin era svenuto Namjoon era andato completamente nel panico. L'idea di abbandonare Seokjin sul freddo pavimento della terrazza non gli piaceva affatto ma non avrebbe saputo come chiedere aiuto altrimenti. Per sua fortuna le guardie del corpo, accortosi della loro assenza, erano andate a cercarli e li avevano trovati nell'arco di pochi minuti, togliendo Namjoon dal suo dilemma.

Non appena avevano visto Seokjin tra le sue braccia, lo staff si era affaccendato intorno al maggiore facendolo stendere sul pavimento mentre uno di loro gli sollevava le gambe mentre un altro gli controllava i battiti del polso. Seokjin aveva aperto gli occhi, con grande sollievo di Namjoon, pochi istanti dopo ma era parso così mortalmente pallido e debole che lo staff aveva avuto paura che avrebbe potuto perdere di nuovi i sensi da un momento all'altro. Le guardie del corpo non avevano perso tempo allora e dopo poche parole scambiate con il capo dello staff dei Kim, discorso che Namjoon si era perso perché il suo sguardo non aveva lasciato un attimo il volto di Jin le cui ciglia tremolanti erano l'unico sintomo del fatto che lui fosse di nuovo sveglio, lo avevano caricato di peso in macchina quasi fosse un fagotto.

A Namjoon non era stato permesso di andarsene dalla festa con la motivazione che una sua assenza sommata a quella improvvisa di Seokjin sarebbe parsa allarmante, e avrebbe fatto apparire l'episodio più grave di quello che era. “Potrebbero iniziare a spargersi voci sullo stato di salute dell'erede dei Kim,” gli aveva intimato il capo dello staff e Namjoon non gli aveva ringhiato contro solo perché Hyosang, probabilmente messo al corrente di quanto avvenuto, si era materializzato al suo fianco ed era intervenuto a sistemare la faccenda, una sua mano che pesante si era poggiata sul braccio di Namjoon per trattenerlo mentre con tono calmo parlamentava un ritorno alla villa anche per lui. Fu l'ora più lunga della sua vita, e gli sembrò ridicolo che lui dovesse trovarsi li seduto al tavolo a mantenere le apparenze.

Quando i sessanta minuti furono infine scoccati Namjoon non aveva neppure aspettato che lo staff gli facesse un cenno, ma si era alzato dal tavolo senza salutare nessuno ed era corso in corridoio, al diavolo le buone maniere e i Kim. Non si era accorto che Hyosang lo aveva seguito se non quando aveva sentito nuovamente la sua presenza al suo fianco in corridoio.

Namjoon lo aveva guardato in cagnesco temendo che fosse venuto con l'intento di fermarlo, ma Hyosang invece, imperturbabile a ogni sua occhiataccia, si limitò a indicargli la strada.

“Andiamo verso l'entrata sul retro, ti ho fatto preparare una macchina,” Namjoon, che non aveva idea di dove fosse il retro, si rese conto allora che l'altro era li per aiutarlo e che doveva essergli grato una seconda volta. Osservando il profilo del suo cugino acquisito capì che questi probabilmente era l'unico membro della famiglia Kim che si preoccupava sinceramente per Seokjin. Non si erano scambiati neppure una parola durante il breve tragitto e Namjoon quasi se ne pentiva perché col senno di poi c'erano tante cose che l'altro poteva sapere e Namjoon invece ignorava e che poteva quindi chiedere.

Una volta arrivato in villa aveva appreso che a Seokjin era stato fatto un rapido check up e una volta che era stato stabilito che si era trattato di un semplice calo di pressione, gli era stato ordinato di andare a riposare e così aveva fatto. Le parole dello staff sembravano suggerire che fosse meglio lasciare il giovane erede in pace, ma naturalmente nessuno si sarebbe opposto se Namjoon avesse deciso altrimenti. Non dissero nulla infatti quando lo videro andare via e dirigersi chiaramente verso la camera di Seokjin, ma Namjoon non avrebbe osato disturbare, voleva solo controllare che Jin stesse bene. In qualche modo doveva placare l'inquietudine che aveva dentro e che stava strabordando da ogni parte e fu solo quando i suoi occhi si posarono sulla figura addormentata dell'altro che Namjoon sentì una ondata di sollievo invaderlo mentre contemporaneamente il suo stomaco faceva le capriole per via di un qualche sentimento per comodità Namjoon classificò come nervosismo.

Era scappato in camera sua alla fine, ma non dopo essersi assicurato con le cameriere di essere avvertito quando Seokjin si fosse svegliato. Purtroppo per lui un tale accorgimento si rivelò inutile, perchè Seokjin se ne andò prima che lui avesse fatto in tempo a tornare.

Da allora erano trascorsi parecchi giorni da quando Namjoon lo aveva visto l'ultima volta e il più giovane stava cominciando a temere che le cose sarebbero rimaste così anche se e quando Seokjin fosse tornato.

Rotte, irrisolte, un muro impenetrabile tra loro due.

Namjoon aveva desiderato tante cose e non ne aveva desiderate altrettante, eppure sembrava fosse accaduto esattamente l'opposto di qualsiasi cosa si fosse augurato da ragazzino. Ciò che gli era chiaro però, con una certezza che era quasi bruciante, era che rivoleva Jin, anche se ammetterlo significava accettare che la sua vita complicata sarebbe rimasta tale, anche se non sarebbero mai stati che una coppia di ali spezzate.

Era un sentimento strano quello di desiderare qualcuno e allo stesso tempo non sapere come. Namjoon sospirò. L'irritazione si era un po' dissipata per lasciare il posto a uno strano senso di malinconia, mentre camminava da solo nel patio del campus per giungere in mensa. In quei giorni si era trovato spesso a oscillare tra queste due emozioni e aveva ripreso a prendere le sue pillole per il mal di testa che oramai lo tormentava quasi giornalmente, la sua mente, sempre così laboriosa, era spesso un peso quando non gli riusciva di trovare soluzioni.

Namjoon arrivò infine alla mensa ma non appena vi mise piede, non poté fare a meno di scuotersi di dosso la sensazione di essere osservato. Dal momento che Jin era sparito e lui non aveva amici, Namjoon girava spesso da solo e di conseguenza pranzava anche da solo. Coloro che lo conoscevano perché erano con lui nei suoi stessi corsi o coloro che lo conoscevano per fama (non erano molti ma alcuni sembravano aver intuito fosse lui il numero uno dell'erede dei Kim), non facevano caso a un individuo solitario, tuttavia alcuni studenti di facoltà diverse alla sua, non riuscivano a fare a meno di guardarlo come se fosse una creatura rara perché nessuno, neppure i numeri zero, passeggiava isolato.

C'era qualcosa nella singletudine che metteva le persone, cui il concetto di coppia era stato marchiato a fuoco nella loro mente sin dalla nascita, a disagio, quasi non riuscissero a concepire che qualcuno potesse volontariamente scegliere di muoversi in autonomia. Sicuramente l'aria malinconica che aleggiava su di lui, e che doveva essere visibile da un chilometro di distanza, non aiutava il suo caso, essendo credo comune che un numero due non potesse essere altro che felice e soddisfatto.

In un universo alternativo Namjoon avrebbe riso loro in faccia per la loro imbarazzante cecità ma siccome non era così, non aveva altra scelta che fare finta di nulla e tirare dritto. Camminò rapidamente verso un tavolo appartato, gettando con malagrazia lo zaino su una delle sedie per occupare il posto, anche se dubitava comunque che qualcuno si sarebbe seduto volontariamente vicino a lui, dopodiché si diresse verso il carrello con i vassoi, e procedette verso i banconi con il cibo per farsi riempire il vassoio dalle cuoche quanto più poteva, perché almeno il cibo lo avrebbe tenuto occupato per un po'.

Namjoon non era mai stato una persona particolarmente espansiva e la consapevolezza di essere più giovane rispetto ai compagni di classe gli aveva instillato un senso di timidezza e disagio che non gli avevano reso le interazioni facili. Se non fosse stato per Yoongi che gli aveva fatto scoprire il suo amore per la musica aiutandolo così ad essere più spavaldo, non sarebbe mai uscito dal suo guscio probabilmente.

Mangiò il suo cibo con lentezza cercando di guadagnare tempo, la triste verità era che nonostante avesse sempre pensato di potersela cavare perfettamente da solo, ora persino in momenti banali come il mangiare al tavolo della mensa gli apparivano strani, senza Jin. Il maggiore senza pressioni e senza averci neppure provato troppo insistentemente, aveva finito col ritagliarsi un posto in Namjoon, solo che lui era stato troppo ingenuo per rendersene conto. Era un disastro ambulante, Namjoon si disse, a cosa gli serviva avere un cervello superiore se si lasciava sempre sfuggire simili dettagli?

Fu mentre sbocconcellava una mela con fare annoiato e al contempo si lambiccava penosamente il cervello nel tentativo di trovare una soluzione al problema Jin, che infine l'occasione di scoprire qualcosa di più e di avvicinarsi quindi alla soluzione gli si presentò davanti nella forma di nientemeno di Kim Hyosang. Namjoon quasi rovesciò per terra il vassoio nella fretta di alzarsi e provare a raggiungerlo.

Era sembrato logico a Namjoon che Hyosang fosse probabilmente la persona che più di ogni altri avrebbe potuto dargli un consiglio o comunque fornirgli qualche informazioni in più in qualità di unico Kim approcciabile ma, soprattutto, in qualità di migliore amico di Seokjin, e Namjoon si era pentito più volte di non aver sfruttato la possibilità di interrogarlo già quella sera in cui Seokjin si era sentito male. Purtroppo per lui era stato troppo sconvolto per pensare in modo funzionale allora e per questo motivo non appena vide la silhouette di Hyosang in lontananza nell'atto di mettere sul carrello il suo vassoio vuoto, Namjoon non esitò.

Si liberò del suo vassoio alla velocità della luce e, dopo essersi caricato lo zaino in spalla alla rinfusa, con uno scatto felino che quasi lo fece inciampare camminò velocemente in direzione dell'altro che si stava dirigendo in quel momento verso l'uscita. Probabilmente aveva una lezione diversa dal quella dei suo giro di amici chiassosi di cui era solito circondarsi perché il suo cugino acquisito si stava infatti spostando miracolosamente da solo, risparmiandogli quindi il penoso compito di doverlo dividere dagli altri nel chiedergli di parlare in privato.

“Hyosang!” Namjoon chiamò non appena lo ebbe raggiunto mentre contemporaneamente gli metteva una mano sulla spalla per fermarlo. L'altro, preso alla sprovvista, sussultò leggermente al tocco ma appena realizzò che si trattava di lui, il suo sguardo da sorpreso si fece guardingo, come se si fosse aspettato quell'incontro ma non fosse sicuro fosse una buona idea.

“Namjoon,” Hyosang disse inclinando la testa di lato e Namjoon trovò profondamente snervante quel suo atteggiamento valutativo.

“Possiamo scambiare due parole?” Chiese ma sebbene le sue intenzioni fossero buone, Namjoon si rese conto che le sue parole erano suonate come una richiesta a cui era impossibile dire no più che una vera domanda.

“Certamente,” rispose l'altro con la stessa condiscendenza che un insegnante userebbe verso un allievo difficile. Namjoon dovette trattenersi dal rispondergli male perché un Hyosang disponibile e collaborativo era di vitale importanza, si limitò quindi ad annuire e lo seguì fuori dalla mensa. Come quella notte in cui avevano camminato per un breve tratto insieme, Namjoon qualche passo dietro di lui, se ne stettero in totale silenzio almeno finché non arrivarono in un punto sul sentiero esterno che riconduceva alle aule, che non era affollato.

Fu allora che Hyosang rallentò il passo facendosi che Namjoon si fermasse a sua volta, a qualche spanna di distanza da lui.

“Di cosa volevi parlarmi?” Hyosang chiese con un sorriso cortese che fece accapponare la pelle al più giovane. I Kim, non c'era voluto molto a capirlo, erano strani.

“Sai di cosa voglio parlare,” Namjoon replicò, raddrizzando le spalle. Non aveva intenzione di andarsene senza avere delle risposte appropriate ed era bene che Hyosang la smettesse con pantomima e iniziasse a prenderlo sul serio.

“Non so ancora leggere nel pensiero quindi dovrai essere un po' più eloquente di..”

“Voglio delle risposte. So che sai sicuramente dove si trova Seokjin e scommetto che sai un sacco di altre cose e a dirla tutta ti confesso di essere stufo marcio dei segreti quindi ti conviene dirmi tutto. So che probabilmente, anzi sicuramente, c'ho messo del mio, avrei dovuto infischiarmene dei Kim e fare di testa mia sin dall'inizio ma come potevo prevedere anche metà di tutto questo? Perciò smettiamolo di girarci intorno e...” Hyosang si lasciò sfuggire una mezza sorriso allora, che Namjoon trovò insultante a molti livelli, tuttavia il suo sdegno doveva essere evidente sulla sua faccia perché il suo cugino acquisito parve capire al volo il pericolo che stava correndo e fu svelto quindi a mettergli una mano sulla spalla in modo amichevole, per placarlo. Namjoon non si sentì affatto placato e si irrigidì al suo tocco. Hyosang non mollò la presa però.

“Ti chiedo profondamente scusa, è solo che tanta genuina franchezza è così rara, specialmente se hai vissuto sotto il tetto dei Kim tutta la vita, che non riesco a fare meno di sorridere. Capisco ora perché Seokjin faccia cosi tanta fatica a...”

“A?” Namjoon interloquì sempre più sospettoso. “A resistere. A farne a meno.” Namjoon se possibile si sentì ancora più confuso.

“Sai, quando sei cresciuto in un certo modo alcune cose che dovrebbero essere normali appaiono così rare,” Hyosang concluse scrollando le spalle e togliendo finalmente la mano dalla spalla di Namjoon. Quest'ultimo quindi si concesse un momento per studiare l'altro. Hyosang appariva più disinvolto e meno altezzoso e quando voltava la testa e sorrideva, la parentela con la sua anima gemella appariva lampante. Namjoon sospirò internamente. Le parole di Hyosang gli apparivano strane e nebulose, perché cosa poteva avere lui che Kim Seokjin non avesse? Tuttavia sorvolò sul quel mistero in favore di più pressanti verità.

“Metà di quello che hai appena detto non ha senso per me, io voglio sapere di Seokjin,”

“Cosa vuoi sapere?” incalzò l'altro e Namjoon capì in quel momento che Hyosang lo stavo mettendo alla prova di proposito, voleva sentirglielo dire. Qualsiasi legame ci fosse tra i due cugini risultava evidente che si erano abituati a coprirsi le spalle l'uno con l'altro.

“Come sta tanto per iniziare? Dov'è e perché non vuole parlare con me? Cosa c'è dietro?” Chiese infine lasciando da parte ogni remora. Se l'essere diretti era quello che avrebbe pagato, anche a costo di inghiottire il suo imbarazzo, Namjoon lo avrebbe fatto.

“Posso dirti riguardo al dove, come probabilmente sospettavi già, Seokjin è da me, anche se credo non ci rimarrà a lungo, gli voglio bene ma è un po' troppo cresciuto per darsi al melodramma. Per quanto riguarda il parlare con te immagino lo farà presto, Jinnie non affronta argomenti spinosi solo per paura di ferire gli altri, ma non si negherà a un confronto, non quando è evidente che il silenzio è una peggiore alternativa. Quanto a quello che c'è dietro.... questa è una domanda complessa e neanche io so tutta la verità.”

“Ma sapevi della mia età,” Namjoon buttò là e dallo sguardo di Hyosang capì che aveva fatto centro.

“Si, lo sapevo me ne aveva parlato mio padre ma non pensavo che mio zio avrebbe provato a tenerlo nascosto a Seokjin, ma i Kim sembra che abbiano un talento nel fare la scelta sbagliata quando si tratta della loro famiglia,” Hyosang disse per poi lasciarsi sfuggire un grosso sospiro che allertò Namjoon. Era la prima volta che l'altro tradiva un po' di tensione. “In realtà credo che tutto questo caos sia anche colpa mia, sono stato io ad aver svelato il tuo segreto anche se indirettamente. Il resto è stato tutto consequenziale.”

Namjoon cercò di digerire le parole dette da Hyosang chiedendosi con orrore sin da quanto Seokjin era stato a conoscenza del suo segreto. Non voleva chiederlo a Hyosang però, per quanto l'attesa sarebbe stata penosa, voleva chiederlo a Seokjin prima o poi, se ne aveva la possibilità.

“Io vorrei solo parlargli, ” Namjoon ammise con semplicità, infilandosi le mani in tasca improvvisamente timido. Non sapeva perché lo stava dicendo, perché non era come se Hyosang potesse risolvere per lui il problema, ma per quanto questa persona fosse strana e diversa da lui, sentiva di potersi fidare, se non altro perché amava Seokjin e quest'ultimo lo amava a sua volta.

“Lo so.” Hyosang rispose non in modo non gentile. “Posso capire che non sia facile Namjoon, perché non ci dicono questa è la tua anima gemella, ci dicono solo siamo i Kim, e prima che ce ne rendiamo conto ci hanno scaricato una valanga di aspettative e per te è peggio per via della tua età e del fatto che Jin è l'erede. I Kim sono riusciti nell'intento di sopraffare, e rovinare, il concetto di numero due, dovrebbero essere fieri di loro stessi, immagino.” Hyosang concluse con un sorriso amaro.

Namjoon avvertì allora lo stesso brivido che ogni tanto sentiva quando Seokjin faceva dei commenti sulla sua infanzia o parlava delle sue sensazioni, parole sfuggite casualmente dalla sua bocca e piccole rare finestre sul suo cuore, ma c'era lo stesso profondo senso di solitudine che emanava il tono di Hyosang, che faceva male Namjoon il solo immaginarselo.

“Devi capire che Seokjin tutta la vita ha aspettato quasi con ingenuità infantile di incontrare la sua anima gemella e di essere felice. Ma poi ha incontrato te.”

“La cosa peggiore che potesse capitargli,” Namjoon commentò non senza una certa amarezza.

“Non peggiore, solo diversa. Tu sei diverso Namjoon,” Hyosang disse sorridendo ma poi il suo sorriso svani e il suo viso si trasformò in una espressione seria. Guardò Namjoon dritto negli occhi come a volersi assicurare che lui non si perdesse neanche una parola.

“Se davvero ci tieni a Seokjin, non mentire più. Quali che siano le circostanze, lui è la tua anima gemella. Forse siamo numeri due solo per istituzione Namjoon, ma mi piace pensare che il vero significato di venir appaiati è il poter contare su qualcun altro. ”

“Non lo farò,” promise Namjoon.

Non sapeva chi avesse ragione, se Hyosang con la sua temperata positività o Yoongi col fatalismo della sua realtà, ma forse - a dirla tutta - non importava.

Forse alla fine non era una questione di avere ragione o di corrispondere agli standard perché se ci pensava bene loro non li avevano rispettati sin dall'inizio. Forse era solo una questione tra due persone, tra lui e Jin.


 


 


 

Namjoon aveva molto su cui riflettere al suo ritorno alla villa Kim che ancora non gli riusciva di chiamare casa. La residenza era sempre spaventosamente vuota visto che Seokjin ancora non era tornato, ma sapere dov'era lo faceva sentire meglio e le parole di Hyosang per quanto avessero causato più domande che risposte, erano state stranamente confortanti.

Sin dall'inizio aveva decisamente affrontato la cosa in modo sbagliato, si era barricato dietro un muro di silenzio per paura di affrontare la stranezza delle loro circostanze, e invece di rendere le cose sopportabili avevano finito col costruire un muro che aveva fatto loro più male che bene. Non importava che cosa avessero intimato i Kim, Namjoon aveva mancato di coraggio, tuttavia se c'era qualcosa che lui sapeva fare bene era imparare in fretta e non avrebbe commesso lo stesso errore una seconda volta. Lo doveva a se stesso ma soprattutto a Jin, che era stato al gioco pur di non mettergli pressione.

L'amore ti fa fare cose strane, Yoongi gli aveva detto e se erano state parole vere per Yoongi lo erano anche per Seokjin. Namjoon sentì caldo salirgli alle guance come ogni volta che ricordava le parole di Jin. Non aveva risolto quella parte dell'equazione e sapeva che non poteva evitare ancora lungo di guardare dentro quella parte di se stesso che aveva sentimenti per Jin.

Hyosang gli aveva chiesto di non mentire più e Namjoon in qualche modo sentiva che si riferiva anche a questa parte, ma sebbene fosse pronto a essere più sincero col maggiore riguardo al resto non sapeva se sarebbe stato in grado di esserlo anche per quanto riguardava questo.

“Namjoon,”era stato così sovrappensiero che non si era nemmeno accorto che qualcuno era entrato nella biblioteca. Questo posto infatti era diventato una delle stanze della villa preferite di Namjoon. Era rifornita di numerosi libri dei più svariati generi letterari e non, e sebbene avesse usufruito spesso di quello spazio per studiare il materiale che la signorina Choi gli dava, la biblioteca era così ben fornita da permettergli di non usare quella dell'università perché poteva trovare quello che gli serviva per i suoi studi anche lì.

Tuttavia quando, alzando la testa dal libro, si accorse chi esattamente lo avesse chiamato, Namjoon si sentì violato della privacy del suo piccolo santuario. Ma, in effetti, era stato proprio il signor Kim a introdurlo in quel particolare spazio.

“Vedo che ti sei ambientato bene,” il signor Kim commentò rimanendo tuttavia sull'uscio e Namjoon sperò che questo fosse un indicativo del fatto che non sarebbe rimasto a lungo. Seppure avesse constato che col tempo i suoi sentimenti verso Seokjin si erano mitigati e di molto, non poteva dire lo stesso per quanto riguardava la sua famiglia.

“Mi piace questo posto,” Namjoon ammise in mancanza di qualcosa di più intellegibile da dire. Che cosa diamine voleva il signor Kim da lui?

Il signor Kim annuì con quel suo modo noncurante di fare ogni qual volta non era lui a parlare e che faceva sentire il suo interlocutore come un perfetto idiota. Namjoon si chiese se fosse qualcosa di studiato oppure se si trattasse di autentico talento naturale. “Stavo cercando Seokjin in realtà, ma già che sei qui posso chiederlo direttamente a te,” il signor Kim disse giovale e Namjoon dovette trattenersi dal deriderlo apertamente. Essere anime gemelle non voleva certo dire che Namjoon possedesse un radar che gli diceva dove si trovava l'altro sempre e comunque, ma oltretutto come aveva fatto il signor Kim a non accorgersi che era da giorni che suo figlio non metteva piede nella villa?

“Seokjin non è qui, è da Hyosang,” Namjoon rispose serio non cercando neppure di nascondere il suo disappunto.

Ma il signor Kim sorrise bonario come se la cosa non lo toccasse. Namjoon si chiese se ci fosse qualcosa in grado di far vacillare quell'uomo anche solo un po'. Si disse che se un giorno avesse avuto il piacere di assistere a tale scena si sarebbe potuto ritenere soddisfatto.

“Ah già, ogni tanto Seokjin lo fa,” ripose lui come se quello di Seokjin fosse un capriccio futile che lui però nella sua grande magnanimità permetteva. “Grazie, vorrà dire che parlerò con lui in un altro momento,” concluse con semplicità lasciando Namjoon senza parole, non riuscendo a raccapacitarsi del fatto che il signor Kim non si sentisse neanche un minimo turbato dalla cosa. Era vero che se suo figlio fosse stato davvero in pericolo lui ne sarebbe stato informato, dopotutto non pagava tutto quel numeroso staff per la sicurezza per niente, tuttavia la sua noncuranza era tale che Namjoon si sentì oltraggiato al posto di Seokjin.

Non poteva lasciarlo andare così, voleva vedere se riusciva a rovinare il suo umore, era snervante saperlo l'unico soddisfatto tra quelle mura.

“Un momento signor Kim, volevo chiederle una cosa. Lo avrei chiesto alla signorina Kim ma visto che lei è qui, immagino non ci sia persona più al corrente sull'argomento,” Namjoon ripetendo le sue parole.

“Ma certo,” il signor Kim rispose con un sorriso affabile, quasi paternale.

“Ho difficoltà a trovare del materiale di riferimento, persino in questa biblioteca che è quasi meglio fornita di quella universitaria, non c'è niente che ne parli. Sono confuso infatti sul termine parametro dell'algoritmo. Mi chiedevo se lei potesse illuminarmi a riguardo.”

Il sorriso del signor Kim si fece, se possibile, più ampio. “Ottima domanda Namjoon,” disse come se Namjoon fosse un allievo che aveva appena risposto a una domanda particolarmente difficile. Namjoon si morse l'interno della guancia per trattenersi ma sapeva non doveva star facendo un ottimo lavoro nel tenere a bada le sue espressioni facciali.

“C'è un motivo per cui il parametro dell'algoritmo non è approfondito in nessun documento in libera circolazione, e la ragione è che si tratta di un segreto di stato e in quanto tale, secretato. Persino parlarne tra queste mura non sarebbe prudente, pertanto mi dispiace non poterti dire di più al riguardo,” disse il signor Kim anche se a Namjoon non appariva affatto dispiaciuto. “ A tempo debito e solo dopo quando avrai imparato di più sull'istituzione consolare,” concluse infine e la sua sembrò terribilmente una minaccia più che una promessa. Namjoon non sapendo bene cosa dire si limitò ad annuire lasciando che il signor Kim uscisse dalla stanza ancora con quel suo irritante sorriso sul suo volto.

Doveva pur esistere qualche fonte sfuggita al controllo governativo che potesse fornirgli qualche lume riguardo l'argomento, segreto di stato o meno, e se così era Namjoon avrebbe fatto di tutto per trovarla. Si chiese distrattamente se Seokjin fosse al corrente di tale segreto e se era lecito per lui chiedere al maggiore. Poi si disse che di tutte le cose che doveva chiedere a Seokjin l'algoritmo fosse dopotutto il problema meno pressante e che prima doveva riuscire ad aggiustare la loro relazione. Aveva posto quella domanda solo nel tentativo di mettere in difficoltà il padre di Seokjin ma era servito solo a dargli un altro pensiero su cui riflettere.

Namjoon si massaggiò le tempie indolenzite, la vista improvvisamente sfocata. Con un sospiro si alzò dalla scrivania per andare in cucina a prendersi un bicchiere d'acqua con cui bere il suo antidolorifico.


 


 


 


 

Namjoon si era concentrato tanto in quei giorni per trovare un modo per approcciare Seokjin una volta che fosse tornato alla villa ed ogni volta che ci pensava, avvertiva uno sfarfallio allo stomaco e al tempo stesso aveva la terribile sensazione che avrebbe fallito clamorosamente nonostante i suoi sforzo proprio quando più desiderava non farlo.

Avrebbe dovuto immaginarlo che non ne avrebbe avuto bisogno, che Seokjin potendo avrebbe fatto il passo anche per lui.

Il giorno dopo al suo spiacevole incontro con il signor Kim, Namjoon aveva deciso di non gironzolare per la villa e aveva optato per rimanere in camera sua. Aveva preso con se il libro statistica e si era seduto sul letto a gambe incrociate perché a Namjoon piaceva scrivere su una scrivania ma si trovava meglio a studiare nei posti e posizioni più improbabili. Tuttavia si era ben presto distratto, non perché fosse difficile ma perché non ci trovava nulla di stimolante, e aveva quindi finito con lo scribacchiare sui margini con la matita invece di sottolineare i concetti più importanti, come invece avrebbe dovuto fare.

Gli sembrò di vedere un'ombra con la coda dell'occhio ma non aveva pensato che sollevando lo sguardo avrebbe incrociato quello di Jin. Naturalmente Seokjin era sempre lo stesso, aveva gli stessi occhi di un castano caldo, le stesse labbra carnose che si erano stiracchiate in un sorriso appena accennato, dio se Namjoon chiudeva gli occhi poteva ricordarne benissimo la loro consistenza, nulla era cambiato riguardo il suo aspetto, capì allora che forse non era Seokjin quello diverso ma era lui, e la cosa gettava luce su quegli angoli oscuri della sua mente che ancora non aveva avuto il coraggio di esplorare.

"Seokjin!" Esclamò Namjoon allora, cercando di non arrossire non appena lo vide lì fermo sulla soglia, ma poi ricordandosi la sua promessa a Hyosang e a se stesso di abbandonare ogni tipo di finzione, aggiunse in fretta un, "hyung." Suonava così estraneo alle sue orecchie, ma Namjoon si costrinse a dirlo sebbene sottolineasse l'immensa bugia che avevano continuato a dirsi fino a poco tempo fa, tuttavia se avevano intenzione di fare le cose nel modo giusto dovevano iniziare a chiamare le cose con il loro nome.

Seokjin fece un movimento impercettibile con la testa ma a parte questo non diede segno di disagio alcuno al sentire la parola.

Namjoon lo vide avvicinarsi lentamente a lui come se volesse dargli il tempo di protestare se voleva, fino a quando infine si sedette sull'altro lato del suo letto. Namjoon si disse che avrebbe fatto del suo meglio per sistemare il tutto. Se avesse avuto più coraggio si sarebbe avvicinato al maggiore e lo avrebbe preso per mano, ma Namjoon ancora non sapeva cosa voleva, sapeva solo che rivoleva Jin e perciò rimase dov'era, farfalle nello stomaco mentre cercava di ricordare tutti i discorsi che si era preparato e trovando invece la sua testa spaventosamente sgombra.

"Eri occupato? Ti disturbo?" Seokjin gli chiese rompendo il ghiaccio.

"Affatto. Come ti senti hyung? Meglio?" Chiese Namjoon, agitandosi leggermente sul posto.

"Sto bene," Seokjin rispose con un sorriso che però appariva leggermente teso. Namjoon ebbe l'impulso di toccargli il braccio nel tentativo di rassicurarlo, tuttavia il maggiore quasi intuendo le sue intenzioni si irrigidì e Namjoon ritirò la mano che si era sollevata dal suo libro.

Namjoon sentì le farfalle trasformarsi in un nodo allo stomaco ma decise che avrebbe rispettato qualsiasi cosa Jin volesse per loro fino in fondo perchè era lui quello che era venuto meno, e in tanti modi.

"Mi dispiace,” sentì se stesso dire, labbra che si muovevano per conto suo e che gli venivano in soccorso proprio quando credeva che non sarebbe riuscito a dire quello voleva dire. “Sono così dispiaciuto. Vorrei non aver detto quelle parole, hyung. Veramente. Sono venute fuori in malo modo, sono sempre stato un tale disastro nell'esprimermi con le parole il che è ridicolo considerando che aveva sognato di scrivere testi di canzoni. Mi dispiace, sto blaterando. Volevo solo scusarmi con te, io... "avrebbe voluto dire più e tutto ciò non era abbastanza per coprire in modo lontanamente soddisfacente quello che lui sentiva per Jin ma la voce gli morì e Namjoon si trovò ad annaspare.

"Non c'è bisogno di essere dispiaciuto Joonie. Non per come ti senti,” Seokjin disse nel suo tono più gentile che ruppe qualcosa dentro Namjoon perché non si meritava sempre tanta gentilezza, eppure ancora una volta era lui a ricevere dall'altro senza essere in grado di dare nulla. "Dispiace anche a me, comunque. Per averti evitato,” Seokjin continuò distogliendo lo sguardo per la vergogna.

"Ho immaginato che fosse così e ho capito anche che era per colpa mia. Non sai quanto mi dispiace," Namjoon tentò di nuovo ma il maggiore posò un dito sulle sue labbra per zittirlo, sopracciglia corrugate in leggero disappunto. Era un gesto intimo, guidato dall'impulso e Namjoon lo guardò sorpreso tanto quanto Seokjin del resto, ma era servito allo scopo a quanto pareva perchè Namjoon non era riuscito a dire un'altra parola. Non scusarti, Seokjin sembrava dire mentre la sua fronte si distendeva. Namjoon si dispiacque del fatto che il maggiore ritirò la mano quasi subito.

"Potremmo discutere le nostre circostanze all'infinito. Non è questo quello voglio, io voglio solo che cerchiamo di non nasconderci più le cose, non importa quanto terribili pensiamo che siano. Forse questa casa è lungi dal poter essere considerata un paradiso, ma potremmo avere almeno un rapporto sano ed essere onesti l'uno con l'altro.”

Sentì uno strano calore liberarsi per tutto il corpo quando infine tutta la tensione che andava accumulandosi da settimane, no da mesi, infine si sciolse. Poche parole, erano bastate poche semplice e oneste parole da parte di Seokjin per farlo sentire meglio.

"Ok," Namjoon riuscì a dire dopo un po'. “Essere onesti l'uno con l'altro. Mi piace l'idea," e nel dirlo cercò di metterci tutta la sua sincerità.

"Questo significa che non potrai fare a meno di continuare a chiamarmi hyung d'ora in avanti,” disse Seokjin, e Namjoon che si era aspettato che dicesse questo in modo perentorio fu piacevolmente sorpreso nel vedere il maggiore sorridere, quasi malizioso. Era contagioso, il sorriso di Seokjin, la sua positività era come una ventata di piacevole aria calda.

"Per me va bene, hyung." Namjoon rispose, sorridendo a sua volta, incontrando per ennesima volta lo sguardo di Jin. Fu come quella volta all'introduzione in cui Namjoon sebbene impaurito, sebbene contrariato, nel momento in cui lui e Seokjin si erano incontrati, l'uno di fronte all'altro per la prima volta, era stato come se Namjoon venisse trasportato altrove.

Ho un peso sul cuore. E' il tuo...

"Perfetto!" Seokjin esclamò allora, entusiasta, interrompendo la piccola bolla di ritrovata quiete tra loro due e il treno di pensieri torbidi del più giovane. Namjoon sbatté le palpebre come risvegliandosi da un sogno."Così siccome abbiamo inaugurato l'era dell'onestà,” proseguì Seokjin, “racconta a questo hyung dei tuoi testi e di cosa ti piacerebbe fare con essi."

Namjoon si sentì preso alla sprovvista, ma Seokjin sembrava fare sul serio e forse non era nel suo stile non vivisezionare ogni singolo dettaglio di ogni cosa, ma, in fondo, non dovevano dirsi tutto in una volta e subito, forse potevano farlo con gentilezza, prendendosi il giusto tempo per conoscersi, da capo.

Come se fosse di nuovo la prima volta.

"So quello che fai su quei margini Namjoon, me l'hai detto tu stesso. E pensare che tu sei quello con la super memoria e il super cervello,” Seokjin lo prese in giro e Namjoon cercò di rilassarsi. Era strano essere se stesso di fronte a Jin ma voleva provare perché era importante.

“Posso essere goffo anche io, sai. Ma pensi che sia davvero una buona idea parlare di questo?" Namjoon chiese tra il serio e il faceto. La musica era stato l'unico dei segreti che aveva svelato a Jin. Chissà, magari potevano iniziare da lì.

Seokjin si avvicinò allora, gli appoggiò la mano sul suo ginocchio e Namjoon capì che desiderava tutta la sua attenzione.

"Ci è permesso parlare di questo. Credo sia nostro diritto. Poter condividere le nostre speranze e i nostri sogni, questo non ce lo può togliere nessuno," Seokjin disse serio, guardandolo dritto negli occhi e Namjoon seppe che stava dicendo la verità, che Jin intendeva ogni parola e il più giovane sentì qualcosa, sentì qualcosa a cui non riusciva a dare un nome ma ce l'aveva sulla punta della lingua. Poteva aspettare però, prima veniva Jin.

"Prometto che se mi dici una cosa io ricambierò con un mio segreto, sempre.” Seokjin incalzò e il suo sforzo era così evidente che Namjoon doveva ricambiarlo.

"Fatta!" Namjoon rispose provando una eccitazione improvvisa, come non gli era mai capitato sotto quel tetto.

"Hyung tu ascolti hip hop?" Chiese allora Namjoon.

E' il tuo amore.


 


 


 


NdA: ci sono tante cose che potrei dire ma in realtà sono troppo contenta di essere riuscita ad aggiornare ;-; un po' di respiro, namjin avrà un po' di respiro perchè se lo meritano. Godiamocelo finchè dura :3 un grazie di cuore ai lettori e recensori <3
ps: ho scritto una jikook oneshot. Se avete tempo e voglia dateci un'occhiata!


 


 


 

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Capitolo 9
*** 2.8 ***


2.8


 


 

Quella mattina Namjoon si svegliò accaldato e con un fastidioso prurito al naso, ma stranamente anche ben riposato. Sentendosi ancora un po' stordito, sbatté le palpebre per allontanare i rimasugli di sonno mentre allungava pigramente la mano verso il suo telefono sulla scrivania di modo da spegnere la sveglia prima che suonasse. Nel fare quel gesto però, si rese conto che le coperte non si allungavano con lui ma lo trascinavano all'indietro, come se ci fosse qualcosa a trattenerle.

Anche nel suo stato letargico, Namjoon rimase impassibile, quasi troppo calmo quando, voltandosi per capire cosa stesse succedendo, i suoi occhi si posarono sulla figura addormentata di Seokjin.

Le coperte erano avvolte intorno al maggiore come un bozzolo, lasciando visibile solo metà della sua faccia eppure, anche con i capelli che arruffati sparavano in ogni direzione, riusciva ugualmente a colpire Namjoon, i lineamenti del viso così meravigliosamente rilassati nella sua maschera di sonno. In modo particolare ciò che lo colpiva di più era quanto il fatto che la sua anima gemella fosse sdraiata di fianco a lui lo facesse sentire a posto.

Namjoon strizzò gli occhi, in attesa di essere colpito da una sensazione di disagio che, tuttavia, non arrivò mai. Non era sicuro se quel momento potesse essere incluso nella sua cartella personale che raccoglieva i momenti felici ma una parte di lui, non sapeva quanto grande ma era innegabilmente lì, era soddisfatta. Sapeva anche che stava iniziando a venire a patti con questa verità. Era difficile non farlo non quando, in quelle lunghe settimane che si erano trasformate in mesi, il suo rapporto con Seokjin era cambiato così drasticamente.

"Nessun segreto", questa era stata la parola chiave della promessa che si erano fatti l'un l'altro la notte in cui avevano finalmente chiarito un lungo periodo di bugie e incomprensioni, ed era felice di dire che erano rimasti fedeli alle loro parole.

Non era come se fino a quel momento non avesse saputo che Seokjin era gentile, perché il maggiore non era stato altro che quello con lui, ma senza le barriere che entrambi avevano costruito intorno a loro, specialmente Namjoon, il più giovane si era reso conto di quanto fosse facile parlare con Seokjin, che si trattasse di un argomento serio o di uno scherzo sciocco. Seokjin aveva, in effetti, uno strano senso dell'umorismo e una risata, della quale si era guardato bene da rivelare a Namjoon, talmente ridicola che non mancava mai di far ridere quest'ultimo. Sentire quindi la risata di Seokjin aveva confermato il superamento dell'iniziale fase di pudore e timidezza, ma, cosa più importante, vederlo così rilassato, così se stesso e così poco simile a un Kim, faceva provare a Namjoon un senso di calore mai provato prima.

Era vero che non si erano avventurati in argomenti sensibili, Seokjin era ancora un po' riservato quando si trattava dei suoi sentimenti legati alla sua infanzia, ma Namjoon sentiva che era un argomento che non gli piaceva menzionare in generale e non perché si trattava di Namjoon. Da parte sua, il più giovane si era ritrovato ad essere più aperto riguardo ai suoi sentimenti. Dopotutto, si era sempre dimostrato un chiacchierone una volta che si sentiva abbastanza a suo agio da interagire con qualcuno, al punto che Yoongi si lamentava sempre dei suoi discorsi sulla vita e sulla ingiusta premeditazione della realtà e "per l'amor del cielo Namjoon taci". Pertanto, ora che le barriere tra di loro erano diminuite, si sentiva abbastanza a suo agio da esprimere persino questa parte della sua personalità a Seokjin.

In parole più semplici e senza inutili aggettivi ridondanti, stavano legando. La connessione che aveva sempre sentito tra loro da quando si erano incontrati per la prima volta, si stava rafforzando giorno dopo giorno. Namjoon sapeva che non era solo una questione di anime gemelle perché questo non gli aveva impedito di essere dubbioso all'inizio, quindi l'unica risposta logica era che stava davvero cominciando ad apprezzare Seokjin, che probabilmente lo aveva sempre fatto, l'unica differenza era che ora, finalmente, si stava permettendo di farlo.

Namjoon si passò una mano sul viso mentre lanciava un'altra occhiata verso la figura addormentata di Seokjin. Avevano bisogno di alzarsi e prepararsi il prima possibile o rischiavano di arrivare in ritardo al college. Allungò la mano, affondando un dito sul fianco coperto di Seokjin, ma quando il gesto si rivelò inefficace, posò delicatamente la mano sulla sua spalla e lo scosse con più forza. Per tutto il tempo, dovette inghiottire l'insana voglia di appoggiare la sua mano sulla guancia dell'altro e accarezzargli leggermente lo zigomo nel tentativo di svegliarlo. Era un'immagine dolce, una che non sapeva se fosse legittimato a mettere in atto.

"Seokjin, svegliati," chiamò, alzando un po' la voce. Chiamare il suo nome fu la mossa giusta perché sentì il respiro del maggiore farsi più rumoroso mentre le sue sopracciglia si corrugavano leggermente prima che un paio di occhi castano scuro incontrassero i suoi. Per un paio di secondi, il maggiore sembrò non solo stordito ma anche un po' sorpreso, come se non capisse perché Namjoon fosse lì, a pochi centimetri da lui. Sebbene ultimamente uno dei due finisse spesso per addormentarsi sul letto dell'altro, così presi nelle loro conversazioni da non rendersi conto del ticchettio dell'orologio e quindi facile preda del sonno, sembrava che Seokjin non fosse riuscito ancora ad abituarsi a questo fatto.

La sua espressione confusa era vagamente tenera ma causava anche un moto di senso di colpa in Namjoon. Da quella sera in cui Seokjin aveva perso conoscenza, Namjoon era diventato dolorosamente consapevole di come il suo comportamento avesse ferito il maggiore più di quanto avesse mai voluto e Seokjin, sia il precedente Seokjin che questo Seokjin che lui aveva scoperto e che gli piaceva molto, non se lo meritava.

Namjoon strinse il braccio del maggiore mentre la sua mano scivolava affettuosamente, ma brevemente, lungo il fianco di Seokjin, senza poterlo evitare.

Voleva essere gentile con Seokjin, ne aveva bisogno.

"Dobbiamo essere pronti in meno di un'ora, puoi fare la doccia qui dopo che ho finito e dormire un po' di più ma so che ti piace prenderti il tuo tempo ed è per questo ..." Namjoon si interruppe gesticolando con le mani come se potesse aiutarlo a esprimersi meglio. Seokjin sembrava ancora un po' stordito, ma lui gli sorrise comunque, come se Namjoon non fosse solo eloquente, ma anche particolarmente tenero.

"Sì hai ragione, mi piace prendermi il mio tempo," disse quasi raggiante nonostante fosse evidentemente ancora mezzo addormentato.

Emerse completamente dal suo bozzolo allora, sventolando le braccia in aria e scroccandosi le ossa mentre Namjoon ne approfittava per iniziare a muoversi, prendendo i suoi vestiti dall'armadio e dagli articoli da toeletta. Sentì più che vedere Jin scostare le coperte e sedersi sul materasso.

Ebbe il coraggio di lanciare un'ultima occhiata alle sue spalle prima di entrare nel suo bagno privato. Fu una rapida occhiata, ma abbastanza da permettergli di scorgere la pelle di Seokjin, che si intravedeva dalla maglietta che si era allentata, e dall'avere un'immagine di ciocche spettinate che gli coprivano la sua fronte facendolo sembrare più attraente che mai.

Namjoon entrò nel bagno il più velocemente possibile, sentendo il suo stomaco fare delle capriole una volta che la porta fu chiusa alle sue spalle. Alla fine, col passare del tempo, sarebbero stati loro la prossima coppia consolare di Kim. Avrebbero avuto una casa e un posto da chiamare come loro e quello che era appena successo poteva trasformarsi in un rituale mattutino, che si sarebbe ripetuto per tutti gli innumerevoli giorni che avrebbero trascorso insieme. Mentre quell'immagine gli si incideva nella sua testa, loro più vecchi ma anche più vicini, Namjoon non riuscì a trovarla spiacevole.

Si strinse gli abiti al petto mentre spingeva quell'ennesima realizzazione in fondo alla sua mente e cercava di riprendere le sue attività. Lasciò i suoi vestiti sul coperchio chiuso del gabinetto e cercò di non far cadere gli articoli da toeletta mentre li posava vicino al lavandino, prima di guardarsi allo specchio.

Era cambiato? Il suo riflesso allo specchio era lo stesso di alcuni mesi fa, ma Namjoon riusciva a vedere un cambiamento nei suoi occhi, c'era la traccia di qualcosa di diverso. Se confrontava se stesso con la persona che era stata più di un anno fa, sapeva che la persona che lo guardava ora dallo specchio era un'altra. Si insaponò le mani e si massaggiò le guance con la schiuma, stringendo forte gli occhi per avere una scusa e non dover quindi guardarsi perché avrebbe solo innescato altre congetture selvagge nella sua testa.

"Suo figlio ha un quoziente intellettivo alto, signora. Per non perdere se stesso e per tenere sotto controllo il suo comportamento, ha bisogno di impiegare il suo cervello in attività impegnative e utili o finirà per essere infelice,” il medico aveva detto a sua madre quando la diagnosi errata di avere un disturbo dell'attenzione aveva lasciato il posto a quella scoperta. Sua madre aveva preso sul serio il consiglio del medico e aveva sempre cercato di incoraggiare il figlio a intraprendere ogni tipo di attività. Ma sfortunatamente per loro, Namjoon era anche un ragazzino maldestro e nonostante avesse mostrato un grande interesse per la musica, si era anche dimostrato incapace di tenere uno strumento in mano senza rovinarlo o ferirsi. E così per anni, l'unico sbocco per Namjoon erano stati i libri, i cruciverba e gli scacchi, fino a quando non si era imbattuto in Yoongi e aveva rincontrato il suo vecchio amore, la musica, al contempo rendendosi conto che c'erano altri modi di fare musica che non includevano il ferirsi fisicamente o rompere cose.

