Due Storie in Una - Gajevy Week 2017

di MaxB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dojo AU ***
Capitolo 2: *** 1. Matching ***
Capitolo 3: *** 2. Longing ***
Capitolo 4: *** 3. Pillow Talk ***
Capitolo 5: *** 6. Grief ***
Capitolo 6: *** 7. Living Together ***
Capitolo 7: *** 5. Trouble Twins ***



Capitolo 1
*** Dojo AU ***


0. Bonus Day
Dojo AU



T-shirt grigia.
Pantaloni larghi neri, con il cavallo che arrivava alle ginocchia e il tessuto che gli fasciava le caviglie.
Polsini di metallo.
Elastico per legare i capelli.
Il giovane uomo dallo sguardo così rosso da sembrare sangue fresco osservò gli indumenti e gli attrezzi che aveva accuratamente disposto sulla panchina dello spogliatoio maschile. In quel momento, c’era solo lui ad occuparlo.
Primo giorno di lavoro nel dojo.
Primo giorno di lavoro e basta, a dire il vero.
Il ragazzo scrollò le spalle e poi allungò le braccia facendo stretching, concentrandosi sulla sensazione dei suoi muscoli che si allungavano, tiravano e distendevano per cercare di placare l’ansia. Fastidioso come una mosca e doloroso quanto la puntura di un’ape, il pensiero fisso di quella prima lezione da maestro invece che da allievo lo stava mandando all’inferno. Sicuramente non lo aiutava ricordare chi avesse come categoria di studenti.
Non i bambini.
Magari i bambini!
No.
Gli avevano assegnato delle giovani donne sulla soglia dei vent’anni che, allarmate di fronte al numero sempre crescente di femminicidi e aggressioni da parte di maniaci delinquenti, o forse solo invasate di fronte ai lavaggi del cervello proposti da film come le Charlie’s Angels o videogiochi come Tomb Raider, volevano imparare l’arte dell’autodifesa e della distruzione di alcuni organi fondamentali mediante l’applicazione delle arti marziali.
Delle ragazzine! A lui!
Il neo istruttore batté con rabbia il pugno su un armadietto, producendo un suono metallico e disturbante che si propagò nell’aria immobile e vuota come l’eco di una sirena della polizia.
- Porc… - mormorò, scrollando la mano per far passare il dolore.
- Gajeel! – chiamò una voce in lontananza, allarmandolo.
Era in mutande, e quella era la voce di Mirajane, la segretaria, contabile, direttrice e chissà che altro del dojo.
Gajeel infilò al volo l’accappatoio e nascose l’ultimo oggetto che aveva posato con cura sulla panca, imbarazzato.
- Posso? – chiese Mirajane, bussando sulla porta dello spogliatoio.
- Entra – comandò Gajeel, togliendosi i polsini per fasciarsi le braccia fino al gomito con una benda bianca. Il suo maestro di arti marziali gli aveva spiegato diverse volte l’utilizzo tecnico e lo scopo di quelle strisce di stoffa immacolate e innocenti che ordinava ai suoi allievi di indossare in parti improbabili del corpo, ma a distanza di anni Gajeel continuava a sospettare che l’unica funzione di quelle protezioni fosse quella di sembrare più fighi. Quando si rimirava allo specchio prima di un incontro o di un torneo, doveva ammettere che, utili o no, quelle strisce lo rendevano davvero figo, per cui non aveva mai osato mettere in discussione le idee del suo vecchio sensei.
- Tutto a posto? – chiese la ragazza dai lunghi capelli bianchi e dagli occhi chiari entrando timidamente nello spogliatoio maschile. – Ho sentito un rumore forte e pensavo ti fossi fatto male.
- Tutto a posto – la rassicurò lui in modo un po’ brusco, scrollando la mano come per farla tacere.
- Nervoso? – lo incalzò lei, appoggiandosi al muro e incrociando le braccia sotto al seno prosperoso, a mala pena contenuto nel vestitino color vinaccia che le arrivava a metà coscia, attillato quanto bastava per non lasciare spazio all’immaginazione. Non si era sorpreso nel momento in cui Laxus, fidanzato di Mirajane e nipote del proprietario del dojo, gli aveva fatto un interrogatorio più che un colloquio di lavoro quando la ragazza gli aveva proposto il corso formativo per diventare insegnante di karate, MMA e tutte le altre varie categorie che comprendevano il combattimento corpo a corpo.
- Nah – borbottò, testando la fasciatura e cominciando a lavorare sull’altra mano.
- Meglio così, sono sicura che te la caverai alla grande. Te l’ho già detto che è un corso fondamentalmente nuovo e sperimentale, quindi avrai piena libertà espressiva nell’insegnamento. Solo…
- “… mi raccomando, sono giovani donne che devono acquistare fiducia in loro stesse per poter fronteggiare il mondo, quindi non demolirle come faceva Makarov con te, Gray e Natsu, perché loro potrebbero spezzarsi e…” bla bla bla – la interruppe Gajeel, scimmiottandola.
Mirajane ridacchiò. – Scusa, te l’ho ripetuto sette volte ormai, vero?
- Diciassette – la corresse lui, puntandole il dito tra gli occhi e avvicinandosi a lei fino a ridurre la distanza a una misura che Laxus avrebbe definito “critica” e “passibile di omicidio”.
La ragazza ridacchiò ancora. – Scusa – ripeté, abbassandogli delicatamente il dito. – So che andrai bene, davvero, frequenti il dojo da prima di me e il Master Makarov non avrebbe potuto scegliere maestri migliori di te, Gray e Natsu, ma… sai, la maggior parte delle ragazze con cui lavorerai sono mie amiche e…
- Ti farò fare bella figura – la liquidò lui, tornando alla sua panca.
- Va bene, allora vado ad aprire il dojo, è quasi ora. Natsu e Gray sono pronti?
Gajeel scrollò le spalle e si infilò nuovamente i polsini metallici, evitando di indossare i guanti consunti che lasciavano le dita libere. Durante la prima lezione non sarebbero serviti. – Meno li vedo, meglio è, quindi sono felice se oggi non li incrocio.
Mirajane lo fissò con perplessità. – Ma non vivete insieme?
- Appunto – sancì lapidario, tirando il cordone che legava il suo accappatoio, invitando tacitamente la ragazza a levare le tende.
Lei, confusa e leggermente preoccupata, si precipitò fuori con il telefono in mano e il numero dei ragazzi pronto per essere digitato.
Gajeel sospirò e osservò i suoi indumenti prima di allungare la mano e riprendere l’oggetto che aveva nascosto alla vista di Mirajane. Si rigirò la conchiglia protettiva di fronte al viso e poi si tolse l’accappatoio, riponendolo nella borsa con cura.
- Le ragazze devono imparare l’autodifesa? Bene, ma io voglio l’autodifesa dei miei gioielli contro i loro calci vaganti.
 
Poco tempo dopo Gajeel si aggirava per i corridoi del dojo con i piedi nudi e la silenziosa sinuosità di un ninja. Negli spogliatoi si udivano già chiaramente le risatine delle ragazze che presto avrebbero iniziato le lezioni. Che fossero nuove o vecchie frequentatrici, imbranate o macchine assassine poco importava: lui non avrebbe fatto sconti a nessuno.
Con la coda dell’occhio incrociò la chioma bionda di Laxus che passeggiava al fianco di suo nonno, il Master del dojo, il suo vecchio sensei, e alzò la mano in segno di saluto.
O meglio, provò ad alzare la mano in segno di saluto, ma urtò qualcosa di piccolo, morbido e decisamente leggero che rimbalzò indietro e atterrò con un tonfo.
- Ahio! – mormorò una giovane donna a cui sembrava essere esploso un pezzo di cielo in testa. Aveva capelli azzurri e mossi che le si aprivano attorno al volto come gli aculei di un morbido porcospino.
- Ehi, guarda dove vai! – lo sgridò una ragazza bionda con due codine da bambina e grandi occhi color cioccolato, che si chinò per aiutare la sua amica dopo aver fulminato Gajeel con lo sguardo.
Quando fu in piedi, Gajeel si rese conto che la ragazza che aveva colpito era davvero, davvero piccola. Non gli arrivava nemmeno alle spalle con la sommità della testa, e gli venne da ridere quando la vide alzare la testa per guardarlo negli occhi, imbarazzata. Erano più chiari di quelli della sua amica bionda e dentro avevano un mondo di innocenza che gli fece intuire che, se lei fosse stata la vittima di un incidente, probabilmente si sarebbe scusata con il colpevole, attribuendosi la causa dello scontro.
- M-mi dispiace – mormorò, prima di arretrare per non dover piegare il collo innaturalmente. – Avrei dovuto badare a dove mettevo i piedi.
- Levy, smettila! È colpa sua, deve scusarsi lui! – la incalzò la sua amica, l’unica offesa da quell’incidente corporale.
- Colpa mia? Mi scuserei se fosse grande e grossa, ma è così piccola che non è difficile immaginare come mai io l’abbia quasi schiacciata! Dovrebbe stare più attenta lei a dove cammina! – sbraitò lui, chinandosi per guardare negli occhi l’avvocato del diavolo.
La biondina assottigliò i suoi e lo fissò con rabbia. – Ora capisci, Levy, perché ci serve un corso di autodifesa? Questo bruto primitivo sarebbe già a terra se sapessi come colpirlo!
- Ma Lucy… - protestò la sua amica, Levy, così imbarazzata da non riuscire a guardarlo in volto. – Smettila, ha ragione.
- No che non ha ragione! Ehi, Juvia, diglielo anche tu! – chiamò l’amica quando un’altra ragazza dai capelli celesti le raggiunse.
- Juvia deve dire cosa a… oh, ciao Gajeel-kun! Pronto per la tua prima lezione? – salutò la nuova arrivata, entusiasta.
- Che ci fai qui, Juvia? – ribatté Gajeel, raddrizzandosi e fissando in tralice il trio.
- Juvia frequenta con le sue amiche il corso di autodifesa! Non sei contento?
Gajeel sbuffò e alzò gli occhi al cielo, rimpiangendo di non essere stato assegnato ai bambini, che erano capitati a quell’ingrato del suo compagno Natsu.
- Tu lo conosci, Juvia? – sbottò la bionda, Lucy, fissando l’amica.
- Certo, Gajeel-kun è amico di Juvia da quando sono piccoli. Juvia ha insistito molto per fare il corso perché Gajeel-kun è il nuovo istruttore e Juvia voleva portargli tante clienti.
- Lui cosa?! Il nuovo istruttore? Di autodifesa?!
- Gihi – bofonchiò lui, stupendo Lucy con la sua risata alquanto particolare e incuriosendo Levy, che tornò a fissarlo. – Attenta, biondina, o ti faccio fare addominali extra – la intimidì prima di allontanarsi con un ghigno sinistro stampato sul volto.
- Autodifesa lui?! Aspetta… addominali?! Juvia ma cosa mi hai…?!
Mentre le urla di Lucy si perdevano tra i corridoi del Dojo delle Fate, Gajeel continuò a ridacchiare e imboccò la sala nuova in cui avrebbe tenuto la lezione, facendo scrocchiare il proprio collo.
- Gajeel? – lo chiamò Mirajane dall’entrata, dove c’era la reception. – Ehm… tutto bene?
- Più che bene, Mira. Più che bene – canticchiò afferrando dei nunchaku e iniziando a scaldarsi.
 
Levy lo trovò così, con quell’arma letale e dolorosa che roteava a velocità troppo elevata per essere colta dall’occhio umano, quando entrò nella sala insieme a parecchie sue amiche. Il movimento di quei bastoni legati da una catena la ipnotizzò e Levy si bloccò in mezzo alla palestra a fissare Gajeel, il suo istruttore, che sfoggiava le sue abilità senza un capello fuori posto o una goccia di sudore. Poi il suo sguardo venne calamitato dai muscoli del suo tronco, fin troppo visibili sotto la canottiera grigia e aderente, e si affrettò a raggiungere le amiche prima che Kana si accorgesse di dove si fossero posati i suoi occhi e la mettesse in ridicolo.
- Dobbiamo usare quei cosi assassini? – sbottò Lucy quando Gajeel bloccò i nunchaku e li ripose, prendendo un lungo sorso d’acqua.
- Non dovete usare quei cosi assassini. Non ne siete in grado. Non ancora. Ma grazie a me lo sarete, tra qualche mese – rivelò Gajeel prima di sedersi per terra e invitare le quasi venti ragazze a fare lo stesso. - Ora, la prima lezione che vi insegnerò oggi è che il rispetto è l’unica regola fondamentale di questo dojo. Rispetto tra insegnante e allieve. La seconda, che io preferisco e su cui mi dilungo sempre molto, è che ciò che dice il sensei non si discute mai.
Venti paia di occhi sbarrati e ricettivi lo fissarono rapiti, e altrettante teste annuirono in sincrono. Tranne quella di Lucy, che aveva voglia di fare guerra.
- Detto ciò, biondina, chi è il sensei qui? – chiese Gajeel, indicando Lucy.
- Dici a me? – ribatté lei, perplessa.
- Quante altre bionde vedi qui?
Lucy ruotò velocemente la testa e appurò di essere l’unica bionda nella sala. – Oh. Sì, be’, sei tu il sensei, no?
- Quindi come mi chiamerai?
- Idiota? – chiese lei, sorridendo malignamente.
- Lucy – la ammonì Levy, dandole delle gomitate riprensive.
Gajeel ghignò e Lucy capì di aver sbagliato di grosso a rispondere così.
- Juvia vieni qui. E anche tu, biondina – ordinò alzandosi. Prese un blocco di cemento dal cesto degli attrezzi e lo diede a Juvia, mostrandole come tenerlo in alto e lontano dal viso con le braccia tese. – Bene – disse poi, rivolto a Lucy. – Sai fare questo?
Fulmineamente, tirò un calcio al mattone e lo spezzò in due, senza smuovere un capello di Juvia o sorprenderla.
Lucy, invece, negò con la gola secca.
- Esatto, non sai farlo. E io sì. Perché?
- Perché tu sei il sensei? – azzardò flebilmente, facendosi piccola.
- Brava biondina. Ora, siccome sono il sensei, potrei ordinarti di spezzare una tavoletta di legno con la testa, ma non lo farò perché non vogliamo che gli ospedali vengano invasi da ragazzine con la testa rotta. Giusto?
- Giusto.
Gajeel si voltò verso le allieve. - Quindi farete ciò che vi dirò senza discutere, perché io so cos’è meglio per voi, so com’è meglio che agiate e quando dovrete farlo. Chiaro?
- Sì – mormorarono tutte le ragazze, annuendo, incluse Juvia e Lucy?
- Sì cosa? – ringhiò Gajeel, prendendo i mattoni rotti dalle mani di Juvia e facendoli scivolare in un angolo.
- Sì sensei! – dissero le donne come voci di un unico coro, raddrizzando la schiena.
- Perfetto. Andate a sedervi.
Lucy e Juvia tornarono silenziosamente al posto.
- Ora, non voglio capelli sciolti – continuò l’istruttore camminando avanti e indietro. – Non mi interessa se venite ad allenarvi in mutande, in pigiama o senza reggiseno, finché non vi consegnerò le divise potrete venire come volete, ma i piedi nudi sono d’obbligo, l’assenza di gioielli, dalle collane agli orecchini ai braccialetti, è d’obbligo, e la coda di cavallo non è un obbligo, è una certezza.
Detto ciò, Gajeel indicò la sua acconciatura, una coda ligia e perfetta sulla sommità della nuca, e alzò un sopracciglio. – Chiaro?
- Sì sensei!
- Bene. Ora in piedi – ordinò.
- Non poteva capitarci insegnante peggiore – piagnucolò Lucy a mezza voce.
Levy non rispose, ma sorrise leggermente e osservò Gajeel di sottecchi. – Vedremo…
 
Al contrario di ciò che Gajeel aveva previsto, dopo due mesi di lezioni bisettimanali il numero di partecipanti al suo corso non solo non erano diminuito, ma era aumentato di cinque.
Juvia gli aveva rivelato che in parte era dovuto al suo fisico, che per delle ventenni nel fiore della giovinezza era un sogno erotico ad occhi aperti. Gajeel aveva negato il tutto e accantonato la faccenda, ma aveva dovuto ripensare alle parole della sua amica quando le allieve avevano iniziato a presentarsi in shorts succinti e canottierine attillate sotto le quali erano più che visibili degli ultra-push-up.
Solo quando, dopo un mese e mezzo, un’allieva particolarmente entusiasta gli si piegò davanti facendogli l’occhiolino, mettendo ridicolmente in mostra il lato B a mala pena fasciato da un pezzettino di stoffa nero che poteva difficilmente passare per un costume, figuriamoci per un pantaloncino, Gajeel decise di distribuire le informi e anti-stupro divise che si usavano per il judo.
Bianche, larghe, sformate, perfette per renderle inoffensive e spronarle a darsi un contegno.
Lucy divenne una buona amica, tutto sommato, e qualche volta Gajeel incontrò lei e la sua amica Levy, insieme a Mirajane e altre allieve come Kana o Evergreen, in qualche pub, dove bevevano, ballavano e finivano per darsi appuntamento alla settimana successiva. Juvia aveva deciso di innamorarsi di Gray dopo dieci secondi di incontro e un saluto, mentre Natsu aveva deciso che Lucy sarebbe diventata la sua migliore amica. Kana era interessata solo all’alcol e Gajeel si ritrovò a passare parecchio tempo con Levy che, vinta l’iniziale timidezza, si era dimostrata la più tosta, la classica ragazza che cela una bomba nascosta tra le pieghe della veste da brava ragazza. Era brillante, simpatica, dolce e assolutamente in gamba.
Ad allenamento Gajeel le dedicava particolare attenzione, correggendola anche lì dove in realtà Levy non sbagliava per il solo gusto di toccare quel corpo morbido che vedeva fasciato in abitini stuzzicanti quando uscivano.
Mano a mano che l’allenamento procedeva, comunque, Gajeel si rese conto di un piccolo dettaglio: per quanto la ragazza fosse brava, era indiscutibilmente la più piccola del gruppo e questo per lei rappresentava un enorme svantaggio.
Dopo diverse osservazioni mute e studi durante le lezioni, Gajeel prese una decisione.
- Potete andare – salutò le ragazze una sera, come suo solito, ricevendo in cambio un coro di “arrivederci sensei”. – Levy, tu resta – disse poi, quando la giovane fece per allontanarsi.
La ragazza invitò Juvia e Lucy ad andare a cambiarsi prima di raggiungere Gajeel, che si tolse la maglia per tergersi il sudore dal viso. Quando riaprì gli occhi e abbassò lo sguardo su Levy, la trovò imbarazzata e alla disperata ricerca di un qualcosa da osservare che non fossero i suoi muscoli. Lui ghignò, rendendosi conto di quanto la coda facesse risaltare i tratti dolci del suo viso.
- Sì, sensei?
- La lezione è finita, sono solo Gajeel – ridacchiò lui, gettandosi la maglia sudata su una spalla.
- Allora… dimmi. Qualche problema? – indagò lei, rilassandosi.
- Ti andrebbe di prendere delle lezioni private il sabato mattina? Il dojo è chiuso, ma io ho le chiavi e potrei darti qualche nozione extra in segreto… - propose usando un tono noncurante.
Levy, attonita, sbatté le palpebre più volte e rimise al suo posto la spallina della divisa che le stava scivolando, lasciando intravedere più pelle del dovuto. Non si poteva portare il reggiseno sotto al judogi e la cosa non era sfuggita a Gajeel. – Faccio così pena?
- Cosa? No, non fai pena, te la cavi alla grande, sei migliorata moltissimo. Però… non puoi dare il tuo meglio allenandoti con le altre, per via della tua… della differenza… insomma…
Levy sospirò coprendosi involontariamente il petto. – Lo so, qui hanno tutte un seno più grande del mio e io faccio abbastanza pena, ma non pensavo che fosse uno squilibrio anche nell’autodifesa. Già è difficile…
Gajeel scosse la testa, confuso. – Cosa scusa? – la bloccò. – Io parlavo dell’altezza.
Levy impiegò dieci secondi buoni per registrare le sue parole e diventare rossa quanto un pomodoro, facendo ridacchiare il suo insegnante. – Ma… m-ma io…
- Fidati che le tette enormi non sono né un requisito necessario per essere bravi sportivi né un vantaggio – rise lui.
- Oddio, che imbarazzo, scusami tanto, è che sono l’unica ad avere delle dimensioni… cioè, le altre hanno tutte un balcone imponente e pensavo che… sì, sei fortunato a poter insegnare a tutte queste belle ragazze con un bel fisico e io non sto capendo nemmeno più cosa sto dicendo!!
Gajeel scoppiò a ridere di fronte alla scena, mentre Levy seppelliva il viso tra le mani e pregava in tre lingue diverse affinché un fulmine la colpisse in quell’istante.
- Non è una fortuna insegnare una disciplina che richiede molto autocontrollo a delle ragazze che non hanno il senso del pudore. Per lo meno tu sei decorosa e non hai nulla da invidiare alle tue compagne. Lo svantaggio di cui parlavo deriva dall’altezza, e se vuoi posso seguirti singolarmente il sabato mattina.
- Dici davvero? – chiese conferma Levy, fissandolo tra la fessura delle sue dita aperte.
Gajeel tornò serio e annuì, secco. – Attendo una tua conferma entro venerdì, buona serata – concluse andando a recuperare il suo asciugamano e la sua bottiglietta d’acqua.
Quando sentì Levy allontanarsi, si girò a fissare in maniera molto poco furtiva il suo lato B, rimpiangendo il tempo in cui aveva potuto osservare quella meraviglia ondeggiante attraverso pantaloncini corti e non un judogi largo e poco sexy.
- Niente da dire riguardo alle tette, niente da invidiare alle sue colleghe riguardo alle chiappe – borbottò quando uscì dalla palestra, ritrovandosi a sperare di cuore che Levy dicesse che, sì, voleva delle lezioni private.
 
- Pronta? – chiese Gajeel, mettendosi in posizione d’attacco e attendendo che Levy facesse lo stesso.
La palestra era desolata al sabato mattina e la tranquillità che li circondava conferiva all’atmosfera un ché di intimo.
- Mostrami la tua mosse migliore per atterrarmi – la incitò, muovendo un saltello all’indietro.
Levy gli sorrise e, abbandonando la posizione, si sciolse lentamente e seduttivamente il laccio che teneva legato il suo judogi.
- Cos…? – articolò Gajeel, basito, chiudendo gli occhi mentre Levy lasciava scivolare ai suoi piedi la parte superiore dell’uniforme, restando a petto nudo di fronte a lui.
- Andiamo, sensei, perché non mi attacchi? – lo provocò lei, e Gajeel strinse gli addominali di riflesso quando una manina piccola e fredda gli si posò sul petto. – Qualche problema, Gajeel?
Il ragazzo aprì un occhio, fregandosene del buon senso, per rimirare quella sublime meraviglia che Levy gli stava offrendo: la vista del suo morbido corpo nudo.
Prima di vedere alcunché, però, sentì le gambe cedergli all’impatto con lo sgambetto della giovane allieva, e Gajeel si svegliò in camera sua.
- Ma che…?!
L’istruttore spense la sveglia che non aveva sentito suonare e che stava facendo agitare il suo gatto nel letto, prima di correre in bagno a lavarsi la faccia.
E a farsi una doccia gelida.
Era da tre giorni che faceva sogni del genere su Levy, e la prospettiva di rimanere solo con lei quel sabato mattina non gli sembrava più così geniale.
Insomma, era già brava, se la cavava egregiamente! Per quale motivo aveva dovuto proporle delle lezioni private?
- Cretino idiota con il cervello in pappa per una ragazza – brontolò a se stesso prima di uscire dalla doccia per asciugarsi e vestirsi.
Si diresse in palestra con la consapevolezza che quella mattina l’unica cosa che sarebbe stato in grado di fare era baciare Levy.
Dare lezioni?
Non si ricordava nemmeno di essere mai stato un allievo.
 
