Legami di sangue

di Spensieratezza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alisea, Alan e Zaffiro ***
Capitolo 2: *** A scuola ***
Capitolo 3: *** L'unicorno di Alisea e la piccola stella danzante ***
Capitolo 4: *** Tutti alla baita ***
Capitolo 5: *** Fuga dalla baita ***
Capitolo 6: *** Clère ***
Capitolo 7: *** Arrivederci Clère ***
Capitolo 8: *** Zia Judith ***
Capitolo 9: *** Un fiore senza profumo ***
Capitolo 10: *** Senza sosta... qualcuno sa cosa stiamo cercando? ***
Capitolo 11: *** Lotta fraterna ***
Capitolo 12: *** In cartolibreria ***
Capitolo 13: *** Oscurità, mia cara amica ***
Capitolo 14: *** Il gatto, il cerbiatto e la donna misteriosa ***
Capitolo 15: *** Perchè mi hai mentito? ***
Capitolo 16: *** Zuffa a scuola! ***
Capitolo 17: *** Il preside vuole vedervi ***
Capitolo 18: *** Nello studio del preside ***
Capitolo 19: *** L'anello di zaffiro ***
Capitolo 20: *** Alisea e Marika parlano di cose che non esistono e favole ***
Capitolo 21: *** Albert trova in un pub, un ubriaco Black White ***
Capitolo 22: *** Le riflessioni di zia Judith ***
Capitolo 23: *** Alisea sorprende Black e Albert a parlare! ***
Capitolo 24: *** La crisi di Alisea per le lezioni sui ragazzi dai capelli rossi ***
Capitolo 25: *** la dolce visione di affetto di Alan su lui e Zaffiro ***
Capitolo 26: *** Alan guarda Marika con espressione guardinga ***
Capitolo 27: *** La dissociazione di Marika ***
Capitolo 28: *** Marika incontra White e Alan fuori dallo studio di Robert ***
Capitolo 29: *** Gelosie tra fratelli ***
Capitolo 30: *** Un bacio sotto la pioggia ***
Capitolo 31: *** Un po' troppe persone vanno da questo psicanalista! ***
Capitolo 32: *** Alan racconta la sua visione con Zaffiro a tutti quanti ***
Capitolo 33: *** Altri misteri sul padre di Marika e su Alan e Alisea ***
Capitolo 34: *** Zaffiro si arrabbia con Marika ***
Capitolo 35: *** Momento tenero in camera tra i due fratelli ***
Capitolo 36: *** Marika si sfoga con Clère e Stefano ***
Capitolo 37: *** Lui vi aspetta ***



Capitolo 1
*** Alisea, Alan e Zaffiro ***


Le tre parole più famose del nostro motto repubblicano, sono: libertè, egalitè, fraternitè...

libertà, uguaglianza e fratellanza..

Il volere bene al proprio prossimo come un fratello. Non sempre questo detto è stato molto preso sul serio, però. Le persone molto spesso si portano rancori personali per torti subiti, o per pregiudizi, e non si possono vedere tra loro, e anche tra fratelli sempre più spesso non ci si può vedere; i legami di sangue passano in secondo piano, che siano cugini, fratelli, amici, madri e figli....le differenze di abitudini, cultura e pensiero finiscono sempre per avere la meglio....questo non sembra però riguardare Alisea, Alan e Zaffiro, rispettivamente di 10, 13 e 14 anni. Loro anzi sembravano proprio aver preso alla lettera il concetto di "fratellanza" . Fin da piccolissimi, Alan e Zaffiro si dividevano il biberon e si aiutavano l'un l'altro, e quando ci fu la nascita della sorellina Alisea e il rientro a casa della piccola, accorsero per tenerla teneramente in braccio come un fagottino da proteggere. il primo sorrisino di Alisea fu dedicato a loro. 
 
Alisea è la più piccola dei tre, e già da piccola cominciava a manifestare il suo temperamento malinconico e fragile, molto facile da ferire e timido, molto bisognosa di affetto. Alisea è una bambina molto introversa, ma anche molto dolce, e questo ha da subito conquistato i due fratellini che la trattano sempre come un cucciolo da proteggere;

ha lunghi capelli rossi, lisci e lucenti, occhi azzurri ereditati dai fratelli, e pelle rosata di porcellana.

 C’è poi Alan, che della sorella ha ereditato l'introversione e la pacatezza, ma un pò più sicuro di sè stesso, anche se comunque molto vulnerabile:  ha i capelli castani folti, e occhi azzurri.

Zaffiro è invece il più ribelle dei tre, ha un forte istinto di protezione nei confronti dei due fratelli più piccoli, ma con gli altri, specie con chi non conosce, è diffidente, e con  chi gli fa dei torti è  anche piuttosto vendicativo.  Ha dei bei capelli neri e lisci, e occhi azzurrissimi. 
 

Alisea, Alan e Zaffiro avevano già una consapevolezza alla loro età: erano soli. Neanche loro sapevano bene spiegarsi il perchè di questo pensiero, ma sapevano che era vero e che era un pensiero comune e per questo  si sentivano ancora più legati. Eppure non avevano niente che poteva impedir loro di avere amici; andavano bene a scuola, erano simpatici. brillanti, i compagni qualche volta li avvicinavano, ma loro erano restii a condividere qualcosa con gli altri...i compagni lo capivano e presero ad evitarli; anche Alisea non se la cavava meglio, non riusciva proprio a fare amicizia, e tendeva sempre a starsene per conto suo, sognando di vivere in un altro universo. 

Forse questa loro chiusura verso il mondo esterno, dipendeva anche da un ambiente familiare non sereno, infatti loro avevano dei genitori che litigavano sempre per le cose più futili, spesso il padre tornava a casa ubriaco e se la prendeva anche con loro. e loro si sentivano sempre più soli. Spesso si trovavano ad asciugarsi le lacrime a vicenda, e questo li faceva ritrovare il sorriso. Erano insieme, e questa era la loro forza. Spesso il padre mancava di casa per mesi e mesi, lasciandoli soli con una madre depressa che piangeva sempre.
 
quel giorno sarebbe tornato dopo ben tre mesi di lontananza a causa di impegni lavorativi, e naturalmente si aspettava di vedere tutta la famiglia riunita pronta nel salone ad accoglierlo, ma questa volta non sarebbe stato cosi.

Il loro rapporto con il padre era sempre più rovinato e non aveva nessun senso fingere, c'era sua moglie che lo aspettava trepidante in salotto, che si accontentasse di lei, pensavano i fratelli.
 

In quel momento erano tutti e tre in camera. Alisea stava giocando con le barbie, Alan giocava al computer e Zaffiro stava guardando Alan che giocava.
 

 Come prevedibile appena tornò si arrabbiò subito perchè dopo dieci  minuti i figli non erano ancora andati di là ad accoglierlo.....erano tutti e tre in camera, ma il padre decise  di prendersela solo con Alan: prevedibile anche questo, Zaffiro non si faceva mettere i piedi in testa, era un tipetto tosto per avere soltanto undici anni e con la piccola Alisea non avrebbe osato prendersela, altrimenti i fratelli gli sarebbero saltati subito addosso, e Alan quindi pagava per tutti e tre.

Naturalmente se la prese con il computer, in mancanza di altro cui appigliarsi. 
 
 
"Sempre con questo computer! Tuo padre torna a casa e non sei…non siete neanche capaci a salutarlo, dopo tre mesi di assenza, siete proprio dei figli ingrati, dammi quel computer, è giunto il momento di darci un taglio".

E prese il computer. 

Alan chiaramente si ribellò dicendo: 

“Ehi, ridammelo subito". 

 "Non osare quel tono con me se non vuoi prendere uno schiaffone".

"Alan  stava usando il computer, non prendertela con lui solo per sfogarti con qualcuno".
Intervenne Zaffiro in difesa del fratello. E per tutta risposta si prese uno schiaffone lui. 

"Hai fatto male a mio fratello, sei cattivo, cattivo" cominciò Alisea, battendo coi pugni sul petto del padre, sotto lo sguardo inorridito dei fratelli. E proprio mentre il padre stava per reagire, Zaffiro gli bloccò incredibilmente il braccio e l'attaccò al muro. 

"Non osare mai più, hai capito? Non con Alisea!" Disse Zaffiro con molto più coraggio di quanto se ne sentisse in corpo. 

Alisea e Alan lo guardarono stupefatti di tanta forza. Poi corse la madre tutta trafelata e zaffiro si beccò un altro schiaffo, questa volta da lei. 
 
E due  pensò zaffiro. Questo costò alla madre un'occhiata carica di rancore da parte di Alisea e forse fu talmente intensa che spinse la madre a scivolare e a sbattere la testa contro la scrivania.
 
"Io vi odio, vi odio tutti e due." disse Alisea, e scoppiò in lacrime andando a rifugiarsi sotto la scrivania come un coniglietto impaurito. 
 
"Non è niente" disse la moglie al marito che si era chinato per darle una mano.
 
"Siete dei piccoli ingrati, maleducati, questa sera  a letto senza cena, tutti e tre, visto che siete cosi solidali, almeno usciste il pomeriggio cosi non vi abbiamo tra i piedi."  Aggiunse poi.
 
Ma la madre dimenticava che loro stavano già via tutto il pomeriggio, rientravano alle 16:30 da scuola.

*Ma forse vorrebbe vederci a casa direttamente per andare a dormire*  pensò con disprezzo Zaffiro. 

"Ma scherzi, cara? Non li vuole nessuno questi, non lo sai che non hanno neanche amici?”

"Ah, già, certo, è vero, dei figli che non servono a niente proprio". 

E se ne andarono, sbattendo la porta. 
 
 
Mentre Alisea scoppiava in un pianto a dirotto, Alan non si desse neanche la pena di chiedersi del computer, sapeva che non l'avrebbero rivisto mai più, e zaffiro si chiese se si potesse essere più infelici. Eppure non avevano mai fatto niente per essere cosi detestati, perchè ce l'avevano cosi tanto con loro? Alle volte sembrava che avessero paura della loro stessa unione, come se insieme potessero sembrare pericolosi.
 
 
 
"Un clan della mafia, ecco cosa mi sembrate voi tre, sempre a girare insieme, un trio mafioso sembrate." Diceva spesso la loro madre.

Era questo quello che pensavano? Che fossero dei piccoli delinquenti? Alisea aveva solo 7 anni, quindi forse si riferiva più a loro due, che non a lei. Mafiosi perchè? perchè una volta un tizio che dava fastidio ad Alisea aveva inspiegabilmente tirato una testata contro il muro e un'altra volta il parrucchino di un'insegnante che aveva rimproverato Zaffiro, era vplato via, in seguito a una spinta che, Zaffiro ripetè milioni di volte, non era stato lui a provocare? 
 
Bah...tutte congetture, forse li odiavano e basta. non c'è un perchè, non c'è quasi mai. Forse ci sono genitori che non sono fatti per avere figli, o forse erano gelosi della loro unione, per questo li odiavano tanto.
 
 Alisea aveva smesso di piangere e si scrollò dalle braccia di Alan, che la stava consolando, per prendere delle salviette bagnate da mettere sulle guance di Zaffiro. 

"Va meglio, Zaf?" gli chiese con voce flebile. Zaffiro fu spiazzato da tanta premura , e intenerito, gli scostò un ciuffo dagli occhi. "Grazie Ali, tu non ti preoccupare di niente, ci siamo noi, finchè sei con noi non può succederti niente di male".

 Il sorriso di Alisea svani. Alan si avvicinò e con fare convinto disse: "Si, ali, non devi aver paura, ci siamo noi a proteggerti. gli teniamo testa a quelli" Alisea fece una risatina furbetta e il volto di tutti e tre si allargò di un sorriso. 
 
Ci sono delle cose che non puoi scegliere. Non puoi scegliere di non avere una malattia incurabile che ti lascia pochi mesi di vita, non puoi scegliere di nascere povero o ricco, come non puoi scegliere di nascere brutto o bello. Ti capita punto e basta. Nello stesso modo non puoi sceglierti la famiglia su misura, è il fato che decide per te. Se ti va bene.  Se sei proprio sfigato, allora, beh, devi tenerti lo stesso due genitori che a loro volta avrebbero preferito avere altri figli. Questo è capitato ad Alisea, Alan e zaffiro, i quali senza un motivo valido sono sempre stati mal sopportati dai genitori, in particolare il padre, che coglieva ogni occasione per bistrattarli e umiliarli, special modo in pubblico. la madre era perlopiù indifferente, e ad Alisea, alan e Zaffiro, avevano insegnato che se non dici niente, è come se condividessi quello che gli altri facevano.

















Note dell'autice: 

Ok...sono emozionata xd ahhah vi spiego, questa storia cominciai a scriverla quando avevo 14 anni, ma poi la lasciai incompiuta...continuavo a modificarla ecc ecc! L'ho ripresa solo da uno o due anni, e l'ho modificata perchè era scritta in un carattere troppo infantile, ero molto piccola!! Comunque dicevo, nell'ultimo anno, l'ho riscritta tutta e sono arrivata più o meno a otto capitoli...mi piacerebbe provare a vedere se riesco a continuarla e anche a finirla, perchè ci tengo molto a questa storia, ed è molto sentimentale :)))

Vediamo...spero di farcela, visto che sto scrivendo molte storie! Questa è la prima storia che io abbia scritto in assoluto e ci tengo tantissimo!   

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Capitolo 2
*** A scuola ***


Ore 10:00. ora di matematica. Mancava ancora un'ora all'inizio dell'intervallo, e Alan si era già perso nel mondo delle nuvole e delle sue fantasie.
 
"E non è neanche capace di fingere di stare concentrato sulla lezione" Pensava Zaffiro, nel banco a fianco del fratello, con sbigottimento. (per errori burocratici, Alan aveva incominciato la scuola un anno prima degli altri bambini, per questo era in classe con Zaffiro ). 
 
Se continua a guardare cosi sfacciatamente il vuoto, il professore finirà per accorgersene" Pensava Zaffiro con rabbia. Intanto Alan stava ricopiando su un quadernetto, una frase che aveva letto sul libro dei profeti, e che l'aveva colpito molto. Zaffiro si sporse un pò per leggerne il contenuto. 
 
 
i tuoi figli non sono tuoi, sono figli e figli e figli della nostalgia che la vita ha di sè
vengono grazie a te, ma non da te
e anche se stanno con te, tuttavia non ti appartengono.
Puoi dargli il tuo amore, ma non i tuoi pensieri
perchè hanno pensieri loro
puoi custodire il loro corpo, ma non la loro anima
poichè l'anima dimora nella casa del domani,
e là tu non puoi andare nemmeno in sogno
 
 
Zaffiro non fece in tempo a ribattere a quanto aveva appena letto, che qualcun altro fu più veloce e prese il quadernetto dalle mani di Alan. "Ma bene, adesso ci gingilliamo a scrivere quello che ci pare invece di star attenti alla lezione, eh?"

Alan si fece paonazzo e cercò maldestramente di riprendersi il foglio, con scarsi risultati. Alle sue spalle i compagni ridevano.
"Professore, me lo ridia per favore". Disse Alan, ma l'insegnante teneva il quaderno fuori dalla sua portata.

"Non prima di aver letto che cosa aveva di tanto importante da scrivere, da non poter assistere alla lezione, il nostro provetto poet...."  l'insegnante non riusci a finire la frase, che Zaffiro con destrezza gli sfilò di mano il quaderno.

"Mi scusi, professore, ma sono cose personali di mio fratello, che non credo vorrebbe venissero lette".  Disse con spavalderia Zaffiro, sotto lo sguardo irritato del professore, l'aria di gratitudine di Alan e gli sguardi curiosi dei compagni. 

"Bene, ragazzo, sei coraggioso, molto coraggioso, io apprezzo il coraggio, e anche la solidarietà fraterna".  Disse il prof con un sorriso maligno. "Un punto di nota per Alan e uno per Zaffiro per la sua insolenza". 
"Che cosa? Nota perchè? Perchè non gli ha fatto leggere una cosa personale? E io per aver difeso mio fratello?" 

"DUE note di demerito per Zaffiro, e se non sta zitto, diventeranno CINQUANTA. " concluse minaccioso il professore andando a prendere il registro, tra le risate generali. 

"Mi dispiace tanto, Zaffiro, è tutta colpa mia" disse Alan in un soffio.

"Non ci pensare, Alan, sono pensieri tuoi che nessuno che tu non voglia ha diritto di leggerli, e intanto quello sbruffone non l'ha avuta vinta" disse Zaffiro con un sorriso. 

"Grazie Zaf, tu puoi leggerli se vuoi"   

"L'ho già letto, caro. sono tuo fratello dopotutto, posso farlo, no? " Disse Zaffiro con un sorriso ancor più ampio.

Alan gli diede una sberla giocosa in testa. 

" Credo che il signorino Alan e il signorino Zaffiro trovino troppa monotona questa lezione per i loro cervelli sopraffini, quindi credo di fare loro un piacere facendoli uscire dalla classe" disse a denti stretti il professore. Alan e Zaffiro si alzarono in piedi, ma Zaffiro indugiò qualche secondo, poi si voltò.

"Non prende il registro, prof? " 

"Prego?" chiese il professore, irritato più che mai. 

"Beh, aveva detto che se avessi detto un'altra parola, le note sarebbero diventate cinquanta."

"ANDATE FUORI, FUORI" Gridò il professore, mentre Alan agguantò uno zaffiro sghignazzante per la collottola, e si trascinò fuori dall'aula con lui, tra le risate generali. 
 
 

 
 
Nel parco della scuola, Alan rimproverava bonariamente Zaffiro: "Non puoi fare a meno di metterti nei guai, eh? avevi già due note, che bisogno c'era di...."
“è una questione di principio, Alan, quello non può permettersi di fare il prepotente solo perchè siede su quella sedia....e poi non mi piace  come ti tratta" aggiunse Zaffiro voltando lo sguardo.
Alan fece un sorriso. "Ti ringrazio per avermi difeso, ma forse dopo hai un pò esagerato. Alle volte bisogna cercare di ripagare la prepotenza con la diplomazia, se si vuole andare ben..." 

"No! No! No! Alan, è sbagliato! non bisogna mai essere troppo teneri con certa gente, altrimenti ti mettono i piedi in testa, dai retta a me Alan, è cosi". Alan sapeva che era inutile insistere. Zaffiro aveva un cuore d'oro, ma era molto testardo, e forse il suo bello era anche questo. Ad ogni modo aveva un cuore generoso, ed era questo che importava. 

"Tu ed Alisea, siete teneri, troppo. è una bella cosa, ma la gente tende ad approfittarsene quando scopre che hai dei punti deboli, che può colpirti, ma non ti preoccupare, ci sono io a badare a voi ".

Quelle parole da adulto  dette da un bambino di undici anni fecero quasi sorridere Alan.  "Tu? Zaf, hai solo un anno più di me, non sei poi tanto grande!"
Zaffiro si girò ridacchiando.  "Non è l'età che fa un uomo, al" Alan si strani a queste parole.

"Che c'è?" 

"Niente, stavo pensando che tutti in aula ridacchiavano e non si sono persi una sola battuta, ma nessuno si è sognato di venire in nostra difesa" .
Zaffiro gli mise una mano sulla spalla. "E ti sorprendi, Al? te l'ho sempre detto, NON DEVI FIDARTI DI NESSUNO, non abbiamo amici, qua. E poi hai me e Alisea, non è abbastanza? " 

"Certo che lo è" disse Alan con un sorriso. 


 
Restarono la restante ora a chiacchierare del più e del meno e dell'ipocrisia dei compagni di classe, che dietro ne dicevano di tutti i colori sul professor Manfredi, ma davanti erano solo bravi a fare i lecchini, e a intervallo suonato quando vennero un gruppetto di ragazzi a  congratularsi per avergli tenuto testa, a Zaffiro montò la rabbia:

"Ah si, eh? E perchè se eri d'accordo, non hai detto niente?"
 
“Ma io...veramente...lo sai com'è il prof..." 

"E tu perchè non hai detto niente? E tu? E tu? " fece eco Alan sotto  il silenzio generale. 

"Avete ragione, lo sappiamo com'è il prof, ma sappiamo anche come siete voi, e non siete meglio di lui"

concluse Alan , allontanandosi con il fratello. 


















Note dell'autrice: 

Specifico che so che per certi versi Zaffiro e Alan possono ricordare Sam e Dean, ma in realtà quando ho cominciato a scrivere questa storia, e anche la versione riveduta, non conoscevo ancora Supernatural O___O

Questo devo specificarlo <3 mi basavo su un amore fraterno che avrei voluto vedere, e mi piace che poi sono stata accontentata scoprendo Supernatural <333  

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Capitolo 3
*** L'unicorno di Alisea e la piccola stella danzante ***


“Alisea, Alisea, svegliati" disse una voce.
 
 Alisea si scrollò dal sonno ancora intontita. "Mmm."
 
 Quando vide quello che gli si parava davanti, cacciò un urlo. "Yiikes". 
 
 "Ehi, calmati, Alisea, non voglio farti alcun male" . 

 Ad aver parlato, era un bellissimo unicorno bianco con sfumature rosa e una coda scintillante. Alisea era terrorizzata e si raggomitolò sul lettino. 

"Chi sei? cosa vuoi?" gli chiese.

"Perchè sei cosi spaventata, Alisea?  Hai atteso tanto la mia venuta qui" 

Era vero, quante volte Alisea aveva sognato che un unicorno  venisse a portarla via per farla fuggire nel mondo della fantasia, lontano dagli orrori della realtà? dieci- cinquanta volte? Di più? 

"Io...io...sei veramente....?" 

"Toccami, senti il mio pelo". Alisea avvicinò una mano tremante e gli vennero le lacrime agli occhi....

"Allora....esisti veramente....sei davvero qui..."
 
“certo che esisto, monta su, in groppa, ti porto in un posto bellissimo."
 

Alisea avverti un groppo allo stomaco, per tanto tempo aveva sperato una cosa del genere, e proprio adesso che era successa, si scopriva titubante.....

"Io...non posso lasciare i miei fratelli."
 
"Non pensare a loro adesso, monta su" 

Alisea si fece forza e montò su, ma poi strizzò gli occhi.

"Non posso, se mi cercano...."  
 
 "Senti, ti prometto che li rivedrai, ok?" disse l'unicorno con gentilezza. 

"Dici davvero? " chiese Alisea sollevata. 

"Certo".
 
 "Allora ok" disse Alisea, e  si abbandonò al collo dell'unicorno abbracciandolo come un gigantesco peluche. 

"Allora si partee" 
 

le finestre si spalancarono e volarono nella notte. Alisea era elettrizzata, ma spaventata, e si tenne stretta più che potè all'animale. 

"Vedi quella luce? quello è il mio pianeta" disse l’unicorno  e indicò una stella che raggiunsero alla velocità della luce, e ancora prima di averla raggiunta, si trovarono già DENTRO un bosco.
 
Rallentò gradualmente e si ritrovarono immersi nella vegetazione. Alisea si parò la testa e subito dopo si ritrovarono in uno spettacolo meraviglioso. 

Il sole sembrava pura energia, il cielo era più azzurro del mare, le nuvole passeggiavano soffici nel cielo, la luce illuminava tutto il paesaggio fatto di colline e montagne verdissime, e l'acqua di un laghetto sembrava uno specchio. Alle loro spalle fiori di tutti i colori facevano da cornice, mentre oche, papere, coccinelle, canguri, gazzelle e cerbiatti passeggiavano beati.
 
 L'unicorno sorpassò un piccolo pontile, mentre Alisea era stupefatta: 

"é bello da togliere il fiato qui" 

"Oh anche di più" disse l'unicorno.

"Farai venire qui anche Alan e Zaffiro?" chiese Alisea. 

"Oh, ma loro sono già qui" disse l'unicorno. 

Alisea guardò davanti a sè e li vide, distanti pochi metri che la salutavano allegramente con la mano e si illuminò.
 
Li salutò a sua volta. Era felice che anche loro fossero li con lei in quel mondo incantato. Per la prima volta tutto era cosi meravigliosamente perfetto. E poteva anche sentire le voci dei due fratelli. Zaffiro diceva: 

"Alisea è la parte più sognante di noi tre, vero? "
 
"Credi?" disse Alan

"Che cosa ne pensi dei sogni, Al?" 
"Penso che i sogni sono per i bambini, Zaf" 

e Alisea non capi quello che stavano dicendo. Avrebbe voluto chiederglielo, ma sembravano cosi lontani, doveva camminare ancora un pò per raggiungerli, anche se a ogni passo sembravano cosi sfocati.....
 
 
 

 
 
Alan e zaffiro fecero  tutto il tragitto verso casa, facendo congetture su QUANTO avrebbero potuto prendere male le note sul registro, i genitori. Zaffiro sostenne che non c'ra alcun bisogno di dirlo per forza, in quel modo avrebbero evitato loro della rabbia inutile, facendo loro del bene.
 
 Alan disse che non sarebbe servito a niente fare i furbi, perchè tanto poi sarebbero venuti a saperlo lo stesso, perchè il prof avrebbe sicuramente telefonato, e sarebbe stato peggio! Alla fine entrambi conclusero che onde evitare un altro digiuno forzato, sarebbe stato meglio prendersi prima della frutta e un pò di biscotti da portare in casa, per precauzione.
 
 
 
 
una volta  entrati in camera, videro che Alisea stava ancora dormendo. Si chiesero se poteva essere normale che una bambina di sette anni alle 16:30 del pomeriggio, invece di saltare e giocare, avesse già sonno e Alan disse, che si, era normale se avevi una madre che non ti guardava neanche addosso e un padre piuttosto violento.
 
Si fermarono un pò a guardarla dormire e si accorsero subito che c'era qualcosa di strano.
 

"Guarda Al, sorride" 

"Dici? a me sembrava stesse piangendo" disse Alan vagamente preoccupato. 

"Piange e ride insieme"

"Dici che sta..?" 

"Si" disse Zaffiro. "Probabilmente sta sognando e dalla sua espressione sembra che sia qualcosa di piacevole, che deve averla commossa molto" 

"Non mi stupisce, è una bambina cosi sensibile" disse Alan facendogli una delicata carezza per non svegliarla.

"Non svegliarla, lasciala tranquilla almeno adesso che sembra felice." disse Zaffiro. 
 

Rimasero cosi immobili per qualche istante, a guardare Alisea che dormiva. 
 
D'un tratto Zaffiro disse: 

"Alisea è la parte più sognante di noi tre, vero?”

Alan rispose: "Credi?" 

“Si, ne straborda da tutti i pori. credo che se lo volesse potrebbe mantenerci eternamente giovani, è come se fosse una piccola stella sognante"

"E noi i satelliti che gli giriamo intorno"  disse Alan con un sorriso.

Zaffiro sorrise a sua volta. 

" Tu Che cosa ne pensi dei sogni, Al?"  chiese  Zaffiro voltandosi verso di lui. 

Alan fece un sorriso amaro: "Ha poca importanza che cosa ne penso io. I numeri sono quelli che contano e la gente non crede più a niente, perchè ostinarsi a credere quando tutto ti dimostra il contrario, è troppo doloroso, e la gente disprezza il dolore, la sofferenza... “
 
Farebbe qualsiasi cosa perché le lacrime smettano di cadere… pensò Zaffiro.
 
 
 
Alan riprese: " I sogni invecchiano prima dei sognatori, ma gli ultimi sogni sono duri a morire e se ne vanno con rauchi gridi strazianti in un recesso del cervello, poi le persone crescono, diventano uomini, e devono rassegnarsi all'idea di aver ottenuto meno di quanto avessero sperato… hanno scoperto che sulla macchina dei sogni c'era un cartello con la scritta FUORI SERVIZIO. e questo li spezza. Vanno avanti per inerzia. Volere di più significa solo andare in cerca di dispiaceri". 
 

Zaffiro guardò il volto cosi dolce e ingenuo della piccola Alisea e pensò con amarezza: 

“Una bambina dolce e sognante come ce ne sono tante, che cerca di evadere nel mondo dei sogni. per non vedere gli orrori che ci sono qua...chissà perchè la gente sogna?"  e poi riflettè ancor più duramente :

“perchè non vive con i piedi per terra? La vita è quel che ti succede mentre tu stai a sognare un'altra vita" 

poi si voltò verso Alan che aveva uno sguardo triste. si chiese se stesse pensando le stesse cose....

si accorse che nel frattempo Alan aveva trascritto qualcosa su un biglietto, subito appallottolato.

"Che cosa stavi scrivendo?" 

"Che quel foglio era da buttare" disse Alan mentre lo lanciava nel cestino, e usci dalla stanza. Zaffiro raccolse il biglietto e lesse: 
 
“i sogni sono per i bambini”
 
 Zaffiro strinse il foglio in un pugno. 

"Ah, Alan, Alan...dici tanto di Alisea...ma anche tu sei un sognatore...un poeta anzi...uno che sogna e immagina...magari di esplorare mondi fantastici insieme a una fanciulla innamorata, di trasformare il fango in ambrosia, l'odio in amore, e ridare la vita ai morenti....avresti dovuto nascere in un altro universo....questo mondo non è fatto per te...e neanche per la dolce Alisea.....e io? Che cosa sono io? Sono cosi diverso da voi, oppure......no? "
 
 
Zaffirò usci in giardino da Alan, e lo chiamò andandogli incontro. Gli mise una mano sulla spalla. "Alan" gli disse.
 
"Che cosa vuoi?" rispose Alan senza voltarsi.
 
Zaffiro non rispose, ma lo cinse da dietro con un abbraccio.
 
Alan si abbandonò a quell'abbraccio. Zaffiro poteva sentire il corpo di Alan tremare leggermente, e pensò che di Alisea aveva sempre saputo di quanto fosse fragile, e di quanto fosse infelice....ma Alan? 
 

















 Note dell'autrice: 

Scusate per tutto l'angst del capitolo ma lo scrissi quand'ero poco più che adolescente, ed era un momento della mia vita in cui tutto mi sembrava triste e disgustoso ahaahahaa

Ps la frase:

I sogni invecchiano prima dei sognatori, ma gli ultimi sogni sono duri a morire e se ne vanno con rauchi gridi strazianti in un recesso del cervello

è del libro L'acchiappasogni - Stephen King 

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Capitolo 4
*** Tutti alla baita ***


Quando la madre  tornò dal supermercato non reagi cosi male come avevano previsto i ragazzi, all'idea delle note sul registro, anzi non reagi affatto! Tornata a casa sembrava tutta concentrata su altri pensieri. Sembrava invecchiata di dieci anni, rovesciò gran parte della spesa e per lungo tempo rimase trepidante seduta davanti al camino a leggere un mucchio di lettere rosse.
 
 Quando i ragazzi provarono a chiedergli cosa ci fosse scritto, reagi con tanta veemenza, che non osarono chiederglielo una seconda volta e tornarono nella loro stanza.
 
Venti minuti dopo la porta della loro stanza si apri. Era la madre che annunciava che c'era stato un cambio di programma e che bisognava andare tutti verso la baita in montagna e stare li qualche giorno. Aveva già avvertito il papà, che li aspettava tutti li.
 
"Che cosa? In quel posto dimenticato da Dio? E perchè cosi da un momento all'altro?"  chiese Zaffiro mentre Alisea ribatteva:  "Fa freddo in quel posto, c'è troppa umidità." 
E alan: " E poi domani c'è scuola" disse inarcando le sopracciglia. 

"Fate come dico io, senza discutere, se dico che ce ne dobbiamo andare, vuol dire che non possiamo restare qui." 

"Ha qualcosa a che vedere con quelle lettere che avevi in mano?" chiese Zaffiro.  La madre si paralizzò, ma non rispose, e borbottò qualcosa sul fatto che dovevano solo pensare ad allontanarsi, le spiegazioni sarebbero arrivate dopo. 
 
 
Quando arrivarono alla baita sulla montagna, scoppiò il temporale e Zaffiro pensò che era la ciliegina perfetta per un film dell'orrore, considerato il mistero delle lettere, e il posto in cui stavano per andare ad alloggiare.