Aprì il rubinetto e si schizzò dell'acqua fredda in faccia per eliminare la schiuma.

"Ci è ancora permesso parlare dei sogni, Namjoon", aveva detto Seokjin e Namjoon a volte si chiedeva se il maggiore avesse la più pallida idea di quanto quelle parole fossero state importanti per lui. Come, aprendo quella porta, fosse riuscito a far respirare Namjoon di nuovo perché non doveva più sopportare quel peso da solo ma aveva qualcuno, che non era Yoongi che al momento era indisponibile, con cui condividerlo.

Si asciugò la faccia e si lavò i denti mentre il pensiero di un 'passo successivo' si faceva strada nella sua mente e gli faceva valutare le conseguenze di un eventuale coinvolgimento di Seokjin in quello che considerava la parte più importante della sua vita.

Mentre si intratteneva con i suoi pensieri, cercando di decidere se fosse una buona idea o meno, si liberò del suo pigiama e procedette a lavarsi. Dopo una doccia soddisfacente, indossò degli abiti puliti e si pettinò, controllandosi un'ultima volta nello specchio prima di uscire dal bagno. Ovviamente, trovò la stanza vuota, l'aveva previsto, ma si rese conto di aver sperato che Seokjin rimanesse. Namjoon scosse la testa per liberarsi di quell'assurdo pensiero e uscì dalla sua stanza. Non era come se non avrebbe più rivisto Seokjin e infatti, quando entrò nella sala da pranzo, il maggiore era lì con un sorriso sulle labbra, tutto pulito e con un maglione di cotone che lo faceva sembrare piacevolmente domestico, in attesa che lui si unisse a colazione.

Indubbiamente, c'era una cosa buona che era venuta fuori dall'assenza perpetua dei genitori di Seokjin, ed era quel tipo di momenti, i momenti i cui erano solo loro due e in cui potevano essere pienamente rilassanti, senza doversi preoccupare dei dintorni e l'eventuale, inevitabile giudizio. Quando i genitori di Seokjin non erano in giro, Namjoon poteva dimenticare il fatto che erano i Kim, ma solo Seokjin e Namjoon, due giovani numeri due che si stavano conoscendo.

Fecero colazione con calma, Seokjin gli chiese delle sue lezioni, mentre Namjoon rispondeva con poco o nessun entusiasmo. Era una benedizione non dover nascondere il suo disgusto per il corso di economia imposto.

"Farò le tue Statistiche se farai Diritto Penale per me?" Suggerì Seokjin, facendogli l'occhiolino e Namjoon dovette astenersi dallo sbuffare facendo ridacchiare il maggiore. Era bello scherzare così, anche quando era triste rendersi conto di quanto entrambi odiassero le loro rispettive scelte universitarie. Dopotutto dicevano mal comune, mezzo gaudio.

Si separarono solo quando fu il momento di partire per le loro rispettive lezioni: non si separarono quando Namjoon tornò nella sua stanza per raccogliere i suoi libri, Seokjin lo seguì anche allora, e, naturalmente, neppure durante il viaggio in macchina, così coinvolti nella conversazione che non si resero nemmeno conto che erano seduti così vicini che le loro cosce erano a contatto.

"Ci vediamo dopo, Joon," disse Seokjin agitando la mano una volta che furono scesi dalla macchina. Namjoon annuì, rimanendo impalato all'ingresso a fissare la schiena di Seokjin per diversi secondi, prima di disincantarsi. Un po' imbarazzato dal suo gesto, si aggiustò la tracolla sulla spalla prima di dirigersi finalmente verso il dipartimento di Economia.

Non aveva amici in classe, e non era nemmeno a causa della sua età, dal momento che il suo viso maturo lo aiutava a mascherarla. Era il fastidio che provava nei confronti di una materia che lo annoiavano profondamente la causa del suo onnipresente cipiglio che, da quello che erano soliti dire Yoongi e gli altri artisti al pub, lo faceva sembrare insolitamente inavvicinabile. Era qualcosa di strano per lui, considerando la sua solita personalità calma e amichevole. In quel posto invece si sentiva fuori luogo come quando si trovava ad una di quelle feste della famiglia Kim.

Entrò nell'aula e si sedette al suo solito posto in fondo senza che nessuno lo degnasse di uno sguardo, la sua espressione ombrosa che si scontrava con i sorrisi sognanti stampati sui volti degli altri. Il suo dipartimento sapeva che lui era l'anima gemella del nuovo erede e quella era l'unica ragione per cui non era stato ostracizzato per essere un numero zero, anche se sapeva che se i Kim avessero scoperto che tipo di comportamento lui teneva in classe, probabilmente gli avrebbero fatto una lavata di capo.

Non poteva farne a meno, non voleva essere costretto a fingersi un'altra persona anche li, era abbastanza essere costretto a occuparsi di qualcosa per cui non provava il minimo interesse.

Quattro ore dopo, quando la sua seconda lezione del giorno finì, Namjoon corse fuori dalla classe per prendere un po' di meritata aria e fu allora che si trovò davanti Seokjin con la schiena appoggiata al muro di fronte all'aula che sembrava aspettarlo li da un po'. Quella era un'altra delle loro nuove abitudini, qualcosa che Seokjin non aveva fatto durante i primi mesi della loro convivenza, ma aveva iniziato a fare da quando avevano incominciato a parlarsi di più. All'inizio, sporadicamente poi, man mano che la loro relazione migliorava, più spesso, al punto che Namjoon al giorno d'oggi non vedeva l'ora di vedere la testa di Seokjin sbucare dalla folla.

Per fortuna, i suoi compagni di classe avevano smesso di fissare Seokjin spudoratamente anche se lanciavano ancora sguardi al maggiore, e a Namjoon per estensione, di tanto in tanto, come se loro fossero delle celebrità. In un certo senso, lo erano, e il pensiero fece contorcere Namjoon.

"Andiamo Joon! Sono così affamato!" Esclamò Seokjin, comportandosi come se non fosse affatto influenzato da quegli sguardi. Namjoon all'inizio aveva pensato che fosse esattamente così, che il comportamento di Seokjin fosse naturale perché sembrava sempre impassibile, il sorriso non vacillava mai. Inoltre, le poche parole che il padre di Seokjin aveva detto a proposito del fatto che suo figlio si trovava a suo agio con il pubblico, lo avevano portato ad accettare quell'idea. Ma ora che lo conosceva meglio, stava iniziando a pensare che Seokjin fosse stato e forse lo fosse ancora, terrorizzato come Namjoon, e che quella calma fosse solo il risultato di anni di auto addestramento e probabilmente la ragione per cui il maggiore era estremamente paziente con lui, essendo in grado di comprendere molto bene il disagio del più giovane.

Namjoon fece del suo meglio per seguire l'esempio di Seokjin e quindi ignorò anche lui il resto, ridendo del tono allegro di quest'ultimo e lasciandosi trascinare fuori dall'edificio, verso la direzione della mensa. Sentì il braccio di Seokjin sfiorare il suo, ultimamente stava iniziando ad essere iper-consapevole di tutti i contatti minimi che condividevano. Non allacciavano mai le loro braccia, era qualcosa che facevano solo durante le occasioni ufficiali, e questo era anche il motivo per cui il suo sguardo si fissava su quel punto, e tuttavia incapace di dire nulla a riguardo.

Fortunatamente il brontolio del suo stomaco lo distolse dalla sua crisi interna e fece ridere Seokjin di rimando.

Poi, cogliendolo di sorpresa e come se non avesse fatto altro che leggergli nel pensiero fino ad allora, Seokjin lo afferrò, le dita che leggere si chiudevano intorno al suo polso, e lo tirò in avanti, costringendo Namjoon a correre con lui e strappandogli un guaito strozzato che fece ridacchiare il maggiore come un ragazzino dispettoso. Era così concentrato nel non permettere che le sue maldestre membra lo tradissero e lo facessero inciampare, e trascinare così entrambi a terra, che non realizzò che si erano presi per mano se non fino a quando non raggiunsero la mensa, ansimanti e ridenti.

Non ebbe il tempo di soffermarsi su questo, su come un gesto che doveva essere normale tra numeri due riuscisse invece a scombussolarlo, perché una voce tonante chiamò entrambi e quando si voltarono in direzione di essa videro che si trattava di Hyosang, che agitava entrambe le braccia nella loro direzione.

Avvicinarsi a Seokjin aveva significato in qualche modo avvicinarsi anche a Hyosang, e quest'ultimo si era rivelato essere un individuo molto rumoroso e ridicolo. Era davvero impressionante come fosse riuscito a ingannare Namjoon facendogli credere che fosse in realtà serio e severo. Namjoon sospettava che la relazione fattosi più stretta tra lui e Seokjin, fosse stato un fattore decisivo nel suo rapporto con Hyosang il quale, dopo la loro conversazione di quel giorno, aveva iniziato ad agire in modo più aperto e più simile al suo vero sé di fronte a Namjoon.

Apparentemente, si sentiva abbastanza a suo agio da avere il coraggio di fare l'occhiolino al più giovane, quando anche lui notò come si stavano ancora tenendo per mano. Seokjin, che fino a quel momento non se ne era accorto, lasciò la mano di Namjoon con un sorriso di scusa, ma nessuno dei due commentò l'accaduto.

Lasciarono i loro zaini al tavolo del cugino prima di affrettarsi a riempire i loro vassoi.

Osservò con gioia come Seokjin riempisse il suo vassoio con ogni tipo di cibo, il maggiore avendo dimostrato più di una volta quanto amasse mangiare, rendeva giustizia a ogni piatto. Sentì il maggiore sospirare rumorosamente per l'eccitazione mentre allungava il braccio per prendere l'ultimo muffin ai mirtilli e cioccolato rimasto sullo scaffale. Namjoon stava per lasciarsi sfuggire un sospiro di sconfitta perché quelli erano i suoi preferiti, ma prima che potesse battere le palpebre due volte, trovò lo stesso muffin sul suo vassoio.

"Tuo," disse Seokjin come se non avesse appena rinunciato all'ultimo muffin ai mirtilli, che entrambi amavano, in favore di Namjoon.

Fu allora, dopo quel gesto inaspettato modellato dalla gentilezza naturale e dal genuino affetto, che finalmente Namjoon prese una decisione.

"Jin hyung, vorresti uscire con me domani sera?" Chiese, cogliendo Seokjin di sorpresa. Vide gli occhi del maggiore spalancarsi per la sorpresa, ma notò anche che un timido sorriso gli adornò il viso poco dopo.

Sì, era stata la decisione giusta.


 


 


 


 


 


 

La prima cosa che Namjoon notò non appena entrò nel pub fu il forte odore di fumo e alcool, e un paio di occhi penetranti che si avvicinavano. Yoongi si avventò su di loro non appena li vide, gli occhi che li scandagliarono da capo a piedi e facendo sì che Seokjin si contorcesse al suo fianco. Tuttavia, non fu sgarbato e li accolse invece educatamente, accompagnando la coppia dietro le quinte. Namjoon sorrise rassicurante a Seokjin che si stava aggiustando nervosamente il colletto della maglia scura che indossava. Per una volta era nel suo ambiente mentre Seokjin faceva la parte del pesce fuor d'acqua, e questo era il motivo per cui Namjoon si sentiva protettivo. Voleva che il maggiore si divertisse, ma più di ogni altra cosa, desiderava davvero che lui conoscesse il suo mondo, lo scoprisse e capisse perché Namjoon lo amava così tanto e non riusciva a farne a meno.

Seguirono Yoongi nella stanza adibita a backstage che era già piena di gente, altri artisti, lo staff dei pub e probabilmente amici e familiari di artisti come lo stesso Seokjin. Yoongi si spostò verso il loro solito angolo e si lasciò cadere senza tante cerimonie sul paio di bidoni metallici che usavano come sedie.Seokjin e Namjoon ne condivisero uno, i corpi molto più vicini di quello a cui erano abituati ma nessuno dei due diede alcun segno di sentirsi a disagio, anzi, addirittura Seokjin sembrava che si stesse appoggiando a Namjoon come se fosse inconsciamente in cerca di supporto. Namjoon notò che Yoongi li stava osservando, ma non sembrava essere dell'umore giusto per pronunciare uno dei suoi soliti commenti sfacciati e quindi, qualsiasi cosa avesse voluto dire, venne taciuta.

"Joon, il proprietario ha detto che siamo i quarti ad esibirci, il che non è male considerando che ci siamo registrati un po' all'ultimo momento. Eseguiremo tre vecchi pezzi e la nuova canzone su cui hai lavorato. "

"Quattro? L'ultima volta che abbiamo parlato si trattava solo di tre canzoni, perché hai detto che l'evento era gremito stasera, "rispose Namjoon con una leggera nota di panico. Si era preparato mentalmente per tre canzoni, non quattro e sicuramente non era pronto per la sua nuova composizione. L'aveva provato assieme a Yoongi solo una volta.

"Rilassati. Questa sera non è una gara, ma più un mini concerto di più artisti, quindi non abbiamo bisogno di fare alcun freestyle o niente di particolare. Il pubblico è solo qui per godersi lo spettacolo, "Yoongi ribatté nel suo solito tono annoiato mentre liquidava le sue preoccupazioni con un cenno della mano. A Namjoon sarebbe piaciuto rispondere che per quella sera non gli importava di nessuno tranne che di una persona e quella persona era seduta accanto a lui e aveva bisogno di impressionarla. Era per questo che fissava il suo migliore amico con uno sguardo eloquente il quale tuttavia, sfortunatamente, non dava alcun segno di prendere sul serio la sua irritazione.

"Se mi dite dov'è il bagno, posso lasciare voi due a discutere i dettagli" disse Seokjin interrompendoli con un sorriso imbarazzato, avendo percepito la tensione. Prima che Namjoon potesse rispondere, Yoongi aprì la bocca per mormorare un "alla fine del corridoio a sinistra", che era tutto ciò che Seokjin aveva bisogno di sapere prima di scattare fuori di lì alla velocità della luce.

Namjoon sapeva che qualcosa stava per arrivare, lo sapeva, lo aveva saputo non appena i suoi occhi avevano incontrato quelli di Yoongi ma, in realtà, aveva cominciato a sospettarlo sin da quando aveva finito di parlare con il suo amico al telefono, dopo che non solo aveva annunciato il suo desiderio di prendere parte alla serata, ma aveva anche dichiarato la sua volontà di portare Seokjin con sé. Una parte di Namjoon era grato al suo amico per aver fatto del suo meglio e averli piazzati bene in un evento già pieno, ma questo non cambiava il fatto che lui al momento si stesse arrabbiando per il fatto che Yoongi fosse arrabbiato perché sapeva che quest'ultimo stava per dire qualcosa di sgradevole.

"Sputa il rospo Yoongi," disse Namjoon, cercando di non sospirare. Il rumore delle risate e delle chiacchiere nella stanza stava diventando più forte, ma né Namjoon né Yoongi vi prestarono attenzione.

Nei loro anni di amicizia, avevano avuto diversi scontri ma più che altro concernenti la musica e questioni creative, tuttavia mai per quel che riguardava le loro sensazioni personali, essendo sempre stati in sincronia. E anche quando Yoongi aveva confessato il problema che aveva nascosto per tanto tempo, anche allora Namjoon aveva cercato di essere dalla sua parte. Ma questa volta era diverso.

"Non so è il caso di dirtelo..." iniziò Yoongi, ma Namjoon sapeva che era solo una posa.

"Da quando in qua hai paura di dire la tua, hyung?" Chiese Namjoon, provocando di proposito l'altro. Yoongi strinse gli occhi e il più giovane capì di aver toccato un nervo. Se Yoongi voleva dire qualcosa era meglio che lo facesse prima piuttosto che dopo, anche se il tempismo, proprio prima di una performance, non era dei migliori per scambiare delle opinioni.

"E da quando tu sei uscito fuori di testa?" Ribatté Yoongi, ugualmente brutale. Namjoon dovette sforzarsi di non distogliere lo sguardo e mantenere il contatto visivo con il maggiore.

"Non so cosa intendi,” rispose Namjoon, sporgendo la mascella in modo difensivo.

"Portare Seokjin qui? Cosa ti ha fatto pensare che fosse una buona idea? "Chiese Yoongi con sarcasmo, come se Namjoon avesse commesso un crimine.

"Stiamo solo trascorrendo del tempo insieme, non c'è bisogno di essere così drammatici al riguardo."

"Non stai semplicemente trascorrendo del tempo insieme. L'hai portato qui perché questo posto è importante per te e questo significa ... "

"L'ho portato qui perché stiamo cercando di conoscerci, siamo anime gemelle dopo tutto," replicò Namjoon, sopraffatto dall'irritazione ma non appena quelle parole uscirono dalla sua bocca, si rese conto del peso di ciò che aveva appena detto.

Yoongi scoppiò a ridere allora, e anche se il più giovane si era aspettato che lui sembrasse compiaciuto o addirittura sprezzante, il suo amico invece sembrava tutto tranne che quello, come se una nuvola fosse scesa su di lui e lo avesse inghiottito.

Erano numeri due ed era innegabile, e anche quando avevano cercato di ignorare la loro realtà, sapevano che sarebbe arrivato il momento in cui avrebbero dovuto affrontarla, tuttavia ora che la verità era proprio li davanti a loro e avevano entrambi incontrato la loro anima gemella, essa li aveva affossati invece di sollevarli. Il concetto di anime gemelle non si adattava bene a nessuno di loro due, anche se per ragioni diverse, ma sapere che c'era un altro numero due che condivideva lo stesso sentimento, nel corso degli anni li aveva rassicurati e aveva permesso loro di sentirsi meno fuori luogo o estranei nella loro stessa pelle.

Ma soprattutto, li aveva fatti sentire meno soli.

Namjoon voleva allungare la mano e toccare il braccio di Yoongi, ma non lo fece perché non sapeva cosa dire o anche se avrebbe avuto senso aggiungere qualcosa. Prima che potesse decidere cosa fare però, lo sguardo di Yoongi si concentrò da qualche parte dietro di lui e il giovane capì che non erano più soli.

Si girò leggermente per vedere Seokjin a pochi passi da loro, che li osservava con un'espressione un po 'perplessa, ma Namjoon sapeva che era troppo gentile per pensare di intromettersi.

"Abbiamo quindici minuti prima che inizino le performance, Namjoon può mostrarti il posto Seokjin hyung, dopo di che temo che saremo un po' occupati," commentò Yoongi con un tono piatto mentre si alzava dal suo posto e si dirigeva in direzione dei bagni. Namjoon vide Seokjin corrugare la sua fronte per un momento, ma quando incontrò il suo sguardo, il suo sorriso tornò insieme a quello che Namjoon riconobbe come una scintilla di eccitazione." Ti farò vedere i dintorni hyung, anche se non so se saremo in grado di gironzolare troppo visto che il posto è già pieno."

"Allora andiamo, se non riesco a essere in prima fila è meglio che mi mostri il punto in cui posso avere la migliore visione del palco,” disse Seokjin eccitato. Namjoon rise un po', imbarazzato dalla reazione entusiastica di Seokjin. Era preoccupato all'idea di lasciare il maggiore là fuori in mezzo alla folla selvaggia perché era abbastanza sicuro che non era la sua solita scena, ma Seokjin gli aveva assicurato che era abbastanza grande e che poteva prendersi perfettamente cura di se stesso, e "inoltre, tecnicamente sono l'adulto qui, e se tu puoi essere laggiù," disse indicando il palco, "io posso sopravvivere qui", concluse con il suo miglior tono Kim. Namjoon non osò aggiungere altro e quindi si limitò ad annuire mentre tornava nel backstage per unirsi a Yoongi.

La frenesia dell'anticipazione che lo attraversava ogni volta che doveva salire sul palco stava iniziando a prendere il sopravvento e Namjoon, come sempre, si ritrovava a saltellare sul suo posto. Non scambiò nessun'altra parola con Yoongi, ma il maggiore sembrava essere entrato nel suo stato pre-performance e aver quindi abbandonato qualunque sentimento per potersi concentrare.

Era una sensazione complessa da spiegare, un sentimento di piacere mischiato al nervosismo, come il brivido che provavi prima di saltare da un'alta piattaforma e giù nell'acqua profonda, la paura e l'eccitazione che ti uccidevano quasi, ma che ti tenevano a galla nello stesso tempo. Tuttavia, nel momento in cui i loro nomi furono chiamati, tutte le preoccupazioni che avevano avuto precedentemente, svanirono nel nulla. Namjoon sentì una forza gigantesca spingerlo in avanti, un impulso irresistibile che non avrebbe mai, mai potuto combattere. Si voltò a guardare Yoongi, che gli fece un cenno di intesa prima di salire i pochi gradini che conducevano al palco. Namjoon lo seguì poco dopo, le urla lo accolsero non appena raggiunse il centro del palco. Prese il microfono proprio quando la base del loro pezzo iniziò a suonare. Namjoon sorrise prima di aprire la bocca per gridare. La folla urlò più forte.

Dovevano eseguire quattro canzoni, tre vecchie e una nuova, quest'ultima era quella che lo preoccupava di più, ma una volta che iniziò la base della loro ultima canzone, più dolce e quasi lenta, ogni traccia di preoccupazione volò via la finestra.

Era difficile riconoscere una persona in particolare nel mezzo del caos della folla con la luce troppo fioca, ma mentre i suoi occhi vagavano sulle persone di fronte al palco, il suo sguardo incrociò quello di Seokjin. Mentre i loro occhi si incontrarono, una sensazione di calore si diffuse su di lui come un balsamo perché nessuno lo aveva mai guardato così prima di allora.

"Ti ho amato sin dalla prima volta che ci siamo incontrati", gli aveva detto Seokjin e il concetto sembrava ancora estraneo a Namjoon perché amore era una parola così grande. Nelle pubblicità del governo, parlavano spesso di anime gemelle e della necessità di essere completi, ma raramente, molto raramente di amore.

Inoltre, come poteva qualcuno essere programmato per amare un'altra persona, Namjoon se lo era chiesto spesso.

"Un'anima gemella è quella persona che ha la capacità di capirti più di chiunque altro. Ad un certo punto, quando invecchierai, capirai quanto è incredibile incontrare qualcuno che è questo per te, tesoro, "gli aveva detto sua madre.

Quando la performance finì, con applausi assordanti che ancora risuonavano nelle sue orecchie, non attese Yoongi per tornare insieme nel backstage e commentare le loro esibizioni per poi rimanere al pub a guardare il resto come facevano di solito. Rinunciò a tutto questo invece e si mosse velocemente fuori dal palco perché doveva andare dove aveva visto Seokjin prima che si perdesse in mezzo alla folla. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare alla sua azione, mentre era sommerso dall'improvviso bisogno di parlare con il maggiore.

Risultò che non dovette muoversi molto lontano perché non appena scese dal palcoscenico le sue braccia furono piene di Seokjin, la fragranza del suo sapone per il corpo riconoscibile anche tra l'odore di fumo e alcol pesante. Era un abbraccio forte, bello e caldo con le dita di Seokjin che affondavano solo leggermente nella sua pelle, riuscendo comunque a lasciare una profonda impressione su di lui, ma anche breve, investendolo come una brezza primaverile e come essa velocemente scivolando via.

Seokjin indietreggiò poco dopo, ma rimase abbastanza vicino perché Namjoon notasse una ciglia posatosi sul suo zigomo.

"Ti è piaciuto?" Chiese Namjoon, non facendo neanche una mossa per fare un passo indietro.

"Mi è piaciuto," rispose Seokjin, accecandolo con un sorriso e venendo pericolosamente vicino, tentando Namjoon a fare altrettanto.

Tuttavia proprio in quel momento Yoongi li superò, non aprì bocca e nemmeno getto loro un'occhiata, ma la sua presenza ombrosa e frettolosa fu sufficiente a far scoppiare la bolla e il momento tra lui e Seokjin svanì con la stessa rapidità con cui era arrivato.

"Coraggio, andiamo a bere qualcosa, niente alcool visto che qualcuno qui è un po 'troppo giovane", disse allora Seokjin. Namjoon scosse la testa perché Seokjin doveva semplicemente scherzare su questo a ogni occasione, ma era anche segretamente felice di poter ridere del loro divario d'età adesso.

Lo seguì verso il bancone del bar e insieme si godettero il resto della serata insieme chiacchierando e bevendo, ma quando finirono i rispettivi drink, Namjoon notò che Yoongi non si era fatto vivo tutta la notte.


 


 


 


 


 


 

Namjoon aveva trascorso alcuni strani giorni godendosi il suo tempo con Seokjin ma chiedendosi anche se tutto andava bene come sembrava. Seokjin e lui avevano frequentato le lezioni come ogni altro giorno, la loro confortevole relazione era stabile e piacevole; pranzavano regolarmente con Hyosang, e chiacchieravano dopo cena e parlava spesso anche con Yoongi. Tuttavia non poteva fare a meno di provare uno strano presentimento nei riguardi sia di Seokin che Yoongi.

Per quanto riguardava quest'ultimo, Namjoon non sapeva davvero come affrontare la questione e nemmeno se fosse lui a doverne parlare. Il più giovane sapeva che il suo migliore amico aveva una ferita da sempre, ma avere Namjoon al suo fianco avrebbe potuto rendere il suo peso sopportabile, proprio come aveva confortato Namjoon sapere che non era l'unico numero due ad avere opinioni diverse. Dopo tutte le sue parole contro il sistema e i Kim, l’aver portato Seokjin al pub probabilmente sembrava piuttosto ipocrita o finto. Ma Yoongi sapeva molto bene che Namjoon non era il tipo di persona che si lamentava delle cose solo per il gusto del dramma, e forse per questo la cosa era ancora più difficile da accettare: sapere che il cambiamento in Namjoon era in realtà genuino.

Il giovane si sentiva sgonfiare come un palloncino ogni volta che ci pensava perché non era affatto così semplice; le cose non erano cambiate al punto che le precedenti circostanze non sussistevano più, semplicemente andava più d'accordo con Seokjin. Tuttavia non aveva mai pensato che quest'ultimo fosse una persona cattiva; in realtà, il suo problema era sempre stato che il maggiore gli piaceva nonostante le sue convinzioni personali.

Ciò che era cambiato non erano le sue circostanze, che erano ancora soffocanti e deludenti, ciò che era cambiato era che aveva smesso di mentire e aveva cominciato a venire a patti con quello che sentiva, anche se quell'attività si stava rivelando più difficile di quanto avesse previsto. Dopotutto, quella era la più grande differenza tra i due migliori amici. Avrebbero sempre condiviso un sentimento simile, tuttavia, Namjoon stava affrontando la sua verità mentre Yoongi …

Namjoon sbatté le palpebre furiosamente mentre si girava su un fianco, viso rivolto verso la luce che proveniva dalla finestra. Era un sabato mattina e per una volta poteva rotolarsi nel suo letto e sonnecchiare un po’ ma il suo cervello era sempre vigile, e lo teneva sveglio e lo faceva riflettere su molte cose.

Non incolpava Yoongi, desiderava solo che ci fosse un modo in cui tutti potevano vincere invece di essere lasciati a sanguinare nel brodo della propria sconfitta.

Sentì un rumore di passi nel corridoio e Namjoon ebbe a malapena il tempo di girarsi verso la porta prima che qualcuno bussasse.

"Namjoon sei sveglio?" Chiese la voce, che riconobbe come quella di Seokjin, da dietro la porta di legno.

"Sì?" Mormorò e poco dopo vide la testa di Seokjin che faceva capolino dalla porta leggermente aperta, con un largo sorriso stampato in volto.

"Sai se non ero sveglio prima, lo sarei ora grazie a te?" Commentò scherzosamente Namjoon con una voce ancora roca dai resti del sonno. Il suo commento però non sembrò minimamente turbare il maggiore, il cui sorriso rimase ampio come quando era entrato.

"Ti piacerebbe venire con me in un posto oggi?" Namjoon si alzò dal suo cuscino, le orecchie tese perché era la prima volta che Seokjin gli aveva proposto di fare qualcosa insieme che non era sotto la supervisione dei Kim.

"Certo," disse sedendosi sul letto e sorridendo quando notò che il maggiore si stava trattenendo dal saltellare sul suo posto.

Poi Seokjin si assicurò che facesse una doccia veloce e si gestisse, e dopo una sostanziosa ma breve colazione lo trascinò verso la fermata dell'autobus, mentre Namjoon cercava di immaginare dove Seokjin volesse portarlo senza riuscirci. Una cosa era certa, però, non aveva mai visto il maggiore in quel tipo di umore prima; sembrava piuttosto contento, quasi ribolliva di anticipazione mentre sedeva sul sedile accanto a Namjoon, le dita che si agitavano sul suo grembo. Namjoon non sapeva cosa aspettarsi per una volta, non pensava che Seokjin sapesse come muoversi senza essere accompagnato in giro, non perché fosse un moccioso viziato che era troppo pigro per agire come una persona indipendente, non l’ aveva mai pensato neanche all'inizio quando era stato più scettico nei suoi confronti; ma per qualcuno che Namjoon, nonostante il fatto che fosse la persona più carina che avesse mai incontrato, aveva pensato fosse il più prudente di tutti, Seokjin sembrava invece aver oltrepassato i confini del rigido regime dei Kim abbastanza volte da sentirsi a suo agio nel farlo anche ora, e realizzare ciò gli stava facendo sentire delle cose.

Stava cambiando la sua percezione e spingendo i suoi sentimenti verso una corsia pericolosa.

Il viaggio fu breve e prima che se ne rendesse conto Seokjin lo stava tirando per la felpa e gli faceva cenno di seguirlo. Namjoon non osò fare domande e non si scambiarono una parola per tutto il tempo necessario a coprire la distanza dalla fermata dell'autobus fino alla loro destinazione. Eppure il silenzio non era pesante e Seokjin sembrava concentrato piuttosto che a disagio, forse un po' nervoso, ma più simile a qualcuno che stava organizzando molti compiti nella sua testa che a qualcuno che stava avendo dei ripensamenti. Namjoon lo prese come un buon segno.

Tuttavia, nemmeno nei suoi sogni più selvaggi avrebbe mai immaginato il posto in cui Seokjin lo portò.

L'edificio sembrava arrugginito e c'era qualche traccia di graffiti qua e là insieme a qualche tentativo di ridipingere per rendere il posto più ordinato, anche se era chiaro che lo staff a un certo punto aveva rinunciato poiché alcuni graffiti sembravano nuovi.

Namjoon non voleva sembrare sbalordito di fronte al maggiore e così fece del suo meglio per tenere sotto controllo le sue emozioni. Seokjin sembrò avvertire il suo tumulto interiore perché gli strinse la mano e lo guidò oltre le porte scorrevoli che permettevano loro di entrare nell'edificio.

Namjoon non era mai entrato in un circolo ricreativo per numeri zero prima di allora. Contrariamente a quello che le istituzioni dicevano a proposito, tacciando queste strutture come luoghi che incoraggiavano comportamenti sovvertivi, Namjoon invece preferiva non esprimersi. Semmai la sua perplessità derivava non dal fatto di considerarli chissà quale alcova di insurrezione, quanto piuttosto nel ritenerli un colossale spreco di tempo e risorse.

I centri ricreativi infatti spesso fungevano anche da doposcuola per i bambini i cui genitori lavoravano fino a tardi. Ma più di ogni altra cosa, con il tempo i centri erano finiti col diventare un punto d'incontro per i numeri zero, e questo era ciò che probabilmente spaventava il governo. Ciò li innervosiva ancora di più che sapere che i centri insegnavano le arti a una parte della popolazione che non doveva avere l'opportunità di perseguire questa branca come professione dopo la scuola superiore.

Era proprio questa la parte che in realtà meravigliava Namjoon, perché non capiva come qualcuno potesse passare attraverso lo sforzo di imparare a ballare, recitare, cantare, dipingere o persino suonare uno strumento, e magari innamorarsi di uno di questi, se tale dedizione aveva una data di scadenza inevitabile.

Ad ogni modo considerando la cattiva reputazione che i circoli ricreativi avevano tra la maggioranza della popolazione, Namjoon sapeva che il fatto che Seokjin, un Kim, li frequentasse, piuttosto spesso se il "buongiorno Seokjin!" della receptionist era di una qualche indicazione, era qualcosa che l’altro doveva aver serbato nel più profondo segreto. Namjoon era sicuro che se i Kim o chiunque altro lo avesse scoperto tutto ciò si sarebbe trasformato in un enorme scandalo, tuttavia osservando l’atteggiamento naturale di Seokjin, era abbastanza sicuro che quest’ultimo non ne preoccupasse. O molto più probabilmente, se aveva imparato qualcosa su Seokjin in tutti quei mesi, questi era pronto a combattere nell'eventualità che venisse scoperto.

"Hyung cosa stiamo facendo qui?" Chiese Namjoon timidamente quando Seokjin lo portò in quello che sembrava lo spogliatoio di una palestra. Seokjin aprì un armadietto che, a giudicare da quanto era pieno di cose sue, doveva essergli stato assegnato da un pezzo.

"Faccio volontariato qui," rispose Seokjin distrattamente mentre controllava una vecchia maglietta prima di dargliela.

"Indossala, i bambini possono essere selvaggi ed è altamente probabile che finirai con la tua maglietta macchiata di pittura", disse, ma quando sollevò lo sguardo, all'improvviso parve nervoso come se avesse paura della reazione di Namjoon e allora lui capì fino a che punto tutto questo fosse importante per Seokjin, anche se non sapeva il perché.

"Va bene, vado a cambiarmi allora, "Namjoon rispose semplicemente prima di scomparire dietro la porta di una cabina.

Quando uscì con la nuova maglietta indosso, Seokjin lo stava aspettando con un'espressione più rilassata, il che fece desiderare al più giovane ancora di più scoprire perché questo posto sembrava significare così tanto per lui.

In quel momento, Namjoon sentì il telefono vibrare in tasca ma quando nel controllare chi era si rese conto che era un messaggio della signorina Choi, improvvisamente decise che non voleva dover affrontare altro durante una giornata del genere, una giornata in cui Seokjin era finalmente uscito dal suo guscio per mostrargli il suo vero sé.

Decise quindi di mettere il suo telefono nell'armadietto di Seokjin prima di seguire il maggiore fuori dagli spogliatoi.

Qualunque cosa fosse, poteva aspettare.










NdA: ho una vita frenetica, lavoro, sto gestendo, tre storie, due delle quali in due lingue (italiano e inglese), e sto cercando di preparare A world of us. Faccio del mio meglio per aggiornare tutto >_< grazie per la pazienza. Piuttosto se qualcuno la fuori sarebbe disposto a darmi una mano con le traduzioni, accetto volontari <3 

 

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Capitolo 10
*** 2.9 ***


2.9


 


 

Anni dopo, tutte le volte che a Namjoon sarebbe capitato di ripensare a quel periodo, non avrebbe potuto fare a meno di riconoscere che, probabilmente, l'inverno del suo primo e unico anno trascorso presso i Kim, pur con le sue complicazioni e l'enorme mole di lavoro, era stato quello migliore trascorso sotto il loro tetto.

Il merito fu soprattutto di Seokjin, il suo numero uno ma fu quel pomeriggio trascorso con lui al centro ricreativo che finì col far capitolare Namjoon completamente ed abbattere le ultime difese che lui aveva alzato intorno alle sue convinzioni. Al punto che, in seguito a quell'episodio, tutte le volte che Namjoon si trovava a guardare il maggiore non gli riusciva più di trovare una sola piccola ragione per non provare dei sentimenti, profondi, per Seokjin.

Quel sabato mattina al circolo fu molto frenetico e caotico perchè molte erano le cose da preparare affinchè i loro piccoli ospiti si divertissero; rumoroso, una vota che i bambino con le loro voci e risate arrivarono, tuttavia anche molto divertente e finirono con il lasciargli un senso di calda soddisfazione al momento di tornare a casa.

In ogni modo quel giorno Seokjin, assieme a un altro paio di volontari si era sin da subito adoperato per aiutare gli educatori a montare nel patio interno dell'edificio il piccolo laboratorio di pittura per i bambini. Namjoon avrebbe voluto aiutare volentieri ma una volta che fu chiaro che la manualità non era il suo forte, fu deciso all'unanimità di lasciargli il compito di accogliere i genitori.

Il giovane era stato mortificato ma Seokjin aveva fatto del suo meglio per rassicurarlo del fatto che nessuno lo stavano giudicando e in effetti nessuno era sembrato infastidito o irritato, nemmeno dopo aver quasi rischiato di rovesciare per terra il contenuto dei barattoli di tempera non appena ci aveva messo le mani sopra, il che normalmente non sarebbe stato un problema di per se considerando che la giornata si era conclusa per tutti con della tempera in qualche parte del corpo e persino nei capelli, ma non era il caso che lui la sprecasse prima che i bambini potessero metterci le mani sopra (letteralmente).

Il laboratorio infatti era stato impostato non come una lezione ma piuttosto come un'opportunità per i bambini di essere creativi e di esprimere le loro idee liberamente.

Nell'arco di un'ora i genitori iniziarono ad arrivare e Namjoon li fece accomodare spendendosi in grossi sorrisi gentili nel tentativo di fare del suo meglio. Sperava di non essere risultato impacciato ma il sorriso raggiante che Seokjin gli rivolse nel vederlo impegnarsi fu sufficiente per rinfrancarlo di ogni sua sensazione personale di imbarazzo.

Il laboratorio ebbe inizio, i bambini ascoltarono bene le istruzioni scelsero con enorme cura il proprio tema ma non appena gli fu dato un pennello in mano il caos si scatenò. I volontari e Seokjin fecero del loro meglio per impedire che tutti finissero colorati dalla testa ai piedi ma Namjoon vide che in realtà si stavano divertendo anche loro. Aveva notato più di qualche adulto guardare i bambini con un che di nostalgico mentre immergevano la mano nel colore e la premevano sulla tela. Altri ancora, soprattutto tra i genitori che erano rimasti, osservavano i propri figli con un che di chiaramente triste.

Namjoon distolse lo sguardo e fu contento quanto un bambino gli chiese altri pennelli perché erano tutti sporchi e lui ne approfittò per nascondersi in bagno con la scusa di doverne lavare alcuni e riempire i barattoli con acqua pulita.

Si era aspettato i bambini e le risate e il rumore, non si era aspettato di provare altre cose.

Era risaputo che ai numeri zero non era permesso di proseguire le attività artistiche ma non aveva mai provato reale simpatia per loro come in quel momento. Provò a immaginare un mondo in cui a lui era proibito di amare la musica e la cosa gli tolse il fiato. Soprattutto perché quel mondo non era poi così diverso dalla sua realtà attuale, da quello che i Kim gli avevano imposto sotto l'insegna di necessità maggiore. E in definitiva cosa distingueva lui, il numero due, da qualsiasi altro numero zero in quel centro ricreativo? Anche a lui non era concesso di perseguire un sogno e quello era un dolore profondo che Namjoon capiva fin troppo bene.

Era questo dolore quello aveva infettato ogni suo pensiero e che gli avevano reso così difficile il potersi fidare di Seokjin per il semplice fatto che lui era un Kim.

“Noi incoraggiamo l'integrazione e speriamo sempre che tutti si sentano liberi di iscriversi ai nostri corsi ma si, la maggior parte di questi bambini sono numeri zero,” Namjoon sussultò così violentemente che quasi fece cascare l'intero set di pennelli.

Per fortuna, la signora anziana, la stessa che aveva interrotto il filo dei suoi pensieri fu svelta a venire in suo aiuto evitando che lui facesse ennesimo disastro.

“Scusi, sono molto goffo,” Namjoon disse imbarazzato.

“Non ti preoccupare, non è colpa tua semmai mia per averti colto di sorpresa,” rispose lei prendendo in mano il barattolo già riempito d'acqua perché non fosse d'ingombro e Namjoon potesse finire di sciacquare con tranquillità.

“Grazie,” Namjoon rispose quando vide che lei lo stava aiutando. Le sue spalle tuttavia si erano fatte improvvisamente tese perché non sapeva cosa doveva quella visita.

Seokjin aveva indicato quella signora anziana come direttrice del circolo e da come si erano salutati erano sembrati in ottimi rapporti, tuttavia non gli aveva detto se lei e lo staff del circolo sapevano che lui, che entrambi, erano numeri due e Namjoon non voleva mettere a rischio il posto di Seokjin parlando troppo.

Non si ricordava di aver mai visto il maggiore così a suo agio, così spensierato come quel giorno al circolo nei panni di volontario. Era una gioia per gli occhi.

“E' un bravo ragazzo Seokjin, si da un sacco da fare e si prende grande cura dei bambini, grandi e piccoli. Qui gli vogliamo tutti bene,” la signora continuò, la sincerità evidente nel suo tono. Namjoon chiuse il rubinetto e per un attimo si rattristò del fatto che Seokjin avesse sentito la necessità di nascondergli questo, di nascondere a tutti questo. La parte migliore di lui.

“Ho saputo che veniva qui solo oggi,” Namjoon ammise d'impulso. Le parole della signora non erano state dette affatto come un intento di rimprovero ma il giovane si sentì comunque colpevole. La direttrice gli sorrise gentile però.

“Seokjin è un ragazzo riservato. Ha gironzolato qui intorno per diversi giorni ma siccome non si decideva ad entrare ho capito che aveva bisogno di un incoraggiamento e quindi l'ho invitato ad entrare. Mi ha subito detto che non voleva disturbare come se temesse che l'avremmo giudicato per non essere un numero zero. Mi ci è voluta una tazza di te e una torta intera per convincerlo a provare il volontariato,” disse con un altro sorriso. Poi con un tono pieno della comprensione di chi ha visto molto aggiunse, “quello che molti non capiscono è che questo posto non è un circolo di numeri zero, questo è un luogo di incontro per chiunque voglia avere un posto in cui tornare.”

La direttrice sapeva, tutti loro sapevano del loro status ma a nessuno importava. Quella signora anziana era riuscita con un semplice circolo ricreativo a creare un microcosmo di pace.

Namjoon provò a immaginarsi Seokjin che entrava in quell'edificio, cercò di figurarsi l'espressione del suo viso e i sentimenti che lo aveano spinto a venirci. E anche se non riusciva a capire cosa ci fosse dietro al sentimento che lo aveva portato ad entrare, riusciva a dedurre il motivo per cui era rimasto. La risata ridicola e altisonante di Seokjin che veniva dal patio esterno erano abbastanza una risposta.

“Sono il suo numero uno,” Namjoon disse allora come se stesse ammettendo una mancanza. Non erano state perfette anime gemelle l'uno per l'altro, entrambi avevano avuto le loro mancanze ma il minore sentiva di avere più cose da farsi perdonare rispetto a Seokjin.

“Lo so. Basta vedere come vi guardate,” lei rispose con una risata lasciandolo di stucco. Namjoon avrebbe voluto chiedergli come esattamente loro due si guardavano, improvvisamente la risposta sembrava di vitale importanza, tuttavia lei lo precedette.

“Ci siamo sentiti tutti un po' confusi almeno una volta nella vita, Namjoon. La sofferenza non è prerogativa di nessuno,” concluse prima di voltarsi e lasciarlo li da solo con i suoi pensieri.

Più tardi, una volta seduti sul bus di ritorno, Seokjin gli disse che la direttrice era stata un numero due.

Namjoon aveva avuto un sacco di domande da fargli allora ma, osservando il volto rilassato di Seokjin, decise che non voleva rovinare quel momento. Dopotutto Seokjin non gli aveva mai chiesto perché amasse la musica, perché fosse così vitale per lui, ma aveva accettato il fatto come se fosse la cosa più naturale del mondo. Namjoon si disse che avrebbe fatto lo stesso, che Seokjin aveva il diritto di avere le sue ragioni e di non dovergliele spiegare soprattutto se questo gli faceva bene.

Mai nei suoi miseri sedici anni di vita sentì ruggire in corpo la necessità di proteggere e prendersi cura di qualcuno come provò in quel pomeriggio per Seokjin. E tutti i giorni a seguire da quel momento. Eppure il maggiore era forte era eccezionale e non aveva bisogno del goffo e debole Namjoon a difenderlo, ciò nonostante lui si trovò comunque a desiderarlo.

O forse era stato sin da quella volta che Seokjin era venuto in camera sua a dirgli che non c'era nulla di sbagliato in lui, nel suo scetticismo nella sua tristezza di numero due e che potevano parlare ancora dei loro sogni. E delle loro paure.

C'erano molte cose infatti che Namjoon ancora non sapeva di Seokjin ma era evidente che a dispetto della vita dorata che i Kim apparentavano, Seokjin aveva avuto, e forse si portava ancora, una profonda ferita. Ripensò alle parole di Hyosang a come i due cugini erano sembrati legati e come entrambi spesso si lasciassero sfuggire racconti sulle loro malefatte, che malefatte non erano affatto se non per il fatto che disubbidivano alle rigide e crudeli regole di quella casa.

La verità era che Seokjin si era fidato sin dall'inizio e continuava a fidarsi ancora, cercando di abbattere i rispettivi muri.

Era naturale che Namjoon finisse per cadere a capofitto nella persona che era Kim Seokjin e col senno di poi era quasi stupito che gli ci fosse voluto così tanto per rendersene conto.

Quando il dottore gli aveva diagnosticato non un disturbo dell'attenzione ma un quoziente intellettivo ben al di sopra della media, aveva detto a sua madre che un ingenio come il suo se non ben indirizzato poteva diventare un penoso fardello. Aveva avuto ragione anche se non per quello che il dottore aveva inizialmente implicato. Il fardello semmai stava nel fatto che all'essere così bravo a raccogliere dati e analizzarli aveva perso il disincanto dell'innocenza quasi subito, sostituito troppo presto da un velo pesante di scetticismo nel confronto di tutto e tutti.

Le convinzioni a cui ci aggrappiamo quando cadono non fanno rumore ma se ne avverte subito l'assenza. Ma gli spazi esistono per essere riempiti e quello spazio era ormai tutto di Jin.

Era stato inevitabile allora, da quel fatidico pomeriggio in poi non trascorrere più tempo possibile con lui come se non riuscissero a fare meno di gravitare l'uno nell'orbita dell'altro e la sua presenza era stato di fatto un sollievo, soprattutto considerando i fatti successivi.