- Non sono in ritardo, vero? – chiese una voce femminile e dolce quanto uno scampanellio di campane, poco più tardi.
Gajeel lasciò cadere la bottiglietta d’acqua quando Levy annunciò la sua presenza, interrompendo l’ultimo dei ventisette film mentali che avevano dato spettacolo nella malata mente di Gajeel.
Imbarazzato, il ragazzo ebbe bisogno di quasi un minuto per riaversi e capire perché Levy non indossava un costumino da danzatrice del ventre.
- Devi ballare? – le chiese infine, ancora confuso.
Levy posò la sacca per terra e si tolse giaccone e scarpe, per poi avvicinarsi a lui. – Gajeel sei tutto rosso – lo informò. – E poi perché dovrei ballare?
Lui scosse la testa e decise saggiamente di gettarsi in faccia un po’ del contenuto della bottiglietta recuperata da terra, sotto lo sguardo attonito di Levy.
- Molto meglio – mormorò, afferrando l’asciugamano per tergersi le gocce d’acqua che correvano la maratona sul suo viso.
- Gajeel? – lo chiamò ancora lei, posandogli una mano sul braccio.
Il ragazzo sussultò al contatto, ma finalmente alzò lo sguardo e si permise di osservarla. Indossava dei leggings neri lunghi fino alle caviglie e un top nero abbinato che le lasciava il ventre scoperto. Aveva i piedi nudi e i capelli sciolti, eccetto per una fascetta che le teneva la frangia lontana dal viso.
Era molto, molto meglio fasciata in quel tessuto che in qualche vestitino di carta velina da indiana.
- Ci sono, scusa. Ho dormito poco. Lezione? – bofonchiò lui, ben consapevole della mano che la ragazza non aveva ancora ritirato dalla sua pelle.
Levy ridacchiò e si mise al centro della palestra, permettendo a Gajeel di dare una lunga e dettagliata occhiata alla sua schiena. E non solo.
- Mi dispiace se non ho il judogi, ma il venerdì sera lo lavo sempre e a casa avevo solo questa mise – esordì lei, girandosi per fronteggiarlo.
- Non fa nulla, figurati – la rassicurò lui, lanciando un’occhiata alla conchiglia che aveva lasciato dentro la borsa.
Se c’era la minima possibilità che uno dei suoi sogni si realizzasse, non sarebbe stato il caso di farsi spogliare da Levy solo per farle scoprire che indossava quella roba decisamente poco virile e sessualmente stimolante. E poi, non c’era rischio che Levy lo colpisse proprio lì.
Gajeel le si piazzò di fronte e ghignò leggermente, iniziando a fare stretching e attendendo che la ragazza lo imitasse per guardare soddisfatto il modo in cui Levy cercava di evitare di far soffermare gli occhi sui suoi muscoli.
Una malsana idea gli attraversò la mente, forse la peggiore di quella settimana, ma zittì i suoi dubbi e si portò alle spalle della ragazza. Togliendosi i guanti che indossava per proteggere i palmi delle mani, in modo da avere più superficie possibile di pelle a contatto con quella della ragazza, iniziò a correggere le sue posizioni già perfette e inclinarle le braccia e altri parti del corpo anche quando non ce n’era bisogno.
La sentì trattenere il respiro rumorosamente quando la prese per il fianco e la spinse contro di sé in modo da farle assumere una corretta posizione con la schiena, scusa di fronte alla quale Levy non riuscì a trattenere un sorriso.
Poi lo sentì sputacchiare.
- I capelli! – esclamò, allontanandosi da lui con suo enorme disappunto. – Scusa, li lego subito, mi ero dimenticata della regola della coda.
Gajeel la raggiunse con tre rapide falcate e la bloccò nell’atto di cercare un elastico in borsa, allarmandola. – Li ho sciolti anche io oggi, vedi? – le fece notare. – Io chiudo un occhio per te e tu lo chiudi per me, okay?
Levy gli sorrise e annuì, lasciandosi condurre al centro della palestra. – Ora che facciamo?
- Allenamento corpo a corpo. Io sono un aggressore e tu devi attaccarmi e difenderti.
La ragazza annuì e, senza preavviso, partì all’attacco, facendo ghignare Gajeel d’aspettativa. Ovviamente lo parò senza difficoltà, gli anni passati ad allenarsi nel dojo avevano affinato i suoi riflessi in modo quasi perfetto, ma il colpo di Levy non era male per niente.
Passarono diversi minuti a combattere senza esclusioni di colpi mentre il ragazzo, decisamente meno concentrato di lei in quella lotta fin troppo facile contro un peso piuma, si innamorava secondo dopo secondo di quello sguardo determinato che sembrava urlare la sua intenzione di farcela, di batterlo.
- Non male… piccoletta… ti avevo sottovalutata – ansimò Gajeel dopo un po’, parando un destro di Levy e attaccandola a sua volta, fermandosi prima di colpirla dolorosamente.
Lei schioccò la lingua, infastidita per non essersi accorta del colpo dell’insegante.
Gajeel le accarezzò la testa e le batté la mano sulla spalla, prima di lasciarla scivolare e accarezzarle il braccio in modo troppo affettuoso. Levy alzò la testa di scatto e lo fissò come la prima volta in cui si erano incontrati nel corridoio di quello stesso dojo, con il collo allungato per poterlo osservare. Arrossì lievemente quando lui le passò il pollice sullo zigomo, dolcemente, e chiuse gli occhi quando lo sentì chinarsi su di sé.
Poi, però, alzò il ginocchio e lo colpì, calcolando male, molto male, la traiettoria della ginocchiata.
Un istante dopo Gajeel era a terra, contorto dal dolore, mentre si proteggeva le parti molli con le mani e ululava in silenzio il suo dolore.
- Ah-ah! – esclamò Levy, fiera, di fronte alla sua vittoria. – Non devi mai abbassare la guardia, Gaj…Gajeel?!
Quando si rese conto che il dolore del ragazzo era reale e decisamente intenso, si chinò su di lui e gli prese il volto tra le mani. – Oddio scusami, scusami Gajeel, non volevo, è stato un errore, io…
Ma Gajeel era perso nel proprio male mentre si mortificava mentalmente, in un modo che avrebbe potuto dissolvere l’autostima di chiunque, per non aver indossato la conchiglia.
Quanto idiota!
Levy, intanto, continuava a parlare e scusarsi e agitarsi, e Gajeel dovette tapparle la bocca per farla stare in silenzio. – Vuoi farti perdonare? – le chiese in un rantolo.
Lei annuì con la sua mano sulla bocca.
- Vuoi aiutarmi a distrarmi?
Ancora, Levy annuì.
Gajeel allungò il collo e la baciò come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fossero fidanzati da tempo, una coppia navigata e a proprio agio, e non due tipi più o meno amici, o allenatore e allieva. La risposta praticamente inesistente da parte di Levy allarmò il ragazzo nel giro di tre secondi, ma sentì subito il corpo sciogliersi nel calore di quel bacio quando lei finalmente prese atto della situazione e lo baciò con trasporto, tenendogli la testa tra le braccia.
Dopo pochi istanti che a entrambi parvero minuti interminabili, si separarono e restarono a fissarsi con il respiro pesante e gli occhi luccicanti.
Qualcuno alla porta si schiarì la voce. – Il dojo è chiuso oggi, Gajeel.
Lentamente, con la calma di chi cerca di evitare il suo ineluttabile destino e spera che la lentezza possa miracolosamente cambiarlo, Gajeel voltò la testa verso la fonte della voce e scorse un Laxus accigliato e una Mirajane divertita.
- M-mi stava dando lezioni private perché sono molto imbranata e rallento il gruppo di ragazze che fa autodifesa con me – si affrettò a spiegare Levy, scattando in piedi e lasciando cadere la testa di Gajeel come se fosse un nido di serpi.
- Uh-uh – approvò Laxus, ironico. – Ti insegna a combattere gli aggressori a colpi di lingua?
Levy, paonazza, abbassò lo sguardo e Mirajane fece a Gajeel l’occhiolino, maliziosa.
- Mi pare che tu vada al tappeto facilmente quando Mira mette in pratica questa tecnica con te – rispose lui senza scomporsi, facendo gemere di vergogna Levy e ridere la fidanzata del nipote del capo.
- Farò finta di non avervi visti qui in giorno di chiusura, va bene? – lo avvertì Laxus, allontanandosi senza attendere oltre.
- Voi riprendete pure ad allenarvi, noi usciamo – lo incalzò Mirajane, allegra e sorridente, incurante dell’occhiata assassina con cui Levy la stava puntando come un laser.
Appena sentirono la porta del dojo chiudersi con uno scatto, Levy sospirò e si seppellì il volto tra le mani, giurando di percepire la presenza di una terza persona lì con loro. Una persona che stava ridendo fragorosamente, additandoli e mortificandoli. Levy sapeva che quella persona si chiamava Imbarazzo, ed era un nemico infido e imprevedibile.
- Grazie per la lezione, ora vado a casa, Gajeel – mormorò lei quando il ragazzo si alzò, facendo una smorfia di dolore. – Scusa per… la botta, però potevi metterti una conchiglia.
Fu il turno di Gajeel di seppellire il viso tra le mani, maledicendo il crudele destino che quel giorno si era accorto di lui e aveva voluto divertirsi a sue spese.
Quando la sentì allontanarsi per andare a prendere le sue cose, la bloccò per un polso e poi la lasciò subito andare, temendo una sua reazione negativa. Ma Levy, gote paonazze a parte, non sembrava arrabbiata, e si fermò per capire cosa volesse.
- Abbiamo ancora venti minuti prima della fine della lezione, se ti va. Non avrebbe senso sprecarli, visto che ormai sei qui – buttò lì, cercando di convincerla a stare ancora con lui.
Il dubbio che passò negli occhi di Levy sembrava esplicitare con parole fin troppo chiare il dissidio interiore che la stava divorando: restare? Non restare? Rifiutarsi di guardarlo in volto per mascherare il disagio e… la voglia?
- Okay – acconsentì poco dopo, quando Gajeel iniziò a temere che non gli avrebbe più rivolto la parola. – Va bene, altri venti minuti.
Lui mascherò un ghigno e si rimise al centro della palestra, attendendo che anche lei prendesse posizione. Timidamente, lo seguì e si sistemò i capelli, il top e qualsiasi altra cosa che secondo lei era fuori posto e invece era assolutamente perfetta.
Fu quando si morse le labbra e fissò i suoi piedi che Gajeel capì. Non era mai stato sveglio nel cogliere i segnali delle ragazze, e molto spesso aveva frainteso atteggiamenti civettuoli e distaccati credendo che celassero un sincero interesse. O confondendo la freddezza di alcune di loro, che in realtà si scioglievano sotto al suo sguardo.
Gajeel capì che Levy non cercava più di mascherare l’imbarazzo. Cercava, invece, di non lasciar trapelare il desiderio, desiderio di stringersi di nuovo a lui e sentire i loro corpi a contatto in quella maniera giusta e romantica che sembrava potesse esistere solo nei romanzi d’amore che ogni tanto si concedeva di leggere.
Senza pensarci due volte, il ragazzo allungò un braccio e, prendendola per la vita, se la tirò addosso, accarezzandole la guancia con la mano libera. Quando, immediatamente, sentì le braccia di Levy circondargli il collo e i suoi piedi appoggiare a terra solo con le punte, Gajeel capì che anche lei non aspettava altro e sorrise sulle sue labbra prima di farle dimenticare l’indesiderata visita di Laxus e compagna.
- Fai così con tutte? – gli domandò Levy dopo un po’, interrompendo un bacio per iniziarne un altro. – Prima offri loro lezioni private adducendo la scusa delle loro scarse prestazioni a confronto delle altre e poi le seduci e le baci, facendo di loro ciò che vuoi?
- Mh – grugnì lui, baciandole dolcemente e lentamente la guancia, senza azzardarsi a scendere sul collo. Levy non era una di quelle ragazze con cui andare di fretta. Bisognava fare tutto con calma, per gradi, perché era un fiore che meritava più rispetto di quello che generalmente bisogna concedere ad una donna. – Nah – rispose poi, ridacchiando. – E comunque mi sono perso ad “adducendo”, mi hai distratto troppo e non sono riuscito a capire il resto della tua domanda.
Levy rise di gusto e lo abbracciò, appoggiando il viso al suo petto caldo.
- Comunque è la prima volta che applico questa tattica – esordì lui quando finalmente sentì il suo cuore calmarsi e scendere da cavallo, dimostrando che in realtà aveva capito benissimo la domanda che Levy gli aveva posto. – Magari la userò più spesso.
Lei ridacchiò e allungò il collo per osservarlo. – Sì, potresti, effettivamente. Con quante ragazze ignare pensi di metterla in atto?
- Mah – bofonchiò scuotendo le spalle. – Me ne basta una ogni sabato. Quindi, sabato prossimo sei libera? Lezione privata, ovviamente, non pensare male. Anche il sabato dopo, ne hai proprio bisogno.
Levy rise, lusingata, e si allontanò da lui preparandosi a combattere. – Ne ho proprio bisogno, è vero, quindi alleniamoci.
La facciata da gradasso di Gajeel crollò, messo alle strette. – No io intendevo… cioè… non sei male, davvero. Potremmo allenarci in altro, non…
- Non sono male? Allora che senso ha allenarmi singolarmente? – indagò lei, furba.
Il ragazzo si grattò la nuca, a disagio. Provò ad aprire le bocca per dire qualcosa diverse volte, ma fallì miseramente e la richiuse, incapace di tenerle testa.
Levy rise di lui. – Che ne dici di invitarmi ad uscire invece di invitarmi ad allenarmi perché sono scarsa?
Gajeel la fissò in volto e ghignò lentamente, mettendosi in posizione per attaccare. – Sabato prossimo?
- Sabato prossimo – acconsentì lei, scuotendo la testa. Tutto le donne dovevano fare!
- E questa sera?
- Sì, non dovrei avere grandi impegni – accettò con nonchalance, quasi non le importasse nulla.
Poi sorrise e partì a sorpresa, senza però riuscire a coglierlo impreparato. – E comunque non sei così brava, sappilo – la informò, compunto, quando parò un suo calcio.
Levy aggrottò la fronte e si preparò a smentirlo.
 
Mercoledì sera della settimana successiva Levy svoltò nel corridoio del dojo, chiacchierando con Lucy e Juvia, e sbatté malamente contro qualcosa che non era duro e freddo quanto un muro.
Prima di cadere rovinosamente per la seconda volta da quando si era iscritta lì, però, sentì due forti braccia circondarle la vita ed evitarle una brutta caduta, facendola scontrare contro un petto muscoloso e tiepido.
- Attenta piccoletta, devo darti lezioni anche su come si cammina? – la prese in giro Gajeel, lasciandola lentamente andare mentre ammiccava maliziosamente.
Si guardarono in attesa di un bacio che non arrivò, non quando indossavano i panni del sensei e dell’allieva, e Levy seguì Gajeel con lo sguardo quando si allontanò verso lo spogliatoio per prepararsi alla lezione successiva.
Lucy, accanto a lei, si schiarì la voce. – E io devo darti lezioni su come evitare di sbavare al passaggio di un ragazzo – la informò.
Proprio in quel momento passò Natsu, anche lui maestro del dojo, con cui erano uscite diverse volte insieme a Gray e Gajeel. Lucy avvampò quando lui salutò sorridendo tutte e tre le ragazze e tirò dritto, con un’aria ingenua e serena che spesso nemmeno i bambini mostravano con spensieratezza.
Levy scoppiò a ridere e Juvia si coprì la bocca con la mano. – Lucy-san, dubito che tu possa insegnare a Levy-san qualcosa che nemmeno tu sai fare.
La loro amica, balbettando giustificazioni inesistenti, si allontanò impettita ed entrò in palestra, seguita a ruota dalle risate delle ragazze.
Almeno Juvia non sbavava quando vedeva Gray.
Si liquefaceva direttamente.



MaxB
Sììì che bello riesco a postare il bonus puntuale!
Spero di poter dire lo stesso anche dei prossimi capitoli ahahahha. Sono un disastro :(
Quest'anno partecipo attivamente e mi auguro di potervi far godere questa settimana speciale (tra due settimane, non ora) ancora di più. Spero....
Al 14/02!
MaxB

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Capitolo 2
*** 1. Matching ***


1. Matching

Alcuni faticavano a crederci, ma Gajeel era un vero patito di stile e di moda.
Personali, ovviamente.
Sebbene fosse ben informato riguardo alle nuove tendenze in fatto di abbigliamento, lui si riteneva superiore al dubbio gusto di quelle persone che, incapaci di indossare qualcosa che li rappresentasse davvero, si nascondevano nei dogmi stilistici di chi dettava le regole e spingeva la popolazione ad uniformarsi per essere “trendy”.
Chi seguiva la moda non era “trendy” o “chic”. Era solo ridicolo e privo di originalità.
E a Gajeel l’originalità artistica non mancava affatto.
Oltre a questo, un’altra cosa che molti non sapevano era che Gajeel tendeva ad essere un uomo d’azione.
“Ma questo lo sappiamo da sempre, signorina Ovvietà!”, penserete tutti.
Gajeel è, certo, un uomo d’azione che non esita a ficcarsi in qualche rissa o a creare scompiglio, ma è un uomo azione anche nel senso che lui dimostra ciò che sente, senza bisogno di parlare.
Ne è un esempio lampante la musica. Quando entrò a far parte di Fairy Tail, lungi da lui l’idea di fare un discorso appassionato con cui scusarsi e chiedere di essere accettato, Gajeel legò Mirajane, togliendole la scena, e cantò a tutti il suo bisogno di essere considerato uno di loro, spiegò con la musica ciò che lo aveva spinto fin lì e il suo desiderio di non stare più solo.
Ammettiamolo, suonare e cantare non era il suo forte, ma in quell’arte (molto personale e spesso incompresa) lui aveva messo tutto il suo cuore e il sentimento che non poteva, e non riusciva, a esprimere a parole.
Gajeel, pertanto, era un uomo d’azione. Non si sarebbe mai scusato di persona, avrebbe fatto qualcosa per far vedere che era pentito. Non avrebbe mai detto grazie, avrebbe dimostrato di essere riconoscente.
Quando si era reso conto di essersi innamorato di Levy, in quella maniera lenta, naturale, incomprensibile e inconscia che contraddistingue solo i veri amori, Gajeel aveva agito per farle capire che a lei ci teneva.
Ci teneva davvero, davvero tanto.
Stavano spesso insieme, accoppiati in qualche missioncina o lavoretto per conto di Mirajane, eppure Gajeel non aveva mai avuto il coraggio, o la capacità, di invitarla a uscire o farle qualche complimento. Anche al Ryuzetsuu Land si erano trovati per caso a fare un giretto insieme, senza concludere nulla.
Per caso, o, per meglio dire, grazie all’innaturale passione femminile per il corretto funzionamento dei sotterfugi amorosi, Gajeel e Levy erano stati insieme per tutta la serata, insieme agli exceed. Inutile a dirsi, Gajeel si era sentito vivo per la prima volta dopo tanto tempo, a suo agio con una ragazza che credeva di aver irrimediabilmente spezzato e che, invece, gli stava insegnando a raccattare i suoi pezzi e guardare la vita per ciò che era davvero: un’avventura piena di gioia e dolore. Insieme. Non solo l’uno o l’altra.
Gajeel si era reso conto, poco tempo dopo, di aver bisogno di dimostrare a Levy che a lei ci teneva, che lei gli piaceva così com’era, che aveva un debole per la sua anima. Aveva capito di avere quella necessità quando, passando davanti a una vetrina di un negozietto della metropoli di Crocus, vide un foulard attorcigliato al collo di un manichino. Senza capire ciò che faceva, e seguito da un interdetto Lily, il ragazzo aveva la soglia della boutique e ne era uscito con una specie di bandana rossa e bianca che per qualche motivo gli aveva ricordato le fascette di Levy. Il suo gatto l’aveva osservato, di nascosto, mentre se la passava in fronte per poi legarla dietro la nuca e nascondere il laccio con i capelli, e aveva sorriso intuendo ciò che voleva dimostrare.
Indossare una fascia come Levy era il suo modo di emulare un atteggiamento, e l’imitazione è la più alta forma di ammirazione. Quel pezzo di stoffa significava “lei mi piace e quindi voglio essere un po’ simile a lei”, ma voleva dire anche “il fatto che abbiamo qualcosa in comune dimostra che siamo legati, quindi state alla larga”.
Quando Levy, poco prima del suo incontro contro Sting e Rogue al Dai Matou Enbu, era corsa a salutarlo e fargli gli auguri, era rimasta interdetta di fronte al suo nuovo accessorio, facendolo leggermente arrossire.
- Ti sta bene – gli aveva rivelato, alzandosi sulla punta dei piedi per scrutare meglio la fascia. Poi si era aperta in un sorriso consapevole e lo aveva guardato da sotto le lunghe ciglia. – Mi piaci molto con questo look, ti sta bene. È come se fossi abbinato a me.
Levy lo aveva incoraggiato e gli aveva detto che credeva in lui e non aveva dubbi circa la sua vittoria, e si era allontanata insieme a Lily con un sorriso sulle labbra che poteva raccontare un mondo di verità.
Gajeel era quello che dimostrava con i fatti.
Levy era quella che dimostrava con i fatti e con le parole, che sapeva sapientemente usare per entrambi.
Quella fu la prima volta che Gajeel indossò una fascetta coordinata a quella di Levy, ma non fu l’ultima.
No, non fu proprio l’ultima.
 