Tutti e tre si chiesero cosa poteva avere mai spinto i genitori a fare baracche e burattini tanto presto per andare a stare in quella topaia, ma di certo doveva essere qualcosa di grosso! Arrivarono alla baita e il padre aveva un'espressione come se fossero in tempi di guerra, diede ai ragazzi tre panini con tonno, maionese e prosciutto e disse loro di andare in camera, di non preoccuparsi che non era successo niente di grave, ma che delle persone li cercavano e per adesso non potevano dirgli di più. I ragazzi non insistettero e insieme convennero che perlomeno si erano degnati di dirgli quel poco, e forse l'indomani ne avrebbero saputo di più, ma la preoccupazione turbò il loro sonno e si ritrovarono in piena notte di nuovo svegli. 

Alisea non riusciva proprio a riaddormentarsi e propose di fare una passeggiata nei dintorni del bosco, che costeggiavano la baita. Dapprima i fratelli si ritrovarono preda di sentimenti contrastanti, da una parte ance loro volevano prendere una boccata d'aria fresca, dall'altra erano molto preoccupati. 

"E se mamma e papà si svegliano e si incazzano come bestie?" disse Alan

"E se gli uomini che ci stanno cercando ci trovano prima del previsto? " disse zaffiro.
zaffiro e Alan si lanciarono occhiate inorridite. ma poi si dissero che una passeggiatina  non poteva fargli male e sarebbe servita a farli rilassare un pò. 
 
















Note dell'autrice: Lo so, è molto corto anche questo....all'inizio li ho strutturati un pò male, ma prometto che i prossimi saranno più lunghi :))

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Capitolo 5
*** Fuga dalla baita ***


Faceva piuttosto fresco fuori e i tre fratelli avevano già fatto un pò di metri fuori dalla casa quando videro la figura indistinta del padre, seduto sull'erba a gambe incrociate, sull'orlo della scarpata che costeggiava il fiume.
 
 Si accorsero che in grembo aveva ancora quelle lettere misteriose. Questa volta i fratelli volevano davvero saperne di più.  Si avvicinarono e notarono che il padre era scosso da brividi....per il freddo o per altro? E cos'era quel pallore delle guance contorniato dagli occhi lucidi? Non stava forse piangendo? 

"Papà.." esordi zaffiro. 

il padre si agitò non appena senti la voce del figlio e cercò goffamente di nascondere quelle lettere.

"Voi non dovreste essere qui, che ci fate a quest'ora qui fuori? Tornate subito nei vostri letti". 

"Papà, non sarebbe ora di dirci che cosa sta succedendo? è qualcosa che ha a che fare con quelle lettere? Perchè non ce le fai vedere?" insistè zaffiro. Il padre si allarmò ancora di più.

"Io...queste non c'entrano proprio niente" disse con tono poco convinto. 

"Piantatela di fare domande, ora non è il momento. Domani. Domani parleremo.
con calma, adesso tornate dentro. "  

"Papà" insistette Alan "ci fate  venire qui all'improvviso senza dirci perchè, tu e la mamma siete spaventati e avete un atteggiamento da guerra dei mondi, dite che delle persone ci cercano e nulla più. Non meritiamo una spiegazione migliore di questa, SUBITO?" 

"Vi prego" Adesso il padre li stava supplicando. "Vi prego, dovete ascoltarmi, voi non capite..."

All'improvviso si bloccò. 

"Li sentite anche voi?"
 
 "Sentire cosa?" cominciò a preoccuparsi Zaffiro. 

"Passi! " disse il padre quasi urlando. 

"Passi di cavalli, che vengono dritti verso di noi. Presto tornate in casa, sbrigatevi, prima che vi vedano." 

"E tu?" chiese Alan.

"Io cercherò di trattenerli più che posso. Sbrigatevi." 

In quel momento videro le figure indistinte di alcuni uomini a cavallo che arrivavano. Zaffiro sapeva che il padre non avrebbe mai potuto farcela da solo, ma forse...se fosse riuscito ad entrare in casa e portargli il fucile..."
 
"Che state aspettando? Muovetevi!"
 
 
I bambini corsero, raggiunsero la casa e svegliarono la madre, che messa in allarme voleva già uscire fuori per portare il fucile al marito, ma non fece in tempo che due frecce uscirono dalla finestra, facendola gridare.
 
Il padre stava bene, ma era stato preso da uno dei cavalieri neri che adesso lo stava minacciando con un coltello sottile alla gola.
 
 
"Allora, puoi scegliere, vado avanti con te o prendo i tuoi figli?"
 
"I....i miei figli...a me non farmi male, ti supplico."
 
Il gelo perforò dentro nei fratelli.
 
Com'era possibile? Ma allo stesso tempo, si disse Zaffiro, era davvero cosi incredibile? In fondo il padre non li aveva mai sopportati, e quindi era irragionevole pensare che fosse disposto a rischiare la vita per loro, pensò con amarezza.
 
"Avete visto che razza di uomo è vostro padre? E magari lo avete anche amato" disse  il cavaliere ridendo, rivolgendosi ai figli, che distolsero lo sguardo dall'altra parte.
 
 In quel mentre il padre ruppe il vaso da fiori che stava sulla finestra della baita, sulla testa del cavaliere, che stramazzò a terra.
 
L'altro cavaliere, più vicino, disse:
 
"Questa ti costerà cara, voi due pensate a prendere i mocciosi".
 
"No!" urlò la madre, uscendo dalla casa e parandosi davanti ai ragazzi con le braccia per  ripararli.
 
Alan, che insieme ai fratelli aveva seguito con costanza tutti e 7 i film di Harry Potter, ebbe la visione improvvisa di una donna dai capelli rossi che faceva lo stesso gesto davanti a un lettino.
 
  Zaffiro invece  pensò:
 
Perché non ci hai dimostrato prima questo amore? Perché adesso, dopo anni di incomprensioni, indifferenza e insulti? Perché?”pensò ancora con amarezza.
 






il cavaliere diede uno spintone alla madre, che cadendo rovesciò la lampada appoggiata al mobile e si ruppe. 

Prima che potesse avvicinarsi ai fratelli, però, - e in quel caso  Zaffiro avrebbe messo tutto sè stesso perchè non toccassero Alisea e Alan -  scoppiò il finimondo.
 

Due finestre crollarono e i vetri andarono in frantumi, e cedettero il posto a due e più cavalli bianchi con altri cavalieri a bordo....
 
al loro fianco Alisea scoppiò in un pianto a dirotto:
 
"Ho paura, ho paura". 

"Stai tranquilla Alisea, credo che stiano dalla nostra parte".  disse Alan guardando i cavalieri vestiti di bianco a galoppo di cavalli anch'essi bianchi. 

"Alan, togliti subito di li" gridò Zaffiro prendendolo per il gomito. 

La lampada che la madre aveva fatto cadere, rovesciandosi, aveva prodotto delle piccole fiamme tutt'intorno....

Alisea pianse più forte. 

"Oh, che cosa facciamo Zaffiro? " chiese Alan angosciato.
 
 In quel mentre arrivò uno dei cavalieri bianchi e si avvicinò ai ragazzi: "Come ti chiami, bella bambina?" 

"Stai lontano" pianse la bambina.
 
"No, no, non piangere, noi siamo i buoni, vedi...."

ma non riusci a completare la frase, perchè il cavaliere nero colpi sulla schiena il cavaliere bianco, e a quel punto Zaffiro propose, prendendo per mano i fratelli:
 
"Battiamocela".
 
Intanto il cavaliere bianco, furibondo, si rivolse al cavaliere nero: "IDIOTA. LI HAI FATTI SCAPPARE" e dai suoi occhi sprizzarono delle scintille rosse che avvolsero il corpo del cavaliere e lo bruciarono all'istante. 
 
 I fratelli intanto cercarono di raggiungere l'ingresso, ma era ostruito dalla moltitudine dei cavalieri.
 
Alan disse: "Siamo spacciati!" 
 

 Zaffiro adocchiò una delle finestre sfasciate: "No, non ancora".

"che cosa vuoi fare?" disse Alan.

"Prendi in braccio Alisea, e cerca di scavalcare la finestra"
 
"Non so se..."

"Devi farcela, Alan, e alla svelta!" Le fiamme stavano aumentando, e molti cavalieri gridavano per il dolore....

"Okay, Ali, vieni qui, fai la brava" 

"Aspetta, ti aiuto" cosi facendo, Zaffiro aiutò Alan e Alisea a scavalcare la finestra, il tutto facilitato dal fatto che entrambi fortunatamente erano molto leggeri....dopo un po’.. l'atterraggio...sani e salvi. 

"Zaf, sbrigati" disse Alan.
 

"Si, arrivo" ma prima che zaffiro  riusci a uscire completamente , un grosso cane che sembrava indemoniato e compagno dei cavalieri neri, corse nella loro direzione.

"Oh no, oh no, oh no" pensò Zaffiro, cercando di fare più in fretta possibile.

I fratellini intanto stavano correndo terrorizzati. 
 

"Resistete!" gridò Zaffiro riuscendo a strapparsi alla morsa, atterrò dall'altra parte all'esterno  cercando di raggiungerli, senza avere la più pallida idea di che cosa fare. 
 
Intanto Alisea  e Alan continuavano a correre....all'improvviso però il cane nero, che era uscito anch'esso per inseguirli, fu colpito da un raggio di luce  come un fulmine  e stramazzò all'istante. 
 
 Zaffiro cercò di individuare  da dove fosse venuto quel fascio, ma al momento  la scena terribile  che gli si parò davanti, gli calamitò tutta l'attenzione:  Alisea in preda alla paura  aveva incespicato e stava scivolando  dritta sulla scarpata. L'immagine che gli andò a Zaffiro fu quella di una bambola di porcellana, con la sua ampia gonna nera e bianca che si apprestava a precipitare da un burrone, mentre un terrorizzato Alan cercava disperatamente di fermarla e trattenerla con la mano; ci riusci, ma durò poco, perchè Alisea stava trascinando sotto anche lui.
 
" Vi prego, resistete, sto arrivando." Zaffiro quasi disperava di riuscirci, e fu solo per un soffio che riusci ad agguantare un lembo del maglioncino marrone di Alan. Per un attimo una piccola ondata di sollievo lo travolse:
 
 
"Resistete." disse ancora. Sentiva Alan trattenere il fiato e sentiva Alisea gemere come un cucciolo ferito.
 
"Non - vi lascerò andare." disse Zaffiro. Cercò di aggrapparsi a quei lembi del maglione di suo fratello e di tirare, ma il peso era troppo, si trascinava anche la sorellina...e alla fine la presa gli sfuggi.
 
 
“Nooooo." Zaffiro vide come una scena al rallentatore il precipitare dei fratellini e si prese il viso fra le mani. Il padre era alle sue spalle ansimante,. gli mise una mano sulla spalla.
 
"Zaffiro." 

"Lasciami, devo andare a salvarli, si possono ancora salvare."

"No, zaffiro, non puoi fare più niente per loro." 

 Zaffiro guardò il padre. Sembrava invecchiato di dieci anni.
 

"Non li abbandonerò" fece per tuffarsi nel dirupo ma il padre gli bloccò le braccia: “NO! non perderò anche te! "

Zaffiro era sconvolto ma ebbe la forza di tirare un calcio che piegò in due il padre. 

"Zaffiro, non lo fare, ti prego."

Zaffiro si voltò per l'ultima volta verso il padre con una sorta di vacua tristezza nello sguardo.

"Mi dispiace papà, non posso" dopodichè si buttò senza esitare.

"Zaffiro, noooooo." 
 
 
 
 

 
la caduta sembrava che avesse cristalizzato il tempo, Zaffiro si rese conto di non aver mai dato molta importanza al tempo prima d'allora. Tanti sforzi passati a cercare di accelerarlo, a cercare di combattere contro la noia....non aveva mai pensato che un singolo attimo si potesse cristalizzare cosi all'infinito quando si stava per andare incontro alla morte....
 
non aveva mai pensato di desiderare di cristallizzare quei pochi momenti interminabili per sempre....era cosi? Credeva davvero di salvarli quando si è buttato oppure sapeva già di stare per abbracciare la morte consapevolmente, quando si è voluto tuffare?
 
 è stata più come una sorta di "Sono stato un idiota. Non sono stato capace di salvarli, ma almeno morirò con loro" oppure ancora non aveva perso la speranza? è incredibile quanti pensieri possono attraversare il cervello umano in un singolo attimo. 
 

E poi, cos'avrebbe sentito nel braccio della morte? Freddo come dicevano molti, oppure un caldo infernale? Avrebbe visto un bianco accecante, oppure la morte era buia, come si dice che è il principio?
 
 
 
Il tutto fu fragoroso. Zaffiro andò parecchio sotto, poi rinvenne.
 
Per un attimo si convinse che si, la morte doveva essere GELATA, avevano ragione tutti gli scritti in proposito. ..poi si convinse di essere ancora vivo e cercò immediatamente i fratelli, anche se il gesto del padre gli aveva fatto perdere minuti preziosi, non disperava di trovarli ancora vivi. 
 

Con suo grande stupore, neanche lui ci credeva, mentre li chiamò, ma li trovò, poco distanti, appoggiati ad un tronco. "Alisea, Alan" 
 

Li raggiunse con il respiro affannoso. L'acqua era davvero gelata.

"Alan e Alisea sembravano stremati.

Alan parlò: "Zaffiro, sei venuto" 

"Non potevo abbandonarvi…anche se sono stato...trattenuto...Alisea come sta?"

" Sono riuscito a salvarla, temevo che affogasse." Alan fece un grosso respiro e parlò ancora:
"Per fortuna c'era questo tronco qui"

"Alan, e anche tu, Alisea, statemi a sentire, ce la caveremo, ok? Ce la caveremo...ve lo prometto". 

"Tu credi?" hai visto cosa c'è là?" indicò Alan. Alle loro spalle c'era una cascata, vicinissima, questione di pochi passi. 

"Merda" disse Zaffiro.

"Già..." disse Alan. Sembrava stremato. Alisea poverina non riusciva neanche a parlare . 

A Zaffiro veniva da piangere. 

"Vi ho voluto bene, ragazzi, siete stai i migliori fratelli che un fratello possa desiderare" disse Zaffiro.

Alan aveva perso le parole, mentre Alisea parlò per la prima volta.
 

" Forse...ci ritroveremo tutti e tre nel mondo fantastico dell'unicorno...io ci sono stata, sapete? In un sogno...e c'eravate anche voi..." 
 

Zaffiro prese i fratelli cingendoli per le spalle, in un abbraccio unito e disperato, ormai la cascata era imminente, e mentre precipitavano, ci fu un bagliore accecante. e poi più niente. 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice: 

Mi sconvolge vedere come la frase "Non ti lascerò andare" che avevo scritto in questo capitolo anni fa, l'ho scritta senza saperlo anche nel capitolo di Un amore titanico ahaahaha guarda il destino, certe volte!!

Alla prossima :))

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Capitolo 6
*** Clère ***


"Oggi sarà il mio primo  giorno all'orfanatrofio.  Devo stare calma. Devo fare buona impressione".  Disse una voce.


Lo specchio della camera rimandò l'immagine di una ragazza alta, con corti capelli a caschetto, castani, lucenti e liscissimi, e occhi intensi di un bel e profondo color marrone. Occhi di cerbiatto, dicevano sempre tutti. 

Aveva una bella gonna scozzese e una camicetta blu, con le maniche rivoltate.

Clère, si preparava per il suo primo giorno come aiutante all'orfanatrofio. Era stato sempre il suo sogno occuparsi di bambini.  Forse ci sono semplicemente donne che crescono con l'istinto materno nel DNA.  Ora Clère era vibrante  di ottimismo e esaltazione, presto avrebbe conosciuto i suoi bambini. I suoi bambini.  Sapeva che era sciocco da dire, ma non riusciva a non pensarlo. Sorrise allo specchio. 
 

"I miei bambini" . Si, era sciocco, però era cosi tenero.  Si preparò per andare all'orfanatrofio. Per andarci, doveva passare per una strada che costeggiava il mare, e Clère ne approfittò per bagnarsi i piedi mentre faceva una passeggiata sulla spiaggia, dirigendosi all'orfanatrofio.
 



Pensava ai tanti bambini che all'orfanatrofio avevano perso i genitori, ma anche ai tanti che erano capitati li, perchè i genitori non li volevano più. e nel mentre pensava: " Come si può abbandonare delle creature cosi indifese? I genitori...non dovrebbero mai abbandonare i figli...a meno che non siano costretti..." 

Mentre pensava a queste cose tristi, si disse che non doveva mostrarsi triste proprio il primo giorno del suo incarico....

E li vide....tre sagome scure proprio sulla riva. Si fermò. I suoi occhi cercavano di registrare quello che stava vedendo. Sgranò gli occhi. Ci volle qualche secondo perchè il cervello gli rimandò l'immagine di tre piccoli corpi abbandonati alla riva, che le onde bagnavano a ripetizione, onde abbastanza piccole da non sommergerli, ma abbastanza grandi da inzuppargli i capelli. Gli si serrò la gola, degluti. e con il cuore che gli martellava nel petto, corse verso di loro non appena capi di chi erano quei corpi stesi a terra.

Bambini!

 pensò disperata Clère. 

"Dio, no, ti prego fa che non siano morti, fa che siano vivi" disse con la disperazione nella voce. 

Si avvicinò per guardarli meglio. 

Erano proprio tre bambini. 




Quello che sembrava il maggiore, con folti capelli neri, sembrava stringere in un abbraccio protettivo di difesa, il fratellino minore. La sorellina invece, non era parte dell'abbraccio, era poco più distante dei due fratelli, vicino a quello minore, però anche se il fratellino minore non la cingeva con le braccia, aveva una mano appoggiata sulla sua guancia con delicatezza, il che faceva supporre che la sorellina si fosse spostata in un secondo tempo, forse per non soffocare. 

Clère si avvicinò di più e tirò un sospiro di sollievo. Era viva, ma gli altri due? 

Cercò di toccarli per spostarli e gridò. Una luce giallastra usci dai loro corpi, e all'istante due graffi gli solcarono le dita. Si senti molto spaventata. Forse i due ragazzi erano stati colpiti da frammenti di vetro! 

Cercò di spostare con una mano, la mano del fratellino minore e con l'altra il corpo di Alisea. Gridò di nuovo. Le sembrò di ustionarsi le mani, ma non c'erano graffi stavolta.
Nessun segno. Era spaventatissima, ma non poteva lasciare quei bambini li a morire. 

Si fece coraggio e sfiorò di nuovo il braccio della bambina. Non senti niente. Lo fece anche con gli altri due. Niente. Appoggiò l'orecchio ai loro cuori. Grazie a Dio battevano a entrambi. 

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Capitolo 7
*** Arrivederci Clère ***


C'era un forte odore di medicina. L'odore dei vari medicinali, miste a candeggina e a quei corridoi cosi insopportabilmente spogli e bianchi erano una visione insopportabile per Clère.

Clère odiava gli ospedali. Il bianco, che era uno dei suoi colori preferiti, visto ora nei corridoi d'ospedali, addosso alle pareti, cosi come le mura delle stanze, cosi bianche, non dava al bianco quella lucentezza, quella purezza, che dava sempre; dava più un sentore come di malattia,cosi come le piante, che erano da sempre indice di accoglienza, di festività, viste nei corridoi degli ospedali, di norma le piante riescono solo a trasudare malinconia, tristezza, abbandono. 

Clère detestava gli ospedali, eppure quel giorno si era ritrovata costretta a tornarci, per salvare la vita a tre giovani fanciulli. Quando li vide cosi fragili e innocenti, sulla spiaggia, temette di aver visto tre morti.
Clère non aveva mai visto dei morti da vicino.
E invece....i ragazzi erano vivi, anche se apparentemente privi di forze.
Ha dovuto fare due telefonate, per l’ambulanza  e infine per l'orfanatrofio, per dover dire che era stata trattenuta. Sapeva che adesso i ragazzi erano fuori pericolo e che quindi poteva andarsene, ma non voleva farlo. Non sapeva perchè, e quindi cercò nella sua testa quella che gli sovvenne come l'ipotesi più plausibile
 
Quando salvi la vita di qualcuno, è come se ne fossi responsabile. Non puoi semplicemente lasciarlo andare e ricominciare la tua vita come se niente fosse. Si instaura un meccanismo strano, che ti lega a quella persona. Puoi scegliere di ignorarlo e andare avanti per la tua strada come se niente fosse, ma è come se stessi raccontando a te stesso una menzogna. 
  
Una vocina dentro Clère avrebbe quasi voluto rimproverarla per l'eccessivo sentimentalismo: Clère fece un mezzo sorriso tra sè e sè e si chiese se fosse cosi con quei ragazzini. Se avesse stabilito una sorta di legame con loro, o se invece, l'avrebbero dimenticata presto. 
 

 
 
Intanto nella stanza, i fratellini cominciarono piano piano a svegliarsi.

Alisea con quei capelli rossi fiammeggianti e le guance arrossate per il calore dei termosifoni, assomigliava proprio a una bambola di porcellana, Alan si stava riscuotendo dal sonno con i ciuffi castani di capelli arruffati qua e là, Zaffiro dava l’impressione di essere sveglio da un pò, ma di non essere completamente lucido, come se fosse ancora tutto addormentato. 

"Dove siamo?" chiese Alisea tutta assonnata. 

"Hai vinto il premio per la domanda più banale detta dai migliori film del cinema" disse Zaffiro. 

"Che cos'è quest'odore insopportabile"? disse Alan, sprofondando nel cuscino. 

"Ecco, la tua è un pò più originale" disse Zaffiro con un sorrisetto.

"Credo che sia candeggina, mista a odori di medicinali" prosegui strizzando il naso. 

Alisea che non aveva ancora messo a fuoco la stanza, disse:" Siamo morti? Siamo in paradiso?" 

In quel momento Alan starnuti.

"I morti non starnutiscono. almeno questa è l'opinione più diffusa" sorrise Zaffiro. 

"Allora siamo all'inferno, sento un caldo infernale" disse Alisea sprofondando nel cuscino, benchè avesse capito benissimo a quel punto, di trovarsi in ospedale, e la cosa non le piaceva per niente. 

"Non siete nè all'inferno, nè in paradiso" disse una voce di ragazza, spalancando la porta. I ragazzi si ritrassero all'istante. 



Clère sorrise radiosa: "Non siete un pò presuntuosi ad ambire subito all'inferno o al paradiso? penso che un saltino in purgatorio dovreste farlo prima" sorrise Clère con le mani sui fianchi. 

I ragazzi la guardavano come se si fosse materializzato davanti a loro in quel momento, uno strano cerbiatto. non sapevano che cosa dire. 

"Ciao" disse Clère un pò imbarazzata, passandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

"Il mio nome è Clère, sono stata io ad avervi trovati....voi eravate..beh...eravate...." 

Non riusci a trovare le parole per continuare.

Non era la prima volta.

"Sei stata tu a salvarci la vita?" esordi Alan guardandola negli occhi. 

"Si, oh si, eravate cosi...cosi...oh insomma, vi ho visti soli, dispersi, sfiniti, in mezzo alla spiaggia, bagnati e inzuppati, e ho avuto paura che poteste essere....ma per fortuna eravate ancora vivi.". fini Clère guardandoli con dolcezza. 

I ricordi di qualche ora prima sommersero i ragazzi con la forza di pugnali a raffica. ...ricordare
era doloroso....

La ragazza si fece avanti e chiese loro: " Ve la sentite di dirmi che cosa è successo? ma prima...ditemi. quali sono i vostri nomi?" 

"Io sono Zaffiro, e loro sono i miei fratelli, Alan e Alisea. Scusali, ma sono ancora molto scossi, non credo abbiano troppa voglia di parlare" esordi Zaffiro. 

"Si, si, capisco benissimo"  esordi Clère intrecciando le mani."Hai voglia di dirmi tu, Zaffiro, che cosa vi è successo?"
Cosi dicendo, prese le mani di zaffiro, che arrossi violentemente, e ritrasse le mani. 

Clère sembrò confusa e timorosa di aver fatto qualcosa di sbagliato e Zaffiro si affrettò a sorriderle per rassicurarla. poi cominciò....

"Noi...eravamo in una baita in montagna..." all'improvviso girò la testa per guardare Alan e Alisea, che sembravano dirgli con gli occhi di non dire troppo. 

"A- all'improvviso sono arrivate delle persone, a galoppo di cavalli bianchi...."

"Delle persone? Che cosa volevano da voi?" incalzò Clère. 

"Loro...loro...." disse Zaffiro senza sapere bene come proseguire.

"Volevano noi, hanno minacciato i nostri genitori, ci sono corsi dietro...." disse Alan.

Clère si voltò verso Alan. "E poi? Poi dopo?" 

Un breve attimo di silenzio...e poi...

" Io e Alan Siamo caduti. Nel crepaccio, sopra il fiume" disse Alisea.

Clère cercò di registrare l'informazione, pensando di aver capito male. 

"Crepaccio? Crepaccio?" ripetè con gli occhi sbarrati. 

"Zaffiro ci è venuto dietro, e ci ha salvati". disse con voce flebile Alisea.
"Clère si girò verso Alisea e poi verso Zaffiro. 

"Ti sei buttato per salvarli..."
 
"Si" rispose con orgoglio Zaffiro. 

"Siete caduti nel fiume..." disse Clère. I ragazzi sapevano dove voleva andare a parare, e non gli piaceva. 

"Come avete fatto a sopravvivere?" chiese Clère molto lentamente. 

"Non lo so, voglio dire ..dopo la cascata...." cominciò Alisea, ma si interruppe dopo le occhiatacce dei fratelli. 

"Cascata?" Clère era a bocca aperta. 

"Credo che l'interrogatorio possa rivelarsi concluso per adesso" disse un infermiere prendendo per un braccio Clère. "La invito a uscire fuori, signorina, c'è la zia dei ragazzi, che è appena arrivata sconvolta, e vuole vederli". 

"Si, certo". disse la ragazza e usci rivolgendo loro un'ultima occhiata.
 
 

I ragazzi continuarono a fissarla, con un misto di curiosità, sorriso, e....gratitudine forse...
dopo che fu uscita, la zia si precipitò dentro la stanza e abbracciò i bambini che si fiondarono su di lei tra le lacrime. 

Clère spiava attraverso il finestrino della porta. non seppe più trattenersi e disse all'infermiere:

"C'è qualcosa che non va. I ragazzini hanno detto che sono stati seguiti da qualcuno, e che sono precipitati in un fiume, ma io li ho trovati in riva al mare!" 

"Credo che quei bambini siano un pò confusi, è normale alla loro età confondersi, confondere il mare con un lago o un fiume" minimizzò l'infermiere. 

"Hanno detto che si trovavano in montagna" insistè Clère. 

"Non lo metto in dubbio, ma chissà cosa è successo davvero in quel luogo. Forse non è vero che sono precipitati li. forse sono stati addormentati, trasportati via, e si sono inventati il fatto dell'essere precipitati, perchè era l'unica spiegazione che il loro cervello poteva immaginare, si sono inventati qualcosa che non è successo, insomma. I ragazzini lo fanno continuamente". 

"Ancora peggio" si agitò Clère. "Vorrebbe dire che sono stati presi e rapiti da chissà chi e buttati in mare....qualcuno ha cercato di sbarazzarsi di loro...in quale razza di incubo sono finiti? quale malvagio può.......?" 

"Adesso basta, signorina, si calmi, ho anche altri casi a cui badare e non posso stare qui a...."

Clère si rabbuiò. 

" Mi scusi, non intendevo farle perdere tempo, è che sono cosi sconvolta da quello che è successo...non mi è mai capitato di dover soccorrere dei bambini a cui capita una disavventura del genere....i due ragazzi avranno quasi la ma età....e sono scioccata, ecco." 

"Comprensibile" disse l'infermiere. 

"Crede...."cominciò Clère guardando attraverso il vetro.  "Crede che si dimenticheranno di me dopo oggi?" 

“Non ci si può dimenticare di chi ci salva la vita....ma forse con il tempo, se non la vedranno più, si dimenticheranno, voglio essere schietto con lei." disse.

Gli occhioni di Clère si riempirono di lacrime.

"Ma le dico anche, che a volte il destino è incredibile. se certe persone sono destinate a rincontrarsi, succederà, quindi, non abbia paura, sono sicuro che li rincontrerà, il destino è dalla sua parte." disse l'infermiere.

"Crede?" chiese Clère continuando a guardare i volti dei bambini che abbracciavano la zia. 

Sembrava che anche loro la stavano fissando. 

"Ne sono più che sicuro" mormorò l'infermiere con un sorriso, e si allontanò 
 
















Note dell'autrice:  CLèRE:

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Scusate per il ritardo! Purtroppo devo correggere i capitoli prima di pubblicarli, perchè sono pieni di errori e imprecisioni e quindi ci metto tempo a pubblicarli, oltre al fatto che preferisco dedicarmi alle altre mie ff che hanno la precedenza xd

Comunque stiamo arrivando ai capitoli di sostanza, finalmente :)) Spero che Clère vi piaccia :))

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Capitolo 8
*** Zia Judith ***


Era passata una settimana dall'incidente, dall'incontro con Clère e da quando la zia di Alisea, Alan e Zaffiro, era rientrata tutta sconvolta in ospedale, abbracciando i nipoti, felice che si erano salvati.

La zia tentò più volte di interrogarli su quanto fosse successo, ma i ragazzi si limitarono a dire di essere stati aggrediti da uomini a cavallo e di essere precipitati nel fiume, dopodichè non ricordavano più nulla.
Omisero di raccontare dei fasci di luce accecanti e del cane che sembrava uscito dalle viscere dell'inferno. Qualcosa gli disse che non gli avrebbero creduto e che avrebbero invocato l'infermità mentale. Anche cosi, la zia e tutti quanti, dubitarono fortemente di quel poco raccontato dai ragazzi. Credevano si che fossero stati aggrediti da sconosciuti, ma non credevano alla loro versione, perchè era impossibile che i ragazzi fossero potuti sopravvivere dopo essere precipitati dalla cascata, e altrettanto impossibile che fossero riemersi in mare aperto, da tutt'altra parte del mondo. 

La versione più realistica per tutti, è che fossero stati rapiti e poi buttati in mare...e che la loro immaginazione aveva fatto immaginare loro invece, quell'altra parte della storia, anche se, non capirono mai perchè qualcuno potesse avercela con dei bambini….forse qualche vendetta da parte di qualcuno verso i loro genitori.
La polizia chiese più volte alla zia dei ragazzi, se sua sorella e suo cognato avessero dei nemici. Lei fra le lacrime rispose che credeva di no. 

Dei genitori si era persa ogni traccia, tanto che tutti credevano che fossero ormai morti, catturati dagli aggressori. 

La zia credeva che Alisea, Alan e Zaffiro avrebbero subito uno shock in merito a quanto successo e li riempiva di premure, cosa che a loro invece infastidiva.  Avrebbero preferito essere lasciati in pace da soli. Non erano abitati a qualcuno che si prendeva cura di loro.
Intanto, la zia li aveva inseriti in una nuova scuola, essendo quella vecchia troppo lontana per poter continuare a portarli li. 




Mancavano due giorni all'inizio della nuova scuola e quella sera erano tutti a tavola.

La zia, Alisea, Alan e Zaffiro.

I ragazzi non avevano ancora toccato niente. 

"Se non la mangiate, quella minestra si raffredderà" disse la zia parlando ai ragazzi. I ragazzi non risposero.

"Avete bisogno di restare in forze, tra due giorni è il vostro primo giorno nella vostra nuova scuola".  disse più dolcemente la zia sorridendo. 

"Una scuola vale l'altra e poi tecnicamente non è il nostro primo giorno" rispose Alan, guardando fisso il piatto.

"Ma in questa scuola si, forse potrete farvi dei nuovi amici" 

"Nuovi?" disse Zaffiro, alzando lo sguardo e inarcando un sopracciglio."Quando mai ci sono stati dei primi?" aggiunse. 

La zia si senti a disagio. Dopo un leggero momento di esitazione, riprese: "Sentite, lo so  che per voi è stata un'esperienza molto traumatica quello che vi è successo, lo so che state soffrendo, ma...."

Ci fu uno sbattere di posate sul tavolo e un rumore di sedia spostata. 

Alisea si alzò precipitosamente e scappò in direzione della camera.



"Alisea, aspetta"  le urlò Zafiro e le corse dietro. Alan non si mosse dal tavolo, ma scoccò alla zia uno sguardo di disprezzo, stile: "perchè non taci e basta?" 