Il tempo passò, l'autunno sfumò presto in inverno, i maglioni in cotone di Jin furono sostituiti in morbidissimi maglioni di lana che gli donavano molto, al punto che a Namjoon riusciva difficile non rimanere sempre li imbambolato a guardarlo. Era terribile come ogni piccola cosa che Jin facesse riuscisse a distrarlo o a farlo arrossire e Namjoon ora avrebbe voluto sbattere la testa anche se per un motivo diverso da quello iniziale.

In ogni modo quell'inverno non portò solo dei nuovi esuberanti sentimenti nei confronti di Jin ma anche altre cose perché naturalmente in quella casa non si poteva mai stare tranquilli, tanto valeva che Namjoon si mettesse il cuore in pace. Quello di rendere le cose difficili era, come aveva detto Hyosang, il talento della famiglia Kim.

Quando Namjoon aveva deciso di ignorare i messaggi della signorina Choi aveva pensato fosse ennesimo incontro noioso che poteva aspettare. Passare del tempo con Seokjin quel giorno era stato decisamente più importante di qualsiasi cosa la famiglia Kim avesse avuto intenzione di renderlo partecipe. Tuttavia non si era certo aspettato una richiesta come quella che gli venne fatta.

“La famiglia Kim è molto contenta dei tuoi risultati Namjoon. Hai superato con pieni voti tutti gli esami di medio termine e hai persino concluso qualche esame anzi tempo,” Namjoon annuì cercando di capire dove volesse andare a parare con quel discorso. La famiglia Kim non era solita dispensare favori e complimenti per nulla. Tra l'altro l'unico motivo per cui Namjoon aveva anticipato alcuni esami era perché aveva sperato di guadagnarsi dell'agognato tempo libero nel secondo semestre e non certo in un tentativo di impressionarli.

“Sopratutto il console Kim che ha grande fiducia nelle tue capacità. Infatti mi ha comunicato che ti vorrebbe incoraggiare a continuare in questo senso.” Namjoon non aveva potuto fare a meno di contrarre la mascella perché davvero non riusciva a credere gli stessero proponendo quello che sospettava, ma in ogni caso era meglio sincerarsene prima di andare in escandescenza.

“Non credo di aver capito,” disse quindi anche se aveva capito benissimo.

“Prova a fare quanti più esami del primo anno possibili Namjoon. Naturalmente questo significa che io e te non ci incontreremo fino a sessione di esami conclusa, vogliamo lasciarti tutto il tempo a disposizione per farlo.” Se Namjoon non rimase a bocca aperta e neppure si alzò imprecando fu solo perché i suoi genitori gli avevano impartito un'ottima educazione.

Quello che fece invece fu alzarsi dalla sedia e uscire dalla biblioteca, non curandosi dei richiami della signorina Choi. Dire che era furente, sarebbe stato un eufemismo. Che genere di opinione aveva la famiglia Kim di lui? Ancora una volta ennesima prova di quanto poco a loro importasse dei suoi programmi, del suo tempo, troppo impegnati a trovare nuovi modi per sfruttarlo come se fosse una macchina che potevano programmare e riprogrammare a piacimento o un trofeo da esibire al pubblico.

Namjoon era quindi marciato dritto in camera ignorando gli sguardi dell'entourage e chiudendosi la porta dietro di se.

Seokjin aveva bussato alla sua porta poco dopo, forse aveva saputo la notizia direttamente dai Kim o forse semplicemente era diventato bravo a intuire i suoi malesseri.

“Namjoon posso entrare?” Aveva chiesto come se non volesse calpestare quei confini che gli altri non si erano nemmeno degnati di riconoscere. Erano diventati abbastanza legati da poter entrare e uscire a piacimento dalle rispettive camere ma Seokjin come sempre aveva preferito dargli il suo spazio, la possibilità di dire no. Questo fu il motivo per cui Namjoon lo fece entrare senza esitazioni.

“Ti hanno chiesto di fare qualcosa, vero?” Seokjin chiese come se sapesse già chi l'aveva messo all'angolo. Namjoon si chiese quante volte in passato al maggiore fossero capitati episodi del genere, probabilmente abbastanza da essere in grado di riconoscere i segnali da lontano.

Nel sentire le parole del maggiore Namjoon, che ancora si trovava in piedi di fronte alla finestra a stringere il cornicione con violenza, riuscì infine a mollare la presa.

Seokjin ne approfittò per prenderlo per mano allora e se lo portò in cucina e insieme si diedero da fare per finire quello che era rimasto dei dolci e della torta del mattino. Davanti a una cioccolata calda Namjoon infine gli raccontò tutto e il maggiore ascoltò ogni parola, promettendo addirittura di parlarne con sua madre per capire se era possibile fare qualcosa. Il più giovane notò come il labbro inferiore di Seokjin aveva tremato leggermente nel sentire le sue parole, capì che il maggiore era arrabbiato, forse molto di più di quel che lasciava a vedere.

Ne ebbe la prova quando più tardi sentì la porta sbattere da qualche parte nella villa e la voce polemica di Seokjin come non l'aveva mai sentito. Poco dopo arrivò una telefonata del signor Kim direttamente sul cellulare di Namjoon e lui capì di non avere altra scelta, ma anche che Seokjin si era ancora una volta messo dalla sua parte. Quella notte non fu Seokjin a venire in camera sua ma fu Namjoon a infilarsi sotto le coperte accanto a lui. Si chiese come mai non l'aveva fatto prima perchè le lenzuola erano intrise di quel naturale profumo personale di Seokjin che tanto gli piaceva e lo metteva a suo agio.

Il maggiore gli fece spazio e si sdraiò su un fianco di modo che i loro visi era uno di fronte all’altro, le sue pupille che catturando la tenue luce dei lampioni brillavano nell’oscurità.

“Mi dispiace Joon,” Seokjin gli disse in un sussurro. Namjoon non esitò, getto le braccia intorno per cingere le spalle del maggiore e lo strinse a se ed era spaventoso come Seokjin si incastrasse perfettamente sotto il suo mento.

Quello strano inverno quindi trascorse in interminabili sessioni di studio e molte notti insonni ma almeno aveva Jin.

Quest'ultimo lo forzava a prendersi della pause sebbene il cervello di Namjoon, spinto verso nuovi limiti, sembrava non volersi mai spegnere.

La verità era che aveva scoperto che fare quel che gli era stato chiesto non era risultato poi così impossibile, riusciva a divorare libri dopo libri e a spingere la sua mente a immagazzinare un’infinità di informazioni in un tempo limitato. Namjoon aveva paura però che rendere evidente questo fatto lo avrebbe messo ancora di più nei guai perché se avessero scoperto che neppure quello era abbastanza da rappresentare una vera sfida allora cos'altro gli avrebbero chiesto di fare?

Se Seokjin si era accorto di questa cosa non gliene parlò, ma cercò anzi di fargli cambiare aria quanto più spesso possibile. Anche se dovevano studiare o dare la parvenza di farlo,Namjoon disse tra se e se, non significava che dovevano farlo per forza nella villa e perciò molto spesso il maggiore lo portava nella biblioteca del college o quando era possibile da Hyosang, dove potevano respirare un po' e, Namjoon dedusse più tardi, avere una maggiore libertà.

“Siete così affiatati che guardarvi mi fa quasi venire la nausea,” Hyosang commentò scherzosamente infilandosi la matita sopra l'orecchio e incrociando le mani dietro la testa, approfittando del fatto che Seokjin fosse andato al negozio più vicino a rifornirli di schifezze per poter essere più impertinente. Se Seokjin fosse stato li niente gli avrebbe impedito di lansciargli una gomma in testa.

Namjoon si era chiesto come mai Hyosang sebbene fosse un Kim apparisse più affabile rispetto agli standard della famiglia ma si era accorto presto che la casa Kim di quel ramo della famiglia era meno soffocante della villa e Hyosang vivendo nella depandance, che era separata dal corpo principale, godeva di una certa privacy.

Si rese conto anche come mai questo era stato il rifugio di Seokjin ogni volta che si era sentito soffocato.

Namjoon in ogni modo si limitò a scuotere la testa mentre finiva di disegnare degli elaborati scarabocchi sul suo blocco di appunti.

“Grazie per avermi ascoltato l'ultima volta,” Hyosang aggiunse dopo un po'. La mano di Namjoon si immobilizzò e sollevò il viso per guardare negli occhi il suo cugino acquisito. Hyosang era una persona molto particolare. Gioviale all’apparenza e sempre pronto alla battuta, spesso anche battute parecchio stupide, ma poi all’improvviso aveva momenti in cui abbandonava la sua maschera abituale per lasciar uscire quella parte di se, riuscendo a fare discorsi che trapassano Namjoon da parte a parte.

“A dir la verità temo di aver fatto ben poco. E' tutto merito di Seokjin, è lui quello che si è sempre dimostrato disponibile.”

“Adesso non sminuirti Namjoon. A volte, a torto, mi dimentico che sei più giovane di noi. Forse obbietterai sul fatto che tre anni non sono poi molti. Ma credimi io a sedici anni ero un disastro e se ora lo sono un po’ meno è solo perché la mia anima gemella ci ha messo una pezza,” Hyosang disse facendo sorridere Namjoon. Poi, proseguì serio, “la famiglia Kim chiede spesso senza mai dare nulla in cambio e con te ha solo iniziato a farlo. Siete forti solo se rimanete uniti Namjoon e forse quando infine il vostro momento verrà, tu e Seokin riuscirete a scacciare l'ombra che da tempo incombe su questa famiglia.”

“Lo credi davvero una cosa possibile?”

“Credevo di potermi fidare solo di Jin. Ma mi fido anche di te Namjoon. Perciò si, credo davvero che alla lunga riuscirete a fare la differenza,” Hyosang concluse con convinzione. Namjoon si sentì pervadere da un'ondata di calore. Non si sentiva di condividere l'ottimismo di Hyosang ma era contento di sapere di avere un altro alleato tra i Kim. Forse era meno solo di quel che aveva pensato.

Seokjin ritornò poco dopo carico bibite gasate patatine e popcorn che non si trovavano in nessuna casa Kim. Probabilmente fu il cibo, o meglio ancora la mancanza di sonno, che finirono col farlo capitolare. Dopo quello che gli sembrarono minuti,infatti, ma che in realtà erano state due solide ore Namjoon si sentì scuotere a una spalla.

“Namjoon, svegliati!” Era Seokjin, chino su di lui così vicino che Namjoon dovette trattenersi dal sussultare ma era sicuro di essere arrossito. “Forse è ora che andiamo a casa,” Seokjin suggeri mentre il più giovane alzava la testa. Qualcuno, sicuramente Jin gli aveva messo un cuscino sotto la guancia evitandogli in quel modo un torcicollo al suo risveglio.

Guardandosi intorno e sbattendo un attimo le palpebre per scacciare il sonno, Namjoon notò che Hyosang non c'era. Quasi leggendogli nel pensiero, una pratica che tra di loro stava diventando una abitudine, Seokjin disse, “Hyosang è al telefono con il suo numero uno. Ci ha invitato a cena ma possiamo fare come preferisci,” Namjoon annui assente ma poi sentendo un lieve sospiro uscire dalle labbra di Seokjin capì che c'era qualcosa e infatti quando si voltò a guardarlo vide che aveva la fronte leggermente corrugata.

“E' successo qualcosa?” Seokjin spostò lo sguardo su di lui incerto su come formulare quello che doveva dirgli.

“Ti ha chiamato Yoongi prima, eri così profondamente addormentato che neppure la suoneria del tuo telefono ti ha svegliato. Siccome ti ha chiamato una seconda volta ho risposto solo per dirgli di chiamare più tardi,” Seokjin disse mentre Namjoon digeriva le sue parole. Seokjin sembrava perplesso forse anche un po’ imbarazzato e non ne capiva il motivo, il fatto che avesse risposto per lui non era nulla di cui preoccuparsi. A meno che Yoongi non avesse detto qualcos'altro e Namjoon si chiedeva cosa, considerando che Yoongi era lungi dall'essere una persona comunicativa.

“Potrei averlo invitato a venire qui o anche a casa nostra se preferiva,” ma prima che Namjoon potesse aggiungere qualcosa Seokjin continuò, “mi è sembrato che avesse bisogno di parlarti.”

Un silenzio strano cadde tra di loro mentre il maggiore scrutava il suo volto alla ricerca di risposte e Namjoon cercava di trattenersi dal passarsi una mano sul viso.

Con tutto quello che aveva avuto da fare prima della sessione di esami e ora che doveva rimanere a studiare anche solo per mantenere le apparenze, Namjoon aveva avuto poco tempo da dedicare al suo migliore amico. I suoi quaderni su cui era solito scrivere testi, giacevano vuoti in un angolo della sua scrivania ed erano state troppe le volte che aveva dovuto dire di no a un invito di Yoongi.

Se era contento del fiorire della sua intesa con Seokjin era anche consapevole che questo aveva finito con l'allontanarlo più o meno consapevolmente dal suo migliore amico. A Namjoon dispiaceva più di quanto fosse in grado di esprimere e sebbene anche la sua vita fosse complicata aveva la certezza che quella di Yoongi lo fosse di più.

“E lui cosa ha risposto?” Namjoon chiese perché Seokjin non aveva menzionato quel particolare.

“Non è sembrato affatto entusiasta,” Seokjin ammise e Namjoon ebbe l'impressione che stesse minimizzando l'impressione che aveva ricevuto. Namjoon sorrise.

“A Yoongi non piacciono molto le istituzioni. Credo che veda la villa come un estensione consolare,” cercò di spiegare anche se non ce ne fu bisogno perché senti l’altro borbottare un “non ha neanche tutti i torti,” che fece allargare ancora di più il suo sorriso.

“Grazie comunque per averci provato. Avrei preferito che accettasse però,” Namjoon aggiunse cercando di reprimere un sospiro. Yoongi, Yoongi che come un animale selvatico ancora combatteva in cerca di una via d'uscita anche se si era infilato in un vicolo cieco.

“Posso chiederti se è tutto a posto tra voi due? E' difficile non notare che sei preoccupato per lui e pur non volendo intromettermi nella vostra amicizia, mi piacerebbe sapere se posso aiutarti in qualche modo. Non conosco bene Yoongi ma mi piacerebbe se lui me lo consentisse. So che lui è importante per te,” Seokjin disse appoggiando il mento sulle sue mani intrecciate, labbra che sporgevano in disappunto per il fatto di non poter fare di più. Namjoon si costrinse a distogliere lo sguardo per non distrarsi.

“E' complicato,” riuscì solo a dire. Sapeva di potersi fidare di Seokjin ma non sapeva se Yoongi avrebbe approvato che lui rivelasse anche quel poco che si sentiva di dire è per giunta si chiedeva se ciò non avrebbe finito col provocare un dispiacere al maggiore. Loro due avevano iniziato col piede sbagliato e Seokjin si era sicuramente chiesto il perché della sua resistenza. Sapere cosa aveva sempre accomunato lui è Yoongi forse gli avrebbe fatto più male che bene

“Se ti è sembrato scortese, so che Yoongi sa essere piuttosto scostante quando vuole, spero che tu non l'abbia presa sul personale. Yoongi sta solo affrontando un periodo difficile.”

Era evidente che Seokjin avrebbe voluto chiedere cosa intendesse Namjoon con quelle parole, ma aveva troppo a cuore lo spazio personale altrui, forse perché così spesso avevano calpestato il suo nella villa Kim, e non osò chiedere di più.

“Se hai bisogno che ti copra perché tu vada a trovarlo, lo faccio volentieri,” Seokjin disse sincero e allora a Namjoon fu impossibile impedirsi dal prendere la mano del maggiore con trasporto e stringerla. E forse se Hyosang non fosse arrivato proprio in quel momento Namjoon avrebbe fatto anche altro, avrebbe attirato il maggiore a se e catturato quelle labbra in un bacio.

“Continuate se volete, fate pure come se io non ci fossi,” Hyosang disse rientrando in salotto e facendo venir voglia a Namjoon di gettargli qualcosa in testa. A giudicare dallo sguardo di Seokjin, il maggiore sembrava condividere i suoi sentimenti.

Hyosang era venuto a dir loro che la sua anima gemella era in arrivo e che aveva piacere a cenare con loro e pertanto decisero di restar.

Un tempo una cosa del genere lo avrebbe messo a disagio, esseri in mezzo a Kim e tra anime gemelle, ma Namjoon scoprì di non provarne affatto.

L'anima gemella di Hyosang era una ragazza piena di vita come Hyosang ma molto determinata, perfettamente in grado di tenere a bada i lati esuberanti del partner. Namjoon pensò con naturalezza che in effetti quei due erano perfetti come solo due anime gemelle potevano a esserlo.

Una fitta di malessere lo attraversò in quel momento e fu quasi insopportabile.

Pensò al vecchio se stesso a come aveva pensato che ciò fosse illogico. Ma soprattutto pensò a Yoongi, a come il suo migliore amico non avesse mai neppure menzionato il nome della persona che avrebbe dovuto essere la sua perfetta metà.


 


 


 


 


 

Quell'inverno Namjoon riuscì nell'impresa di superare quasi tutti gli esami del primo anno e i pochi che gli erano avanzati erano solo quelli che non era riuscito in nessun modo a inserire nella sua tabella oraria.

Una tale impresa ebbe come prima immediata conseguenza una cena celebrativa a cui Namjoon non avrebbe voluto partecipare affatto ma a cui fu costretto comunque per non preoccupare i suoi genitori che vi sarebbero stati presenti. L'unica nota positiva era che perlomeno si trattava della famiglia ristretta Kim e anche se non si trovava affatto a suo agio con il resto dei suoi parenti ad eccezione di Hyosang e la sua anima gemella almeno la festa sanciva la fine del suo periodo di reclusione e una ritrovata libertà di manovra.

Ora che aveva dimostrato le sue capacità i Kim erano sembrati più inclini ad allentare le maglie con cui trattenevano sia lui che Seokjin e questo voleva dire che avrebbe potuto dedicarsi ad altro e soprattutto passare del tempo con i suoi amici, con Yoongi in particolare.

L'ultima volta che erano riusciti a vedere il suo migliore amico, Yoongi era sembrato più taciturno del solito e anche se aveva infine capitolato ed aveva fatto il passo di venire a trovare Namjoon alla villa Kim, il maggiore era sembrato teso per tutta la durata della sua visita e avevano parlato di musica solo per riempire i vuoti. Yoongi quella volta aveva parlato anche con Seokjin e anche se aveva risposto con cortesia alle sue domande e ne aveva fatte altrettante, era evidente che la presenza di Jin sembrava metterlo a disagio.

Namjoon si chiese se sarebbe mai riuscito ad appianare qualsiasi impedimento sembrava ci fosse tra quei due perché paradossalmente Yoongi era stato più amichevole con Seokjin quando Namjoon ancora non sapeva che farsene di quel nuovo legame, mentre ora invece che aveva imparato ad apprezzarlo, sembrava che quel fatto risultasse insopportabile per Yoongi.

Namjoon poteva provare a immaginare il dilemma terribile che stava vivendo il suo migliore amico ma se quel comportamento fosse continuato, si disse, prima o poi avrebbe dovuto affrontare Yoongi in merito.

La seconda conseguenza del suo successo ebbe invece ripercussioni nella sua vita universitaria.

Improvvisamente, e con suo grande rammarico perché non era quello il tipo di attenzione che aveva desiderato, era sulla bocca di tutti come nuovo prodigio non solo dell'intera facoltà di economia ma dell'intera università e più spesso di quanto avrebbe desiderato era oggetto di sguardi insistenti tanto quanto quelli che veniva rivolti a Seokjin. Molti lo avevano persino approcciato chiedendogli consigli e pregandogli di far loro da tutor. Namjoon aveva dato volentieri i primi ma non sapeva se sarebbe stato in grado di fare la seconda cosa.

Fu l'università tuttavia a decidere per lui, quando, senza neppure chiedere la sua opinione in merito, lo appuntarono come rappresentante delle matricole alla giornata introduttiva dedicata agli studenti dell'ultimo anno delle superiori.

Namjoon cercò di consolarsi col fatto che sarebbe stato come fare pratica in vista del suo ruolo futuro ma il pensiero, invece di incoraggiarlo, riuscì solo a deprimerlo ulteriormente. Il futuro consolare, checché fossero le speranze che Hyosang riponeva in loro, sembrava a Namjoon come un incubo terrificante.

Seokjin fece del suo meglio per tirarlo su dicendo che era perfetto per il ruolo e che nessuno poteva rispondere alle domande che quegli studenti gli avrebbero fatto meglio di lui. Namjoon da un lato concordava sul fatto che probabilmente avrebbe potuto capire la loro incertezza. Dall'altro non era sicuro che sarebbe riuscito nell'intento di non gridare che se ne andassero dal dipartimento di economia il prima possibile. Si disse che qualcuno che non aveva scelto ma a cui era stato imposto, fosse il peggior testimonial che avrebbe mai potuto scegliere, eppure era successo.

Perciò quel giorno di fine febbraio si vestì in modo più formale del suo solito look del college e una volta arrivato al cancello dell’università, imboccò la strada dell'auditorium invece che quella delle aule.

Per sua fortuna gli fu risparmiato di dover pronunciare un discorso. La maggior parte delle parole di benvenuto furono dette dal presidente della facoltà e dagli studenti senior mentre a lui toccò semplicemente stare seduto in un angolo della tribuna per suo profondo sollievo. Tuttavia, siccome Namjoon era quello più giovane e ancora fresco di scuola superiore fu lui quello designato allo stand della sua facoltà a rispondere alle domande di studenti curiosi dopo che a turno i diversi gruppi vennero organizzati in mini tour dell'università.

Contrariamente ai suoi timori nessuno gli pose domande troppo difficili. La maggior parte chiedeva quanti crediti avesse il corso o quante materie eleggibili c'erano il primo anno o anche quale era il livello basico richiesto per poter seguire confortevolmente le lezioni, tutte domande che potevano essere risposte leggendo il pamphlet cosa che Namjoon si apprestava volentieri a distribuire. Nessuno sembrava interessato a porgli domande più personali come ad esempio perché avesse scelto quella facoltà o se si trovasse abbastanza bene da consigliarla. Namjoon era intimamente grato a tutti loro.

Di quel passo tuttavia la giornata si annunciava noiosa e tranquilla e quasi si rammaricava di essersi preoccupato così tanto i giorni prima.

Il suo sguardo vagò per tutta la sala grande. C'erano numerosi gruppetti di giovani liceali alcuni davano un'occhiata al materiale informativo, molti chiacchieravano tra di loro e si facevano i fatti propri. Altri ancora cercavano, non molto furtivamente, di mangiare qualcosa senza dare nell'occhio. Ma il suo occhio cadde invece su una figura solitaria.

Sarebbe stato un ragazzo come tanti altri se non fosse stato per il fatto che era l'unico a muoversi non accompagnato. In una realtà come la loro in cui tutti facevano di tutto per non dare mai l'impressione di essere soli, quel ragazzo come tanti altri spiccava in mezzo allo folla come se avesse un faro appuntato addosso.

Era imprudente e poco consigliabile perché come lo aveva notato Namjoon potevano averlo fatto altri eppure questo ragazzo sembrava non curarsene e nessuno dei suoi coetanei sembrava curarsi di lui, come se fosse invisibile. Namjoon provò un moto di curiosità e siccome per la verità non aveva altro da fare che starsene li seduto allo stand e sentirsi fare domande banali, aspettò che il ragazzo si avvicinasse di più prima di alzarsi ed approcciarlo.

“Ciao, posso aiutarti?” Namjoon non era affatto una persona propositiva e sperava di non essere parso troppo impacciato. Il ragazzo parve sorpreso che gli venisse rivolta la parola e per un attimo parve smarrito, guardingo persino.

“Stavo solo guardando un po' in giro. Per la verità sia il discorso di apertura che il pamphlet sono stati molto utili,” il ragazzo disse sventolando quest'ultimo come a rimarcare il concetto.

“Capisco. Nel caso avessi domande di altro genere io sono qui apposta per risponderti,” Namjoon disse. Non sapeva cosa lo stesse spingendo a offrire proprio quello che aveva cercato di evitare tutta la mattinata ma qualcosa nell'alone di tristezza che aleggiava tutto intorno al ragazzo, gli aveva ricordato un po' se stesso. Gli aveva anche ricordato Yoongi a come sembrava così abbandonato a se stesso dietro la placcatura di indifferenza con cui si ammantava.

Il ragazzo parve preso in contropiede e il suo sguardo vagò sul suo viso come se lo stesse studiando. Qualcosa nel viso di Namjoon sembrò convincerlo.

“Ho delle domande ma in realtà non credo tu o qualcun altro sia in grado di rispondere. Dopotutto è già stato deciso che frequenterò economia a prescindere,” il ragazzo disse ma non appena quelle parole fuggirono dalla sua bocca sembrò essersi pentito di averle dette e Namjoon vide l'ombra del panico nei suoi occhi.

L'unico motivo per cui una persona avrebbe dovuto iscriversi a economia senza via di scampo, a meno di non essere un Kim come lui, era perché era un numero zero e gli era quindi proibito iscriversi a facoltà umanistiche o artistiche. Nonostante Namjoon fosse un numero due non c'era nessuno li dentro che poteva capire l'impossibilità di avere una scelta meglio di lui.

La necessità di dover accettare un destino che si detestava.

“Forse economia non è stata una tua scelta, come decidi di affrontarla invece si. È poca cosa, ma fare del proprio meglio può aiutare,” Namjoon disse. Non erano vere e proprie parole di consolazione perchè non vi era nulla in realtà che potesse alleviare la frustrazione e l'amarezza di doversi sottomettere a qualcosa per mancanza totale di alternative, ma sperava potessero servire a qualcosa.

Il ragazzo sembrò soppesare le sue parole, Namjoon vide le sue spalle rilassarsi leggermente e le sue labbra distendersi in un sorriso accennato ma che riuscì a cambiargli completamente l'espressione del viso e improvvisamente non era più un ragazzo qualunque.

“E' un punto di vista. Grazie...Namjoon,” il ragazzo disse guardando il suo nome sul suo badge.

“Non c’è di che...?”

“Jimin,” il ragazzo rispose. “Spero ci incontreremo di nuovo il prossimo semestre,” disse prima di voltarsi e andarsene. Ma Namjoon era soddisfatto perchè almeno ora il ragazzo stava sorridendo.

Lo spero anche io, Namjoon si disse prima di tornare al suo posto.


 


 


 

Ci fu una terza conseguenza alla sua impresa una che Namjoon non si era aspettato minimamente e che, come tutti gli imprevisti, aveva finito col colpirlo così forte da togliergli il fiato.

Successe qualche giorno, quando ormai Namjoon aveva le difese abbassate e si godeva i giorni di meritato riposo e soprattutto Seokjin. In quei giorni,in effetti, la sua unica preoccupazione era ricucire il suo rapporto con Yoongi e, soprattutto, cercare di resistere alla tentazione sempre più forte che rappresentava il suo numero uno.

Lo sapeva cos'era, lo sapeva, ma se Seokjin era la consolazione dell'avere un destino in cui non poteva scegliere, si chiedeva se sarebbe stato abbastanza per riempire la sua perdita, se lui sarebbe stato in grado di accettarlo.

Poi un pomeriggio di tardo febbraio, la signorina Choi gli disse che il console Kim lo avrebbe aspettato dopo lezione per un incontro. Namjoon non lo trovò insolito perché non era la prima volta che si erano trovati a tu per tu.

Ciò che trovò strano fu che il signor Kim non lo aspettò nell’ufficio della villa, ma in una macchina governativa a pochi passi del cancello principale dell'università.

“Signore non l'aspettavo qui,” Namjoon disse non appena si fu accomodato al suo interno. Si sentì improvvisamente nervoso. Aveva un pessimo presentimento.

“Buongiorno Namjoon. So che non mi aspettavi qui ma oggi faremo una gita speciale,” disse sorridendo. In qualche modo quel sorriso non era affatto rassicurante.

“Non capisco signore,” Namjoon disse e per una volta, per una volta, non aveva davvero idea e la cosa stava iniziando a spaventarlo.

“Un po’ di tempo fa mi hai chiesto cosa fosse il parametro del coefficiente, è arrivato il momento che tu sappia la risposta. Ti sei impegnato tanto, mi sembra giusto,” il signor Kim disse prima di rispondere a una chiamata.

Nervoso come non mai ma con la sua curiosità destata, Namjoon si sistemò sul sedile chiedendosi se dovesse dire qualcosa a Seokjin o aspettare di capire quanto ci avrebbe messo prima di avvisare il maggiore. Si erano messi d'accordo per uscire solo loro due ed era una cosa nuova e pertanto Namjoon aveva anticipato molto quella sera.

La macchina si mise in moto e il veicolo prese la via che portava in centro città. Mentre guardava fuori dal finestrino Namjoon si chiese cosa avrebbe dovuto aspettarsi,se era ennesima prova o presa in giro, stava davvero per vedere la fonte di tutto?

Quando poco dopo ebbero raggiunto il palazzo governativo Namjoon si disse che avrebbe dovuto aspettarselo che era così semplice, la risposta era sempre stata nascosta sotto il naso di tutti proprio dove era più ovvio che fosse posizionato e proprio per questo motivo insospettabile. Scesero dalla macchina circondati da guardie del corpo e quando il console Kim lo fece salire sull'unico ascensore dell'intero palazzo governativo che scendeva Namjoon capì che da li a poco avrebbe visto la macchina, il grande computer che da un piano sottoterra sviluppava l'algoritmo di mondo due.


 


 


 


 

Era quasi tramontato il sole quando Namjoon emerse, il riflesso della luce gli feriva un po' gli occhi dopo tutte quel tempo sottoterra in stanze illuminate solo dalla luce che emanava dai computer o forse no, forse la sua vista era fallace perché stava facendo di tutto per non cedere all'istinto primordiale del piangere. Ma non poteva crollare non lì di fronte al palazzo governativo, probabilmente non avrebbe potuto permettersi di farlo mai.

In qualche modo ebbe la lucidità di prendere il cellulare e di mandare a Jin un messaggio per avvisargli che non sarebbe tornato perché un altro impegno lo aveva trattenuto. Gli sembrava orribile dover usare il suo miglior amico come scusa ma non credeva che sarebbe riuscito a guardare Seokjin in faccia senza crollare sul posto.

C'era una macchina scura proprio di fronte all’ingresso che stava aspettando proprio lui, Namjoon vi si infilò dentro dando istruzioni precise all’autista per portarlo in un posto in cui non era mai stato ma che aveva il pregio di non essere la villa Kim.

Non poteva tornare a casa sua, non poteva tornare dai Kim, non aveva un luogo in cui tornare e l'unico posto che gli era venuto in mente era anche l’unico in cui sentiva di non alcun diritto di pretendere asilo, non ora che Namjoon era consapevole della verità e non quando era anche consapevole di come non avrebbe mai – mai - potuta rivelarla, anche se il farlo lo avrebbe consumato lentamente.

L'autista si fermò davanti a casa di Yoongi e se ne andò non appena Namjoon fu sceso dalla macchina. Vide dei movimenti di tende dalla casa di Yoongi e seppe allora di essere stato visto.

Non era entrato mai in casa sua perché il suo migliore amico non l'aveva mai invitato eppure quando Namjoon si avvicinò al suo ingresso Yoongi non esitò ad aprirgli la porta.

“Namjoon ?” Chiese incerto. Yoongi era lì davanti a li, e la sua infelicità era così evidente che Namjoon non sapeva se poteva sopportarne la vista.

Avrebbe voluto collassare e raccontargli tutto, condividere con qualcuno quel fardello come aveva fatto il suo amico quella volta in quel parco, in cui Yoongi vinto dal suo senso di colpa era infine crollato. Solo che Namjoon sapeva che forse quella colpa non era del tutto sua.

Tuttavia volere bene a qualcuno, volere davvero bene a qualcuno significava tacere e sopportare in silenzio il peso.

“Entriamo in casa,” Yoongi disse prendendolo per la manica e trascinandolo dentro. La porta si chiuse dietro di loro e mentre seguiva Yoongi al suo interno Namjoon pensò a Jin e a come, proprio quando scopriva di amare era anche quando scopriva di dover perdere tutto.


 


 


 


 


NdA: tutto quello che ho scritto di mondo due  è stato scritto per arrivare a questo momento (dramatic fanfare). Se avete letto Un mondo per noi due forse non vorrete perdervi il prossimo capitolo ;)) Non voletemene per avervi lasciato in suspence, ma la verità sull'algoritmo merita tutto un capitolo per sè. Teniamoci forte TT

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Capitolo 11
*** L'amore è un'illusione (interlude) ***


L'amore è un'illusione (interlude)


 


 

Le illusioni all'infrangersi trascinano via con sé un po' dei nostri sogni.

Quelle di Namjoon, tuttavia, si erano portate via una porzione così grande che lui non era affatto sicuro fosse rimasto qualcosa se non il suono dell'eco, l'ultimo strascico prima del vuoto.

La parte peggiore del tutto, anche se era arduo scegliere quale parte esattamente meritasse un tale onore, non era tanto il fatto di essersi illuso, qualcosa che alla sua età era praticamente inevitabile, era il non essersene accorto, era l'essere stato schiaffeggiato in faccia dalla verità e rendersi conto che le sue certezze si posavano su fragili premesse; era il rendersi conto, nonostante il cinismo di cui era sempre andato fiero, di aver concesso a se stesso il lusso di lasciarsi andare e aver smesso di proposito di valutare i fatti accettandoli invece per come gli venivano palesati.

Aveva iniziato a sperare che potesse essere tutto reale e, a un certo punto, aveva iniziato col crederlo tale. Era questa, si disse, la fregatura del desiderare qualcosa più di ogni altra.

In qualche modo, in qualche frangente, Namjoon aveva finito col desiderare Jin e, nel farlo, aveva minato le basi di ogni suo appiglio razionale. Il resto era stato tutto consequenziale.

Eppure non si era immaginato le sue sensazioni, l'accelerare delle sue palpitazioni quando lui gli stava accanto, quel senso di profondo benessere che provava solo quando erano insieme.

Come poteva quindi l'amore essere una bugia quando amare era l'unica cosa che avrebbe dovuto essere reale?

Era una contraddizione troppo grande, un'equazione troppo complicata che lui non riusciva a risolvere. Ancora una volta Namjoon era venuto meno a se stesso e l'unica cosa che era in grado di fare era sperare di riuscire a rimanere a galla, aggrappandosi con disperazione alla noiosa routine dei Kim, che prima aveva tanto disprezzato, come se fosse un salvagente, qualsiasi cosa pur di tenere la mente occupata e non sentire quell'osceno mormorio che gli sussurrava quanto amasse e quanto ciò fosse completamente futile.

Da quando era tornato da casa di Yoongi, Namjoon aveva fatto del suo meglio per nascondere quello che aveva appreso, l'algoritmo, i suoi sentimenti, Yoongi, tutto, profondamente convinto che nulla dovesse uscire dalla sua bocca perché a cosa sarebbe servito? Solo a rendere più infelici coloro che amava. Quindi anche se affrontare Jin era parso una sfida più spinosa di quanto era stato condividere la stanza con Yoongi quella notte, Namjoon lo aveva comunque fatto.

Era rientrato in villa quindi, esausto e svuotato ma con la determinazione di portare a termine il suo compito ad arte. Perché non aveva scelta, perché fare diversamente non sarebbe servito. Perciò si alzava presto come ogni mattina, faceva colazione con Seokjin e insieme andavano a lezione. Quando i loro orari coincidevano pranzavano insieme e insieme tornavano alla villa tutte le sere dopo lezione, almeno le volte in cui uno dei due non era richiesto altrove per doveri legati alla famiglia Kim.

Il resto del tempo Namjoon lo trascorreva recluso in camera sua a scrivere furiosamente sui suoi quaderni testi di canzoni che ormai, ne aveva la assoluta certezza, non sarebbero mai usciti da quella stanza, interrompendosi ogni tanto solo per messaggiare con Yoongi il quale, nonostante i suoi problemi, sembrava trovare il tempo per preoccuparsi anche di lui. Namjoon immaginava che quella sera dovesse avergli fatto molta impressione, ricordava vagamente che alle domande di Yoongi lui non era riuscito a fare altro che rispondere col silenzio.

Tutto era in regola, le giornate di Namjoon erano perfette nel loro copia in colla, e davvero nulla ma proprio nulla appariva diverso visto dal di fuori, era sempre la stessa persona che mangiava studiava e scriveva testi nel tempo libero, quella che si aggirava per la villa Kim.

Ma anche quella era ennesima illusione la differenza era che questa volta ci si era tuffato volontariamente, aveva infine smesso di dibattersi e deciso fosse meglio lasciarsi assorbire da quella casa, facendo quello che avrebbe dovuto fare fin dall'inizio, quando ancora pensava di avere le armi per fare la differenza e di poter cambiare qualcosa.

Aveva infine accettato la verità e poco importava che fosse stata la macchina dell'algoritmo con le sue combinazioni o il destino, come dicevano altri, o anche solo i disegni crudeli di qualcuno nell'ombra.

Namjoon non avrebbe potuto essere altro che il partner perfetto dell'erede dei Kim e, in quanto tale, un Kim a sua volta.


 


 


 

In tutti suoi anni di bambino e adolescente Namjoon aveva fantasticato spesso su quel posto, su che aspetto dovesse avere il laboratorio dove la macchina dell'algoritmo vaticinava in gran segreto e silenziosamente i suoi risultati. Si divertiva, con un certa dose di sarcasmo man mano che passavano gli anni, a immaginarne i più piccoli dettagli a cominciare dalla grandezza della stanza, il livello di sofisticazione dell'apparecchiatura, il tipo di personale che vi poteva lavorare e via dicendo.

Le sue versioni preferite del laboratorio erano due, entrambe molto fantasiose ma anche contrastanti. C'era infatti la visione fantascientifica fatta di luci al neon violette, ambienti di un bianco candido immacolato e persone in camice bianco e quella invece decadente, fatta di un vecchio scantinato dismesso in una casa lercia dove un computer vecchio di generazioni sbuffava comandi a casaccio.

E ora che Namjoon aveva davvero la possibilità di vedere questo posto con i suoi occhi, reali e non solo con quelli delle mente, si rese subito conto che la realtà era al contempo al di sopra e al di sotto delle sue immaginazioni.

Il laboratorio dove veniva custodito la macchina dell'algoritmo aveva l'aspetto di un banalissimo ufficio di un qualsiasi reparto contabilità e amministrazione di un'azienda, anche se con un gusto più asettico nell'arredamento.

La stanza principale era costituita da numerose scrivanie stipate in cubicoli dove persone dall'aspetto anonimo si affaccendavano apparentemente oberate di lavoro (Namjoon immaginava che cercare di filtrare la dose di dati che la macchina sputava fuori al minuto richiedesse un sacco di personale all'opera), tuttavia il signor Kim non degnò la stanza nemmeno di un'occhiata, ignorando la vista come se ci fosse stato un muro solido invece di una vetrata a dividere il corridoio dagli uffici.

Proseguirono svelti lungo il corridoio in finto marmo, la mano del signor Kim che appoggiata leggera sulla sua schiena lo guidava in avanti, come se Namjoon fosse un ospite di riguardo e lui la sua personale guida turistica. Namjoon avrebbe preferito non essere toccato affatto perché sebbene delicato, persino paterno, il gesto del signor Kim sembrava più la zampata di un predatore che la premura di un famigliare.

Namjoon gettò un'occhiata al profilo di quell'uomo che era ormai un suo parente chiedendosi ancora una volta dove potesse mai essere la somiglianza con il figlio. Forse c'era qualcosa nel suo sorriso che ricordava quello di Seokjin e certamente molto c'era della corporatura, stesse spalle larghe stesse dita delle mani nodose. Ma non aveva mai visto il sorriso del signor Kim arrivare ai suoi occhi neppure una volta e non aveva mai visto le sue dita afferrare altro se non documenti e mai eseguire un gesto d'affetto anche piccolo, come quando Seokjin faceva scorrere veloci le sue dita sul suo colletto stropicciato e sfiorava con dolcezza la pelle del suo collo o quando le serrava delicate intorno al suo polso per guidarlo.

Per quanto fosse facile distrarsi al pensiero di Seokjin, Namjoon cercò di concentrarsi sul presente nel tentativo di raccogliere il maggior numero di informazioni e dettagli possibili.

Per anni Namjoon si era domandato cosa ci fosse dietro il sistema, con una curiosità che si era acuita sin da quando aveva messo piede nella villa Kim ed era stata esasperata dagli studi che aveva fatto sotto richiesta della famiglia.

Non poteva certo negare che una parte di lui avesse provato a mettere in discussione il suo stesso scetticismo, ipotizzando che le sue conversazioni con Yoongi sulla veridicità o meno dell'algoritmo fossero solo chiacchiere di chi non aveva sperimentato il processo e per questo non obbiettive. Tuttavia anche quando infine Namjoon aveva avuto modo di provare in prima persona cosa volesse dire essere numero due, i suoi dubbi non erano stati affatto sciolti.

Namjoon non si era sentito diverso dopo l'introduzione, il baricentro del suo mondo non era cambiato nell'incontrare Jin e la vita in cui successivamente era stato trascinato avevano solo finito col esacerbare i suoi dubbi. In effetti, se mai era arrivato a quel punto, al punto di sentire di provare qualcosa di profondo e reale nei confronti di Seokjin, Namjoon sospettava fosse interamente merito del maggiore e molto meno dell'algoritmo. Per le qualità che aveva, per il modo in cui si era sempre preso cura di Namjoon, per i suoi difetti che c'erano ma lo rendevano più umano, semplicemente per essere la persona che era.

Era naturale quindi che Namjoon si sentisse profondamente confuso, avere sotto gli occhi l'esperienza del suo migliore amico Yoongi, il cuore non diviso in due ma fatto letteralmente a pezzi nell'impossibilità di andare oltre alla sua contraddizione, di certo non lo aiutavano affatto a schiarirsi le idee. Questo momento pertanto gli faceva paura ma era anche molto significativo per lui.

C'erano numerose porte chiuse che si affacciavano al corridoio ma Namjoon e il signor Kim tirarono dritto. Qualsiasi segreto si celasse dietro di esse Namjoon non lo avrebbe scoperto. Ma dopotutto non era poi così importante essere al corrente di tutto e non era neanche così affamato di sapere. Sospettava che in ogni caso negli anni molte di quelle porte si sarebbero aperte suo malgrado ma per il momento non voleva ancora abbarcarsi quel peso e in ogni caso gli importava che solo una porta si aprisse.

In quel modo trovando la risposta che avrebbe chiarito tutto, la spiegazione logica che avrebbe aggiustato ogni pezzo distorto del puzzle, avrebbe potuto mettere fine alla sua incertezza e chissà, forse persino trovare una risposta sensata che avrebbe potuto spegnere l'agonia di Yoongi.

Il corridoio arrivò ben presto alla sua fine e Namjoon si trovò di fronte a ennesima porta sigillata. Tuttavia questa volta sembrava proprio che non sarebbe rimasta tale, vide infatti il signor Kim avvicinare l'occhio al lettore di retina e subito dopo sentì il rumore di sigilli che venivano aperti e lo scatto di una serratura che si apriva che dava il segnale di via libera. Il signor Kim gli fece un cenno gentile invitandolo ad aprire la porta con quel sorriso suo caratteristico che era affabile ma che non arrivava agli occhi.

Namjoon non se lo fece ripetere due volte e con una certa apprensione, ma anche con un velo di eccitazione, girò la maniglia e aprì la porta.

Si rese conto subito che quel luogo era più protetto di quanto quella banale porta in formica lasciasse ad intendere e probabilmente era stato scelto quel materiale proprio per non dare nell'occhio. Lo scanner aveva aperto un portone in blindato e altre porte vetrate che Namjoon supponeva fossero antiproiettile.

Il suo occhio tuttavia non si soffermò a lungo su questi particolari ma fu subito rapito dall'immensità della stanza. File di macchine si susseguivano una dietro l'altra, connesse l'una all'altra da un fascio di cavi che sembravano condurre verso un'unica direzione. Come guidato da un istinto primordiale Namjoon non ebbe bisogno che il signor Kim gli dicesse dove andare, sapeva che gli sarebbe bastato seguire la direzione dei cavi fila dopo fila di quella stanza enorme, per arrivare a destinazione.

Sentiva la sua respirazione farsi inframezzata e del sudore freddo raccogliersi alla base della nuca, ma non vi badò, accelerò invece il passo senza curarsi del fatto che il signor Kim fosse rimasto indietro (appariva un dettaglio banale al momento soprattutto di fronte a quello che lo aspettava alla fine) e non si fermò fino che non fu arrivato a quello che sembrava l'ultimo angolo. Infine, quando Namjoon si fu affacciato oltre l'ultima fila di mega computer, ecco che lo vide, il computer sorgente che elaborava l'algoritmo, la fonte di tutto, la macchina che con i suoi numeri muoveva mondo due.

Si trattava di un semplice computer posato su una scrivania, uno di quei vecchi rottami che apparivano in tv quando parlavano di passata tecnologia. L'unica cosa che ne detonava la modernità erano la serie infinita di sequenze di 1 e 0 che scorrevano sul suo schermo. Ogni sequenza appariva diversa dall'altra e Namjoon intuì che era così perchè le sequenze si basavano sul patrimonio genetico dei diversi singoli individui.

Namjoon per un lungo attimo rimase a guardare lo schermo come ipnotizzato, consapevole di star osservando lo scorrere del mondo e delle sue relazioni, ma ben presto si rese conto che quei numeri per quanto affascinanti erano privi di significato senza una chiave di lettura. Si voltò verso il signor Kim interrogativo. Se erano venuti qui solo per vedere questo, Namjoon riteneva fosse stato tutto tempo sprecato ma il signor Kim al vedere il suo sguardo sorrise sardonico come se gli avesse letto nel pensiero. Un brivido percorse la sua schiena.

“La prima volta che l'ho visto anche io ho pensato, tutto qui?” disse il signor Kim con un sorriso di scherno. Namjoon si morse l'interno della guancia per non rispondere e dirgli che no, lui non aveva pensato affatto la stessa cosa, la sua perplessità non era nei confronti del computer ma del signor Kim. Decise comunque che fosse meglio stare a sentire quali fossero le intenzioni di quell'uomo.