Ormai non si premuravano più di nascondere la loro tacita relazione velata da un’amicizia sincera.
Colori e vestiti coordinati, fantasie ripetute: dalla loro entrata al Concilio ai colori abbinati, quando Gajeel aveva deciso di indossare una t-shirt nera sotto alla giacca, proprio come Levy, passando per tutte le fascette per capelli di cui aveva fatto incetta per sentirsi sempre legato a lei. Gliene aveva addirittura regalata una quando le aveva proposto di andare a fare una specie di campeggio alternativo, una fascetta blu tinta unita che lui aveva indossato con orgoglio, sentendo di fare parte di una coppia eccezionale. Persino durante la guerra contro Alvarez, quando ormai erano lampanti i loro sentimenti ma non era tempo di dichiararsi, Gajeel aveva fatto in modo di indossare i suoi stessi colori nella battaglia, verde, blu e marrone, nel rispettivo ordine.
Per non parlare dei regali che, una volta chiarite le loro posizioni come coppia, lui le aveva fatto. Fascette coordinate? Ormai erano ricordi lontani! Dagli asciugamani da bagno con le scritte abbinate alle lenzuola e, più di tutto, le maglie con le scritte condivise, da indossare solo e unicamente insieme.
“Best Boyfriend à” e “ß Best Girlfriend”.
“King” e “Queen”.
“Uomo da sposare” e “L’ho già sposato io”.
Quella di Gajeel era diventata, con il tempo, una mania quasi ossessiva, di cui Levy si era all’inizio divertita e poi preoccupata. Preoccupata nel momento in cui, quando erano diventati decisamente più intimi e finalmente estranei a quel mondo di dubbi creati da un’amicizia che sottende sentimenti più profondi, Gajeel le aveva chiesto di indossare biancheria coordinata alla sua, per sentire che facevano parte della stessa coppia quando, spogliandola lentamente, poteva osservare le loro mutande pendant.
La prima volta che lui gliel’aveva proposto Levy era scoppiata a ridere, zittendosi subito di fronte alla sua occhiata quasi offesa. Gajeel, quasi sdraiato sopra di lei, l’aveva fissata con le sopracciglia aggrottate, in attesa di una risposta.
- Non puoi metterti dei boxer di pizzo! – aveva sbottato lei, sconvolta di fronte all’assurdità dell’idea.
- Ovvio che no, ma almeno di colore uguale alle tue!
- Gajeel sei ridicolo!
- Scusa se ci tengo alla nostra immagine di coppia – aveva replicato lui, piccato.
- Ma siamo solo io e te ora! E poi quando mi spogli siamo abbinati, no? Entrambi nudi… - aveva cercato di farlo ragionare Levy, dispiaciuta di aver smorzato il suo entusiasmo.
Alla fine aveva trovato il modo di zittirlo per un po’, facendolo concentrare su altro, ma c’erano mattine in cui Gajeel le chiedeva di indossare un determinato colore di biancheria e la sera, quando la gettava sul letto con sguardo da predatore, scopriva che era lo stesso che anche lui indossava.
Alla fine la cosa non le dispiaceva più di tanto, sapeva che quello era il suo modo, uno dei tanti, per dire “ti amo” con i fatti e non con le parole. Faceva lo stesso con Lily quando tornava a casa con un paio di pantaloncini larghi dello stesso colore dei suoi, che poi il gatto finiva per non indossare o mettere quando lui non lo faceva, per irritarlo.
Fu per questo che Levy non si sconvolse quando, dopo avergli dato la notizia del suo stato di dolce attesa, una delle prime cose che Gajeel fece fu andare per negozi. A fare compere per l’intera famiglia.
Poi sono le donne quelle che amano fare shopping e spendono una cifra in vestiti, eh! Gajeel era l’anti-stereotipo.
Anche il quel caso, “Miglior mamma del mondo”, “Miglior papà del mondo” e “Miglior gatto del mondo”.
Quando erano nati i gemelli, Gajeel non aveva atteso un attimo e aveva preso per tutti dei pigiami coordinati, con le stesse fantasie e gli stessi toni, che Levy e Lily erano stati costretti per esasperazione ad indossare. A Levy la cosa faceva piacere, ma a volte era davvero esagerato, così una sera mise le cose in chiaro.
Seduta sul letto a gambe incrociate, con una camicia da notte a fiori che Gajeel le aveva da poco regalato, Levy attese che il marito tornasse dalla camera dei bambini, finalmente addormentati.
Gajeel entrò pochi attimi dopo, scompigliandosi i capelli e togliendosi la canottiera. Guardò Levy con intenzioni esplicite e si leccò le labbra.
- Sei riposata, piccoletta? Sono così carico che potrei andare avanti tutta la notte, sappilo – la avvisò gattonando fino a lei, al centro del letto, per morderle dolcemente il collo.
Levy sorrise e lo trascinò giù con sé.
Più di un’ora dopo, quando Levy si era rifugiata tra le braccia di Gajeel per ascoltare il suo cuore battere contro il proprio orecchio e il suo respiro accarezzarle i capelli, la donna sospirò e si alzò sui gomiti. Gli occhi attenti e scattanti di Gajeel seguirono ogni suo movimento e Levy sentì il proprio cuore sciogliersi in quelle iridi rosse che sembravano splendere sempre di più dopo che avevano fatto l’amore.
Lui le accarezzò dolcemente la schiena e lasciò l’altro braccio dietro la nuca, nella sua posizione preferita per rilassarsi. – Che hai, Lev?
- Perché sei ossessionato da questa storia dell’essere abbinati? – buttò lì senza mezzi termini, incrociando le braccia sotto la guancia.
Gajeel si girò sul fianco e iniziò a disegnarle la schiena con le dita, facendola sorridere e spedendola in quel luogo di pace al quale solo lui sapeva condurla.
Sorrise osservando il suo viso beato, quel viso che ogni mattina gli ricordava che la vita meritava di essere vissuta per la bellezza che la permeava.
- Gajeel? – lo incalzò Levy, battendogli un dito sulle labbra con gli occhi ancora chiusi.
- Mh?
- Mi rispondi?
- Boh – disse lui, sapendo di farla infuriare.
Infatti Levy sbuffò e si girò sulla schiena, offrendogli pienamente la vista del suo corpo, quel corpo di cui non si sarebbe mai stancato nonostante ne conoscesse a memoria ogni millimetro. – A me piace andare in giro coordinati, però a volte sei esagerato.
- Non è vero – la contraddisse lui, mettendosi a giocare in punta di dita sulla sua pancia.
- Gajeel – lo bloccò lei, prendendogli la mano birbante. – Mi hai comprato un paio di calzini abbinati ai tuoi e a quelli dei gemelli. Persino a Lily, che i calzini non li mette!
Lui scrollò le spalle e si girò sulla schiena come lei, sperando che sul soffitto si riflettessero gli ingarbugliati pensieri di Levy. Dopo anni di matrimonio, la mente di sua moglie restava ancora un mistero insondabile per lui.
- Per via di Metallikana – mormorò dopo alcuni istanti passati in un silenzio rotto soltanto dai loro sospiri appagati e sereni.
- Cosa? – chiese lei, continuando a fissare l’interessantissimo soffitto con occhio clinico.
- È per via di Metallikana che sono così fissato con gli abbinamenti. Da piccolo lo accusai di essere un dittatore freddo e approfittatore. Un momento di crisi, presumo. Ero un duro, non mi interessava molto di legami affettivi o dimostrazioni d’amore, però… Quando Grandine e Igneel si trovavano con Metallikana e portavano noi marmocchi con loro, ci lasciavano giocare mentre loro discutevano. Grandine strofinava sempre il viso contro quello di Wendy e le faceva delle raccomandazioni amorevoli, come ogni mamma farebbe. Persino Igneel spintonava giocosamente Natsu e gli faceva il solletico. Metallikana, invece, mi guardava dall’alto con sguardo truce e non mi diceva nulla, mi lasciava con gli altri e basta.
Levy si sollevò sul gomito e posò una mano sopra al cuore di Gajeel, senza proferir parola. Con il tempo aveva imparato che erano rare le volte in cui suo marito si lasciava andare e la metteva a parte dei propri ricordi così spontaneamente. Lo vide chiudere gli occhi e sospirare prima di continuare.
- Una volta sono scappato. Me ne sono andato via per un giorno intero dopo che lui mi aveva raccomandato di stare nascosto nella grotta. Appena ha scoperto la mia fuga non ci ha messo molto a seguirmi. Olfatto da drago, ovviamente. Mi ha trovato sulle rive di un lago mentre facevo rimbalzare i sassi sulla superficie dell’acqua, in silenzio. Non si è arrabbiato. Si è seduto di fianco a me ed è rimasto a fissare il tragitto dei sassi prima che sprofondassero nel lago. Metallikana sapeva che tenermi il silenzio era il miglior modo per farmi parlare, così dopo un po’ gli dissi che poteva abbandonarmi lì e andarsene, perché sapevo di non essere abbastanza drago per lui. Sapevo che si vergognava di me.
Gajeel prese un respiro profondo e iniziò a giocare con i braccialetti di metallo che portava costantemente ai polsi, mettendoli persino sopra ai guanti.
- Metallikana non era un tipo loquace, specialmente quando si trattava di dimostrare qualcosa a parole. Così posò ai miei piedi due bracciali di metallo lucidi e scintillanti su cui mi gettai quasi con voracità. Li infilai ai polsi e risi vedendoli scintillare al sole. Metallikana mi disse semplicemente che era come se avessi le sue scaglie, per cui potevo smetterla di frignare come una cucciola di drago.
Sia Levy che Gajeel sorrisero, e lei si sporse verso di lui per baciargli la guancia, premendogli il corpo contro il fianco.
- Metallikana mi ha voluto bene, a modo suo. Solo che non è stato capace di dirmelo. Però me l’ha dimostrato, me l’ha mostrato in molte maniere.
- Con i braccialetti eri abbinato a lui – ridacchiò Levy, facendo due più due.
Ecco perché Gajeel era fissato così tanto con i vestiti e gli accessori coordinati. Metallikana gli aveva insegnato ad amare in quel modo, con le dimostrazioni, non con le parole.
- Be’, Gajeel, ti ricordo che mi sono fatta fare otto buchi sulle orecchie per essere abbinata a te, quattro per parte – gli fece notare, baciandogli di nuovo la guancia.
Gajeel ridacchiò e rotolò sul lato fino a trovarsi sopra di lei, iniziando a baciarle tutto il viso e il collo. Quando non erano troppo stanchi e i bambini andavano a letto relativamente presto, Levy si struggeva di desiderio sapendo quanto Gajeel diventasse dolce dopo i loro amplessi.
Dolce come una caramella dal cuore liquido oppure addormentato come un ghiro nel giro di due minuti.
Non c’erano mezze misure con Gajeel.
- Se comprarmi le cose abbinate equivale ad un “ti amo mia piccola Levy, luce della mia vita e scopo della mia esistenza”, allora compra pure quello che vuoi – concluse lei, spingendolo per le spalle affinché si allontanasse un po’ e la guardasse in volto.
Lui ghignò: - Ti amo mia piccola Levy, luce della mia vita e scopo della mia esistenza – le mormorò dolcemente, scoppiando a ridere quando la vide sbiancare e poi arrossire di botto.
Gajeel sapeva bene come mandarla in brodo di giuggiole, e in quel momento non aveva tra le braccia sua moglie, ma una gelatina d’amore che si era sciolta al calore delle sue parole.
Si lasciò cadere pesantemente su di lei e rise di nuovo quando la sentì imprecare e sbuffare, buttando fuori la poca aria che le arrivava ai polmoni. – Gajeel – annaspò. – Così uccidi la luce delle tue giornate.
- Mh – mugugnò svogliatamente lui, girandosi sul fianco per lasciarla libera.
- Senti – buttò lì Levy, stringendosi a lui e abbracciandolo. – Fai dei gioielli per noi. Ad esempio per Yajeh puoi fare dei bracciali come i tuoi, per me e Shutora magari fai un piccolo pendente o un anellino, come Metallikana ha fatto per te. Così non dovrai più prendere vestiti abbinati.
Gajeel ponderò l’idea e ghignò. – Non è una brutta idea, piccoletta. Ma non sperare che io butti via il mio gusto stilistico negli abbinamenti.
Levy sbuffò. – Suona come una minaccia.
- Lo è – ridacchiò lui. – Ora dormi o…
Una sonora imprecazione gli sfuggì dalle labbra e Gajeel si alzò fulmineamente. Lanciò a Levy la sua vestaglia e le mutande e si rifugiò in bagno avvertendola del fatto che i gemelli erano in arrivo.
Levy fece appena in tempo ad abbassarsi sul ventre la camicia da notte quando Yajeh e Shutora entrarono in camera con i piccoli occhietti gonfi di sonno.
- Dov’è papà? – bofonchiò Yajeh prima di sbadigliare.
Shutora si arrampicò sul letto e si rifugiò in braccio alla mamma senza proferire parola. Levy sapeva che si sarebbe riaddormentata in meno di un minuto.
- Sta facendo pipì – lo informò Levy, allungando la mano per aiutare suo figlio a salire sul letto.
- Pigiama party? – chiese Gajeel uscendo dal bagno, sistemandosi i pantaloni del pigiama.
- Papà non hai tirato l’acqua – gli fece notare il piccolo.
Lui guardò Levy, che gli suggerì di andare a tirare l’acqua prima che Yajeh si insospettisse e andasse a verificare che avesse davvero fatto la pipì.
Quando tornò in camera trovò Levy sdraiata a letto che accarezzava i capelli di Shutora, alla sua destra, mentre Yajeh se ne stava raggomitolato contro la sua schiena.
Gajeel si prese un attimo di tempo per dissipare la vertigine che gli aveva attanagliato il cuore più che la mente di fronte a quel quadro di cui non solo faceva parte, ma era addirittura l’autore. Sua moglie. Suo figlio. Sua figlia. Tutti suoi. Mancava solo Lily, ma non era il caso di andare a svegliarlo.
- Non vieni? – sussurrò Levy, allungando il collo per vedere cosa stesse facendo.
Gajeel sorrise notando che Levy e Shutora avevano lo stesso pigiama e che Yajeh aveva i pantaloni del suo stesso colore.
Senza rispondere salì sul letto e, dopo aver spostato Yajeh di fianco a Shutora, si sdraiò sul lato opposto rispetto a Levy, intrappolando i bambini nel mezzo perché non cadessero.
Dopo uno sbuffo, un calcio infastidito e un brontolio indefinito, Gajeel sollevò di scatto la testa e Levy soffocò una risata vedendo la sua nuca sbucare fuori da oltre Yajeh. – Ma per quanto ancora verranno a dormire con noi? Non posso mica dormire con le mani sulla pancia o sul sedere di mio figlio!
Levy non respirava più nel tentativo di trattenere le risate. Alla fine allungò il piede accarezzandogli le gambe, cercando di placarlo, e rispose: - Non volevi essere abbinato? I nostri figli con i nostri stessi pigiami stretti fra di noi, cosa vuoi di più dalla vita?
- La pelle di mia moglie – farfugliò lui, abbracciando suo figlio e tirandosi la coperta fino al collo.
Gli abbinamenti servivano a dimostrare che lui era parte di qualcosa, che non era solo.
Ma se abbinare tutta la sua famiglia significava non poter più dormire appiccicato a sua moglie… be’, che lo vestisse un cieco allora!
 
 
MaxB
BUONA GAJEVY WEEK A TUTTI*-*
La prima a cui partecipo! Spero che anche voi partecipiate come lettori attivi e vi godiate questa coppia fantastica.
Io chiedo scusa in anticipo perché i cap non sono il massimo dell'originalità. Ho avuto poco tempo, infatti avviso subito che il prompt 5 non lo farò, il 4 arriverà molto in ritardo e il 7 devo ancora scriverlo, ma ho il weekend di mezzo e dovrei farcela.
Per cui scusate, perdonatemi, ma ci tenevo a partecipare nel mio piccolo. Per il cap 4 ho una sorpresa, vi darò dettagli più avanti.
Passo e chiudo, buona Gajevy Week*-*
MaxB

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Capitolo 3
*** 2. Longing ***


2. Longing
 
Gajeel era, tutto sommato, un ragazzo semplice.
Insomma, non aveva grandi sogni, grandi aspettative o grandi richieste.
Un buon letto su cui riposare, un pasto caldo a pranzo e a cena, magari anche una doccia calda per sciogliere i nervi tesi dopo gli allenamenti… queste erano le cose per lui essenziali.
Le cose di cui, in un buio periodo della sua vita, era stato privato e che lui aveva desiderato tanto quanto ritrovare Metallikana. Erano le cose che gli garantivano la normalità.
Poi era arrivata Levy, e quei tre piccoli desideri si erano moltiplicati come conigli in calore.
Dalla voglia quasi inconscia di vedere la ragazza era passato alla voglia di stare in sua compagnia, di uscire con lei, di starle vicino, più vicino degli altri, fino all’irrefrenabile desiderio di baciarla che qualche volta l’aveva preso per la gola e lo aveva posseduto, costringendolo a sbattere Levy contro un muro e unire le loro labbra fino quasi a farsi mancare il fiato.
E poi voglia di lei. Una voglia profonda e latente sulla superficie del suo cuore, quella brama che aveva provato prima di trovarsela inerme e calda, morbida e fiduciosa tra le braccia, che aveva provato anche dopo la loro prima volta e tuttora provava. Quel desiderio che non si sarebbe mai esaurito e di cui Levy andava fiera, così fiera da stuzzicarlo ogni volta che ne aveva l’occasione.
Il loro era stato un rapporto lento, meraviglioso e sfavillante quanto un’alba che sbuca dalle tenebre della notte e illumina ogni giornata. Si era scaldato poco a poco, ma non accennava a spegnersi.
Gajeel aveva pensato che, una volta sposato, tutti quei piccoli desideri che lo assillavano continuamente e che lo facevano sentire un po’ come una chioccia ansiosa sarebbero scemati e lo avrebbero lasciato libero di godersi la sua vita. Invece, se possibile, erano aumentati.
Il desiderio di vedere Levy sorridere ogni mattina, di cucinarle cose che le piacessero, di farle regali per vederla illuminarsi, di toccarla e prenderla ovunque gli girasse in momenti completamente casuali della giornata.
Il tutto poteva riassumersi in una sola parola. O meglio, in un nome. Anzi, in una persona.
Levy.
Il centro dei suoi desideri, senza la quale quelle piccole voglie che lo prendevano non sarebbero stati altro che bisogni primari.
Levy aveva rappresentato il fulcro del suo mondo da quando aveva capito di amarla, e Gajeel pensava che sarebbe stato sempre così, che non avrebbe mai voluto nient’altro al di fuori di lei.
Fu la piccola Asuka a smentirlo in modo naturale e toccante, un po’ come l’amore che aveva iniziato a provare per Levy agli albori della loro storia.
Un giorno, placida e quasi timida, Asuka si era fatta largo tra la folla urlante di corpi assemblati in strane tecniche di combattimento ed era arrivata al tavolo dove Gajeel stava bevendo una birra, intento a conversare con Levy. L’odore della bambina, familiare eppure più intenso del solito, lo spinse a girarsi bruscamente fino ad incrociare gli occhi con quelli caldi e limpidi di Asuka, che allungò le mani e arrossì di imbarazzo.
- Gajeel, per piacere, puoi aggiustarmi il braccialetto? – chiese meccanicamente, come se si fosse esercitata diverse volte per dire quella semplice frase.
Prima che il ragazzo potesse anche solo aprire bocca, Levy si era sporta dal suo fianco e osservava la piccola con sguardo intenerito. – Ciao, Asuka-chan.
- Ciao Levy-san – la salutò sorridendo la bimba. – E ciao Lily – aggiunse quando il gatto atterrò sul loro tavolo, pronto a riferire al compagno una notizia relativa ad un lavoro su cui avevano messo gli occhi da un bel po’.
Lily le sorrise e chinò educatamente la testa in cenno di saluto.
Gajeel, costernato, fece vagare lo sguardo sulla sala finché trovò il familiare cappello di Biska, seduta vicino ad Alzack ad un tavolo di distanza. Entrambi i coniugi non staccavano gli occhi dalla bimba, in attesa di scoprire la risposta di Gajeel.
- Mi aiuti per favore? – chiese ancora lei, ricatturando la sua attenzione.
Sospirando, Gajeel le prese il braccialetto e se lo girò in mano. Era un semplicissimo bracciale di metallo con delle piastrine rotonde decorate a sbalzo che rappresentavano le quattro stagioni. Le placche erano collegate ad un sottile laccio di anelli metallici alle cui estremità si incontravano due gancetti incastonabili. Rotti.
Levy gli batté la mano sul braccio, chiamandolo, ma Gajeel si voltò verso Asuka per porle una domanda. Solo allora si accorse che la bimba stava tentando invano di sedersi accanto a lui sulla panca del tavolo. Sorridendo in modo quasi impercettibile, si sporse per prendere Asuka tra le braccia e mettersela seduta di fianco, di fronte allo sguardo esterrefatto della bimba. Gajeel non era un grande amico di Alzack e Biska, non aveva mai scambiato con loro più di qualche saluto e di certo non si era lanciato in conversazioni da vecchi compagni di brigata. Li considerava due tipi a posto, comunque, e la loro figlia era gentile ed educata.
Sicuramente più di molti ragazzi che bazzicavano per la gilda, che distruggevano mobili, li bruciavano o congelavano persone.
Ogni riferimento a Natsu e Gray è puramente casuale.
- Sai aggiustarlo? – domandò la piccola, spostando gli occhioni marroni dal gioiello di poco valore al volto di Gajeel.
- Certo – rispose lui, laconico, rigirandoselo tra le mani.
Levy si sporse sul tavolo per sorridere alla bambina e osservare il bracciale. – Te l’ha regalato la mamma l’anno scorso, vero?
Asuka annuì ripetutamente. – Mamma e papà. Per il mio quinto compleanno. Ci sono tutti i disegni delle quattro stagioni – fece notare, come se Gajeel non l’avesse visto.
Si allungò verso di lui e con il piccolo indice toccò tutte e quattro le piastrine, su cui svettava sempre lo stesso albero in quattro diverse situazioni: coperto di foglie e illuminato dal sole, con poche foglie a coprirlo e diverse che invece cadevano al suolo, contornato da piccoli fiocchi di neve che coprivano il suo stato spoglio e infine rigoglioso e pieno di fiori.
- Molto bello davvero. Sembra che sia stato disegnato da un maestro del bassorilievo – si complimentò Levy.
Asuka sorrise, orgogliosa del suo regalo anche se all’oscuro del significato delle parole di Levy, e annuì nuovamente, attendendo che Gajeel facesse qualcosa.
Ma il ragazzo era perso a osservare la sua mano, non per il metallico contenuto che sorreggeva, quanto per il modo in cui la piccola manina di Asuka sembrasse tenera a confronto con la sua.
Gajeel era abituato a stringere tra le sue manone quelle piccole e morbide di Levy, cosa che lo faceva sempre sorridere internamente per la differenza di grandezza. Ma quella della bambina era ancora più piccola e sembrava che un gigante avesse accolto nel suo palmo un fiorellino roseo e immacolato.
- Quest’anno ti hanno regalato la pistola a pallini, vero Asuka-chan? – indagò Levy, forse temendo che la bambina si sentisse a disagio vicino a Gajeel, che si era ammutolito e la fissava come se fosse un pezzo di metallo parlante.
Asuka però non sembrava preoccupata, solo perplessa di fronte alla conferma che Gajeel poteva aggiustarle il regalo. Alla fine annuì nuovamente e sorrise. – Me l’hanno regalata così posso allenarmi a sparare durante tutte le stagioni! D’inverno sparo ai fiocchi di neve, in autunno alle foglie, in primavera ai fiori e d’estate a…
La voce si affievolì quando la ragazzina cercò di capire a cosa avrebbe potuto mirare d’estate.
- Non è un po’ triste mirare ad un fiore? – le chiese Gajeel, distogliendola dal suo grosso dubbio.
Asuka sembrò rifletterci con impegno, e alla fine arrossì di vergogna. – Hai ragione, i fiori sono troppo belli per sparargli – ammise tristemente. – Ma allora come faccio a fare pratica per diventare brava come la mamma?
- Spara a Natsu – le suggerì Gajeel, prevenendo Levy che voleva andare in soccorso della bambina. – Natsu ha detto che gli piace giocare e ama quando le bambine di sei anni gli fanno molto male complendolo in testa.
Asuka ridacchiò. – Ma la mamma e il papà mi hanno detto che non bisogna sparare alle persone.
- Ma Natsu non è una persona. È un tuo amico ed è un drago, anche… circa. Quindi la regola non si applica a lui.
Levy si coprì il volto con disperazione e Lily sbatté la fronte contro il tavolo, sconfitto, mentre Asuka decideva che Gajeel aveva ragione.
- Ora ti aggiusto il braccialetto. Intanto… - mormorò lui, posando il braccialetto sul tavolo e chiudendo la mano a pugno, corrugando la fronte. – Intanto tieni questo – la spronò, aprendo la grande mano per mostrarle un fiore di metallo così piccolo da poter stare nel pugno chiuso della bambina.
Asuka lo guardò con gli occhi grandi come piattini e allungò subito il braccio per prendere quel meraviglioso fiore color fumo, prima di ricordarsi dell’educazione che sua mamma le aveva inculcato e ritrarre la mano. – Wow, sei bravissimo! – esclamò, avvicinandosi al fiore per scrutarlo meglio. – Lo hai fatto per Levy? – chiese poi, con quel tono dolce e persuasivo che i bambini usano quando vogliono accertarsi del fatto che una cosa sia per loro, senza però mostrarsi troppo bramosi. Come quando vedono arrivare qualcuno con un regalo e chiedono se sia per qualcun altro, per intenerire e allo stesso tempo ricordare che ci sono anche loro, che il dono dovrebbe essere porto a loro per il semplice motivo che sono bambini.
Gajeel ghignò con una morbida luce negli occhi e spinse la mano verso il visino di Asuka. – No, è per te. Se ti piace, lo attacco al tuo braccialetto.
Asuka rischiò di iniziare a sbavare e diede fondo a tutto il suo autocontrollo per non catapultarsi sul fiore di Gajeel. – Grazie, è bellissimo, lo voglio attaccare al braccialetto!
Il ragazzo annuì senza perdere il buonumore, ovviamente senza sorridere o mutare espressione, e lanciò un’occhiata ai genitori di Asuka, un po’ perplessi di fronte a tutta quella gioia.
Pochi minuti dopo, Gajeel si sporse per allacciare al minuscolo polso della bambina il braccialetto, che vantava un nuovo gancio di qualità e resistenza eccelsa e un quinto ciondolo.
- Grazie Gajeel! – urlò la bambina, alzando la mano per farsi dare il cinque dal suo nuovo amico.
Il ragazzo sogghignò e batté piano la mano con la sua, intenerendosi quando vide che le dita di Asuka, facendo combaciare i loro polsi, gli sfioravano a malapena la sommità del palmo. – Quando crescerai e il tuo polso diventerà troppo grande per chiudere il braccialetto, vieni da me e gli aggiungerò qualche anello per allungartelo.
Asuka non aveva pensato al problema della crescita, ovviamente, ma ringraziò ancora Gajeel e aspettò che lui l’aiutasse a scendere in tutta sicurezza dalla panca. Poi corse da mamma e papà salutandolo, mentre Alzack gli faceva un saluto militare e Biska lo ringraziava strizzandogli l’occhio prima di prendere in braccio Asuka e interessarsi al suo nuovo ciondolo.
Gajeel rispose con la sua solita faccia impassibile prima di alzarsi per andare al bancone da Mira, cercando un pretesto per stuzzicare Natsu, ma Levy non si fece ingannare.
Imperturbabile o no, all’angolo della bocca di Gajeel spuntava uno di quei piccoli e veri sorrisi che regalava solo a lei. Guardando Lily, muto sino a quel momento, notò che la sua sorpresa di fronte all’atteggiamento del ragazzo era compagna di quella dell’exceed.
 