Alisea intanto era entrata in camera e senza sapere bene che cosa fare, si mise a rassettare le pieghe dal letto. 

zaffiro restò sulla soglia della camera.

"Stai bene?" le chiese . 

"Sto bene...era solo...è passato, non preoccuparti" rispose Alisea. Aveva la faccia ancora girata verso il letto, fingendo di metterlo a posto, e cercava di modulare la voce per non far capire che stava piangendo. Si accorse però che Zaffiro evitava di avvicinarsi, forse proprio per lasciargli il diritto di nascondere il viso rigato dalle lacrime e la possibilità di asciugarsele senza farsi vedere, e gli fu grata di questo. 

Proprio quando Zaffiro si stava chiedendo che cosa fare, subentrò Alan nella stanza. 

"Cos'è, stiamo recitando un rosario per caso?" 

Zaffiro rimase a bocca aperta. 

"Hai perso un'occasione per stare zitto" gli disse sprezzante.

"Oh, andiamo, perchè devi essere sempre tu a voler far la parte di quello ironico? non è giusto, lascia spazio anche agli altri." disse simpaticamente Alan. 

Suo malgrado, Alisea, la testa ancora voltata, sorrise. 

Zaffiro alzò gli occhi al cielo. 

"é mai possibile che non si può fare NIENTE da soli, che bisogna avere la coda dietro? io stavo cercando..." disse in direzione di Alisea, incerto su come proseguire. 

"é anche camera mia, fratello" gli ricordò Alan. "E poi quella minestra era immangiabile. zia Judith poi ha abbondato di carote nel mio piatto. vi rendete conto? CAROTE"  Disse strabuzzando gli occhi. "Ho colto l'occasione per svignarmela". Aggiunse.
 
 Zaffiro scosse la testa, ma stava sorridendo divertito. 

 Alisea si alzò e si avvicinò al caminetto acceso della camera.

Si inginocchiò a guardare le fiamme, con la vestaglietta rosa che la avvolgeva tutta come un lenzuolo, e quei capelli rossi,  sembrava proprio una bambolina. Fissò le fiamme crepitare nel camino e si accocollò come un gattino. 

"Tra due giorni sarà il nostro primo giorno di scuola, in una nuova scuola" sussurrò Alisea.

"Si" disse Zaffiro. "Ma non c'è motivo di avere paura" sussurrò con dolcezza.

Alisea tirò su con il naso. 

"Mi dispiace di essere scappata in quel modo...ma io...io non riesco ancora ad accettare quello che è successo" disse Alisea. 

"Lo sappiamo, Alisea, ma non devi sforzarti di farlo, se non vuoi" disse Alan.

Alisea lo guardò senza capire. 

"Piangi, sfogati, sfoga la rabbia, non devi trattenerla, fallo senza vergognarti, butta fuori tutto"  rincarò Zaffiro. 

Alisea scosse rigorosamente la testa. 

"Si, invece" gli disse Alan prendendogli il viso tra le mani.

"Non devi aver paura di piangere, nè devi pensare per un attimo che noi non saremo in grado di capirti o di starti vicina, mi hai sentito?" continuò.

"NON LO SOPPORTO" scoppiò Alisea. "Non sopporto quello che ci è successo, non sopporto il fatto di non sapere se mamma e papà sono ancora vivi o se sono morti, non sopporto la possibilità che la loro ultima azione sia stata quella di proteggerci!"

Proruppe in singhiozzi.

 Alan la strinse teneramente a sè cercando di tranquillizzarla.

"Andrà tutto bene, andrà bene, vedrai" disse accarezzandole le spalle. Zaffiro si voltò e guardò fuori dalla finestra. era buio. Chissà che giorno sarebbe stato domani. 

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Note dell'autrice: 

Rieccomiii <3 scusate se anche questo capitolo è breve, ma, ho controllato, e mi sono accorta che avevo fatto questo capitolo di 6000 parole xd ho dovuto tagliarlo per forza ahhahah

Judith...se notate parallelismi con Jenna di The Vampire Diaries è perchè ai tempi guardavo solo quello e non conoscevo Supernatural ahhahah

Spero comunque vi piaccia l'immagine :D 

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Capitolo 9
*** Un fiore senza profumo ***


L’indomani,  zia Judith  doveva accompagnare Alisea al centro commerciale, perchè le serviva ancora del materiale scolastico, che aveva dimenticato. 
Stranamente, Zaffiro e Alan non vollero andare;  Zaffiro disse che doveva andare in cartolibreria a vedere se gli erano arrivati i libri che stava aspettando e Alan non aveva voglia di uscire, cosi, la zia e Alisea andarono da sole.
 
Durante il tragitto in macchina, la zia si accorse che Alisea sembrava un pò strana, sulle nuvole… da quando si era svegliata, non aveva detto una parola e aveva le guance rosse. Forse era febbricitante. Quasi a leggerle nel pensiero, Alisea calò il finestrino.
Ecco, aveva la febbre.. non avrebbe dovuto farla uscire.
 
"Alisea, ma sei matta? Siamo in inverno, vuoi prenderti una polmonite?"  Cosi dicendo, chiuse il finestrino.
Alisea guardò inebetita il finestrino, come se l'avesse appena sigillata in una camera mortuaria.

"Cosa ti succede? hai la febbre?”

"No, zia, ho solo un pò caldo" 

La zia gli premette la mano sulla fronte. Sembrava molto calda.

"Se vuoi che torniamo indietro...." 

"NO!"  disse Alisea ad alta voce. 

La zia la guardò corrugando le sopracciglia. 

"No" ripetè più a bassa voce. 

"Scusa, è che mi sono svegliata male, dev’essere l'ansia per la scuola.. domani è il primo giorno con una scuola diversa, compagni diversi, e l'idea mi mette un pò d'ansia, tutto qui." 

La zia annui solennemente, anche se non era del tutto convinta che dicesse la verità e infatti non sbagliava. Era tutta la mattina, da quando si era svegliata, che Alisea aveva una strana ansia addosso. Neanche lei sapeva spiegare bene che cosa avesse. Sapeva solo che si era svegliata con l'eccitazione strana di chi doveva andare in un determinato posto e con l'intento preciso di trovarvi qualcosa, ma non riusciva bene a capire dove stesse andando o che cosa doveva cercare, o trovare.
 
 

 
 
 
*

Intanto in un'altra macchina, altre due figure silenziose percorrevano una strada avvolta nella nebbia, che ben presto sarebbe diventata coperta di neve.
Una era una donna matura, ben curata e truccata, con riccioli d'oro alla Marilyn Monroe, l'altra nel sedile posteriore, accanto a lei,  una ragazza minuta, più giovane, dai lineamenti delicati come una bambola, ma senza alcuna traccia della vanità delle donne che hanno la consapevolezza di piacere.
 Le sue sopracciglia fini e delicate non erano contornate da nessun ombretto e nessuna matita per risaltarne la bellezza degli occhi; cosi come le sue labbra a cuore non erano tracciate da nessuna linea di rossetto. Le sue mani, benchè venissero spesso nominate come bellissime mani da molta gente, non venivano mai colorate da uno smalto. I suoi capelli erano biondissimi e liscissimi, chiunque avrebbe approfittato di quella fortuna, facendo acconciature, legandoli in modo sexy, mettendoci la lacca, olii speciali per sottolinearne ancora di più la bellezza e per farli diventare ancora più luminosi… invece lei no. Marika non era come le altre ragazze. 

Il suo viso era un viso da bambina, non gli interessava truccarsi, perchè non aveva la malizia di piacere alle persone e ai ragazzi. Di tanto in tanto, si legava nastri d'oro facendosi una mezza coda. Non lo faceva per apparire più bella e regale agli occhi degli altri, lo faceva perchè rimaneva ammaliata dalla bellezza del nastro. No, lei non era come le altre ragazze. Per questo era sempre cosi sola.

"Buon Dio, potresti anche metterci un pò di entusiasmo, figlia mia, domani è il tuo primo giorno di scuola e non dovresti andarci cosi imbronciata". 

"Io non volevo venire, non capisco il perchè di questa uscita, ho già un sacco di vestiti luccicanti da scegliere per la giornata di domani; questa uscita è completamente inutile!!!".  sbottò Marika.

"Santo cielo, Dio mi ha dato al contempo una benedizione e una croce eterna! una benedizione perchè  mi ha fatto generare una figlia con cosi tanta bellezza e grazia, e una croce perchè allo stesso tempo ho generato una figlia senza AMBIZIONI. Lo sai quante persone, quante ragazze vorrebbero essere nei tuoi panni, Marika? Avere la bellezza che hai tu, avere la tua grazia, la tua eleganza, ne hai solo la più pallida idea?"
 Le chiese la madre puntandole un dito. Marika vide la lunga unghia artificiale di sua madre, colorata di rosa, davanti al viso.

"Questo me l'hai già detto, mamma". 
La madre abbassò il dito e la scrutò con incomprensione frustrata. 

"Non riesco a sopportare che Madre Natura ti abbia dato un dono cosi e tu non abbia neanche l'ambizione di sfruttarlo. Potresti sfilare, diventare fotomodella, recitare. Potresti diventare FAMOSA,  Marika. Tutte le persone sarebbero ai tuoi piedi, ma tu non vuoi. Rifiuti qualsiasi proposta che ti viene fatta… la tua bellezza ti potrebbe aprire molte porte e tu gliele sbatti tutte in faccia, non ti interessa la moda, non ti piace truccarti. ...potresti avere tutti i ragazzi ai tuoi piedi, ma non dai corda a nessuno. Sei un bellissimo fiore senza profumo. Si può sapere che cos'hai?" 

Marika si girò verso il finestrino con aria triste, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Sapeva che sua madre non voleva davvero una risposta e lei non intendeva dargliela. Forse non la sapeva neanche lei.
 
 Alle sue spalle c'era un boccetto di smalto capovolto, nel posto dove di solito è usato come portamonete. Non voleva guardarlo.. lo ripugnava. 

Non sapeva perchè scatenava in lei sentimenti tanto nauseanti, eppure era cosi. 

Guardò fuori dal finestrino e vide un cerbiatto. Guardava proprio nella sua direzione.La fissava. 

Stava forse indovinando i suoi pensieri? Gli animali, anche quelli selvatici, che non sono mai stati a contatto con l'uomo, anche loro, riuscivano ad avere una sensibilità tale che gli permetteva di leggere nell'animo umano? E se era cosi,  questa sensibilità , da dove la prendevano, se nessuno gliel'aveva mai insegnato? 

Ed ecco che il cerbiatto svani, cosi come era apparso. Non svani perchè con la macchina l'avevano sorpassato, ma semplicemente per il motivo più banale e scontato del mondo: perchè non esisteva.

 Senti un dolore acuto per il fatto che non fosse reale; avrebbe voluto davvero essere guardata cosi da un cerbiatto. Non sapeva neanche lei perchè il fatto che non fosse successo realmente,  gli provocava tanto dolore. L'aveva disegnato lei con la sua immaginazione e ora era svanito. Come i suoi stupidi pensieri, come tutto quello che non riusciva a trattenere mai troppo a lungo. 

Un fiore senza profumo, aveva detto sua madre. Era quello che era?
 
 
 








 "I fiori non sono consapevoli del loro valore"  disse d'un tratto Alisea.

"Come  dici?"  chiese la zia con tono vagamente allarmato, che gli veniva sempre quando, Alisea e gli altri due fratelli, dicevano qualcosa di strano. 

"Stavo riflettendo su una frase che lessi nel libro *la principessa che credeva nelle favole*. non so perchè mi è venuta in mente." disse Alisea con aria malinconica.

"Ah" disse la zia. e continuò a guidare. 




 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice: 

https://scontent-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-frc3/v/t1.0-9/1002850_550799831622754_530886057_n.jpg?oh=e23d991fc8ccf9722848e3497f0cd6bd&oe=5591950E

Signori e signore...vi presento Marika! :D il capitolo doveva concludersi in un altro modo, ma davvero, per me 3000 parole sono davvero troppe da correggere...abbiate pazienza xd

Spero che la storia vi stia piacendo e anche i personaggi...che tra pochissimo cominceranno anche ad interagire tra di loro :D   Spero anche che la storia non vi intristisca troppo ahhah

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Capitolo 10
*** Senza sosta... qualcuno sa cosa stiamo cercando? ***


Marika e la mamma erano arrivate al supermercato.  La madre aveva adocchiato subito delle magliette azzurre con i brillantini, e le mostrò a Marika prendendola per un braccio. 

"Guarda questa maglietta, tesoro, non è un amore? Potresti metterla per domani ". 

"Mamma, ho già provato a mettere delle maglie simili e ti ho già spiegato che i brillantini mi fanno solletico nel corpo" disse Marika cercando di divincolarsi dalla stretta.

"Quanto sei difficile" borbottò la madre. "Oh, guarda queste magliette che carucce, ne devi prendere assolutamente una."

Marika si voltò a guardare le magliette. Alcune erano nere, larghe e piene di scritte, mentre altre erano cupe, grigie e mascoline, nessun ricamo particolare, nessun piccolo segno di femminilità.....

"Ti ho detto mille volte che non mi piace il nero, non mi piacciono i colori cupi e neanche le maglie da maschiaccio con le scritte da drogati, perchè vuoi a tutti i costi farmi vestire come una tamarra?"

La madre si rivolse a lei come a una bambina ritardata che faticava a comprendere:

"Tutte le ragazze si vestono cosi. è la moda". 

Marika senti la nausea salirgli a sentire parole e frasi dette e ridette da milioni e milioni di persone prima e dopo di lei, ma invece di contestare, disse: " Io non sono cosi. A me piacciono i colori tenui, delicati. Mi piace il soft, mi piacciono le forme delicate, i pizzi, i ricami".
 
 La mamma perse la pazienza.

"Non sei più una bambina, non puoi vestirti da barbie per tutta la vita". 

Marika ripensò a quel famoso detto che dicevano milioni di moralisti:

"Sii te stesso. Sempre." 

Lo ripetevano come un tarlo nel cervello, benchè sapessero che era impossibile.  Dal momento in cui nasci a quando inizi a camminare, cercano di farti diventare un'altra persona, diversa da quello che sei, e allora a cosa servivano quelle parole vuote? Ipocriti. 

Cercò di ricacciare indietro le lacrime. Non voleva che la madre la vedesse piangere, sarebbe servito solo a farla arrabbiare ancora di più, e si lasciò trascinare nel reparto scarpe. 
 

"Che ne dici di questi stivali?" Gli presentò degli stivali lunghissimi, neri. 

Sembravano stivali da cavallerizza.

A Marika facevano impressione. Si allontanò subito. 

"Marika, dove stai andando? Marika?" 

"Vado a fare un giro nel supermercato. Torno subito".  Disse, allontanandosi  precipitosamente, cercando di scappare dal demone dell'ossessione che la madre aveva nei confronti della moda. 
 
 
 

 
*
 
  Per Alisea e la zia le cose andarono in maniera un pò diversa. La zia vide un completino azzurro molto carino e lo fece vedere ad Alisea, che sorrise e disse che gli piaceva molto, poi la zia si fermò a guardare dei cd musicali e lasciò Alisea libera di girare nel supermercato. 

Sapeva che Alisea non riusciva a resistere alla tentazione di passare nel reparto libri, in qualsiasi supermercato finissero per entrare. 

In quel momento nel supermercato, si senti la tipica melodia di una canzone... un'usanza che usavano in molti supermercati, quella di far partire di colpo la musica. 

Alisea seppur avesse solo dieci anni, conosceva molte canzoni e la riconobbe all'istante.
era The Show Must Go On, di Freddy Mercury. 
 
 

 
 
*
 
 Marika riconobbe la canzone di Freddy Mercury. Sorrise e provò un brivido di emozione.
Le era sempre piaciuta quella canzone.  Si fermò per un attimo ad ascoltarla. Si era fermata nello scompartimento di generi alimentari.  Vicino a lei c'era un ripiano completamente vuoto. Marika trovò quello spazio vuoto, desolante. 
 
 

 
Empty spaces - what are we living for 
abandoned places-  i guess we know the score 
 
Spazi vuoti - per cosa stiamo vivendo?
luoghi abbandonati - suppongo che noi conosciamo il risulato.
 
 
 
 

Marika continuò a camminare.   
 

 
On ad on, does anybody know what we are looking for
 
Senza sosta.....qualcuno sa cosa stiamo cercando?

 
 
 
 

*

Intanto Alisea continuava a camminare. Incrociò un mazzo di palloncini in un angolo.
Lo sfiorò con le mani. Il primo ritraeva Goku con il suo sorriso migliore, il secondo ritraeva Lupin. Continuò a camminare. 
 

 
Another hero, another mindless crime
behind the curtain, in the pantomime
hold the line, does anybody want to take it anymore?
 
Un altro eroe, un altro stupido reato
dietro la tenda, nella commedia (farsa)
resta in linea, qualcuno lo vuole ancora? (......)

 
 
 
 
*
 
Marika si fermò d'un tratto, sentendo una coppia litigare. 

"Ti prego, Carl, ti prego, non lasciarmi, farò tutto quello che vuoi, ma non lasciarmi".
"Lasciami, sei patetica" si divincolò l'uomo. 

"Tra noi due è finita, Carmen, sono stanco dei tuoi capricci, STANCO!"  e se ne andò mentre la ragazza piangeva. 

"Non...lasciarmi". disse debolmente la ragazza premendosi le mani sul viso. 
Marika continuò a guardare la ragazza con il cuore colmo di pena. Voleva dirle qualcosa per consolarla, ma non sapeva cosa e trovava ingiusto che una persona dovesse essere lasciata sotto il sottofondo di una canzone cosi triste. 
 

 
 
Another heartache, another failed romance
on and on, does anybody know what we are living for? 
 
Un altro mal di cuore, un'altra storia fallita.
Senza sosta, qualcuno sa cosa stiamo cercando?

 
 

 
Intanto l'uomo che si era allontanato e che nè Marika nè la ragazza potevano più vedere ora, si voltò indietro, senza essere visto. Guardò la ragazza che era ancora in preda ai singhiozzi e pensò: "Perdonami Carmen. è meglio cosi." Una piccola lacrima gli scese per il viso. Non l'asciugò nemmeno e se ne andò con lo sguardo duro. 
 
 
 

 
I guess i'm learning (i'm learning learning learning )
i must be warner now 
i'll soon be turning (turning turning turning ) 
round the corner now 
outside the dawn is breaking
but inside in the dark i'm aching to be free
 
Suppongo di stare imparando, devo essere più caloroso ora
presto sarò una svolta, gira l'angolo ora
fuori, l'alba sta scoppiando
ma dentro nel buio sto soffrendo per essere felice. 

 
 

 
 
*
 La donna smise per un attimo di piangere, si girò verso Marika che le porse un fazzoletto. La donna lo prese e le sorrise. “Grazie.”

Marika non sapendo cosa dire, non disse niente, e se ne andò. 
 
 
 

 
*
 
 Non sapeva neanche Alisea cosa stesse cercando. Continuava a camminare con la frenesia di chi deve trovare a tutti i costi qualcosa, ma non sapeva bene cosa, poi incrociò una donna in uno scompartimento, anzi la parola esatta è che gli sbattè quasi addosso. Si scusò goffamente.

"Mi dispiace" disse. Alzò gli occhi e si rese conto con stupore che la donna aveva appena pianto. 

"Non importa" sorrise tristemente la ragazza. 

Alisea la guardò come a dire "Mi dispiace anche per questo. Qualsiasi cosa sia il motivo." 
e forse la donna lo capii perchè raccolse le borse che aveva a terra, gli fece una carezza, e se ne andò senza mai smettere di sorridere.
 
 

 
the show must go on 
the show must go on, yeah yeah
ooh, inside my heart is breaking 
my make up may be flaking
but my smile still stays on 
 
lo spettacolo deve andare avanti 
lo spettacolo deve andare avanti 
dentro il mio cuore è rotto
il mio trucco potrebbe scrostarsi
ma il mio sorriso regge ancora.

 

 
 
Alisea si era fermata di botto, nel reparto giocattoli. Aveva visto delle fiabe per bambini.

Un libro aveva calamitato la sua attenzione. In copertina campeggiava un sorriso smagliante di un ragazzo. In testa aveva un cappellino piumato. Sotto c'era una scritta a lettere verdi, sinuose.
 
PETER PAN

Alisea stava accarezzando la copertina con tenerezza. Le erano sempre piaciute le favole.
All'improvviso fu distratta dalla visione di una farfalla. Era una farfalla bianca, di un candore abbagliante. Lasciò perdere peter pan e la segui. 
 

 
 
my soul  is painted like the wings of butterflies
fairytales of yesterday will grow but never die
i can fly - my friends

 
 
la mia anima è  colorata come le ali delle farfalle.
Le fiabe di ieri invecchieranno, ma non moriranno mai.
Posso volare, amici miei…

 
 

 
 
 
*
 
 Marika ne aveva abbastanza di girare dentro il supermercato. Cominciò a sentire un caldo infernale e desiderò di uscire, anche solo per poco. Scrisse un sms veloce alla madre, per dirle che aveva intenzione di prendere una boccata d'aria fresca. 
 
 
 
 

 
*
Alisea continuò a seguire la farfalla, come ipnotizzata; avanzava lentamente tra gli scaffali. Non scompariva mai e a volte rallentava come se volesse che la seguisse. Quando Alisea vide che stava per uscire dal supermercato, esitò per un pò....e poi imboccò l'uscita di servizio, in preda a un impulso che non riusciva a controllare. 
 
 
 
 

 
*
una volta che Marika fu uscita, riprese lentamente a respirare profondamente. Quell'aria fresca era come un balsamo. Si accorse che stava per mettersi a nevicare. Leggeri fiocchi di neve danzavano nell'aria, Marika rimase li sotto senza cercare riparo. Una volta aveva letto che non esistevano due fiocchi di neve uguali. 
 
 
 
 
 

*
 
 Non doveva uscire. Sua zia si sarebbe arrabbiata quando l'avesse scoperto. Forse proprio in questo momento la stava cercando preoccupata. Forse di li a cinque minuti l'avrebbe fatta chiamare da una voce meccanica alla cassa. "La signorina Alisea è desiderata alla cassa 13" .
 
 Alisea sapeva che non doveva uscire, ma era incapace di trattenersi dal seguire la farfalla. Voleva vedere dove stava andando. 

A un certo punto volò più velocemente e Alisea si mise a correre per restarle dietro. 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
Marika stava cominciando a sentire freddo… in pochi secondi la neve si era fatta più grossa e le aveva riempito il giubbotto di fiocchi di neve e anche la faccia. Decise di rientrare. Si accorse che si era allontanata un pò dall'entrata e accelerò il passo per raggiungerla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
Alisea non sapeva che fuori stava  nevicando. Corse a perdifiato verso l'uscita e La farfalla spari.
 Lei però non voleva  perderla. Arrivata alle porte scorrevoli, scivolò sul pavimento bagnato, mandò un grido di sorpresa e cercò con frenesia, di restare in equilibrio . Ci riuscii, ma non appena mise piede fuori, inciampò di nuovo e questa volta scivolò, andando a sbattere dritta tra le braccia di Marika che stava arrivando dal lato opposto. Lo scontro le fece cadere entrambe.  
 
 
 
"Scusami, oh scusami tanto. Non l'ho fatto apposta." Si scusò Alisea.
 
 Marika strizzò gli occhi. Era coperta di neve e ora gran parte della neve era caduta anche su Alisea.
 
"Non fa niente, non ti preoccupare, ma si può sapere perchè correvi in quel modo?"
 
Ma Alisea  non rispose. Sbarrò gli occhi. La farfalla bianca era proprio sopra la testa di Marika. Rimase ferma per ancora un istante e poi volò via, tra i fiocchi di neve.
 
 
 
 
 
 
"Stavo inseguendo una farfalla" disse con imbarazzo Alisea.
 
"Davvero?" Gli chiese con sorpresa Marika, ma senza ridere di lei. Anche se la cosa poteva sembrare un pò bizzarra, in fin dei conti lei era appena uscita fuori per fare un bagno di neve. Non poteva proprio ridere di chi inseguiva farfalle.
 
"Beh, mi dispiace allora. Il nostro scontro te l'avrà fatta perdere di vista" disse Marika.
 
"uhm..." disse Alisea, incerta se dire o no alla ragazza che la farfalla si era posata proprio sulla sua testa… e se l'avesse considerata matta?
 
"Hai dei capelli stupendi" disse Marika sorridendo.
 
"Alisea rimase sorpresa. Di solito la prima cosa che un estraneo le diceva, era : come ti chiami? Quanti fratelli? Quanti sorelle? sei figlia unica? Ce l'hai il morosetto? vai a scuola?
 
 
Quella ragazza sembrava diversa da tutte le altre. Non diceva cose scontate. Sorrise a sua volta, rendendosi conto che anche i capelli di quella ragazza erano stupendi. Erano di un bel biondo oro.
 
"Grazie... anche i tuoi".  disse Alisea sorridendo. A quel punto si senti una voce agitata, impaziente.
 
 
"Marika, si può sapere che ti prende? Rientra subito dentro… e che cosa ci fai tutta coperta di neve?" Quella donna doveva essere la madre,pensava Alisea. Sembrava una donna piuttosto autoritaria.
 
 
"Devo andare ora, scusami ancora per prima. Comunque troverai altre farfalle da rincorrere, ne sono sicura" disse Marika stringendole la mano.
 
Alisea le disse: " Di che ti scusi? Sono stata io a venirti addosso, anzi scusami ancora"aggiunse facendo una risatina.
 
Marika le sorrise e si avviò verso l'entrata, non riuscendo tuttavia ad evitare che la mamma le scrollasse la neve dai vestiti.
 
"Guarda come ti sei conciata. Che cosa devo fare con te?"
 
 
 
Alisea restò ancora per qualche secondo a ripensare alla farfalla bianca, che aveva inseguito e che si era posata sopra la sagoma di Marika, prima di scomparire. Voleva attirarla da lei oppure era stata tutta una coincidenza? Dopodichè rientrò anche lei, ripensando a una vecchia frase:
 
 
L'occhio che osserva e sa vedere una farfalla bianca volteggiare tra i fiocchi di neve, può cogliere l'anima del mondo.
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice: Ok tiratemi pure i pomodori ahhhahhah quando scrivevo queste cose ero molto molto depressa!

Cosa che ultimamente sta tornando hahah

spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi sia piaciuto l'incontro Marika - Alisea *_*

Ps per lunghissimo tempo impazzivo per la canzone "The Show Must Go On " :D 

https://www.youtube.com/watch?v=GaM2RpAX1yw

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Capitolo 11
*** Lotta fraterna ***


“Non posso crederci che stai giocando ancora a Super Mario, Alan! Quel gioco ormai è sorpassato da anni.” Disse Zaffiro.
 
“Super Mario non sarà mai sorpassato. È tipo Dragon ball” rispose Alan, concentratissimo sul gioco.
 
“Hai davvero il coraggio di paragonare Super Mario a Dragon Ball? Fai sul serio?” rispose Zaffiro, chiedendosi se il fratello stava davvero scherzando.
 
“Se vuoi paragono Beautiful al tuo vecchio registratore.”
 
“Cos’hai da dire contro il mio videoregistratore? Anzi il NOSTRO, visto che lo usi anche tu? Dopo vent’anni, funziona ancora perfettamente”.
 
“Non so se funzionerà ancora, dopo che ho spaccato il telecomando.”
 
“TU hai fatto COSA???”disse Zaffiro a bocca aperta.
 
“Scusa” disse Alan imbarazzato, senza smettere di far saltellare super Mario. “ma mi aveva fatto davvero incazzare ok? Volevo registrare un film ed era scomparso per l’ennesima volta il canale, poi diventava blu, cambiavo i cavi e tornavo nero, poi non si vedeva più la televisione, poi ho sbagliato a mettere rec e invece ho messo il timer, cosi non riuscivo più a toglierlo, perché dovevo spegnere il video, ma nel frattempo il telecomando non funzionava più, ho perso la calma e….l’ho buttato per terra” disse Alan tutto d’un fiato.
 
 
 
 
Zaffiro gli gettò un cuscino che lo centrò con una mira perfetta.
 
“Ehi” disse Alan, spostando la testa di lato. Super Mario venne colpito da un mostro e mori in quel preciso istante di distrazione.
 
“Noooooo.. sono morto.”
 
“Ben ti sta” rispose Zaffiro. “La tua condanna sarà ripetere l’ottavo livello fino al 2020, sempre se nel 2012 non finirà davvero il mondo”
 
“Che in ogni modo tu non vedrai” disse Alan.
 
“Perché sarò l’unico sopravvissuto?” disse Zaffiro.
 
“No. Perché sarai morto prima” disse Alan, lanciandosi sul fratello che colto alla sprovvista cadde per terra, dopodiché lo bloccò a terra con le ginocchia.
 
 
 
“E questo cos’era?” chiese Zaffiro.
 
“L’attacco di un vampiro naturalmente.”

“Ahhh” disse Zaffiro, sgranando gli occhi con aria di grande riflessione. “E chi sarebbe Stefan e chi Damon, di noi due?”
 
“Tu non sei uno dei fratelli Salvatore. Sei una povera vittima che sta per essere morsa da Stefan, tornato al suo ruolo di Sanguinario.”
 
“Stefan, stefan, il tuo problema è che non sei capace di stare sull’orlo del baratro, senza la tentazione di caderci dentro” cantilenò Zaffiro.
 
 
 
Prima che Alan ebbe il tempo di ribattere, Zaffiro si liberò di colpo e fece per scappare, cercando di prendere la pistola giocattolo che era sopra il termosifone, ma Alan riusci ad afferrarlo per la caviglia, facendolo cadere di nuovo.
 
“E adesso è giunta la tua fineeeee. Preparati, fratello. Te la farò pagare per aver baciato Elena”
 
Zaffiro mirò la pistola giocattolo al volto di Alan e del liquido nerastro fini sulla faccia del fratello.
 
“Ahhhhhh, sei morto.” Disse Alan.
 
“Mi sa che ti confondi fratello” disse Zaffiro e lo bloccò a terra, spruzzandogli tutto il liquido sulla faccia, sulla maglietta e sul collo.
 
 
 
“Ecco, adesso sembri un vero vampiro.”
 
“Splut! Splut! sei proprio uno stronzo.”
 
Zaffiro si avvicinò a sussurrare all’orecchio di Alan, con voce teatrale:
 
“Dovresti aver capito di non essere più forte di me”
 
Dopodiché aiutò Alan ad alzarsi.
 
“Sei soddisfatto ora?” gli chiese Alan, con i capelli castani tutti schiacciati sulla fronte e gli occhi colanti di nero.
 
“Si” gli disse Zaffiro con un sorrisetto beffardo. “Ti sta bene il trucco, ma ti manca un po’ di rosso sulle labbra” ridacchiò.
 
“Sono contento che ti diverti” disse Alan, avvicinandosi di soppiatto alla scrivania dove stava la vecchia piantina che stava per morire, con le foglie tutte secche.
 
Ne afferrò una manciata e gliele strofinò sul collo e infilandogliele dentro la maglietta.
 
“Ma che diav…?” disse Zaffiro, mentre cercava di togliersi le foglie da dentro la maglietta.
 
“Verbena, fratello” disse Alan, sorridendo tranquillo.
 
Zaffiro lo guardò per un istante e poi disse: “Alan, TU SEI TUTTO SCEMO” e caricò di nuovo.
 
I fratelli  finirono rotolando a terra, tra le risate,  cercando l’uno di avere la meglio sull’altro. Presero i cuscini, che si sfaldarono, immergendoli in una nebbia di piume.
 
 
 
 
“SANTO CIELO, SIETE USCITI FUORI DI TESTA?” disse zia Judith.
 
I fratelli smisero all’istante di lottare.
 
Ha cominciato lui” dissero all’unisono i due fratelli indicandosi.
 
“Rimettete a posto questa stanza e poi andate a lavarvi, subito!” ordinò zia Judith minacciosa.
 
i fratelli si alzarono. Alisea alle spalle di zia judith, cercava di non ridere.
 
“Santo cielo, cosa avete combinato? Siete coperti di foglie, piume, e inchiostro” disse Alisea.
 