“Questo computer non è l'originale ma i ricercatori, trasportati dal sentimentalismo, hanno cercato di ricreare nel ridisegnare il suo layout l'aspetto che doveva avere un computer allora. L'unico pezzo autentico è la scheda madre che sebbene sia stata adattata e aggiornata nei decenni di modo che fosse compatibile, non è mai stata toccata. Molti, e sarai sorpreso di sapere, soprattutto nell'ambito scientifico, tendono ad avere quasi un atteggiamento reverenziale nei confronti della matrice che per prima ha registrato la prima codifica, arrivando persino ad attribuire ad essa un che di provvidenziale. Sembra un po' sciocco considerando che costoro sono i primi a sapere che la prima stringa dell'algoritmo fu ideata da un comune essere umano come noi, anche se decisamente più intelligente e brillante della media,” disse il signor Kim lasciandosi sfuggire una risata leggera.

“Ma lasciando da parte questi dettagli tecnici, immagino ti starai chiedendo il motivo per cui ti ho portato qui,” aggiunse poi tornando serio.

Namjoon cercò di nascondere la propria impazienza e si limitò quindi a dire laconicamente, “ si me lo sono chiesto.”

Il signor Kim annuì e poi prese una delle sedie sistemate accanto alla scrivania su cui poggiava il computer e dopo essersi accomodato su di essa fece cenno a Namjoon di sedersi sull'altra. Namjoon si sentì invadere da un'ondata di nervosismo e si sedette quindi di malavoglia. Avrebbe preferito rimanere in piedi ma lo sguardo del signor Kim era più pesante di un comando.

Prese la sedia che gli era stata indicata e si sedette di fronte a lui.

“Una volta mi hai domandato cosa fosse il valore del coefficiente dell'algoritmo e perché non ci fossero fonti reperibili che spiegassero il concetto esaurientemente e io ti dissi che il coefficiente era un argomento coperto da segreto governativo.” Namjoon vide il signor Kim accarezzarsi il mento con fare pensoso tradendo per la prima volta l'ombra di una qualche emozione.

Non disse nulla aspettò che l'uomo procedesse perché si sentiva alla deriva, come se fosse stato guidato nel profondo di una foresta e l'unica guida per uscirne fosse quell'uomo. Il signor Kim improvvisamente aprì un cassetto della scrivania, facendo sobbalzare leggermente Namjoon che ci mise qualche attimo a capire che il signor Kim stava cercando solo dei documenti. Nel passarli a Namjoon, i loro sguardi si scontrarono e il giovane notò allora lo stesso nocciola degli occhi di Seokjin replicati nel volto del signor Kim, una persona che non stimava affatto. La cosa lo infastidì più di quanto fosse razionalmente accettabile.

Prese i documenti dalle mani del signor Kim, concentrandosi immediatamente su di essi, occhi che si spostavano febbrili e che cercavano di leggere il più velocemente possibile. In un primo momento fu la confusione il suo primo sentimento. I documenti avevano l'aspetto di un anamnesi famigliare, fornivano a Namjoon ogni genere di informazione su una serie di individui (ne aveva contati tre) e per un attimo non capì come ciò potesse rispondere al suo quesito sul coefficiente. Ma proprio quando stava per dare voce ai suoi pensieri e chiedere al signor Kim cosa significava tutto questo, Namjoon arrivò infine all'ultima pagina del breve fascicolo, una serie di percentuali in ordine crescente con tanto di grafico a colonne che ne evidenziava visivamente la disparità.

Notò subito che gli ultimi due risultati erano identici ma anche che uno di questi erano stato evidenziato e scelto come risultato finale. Un barlume di comprensione iniziò a farsi strada nella sua mente e quando i suoi occhi lessero le cifra, Namjoon sentì una stretta allo stomaco seguito da un leggero sentore di nausea quando comprese cosa quei numeri indicassero.

“Settantre per cento?” Namjoon chiese debolmente al signor Kim, il cuore che batteva all'impazzata.

“Settantrè per cento è un ottimo risultato di questi tempi,” il signor Kim rispose con il tono bonario di un insegnante che risponde a una domanda particolarmente intelligente di un suo allievo.

Namjoon inorridito guardò nuovamente i numeri come se questi per magia potessero cambiare ma essi rimanevano immutati sulla carta. Settantrè per cento, la sua mente continuava a leggere ancora e ancora nella speranza che il significato potesse essere diverso ma invano. Settantrè per cento.

Il ventisette per cento di margine di errore.

Le sue dita strinsero forte i fogli di carta sgualcendoli e orrore si aggiunse ad orrore quando anche il resto dei dati gli fu infine più chiaro. Non era neppure un settantrè per cento assoluto, c'erano due risultati finali con le stesse probabilità e la cosa più agghiacciante era l'esistenza di almeno una decina di risultati con un numero molto vicino a quello prescelto, la differenza misurabile in centesimi.

Namjoom si sentì gelare nelle ossa, muscoli rigidi che lo inchiodavano sulla sedia.

“Questo è un abbinamento non è vero? Un abbinamento reale?” Namjoon chiese senza fiato.

“Si. Quello che hai sotto mano è il documento ufficiale di abbinamento di una coppia di numeri due. Il profilo genetico di queste persone è stato analizzato e l'algoritmo ne ha calcolato il livello di compatibilità. Quelli che vedi sono i risultati,” spiegò il signor Kim calmo. Il tono pacato invece di tranquillizzare Namjoon finì invece con l'infuriarlo, trasformando il suo shock in ira fredda.

“Il settantre per cento è un numero troppo basso, il margine di errore è troppo ampio e lei mi sta dicendo che pur con questo risultato l'abbinamento è stato approvato?” il signor Kim non ripose e neppure si scompose sebbene Namjoon avesse alzato la voce a un livello quasi isterico.

“Si se consideri che la soglia minima è il 65%,” disse sempre in tono tranquillo.

Namjoon avrebbe voluto vomitare. Il 35% di margine di errore.

“Mi sorprende che tu ti sorprenda, Namjoon. Pensavo l'avessi capito da un pezzo. Nel tuo saggio hai detto che il problema non è il sistema in sé ma le persone che portano avanti il sistema. Il fattore umano,” il signor Kim rispose, espressione impassibile. “Conosci la storia dell'algoritmo l'avrai studiata infinità di volte a scuola e hai sicuramente avuto modo di approfondire l'argomento dietro mia richiesta. Tutte quelle ricerche sulla legislazione consolare che ti sono sembrate così noiose e inutili avevano come scopo questo: farti capire la degradazione del sistema.

I nostri padri fondatori nella loro infinita saggezza hanno deciso di costruire un mondo più equo e giusto basato sull'algoritmo, creando un sistema che, allora non lo potevano sapere, avrebbe risolto gran parte dei problemi della nostra società umana. Allora naturalmente l'unico problema che si cercava di risolvere, e il motivo per cui le ricerche sul genoma umano erano iniziate, era l'inversione del calo drammatico di nascite. Tale calo non era tanto basato sull'infertilità ma sull'alto tasso di mortalità infantile che si era diffuso e scoraggiava la gestazione. I primi abbinamenti effettuati seguendo le indicazioni dell'algoritmo avevano dato subito riscontri positivi. Le coppie non solo erano in grado di concepire al cento per cento ma erano in grado di concepire bimbi sani. Dai primi esperimenti fu subito evidente che tutti i bambini frutto degli abbinamenti avevano un corredo genetico più forte e una aspettativa di vita più lunga.

Il passo dall'incoraggiare a seguire le indicazioni dell'algoritmo a rendere la cosa tassativa fu piuttosto breve anche se non indolore.

Ci sono voluti decenni di narrativa e propaganda mirata per rendere il concetto più accettabile, aiutava il fatto che gli abbinamenti avvenuti tramite questo metodo sembravano non solo funzionare a livello genetico ma anche affettivo, con il più basso tasso di separazioni mai registrato nella storia dell'umanità. Ben presto questa macchina da strumento di oppressione fu ben presto considerata una strumento della provvidenza. Tuttavia come hai sottolineato nel tuo saggio, il più grande difetto del sistema è il fattore umano. Siamo deboli Namjoon, non importa quante soluzioni troviamo, l'essere umano trova sempre un modo per inquinare le proprie miracolose scoperte, le sporchiamo con la nostra ambizione e i nostri interessi personali. Ci fidiamo ciecamente del sistema e a torto perché nel sistema ci sono le persone e le persone sono lungi dall'essere perfette. Come puoi immaginare nel corso del secolo, sebbene non numerose, sono state molte le ingerenze che il sistema ha subito,” il signor Kim concluse sbuffando con diabolico sarcasmo.

Namjoon era ancora immobile sulla sedia, rigido come una lastra di ghiaccio mentre ascoltava la verità dalla bocca del signor Kim.

“Il sistema è stato manipolato...” Namjoon disse labbra che si muovevano appena. “Quante volte?” trovò il coraggio di chiedere anche se il sentire la risposta gli faceva orrore.

“Ha importanza? Anche solo una volta sarebbe stato abbastanza perché è sufficiente spostare un tassello dello schema del mondo per incrinare l'intero equilibrio. Ogni persona che, per motivi personali, ha pensato di pilotare il sistema a proprio favore per avere un abbinamento più vantaggioso, ha finito con il ridurre le possibilità degli altri e con il tempo - inevitabilmente - ha finito con il minare la qualità degli abbinamenti stessi. Hai letto i decreti, più tempo passa, più frequente è necessario cambiare il paradigma dell'algoritmo, nella speranza di riuscire a mantenere il sistema intatto anche se questo è irrimediabilmente infettato da tempo,” concluse infine il signor Kim abbandonandosi sulla sedia. Come faceva quest'uomo a rimanere tranquillo di fronte all'evidenza dello sfacelo di un intero sistema. Di vite umane?

“E così a ogni generazione che passa i legami creati da questa macchina si fanno sempre più deboli, il margine di errore tollerato sempre più ampio, in una corsa al ribasso che sembra non aver fine.” sentenziò Namjoon con un tono di voce così funereo che non riusciva a riconoscere come proprio.

Un silenzio grave, denso seguì questa sua affermazione, la verità che pesava tra di loro come una cortina di acciaio e Namjoon avrebbe voluto strapparsi le orecchie per non sentire altro. Null'altro perché era già troppo.

“So che è una verità difficile da digerire. Lo so perfettamente Namjoon,” il signor Kim disse, il suo tono improvvisamente accorato che mal celava una nota di urgenza. Le sue dita si serrarono sul suo polso e Namjoon avrebbe voluto strappare il suo braccio da quell'artiglio ma era troppo scioccato gli impulsi cervello muscoli completamente assenti.

“Mi sono trovato anche io su quella stessa sedia, nella tua stessa scomoda posizione quando mio padre mi rivelò questa stessa verità. E' qualcosa che ti cambia, io lo so più di chiunque altro. Ma non possiamo permetterci debolezze Namjoon, non se lo può permettere la nostra società e neppure la nostra famiglia. Il ruolo che tu e Seokjin avrete nel cercare di arginare questa caduta è fondamentale,” il signor Kim disse con improvvisa veemenza riuscendo a scuotere Namjoon dal suo torpore. Perchè con i Kim sembrava esserci sempre un secondo fine?

“Tu e Seokjin siete la coppia perfetta che stavamo aspettando. Mio figlio, sia benedetto il cielo per questo, per quanto sia intellettualmente nella media, ha un modo di fare che lo rendo gradito alla gente comune mentre tu Namjoon con le tue capacità sei il consigliere migliore che un primo console potrebbe sperare di avere. Le leggi che promulgheremo saranno più digeribili se avranno il vostro volto. Quando verrà il momento tu e Seokjin dovrete mettere da parte le vostre preferenze e attività personali e agire nell'interesse di tutti,” e lo disse guardando Namjoon dritto negli occhi e allora in quel momento ebbe l'orribile impressione che lui fosse perfettamente al corrente delle attività che sia lui che Seokjin credevano di fare di nascosto. Aveva anche la terribile sensazione di essere, ancora una volta, delle mere pedine nelle mani di interessi più grandi.

“Cosa avete in mente voi e il senato signor Kim?” Namjoon allora chiese quasi per inerzia. Non lo voleva sapere non avrebbe mai voluto saperlo mai, ma tanto cosa sarebbe cambiato se lo scopriva ora o tra un paio di anni, la verità gli sarebbe comunque stata scaraventata addosso. Per la prima volta vide il signor Kim dare prova di un turbamento interiore. La cosa non lo calmò affatto.

“La verità è che più della metà dei numeri due supera a malapena la soglia di accettazione. E' per questo che per evitare spiacevoli conseguenze nuove leggi, più severe ma anche più sicure, vanno varate. Se la macchina verrà lasciata lavorare in pace, col tempo il coefficiente minimo salirà, il concetto di numero due si rinsalderà e torneremo ad avere una maggioranza reale.”

Namjoon aveva serrato le sue dita sui documenti in modo così violento da aver reso questi ultimi impresentabili ma dopotutto cosa poteva importargli in quel momento di dettagli simili quando l'unica cosa che voleva fare era prendersi la testa tra le mani e urlare.

Era tutta un grande gigantesca bugia.

Quanti numeri due andavano in giro credendo nel proprio status quando meri centesimi li separavano dalla soglia? Quanti numeri zeri erano stati privati della felicità perché qualcuno aveva manomesso gli abbinamenti a proprio favore?

Non era la macchina, erano queste persone, queste persone che nella loro ambizione perversa si erano arrogati il diritto di decidere chi era dentro e chi era fuori basandosi sul mero calcolo e sulla convenienza e non sulla equità. E il tutto solo per mantenere il sistema che legittimava il loro potere.

Non era provvidenza, non era destino. Giocavano con le vite delle persone come se fosse una partita a dadi.

Incapace di guardare negli occhi quell'uomo Namjoon abbassò lo sguardo mentre cercava in qualche disperato modo di fare ordine nella sua testa e non smarrirsi negli abissi della disperazione. Più tardi avrebbe maledetto anche quel momento, in cui il suo occhio guardando in basso, lesse sul foglio malridotto una informazione che prima gli era sfuggita.

La data di nascita della prima persona censita nel file era famigliare.

Allora, come preso da un'ansia febbrile, riaprì il fascicolo e rilesse ogni pagina, riga per riga, cercando di ignorare il peso dello sguardo dell'altro che lo stava osservando.

Altezza, peso, gruppo sanguigno erano plausibili ma ancora avrebbe potuto trattarsi di una coincidenza se non fosse stato per la data e il luogo di nascita. E allora rilesse gli altri due profili allegati, un maschio e una femmina, i due che per l'appunto corrispondevano a quel settantrè per cento e vide come fosse stato scelto quello femminile a discapito di quello maschile.

“Questo fascicolo non è un fascicolo a caso. Lei me lo ha mostrato con un intento preciso,” sputò fuori Namjoon con disgusto mentre pregava nella sua testa sperando che il signor Kim gli desse torto. Doveva dargli torto.

Questi rimase in silenzio per un lungo attimo, lo sguardo limpido come se non gli importasse di star facendo a pezzi il suo mondo e poi sempre con calma sconvolgente disse,

“hai ragione, te l'ho mostrato di proposito perché tu capisca fino in fondo il peso che questa famiglia porta e continuerà a portare. Quello del tuo amico non è l'unico caso di compatibilità binomica e se la falla non verrò gestita non sarà certo l'ultimo.”

“In base a quali criteri si è deciso che così deve essere, quale criterio immondo ha fatto si che il libero arbitrio non contasse nulla?” Namjoon chiese alzandosi dalla sedia. Avrebbe voluto fare a pezzi il fascicolo e gettarglielo in faccia ma lo sguardo profondo e terribile di quell'uomo lo inchiodava li.

“In base alla soluzione più logica. Tra due candidati alla pari ma di differente sesso la macchina favorirà sempre la scelta che consente la riproduzione,” il signor Kim rispose con semplicità.

I primi abbinamenti compiuti dalla macchina avevano lo scopo di favorire il concepimento di bambini sani.

Namjoon rimase in piedi paralizzato dalla rabbia per qualcosa che esisteva e non poteva impedire, dall'indignazione per questo individuo che sembrava non provare alcun riguardo alcuno e dalla disperazione dal rendersi conto che tutto quello che aveva creduto poteva non essere vero e tutto quello che aveva sospettato poteva essere invece certo. Perché, dopotutto ce l'aveva li in mano, in quegli sgualciti fogli di carta scritto nero su bianco, la prova della manipolazione e la causa primaria di tanta infelicità.

E se era capitato dunque a Yoongi perché non ad altri, perché non a Namjoon?

Cosa faceva di lui un numero due, che percentuale c'era sul suo fascicolo e quello di Jin, cosa garantiva che il loro abbinamento fosse lecito e non il frutto di qualche aggiustamento ad hoc? L'abbinamento perfetto li aveva definiti il signor Kim con un senso di orgoglio nella sua voce che suonava sinistro e feriva Namjoon in modi che non aveva anticipato.

La possibilità che la sua relazione con Seokjin potesse essere stata pilotata che i suoi sentimenti potessero essere stati indotti, plagiati, era concreta.

Capì allora nel momento in cui si rese conto che poteva essere tutto falso quanto profondo fosse divenuto il suo attaccamento per Seokjin.

“Puoi rimanere a riflettere per tutto il tempo che desideri Namjoon e quando vorrai andartene sarà sufficiente che tu prema il tasto rosso all'ingresso. So di averti chiesto molto oggi figliolo, ma col tempo capirai e mi ringrazierai,” disse il signor Kim alzandosi e dando una leggera pacca sulla spalla. Namjoon non lo degnò neppure di uno sguardo rimase lì impalato a sentire i passi che si allontanavano e solo quando infine sentì il rumore di sigilli che scattavano solo allora, nella solitudine di quel labirinto, che Namjoon si concesse di crollare.

Le gambe cedettero e lui si afflosciò su se stesso incapace di reggere il proprio peso, incapace di reggere la verità. Incapace di farsene una ragione.

Non avevano scampo, non l'avevano mai avuto, erano intrappolati dentro il sistema cui ben presto sarebbero stati complici. Ma più di ogni altra cosa tutto quello che gli era successo, dall'inizio alla fine, poteva essere una macchinazione diabolica che lo aveva indirizzato fino a quel momento.

La prova di fino a che punto si poteva spingere l'ingerenza e la manipolazione, era in quel fascicolo. Nella vita di Yoongi.

Per favore, qualcuno mi dica che quello che abbiamo è reale. Che io e te siamo reali.

Namjoon rimase a lungo in ginocchio su quel pavimento.


 


 


 


 

Namjoon si risvegliò stanco e accaldato.

Non aveva dormito affatto bene quella notte, a dire la verità non dormiva più bene nessuna notte, ed era stato difficile portare avanti le attività della giornata data la sua stanchezza. Ultimamente faticava a prendere sonno, il suo cervello non ne voleva sapere di spegnersi e lo torturava con terribili mal di testa, e anche quando riusciva infine ad addormentarsi, dormiva poco e male e il suo sonno era tormentato da incubi.

Perciò quel pomeriggio al rientro dalle lezioni si era concesso un pisolino. Per una volta non avrebbe dovuto svolgere alcuna attività in qualità di Kim e con Seokjin che aveva una lezione che finiva sul tardi, Namjoon non si era sentito in colpa nel tornare a casa per conto suo e recuperare un po' di sonno.

Quella sera infatti sia lui che Seokjin erano stati invitati per un evento caritatevole e in qualità di eredi del titolo consolare la loro partecipazione non era solo augurabile ma richiesta.

Per mantenere un'immagine di coppia caritatevole e generosa aveva detto l'entourage dei Kim anche se dallo sguardo di Seokjin era evidente che non ci trovava nulla di meritevole ma solo ennesima occasione della famiglia per mettersi in mostra. Era l'ipocrisia e il calcolo che si celava dietro che rendeva odioso il tutto.

Ecco perché in vista di una serata noiosa quanto sgradita, Namjoon aveva deciso di cercare di recuperare un po' del sonno perduto.

“Namjoon?” venne una voce dolce e limpida alle sue spalle. Namjoon aprì gli occhi di colpo, cercando di lottare contro i rimasugli di sonno e mettere a fuoco la stanza. Si trovava in camera sua esattamente dove si ricordava di essersi addormentato. Seokjin doveva essere rientrato prima dalle lezioni e in qualche modo doveva aver deciso di fare un pisolino accanto a lui. Ecco spiegato allora la sensazione di caldo sulla schiena da dove poteva sentire il corpo dell'altro emanare calore.

Namjoon si voltò lentamente anche se di malavoglia. Sapeva che non poteva ignorare la presenza del maggiore, e seguire quindi l'istinto che gli diceva di nascondere la testa sotto il cuscino, perciò si voltò per guardarlo anche se la vista di Seokjin gli faceva male in modi che non poteva confessare.

Seokjin era perfetto anche così, con le palpebre ancora pesanti di sonno e le mani che strofinavano furiosamente gli occhi per svegliarsi. Quando i loro occhi si incontrarono Namjoon provò ancora quella sensazione di benessere che il maggiore gli suscitava sempre più spesso ma al tempo stesso si sentì tradito e sporco, la verità che gli avvelenava la mente e il cuore e che gli impediva di provare tutto quello che provava per Jin con serenità.

“Scusami, ero venuto a cercarti non mi ricordo neanche più per cosa ma poi ti ho visto addormentato e hai finito col tentare anche me e mi sono detto mi distendo un attimo, e prima di accorgermene mi sono addormentato anche io come un sacco di patate,”Seokjin spiegò grattandosi dietro la nuca e facendo quasi sorridere Namjoon.

Se solo il tutto avesse potuto ridursi a quei momenti in cui erano solo due e si volevano bene. Ma non avrebbe mai potuto essere, loro erano intrappolati dentro al resto.

“Per fortuna che mi sono svegliato, se avessimo dormito ancora un po' saremmo finiti nei guai. E' meglio se vado a prepararmi in camera mia così ti puoi preparare anche tu,” Seokjin disse strizzando con affetto una spalla a Namjoon.

Seokjin poteva anche essere ignaro dei suoi pensieri ma pur non sapendo, era come se riuscisse a capire inconsciamente il turbamento dell'altro e le sue attenzioni si erano fatte più premurose, i suoi sorrisi più dolci e i suoi gesti sempre volti a dimostrare il suo affetto in qualche modo.

Avere questo Seokjin davanti, così attento nei suoi confronti, rendeva tutto così meraviglioso che faceva male.

E allora Namjoon fece qualcosa che raramente aveva fatto perché non si era mai concesso di accettare sentimenti che riteneva scomodi ne tanto meno soccombere ad essi. Tuttavia era finito il tempo di mentire a se stesso, l'unico motivo per cui la vista di Seokjin lo feriva tanto era la paura che la loro storia potesse essere stata falsata. Perciò gettò il braccio intorno al suo torno stringendolo a sé, nel tentativo di dimenticare il terrore che lo attanagliava.

Il dubbio che Seokjin in realtà non gli appartenesse affatto. Che anime gemelle fosse un nome ancora più vuoto di quel che aveva inizialmente sospettato. Che loro non si appartenessero e ci fosse qualcuno la fuori con un coefficiente più alto del suo, più perfetto per Seokjin e che potesse renderlo più felice di quanto Namjoon avrebbe mai potuto.

“Cinque minuti?” mormorò Namjoon trascinandolo sotto le coperte, giù, con se. Non ebbe bisogno di guardare il viso di Seokjin per capire che era rimasto sorpreso, il suo corpo che si era fatto rigido e delle proteste di buonsenso che apparivano sul punto di lasciare le labbra.

Eppure come sempre Seokjin assecondò i suoi desideri, chiuse la bocca e optò per rilassarsi nel goffo abbraccio di Namjoon.

Una volta aveva pensato che scoprire di avere avuto potenzialmente ragione e ottenere le prove che il sistema fosse fallato, come aveva sempre sospettato, gli avrebbe arrecato una sorta di euforica ebrezza. Ma Namjoon era giovane e ingenuo allora, non aveva ancora incontrato Seokjin.

Non se ne era innamorato, allora.

Si sentiva sciocco per la sua infinita debolezza per come si sentiva colpevole nell'amare quasi avesse bisogno di un permesso per farlo.

Forse non era amore, forse era solo bisogno, forse era solo un sentimento fortuito, forse era tutto veramente falso e lui si stava ingannando ma era giunto al punto in cui avere Seokjin accanto era troppo importante anche se significava calpestare le sue convinzioni e i suoi sogni.

La loro posizione era scomoda, il suo braccio era addormentato sotto il suo peso ma Namjoon non vi badò, affondò il naso nella maglia di Seokjin trovando un po' di tranquillità nell'odore famigliare dell'altro.

Sentì le dita di Seokjin accarezzare i suoi capelli alla base del collo e Namjoon strinse la presa.

Cinque minuti per rubare Seokjin alla realtà crudele del loro mondo.


 





NdA: dan dan dan. Ora devo assolutamente sapere cosa ne pensate :3

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Capitolo 12
*** 2.10 ***


2.10


 


 

Se qualcuno, qualche anno più tardi, avesse chiesto a Namjoon una definizione di follia, lui non avrebbe utilizzato parole, ma avrebbe indicato senza esitazioni un tempo e un luogo esatti.

Avrebbe detto che follia non era uno stato mentale ma era il trovarsi a diciassette anni sotto il desolante tetto della villa Kim.

Quella casa gli era infine scivolata dentro e Namjoon era diventato una parte di quegli stessi soffocanti muri, vittima eppure anche sostegno di quella prigione. La machiavellica orchestra gli era stata svelata in tutti i suoi perfettamente oleati e oscuri meccanismi. Per quanto si fosse lambiccato il cervello, ripercorrendo le logiche del sistema - ancora e ancora- alla ricerca di un lumicino qualsiasi che gli potesse indicare una via d'uscita, Namjoon ne era uscito sconfitto.

Non poteva sfuggire al destino impostogli perché il suo ruolo era stato pensato e pianificato per anni da mani molto più esperte e scaltre delle sue. La sua gita al laboratorio non aveva avuto altro scopo che rendergli chiaro la gravità dell'orrore e l'ineluttabilità del suo destino - qualsiasi cosa questa parola ormai significasse.

Perciò non c'erano porte da aprire nella sua prigione dorata, ma solo corridoi da percorrere. Eppure nonostante la violenza a cui il spirito ribelle era sottoposto, Namjoon era sempre andato fiero del libero discernimento del suo intelletto, la verità che sapeva lui era diecimila volte più difficile di quella che gli era stata buttata addosso. La verità che sapeva lui sussurrava che non c'era bisogno di nessun lucchetto alla sua porta perchè lui non avrebbe imboccato nessuna via d'uscita, senza Jin.

Nonostante ogni molecola del suo corpo urlasse contro i Kim, quelle stesse molecole erano quelle che si erano attaccate con accanimento a Seokjin.

Seokjin era diverso, lo era stato fin dall'inizio, e anche quando dopo il loro primo incontro Namjoon non era caduto nel tipico fervore di anime gemelle era impossibile negare come Seokjin brillasse di luce propria. Quando il maggiore gli aveva detto come lo aveva amato sin dalla prima volta Namjoon era rimasto scioccato all'apprendere ciò, non solo perché non aveva avuto alcun merito nel suscitare tale sentimento, ma sopratutto perché Seokjin era sembrato sincero.

Ma non c'era forse scritto affetto in ogni piccola premura che Seokjin gli aveva rivolto? In ogni suo gesto e nell'infinita pazienza che gli aveva sempre dimostrato? Quanta di quella pazienza era suscitata da sentimenti reali e quanta dal sapere che Namjoon avrebbe avuto scusanti nella sua riluttanza? C'era la possibilità concreta che i sentimenti di Seokjin fossero stati suscitati da aspettative fondate su false premesse o, peggio ancora, dai doveri imposti dalla sua carica.

Erano eventualità che rendevano inquieti i suoi momenti di veglia come di sonno, che gli toglievano il respiro ogni qualvolta vi ci soffermava con la mente troppo a lungo. Namjoon non aveva avuto false premesse, non aveva fatto calcoli di alcun tipo quando aveva deciso che Seokjin era importante. I suoi sentimenti, dall'inizio alla fine, erano nati solo per merito della persona che era Jin e non per quello che avrebbe dovuto essere.

Namjoon si chiedeva se ogni primo amore dovesse sentirsi così, come se fossi sul punto di spiccare il volo e allo stesso tempo di precipitare al suolo.

Era terribile avere così tanto dentro e non poterlo esprimere in alcun modo, neppure nel disordine sparso dei suoi testi, perchè troppo grande era la paura dei danni che alcune verità potevano causare. Namjoon tuttavia era sempre stato un pessimo giocatore da poker, il suo modo involontario di protendere la mascella l'indizio eclatante di ogni suo disappunto.

Non era mai riuscito a raccontare bugie credibili a sua madre quando si cacciava nei guai e nemmeno ai suoi insegnanti quando si dimenticava di fare i compiti, pertanto logicamente si era convinto che tanto valeva essere sempre onesto con i suoi pensieri. Era quasi impossibile disimparare un'abitudine che aveva alimentato con fierezza per anni e nonostante tutti i suoi sforzi nel riuscire a mettere a tacere la verità nella sicurezza della sua scatola cranica, i suoi sentimenti, i suoi desideri che reconditi lo mangiavano da dentro, trovavano comunque un modo per manifestarsi. Quasi volessero farsi beffe di lui e rendergli evidente la ridicolezza del paradosso che stava vivendo.

E, cosa più imbarazzante di tutte, sembrava proprio che quanto più incerto fosse il tutto, tanto più forte fosse la sua dipendenza nei confronti di Jin.

Così Namjoon si trascinava alla ricerca di Seokjin come un sonnambulo che cerca di ritrovare la via del letto. A tentoni, ma con determinazione, cercava Jin, il calore del suo corpo, un senso di sicurezza nel suo odore famigliare come un appena nato.

Perciò era il diciassettenne Kim Namjoon, brillante studente della facoltà di economia, il numero uno dell'erede dei Kim e per questo destinato a un grande futuro. Era Namjoon, nella sua cravatta annodata alla perfezione durante i meeting e le feste a cui era costretto a partecipare per via del suo status. Era Namjoon che trasudava carisma sul palco di un fumoso pub della periferia al ritmo di un basso.

Ma era anche quel Namjoon che in punta di piedi entrava in camera di Jin, si infilava nel suo letto e si addormentava al suo fianco, attento a non svegliarlo pur cercando di rubare un po' di quel calore. Era l'unica cosa che sembrava essere in grado di conciliare il suo sonno e spegnere il fuoco nel suo cervello.

“Namjoon, svegliati. Namjoon,” Namjoon non mugugnò neppure ma sprofondò ulteriormente sotto le coperte.

“Non possiamo fare tardi,” sussurrò di nuovo la voce di Seokjin vicino al suo orecchio mentre dita gentili gli scostavano i capelli dalla fronte.

Namjoon strizzò gli occhi forte e poi inevitabilmente gli aprì perché sapeva di non poter temporeggiare ulteriormente. Il suo sguardo assonnato mise a fuoco il volto di Seokjin che si trovava ben più vicino di quel che aveva immaginato. Namjoon dovette costringersi a non muovere nessun muscolo e possibilmente non fare qualcosa di stupido come indietreggiare.

Seokjin non aveva detto nulla al riguardo. Non aveva fatto alcun commento in merito ai silenzi che sempre più spesso sbocciavano tra loro due e tutte le nuove discrepanze che si intravedevano nella loro relazione. E neppure aveva detto qualcosa riguardo questa sua nuova abitudine nottambula. A Namjoon piaceva illudersi che Seokjin la trovasse una naturale progressione della loro rapporto.

Sospettava invece che dietro i lunghi sguardi che sempre più spesso Seokjin gli rivolgeva ci fossero molte domande che il maggiore non aveva il coraggio di chiedergli. Dopotutto Seokjin non era stupido, era in grado fare due più due, lo aveva visto andar via con suo padre ancora intero e lo aveva visto tornare il giorno dopo come lo spettro di se stesso. Se c'era qualcuno che non solo conosceva ma capiva l'effetto che le aspettative dei Kim avevano su un individuo, questo era lui.

Namjoon si chiedeva quanto, di tutto quello che gli era stato rivelato, Seokjin sapesse e se così era, come fosse in grado di rimanere non solo in piedi, ma anche di mantenere la sua sanità mentale di fronte a tale ingombrante verità.

“Adesso mi alzo,” Namjoon sospirò prima di rotolare su un fianco e alzarsi. Il movimento brusco per un attimo lo fece sentire disorientato ma anche così nulla avrebbe potuto dissipare quel senso di profonda stanchezza che gli era penetrato nelle ossa sin da quel fatidico giorno.

Namjoon gettò uno sguardo intorno a se nel tentativo di recuperare un po' di lucidità. Seokjin si era appena alzato a sua volta dal letto e gli dava le spalle, apparentemente intento a sistemare delle cose sulla sua scrivania. Era già vestito di tutto punto e le sue spalle apparivano rigide nella sua maglietta.

Seokjin stava solo cercando di dargli dello spazio. La possibilità di sgusciare in bagno senza dover spiegare il perchè di questo suo nuovo bisogno magari. Sarebbe stato normale per due anime gemelle dormire l'una accanto all'altra se non fosse stato che la loro relazione sin dall'inizio fosse stata disfunzionale. Per giunta la vicinanza che avevano così faticosamente costruito dopo che avevano deciso di venire allo scoperto, era fragile, e il non parlare poteva definitivamente compromettere quel poco di buono che avevano costruito.

Namjoon sapeva che era colpa sua, che si stava chiudendo in se stesso per essere in grado di sopravvivere e sapeva anche che Seokjin stavolta era più titubante all'idea di scavalcare ennesimo muro. Namjoon non lo biasimava affatto.

“Ci sarai anche tu stasera alle prove?” Seokjin gli chiese mentre Namjoon si stropicciava gli occhi. “No per fortuna. Il discorso spetta a te,” Namjoon disse stiracchiandosi.

Quel fine settimana Seokjin avrebbe dovuto tenere un discorso presso la nuova sede per l'accademia di belle arti costruita grazie ai soldi ricavati dai risparmi che lo stato era riuscito a fare dal disinvestimento nel corpo di vigilanza. Voleva essere ennesima occasione per ribadire come fosse il sistema il fattore determinante del sempre più decrescente tasso di criminalità. Ennesima verità pre confezionata. Nessuno parlava, infatti, dei fondi dirottati per infoltire le fila del corpo militare. O del sempre più crescente tasso di suicidi.

“Già,” Seokjin disse con un profondo sospiro le spalle che si abbassavano in rassegnazione. Per un attimo ebbe la terribile tentazione di lasciarsi andare e confessare tutto. Chiedere a Jin tutto quello che avrebbe voluto chiedergli, lasciare che l'altro entrasse nella sua testa e nei suoi pensieri orribili nella speranza che potesse servire a diradare la nebbia soffocante. Forse condividendo le loro paure avrebbero potuto in qualche modo sistemare tutto e trovare una soluzione.

“Beh, almeno così potrai rilassarti. Se vedi Yoongi salutalo da parte mia,” Seokjin buttò la forse in modo un po' troppo palesemente entusiasta.

Namjoon si irrigidì e vide il panico irradiarsi sul volto di Seokjin quando questi si rese conto di aver fatto l'osservazione sbagliata.

Namjoon provò una fitta di senso di colpa perchè Seokjin non poteva immaginare quella parte di verità, ma Namjoon dubitava avrebbe mai trovato il coraggio di raccontare quella parte a qualcuno.

“Certo. Vado in bagno. Aspettami pure in cucina, faccio veloce,” Namjoon disse frettolosamente prima di sparire in bagno alla velocità della luce.

Tanta fatica e tanto tempo insieme e poi era bastato un giorno soltanto per far fare loro diecimila passi indietro.

Non aveva avuto altra scelta che usare questi metodi per provare a gestire il marasma emotivo che ribolliva sotto la superficie. Sarebbe bastato poco, pochissimo perchè Namjoon perdesse il controllo e gli altri si accorgessero che il suo muro era fatto di carta e che sarebbe bastato un sussulto a far crollare il tutto e lui non se lo poteva permettere, non quando quello che avrebbe potuto lasciarsi scappare avrebbe finito col ferire fin troppe persone.

Perciò doveva insegnare a se stesso a resistere anche se significava allontanarsi dalle persone che amava per un po'.

Namjoon si lavò e sistemò in fretta, evitando di guardare l'immagine di se stesso allo specchio. Non credeva sarebbe riuscito a guardare se stesso in faccia.


 


 


 


 

La persona che Namjoon si era ritagliato presso la facoltà di economia era lontana anni luce da quello che era Namjoon veramente. Per i suoi compagni di corso lui era il giovane brillante che aveva demolito con velocità allucinante tutti gli esami del primo anno e iniziato quelli del secondo con sei mesi di anticipo. Per loro lui era l'anima gemella dell'erede al titolo consolare, Kim Seokjin.

Namjoon non aveva mai voluto la fama. Quando aveva sperato di poter intraprendere una carriera artistica il suo desiderio più pressante era stato quello di riuscire a far arrivare il suo lavoro a più persone possibili ma solo per l'intrinseco profondo piacere che provava nel sapere che le sue emozioni non erano uniche. Logicamente, sapeva che maggiore era il numero di persone coinvolte, maggiore sarebbe stata l'esposizione, ma la fama, la popolarità sarebbe stata una conseguenza non uno scopo.

Nell'ingenuità dei suoi sogni giovanili aveva pensato al riconoscimento che veniva dalla fama e non al peso che veniva da essa. La fama che si era immaginato Namjoon, era ben diversa da quella che derivava dall'essere un Kim. Non era sguardi avidi che si posavano su di lui e voci che sussurravano nei corridoi al suo passaggio.

La cosa peggiore era che tutta quell'attenzione non solo era non richiesta ma era anche vuota. Sembrava che tutti avessero timore di approcciarlo o di rivolgergli la parola a meno che non fossero argomenti strettamente accademici, col risultato che Namjoon non si era mai sentito così solo in vita sua.

Ad eccezione di Jin, in tutta l'università Namjoon poteva considerarsi vicino solo a Hyosang il quale tuttavia era un Kim a sua volta.

Namjoon si lisciò nervosamente le inesistenti pieghe della sua maglia quando a lezione finita si alzò dal suo posto in fondo all'aula e si diresse goffamente fuori dalla classe per andare in mensa.

Cercò di ignorare gli sguardi lungo i corridoi mentre si affrettava ad uscire dall'edificio.

Non sapeva se Seokjin ci sarebbe stato per pranzo. Aveva un lungo discorso da sistemare e imparare in pochi giorni e l'entourage del console sembrava avere tutta l'intenzione di trasformare quello stupido evento sui fondi, in una sorta di mini discorso da campagna elettorale. Il che sarebbe stato ridicolo, considerando che il concetto di elezioni democratiche era qualcosa che si poteva leggere solo nei libri di storia, se non fosse stato che Namjoon ormai sapeva quanto difettoso fosse il sistema su cui si basava la loro società e quanto necessario fosse il continuare con un aggressiva campagna di rafforzamento che sfociava nel lavaggio di cervello di massa vero e proprio.

Tuttavia quando finalmente uscì all'aria aperta e fuori da quell'ambiente claustrofobico, Namjoon ebbe a malapena il tempo di riprendesi per qualche attimo, aria fresca che come un balsamo gli entrava nei polmoni, che si trovò nuovamente in una situazione scomoda. A pochi passi da lui, seduto sulla gradinata della facoltà di economia c'era Yoongi.

Il quale, come se fosse stato avvertito da una qualche invisibile presenza, si voltò nello stesso istante in cui Namjoon si materializzò sulle gradinate.

“Sei qui,” Namjoon mormorò un po' inebetito mentre si avvicinava a passi lenti ma inevitabili verso il suo migliore amico.

“A volte anche le montagne devono muoversi,” Yoongi disse, il suo tono di voce privo di particolari inflessioni. Yoongi avrebbe dovuto essere arrabbiato, quantomeno seccato per il trattamento che Namjoon gli aveva riservato. Ma Yoongi aveva sempre capito la necessità della distanza e dei silenzi perchè lui stesso ne era un fruitore. Eppure il fatto che lui fosse li, che si fosse mosso invece di attendere, era significativo di quanto fosse grave la situazione in generale. Di quanto Namjoon stesse agendo fuori dagli schemi.

“Coraggio andiamo a mangiare qualcosa insieme. Mi sembra di non vederti da un secolo,” Yoongi continuò prima di alzarsi a scendere lentamente le scale. Namjoon sospirò prima di seguirlo.

Agguantarono un panino in una caffetteria vicino al campus e durante quasi tutta la durata del pasto, ad eccezione delle parole dette per ordinare, non parlarono affatto. Yoongi appariva stanco e portava ancora addosso i segni di quella profonda tristezza che si era impadronita di lui sin dal giorno della sua introduzione. Ma era vigile e molto più lucido dell'ultima volta in cui si erano visti e i suoi occhi neri scrutavano il viso di Namjoon in cerca di indizi. Tuttavia fu solo al momento del caffè che il maggiore si decise a scoprire le carte. Yoongi si guardò in giro, sguardo che saltellava da un angolo all'altro del locale come a voler raccogliere i pensieri, o il coraggio, prima che i suoi occhi infine si posassero su di lui.

“Non mi mandi più canzoni o testi e ci vediamo sempre meno. So che quest'ultima cosa è anche colpa mia, dei miei casini e delle mie nuove attività. Ma fino a prova contraria ero io quello si era rovinato la vita con le proprie stesse mani. Non tu. Forse non sei mai stato entusiasta dei Kim ma ero convinto ti trovassi bene con Seokjin. Ero quasi invidioso di quanto bene tu ti trovassi con la tua anima gemella, del tuo lieto fine. Ma poi sei piombato in casa mia e io non ti ho chiesto nulla, ma so cosa ho visto e ho aspettato che tu ne parlassi o, se volevi risolvere la cosa da solo, ho aspettato che tu lo facessi. Questo però non è accaduto e l'espressione del tuo viso è una conferma. Cosa diavolo ti è successo Namjoon?”

Namjoon fu così sorpreso dalle parole di Yoongi che il caffè gli andò di traverso. Sentì la mano di Yoongi battergli la spalla mentre lui cercava di non soffocarsi. .

“Si potrebbe dire che non è tutto ora quello che luccica,” Namjoon butto là dopo che si riebbe. Erano parole insufficienti. Erano parole ridicole. Ma cosa avrebbe potuto mai dire a Yoongi, a parte che desiderava non aver mai saputo nulla? Vide Yoongi inarcare scettico il sopracciglio.

“Non posso parlartene anche se volessi Yoongi. Segreto di stato,” Namjoon disse giustificandosi, cercando di guadagnare tempo.

“Non puoi pensare di cavartela così Joon. E non lo dico per me, lo dico per te. Qualsiasi cosa sia successa ti sta mangiando dall'interno e credimi ho parecchia esperienza al riguardo.” Yoongi disse mestamente.

“Non sto usando parole altisonanti solo per evitare di parlarne. Non c'è nulla di cui parlare,” Namjoon mentì a denti stretti. Yoongi non avrebbe dovuto sapere mai dell'esistenza di quel documento conservato da qualche parte in un cassetto del laboratorio. Mai.

“Smettila di raccontarmi frottole, quello bravo dei due a mentire sono io non tu. Coraggio parla, ti farà bene,” Yoongi insistette.

“Non è vero, non ci credi neanche tu,” Namjoon ribatté sulla difensiva. Yoongi gli lanciò uno sguardo penetrante e Namjoon allora seppe che aveva i secondi contati. Percepì immediatamente il cambio di umore.

“Si, hai ragione. Qualcosa che ti ferisce così continuerà a farti male finchè non avrà esaurito il suo corso, ma continuare a mentire è una sofferenza aggiuntiva inutile. Pensavo che tra i due quello intelligente fossi tu,” Yoongi disse. “Non starai meglio, no. E io non potrò capire così come tu non hai capito le mie scelte. Ma ti farà sentire meno isolato nel tuo inferno personale.

Yoongi gli stava offrendo l'occasione di togliere il primo mattone di carta e Namjoon desiderava tanto poterlo fare. Non poteva far crollare il muro, non ancora, ma almeno un po' di quello che lo torturava, almeno un po' sperava di avere il diritto di dire.

“Cosa vuoi sapere Yoongi? Che odio la mia nuova vita? Si la odio con tutto me stesso così come odio abitare sotto quel tetto, eppure ora quella è casa mia. Odio le loro maledette regole, odio il loro dannato stile di vita e detesto che ogni cosa sia già stata decisa per me. E soprattutto odio il fatto di non avere scelta e di non poter seguire il cammino che avevo sognato. Darei qualsiasi cosa per essere chiunque altro. Chiunque. Eccetto chi mi tocca essere.” Namjoon sputò fuori, erano cose che aveva sempre pensato, cose che aveva nelle viscere e lo avevano avvelenato dall'interno lentamente. Eppure il suo tono era distaccato, freddo, come se stesse commentando la vita di qualcun altro e non la sua.

Sconcerto puro fu l'emozione che vide dipinta sul volto del suo amico quando infine sollevò lo sguardo dalla sua tazza vuota.

“Non me lo avevi mai detto,”Yoongi disse cercando di controllare il proprio tono per non far pesare il suo shock su Namjoon.

“Non avrebbe fatto differenza alcuna,” Namjoon rispose distogliendo lo sguardo. “O forse ho semplicemente tenuto la testa nascosta sotto la terra fino ad ora.”

“Ma non odi Jin,” Yoongi aggiunse dopo un lungo silenzio. Non era una domanda. Non era una domanda affatto.

“No. Non potrei mai. Lui è importante. E forse questo è il problema,” Namjoon ammise, un sorriso amaro che si faceva strada sul suo viso. Lo stesso che adornava le labbra di Yoongi.

“Già. C'è spazio, vero? Sembra impossibile ma c'è spazio per sentire tutto.”

Ah. Namjoon si rese conto solo allora quanto gli era mancato confidarsi con un amico. Condividere.

Le loro problematiche erano diverse, cosi come diverse erano le loro responsabilità a riguardo, ma Yoongi certamente sapeva cosa voleva dire vivere divisi e se era questo il dolore che si era portato dentro era difficile capire come facesse Yoongi ad apparire così completo. Ma del resto si chiedeva come lui stesso non fosse uscito urlando dalla villa dei Kim.