- A me non l’hai mai regalata una rosa di metallo – bofonchiò Levy quando tornarono a casa, imbronciata.
Lily era rimasto ancora un po’ alla gilda con Charle e Happy, dal momento che la gatta era appena tornata da una missione con Wendy e Lily doveva riferirle alcune cose.
- Sei gelosa di una marmocchia, piccoletta? – l’apostrofò lui, divertito.
Levy scosse la testa con rassegnazione e si limitò a camminare al suo fianco, girandosi la fede nuziale con le dita. Lo faceva sempre quando qualcosa la tormentava, e in quel momento l’atteggiamento non preventivato di Gajeel nei confronti di Asuka le stava trapanando il cervello con mille domande. Non si era mai comportato così, suo marito.
Ed era ovvio che qualcosa gli frullasse in testa.
Gajeel sapeva che lei stava rimuginando su qualcosa di sconosciuto con il quale non avrebbe mai voluto avere a che fare. Di solito gli argomenti che assillavano Levy erano decisamente fuori dalla sua portata.
Incomprensibili. Incasinati. E spesso, a sua detta, illogici. Le tre I di Levy.
Il ragazzo afferrò la mano della moglie e la strinse nella propria solo per vederla smettere di torturarsi la fede di metallo.
- Che hai, piccoletta?
Lei si rilassò un poco e strinse la sua grande mano, accarezzandone il dorso con il pollice.
- Oggi eri strano – disse lei, scrollando le spalle. – Prima con Asuka, poi con Wendy. Ti sei fiondato da lei per sapere come fosse andata la sua missione appena è arrivata, e… be’, l’hai ascoltata con interesse e le hai scompigliato i capelli e…
Gajeel guardò dritto di fronte a sé, senza rispondere, e Levy lasciò che i suoi dubbi cadessero e si portassero dietro quello strano silenzio sceso tra loro.
 
- Ora basta, qualcosa non va. E tu, Gajeel, me lo dirai, con le buone o con le cattive – sbottò Levy quella sera, a letto. Stava leggendo un libro in santa pace, con l’arietta fresca della notte che le accarezzava la pelle e i capelli, e… i movimenti di suo marito che la infastidivano.
Gajeel era solito addormentarsi subito, immediatamente, appena posava la testa sul cuscino.
Invece era da dieci minuti che si girava alla ricerca di una posizione comoda, che a quanto pare si nascondeva da lui e gli impediva di dormire.
Gajeel si sdraiò supino e si strinse le mani al petto, fingendo di essere morto. Levy gli tirò un sonoro schiaffo sulla fronte che lo fece grugnire, irritato.
- Che hai, Levy? – chiese bruscamente.
- Io?! Che hai tu! – ribatté lei, chiudendo il libro. – E il silenzio non è una risposta accettabile.
Gajeel restò, suo malgrado, zitto, cercando un modo per dar voce ai suoi pensieri un po’ confusi.
- Asuka è carina – disse dopo un po’, quando Levy ormai stava meditando se urlargli contro o mettersi a dormire e lasciarlo perdere.
Lei si voltò verso di lui, stupita da quell’uscita, e cercò un modo per ribattere. – Be’, sì, molto. Ma cosa c’entra questo?
Ancora, Gajeel rimase muto. Levy si rassegnò ad attendere i suoi tempi e, dopo aver spento la luce, si sdraiò sul fianco, voltata verso suo marito.
- I bambini sono carini – specificò lui dopo un po’.
Fu il turno di Levy di tacere.
- Tu credi che sia normale… ehm… desiderare… un figlio?
Dopo aver sussurrato quella domanda, Gajeel si coprì il volto con le mani, arrabbiato, e rantolò.
- Ehi, calmati – lo rabbonì Levy, accarezzandogli il petto, per tranquillizzarlo. – Certo che è normale, Gajeel.
Con gli occhi chiusi, lui sospirò e posò le sue mani sopra quella della moglie, sul suo addome. – Anche per uno come me?
- Che vuoi dire?
- Uno come me… io sarei mai in grado di crescere un figlio? Di essere un buon padre? È giusto che io lo desideri dopo aver sbagliato così tanto nella mia vita? Come potrò indicargli la giusta strada, essere credibile?
Levy sospirò e gli baciò una guancia, inducendolo ad aprire gli occhi per scrutarla, nella penombra notturna. Lei gli stava sorridendo con amore e con la luce soffusa di una candela negli occhi. – Non sarai solo, Gajeel. I figli non si hanno da soli. Si crescono insieme. E tu forse sei il più indicato per insegnare a un bambino qual è la giusta strada da seguire, perché tu sai cosa c’è dall’altra parte. Sei credibile quando dici cos’è corretto fare, quando spieghi com’è in realtà l’altra faccia della medaglia.
Lui annuì con poca convinzione e continuò a fissarla, imprimendosi nella mente i suoi occhi, il contorno delle labbra che aveva baciato così tante volte da perderne il conto, il naso, la frangetta spettinata che le ricadeva sulla fronte.
Gajeel voleva avere un figlio da Levy.
Gajeel lo bramava. Voleva una piccola Levy da veder crescere, da consolare nei momenti tristi e da stringere a sé. Una bimba che cercasse la sua attenzione e la sua approvazione, che gli prendesse la mano per sentirsi al sicuro e che ridesse per illuminargli la giornata come già faceva Levy.
Desiderava dimostrare a se stesso di poter dare alla luce qualcosa di buono.
- Secondo te mi vorrebbe bene? – chiese a mezza voce, imbarazzato.
- Chi?
- Mio figlio. O mia figlia. Mi vorrebbe bene? Mi vorrà bene dopo aver saputo ciò che ho fatto?
Levy si sedette e lo fissò dall’alto, con le sopracciglia corrugate e una profonda decisione negli occhi. – Gajeel, io ti amo. Ti ho sposato. E l’ho fatto dopo aver saputo quello che hai fatto. Dopo aver vissuto sulla mia pelle ciò che hai fatto, quello che sei stato. E amo anche quella parte di te, perché ti ha reso l’uomo che sei oggi. L’uomo che vorrei fosse il padre dei miei figli.
Gajeel strinse gli occhi, commosso, e si passò un braccio sulla fronte. Sua moglie sapeva sempre, sempre cosa dirgli per farlo stare meglio. – Per te sono pronto per essere un padre, Lev?
In risposta, lei lo baciò di slancio, costringendolo a schiudere le labbra per intrufolarsi dolcemente nella sua bocca. La risposta di Gajeel fu immediata, e le sue mani le accarezzarono la schiena prima di scivolare verso il suo fondoschiena per tirarsela addosso.
- Mi stai chiedendo di avere un bambino, Gajeel? – chiese lei maliziosamente, sorridendo.
- Potremmo dire di sì – ammise lui. – Lo… vorrei tanto.
- Allora chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio, è appena passata una stella cadente – mormorò contro il suo orecchio, accarezzandogli il petto prima di baciargli il collo.
Gajeel lo fece, chiuse gli occhi, godendosi le carezze della donna che amava.
Desidero solo poter avere con me il figlio di Levy. Desidero riempire d’amore una creatura da lei partorita, un bambino che lei possa generare con me.
- Sai che amo questo tuo lato insicuro, paparino? – lo stuzzicò lei poco dopo, facendolo gemere con certe carezze…
Lui non le rispose e le impedì di poter fare altre domande, certo del fatto che presto questo suo nuovo desiderio, ovviamente legato a lei, come sempre, sarebbe stato esaudito.



MaxB
'Seraaaa. Buon secondo giorno della Gajevy Week ahahah.
Non ho nulla da dire, ma volevo specificare alcune cose. Dunque:
1. Ho dato un tema generale alla week, un prompt dei prompt per così dire: il letto. In ogni capitolo (o quasi, circa... sì in ogni capitolo) Levy e Gajeel si troveranno a letto (non pensate male pervertiti!). Il fatto è che per me il letto ha poteri magici, tutti lo amano, e induce un rilassamento psicofisico che spinge al pentimento anche i criminali più incalliti ahahahaha. Quindi il letto sarà l'essenza di questa GW (prima o poi mi direte che non ne potete più xD).
2. Il capitolo 4, Trouble Twins, lo posterò il xx/xx/xx17(?). Nel senso che non so quando lo pubblicherò perché, sì, devo ancora scriverlo, ma sarà una collaborazione artistica tra me e la mitica, magica, magnifica C63 (donna delle 3 M, ahahahah). Lei disegnerà la storia (perché è bravissima *-*) e allegherò i suoi disegni al capitolo. Ecco.
Tutto qui.
A domani^^
MaxB

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Capitolo 4
*** 3. Pillow Talk ***


3. Pillow Talk

 
  - Sul serio?! – esclamò Lucy, basita e leggermente invidiosa.
- Non ci posso credere, non esiste un uomo così! – la supportò Levy, incredula.
- Credeteci invece! Ho un ragazzo meraviglioso e voi potete solo autocommiserarvi – si vantò Erza, braccia incrociate e sorriso orgoglioso.
- Erza cara, pure Laxus è così. E penso che lo sia ogni ragazzo del mondo dopo che l’hai abbondantemente accontentato – la smontò Mirajane in un soffio, mentre le passava in fretta alle spalle per poi sparire.
- Bugiarda! – l’accuso Titania.
- Mirajane ha ragione, Erza. Anche Gray-sama diventa dolce dolce con Juvia la sera, a letto – confermò Juvia, persa nella contemplazione di Gray.
A Erza iniziò a uscire il fumo dalle orecchie.
- Ma solo io ho un ragazzo che prende sonno subito e una volta addormentato non si sveglia nemmeno se mi metto nuda sopra di lui? – chiese Lucy a mezza voce, sconsolata.
- No Lu-chan, non sei sola – piagnucolò Levy, nella sua stessa situazione. – Che sia una malattia dei Dragon Slayer?
- Ma a Mira non succede – le fece notare Lucy, lanciando un’occhiata di soppiatto a Natsu, che stava urlando come un matto. – E pensare che di giorno parlano così tanto che bisognerebbe cucir loro la bocca!
L’argomento che tanto affliggeva Lucy e Levy erano le chiacchiere e le coccole da letto. Erza aveva tirato fuori l’argomento per sbandierare ai quattro venti la perfezione del suo rapporto con Gerard, che quando era insolitamente stanco, o dopo un amplesso particolarmente intenso, si dedicava alla venerazione di Erza. La accarezzava e la coccolava, le mormorava paroline dolci alle orecchie e la faceva sciogliere con castelli in aria sul loro futuro.
A quanto pare, a detta di Juvia, anche Gray la sera diventava stranamente dolce, e sdraiato a letto stretto forte alla propria ragazza parlava con lei per ore, quelle chiacchiere a volte sciocche e prive d’importanza che ti spingono a ridacchiare come un’adolescente alle prime armi.
Solo Levy e Lucy avevano problemi al riguardo. I loro ragazzi, più che chiacchierare immersi nei cuscini e nella pelle delle loro dolci metà, si dedicavano cianciare di cose inesistenti e incomprensibili nel sonno, che li coglieva appena loro posavano la testa sul cuscino.
Levy guardò Gajeel con aria afflitta, chiedendosi se in realtà non fosse sua la colpa di quella mancanza di interesse del suo fidanzato. Da quando avevano iniziato a vivere insieme non le era mai capitato di poter rotolarsi nel letto con Gajeel parlando di facezie e lanciandosi baci rumorosi tra risatine e strizzatine d’occhio. Di solito lui andava a letto molto prima di lei, che si perdeva nella lettura di un libro fino a notte fonda, e quando si buttava sul materasso lo sentiva respirare pesantemente, immerso nel sonno. Oppure restava a leggere a letto e lui le si addormentava addosso mentre lei gli accarezzava i capelli. Quando invece, cioè quasi ogni sera salvo rare eccezioni, si davano alla pazza gioia più o meno ripetuta e fantasiosa, Gajeel le si addormentava praticamente addosso dopo averle dato qualche bacio da sciogliere il cuore qui e là.
Levy non poteva lamentarsi, Gajeel le dimostrava ampiamente il suo amore, la faceva sentire desiderata e bellissima, e vederlo addormentarsi su di lei le faceva tenerezza. Inoltre, anche nel sonno, il suo ragazzo trovava sempre il modo di avvicinarsi a lei per stringersela addosso. Levy lo sentiva sospirare impercettibilmente ogni volta che le sue braccia la circondavano.
Però la parte delle conversazioni notturne le mancava e sinceramente avrebbe desiderato volentieri perdersi in qualche argomento inutile e di poco conto stretta a Gajeel, intenti a rotolarsi tra le lenzuola come due stupidi innamorati.
- Lu-chan – chiamò Levy, che si era persa la gara a tema “Il mio ragazzo è più dolce del tuo” tra le ragazze della gilda. – Questa sera dobbiamo provare. Dobbiamo chiacchierare anche noi a letto, prima di dormire. Siamo donne e siamo in grado di ottenere ciò che vogliamo, e io voglio che il mio ragazzo faccia lo scemo e mi mormori paroline dolci e prive di senso.
Lucy, scettica, lanciò un’occhiata a Natsu e Gajeel, che si fissavano in cagnesco, finché Natsu non si girò verso di lei e le mandò un saluto da pesce lesso.
- Levy-chan, non prenderla male, ma penso che le tue possibilità di riuscita siano ancora più scarse delle mie – le fece notare l’amica, sospirando.
Ma Levy decise di non arrendersi.
In fondo, era una donna.
Il potere, altrimenti chiamato testardaggine, era nel suo DNA.
 
Quella notte, Levy salì in camera prima del tempo dopo aver abbracciato Lily per dargli la buonanotte, lasciando i due maschi di casa a guardare una gara di monster truck.
- Se ci fossi io, lì, vincerei senza sforzi – sentì Gajeel borbottare mentre saliva le scale.
- Grazie, ti mangeresti la carrozzeria di ogni singolo macchinario prima di farli distruggere tra di loro! – commentò Lily, caustico.
Gajeel andò a letto meno di un’ora dopo, trovando Levy così presa dalla lettura di un libro da non essersi resa conto dell’arrivo del marito. Notando che non alzava nemmeno la testa, Gajeel sorrise leggermente e si buttò sul materasso, pronto a dormire.
- Ehi – lo riscosse Levy subito dopo, toccandogli la spalla.
- Mh?
- Mi fai le coccole? – chiese con la vocina piccola e dolce, supplice.
Gajeel sgranò gli occhi e, liberando il cuscino dal suo abbraccio stritolatore, si voltò verso Levy. – Cosa?
- Dài, mi hai sentito – lo incalzò, posando il libro sul comodino e scuotendolo ancora per la spalla.
Il ragazzo assistette al sorgere del sole sulle sue gote, che da pallide e biancastre diventarono prima rosee e poi rosse. Levy si era imbarazzata dopo aver fatto quella richiesta così inusuale.
Chiedere le coccole… era la prima volta che Gajeel sentiva una domanda del genere. La paranoia iniziò ad avvelenargli lentamente il cervello.
- Le vuoi perché ti trascuro? Ti faccio sentire poco amata? – indagò, posandole la testa in grembo.
Levy, suo malgrado, ridacchiò. – No, non è quello. Solo che Erza e Juvia dicono sempre che i loro fidanzati a letto le accarezzano, le baciano, parlano. Insomma, le classiche chiacchierate da letto, quelle che si fanno con le facce premute contro i cuscini, nella penombra, accucciolati l’uno contro l’altra.
Gajeel inarcò un sopracciglio e si scostò per poterla vedere in volto, prima di distogliere lo sguardo: i suoi occhi nocciola sembravano quelli di un cerbiatto mentre gli scavavano dentro per costringerlo a fare ciò che voleva, inducendolo a credere che fosse esattamente quello che desiderava.
Be’, forse lo desiderava veramente.
- Io credo che Gray e Gerard non abbiano attributi, se sai cosa intendo dire. Preferisci un uomo che ti fa le coccole, con qualche carezzina innocua e bacettini insapori, o uno che ti…
Altro che alba romantica e tinte calde, sulle gote di Levy esplose una supernova dopo le parole fin troppo allusive ed esplicite di Gajeel.
Il ragazzo scoppiò a ridere quando la vide boccheggiare, paralizzata, dopo la sua dettagliata descrizione di ciò che avrebbe potuto farle e che Gray e Gerard non avrebbero nemmeno potuto immaginare.
- E non dirmi che dopo quello che ti ho detto tu hai voglia di coccole, piccoletta, perché sappiamo entrambi cosa vuoi – la prese in giro, facendo forza sulle braccia per avvicinarsi a lei e morderle il collo e il mento.
Levy soffocò i suoi istinti primordiali e cercò di ossigenare il cervello con un lungo respiro rinfrescante, che permise ai suoi neuroni di tornare a lavorare e impedì la loro morte per asfissia o annegamento in un eccesso di flusso sanguigno da immagini sconce.
- Senti – lo bloccò, abbastanza perentoriamente nonostante le farfalle in tutto il corpo e i muscoli molli. “Fammi quello che vuoi”, avrebbe voluto dire. Ma si impose la calma. – No. Gerard deve averli gli attributi per stare con Erza. Non credo che concedersi un po’ di dolcezza e autoindulgenza limiti o faccia regredire la tua virilità, Gajeel. Quindi questa sera mi fai le coccole e mi dici cose mielose e senza senso come uno stupido?
Il ragazzo si ritrasse e cercò tracce di bluff sul suo viso ancora rosso, senza tuttavia trovarne.
Era seria. Era dannatamente seria!
Davvero preferiva quelle smancerie insensate alla possibilità di essere rivoltata da dentro a fuori fino a perdere la concezione del proprio corpo a causa del piacere? Forse aveva sbagliato qualche considerazione sulla sua ragazza, allora.
- Va bene – cedette con uno sbuffo, sdraiandosi a pancia in su e aprendo le braccia per accogliere Levy contro di sé.
La ragazza si fiondò su di lui con un eccitato gridolino di vittoria, e dopo avergli accarezzato le gambe con le proprie e strofinato i capelli contro il suo petto, sospirò allegramente.
- Sai, Lucy era scettica riguardo al fatto che avresti mai potuto fare una cosa simile. Però ogni tanto ci capita di restare qui in contemplazione dopo aver … dato libero sfogo a… ai desideri del corpo, no? – mormorò lei con gli occhi chiusi, a disagio. – Ogni tanto mi accarezzi i capelli e mi baci la fronte e il naso mentre riprendiamo fiato, oppure resti fermo a guardarmi e mi dici che mi ami, anche se raramente. Volevo solo spingerti a fare queste cose anche senza bisogno di fare prima l’amore.
Non ottenendo risposta dal ragazzo, e cullata dalla cadenza ritmica dei battiti del suo cuore, Levy gli baciò l’addome e continuò a parlare. – A volte noi donne sentiamo il bisogno di fare queste cose. Come tu hai bisogno di sentirti virile. Credo che Lucy avrà diversi problemi a trascinarsi dietro Natsu, ma io non ho mai dubitato del fatto che tu possa essere un gran romantico, quando vuoi. Grazie, Gajeel – concluse, commossa, stringendolo a sé sorridendo.
La mancanza di grugniti o azioni altrimenti indicative di ascolto la misero in allarme dopo dieci secondi. A ragione, oltretutto.
Gajeel dormiva della grossa, con la bocca aperta e il respiro placido e non troppo profondo.
Levy, sgomenta, si sedette e lo fissò con una rabbia cocente che non aveva nulla a che fare con il calore che le parole di Gajeel le avevano suscitato dentro, alcuni minuti prima.
- Vuoi la guerra? E guerra avrai – mormorò prima di iniziare a spogliarsi.
Alcuni attimi dopo Levy si era sistemata, nuda, sopra Gajeel, torreggiando su di lui. Si chinò fino a far toccare la punta dei loro nasi e gemette contro il suo orecchio sensibile, baciandogli lascivamente la mascella e spostandosi fino alla bocca. Era evidente che fosse ormai sveglio quando Levy gli sfiorò le labbra e ci mancò poco che lui tirasse fuori la lingua di riflesso, facendola ridere.
Le sue mani si artigliarono a lei, morbide come delle piume eppure possessive quanto le zampe di una pantera, e Gajeel, che aveva scordato cosa fosse il sonno, ghignò d’aspettativa scannerizzando il suo corpo nudo.
- E tu volevi le coccole? – la schernì, facendo leva sul braccio libero per sedersi e far aderire il petto di Levy al suo, mentre con l’altra mano le afferrava la nuca e la spingeva contro le sue labbra.
- Piccola tentatrice, vuoi sapere di cosa parleremo questa notte io e te? – le sussurrò all’orecchio, facendola rabbrividire.
La conversazione che ne seguì fece vergognare Levy così tanto che la ragazza arrossì anche in punti in cui l’imbarazzo, di natura, non produceva effetti visivamente riscontrabili. Eppure sortì l’effetto desiderato perché Levy, sentendosi sporca come non mai, si perse in quel fiume di parole ansimanti che Gajeel stava spacciando per una favola dolce e idilliaca.
Quando, alla fine, lei si trovò ad ansimare per ritrovare il fiato sopra ad un ragazzo più o meno nelle stesse condizioni eppure prossimo a chiudere gli occhi per il resto della notte, Levy capì che, a suo modo, anche Gajeel era come Gerard e Gray, e a letto chiacchierava amabilmente mentre l’abbracciava.
Solo che non lo faceva con paroline sciocche e lusinghiere.
Lo faceva con le sconcerie.
E Levy, suo malgrado, dovette ammettere che non avrebbe mai scambiato quelle sussurrate conversazioni a luci rosse con delle poesie noiose e tutto sommato inutili.