“Già, ma è perché in realtà siamo personaggi di un romanzo. Foglie che al femminile diventa fogli, e piume per la penna e inchiostro per scrivere” rispose Zaffiro.
 
Alisea rise di gusto.
 
“Avete finito di sparare cavolate, cosi potete cominciare a rimettere a posto questa stanza e darvi poi una bella ripulita?” disse zia Judith.
 
 
 
 
 
 
*
 Dopo aver rimesso a posto la stanza, un’ora dopo, i due fratelli si erano fatti la doccia, riuscendo a sbarazzarsi anche dell’ultima traccia di foglie, inchiostro e piume. Zaffiro era già tutto asciutto, e stava finendo di mettersi dei bei jeans e una felpa grigia, mentre Alan si stava ancora asciugando i capelli castani. Aveva indosso una felpa gialla di topolino e dei pantaloni del pigiama.
 
“Cosa fai, stai uscendo?” domandò Alan, mentre continuava ad asciugarsi i capelli.
“Si, dovevo già andare in cartolibreria oggi e la nostra piccola lotta me l’ha fatto dimenticare” ridacchiò Zaffiro, mentre si stava infilando il giubbotto.
 
“Sta per venire buio. Non fare troppo tardi”
 
Zaffiro lo guardò. “Ma guarda guarda, il mio fratellino si preoccupa per me” disse scompigliandogli i capelli e rovinandogli la messa in piega.
 
“Ma allora sei proprio stronzo!” disse Alan, dandogli una pacca sulla testa.
 
Zaffiro ridacchiò:” tornerò presto. Ciao. A dopo. “
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice:   
 
Eh si, quando ho scritto questo pezzo non era ancora finito il 2012 xd

Tranquilli, non farò cosi anche con le mie storie ahhah. Non le terrò in sospensione per due anni ahahh

Comunque quando scrivevo questo pezzo ero fissata con Damon e Stefan di The Vampire Diaries...ora avrei preferito aspettare di guardare Superantural prima di scrivere il pezzo ahhah sarebbe stato divertente vedere cosa veniva fuori ahhah

Ciao!  Ps dimenticavo...tutto quello che dice Alan con il videoregistratore è una cosa che davvero ho fatto io con il mio ahhah, cosi come la mia tele e il mio video hanno 20 anni. Beh forse il video no, la tele si ahhah me l'hanno comprata quando avevo sette anni!

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Capitolo 12
*** In cartolibreria ***


Erano le 17:00 del pomeriggio, non era davvero tardi. Tra due ore la cartolibreria avrebbe chiuso e quindi Zaffiro aveva ancora solo due ore a disposizione per cercare di prendere le ultime cose che gli servivano per la scuola… anche se non aveva detto tutta la verità. In realtà Zaffiro, Alan e Alisea erano una sorte di clienti fissi alla cartolibreria Ztec.  Quasi ogni settimana andavano a comprare e ordinare qualche libro. Zaffiro non escludeva di poter ordinarne un altro anche quella sera.
 
 
 
Entrò nella cartolibreria e notò che c’era poca gente. Si avviò subito nel reparto di cose per la scuola. Gli mancava ancora un astuccio per i colori, degli evidenziatori e una di quelle righe giganti che si usano per educazione tecnica e anche un compasso.
 
Vide che c’erano evidenziatori gialli, rosa, verde, e blu e Zaffiro li prese tutti. Aveva sempre avuto un debole per evidenziare le cose. Zia Judith fece sparire cose come il dizionario italiano e l’elenco telefonico dalla sua portata per il timore che potesse decidere di evidenziare anche quello.
 
 
Non era particolarmente ispirato per nessun libro in particolare, cosi stava per portare gli oggetti alla cassa e pagare….quando alzò lo sguardo e vide una sagoma familiare…..era al primo piano e ricurva su un tavolo di libri. Zaffiro guidato da non so quale istinto, decise cosi di salire le scale.
 
Era voltata, ma ne era sicuro….non poteva sbagliarsi. Era LEI.
 
 
 
“Clère” disse sperando che la sua voce non tremasse troppo.
 
Clère si voltò all’istante. Uno scatto fulmineo. Aveva gli occhi sbarrati. Teneva in mano un libro, aveva uno smalto e un rossetto fucsia che gli risaltavano la pelle candida, il collo sottile. Gli occhi sgranati erano grandi ma teneri, profondi.
 
 
Occhi di cerbiatto…  pensò Zaffiro.
 
“Zaffiro?” esitò Clère. Sembrò che le labbra le tremassero e Zaffiro pregò che non si mettesse a piangere dentro la cartolibreria. Cos’avrebbero pensato se l’avessero sorpreso tra le braccia di una ragazza in lacrime? Respinse subito quel pensiero. “Si, sono io” sorrise, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo nervosismo.
 
Clère appoggiò il libro in tutta fretta al bancone, che comunque cadde sul pavimento, e si precipitò ad abbracciare Zaffiro, che rimase paralizzato dall’improvvisa espansività della ragazza.
 
 
“Sono cosi contenta di rivederti” disse Clère con la voce smorzata. Forse stava piangendo.
Zaffiro degluti cercando di rilassarsi, dopodiché la abbracciò nervosamente a sua volta.
 
 
“Anch’io sono contento di rivederti” sorrise riuscendo a rilassarsi un poco.
 
Con gran sollievo di Zaffiro, Clère lo lasciò andare e si asciugò gli occhi.
 
 
 
 
Era davvero carina, sostenne Zaffiro. Quella volta all’ospedale non ci aveva fatto caso. Era troppo traumatizzato da quell’esperienza, inoltre non aveva fatto caso al fatto che molto probabilmente non doveva essere molto più grande di lui . Quel giorno all’ospedale aveva dato per scontato che fosse più grande, ma forse avevano addirittura la stessa età. Aveva dei bei capelli castani lisci a caschetto, occhi da cerbiatto intensi, viso solare e dolce, ma anche uno sguardo malinconico. Era molto graziosa. Aveva una minigonna di jeans e una maglia nera attillata.
 
“Come stai? Non vi ho più visti da quel giorno” disse Clère.
 
Zaffiro ammirava la capacità di Clère di dire le cose senza essere invadente, senza fare troppe domande. Lei le diceva ma non diceva mai più del dovuto, si fermava, lasciava che fosse l’altro a decidere se continuare la conversazione o no…e Zaffiro capiva che lo faceva per non sembrare inopportuna…la apprezzava per questo, senza contare che gli aveva salvato la vita. Aveva salvato la vita a tutti loro.
 
 
 
 
“Stiamo bene” sorrise Zaffiro. “Tutti noi. Grazie. Grazie per tutto. Ora stiamo cercando di riprenderci, sai non è facile, ma nostra zia sta facendo tutto il possibile. “ Zaffiro pregò con tutte le sue forze che non chiedesse dei loro genitori. Non aveva voglia di parlarne.
 
 “Lo so che è stupido e forse non è giusto dirlo, ma devo farlo… io…dopo quel giorno, vi ho pensati molto. Spesso. Non ho potuto farne a meno…vi ho anche sognati. Volevo sapere come stavate, speravo di rivedervi” disse Clère nascondendo il viso, imbarazzata.
 
“è normale. Ci hai salvati la vita. Non è affatto stupido. È normale. E bello. Anche noi ti abbiamo pensata spesso.”  Disse Zaffiro.
 
 Era la verità. Si erano ritrovati a sognare spesso di rincontrarla nei giorni successivi a quel terribile giorno. Tutti e tre.
 
Alisea non faceva che chiedere a loro quando l’avrebbero rivista.
 
“Mi piacerebbe tanto rivedere anche Alan e Alisea” disse Clère.
 
“Sarebbero tanto felici anche loro di rivederti, ma…cos’è che ti è caduto dalla tasca?” disse Zaffiro, facendo per prendere la piccola tessera che gli era caduta dalla tasca interna della maglia.
 
“ Frequentante il liceo Dawnsville di Merylbeth “ lesse Zaffiro ad alta voce.
 
“Si, frequento quel liceo” disse Clère sorridendo. “ Sono venuta a fare una mia fototessera nuova, per la scuola… sai la vecchia l’ho persa e il preside di questa scuola pretende che tutti noi dobbiamo andare in giro con la nostra faccia appiccicata ai vestiti dovunque andiamo. È terribile” rise Clère.
 
Zaffiro non disse niente e si limitò a fissare il vuoto.
 
“Beh, sai non è cosi male quando ti abitui. Finirai addirittura per affezionarticisi. Non potrai più farne a meno” caricò Clère.
 
“Io non…non è per la fototessera…la scuola….è la stessa  scuola dove io e i miei fratelli cominceremo domani il nostro primo giorno di scuola.”
 
Clère lo guardò a bocca aperta e tirò un sospiro.
 
“Non ci posso credere.”
 
“Neanche io “ disse Zaffiro sedendosi.
 
“Beh…a quanto pare saremo compagni a partire da domani.”  Disse Clère sorridendo raggiante. “Aiuterò tutti voi ad ambientarvi. Contate su di me.”
 
“Speriamo” si lasciò scappare Zaffiro. Quasi subito si penti di aver aperto bocca.
 
“Cosa vuoi dire?” chiese infatti Clère.
 
“Io…sai è difficile ambientarsi, quando arrivi a una scuola mentre è già iniziato l’anno”
 
“Sono solo due mesi in più rispetto agli altri. Non è cosi grande il distacco” disse Clère sorridendo. “vi ambienterete, vedrete”
 
Speriamo pensò Zaffiro senza dirlo questa volta.
 
“Bene, io….dovrei andare ora” disse Clère.
 
“Clère…non…non ti andrebbe di venire a casa nostra, a salutare Alisea e Alan? Anche zia Judith sarebbe felice di vederti.”
 
“Io…io non…” disse Clère imbarazzata.
“Se non ti va, non preoccuparti. Capisco l’imbarazzo. Dai fa niente. Ci vediamo a scuola” e le strizzò l’occhio.
 
Dopodiché se ne andò lasciando Clère raggiante. Non vedeva l’ora che fosse domani.
 
 
 
 
 
Zaffiro usci dalla cartolibreria con il cuore che galleggiava come un palloncino. Era molto contento che lui e i suoi fratelli avrebbero frequentato la scuola assieme a Clère. Clère gli piaceva e non si trattava di uno di quei normali casi di attrazione che provi tra uomo e donna. No, Clère gli piaceva davvero, non sapeva se come ragazza, ma come persona di certo. Aveva dei modi deliziosi, era gentile, carina e aveva salvato la vita a lei e ai suoi fratelli e Zaffiro supponeva che quando salvi la vita di qualcuno, generi una specie di legame, no? Doveva essere cosi. Sentiva un certo affetto per Clère e sapeva che anche i suoi fratelli lo sentivano. Chissà cosa avrebbe raccontato loro, chi aveva incontrato in cartolibreria.
 

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Capitolo 13
*** Oscurità, mia cara amica ***


Oscurità…..oscurità completa. …non si pensa mai che il principio è SEMPRE buio….come la fine…. .tutti dicono che quando si muore si vede una gran luce bianca…non è vero..quelle sono favole. È il buio la prima cosa che vedi. E tutto quello che ti accompagnerà dopo. Come potrebbe esserci luce dopo il buio?
 
 
 
"Avrei dovuto saperlo….. "sussurri. Cammini ancora un po’, come un automa. Ti fai strada verso…
 
"Aspetta….è un corridoio?....."
 
Continui a camminare….
 
"Il corridoio di una scuola….ma è tutto buio….non vedo niente…."
 
All’improvviso il corridoio si ilumina in maniera violenta, come se qualcuno avesse acceso di colpo decine di riflettori all’interno…ma non erano riflettori.
 
 
 
“Sono LAMPADE. Sono lampade antiche appese ai muri” esclami con stupore nella voce.
 
“Allora….allora non è vero che c’è solo oscurità e che non esiste la luce.”
 
"Si vede quel che ci si aspetta di  vedere….anche se non corrisponde al vero".
 
 
 
“Aspetta….io non capisco più niente…c’è una tale confusione nella mia testa…credo di non riuscire a ricordare neanche più chi sono. Sono maschio o femmina? Io…non lo ricordo più” dici toccandoti la testa.
 
“Che importanza ha? Si nasce androgini, poi l’uomo nega la sua parte femminile. Il format esterno sentenzia: maschi di qua, femmine di là.
IDIOTI.”
 
Tu sobbalzi.
 
"Vogliono dividere L’UNO, ma non possono dividerlo."
 
 
"Io non capisco…."
 
"Non importa. C’è uno specchio là in fondo. Puoi guardarti, se vuoi".
Ti avvicini lentamente e guardi con timore dentro lo specchio. Con timore e con una certa soggezione.
 
Riconoscimento. Era tutto quello per cui lottano gli esseri umani dal momento in cui vengono al mondo a quando muoiono. Per tutta la vita cercano di riconoscersi, di capire chi sono e non riuscendoci, cercano di riconoscersi negli occhi degli altri, incorrendo in un’illusione dopo l’altra…dopo l’altra….
 
 
"Io…sono davvero io?"
 
"Ne hai forse qualche dubbio?"
 
"Non riconosco la persona che è nello specchio".
 
“Quella persona non sei tu. È solo un’immagine illusoria”.
 
 
Ti giri con aria sprezzante
 
 
“Adesso NE HO ABBASTANZA di questi giochetti. DIMMI CHI SEI.”
 
“Come, con tutta questa luce non riesci a vedermi?”
 
“Sei avvolto da una nebbia” rispondi con aria dura.
 
Ti sbagli! Non c’è nessuna nebbia. Tu la vedi intorno a me perché i tuoi occhi non sono ancora pronti a riconoscermi.
 
“Aspetta….io ti conosco già???” Sgrani gli occhi. Non capisci. Sarebbe servito a qualcosa dirti che una volta ti chiedevi continuamente come facevano le persone a meravigliarsi sempre di tutto, anche delle cose che in fondo sapevano già? Adesso tu stavi facendo lo stesso.
 
 
 
Non rispondo. Faccio un sospiro. Ti prendo una mano.
 
“Voglio solo che tu sappia una cosa. Non ho mai voluto  farti del male. Lo sai, vero?”
 
“L’hai fatto?” Dici con voce strozzata.
 
“No! Volevo dire che…non ho mai avuto intenzione di farlo. Neanche quando….c’è stato il grande crollo di tutto.”
 
“Io non capisco quello che tu dici”.
“Si invece, lo rifiuti solamente. Vedi,” dico stringendoti ancora di più la mano.
 
“Io…non riuscivo a capire come potessi decidere di buttare tutto all’aria, tutto quello che avevamo, per colpa di un branco di ragazzini….non riuscivo ad accettarlo…io…”
 
“Lasciami la mano!”
 
“Non potevo accettarlo!! Tu volevi proteggerli, ma non  è… non era nella nostra indole farlo….”
 
Momento di silenzio.
 
“Nostra?” Dici con voce strozzata. Percepisco la paura nella tua voce.
 
Ti lascio la mano.
 
"Basta cosi. Questi ricordi sono troppo dolorosi e poi comunque quando ti risveglierai non ricorderai più niente…e neanch’io.
 
“Aspetta, cosa vuoi dire?”
 
Mi limito a sorridere.
 
Non ha importanza.
 
In quel momento, di nuovo il buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mattina del giorno 28 ottobre 2011 ore 7:15
 
Driinnnn
Driiinnnn
 
Un piccolo corpo femminile era appoggiato al pavimento vicino al letto, arrotolato in una sottile coperta del color della neve.
 
Driiinnnn
 
“Mmmmm” Marika gemette. Quel rumore era cosi fastidioso e lei aveva tanto sonno.
Tuttavia non poteva più evitarlo. Gli stava rompendo un timpano. Cercò a tastoni la sveglia ma non riusciva a trovarla. Dov’era finita?
 
 
“Perché la testa mi fa cosi male?” disse. Si accorse che non aveva più il cuscino e sentiva anche un sacco di freddo.
 
Apri gli occhi e si accorse di essere caduta dal letto. “Oh accidenti.”
 
Si alzò.
 
Prese la sveglia e la guardò. “Le SETTE E UN QUARTO???”
 
la porta del salone  venne spalancata con impeto.
 
“Perché non mi hai svegliata???”
 
“Tesoro, stavi dormendo cosi bene che mi sembrava un peccato svegliarti” disse la madre, mentre era davanti alla televisione, a sgranocchiare un sacchetto di noccioline.
 
“Ti rendi conto che rischio di arrivare in ritardo? Il mio primo giorno di scuola e arriverò in ritardo!” disse Marika agitata, infilandosi in bagno.
 
 
“Tesoro, ho sempre pensato che tu sia troppo emotiva. Rilassati. Il pullman arriverà tra poco più di dieci minuti.”
 
All’interno del bagno, Marika gemette.
 
Finì di lavarsi i denti e si sciacquò  la faccia, dopodiché mise il vestitino azzurro che aveva preparato da ieri sera, si spazzolò velocemente i capelli e stava per prendere lo zaino, quando la madre la fermò.  “Non senza aver fatto colazione”
 
 
 
“Quale parte della frase:  il pullman se ne sta andando senza di me, non ti è chiara???” disse Marika esasperata.
 
“ Puoi essere in ritardo quanto vuoi, ma sei mia figlia e non te ne andrai senza aver prima fatto colazione” disse la madre.
 
Marika esasperata, prese una mela e un succo di frutta alla fragola.
 
La madre rimase sbigottita, ma la lasciò andare.
 
“Ci vediamo dopo!” gridò Marika,  prendendo il giubbino blu notte, zaino in spalla e correndo come un folletto.
 
 
 
 
“Aspettami, aspettami, aspettami, aspettami” continuava a ripetere Marika, cercando di accelerare il passo, ma sentendosi rallentata dallo zaino che teneva in spalla. Mancavano solo cinque minuti. Per fortuna il pullman si fermava proprio sotto casa. Vide il pullman arrivare e gli fece cenno di aspettarla con la mano. Entrò con il fiatone. “La sveglia ha suonato tardi stamattina?” gli chiese il conducente con un sorrisetto malizioso. “A dire la verità, sono io che non l’ho sentita! pensò marika ma non lo disse. Si sentiva già imbarazzata da capo a piedi. Cercò di infilare il biglietto nel pullman, ma non voleva entrare, cercò di spingere. Niente. La stavano fissando tutti.
 
Che idiota, lo stavo infilando dalla parte sbagliata!
 
“Scusatemi, solo un secondo” disse alla platea.
 
Finalmente riusci a timbrare il biglietto. Desiderava solo allontanarsi da li, ma sfortunatamente si era dimenticata che teneva ancora in mano la mela e il succo di frutta, senza aver neanche preso un sacchetto in cui infilarli. Per l’agitazione inciampò e il succo di frutta cadde per terra, insieme a lei, mentre la mela fece un volo e atterrò in grembo ad un altro ragazzo seduto su uno dei sedili.
 
Quando rialzò il viso e si rimise in piedi, la sua umiliazione era completa.
 
 
 
“Mi dispiace, scusatemi” disse al conducente, che borbottò e rimise in moto.
 
“Scusami. Non volevo... sono inciampata” disse, strizzando gli occhi, rivolta al ragazzo biondo e con gli occhi azzurri,  cui aveva gettato addosso la mela.
 
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e sorrise, ma non sembrava volersi prendere gioco di lei.
 
Le passò la mela.
 
“Figurati. L’importante è che non mi abbia preso in testa.  E poi non dicono*una mela al giorno toglie il medico di torno?* tieni. Puoi sederti qui se vuoi.”
 
Marika si sedette nel sedile di fronte. Sentiva ancora un tremendo calore al collo per la doppia figuraccia fatta appena poco prima. “Grazie.” disse ad occhi bassi.
 
 
“Sei fortunata che la mela non è caduta” disse sorridendo, il ragazzo. “è la tua colazione suppongo.”
 
Ecco pensò marika. Si sta prendendo gioco di me. Pensò tristemente.
 
“Anche io non sono riuscito a fare colazione. Stavo per tirare fuori questo” disse con un sorriso da 200 watt.
 
Tirò fuori una di quelle bottigliette di latte al cioccolato che spopolavano tanto dieci o venti anni prima. Marika si senti un po’ meno imbarazzata.
 
“Lo vuoi? Molto meglio di una mela, no?”
 
“Oh no, non voglio rubarti la tua colazione” disse abbassando lo sguardo. “Io ho la mia mela e il mio succo di frutta” disse indicandoli, sentendosi sempre più stupida.
 
“In realtà non intendevo il mio. Ne ho un altro. Prendi” disse lanciandogli un’altra bottiglietta, senza chiedergli il permesso.
 
“Ti piace il cioccolato, vero?” chiese indeciso.
 
“Certo” sorrise Marika. “Allora, grazie…sei molto gentile”.
 
“Non c’è di che. È bello condividere le cose. a proposito, io sono Stefano”
 
“Io, Marika” disse lei, sorridendo.
 
 
 
 
Dopo circa dieci minuti di viaggio, Marika pensò che la presenza del ragazzo, tutto sommato, era molto piacevole. Non si sentiva obbligato a dire qualcosa per favorire a tutti i costi la conversazione, né sembrava ritenere un dovere parlare per forza con lei. Si era addirittura messo ad ascoltare la musica nelle cuffie e questo, lungi dall’irritarla, a Marika piaceva molto. Aveva sempre ritenuto affascinanti gli spiriti liberi, quelli che non fanno qualcosa perché sentono di essere tenuti a farlo, ma perché semplicemente gli va di farlo. Quelli che sono spontanei. Quelli che sono sé stessi. A volte Marika riusciva ad apprezzare e amare  addirittura molto più quelli che lottavano per amore di un ideale, che quelli che avevano successo nel campo sociale. Amava i diversi, i dannati,  i solitari, i difficili, i tormentati, quelli che non riuscirai mai a capire, quelli con l’anima in fiamme….
 
Sei una maledetta asociale, lo sai, vero? Una schifosissima. Stramaledetta, asociale e vai anche fiera dei tuoi stupidissimi pensieri. Un giorno tua madre non ce la farà più a sopportare la tua pazzia e ti costringerà ad andare da uno strizzacervelli per capire che cosa non va in te..anzi, neanche. Non ha nessuna importanza riuscire a capirlo. L’unica cosa che conta per lei sarebbe solo che io guarisca  pensò tristemente Marika, sperando che Stefano non si accorgesse del suo abbassamento di umore.
 
“Marika” disse d’un tratto Stefano.
 
L’ha capito. Non so come ha fatto ma ha capito lo stesso e ora dovrò rendergli conto di quello che… pensò in maniera sconnessa.
 
“Marika?”
 
“S-si?”
 
“Ci siamo fermati” disse Stefano con voce impassibile.
 
Marika socchiuse appena gli occhi e si voltò verso il finestrino, in strada.
 
“Oh dio, ma quella è …..”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era in ritardo. Era stata tutta la notte ad assistere quel bambino malato con la febbre, tutta la notte a stargli accanto, a tenergli la mano, a fargli compagnia…senza mai cedere al sonno, senza mai un cedimento. Doveva essere sicura che stesse bene, che fosse scesa la febbre….se fosse risalita e lei si fosse addormentata…come avrebbe potuto perdonarselo? Le suore avevano insistito perché andasse a casa, ma lei non aveva voluto lasciare il bambino. Aveva pianto cosi tanto quando la febbre non accennava a diminuire. Clère aveva quel pianto ancora nelle orecchie… ma alla fine era crollata. Verso le 05:00 era crollata nel sonno. Si era sdraiata sul lettino accanto al bambino e si era addormentata.
Si era risvegliata verso le 7:00 e aveva dovuto correre a casa a cambiarsi e lavarsi e correre per riuscire a non arrivare in ritardo a scuola. Aveva preso il motorino ed era sfrecciata via. Aveva due occhiaie blu, il viso stanco, era riuscita a mettersi un po’ di cipria per dare un po’ di colore ma non era sicura di aver ottenuto l’effetto desiderato. Non aveva tempo di controllarsi. Non aveva neanche fatto in tempo a fare colazione. Si era solo messa una sciarpa viola al collo per via del freddo glaciale. Sperò di non fare un incidente con il motorino  per la troppa fretta. ….E poi, vide qualcosa che la fece fermare,  con gli occhioni e la bocca spalancati.
 
 
 
 
 
 
 
 
“Svegliaaaaaaa” La voce squillante di Alisea irruppe nella stanza.

Alan e Zaffiro mugghiolarono nei cuscini.

Alisea scostò le tende della stanza, inondando cosi la stanza di luce.


Zaffiro sprofondò la testa nel cuscino, Alan invece si eclissò in fondo al letto come una lucertola che nuotava nel mare.

Alisea fece un sospiro esasperata, ma stava ridendo.

Si arrampicò al davanzale della finestra e calcolò mentalmente la distanza tra i loro letti. Non erano cosi lontani, quelli di Zaffiro e Alan erano più o meno vicini. Fece un bel respiro e……
 
SBAM. Atterrò sdraiata di peso con le gambe sul letto di Zaffiro e l’altra metà del corpo sul letto di Alan. Rimase stordita per qualche secondo.
 
Ohi….credevo fosse più morbido come salto.
 
L’impatto fece spaventare terribilmente Alan e Zaffiro, che soffocarono delle grida, ma senza alzarsi.
 
Alan disse : “Dimmi che non ha appena fatto quello che ho sentito.”
 
“è TUA sorella. Al. “ disse Zaffiro,  risprofondando nel cuscino.
 
Alan mugghiolò:”  lo sai che prima delle dieci di mattina è TUA sorella.”
 
Alisea arricciò il labbro:"Non volevate svegliarvi. Dobbiamo andare a scuola!” disse Alisea cercando di levargli forzatamente coperta e lenzuolo di dosso, impresa resa difficile dal fatto che Alan e Zaffiro facevano resistenza.
 
Zaffiro disse: “ Adesso vi butto giù dal letto tutti e due. 1-2……”
 
Alan rispose:”Lo sai che hai rischiato di ammazzarti con quel salto? Vuoi morire giovane?” disse trattenendo il lenzuolo.
Zaffiro caricò: Non solo. Vuole trascinarci nella fossa con lei! Se non fosse cosi leggera ci avrebbe seppellito con quel salto.”
 
“Beh, non avete sempre detto “Insieme, forever e oltre ?” disse Alisea  ridacchiando e scandendo le parole.
 
Alan e Zaffiro la guardarono di sottecchi, dopodiché la spinsero giù dal letto e cadde cosi sul grosso puff che c’era per terra.
 
“Ho sempre pensato che guardi troppi telefilm. In particolare The Vampires Diaries ha un effetto negativo su di te. ” ridacchiò  Alan.
 
“Già. Chissà da chi ha preso” replicò sarcasticamente Zaffiro.
 
 
 
 
La porta si spalancò ed entrò la zia Judith, che chiaramente aveva sentito tutto il rumore.
Con quella vestaglia arancione sembrava una lampadina accesa.. aveva le mani sui fianchi e lo sguardo corrucciato. Guardò Alisea che cercava di alzarsi ancora dal puff e poi guardò i due ragazzi.
 
“Ebbene?”
 
“Ha cominciato lei” dissero in coro Alan e Zaffiro, indicandola.
 
“Ahhhhh. Quanta pazienza! Alzatevi e vestitevi. La colazione è pronta. Cosi poi andate a scuola. I vostri vestiti sono sul termosifone” disse la zia tra l’esasperato e il sorridente.
 
 
 
I ragazzi si alzarono di malavoglia e cercarono di acchiappare Alisea che prontamente riusci a sfuggirgli con l’agilità di un grillo o di una gazzella.
 
 
 
Per colazione bevvero del latte pastorizzato con biscotti alla vaniglia, mentre la zia sorridente stava cambiando l’acqua al vaso di fiori e stava innaffiando quelli in balcone.
 
 
 
Prima di andare via, Alisea si trattenne ancora un po’ ad annusare i fiori nel vaso con espressione di tenerezza.
 
La zia, che si stava infilando il cappotto per accompagnare i ragazzi a scuola,  sorrise intenerita senza parlare.
 
 
“è solo che mi piacciono i fiori. E il loro profumo.” Si scherni Alisea e  cosi dicendo si affrettò a prendere il giubbotto e lo zaino, mentre la zia gli stava tenendo la porta.
 
I fratelli stavano sorridendo  a metà tra la tenerezza e la strafottenza.
 
La zia li riprese bonariamente: “Credete di essere cosi diversi da lei?”
 
Alan fece spallucce. “Alisea è la parte sognante di noi tre.”
 
“Ah si? E voi che parte sareste invece?”
 
Zaffiro fece un sorriso da 200 watt e disse in maniera teatrale: “Non lo saprai maiiii” e poi rise.
 
“Adesso basta con queste stupidate. Sbrigatevi che se no si fa tardi” disse allegramente,  spingendoli giù per le scale.
 
 
 
 
Era una bella giornata. Il cielo era di un azzurro turchese da mozzare il fiato. Avrebbe reso romantici anche i cinici più incalliti. Non c’era neanche una nuvola. Sembrava proprio di stare dentro un dipinto. Alisea guardava il cielo con aria sognante. I fratelli facevano finta di essere indifferenti, ma anche loro gettavano occhiate qui e là.
 
“Lo sapete che cosa si dice di quelli che guardano il cielo? Che sono sognatori e la cosa che li caratterizza è sicuramente la fantasia, che usano per viaggiare in universi paralleli che vanno oltre l’immaginazione umana” disse Zaffiro con voce da sapientone.
 
Alisea e Alan distolsero subito lo sguardo imbarazzati.
 
Zaffiro ridacchiò.
 
La zia lo riprese subito: “dagli un po’ di tregua, e voi due non fatevi prendere in giro da vostro fratello”
 
“Certo che no” bofonchiò Alan.
 
 
“ATTENTA!!! FRENAAAA” gridò Alisea.
 

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Capitolo 14
*** Il gatto, il cerbiatto e la donna misteriosa ***


“È  quella bambina dai capelli rossi. È proprio lei.” Disse Marika, schiacciando la faccia contro il vetro del finestrino.

“Cosa? Conosci quelle persone che hanno bloccato la strada?” chiese Stefano, stupito.

“Io….non proprio. Una di loro l’ho vista solo una volta. Devo andare a parlarle.”

“Che…che cosa? No! Non puoi scendere dal pullman. Marika! Marika!”  ma Marika si era già allontanata e stava per chiedere all’autista di scendere.

Stefano si accorse che gli altri ragazzi del pullman lo stavano guardando con aria di sfida e un sorrisetto malizioso per vedere se le sarebbe corso dietro.

Oh andiamo Stef. Vuoi davvero scendere dal pullman per correre dietro a una ragazza che hai conosciuto da dieci minuti? Si disse Stefano dentro di sé.

Oh, al diavolo pensò e si alzò. E riusci a uscire prima che le porte del pullman potessero richiudersi.
 
 
 
 
 

 
 Cosa diavolo è successo? Cosa può aver scatenato una fila così lunga? Pensò Clère mentre sfrecciava con il suo motorino. Decise di accostare e di chiedere a una macchina di passaggio.
 
“Mi scusi, c’è stato un incidente per caso?”
 
“No. Nessun incidente. A quanto pare ci sono delle persone che stanno bloccando la strada!”
 
“Bloccando la strada? E come mai?” chiese Clère sbalordita.
 
“Guardi, non lo so. Io sono qui con lei. È passato poco fa un tizio che disse che c’erano un gruppetto di tre o quattro persone che hanno bloccato la strada e ha borbottato qualcosa su *animali feriti* o qualcosa del genere. Guardi, che ne so… il mondo è pieno di matti” disse il vecchio girando l’indice vicino alla tempia.
 
“La ringrazio, è stato molto gentile” disse Clère. Sentì uno strano campanello d’allarme. Doveva andare a vedere di che si trattava, quindi sfrecciò via con il suo motorino sperando che nessun vigile la fermasse.
 
 
 
 
*
 
 La zia frenò bruscamente e la macchina quasi inchiodò. L’urlo di Alisea l’aveva terrorizzata molto più dell’improvvisa comparsa sulla strada di un gatto nero dal pelo folto e della presenza di un secondo animale. Un piccolo cerbiatto. Per qualche secondo non riuscì neanche a parlare né a fare niente, cercava di dare un senso all’immagine che stava vedendo… e poi…..un rumore la riportò alla realtà.  Era Alisea che aveva appena aperto la portiera.
 