Yoongi non gli disse che sarebbe andata meglio, né gli desse parole vuote di conforto. Se ne stette invece li, seduto di fronte a lui, con un cuore altrettanto in pezzi a condividere in silenzio il suo dramma. Come entrambi sapevano bene quel momento di verità non valeva una consolazione e Namjoon non si sentiva affatto meglio, dubitava qualcosa sarebbe mai riuscito a farlo, ma era qualcosa. Namjoon voleva credere che confessare infine almeno una parte delle proprie paure avrebbe potuto dargli la determinazione che gli serviva per tirare avanti.

Se ne andarono dal locale poco dopo. Yoongi fece la strada di ritorno con lui fino alla sua aula come se volesse assicurarsi che Namjoon ci arrivasse intero.

Namjoon pensò con nostalgia ai tempi in cui tutto era semplice, a quella stanzetta buia e fumosa dietro il pub dove avevano provato innumerevoli volte il repertorio musicale composto insieme. Quando ancora un futuro brillante appariva possibile.

Namjoon si aggiustò la tracolla sulla spalla e dopo aver salutato Yoongi con un cenno, rientrò in aula per un altro giro di routine.


 


 


 


 

Era un sabato mattina.

Seokjin era sparito seguito da uno staff di preparatori in qualche momento a metà mattinata e Namjoon era rimasto indietro nella villa Kim. Avrebbe tanto preferito andare direttamente con lui e, a giudicare dall'espressione corrucciata di Jin, anche lui era stato dello stesso avviso.

Namjoon decise di distrarsi e trascorrere quelle poche ore libere in biblioteca. Dubitava avrebbe avuto il permesso di uscire e non aveva voglia di immergersi in qualcosa di più impegnativo di un libro.

Tuttavia la sua speranza di poter avere un momento per se stesso e rilassarsi prima di venire lanciato anche lui nella mischia si rivelò ben presto vana. Sembrava che tutti nella casa Kim si fossero messi d'accordo per rendergli la vita più difficile.

La madre di Seokjin, infatti, che fino ad allora non gli aveva rivolto più di qualche stucchevole parola di cortesia, si materializzò sulla porta della biblioteca con l'aria di avere qualche cosa di più da dire di un saluto. Namjoon dovette sbattere le palpebre più volte perchè davvero non riusciva a trovare un motivo per cui la signora Kim potesse trovarsi li. Sebbene le fosse grato per non essere neanche lontanamente inquietante come il signor Kim, aveva sempre pensato a lei come a una figura decorativa nella vita della famiglia.

“Namjoon. Mi dispiace interrompere le tue attività. Speravo tu riuscissi a dedicarmi un attimo del tuo tempo. Ho aspettato l'occasione di parlarti molto a lungo.”

Namjoon non capì minimamente cosa lei volesse dire con quelle parole ma si trovò lo stesso ad annuire. Aveva dei modi troppo gentili e aggraziati perchè lui o chicchessia potessero essere veramente scortesi con lei.

La signora Kim gli sorrise mentre spostava la sedia accanto alla sua e si sedeva al tavolo dove lui aveva lasciato il suo libro aperto. Lo colpì subito come quell'immagine gli ricordò il modo in cui Jin gli sedeva accanto e si sporgeva dalla sua sedia per spiare il suo libro, con quel suo modo di fare a cui era impossibile opporsi.

Namjoon ne dedusse che il fascino dovesse essere un elemento che gli veniva direttamente da sua madre.

“Non abbiamo mai parlato io e te, vero? Non è stato un caso Namjoon, ma non pensare, nemmeno per un attimo, di essermi dimenticata di te. Ci sono molte cose nella nostra famiglia e nel nostro stile di vita di cui voglio parlarti che ti sarebbe suonate incomprensibili se te ne avessi parlato sin dall'inizio. Ormai abiti qui da più di anno però, ti ho visto arrivare un po' spaesato e inesperto e ti ho visto poi crescere nella persona risoluta che vedo adesso. So che hai ancora molta strada davanti a te da fare e so anche che non sarà affatto facile percorrerla. Tuttavia sono stata una consorte del primo console molto prima di te e vorrei esserti d'aiuto con la mia esperienza. La tua anima gemella diventerà il primo console e il suo compito sarà molto difficile e gravoso. Lo cambierà. Ne smusserà gli angoli spesso con violenza. Per questo è fondamentale che tu mantenga un equilibrio per entrambi. Vedo tempi bui all'orizzonte Namjoon e tu dovrai essere pronto.”

Era più facile mantenere il contatto visivo con la signora Kim, il suo sguardo infatti appariva molto meno carico della durezza che caratterizzava il signor Kim. Questo non significava fosse più facile trovarsi faccia a faccia con lei. Come il suo numero uno, lei sembrava determinata a dire la sua senza avere intenzione alcuna di chiedere l'opinione di Namjoon.

“Lei sa della falla del sistema,” Namjoon disse allora, interrompendola. Era stanco di lasciare che tutti lo raggirassero nel modo che a loro faceva più comodo. Era arrivato il momento di smettere con parole vuote e dire le cose come stavano.

La signora Kim tradì un attimo di esitazione. Era evidente che non si era aspettata una reazione da parte sua e Namjoon era internamente soddisfatto di stesso. Tuttavia la sua incertezza durò molto poco. Piantò i suoi occhi neri, così diversi da quelli di Jin, nei suoi e quindi rendendosi conto che giri di parole non sarebbero serviti con lui, cambiò tattica.

“Certo che lo so,” disse lei in tono schietto, gettando via la maschera. Namjoon allora vide la donna dietro l'uomo, quella che con la forza del suo carattere aveva trascinato in avanti il suo numero uno tutte le volte che aveva tentennato, quella che aveva abbellito le sue bugie, e quella che con la sua immagine irreprensibile e di gran lunga più gradevole, aveva reso possibile il mantenimento dello status quo.

“Lo so da quando ho messo piede in questa casa. Hanno portato anche me nel laboratorio proprio come è successo a te e come te la mia mente si è ribellata di fronte al terribile paradosso. Non c'è nessuno qui che, più di me, sappia cosa tu possa aver provato. Ma so anche che lo supererai, perché l'ho fatto io.”

Ma cosa avevano tutti i Kim di quella casa da pretendere di sapere come lui si sentiva? Non gli importava quante persone fossero riuscite a superare quello che loro ritenevano un'inevitabile prova. Non significava che lui sarebbe riuscito a farcela.

“Ci sono molte ragioni per cui mi sono fatta forza Namjoon, lo status per dirne una, i soldi, la mia famiglia. Ma io amavo la mia anima gemella e credo che in fin dei conti il tutto si può riassumere in questo. Non saremmo tutti disposti a fare qualunque cosa per la persona che ci è stata affidata?”

La signora Kim non aveva fatto finta, non che avrebbe potuto essere credibile considerando che sapeva della falla, che l'anima gemella fosse qualcosa di più di un'assegnazione a tavolino, eppure le sue parole implicavano un senso fortissimo di responsabilità.

“Io e la mia anima gemella abbiamo avuto un figlio e la mia è una vita invidiabile sotto ogni punto di vista. Non credi che il benessere del tuo numero uno e la sicurezza di tutti valgano un sacrificio personale? Mio figlio Seokjin ha bisogno di te.”

C'era qualcosa di malato nel modo che avevano queste persone di esprimersi. Parlavano di benessere e bene comune e gettavano nel dimenticatoio particolari nefasti con facilità allarmante, pur sapendo quanto la gioia di una parte pesasse sull'altra. Non si facevano scrupoli a usare e sfruttare chiunque fosse utile alla famiglia a mantenere le apparenze. Persino il loro stesso figlio.

Seokjin era una persona in gamba, forte e risoluta.

Ma qualcuno gli aveva mai chiesto se aveva bisogno di aiuto o cosa volesse fare davvero nella vita? Namjoon si trovò a chiedersi se qualcuno lo avesse mai fatto allo stesso momento in cui si rese conto che neppure lui se ne era dato pena.

Seokjin lo aveva portato con se al centro ricreativo ma lui non aveva insistito o provato a capire le sue ragioni più a fondo.

Su una cosa tuttavia i genitori di Seokjin avevano ragione. Questa era la loro vita, che piacesse a loro o meno, questa era la loro vita. E se questa era la loro vita e visto l'attaccamento che Namjoon sentiva per Jin, allora andava da se che sarebbe stato difficile per lui opporsi. Mollare. In fin dei conti la signora Kim aveva ragione, Namjoon avrebbe fatto il sacrificio personale, lo stava già facendo,lo aveva capito quel maledetto giorno.

Non era carino però che loro glielo ricordassero a ogni pie sospinto, non come se fosse una sua scelta. Ma come un obbligo.

“Seokjin ha bisogno di te,” riprese la signora Kim. “Ma anche questa famiglia. Questa frase può suonarti spaventosa alla tua età, ma non sarai solo. La famiglia sarà al tuo fianco e ci sarò io a guidarti nel tuo ruolo,” lei concluse, quasi dolcemente, mentre la sua mano si allungava per prendere quella di Namjoon.

Forse la signora Kim era sincera, forse credeva davvero nella giustezza del loro compito, e nel ruolo che loro erano chiamati a ricoprire. Se ciò era vero, le sue ragioni, essendo più profonde, erano più inamovibili.

Namjoon sentì come se un artiglio, e non una mano aggraziata, fosse ciò che lo aveva afferrato.

Per fortuna lei non rimase a lungo. Se ne andò poco dopo, lasciando dietro di se una scia di profumo ed ennesimo peso sulle sue spalle.

La signorina Choi assieme allo staff della villa vennero a prenderlo poco dopo per trascinarlo verso il prossimo inevitabile impegno. Namjoon si sentiva la testa ovattata come se qualcuno vi avesse infilato della segatura a forza e a lui non gli riuscisse più di far girare gli ingranaggi.

Si vestì con movimenti meccanici e pranzò velocemente nella cucina della villa mentre la signorina Choi lo aggiornava sul da farsi. Seokjin era andato con il signor Kim a un breve pranzo con i senatori a loro più vicini. Voleva essere un'occasione informale ma il fatto stesso che i rispettivi numeri uno non fossero stati invitati faceva pensare che fosse stato un incontro più politicizzato del previsto. Il signor Kim stava iniziando a gettare le fondamenta di quella che sarebbe stata l'autorità futura del figlio e, per estensione, la sua.

La signora Kim si fece viva solo al momento di andare e a quel punto Namjoon avrebbe preferito che lei avesse continuato a tenere le distanze. Aveva il terribile sospetto che quel giorno avesse segnato l'inizio di ulteriori spiacevoli ingerenze nella sua vita avercela. Non la voleva accanto a tenerlo d'occhio con la scusa di prendersi premurosamente cura di lui, eppure ancora una volta sembrava non avere scelta.

La madre di Seokjin si sedette con lui invece nei sedili posteriori della macchina, gli rivolse un sorriso affettuoso e infine, e Namjoon si senti raggelare, si sporse in avanti per sistemargli il colletto della camicia, come era solito fare Jin. Un gesto che doveva aver visto sua madre fare a suo padre un milione di volte e che era finito col imprimerglisi dentro.

Cura, affetto, legami, e una spirale che si chiudeva intorno a lui più forte di qualsiasi comando.

La macchina si mise in moto e lui venne trascinato verso la sua prossima destinazione, verso ennesimo evento da Kim.

L'accademia di belli arti gli si erse davanti in tutto il luccicante splendore poco dopo. Era un posto che ora più che mai appariva da sogno agli occhi di Namjoon, il quale si rendeva conto che in futuro avrebbe potuto frequentare posti come quello solo in quelle occasioni.

Namjoon si considerava un compositore piuttosto decente. Non era stato sempre stato così e c'era voluto un sacco di tempo e Yoongi per mettere ordine nella sua confusionaria necessità espressiva . Non gli era mai passato per la testa di seguire la via accademica e studiare musica, tuttavia l'aria che si respirava in quei corridoi era di una libertà tale che Namjoon moriva di cocente e bruciante invidia.

Namjoon non era un numero zero, a lui era concesso di perseguire una carriera artistica se fosse stato suo desiderio e accettare di non poterlo fare comunque, era una ferita sanguinante che lui sapeva che non si sarebbe rimarginata mai, neppure sotto strati di sentimenti e amore.

Come diceva bene Yoongi nei nostri cuori c'era ampio spazio per provare tutto.

L'entourage dei Kim li guidò attraverso il labirinto dei corridoi e verso l'auditorium dove si sarebbe tenuto il discorso del primo console Kim e dell'erede mentre guardie del corpo lo scortavano e li schermavano da sguardi curiosi ed indiscreti di estranei.

Namjoon guardò dritto davanti a se, ancora disorientato e ferito dalle parole che gli erano state rovesciate addosso, eppure quando infine la porta dell'auditorium si aprì e lui e la signora Kim vennero fatti accomodare nei posti più vicini al pulpito a loro riservati dall'accademia, lo sguardo di Namjoon trovò subito quello di Seokjin, e capì in fine il peso reale di quello che la signora Kim aveva cercato di dirgli.

Io amavo la mia anima gemella, aveva detto e Namjoon comprese che di tutte le ragioni che la famiglia poteva fornirgli, quella era quella che sarebbe contata di più, l'unica che alla signora Kim sarebbe bastato nominare.

Namjoon provava tanto, troppo nei confronti di Seokjin. Era la sua debolezza, era la loro arma. Namjoon si era così attaccato all'altro da risultargli intollerabile l'idea di tradirlo.

Lui avrebbe fatto qualunque cosa per Seokjin. Come solo qualcuno che amava avrebbe fatto.


 


 


 


 

Seokjin era stato magnifico. Namjoon lo sapeva già ma mai gli era stata più evidente la bravura di Seokjin di fronte ad un pubblico. Non erano la sua perfetta dizione o il tono di voce con cui declamava un discorso, quello che affascinava le persone. Era la sua persona, quel suo viso affabile e modo di fare amichevole, a conquistare tutti, ingentilendo il titolo che si portava dietro. Era un livello di affabilità che il primo console Kim non avrebbe mai raggiunto.

Il signor Kim aveva visto giusto quando aveva detto che suo figlio era il volto che stavano aspettando. Namjoon si chiedeva se avesse visto giusto anche in lui. Se osservando i suoi dati sputati fuori da quella macchina avesse visto esattamente quello che a loro serviva. Ma non glielo aveva forse confessato, non glielo andavano dicendo tutti quanto fosse opportuna l'unione tra lui e Seokjin?

La persona che mi è stata assegnata. Jin era la sua e lui era quella di Jin.

Namjoon rimase al fianco di Jin per tutta la durata dell'evento, facendo del suo meglio per sorridere di fronte ai fotografi, ma poi a metà pomeriggio iniziò a sentirsi male. La sua emicrania era iniziata in qualche momento dopo pranzo e lui aveva quindi proceduto a imbottirsi di antidolorifici solo per poter essere in grado di assistere al discorso di Seokjin tuttavia sapeva che il mal di testa si sarebbe rifatto vivo più tardi e più violento.

Namjoon si catapultò fuori dall'abitacolo non appena la macchina che li stava riportando alla villa si fermò. La sua testa non gli sembrava più piena di segatura ma un grido continuo.

“Namjoon,” Seokjin lo chiamò preoccupato, cingendogli i fianchi con un braccio. Si era accorto subito del suo malessere. Era stato lui a insistere di tornare presso la villa Kim e visto il successo del suo discorso la famiglia non si era opposta.

Seokjin lo guidò all'interno della villa, la sua presenza calda e confortante. Namjoon era la persona che gli era stata affidata dopotutto eppure era più di questo, era più di questo per entrambe.

Namjoon sentì Seokjin dare delle istruzioni al personale mentre lo guidava attraverso la villa e Namjoon gliene fu grato e si lasciò condurre in camera sua.

“Magari una doccia può aiutarti, ti farò portare del te e degli antidolorifici,” Seokjin suggerì massaggiandogli la schiena.

“Dubito questo mal di testa se ne andrà mai,” Namjoon disse brusco ma poi sentendosi in colpa per aver usato quel tono con Jin aggiunse subito,” ma grazie.” Seokjin annuì, lo sguardo ancora preoccupato. Il suo volto tradiva un'ombra ansiosa tuttavia non disse altro e lo lasciò libero di scivolare in bagno.

Al suo ritorno Namjoon lo trovò seduto sul suo letto con la giacca ancora addosso e la cravatta intorno al suo collo ancora perfetta nel suo doppio nodo stretto. C'era una tazza di tè fumante sulla scrivania che aspettava lui e un'altra nelle mani di Jin, il quale tuttavia sembrava non essersi accorto della sua presenza e fissava dritto davanti a se. Seppure fosse Namjoon quello con l'emicrania in qualche modo quello in pena sembrava Jin.

“Seokjin?”fu la volta di Namjoon di chiamare il suo nome. Seokjin per un momento parve non averlo sentito ma poi Namjoon lo vide inspirare, stringere forte la tazza come se volesse aggrapparsi ad essa, e poi voltarsi. Dal suo sguardo e dalle parole che seguirono fu evidente che avesse preso una decisione.

“Tu non sei felice qui,” Namjoon sentiva le gocce d'acqua dei suoi capelli ancora bagnati scivolargli sotto la maglia e lungo la schiena, ma non fu quello a farlo rabbrividire. Fu la certezza con cui Seokjin aveva parlato e il rendersi conto che Seokjin era sempre stato in grado di leggergli dentro nonostante tutti i suoi più disperati sforzi di mantenere le apparenze.

Namjoon se ne stette lì, impalato e immobile, l'asciugamano che si era portato dietro per finire di asciugarsi i capelli, che pendeva inerte e triste dalla sua mano destra.

“Tu lo sei?” Namjoon chiese allora perché era importante per lui sapere cosa provava Seokjin dal momento in cui aveva realizzato di non averglielo mai chiesto. Che forse nessuno glielo aveva chiesto mai.

Seokjin sospirò, il suo sguardo si spostò lungo il tappetto evitando di guardare Namjoon.

“Questa è la mia vita. Sin da piccolo ho sempre saputo cosa si aspettavano da me e ho cercato con tutto me stesso di infilarmi dentro delle vesti che non sentivo mie e che eppure lo erano. L'ho fatto perchè amo la mia famiglia e perchè sentivo fosse un mio dovere. Eppure più crescevo, più il peso di quello che mi si chiedeva diventava soffocante come se delle pianti rampicanti si avvolgessero strette intorno al mio corpo per annientarmi. Ma lo accettavo, ero ingenuamente convinto che a tempo debito avere qualcuno al mio fianco a condividere il mio giogo lo avrebbe reso più leggero. Sopportabile. Ho desiderato così tanto incontrarti ancor prima di sapere che eri tu la mia anima gemella. Avrei dovuto immagine che avresti demolito ogni mia supposizione, che avresti superato ogni mia aspettativa,” concluse con un sorriso malinconico.

“Non so cosa ti abbia detto mio padre o cosa ti abbia detto mia madre. Ma se hanno detto le stesse cose che hanno detto me e che mi hanno ripetuto sin da quando ero piccolo posso immaginare un pochino quanto possa essere stato destabilizzante. Io però ho avuto anni per abituarmici mentre tu ci sei stato trascinato. Ho desiderato la mia anima gemella perché credevo che avremmo potuto condividere i bei momenti, non ti ho mai voluto con me perché tu condividessi le mie brutture.”

Namjoon chiuse gli occhi per un attimo, assaporando quel momento mentre le sue tempie pulsavano di una nuova certezza.

Dopotutto non era importante se esisteva un documento segreto nascosto in uno dei cassetti di quel maledetto laboratorio che diceva che Seokjin non era per lui e lui non era per Seokjin. Non gli importava un accidenti se là fuori c'era qualcun altro per entrambi e la loro unione era quindi solo frutto di corruzione e calcolo.

Questo Namjoon imperfetto e rabbioso, si era innamorato di Seokjin.

Amava da inesperto e della frenesia di chi è stato colto alla provvista, ma amava come chi non vorrebbe mai smettere di essere l'ombra dell'altro anche se questo lo condannava al buio.

Si avvicinò a Jin allora, gli prese la tazza vuota dalle mani, la appoggiò sul comodino perché non riusciva a vedere come erano diventate bianche le sue nocche per la pressione esercitata su di essa, e disse,

“siamo anime gemelle. Se questa è la tua vita, allora è anche la mia.”

Avrebbe potuto dire un sacco di altre cose, quello che si portava dentro, ma in quel momento dire a Jin che lui ci sarebbe stato, nonostante tutto, sembrava la cosa più importante.

Seokjin, che era stato così attento a non iniziare il contatto fisico tra di loro sin da quella concitata sera in cui erano usciti allo scoperto, abbandonò ogni prudenza. Namjoon fu felice di poter ritornare l'abbraccio quando Seokjin, il suo numero uno, gli gettò le braccia al collo.

“Ti amo,” Seokjin sussurrò piano, pianissimo, al suo orecchio quasi avesse paura di farsi sentire mentre confessava l'unica verità che a Namjoon faceva piacere risentire.

Namjoon affondò le sue dita nella stoffa della sua giacca.


 

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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Capitolo 13
*** 2.11 ***


2.11

 

 

Il tempo perde il suo significato quando non è volto verso uno scopo. Giorni, settimane, mesi, si succedono l'uno dopo l'altro con lo stesso identico insalubre sapore.

Infiniti giorni erano trascorsi sin da quando Namjoon aveva messo piede per la prima volta a villa Kim e ora si preparava a festeggiare il suo diciassettesimo compleanno sotto quelli che all'apparenza sembravano i migliori auspici.

Era riuscito infatti a completare quasi tutti gli esami del secondo anno, a iniziare con successo il suo secondo (terzo) anno accademico e seguiva ormai attivamente, e con zelo, tutte le attività e gli eventi della famiglia Kim in cui era incluso, comportandosi in tutto e per tutto come l'ombra del giovane erede Seokjin come i Kim si erano augurati.

Gran parte del suo lavoro era studiare i documenti e le situazioni in cui Seokjin si sarebbe trovato, capire i protagonisti, individuarne i punti deboli, anticipare le loro mosse di modo che Seokjin non si trovasse mai impreparato. Era raro che Seokjin non sapesse dipanarsi da solo dalle situazioni spinose dal momento che era stato addestrato a ciò da molti anni prima di Namjoon, tuttavia i Kim volevano che Seokjin si concentrasse preferibilmente sulla sua immagine e che quindi ricadesse su Namjoon, il ragazzo dall' QI alto, il peso maggiore delle informazioni.

Perciò se Seokjin aveva un incontro formale con i Park, Namjoon avrebbe dovuto sapere tutto sull'ultimo progetto caldeggiato da questi anche se Seokjin aveva già letto dei briefing a riguardo. Avevano sicuramente ancora molto da imparare entrambi e sapevano che man mano che gli incontri a cui partecipavano si facevano più seri, più pesante si sarebbe fatta la mole di lavoro.

Nonostante ciò il primo console Kim non era parso mai più soddisfatto e persino i sorrisi della signora Kim si erano fatti più caldi, dava spesso mezzi abbracci affettuosi ad entrambi. Namjoon non provava alcun tipo di interesse ne di orgoglio nel riuscire ad essere efficiente come consorte del futuro primo console e la sua unica consolazione, a cui si aggrappava con la forza di un naufrago al suo pezzo di legno durante una tempesta, era che tutto questo avrebbe facilitato Jin.

Il suo spirito non era stato abbattuto, era lui che si era volontariamente sottomesso alla necessità e calpestato i suoi stessi sogni, ma quando vedeva Seokjin sorridergli o sentiva la sua mano stringere la sua, Namjoon sapeva che il maggiore era il suo motivo migliore.

Seokjin si meritava questo e altro e l'ammirazione di Namjoon per lui era cresciuta esponenzialmente. Seokjin non si limitava ad adempiere ai suoi compiti senza fiatare ma dava imput e si opponeva sempre ai discorsi che trovava troppo elettorali. A livello personale, era più affettuoso e premuroso che mai con lui.

Le cose pertanto non avevano motivo di non andare a gonfie vele tra loro due, eppure era proprio il comportamento di quest'ultimo che nell'ultimo periodoso stava lasciando Namjoon perplesso. Non lo aveva notato subito, Namjoon si era lasciato assorbire così tanto dai suoi doveri pur di non pensare a quel che aveva messo da parte, che gli ci era voluto un po' per rendersene conto.

Seokjin appariva indaffarato ma in modo diverso - molto diverso - rispetto a Namjoon. La loro routine di fatto non era cambiata, andavano agli eventi e studiavano ancora insieme, sia a casa che in biblioteca. Seokjin trascorreva lo stesso numero di ore sui libri o a fare i compiti e quindi in un primo momento Namjoon non se ne era accorto.

Poi un giorno, quasi per caso, l'occhio gli era caduto sullo schermo del computer e Namjoon aveva visto che il nome sul frontespizio non era suo. Seokjin stava correggendo il compito di un altro. La prima volta, sebbene colpito perchè non credeva che Seokjin oltre ai suoi impegni potesse permettersi di fare il tutor, Namjoon aveva ipotizzato si trattasse di un favore personale a un suo compagno di corso particolarmente amico.

E tuttavia quella spiegazione non gli era sembrata plausibile e perciò subconscicamente aveva tenuto il maggiore d'occhio.

L'episodio non tardò a ripetersi.

Gettando l'occhio sia sulle carte che giacevano sparse sulla scrivania di Seokjin sia sullo schermo del suo computer, vide come ogni volta il nome sul frontespizio era diverso. Namjoon capì che questo era diventato un nuovo compito, quasi un lavoro, a giudicare dalla frequenza con cui Seokjin lo faceva. Sorvolando sulla legalità o meno di scrivere saggi per conto di altri, Namjoon non riusciva cosa ci guadagnasse Seokjin eccetto lavoro in più e una reputazione dubbia.

L'idea che lui, l'erede del titolo consolare, si facesse pagare era ridicola eppure non poteva esserci altra spiegazione.

Oltre ai suoi numerosi impegni Seokjin sembrava inoltre occuparsi di cose di cui Namjoon non era messo a parte. A dire il vero questa non era neppure una novità, essendo Namjoon un esterno alla famiglia e quindi ritenuto dalla famiglia acerbe e impreparato era stato deciso di tacergli molte delle faccende dei Kim ed di conseguenza escluso da molti degli eventi a cui Jin partecipava.

Al giorno d'oggi Namjoon partecipava praticamente a tutto. E tuttavia c'erano ancora cose di cui Seokjin si occupava e di cui Namjoon e, la famiglia con lui, non aveva idea, essendosi il maggiore guardato bene dal divulgare le sue nuove faccende.

Seokjin era riuscito a ritagliarsi delle finestre di tempo in cui spariva dai radar.

Stava ben attento a che fossero momenti in cui la sua assenza sarebbe parsa ragionevole o non desse nell'occhio, come prendersi più tempo per svolgere alcuni compiti per la famiglia o usare le ore all'università per sparire chissa dove. Namjoon se ne era accorti di nuovo casualmente e solo perchè era andato a cercarlo alla fine di una lezione e non lo aveva trovato. Non andava al circolo ricreativo di questo era certo perchè non tornava rilassato come gli capitava quando ci andava, ma più preoccupato e pensieroso.

Aveva osservato il ripetersi di tale comportamento diverse volte, non spesso ma abbastanza perchè si potesse intuire uno schema. Sembrava quasi che Seokjin stesse seguendo delle istruzioni, ma chi gliele avesse date e per quale ragione si stesse comportando così, Namjoon non sapeva ne era riuscito a pensare a una spiegazione convincente.

Il suo primo impulso, dopo aver raccolto queste informazioni, era stato di andare da Seokjin e pretendere delle risposte ai suoi quesiti. Era una reazione piuttosto virulenta da parte sua, ma la maggior parte del suo conforto nel trovarsi nella situazione in cui si trovava - si sarebbe sempre trovato - era sapere di non essere solo a destreggiarsi in quel pantano ma che ci fosse Jin al suo fianco, l'uno a guardare le spalle dell'altro. Dal momento che si erano ripromessi di non avere segreti il fatto che Seokjin potesse essere venuto meno a quella promessa, lo mandava in uno stato di smarrimento che rasentava il panico.

Non era una bella sensazione sapere quanto del suo equilibiro dipendesse da una persona e quanto poco bastasse per incrinare il suo piano di certezze. Era stata la consapevolezza di ciò, sapere quanto fosse fragile il suo stato, a fermarlo dall'andare all'attacco. Potevano esserci milioni di motivi e non tutti dovevano per forza essere dei brutti perchè.

Namjoon dopotutto si fidava di Seokjin. E Seokjin, beh Seokjin lo amava.

Tuttavia anche quel pensiero non era esattamente il più edificante, gli faceva venire voglia di sbattere la testa contro il muro. Sentire quelle parole era stato come il primo tepore primaverile dopo un inverno particolarmente freddo. Namjoon era stato così lusingato, così travolto da una simile confessione (ma lo sapeva, non lo aveva forse sempre saputo?), che non aveva saputo come esprimere a pieno quello che sentiva. Aveva sempre pensato di essere una persona sensibile ma in realtà si era ritrovato ad essere piuttosto arido nelle sue manifestazioni affettive. I suoi sentimenti invece di uscire dalle sue labbra in forma di belle parole riuscivano solo a smettere di far funzionare il suo cervello.

Era questo il motivo per cui , pur avendoci ragionato per giorni, alla fine Namjoon se ne era uscito con una domanda diretta.

“Perchè all'improvviso fai i compiti per altri studenti e sparisci per ore?”

Non era stato certo questo il modo in cui Namjoon si era immaginato di porre le sue domande a Seokjin. Si trovavano tuttavia entrambi da soli nella biblioteca della villa Kim, in uno di quei rari momenti di pace che venivano loro concessi, e Namjoon non aveva potuto fare a meno di chiedersi se quello che stava battendo Seokjin al computer fosse per se stesso o per qualcun altro e si disse che non avrebbe mai avuto un'altra occasione del genere e così era sbottato.

In modo poco elegante e poco tattico. Namjoon cercò di convincersi che tanto era inutile girarci intorno.

Seokjin lo guardò vagamente preso in contropiede ma sembrò riprendersi presto dalla sua sorpresa mentre un sorriso si formava sulle sue labbra.

“Non ti sfugge nulla,” Seokjin rispose in tono leggero, quasi divertito. Namjoon strinse la sua presa sulla sua matita, leggermente contrariato.

“Ti guardo spesso perciò è difficile non notare le cose,” Namjoon disse sulla difensiva per poi arrossire al rendersi conto di cosa aveva appena ammesso. “Voglio dire, anche tu ti sei accorto subito quando la sera svicolavo da camera mia.” Namjoon cercò di spiegare inbarazzato mentre Seokjin scoppiava in una risata divertita.

“Diciamo che la finestra spalancata di camera tua è stato un grande indizio,” Seokjin commentò ma sembrava felice delle parole che Namjoon si era lasciato sfuggire. Namjoon pensò a quanto poco esprimesse la sua ammirazione per Jin, era vergognoso davvero come fosse facile per lui scrivere canzoni ma non fosse in grado di rispondere a un semplice “anche io” quando Seokjin gli aveva sussurato, “ti amo”.

Namjoon cercò di non abbattersi di fronte a quel pensiero che lo tormentava da mesi e di rimanere focolizzato sul problema in questione. Guardò quindi Seokjin in modo eloquente, come a voler dire che non se la sarebbe cavata con qualche battuta.

“Speravo te ne accorgessi più in là a dire il vero. Magari dopo il tuo compleanno,” Seokjin disse con un sospiro. Non era esattamente una risposta ma Namjoon non ci mise molto a fare due più due.

“Tutto questo sarebbe per me?” Namjoon chiese incredulo.

“Volevo darti qualcosa con soldi guadagnati da me e non con i soldi della famiglia Kim,” Seokjin rispose in uno strano tono battagliero.

“Non devi,” Namjoon provò a ribattere timidamente.

“Invece si,” Seokjin disse con fare determinato.

Namjoon decise di non controbattere, soprattutto perchè di tutte le ipotesi che aveva fatto non aveva mai pensato che ci potesse essere un simile motivo dietro. Si vergognò delle sue paranoie e di come quella casa fosse riuscita a infilargli il seme del sospetto per ogni cosa.

Era fortunato. In mezzo a quel cespuglio di rovi che erano i Kim, Namjoon era fortunato ad avere Seokjin. Eppure anche sapendo questo, anche se la risposta di Seokjin l'aveva piacevolmente sorpreso, Namjoon non potè a fare a meno di ricordarsi, quando il pomerggio seguente Seokjin sparì di nuovo, come quest'ultimo non avesse mai risposto alla sua seconda domanda.

E il tarlo del dubbio tornò di nuovo ad assalirlo suo malgrado. Doveva fidarsi di Seokjin. Seokjin non gli aveva mai dato motivo per dubitare di lui. E Namjoon voleva credere alla persona che amava anche se non poteva fare a meno di provare un brutto presentimento.


 


 

“Dobbiamo smetterla di trovarci così,” disse la voce bassa e roca di Yoongi.

“Così, come?” rispose Namjoon scettico da sopra la sua tazza di caffè.

“In sordina. Garbati. Senza più la puzza di fumo che viene dal pub. Guardati, sei perfino vestito bene,” Yoongi rispose con un profondo sospiro.

Namjoon si lasciò sfuggire una risata. Dio, quando era l'ultima volta che aveva riso? Gli facevano male persino i muscoli facciali.

Si trovavano nella caffetteria del campus e in qualche modo erano riusciti a trovare del tempo per trovarsi. Da quando Yoongi si era diplomato e aveva iniziato il suo lavoro da compositore a tempo pieno, era più difficile per lui far coincidere i suoi orari con quelli di Namjoon. Si vedevano così di rado che quando capitava era una sorta di miracolo.

“Quei tempi sono andati. Il massimo che posso fare è fare un buco tra i miei noiosi impegni ed invitarti ad un caffè. E solo perchè al mio compleano mancano due settimane altrimenti non mi vedevi fino a novembre,” Namjoon si lamentò. Era cosciente di suonare come un vecchio brontolone anche se aveva a malapena diciassette anni ma evidentemente erano i rischi di diventare un kim.

La casa degli spettri finiva col succhiarti via ogni tipo di entusiasmo.

“Ma devono fare la festa del secolo ogni volta che qualcuno della famiglia Kim ha il compleanno?” chiese Yoongi con il tono annoiato che l'argomento giustamente si meritava.

“A quanto pare. Sembra che festeggiare il genetliaco dei consoli e dei loro eredi siano gli eventi che l'alta società aspetta tutto l'anno. Se penso che il mio unico momento di pace sarà solo quando il mio corpo inerte verra calato in una bara dentro una fossa molto profonda, mi viene la nausea.” Namjoon disse.

“Non so se mi spaventa di più il tuo nuovo gusto per il macabro o la certezza con cui l'hai detto,” Yoongi commentò, trapassandolo con il suo sguardo. Namjoon si contorse leggermente sulla sedia.

Si sentiva nudo e senza barriere davanti al suo migliore amico, privo di quella placcatura fatta di stoicismo e abnegazione con cui era solito coprirsi sotto il tetto dei Kim. Sapeva che Yoongi avrebbe notato le sue occhiaie profonde, la pelle opaca e il modo in cui si contorceva le mani quasi a volersele strappare.

“Hai davvero una pessima cera, Joon,” Yoongi commentò infine, prendendo un sorso del suo caffè nero. Namjoon corrugò la fronte.

“Lo so. Ma ho controllo sul mio fisico ancor meno di quello che ho sul mio destino,” Namjoon disse rassegnato. Sapeva di essere a pezzi, che se ne erano accorti tutti anche se con reazioni diverse. Seokjin lo guardava come se fosse colpa sua mentre i Kim come se non stessero aspettando altro che lui crollasse per poterlo rimodellare a loro immagine e somiglianza. Non sapeva quale reazione lo infastidisse di più.

Seokjin non aveva nulla di cui farsi perdonare. Namjoon aveva da tempop smesso di affibiargli la colpa della sua infelicità. Le sue dita si contrassero nervose. Namjoon si chiese se era quello il motivo per cui Seokjin continuava a sparire di tanto in tanto come se anche lui avesse bisogno di aria e spazio. Seokjin continuava a nascondergli quella parte di verità.

Nonostante fossero vicini e passassero praticamente la maggior parte del tempo insieme e i loro sentimenti fossero forti, quasi disperatamente intensi, Namjoon non poteva fare a meno di pensare con una punta di tristezza che per quanto Seokjin fosse nelle sue dichiarazioni di affetto lo era molto meno quando si trattava di esprimere i suoi pensieri.

Si chiese se sarebbero mai riusciti a colmare questa sbilanciamento o se Jin in quanto maggiore avrebbe sempre pensato toccasse a lui accusare il colpo più grande senza lamentarsi. Non far pesare le sue di preoccupazioni su Namjoon.

Non volevo che la mia anima gemella dividesse con me le mie brutture. Era tutta li in fondo la chiave della mente di Seokjin.

“Scrivi ancora?” Yoongi chiese a bruciapelo, di punto in bianco. Namjoon avrebbe voluto urlare eppure la sua voce uscì mortalmente calma e incolore quando disse, “no.”

Yoongi sospirò al sentire la sua risposta. Sembrava che fosse l'unica espressione che riuscisse a riassumere l'intero concetto di tristezza e rassegnazione.

“Dovresti invece.”

“Per ricordare a me stesso cosa non potrò mai avere? Per cosa? Per chi? Per riempire pagine che rimarranno rinchiuse dentro un cassetto? No. Meno ci penso. Meglio è. Non tutti hanno la tua fortuna Yoongi.”

Ci fu un lampo di un emozione selvaggia che per un attimo illuminò lo sguardo di Yoongi.

“Lo sai che darei il mio braccio destro pur di...”

“Non è vero. Perchè potendo scegliere hai scelto la musica anche tu Yoongi,” Namjoon ribattè con rabbia. Poi si rese conto di cosa aveva appena detto e si sentì sbiancare, tuttavia prima che potesse scusarsi Yoongi gli fece un segno con la mano.

“No, no. Hai ragione. Sono io che dovrei scusarmi.” Yoongi concesse e Namjoon non si sentì affatto meglio. Perchè anche se gli doleva ammetterlo, di fatto Yoongi non aveva mai risolto la sua situazione e pur dicendo di voler essere un numero zero continuava a godere dei privilegi dei numeri due e non sembrava affatto intenzionato a metterli da parte. Nemmeno per amore.

Ma se Yoongi era un codardo beh, Namjoon pensava di non essere da meno. Dopotutto che cosa aveva fatto lui per ribellarsi al suo destino? Nulla. Non riusciva neppure ad essere di vero supporto alla sua anima gemella. Neppure a dirgli che lo amava.

“Non scusarti. Credo di essere arrivato alla frutta e di essere invidioso di chiunque possa esercitare almeno un minimo di libertà oggigiorno,” Namjoon rispose cercando di calmarsi e far si che i sentimenti negativi lasciassero il suo corpo. Scaraventare le sue frustrazioni su Yoongi non sarebbe servito a nulla se non a ferire l'unica persona che riusciva a capirlo.

“A chi lo dici,” disse Yoongi laconicamente prima di bere l'ultimo sorso di caffè. Guardò Namjoon allora, soppesandolo, come se temesse di dire quello che stava per dire. “Se tutto va come spero, in futuro la mia vita girerà intorno alla musica. Io e te abbiamo mosso i nostri primi passi insieme, fatto musica insieme. La tua opinione per me conta. Ma so cosa vuol dire vedersi sventolare davanti qualcosa che si ama alla follia e non poterla avere. Perciò se non vuoi che io te ne parli, capisco.”

“Non voglio che nessuno si censuri per me. Sei il mio migliore amico. E sono felice che tu possa realizzare il nostro sogno.”

“Vorrei che potessi farlo anche tu. Dio. Lo vorrei davvero. Se questo sistema è perfetto allora la perfezione fa schifo Joon,” Yoongi disse, quasi ringhiò.

Namjoon distolse lo sguardo. Yoongi non aveva neppure idea di quanto avesse ragione. Strinse gli occhi mentre ripensava al computer che da quel laboratorio sputava le sue terribili sentenze.

Rimasero li per qualche altro minuto in più, giusto perchè Namjoon riuscisse a finire la sua bevanda ma niente di più. Il tempo di Namjoon ormai era contato al secondo, le sue giornate scadenzate con precisione, e quel giorno lui aveva un discorso da fare. Era stancante ed era solo l'inizio di quella corsa forsennata che non ammetteva fermate.

In quanto rappresentante del suo corso e Kim, dopo che il capo del dipartimento di economia avesse presentato il corso, sarebbe spettato a lui dire qualche parola alle matricole. Non era un brutto impegno ma quello che stancava la sua mente era sapere che era un impegno che non si era scelto lui. Si chiese di nuovo, se non fosse lui quello che sbagliava tutto e che dopotutto essere adulti non significasse proprio questo, continuare a buttare giù un indefinito numero di bocconi amari e tenersi stretto le poce cose belle che rimanevano.

“Se non ti dispiace mi piacerebbe venire,” Yoongi disse cogliendo Najmjoon di sorpresa.

“Vuoi iscriverti anche tu a economia, hyung?” Namjoon chiese mentre Yoongi gli restituiva un sorriso enigmatico come se stesse effettivamente prendendo in considerazione la cosa.

“Male non mi farebbe, ma no. Sono solo curioso e non ho nulla da fare. Rimango per un po' se non ti dispiace...” Yoongi rispose facendo spallucce.

“Certo che non mi dispiace. Anche se ti avverto sarà noioso da morire.”

Yoongi non sembrava toccato dalla cosa e per quanto Namjoon fosse sollevato di avere un volto amico tra la folla si chiese se ci fosse un motivo in più o semplicemente Yoongi non volesse tornare a casa. Era un sentimento che Namjoon poteva capire troppo bene.

Le folle non avevano mai intimorito Namjoon ma una cosa era esibirsi davanti a un pubblico, un'altra era fare un discorso articolato. La musica gli aveva dato un senso di sicurezza in più e senza si sentiva indifeso. Senza note di sottofondo Namjoon era solo semplicemente Namjoon. O peggio. Era solo un Kim.

La sala dove si teneva la presentazione non era particolarmente gremita ma c'era comunque una buona parte delle matricole di quell'anno accademico. Yoongi era andato a sistemarsi in un angolo della grande stanza e ad eccezione di lui era pieno di volti sconosciuti.

La facoltà di economia era risaputo essere il irfugio di molti numeri zero i quali, non potendo iscirversi a corsi umanistici, riempivano spesso le file delle facoltà di economia e ingegneria. Namjoon si chiese quanti tra loro avesse avuto la vita rovinata dalla macchina. Avrebbe tanto voluto poter dire su quel palco che non avevano colpa alcuna del destino che altri avevano affibiato loro. E invece avrebbe detto solo un banale discorso descrittivo del programma.

“Bel discorso,” sussurrò qualcuno al suo fianco quando infine potè scendere dal palco e rifugiarsi tra le fila di studenti. Namjoon si voltò alla velocità della luce mentre il primo vero sorriso della giornata si fece strada sul suo volto.

“Jin!” Namjoon esclamò mentre la sua mano veloce andò a posarsi sull'avambraccio di Seokjin come se il contatto con il maggiore fosse l'anestetico a ogni suo dolore, piccolo o grande che fosse. Dicevano che i numeri due sorridevano sempre perchè non avevano motivo di essere infelici.

Namjoon sapeva che questa era una delle tante bugie che il governo si era premunito a tatuare nelle loro menti. Per quel che lo riguardava sarebbe sempre stato solo Jin, per la persona che era, e non per quello che rappresentava.

“Come mai qui?” chiese Namjoon cercando di ricordarsi se si fosse per caso dimenticato di un impegno.

“Avevo del tempo e volevo vederti,” Seokjin rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Namjoon conosceva però la tabella di marcia di Seokjin e sapeva che non era affatto una cosa semplice trovare del tempo per liberarsi dai suoi impegni. Ripensò a come Seokjin ultimamente sembrasse piuttosto menfreghista al riguardo e alla sensazione che lui agisse secondo un suo schema preciso. Cercò di non dare a vedere il suo turbamento interno e si sforzò di parlare.

“Allora magari possiamo prendere un giro prima di tornare? Io non ho altri impegni per oggi. Yoongi dovrebbe essere nei paraggi, possiamo invitare anche lui.”

“Davvero? Mi farebbe piacere visto che è passato un po' di tempo dall'ultima volta,” Seokjin rispose, tradendo un'inflessione. Namjoon non lo avrebbe biasimato se fosse stato più sostenuto nei confronti di Yoongi considerando come questi spesso e volentieri si dimostrasse poco affabile nei suoi confronti.

“Si, dovrebbe essere lì...” Namjoon disse indicando verso l'angolo più lontato della sala. Tuttavia non appena il suo sgaurdo si diresse in quella direzione non trovà nessuna traccia di Yoongi. “In effetti aveva detto di avere un impegno e che non sapeva quanto sarebbe rimasto,” Namjoon osservò cercando di suonare rassicurante.

Non voleva che Seokjin pensasse che Yoongi non volesse avere a che fare con lui. Seokjin gli sorrise anche se stavolta il suo sorriso parve tirato. Namjoon si morse l'interno della guancia. In effetti che altro motivo poteva avere Yoongi per sparire così all'improvviso se non evitare Jin?

Namjoon sentì delle pulsazioni all'altezza della tempia nel consueto mal di testa che sembrava non avere mai pietà di lui. Non riuscì a evitare una leggera smorfia di fastidio.

“Mal di testa? Vuoi che andiamo a casa?” Seokjin chiese preoccupato. Il maggiore era l'unico nella casa Kim che sembrava interessarsi all'aggravarsi dei suoi episodi di emicranie. Aveva persino insistito per andare da uno specialista tuttaviz Namjoon sapeva già la sua diagnosi e quale fosse la sua cura. E come fosse impossibile per lui provare accedere alla cura quando il suo status di Kim era quello che glielo impediva.

“No, ti prego. Usciamo, facciamo qualcosa. Almeno finchè non inizieranno i preparativi per la mia festa, approfittiamone.” Seokjin annuì comprensivo

Uscirono anche loro quindi dalla sala e Namjoon notò quanto Seokjin si fosse fatto improvvisamente pensoso e lo avesse preso per mano come erano soliti fare solo durante le occasioni ufficiali. Non che importasse a quel punto, Namjoon era più che felice ogni volta che condividevano del contatto fisico ed era grato che Seokjin non avesse preso le distanze dopo la sua confessione rimasta senza risposta.