MaxB
Nulla da dire, spero che vi piaccia. Dal momento che alla fine tutti i miei cap della Gajevy Week sono stati Pillow Talk questo l'ho fatto un po' diverso ahahahah.
Ho scoperto che scrivere legata ad un prompt... non fa proprio per me. Sono un spirito libero ahahah.
Grazie mille a tutti voi che recensite/leggete e specialmente a *** (lei sa chi è ma non vuole che la si nomini e... dopo questa mi ucciderà ahahah). Grazie che sopporti i miei deliri.
A... sabato! Con il prompt 6. No. Scherzavo. A domenica. Viva la matematica! E scusate se il cap è corto :( Ho dovuto stringere tutto come i miei tempi...
MaxB

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Capitolo 5
*** 6. Grief ***


6. Grief

 
Gajeel si svegliò con la soffocante sensazione di essere sul punto di annegare nei suoi stessi sogni.
Appiccicoso, affannato, con quello sguardo rosso spiritato e inquieto e i capelli spettinati, probabilmente avrebbe spaventato anche i suoi figli.
Un brivido lo percorse dalla base della nuca per tutta la lunghezza della colonna vertebrale esposta all’aria, e gli fece prendere un lungo respiro.
Levy dormiva accanto a lui, i capelli sparsi sul cuscino e le manine unite sotto il suo viso, con le braccia che le coprivano il seno e le gambe piegate sotto il pancione, come a sostenere anche nel sonno la vita che portava dentro e che di giorno la faceva lamentare per la sua pesantezza. Il suo corpo, era evidente, sentiva la mancanza di Gajeel, che nel suo sonno inquieto si era allontanato da lei e aveva finito per non scaldarla.
Dalla finestra socchiusa entrava una brezza autunnale che avrebbe fatto venire la pelle d’oca persino a Natsu, e il ragazzo si maledisse per la sua poca accortezza.
Quando si alzò per andare a chiuderla, però, la luna piena rischiarò i suoi torbidi pensieri e gli fece comprendere che non sarebbe potuto tornare a letto, sotto il lenzuolo leggero, a contatto con la pelle di sua moglie. Non quella notte.
Gajeel prese un paio di pantaloni da casa e li infilò al volo, afferrando una canottiera mentre usciva dalla stanza. Scese al piano di sotto e aprì la portafinestra che dal salotto dava sul giardino posteriore di casa sua, dove i giochi dei bambini fungevano da allarme contro eventuali ladri. Non esisteva alcun sistema di sicurezza efficace quanto una paletta conficcata nel piede o una pallina perfetta per inciampare.
Gajeel si allontanò nella notte senza guardarsi indietro, a piedi scalzi, scavalcò la recinzione che separava la sua proprietà dal resto del mondo e si inerpicò sulla collina per la quale aveva scelto di comprare casa lì. Una bellissima collinetta verde sulla cui sommità stava appollaiato un maestoso albero dal tronco nodoso e le foglie larghe, che regalava un perfetto riparo dal sole in estate. Ci portava spesso Levy e i gemelli per fare un pic-nic, visto che era letteralmente attaccato a casa, oppure vi si recava quando si allenava con Lily o quando il mondo gli presentava dei misteri troppo complicati per risolverli subito, per cui c’era bisogno dell’intervento di ogni singolo neurone che abitava il suo cervello. Era lì che aveva rivelato a Levy, anni prima, che si sarebbe trasferito. Si sarebbe trasferito là, con lei. Ed era sempre lì che le si era dichiarato.
Levy gli aveva detto fin troppe volte il nome scientifico di quell’albero, ma lui continuava a scordarselo, e in quel momento la cosa gli fece male.
Un’altra cosa in cui non sarebbe mai stato all’altezza di Levy. Una delle tante.
Gajeel sospirò e, ormai giunto in cima alla collina, si lasciò a cadere a terra senza riguardi per il suo fondoschiena, appoggiandosi all’albero con il fianco. Rimase lì, in silenzio, a scacciare il buio che aveva nel cuore sperando che potesse disperdersi nell’aria e tingere di nero quella bella notte, rischiarata da una luna gigantesca.
Un pensiero scattante e veloce quanto il guizzo di un pesce gli fece notare che gli sarebbe piaciuto molto fare l’amore con Levy sotto un cielo così stellato e limpido. Sua moglie lo avrebbe certamente adorato, e lui avrebbe potuto godersi la cristallinità di quel paesaggio e il calore che solo il corpo della sua amata consorte poteva offrirgli.
Calore che forse, però, in quel momento, nemmeno lei poteva dargli.
Irrazionalmente, Gajeel alzò una mano e l’appoggiò al tronco, e subito delle immagini vivide e impresse a fuoco nella sua mente lo fecero ritrarre di scatto. Chiuse gli occhi nel tentativo di scacciarle, ma quelle, nel buio che la sua mente gli offriva come lo schermo di un cinema, le visse ancora più realisticamente.
Levy appesa all’albero, crocifissa, con gli indumenti stracciati e il volto stravolto dal dolore, finché non era arrivata la pace dell’incoscienza a salvarla. Poteva sentire nell’aria l’odore della sua paura, della sua rassegnazione e della sua rabbia.
Rabbia nei confronti di se stessa, per non essere stata in grado di difendersi e di proteggere chi amava.
Quel sogno, quel ricordo, tornava ciclicamente a bussare nell’anticamera del subconscio di Gajeel, divertendosi a vederlo agonizzare. Forse era quello il prezzo da pagare per la vita idilliaca che stava vivendo nel presente. Forse era il prezzo da scontare per tutti i suoi errori.
Aveva Lily con sé, era sposato con Levy, la sua ragione di vita, colei che lo aveva reso umano, marito e padre di due gemelli meravigliosi, e stava per renderlo padre una terza volta.
Aveva una famiglia che lo amava come se fosse la persona più buona del mondo e non un ex criminale.
Aveva una gilda che gli aveva perdonato la distruzione che aveva causato e lo aveva accolto a braccia aperte, inglobandolo in quella strana famiglia.
E lui cos’aveva fatto per meritarlo? Aveva distrutto la gilda e la sicurezza di una tenera diciassettenne che, prima di vedersela con lui, aveva speranze e fiducia in se stessa.
Lui aveva demolito tutto, calpestato la personalità di sua moglie fino a farla tremare di paura al solo vederlo. L’aveva fatta sentire una nullità, disgregando le sue certezze e la sua capacità di fronteggiare il mondo da sola.
L’aveva quasi spezzata.
E lei? Lei aveva visto oltre, aveva visto qualcosa, aveva capito, e si era innamorata di lui. Di tutto. Passato, presente e futuro. Si era innamorata al punto da volerlo salvare, da voler diventare forte per essere all’altezza di lui, per potergli stare attorno senza disturbarlo o costringerlo a considerarla un peso. Aveva riacquistato fiducia in sé solo per lui, per farsi notare, per essere degna di lui.
Gli sfuggì un rantolo quando il sogno gli ricordò, di nuovo, che era colpa sua se Levy aveva dovuto fare tutti quei cambiamenti, ricominciare da zero per costruire la sua autostima sbriciolata in modo da potersi avvicinare a lui ed essere forte.
Perché era lui che l’aveva fatta sentire debole.
Il suo stomaco gli balzò in gola e tornò al suo posto capovolgendosi quando Gajeel, come spesso accadeva, si rese conto che non meritava tutto quello. Non meritava nulla.
E così come aveva avuto quella piccola porzione di paradiso, avrebbe potuto perderla. Del resto, cos’aveva fatto per meritarla?
Pochi minuti dopo sentì una mano calda e pelosa sulla spalla, e gli salì un conato di vomito fin quasi alla bocca.
Lily si sedette pesantemente senza aprire bocca, sovrastandolo con la sua figura umanoide.
Stette zitto, stringendo di tanto in tanto la presa sulla sua spalla, un modo per dirgli: “Calma, sono qui.”
Oppure: “Non azzardarti a scappare, codardo”.
- Pensavo che la crisi di inadeguatezza ti sarebbe venuta solo con il primo figlio. I gemelli, cioè. Non sei un po’ in ritardo ad avere il terrore di questa responsabilità con il terzo bambino? – chiese Lily dopo un po’, conscio del fatto che il problema non fosse quello, ma deciso a farlo parlare in un modo o nell’altro.
Gajeel sorrise amaramente. – Ho sognato che li appendevo a quest’albero – rivelò tranquillamente, senza giri di parole. Con Lily non servivano.
Il suo compagno osservò la luna in silenzio, allungando le braccia dietro di sé per sostenere il suo peso mentre attendeva che Gajeel continuasse.
- Levy, Yajeh, Shutora e… il nuovo arrivato. Erano tutti appesi all’albero, insanguinati e con i corpi tumefatti. Mi gridavano che era colpa mia e che ero un mostro, che avevo rovinato loro la vita e mi odiavano. Mi urlavano il loro rancore finché morivano.
Lily annuì gravemente, facendogli capire che aveva compreso il suo tormento. Per tutto il tempo non aveva distolto lo sguardo dalla luna.
- Sai, ogni tanto anche io sogno la notte in cui ho salvato Mystogan. Sono varianti diverse dello stesso sogno. A volte il bambino muore tra le mie braccia, altre volte vengo ucciso per il mio tradimento, altre volte tutto ciò che faccio è inutile. In ogni sogno, comunque, gli occhi della regina Shagotte sono lì, mi fissano impassibili, e io non capisco cosa voglia comunicarmi. Mi fanno sentire uno stupido qualsiasi cosa io faccia, specialmente quando si abbassano, incapaci di osservare un reietto come me.
Fu il turno di Gajeel di stare in silenzio ad ascoltare il suo compagno. Le volte in cui Lily si era aperto a lui erano ancora più rare delle volte in cui l’aveva fatto lui.
- Alla fine mi sono reso conto che, sì, sono stato un traditore della mia razza, ho voltato le spalle ad una regina che amavo e per cui mi sarei immolato, tutto per salvare un bambino innocente. Ma ho tradito un valore in cui non credevo, e lo rifarei. Tu rifaresti ciò che hai fatto a Levy e alla gilda?
- No, ovviamente no. Assolutamente no. Se solo potessi tornare indietro…
- Ma non puoi – lo bloccò Lily, scrollandogli la spalla. – Non puoi, e angosciarsi non farà certo cambiare il passato. Renderà solo invivibile il presente e amaro il futuro. Tu hai tradito te stesso, Gajeel, solo te stesso. Ma non lo rifaresti per nulla al mondo, ed è questo quello che conta.
Il ragazzo sentì gli occhi inumidirsi per quelle parole e osservando il cielo ringraziò quelle buone stelle che gli avevano permesso di trovare un compagno di vita come Lily. Un’altra delle sue fortune.
- Ho paura di cadere di nuovo, Lily. E ho paura che un giorno tutto ciò che ho, Levy, te, i miei figli, mi verrà tolto così come mi è immeritatamente stato dato.
Lily sbuffò una risatina, anche se non era divertito. – Dubito che io e Levy ci leveremmo dai piedi così facilmente. Troveremmo il modo per tornare a infastidirti. E abbiamo la pellaccia dura, è impossibile che qualcosa ci separi. Non c’è riuscita la morte, ti ricordo – alluse, riferendosi allo scontro di tanti anni prima con lo spriggan che l’aveva quasi sconfitto definitivamente. – Tutto ciò che hai ora te lo sei guadagnato, Gajeel. Non è immeritato. È la prova del tuo impegno nel cercare di rimediare agli errori che hai commesso e del tuo successo nel farlo.
L’uomo annuì, anche se non del tutto convinto, e poi rabbrividì nella fredda aria notturna. Il terrore che quell’incubo gli aveva fatto scorrere nelle vene, scaldandolo come lava, si era raffreddato, e ora Gajeel si sentiva solo vuoto. Sentiva solo vuoto e dolore.
Fu Lily a ordinargli cosa fare, togliendogli la mano dalla spalla, alzandosi. – Mi ha svegliato Levy, sai? È venuta da me che stava quasi avendo un attacco di panico, mi ha scosso e ha farfugliato parole incomprensibili finché non l’ho abbracciata per calmarla. Il che è stato difficile, visto quanto è grossa. Dovresti smetterla di farle prendere trenta chili a figlio, Gajeel, quando il suo corpo è così minuscolo.
Gajeel incurvò leggermente un angolo della bocca in un piccolo sorriso, ma decisamente non era divertito. Levy aveva la schiena a pezzi e le caviglie così gonfie da sembrare un tutt’uno con i polpacci, e tecnicamente era colpa sua. Le stava causando ancora dolore.
- Comunque è riuscita a spiegarmi che non c’eri da nessuna parte e che aveva paura, paura che ti fosse successo qualcosa o te ne fossi andato. Era pallida come un cadavere, Gajeel. Poi ti ha visto. Si è affacciata alla finestra di camera vostra, con il chiaro intento di lasciarsi andare alle lacrime perché è incinta e ne ha tutto il diritto, e ti ha visto sulla collina. Ti dico solo che le sue imprecazioni mi hanno fatto rizzare i peli ovunque.
Questa volta Gajeel sogghignò leggermente, facendo ridere anche il suo compagno. – E poi?
- Poi mi ha ordinato di venere a pigliarti a calci per lei, visto che, testuali parole, si sente come una vacca obesa in attesa di partorire quattro vitellini e si vedeva ansimare di fatica già alla base della collina. Ergo, sarebbe volentieri venuta a farti nero, ma per colpa della tua grande capacità riproduttiva è impedita quanto un pinguino.
- Dovrei tornare da lei, vero?
- Penso che ci stia ancora fissando dalla finestra. E, no… - lo bloccò Lily, evitando che si girasse per verificare da dove Levy li stesse osservando. – Non ti conviene girarti se non vuoi essere incenerito dal suo sguardo.
Gajeel rise e si alzò. – Allora vado a subire la sua furia a letto, almeno la faccio sfogare.
- Dubito che otterrai qualcosa da lei, in questo momento – sospirò Lily, divertito.
- Mi basta il suo perdono – mormorò Gajeel, prima di avviarsi verso casa, con l’amico alle spalle.
 
Lily gli diede la buonanotte nel corridoio, e gli fece un cenno d’incoraggiamento. Poi controllò la camera di Yajeh e quella di Shutora e si ritirò in camera sua con un sorriso.
Gajeel sorrise a sua volta ed entrò in stanza sereno, trovando Levy sdraiata a letto.
Era sveglia, ma gli dava le spalle e si accarezzava la pancia con aria assorta.
Gajeel girò a sinistra per andare in bagno a lavarsi i piedi sporchi di terra.
Poi salì carponi sul letto, avvicinandosi alla moglie, e allungò una mano per toccarle il piede. Le accarezzò lentamente tutta la gamba nuda, fino ad arrivare al fianco coperto dall’ampia camicia da notte, e continuò la sua risalita sulla vita e il braccio. Indugiò sul collo e le scostò i capelli dal viso, baciandole teneramente la mascella. Risalì con le labbra sulla guancia e arrivò fino all’angolo della sua bocca.
Fu lì che la mano di Levy lo interruppe, bloccandogli le labbra.
- Hai avuto un incubo, un altro, e non me l’hai detto. Ancora. Hai preferito scappare e lasciarmi sola – lo accusò, lapidaria.
- Cosa intendi con “un altro”? – mormorò lui, respirando sulla sua spalla.
- Pensi che non ti senta, tutte le volte che ti svegli ansimando nel cuore nella notte? Pensi che non sappia che resti sveglio per il resto della notte quando accade, che ti rigiri nel letto senza trovare pace e non mi tocchi più nemmeno la mattina, fin quando non ti vengo io vicino? Pensi che non sappia che ultimamente non provi nemmeno più a sdraiarti per dormire, che resti fermo con la testa tra le mani e il respiro tremante?
Gajeel non fiatò, strinse solo gli occhi e si allontanò da lei per sdraiarsi.
Levy si girò goffamente verso di lui, intenerendolo mentre cercava di manovrare quell’enorme bagaglio che era il suo ventre. Lui non disse una parola quando lo inchiodò al materasso con lo sguardo, arresa più che adirata.
- Ho aspettato, notte dopo notte, che tu mi dicessi qualcosa. Che magari mi svegliassi per parlarmi, o anche solo per, non so, distrarti facendo l’amore. Chiedermi di aiutarti, darmi la possibilità di farlo. Ma niente. Nemmeno una parola. E questa sera sei letteralmente fuggito.
- Non sono fuggito da te – puntualizzò lui, sperando di giustificarsi.
- Sei fuggito da te stesso, e tu mi appartieni, Gajeel. Me l’hai promesso quando mi hai sposata.
Ancora, lui tacque. Aveva imparato a tacere, con gli anni, quando aveva capito che cercare di spuntarla con sua moglie era impossibile. Le sue giustificazioni cadevano come pezzi di carta straccia quando lei lo scrutava con un sopracciglio inarcato, e le sue convincenti arringhe diventavano balbettii confusi e inorganici. Quindi stava zitto.
- Gajeel, ti ho sposato nel bene e nel male. Non può esserci solo il bene, in una coppia, in una vita. Perché non vuoi condividere con me il tuo male?
Lui scosse la testa, incapace di guardarla. – Ti ho già causato abbastanza dolore.
Levy gli prese la mano e se la posò sul ventre, dove dormiva il loro terzo figlio. – Penso che la gioia che tu mi hai arrecato, in migliaia di modi diversi, superi di gran lunga la pena, non credi?
- Ne sei certa? – chiese lui, quasi come un bambino che chiede una conferma all’unica persona al mondo in grado di consolarlo. Una mamma.
- Non sarei qui se non lo fossi – chiarì lei, baciandolo dolcemente. – Non ti va di parlare dei sogni, vero?
Levy lesse la risposta nei suoi occhi, ma non mollò. – Posso almeno chiederti alcune cose al riguardo?
Lui sospirò, si stropicciò il viso e scosse le spalle con noncuranza, dandole il via libera.
- Riguardano me i tuoi incubi?
Gajeel esitò, cercando di elaborare una risposta coerente.
- Ti mangio nei tuoi incubi? Per questo hai paura, perché ti mangio?
Girandosi verso di lei, allarmato, Gajeel vide l’ironia dipinta nei suoi occhi, e ghignò. – Sei un mostro cattivo, lo ammetto.
Levy ridacchiò leggermente prima di tornare seria. – Non posso cancellare il passato. Non posso e… non voglio. Non lo voglio cancellare. Il mio passato fa parte di me, fa parte di noi. E se l’essere crocifissa ad un albero è il prezzo da pagare per avere la vita che ho ora, Gajeel… be’, allora sono contenta che sia successo.
Incapace di afferrare quelle parole così schiette, il ragazzo non trovò tracce d’ombra nei suoi occhi sinceri.
- So che tu ti biasimi ancora per ciò che è successo, ma non devi. Te lo dico io, che ho tutto il diritto di provare dolore per ciò che è successo. Ma sai cosa penso quando ricordo ciò che mi hai fatto?
Gajeel scosse la testa.
- Non penso al gesto che hai compiuto, al dolore che ho provato dentro e fuori. Penso alle buone azioni che hai fatto in seguito, le paragono a quel gesto disumano e mi rendo conto che ciò che hai deciso di fare in seguito vale mille volte più di quella singola vicenda, Gajeel. Mi scalda il cuore vedere come sei cambiato, quante volte hai fatto ammenda per i tuoi errori, e non vedo l’ora di raccontare ai nostri figli il modo insolito in cui ci siamo conosciuti, quando lo chiederanno.
Gajeel prese un respiro corto e strozzato e strinse gli occhi per cacciare la morsa che gli attanagliava la gola e gliela raschiava come un pezzo di vetro.
Si permise di piangere solo quando Levy lo abbracciò, con qualche difficoltà tecnica, e gli sussurrò: - Non vedo l’ora che i nostri figli capiscano quanto è valoroso il loro padre, in modo che ne siano orgogliosi quanto lo sono io. E Lily.
Quella notte, stretto tra le braccia di quella moglie che gli aveva dato una vera vita, in tutti i sensi, Gajeel singhiozzò come un bambino come mai aveva fatto e come non fece mai, mai più. Lei pianse con lui e la mattina li colse abbracciati in modo indissolubile, avviluppati insieme in quell’avventura che era la loro esistenza insieme per il resto dei loro giorni.
Quella notte, finalmente, Gajeel perdonò se stesso, ringraziò per ciò che aveva e rinacque di nuovo, come uomo, marito e padre.
Quella notte capì che quello che aveva non era affatto immeritato. Era tutto guadagnato.
E il dolore a cui aveva detto finalmente addio era la moneta con cui aveva scambiato quel piccolo pezzo di paradiso.

 

MaxB
Ma buonaseraaa e benvenuti nel mio angolinooo...
Che concluderò in fretta.
Devo ancora iniziare Living Together AHAHAHAHAH e dire che devo darmi una mossa. Pensa che sarà una schifezzuola ma sinceramente sono pochissimi i capitoli di questa raccolta che mi piacciono.
I riferimenti alla ShaLily sono tutti per la mia grande amica *** (che non devo nominare). Ahahahaha penso che la farò arrabbiare ma un pochino mi diverto ad irritarla. Con affetto, cara^^
So che questo argomento del senso di colpa è trito e ritrito e smaciullato e calpestato, ma io non l'avevo mai affrontato in modo approfondito (e non è affrontato in modo approfondito nemmeno nel cap, perché alla fine è un po' superficiale,.. era solo una comunicazione di sensazioni, spero).
Grazie per essere passati di qua!
MaxB

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Capitolo 6
*** 7. Living Together ***


7. Living Together

 
Vittoria: superiorità conseguita al termine di una guerra o battaglia.
Questo diceva il vocabolario di Levy, e lei conosceva bene il significato di quella parola. La sapeva persino pronunciare in sette diverse lingue.
Di fronte alle rovine della sua gilda e di Fairy Hills, entrambe parte di casa sua, Levy si chiese se una vittoria potesse essere opinabile.
Come puoi dire di aver vinto quando hai perso tutto, o rischiato di perdere tutto?
- La verità è che una vittoria è fredda come la morte, si lascia alle spalle tanti cadaveri quanti sono quelli che hanno combattuto per essa, e hanno dato la loro vita invano nel tentativo di intercedere per un bene superiore che in realtà non esiste. La vittoria è solo un’illusione per mascherare gli obiettivi di potere nefasti e sterminati di qualche pazzo psicotico – mormorò Levy alla cenere che le ingrigiva la pelle.
Il cielo plumbeo prometteva una pioggia nera che avrebbe detto addio al sangue di quelle vittime morte senza senso in una battaglia priva di scopo.
Levy sentì dei passi alle sue spalle e capì subito che era Gajeel, seguito a ruota da Lily che batteva piano le ali. La ragazza chiuse gli occhi e sentì una goccia di pioggia bagnarle la guancia in concomitanza con la caduta della sua prima lacrima. Lei sapeva che probabilmente sarebbe stata l’unica che avrebbe versato.
Gajeel le si affiancò e allungò un dito con pacatezza e determinazione, raccogliendo sul polpastrello lo struggimento liquido che le scivolava lungo la guancia.
- Non ho capito molto di quello che hai detto – disse un soffio, così a bassa voce che Levy faticò a sentirlo. – Ma penso che la medaglia della guerra non abbia due facce, una recante la vittoria e una la sconfitta, bensì un’unica faccia maculata. Un po’ come una biglia bianca e nera.
Levy alzò lo sguardo e fissò Gajeel con sguardo sorpreso, facendolo ghignare tristemente. – Penso che la morte mi abbia reso più saggio, forse – rivelò con orgoglio.
Lily assunse la sua forma umanoide e gli diede una pacca sulla schiena che lo fece gemere e incurvare come un fuscello. – Ma tu non sei morto, quindi non illuderti – lo schernì, facendogli l’occhiolino.
Gajeel sorrise leggermente e fece fare alla spalla una circonduzione, stringendo gli occhi per il dolore. – La quasi morte mi ha reso di sicuro più sofferente, non c’è che dire – esordì.
Levy non distolse gli occhi dal volto di Gajeel, ma in quel momento era troppo confusa e stanca per dare un senso alle sensazioni che le avvolgevano la mente e lo stomaco. Troppo esausta per poter pensare alle parole di Gajeel, ai loro sentimenti, al loro avvenire. Sebbene l’avesse sognata per mesi, una loro storia d’amore, ora che aveva l’occasione di renderla vera esitò. Quello non era il momento giusto per fare alcunché, se non ricordare i morti e cercare di raccogliere e disperdere le ceneri della devastazione.
Gajeel le scompigliò i capelli già spettinati e poi, esitante, fece scendere la mano fino al suo viso, accarezzandole la gota da cui aveva raccolto quell’unica, solitaria e triste lacrima.
- Levy, devi venire a casa con me questa sera – le rivelò senza mezzi termini, facendo scuotere la testa a Lily.
Ma Gajeel, lei lo sapeva, aveva ragione. Fairy Hilss era desolata e le sue compagne avevano già trovato un’altra sistemazione per la notte. Lucy aveva accolto in casa sia Erza che Wendy, sebbene Levy supponesse che Erza sarebbe stata reclamata da Gerard quella notte. Juvia si era fiondata da Gray per curarlo, cosa ironica visto che lei era ridotta male quanto lui, mentre Evergreen si era riunita da qualche parte con il resto dei Raijinshuu. Lei poteva andare da Lucy, ma sapeva bene che non sarebbe stata quella la scelta più adatta.
- Andiamo? – la incalzò Gajeel quando la vide rabbrividire e le poche e sporadiche gocce di pioggia che fino a quel momento li avevano evitati iniziarono a cadere con prepotenza, avvisandoli.
Levy annuì e si lasciò trascinare via da Gajeel, strisciando i piedi per terra e osservando il terreno sconnesso e sporco su cui camminava.
La ragazza sentì Lily confabulare con Gajeel e lui rispondere con un grugnito. Lo vide allungare uno zainetto al suo compagno e poi fermarsi per aspettarla e affiancarla. Levy riconobbe come suo lo zainetto, prima di essere sollevata da terra da due braccia forti eppure tremanti di stanchezza.
- Mettimi giù – biascicò fiaccamente, strofinando i capelli impolverati contro il petto di Gajeel alla ricerca di una posizione più comoda.
- Sei credibile quanto Lily quando mi dice che non è grave se mi sono dimenticato di comprargli i kiwi.
L’ultima cosa che Levy vide prima di addormentarsi fu il fastidio dipinto sul volto peloso del loro compagno.
 