“Alisea, Alisea, torna subito dentro!” Niente da fare. Era uscita. E con lei, anche Alan e Zaffiro.
Uscì anche lei allora, e si ritrovò Alisea accucciata vicino agli strani animali. Aveva un’espressione addolorata. Anche Alan e Zaffiro sembravano scossi.
 
“Ragazzi” cominciò la zia.
 
“Il cerbiatto! È ferito! Zia ti prego aiutalo, aiutiamoli” disse Alisea. Stava tenendo in grembo il gattone nero, che incredibilmente non tentò di graffiare Alisea e neanche di scappare.

Non sembrava ferito.

Il cerbiatto si, però. Aveva graffi ovunque e sembrava piuttosto malridotto. Zaffiro lo teneva in grembo e Alan gli accarezzava la testa.
 
“Levatevi immediatamente da quegli animali. Potreste prendere delle malattie!!!” La zia alzò di qualche grado la tonalità della sua voce. Stava cominciando a mettersi paura. Non si era mai trovata in una situazione del genere e non sapeva che cosa fare. Sapeva solo che doveva cercare di togliere i ragazzi dalla strada il più in fretta possibile, prima che arrivassero le macchine. Aveva il sospetto che non si sarebbero levati di loro spontanea volontà e che non gli sarebbe importato neanche di provocare un ingordo.

Si, ma cosa poteva fare? Non poteva neanche abbandonare quei poveri animali li in mezzo alla strada. Se li lasciavano li, li avrebbero presi sotto e il cerbiatto sembrava già molto ferito.

“Non possiamo abbandonarli” disse Alan con sguardo duro, come se gli avesse letto nel pensiero.

“Alan, ragazzi, cercate di ragionare. Non possiamo fare niente per loro.”

“Non è vero. Il gatto non ha neanche un graffio e il cerbiatto è ridotto male ma non è in fin di vita!” disse Alisea sull’orlo dei singhiozzi.

La zia guardò gli animali e trasse un profondo sospiro.

“Bisogna innanzitutto portarli via dalla strada. Stanno intralciando il traffico. Bisogna…bisogna portarli da un veterinario. Dobbiamo spostare il cerbiatto. Datemelo dolcemente. Cercate di non spaventarlo”. e fece per incamminarsi tra loro.

“Vi accompagno a scuola e poi porto il cerbiatto dal…”

Alisea e Alan sussultarono. Zaffiro la tirò per un braccio: “Non c’è tempo!! Vuoi farlo morire? Chi se ne frega della scuola!” disse indignato.
 
La zia sembrava in preda a un conflitto ma proprio quando stava per acconsentire, arrivò a loro una voce:
 
“Posso accompagnarli io.”
 
I ragazzi si girarono. Era una voce sconosciuta per loro, ma per i ragazzi no.
 
“Clère” dissero all’unisono. La guardarono sbalorditi chiedendosi se era davvero lei.
 
Clère sorrise radiosa ma non c’era tempo per prodigarsi in abbracci e sorrisi. Si rivolse subito alla madre che cercò di parlare per prima: “Clère? Lei è quella che…la ragazza che li ha salvati da…?”
 
Clère la interruppe subito: “Si sono io, sono molto felice di rivedere lei e i suoi ragazzi, ma avremo tempo per parlarne. Ora dobbiamo fare in fretta. Porti questi animali da un veterinario. Io porterò LORO a scuola. Sul mio motorino.”
 
“Cosa? Ma non potete!!! Sarete fermati dai carabinieri. Non si può andare in quattro su una moto!!!”
 
“Siamo vicini alla scuola ormai. Faremo presto e questi animali hanno bisogno di essere curati, io amo molto gli animali e sono d’accordo con loro che devono essere portati il più in fretta possibile da un veterinario” disse Clère con voce gentile ma ferma.
 
Nel mentre Alisea vide una figura coi capelli biondi avvicinarsi a loro, seguita da un altro ragazzo dai capelli biondi.
 
 
Quando si avvicinò, la riconobbe meglio. Era sbalordita.
 
“Marika???” disse basita.
 
“Alisea?” disse Marika con il fiatone. “Ero sicura che fossi tu” disse con voce allegra come se avesse appena incontrato Alisea a un party a sorpresa.
 
“Okay….” Disse Alan arricciando il labbro. “Lo spazio qui si sta facendo sempre più affollato. C’è ancora qualcun altro che deve arrivare?” chiese sarcastico.
 
“Da dove arrivi?” chiese Alisea chiedendosi da dove fosse sbucata.
 
“ Alisea, conosci queste persone?” chiese Zaffiro.
 
“Siamo scesi dal pullman” disse Stefano.
 
“A proposito, come mai sei sceso anche tu?” chiese Marika voltandosi verso Stefano.
 
Stefano non sapeva cosa dire. In realtà neanche lui sapeva la risposta Già, perché sono sceso?  Si chiese. Alla fine rispose con un: “Mi annoiavo.”
 
 
Tutti lo guardarono per qualche secondo. I rumori del clacson delle macchine si facevano sempre più insistenti e fastidiosi. Arrivò anche una bella donna dai capelli biondissimi e lunghi a chiedere degli animali. Aveva un vestito rosa scintillante e si disse disponibile per andare con loro a occuparsi degli animali. Lei avrebbe avuto il posto e lo spazio per tenerli, diceva. “Mi chiamo Ariel” disse radiosa la donna. Rimasero tutti un po’ abbagliati dalla sua bellezza e dai suoi incredibili occhi azzurri in cui sembrava rifletterci un lago.  Alla fine la zia esplose: “Sentite, la compagnia è bella, ma io ho un cerbiatto ferito e un gatto da portare da un veterinario. Quindi se non vi dispiace, io vi lascio. Voi fate un po’ come vi pare” sbottò la zia.
 
 Prese il cerbiatto e chiese ad Alisea di portare il gatto in macchina, e ad Alan e Zaffiro di controllare Alisea per far si che il gatto non tenti di scappare. Obbedirono e sia gatto che il cerbiatto furono comodamente messi sui sedili posteriori dell’auto. La zia si voltò e camminò a passi spediti verso Clère.
 
 Non disse niente, la abbracciò solamente. Clère non seppe che dire.. “Ti ringrazio tanto per aver salvato i miei ragazzi quel giorno.”
 
“Io…grazie” si limitò a dire Clère. Non era mai stata molto brava con le parole.
 
“Adesso devo scappare. Ho dei feriti da portare. “ disse la zia asciugandosi un occhio con discrezione e tornò alla macchina. Ignorò completamente la donna che sembrò delusa ma tutt’altro che intenzionata a gettare la spugna tanto facilmente.
 
 
Alisea, Alan e Zaffiro erano rimasti a contemplare i due animali seduti vicini. Il gatto leccava con tenerezza le ferite del cerbiatto. Alisea, Alan e Zaffiro non avevano mai visto niente di più dolce.
 
 
 
 
 
“Ragazzi su, lasciatemi andare e voi andate con Clère, sbrigatevi.”
 
“Si” dissero i ragazzi senza lasciarselo ripetere due volte.
 
La zia mise in moto, fece il giro della rotonda stradale e tornò nel senso opposto, non prima di aver gridato al finestrino. “Clère ti affido i miei ragazzi.”
 
“Con me sono al sicuro” le gridò di rimando Clère.
 
Dopodiché la macchina spari.
 
Tempo pochi secondi e una seconda macchina la seguì I ragazzi sperarono che quella donna non avrebbe causato troppi problemi.
 
 
 
 
 
Stefano prese subito Marika per le spalle: “Marika, dobbiamo sbrigarci, ora che la strada si è liberata, abbiamo pochissimi secondi, prima che il pullman se ne vada senza di noi.”
 
Marika fece una faccia come se avesse inghiottito un limone.
 
“Mi dispiace, ma non posso portarne più di tre per volta” disse Clère chiedendosi come diavolo avrebbe fatto a portarseli dietro tutti e tre senza farsi ammazzare tutti. Era incredibile che la zia avesse accettato la sua proposta senza battere ciglio, doveva essere proprio sotto shock.
 
Marika e Stefano però stavano già correndo nella direzione opposta. Marika riuscì a gridare mentre correva: “Non preoccuparti. Ce la caveremo” dopodiché anche loro sparirono.
 
 
 
“Credi che riusciranno a risalire sul pullman?” chiese Alisea.
 
“Se rimangono a piedi per colpa nostra…” disse Alan sentendosi un po’ in colpa.
 
“Se la caveranno” disse dolcemente Clère.
 
In quel momento Alisea, Alan e Zaffiro si voltarono verso di lei e la strinsero in un abbraccio collettivo mozzafiato.
 
“Ehi ehi. Andateci piano. Ricordatevi che sono di lacrime facile” disse Clère.
 
Dopodiché la lasciarono.
 
“Prima ci salvi la vita e poi piombi qui a salvare la loro” disse Alan facendo un cenno al posto dove prima stavano gli animali.  “Non è che sei un angelo?”
 
Clère con aria furbetta disse loro. “Non ne discuteremo ora. Ora dobbiamo ancora raggiungere la scuola e speriamo di arrivarci sani e salvi.”
 
“Ci viene difficile credere che potresti mettere a repentaglio la nostra vita dopo avercela salvata” disse Zaffiro ridacchiando.
 
E tutti si misero a ridere.
 
 
Dopodiché Clère cercò di sistemare i ragazzi in modo da non essere di pericolo per nessuno di loro. Alisea sarebbe stata davanti mentre Clère gli faceva da scudo con il suo corpo. Zaffiro si sarebbe tenuto a Clère e Alan avrebbe completato il cerchio, aggrappandosi a Zaffiro.
 
 
 
“State tranquilli li dietro. Mi raccomando tenetevi forte” gridò Clère.
 
“Alan, hai sentito? Aggrappati al mio giubbotto, se non vuoi fare un volo e sfracellarti sull’asfalto” disse Zaffiro. Cercava di prenderlo sullo scherzo ma la voce tradì una certa ansia.
 
Clère capi che se dovevano stare li a pensare, non si sarebbero mai mossi dalla strada. Doveva avere fiducia. Si sforzò di non pensare al peggio e mise in moto. Con un bel rombo partirono.
 
 
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  Note dell'autrice: 

Rieccomi xd scusate davvero tanto per il ritardo T_T sono stata molto occupata con le altre mie storie e devo dire che questa faccio fatica ad aggiornarla costantemente, anche a causa delle recensioni che non arrivano ç_ç 

Io cercherò di fare del mio meglio comunque xd

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Capitolo 15
*** Perchè mi hai mentito? ***


La corsa a perdifiato verso la scuola durò quindici minuti.  Si fermarono davanti ad essa con un fischio acuto. Clerè aiutò Alisea a scendere e poi fece scendere anche Alan e Zaffiro. Avevano i capelli gonfi e scarmigliati e la faccia scioccata. Diede loro un’affettuosa sistemata.
 
“Sembrate stravolti, è la prima volta che viaggiate su una moto?” chiese con un tono affettuoso.
 
Ad  Alan e Zaffiro imbarazzava il fatto che li trattasse come una sorella maggiore che si rivolgeva ai fratellini più piccoli, ribelli e scanzonati…in fondo non era tanto più grande di loro.
 
“Sì, è la prima volta che viaggiamo in quattro su una moto.” Rispose Zaffiro.
 
“Alisea?” la chiamò Clère.
 
Alisea si era fermata davanti alla grande scuola ad osservare le mura bianche e l’imponente entrata, poi la sua occhiata si soffermò  sul grande guardino della scuola che sembrava un parco, circondato da un piccolo cancelletto, notò delle rose all’interno e cercò di raggiungerle, ma il cancelletto era chiuso a chiave.
 
“Alisea che cosa stai facendo? Non lo capisci che siamo in ritardo?” chiese Alan avvicinandosi.
 
“Volevo solo dare un’occhiata a questa specie di parco…” mormorò Alisea tentando senza successo di guardare all’interno.
 
Zaffiro bisbigliò piano a Clère: “ È sempre andata matta per il verde. In un’altra vita era una vegetariana”
 
Siamo in ritardo! Avrai tutto il tempo per esplorarlo tutto, ora però dobbiamo proprio andare, prima che….” Disse Alan, ma si bloccò a metà frase appena vide una figura vestita di nera che scendeva gli scalini dell’entrata….
 
“OH MERDA” esclamò Zaffiro.
 
“lo sapevo io che finiva cosi” borbottò Alan stizzito.
 
La figura si avvicinò lentamente ai quattro, come se stesse facendo una tranquilla passeggiata sulla spiaggia. Ora potevano vederlo da vicino. Era un uomo con una massa di capelli neri, folti, ricci e scarmigliati, con un po’ di gel. Occhi neri profondi come la notte. Non si capiva bene la sua età dal viso. Aveva dei baffetti neri, l’espressione da uomo vissuto e anche un po’ oscuro, ma gli occhi impenetrabili come quelli di un ragazzino triste o insolente. Poteva avere venti anni e allo stesso tempo trentacinque. Aveva una lunga casacca nera tutta abbottonata. Assomigliava a un pipistrello gigante. Si avvicinò e si fermò davanti a loro.
 
“Bella giornata eh, ragazzi?” chiese l’uomo.
I ragazzi guardarono in su, dove fino a poco prima c’era un bel sole e ora le nuvole lo stavano oscurando.
 
“Perfetta per un picnic, almeno fino a quando non arriva la pioggia.”
Le prime gocce cominciarono a cadere giù.
 
“Ma guarda…sono proprio un mago…” disse sorridendo sarcasticamente.
 
“Signore, ci dispiace di essere…” cominciò Clère
 
“E voi mi sa che siete proprio in punizione, si, il mio istinto mi dice questo…chissà se ancora una volta ha visto giusto.”
 
“Punizione?” esclamò Zaffiro orripilato. “Che abbiamo fatto?” forse avvicinarsi al giardino era considerato reato. Forse li ci avevano rinchiuso qualche bestia feroce o custodito qualche gioiello particolare.
 
“Quello vi dice niente?” indicò l’uomo.
 
In alto sulla facciata della scuola campeggiava un grosso e pesante orologio: segnava le…8: 47????
 
“Abbiamo...abbiamo avuto un imprevisto sulla strada…due animali hanno bloccato il traffico per qualche minuto più del previsto, è per questo che….” Cominciò Clère
 
“Basta cosi. Non vi ho chiesto di giustificare il ritardo. seguitemi.” Disse sgarbatamente il professore.
 
 
 
Entrarono nella scuola, molto grande e spaziosa, anche se piuttosto buia, giudicarono i ragazzi. Il professore si rivolse ad Alisea: “La tua classe è la.1 b. che al momento è sprovvista di un  insegnante, per la prima ora dovrete arrangiarvi. “ disse il professore ad Alisea come se fosse colpa sua. “Perché..?” ma il professore gli rispose freddo: “Ora vada, è già abbastanza in ritardo!” e Alisea scappò via senza dire una parola. Il professore fece cenno di entrare in classe, ma Alan si trattenne ancora un po’: “Non…non potremmo scontare già qui la punizione?” il professore ebbe un guizzo negli occhi che poteva essere di divertimento: “Niente storie, avrete un'entrata trionfale, che poi era quello che volevate, no?”
 
 
I ragazzi entrarono e il professore chiuse la porta dietro di loro. I compagni li guardavano con interesse e un po’ di stupore. Ai tre  ragazzi venne subito molto caldo addosso.
 
“Come avete modo di notare, questi sono tre dei nuovi ragazzi che dovevano arrivare al liceo di Dawnsville. Sono un po’ in ritardo, ma dovete perdonarli, avevano in mente un’entrata particolarmente teatrale….”
 
“Non è stata colpa nostra…degli animali ci hanno bloccato la strada….” Cominciò Alan.
 
“Signor devile, è pregato di parlare quando è interrogato!”
 
“E perché dice TRE nuovi ragazzi? Clère non è mica nuova, è arrivata qui due mesi fa…” disse Zaffiro.
 
Silenzio.
 
“Vuole ripetere signor Devile?”
 
“Si…Clère è arrivata qui già due mesi fa o….o no?” chiese Zaffiro fissando Clère, molto imbarazzato. Clère sembrava mortificata.
 
I ragazzi nel frattempo stavano ridendo di loro.
 
“Bene bene bene, Sembra che la nostra graziosa amichetta vi abbia raccontato qualche bugia, signor Devile” disse il professore, sprezzante, mentre Clère guardava in basso. “Ma d’altronde non c’è da stupirsi conoscendo la sua storia, o non gliel’ha raccontata signorina Blinched? ” disse ancora più sprezzante. “Per punizione passerete intervallo qui,  ora filate ai vostri posti, e prendete tutti quanti il libro a pagina 74” disse, mentre i compagni sogghignavano ancora.
 
“Perché mi hai mentito? Mi hai fatto fare la figura dello sciocco!” disse Zaffiro a Clère guardandola male.
 
Lei stette in silenzio e voltò la testa, sembrava molto triste, ma Zaffiro in quel momento era troppo arrabbiato per dispiacersi per lei.
 
 
 
 
*
 
“Sono in ritardo, ed è il mio primo giorno di scuola” Disse Marika mentre si precipitava nel corridoio della scuola.
 
“SiAMO in ritardo ed è il NOSTRO primo giorno di scuola, Marika” disse Stefano correndole appresso.
 
“Marika si girò verso Stefano. “È tutta colpa mia, l’autobus…la strada…gli animali..”
“Non ci pensare ora e pensa a trovare la 1 b!!” la interruppe Stefano
 
Marika svoltò l’angolo e andò a sbattere dritta contro qualcuno che veniva dalla parte opposta. Stefano non se l’aspettava e preso alla sprovvista dalla brusca frenata andò a sbattere anche lui contro entrambe e caddero tutti a terra.
 
Si sentii un debole gemito. Alisea.
 
“Ok, ritiro le mie scuse dell’altra volta. Questa è la seconda volta che mi cadi addosso.” Mugugnò Alisea.
 
“Forse in un’altra vita eravamo gemelle siamesi” rise Marika.
 
“Lo trovi divertente?” si stupi Stefano. “Stavo per rompermi l’osso del collo” scrollò le braccia. Poi si voltò verso Alisea. “Tu sai per caso dov’è la 1 b? l’insegnante sarà furibondo!”
 
Alisea rispose “ A dire la verità, non c’è….cosi mi ha detto un altro professore….."
 
“Come???” chiese Stefano basito.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
Era l’ora dell’intervallo e Zaffiro stava mangiando il suo panino al banco, con aria imbronciata, mentre Clère si era alzata davanti alla finestra a guardare le nuvole con aria infelice. Alan si avvicinò a lei: “Non avrai mica intenzione di buttarti giù?Sai siamo un po’ tutti come Icaro. Incapaci di intendere e di volARE. “ Clère sorrise: “ Questa non è tua. È di Groucho, l’assistente matto di Dylan”
 
“Sai, non c’è gusto a cercare di menarti per il naso o di fare bella figura con battute scadenti. Sei troppo intelligente” disse Alan scrollando le braccia. Clère stava per sorridere di nuovo, ma a metà strada ci ripensò e ridiventò triste. “Non sono cosi stupenda e perfetta.”
 
“Alludi alla piccola bugia che hai raccontato a mio fratello? Ohhh gli passerà, sai ti confido un segreto.” Disse avvicinandosi all’orecchio di Clère con fare cospiratorio. “Non sopporta l’idea di essere menato per il naso. Per dirti, una volta, una nostra compagna di classe gli disse che aveva fatto un tatuaggio sulla pancia. Era una farfalla!”
 
Clère alzò le sopracciglia.
“Si, proprio una farfalla,ti dico. Beh quando arrivò l’estate poi, e questa ragazza arrivò con un top strettissimo, si vide finalmente il famoso tatuaggio.
 
“E…..?”
 
“ERA UNA LIBELLULA!!!”
 
Clère scoppiò a ridere.
 
Alan continuò:” NON GLI HA Più PARLATO!” disse Alan con voce teatrale, strabuzzando gli occhi.”Lui diceva che non riesciva a perdonare le bugie.  E vuoi sapere come è riuscita a farsi perdonare da lui?” disse.
 
“Come?” chiese Clère con la voce strozzata dalle risate.
 
“È andata a cancellare la libellula e si è fatta la farfalla, poi si è presentata davanti a mio fratello e gli ha detto che in questo modo aveva cancellato la bugia.”
 
Clère scoppiò di nuovo a ridere.
 
“Non c’è niente da ridere! Hai idea di quanto costi cancellare un tatuaggio per cancellare una bugia? Oltre al dolore fisico, le bugie pure costano tanto. Vai a chiederglielo al panettiere” disse  Alan.
 
Clère ridendo  mise una mano sulla spalla di Alan: “Ti ringrazio per lo sforzo. Mi hai fatto ridere, ma ho capito perfettamente che è una balla.”
 
“Le balle di fieno non so quanto costano”
 
Clère sorrise di sbieco.
 
“E va bene era una balla!” disse Alan scrollando le spalle. “Con te non ti si può menar per il naso, sei troppo intelligente. Ma almeno ti ho fatto ridere, no?”
“Si, grazie” disse Clère. Poi guardò dalla parte di Zaffiro. “Credo che Zaffiro ce l’abbia ancora su con me. Fa delle strane smorfie” disse Clère triste.
 
Zaffiro aveva un paio di cuffie attaccate alle orecchie e si sforzava di non guardare nella loro direzione. In effetti faceva delle smorfie strane che cercava di nascondere con i capelli.
 
Alan scoppiò a ridere: “So io che cos’ha mio fratello” disse. E si allontanò da Clère.
 
PAC.
 
“Ahhh” si lamentò Zaffiro. Alan aveva appena dato una pacca sulla testa al fratello.
Alan lo guardò con un sorriso a trentadue denti.
 
“Si può sapere che problemi hai?” chiese Zaffiro arrabbiato.
“Che problemi hai tu. Ora ti dico cosa stavi facendo. Ti veniva da ridere ma allo stesso tempo eri arrabbiato e quindi cercavi di mettere d’accordo i tuoi impulsi, ma ne è venuta fuori una cosa orripilante con la tua faccia e per non sembrare un idiota hai cercato di nasconderla.”
 
“Tu vaneggi” disse Zaffiro cercando di rimettersi le cuffie, ma l’espressione del viso lo tradì.
 
“Ah – ah stai sorridendo” disse Alan, puntandogli il dito.
“Schhhh” disse Zaffiro, ma sorrise di nuovo.
 
“Mi vuoi dire come hai fatto a sentire la mia piccola frottola? Sono curioso.”
“Sento solo quello che TU vuoi farmi sentire” disse Zaffiro con sguardo eloquente rimettendosi le cuffie.
 
“Un’ultima cosa ancora.” Disse Alan levandogliele. “Quanto ancora hai intenzione di fargliela pagare?”
 
“Io non sto facendo pagare niente a nessuno, è lei che si sente in colpa”  Disse Zaffiro.
Alan lo guardò con espressione eloquente “Questa si chiama violenza psicologica”
 
“Chiamala come vuoi. Io non capisco perché la difendi tanto. Mi ha raccontato una balla e mi ha fatto fare la figura del cretino davanti a tutta la classe.”
 
“E perché non gli chiedi perché te l’ha raccontata?”
 
“Io non devo chiederle niente, se avesse voluto dirlo, l’avrebbe già fatto”
 
“Va bene, allora lo farò io!”
 
“Ma che…” disse Zaffiro
 
Alan si voltò verso Clère. “Ehi Clère, perché hai raccontato una balla a mio fratello?”
 
Clère lo guardò con aria sbigottita.
 
“È tutto a posto, Clère, dovevo solo chiedertelo. Ora puoi tornare pure alle tue cose.” Disse Alan, sorridente.
 
 
PAC
 
“Ahiooo.”
 
Zaffiro lo guardò arrabbiato, poi scosse  la testa. “ Lo sai che sei proprio un idiota?” chiese ridendo.
 
“Grazie, anche io ti voglio bene, fratellino” disse Alan, ridendo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note dell'autrice:   
 
Rieccomi! xd lo so, ritardo mostruoso xd oggi sono un pò in crisi di ispirazione e ho pensato che tanto valeva approfittarne per aggiornare xd

Non trovate che l'insegnante assomigli molto a Piton di Harry Potter? ahhah

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Capitolo 16
*** Zuffa a scuola! ***


 Marika, Alisea e Stefano erano entrati nella loro classe e avevano passato la prima ora a chiacchierare sulla strana assenza dell’insegnante, ridendo e scherzando su come il professore che aveva incontrato Alisea, assomigliasse ad un grosso pipistrello gigante.
 
Quando arrivò l’intervallo, tutti e tre i ragazzi decisero di andare in cerca di Zaffiro, Alan e Clère. Per fortuna Alisea ricordò la porta giusta della loro classe e cosi tutti e tre entrarono timidamente. Alisea chiamò: “Zaf? Alan? Clère?”
 
Vide  Zaffiro che seduto al banco, accorgendosi di Alisea, si tolse le cuffie. Alan vicino al banco del fratello, fece un gran sorriso ai presenti. Clère si avvicinò subito a loro e sorrise con tenerezza.
 
Marika la fissò. Clère aveva uno sguardo cosi tenero e premuroso. Da sorella maggiore. Stava studiando il suo sguardo, quando Clère la interruppe: “Marika? Cosa c’è?” chiese, sorridendo un po’ perplessa. “Niente” disse un po’ stranita Marika, scostandosi i suoi lunghi capelli biondi e rivolgendosi ai fratelli. “Oggi abbiamo avuto un’ora buca. La nostra insegnante non c’era.” Disse.
 
“Si. Abbiamo sentito. Il nostro professore ce l’ha riferito un po’ troppo sgarbatamente” disse Zaffiro, facendo una smorfia.
 
“Non ti piace molto, eh?” chiese Marika, sorridendo.
 
“Devo convenire con mio fratello  che non si è presentato molto bene” aggiunse Alan, suscitando l’ilarità di tutti.
 
 
I ragazzi si misero d’accordo di ritrovarsi tutti quanti insieme alla sala mensa per l’ora di pranzo. Stavano preparandosi per uscire, quando Alan fu fermato per un braccio da Zaffiro. “Ehi” sussultò Alan.
 
“Sssccch” fece Zaffiro, puntandosi il dito sulla bocca e spingendo Alan in un angolo e continuando a fargli cenno col dito, di stare in silenzio.
 
“Si può sapere che diavolo ti prende?” chiese Alan a bassa voce.
Zaffiro non disse niente, ma si limitò a indicare con sguardo eloquente dall’altra parte.
 
 
Alan si voltò in quella direzione e vide una figurina familiare.
Strabuzzò gli occhi. Era la donna bionda misteriosa che avevano incontrato al parcheggio. Stava salendo le scale affannata, il vestito rosa svolazzante, i capelli arruffati, ma sempre bellissima. Cosa ci faceva nella loro scuola? Per un orribile momento, Alan temette che volesse parlare con loro degli animali. Magari erano morti…Poi la donna, inaspettatamente, inciampò e….orrore. andò a sbattere proprio addosso al professore che aveva parlato con loro solo poche ore prima. Vide che anche Zaffiro era attonito, come lui.  Entrambi, caddero per terra.
 
“Mi dispiace veramente tanto” disse la donna misteriosa.
 
Il professore grugni. Forse fanno cosi le persone quando non hanno nessuna risposta originale da dare al momento. Avrebbe dovuto tenerlo a mente, pensò Alan.
“Scusatemi”Ripetè la donna. “Ero di fretta.”
 
“Invece di scusarsi, potrebbe fare più attenzione a dove mette i piedi, non le sembra?” Chiese il professore.
 
“Già…” seppe dire soltanto la donna, colpita.
 
Il professore si alzò in piedi.
 
“Suppongo che sia la nuova insegnante della 1 b “ disse con un sorrisetto il professore.
 
Alan e zaffiro spalancarono la bocca increduli.
 
“Suppongo che dovrà rivedere il suo discorso di presentazione per un’altra volta” disse sempre sorridendo.
 
“Io…io non…”
 
“Non mi deve nessuna giustificazione. A me, ma forse al Preside si. Sa, non fa una buona impressione che un docente manchi una lezione proprio il primo giorno di scuola. “
 
“Sono…stata tratenuta”disse la donna.
 
Il professore alzò gli occhi al cielo.
 
“Come mai stamattina si sentono tutti in diritto di giustificarsi con me?”
 
“Cosa? Come?”
 
“Basta” disse il professore, mettendo le mani sulle spalle della donna, ma poi fissò gli occhi azzurri della giovane donna e per un attimo sembrò che lo  sguardo dell’uomo divenne incerto, stranito. Durò solo pochi istanti, poi si riscosse. Levò le mani e prese ad andar via, non prima di fermarsi per dirle: “Le suggerisco di cambiarsi, signorina. Il suo…vestito…è un po’ troppo vistoso per i regimi della scuola” e se ne andò portando i suoi libri sottobraccio.
 
La donna lo guardò allontanarsi totalmente basita.
 
 
 
 
*
 
“Mi sono voltata solo per pochi attimi ed eravate spariti! Mi avete lasciata da sola come una cretina a chiedermi dove eravate finiti!” disse Clère lamentandosi.
 
Zaffiro fece una mezza risata. Era forte Clère. Non era solo una dolce ragazza, carina, pacata, perbene, che non si scomponeva mai, ma  poteva anche fare battutine ed essere divertente. La perfezione è noiosa nelle ragazze. A quanto pareva, Clère aveva molte sfaccettature.
 
“Sai com’è, volevamo spiare senza essere visti e non avevamo tempo di chiamarti, altrimenti ci saremmo persi la scena, senza contare che quell’energumeno ci avrebbe scoperti.”
 
Alan rimase in silenzio a fissare il fratello: a volte la sincerità di Zaffiro era disarmante e imbarazzante allo stesso tempo. Conosceva poche persone come lui.
 
“Mio fratello ha ragione, Clère, ma poi siamo tornati subito a cercarti” disse Alan, ruffiano.
 
Clère sorrise compiaciuta. In fondo quel piccolo sketch era servito a far sciogliere il piccolo momento di nervosismo di stamattina e ne era contenta.
 
“ Andiamo, comunque. Gli altri ci staranno aspettando.” Disse raggiante Clère, improvvisando un balletto nel corridoio della scuola. I ragazzi la seguirono, obbedienti.
 
 
 
 
*
 
 
nel frattempo, Alisea, Marika e Stefano, erano già arrivati in sala mensa.

“Dovremmo cercare gli altri” disse Alisea, guardandosi intorno.

“Non so se ci conviene cercarli, con tutta questa confusione. Non prendertela, Alisea, ma io resto qui.” Disse Stefano, guardando la folla.

“ Anche io, Alisea,” disse Marika, pensando che odiava la gente con tutte le sue forze. Ancora di più odiava la folla. Si chiese se sarebbe sembrato troppo sconveniente dirlo ad alta voce. Avrebbe fatto la figura della disadattata?

“C’è qualcosa che non va. Marika?” chiese Stefano.

“Mi gira un po’ la testa.” Disse Marika. Erano li solo da cinque minuti e già stava cominciando a soffrire di claustrofobia.

“Forse dovresti dare quel vassoio a me, prima che….”

“Ma no, sono padrona della sit….”

Troppo tardi!!

Marika si era girata per rispondere a Stefano, ed era andata a sbattere contro un grosso omaccione nerboruto che era anch’esso in fila per prendere da mangiare. Il cibo e la polenta che aveva preso finirono in buona parte addosso a lui e poi sul pavimento.

Stefano e Alisea guardarono la scena orripilati e subito dopo cercarono di agguantare Marika da terra, per portarla via, ma troppo tardi.

L’omaccione nerboruto aveva agguantato Marika per il colletto e l’aveva sollevata.
 
“E adesso chi me li ripaga i vestiti  nuovi? Eh? Erano di MARCA!!!”

“Scusa, scusa, scusa. Non l’ho fatto apposta.”

“Ehi!!!” disse Stefano arrabbiato, picchiettando il dito sulle spalle dell’omaccione.

“Ti ha chiesto scusa, mi sembra. Quindi vedi un po’ di lasciarla stare, STRONZONE!”