“E' un peccato, davvero che la mia famiglia si impegni così tanto per i nostri compleanni,”commentò Seokjin con un sospiro.Avevano parlato molto volte come entrambi non fossero grandi fan delle feste in stile presidenziale. Namjoon si ricordava come Seokjin gli avesse detto che se fosse stato per lui avrebbe preferito una cosa in privato, con famiglia e amici.

Sapevano entrambi che non sarebbe mai successo.

“Almeno potrò vedere i miei genitori. Loro sembrano sempre divertirsi un mondo a questi eventi,” Namjoon rispose scuotendo la testa. Poi, quasi andò a sbattere con la schiena di Seokjin. Si era fermato a metà corridoio come se fosse stato colpito da un pensiero improvviso.

“Lo sai vero che puoi invitare i tuoi genitori o andare a casa da loro quando vuoi, basta che avvisi.” Seokjin disse voltandosi verso Namjoon come se si sentisse in colpa di Non aver mai chiarito questo punto.

Namjoon sospirò.

“Lo so. Ma questa nuova vita è così caotica che non voglio coinvolgerli più del necessario. E sinceramente non so se riuscirei a tornare a casa.”

Namjoon non poteva dire che tornare a casa faceva troppo male sapendo che non vi poteva rimanere. E come si sentisse terrorizzato al pensiero di entrare tra le pareti in cui era cresciuto e sentirsi un estraneo.

Seokjin sorrise di quel sorriso che gli vedeva così spesso dipinto in volto ultimamente. Fu Namjoon questa volta a prenderlo per mano.

“Dai andiamo. Voglio camminare un po' con te.”

Sapeva Seokjin quanto erano importanti quelle parentesi, quanto Namjoon gli era grato della sua presenza? Namjoon sperava che lo sapesse. Strinse la sua mano più forte.


 


 


 

Tecnicamente era la festa per i suoi vent'anni, Namjoon pensò quasi divertito mentre si aggiustava la cravatta allo specchio. L'ultimo paio di settimane erano passate in un lampo e Namjoon, per via dell'ammontare di cose che la sua testa aveva immagazzinato in così poco tempo, si sentiva la testa leggera come se fosse fatta di zucchero filato. Anche se in realtà quello poteva benissimo essere l'effetto collaterale di tutti gli analgesici di aveva fatto uso e abuso unito a una cronica mancanza di sonno.

Gettò uno sguardo alla figura riflessa allo specchio. Per grande disperazione del sarto che seguiva i giovani eredi, Namjoon aveva perso sistematicamente peso in poco tempo ed erano stati quindi necessari degli accorgimenti anche durante l'ultima prova d'abito e Namjoon aveva dovuto indossare delle imbottiture alle spalle per sembrare un po' più in carne e meno come uno spaghetto stirato allo stremo.

Namjoon normalmente non avrebbe fatto a una piega di fronte a tutto ciò, non aveva mai dato molta rilevanza al suo aspetto e dopotutto esso poteva essere facilmente spiegato anche dai quattro centimetri in più che aveva guadagnato nell'arco dell'estate. Tuttavia dal momento che lui condivideva lo stesso entourage di Seokjin, quest'ultimo era stato presente di fronte a questo il sarto era andato a prendere gli spilli per appuntare la camicia.

Namjoon aveva cercato di scherzare e gli aveva raccontato di quando alle elementari gli fosse successo una cosa del genere e come sua madre fosse stata costretta a rinnovargli il guardaroba nell'arco di un quadrimestre ma Seokjin aveva riso solo educatamente e Namjoon sapeva di non essere riuscito a convincerlo.

Il fatto che consumasse analgesico dopo analgesico come se fossero caramelle non deponeva affatto a suo favore ed era diventato difficile nascondere a chiunque gli stesse vicino (persino la signorina Choi gli aveva lanciato uno sguardo pensieroso) come lui avesse tutto l'aspetto di un malato.

Namjoon preferiva pensare invece che si trattasse solo di una passeggera debolezza anche se questa debolezza se la stava trascinando dietro da mesi. “E' come per l'influenza, il corpo deve peggiorare prima di poter guarire,”continuava a ripetersi. Dopotutto escludendo i forti e spiacevoli episodi di emicrania, il suo cervello raramente era stato così attivo e lucido e in grado di macerare ogni limite dettato dalla stanchezza.

Perciò finchè il suo cervello avesse funzionato, Namjoon era sicuro di poter superare qualsiasi debolezza vera o apparente. Prima o poi il peggio sarebbe passato e quel dolore che provava nello sradicare se stesso per far fiorire un Kim, prima o poi si sarebbe trasformato in un fastidio facilmente ignorabile. Namjoon infatti non era solo, Seokjin era con lui.

Il solo pensare al maggiore riusciva sempre a rassicurarlo e scacciare via un po' dei fantasmi che si annidavano nella sua mente. Decidendo di averne abbastanza del proprio riflesso allo specchio Namjoon uscì da camera sua per andare in quella di Seokjin e vedere a che punto era. Se anche lui aveva finito forse potevano passare del tempo insieme e magari il maggiore sarebbe riuscito nell'intento di risollevargli l'umore.

Come aveva sperato trovò il maggiore senza entourage al seguito e già vestito di tutto punto, tuttavia lo trovò anche particolarmente assorto, lo sguardo fisso sul suo telefono e la fronte aggrottata. Qualsiasi cosa ci fosse in quel telefono sembrava preoccupare Seokjin moltissimo e Namjoon provò l'impulso di capire cosa e al tempo di spianare il suo viso da ogni brutto pensiero.

“Jin?”Namjoon chiese tentativamente facendo sussultare il maggiore. Vide il viso di Seokjin ricomporsi alla sua vista, riuscendo persino a illuminarsi in un sorriso.

“Namjoon! Vedo che sei già pronto!” Seokjin esclamò alzandosi e lasciando il telefono sulla scrivania come se questi scottasse. Il gesto sembrò acuire la curiosità di Namjoon e quel tarlo di dubbio che gli sussurrava come Seokjin gli stesse nascondendo qualcosa. Tuttavia Seokjin gli venne subito incontro e il suo viso fu abbastanza una distrazione perchè le sue parole morissero momentaneamente sulla lingua. Le sue mani, come sempre, aggiustarono il colletto e poi scesero a lisciare le pieghe inesistenti del suo abito.

“Si, ti sta proprio bene,” Seokjin disse sorridendo spostando il suo sguardo lungo tutta la persona di Namjoon. “Però credo che dovresti mangiare di più. So che siamo impegnati ma non dovresti saltare i pasti,” Seokjin aggiunse in tono di mezzo rimprovero. Namjoon si lasciò sfuggire una risata.

Il problema non era il cibo che non ingeriva, ma il fatto che il suo stomaco non sempre riusciva a tenerlo dentro. A volte il nervosismo che lo attenagliava era tale che Namjoon si ritrovava a svuotare il suo stomaco nel primo bagno disponibile. Seokjin non lo sapeva però e Namjoon voleva che così rimanesse perchè non voleva aggiungere una inezia del genere sulle spalle già oberate del maggiore.

“Puoi sempre chiedere ai cuochi che ti preparino quello che vuoi,” Seokjin insistette posando la sua mano sulla sua guancia. Namjoon annuì e Seokjin rassicurato aggiunse,” andiamo magari siamo in tempo per sgattaiolare da qualche parte.” Tuttavia prima che il maggiore riuscisse a trascinarlo fuori, Namjoon lo trattenne per il braccio.

“Seokjin tutto bene? Se c'è qualcosa che ti turba ne possiamo parlare,” Namjoon disse perchè anche se il maggiore era stato bravo a distrarlo Namjoon non aveva dimenticato lo stato pensieroso in cui lo aveva trovato.

“Lo so. Ma non è niente di nuovo o comunque nulla che non puoi immaginare. C'è sempre un nuovo documento da leggere o da firmare,” Seokjin disse lasciandosi sfuggire un sospiro.

“Sono la tua anima gemella seokjin, quindi se hai bisogno di una mano, sai che non devi neanche chiedere. Sono qui per questo,” Namjoon disse accorato perchè conosceva quel peso e come ci sisentisse soffocati sotto di esso e lui non sarebbe mai stato console, non avrebbe mai avuto la responsabilità di rappresentare milioni di persone come Seokjin. Namjoon poteva lamentarsi del suo destino quanto voleva ma ero lo stesso che era toccato in sorte anche a Jin e qualunque fosse il modo in cui le loro strade si erano non solo incrociate, ma intrecciate, Namjoon non avrebbe lasciato che Seokjin affrontasse tutto questo da solo.

Quando aveva accettato il suo verdetto, gli era stato chiaro che tra tutti i compiti ingrati che il suo ruolo richiedeva quello di essere di supporto a Jin non lo sarebbe mai stato.

In ogni caso quelle che volevano essere parole di rassicurazione non sortirono l'effetto desiderato.

Un'espressione indecifrabile oscurò il suo viso ma poi, infine, Seokjin annuì lentamente. Non parlò, non disse nulla, si limitò a tirare Namjoon dal braccio e questi lo seguì fuori dalla stanza e ovunque il maggiore volesse portarlo.

Lui e Seokjin riuscirono a seminare il personale di guardia alla villa e ad uscire fuori dal perimetro di sicurezza. Non andarono lontano, ma solo al parco del loro quartiere. Namjoon lo conosceva bene perchè si era fermato li spesso ed era solito sedersi su una delle panchine a cercare di respirare dell'aria fresca fuori da quelle mura. Seokjin comunque non lo fece sedere su una panchina, ma lo portò verso i giochi per i bambini incurante di come dovevano apparire ridicoli vestiti di tutto punto sulle altalene. Se lo staff preparatorio li avesse visti probabilmente avrebbe avuto un infarto.

Namjoon avrebbe barattato il suo mega party di lusso per una giornata con Seokjin in quel parco in un attimo.

La loro fuga naturalmente non era destinata ne a durare, ne tantomeno a passare inosservata. Il loro staff con le guardie del corpo li raggiunse nemmeno mezz'ora dopo e non fu fatta loro una lavata di capo solo perchè Seokjin gelò tutti con lo sguardo collaudato da Kim che Namjoon gli aveva visto tante volte indossare quando si trovava in pubblico.

Non era il primo compleanno che Namjoon sperimentava sotto il patrocinio dei Kim perciò questa volta era più preparato e quando entrò nell'enorme sala allestita per la sua festa le sue ginocchia non vennero meno.

La grande sala era piena fino all'orlo di politici, figli di politici e celebrità di altro profilo e la stanza a fianco era già stracolma di regali di cui Namjoon non avrebbe saputo che farsene. Pensò con rammarico che forse avrebbe potuto evitare quell'inutile spreco di soldi e si ripromise di chiedere agli invitati come regalo di fare una donazione a delle società non profit da lui scelto l'anno successivo. Non pensava i Kim avrebbero avuto qualcosa da obbiettare.

Per una volta non era Seokjin il centro dell'attenzione ma lui e cercò di imitare i modi cordiali e aperti del maggiore mentre faceva il suo ingresso in sala sotto una pioggia di applausi e flash. Ques'tanno almeno al suo tavolo non c'era solo la sua famiglia ma anche Yoongi. Era evidente che si sentiva fuori luogo ma si trovava comunque lì, a battere le mani insieme agli altri. Namjoon non potè fare a meno di notare come sebbene l'invito compredesse un plus one, Yoongi aveva deciso di venire da solo.

Se i Kim non fossero stati certi che Yoongi fosse un numero due Namjoon era sicuro che non lo avrebbero mai lasciato entrare.

Dopo i noiosi ma doverosi convenevoli, Namjoon riuscì infine ad andare al tavolo riservato alla sua famiglia e ai suoi amici e sua madre non perse tempo ad avvolgerlo in un abbraccio.

“Ma non ti danno da mangiare dai Kim?” Fu la prima cosa che chiese sua madre non appena si staccarono, i suoi occhi che prendevano nota di ogni suo più piccolo cambiamento con quella preoccupazione tipica di una madre. Namjoon stavolta rise per davvero.

“Certo che mi danno da mangiare mamma. Sono solo cresciuto di qualche centimetro,” sua madre parve davvero poco convinta e Namjoon non avrebbe saputo cosa inventarsi se non fosse intervenuto Jin.

“Ormai è più alto di me di un pezzo,” commentò Jin con un sorriso. Qualcosa nel viso di Seokjin o forse il modo in cui Namjoon lo guardò con riconoscezna sembrò rassicurare sua madre che Namjoon non veniva trascurato. Almeno qualcuno nella villa Kim si prendeva cura di lui.

Namjoon ebbe appena il tempo di salutare brevemente Yoongi prima di dover tornare al suo posto. Non era solo il suo compleanno ma era il compleanno di un membro della famiglia Kim.

“Andiamo,” sussurrò Seokjin al suo orecchio quando fu evidente la sua riluttanza. Namjoon annuì e segui il maggiore fino alla testa della tavolato nei loro posti alla destra del primo console Kim, il quale rivolse loro un sorriso raggiante. Era alquanto inquietante come il padre di Seokjin ultimamente apparisse soddisfatto di loro quasi la sua felicità fosse inversamente proporzionale al malessere di Namjoon.

Seguirono molti discorsi ufficiali prima che infine potessero iniziare a mangiare e per allora Namjoon aveva una gran fame. Ma le varie portate erano sempre lente ad arrivare e loro dovevano fare un giro di ospiti ad ogni pausa. Era esasperante quel circolo della vanità.

Seokjin tuttavia fu fantastico come al solito e riuscì persino ad attirare l'attenzione della famiglia del secondo console Park su di lui ma non dopo che ebbe sussurato le parole“vai”. Namjoon non se lo fece ripetere due volte, lanciò un'occhiata significativa a Yoongi e uscì quindi dalla sala affollata.

Sentì dei passi raggiungerlo poco dopo nel corridoio e nel voltarsi vide Yoongi dietro di lui con un bicchiere di champagne in mano.

“Grande festa che mi ero perso l'ultima volta,” Yoongi commentò, buttando giù un generoso sorso di alcol.

Namjoon scosse la testa mentre guidava silenziosamente Yoongi verso il balcone. Non era neanche a metà serata e Namjoon aveva un disperato bisogno di aria. Non poteva neppure aprirsi il colletto della camicia perchè doveva essere impeccabile per quel che restava della sua fantastica festa di compleanno.

L'aria fresca della sera fu come un balsamo sulla sua pelle e Namjoon esalò un grosso sospiro di sollievo. “E' sempre così Namjoon?” Yoongi chiese mettendo anche lui piede nella veranda. Namjoon ebbe una fortissima sensazione di deja vu. A quanto pareva le conversazioni serie dovevano sempre accadere tra gli istanti di fuga di quella che era la sua vita quotidiana.

“Questa è solo un piccolo assaggio, è molto peggio di quanto immagini,” Namjoon disse appoggiandosi alla parete e lasciandosi poi scappare una risata sarcastica.

“Ma seokjin ti copre le spalle. C'è per te,” Yoongi osservò. Namjoon si voltò a guardarlo sorpreso dal suo tono. Sembrava quasi affascinato nel constatare il loro legame e aveva in volto quella stessa espressione tra il colpito e l'infastidito che aveva avuto quando Seokjin si era presentato al suo spettacolo.

Come se non riuscisse a sopportare che le anime gemelle potessero veramente essere tali l'una per l'altra.

“Non so davvero cosa farei se non ci fosse lui,” Namjoon ammise. Gli occhi di Yoongi si allargarono leggermente per la sincerità con cui Namjoon aveva parlato. Forse era il momento di parlare chiaro, di dire a Yoongi che per quel che lo riguardava Seokjin era il suo numero uno e lui era il suo.

Che non importava cosa avesse veramente sentenziato la macchina dell'algoritmo su di loro. Namjoon si era comunque innamorato.

Forse se Namjoon non fosse sempre stato così scettico al riguado, Yoongi non avrebbe fatto così tanta fatica ad accettare la sua situazione, si disse.

Tuttavia prima che lui potesse elaborare il suo pensiero, sentirono delle voci concitate in corridoio. Namjoon si immobilizzò. Non solo era strano che accadesse qualsiasi cosa che potesse turbare la perfezione degli eventi marchiati Kim, ma era ancora più strano che la persona coinvolta in una tale caduta di stile fosse proprio il primo console Kim. Avebbe riconosciuto quella voce odiosa ovunque.

Namjoon capì al volo che qualcosa non andava e fece subito segno a Yoongi di tacere. Sebbene perplesso, questi ubbidì mentre lui tendeva l'orecchio in concentrazione.

“Non è questo il luogo per parlare. I muri hanno orecchie,” disse il primo console Kim in un ringhio poco più che susurrato.

“Non è mai un buon momento per te. Stai evitando da settimane un incontro privato con me. Non mi lasci altra scelta, alzerò la voce se necessario così tutti gli invitati sapranno che vuoi modificare l'art.13 della ...”

“Taci per l'amore del cielo! Va bene, come vuoi. Domani. Ma ora torna dentro e non tormentarmi più. Qui uno non può neanche andare in bagno in santa pace!” Il signor Kim disse in tono polemico ma sempre in poco più di un sussurro. Ci fu un rumore di passi che si allontanavano e sollo allora Namjoon ebbe il coraggio di muoversi. Si sporse leggermente da dietro le tende giusto in tempo per vedere il padre di Hyosang, suo zio acquisito, fare ritorno nella sala.

Stava succedendo qualcosa. Forse non era grave, ma conoscendo i pochi scrupoli dei Kim, Namjoon non si sentiva affatto tranquillo al riguardo.

“Cos'era quello?” Namjoon sussultò quasi violentemente. Si era scordato che Yoongi fosse lì con lui.

“Non ne ho idea. Probabilmente nulla,” provò a minimizzare. Aveva involontariamente coinvolto Yoongi in una potenziale conversazione pericolosa e non andava bene. Meno Yoongi veniva coinvolto nelle acque torbide Kim, meglio era.

Rimasero qualche minuto fuori a parlare del più e del meno ma Namjoon sapeva di essere distratto e faceva grande fatica a tenere il filo della conversazione. Le parole del padre di Hyosang gli avevano risvegliato un lumicino in testa e una parte di lui voleva correre alla biblioteca della villa e capire in quale libro quella informazione aveva più senso.

Yoongi non disse nulla e a Namjoon non gli riuscì di riprendere il discorso di prima ma si ripromise di avere una chiacchierata con Yoongi non appena ne avessero avuto il tempo. Tornarono quindi verso la sala dove Seokjin fu svelto a rapirlo non appena Namjoon vi ebbe messo piede.

“Mi devi un favore, Joon,” Seokjin gli sussurrò all'orecchio facendo sorridere Namjoon.

“Qualunque cosa,” Namjoon rispose mentre appoggiava la mano sulla schiena del maggiore.

Avvertì gli occhi di Yoongi su di loro, come se fosse incapace di distogliere lo sguardo. Si. Namjoon si ripromise di ricavare del tempo per il suo migliore amico. Raddrizzò la schiena e indosso nuovamente la sua maschera da perfetto consorte dell'erede.

Namjoon aveva dovuto fare accorgimenti sul suo smoking perchè era riuscito a dimagrire anche nell'ultimo mese. Dormiva male, aveva mal di testa continui e sopportava con fatica ogni attività della sua giornata. Ma doveva essere forte perchè non si trattava più solo di lui e aveva capito il giorno in cui gli si era spezzato il cuore di fronte alla possibilità che il suo amore fosse una costruzione, che se l'idea di perdere Jin faceva così male era perchè i suoi sentimenti erano vero.

Namjoon non avrebbe mollato, non importava quanto fango sarebbe stato costretto a spalare.


 


 


 

La cosa di avere un quoziente intellettivo sopra la media che funzionava alla grande nonostante l'emicrania, era che Namjoon aveva tutto lo spazio per pensare a ogni cosa, a ogni dettaglio, anche quelli che avrebbe preferito ignorare.

Namjoon non aveva dimenticato affatto la conversazione, più un alterco a dir la verità, a cui aveva assistito durante la sua festa di compleanno. Non solo l'immagine impeccabile che il primo console si promulgava così tanto a diffondere si era frantumata in pubblico consapevolmente un lungo istante, istante che sarebbe potuto essergli fatale se altre orecchie oltre a quelle di Namjoon lo avessero ascoltato, ma le parole avventate del suo zio acquisito erano suonate piuttosto inquietanti.

Quelle parole continuavano a rimbombare nel suo cervello come un nastro rotto e Namjoon aveva passato ore ed ore a cercare di posizionare quelle parole nella mappa concettuale della sua memoria per capire dove le aveva lette, in che contesto avevano senso, e perchè sembravano attivare non uno, ma mille segnali di allarme nella sua testa.

Il giorno dopo il suo compleanno, dimentico della colazione, aveva indossato il primo paio di jeans a maglietta che aveva trovato e si era recato in università. Una volta giunto a destinazione si era fiondato in biblioteca e aveva fatto tirare fuori e consultato ogni singolo libro di legge di tutti i codici legistlativi che si ricordava di aver toccato durante le sue lezioni con la signorina Choi.

La pila di libri di fronte a lui si era alzata ben presto in modo vertiginoso, ma Namjoon non aveva batutto ciglio, pressato com'era da quel tarlo.

Certamente la cosa più intelligente da fare sarebbe stato consultare Seokjin, brillante studente di legge oltre che erede consolare quindi altamente informato sulle attività del Senato.

Namjoon tuttavia non lo fece. Non voleva coinvolgere Seokjin nelle sue paranoie almeno finchè non avesse avuto fatti che potessero validare i suoi sospetti. Non poteva negare infatti quanto avvertisse la differenza nelle rispettive capacità e come si vergognasse di non essere all'altezza del maggiore. Se all'inizio della loro conoscenza aveva pensato che Seokjin fosse un accolito volontario degli intrighi dei Kim, Namjoon sapeva ormai bene come non fosse affatto così, come il peso della carica consolare e delle aspettative della famiglia, pesasse sulle sue spalle come un macigno. Ma lo sopportava con incomparabile eleganza e determinazione, e in generale con un tale equilibrio che Namjoon dubitava avrebbe mai raggiunto.

Perciò no, Namjoon non sarebbe corso da Seokjin, ma sarebbe andato in fondo a quella faccenda per conto suo.

Tuttavia trascorsero diversi giorni e Namjoon sembrava lontano dal trovare una risposta. Infine dopo interminabili ore passate sopra ogni manuale su cui era riuscito a mettere le mani sopra, Namjoon era solo riuscito ad aggravare il suo senso di confusione e frustrazione. Più scavava, più sentiva di allontarsi dalla verità finche quando arrivò a leggersi persino lo statuto sulla pesca e la caccia, capì che la sua non era semplicemente confusione. Ma un rifiuto totale ad accettare quello che aveva sempre avuto davanti agli occhi.

C'era un unico articolo 13 che contava ed era quello della costituzione. Eppure l'idea che qualcuno volesse, pensasse anche solo di volerlo toccare faceva sentire Namjoon a disagio.

L'articolo 13 deliberava sulla libertà dei citaddini. E per cittadini, per una volta, la legge intendeva tutti, senza distinzione tra numeri zero e due.

“Namjoon tutto bene?” Seokjin gli aveva chiesto non più tardi del giorno prima quando entrando in camera sua lo aveva visto con il naso seppellito in un codice legislativo. Seokjin aveva addocchiato il libro con profondo interesse e sebbene fosse stato evidente dal suo viso quanto avrebbe voluto chiedergli perchè mai si dilettasse in simili letture, era rimasto sul generico lasciando a Namjoon la scelta di elaborare.

“Sto facendo una ricerca,” Namjoon aveva risposto in mancanza di parole più eloquenti.

“Segreta?” Seokjin aveva chiesto tra il serio e il faceto. Namjoon aveva scosso la testa con vigore. Non voleva che Seokjin pensasse che lo stesse evitando o tenendo volutamente a distanza ma era complicato fargli capire quello che stava facendo senza suonare completamente folle.

“No. Solo una ricerca. Quando avrò trovato quello che cerco ti saprò dire cos'è,” Namjoon aveva aggiunto e il maggiore per un attimo era parso imbarazzato di essere stato scoperto nella sua curiosità ma anche sollevato del fatto che Namjoon sembrasse avere tutto sotto controllo. Aveva annuito allora, e lo aveva lasciato al suo da farsi fidandosi delle sue parole.

Namjoon si chiese se le persone in una coppia, una coppia qualsiasi, provassero sempre quel sentimento di possesso e mancanza, quel voler sapere tutto dell'altro ma allo stesso tempo di volergli consentire di fare e pretendere tutto, o se fosse solo il risultato delle premesse particolari in cui la sua relazione con Seokjin era venuta in essere.

Era innegabile che bugie e silenzi fossero stati l'ingrediente principale all'inizio e che entrambi, pur dovendo ironicamente rappresentare la perfezione dei due davanti al paese, fossero lontani dal ritratto tipico della loro gente. Namjoon era stato uno scettico e Seokjin un guardingo ma nonostante ciò, in qualche modo e a dispetto delle rispettive mancanze, i loro sentimenti erano riusciti a raggiungersi.

Ad ogni modo una volta che Namjoon riuscì ad ammettere a se stesso che la fonte era stata davanti ai suoi occhi per tutto quel tempo, si mosse per raggiungere il suo scopo. Non fu difficile convincere la signorina Choi che voleva approfondire il suo studio sulle proposte del senato di questa generazione della famiglia Kim e farsi lasciare libero accesso. La donna si era quasi emozionata di fronte alla sua richiesta, quasi fosse il segnale di entusiasmo che tutti si stavano aspettando da parte sua.

Gli aveva lasciato libero accesso a tutti i documenti e gli aveva dato persino delle credenziali per accedere al materiale secretato on line, non immaginando che la sua richiesta nascondesse un secondo fine. Fino a quel momento infatti gli argomenti di approfondimento erano stati scelti dalla famiglia Kim e Namjoon non si era mai preoccupato di chiedere altro.

Anche così tuttavia riuscire a tracciare quello che gli interessava non fu semplice e le informazioni messe in chiaro sul web a cui poteva accedere la signorina choi non del tutto esaustive. Indicavano una proposta di testo ma l'allegato non era disponibile. Anche così era evidente che i suoi sospetti sul pericolo che quella faccenda poteva rappresentare fossero altamente fondati.

Namjoon doveva escogitare qualcosa, sentiva di aver messo le mani su una potenziale bomba e, se così era, Seokjin doveva essere subito informato. Non aveva dubbi sulla buona fede del maggiore e sapeva che non sarebbe rimasto indifferente di fronte a machiavelliche malefiche manovre. Ne era la prova il suo comportamento allo scoprire le condizioni sotto cui Namjoon era stato introdotto alla famiglia.

Namjoon poteva pertanto rivolgersi a Seokjin oppure decidere di andare a fondo ancora per conto suo. Era vagamente cosciente del fatto che questa faccenda stesse diventando un'ossessione. Non aveva ancora contattato Yoongi e non passava un pomeriggio da solo con Jin da giorni, eppure sapeva di essere vicino alla verità.

Quindi, date le circostanze, Namjoon non aveva avuto altra scelta che coinvolgere un'altra persona altrettanto informata e con molte più possibilità di farlo accedere a materiale secretato di quante ne avesse lui agendo da solo.

“Jin lo sa?” Chiese Hyosang seduto sulla poltrona di fronte alla scrivania su cui era seduto Namjoon. Era da un po' che Namjoon stava lavorando al computer della scrivania del padre di Hyosang e il giovane aveva i nervi a fior di pelle, convinto che il padre di Hyosang sarebbe tornato da un momento all'altro. Non capiva davvero come Hyosang riuscisse ad apparire così calmo anche quando Namjoon gli aveva spiegato a grandi linee di cosa si trattava.

Era stato tutto molto più semplice di quanto Namjoon si fosse immaginato coinvolgere Hyosang a collaborare. Seokjin aveva più volte alluso al carattere ribelle e poco adatto a rappresentante della famiglia Kim, almeno secondo il console Kim, di Hyosang.

“La mia adoloscenza sarebbe stata di gran lunga più noiosa senza Hyosang,” aveva detto Seokjin quando Namjoon gli aveva chiesto della sua amicizia con il cugino. Seokjin tuttavia aveva anche aggiunto come, da quando aveva conosciuto la sua anima gemella, Hyosang fosse diventato una persona molto più calma e posata, come se la sua fame irrequieta di avventure fosse state infine soddisfatta.

Namjoon non sapeva cosa pensare al riguardo perchè aveva conosciuto Hyosang dopo quello che la famiglia Kim chiamava il suo rinsavimento perciò, ad eccezione di un senso dell'umore alquanto bislacco, non aveva trovato Hyosang particolarmente ribelle.

Nonostante ciò quando Namjoon aveva deciso di rivolgersi a lui aveva sperato che questa sua tendenza non fosse morta ma solo dormiente. Hyosang non aveva neppure battuto ciglio e gli aveva aperto la porta dell'ufficio di suo padre senza neppure commentare. Aveva posto una unica pesante condizione però, e davvero avrebbe dovuto aspettarselo da un Kim, ossia che una volta trovato quello che doveva, Namjoon convidesse con lui tutte le informazioni. Namjoon non era stato molto contento di ciò considerando che la prima persona con cui avrebbe voluto consultarsi non appena avesse fatto luce su quella faccenda era Seokjin, ma si disse che fosse un piccolo prezzo da pagare per ottenere quello che voleva.

Namjoon guardò Hyosang da sopra il computer, cercando di pensare ad una risposta che non fosse incriminante. Il fatto che Seokjin fosse venuto specificatamente a nascondersi da suo cugino durante la loro lite, suggeriva come i due cugini guardassero l'uno le spalle dell'altro e Namjoon non voleva che Seokjin venisse a sapere il tutto da qualcuno che non fosse lui.

“Dal tuo silenzio ne deduco che lo hai lasciato completamente all'oscuro. Lo sai vero che non sarà affatto felice?” Hyosang commentò sollevando un sopracciglio inquisitore.

“Gliene parlerò. Perciò per favore non farlo tu,” Namjoon rilanciò fissando il suo sguardo negli occhi dell'altro.

Hyosang scosse la testa e si vedeva lontano un miglio che moriva dalla voglia di aggiungere qualcosa ma si limitò a sprofondare nella poltrona, ad aspettare che Namjoon trovasse quello che voleva trovare.

Namjoon sentiva le dita che si muovevano sulla tastiera del computer fredde di sudore gelato per il rischio che stavano correndo. Si rendeva conto Hyosang di quello che stavano facendo?

E poi infine il suo sguardo si posò su quello che stava cercando. Namjoon rimase li per un lungo momento occhi incollati allo schermo, senza sbattere le ciglia, quasi senza fiatare e quando infine gli riusci, i suoi occhi si mossero febbrili sulle parole mentre assorbiva il loro significato. Poi lafine la realtà lo colpi forte, tagliandolo in due, ma Namjoon aveva esperienza ormai in orribile sorprese perciò quella volta non si piegò. Ma reagì.

Non chiese neppure il permesso e senza esitazioni mandò in stampa il documento. Il suono della stampante che entrava in funzione sembrò allarmare Hyosang il quale si alzò come un lampo dalla poltrona. Namjoon tuttavia non aveva tempo per spiegare a Hyosang quello che aveva trovato come gli aveva promesso. Doveva andarsene da li il prima possibile e per questo per quando Hyosang ebbe fatto il giro della scrivania, la pagina di consultazione era già chiusa.

“Namjoon, ma che cosa?” Hyosang protestò seccato. Namjoon si alzò e andò a recuparare la sua copia dal tavolino della stampante, non degnandolo neppure di uno sgaurdo.

“Devo andare. Ho fatto una copia anche per te comunque perciò non puoi dire che non ho rispettato gli accordi,” Namjoon disse con più freddezza di quel che intendeva ma il sangue gli ribolleva nelle vene e non riusciva a pensare di essere una persona civile in quel momento. Gli lanciò un'occhiata di fuoco che incenerì hyosang sul suo posto per ricordargli della sua parte di accordo, del fatto che doveva tacere, e poi senza disturbarsi di tranquillizzarlo, lo lasciò li.

Namjoon si avviò lungo il corridoio e verso la porta d'ingresso con la calma della determinazione, fogli di carta stampati stretti in mano.

Era più di rabbia quella che sentiva. Era orrore. Era vergogna. Era sapere di doversi macchiare di qualcosa che non condivideva ed essere dolorosamente consapevole di poter fare ben poco per evitare.

Namjoon salì sull'autobus che lo aveva portato di nascosto da Hyosang ed era contento di aver scelto quel mezzo e non dover usufruire del privilegio che gli veniva da uno status che non aveva mai voluto e per cui, ora più che mai, provava disgusto. Sedeva rigido sul sedile dell'autobus mentre le sue dita tamburellavano nervose lo scorrere del tempo sulla sua coscia.

Doveva parlare con Seokjin il prima possibile.

Fece di corsa tutto il tratto che separava la fermata dell'autobus da villa Kim anche se la milza non tardò a fargli male e la mancanza di un vero pasto solido nel suo stomaco da chissa quante ore, gli faceva girare la testa per lo sforzo. Tuttavia Namjoon rallentò solo quando si trovò di fronte al cancello della villa. Solo allora si concesse di riprendere fiato, le orecchie che fischiavano e le tempie che premevano ai lati della testa.

Tuttavia come era successo da Hyosang, una volta all'interno della villa ritrovò la calma e camminò in mezzo agli ambienti Kim con lentezza e cercando di mantenere una parvenza di controllo perchè se non lo faceva, Namjoon aveva paura che si sarebbe messo a urlare.

Per prima cosa andò in camera sua ma la trovò vuota, quindi andò in cucina il posto preferito di Seokjin ma anche li nessuna traccia del maggiore. Allora provò in biblioteca e quindi in giardino ma di lui neanche l'ombra. Agitato e con la paura di dover passare chissa quanto tempo in attesa del suo ritorno se Seokjin non era in casa, Namjoon iniziò ad agitarsi. Le sue medicine dovevano essere uscite dal suo organismo perchè iniziò a provare un profondo senso di malessere fisico che gli rendeva difficile il pensare lucidamente.

Tornò nel salotto vuoto e poi come preso da un presentimento si diresse verso un corridoio che non percorreva mai con piacere. Quello che portava allo studio del primo console Kim.

Era un giorno settimanale e il signor Kim era probabilmente in Senato e non qui in villa. Eppure man mano che si avvicinava il suono di voci che parlavano tra loro si fece più chiaro finchè non riconobbe l'inflessione del tono di voce di Seokjin.

Namjoon si fermò poco fuori la porta, esitando. Non sapeva cosa fare se entrare o meno perchè voleva tanto vedere Seokjin ma non sapeva se sarebbe riuscito a trattenersi di fronte al signor Kim. Non dovette essere lui a decidere perchè poco dopo la porta si aprì e Seokjin e suo padre uscirono.

Namjoon se ne stette li impalato appoggiato alla parete del corridoio.

“Oh namjoon, eri venuto per me?”Gli chiese il signor Kim rivolgendogli un sorriso. Namjoon sentì il sangue scivolargli via dalle guance e digrignò i denti. Non poteva fare questo a Jin, non poteva esplodere e riversare la sua furia al signor Kim senza nessun avvertimento, senza averlo messo al corrente dell'intera faccenda.

Dovevano affrontare questa cosa insieme, dovevano provarci perchè altrimenti non avrebbero avuto possibilità alcuna di combattere questa cosa. Perchè Namjoon aveva visto il volto dell'altro al centro ricreativo e sapeva che non condivideva le ideologie degratorie della famiglia e che la propaganda politica riversava nella società e, personalmente, chiunque fosse la persona per cui Yoongi soffriva anche costui era in pericolo. E se loro dovevano guidare questo paese, non potevano guidare le persone verso la rovina.

Lanciò un'occhiata di aiuto verso Seokjin sperando che il maggiore capisse che aveva bisogno di lui perchè Namjoon non si sentiva capace di aprire bocca senza essere sicuro di riversare veleno.

“Non credo proprio padre,” Seokjin intervenne con voce gioviale. Namjoon non provò mai così tanta gratitudine veros il maggiore come ne provò in quel momento. “Mi ero scordato io e Namjoon avevamo un appuntamento,” Seokjin continuò circondando le sue spalle con un braccio e sorridendo.

Namjoon annuì e sentì i suoi muscoli facciali aprirsi in quello che sperava fosse un sorriso.

“Bene, vi lascio al vostro appuntamento allora,” rispose il signor Kim lasciandosi sfuggire una risata.

Solo quando il signor Kim si fu infine allontanato e Namjoon fu sicuro di essere da solo con Seokjin, solo allora si lasciò andare, il suo viso lasciando infine vedere una penosa espressione di sofferenza.

“Namjoon, cosa c'è?” Gli chiese Seokjin allarmato, incorniciandogli il viso con le sue mani.

“C'è una cosa che ho scoperto e che devi assolutamente sapere,” Namjoon riuscì a dire ma proprio in quel momento il senso di malessere che aveva combattuto sin da quando ero uscito da casa di Hyosang lo colpì violentemente e seppe che stava per collassare. Allontanò Jin con un braccio e si precipitò lungo il corridoio.

Aprì una porta a metà corridoio con urgenza e si precipitò all'interno dello studio dove sapeva che c'era un bagno comunicante. Riuscì ad arrivare sul water giusto in tempo prima che il suo stomaco si svuotasse.

Dei dolori lancinanti si irridiavano dallo stomaco per tutto il corpo perchè a parte i succhi gastrici non c'era nulla nel suo stomaco. Anche così Namjoon ebbe abbastanza presenza di spirito da lanciare i fogli che teneva in mano da qualche parte e proteggerli da eventuali disastri.

Seokjin arrivò sulla soglia quando Namjoon aveva appena premuto lo sciacquone dell'acqua ma Namjoon sapeva che il maggiore era ben consciente di cosa era appena successo considerando quando rumoroso era stato il suo conato di vomito. Namjoon si sollevò a fatica ma si diresse subito verso il lavandino per sciacquarsi la bocca e gettarsi dell'acqua in faccia nella speranza di riprendere il controllo di se.

“Tu non stai bene. Ti porto subito dal medico,” Seokjin disse serio, disegnando con la sua mano dei cerchi sulla schiena in gesto di conforto.

“Devi leggere quei fogli,” Namjoon disse ignorando le parole di Seokjin e indicando con la mano per terra dove giacevano le stampe sgualcite ma intatte.

“Lo farò ma prima andiamo dal medico. Ti ho visto star male per troppo tempo e fin'ora ti ho lasciato fare ma non più,” Seokjin disse con determinazione. Namjoon scosse la testa con forza anche se farlo gli diede un senso di vertigini.

“Dopo. Prime devi leggere e ne dobbiamo parlare, dobbiamo pensare a un piano, dobbiamo...” Namjoon disse con urgenza voltandosi a guardare Seokjin e indicando nuovamente il pezzo di carta per terra. Chiuse gli occhi mentre un senso di vertigini lo investiva ancora e ancora.

“Namjoon calmati,” chiese con dolcezza Seokjin prima di prenderlo gentilmente per mano. “Mentre il medico ti visita io leggerò quei fogli, va bene? Ma qualunque cosa sia, non possiamo affrontarla se tu stai male. Dobbiamo andare dal medico.”

“Va bene. Ma non un medico della famiglia. Non voglio che sappiano,” Namjoon riuscì a replicare debolmente arrendosi al senso di nausea. I muscoli dell'addome erano ancora contratti e il mal di testa non voleva dargli tregua e si sentiva nel complesso uno schifo. Eppure anche così riuscì a ragionare. I Kim avevano la mania di controllare tutto e Namjoon non dubitava che se avessero saputo del suo malessere immaginava non avrebbero esitato a metterlo in una clinica per forzargli la cura che ritenevano opportuno.

“Ma certo. Ho già in mente chi. Non ti preoccupare,” Seokjin disse capendo al volo e convenendo con lui senza esitazioni.

Il maggiore tirò fuori il cellulare allora e in due chiamate arrangiò velocemente tutto. Raccolse quindi i fogli che giacevano per terra e se li mise in tasca. Poi cingendo ancora una volta spalle di Namjoon lo accompagnò verso l'ingresso del personale di servizio, più discreto e soprattutto più appartato. Da lì chiamò un taxi e gli diede precise istruzioni sull'indirizzo e sul percorso.

Anche in quello stato Namjoon non potè fare a meno di ammirare la prontezza di Seokjin in un momento come quello. Si lasciò scivolare sull'altro allora, lasciando che la sua testa trovasse rifugio sulla spalla di Seokjin, chiudendo gli occhi mentre sentiva le dita delll'altro intrecciarsi nei suoi capelli e un bacio posarsi sulla sua testa.

Namjoon se ne rendeva conto in quel momento, non avrebbe esitato a mettere la sua vita nelle mani di Seokjin, l'unico di cui si fidava.


 


 


 

Namjoon doveva essersi assopito o aver perso i sensi a metà viaggio perchè quando si risvegliò si trovò disteso su un lettino e con una calda coperta addosso. Il braccio leggermente scoperto lasciava intravedere i tubi della flebo a cui erano attaccati. Namjoon sbattè le palpebre cercando di disperdere il senso di torpore che sentiva e capire meglio la situazione.

“Hey.” Venne la voce di Seokjin dalla sua destra e Namjoon si voltò subito a cercare il suo viso.

Sembrava stanco e sebbene stesse sorridendo, il suo sgaurdo appariva lontano. E indecifrabile.

Namjoon provò un senso di turbamento e allungò subito la mano per toccarlo ma essendosi dimenticato della flebo quasi commise un mezzo disastro.

“Piano. Stai li. Riposati un attimo,” Seokjin disse sporgendosi sulla sedia e appoggiando la mano sul suo braccio, muovendola su e giù per tutta la sua lunghezza in un gesto di conforto.

“Quanto sono stato k.o.?” Namjoon chiese, sentendosi la gola arida e asciutta. Seokjin, come leggendogli nel pensiero, si sporse sul tavolino per prendere una bottiglietta d'acqua. Gli riempì un bicchiere e lo porse a Namjoon che lo bevve tutto d'un fiato.

“Poco più di un'ora. Avrei potuto svegliarti ma sembravi averne bisogno. Il medico ha detto che sei anemico e fortemente disidrato. Ti faranno altri esami per capire se ci sono altri problemi ma dovrai mangiare e bere come si deve d'ora in avanti Namjoon.”

“Scusa. E' che sono così impegnato che me ne dimentico,” Namjoon provò a scusarsi.

“Lo capisco. Ma non puoi smettere di prederti cura di te stesso,” Seokjin lo rimproverò preoccupato, labbro che sporgeva in fuori per il disappunto.

“Scusami.” Namjoon disse di nuovo non riuscendo a trovare una parola più adatta.

“Non scusarti. Prometti invece che ti prenderai cura di te. Non sono sempre con te e la cosa mi preccupa. So che soffri di emicrania ma prima ti ho visto massagiarti lo stomaco e hai vomitato. Quanto spesso capita Namjoon?”

Namjoon non rispose perchè non voleva mentire ma Seokjin riusci a intuire la verità lo stesso.

“Cosa devo fare con te Namjoon,” Seokjin disse in un sospiro, scuotendo la testa.

Namjoon non avrebbe mai voluto aggiungere se stesso alle preoccupazioni che il maggiore già aveva ma era stato proprio questo sentimento che aveva finito con causare proprio quello che aveva cercato di evitare per tuto quel tempo. Non voleva essere un peso per Seokjin, non voleva portargli solo cattive nuove ma a quanto pareva sembrava proprio che Namjoon dovesse sempre dimostrarsi incapace di fare altro.

Tuttavia anche così, non poteva esitare.

“Hai letto?” chiese Namjoon con urgenza perchè la sua salute poteva aspettare quando c'era un fatto di tale importanza

Il viso di Seokjin si incupì come se un'ombra scura si fosse posata su di lui.

“Ho letto,” disse gravemente.

“E?” Namjoon incalzò. Seokjin distolse lo sguardo e guardò il muro di fronte a lui come se stesse pensando alle parole giuste da dire.

“Pensare che possa essere una soluzione che questa famiglia sta prendendo in considerazione mi fa venire la nausea,” ammise infine.

“Dobbiamo fare qualcosa Jin! Loa chiamano sicurezza nazionale ma a me suona tanto di soluzione finale. E anche se nessuno si farà fisicamente male l'ammontare di dolore che un tale provvedimento causerà è inaccettabile. Noi non possiamo stare inerti e subire, abbiamo accettato troppo dai Kim e tu più a lungo di me Jin! Dobbiamo fare qualcosa!” Namjoon espresse accorato.

“Si dobbiamo. Ma non adesso,” Seokjin rispose riportando il suo sguardo su Namjoon e inchiodandolo con esso.

“Seokjin?” Namjoon chiese sconvolto

“No namjoon, ascoltami. Affrontare mio padre a viso aperto senza un piano sarebbe un suicidio. Oltretutto questa non può essere farina del suo sacco soltanto, ho paura che se mio padre ha ideato questo è perchè è convinto che buona parte del senato lo appoggerebbe e se non ha agito è solo perchè non è sicuro dei numeri e nemmeno dell'opinione pubblica. Dobbiamo agire certo, ma dobbiamo essere più intelligenti, e soprattutto cauti, di lui.”

Namjoon tacque riflettendo sulle parole di Seokjin. Il maggiore aveva ragione. Ragione da vendere ma anche così si sentiva scalpitare.

“Ti fidi di me Namjoon?” Seokjin chiese improvvisamente stringendo forte la sua mano. Namjoon sorpreso dalla domanda rispose subito, d'impulso senza neanche doversi fermare a riflettere.

“Ma certo,” esclamò ricambiando la stretta.

“Allora tu pensa a rimetterti e lascia che ci pensi io. Troverò una soluzione e per allora, tu dovrai essere al cento per cento se vuoi darmi man forte,” Seokjin disse guardandolo negli occhi come a volersi assicurare che Namjoon capisse.

Namjoon annuì e Seokjin si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

“Grazie,” Seokjin concesse commosso mentre portava la mano dell'altro vicino al suo viso e vi posava le sue labbra.