Quando si svegliò, nel momento in cui i suoi piedi toccarono terra in modo poco aggraziato, Levy non avrebbe saputo indovinare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva aperto gli occhi. Poteva essere un minuto come un’ora.
- Levy vai a farti una doccia – la spronò Lily, prendendola dalle braccia di Gajeel e sostenendola fino al bagno. – Gajeel va a cercare qualcosa da mangiare e io sono a disposizione nel caso in cui ti sentissi male – la informò dolcemente, facendola sedere sul bordo della vasca.
Aprì l’acqua e attese che diventasse calda per chiudere il tubo di scarico e riempirla di sapone profumato. Prima di uscire le accarezzò il viso come aveva fatto Gajeel e le lasciò un bacio in fronte. – L’abbiamo portato a casa con noi, Levy, quindi ora non essere tu a perderti – la ammonì affettuosamente prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
La ragazza sorrise malinconicamente e aspettò che l’acqua raggiungesse un buon livello prima di chiuderla e spogliarsi. Quando si immerse nella vasca sentì che molte delle sue preoccupazioni e soprattutto tutti i suoi pensieri incomprensibili e informi evaporavano con l’acqua, lasciandola solo stanca.
Non vuota, stanca.
Dentro era piena, piena della vittoria che aveva ottenuto su Gajeel. Una vittoria che non aveva nulla a che fare con la guerra. A meno che l’amore non potesse essere considerato una specie di guerra.
E forse era proprio così.
 
Levy fece fatica a mangiare quella sera, e ci riuscì solo quando Lily le mise sotto al naso una tazza di tè con il miele e qualche biscotto.
- Così mi sverrà tra le braccia invece di riprendersi – lo rimbrottò Gajeel quando Levy sorrise al compagno e soffiò nella tazza per raffreddarne il fluido.
- Magari sverrà tra le mie, razza di zotico. Il tè la scalderà e i biscotti le daranno la forza che le serve per raggiungere la camera e dormire. Domani mangerà di più – lo informò Lily, strizzando l’occhio a Levy.
Lei ridacchiò e sorbì cautamente il tè, facendo poi l’occhiolino a Lily di rimando. Gajeel grugnì infastidito e addentò con rabbia un pezzo di pane. La cena trascorse più o meno silenziosamente mentre ognuno cercava di venire a capo dei propri pensieri. Lily emanava un’aura di serenità che purtroppo non riuscì a contagiare Gajeel, troppo intento a ripensare alla dichiarazione che aveva fatto a Levy quando pensava di essere ad un passo dalla morte.
La amava, lo sapeva da molto, e lei era troppo intelligente per non averlo notato. Solo che… non aveva mai trovato il momento adatto per dirglielo in un modo che le piacesse. Inutile a dirsi, c’era stato un periodo, al Concilio, in cui Levy aveva iniziato a preoccuparsi di fronte alle sparizioni del ragazzo, che per una settimana si era rifugiato nella più vicina libreria, nel tempo libero, per fare una cosa di cui si vergognava da morire e che non avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura: leggere estratti di libri romantici per trarre l’ispirazione necessaria a rivelare a Levy i propri sentimenti in un modo che fosse adatto ad una donna come lei.
A cercare di capire come fare il romantico, insomma. L’amore lo aveva spinto a fare persino quello, anche se poi si era morso le dita a sangue quando aveva incontrato Lily in biblioteca.
L’aveva preso in giro per mesi, lanciandogli frecciatine di cui solo lui rideva e per le quali Levy restava interdetta e leggermente spiazzata. Al Concilio avevano davvero poco tempo libero e Gajeel non aveva trovato nessun momento adatto per rivelarle i suoi sentimenti. Poi era arrivata la guerra con l’impero di Alvarez, e una dichiarazione fatta prima di una guerra aveva un che di sinistro e foriero di disgrazia.
Quando era stato inghiottito dal buco nero di quello spriggan maledetto, senza pensare aveva buttato fuori, letteralmente, quello che aveva nel cuore. Lo doveva a Levy, prima di morire. Le doveva la verità.
In quel momento invece non sapeva che fare. Era già capitato che dormissero insieme, nella stessa tenda, al Concilio, ma solo la notte prima della guerra avevano davvero passato la notte insieme. Con suo sommo stupore e parecchia incoscienza, Gajeel le aveva proposto di trascorrere la notte da lui per essere pronti al momento dell’attacco. Una scusa banale e alquanto fiacca che però l’aveva convinta senza ulteriori spiegazioni. Forse perché Levy non aveva bisogno di grandi richieste, quando era profondamente certa di qualcosa.
Avevano dormito nello stesso letto, senza imbarazzo, però non abbracciati. Sarebbe stato troppo per entrambi, così Levy si era riposata mentre lui era rimasto sveglio a fissare il soffitto, le pareti, la trapunta o il lampadario, qualsiasi cosa non fosse il profilo del corpo della ragazza coperto dalle lenzuola.
Quella notte sarebbe stata diversa. Erano cambiate tante cose.
Prima di allora, c’era stata insicurezza nei sentimenti e certezza nell’arrivo della guerra.
In quel momento, era esattamente il contrario. Non sapevano cosa sarebbe capitato da lì in poi, probabilmente sarebbero tornati alla gilda e avrebbero aiutato Magnolia a risorgere dalle ceneri, ma con la certezza che ci sarebbero stati l’una per l’altro, per sempre, fianco a fianco.
- Vi dispiace se vado a dormire? – chiese Levy in un soffio, lieve quanto il vapore che si innalzava pigramente dalla tazza di tè ancora mezza piena. – Temo che le particelle anti-eternano mi abbiano lasciata più spossata del previsto e potrei addormentarmi qui da un momento all’altro se non raggiungo subito il letto.
Lily l’aiuto ad alzarsi, precedendo Gajeel, e la sostenne mentre si avviava con lei verso la camera che i due ragazzi condividevano.
- Vi aspetto – li informò, arrossendo, prima di varcare la soglia della stanza, non senza aver lanciato a Gajeel un’occhiata un po’ imbarazzata ma anche in qualche modo eccitata all’idea di quello che avrebbero potuto passare insieme.
Per la prima volta dopo tanto tempo, Gajeel si sentì calmo e fiducioso e nascose un ghigno in una forchettata di cibo.
 
Raggiunse Levy dopo pochi minuti, spronato da Lily che si occupò da solo della cucina.
Si tolse la maglia e si infilò sotto le coperte con solo pantaloni e boxer addosso, occupando prepotentemente il doppio dello spazio di Levy.
La ragazza si girò verso di lui, rivelandogli che non dormiva e inchiodandolo con quegli occhi caldi e limpidi, intenti a elaborare migliaia di pensieri congiunti mentre lo scrutavano.
- Che fai? – mormorò lui, rannicchiandosi sotto le coperte gelide fino a sentire il calore che il corpo di Levy emanava a ondate. Avrebbe voluto avvicinarsi a lei ancora di più e stringerla, ma quello strano stato di imbarazzo in cui aveva gettato la loro storia nel momento in cui si era dichiarato aleggiava sopra di loro come una tempesta, le cui nuvole cariche attendevano solo di tuonare.
- Penso – rispose lei con lo stesso tono basso di voce.
Gajeel chiuse gli occhi e allungò una mano lentamente, quasi timidamente. Non voleva correre il rischio di toccare qualcosa di critico.
Levy intuì le sue intenzioni e tolse una mano da sotto il viso per unire le dita alle sue e stringergli la grande mano, intrecciando così i loro corpi. La ragazza aveva sempre ammirato quel piccolo gesto per dimostrare affetto, così insignificante eppure così intenso. Con le mani si potevano comunicare molte cose, ed erano tra le poche parti del corpo che permettevano a due corpi estranei di unirsi e, figurativamente, formarne uno solo. Per Levy le mani erano messaggeri del cuore.
- A cosa pensi? – la incalzò lui gentilmente dopo alcuni istanti di silenzio.
- Non lo so. A niente, a tutto. All’ultima volta che abbiamo dormito insieme qui nel tuo letto, alla guerra, a prima della guerra, a come ci siamo conosciuti. Dovrei spegnere il cervello.
Gajeel aprì un occhio e la scrutò, trapanandole la testa con lo sguardo nella speranza di accedere allo scrigno dei suoi pensieri. – Dovresti davvero – approvò, tornando poi a chiudere gli occhi una volta appurata la mancanza di attuabilità della sua idea. – Specie se ripensi a quando ci siamo visti per la prima volta.
Levy sciolse le loro mani e gli accarezzò il viso, senza riuscire a fargli aprire le finestre della sua anima: Gajeel si ostinava a non guardarla.
Allora lei si mosse verso di lui e lo abbracciò stretto, posandogli la testa sul petto e intrecciando le gambe alle sue. Lo sentì trattenere il respiro per alcuni momenti prima di ascoltare il suo sospiro direttamente dai suoi polmoni.
Ridacchiò sommessamente anche quando udì il suo cuore calmarsi e rallentare il ritmo. Era lusingata.
- Ti do fastidio? – gli chiese poco dopo, mentre Gajeel si muoveva per cercare di mettersi comodo.
In risposta, lui le circondò la vita e le posò un bacio tra i capelli, facendola gongolare.
- Era vero quello che mi hai detto quando pensavi che saresti morto? – gli chiese ancora, troppo agitata per riuscire a dormire e troppo curiosa per stare in silenzio.
Gajeel si sentì arrossire un po’ e ringraziò il buio della stanza che impedì a Levy di scorgere il suo imbarazzo. – Cosa di preciso?
- Che grazie a me hai capito cosa significhi amare, che hai iniziato a pensare all’idea di avere una famiglia e che… avresti voluto camminare al mio fianco per sempre. Sempre.
Davvero aveva detto quelle robe? Lui?!
Nota per me stesso, si rimproverò mentalmente, la prossima volta che stai per morire assicurati che la prima cosa a essere uccisa sia la tua lingua.
Poi però sentì Levy strofinare la testa contro il suo petto e le accarezzò le ciocche scompigliate e profumate di lei, e si disse che forse la sua quasi morte gli era servita per darsi una mossa. Altrimenti chissà quanto ci avrebbe messo a dichiararsi.
- Be’… se l’ho detto dev’essere vero – rispose in un borbottio brusco.
- Quanta convinzione – commentò lei, caustica.
- Senti, piccoletta, se non ne fossi stato convinto non l’avrei detto e ora tu non saresti qui a casa mia, nel letto con me.
Levy gonfiò le guance con irritazione. – Appena troverò un’altra casa leverò le tende – sancì, piccata, girandosi per dargli la schiena.
Gajeel sbuffò e la riacciuffò prima che lei riuscisse a raggiungere la parte fredda del letto, lontana da lui. – Non voglio che tu te ne vada. Ho rischiato di perderti già una volta, non serve allontanarsi di nuovo. Casa mia è anche casa tua, piccoletta. Resta…
Levy trattenne il respiro nella speranza di capire se il “per sempre” soffiato che aveva seguito le sue dolci parole era solo immaginario o realmente pronunciato. Si lasciò abbracciare da dietro senza suono proferire, e si addormentò sorridendo decidendo che per quella sera le parole sarebbero state superflue.
In Gajeelese, una lingua morta e poco conosciuta che lei aveva iniziato a parlare a meraviglia, quella mezza confessione equivaleva, ne era certa, ad un invito a coabitare. Dopo ciò che era successo, dopo aver provato sulla pelle e nel cuore il dolore della perdita, Levy non ebbe nemmeno il dubbio di essere troppo precipitosa. Bisogna approfittarne fintantoché la vita te ne dà l’opportunità, perché non sai mai cosa ti aspetterà al tuo risveglio.
Accarezzando le mani del ragazzo, intrecciate sul suo grembo, Levy seppe che l’indomani avrebbe iniziato a convivere con Gajeel e Lily. Sarebbe stata una pietra miliare nella storia di quella relazione che, silenziosa e quasi trascurabile, si era fatta strada nelle loro vite e nei loro cuori fino a prendere il possesso dell’intera gamma delle loro emozioni.
L’inizio di una convivenza. Di una storia tutta da scrivere.
L’inizio di una vita.




MaxB
Buongiorno! Che dire? Catastrofico ritardo come sempre ahahah. Sorry.
Questo è l'ultimo capitolo della GW, anche se mi manca Trouble Twins (e ho ignorato First Date), ma TT lo pubblicherò più avanti insieme alla collaborazione con la mia amica C63^^
Spero che vi piaccia, anche se questo non era il progetto originale perché io volevo fare una specie di raccolta di scene che mostrassero che l'inizio di una convivenza è dura. Temo però che dentro di me ci fossero ancora i residui di Grief e quindi... va be' il fluff c'è lo stesso.
A presto e grazie mille per avermi seguita fin qui^^
MaxB

 

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Capitolo 7
*** 5. Trouble Twins ***


 
5. Trouble Twins

Nota pre-lettura: questo capitolo è stato pubblicato dopo molto tempo rispetto alla scadenza originaria perché fa parte di una collaborazione in corso con una bravissima artista e amica, C63. Nelle note a fondo pagina trovate tutte le info e i link per seguirla e avere un'anteprima di questo capitolo reso come comic :)

- Che diavolo succede? Si sentono i vostri schiamazzi da cinque isolati di distanza invece che da tre! – sbraitò Gajeel mettendo piede nella gilda, malumore alle stelle come sempre.
Levy alzò gli occhi al cielo prima di dirigersi dalla sua amica Lucy e… fermarsi a pochi passi da lei.
Due bambini di circa cinque anni erano seduti sul tavolo che di solito occupavano lei e le sue amiche, circondati dalle ragazze della gilda e da loro vezzeggiati. Mira stava servendo del succo di frutta mentre Lucy parlava loro in quel tono tutto moine e vocina sciocca che si usa con i bambini quando si cerca di farli ragionare. Lisanna non faceva altro che emettere urletti estasiati di fronte alla loro tenerezza e persino Erza li guardava con orgoglio, nemmeno fossero figli suoi.
I piccoli avevano capelli azzurri come quelli di Levy, della stessa forma e lunghezza, e il suo stesso colore di occhi. Kana non faceva altro che ripetere che le ricordavano qualcuno di altrettanto tenero, ma nel suo stato di alterazione mentale da alcol non riusciva a ricordare chi.
La bambina sorrise compiaciuta all’ennesimo complimento di Juvia, esibendo le sue fossette che, insieme alle gote pacioccone, le occupavano tutto il viso morbido e privo di imperfezioni. Quando voltò lo sguardo e incontrò gli occhi di Levy, però, perse il sorriso, sbiancando, e tirò una gomitata al bambino vicino a lei, che sorrideva impertinente. Il bambino abbassò lo sguardo, intimorito, quando vide Levy.
- Ehi, che succede qui? – chiese Levy avvicinandosi al tavolo. Perso lo sbigottimento iniziale, sorrise in modo tranquillizzante ai bambini e si sedette di fianco a Lucy, proprio davanti ai due ospiti.
- Ciao Levy-chan. Guarda chi è venuto a farci visita dal futuro! – la accolse Lucy, indicando i piccoli con la testa.
Loro però, a disagio, abbassarono la testa e infine si voltarono verso due sconosciuti che in un primo momento Levy non aveva notato. Due sconosciuti dall’aria familiare, però…
- Ciao Levy! – la salutò uno dei due estranei, un ragazzo che si apprestava a diventare un uomo nonostante l’aria ancora infantile e ingenua. – Sono Romeo!
- Ro-Romeo?! Romeo Conbolt?!
Le ragazze al tavolo risero di fronte alla sua reazione, identica a quella che avevano avuto tutte loro, Romeo del presente incluso.
- Io sono Asuka invece! – si presentò la ragazza che era con lui, un’adolescente.
Levy boccheggiò. – Mi sembra di essere tornata indietro di sette anni, a quando Biska aveva ancora la mia età… Ma cosa… come?
Lucy rise. – Sono venuti dal futuro Levy, hanno fatto un pasticcio con il portale di Eclipse e ora devono tornare a casa. Non prima di domani, comunque, o rischiano di fare confusione con i tempi. Fairy Tail resterà la stessa gilda incasinata e combina guai anche quando diventeremo genitori noi, a quanto pare.
- Genitori? Intendi che questi due bambini sono i figli di qualcuno della gilda? – chiese Levy, curiosa.
- Esatto Levy-chan! Spero tanto che siano i figli di Juvia e Gray-sama, sono così adorabili! – esclamò Juvia, prima di svenire all’idea di avere dei figli da Gray-sama.
Il bambino rise sommessamente quando Juvia crollò a terra, e Levy increspò le sopracciglia.
Si era sbagliata o… quel bambino aveva detto: “ Gihihi”?
Nel fitto chiacchiericcio prodotto dai membri della gilda, più eccitati del solito, Levy concluse di essersi sbagliata. Probabilmente era la risata di Gajeel stesso quella che aveva sentito.
- Come vi chiamate? – domandò Levy con curiosità, accarezzando con il dorso delle dita la guancia della bimba davanti a lei.
La piccola, allarmata, guardò Romeo, che annuì quasi impercettibilmente e la fissò con aria seria e ammonitrice. – Mi chiamo Shutora.
- Shutora?! Wow, che bel nome! Sai che è il nome della  principessa protagonista di uno dei miei libri preferiti? – rivelò Levy, appoggiando il viso sugli avambracci stesi sul tavolo.
Lucy fece rimbalzare lo sguardo da Shutora a Levy, notando in che modo la luce producesse gli stessi riflessi turchesi sui capelli dell’amica e dalla bambina, e come gli occhi che si scrutavano da sotto le lunghe ciglia fossero identici, l’uno lo specchio dell’altro. Lucy non sapeva che aspetto avesse Levy da bambina, era arrivata tardi a Fairy Tail, ma se avesse provato a darle un volto avrebbe sicuramente visualizzato Shutora.
- Sì, lo so – rispose la bambina, rilassandosi un poco e sorridendo timidamente a Levy.
- Quanto sei carina – strepitò lei, estasiata. – Te la legge la tua mamma quella favola? A te piace leggere?
- Mh-mh – annuì la bambina, tornando ad innervosirsi e cercando con lo sguardo l’appoggio del bambino.
Levy seguì il tragitto dei suoi occhi e osservò il piccolo. – Tu sei suo fratello?
- Sì, sono il suo gemello.                   
- Che forte, dei gemelli! E come ti chiami?
- Yajeh – rispose lui, esibendosi in un sorrisetto sghembo che fece pigolare Mira e sciogliere Lisanna. Quel sorrisino furbo non le era nuovo, così come gli occhi dalle pupille leggermente allungate, ma Levy sorvolò.
Era una giornata strana, in fondo.
- Se vi chiedessi di chi siete i figli…? – domandò, lasciando appositamente la domanda in sospeso.
- Ah, no! – la bloccò Asuka del futuro, scuotendo le mani di fronte al suo viso, agitata. Non aveva mai avuto quella reazione quando gli altri avevano posto quella domanda. – Sarebbe un pericolo per il futuro e altererebbe…
- Le diverse versioni del tempo, cambiando la realtà da cui provenite. Lo sapevo, ero solo molto curiosa – si schermì Levy, ridacchiando. - E voi siete proprio adorabili.
Yajeh gonfiò il petto orgogliosamente al complimento e la piccola Shutora chinò il capo con malcelato imbarazzo.
- Vi immaginate la gilda tra dieci anni? – intervenne Erza. – Noi con dei figli, sposate… voi non potete proprio dirci nulla, vero? – chiese la ragazza, guardando prima Romeo e poi Asuka.
- Ah, no… - rispose lui, grattandosi la nuca. – A dire il vero non saremmo nemmeno dovuti venire qui, è molto pericoloso, ma Shutora e Yajeh hanno riconosciuto lo stemma di Fairy Tail e si sono fiondati qui senza ascoltarci.
- Proprio com’è successo quando hanno attivato il portale temporale – chiarì Asuka.
- Siete delle piccole pesti, allora – disse Lucy, facendoli arrossire.
- Non direi, in gilda ci sono bambini davvero terribili – rise Asuka. – Loro sono abbastanza tranquilli, ma sono molto curiosi e questo a volte li spinge a combinare più guai degli altri.
Shutora cercò di seppellirsi dentro il legno del tavolo, mentre Yajeh continuava a far correre lo sguardo fin troppo consapevole ovunque. Quel bambino doveva essere un vero furbastro sotto quell’aria un po’ tontolina e pacata.
- Spero di non ricevere una strigliata da G… - disse Romeo, prima di essere bloccato da una gomitata di Asuka.
- Dai genitori di Yajeh e Shutora quando scopriranno che siamo spariti. Sono andati in missione due giorni e hanno lasciato a me e Romeo i figli – spiegò.
- Quali genitori lasciano i figli piccoli da soli per due giorni? – chiese Levy, sorpresa.
Asuka, Romeo e i gemelli si guardarono e sorrisero per qualcosa che solo loro sapevano, attirandosi occhiate perplesse di tutte le ragazze.
- Sono dei bravi genitori, Levy. Ti piacerebbero – commentò Romeo con aria divertita.
- Vuoi dire che non li conosco?
- Dipende dai punti di vista – specificò Asuka, confondendo ancora di più la ragazza.
- Ehi, Levy, andiamo, ho preso la… e questi chi sono?
Gajeel, modi delicati ed educazione a parte, arrivò senza far notare la sua presenza e si chinò verso i due bambini, impietriti.
- Così li spaventi! – lo sgridò Erza tirandogli un pugno che lo fece arretrare di parecchi passi.
- Ciao bambini! Voi prendete fuoco? – gridò Natsu, seguendo a ruota il compagno e fiondandosi dai nuovi arrivati.
Lucy lo squadrò con l’aria sconsolata tipica di chi ha perso la speranza e la fiducia nel mondo. – Che razza di domanda è?
Natsu la ignorò e, diventando immediatamente serio, inspirò rumorosamente più volte, come un cane che segue una pista o una persona che cerca di capire la provenienza di un odore. – Ehi, ma perché questi due hanno l’essenza di…
- Natsu! – urlò Romeo, interrompendolo, saltando sul tavolo e placcandolo. – Ho imparato a maneggiare il fuoco dorato, vuoi assaggiarlo?
Gli occhi del ragazzo diventarono grandi come piattini e fu un miracolo se non assunsero la forma di un cuore. – Grande Romeo!  - esclamò, sputando una fiammata che costrinse Gray a ghiacciare una colonna per evitare che prendesse fuoco tutto il locale. – Ehi, ma perché tu profumi come Wendy? – gli chiese a bruciapelo mentre si allontanavano dai bambini.
- Storia lunga… - mormorò Romeo, imbarazzato, lanciando un’occhiata ad Asuka. Aveva lei, ora, il compito di proteggere l’identità dei genitori dei bambini.
Nel frattempo, Gajeel si era rialzato da terra, dove Erza lo aveva fatto cadere e lo aveva riempito di parole, e grattandosi la testa si era riavvicinato al tavolo al centro dell’attenzione dei membri della gilda.
Lanciò un’occhiata un po’ perplessa e confusa ai bambini sul tavolo, che si godevano le attenzioni degli adulti come pavoni intenti a far fare la ruota alla loro coda, finché la piccola incrociò i suoi occhi e gli sorrise timidamente.
Era così simile a Levy quando sorrideva…
- Smettila di fissare così Shutora-chan, Gajeel-kun, o la spaventerai – gli consigliò Juvia avvicinandoglisi.
Il ragazzo grugnì e distolse la sua attenzione da loro, cercando Levy.
- Andiamo piccoletta? – le chiese, interrompendo la sua conversazione con Lisanna.
- Dove andate? – domandò Erza, fin troppo curiosa, sovrastando di alcune ottave i toni di voce che le ragazze stavano usando, costringendo tutti a zittirsi e riportare il loro interesse sulla risposta di Gajeel.
- In missione – rispose Levy. – Una cosa breve, questa sera saremo di ritorno.
- Dovete recuperare quel libro? – indagò Lucy, sibillina.
- Esatto. Gajeel ha mangiato la copertina di metallo del mio libro più antico, di cui esistono solo cinque edizioni manoscritte e miniate. E lui ha giustamente deciso di fare in modo che nel mondo ne restassero solo quattro, di queste copie – commentò con sarcasmo, un misto di acidità e divertimento nel tono di voce. Gajeel era Gajeel, non poteva farci nulla. – Un cliente ha chiesto il recupero di un antico manufatto in cambio di una ricompensa in denaro e una delle quattro copie rimaste del manoscritto, quindi Gajeel si è offerto di aiutarmi nella missione per ripagarmi.
- Sì, sì, ora andiamo, però, o torneremo fra tre giorni – borbottò lui trascinandola via senza salutare nessuno.
Lily li stava già attendendo di fianco alla porta d’ingresso, e solo quando i tre furono fuori portata d’orecchio Lucy si arrischiò a dire: - Non penso che a loro dispiacerebbe stare in missione insieme per tre giorni.
Prima di uscire, Gajeel si voltò di nuovo verso i due bambini seduti al tavolo, che lo stavano osservando ma si affrettarono a distogliere lo sguardo una volta scoperti. Poi Levy lo chiamò e gli passò proprio sotto al naso mentre usciva dalla gilda, bloccandolo definitivamente.
- Ehi, andiamo Gajeel? – lo incalzò Lily tenendogli la porta della gilda aperta, in attesa che si muovesse.
Quando il suo compagno non diede segni di vita, gli sventolò una mano davanti al viso. – Tutto a posto? Natsu ti ha colpito più forte del solito?
Gajeel grugnì con disgusto all’idea di poter essere sconfitto da Natsu, ma non ribatté e seguì l’amico fuori dalla gilda. La frizzantina aria di Magnolia riuscì a dissolvere la nebbia che gli annichiliva le capacità cerebrali, e Gajeel fu finalmente in grado di riassumere il suo tormento in un unico quesito: perché i bambini profumavano come Levy?
 