“Come mi hai chiamato???” grugni il ciccione mollando Marika di getto, che sarebbe rovinata a terra, se non fosse stato per Alisea che la sorresse.

“Che c’è, sei sordo? Ho detto STRONZONE. Magari un po’ di digiuno ti farà anche bene “ disse Stefano, guardando il vassoio del mangiare del ragazzo, rovinato a terra. “Cosi magari dimagrisci. Ti ha mai detto nessuno che sei anche un ciccione??”

“Stefano!” gridò Marika, terrorizzata.

In quel momento, Ciccio abbrancò il ragazzo per il collo, quasi strozzandolo e stava per colpirlo in pieno viso. In quel momento un dito picchiettò sulla schiena di Ciccio. Ciccio si voltò. Era Alan.
 
“Lo sai cosa mi piace dei figli di papà?” disse sorridendo.
 
Il momento dopo gli diede un pugno.
 
Ciccio non se lo aspettava e cadde a terra.
 
“NIENTE” gridò sprezzante Alan al ciccio caduto.
 
 
Nel frattempo si era radunata una piccola folla.
 
“Chiamate gli insegnanti” gridò qualcuno.
 
“Mi sa che stiamo attirando l’attenzione” disse piano Alisea.
 
“Mi sa anche a me” disse Marika preoccupata.
 
Ciccio ricambiò quasi subito il pugno, dandone uno in pieno stomaco ad Alan.
 
In quel momento un altro pugno arrivò a ciccio sull’altra mascella. Zaffiro.
 
Zaffiro aveva un’espressione feroce sul viso.
 
“Tocca ancora mio fratello e ti ammazzo, capito?” disse lui.
 
Ciccio cominciò a perdere sangue dal naso, ma non svenne. Era più arrabbiato che mai.
 
 Ringhiò: “Bene!! Questo posto è di una tale noia! Mai che si possa menar le mani! Per fortuna siete arrivati voi a scuoterlo!” e cominciò ad azzuffarsi su di loro. Pugni, calci, fino a che non arrivarono gli insegnanti a dividere i tre. Una dei loro era proprio la donna bionda.
 
 
 
“Basta ragazzi, basta”. Disse mentre tratteneva Alan.
 
“È stato lui a cominciare. Quello stronzo.” Gridò Alan.
 
“Vai pure a vantarti coi tuoi amici, che uomo che sei. Prendersela con le ragazze. Sei proprio un grande uomo!” gridò di rimando Zaffiro.
 
Il professore era arrivato sulla scena e  si voltò impercettibilmente verso Marika e Alisea.
Le ragazze arrossirono, e guardarono dall’altra parte.
 
 
“Vi faccio un culoo cosi, stronzi!!”  disse l’omaccione.
 
“Andiamo Stinsky. Non essere cosi volgare o sarò costretto a metterti in punizione e ora cammina.” disse il professore spingendo Ciccio, ma non sembrava molto di rimprovero. Gettò un’ultima occhiata indefinibile ai ragazzi e si allontanò con Ciccio, che prima di voltarsi però fece un gestaccio ad Alan e Zaffiro.
 
Alan e zaffiro cercarono di allontanarsi dalla mensa, ma vennero bloccati dagli insegnanti
 
“Dove credete di andare in queste condizioni? Subito in infermeria avanti, e poi dovrete fare due chiacchiere col preside. Il primo giorno di scuola e già una zuffa. Cosa ho fatto di male” disse la professoressa con il chignon.
 
















Note dell'autrice: 

Finalmente ho aggiornatoooooo. Festeggiamo ^___^

Mi era mancata questa storia! xd

Ps si viene a scoprire qui, che la donna misteriosa insegna in questa scuola. Chissà qual è il suo segreto xd

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Capitolo 17
*** Il preside vuole vedervi ***


Alan e zaffiro erano in infermeria,  In due lettini vicini, che dormivano. Avevano gli occhi violacei e i visi gonfi. Piano piano ripresero conoscenza.
 
“Mmmmm perché è destino che dobbiamo sempre finire in ospedale insieme?” borbottò Alan verso Zaffiro.
 
“è la legge del karma” biascicò Zaffiro. “L’ultima volta c’era anche Ali. Vedrai che con un po’ d’allenamento riusciremo a ridurre il karma a una sola persona”
 
“Non sarebbe meglio evitare proprio che nessuno ci finisca più?” chiese Alan, con lo sguardo di qualcuno che stesse facendo un sogno ad occhi aperti.
 
“è tipico tuo, Alan. Non ti si può dire di esprimere un desiderio, che cominci a chiedere la luna, il sole e i tramonti” disse mugugnando Zaffiro.
 
“Bene, a considerare le cavolate che state sparando, direi che avete ripreso le forze.” Disse una vocetta femminile entrando in infermeria.
 
 
 
“Ohh” disse Alan soffermandosi sul vestito rosso di Alisea e sui suoi capelli fiammanti.”Cappuccetto rosso. Che cosa ci fai qui in infermeria? Zaffiro, Come ha fatto a entrare?”
 
“E che ne so io…avrà chiesto un passaggio alla carrozza, no? Se la sarà fatta prestare da Cenerentola.”
 
“Non sapevo che Cappuccetto rosso e Cenerentola fossero amiche. “ disse Alan con espressione confusa.
 
“Ok direi che avete la febbre” disse Alisea toccando la fronte di Alan.“Scotti” aggiunse poi a mò di conferma.
 
Toccò anche la fronte di Zaffiro. Scottava anche lui.
 
Vide che c’era una vaschetta piena d’acqua fredda. Ci immerse delle pezze che trovò vicino e le premette sulla fronte dei fratelli. Sospirò. I ragazzi si lamentarono, ma Alisea gliele tenette li comunque.
 
 
 
Dopo alcuni minuti di ricambio pezze, i ragazzi sembravano leggermente più lucidi.
 
“Che cosa ci fai qui Alisea?” mugugnò Alan ad occhi chiusi.
 
“Ah bene, vedo che ora mi riconosci.” Disse Alisea. “Zaffiro?”
 
Zaffiro rispose: “Levami queste pezze dalla fronte. Non sono un bambino”
 
“Ok, è tornato in sé anche lui” constatò ad alta voce la ragazzina.
 
“Alisea, dovremmo essere noi ad avere cura di te, non il contrario” disse Alan.
 
“Allora la prossima volta che cercherete di fare gli eroi, cercate almeno di non farvi massacrare di botte eh?” disse Alisea con voce triste, mettendo la pezza nuova sulla fronte di Alan.
 
“Chissà cosa avranno pensato gli altri. Tutti quelli che erano in mensa…che vergogna” disse Zaffiro.
 
Alisea sorrise: “Siete diventati degli eroi per tutti. Tutti parlano dei nuovi arrivati che hanno dato una lezione finalmente a quella bestia di Stinsky. Siete diventati famosi” disse Alisea con ammirazione sorridendo. “Pensano che siete stati eccezionali”
 
Vide dei sorrisini silenziosi curvarsi sulle labbra dei fratelli.
 
“E lo pensiamo anche noi” disse una voce maschile aprendo la porta.
 
Si voltarono e videro Clère, Marika e Stefano raggianti. Portavano dei mucchietti curiosi fra le mani.
 
 
 
“Devo ringraziarvi per essere intervenuti, ragazzi. Se non fosse stato per voi, Stinsky…” cominciò Stefano intenerito…
 
“Non ringraziarci, Stefano. “ disse Alan.
 
“Anche io devo dirvi grazie. Se non fosse stato per Stefano e per voi..” cominciò Marika.
 
“Vale lo stesso per te, Marika” disse Zaffiro. “Sentivamo di doverlo fare”
poi aggiunse: “e poi noi siamo dei piccoli teppisti. Vero fratello?” disse ridacchiando Zaffiro, cosa che gli fece ancora più male alle guance.
 
“Giusto. Dovreste sapere quante volte siamo andati in punizione nella nostra vecchia scuola” ammiccò Alan.
 
“Questi li abbiamo portati per voi. Non è stato facile passare. Già l’infermiera non voleva far passare nessuno, figuriamoci tutte queste persone e in più con tutti questi dolci. Ma Alisea è riuscita a imbucarsi e non potevamo lasciare che noi restassimo fuori. “ disse Stefano.
 
Tra le mani avevano cioccolatini, marx, caramelle, succhi di frutta. Tramezzini. Ai ragazzi venne subito l’acquolina in bocca e si misero a sgranocchiare quelle prelibatezze a volontà, fino a che non arrivò l’infermiera urlando che i ragazzi avevano bisogno di riposo.
 
 
 
“Ancora dieci minuti” la pregò Alisea.
 
“E va bene, ma non un minuto di più” la redargui l’infermiera.
 
 


 
 
 
 
*



Ormai era passato diverso tempo da quando Alisea, Clère, Marika e Stefano erano ritornati nelle loro aule. Verso le 16:00 sarebbero dovuti tornare a casa e allora si che sarebbero stati guai grossi. Cosa avrebbedetto zia Judith?
 
 
 
“Pensi che siamo nei guai, Zaf?” chiese Alan.
 
“Ne sono convinto, ma forse non infierirà troppo vedendoci ridotti cosi” rispose lui.
 
 
In quel momento una porta si apri. Una figurina coi capelli rossi entrò in infermeria. Aveva l’aria solenne.
 
“Alisea tu dovresti essere in classe” disse Zaffiro cercando di mostrarsi indispettito, ma in realtà era contento che sua sorella era tornata. Anzi non capiva in base a quale stupida legge fisica Alisea fosse tornata in classe prima. Sicuramente una presenza demoniaca aveva agito per lei e l’aveva costretta a lasciarli da soli rimuginando sul loro gesto e sulle conseguenze che avrebbe avuto al loro ritorno a casa. Doveva essere andata cosi.
 
Alisea strinse gli occhi: “dimmi che non sei ancora in preda delle allucinazioni”
 
“Cii hai lasciati qui da soli per tutte queste ore  a morire di noia, brucerai all’inferno” disse Zaffiro, e poi si chiuse in un silenzio definitivo.
 
Alisea si voltò verso Alan.
 
“In realtà Zaffiro voleva dire che brucerai all’inferno DOPO aver affrontato zia Judith per noi, e raccontarle perché siamo ridotti cosi. Dopo aver affrontato la sua ira l’inferno ti sembrerà un paradiso” disse Alan prendendo una cicca.
 
“Basta con queste cavolate. Sono venuta qui per un motivo." disse Alisea, e poi si fermò.
 
“Beh parla” disse Alan.
 
“Mi hanno detto di dirvi che il preside vuole parlarvi, essendo vostra sorella hanno mandato me a informarvi” disse Alisea guardando in basso.
 
“Ci hanno già espulso?” chiese Zaffiro mettendosi comodo sui cuscini.
 
“Non dire sciocchezze” Alisea si stava irritando gia.
 
“Beh meglio cosi. Questa scuola mi fa schifo. Voglio dire che razza di scuola ammetterebbe un elemento come Stinsky? Già da qui capisci che ci insegna gente poca seria” disse Zaffiro facendo una smorfia di nausea.
 
“Per l’amor del cielo stai zitto. Qualcuno potrebbe sentirti. Vuoi farti espellere?”
 
“Voglio che se devo essere espulso almeno sia per dei buoni motivi” ribattè Zaffiro
 
“Basta. Quand’è che il preside vuole vederci?” ribattè Alan alzando le mani.
 
“ Tra mezz’ora nel suo studio” ribattè Alisea.
 
“Bene. Avrò tempo per mettermi il gel. “ rispose Zaffiro.
 
 
 
 
 
*
 
 
Mezz’ora dopo zaffiro, Alan e Alisea erano usciti dall’infermeria.
 
Cominciarono a incamminarsi verso il corridoio.
 
“Qualcuno sa dove diavolo sia questa infermeria?” disse Alan.
 
“ Secondo voi bisognerebbe denunciare quelli che hanno venduto quella sottospecie di gel azzuro? Insomma, fregano la gente facendo credere che possano colorargli i capelli di blu. Dovrebbero denunciarlo. Chiunque esso sia. O magari è più di uno. Sono una banda.”
 
“ Ti sembra il momento di pensare ai capelli? Basta con queste stronzate” disse Alan che aveva la bocca asciutta. E se li avessero espulsi davvero?
 
“ Non credi che prima Alisea dovrebbe entrare in classe? Lei mica è richiamata dal preside.” Obiettò Zaffiro.
 
Alisea si paralizzò: “Se non mi vuoi tra i piedi, me ne vado”
 
“Finalmente, era ora” disse Zaffiro ridacchiando.
 
Alisea fece per voltarsi, ma Zaffiro le bloccò il braccio e l’abbracciò da dietro: “Non mi toccare” disse Alisea con una strana voce
soffocata.
 
“ Ma stai piangendo? Sei proprio una scema” disse Zaffiro con un tono più dolce.
 
“Se non mi vuoi tra i piedi..” singhiozzò Alisea con le lacrime agli occhi.
 
“ Non capisci niente” disse Zaffiro.
 
Alan alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Che Alisea non capisse niente era vero. Zaffiro aveva quel modo di fare un po’ rude perché non voleva dimostrare troppo quanto ci tenesse a loro, quindi a volte si divertiva a prenderli in giro e a trattarli male, ma Alisea era sensibile e davvero Zaffiro a volte aveva dei modi da scimmione. Alisea avrebbe dovuto conoscerlo ormai e comunque Alan era stanco di questi soliti teatrini. Non avevano tempo da perdere.
 
“Se non ti ricordi più, Zaf, abbiamo un rimbrotto che ci aspetta”
 
“Va bene va bene, ma Alisea non vuole tornare in classe..” disse Zaffiro ridacchiando. “Ahio” Alisea si era sciolta dall’abbraccio e l’aveva colpito in testa ma adesso sembrava divertita.
 
 
 
Si girarono tutti e tre in tempo per vedere il professore che li stava osservando. Li gelò con uno sguardo di puro odio, e poi girò un angolo.
 
 
 
“Non sembra uno sguardo incoraggiante” disse Alan storcendo la bocca.
 
“Secondo me se è cosi arrabbiato vuol dire che non ci hanno espulsi “ disse raggiante Zaffiro.
 
“Beh, non abbiamo tempo da perdere, andiamo.” Disse Alisea.  
Arrivarono davanti alla porta del preside. La fissarono bene prima di decidersi a bussare. Aveva degli strani disegni.
 
 
 
“Cosa sono? Ali?” chiese Alan perplesso.
 
“ Secondo me sono ali di fenice “ disse entusiasta Zaffiro
 
Alisea distolse a fatica gli occhi da quel disegno. Era sempre andata matta per la mitologia, ma in quel momento almeno uno di loro tre doveva pensare concretamente, se i suoi fratelli erano cosi incoscienti da non preoccuparsi di una loro espulsione. Si fece avanti e bussò.
 
“Avanti” una voce profonda venne da dietro la porta.
 
I fratelli si fecero avanti e entrarono.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note dell'autrice:   
 
lo so, aggiorno dopo un anno di pausa xd scusate il ritardo ma mi sono scoraggiata perchè nessuno recensisce e perchè i miei capitlo sono lunghi e difficili da correggere perchè in principio ho scritto la storia non pensando di doverla pubblicare e ho fatto un mucchio di errori ç_ç

ora ho deciso di riprenderla in mano..vediamo xd

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Capitolo 18
*** Nello studio del preside ***


Lo studio era grande e accogliente.  A sinistra c’era un caminetto piuttosto antico e accanto a esso c’era uno di quegli arnesi per ravvivare il fuoco. Al centro c’era una bella scrivania in legno. Lo studio era tinteggiato di bianco, ma sul soffitto c’erano vari affreschi. Sembravano raffigurare angeli.
 
Il pavimento era per metà rivestito di mattonelle bianche e per metà marroncine.
 
Alla scrivania c’era seduto un uomo biondo. Capelli brizzolati e una barbetta bianca, profondi occhi azzurri. Portava degli occhiali e sorrideva loro.
 
 
 
“Buongiorno” sorrise.
 
“Buongiorno” risposero in coro i tre ragazzi.
 
“Vi piacciono i miei affreschi?” disse loro agitando il braccio verso il soffitto.
 
I ragazzi annuirono incantati.
 
Fu allora che si resero conto della presenza di altre persone nello studio. La professoressa con il chignon, la misteriosa donna bionda di quella mattina, il professore severo…- come si chiamava- ? C’era ovviamente  Stinsky con i genitori. Due brutti ceffi con i musi lunghi.
 
E….oddio..c’era anche zia Judith. Aveva la faccia molto pallida, una camicetta arancione abbottonata stretta e una gonna blu. Era a casa quando l’avevano chiamata. Aveva dei vestiti diversi. Chissà come si sentiva in imbarazzo a stare lì ed era tutta colpa loro… Pensò Zaffiro triste.
 
Zaffiro notò che il professore stava fissando zia Judith con una strana espressione.
 
 
 
Zia Judith appena vide i suoi nipoti, non riuscì a trattenersi: “Alan, Zaffiro” e prima che i due ragazzi riuscirono a fermarla, li strinse in un abbraccio mozzafiato.
 
Il professore distolse lo sguardo.
 
“State bene, ero cosi in pena”  mormorò.
 
“Sì, zia stiamo benissimo, ma adesso lasciaci” protestarono i ragazzi.
 
La zia si spostò un poco ma continuò a tastare le ferite.
 
Sembra proprio Clère pensò Zaffiro senza alcun senso logico. E si spostò.
    
“Basta zia. Come hai fatto a sapere….” Cominciò Alan, poi si sporse a guardare la faccia di Zaffiro.
 
Era tutto rosso.
Non avrà ancora la febbre? Si preoccupò.
 
 
 
Intanto Zaffiro dentro di sé continuava a pensare arrabiato con sé stesso: *Perché
diavolo mi è venuta in mente Clère in questo momento?*
 
“Il preside mi ha telefonato mentre ero a casa che stavo annaffiando i fiori e mi ha detto che siete stati coinvolti in una rissa.” disse zia Judth asciugandosi gli occhi.. “Sono stata cosi preoccupata. Si può sapere cosa vi è saltato in mente?” disse quasi arrabbiata.
 
I ragazzi capirono che era arrivato il momento del rimbrotto.
 
“Non sai ancora la storia?” chiese Alisea infastidita.
 
“No…sono appena arrivata”
 
 
 
A quel punto allora cominciarono a parlare a turni. Alisea cominciò a raccontare di come la cosa iniziò perché Stinsky aveva dato fastidio a Marika e a Stefano. Ovviamente Stinsky si arrabbiò subito e cominciò a dare la colpa ai ragazzi , spalleggiato dai genitori  mummie.
 
“è tutta colpa di quei bisbetici. Mi sono venuti addosso. E mi hanno rovinato una maglietta.”
 
“ Una maglietta rovinataaaa! Vi rendete conto di quanto costi la roba oggigiorno? Poi soprattutto quella di MARCA. Io mi faccio il mazzo cosi per andare a lavorare tutti i giorni!”
 
“ Alfred! Non essere insensibile! E a nostro figlio non ci pensi. Guarda come l’hanno conciato il mio povero tesoro.” poi si rivolse a Zaffiro e Alan puntandogli un dito “Sporgerò denuncia, non ve la caverete cosi.”
      
“Andiamo Molly, sono solo dei ragazzi. Una ragazzata può capitare a chiunque” disse il preside in tono amabile.
 
 “Ragazzata? Ragazzata?” chiese la signora strabuzzando gli occhi. “MIO FIGLIO è coperto di graffi! Se gli resteranno delle cicatrici denuncerò l’intero istituto!!” gridò la donna.
 
Intanto il professore stava ancora pensando alle scene di quella mattina. In fondo era stato quasi divertente assistere a quello spettacolo. Almeno qualcosa che è arrivato a spezzare la routine. Calci, pugni, furore, rabbia, ira. Ce l’avevano sempre tutti con questi sentimenti e non si rendevano conto che sono proprio QUESTI tipi di sentimenti che rendono VIVO il mondo. Non l’amore. Non la dolcezza. Non la tenerezza. Il furore è quello che ti da vera energia. Si accorse che stava sorridendo e cercò di controllare i muscoli facciali.
 
Gli insegnanti lo stavano guardando con aria interrogativa. Il preside sollevò un sopracciglio perplesso.

“Io…stavo pensando a una cosa. Posso spiegare”cominciò, senza sapere che cosa voleva spiegare.  Si sforzò di controllare la faccia.
 
Il preside lo guardò sorpreso e la faccia sorpresa del preside  fece scappare al professor Black White un sorriso. Sentì l’isteria montargli dentro.

Come posso sorridere adesso? Pensò.
 
“Lo trova divertente? Professore?” venne preso di mira dalla madre del ragazzo.
 
Il padre si limitò a guardarlo sorridendo , con una faccia che diceva: ora son cazzii tuoi.
 
“No, io….non mi sento molto bene” Il professore parlò con voce strozzata , nascondendo la faccia. La donna bionda lo stava fissando. Lui chiaramente lo sapeva. Perché non girava quella faccia? Non aveva diritto di giudicarlo.
 
Dall’alto senti una voce profonda parlare:
 
“Il professor Black non si sente molto bene ultimamente. Ha contratto una forma di allergia molto fastidiosa, che induce una ridarella incontrollata nei momenti più impensabili, ma si sta curando e a breve dovrebbe riuscire a debellarla” concluse il preside.
 
 
Il professir White rimase cosi sorpreso che smise all’istante di ridere. Lo guardò sorpreso, ma il preside non stava più guardando lui. Si rivolse a zia Judith e ai genitori del ragazzo:
 
“Dopo aver sentito le versioni, direi che è stata una semplice ragazzata. Mi auguro che non capiti più. Per questa volta sarò indulgente” sorrise in maniera ferma.
 
“Ma preside, non vorrà mica lasciarla passare liscia a questi ragazzi” disse la madre di Stinsky.
 
“Se dovessi punire i ragazzi, compreso il suo” sottolineò l’ultima frase “per ogni volta che c’è qualche bisticcio, la scuola rimarrebbe senza studenti, ho ascoltato molto attentamente  non trovo elementi sufficienti per mettere questi ragazzi  in punizione. I graffi che hanno addosso mi sembrano già una punizione più che sufficiente.” Disse il preside.
 
 
La madre guardò i graffi che avevano Alan e Zaffiro e sembrò convincersi che erano stati puniti sufficientemente. Suo figlio era proprio un guerriero. Grugni soddisfatta.
 
“Vuole una caramella?” disse il preside porgendogliene una.
 
“Bah va bene. Vieni Alfred. Abbiamo ancora tante commissioni da sbrigare. E tu vedi di fare il bravo la prossima volta” sbuffò la signora diretta al figlio e trascinandosi il marito e il figlio  dietro.
 
“Arrivederci!” grugni la signora. E se ne andarono.
 
 
Il preside sospirò.
 
 
 
-        
“Dovete essere fiera dei vostri nipoti, hanno preso tante di quelle botte.. e l’hanno fatto per proteggere dei loro amici “ disse sorridendo il preside.
 
Zia Judith li guardò con uno strano sguardo tremulo. I ragazzi si sentirono arrossire.
 
Il professor White intanto stava cominciando a rimpiangere di non esser sgattaiolato via approfittando della fuga della famiglia.
 
“Con il suo permesso, io ora andrei. “ disse sicuro il professor White.
 
La risposta del preside giunse inaspettata. NO” disse.
 
Il professor White lo guardò.
 
“Ti voglio qua, Black, ho bisogno di parlarti. C’è ancora qualcosa che posso fare per voi?” chiese sorridendo ai ragazzi e alla zia.
 
“No, io….se questo è tutto, io allora andrei” disse zia Judith.
 
“Bene. Allora arrivederci” strinse la mano a zia Judith e sorrise ai tre ragazzi.
 
Zia Judith prese i ragazzi per mano e si incamminò con loro. Tornarono a casa insieme. Ormai l’orario delle lezioni era terminato.
 
 
 
Prima di chiudere la porta, però, i ragazzi si voltarono a guardare il preside. Sorrideva raggiante, ma con un occhio solo. Con l’altro non perdeva di vista il professor White che si sporse ad esaminare su un mobile un oggetto dalla forma strana.
 
Zia Judith e i ragazzi si chiusero  la porta alle spalle.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ps i personaggi del preside e del professore sono ispirati a piton e Silente di Harry potter xd 

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Capitolo 19
*** L'anello di zaffiro ***


Il professor Black White rimase a guardare la porta che si chiudeva alle loro spalle, poi fissò il preside apparentemente immerso a sistemare delle carte bianche che aveva sulla scrivania.
 
BIANCHE. Come il suo cognome. Black detestava quel colore, come anche il suo cognome. Detestava tutto quello che aveva a che fare col bianco. E se anche il suo cognome era bianco, detestava anche una parte di sé stesso. Sperava che il suo nome inghiottisse quella parte bianca come un vortice.  Non faceva niente. Anzi meglio. L’odio era l’unico mezzo per essere potenti. E se odiava sé stesso per questo, sarebbe diventato più potente! Sorrise tra sé per quel paradosso apparente. E poi si ridisse che non doveva sorridere. Non ancora, altrimenti il preside avrebbe potuto pensare che fosse veramente psicopatico.
 
 
Il preside. A proposito perché mai aveva voluto fermarlo li?
 E perché diavolo gli importava di quello che poteva pensare quella persona? Quell’estraneo?
 
Il preside alzò lo sguardo sul professore. Sospirò  senza dire niente.
 
Il professore si schiari la voce:” C’è qualcosa che vuole dirmi professore?” chiese lui.
 
Il preside fece per parlare, ma l’altro lo antiicipò :”Mi dispiace tanto per la figuraccia di prima” aggiunse senza lasciare che l’altro parlasse.
 
Il preside lo fissò sbalordito.
 
“Credi che ti abbia detto di restare qui per questo?”
 
Il professore corrugò le sopracciglia perplesso: “Se non era per questo, allora cosa?” Il preside tirò a sé un scatoletta, la apri e gli porse un oggetto blu luccicante. Il professore rimase interdetto.
 
“Dove…dove ha preso quell’anello?”
 
“Dove lo hai perso tu, suppongo.” Sorrise il preside.
 
 
 
 
 
 
“Cavolo, zia, ho dimenticato il cellulare in infermeria. Aspettatemi in cortile. Torno subito” disse Zaffiro e tornò dentro la scuola.
 
Tuttavia quando l’ebbe preso, non riuscì a uscire subito dalla scuola. Indugiò poco distante dalla porta del preside. Al’interno lui e il
professore stavano parlando di un anello…
 
 
 
 
 
Pov Black
 
Doveva averlo perso quando ci fu quella piccola rissa.
Inavvertitamente si era chinato per trattenere Stinski e l’anello doveva essergli caduto. Com’era potuto succedere? E come sapeva il preside che era suo quell’anello?
 
“Non lo prendi?” chiese il preside.
 
Black  si affrettò a prendere il piccolo anello di zaffiri.
 
“Come ha fatto a sapere che era mio?” chiese senza incrociare lo sguardo del preside.
 
Il preside sorrise: “Avevo notato che ce l’avevi addosso. Non è un anello che passa inosservato. Comunque puoi chiamarmi Albert.. Qui tra noi insegnanti ci chiamiamo tutti per nome..”
 
 
Black si sentiva confuso. Aveva l’impressione che gli sfuggisse qualcosa. Si sentiva preso in giro e non sapere per quale motivo, lo faceva infuriare ancora di più. Strinse i pugni.
 
“Beh allora grazie” disse Black. Cercò di sorridere ma non ci riusci. Quel maledetto preside erano settimane, da quando era entrato in quella scuola che lo spiava, che faceva attenzione a lui. Lo guardava come si guardano i criminali in libertà vigilata. E tuttavia continuava a fare finta di niente. Voleva prenderlo in giro, si divertiva. Ma cosa voleva davvero? Nessuno può permettersi di prendersi gioco di Black White.
 
“Beh allora se non c’è altro, io andrei” disse Black. Fece per voltarsi e si maledisse per il tono da femminuccia che aveva usato. E tuttavia non potè fare a meno di voltarsi ancora una volta, e dire:
 
“La ringrazio per prima comunque…per la bugia.” Disse.
 
“Bugia, quale bugia?” chiese Albert scribacchiando su alcuni di quei maledetti fogli bianchi.
 
Black indugiò un momento, prima di rispondere.: “Per quello che ha detto sulla mia allergia…”
 
“Io non ricordo nessuna bugia, Black. Sicuro di non ricordare male?” ribattè il preside sorridendo.
 
Di nuovo black non riusciva a capire se il preside lo stesse prendendo in giro o faceva sul serio. E ancora scribacchiava su quei maledetti fogli bianchi. Black immaginò di farli a pezzettini piccoli piccoli.
 
“Ok, io adesso devo proprio andare. Arrivederci Preside…Albert.” Disse.
 
 Il preside non ricambiò il saluto. Non era abituato ai formalismi. A volte il silenzio è d’oro. È questo che diceva sempre. Black tuttavia era troppo immerso nei suoi pensieri per accorgersene. Si chiuse la porta alle spalle e si rigirò l’anello di zaffiri tra le dita, poi prese a camminare sempre più velocemente, ma l’anello gli cadde ancora dalle mani.
 
 
Fece per prenderlo e quello si fermò proprio ai piedi dello strano ragazzo dai capelli neri, di nome Zaffiro.
 
 
 
“Oh” disse il ragazzo sorpreso. Si chinò a prendere l’anello. Sembrava imbarazzato dal fatto di essersi fatto sorprendere da lui, proprio mentre prendeva il suo anello.
 
Zaffiro guardò prima l’anello e poi lui. Sembrava sorpreso. E Black capii all’istante perché.
Fece un sorriso sadico.
 
“ Si hai indovinato. È proprio di quella pietra. È un anello di zaffiri. Come il tuo nome. Sei perspicace, ragazzo, ma mi dispiace, non puoi averlo. È mio! “ disse Black e ancora  una volta si maledisse per il tono infantile di quella frase.
 
Il ragazzo si rabbuiò.
 
“Non volevo che fosse mio. Stavo solo pensando che è bellissimo. Ecco, prenda” disse Zaffiro.
 
Black fu sorpreso dall’arrendevolezza di quel ragazzo cosi ribelle fino a pochi minuti prima.
Lo guardò in viso. Aveva il viso segnato dai graffi. Graffi rossi. Ben gli stava. Cosi imparava a fare lo sbruffone.
 
All’improvviso piedi di pastafrolla cadde a terra come una pera cotta.
 
“Non ti reggi in piedi eh? La prossima volta  fai meno lo sbruffone” ghignò malignamente il Professore.
 
Zaffiro lo guardò male. Quel breve lampo di tenerezza che gli sembrò di avere nei suoi confronti, svanì all’istante. Era inequivocabilmente detestabile.
 
All’improvviso il professore si avvicinò a lui e senza preavviso gli alzò il mento, cosi che costrinse Zaffiro a fissarlo negli occhi. L’azzurro splendente in un tuffo nel nero più profondo.
 
Rimase per un attimo infastidito da quella confidenza che lui non gli aveva dato e che non aveva nessun diritto di prendersi; però, Zaffiro notò anche che per quanto rude, il tocco sembrava gentile in un certo senso. Non arrogante. Il professore lo stava fissando come un medico guarda le
ferite di un malato. Mancava solo uno stetoscopio al suo collo.
 
Black sorrise maligno e lo lasciò andare. Poi commentò: “ Direi che hai dei lividi non indifferenti, che sicuramente ti sei cercato. Per la prossima volta ricorda questa frase: quando perdi, non perdere la lezione. Tienilo a mente se vuoi evitare altre legnate in futuro. Arrivederci ragazzo.”ghignò. E si allontanò.
 

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Capitolo 20
*** Alisea e Marika parlano di cose che non esistono e favole ***


Nella penombra di un corridoio abbastanza buio, una sagoma parlava al telefono….la voce sembrava piuttosto tesa.
 
“Come le stavo spiegando, ho avuto degli imprevisti, sono molto dispiaciuta per…….si si, capisco che non è stato professionale da parte mia… ma…mi lasci spiegare… come? Ragazzini? Quali ragazzini? Ohhh” fece una pausa. “è stato davvero molto generoso da parte loro, appena li vedrò li ringrazierò personalmente, la ringrazio molto signor preside…io una persona dall’animo buono? È troppo gentile…le prometto che non capiterà più che mancherò le mie lezioni. Grazie ancora della comprensione….arrivederci.”
 