E tuttavia Namjoon avvertì una spiacevole sensazione allo stomaco, come un presentimento funesto, ma in quel momento pensò che fosse solo da attribuirsi al suo generale malesse.

Si sbagliava.


 


 


 

Trascorsero un paio di settimane e Namjoon, sebbene non avesse dimenticato quel fatidico pomeriggio, poteva dire di sentiris meglio. Almeno fisicamente era più in forma, non aveva messo ancora peso ma almeno non ne aveva perso e le sue guance avevano recuperato un colorito sano.

Seokjin era stato più occupato che mai e non avevano ancora parlato ma il maggiore gli aveva rassicurato che ci stava lavorando e che presto avrebbe aggiornato Namjoon sul da farsi.

Era stato questo più di ogni altra cosa, il sapere che Seokjin era una persona integra ed era ancora una volta al suo fianco ciò che aveva avuto un effetto balsamico sulla sua salute.

Perciò quel giorno, mentre si spostava da un'aula all'altra cercando di decidere cosa avrebbe mangiato a pranzo di li a due ore, Namjoon non sospettava nulla di quello che stava per investirlo.

Non diede peso alle occhiate e ai mormorii in corridoio perchè da quando si era saputo che era il compagno dell'erede quelli erano diventati all'ordine del giorno. Poi il suo telefono iniziò a dare di matto.

Iniziò a vibrare impazzito registrando un messaggio dopo l'altro e quando Namjoon sorpreso riusci infine a tirarlo fuori dalla tasca vide il suo schermo illuminarsi con il nome di Yoongi.

“Yoongi ciao!”

“Namjoon cosa diamine sta succedendo?”

“Cosa sta succedendo cosa?” chiese Namjoon preso in contro piede. Non si ricordava di aver mai sentito quel tono di voce provenire da Yoongi.

“Come cosa? Non lo sai? Non sai nulla?”

“Non so cosa yoongi? Se non mi spieghi tu cosa, come faccio a sapere se lo so o meno?” Yoongi imprecò così forte che Namjoon fu tentato di allontanare il cellulare dall'orecchio.

“Yoongi calmati e spiegati. Mi stai innervosendo.”

“Dove sei?”chiese il suo amico ignorando la sua richiesta.

“All'università perchè?” Chiese namjoon sempre più perplesso.

“Trova un televisore o un computer, qualsiasi cosa. Ma sintonizzati su un telegiornale, subito!”

“Ma perchè?” namjoon chiese ancora, avvertendo tuttavia un senso di panico invaderlo da capo a piedi.

“Prima guarda e poi ne parliamo. Anche se credo non sarò certo io la persona che vorrai sentire,” Yoongi disse con un sospiro. “Sappi che sono qui comunque. A dopo,” e così dicendo mise giù.

Con un senso di nervosismo crescente misto ad agitazione, Namjoon corse fuori dall'edificio con meta la caffetteria del campus dove sapeva ci fosse un gran televisore acceso che durante la mattina era sintonizzato sul canale delle notizie. E anche se così non era Namjoon poteva sempre chiedere il favore di risintonizzarlo.

Non ce ne fu bisogno.

Perchè non appena ebbe varcato la soglia della caffetteria i suoi occhi si scontrarono con lo schermo del televisore acceso sul canale delle notizie il volume, che di solito veniva tenuto basso per non disturbare gli avventori, insolitamente alto.

E li proprio davanti a lui e davanti a una cafetteria più gremita del solito c'era il faccione di Seokjin al di sotto del quale dei sottotitoli urlavano e imprimevano indelebilmente nella sua memoria le parole che non avrebbe mai dimenticato.

Kim Seokjin abdica dal suo ruolo di erede consolare a causa di gravi problemi di salute.

Namjoon sentì le ginocchia vacillare.

Che cosa aveva fatto. Seokjin. Che cosa aveva fatto.

E allora le parole di Seokjin potenti rimbombarono nella sua testa.

Ti fidi di me Namjoon? Lascia che ci pensi io.

Seokjin ci aveva pensato. Aveva agito. Da solo.

Quando Namjoon prese il suo cellulare con mani tremanti e chiamò il numero di Seokjin solo per trovarlo disattivato capì fino a che punto Jin si era spinto.

E un profondo, terribile, agonizzante senso di tradimento lo investì tutto.


 


 




 


NdA: this is it. Questo è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo. Se avete seguito Un mondo per noi due, sapevate già dove tutto questo ci stava portando. Ma sapete anche come andrà a risolversi. "Come si sono quasi persi e come infine si sono ritrovati, anche se lontanissimi dal punto di partenza." Dopo questo capitolo mi prenderò del tempo per scrivere l'epilogo di Dirty Cash e dopodichè tornerò a mettere la parola fine della prima parte di Incontriamoci in questa vita.
(pensavate non avessi pianificato una parte 2 con Seokjin)?
Aspetto i vostri commenti che sono sempre preziosi per me. 
Un bacio e al prossimo capitolo <3

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Capitolo 14
*** Zero ***


Namjoon non amava ritornare con la mente a quel periodo.

Il tempo gli aveva insegnato a concentrarsi sulle cose buone piuttosto che soffermarsi su quelle cattive, soprattutto quelle che non poteva cambiare, eppure, anche se aveva cercato di vivere tenendo fede a questo proposito, lasciarsi andare sarebbe sempre stata una cosa difficile da fare.

Dopotutto, come dimenticare un simile dolore.

Il cuore non emette alcun suono quando si spezza, ma lo si può sentire distintamente sbriciolarsi sotto la cassa toracica.

Namjoon lo aveva provato quel fatidico pomeriggio, lo aveva sentito sgretolarsi pezzo per pezzo alle parole di Seokjin.

Era rimasto congelato nella stessa posizione per lunghi attimi anche ben dopo che il discorso di Seokjin era finito. Il suo cervello stava disperatamente cercando di rielaborare quanto appena accaduto. Quando la gravità del tutto infine lo colpì, il suo cuore in frantumi divenne l'ultimo dei suoi problemi. Non quando a fargli male era, tutto.

Allora si ritrovò a correre come se la sua vita dipendesse da quanto velocemente lo faceva. Probabilmente nella frenesia di uscire dal bar, aveva strattonato la porta con troppa violenza perché adesso il braccio gli faceva un male cane.

Non gli importava. Continuò a correre.

Sapeva che, razionalmente, la scelta più saggia sarebbe stata chiamare villa Kim e farsi venire a prendere, ma era sicuro si trovassero a loro volta in un gran casino. Comunque non pensava che avrebbe avuto la pazienza di aspettare. No, aveva bisogno di correre. Sembrava l'unica cosa che avesse senso fare in quel momento. Quindi corse e non si fermò fino a che non raggiunse la fermata dell'autobus dove si era appena fermato uno.

Non controllò neppure se fosse quello giusto, ma ci si lanciò dentro sperando per il meglio. Afferrò una sbarra e vi si tenne stretto, troppo nervoso per convincersi a sedersi anche se le sue gambe tremavano per lo sforzo e la paura. Guardando il display sopra la porta d'ingresso constatò che almeno la fortuna, per quella piccola cosa, era dalla sua visto che l'autobus si stava muovendo nella direzione giusta.

Sentì il telefono vibrare nello zaino dove l'aveva ficcato durante la sua fuga dal bar. Non poteva fregargliene di meno. Non aveva il cuore, la testa e nemmeno la volontà di rispondere al telefono, soprattutto perché sapeva che non poteva essere Jin.

Seokjin era sempre stato dannatamente bravo a portare a termine i suoi compiti senza sbavature. E questo probabilmente voleva essere il suo capolavoro, l'unico piano che mai si sarebbe permesso di rovinare . Quindi sì, se conosceva bene Seokjin (anche se evidentemente non a fondo quanto aveva creduto) probabilmente si era assicurato di non lasciare spazio ad errori. Niente tracce e nessun indizio.

No.

Non pensarci, adesso. Non pensarci ancora.

Namjoon strinse forte gli occhi, mentre ripeteva queste parole nella sua testa nel tentativo di non perdere se stesso e recuperare lucidità.

Per prima cosa, doveva tornare alla villa, valutare la situazione, raccogliere informazioni e trovare i mezzi per ribaltare la situazione.

Scosse la testa mentre si rendeva conto di come Seokjin fosse riuscito a tramare alle sue spalle senza che lui se ne fosse reso conto per chissà quanto tempo.

Tutto quel silenzio e sguardi fugaci. Namjoon era stato così fottutamente stupido.

Avrebbe dovuto sapere che quell'atteggiamento profumava di coscienza sporca che cercava di placare se stessa. Quindi Seokjin aveva sorriso in tono di scusa e allo stesso tempo aveva lavorato per rescindere i legami che li univano.

Anche se il maggiore si fosse dato la pena di immaginare la confusione che avrebbe creato, aveva comunque ritenuto che le sue azioni valessero lo stesso la pena.

Namjoon aveva voglia di urlare.

Si sentiva come...

Si morse duramente il labbro inferiore per cercare di soffocare la sua frustrazione mentre contava silenziosamente i secondi che passavano.

Alla fine, dopo quello che parve il più lungo viaggio della sua vita, arrivò alla fermata più vicina alla sua destinazione. Le porte automatiche si erano solo schiuse ma Namjoon si era già lanciato fuori.

Avrebbe voluto correre per le ultime centinaia di metri che gli erano rimaste, ma appena ebbe svoltato l'angolo alla fine della strada, scoprì che sarebbe stato difficile andare oltre.

Una fila di giornalisti era accalcata al cancello principale e cercava di sbirciare all'interno.

Namjoon a stento si trattenne dall'imprecare.

Avrebbe dovuto aspettarselo. Non si era mai visto un erede consolare che si dimetteva. Era successo solo una volta in due secoli e questo solo perché il console era gravemente malato.

Tornò sui suoi passi mentre rifletteva sulle sue opzioni. Il cancello principale non era percorribile ma, fortunatamente per lui, era sgattaiolato fuori dalla villa dalla porta sul retro per mesi. Quindi, se sapeva come uscire, sapeva come entrare.

Tuttavia non andò così liscia come aveva sperato. Da un lato gli riuscì di scavalcare tutti i giornalisti, dall'altro fu individuato subito dalla sicurezza della villa.

A differenza di lui (avrebbe voluto avere il tempo di agire indisturbato e trovare risposte da solo prima di essere scoperto), erano piuttosto contenti di averlo trovato. Lo trascinarono al sicuro e lontano da occhi indiscreti. Naturalmente, nessuno si degnò di ascoltarlo.

La villa era piena di guardie del corpo e personale consolare e tutti - tutti - apparivano sull'orlo di una crisi di nervi. Non c'era traccia di alcun membro della famiglia.

Namjoon si sentì ancora più perso. Non si era aspettato di trovare uno scenario normale, ma neppure tutta quella folla che gli rendeva impossibile indagare per conto suo.

Improvvisamente riconobbe un volto familiare in quel mare di estranei.

"Signorina Choi! Ho bisogno di parlare con.."

"Grazie al cielo ti hanno trovato!" lo interruppe lei. Namjoon avrebbe voluto ribattere che no, non l'avevano trovato affatto, si era consegnato. Non gli venne data l'opportunità di aprire bocca. "Scortate Namjoon nella sua stanza come ha detto il console Kim", aggiunse subito dopo, non permettendogli di fare un passo nella sua direzione.

Namjoon cercò di protestare, ma fu chiaro come il sole che nessuno li non solo aveva a cuore la sua persona, ma aveva intenzione alcuna di prenderlo in considerazione. Se prima la sua opinione aveva contato molto poco, adesso valeva meno di niente. Fu allora che allo smarrimento si aggiunse la disperazione e Namjoon decise di contrattaccare.

“Non ho bisogno di essere scortato da nessuna parte. Devo parlare con il console Kim! Adesso!"

Fu un tentativo inutile. Le guardie del corpo lo presero per le braccia e lo trascinarono come un peso morto nella sua stanza. Namjoon provò a liberarsi, spingendo e dimenandosi, ma aveva solo diciassette anni e quelli invece erano uomini adulti. Fu trascinato nella sua stanza senza difficoltà e venne chiuso dentro per buona misura.

Era stato reclutato in quella famiglia malvagia a causa del suo cervello, eppure tutti in quella casa sin dal primo giorno, si erano sforzati di farlo sentire impotente e ignorante.

Non sarebbe dovuto tornare, sarebbe dovuto andare a casa di Yoongi. Non conoscendolo bene, i Kim ci avrebbero messo più tempo a trovarlo Sarebbe dovuto andare da Yoongi e da lì provare a contattare Seokjin o, meglio ancora, provare a contattare Hyosang.

Hyosang sicuramente sapeva cosa diavolo stava succedendo.

In un impeto di cieca speranza, prese il telefono e digitò il numero di Hyosang. Ma proprio mentre stava per premere il pulsante di chiamata, notò che non c'era rete.

Avevano isolato la casa.

Non poteva contattare nessuno, né Hyosang, né Yoongi, nemmeno la sua famiglia. Lo avevano cercato e avevano fallito per questo motivo erano così sollevati di vederlo. Non per la sua sicurezza o per interrogarlo su Seokjin. Ma per poterlo zittire e proteggere se stessi. La famiglia Kim veniva prima di tutto.

Era sbagliato da qualsiasi punto di vista lo si volesse guardare. Eppure era stato fatto.

E davvero, Namjoon si chiese mentre si raggomitolava su se stesso sul freddo pavimento, come poteva incolpare Seokjin di aver cercato per se una via d'uscita? Anche se aveva significato lasciarlo indietro?

Perché era quello che aveva fatto Seokjin, no? Non si era solo chiamato fuori, ma aveva rinunciato senza esitazioni a tutti i privilegi e i doveri che il titolo di console portava con sé.

Namjoon non poté fare a meno di chiedersi, chiedersi con terrore, se quella non fosse un'ammissione delle sue peggiori paure ed incubi. Se era stato così facile per Seokjin rinunciare a tutto, rinunciare a Namjoon, forse il motivo era nell'algoritmo come aveva sospettato sin da quel maledetto giorno che il primo console Kim lo aveva portato al laboratorio.

Che, alla fine, Namjoon non era stato altro che uno strumento dell'avidità dei Kim e che Seokjin e Namjoon erano solo anime spaiate messe assieme per continuare a perpetrare quel bisogno.

Seppellì la testa tra le sue braccia, mentre la realtà si chiudeva su di lui.


 


 


 

"Namjoon, svegliati", chiamò una voce estranea.

Chi lo chiamava? Perché qualcuno lo chiamava? Era già in ritardo per le lezioni?

"Svegliati", chiamò di nuovo quella voce.

La voce suonava familiare ma non era Seokjin.

Gli avvenimenti del bar tornarono alla mente, costringendolo ad aprire gli occhi.

La luce lo feriva ma si sforzò di tenere gli occhi aperti e valutare la situazione. A giudicare dal candore e dall'odore di antisettico, si trovava nella piccola infermeria privata della villa e Namjoon per una volta di concesse il privilegio di imprecare ad alta voce. Se aveva commesso il grave errore di collassare, significava che aveva appena commesso il peccato di perdere tempo.

Allungò un braccio, cercando a tentoni sul tavolino vicino al letto i suoi occhiali.

Quando finalmente li indossò e fu in grado di mettere a fuoco, il volto di Kim Hyosang apparve chiaro davanti a lui.

Il suo viso appariva preoccupato e pallido. Namjoon non l'aveva mai visto così.

Aveva l'aspetto di qualcuno che portava il peso del mondo sulle proprie spalle. E anche così non si sentì per nulla solidale con lui

I Kim e la loro abitudine di essere solo portatori di cattive notizie. Hyosang non aveva nemmeno iniziato a parlare e Namjoon aveva già deciso che non voleva sentire qualunque cosa gli sarebbe uscita di bocca.

"Dov'è Seokjin?" Chiese anticipando l'altro. Probabilmente non avrebbe avuto una risposta diretta, ma cavolo se ci avrebbe provato lo stesso.

"Ciao Namjoon. Hai perso conoscenza per un po'. Come ti senti ora?"

“Come vuoi che stia? Una favola. Perciò fammi un favore, salta gli inutili preamboli e dimmi perché tu sei qui e non Seokjin. " Anni dopo Namjoon avrebbe ripensato a questa conversazione con orgoglio, per essere stato in grado di parlare così con la gola inaridita e un'emicrania furiosa che minacciava di spaccargli la testa a metà. Tuttavia, in quel frangente, non si sentì affatto orgoglioso. Ma fragile.

Hyosang sospirò.

"Non mi renderai le cose semplici, vero?"

"Dov'è Seokjin." Hyosang represse ennesimo sospiro ma poi, invece di rifiutarsi come Namjoon aveva temuto, si avvicinò e prese posto accanto al letto. Sembrava aver bisogno di sedersi per avere quella conversazione.

Namjoon non capiva perché mai Hyosang continuasse a temporeggiare in un momento così cruciale. Non era da Hyosang. Poi si ricordò che l'intera giornata dall'inizio alla fine era sembrata un'allucinazione completa e quindi si trattenne. Almeno finché Hyosang disse.

"Ma lo sai già, Namjoon."

Quando erano venuti a bussare alla porta di casa per scaricargli addosso la notizia che la sua vita stava per cambiare per sempre, Namjoon non aveva reagito. Li aveva seguiti, a malincuore, eppure li aveva seguiti. Quando lo avevano iscritto alla facoltà di economia senza chiedere il suo permesso, Namjoon aveva accettato il suo destino anche se aveva pianto il sogno di un futuro non più possibile. E quando il console Kim lo aveva trascinato al laboratorio e Namjoon aveva appreso la verità, anche se era sembrata la fine, comunque era andato avanti.

E infine si era reso conto, anche se decisamente in ritardo, che la sua disperazione e persino i sacrifici fatti avevano poco a che fare con il senso del dovere e molto di più con Seokjin e la loro vita insieme. Tutti i passi che aveva fatto acquisivano un valore solo se anche lui vi era compreso. Lui era ciò che lo aveva mantenuto sano di mente e con i piedi per terra. La fottuta ragione per cui il sole faceva capolino da dietro le nuvole.

Quindi, alla luce di ciò, perdere la brocca era più che giustificato.

"Lo so? Lo so! L'unica cosa che so è quello che io e il resto della popolazione abbiamo visto in diretta nazionale. L'unica cosa che so è che oggi mi sono svegliato come qualsiasi altro giorno solo per scoprire che Seokjin aveva deciso di ammutinarsi e senza nemmeno preoccuparsi di lasciarmi un cazzo di memo. Quindi caro cugino, che cazzo sta succedendo perché è ovvio che, non lo so!"

Namjoon ora era in piedi, a quanto pareva nel mezzo della sua invettiva si era alzato dal letto e ora torreggiava su Hyosang, il quale appariva se possibile ancora più pallido sebbene ancora troppo composto per i suoi gusti.

"Seokjin si è dimesso, Namjoon."

"Meraviglioso. Questa è l'unica cosa che abbiamo appena stabilito. Io e gli altri milioni di abitanti di questo paese,” disse con sarcasmo, senza preoccuparsi di quanto aggressivo suonasse il suo tono.

"No, non capisci. Si è dimesso dalla carica. Non è più l'erede e non diventerà mai un primo console. Ti rendi conto di cosa significa per questa famiglia? Senza altri figli o figlie in grado di svolgere il ruolo, il titolo deve passare al candidato più vicino per linea di sangue se la casa Kim non vuole perdere il titolo dopo un secolo di tradizione. Il che significa che il nuovo erede è ... "

"Tu,” rispose Namjoon con un tono tombale.

Hyosang aveva ragione. Queste cose le sapeva già. Ma allora perché Hyosang voleva ribadire l'ovvio. Distolse lo sguardo da lui, incapace di guardarlo oltre.

"Quasi. Mio padre, come fratello minore, è il prossimo in linea di successione, ma sì, il titolo verrà trasferito al mio ramo famigliare, il che significa che alla fine sarò io a ereditarlo."

Namjoon fu sorpreso di sentire amarezza e non trionfo nella voce di Hyosang e questo più di qualunque altra cosa fu ciò che lo convinse a guardarlo di nuovo in faccia.

"Dovrei essere io quello più arrabbiato tra i due perché le conseguenze di questo piano fanno male a te, ma rovinano me. Non vedi? Non riesci davvero a capire? Seokjin si è dimesso e così facendo ha intrappolato l'uno e liberato l'altro. Da oggi non sei più un Kim, Namjoon. Questo è quello che ero venuto a dirti.”

"Che cosa?" Namjoon esclamò improvvisamente preda delle vertigini. Allungò una mano per afferrare la testiera del letto. Non poteva permettersi di svenire di nuovo, aveva bisogno di rimanere lucido ed elaborare perché tra i suoi pensieri più angosciosi mai un'ipotesi quale Hyosang gli stava ventilando si era affacciata.

Seokjin si era dimesso. Aveva rinunciato al suo titolo ma il suo atto non era stata una ribellione dettata dall'impulso del momento, vi era uno schema dietro, un obiettivo finale che a Namjoon era sfuggito. Ma se Hyosang stava dicendo la verità, allora gli avvenimenti di quel giorno aveva un'interpretazione diversa.

"Ti ha liberato Namjoon," ripeté Hyosang.

Paura.

All'improvviso una paura annegante si insinuò dentro di lui. Era stupido, il più stupido di tutti. Quando la gente avrebbe capito che il suo QI era solo un numero alto scritto su un foglio ma nel concreto un inutile fardello.?

Avevano sottovalutato Seokjin, il primo console, Hyosang, lui stesso. Avevano tutti sottovalutato Seokjin. Nessuno aveva sospettato che il buon perfetto ubbidiente Seokjin gli avrebbe fregati tutti.

Eppure ora poteva immaginare, quasi vedere Seokjin in piedi vicino alla finestra di camera sua, ad osservare pensoso il mondo esterno mentre progettava la sua prossima mossa.

A come aveva deciso di dare il suo titolo a suo zio che per via di tale regalo sarebbe stata la persona più interessata a saperlo introvabile. A come, per tenere suo padre fuori dai giochi, ciò fosse fondamentale.

"Dov'è Seokjin?" Chiese di nuovo Namjoon ma il tono non era più battagliero. Ma sconfitto. Un sussurro.

Una supplica disperata.

"Non lo so,” sentenziò Hyosang. Namjoon chiuse i pugni così stretti, nel tentativo di dominarsi, che le sue unghie gli conficcarono fino a tagliare la pelle del palmo interno.

"L'unica persona che lo sa, è mio padre, e dubito che lo dirà mai ad anima vivente."

Namjoon tremava, per la rabbia, per la furia, non lo sapeva. Sentì le mani di Hyosang sulle sue spalle mentre lo scuoteva, e non con scortesia.

“Devi capire, Seokjin sa troppo. Restare sarebbe stato pericoloso per lui. L'unico modo per sistemare tutto in fretta è che lui stia alla larga e permetta alle persone di dimenticarlo ".

"Ma non voglio dimenticarlo! Come ha potuto pensare che lo volessi? Come ha potuto pensare che fosse possibile?”

Perché, perché? Seokjin era sempre stato la persona altruista, la brava persona, tra i due. Seokjin era...

"Mi sono innamorato di te la prima volta che ti ho incontrato."

Seokjin si era dichiarato e Namjoon non aveva capito l'effettiva estensione di quelle parole o forse lo aveva fatto, ma aveva pensato fosse una dichiarazione a voler dividere una vita insieme, e non che Seokjin si sarebbe seppellito in modo che Namjoon potesse scappare indenne.

Che diavolo era accaduto nella testa di Seokjin perché lui pensasse che questo fosse qualcosa con cui Namjoon avrebbe potuto convivere?

Convincersi che Namjoon sarebbe stato meglio da solo.

Prese un paio di respiri profondi e contò mentalmente fino a che le sue spalle non si rilassarono e il suo respiro divenne uniforme, e lui apparisse calmo abbastanza perché Hyosang non lo credesse una minaccia.

Nel momento in cui Hyosang abbassò la guardia e distolse lo sguardo da lui, Namjoon si lanciò verso la porta, l'aprì e la richiuse dietro di sé con un giro di mandata, allontanandosi poi con calma inquietante e sordo alle urla del suo ormai ex cugino.

Con quella stessa calma irreale, iniziò a camminare. Una volta arrivato al piano terra, passò davanti ad alcune guardie le quali, pacificate dal suo fare tranquillo, non fecero nulla per fermarlo.

C'era così tanto staff che andava e veniva da ogni stanza che nessuno parve accorgersi del suo passaggio, nemmeno quando si intrufolò negli appartamenti privati del primo console. Non quando il nuovo erede e padre di Hyosang si trovava in quel momento in piedi in mezzo al soggiorno a complottare con il suo team.

Namjoon passò indisturbato e solo quando infine giunse nel corridoio giusto, diede un'accelerata ai suoi passi.

A riempire il corridoio tuttavia non vi era nessuno se non i passi di Namjoon che calpestava. Dopo tutto l'uomo oltre quella porta in fondo al corridoio, l'uomo più potente della nazione, non era altro che una nave alla deriva destinata ad affondare.

Namjoon avrebbe riso di gioia se non fosse stato che alla discesa di quell'uomo era legata anche la sua sofferenza.

La porta era innaturalmente socchiusa, Namjoon ne scorse il profilo anche da lontano. Un uomo in piedi vicino alla finestra con un bicchiere che puzzava di alcol.

Namjoon spalancò la porta senza esitazioni e questa si aprì violentemente, il legno che andava a sbattere cacofonicamente contro il muro.

Ebbe il piacere di vedere gli occhi arrossati del primo console Kim spalancarsi per la sorpresa e per un momento, per un glorioso momento, riusci a scorgere l'uomo patetico che aveva sempre così disperatamente cercato di mascherare e che in realtà era. Durò troppo poco e ben presto la maschera si ricompose nel volto della persona che aveva giocato con le vite di tutti per tutti gli anni del suo governo.

“Tu cosa ci fai qui?"

Marciò verso di lui, un adolescente contro un adulto grande e potente, e gli si gettò addosso, afferrandolo per il colletto della sua costosa camicia.

"Non osare mai dimenticare che lui sarà sempre migliore di te!” Riuscì a gridargli in faccia prima che le guardie del corpo, probabilmente già allertate dallo schianto della porta, entrassero e lo placassero.

Il suo corpo protestò di dolore allo sbattere contro il pavimento, e la sua pelle nuda bruciò quando lo strisciarono sulla moquette. Fu anche peggio quando lo sollevarono con mala grazia come se fosse un sacco di spazzatura.

“Lo voglio fuori di qui! Adesso!" Gridò il primo console alle guardie del corpo.

“Spero che tu marcisca all'inferno!" Namjoon ribatté con tutto il suo disgusto mentre veniva trascinato fuori. La faccia rossa e patetica del console Kim mentre gridava ordini sarebbe stata per sempre l'ultimo ricordo che Namjoon avrebbe avuto di lui. E sarebbe stato contento in futuro di ricordarlo nella sua piccolezza e non nel suo trionfo.

Questa volta quando lo rinchiusero in camera sua, lo spinsero senza neppure curarsi di dove sarebbe atterrato. Namjoon si sentì vagamente soddisfatto del trattamento perché era era la prova della sua uscita di scena ed anche del fatto che non era più un Kim.

Il suo senso di vittoria ebbe vita breve e pagato a caro prezzo.

Seokjin se ne era andato e nessuno gli avrebbe mai detto come trovarlo.

Da quando i loro cammini si erano incrociati, una parte di lui aveva sempre desiderato che le circostanze per cui questo era avvenuto fossero state diverse. Eppure gli ci era voluto tempo, troppo, per capire che non era la persona che lamentava ma il sistema che tramava dietro di lui.

Era troppo tardi ormai.

Aveva invidiato coloro che non erano vincolati dal destino e dai doveri che questo imponeva, vedendo nella loro assenza di vincoli il vero senso di libertà.

Avrebbe dovuto sapere, avrebbe dovuto sapere, quanto fosse invece solitario il cammino di chi era stato lasciato in disparte.

Ed ora era solo.

Come il numero zero che aveva sempre desiderato essere.

Per la prima volta Namjoon si permise di piangere.


 


 


 

Avevano rimandato Namjoon a casa dei suoi genitori come se fosse un pacco giunto all'indirizzo sbagliato, il giorno subito dopo il confronto col primo console Kim.

Sua madre l'aveva bombardato di domande non appena aveva varcato la soglia di casa mentre suo padre si era affrettato a chiudere la porta dietro di sé come temesse che un orda di paparazzi fosse al seguito del figlio(non sarebbero venuti. I Kim si erano assicurati di mettere il nome di Namjoon in damnatio memoriae).

Non aveva nessuna risposta per i suoi genitori. Era tornato con nient'altro che un grande buco profondo dove una volta c'era il suo cuore.

Era stato facile, quasi logico allora, indietreggiare. Schiacciato dal peso di una libertà vuota e priva di uno scopo, Namjoon si lasciò andare alla deriva senza alcuna direzione.

Così non reagì quando ricevette la comunicazione di essere stato espulso dalla facoltà di economia e nemmeno quando in tv trasmisero la notizia del nuovo erede dei Kim.

Era svuotato, come solo qualcuno fatto non di sostanza ma dell'eco di ricordi passati, poteva essere.

Stava sprecando l'opportunità che Seokjin aveva lottato così tanto per dargli?

Cento volte, sì. Ma Seokjin lo aveva sopravvalutato, lo aveva creduto più forte e distaccato di quello che era. Aveva creduto Namjoon meno coinvolto e certamente non innamorato.

O almeno così pensava Namjoon perché non poteva credere che Seokjin potesse essere così volutamente crudele da sradicare se stesso dalla sua vita, sapendo dei suoi sentimenti.

E di chi pensi che sia colpa? Non gliel'hai mai detto, patetica imitazione di un essere umano, suggerì il suo cervello.

"Non ti capisco,” fu invece l'opinione onesta e molto diretta del suo migliore amico. Min Yoongi avrebbe sempre agito prima e solo poi chiesto scusa.

Namjoon sospirò.

Aveva già saputo che questa era una causa persa, che non avrebbe ricevuto alcun tipo di sollievo nel confessare il suo stato d'animo all'unica persona sul pianeta che avrebbe dato il suo braccio sinistro, per poter atterrare nelle stesse circostanze che Namjoon aveva adesso.

Eppure Yoongi era il suo migliore amico e avevano condiviso i segreti più imbarazzanti e orribili. Aveva bisogno di aprirsi con lui o avrebbe finito per perdere quel po' di sanità mentale che gli rimaneva.

"Voglio dire. Hai l'opportunità del secolo, Joon. Penso che nessuno in tutta la storia della Repubblica avesse mai avuto un'opportunità più dorate della tua. Sei libero! Sei libero di perseguire i tuoi sogni e di impegnarti con chi vuoi, oppure con nessuno se preferisci, perché sei protetto dallo status stampato sulla tua carta d'identità e nessuno sospetterà mai la tua storia. Ancora meglio, dato che una volta eri un Kim loro faranno per sempre del loro meglio per far dimenticare la tua esistenza al mondo, rendendoti intoccabile.

Hai sofferto come un cane per tutto questo tempo, l'ho visto io e l'ha visto anche Seokjin. E lui era lì con te mentre assisteva al tuo crollo e sapendo di essere l'unico ad avere il potere di cambiare le cose, l'ha fatto. Vi ha liberati entrambi. Ora potete vivere le vostre vite senza che vi dobbiate preoccupare della società, della famiglia o di qualunque altra cosa. Forse ora ti sentirai ferito dal modo in cui ha fatto accadere le cose, ma, nella sua scortesia, ha fatto un favore a entrambi. Ha fermato la farsa è andato oltre quella verità che tutti si premurano di farci digerire e se ne è andato per riuscire a farti fuggire a tua volta.”

Un pesante silenzio seguì il discorso appassionato di Yoongi, e una parte di Namjoon avrebbe davvero voluto essere d'accordo con lui. La sua vita sarebbe stata decisamente più semplice. Ma non poteva. Quelle parole per lui non avevano alcun senso.

"Immagino," iniziò con un tono rassegnato, "che siamo d'accordo sul fatto che tu non possa capire,” disse Namjoon fissando le sue mani per non dover guardare il volto accigliato di Yoongi. Sapeva che le sue sopracciglia dovevano essersi aggrottate per il fastidio e l'indignazione, anche senza dover alzare la testa per controllare.

Da quando Namjoon si era chiuso al mondo, non gli era rimasto altro che sdraiarsi a guardare il soffitto e rivivere i suoi ricordi ancora e ancora nel silenzio della sua stanza. E quando non ce la faceva più, raccoglieva le poche energie che aveva, e andava a visitare Yoongi - quando quest'ultimo era disponibile. Era stato così anche per quel giorno, Yoongi gli aveva aperto la porta, lo aveva fatto accomodare sul divano e insieme avevano guardato la tv per ore.

La sua famiglia era preoccupata per lui e anche se il nuovo scenario era infine a loro chiaro, non erano sicuri di cosa ne sarebbe stato del loro figlio d'ora in avanti. Namjoon sospettava che sua madre nutrisse ancora la speranza che, dopo che il clamore si fosse acquietato, Seokjin sarebbe venuto a prenderlo.

Namjoon non aveva avuto il coraggio di distruggere la sua piccola bolla di illusioni.

"Odiavo quella vita, su questo hai ragione. Mi consumava dall'interno pezzo per pezzo. Eppure anche così, anche così mi sarei trascinato avanti. E non per un qualche malato senso del dovere, ma semplicemente, e ridicolmente, perché amavo la persona che avevo al mio fianco. Sono innamorato di Seokjin. Ecco, l'ho detto e non so nemmeno perché avevo così paura di dirlo ad alta voce. O meglio, so benissimo perché avevo paura e non gioca certo a mio favore perché è la prova della mia arroganza e del mio ego. Ho trascurato Seokjin solo per dimostrare qualcosa. A chi? Alla società? A me stesso? Qualunque cosa fosse, sono stato uno stupido. Libertà dici. Preferirei essere incatenato a quella vita ma assieme a lui piuttosto che trovarmi qui, senza."

Immaginava che, dopo quelle parole, l'imprecazione di Yoongi fosse da aspettarsi.

Namjoon non sussultò nemmeno, era diventato particolarmente immune a qualsiasi tipo di reazione ma non poteva negare la sua delusione nel trovare Yoongi lo stesso di sempre. Ciò che li aveva uniti non era stato solo la musica, ma l'odio comune per le anime gemelle e il sistema. E sapeva che ai suoi occhi, lui appariva come un traditore, ma non ce l'aveva con lui perché conosceva i particolari del suo caso ancora meglio di Yoongi stesso.

Era divertente constatare come quella stanza contenesse non uno, ma ben due numeri due due infelici, quando il mondo continuava a dire che un tale fatto fosse impossibile.

"Scusami,” aggiunse Yoongi cercando mettere una pezza alla sua onesta reazione. "Non capisco è vero e so che le separazioni sono sempre orribili a prescindere. Datti più tempo, Joon. Concediti una fottuta possibilità, non puoi sapere cosa può portarti il futuro. Potresti un giorno superare tutto questo e allora ti sentirai grato di aver tenuto duro ora. Provaci almeno, ”concluse Yoongi in tono accorato.

Namjoon si chiese se Yoongi non stesse cercando di convincere se stesso più che lui perchè le sue parole erano intrise di un profondo disperato bisogno di credere che Namjoon fosse recuperabile. Perché così poteva esserlo anche lui.

La sua confessione d'amore, fu invece ignorata completamente.

Namjoon non rispose, non disse nulla perché cosa altro c'era da aggiungere? Non c'era soluzione, e una parte di lui desiderava che la convinzione di Yoongi fosse anche la sua.

Forse avrebbe davvero potuto fare un passo dopo l'altro e allontanarsi dal buco profondo in cui era caduto. Forse avrebbe davvero potuto onorare l'ultimo desiderio di Seokjin e farne la sua eredità.

E poiché era un vagabondo che aveva perso il senso dell'orientamento, seguì ciò che Yoongi gli aveva suggerito e per le settimane successive ci provò.

Sembrava che Yoongi si fosse assunto la responsabilità di condurre Namjoon fuori dal suo torpore e farlo tornare alla normalità. Nonostante i suoi impegni e la sua carriera in ascesa trovava lo stesso il tempo per lui. Senza di lui non avrebbe saputo cosa fare dei suoi giorni e Namjoon gli era grato.

Piano piano le cose iniziarono a mettersi in moto.

Non si era ancora iscritto a nessun nuovo corso ma aveva iniziato ad aiutare al pub. I suoi genitori non erano esattamente entusiasti perché consideravano il luogo di dubbia reputazione, ma teneva Namjoon fuori di casa e occupato, e così tenevano per se le proprie critiche.

Probabilmente ritenevano la cosa temporanea. Namjoon non era più in grado di dire cosa era transitorio e cosa non lo era.

Lavorava sodo però. Gli piaceva aiutare il proprietario ad organizzare gli eventi e ancor di più occuparsi degli artisti che venivano a suonare.

Si ci stava provando, proprio come aveva suggerito Yoongi.

Tuttavia, le vibrazioni del luogo non erano sufficienti per ispirarlo musicalmente. Il nuovo taccuino che sua madre gli aveva comprato giaceva ancora sulla scrivania, intatto. Era buffo constatare che finchè era vissuto sotto il tetto dei Kim la voglia di scrivere era stata tale che si era sentito scoppiare, ed ora invece che era fuori dalla gabbia, il suo genio creativo era muto.

La verità era che non scriveva perché non aveva più nulla da dire.

Passò un altro mese e le cose rimasero immutate. Se Seokjin avesse veramente programmato di tornare da lui, ora sarebbe stato il momento giusto perché l'unica cosa di cui la stampa parlava era il nuovo erede..

Si erano già dimenticati di Kim Seokjin e il suo compagno.

Seokjin non venne.

Namjoon seppe allora che non sarebbe mai venuto.

Fu allora che le cose iniziarono a prendere una brutta piega.

Namjoon smise di andare alla deriva ed iniziò ad affondare.

Iniziò a passare sempre più tempo al pub. Spesso rimaneva lì anche quando tutti gli artisti se ne erano andati e quando il bar chiudeva, andava a cercare qualche altro locale aperto da qualche altra parte, finché non tornava inebriato e su di giri ma soprattutto dimentico di ogni cosa il che era il suo obbiettivo.

Quando i suoi genitori lo rimproverarono e provarono a limitargli le uscite come se fosse ancora un bambino (ma non lo era forse? Non si stava comportando come il più stupido dei mocciosi?), finì col trasferirsi da Yoongi.

Sapeva che Yoongi non era entusiasta di averlo in casa quasi sempre ubriaco e neanche lui era particolarmente orgoglioso di questo sviluppo ne di approfittare di Yoongi in quel modo, ma la verità era che Namjoon non aveva nessun altro posto dove andare perché il luogo che era solito chiamare casa aveva da tempo smesso di esserlo.

“Devi smetterla di fare questo a te stesso. Ti ha lasciato Joon, ha preso questa decisione per entrambi ed è andato avanti senza di te.”

Namjoon che giaceva su un materassino gonfiabile sul pavimento accanto al letto del suo amico, non si mosse ne diede segno di averlo sentito.

"Eri qualcuno prima di lui, quindi dimmi perché diamine non puoi tornare a essere quel qualcuno?" Yoongi continuò nella sua filippica. Sembrava arrabbiato, frustrato e molte altre cose. Namjoon si chiese vagamente come Yoongi potesse credere che lui fosse abbastanza lucido da capire le sue parole, figuriamoci rispondere in modo coerente, ma forse era quello il trucco. Yoongi non voleva risposte, aveva bisogno di esprimere la sua incredulità.

Namjoon comunque ci provò.

"Sono cambiato. Mi ha cambiato.”

Per un istante pensò che quelle parole erano state sufficienti a zittire Yoongi, non si aspettava di certo di vedere il suo amico letteralmente saltargli addosso, e scuoterlo per il bavero della sua maglietta sporca.

“Se qualcosa è cambiato, può cambiare di nuovo, no? Joon sei tu quello intelligente tra noi due, se fai un passo avanti puoi anche farne due indietro! " Namjoon avrebbe voluto dirgli che anche se le persone tornavano indietro sui loro passi non voleva dire che ciò fosse possibile in circostanze immutate. Non era sufficiente indossare gli stessi abiti, vivere gli stessi spazi e fare le stesse cose. Namjoon non poteva tornare ad essere qualcuno che non esisteva più.

Non era più la stessa persona che aveva lasciato per la prima volta la casa dei suoi genitori e non lo sarebbe mai più stato. E, in un certo senso, non voleva tornare al suo vecchio sé stesso. Anche se era stato di certo meno infelice e confuso, Namjoon sapeva che la persona che era allora viveva in una bolla fatta di orgoglio e stupide credenze. Aveva imparato il vero significato di sacrificio, generosità e altruismo solo sotto il tetto dei Kim. E non avrebbe scambiato quella lezione per nulla al mondo, non avrebbe scambiato chi glielo aveva insegnato per nulla al mondo.

Per quanto intelligente fosse stato Seokjin ad orchestrare tutto, era stato stupido a pensare che fosse possibile per Namjoon sostituirlo.

"Non puoi invertire un'evoluzione, Yoongi,” Namjoon sentenziò guardando Yoongi dritto negli occhi nonostante la nausea.

Yoongi mollò subito la presa come scottato, lasciando che Namjoon ricadesse sul suo materasso. I contorni della realtà stavano tremando e se non fosse stato così intossicato Namjoon avrebbe voluto provare a dire qualcos'altro, elaborare meglio perché aveva l'impressione distorta di aver appena peggiorato le cose ma invece sentì le palpebre incredibilmente pesanti finchè non gli riuscì più di tenerle aperte.

Si svegliò diverse ore dopo o potevano essere settimane a giudicare da come si sentiva, la testa che gli martellava, insopportabilmente assetato e con vestiti sporchi e appiccicosi.

Aprì la bottiglia d'acqua che Yoongi gli aveva lasciato accanto al cuscino e la buttò giù d'un fiato, cercando di riguadagnare una parvenza di umanità. Proprio in quel momento dei passi echeggiarono nel corridoio vicino e infine Yoongi si materializzò sulla soglia.

"Sei sveglio. Fantastico. Allora puoi dare il benvenuto al tuo ospite. Ti sta aspettando in cucina,” disse girando sui tacchi senza fornirgli altra spiegazione.

Namjoon non aveva nemmeno la forza di protestare, figuriamoci di opporsi. Si chiese se uno dei membri della sua famiglia fosse venuto a prenderlo e questo lo spronò ad alzarsi. Andò rapidamente in bagno per lavarsi il viso, usando quel poco tempo a disposizione per inventarsi delle scuse o una storia che giustificasse il suo stato. Una rapida occhiata allo specchio gli disse subito che nulla avrebbe potuto salvarlo, così si trascinò in cucina senza ulteriori preamboli.

Tuttavia, quando entrò nella piccola cucina di Yoongi vi trovò l'ultima persona che si sarebbe mai aspettato.

"Che cazzo ci fai qui?" Namjoon gracchiò in modo così sgraziato che persino Yoongi molto più abituato di lui a imprecare, ebbe un fremito. Chiedere come era stato trovato era inutile visti i mezzi di cui disponeva questa persona.

"Hai una pessima cera," decise invece di rispondere l'altro.

All'improvviso Namjoon sentì come se non fosse stato abbastanza scortese.

"Se sei venuto qui per criticare, quella è la porta,” disse cacciandolo via come se quella fosse casa sua. Era scortese nei confronti di Yoongi forse ma non aveva il tempo e neppure la voglia di affrontare Kim Hyosang. Non da sobrio e meno che meno ora con i postumi da sbornia.

“Scusa, hai ragione. Ultimamente non so nemmeno più cosa sto facendo, figuriamoci cosa mi esce dalla bocca. Il fatto è che quando mi trovo di fronte a persone con cui non devo mentire costantemente, finisco col parlare senza filtri. Andrò dritto al punto allora prima di mettere ulteriormente alla prova la tua pazienza. Ho qualcosa di importante da dirti ed anche se sono l'ultima persona dopo la mia famiglia con cui vuoi parlare, fidati quando ti dico che questo lo vuoi proprio sentire,” disse Hyosang come un fiume in piena.

Era strano vedere Kim Hyosang inciampare sulle sue stesse parole, ma una parte di Namjoon sapeva che la nuova vita non doveva essere facile per il suo ex cugino. Eppure non era incline a essere conciliante e neppure a provare pietà. Ai suoi occhi, Hyosang ormai era la famiglia Kim.

"Sentiamo allora," concesse Namjoon, alla fine. Lanciò un'occhiata a Yoongi che, capendo all'istante, uscì dalla sua cucina per dare loro una parvenza di privacy. Namjoon sentì un altro impeto di gratitudine nei suoi confronti.

Una volta che il suo migliore amico gli ebbe lasciati da soli, Namjoon fece cenno a Hyosang di sedersi e si sedette a sua volta. Poi quando furono entrambi uno di fronte all'altro, Hyosang sganciò la bomba.

"Non riesco a trovare Seokjin."

Namjoon per un momento fu troppo scioccato per reagire. Non pensava che il suo ex cugino avrebbe davvero provato a cercarlo, considerando quanto una tale azione era praticamente una dichiarazione di guerra contro il suo stesso padre. Ma a quanto pareva Hyosang lo aveva fatto. Una seconda ondata di shock, più forte della prima, lo colpì quando si rese conto che non aveva mai considerato l'opzione di essere lui stesso a provarci.

Lo shock tuttavia si trasformò ben presto in dolore quando comprese che la persona con più possibilità di successo aveva fallito.

“Hai provato a cercarlo. Pur essendo in linea di successione?" Chiese Namjoon, decidendo di esprimere il primo dei suoi shock. Non voleva soffermarsi sul proprio dolore se prima non aveva confermato che quanto diceva Hyosang era la verità.

“Prima di tutto, non sono il nuovo erede quello è il mio caro padre. In secondo luogo, ovviamente, ho cercato di trovare Seokjin. Non sei l'unica persona che gli vuole bene, sai. Ammetto comunque che parte della mia determinazione derivava principalmente dal mio desiderio di rimettere le cose a posto. Non ho mai chiesto di essere l'erede, ero più che felice di lasciare il pasticcio nelle mani di Seokjin. Quindi lo volevo indietro per ragioni molto egoistiche, ma almeno ho provato.” Fece una pausa per un momento come se sapesse che Namjoon stava soppesando le sue parole e volesse dargli il tempo di digerire ciò che stava dicendo. Namjoon però non sapeva ancora cosa farsene di tale informazione e così annuì, invitando l'altro a continuare.