Un gruppo di due ragazzi e una pantera si stava avvicinando alla gilda sotto alla guida delle stelle, quella sera. Levy canticchiava sottovoce e stringeva al petto il famoso manoscritto che Gajeel l’aveva aiutata a recuperare, dopo aver distrutto il suo, e la ragazza gli era stata talmente grata da lasciargli un bacio sulla guancia senza nemmeno riflettere sui suoi gesti. La cosa aveva spiazzato Gajeel e fatto galoppare il suo cuore, mentre Lily rideva e Levy, resasi conto dell’azzardo, era arrossita.
Gajeel aveva sulle labbra un mezzo sorriso che la notte gli nascondeva accuratamente, impedendo così a Lily di deriderlo, ma quella manifestazione di gioia che Levy riusciva sempre a fargli palesare si spense di colpo quando entrò nella gilda.
Pareva un bordello più che una gilda.
Non che la cosa fosse insolita, ma in quel caso si erano superati i limiti della decenza, raggiungendo nuove vette di assurdità. Gajeel riuscì all’ultimo a far scansare Levy e Lily dalla porta, evitando che una sedia volante cambiasse loro i connotati.
Levy aveva gli occhi grandi quanto il suo viso.
- Ma cosa sta…? – provò ad articolare, prima di abbassare la testa e interrompersi alla vista della scena che le si presentava davanti.
Rincorso dalla piccola Shutora, Yajeh stava ridendo mentre scappava da lei. Il botto che la sedia aveva fatto nel momento in cui era atterrata, fracassata, alle spalle dei tre nuovi arrivati, però, lo spaventò e lo fece inciampare. Yajeh si ritrovò steso per terra con un’espressione di sofferenza infantile sul viso mentre Shutora si premeva le manine sulla bocca temendo di essere stata lei la causa della caduta.
 - Scusa Yajeh – implorò, inginocchiandosi vicino a lui, cercando di aiutarlo ad alzarsi. – Scusami, non l’ho fatto apposta – lo supplicò, il terrore dipinto sul viso come in un quadro.
Levy si affrettò a chinarsi vicino ai bambini, che non l’avevano vista entrare. Quando alzarono gli occhi per appurare chi fosse, sbiancarono.
- Ehi, piccolino, tutto bene? Riesci ad alzarti? – chiese dolcemente passandogli le mani sotto le ascelle.
Il bambino annuì e si diede la spinta mentre lei lo tirava in piedi, alzandolo.
Per via dei pantaloncini corti e del legno ruvido della pavimentazione Yajeh aveva un ginocchio sbucciato che stillava lentamente goccioline di plasma più che di sangue, ma la sorellina scoppiò a piangere quando vide la ferita rossastra.
Levy si concentrò sul bambino, che non emetteva un gemito, e lo prese in braccio. Sbuffò di fatica mentre lo alzava. – O tu sei molto muscoloso, o io sono fuori allenamento – ridacchiò, facendo ridere anche il bambino.
- Io sono muscolosissimissimo come mio papà! – esclamò lui, dimentico della ferita, mostrandole i muscoli delle braccia magre e sottili.
Levy rise. – Accidenti, quanto sei forte. Farai strage di cuori da grande – asserì, facendolo gongolare. – Ora ti porto in infermeria così ti medico la ferita di guerra – lo informò.
Gajeel li osservò allontanarsi in silenzio, troppo intontito da tutte quelle diverse essenze di Levy per poter muoversi. Non c’era alcun dubbio: quei bambini avevano lo stesso identico odore della ragazza.
Sentendosi tirare il pantalone, Gajeel abbassò lo sguardo e con fatica riuscì a mettere a fuoco la bambina che cercava di chiamarlo. – Mi porti in infermeria da Yajeh, per piacere?
Senza pensare, il ragazzo annuì meccanicamente e si chinò per prenderla in braccio.
In quel momento si stupì per due motivi: primo, per lui fu spaventosamente naturale prendere la piccola in braccio e, secondo, il modo in cui lei strofinò il nasino contro il suo collo e lo abbracciò in cerca di conforto gli strinse il cuore in una morsa d’affetto che aveva scoperto di provare solo per Levy.
Lily gli diede una pacca per spronarlo a raggiungere l’infermeria prima di bloccare un boccale di birra vuoto e vagante e gridare a quel branco di matti di smetterla.
Confuso dalla vicinanza della bambina, appena si fu chiuso la porta dell’infermeria alle spalle Gajeel si affrettò a metterla per terra.
La piccola corse saltellando verso il fratello, seduto su un lettino in attesa che Levy, cotone e disinfettante in mano, gli pulisse la sbucciatura. – Yajeh, farà un po’ male, sai? Ti brucerà. Però poi io e la tua sorellina soffieremo sopra la ferita così farà meno male, va bene?
Il bambino annuì e sorrise alla sorella, tranquillizzandola. – Non lo dirò alla mamma, Shutora – la tranquillizzò.
- Ma lei lo scoprirà lo stesso perché ti verrà la crosticina – piagnucolò lei, rosa dai sensi di colpa. – La mamma si arrabbia tanto quando litighiamo e penserà che ti ho fatto male io – gli fece notare lanciando un’occhiata a Levy, quasi in attesa di una reazione.
- Non l’hai fatto apposta, piccina. Stavate giocando, non litigando – la calmò infatti lei, sorridendole. – Vedrai che capirà.
Tirando su con il naso, Shutora annuì, più calma, e si alzò sulle punte per guardare la sanguinolenta e gigantesca piccola feritina superficiale decisamente mortale del fratello.
Mentre Levy imbeveva il cotone di disinfettante verde, Shutora si girò verso Gajeel, immobile a osservare la scena, e alzò le braccia per farsi prendere in braccio. Lui obbedì alla sua richiesta e la prese in braccio di nuovo, stringendosela al petto, conscio di quanto il suo piccolo corpicino fosse delicato, morbido e caldo premuto contro il suo. A un tratto si chiese per quale motivo non avesse mai acquistato un peluche. Probabilmente quella notte avrebbe costretto Lily a dormire abbracciato a lui. In forma di gatto, ovviamente.
Levy, lanciandogli un’occhiata di sottecchi, sorrise intenerita di fronte alla dolcezza di Gajeel, prima di chinarsi verso il ginocchio del bambino.
Cercando una conferma sul suo viso, gli posò delicatamente il tampone umido sulla zona offesa, e lo vide stringere gli occhi per il bruciore.
Shutora nascose il viso nel petto di Gajeel, rifiutandosi di guardare, e chiese sommessamente: - Gli fa molto male?
- Ma no – minimizzò lui, attirandosi l’occhiata del bambino. – Tuo fratello, Yajeh vero?, è un duro. Non gli rimarrà nemmeno una cicatrice – la consolò.
Il bambino si adombrò. – Niente cicatrice? Io volevo una cicatrice come quelle di papà.
- Tuo papà ha molte cicatrici? – gli chiese Levy togliendo il cotone e iniziando a soffiare sulla ferita, facendolo ridacchiare per il solletico.
- Sì tante. Anche lui ci fa sempre il solletico – rivelò Shutora vedendo ridere suo fratello. – Quando gli facciamo il solletico noi, invece, fa finta di soffrirlo, ma io so che in realtà non è vero che gli facciamo il solletico. Però fa ridere lo stesso.
Levy ridacchiò, cercando di immaginare chi potesse essere il loro padre.
Shutora si asciugò le lacrime e sbirciò il fratello, che aveva riassunto la sua espressione placida e beata e osservava Shutora in braccio a Gajeel, che senza accorgersene aveva iniziato a dondolare leggermente, come a cullarla.
La bambina gli toccò il braccio destro fino a incontrare le piccole depressioni della pelle in corrispondenza delle numerose cicatrici.
Gajeel si irrigidì e la sentì mentre esplorava i vecchi tagli cutanei, aspettandosi di sentirle formulare qualche domanda o girarsi per vedere cos’avesse sul braccio. Ma la bambina continuò ad accarezzargli l’arto metodicamente, quasi fosse abituata a farlo e, soprattutto, come se avesse saputo della presenza di quelle cicatrici proprio lì.
Lei sapeva che c’erano, ed era abituata a toccarle. Gajeel ne era convinto.
Piano piano la sentì afflosciarsi verso il suo braccio sinistro mentre Levy finiva di medicare e mettere un cerotto a Yajeh, così chinò il viso e le annusò i capelli morbidi che gli fecero pensare di essere finito all’interno di una nuvola azzurra e vaporosa.
Il profumo di Levy era così forte che Gajeel dovette stringere i denti per cercare di placare gli impulsi che aveva iniziato a provare nei confronti della ragazza nel momento in cui aveva scoperto poco a poco di amarla.
Quante volte aveva sognato di seppellire il viso nei suoi capelli e abbracciarla?
Shutora era ovviamente una bimba, ma a Gajeel sembrava di avere tra le braccia proprio Levy, anche se l’istinto che aveva nei confronti della piccola era del tutto diverso da quello che lo spingeva a voler stringere a sé la ragazza.
- Ditemi che i bambini sono qui! – esclamò la vecchia Asuka spalancando la porta, prima di tirare un sospiro di sollievo alla vista di Yajeh, che la salutò sorridendo con aria colpevole.
- Gajeel, non si tiene così un bambino! – inveì invece Lucy, chiudendo la porta per lasciare fuori il trambusto delle scimmie. – Shutora sarà terrorizzata, guarda come l’hai fatta afflosciare, sarà scomodissima. Non ci sai proprio fare con i bambini.
Gajeel ringhiò, infastidito, quando Lucy gli si avvicinò per prendergli la piccola dalle braccia. Avrebbe voluto voltarsi per allontanare la bambina da lei, ma non servì: Lucy non arrivò mai a togliergliela.
- Dorme – sussurrò, sconvolta. – Sta dormendo, e sta pure sorridendo! Come hai fatto a non spaventarla?
Gajeel le lanciò un’occhiataccia malevola che parlava più di un oratore carismatico, ma il sorriso dolce e intenerito di Levy lo distrasse e gli fece perdere la caustica risposta che stava mettendo insieme.
- Anche il nostro papà è un po’ brusco e a volte fa paura per il suo aspetto – commentò Yajeh, muovendo le gambe avanti e indietro dalla sua posizione comoda sul lettino. – Ai nostri amici fa paura anche quando non dice nulla. Però in realtà è molto buono e gentile, non si arrabbia quasi mai. Non sul serio.
Il bambino si affrettò subito ad abbassare lo sguardo quando vide l’occhiata ammonitrice di Asuka, alle spalle di Gajeel.
- Buon per voi che avete un bravo papà, allora – commentò Levy, accarezzando i capelli di Yajeh.
- Ho sete – ribatté il bambino, cambiando bruscamente discorso.
Lucy sorrise e prese in braccio Shutora, facendo attenzione a non svegliarla.
- Vai con Gajeel a prendere un po’ d’acqua? – propose Levy, allungando le braccia per prendere il bambino che annuiva il suo consenso.
- Ah, Levy, forse è meglio se…
- Ehi, Asuka – la interruppe Lucy, bisbigliando per non svegliare Shutora. – Dove state questa notte?
Mentre la ragazza, distratta, rispondeva a Lucy, Levy passò Yajeh a Gajeel, che cercò di fare del suo meglio per mostrarsi bravo e capace con i bambini. Quando si avvicinò alla porta con Yajeh sorretto facilmente da un solo braccio e gli occhi di Levy, dolci e affettuosi, puntati sulla schiena, capì di esserci in parte riuscito.
Gajeel raggiunse con fatica il bancone del bar con il delicato pacchetto in braccio, facendo il limbo per schivare oggetti di legno non meglio identificati, talvolta persone, che volavano in giro senza motivo, o saltando per evitare di calpestare pozze di liquido dalla dubbia provenienza, anche se la schiuma gli dava la certezza che la maggior parte dei fluidi fosse birra.
Aveva quasi raggiunto il bancone quando intercettò la fastidiosa voce di Natsu dire: - Devi avvicinarti e sentire, Wendy. Hanno lo stesso identico odore di Gajeel, è inconfondibile. Quei due hanno qualcosa a che fare con lui, fidati.
Voltando il viso verso la provenienza della voce, Gajeel vide Natsu che parlava con aria da cospiratore con Wendy, appartati in un angolino insieme a Charle, Happy e Lily. I due gatti maschi scandagliarono la sala alla ricerca di Gajeel, e quando lo videro fecero saettare gli occhi dal bambino che aveva in braccio a lui, cercando… qualcosa.
Wendy invece sembrava dubbiosa, e si fissava le scarpe mormorando i suoi pensieri. – Hanno lo stesso odore? Quei due bambini che sono con Romeo e Asuka? Lo stesso odore di Gajeel?
Natsu annuì. – E Lucy ha detto che vengono dal futuro. Ma il punto è che sento anche l’odore di L…
Gajeel smise di ascoltare quando rischiò di cadere sopra il piano bar: non si era nemmeno accorto di averci sbattuto contro. Ordinò a Mirajane un bicchiere d’acqua fresca e fece sedere Yajeh sul bancone, incatenando gli occhi ai suoi. Il bambino lo fissava con curiosità e familiarità, a suo agio, con quegli occhi marroni-rossicci dalla pupilla leggermente allungata come quella di un rettile. Era lo stesso colore delle iridi di Levy, solo… più sanguigno. E i capelli erano esattamente come quelli di lei, senza ombra di dubbio.
Gajeel ringraziò Mirajane con un cenno del capo quando gli allungò il bicchiere, e lui lo mise nelle mani del bambino che seppellì il viso nel vetro freddo.
Aveva il naso inebriato del profumo di Levy, ma perché Natsu aveva detto che i gemelli avevano il suo stesso odore? Lui avrebbe messo la mano sul fuoco, giurato e spergiurato che avessero quello di Levy. Il suo naso stava forse perdendo colpi? Era vero che Natsu aveva un olfatto migliore del suo mentre lui aveva l’udito superiore a quello di chiunque, ma di sicuro il suo olfatto non avrebbe mai confuso l’odore di Levy. Mai.
Le sue elucubrazioni cambiarono l’oggetto del loro accanimento quando Yajeh sospirò contento e posò il bicchiere sul bancone. La luce colpì il bracciale che aveva al polso e Gajeel assottigliò gli occhi prendendogli la minuscola mano e avvicinandosela al viso per studiarla.
Quel bracciale era identico al suo, pareva che l’avesse proprio fatto lui. L’odore di quel metallo poi era molto, molto particolare. Ogni pietra, ogni pezzetto di legno, ogni oggetto di plastica ha un odore leggermente diverso dagli altri. Quel bracciale aveva l’odore del metallo che lui stesso produceva in quanto Dragon Slayer. – Ehi, bambino, dove hai preso questo…
Le parole gli morirono in gola quando, voltandogli il polso verso l’alto, vide un piccolo simbolo nero quasi invisibile a una prima occhiata, ma lampante a degli occhi esperti. Su quel bracciale era inciso il suo marchio, quello che metteva in ogni sua piccola creazione da mantenere, non da usare come oggetto di guerra o palline da scagliare contro Gray per infastidirlo. Quel simbolo, una specie di aerogramma con una piccola fetta aperta in basso a destra, rappresentava una stilizzazione della G e della R, inserite una nell’altra.
La G e la R di Gajeel Redfox, una piccola firma alle sue migliori opere.
Ciò significava che quel bracciale lo aveva fatto lui per il bambino. E questo lo portava a due possibili conclusioni: uno, i genitori di Yajeh o Yajeh stesso gli avevano chiesto di regalargli un bracciale come dono, o, due, quel genitore era proprio lui.
La sola idea lo faceva ridere. Quel piccoletto non gli assomigliava per niente!

A parte per la forma delle pupille.
E della gamma mooolto vasta di espressioni facciali, e per i canini aguzzi.
- Chi ti ha regalato questo bracciale, e perché? – chiese di getto, senza curarsi del tono di voce reso aspro dalla preoccupazione.
Il bambino diede segno di ansia più che di spavento, e Gajeel lo vide mentre con gli occhi cercava freneticamente qualcuno, qualcuno che potesse salvarlo dal rispondere.
Dal rispondere a una domanda alla quale non poteva rispondere.
- Ehi Gajeel! – lo salvò Levy, chiamandolo alle sue spalle.
Lui si voltò e… semplicemente smise di respirare.
Levy gli stava andando in contro con la bambina addormentata in braccio, il viso appoggiato sulla sua spalla. Erano assolutamente identiche, con le ciocche cerulee un po’ spettinate e il piccolo sorriso di prassi dipinto sulle labbra.
Shutora aveva ovviamente gli occhi chiusi, ma Gajeel sapeva che se li avesse aperti in quel momento avrebbe visto quattro paia di identiche e brillanti finestre aperte sull’anima pura di due meravigliose creature indissolubilmente legate.
Non c’erano dubbi su chi fosse la responsabile di aver dato alla luce tanta meraviglia. E quando Gajeel allungò irrazionalmente le braccia per prenderle la piccola dalle braccia, ripensando alle parole di Natsu e Wendy, si chiese come avrebbe mai potuto prendere parte alla generazione di quegli splendidi bambini.
Eppure il sorriso grato di Levy, il calore e il conforto che Shutora trasmetteva e riceveva da lui, e l’espressione consapevole e appagata che Yajeh regalava a lui e Levy dissiparono ogni dubbio nella sua mente.
- I bambini dormono da Lucy questa sera, noi li accompagniamo, mentre Asuka e Romeo hanno prenotato una stanza in un albergo qui vicino. Non possono dormire con le loro famiglie, per precauzione. Non sia mai che si lascino sfuggire qualche notizia fondamentale tipo che paia di calzini indosseranno durante un ipotetico terremoto – spiegò Levy ridendo, spostando alcune ciocche ribelli di Shutora dal suo viso placido e sereno.
Gajeel annuì e Lucy, che aveva seguito Levy, prese in braccio Yajeh con uno sbuffo di fatica. – Hai mangiato ferro a cena? – gli chiese ironicamente.
Il bambino sbarrò gli occhi e il suo sguardo corse a Gajeel, che ghignò e gli fece l’occhiolino. – Dallo a me, coniglietta – ordinò, avvicinandosi alla ragazza.
- Ma hai già Shutora in braccio!
- E allora? In due peseranno meno della metà di Levy, che è un peso piuma, cosa vuoi che sia?
Presa in causa, Levy arrossì e si allontanò di un passo per permettere a Lucy di sistemare Yajeh sul fianco libero di Gajeel, impegnato a sorreggere i due bambini in modo che la piccola non cadesse e il fratello non la svegliasse.
- Andiamo? – li incalzò Levy, facendo strada verso la porta della gilda.
Lucy la seguì a ruota con Gajeel al seguito.
Yajeh lo fissò di sottecchi e sorrise prima di mettersi comodo e posare la testa sulla sua ampia spalla.
Qualcosa suggeriva a Gajeel che quella non fosse la prima volta che quei due gemelli si ritrovavano addormentati in braccio a lui.
 