La  ragazza chiuse precipitosamente la cornetta del telefono e tirò un sospiro di sollievo…poi disse: “Ariel Opkins, sei una stupida.”
 
Finalmente venne alla luce. Non aveva più quel vestito scintillante, ma un semplice vestito bianco, antico…molto stile 700… girò per la cucina e andò a dare un’occhiata agli animali…. I cuccioli stavano ancora dormendo nella loro cuccia, accoccolati l’uno contro l’altro…Ariel li accarezzò piano sorridendo.
 
“Una volta che vi sarete rimessi, potrete tornare liberi, possibilmente lontanissimi da qualunque cosa faccia rima con asfalto, strada, macchine.
 
I cuccioli si strusciarono piano contro la sua mano e lei sorrise intenerita, poi si alzò per andare in bagno e si guardò riflessa nello specchio…. Aveva delle occhiaie terribili e un’espressione stanca…ciò nonostante non poteva fare a meno di pensare che quegli adorabili ragazzini che si erano trovati per caso sulla sua strada, avevano garantito per lei con il preside, appena saputo che lei era la nuova professoressa della scuola….e l’avevano fatto per lei. Un’estranea. Quei ragazzi dovevano essere degli angeli. Non si sarebbe mai aspettata quando li ha visti, che sarebbero stati i suoi studenti…la vita è molto strana, strana e imprevedibile.
 
Continuò a guardarsi gli occhi e si toccò piano le occhiaie….continuava ad avere quei brutti incubi in cui un gatto nero e un cerbiatto perdevano la vita nel sangue….grida..urla..pianti..singhiozzi dei bambini…. Erano settimane che quegli incubi la perseguitavano…. Forse era un segno. Forse Dio voleva che salvasse quegli animali, e ora che l’aveva fatto, forse avrebbero smesso di perseguitarla. Forse…. Ma come avrebbe potuto sapere se, quando li avrebbe liberati, sarebbero stati al sicuro?
 
 
 
 
*
 
 
Alisea si trovava a casa di Marika….era passata una settimana dall’inizio della scuola e aveva stretto molta amicizia con quella strana ragazza bionda, dall’aria un po’ sognante un po’ malinconica…. In quel momento era sabato e si trovavano tutte e due sdraiate sul giardino della casa di Marika a giocare a Memory… quando Alisea le chiese: “Marika… tu che cosa pensi delle favole?”
 
Marika rispose intenerita che adorava le favole e che se voleva alcune volte poteva raccontargliene qualcuna.
 
Alisea chiese ancora: “E che cosa pensi delle cose che non esistono?”
 
Marika rimase un po’ perplessa da quella strana domanda e disse dolcemente: “Una bambina come te non dovrebbe pensare già a queste cose…è troppo triste, dovrebbe pensare solo che tutto è possibile…” e le accarezzò dolcemente la guancia e i capelli.
 
“ Credi che le cose che non esistono e le cose che non vediamo siano la stessa cosa?”
 
 “Come?” chiese Marika.
 
 “Insomma…voglio dire, se una cosa esiste dovremmo vederla, se non la vediamo è perché non esiste giusto?”
 
“Non è proprio cosi…ci sono un mucchio di cose che non vediamo, ma che esistono realmente…i sogni delle persone, i desideri, le passioni…oppure le persone che hanno fede, che credono in Dio ..”
 
Marika decise di omettere spontaneamente se ci credeva anche lei o no che esistesse realmente.
 
“ l’amore, tante persone affermano di aver visto gli angeli, i fantasmi…il paradiso…”
 
Aliea pensò che Marika doveva essere una tizia ben strana se credeva agli angeli e non a Dio…ma non la giudicò, lei stessa non sapeva ancora se ci credeva o no…
 
“Sì, ma io voglio dire, se una cosa è invisibile allora, vuol dire che non esiste altrimenti noi la vedremmo..ma tu mi dici che esiste, ma come può esistere e non esistere allo stesso tempo?”
 
Alisea aveva poggiato la testa sul grembo di Marika come a cercare riparo, e Marika cercava di confortarla anche se non sapeva bene neanche lei da cosa…ma lo fece…avrebbe voluto che anche le persone che aveva vicino negli anni più bui, avessero fatto esattamente cosi…che l’avessero consolata anche senza capire perché fosse triste…
 
 “Ascoltami molto bene, Ali…solo perché le cose che amiamo non le vedamo, non vuol dire che non esistono…non esistono su questo piano della realtà, perché non fanno parte di questa realtà…ma possono esistere…altrove…”
 
“su un altro piano della realtà? E come si chiama? “ chiese Alisea, lasciandosi accarezzare docilmente i capelli.
 
“Il piano dei sogni… questi due piani sono cosi divisi…che sembrano lontanissimi ma allo stesso tempo sono vcinissimi  e a volte, il piano della realtà può confondersi con quello del sogno…in soggetti particolarmente sensibili, è captato spesso, che talvolta alcuni di loro riuscissero per alcuni istanti a intravedere pezzi di quel sogno…”
 
 
Pezzi di infinito pensò Marika senza dirlo
 
“ E cosa vedono?” domandò Alisea.
 
“A  volte loro…vedono delle cose…possono essere i loro cari nonni defunti, oppure sentire suoni che di fatto non ci sono, voci che sembrano provenire da un posto lontanissimo…ma dura solo pochi secondi, poi il legame si spezza…”
 
E dicendo cosi ripensò a quello strano cerbiatto che gli parve di vedere quella mattina quando usci con sua madre….
 
Era cosi buffo che poi, un cerbiatto lo avessero visto davvero…quasi morto.. ma almeno era reale…
 
“ Che peccato…” disse Alisea.
 
Marika non trovò altro da dire…sì, era proprio un peccato…
 
“ Avevi ragione…” disse Alisea.
 
“ A che proposito?”
 
“ Sei…davvero brava…a raccontare favole… “ e si addormentò.
 
Proprio in quel momento arrivarono Alan e Zaffiro e trovarono Alisea addormentata profondamente tra le braccia di Marika.
 
 
 “Sai, sei proprio un angelo….sei davvero buona con lei…” disse Alan.
 
Marika guardò per terra triste.
 
“Non credo di esserlo .“
 
“Beh, lascia giudicare gli altri” sorrise apertamente Alan. “Se tutti i diavoli sono come te allora tutti vorrebbero andare all’inferno.”
 
Marika rimase un attimo a fissare il vuoto.
 
“Ho detto qualcosa di male? Ti ho insultata?” all’improvviso Alan sembrava preoccupato.
 
“No.. è solo che i complimenti mi imbarazzano”.
 
“ Era un complimento? Credevo di aver detto solo la verità” si grattò la testa Alan perplesso, indeciso poi se avesse appena fatto la figura dell’idiota. DUE volte, visto che Marika sembrò ancor più confusa.
 
Alan si spostò vicino a Zaffiro e gli disse all’orecchio: “Le ho fatto un complimento?”
 
Zaffiro lo guardò alzando un sopracciglio.
 
“E ho appena fatto la figura del cretino, DUE volte?” agitò le dita con enfasi?
 
“Amico, sei proprio un idiota” e accompagnò il gesto, scuotendo la testa e ridendo.

















note: se questa storia continua a ricevere così poche visualizzazioni e NESSUNA recensione, la rimetto in stand bye per un altro anno e tanti saluti

Mi sbatto non so come per correggere tutti i capitoli e non ho neanche un minimo di gratificazione

Abbiate una buona giornata!

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Capitolo 21
*** Albert trova in un pub, un ubriaco Black White ***


Il professor Black White, quella sera si trovava in un pub affollato chiassoso e pieno di gente….era fastidioso, ma a lui piaceva il casino perché lo aiutava a non pensare e poi quello era il classico posto per passare inosservati… tutti bevevano e lui aveva voglia di bere.
 
Ordinò del vino rosso. Beve, bevve e bevve, tre bicchieri di vino uno dopo l’altro, che poi diventarono cinque  e non si accorse della figura che lo stava fissando da ben dieci minuti e che si avvicinò con aria di noncuranza vicino a lui. Era Albert, il preside.
 
“Credo che tu abbia bevuto abbastanza, Black”
 
“Albert” mormorò e fece una risatina. “Non credi che il fatto che tu continui a seguirmi, possa risultare….ambiguo?” e rise ancora.
 
Albert mosse un sopracciglio: “Sei ubriaco” disse, senza rimprovero..solo facendo una constatazione.
 
“Da quanto tempo mi stai spiando?” chiese, ingurgitando un altro bicchiere.
 
“Sai che io non potevo sapere che tu saresti venuto qui, vero?”
 
Black lo guardò. Non era sicuro di aver capito cosa intendesse dire, ma decise di fargli un’altra domanda: “Perché diavolo continui a seguirmi? Che cosa vuoi da me? ”
 
“Stai delirando, Black… ti riporto a casa”
 
“No, non ti avvicinare” disse e barcollò all’indietro, andando a cadere sul pavimento e sbattendo la testa.
 
Albert lo guardò con disprezzo. “Cocciuto che non sei altro. E va bene, rovinati pure da solo” e fece per sorpassarlo senza aiutarlo ad alzarsi. Quel gesto inaspettato confuse Black, che sembrò ripensarci… “No, aspetta, per favore aiutami” disse. Albert si fermò.
 
 
 
Dieci minuti dopo, tempo necessario che Albert immaginò servissero a Black per smaltire gli effetti della sbornia, Black fece capolino dalla porta e entrò nel giardino che faceva parte del pub, dove Albert lo stava aspettando su una panchina.
 
 
Black arrivò con un sorriso sprezzante sul volto: “Pensavo che mi avresti accompagnato per toccarmi la fronte mentre rimandavo l’anima al creatore, sotto il lavandino..invece hai scelto di aspettarmi qui” non era ben chiaro se fosse un rimprovero o una constatazione o semplice presa in giro.
 
Albert rispose:
 
“Beh non siamo ancora cosi intimi…ci conosciamo da poco. Se la nostra stupenda amicizia andrà avanti, e non avrai ancora smesso di bere,  direi che se ne potrà riparlare.” Il tono era canzonatorio, da presa in giro, Black lo sapeva, tuttavia alla parola amicizia le labbra gli incurvarono in un leggero sorriso…non riusci a evitarlo, ma cercò subito di nasconderlo. Ovviamente Albert se ne accorse .
 
“Stavi sorridendo?”
 
“Cosa? No! “ disse muovendo gli occhi in una smorfia divertita. “Mi sa che sei tu quello a essere ubriaco” rispose prendendolo in giro.
 
“Come va questa prima settimana di insegnamento, Black?”
 
Black rimase zitto per un momento. Non si aspettava il discorso avrebbe preso questa piega.
 
“Gli alunni mi odiano” disse come se la cosa non avesse nessuna importanza.
 
“Questo ti ferisce?” chiese Albert.
 
“Cosa? Vuoi davvero parlare dei miei sentimenti? Queste sono cose da femminuccia di romanzo rosa”.
 
“Però ti feriscono” replicò Albert.
 
“A me non ferisce più niente da quando avevo cinque anni! E tantomeno queste sciocchezze. E comunque sono contento che lo fanno. Solo se ti odiano sei davvero potente, non certo se ti amano, casomai quello ti rende più debole! “ disse sempre più sprezzante.
 
 
“ Parli cosi perché l’hai vissuto in prima persona? C’era qualcuno che amavi? Si tratta di una donna?” cercò di indagare Albert.
 
“Cosa? No! Che sciocchezze. Non sono quel tipo di persona che va ad ubriacarsi in un pub di falliti per colpa di una donna! Questo non ha niente a che fare con donne o cose simili… “
 
“E cos’ha a che fare? Me lo vuoi dire, Black?
 
“Non siamo ancora cosi intimi” disse con un sorrisino.
 
“Touchè” replicò Albert. “Posso almeno riaccompagnarti a casa?”
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Albert si fermò davanti casa di Black…prima di lasciarlo, però gli disse: “ Se ti venisse voglia di parlare della cosa che ti ferisce, comunque…puoi sempre trovarmi nel mio studio”
 
“Ancora con questa storia! Un uomo non può semplicemente ubriacarsi perché gli piace farlo? Deve per forza esserci in ballo un sacco di melodrammi romantici? Avete visto troppi vecchi film, voi romantici”
 
“Credi che io sia un romantico?” chiese Albert nascondendo il sorriso che gli era salito alle labbra.
 
Black sembrò rimanere un attimo scioccato, poi disse sprezzante: “Li so riconoscere a occhio ormai, vogliono salvare sempre tutti, anche quelli che non hanno bisogno di essere salvati, o non vogliono. Io ne sto alla larga!” disse con un sorriso sprezzante. 1 a 0 per il professor Black.
 
“Vediamo se ci riuscirai sempre allora” disse Albert sempre più divertito.
 
All’improvviso Black non sorrise più. Chiuse la portiera con uno scatto rabbioso, e urlò: “Grazie del passaggio!”
 
La risata di Albert mentre stava andando via, si disperse per tutto il vialetto.
 

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Capitolo 22
*** Le riflessioni di zia Judith ***


Erano passate due settimane dall’inizio della scuola e zia Judith si sentiva molto sollevata di vedere che i suoi adorati nipoti si stavano riprendendo dello shock subito a causa della perdita improvvisa dei genitori; temeva proprio che sarebbero stati segnati a vita e che avrebbe dovuto portarli da uno psicologo… non credeva che avrebbero accettato, soprattutto Zaffiro,  quindi figurati se anche solo per orgoglio, avrebbero accettato gli altri fratelli, dopo il rifiuto del maggiore…
 
Judith da parte sua non aveva mai smesso di cercare la sorella e di sperare che fosse ancora viva…Alisea , Alan e Zaffiro parlavano a stento di quella notte e farfugliavano frasi sconnesse su cavalieri a galoppo di cavalli che li inseguivano e a proposito di uno tragico scontro con una cascata…ma chissà cos’era successo davvero…

zia Judith sospettava che i ragazzini si fossero creati una patina di fantasia per nascondere un orrore ancora più grosso…zia Judith sperò solo che qualunque cosa fosse successa e chiunque li abbia aggrediti, non abbiano fatto loro del male… e continuava a sperare di ritrovare la sorella. Promise in quel momento,  che avrebbe protetto i suoi figli come se fossero i suoi… nessuno avrebbe fatto loro del male, e dicendo questo ad alta voce,  si asciugò una lacrima.
 
In quel momento entrò Alan nel salone e si fermò di colpo. Zia Judith si paralizzò di colpo e si asciugò frettolosamente la guancia.
 
“Che cosa ci fai ancora alzato? Non dovresti essere a letto?” chiese la zia cercando di modulare il tono di voce.
 
“Non riuscivo a dormire.. quindi volevo prendere un libro dallo scaffale “ disse Alan, ma non desse alcun segno di muoversi.
 
“Beh non lo prendi? Cosa stai aspettando?” chiese la zia.
 
“ Veramente credo di aver cambiato idea… ce n’è un altro molto più interessante che ho lasciato in camera mia, credo che leggerò quello” disse ripensandoci.
 
“Bene” rispose la zia sorridendo,  capendo all’istante che Alan aveva capito che stesse piangendo e volesse dargli l’impressione di non essersene accorto, per questo non si avvicinava a lei.
 
“Allora buonanotte “ disse Alan sorridendo a sua volta.
 
 
 
 
 
 
 
Alan rientrò in camera buttandosi sul letto e continuando a sorridere.
 
Nel letto vicino a lui, Zaffiro disse : “Non sei proprio capace di essere più silenzioso? Non dormi tu, non dormono neanche gli altri.” Mugugnò.
 
“Alisea dorme “ osservò Alan.
 
 “Ali è immune al tuo chiasso. Ci avrà fatto l’abitudine.”
 
 
 
Alan continuò a sorridere.
 
Zaffiro lo guardò: “Che ti è successo?”
 
“Stavo pensando a quanto sarebbe bello una vita senza più insonnia e la cosa mi fa sorridere.”
 
“ Piantala, scemo.”
 
“E va bene, in realtà pensavo che zia Judith ci ama, ed è…beh questo è fantastico.”
 
 
Zaffiro lo guardò con espressione vacua e Alan capi che quando Zaffiro perde le parole è perché rimane colpito e a volte commosso , ma non vuole dirlo.
 
 
“ Buonanotte fratellino” gli disse Alan dolcemente, poi  spense la luce della lampada sul comodino
 
 “Finalmente ti sei deciso, era ora.” Mugugnò l’altro.
 
 
 
 
 
 
 
Nel frattempo, zia Judith era ancora persa nelle sue riflessioni.
 
Stavolta pensò ai nuovi amici che si erano fatti in quei giorni , i suoi tre ragazzi.…era soprattutto merito loro se erano riusciti a superare il grande shock e a ambientarsi in una città nuova, e provò un forte moto di riconoscenza verso quegli straordinari ragazzi che come un regalo del cielo erano arrivati a “salvare “ i suoi nipoti.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Alisea sorprende Black e Albert a parlare! ***


Black White, il professore di Storia antica , diventava ogni giorno che passava, sempre più detestabile e scontroso ed Alisea non mancava di notare che il preside negli ultimi giorni sembrava preoccupato per qualcosa, sembrava sempre assente e pensieroso e trovava ogni scusa possibile per convocare Black nel suo ufficio, luogo dal quale ella vedeva Black uscire sempre più di malumore ogni volta. Alisea continuava a domandarsi perché il preside si faceva trattare in questo modo da un professoruccio senza arte ne parte come White, mentre quello era sempre cosi scorbutico. Qual’era il segreto del suo ascendente su di lui?
 
 
 
“ Non capisco perché ti interessa tanto sapere perché il nostro preside sia gentile con lui, chi se ne frega… ognuno è libero di cercarsi i guai che vuole..o di scoparsi chi vuole “ disse Alan annoiato e un po’ malizioso, strappando un filo d’erba nel prato dove erano seduti Alan, Alisea e Zaffiro durante la pausa pranzo 
 
 
“Alan!” lo riprese Alisea, mentre perfino Zaffiro ridacchiava.  
 
 “Alisea intendeva dire che è INTERESSANTE capire perché Black passi gran parte del suo tempo li dentro. Insomma cosa si dicono?"
 
“Beh..…se volete, possiamo fingere che quei due correggano i compiti in classe!” disse ancora Alan ammiccante.

"Alan.." lo riprese ancora Alisea, mentre Zaffiro scoppiava ora apertamente a ridere.

“ Il vero mistero è perché voi pensiate che anche una SOLA parte di questo tizio sia INTERESSANTE.  Ecco QUESTO è INTERESSANTE “ disse Alan esasperato e se ne andò.
 
 
“ Dove vai? “ chiese Zaffiro cercando di trattenere le risate. A volte suo fratello minore lo irritava, ma la cosa che lo infastidiva di più era che lo faceva anche morire dalle risate, anche se non l’avrebbe mai ammesso davanti a lui…beh anche a nessun altro… forse solo al suo specchio riflesso, sempre se avesse promesso di non fare la spia
 
“A cercare Marika e a bere un bicchier d’acqua, non ho ancora deciso in che ordine “
 
“ Quindi lei è interessante?” chiese Zaffiro in tono malizioso.
 
 
 
Alan degluti. Si fermò e rispose: “Deve insegnarmi a giocare a scacchi. Non riesco a capire come faccia, distratta com’è, a essere un genio a questo gioco. Quindi le soluzioni sono due: o lei è un fottuto genio, oppure sa un segreto di cui io non sono a conoscenza, e voglio che me lo insegni. E QUESTO è interessante.”
 
 “Quindi… uhm… non ti piace neanche un po’?” chiese Zaffiro senza mollare la presa e sentendosi d’un tratto un po’ geloso. Non era abituato a dividere l’affetto del fratello minore.
 
Alan fece finta di rifletterci su e poi disse: “i suoi capelli mi piacciono “ e poi andò sgusciò via prima che Zaffiro potesse avere il tempo di fargli altre domande.
 
“Che feticista” disse Zaffiro facendo l’aria finto perplessa.
 
Alisea aveva un’espressione corrucciata e guardava male sia Zaffiro sia il punto dove era scomparso il fratello.
 
“Andiamo Ali, queste battute si fanno tra ragazzi “
 
“Fate schifo “ rispose Alisea tra il mezzo serio e l’altra metà scherzoso.
 
Zaffiro sapeva che Alisea non parlava sul serio quando li insultava e quindi non se la prese.
 
“Siamo i maschi più educati che ci siano al mondo per quanto concerne il linguaggio. Vuoi che ti dica cos’ha detto Sergio Golfins su Amanda Blake? “
 
“NO. Non voglio saperlo!”
 
“E va bene, comunque impara questo preziosissimo consiglio, mai cercare di avere una risposta seria da un ragazzo, è molto raro che ammettino apertamente che gli piace una tipa, piuttosto camminano sui carboni ardenti a piedi nudi, quindi le risposte sarcastiche devi aspettartele “ disse Zaffiro.
 
“Che mi interessa? Tanto io non mi sposerò mai” disse Alisea.
 
“Ne sono felice, mi eviti di finire in prigione per l’assassino di tuo marito” disse Zaffiro con un sorriso a trentadue denti.
 
 
Nel mentre si avvicinò Clère a loro due: “Sapete, io conosco dei tipi invece, che fanno tutti gli sdolcinati…” disse.
 
“Sono chiaramente degli sfigati “ disse Zaffiro.
 
“Sono dei tipi che conosco su internet…mi riempiono di frasi dolci e dicono che non possono stare senza di me, che mi pensano eccetera eccetera..più li ignoro e più mi vengono dietro, forse alla gente piace essere trattata male” disse Clère con aria di grande riflessione.
 
Zaffiro si mise a ridere per il fatto che Clère li snobbasse alla stragrande, poi gli venne una curiosità:
 
“Ma perché anche solo gli dai retta?”
 
 
 
“ bo… sono loro che trovano me… n genere sono chat dove si chiacchiera..poi finiscono per provarci… ma è tutta gente un po’ pazza “
 
“ Allora non dargli retta. Anzi aspetta perché non mi fai vedere alcuni di questi tipi? “ disse Zaffiro con aria maligna…
 
“Che cosa vuoi fare?” cominciò a preoccuparsi Clère.
 
“ Solo divertirmi un po’… possiamo usare i computer della scuola?”
 
“ Non so se… e se ci sgridano?”
 
Zaffiro quasi gridò: “BENE sapevo che saresti stata d’accordo. Alisea noi ci rivediamo dopo . Corri” e prendendo per mano Clère, si precipitarono nell’aula computer.
.
 
 
 
Alisea rimasta sola decise di vagare ancora un po’ nei corridoi della scuola…. Passò davanti all’ufficio del preside e senti inconfondibilmente la voce del preside e poi quella del professor Black.
 
 
“So riconoscere le persone ossessionate da qualcosa, Black, fa parte del mio lavoro!”
 
“Adesso fai anche lo psicologo???”
 
“Non mangi, bevi pochissimo, hai cerchi violacei attorno agli occhi…” disse Albert ignorandolo.
 
“Se vuoi insinuare che faccio uso di droghe, io….”
 
“MALEDIZIONE, BLACK” gridò Albert sbattendo con un gran rumore le mani sul tavolo. “intendevo dire che non dormi, sei sempre più nervoso, gli studenti continuano a venire da me a lamentarsi per come li tratti. “
 
“Che vengano da me a lamentarsi quei vigliacchi. Dimmi i loro nomi” gridò Black.
 
“Non fare il bambino.”
 
“Io non…” cominciò Black indignato.
 
“ Non sei più lucido. Stai perdendo il controllo. È chiaro che qualcosa ti angustia , ti tormenta. Ti… OSSESSIONA.” Disse Albert con un tono più preoccupato e meno duro.
 
Black non disse niente, e Albert incoraggiato dal suo silenzio continuò: “ Devi riprenderti, altrimenti temo che non potrai più insegnare “ disse modulando le parole.
 
 
 
 
Black  rimase in silenzio. Degluti e rispose: “è un bluff.”
 
 
“ Ogni giorno stai sempre peggio… pensi che non mi accorga di come ti tremino le mani quando prendi una tazzina di ….”
 
“Tè” , voleva dire Albert, ma Black se ne andò via chiudendogli la porta in faccia furioso, senza lasciargli il tempo di finire
 
 
 
 
 
Sfortunatamente, dietro la porta c’era Alisea che non si aspettava proprio quel brusco e improvviso cambio di movimento e rimase come inebetita davanti alla porta sentendosi scoperta e vulnerabile.
 
“Cosa…. Cosa” disse paonazzo Black rivolgendosi a una terrorizzata alisea.
 
“io non… volevo solo chiedere se potevo prendere in prestito.. “ cominciò Alisea senza avere la più pallida idea di come proseguire.
 
“COSA HAI SENTITO???” urlò Black
 
“NIENTE, LO GIURO!” squtti Alisea come un coniglietto spaurito.
 
“Non ti credo” disse minaccioso Black. “Se osi anche solo parlarne con qualcuno…”
 
“Non lo dirò a nessuno, lo prometto” disse Alisea.
 
E fu salvata in quel momento dalla campanella che segnalò la fine della pausa pranzo …ne approfittò subito per correre in classe.
 
 

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Capitolo 24
*** La crisi di Alisea per le lezioni sui ragazzi dai capelli rossi ***


Alisea continuò a pensare a quello che era successo con Black nelle ore successive, non riusciva a toglierselo dalla testa… Black faceva davvero uso di droghe? In quel caso era pericoloso? Avrebbe dovuto parlarne con i fratelli? Certo che avrebbe dovuto. Non sarebbe mai riuscita a tenerselo per sé…aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno… e Black, se la sarebbe presa con lei adesso che l’aveva sorpresa a spiare e che era a conoscenza del suo misterioso stato di salute? Era di questo che parlavano tutti i giorni in quello studio? Delle condizioni fisiche del professore?
 
“Forse ha il cancro” disse Stefano in tono quasi speranzoso.
 
“Stefano!” lo rmproverò Marika.
 
“Ehi stavo solo scherzando. Non lo uccide nessuno a quello, tranquilla” disse sforzandosi di non aggiungere “purtroppo”.
 
Alisea sapeva che Black avrebbe insegnato nella loro classe, nell’ultima ora e sperò non la strapazzasse, ma si tranquillizzò alle parole di Marika che le disse che “Sicuramente non può rischiare di far sapere a tutti il suo sporco segreto, qualunque esso sia…quindi non preoccuparti”
 
 
Non sembrava non fossero quelli i suoi piani. Agì più mellifluamente; quando entrò in classe disse agli studenti di leggere il capitolo dedicato ai bambini che nascevano con i capelli rossi.
 
 
 
 
Ammesso che il primo essere umano fulvo visse circa 50.000 anni fa in Africa ed i suoi epigoni si sparsero“ in tutta l’Europa del Nord, i pre-giudizi e le credenze sui rossi sembrano permeare tutte le culture.
 
Gli antichi egizi, che tendevano a divinizzare  ogni realtà e situazione, specialmente quelle che incutevano paura o comportavano particolari pericoli, da un lato, hanno creduto che gli animali e gli uomini fulvi, avessero un legame speciale con il dio ‘Set’ e molti dei loro faraoni avevano i capelli rossi. Incluso Ramses, il più potente di tutti.
 
Di contro, però, consideravano anche il rosso come colore foriero di gravi sfortune pertanto molte fanciulle con la capigliatura fulva, sono state bruciate per spazzare via la loro tinta. Inoltre, si è scoperto che, alla loro epoca, non pochi rossi erano stati sepolti vivi.
 
 
A queste parole ad Alisea venne un brivido lungo la schiena 
 
 
 
Gli antichi Greci ritenevano che le donne rosse si trasformassero in vampiri dopo la morte.
 
Aristotele, invece,  le descriveva come emotivamente non-addomesticabili.
 
 
Alisea cominciò a sentirsi a disagio 
 
 
Nel Medioevo, il rosso era visto come il colore del Diavolo e si pensava che un bambino nato con i capelli rossi fosse stato concepito durante il periodo nel quale la donna era mestruata.
 
Durante l’Inquisizione spagnola, invece, le chiome  “color fiamma” provavano che la persona avesse rubato il fuoco dell’inferno e, perciò, che meritasse di essere bruciata come strega.
 
 
alisea seguitava copiosamente a sudare e cercò di asciugarsi la fronte cercando di non dare nell'occhio   
 
 
E se i clown dai capelli rossi hanno la loro origine proprio in Russia, anche lì la tradizione locale vuole che i capelli rossi siano un indice di un temperamento focoso oppure di follia. Un proverbio ammonisce: “Non c’è mai stato un santo con i capelli rossi.
 
Perchè mi stai facendo questo? io sono una persona buona pensò Alisea mettendosi le mani sulla faccia cercando disperatamente di nascondere gli occhi e trattenere le lacrime
 
 
Di fatto, i personaggi con i capelli rossi nella Bibbia non godevano di buona fama.
 
Il termine Adamo è, presumibilmente, la parola ebraica per ‘rosso’ o ‘rubicondo’, e Giuda viene spesso raffigurato con i capelli rossi così come Maria Maddalena. Il re Davide si pensa sia stato rosso ed alcuni addirittura ritengono che il leggendario ‘marchio di Caino’ fosse proprio la sua chioma fulva.
 
L’associazione dei capelli rossi con l’inaffidabilità e la bruttezza prevale in qualche modo in età moderna.
 
I nazisti si domandavano se consentire o meno alle persone dai capelli rossi di sposarsi, temendo che la loro progenie fosse degenerata.
 
 
Alisea ebbe un flash fugace di sè stessa risalente solo fino a qualche ora prima: 
 
"io non mi sposerò mai " 
 
Per finire Black raccontò la storiella di una  bimba che, nata con i capelli rossi, si dicesse fosse figlia del diavolo... i genitori la protessero con tutte le loro forze, cambiarono pure città, ma non riuscirono a impedire alla tragedia di compiersi.
 
"Uccisero la bambina?" chiese una ragazza sull'orlo delle lacrime.
 
"No, LEI uccise la madre. La strangolò con la cordicella del suo ciondolo. Aveva solo 11 mesi.”
 
"E il padre del bambino che fine fece?" chiesero in coro i ragazzi.
 
"Trovò la moglie morta sul pavimento strangolata e quando vide la  bambina giocherellare con la cordicella sul pavimento, capi all'istante, la vide, con gli occhi luccicanti di lacrime, sembrava la creatura più innocente del mondo...ma il padre SAPEVA che era una creatura del demonio.”
 
"La uccise?" chiese un altro ragazzo.
 
"Si e poi si tolse la vita lui stesso. Ovviamente questa è solo una favola" disse compiaciuto del terrore che era riuscito a somministrare nei suoi studenti. "Ma ci insegna una grande morale!  L'amore sconfinato per una figlia! i genitori, non hanno esitato per salvarla, a buttarsi sconsideratamente nell'antro del mostro! cosi accecati dall'amore, da non vedere, che il mostro ERA LEI "
 
 
 
In quel momento suonò la campanella che decretava la fine delle lezioni. Alisea  raccolse i suoi libri, lo zaino e il giubbotto e si precipitò piangendo fuori dall'aula senza preoccuparsi di attirare l'attenzione.
 
Marika e Stefano, che si erano accorti da alcuni minuti delle sue lacrime, la inseguirono.
 
Nel mentre, stavano uscendo anche Alan e Zaffiro dalla loro aula e Alan stava dicendo allegramente: " E cosi a quelle due ragazze che mi presero alla sprovvista chiedendomi chi fosse la più bella delle due, io risposi cosi: Non posso dirlo altrimenti l'altra mi picchierebbe, tanto quella a cui mi riferisco, mi capisce al volo, no? " e ho fatto l’occhiolino a entrambe!” 
 
 “E se la sono bevuta" chiese a metà tra il sorpreso e l'ammirato, Zaffiro.
 
“è spuntato a entrambe un punto interrogativo sopra la testa, quindi la prendo per un si. "  
 
“ E poi?”
 