“Ho iniziato a cercarlo non appena era chiaro che mio padre non mi avrebbe mai rivelato nulla, quindi praticamente lo stesso giorno in cui ti hanno cacciato. Sapevo di dover scavare molto, ma anche se era un compito difficile e pericoloso, i Kim sono maestri quando si tratta di seppellire le loro verità, non l'ho mai creduto impossibile. Una ricerca per nome era totalmente inutile naturalmente. Il suo nome non solo è comune ma chi mi assicurava che non avesse deciso di vivere sotto una falsa identità? Quindi il mio colpo migliore era tentare di hackerare il sistema della nostra famiglia e seguire i soldi. Sapevo che se fossi riuscito a mettere le mani sui dati bancari e trovare la transazione di denaro dal conto dei Kim a quello di Seokjin, allora lo avrei trovato. Come puoi immaginare i Kim fanno molte transazioni quotidiane e trovare quelle giuste sarebbe stata una seccatura, ma ero fiducioso perché ritenevo che la parte più difficile sarebbe stata violare il sistema senza essere scoperto. Sono riuscito nel mio hackeraggio, eppure anche dopo aver analizzato centinaia e centinaia di voci, era chiaro che non c'era alcuna filo da seguire. Non ho trovato niente. Assolutamente niente. Nulla di strano che potesse nascondere uno scopo diverso, nessun prelievo di contanti da qualche posto insolito, e dubito che Seokjin si sia servito di qualche conto losco. Sono arrivato quindi all'unica spaventosa ma logica conclusione. Non c'è traccia di denaro semplicemente perché non c'è mai stato un trasferimento di denaro a favore di Seokjin.”

Un silenzio pesante seguì quella dichiarazione, e a Namjoon era rimasto almeno un minimo di lucidità per collegare i punti e capire cosa stava implicando Hyosang, ma dirlo ad alta voce, dirlo ad alta voce sarebbe stato come - essere investito da un camion.

"Per favore. Dimmi che questo non significa quello che penso significhi. Dimmi che non è andato là fuori con nient'altro che se stesso. "

Hyosang sorrise. Mesto.

“Seokjin è uscito con nient'altro che una valigia piena di vestiti e quello che era rimasto nel suo portafoglio. Nessun denaro dei Kim, nemmeno l'eredità che gli spettava come membro della famiglia l'ha seguito nella sua partenza. È la fuori da qualche parte. Solo."

Namjoon avvertì ogni muscolo irrigidirsi finché tutto il suo corpo non divenne un doloroso blocco di ghiaccio.

Dopodiché esplose.

Si alzò così bruscamente da rovesciare la sedia e ben presto si trovò a camminare avanti e indietro nella piccola cucina mentre il suo cervello correva a una velocità così folle da dargli la nausea.

“Avrei dovuto aspettarmelo. Tipico di Jin hyung saltare dalla scogliera più alta senza paracadute tranne il suo duro lavoro e la fragile speranza per il meglio. Che diavolo stava pensando quando ha creduto che fosse una buona idea? Voleva così tanto uscire dalla famiglia da bruciare tutto sull'altare della libertà o pensava davvero che la sua disgrazia, in cambio della mia vecchia vita, ne valesse la pena?"

Namjoon avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto ridurre tutto in piccoli pezzi fino a quando non fosse rimasto più nulla della realtà attuale.

“Trovalo, Namjoon. L'unica persona che sa dov'è, è mio padre ma a me non lo dirà mai. Sa che userei quell'informazione per riportare Seokjin in famiglia e rovinare i suoi piani. Ma se sei tu a chiederglielo, se trovi la leva per costringerlo ad aprirsi, potrebbe svelartelo perché sa che se non te ne frega niente dei giochi di potere della nostra famiglia. Vorresti Seokjin e basta. Quindi per favore, Namjoon, ti prego trovalo. Per il suo bene quanto per il tuo."

Namjoon si fermò a metà strada, affondando le dita nella massa sporca di capelli per la frustrazione, prima di emettere un ringhio come una bestia ferita presa a calci nella parte che fa più male. Ma poi si calmò, tornò sui suoi passi, riprese la sedia e ci si sedette sopra. Prese una boccata d'aria e dopo un lungo minuto disse.

“Io ... ho molte cose a cui pensare. Grazie per essere venuto qui e per avermelo fatto sapere, ma ora... se non ti dispiace ho bisogno che te ne vada,” esortò Namjoon all'improvviso.

Se Hyosang fu deluso dalla sua reazione, fece del suo meglio per mascherarlo. Si limitò ad annuire e, senza aggiungere altro, si alzò ed uscì dalla cucina. Namjoon lo sentì chiedere scusa al proprietario per l'improvvisata. Poi la porta principale si aprì e si richiuse e un silenzio pesante scese sulla casa.

Fu di breve durata, presto i passi di Yoongi si spostarono dalla porta principale alla cucina e poi apparve di fronte a Namjoon, le braccia incrociate e un'espressione vuota in viso.

"Cosa hai intenzione di fare Joon-ah?" Chiese con un finto tono disinteressato. Namjoon ridacchiò leggermente.

"Ho bisogno di fare una doccia. Prenderò in prestito una maglietta pulita se ti va bene e poi torno a casa. Grazie, Yoongi per avermi ospitato qui,” disse glissando sulla sua domanda.. Non si aspettava davvero una risposta, ma quando era già alla porta del bagno, sentì il sospiro di resa di Yoongi.

In qualche modo quel suono era il segnale di un nuovo cambio di passo.

Un'ora dopo era di nuovo a casa dei suoi genitori, accettando i rimproveri che si meritava. Non disse molto però, non credeva ne sarebbe stato grado per un po', non finchè non gli fosse riuscito di dipanare la matassa caotica di pensieri che aveva in testa. Quindi con il tono più di scuse che gli riuscì di padroneggiare, chiese semplicemente di ritirarsi nella sua stanza per riposare.

Rimase lì per tre giorni di fila.

Ne uscì solo per mangiare e per i bisogni primari. Ad ogni modo anche se aveva bisogno dell'isolamento, ci teneva a prendere parte a tutti i pranzi in famiglia e si assicurava di rimanere li abbastanza a lungo per aiutare sua madre a sparecchiare e lavare i piatti, come per scusarsi del suo comportamento asociale.

Come aveva detto a Hyosang, aveva bisogno di tempo per pensare. Per riflettere.

Perché i passi successivi richiedevano tutto il suo acume ed erano i passi più cruciali che avesse o avrebbe mai fatto in tutta la sua vita.

Rimase nella sua stanza, a pensare, a sezionare, a tramare, a rielaborare ogni possibilità finché infine il piano prese consistenza. Arrivò persino a stilare un elenco di azioni che teneva con se nella tasca dei pantaloni, un promemoria per tenere sotto controllo il suo programma e spuntare i passaggi che superava man mano che procedeva.

Era maniacale. Era anche quanto più vivo si fosse sentito da quando era stato cacciato da villa Kim.

Il quarto giorno, Namjoon uscì dalla sua stanza lavato e vestito di tutto punto con degli abiti che finalmente profumavano di pulito. In qualche modo, sembrava un uomo nuovo.

Si sentiva nuovo. Era ancora friabile ma si sentiva anche più concreto di quanto non lo fosse stato per mesi. Forse anni. Come qualcuno che era riuscito a incollare i pezzi di se stesso e ricomporli per uno scopo

Era stato imperdonabile. Aveva lasciato che troppo tempo andasse sprecato, ma per fortuna ora finalmente stava per porre rimedio a questa mancanza. Eccome se mi avrebbe posto rimedio.

"Mamma, vado all'università per sistemare la mia situazione. Sarò di ritorno per pranzo ", annunciò Namjoon a colazione facendo quasi sussultare tutti nelle loro tazze di caffè. Dopo un veloce ma ricco pasto, prese il suo zaino, vi infilò dentro il portafoglio e i documenti e si diresse alla fermata dell'autobus con stampato in volto il primo sorriso da quando era tornato.

Cercare di districare la sua situazione accademica non fu facile, ma ben presto scoprì che non solo i documenti sebbene secretati esistevano ancora, ma che il duro lavoro che la famiglia Kim gli aveva fatto fare non era andato del tutto sprecato. Nonostante non fosse più un erede Kim, i suoi record accademici erano ancora innegabilmente impressionanti, nome di famiglia prestigioso o meno. Tuttavia, cambiare corso non sarebbe stato veloce e nemmeno augurabile viste le circostanze ma se teneva duro un altro anno sarebbe riuscito a sia a finire sia seguire il corso che gli era sempre interessato. Scoprì anche che la famiglia Kim aveva corretto i suoi documenti con il suo effettivo anno di nascita una soluzione efficace per confondere le acque nel caso qualcuno si fosse degnato di indagare.

Riordinare le cose con l'università gli portò via gran parte della mattinata e così decise di tornare a casa come aveva promesso alla sua famiglia.

Approfittò del tempo che gli restava per mandare un messaggio a Yoongi e spiegargli cosa aveva in mente. Per poter fare domanda presso il dipartimento che voleva frequentare, aveva bisogno del punto di vista imparziale del suo primo mentore musicale. Yoongi acconsentì di aiutarlo e Namjoon fu contento di essere riuscito in un giorno a spuntare tante voci dalla sua lista.

Era sicuramente un buon inizio, ma neanche la metà di quello che doveva fare per coprire tutti i passaggi fino alla sua destinazione finale.

Un punto importante del suo programma era trovare un nuovo lavoro. Il lavoro al pub, a parte la sua flessibilità e la sua indubbia atmosfera interessante, non faceva bene alla sua salute. Era meglio se da quel momento in poi del pub visitasse solo il palco e non il bar.

Nel pomeriggio andò a parlare con il proprietario che non fu molto sorpreso dalle dimissioni di Namjoon e con suo sollievo, nemmeno turbato. Gli suggerì persino alcuni buoni posti in cui provare a chiedere un lavoro.

Anche con queste indicazioni, gli ci vollero diverse settimane per trovare un lavoro part-time che gli permettesse di sostenersi durante i suoi studi. Era stato particolarmente entusiasta di spuntare quella voce dalla sua lista delle cose da fare visto quanto tempo gli ci era voluto, ma anche così sapeva che accontentarsi del primo lavoro che gli capitava non sarebbe servito al suo scopo.

Durante quel paio di settimane, non era rimasto comunque improduttivo.

Aveva dovuto lavorare sul suo portfolio per presentarsi al comitato di ammissione per essere accettato e così si era trovato in strane ore del giorno almeno tre giorni alla settimana, spalla a spalla con Yoongi a cercare di salvare ciò che poteva essere salvato del suo vecchio lavoro e trovare nuovi testi per vecchi brani.

"Lo stai facendo, non è vero?" Chiese Yoongi all'improvviso nel mezzo della loro sessione.

"Non so di cosa stai parlando," disse Namjoon, cercando di fare lo gnorri.

In qualche modo era riluttante a dare voce ai suoi piani perché aveva paura che dirli ad alta voce li avrebbe resi meno realizzabili.

"Non provare a svicolare. So cosa stai cercando di fare. Le pareti del mio appartamento sono piuttosto sottili,” insistette Yoongi, irritato. "Avevi una possibilità Namjoon e l'hai gettata al vento."

"No, non ce l'avevo. Avevo solo le briciole della scelta di qualcun altro. Questa volta invece è una mia scelta e se anche andasse in malora, rimarrebbe comunque qualcosa che ho voluto io, qualcosa per cui ho lavorato e forse il mio cuore rimarrà a pezzi per sempre, ma almeno saprei di averci provato fino alla fine. "

Yoongi non disse altro in merito e così Namjoon pensò che l'argomento fosse stato messo definitivamente da parte.

Eppure, quando ormai Namjoon era sulla soglia pronto per tornare a casa Yoongi lo guardò e disse.

"A volte non so se sei solo stupido o pazzo."

"C'è chi lo chiamerebbe amore,” Namjoon rispose con un sorriso sulle labbra prima di uscire dall'appartamento di Yoongi.


 


 


 


 

Col passare dei giorni le voci nella sua lista furono progressivamente cancellate fino a quando ne rimasero solo due e non per niente erano anche i punti più importanti del suo piano.

Il loro successo, o fallimento, avrebbe fatto la differenza tra felicità e disperazione. Avrebbe determinato il corso della sua vita.

Ecco perché Namjoon si prese un paio di giorni per se stesso: aveva bisogno di prepararsi mentalmente e psicologicamente prima di lanciarsi nel vuoto.

Si disse che aveva fatto bene i compiti e che tutto il tempo passato con i Kim a tenere discorsi pubblici e a bluffare per restare a galla, doveva infine servirgli a qualcosa.

E sebbene gli avesse procurato imbarazzo provare il discorso davanti allo specchio, sapeva che non poteva permettersi di tralasciare alcun dettaglio, la posta in gioco era troppo alta.

I suoi sentimenti erano nulla in confronto a riuscire.

L'aver costruito un piano gli aveva ridato uno scopo, e il lavorare per raggiungerlo gli aveva dato speranza. Alla luce della sua lucidità ritrovata, Namjoon non riusciva a perdonarsi le settimane – i mesi - di debolezza. Ed ora viveva nel terrore dei danni che il suo immobilismo poteva aver causato.

Questi e molti altri pensieri gli passavano per la testa e in qualche modo per quanto difficili da digerire, rassicuravano anche la sua convinzione. Il terzo giorno dopo il suo ritiro, dopo aver ripassato per ennesima volta il suo piano mentalmente e averlo trovato inattaccabile, infine si ritenne pronto. Pronto a chiudere il cerchio.

Chiamò Hyosang allora, e gli chiese quel favore che sapeva il suo ex cugino acquisito non poteva rifiutargli e da come fu pronto ad esaudirlo, Namjoon capì che forse c'era un Kim con ancora un cuore nella famiglia. Hyosang doveva infatti sapere che Namjoon non sarebbe mai riuscito a ripagarlo.

Fu così che Namjoon qualche giorno dopo si ritrovò a suonare il campanello di un'altra villa Kim. Hyosang stesso gli aprì la porta. Si guardarono negli occhi ma non dissero una parola, Namjoon si limitò a seguirlo dentro casa mentre cercava con tutto se stesso di apparire calmo e non come uno sull'orlo di un crollo emotivo.

Mentre si trascinava lungo i corridoi dietro Hyosang, non poté fare a meno di notare come quella casa fosse diventata simile in atmosfera alla dimora Kim in cui Namjoon aveva vissuto.

L'aria infatti era così densa e pesante che si poteva tagliare con un coltello. Non poté fare a meno di provare un pizzico di tristezza per come la situazione era cambiata. Quel posto era stato una specie di rifugio sicuro per lui e Seokjin, un posto dove potevano divertirsi lontano dall'occhio del console Kim.

I cambiamenti in quella famiglia venivano pagati a caro prezzo.

Quando finalmente arrivarono a destinazione, Hyosang si voltò e fissò Namjoon un ultima volta. C'era un augurio di buona fortuna e c'era anche del rimpianto nel suo sguardo. Non espresse nessuna di quelle cose, gli mise una mano sulla spalla e la strinse per appena un paio di secondi, prima di voltarsi e lasciarlo al suo destino.

Inalò profondamente. Questo non era nemmeno il passo più difficile, si disse prima di alzare la mano e bussare con decisione.

"Hyosang, sei tu? Entra!"

Namjoon non era affatto Hyosang, ma cos'era quel dettaglio davanti alla sua determinazione, quindi abbassò la maniglia e aprì la porta.

Fortunatamente per lui, il nuovo erede non si accorse del suo errore fino a che Namjoon non chiuse la porta dietro di sé e fatto un paio di passi all'interno. Il momento in cui alzò la testa dai documenti, era già troppo tardi per lui.

"Tu!" esclamò come se Namjoon fosse un criminale e non un parente nemmeno qualche settimana prima. "Come sei arrivato qui? Chiamo la sicurezza!"

Con uno scatto felino che sorprese anche se stesso Namjoon fece balzo in avanti e tirò forte il cavo del telefono staccandolo violentemente dalla presa. Il padre di Hyosang lo guardò scioccato. Namjoon tremava ma sapeva che era arrivato il suo momento.

"No, non lo farai. Perché se lo fai, ti lascerai scivolare tra le dita la possibilità di fermare ciò che ho programmato che accada se non ottengo ciò che voglio,” disse Namjoon con una padronanza di se e una sicurezza che non erano reali, si sarebbe quasi applaudito da solo per la sua performance (invece stava serrando la mascella così forte da farsi male).

Il padre di Hyosang si riprese dallo shock iniziale velocemente al sentire quelle parole. Guardò Namjoon con sospetto ma vi era abbastanza determinazione negli occhi Namjoon da rendere perfettamente reali e credibili le sue minacce. Namjoon intuì che il nuovo erede era incline a prenderlo sul serio o comunque che forse ascoltare quello che aveva da dire prima di chiamare la sicurezza non avrebbe fatto troppo male.

La sua mano ferma a mezz'aria ancora nell'atto di prendere la cornetta del telefono, tornò a giacere sulla scrivania.

"Non so se ti rendi conto di quanto sia pericoloso e controproducente per te, anzi chiunque, minacciare l'erede del titolo di console. Ma dato che una volta eri parte di questa famiglia ti concederò un minuto del mio tempo. Dopotutto sono ancora uno dei tuoi estimatori e dio solo sa quanto deplorevole sia che quel tuo cervello eccezionale vada sprecato. E' andata come doveva andare immagino. Ad ogni modo anche sapendo quanto sei intelligente, voglio proprio capire che cosa esattamente ti faccia credere di avere il diritto di parlarmi così a casa mia,” rispose l'uomo con cautela ma certo non con poca arroganza.

Da una prima impressione veloce, suonava meno subdolo di suo fratello maggiore, ma parlava comunque con il tono di chi è vissuto in cima alla catena alimentare sin da quando è al mondo e per questo crede di aver ragione di guardare tutti dall'alto in basso. Namjoon si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto perché il potere finisse per corromperlo definitivamente. Troppo poco probabilmente come del resto era accaduto a tutti i membri di quella schiatta maledetta.

Tranne Seokjin, ed era per questo che Seokjin aveva rinnegato se stesso.

"La famiglia Kim ha spostato mari e monti pur di avermi. Mi hanno trascinato qui prima del tempo, hanno falsificato i miei documenti e Dio solo sa cos'altro avete fatto per assicurarmi un posto nei vostri piani futuri. Perciò sono sicuro che quando Seokjin è venuto a negoziare la sua resa con te, non è stata soltanto una grande sorpresa, ma persino troppo bello per essere vero. L'erede che ti dà i regni dell'impero e non ti chiede nulla in cambio? Immagino sia stato il giorno più bello della tua vita."

"Ti sbagli, Namjoon," lo interruppe l'altro. In apparenza appariva composto seduto li sulla sua sedia, ma le sue spalle erano tese e tutto il suo atteggiamento era decisamente sulla difensiva. Anche lui come Namjoon stava bluffando.“Qualcosa Seokjin lo ha preteso, ma non per se stesso. È quel qualcosa che mi obbliga a non intervenire ora ed è sempre quel qualcosa che ti ha permesso di tornare pacificamente alla tua vecchia vita, senza che mio fratello maggiore potesse farci nulla."

"Non avevo ancora finito. E poi non ho nessuna voglia di parlare di come hai approfittato di Seokjin solo per soddisfare la tua avidità di potere. Come hai detto tu una volta ero anch'io un membro della famiglia e sono abituato ai vostri metodi.”

"Non ne ho approfittato, è lui che si è offerto. Dopodichè ha pensato bene di ricattarmi, proprio come stai cercando di fare tu ora. Il fatto è che in effetti lui alcune carte da giocare ce le aveva. Mentre dubito che tu possa dire lo stesso."

"Mi hai interrotto di nuovo," disse Namjoon stavolta tradendo un moto di nervosismo. Perchè mai i Kim sembravano trarre piacere dal dare aria alla propria bocca?

“Ho toccato per caso un nervo scoperto? Scommetto che muori dalla voglia di sapere cosa mi ha detto, cosa ha promesso e cosa ha chiesto. Quali parole pensi che abbia usato per comprare la sua uscita?”

Namjoon si era sbagliato. Quest'uomo era vile tanto quanto il fratello

"Cosa, all'improvviso il gatto ti ha mangiato la lingua?" il padre di Hyosang lo canzonò. La verità era che se c'era una cosa a cui Namjoon non era pronto, era sentire come era andata.

Non voleva ascoltare la storia, non voleva avere tatuate per sempre nella sua mente le immagini di come Seokjin aveva scambiato la sua ricchezza, il suo status, tutto quello che era e che aveva, solo per ottenere la libertà per entrambe. Non voleva sentire delle rinunce e dei terribili compromessi a cui era sceso per mantenere Namjoon al sicuro.

Questo pensiero più di ogni altro lo aveva perseguitato da quando Hyosang era andato a casa di Yoongi. Sapere che Seokjin era da qualche parte in quella grande città a cercare di sopravvivere da solo e senza l'aiuto di nessuno mentre Namjoon era rimasto a vegetare, e a sprecare il suo tempo a piangere il suo destino. Aveva osato lamentarsi del suo senso di abbandono quando era stato il suo atteggiamento, sin dall'inizio, quello che alla fine aveva contribuito a rendere dura la vita di Seokjin.

Per questo Namjoon avrebbe messo a posto le cose ad ogni costo. Trasse un profondo respiro, guardò dritto negli occhi lo scherzo di uomo che aveva davanti e, con tutta la convinzione che aveva e anche quella che non aveva, diede l'ultimo passo.

“Sono entrato nel sistema governativo,” iniziò Namjoon come se non avesse sentito neanche una parola delle insinuazione velenose di quella serpe. “Ho fatto la mia bella passeggiata nel server e sono riuscito a raccogliere, diciamo, alcuni documenti interessanti. No. Non i più incriminanti puoi stare tranquillo. Sei il proprietario della stampa nazionale e nessuna stazione televisiva o giornale li pubblicherebbe mai. Ho raccolto altri documenti i quali non hanno bisogno di arrivare al pubblico per potervi rovinare. Basterebbe inviarli a qualcuno più interessato, diciamo, tanto per citare un nome a caso, la famiglia Park? Diciamo il secondo console Park. Ecco se lui ricevesse questi documenti non si farebbe certo scrupoli ad usarli e radere al suolo più di due secoli di dominio della famiglia Kim.”

Con immensa soddisfazione, vide la paura farsi strada sul volto del padre di Hyosang. Era vicino. Aveva solo bisogno di stringere i denti e dargli un'ultima spintarella.

"Stai mentendo", cercò di ragionare il nuovo erede, scuotendo la testa in segno di diniego. “Il tuo account era stato cancellato il momento stesso che hai messo piede fuori dalla villa Kim. Anche quello di Seokjin. Non è possibile che tu abbia avuto accesso ... "

"Vero. Ma non ho usato né il mio né quello di Seokjin. Ho usato le credenziali della signora Choi." Il volto del padre di Hyosang era pallido come un fantasma. Namjoon sorrise, recitando la sua parte con ritrovata sicurezza.

“Ci avete sempre sottovalutato. Seokjin e me. E voi Kim vi siete sempre sopravvalutati. Siete stati voi a istruirmi sui protocolli di sicurezza, voi a darmi accesso alle vostre routine al vostro personale credendo di usarmi senza sapere che io imparavo e seminavo. Sapevate – sapevi - che conoscevo a memoria tutti gli account e le password di tutto lo staff e di tutti i membri della famiglia? Anche quelli di tuo figlio tra l'altro perché una volta lo ha usato davanti a me e come sai, ho solo bisogno di vedere le cose una volta per ricordarle. Credevi che fossi stupido? Non mi avete forse reso un membro della famiglia per via del mio quoziente intellettivo?" Le mani dell'uomo tornarono al telefono sulla scrivania anche se sapeva che non c'era linea. Namjoon lo vide cercare il suo cellulare e allora gli diede il colpo di grazia. "Non mi preoccuperei di chiamare il reparto IT se fossi in te. Hyosang usa il suo account anche dall'università e ho visto la signora Choi accedere al suo anche quando va al bar, quindi non c'è modo di sapere se sono stato io o loro ad accedere. Quindi, dati questi fatti, la domanda è: sei disposto a correre il rischio di credermi un bugiardo? E sapendo quanto sono intelligente, penseresti davvero che non ho un piano di riserva nel caso decidessi di arrestarmi ora? Inoltre, se mi succede qualcosa e Seokjin lo scopre, non credi allora che lui userebbe quelle carte che ti avevano convinto così bene a fare quello che lui ti chiedeva?"

L'uomo di fronte a lui strinse i pugni per la rabbia e Namjoon vide, lo lesse nel modo in cui i suoi occhi vagavano nervosamente sulla scrivania, come stava cercando disperatamente una via d'uscita, ma vide anche come quei pugni si aprirono e poi finalmente il suo corpo rilassarsi in segno di resa.

Eppure, quando alla fine disse le parole che aveva tanto voluto sentire, Namjoon dovette sforzarsi di mantenere la sua compostezza un po' più a lungo, solo un po' più a lungo, fino a quando non sarebbe stato in grado di precipitarsi fuori di lì e urlare a tutti gli dei e le divinità là quanto terrore aveva provato alla prospettiva di fallire e perdere tutto.

"Bene. Dimmi cosa vuoi. Negoziamo."

Namjoon inspirò, inghiottì i suoi sentimenti e con il suo ultimo scatto di fiducia, entrò, si sedette di fronte all'erede dei Kim e procedette finalmente a spuntare l'ultima voce del suo piano.

Solo quando uscì da casa Kim, Namjoon si rese conto dell'immensità di ciò che aveva fatto. Aveva appena costretto l'umo più potente del mondo a fare ciò che volevo solo con due bugie ben centrate e una faccia di bronzo che c'erano voluti tre giorni per rendere credibile. Namjoon schizzò via dalla villa alla velocità della luce e non si fermò finché non mise tra se stesso e i Kim dietro almeno un paio di chilometri, incurante delle proprie gambe indolenzite. Non avrebbe mai più calpestato suolo Kim. Mai più.


 


 


 


 

Per l'occasione Namjoon aveva voluto pulire e riorganizzare la sua camera da letto da cima a fondo. Iniziò con il liberare ogni cassetto e superficie da tonnellate di unitili fogli di carta e da pile disordinate di cd e libri che si erano accumulati negli anni.

Mentre riordinava questi ultimi, non poté fare a meno di avere un ricordo per ogni copertina che accarezzava.

Sperava di tornare e poter dare loro una casa ancora più bella.

Riorganizzare i suoi vestiti che giacevano in cumuli disordinati nel suo guardaroba si rivelò più complicato ma con molta pazienza e dopo molti improperi verso se stesso, riuscì a venirne a capo. Fece allora una scelta funzionali di abbinamenti sufficienti a duragli almeno una settimana ma che al tempo potessero stare senza occupare troppo spazio in un borsone e il resto lo lasciò in ordine a accuratamente appeso e rimesso via nel sul armadio in attesa, si sperava, di ricollocazione.

"Te ne stai andando,” Namjoon sapeva che nel momento in cui avrebbe alzato la testa i suoi occhi si sarebbero posati su un molto battagliero Min Yoongi.

"Te l'ha detto mamma?" Chiese Namjoon in tono casuale.

Non voleva salutare, non voleva addii semplicemente perché il suo non lo era. Quello che si accingeva a fare era solo la naturale progressione delle cose, la sua naturale progressione.

Namjoon aveva deciso, di sua volontà, quali sarebbero stati i suoi passi futuri e ora dunque era arrivato il momento di raccogliere.

Era spaventato? Si, ma a spaventarlo era quello che lasciava che quello a cui andava incontro. La sua amicizia con Yoongi era preziosa ma correva anche un filo teso al massimo e aveva paura che non avrebbe sopportato un altro colpo.

Namjoon sperava che muoversi verso fini opposti non significasse necessariamente essere strappati dalle loro radici comuni.

"Tua madre mi ha solo fatto entrare non mi ha detto nulla dei tuoi piani. Ma sei qui con una borsa piena di vestiti, la tua camera da letto è pulita e in queste settimane tu hai fatto e mosso più cose che da quando ti conosco. E se questo non fosse abbastanza un segnale, hai una tale aria di sollievo misto a determinazione, che non ci vuole un genio per capire che te ne stai andando. Volevi tenermelo nascosto?"

“Cercavo di evitare che tu mi prendessi a calci?" Namjoon ribatté in tono scherzoso.

Yoongi ridacchiò ma la sua risata era nervosa e le sue dita continuavano a tamburellare impaziente lungo i fianchi.

Arrabbiato non era la parola giusta per descrivere il suo migliore amico. Yoongi sembrava irritato. Sembrava per lo più triste.

"Non mi sto arruolando nell'esercito per combattere una guerra dalla quale non tornerò mai più, Yoongi. Sto solo agendo a modo mio, per una volta."

"Lo so. Ed è questo il motivo per cui è più difficile accettarlo.”

Namjoon per un attimo smise di ripiegare i vestiti e spinse il borsone da parte.

Se c'era una cosa, un rimpianto che avrebbe sempre portato con sé, era il dover tenere dentro di sé la verità e convivere col fatto che non avrebbe mai potuto condividerla. Ma Namjoon non poteva rischiare di dare una giustificazione alla tristezza che Yoongi causava a se stesso e agli altri e non poteva nemmeno rinunciare ai suoi piani solo per farlo sentire meglio. E anche se Namjoon avesse voluto, non avrebbe potuto fare nulla per salvarlo da se stesso.

"Ti manderò il mio indirizzo una volta che mi sarò sistemato. Ho affittato una piccola stanza nel caso ..." Namjoon non voleva nemmeno immaginare quell'eventualità, ma doveva. Non era più un bambino che fissava le stelle ed esprimeva un desiderio, ma un adulto che si stava facendo strada nel grande e pieno di insidie mondo, “nel caso le cose non vadano come spero.. Ma in ogni caso, non mi trasferisco in un altro paese, al massimo dall'altra parte della città."

"Allora ci vediamo tra una settimana?" Chiese Yoongi inarcando le sopracciglia scettico ma per fortuna non beffardo. Namjoon apprezzò profondamente la mancanza di sarcasmo. Annuì incerto su cosa dire. Yoongi mormorò qualcosa riguardo al controllare cosa stava preparando sua madre per cena e Namjoon lo lasciò andare, decidendo di restare ancora qualche attimo da solo.

Aveva odiato profondamente il sistema di assegnazione delle anime gemelle. L'introduzione non aveva contribuito per nulla a cambiare quel sentimento e per molto tempo aveva provato rabbia anche nei confronti della persona assegnatali. Si era risentito di Seokjin per essere non solo l'anima gemella che non aveva mai voluto incontrare, ma anche per essere chi era, un Kim, e quindi responsabile dell'annientamento dei suoi sogni.

Eppure in qualche modo anche se aveva odiato il suo nome e aveva odiato il modo in cui era venuto a far parte della sua vita, non gli era riuscito di odiare Jin e infine, dopo una lunga strada e neanche troppo tempo, aveva realizzato che ogni sogno che aveva mai sognato ammontava a zero se lui non c'era.

Seokjin poteva anche non essere la sua anima gemella, ma sarebbe sempre stata la persona di cui Namjoon si era innamorato. E questo cambiava tutto.

Forse quello che aveva fatto era inutile e forse lui si stava dirigendo verso il più epocale dei fallimenti, ma era pronto a fare un atto di fede e buttarcisi dentro. Questa volta almeno sarebbe stato perchè l'aveva scelto lui.


 


 

La mattina seguente Namjoon fu accolto da un cielo nuvoloso. Niente sole e niente pioggia e Namjoon pensò che fosse un segno. Era indefinito come il suo umore e incerto come il suo destino, un perfetto equilibrio tra angoscia e aspettativa.

Fece una doccia veloce, si vestì e senza poter sopportare di rimanere un secondo di più intrappolato dentro quattro mura senza sapere prese la sua borsa piena di vestiti e di speranze, e uscì dalla casa dei suoi genitori senza nemmeno fare colazione, senza nemmeno una parola, avendo ostinatamente deciso che non era un addio anche se in qualche modo lo era.

Nel bene e nel male. Il Namjoon che era cresciuto lì non sarebbe più esistito.

L'indirizzo che aveva ottenuto in modo così incredibile indicava una parte della città più suburbana che non aveva mai visitato. Doveva prendere una combinazione di autobus per arrivarci e anche se non si fidava affatto del suo senso dell'orientamento, si fidava del suo telefono e del fatto che lo avrebbe portato a destinazione.

Le sue membra si sentivano pesanti e intorpidite e la sua cassa toracica costretta, era felice quindi di avere un lungo tragitto e una scusa per rimanere seduto. Dubitava sarebbe stato in grado di mantenere un controllo sui suoi arti gelatinosi.

Era arrivato così lontano ma all'improvviso si sentiva piccolo e insicuro e non poté fare a meno di chiedersi se non avesse scommesso più di quanto potesse ragionevolmente aspettarsi e, man mano che la sua destinazione si avvicinava, i dubbi e le paure si fecero più pressanti.

E se Yoongi avesse avuto ragione. E se tutto quel casino fosse accaduto per una ragione e quella ragione era bruciare i ponti e lasciarlo andare? E se ... tutti i suoi sforzi si fossero rivelati inutili perché la verità era che Seokjin lo aveva lasciato andare solo per lasciarlo indietro.

Smettila subito Namjoon. ti è stata concessa la libertà. Te l'ha dato per usarla come desideri ed è quello che stai facendo.

Nonostante la crisi interiore a Namjoon rimase abbastanza presenza di spirito da accorgersi quando cambiare autobus e in qualche modo, anche se col cuore in tumulto, arrivò alla sua ultima fermata.

Restavano solo trecento metri da percorrere.

Cercò di calmare i suoi battiti e di sincronizzarli ai ritmo dei suoi passi - lo scricchiolio delle sue scarpe da ginnastica sull'asfalto stranamente rassicurante.

Si guardò intorno, cercando di distrarsi magari con la bellezza del paesaggio, ma non poté fare a meno di notare come quella parte della città, nonostante non sembrasse pericolosa, apparisse decisamente più modesta e più rovinata del suo quartiere.

Dalle case rattoppate e dalle vecchie auto parcheggiate lungo la corsia, era evidente che questo era un posto per persone che lavoravano molto duramente giorno per giorno con l'unico obbiettivo di arrivare a fine mese.

Voglio comprarti una casa, voglio comprati una macchina, voglio darti tutto ciò di cui potresti aver bisogno o desiderare, voglio essere in grado di portarti così in alto che anche una caduta non significherà il tuo crollo.

L'indirizzo che il padre di Hyosang gli aveva dato, portava a un vecchio edificio grigio proprio dietro l'angolo. Namjoon prese un grande respiro. Il cancello principale era aperto e quindi non doveva suonare nessun campanello, il che era una buona cosa considerando che dubitava che avrebbe mai trovato un nome familiare sull'interfono.

Non c'era l'ascensore quindi aveva quattro rampe di scale da percorrere. Almeno poteva fingere che il suo fiato corto fosse dovuto all'attività e al fatto di essere sull'orlo di una crisi di nervi.

Quando, finalmente, la porta giusta con il numero giusto gli apparve davanti, il cuore di Namjoon vacillò. Eccolo lì il suo obbiettivo. Tutte quelle settimane di duro lavoro erano servite a portarlo a quel preciso istante, in quell'esatto posto.

Tutti i suoi intrighi da quando Hyosang era andato a trovarlo nell'appartamento di Yoongi, erano stati solo per avere la possibilità di bussare alla porta di Seokjin.


 

 


 

"Voglio sapere dov'è Seokjin," dichiarò semplicemente Namjoon.

L'uomo lo guardò. Sconcertato. Come se non potesse credere che tra tutte le cose che Namjoon poteva estorcergli, lui gli avesse chiesto solo un indirizzo.

L'uomo scosse la sua testa in evidente stato di incredulità. A Namjoon non importava un cazzo di quella che era la sua opinione. Kim poteva crederlo un delirante o addirittura pazzo per quel che lo riguardava. Voleva solo sapere dove era Seokjin.

Sai almeno fino a che punto Seokjin si è spinto per assicurarsi che nessuno potesse trovarlo? E ora, stai facendo anche peggio solo per farmi annullare ciò che lui si è dato tanta pena di ottenere! "

Namjoon si morse l'interno della guancia, nervoso.

Non era quello il momento di esitare. Anche se Seokjin avesse venduto la sua anima per ottenere l'aiuto e il silenzio di quell'uomo, Namjoon non avrebbe lasciato che fosse l'unico a farlo.

Non lo so e neppure mi interessa. Dimmi solo dov'è e poi ti prometto che non vedrai mai più la mia faccia.”

Il padre di Hyosang aveva scritto l'indirizzo su un post-it che ora giaceva spiegazzato nella tasca posteriore dei suoi jeans. Era stata la sua ancora durante tutte le lunghe settimane che gli ci erano volute per mettere in ordine i suoi affari e avere un regime di vita abbastanza regolare, da convincere Seokjin a prendere almeno in considerazione l'idea di accoglierlo.

Namjoon non se la sarebbe mai sentita di venire a bussare alla sua porta con solo il cuore da offrire. Perché questo non sarebbe mai stato abbastanza per ripagare Seokjin di tutto ciò che gli aveva regalato senza chiedere nulla in cambio.

Percorse gli ultimi passi finchè non si trovò davanti alla porta e poi, inesorabilmente, allungò la mano e premette il campanello.

Per un lungo momento non successe niente. Poi udì il rumore di passi veloci venire dall'altra parte della porta e infine, distintamente come il suono di mille campane nel mezzo del deserto, giunse la voce di Seokjin.

"Un attimo, arrivo!"

Namjoon era stato uno sciocco. Come aveva potuto pensare di essere preparato a questo momento? Non lo era, non lo era, ma prima che il suo cervello potesse in qualche modo districarsi, la porta si spalancò.

Seokjin sembrava stanco, più magro e decisamente più logoro, ma i suoi occhi scintillavano ancora della stessa luce calda e la sua bellezza sempre in grado di fargli mancare i battiti.

Era ancora Seokjin. Era tutto ciò di cui Namjoon aveva bisogno. E lui ne aveva fatto a meno suo malgrado per troppo tempo.

"Che diavolo ci fai tu qui?" Chiese Seokjin trafelato, mentre il suo viso perdeva ogni traccia di calore. Stava stringendo il manico della porta così forte che Namjoon poteva vedere le sue nocche diventare bianche. Non aveva chiesto come stava, non aveva chiesto come Namjoon fosse riuscito a trovarlo.

Sembrava più importante, apparentemente vitale, sapere perché Namjoon era lì invece di essere da qualche altra parte a godersi la sua nuova libertà.

Namjoon spostò goffamente il peso da un piede all'altro perché come poteva spiegare tutto ciò che voleva dire e far in modo che Seokjin capisse?

Così optò per il semplice. Sperando che sarebbe stato sufficiente. Sperando che Seokjin l'avrebbe miracolosamente creduto.

"Penso che sia ovvio, hyung," disse Namjoon indicando la borsa ai suoi piedi e tentando un timido sorriso. "Sono qui per stare con te," il se mi vuoi, era fortemente implicito considerando come la sua voce tremò.

Diverse emozioni passarono sul viso di Seokjin e lui stava ancora tenendo la maniglia stretta e se l'avesse tenuta più stretta, l'avrebbe certamente rotta, ma almeno non chiuse la porta in faccia a Namjoon. Non disse nulla, sembrava incapace di elaborare e di raccapacitarsi della realtà del momento.

Namjoon dubitava e temeva, temeva e dubitava, ma anche così rimase lo stesso lì ad aspettare un segnale. Poi vide gli occhi di Seokjin farsi impossibilmente lucidi e le sue spalle tremare e allora Namjoon non riuscì più a trattenersi.

Forse Seokjin lo avrebbe cacciato o forse chi lo sa, forse ...

Fece un passo in avanti, gettò la sua borsa da qualche parte senza curarsi di dove atterrava, e abbracciò Seokjin d'impeto, lo tenne stretto a sé, come se non potesse credere di averlo lì solido tra le sue braccia quando era stato così vicino a perderlo per sempre.

"Non osare lasciarmi indietro mai più, Jin," mormorò Namjoon affondando il naso nei suoi capelli in un gesto di affetto. Inspirò a fondo, cercando di memorizzare il calore e il profumo. Tutto.

E poi, all'inizio esitante, ma poi più sicuro, Seokjin avvolse le braccia intorno al suo torso e ricambiò l'abbraccio, e quando le sue dita affondarono nei vestiti di Namjoon, questi capì che la corsa era finita per entrambe. Seokjin lo strinse a se altrettanto forte, ancorandosi a lui come se fosse l'unica cosa che gli stesse impedendo di rovinare a terra.

"Non farlo più," sussurrò Namjoon e non fu sorpreso di sentire anche i suoi occhi inumidirsi.

"Ok," fu la risposta acquosa di Seokjin.

“Siamo in questo insieme. Insieme."

"Lo sai, lui non è nemmeno la tua vera anima gemella. Eppure tutti e due siete così determinati a rovinare voi stessi per l'altro, da far impallidire ogni legame creato dall'algoritmo. Dovrebbe essere impossibile."

Namjoon ridacchiò allora. Quasi rise.

"Da quando abbiamo bisogno che ci venga detto di amare, per poter amare, signor Kim?" Rispose Namjoon, prima di alzarsi e uscire, e non tornare più indietro.


 


 


 


 

Epilogo


Il loro secondo appartamento era ancora piccolo ma decisamente più comodo di quello in cui avevano abitato prima. Erano stati due anni avventurosi quello trascorsi in quel piccolo appartamento con una sola camera da letto e una cucina che era anche un salotto, ma anche se non era stato il massimo, Namjoon si era comunque sentito a casa. Dopotutto, quelle quattro mura avevano visto il suo ricongiungimento con Seokjin ed erano state il primo luogo che li aveva visti insieme e liberi.

Ad ogni modo, dopo un anno e mezzo di duro lavoro, ora potevano finalmente permettersi qualcosa di meglio. Quindi eccoli li, a inscatolare le loro cose sotto l'attenta supervisione e imperdonabile guida di Seokjin.

Seokjin si era scusato per il suo nervosismo e pessimo umore già diverse volte, ma a dire il vero Namjoon trovava il suoi modi prepotenti piuttosto sexy. Scosse la testa, non era il momento per quel tipo di pensieri.

Si caricò di altre due scatole e scese le rampe di scale. Mentre fissava l'auto già mezzo stipata di cose, Namjoon fu colpito da quanto il suo mondo fosse cambiato nell'arco di così poco tempo.

Eppure il cambiamento non era sempre foriero di sventure come una volta era solito pensare.

Cambiare aveva significato finire la sua laurea in economia per esempio. Sebbene Namjoon fosse stato accettato nel dipartimento musicale, Seokjin concordava con Namjoon sul fatto che lo sforzo fatto da Namjoon come studente di Economia non dovesse essere vano. Siccome seguire i corsi di due facoltà avrebbe mangiato a Namjoon troppo tempo, quest'ultimo aveva pensato di rinunciare a uno dei due.

"No. Non voglio che rinunci a nulla. Può esserti utile in futuro", aveva insistito invece Seokjin anche se una tale scelta avrebbe tagliato le ore che Namjoon poteva lavorare e costretto Seokjin a provvedere per entrambe per un po'.

Era stato un altro muro da scalare, una scelta difficile da accettare, ma ne era valsa la pena. Seokjin aveva ragione, ora aveva un'arma che gli altri musicisti non avevano, e gli era valso un lavoro part-time più redditizio di quello che avrebbe potuto ottenere come mero studente del dipartimento di musica. Quando non aveva corsi e non doveva passare da Yoongi curava i conti di una piccola azienda, che era anche il motivo per cui avevano deciso di trasferirsi. Il viaggio andata e ritorno dal centro era troppo macchinoso.

Anche se questo avrebbe comportato un investimento iniziale, alla lunga Namjoon sarebbe stato in grado di togliere un po' di peso dalle spalle di Seokjin, ed era tutto ciò che si era augurato.

Avevano certamente ancora molta strada da fare, ma era un buon inizio.

“Concentrati sulle cose buone, Joon. Lascia quelle brutte al passato,” Seokjin diceva tutte le volte che Namjoon si era sentito stanco o abbattuto.

Namjoon allora si sforzava di sorridere e non era così difficile, davvero, quando avevi le braccia di Seokjin a tenerti stretto.

Il cambiamento aveva anche significato che Seokjin si sarebbe finalmente sbarazzato dei lavori peggiori, quelli che lo lasciavano dolorante e svuotato, e più di ogni altra cosa il cambiamento avrebbe significato più tempo per entrambi, per fare ciò che piaceva a loro, e scoprire cose e persone nuove. E soprattutto più tempo da trascorrere solo loro due.

Aveva ventun anni, appena legale per bere e per essere considerato formalmente un adulto, eppure Namjoon sapeva perfettamente che corso voleva che la sua vita prendesse.

Certo se si guardava da lontano e con un certo senso critico, sapeva che le cose non erano andate esattamente come aveva immaginato quando era più giovane.

Per dirne una, non avrebbe mai potuto immaginare quanto si sarebbe sentito devoto e quanto sarebbe stato innamorato della sua anima gemella. E nemmeno come si sarebbe sentito appagato e felice di appartenere a questa persona e di lavorare per costruire una vita insieme.

Era stata dura, e lo sarebbe stata ancora, e ci sarebbero voluti altri anni per lasciarsi alle spalle le lunghe ombre della famiglia Kim.

Eppure, anche se si era allontanato così tanto dai suoi sogni di bambino, era contento di essere arrivato proprio dove si trovava ora. Lontano, così lontano da dove erano partiti lui e Seokjin. Eppure insieme.

Sempre insieme.


 

Nda: grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questa avventura. Oggi sento come aver perso una grossa parte di me ma so già che presto nuove storie ne prenderanno il posto vuoto e con questo nuovo estusiasmo. Spero vi sia piacuta questa corsa sulle montagne russe. Un abbraccio


 


 


 

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