Il tragitto verso casa di Lucy fu tranquillo e quasi noioso.
Lei e Levy parlarono del libro antico recuperato durante quella giornata, a quanto pare una delle prime storie di fantasia che erano state manoscritte nel corso della storia, tipo Il signore degli anelli o La Storia Infinita scritti a mano dall’autore in cinque copie. Roba grossa. Gajeel diede il suo contributo alla conversazione sbadigliando, quando Levy lo interpellò per coinvolgerlo nella discussione, e la ragazza desistette dall’interrogarlo ulteriormente. L’argomentazione infatti iniziò a focalizzarsi su temi specifici e libri appena usciti, niente a che vedere con quello preziosissimo che Levy conservava gelosamente nella borsa, e Gajeel di nuove uscite letterarie ne sapeva meno che della vita di Zeref.
Così, ritraendo la mente e distogliendola dalla voce delle due ragazze, passò tutto il tempo a contemplare quelle due testoline azzurre appoggiate alle sue spalle. I gemelli dormivano placidamente e probabilmente nemmeno l’arrivo di Natsu a cavallo di uno tsunami li avrebbe svegliati. Gajeel si ritrovò a sorridere leggermente vedendo il modo in cui i loro capelli oscillavano dolcemente ad ogni passo, e quella strana sensazione di familiarità mista a calore e affetto tornò a solleticargli la bocca dello stomaco. Il ragazzo provò l’impulso e il desiderio di sdraiarsi in un letto e circondarsi di quei due bambini e Levy.
Fu quest’ultima a strapparlo dolorosamente dal suo onirico idillio. – Gajeel siamo arrivati. Accompagna Lucy di sopra, io ti aspetto qui.
Il ragazzo obbedì senza proferire parola, seguendo Lucy su per le scale e poi dentro la porta del suo appartamento.
- Mettili pure sul mio letto – gli comandò bisbigliando, scandagliando la stanza con lo sguardo per verificare l’effettiva mancanza di Natsu.
Gajeel depose delicatamente i bambini sul letto, intenerito di fronte al piccolo pugno di Shutora che gli aveva afferrato la maglia e sembrava intenzionata a tenerlo lì con sé.
Stava per allontanarsi, quando sentì Yajeh mormorare - …nanotte papà.
Colpito al cuore, Gajeel barcollò ed evitò una caduta solo grazie alla mano di Lucy, che lo stabilizzò. – Tutto a posto?
Incapace di parlare, lui annuì e la salutò, eclissandosi oltre la porta.
Lucy sospirò, troppo abituata ai comportamenti insoliti e bizzarri di Natsu per preoccuparsi, e iniziò a spogliare i gemelli per metterli sotto le coperte.
Nel farlo, svegliò accidentalmente Shutora, che aprì un occhio nel quale era ancora dipinta la stanchezza e palese la voglia di dormire. – Dov’è andato papà, zia Lucy?
La ragazza si bloccò con una scarpa in mano, esterrefatta.
Zia Lucy? Zia Lucy?!
- Il papà non c’è, piccolina. Domani lo rivedrai – la rassicurò Lucy, temporeggiando, sperando che la bambina si accontentasse di quella risposta evasiva.
Fortunatamente, Shutora annuì e chiuse gli occhi. – Papà ci dice sempre che siamo troppo grandi per essere presi in braccio – farneticò mentre Lucy continuava a spogliarla. – Ma io lo so che… - mormorò, perdendosi. – Poi è lui a prenderci… in braccio. Gli piace. Dice che è come tenere in braccio la mamma da piccola…
Lucy sorrise nel silenzio che si creò poi, accarezzando la testolina di Shutora. Yajeh russava piano.
- Zia Lucy? – la chiamò ancora la bambina.
- Sì?
- Il papà è andato a casa con la mamma?
La ragazza si grattò la nuca, leggermente inquieta. Era evidente che Shutora stava vaneggiando, la mente obnubilata dai fumi soporiferi del sonno, e non riusciva a distinguere il passato dal presente o dal futuro.
- Il papà è già a casa con la mamma, aspettano voi – la rassicurò, stringendo gli occhi e pregando che la piccola la smettesse di fare domande e dormisse.
Poi si rese conto che se lei avesse risposto alle domande di Shutora non sarebbe cambiato nulla nel corso della storia. Semmai, era proprio la piccola a poter cambiare il corso degli eventi, spiattellando informazioni che avrebbero dovuto rimanere riservate.
Agitata, Lucy si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse far tacere la bambina, intenzionata a parlare nel sonno più di quanto non facesse da sveglia.
- Il papà… ci dà sempre il bacino prima di dormire – farfugliò ancora Shutora, rabbrividendo nello stato di dormiveglia in cui si trovava. – Lui pensa che dormiamo, ma in realtà siamo svegli e sappiamo che lui viene di nascosto a darci un bacino. La mamma ce lo dà prima e poi lo aspetta sulla porta. Anche… Lily ce lo dà prima di dormire.
Lucy si bloccò nell’atto di disfare il letto per infilare i gemelli tra le coperte.
Lily? Cosa c’entrava Lily?!
- Lily dice sempre a papà che è una testa di ferro – mormorò la bambina. – Perché non vuole farsi vedere mentre ci dà il bacino. Lui si arrabbia e diventa davvero tutto di ferro. Fa ridere, diventa tutto grigio, e la mamma rincorre sia lui che Lily…
Diversi minuti di chiacchiere insensate dopo, finalmente Shutora chiuse la bocca e sprofondò in un sonno profondo con il sorriso sulle labbra.
Alla finestra, Lucy, con l’aria intenerita e una strana gioia che le pervadeva il cuore, fissava in lontananza le luci soffuse del dormitorio delle sue nakama, Fairy Hills, dove Gajeel stava accompagnando Levy.
Sorridendo e scuotendo la testa, la ragazza si infilò il pigiama e si diresse a letto, dai loro figli, certa del fatto che le stelle che tingevano di luce il manto notturno avrebbero operato la loro magia per quei due futuri innamorati genitori.
 
- Gajeel, tutto bene? Sei più silenzioso del solito… - lo incalzò Levy dopo alcuni minuti di camminata taciturna.
La casa di Lucy non distava molto da Fairy Hills, dieci minuti a piedi se il tragitto veniva percorso di buona lena. Quella notte, però, stavano già camminando da quindici minuti, lenti come se ai piedi avessero delle zavorre, senza fretta e senza nerbo.
Il cielo sembrava una distesa infinita di tintura nera, come se un bambino avesse dipinto con le tempere un foglio di carta e lo avesse appiccicato sul soffitto del mondo, rendendolo uniforme e calmante nel suo ordine. Il contrasto tra il suo spettro nero e il fulgore delle stelle non faceva altro che aumentare la sensazione di quiete e placida serenità nel cuore di chi osservava quello spettacolo a naso in su.
Levy sorrise leggermente quando vide due stelle gemelle splendere più forte per un attimo e poi spegnersi, prima di tornare a brillare. Le capitava spesso di notare dei baluginii strani in astri relativamente vicini, come due occhi, e non poteva fare a meno di pensare che fosse il Re degli Spiriti Stellari che ammiccava a lei o a qualunque altro amico di Lucy che avevano il coraggio di tentare di vederlo al di là di ciò che l’occhio umano poteva cogliere.
Gajeel notò quel sorriso e sospirò piano, sempre più confuso.
Le passeggiate che faceva con Levy erano sempre silenziose, più o meno, ma non così tanto. Di solito la ragazza parlava del più e del meno, argomenti originali e a volte inusuali di cui lui non si stancava mai. Bene o male, Levy lo coinvolgeva sempre, e i due finivano per parlare per ore, passando da argomenti seri a facezie in tempo record, senza mai esaurire le parole.
Quella sera, però, la ragazza non aveva nemmeno provato ad aprire bocca, osservandolo di tanto in tanto con curiosità. Lui era troppo impegnato a pensare ai due gemelli per provare a sforzarsi di conversare di qualsiasi altra cosa.
- Secondo te di chi sono figli i due gemelli? – chiese poco dopo, puntando i suoi occhioni luminosi su di lui. Quei due meravigliosi gioielli sul viso di Levy non avevano nulla da invidiare alle stelle.
- Ehm… - borbottò lui, a disagio, fissando il bosco alla sua sinistra. Maledisse Lily per essersela svignata con la scusa della stanchezza e averlo lasciato solo in balìa di una curiosa Levy. – Per me non dovremmo discuterne… - concluse laconico.
Levy lo fissò con tanto d’occhi, mentre la sua espressione interessata e viva si spegneva leggermente.
- Sai – si affrettò ad aggiungere lui, sentendosi in colpa per aver calpestato il suo entusiasmo, - per via del possibile… coso… il… tempo. L’alterazione del tempo, lì.
- Giusto – acconsentì Levy, unendo le sue mani dietro la schiena e procedendo a testa bassa, leggermente imbarazzata.
Il silenzio di Gajeel non l’aveva mai, mai messa a disagio. Eppure, ultimamente le cose tra loro stavano cambiando.
Pochi istanti dopo giunsero all’ingresso di Fairy Hills, dove Levy si pulì le suole impolverate sul tappeto.
Si voltò per salutare Gajeel e porgli una domanda, quando un urlo di Erza fece tremare l’edificio.
Levy ridacchiò. – Scusa se non ti faccio salire, ma, sai… potrebbe essere più un male che un bene per te. Anzi, lo sarebbe di sicuro.
Il ragazzo annuì e tirò un piccolo calcio ad una zolletta di terra, che rotolò via e si sgretolò contro un sasso. – Allora, buonanotte Levy – dichiarò grattandosi la testa, osservandola di sottecchi.
Lei annuì, esitante, e Gajeel vide il dubbio attraversarle il volto. Se quella fosse stata un’altra sera, un altro giorno, un’altra occasione, le avrebbe chiesto senza tentennare quale strano mistero irrisolto, quale arcano dubbio le stesse divorando il cervello.
Ma quella sera aveva paura della risposta, per cui la scrutò in silenzio, indissolubilmente legato a lei e profondamente terrorizzato.
Quando mosse un passo per allontanarsi, Levy esclamò il suo nome, afferrandolo per il braccio.
Rimasero immobili finché lei trovò il coraggio di parlare. – Sei stato bravo con i bambini. Ci sai fare.
Lui non rispose, incapace di comandare al cervello di prendere possesso dei suoi muscoli.
- Ti vedrei bene, come padre – ammise Levy sommessamente, ritraendo la mano.
Collegato ad essa da fili invisibili, Gajeel si voltò e le scavò dentro con gli occhi rossi che ardevano, freneticamente alla ricerca di certezze e convinzioni.
- Mh – mormorò poi, ringraziando la sua materia grigia per essere stata in grado di elaborare una tale esauriente risposta.
Levy pensava che sarebbe potuto essere un buon padre? Lui?
Ma questo non confermava i suoi sospetti sull’identità dei genitori dei gemelli? Su di loro? Voleva dire qualcosa?
- Ti piacerebbe… un giorno… vorresti avere dei figli? Una famiglia, con… moglie e figli. La vorresti? – sussurrò Levy, fissando l’interessantissima punta dei suoi piedi mentre formulava quella domanda casuale che, per Gajeel, nascondeva più emozioni e sentimenti di un “ti amo”.
Se voleva una famiglia? Figli?
Non ci aveva mai pensato.
O meglio, non ci aveva mai pensato prima di rendersi conto di quanto Levy fosse speciale e… amabile.
La verità era che, in quel momento, in quello stato d’animo, in quella notte che era seguita ad un giorno pieno di eventi bizzarri e sconcertanti, Gajeel non capiva più nulla di cosa volesse, di cosa avesse, di cosa provasse.
Così, disprezzando se stesso, si voltò e si incamminò verso casa, dove Lily lo aspettava.
- Buonanotte Levy.
Con il suo udito da drago, Gajeel non fu in grado di captare una risposta al suo augurio, ma fu ben consapevole dello sguardo affranto di Levy puntato sulla schiena finché sparì dietro agli alberi, tirando un sospiro di sollievo e un pugno ad un albero.
 
Reduce da una notte insonne, Gajeel si alzò di buonora e, dopo aver lasciato un bigliettino e due kiwi freschi sul tavolo per Lily, s’incamminò verso la gilda.
L’aria frizzantina del mattino lo rinvigorì e gli restituì parte di quella lucidità mentale che a lui mancava a causa della serie di eventi del giorno prima e della notte tormentata. Quando entrò in gilda non fu sorpreso di vederla parzialmente vuota, occupata solo dal master, da Laxus in stato comatoso mezzo stravaccato sul bancone e da Kana riversa sullo stesso bancone, che probabilmente aveva passato la notte in quel preciso punto, troppo ubriaca in seguito ad una delle sue ricorrenti gare di bevute.
Ciò che non si aspettava di vedere, invece, era Lucy con i gemelli. I bambini sembravano ben riposati anche se i loro occhietti pesanti e gli sbadigli da leoni lasciavano ad intendere la loro difficoltà ad abbandonare l’abbraccio di Morfeo. Lucy era… be’, Lucy dormiva sempre poco. Avere il letto occupato da Nastu e compagnia bella cinque sere su sette non era esattamente riposante.
Gajeel decise che quel giorno non le sembrava peggio delle altre, ecco. Almeno era pettinata.
- Ciao – salutò educatamente sedendosi al tavolo con loro, con la voce melliflua simile al raschiare degli artigli di un gatto contro una lavagna.
Lucy sobbalzò dallo spavento e i gemelli sorrisero felici, perdendo subito lo strascico di sonno che si portavano dietro dal loro letto.
- Ciao p… pollo – esultò Shutora, bloccandosi nel bel mezzo della frase e bofonchiandone il finale.
Yajeh rise sotto i baffi e Lucy la guardò come una che la sa lunga.
Gajeel ghignò amichevolmente e le scompigliò i capelli. – Io non ho sentito come mi hai chiamato, va bene? – le propose, gioviale.
La bambina rise e annuì con vigore, lieta che Gajeel non si fosse arrabbiato per l’appellativo.
- Bambini, andate a dire a Mirajane cosa volete per colazione. Io vi aspetto qui – li incoraggiò Lucy, aiutandoli a scendere dal tavolo.
Silenziosi e obbedienti, i gemelli ciondolarono fino al bancone, attirando l’attenzione di Laxus che li prese in braccio per fare in modo che Mira si accorgesse della loro presenza.
- Come sono stati? Bravi? – indagò Gajeel, incapace di nascondere una punta di apprensione mista ad aspettativa nel suo tono di voce.
Lucy lo fissò sbigottita e… incerta.
- Sono dei bravi bambini, educati e dolci. Penso che in questo abbiano preso dalla mamma – lo stuzzicò, sondando il terreno.
Lui sogghignò. – Lo penso anche io. Educazione, dolcezza e aspetto, questo è indubbio – commentò, decisamente orgoglioso nei confronti di quei bambini che non si era nemmeno reso conto di amare fino a quel momento.
Ma era innegabile che fossero i suoi figli.
Suoi e di Levy.
- Dal papà hanno preso la testardaggine – disse casualmente Lucy, attenta e cogliere le reazioni di Gajeel.
Lui roteò gli occhi. – Solo questo hanno preso da me?
Lucy si sciolse in un sorriso pieno d’affetto. – Come l’hai scoperto?
- Profumano in maniera obnubilante di Levy. Da far girare la testa. Però Natsu e Wendy hanno detto che hanno il mio odore. Yajeh ha un braccialetto che ho fatto io, su questo non ci piove. E diversi altri motivi. Penso che un padre riconosca i propri figli in maniera viscerale.
Lucy scoppiò a ridere, facendo voltare i gemelli, un po’ perplessi. – Certo, certo, immagino che ti si sia risvegliato l’istinto paterno e tu sia diventato una persona migliore.
Gajeel grugnì, infastidito dal suo sarcasmo.
- Hanno un buon cuore. Hanno preso anche quello da te, in parte – lo rassicurò Lucy, rischiando di farlo arrossire. – Levy sospetta qualcosa?
Gajeel scosse la testa. – Ha il cervello più brillante che esista, eppure qualche volta è un po’ tonta riguarda a certi argomenti.
- Forse è per questo che vi amate – lo rimbeccò Lucy, divertita.
Questa volta Gajeel arrossì furiosamente.
- Ehi, razza di cosplayer, non siamo innamorati. Cioè noi non… noi…  ci facciamo i fatti nostri, ecco!
Lucy rise ancora di fronte al Gajeel imbarazzato che mai avrebbe pensato di vedere in vita sua.
Notando che i gemelli stavano tornando, posò una mano sulla sua, richiamandolo, e gli fece l’occhiolino. – Sarete due genitori fantastici, ma, ti prego, non dire nulla a Levy. È importante per il futuro dei vostri stessi figli.
Roteando le iridi rosse, Gajeel borbottò qualcosa in merito alla fiducia e al non essere così stupido come molti pensavano.
 
I gemelli, Romeo e Asuka del futuro partirono quella sera, dopo aver salutato i membri della gilda uno ad uno ed aver promesso di portare i loro saluti ai loro stessi del futuro.
Lucy si era quasi commossa quando aveva salutato i gemelli, che le avevano bisbigliato all’orecchio un caldo e tenero: - A dopo zia.
Sorprendendo Levy, avevano voluto a tutti i costi un bacino da lei, costringendola a chinarsi per essere alla loro altezza. Specchiandosi nei loro occhi del suo stesso colore, si era sentita scaldare il cuore e li aveva abbracciati fin quasi a stritolarli, facendosi giurare che non si sarebbero cacciati nei guai e non avrebbero più spaventato i loro genitori sparendo nel passato.
I gemelli avevano riso di fronte a quella preoccupazione.
Il saluto di Gajeel era stato commovente, ma nemmeno Natsu si era azzardato a prenderlo in giro per i suoi sentimenti verso quei piccoli bambolotti coccolosi e simpatici.
Levy era rimasta per parecchio tempo appoggiata alla porta aperta della gilda, dopo la loro partenza. Aveva fissato il cielo per lunghi e interminabili momenti, riflettendo profondamente su migliaia di cose e allo stesso tempo svuotano la mente per non pensare a nulla.
Quando stava per rientrare, dopo essere rabbrividita, Gajeel le si affiancò silenziosamente, gettando un’ombra su di lei. Non le si era avvicinato per tutta la giornata, e se non fosse stato per la presenza distraente dei gemelli, Levy sarebbe già impazzita di paranoia di fronte al suo disinteresse.
- Ehi – mormorò lui, con la voce bassa che riverberava per le strade vuote.
- Ehi – rispose pacatamente lei, chinando la testa per nascondere un sorriso.
- Scusa per ieri. Ero parecchio… stanco. Giornata pesante.
Levy gli lanciò una strana occhiata e cercò di raddrizzarsi per essere un po’ meno bassa. – Uh-uh – acconsentì, dondolandosi sulle gambe. – Lo capisco.
Senza più nulla da dire, o meglio, con mille cose da aggiungere e nessun modo attuabile per farlo, Gajeel si grattò la nuca, a disagio. Alla fine riuscì a dire: - Comunque quando vuoi fare qualche missione e hai bisogno di una mano, io ci sono. Senza bisogno di farlo per ripagarti di un libro.
Levy ridacchiò e annuì, sorridendogli con dolcezza.
- Almeno ne è valsa a pena per quel romanzo? – le chiese ancora, rendendosi conto di non voler interrompere il contatto verbale con lei.
Come al solito, la vide illuminarsi di fronte all’argomento, e faticò a reprimere un ghigno di trionfo. Ci volle tutto il suo autocontrollo per rimanere impassibile come sempre.
- Non è proprio un romanzo, è più un’epopea. Narra gesta di eroi e fatti politici realmente accaduti qui migliaia di anni fa, in un’altra epoca. Quella che mi hai aiutato a recuperare è una rivisitazione in chiave poetica e romanzata vecchia di quattrocento anni. Per ora mi piace, ma ieri sera ho letto solo una ventina di pagine prima di addormentarmi con il manoscritto addosso.
Questa volta Gajeel non poté evitare di ridacchiare, imitato da lei. – Solo venti pagine?
– Meglio non farmici pensare, mi sono svegliata quando ho sentito il tonfo di un mucchio di pagine vecchie e costose migliaia di jewels cadere per terra come un sacco di patate! – esclamò Levy, scuotendo la testa mentre rideva.
- Se fossi in te mi punirei per un gesto tanto noncurante e blasfemo – la prese in giro Gajeel, chinandosi verso di lei.
Lei sbuffò una risata e poi alzò gli occhi su di lui. – Mi è venuta in mente una cosa bizzarra.
- Mh…
- Il nome del protagonista dell’epopea è un principe ereditario che ha salvato il regno di suo padre, il re, dalla rovina. Si chiamava Yajeh.
Gajeel spalancò gli occhi per un secondo prima di riacquisire il controllo. – Che cosa… strana – borbottò.
- Vero? – lo incalzò lei. – Sembra quasi una coincidenza! Inoltre anche la bambina, Shutora, aveva il nome di una principessa che tecnicamente è realmente esistita. Quindi stavo pensando…
Gajeel sentì la gola farsi all’improvviso secca e il sangue defluire dal suo volto per raggrupparsi ai suoi piedi, pesanti quanto Natsu quando cercava di capire qualcosa di fondamentalmente semplice.
- E se quei gemelli fossero…
Il cuore di Gajeel si fermò.
- …venuti dal passato? È fattibile no? In qualche modo magico, magari non potevano dircelo per via dello spazio-tempo e quelle complicazioni lì!
Gajeel rischiò di cadere e respirò rantolando. Poi scoppiò a ridere.
Levy s’imbronciò. – Cosa ti fa ridere, esattamente?
- Niente, niente – minimizzò lui, sollevato. – Nulla, è una storia che ti rivelerò più avanti.
Perplessa, Levy aprì la bocca per ribattere, ma in quel momento sentì la voce di Lucy richiamarla.
Sospirò. – Vado a sentire cosa vuo…
Gajeel la bloccò per il polso nel momento in cui fece un passo per allontanarsi. Lei lo guardò, sorpresa dal gesto repentino e dal cambio di atteggiamento di Gajeel. – Ehi, tutto bene?
- Ehm… sì – esordì lui, sicuro e allo stesso tempo titubante. – Volevo dirti, riguardo a ieri… alla domanda che mi hai fatto… che sì, un giorno vorrei avere una famiglia.
Gajeel sentì il polso di Levy sfuggire alla sua stretta per rimpiazzarlo con la sua mano, le cui dita si intrecciarono alle sue in modo perfetto.
- Sono cambiate molte cose in questi mesi, sono cambiato io, è cambiato tutto. Non avevo mai pensato a… quello che mi hai chiesto. Però ho scoperto di volerlo, un giorno. Famiglia, figli… moglie.
Levy si sciolse in un piccolo sorriso di fronte all’intensa sincerità dei suoi occhi, che sapevano comunicare meglio del suo eloquio impacciato.
- Pensi che sia giusto? Per uno come me? Lo chiedo a te perché sei l’unica che ha il diritto di rispondermi, dato che sai chi sono e cosa ho fatto – aggiunse in fretta, sentendo il familiare senso di colpa che iniziava a punzecchiarlo.
Levy strinse la sua mano e la circondò con l’altra, chiudendola in un guscio di calore e morbidezza.
- Assolutamente, Gajeel. È giusto. Giustissimo – lo rincuorò sorridendogli. – E sono certa che ben presto ce l’avrai, una tua famiglia. Con la donna che sceglierai.
Gajeel incurvò l’angolo della bocca in un piccolo sorriso quando il suo cervello gli disse: con te.
Solo con lei.
- Levy, io…
La voce di Lucy li interruppe un’altra volta, più vicina, e Levy sciolse l’intreccio delle loro mani facendogli l’occhiolino.
- Devo andare, Gajeel, ci vediamo dopo – gli disse prima di rientrare in gilda.
Lui la osservò allontanarsi con aria serena, con una calma che raramente aveva provato.
Sì, si sarebbero rivisti dopo.
Dopo, e per il resto dei loro giorni.



MaxB
Sembrano passati anni da quando sono passata qui.
Oh. Forse è proprio così.
Vi chiedo immensamente scusa, anche se scusarsi non basta e non serve a nulla. Ho avuto un blocco e ultimamente non riesco a scrivere più nulla. Solo a leggere, leggere e leggere. Penso che un giorno tornerà il mio momento e le dita riprenderanno a volarmi sulla tastiera. Ne sono convinta, ma non so quando. Io però ci credo.
Basta ciance, ringrazio ANCORA TANTO TANTO TANTO C63 per questa meravigliosa collaborazione.
Come già anticipato, lei sta provvedendo, con molta solerzia e buon cuore, a rendere in comic questa storia. La ringrazio per la pazienza, la devozione e la sua incrollabile fiducia in me, fiducia che forse, anzi sicuramente, non merito.
Di seguito vi riporto tutti i link utili per seguirla e stalkerarla, io la considero una grandissima artista. Ha parecchi link eh ahahah:


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