“ E poi dissi loro: e comunque quella di voi due che sa di essere più bella, dovrebbe esser più gentile con l'altra che è meno fortunata" e ho assunto la mia miglior posa da rimprovero.”
 
zaffiro scoppiò a ridere. “Sei un genio del male! Ma senti, detto tra noi, quale avresti indicato?”
 
“Seriously? Non mi piaceva nessuna delle due! ho colto al volo l' occasione per togliermi da questo pasticcio! Due minuti dopo sono diventate amicone e hanno cominciato a farsi i complimenti a vicend...." 
 
Alan non potè terminare la frase perchè qualcosa gli andò addosso con la potenza di un uragano.
 
Alisea. 
 
"Ma che diavolo" disse Alan allontanando delicatamente Alisea  per le spalle, per guardarla in viso, ma Alisea non voleva questo e si girava dal'altra parte.
 
 
 
"Alisea , guardami " disse deciso Zaffiro, girandogli il mento per costringerla a guardarlo. 
 
Aveva il viso rosso e gonfio di pianto. Sembrava l'avessero picchiata e a giudicare dall'espressione atterrita di Zaffiro, è proprio quello che pensò. "Qualcuno ti ha fatto del male? dimmi chi è e vado ad ammazzarlo " 
 
"No" strillò Alisea. "Nessuno mi ha fatto del male! Io, sono io che faccio del male, sono un mostro!" disse Alisea acquisendo tonalità man mano che parlava. 
 
"Sta avendo una crisi isterica, dobbiamo portarla fuori dalla scuola, adesso" disse Clère che era dietro di loro.  Alisea si lasciò prendere e sollevare da Clère senza fare resistenza, docile come  un gattino.
 
Clère sapeva per esperienza che era inutile cercare di far ragionare le persone che erano in preda a crisi isteriche, in quel momento occorreva solo polso, sangue freddo e prendersi cura di loro, soprattutto perchè in quel momento erano più vulnerabili e non potevano farlo da soli. Si caricò Alisea  sulle spalle  e procedette dritta verso l'uscita
 
i ragazzi la seguirono, sentendo anche distintamente Zaffiro digrignare i denti e dire: "Qualcuno la pagherà per questo ." 
 
 
 
 
 
 











 Note dell'autrice: 

ragazzi vi avviso che io sto ricimomiciando a stufarmi di questa storia xd quindi se non volete che la metto in stand by di nuovo, sarebbe molto gradito recensire o se proprio non volete farlo, almeno mettere la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate xd

ecchecavolo xd

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Capitolo 25
*** la dolce visione di affetto di Alan su lui e Zaffiro ***


“Non avremmo dovuto perderla di vista, come abbiamo fatto a perderla di vista?” si disperava Marika agitata.
 
“Calmati, Mari, non può essere andata lontano, la troveremo”cercò di farla calmare Stefano.
 
Marika si voltò un po’ stranita chiedendogli: “Come….mi hai chiamata?”
 
Stefano sembrò confuso. “Mari, è…il diminutivo di Marika,no?” chiese Stefano sperando che fosse effettivamente un diminutivo e non facesse  invece la figura dell’idiota.
 
Marika sembrò confusa. “è la prima volta che mi chiami Mari?Mi sembra di aver già sentito questo nomignolo.”
 
Stefano sembrò imbarazzato. “Uhm…si, forse ti hanno chiamato cosi i tuoi genitori….deve essere un nomignolo abbastanza comune… non penso ti hanno sempre chiamato Marika, no? Un po’ come Sam, si può chiamarlo Sammy, ma anche Samantha va bene” rispose Stefano sorridendo nervoso con la vaga  impressione che la conversazione stesse andando un po’ sul demenziale.
 
Marika si trattenne dal  ridere. “Quindi lo guardi anche tu Supernatural!. Ora non puoi più fingere che ti fa schifo. “
 
Stefano si senti preso in contropiede e cercò di difendersi:“Non guardo quel telefilm da bambine…cioè..insomma…senza offesa”
 
Marika si imbronciò. “Non è da bambine, e poi con questa storia di Dean posseduto da un angelo….” Mormorò Marika estasiata.
 
“Ma non era Sam quello posseduto?”
 
“Ah – ahhhhhh” gli puntò un indice accusatorio Marika.
 
“io… oh insomma, questi tranelli”
 
“Ammetti che ti piace, e anche tanto”
 
“…….”
 
“Dai dai dai dai “ lo spronò Marika con la voce da bambina.
 
“E va bene. Mi piace. Hai vinto. Seguo tutte le serie e puntate U.u “
 
“Perché non volevi ammetterlo?”
 
“Perché…..beh…..”
 
Marika lo guardava con aria tranquilla e non da presa in giro e Stefano si senti rilassato a dirgli la verità: “Forse perché da un lato sono un po’ invidioso…. Io non ho un fratello che morirebbe per me, non ho proprio fratelli” aspettò che Marika ridesse, ma lei non lo fece; invece riprese a camminare e disse:
 
“Dean ha sempre chiamato Sam *sammy* , a me sarebbe piaciuto che qualcuno  mi chiamasse Mari, qualche volta “
 
Stefano non disse niente, ma sorrise, mentre Marika era ancora voltata. Quella ragazza era davvero un tipo originale, tenera,sicuramente, ma anche strana e tanto bisognosa d’affetto. In un certo senso erano anime affini.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Alan, Zaffiro e Clère avevano portato Alisea nel baretto poco distante dalla scuola per farla calmare un po’. L’orario di scuola non era ancora finito, avevano valutato la possibilità di chiamare zia Judith ma Alisea non voleva fare la figura della bambinetta debole che chiamava la zia per farsi venire a prendere, a causa del professore cattivo….che tra l’altro, non l’aveva neanche attaccata….non esplicitamente diciamo.
 
 
In quel momento, Alisea era in bagno a sciacquarsi la faccia in compagnia di Clere. I fratelli erano rimasti da soli ad attendere le due ragazze e Zaffiro aveva ordinato due succhi di frutta per lui e il fratello.
 
Lo guardò di sottecchi mentre Alan esaminava la stanza guardandosi attorno. Doveva essere rimasto molto scosso dal crollo di Alisea, pensò Zaffiro distrattamente.
 
 
 
Alan dal canto suo, sentiva un calore annebbiargli la mente, offuscargli la vista….era come se li dentro ci fosse come una coltre di nebbia, senza vederla…. Cercò di concentrarsi sulle bottiglie che c’erano sul bancone, ma smise subito non appena si accorse che fissare qualsiasi cosa lo faceva sentire peggio. Ora cominciò anche a girargli la testa, o forse era la stanza a girare?
 
“Stai male?” disse una voce vicino a lui, una voce famigliare.
 
Alan non riuscì a trovare le parole per rispondere, neanche riuscì a voltare la testa. Un attimo dopo si senti preso per il braccio e spinto verso il basso
 
Era zaffiro. Aveva capito che Alan aveva un giramento di testa e l’aveva attirato a sé facendolo sedere in braccio.
 
Questo non fece altro che far  esplodere la cosa che stava facendo agitare Alan. Qualunque cosa fosse.
 
All’ improvviso senti come un flash scoppiargli nella testa.
 
Vide delle cose. Cose di un altro tempo. Un altro luogo.
 
 
 
Vide un bar, ma non era lo stesso cui erano ora li. Era diverso. Molto più antico. E in un angolo, un ragazzo, fece sedere in braccio a sé un altro ragazzo, proprio come Zaffiro aveva appena fatto con lui , ma quei due non erano loro due. Erano senza ombra di dubbio altre persone, anche se dovevano avere all’ incirca la loro età.
 
 
 
“Non sapevo che non reggevi l’alcool, la prossima volta un bicchiere di latte, eh?” lo canzonava il primo ragazzo.
 
“Sono in grado di badare a me stesso, e mollami, non sono un fanciullo” rispose l’altro che cercava di liberarsi.
 
“Diglielo a quella stufa là che stavi per centrare. DUE VOLTE, fratello” lo canzonò l’altro senza lasciarlo andare.
 
“Non sono tuo fratello” rispose l’altro cercando di non dare a vedere il calore che l’aveva avvolto dentro il cuore  nel sentire quelle parole.
 
Il tipo non si lasciò infatti ingannare e sorrise esasperato
 
 
 
 
“Ehi fratellino, stai bene?” disse con tono dolce ma ansioso, Zaffiro.
 
Alan cercò di riscuotersi da quella visione, potente come uno squarcio nel cielo azzurro
 
“Zaffiro?”
 
“E perché non la fata madrina? Hai avuto un attacco di panico?”
 
Alan cercò di raccogliere le idee e nel mentre arrivarono Marika e Stefano trafelati e un po’ bagnati, avvertiti dalla chiamata di Clère….doveva aver cominciato a piovere ed erano venuti senza ombrello. Ora tutti loro erano senza ombrello, maledizione.
 
 
 
“Scusate il ritardo” disse Marika senza sapere cos’ altro aggiungere.
 
 
“E per non aver portato l’ombrello, maledetto tempo.”continuò Stefano. “Che cos’ha?” aggiunse poi, accorgendosi di Alan, che aveva lo sguardo perso nel vuoto, ed era ancora seduto in braccio al fratello.
 
 
Zaffiro stava per ribattere, ma Alan si riscosse all’improvviso e balzò subito in piedi, imbarazzato che i loro nuovi amici l’avessero visto in braccio al fratello maggiore.
 “Lasciami, non sono un fanciullo.”
 
Si rese conto subito di aver usato la stessa frase de ragazzo di poco prima, che non si sapeva a quale tempo potesse essere collocato*poco prima * , quel ragazzo che non poteva essere lui….si senti le gambe cedere.
 
 
“Ehi, ehi, take easy,  take easy, ok?” disse Zaffiro andandogli incontro.
 
“Non sarai più un fanciullo, ma non ti reggi in piedi,fratellino” disse Zaffiro, dolcemente, mettendogli un braccio attorno alla schiena e l’altro intorno al collo.
 
Nel mentre Clère e Alisea uscirono dal bagno, Alisea aveva la faccia un po’ più asciutta ora e si muoveva da sola, ma gli occhi erano ancora rossi.
 
“Sta male anche lui ?” si preoccupò Clère sgranando gli occhi.
 
“Si, ha avuto un giramento di testa, e secondo me non si è ancora rimesso…anzi, secondo me sta peggio di Alisea” lo informò Zaffiro. Alan continuava a non rispondere e a fissare il vuoto.
 
“Lo porteremo in infermeria assieme ad Ali. Credo abbia la febbre. Ho chiamato vostra zia con il mio cellulare per farla venire a prendere, cosi può andare anche Alan se sta male…spero non vi dispiaccia che abbia chiamato vostra zia ma….”
 
“No, certo che no. Grazie Clère “ disse Zaffiro sorridendo,sorpreso ancora una volta della gentilezza della ragazza. “e poi cosi abbiamo una scusa per uscire due ore prima, grazie fratellini “ disse Zaffiro ammiccando ad entrambi.
 
“Coglione” sussurrò Alan sorridendo, ancora sostenuto dal fratello.
 
“ Vedi quant’è bello essere amati dai propri fratelli, Clère?” disse Zaffiro ammiccando. “Ora forse è meglio che facciamo bere due tè bollenti a questi poveracci che sono venuti fin qui” disse indicando Marika e Stefano .
 
“Almeno non ci sentiremo che siamo venuti per niente” disse Stefano sorridendo.
 
Alisea in un minuto andò a gettarsi nelle braccia di Marika.
 
Rimasero tutti un po’ sorpresi. Erano consci del legame che era nato di recente tra Alisea e Marika, di profondo affetto, tuttavia non erano ancora capaci di spiegarselo bene; gli sembrava che non si frequentassero ancora cosi a lungo da poter dire che erano amiche del cuore, e gli stessi Clère, Marika e Stefano non si conoscevano ancora bene, e men che meno i rapporti con Alisea,  Alan e Zaffiro erano agli inizi…. C’era un principio di amicizia certo. Ma dovevano ancora conoscersi bene per potersi fidare ciecamente l’uno dell’altro…. E di certo se fra i tre poteva esserci una persona che poteva dire di avere un rapporto un po’ più profondo con qualcuno di  loro…..Clère credeva di essere lei. Cavolo, lei aveva salvato la vita ai tre fratelli, se c’era un qualche diritto di prevalenza sarebbe dovuto toccare a LEI. Non a MARIKA.
 
 
in un minuto la piccola sensazione di rabbia che si era impadronita di lei, (o forse di gelosia) scoppiò come una bolla di sapone. Come  poteva essere gelosa di Marika? La ragazza più dolce e innocente che avesse mai conosciuto.
 
Anzi, era un bene che fosse venuta anche lei, almeno così poteva occuparsi di Alisea, seppur ora che stava bene, non c’era bisogno di portarla in braccio.
 
Fu solo un istante….Clère stava per voltare la testa e gli sembrò di vedere Marika sgranare gli occhi fissando il braccio di Alisea, e poi richiuderli, stringerli, come se pensasse di aver visto male
 
Altro che innocenza, pensò Clère
 
Ma era niente rispetto a quello che avrebbe scoperto Alan di li  a qualche minuto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note dell'autrice: 

e niente...confesso che io ADORO il legame tra Alan e Zaffiro <3333

Non l'ho raccontato molto..ma spero di rimediare! Ho davvero tantissime idee su questa storia che se dovessi riuscire a scriverle tutte, verrebbe una storia lunghissima xd

i personaggi in particolare, hanno delle storyline molto interessanti, non vedo l'ora di raccontarle ^^

ps so di aver detto che ero stufa di questa storia..ma continuo a cambiare idea xd

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Capitolo 26
*** Alan guarda Marika con espressione guardinga ***


“Non riesco a credere di esser scoppiata a piangere come una bambina piccola, che vergogna “ piagnucolò Alisea  in infermeria, mentre aspettavano che la zia venisse a prenderli.
 
“Ehi, va tutto bene, hai tempo per crescere, hai avuto una piccola crisi e ora è passata ok?” disse Marika cercando di consolarla.
 
“Non direi, visto che gli è venuta la febbre “ disse Alan sull’altro letto.
 
Marika gli gettò un’occhiataccia.
 
“Beh è la verità. Mentre io invece NON HO la febbre, quindi non capisco perché devo stare qui anch’io “ borbottò Alan incrociando le braccia.
 
“ Perchè sei quasi svenuto. DUE VOLTE” gli ricordò Zaffiro.
 
Alan borbottò qualcosa di incomprensibile
 
“Mi verrai a trovare, oggi, Marika?” chiese Alisea.
 
“io…non posso” disse Marika dispiaciuta.
 
“Perché no?”
 
Marika non seppe cosa dire per qualche secondo, poi rispose“Devo sbrigare delle cose per mia madre, mi dispiace.”
 
Alisea si fece triste.
 
“Ma prometto che ti messaggerò continuamente per sapere come stai e poi se stai meglio ti telefonerò anche. Promesso!” disse Marika dolcemente.
 
Alisea sembrò rincuorarsi un poco. “Okay” rispose.
 
 
Alan nel frattempo guardava Marika con una strana espressione guardinga.
 
 

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Capitolo 27
*** La dissociazione di Marika ***


Marika stava camminando nella metropoli caotica, c’era un sole cocente che la picchiava in testa e le rendeva i capelli, che erano lunghi fino al fondoschiena,  appiccicosi, e la maglietta inzuppata
 
Eppure faceva freddo, era un maledetto venerdì pomeriggio di un maledetto fine ottobre, e faceva un freddo micidiale, ti entrava nei polmoni.
 
Marika continuava a camminare, incurante della bolgia infernale di macchine che riempivano la strada, ma lei non le guardava, non osava alzare lo sguardo.
 
E anche se l’avesse fatto, non avrebbe comunque corso alcun pericolo, la strada non era poi cosi trafficata.
 
Fu solo quando una macchina rallentò bruscamente, suonando il clackson, che Marika si decise a riscuotersi da quel torpore.
 
“Ehi, ragazzina, va tutto bene?” gli gridò l’uomo.
 
è gentile, di solito non sono gentili in queste occasioni, ti strombazzano il clacson incavolati neri e se ne vanno, non perdono tempo con le chiacchiere e se lo fanno, sono per lo più insulti
 
“Dico a te, stai bene?” insistè l’uomo
 
“Si, scusate , sono un po’ sovrappensiero” rispose Marika imbarazzata.
 
“Mmm ok, ma sta attenta ragazzina, anche se sono strade dove non passano tante macchine, è sempre meglio camminare con la testa alzata”disse l’uomo e la salutò.
 
 
Marika si dimenticò all’ istante del consiglio dell’uomo e riprese a camminare a testa bassa, sistemandosi meglio con una mano, la sciarpa viola che portava al collo, con quella manovra sfiorò i suoi capelli con la mano, che non erano affatto lunghi fino al fondoschiena, gli arrivavano poco più sotto le spalle e non erano affatto bagnati di sudore, erano CONGELATI dal freddo, ma Marika non tenne conto di questo  e continuò a camminare, la sua mente ora era diretta a un certo appartamento  disabitato, che tuttavia, non era poi cosi disabitato come avrebbe dovuto essere.
 
 
 
 
DISSOCIAZIONE. Una parola che nessuno sa mai cosa vuol dire con esattezza, ma che senti cosi tanto spesso, da anche solo intuire cosa significhi, ma INTUIRE non è lo stesso di sapere.
 
 IMMAGINARE non è lo stesso di provare.
 
Eppure Marika sapeva che non era cosi, non proprio. A volte immaginare e PROVARE, combaciavano. Si confondevano l’un l’altro, e quanto avrebbe voluto invece non scoprirlo mai.
 
 
 
 
 
 
Marika arrivò finalmente all’ appartamento, apri il portone con la chiave  e cominciò a salire le scale. Il freddo minacciava di entrarle nelle ossa.
 
 
 
Arrivò all’ ultima porta in cima alla rampa di scale e prima ancora che bussasse, senti la voce: “Entra pure Marika”
 
Marika si disse che non doveva essere sorpresa, ma ancora faticava ad abituarsi.
 
 
Entrò e non potè fare a meno di dire, mentre si toglieva il suo giubbotto blu notte: “Riesci sempre a capire quando sto arrivando, non so come fai.”
 
“Riconoscerei i tuoi passi dovunque, Marika” disse la voce che proveniva dalla stanza in fondo.
 
“Addirittura attraverso una porta chiusa?” rise nervosamente Marika avvicinandosi.
 
“Everiwhere” rispose la voce, parlando in inglese.
 
“Adoro quando parli in inglese “ sorrise Marika.
 
La voce emesse una risatina. “Mi piacerebbe sapere se l’adulazione l’hai imparata da me o viceversa.”
 
“Touchè “ sorrise ancora Marika entrando finalmente nella stanza buia.
 
 
 
La voce disse ancora: “Posso vedere che stai sorridendo Marika, anche al buio.”
 
“E ti fa piacere la cosa?” domandò Marika sempre sorridendo.
 
“A me si, ma potrebbe far piacere anche ai tuoi nemici, tu sei una ragazzina emotiva e sensibile, cosi sensibile che mostri il tuo cuore a tutti, ma questo è pericoloso, i tuoi nemici non devono rendersi conto della tua debolezza, se lasci che vedano il tuo animo gentile…..”
 
“Tu non sei un mio nemico” disse Marika sentendo la voce incrinarsi un po’ dall’ agitazione.
 
 
Potè sentire il respiro dell’uomo farsi più intenso, come chi non riesce a ottenere dal suo interlocutore una piena comprensione di quello che vorrebbe dire, mischiata a una nota di tenerezza dolente.
 
“io no, ma non si sa mai chi potresti incontrare sulla tua strada.”
 
Marika non disse niente.
 
L’uomo si alzò dalla sua sedia e si mosse ad accendere l’interruttore.
 
 
La stanza si illuminò all’ improvviso. E tutto ora sembrava cosi caldo, cosi accogliente, e rassicurante.
 
 
Vide la piccola stufa che Robert aveva acceso per lei vicino al lettino, per farla star al caldo…una piccola stufetta elettrica, come faceva tutte le volte.
 
Si volse a guardarlo. Robert era un uomo di pressappoco 45 anni, una piccola barba marroncina e modesta, occhi nocciola profondi come quelli di un cerbiatto, le guance piene e la bocca simili a quelle di uno studioso, un uomo di libri, un uomo di scienza.
 
 
 
L’uomo le sorrise. “Ho pensato che vedermi, prima della seduta potesse farti star meglio. Non credere che non abbia capito al volo che sei turbata. “
 
“E qual è la differenza da tutte le altre volte?” disse Marika, la sua faccina da bimba stava increspandosi in una muta richiesta al suo viso di poter piangere.
 
“Questa volta è diverso, non è cosi?” disse l’uomo dopo averci pensato un po’ su e averla osservata intensamente.
 
Marika non disse niente, l’uomo le sfiorò appena il braccio incoraggiandola a farsi avanti nell’abbraccio che, l’uomo sapeva, avrebbe voluto far scattare appena varcata la soglia. L’uomo se ne intendeva di emozioni umane, più di quello che avrebbe voluto e infatti come aveva intuito, bastò quel gesto a far scattare la ragazzina nelle sue braccia in un abbraccio stretto pieno di richieste di rassicurazione e protezione. L’uomo ricambiò l’abbraccio accarezzandole i capelli con dolcezza.
 
 
 
 
 
La stanza dello studio non era di nuovo buia, ma Robert aveva abbassato cosi tanto le luci da renderla semibuia.  Robert  accendeva sempre la luce, quando arrivava Marika, perché sapeva che vedere la stanza, vedere lui, vedere la luce, anche solo per brevi secondi o minuti, la faceva sentire meglio, serviva a farle accettare che per tutta la durata della seduta, o quasi,  doveva stare nella completa oscurità.
 
Era una cosa che aveva letto anche Marika nel suo libro preferito: l’Acchiappasogni. Ma non aveva preso in considerazione che potesse essere vera.
 
 
Nel libro,  lo psicanalista Henry, teneva sempre le luci basse quando riceveva dei pazienti,pochi se ne accorgevano, secondo Henry questo era dovuto al fatto che anche le loro menti vagolano nella semioscurità, e secondo la sua teoria, i disturbi hanno la funzione di filtro polarizzatore tra loro e il resto del mondo, con l’aggravarsi della nevrosi, s’infittisce anche l’oscurità interiore.
 
 
A Marika ha sempre infastidito il buio quando non doveva dormire, la rendeva inquieta e secondo Robert questo dimostrava che la ragazza non era pazza, almeno non nella maniera normale che la gente intende per definire i pazzi, sempre se esiste un modo GIUSTO per definirli. Robert pensava che se anche esistesse, le persone non l’hanno ancora trovato, a causa della loro mente limitata. Forse anche questo voleva dire essere pazzi
 
Tuttavia non era ancora giunto il momento dell’oscurità completa. Non ancora.
 
 
 
Robert come al solito la faceva parlare, la faceva sfogare…..era solo dopo che avveniva la seduta vera e propria
 
Le chiese come andava la scuola e se si trovava bene, non mancava di chiederle delle sue amicizie, delle sue relazioni sociali.
 
Marika i primi giorni si chiudeva in un mutismo ostinato, e negava di avere dei legami che con tutta probabilità sarebbero potuti crescere,ma Robert vedeva che col passare dei giorni, dei nomi risuonavano sempre più frequenti nelle sue parole, anche nei suoi pensieri.
 
Robert era dell’idea che quando le persone cominciavano a ripetere spesso dei nomi, era perché cominciavano a vederli parte integrante della loro vita, ne fossero consapevoli o no, fossero disposti ad ammetterlo o no.
 
Robert notava anche che Marika stava cominciando a usare il pronome “noi” riguardo ai nomi e anche questa era una cosa tipica che usavano fare le persone quando cominciavano a vedere nell’altro un qualcosa che li accomunava, che li legava , fossero disposti ad ammetterlo o no, ne fossero consci o no.
 
E ultimamente Robert aveva notato anche quello che considerava come lo stadio “successivo” . il primo stadio era quello dei nomi e della frequenza con cui pensi a questi nomi, il secondo stadio era quello di pensare a “noi” riferito a un altro essere umano individuale, e il terzo stadio….. era quello di usare la parola *amici* . una parola che, ti scuote qualcosa da dentro quando la senti usare da altri, ma che, quando la usi tu, ti esce spontanea, fluida, inconsciamente, ti esce naturale, a volte non te ne accorgi neppure.
 
 
Marika aveva negato per giorni interi di essersi fatta degli amici all’interno della scuola, tuttavia da un po’ di giorni aveva cominciato a usare questa parola per riferirsi a lei e a un gruppo di ragazzini che conosceva da forse due settimane.
 
 
 
 
 
“Come stanno i tuoi amici, Marika?” le stava chiedendo Robert. Marika si mosse un po’ a disagio.
 
“Non so se sono miei amici” rispose.
 
“Eppure usi questa parola quando ti rivolgi a loro” disse Robert dolcemente con lo sguardo attento e curioso.
 
Marika sembrò confusa per un attimo,  poi dopo averci pensato su disse: “Potrebbero esserlo, potrebbero diventarlo.”
 
“E che cosa manca perché lo diventino?” chiese Robert curioso.
 
Marika chiuse gli occhi, sul suo viso di porcellana un’espressione triste e solenne “Dovrebbero dirlo.”
 
Robert corrugò la fronte riflettendo sulle sue parole.
 
“Perché per te è importante che te lo dicano?”
 
Marika non rispose a questa domanda, e Robert aveva imparato che non doveva insistere quando non otteneva delle risposte. Passò quindi alla domanda seguente.
 
“ Sono gentili con te, no?”
 
“Si “ Marika sembrò indecisa.
 
“Passate tanto tempo insieme?” cercò di spronarla Robert.
 
Marika si mosse irrequieta. “Per la maggior parte del tempo i fratelli stanno insieme, è difficile avvicinarsi… ci provo, a volte stiamo insieme, io , Clere, Stefano, e loro tre…più spesso dei primi giorni” disse Marika.
 
“Mi hai detto che stai legando in particolare con questo ragazzo, Stefano” disse curioso Robert.
 
 
Marika non rispose. Robert decise quindi di passare oltre:  “E Clère? Pensavo poteste diventare amiche, sembravano esserci buoni presupposti.”
 
Marika cercò di trovare le parole giuste. “Clère sembra che riesce ad aprirsi solo con i fratelli, non la vedo molto propensa nei miei confronti….”
 
“Ci sarà pure uno di loro con cui vai più d’accordo”
 
“Alisea….” Disse Marika dopo qualche tentennamento.
 
“ La ragazzina più piccola? Ti ha preso molto a cuore,sembra, no?”
 
“Forse” disse Marika incerta.
 
“ E tu?”
 
“Non…non lo so… si, credo di si.”
 
 
 
Marika ripensò a quello che aveva visto per pochi secondi sul braccio di Alisea, ed ebbe un brivido, che non sfuggi all’uomo.
 
“Che cosa ti turba, Marika?”
 
“Io…io…. mi mette a disagio parlare di loro, se sapessero che parlo di loro…che cosa penserebbero di me?”
 
“è normale parlare delle proprie relazioni da uno psicanalista, Marika, perfettamente normale, fa parte della procedura”
 
“Solo che tu non sei uno psicanalista, non proprio, e questo non è uno studio, non proprio, e la procedura nasconde altro, vero?”
 
“Apprezzo molto la tua intelligenza, Marika, hai sviato intelligentemente il discorso, rimbalzandolo grazie a delle domande, che,tuttavia, ti interessano comunque. Non è geniale?”
 
“Non fare lo psicanalista con me” disse Marika con un tono leggermente rancoroso.
 
“Eppure è proprio  quello che mi hai chiesto di fare. Di frugare nella tua mente”
 
“Non è vero, io voglio solo che tu mi dica da dove vengono le cose che VEDO, e soprattutto…..dove vanno a finire quando spariscono”
 
“Dove vanno a finire le cose che spariscono? Non era una frase del libro di Harry potter, uno dei tuoi preferiti?”
 
“io….io non….”
 
Finalmente ho capito cos’erano i miei fantasmi! Ero io…IO apparivo e scomparivo….è sempre stato cosi, per tutta la mia vita…..dei lampi….pensieri confusi….lunghi periodi di buio in cui non esistevo…e ogni tanto una visita in sogno, a questo mondo…quasi sempre nel posto sbagliato e nel momento sbagliato…..e poi di nuovo nel buio…un po’ come il cosmo tra le stelle…ho cercato di dare un senso a tutto questo vuoto, ma non ci sono riuscita…..non mi resta che tornarci, e per sempre…..    sono io il fantasma…..  non è una citazione di un fumetto di dylan dog?”
 
 
Marika cominciò a piangere sommessamente e l’uomo provò un po’ di vergogna. Gli sembrava di percepire la parola che non arrivò mai al suo orecchio e non arrivò mai alle labbra di Marika, ne udibile ne pronunciata, ma Robert la percepi comunque.
 
 
 CRUDELE. E anche se voleva fingere che non fosse cosi, aveva a cuore quello che lei pensava.  Sentiva affetto vero per quella ragazzina, e questo anche contro la sua volontà, ma non riusciva a impedirselo. Si alzò dalla sedia e le andò incontro. La abbracciò.
 
E si ricordò di una frase del libro *il piccolo principe *
 
Era caduta la notte. avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello,del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra,c'era un piccolo principe da consolare! Lo presi in braccio.
lo cullai. Gli  dicevo: "Il fiore che tu ami non è in pericolo....disegnerò una museruola per la tua pecora....e una corazza per il tuo fiore.....io....."
Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo come toccarlo,
come raggiungerlo.....il paese delle lacrime è cosi misterioso.
 
 
“Perdonami” le disse.

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Capitolo 28
*** Marika incontra White e Alan fuori dallo studio di Robert ***


Marika era scivolata gradualmente nell’ oscurità. In quell’ oscurità che tanto la terrorizzava durante il giorno. Ma ora c’era Robert con lei, che le parlava e questo la faceva sentire al sicuro.
 
“Sei rilassata?”
 
“No” era la verità.
 
“Non lo sto chiedendo a te” disse Robert boccheggiando la sua pipa.
 
Marika si mosse inquieta.
 
“Va tutto bene Marika, abbandonati, e lascia parlare l’altra parte di te. Lascia che racconti quello che ha da dire. Lascia che si risvegli.“
 
“Ok….”
 
Ecco. Adesso sei addormentata profondamente. Non sei più Marika. Puoi dirmi DOVE SEI?”
 
“Sono….nel mio letto.”
 
“Cosa stai facendo?”
 
“Cerco di prendere sonno….ma sono agitata…ho deglii incubi….no…non sono incubi….deliri…”
 
“Hai la febbre?”
 
“io sto….sto….morendo” disse Marika, e una lacrima le scivolò solitaria e triste lungo la guancia.
 
“Che cos’hai?” disse Robert e un velo di tristezza lo attraversò.
 
 
“Il dottore sta parlando con i miei genitori. Dicono che ho una *macchia* nel cervello, che si allarga, ed è troppo avanzata, non possono fare niente.”
 
*tumore* pensò Robert.
 
“Non sanno che si tratta di tumore?” le domandò.
 
“Io…non so che cosa dici….tumore? non ho mai sentito questa parola…..so solo che sto morendo, il dottore dice che non supererò la notte….”
 
Robert era combattuto se chiedere a Marika di andare avanti o interrompere la seduta…rivivere la propria morte, in alcuni casi poteva sconvolgere il paziente.
 
“Mia madre mi ha dato un infuso di erbe per farmi dormire. Ha funzionato. Sto sognando. Sono incubi. Ma sempre meglio dei deliri. “ diceva ancora Marika.
 
 
 Marika cominciò a piangere e a singhiozzare. Diceva che ad un tratto fu strappata dai suoi incubi da ladri e saccheggiatori e barbari, che erano venuti ad uccidere i suoi genitori. Ad un certo punto una bambina si avvicinò a lei….aveva i vestiti sporchi di sangue e i capelli rossi come il fuoco, sembrava un demone….
 
 
 
La guardò e allungò una mano al suo viso, mentre Marika in stato di semi incoscienza si rendeva conto a malapena di quello che stava succedendo. Aveva gli occhi semi – chiusi in una smorfia di dolore per la malattia che la stava consumando. Non poteva muoversi.
 
La bambina aveva lo sguardo allucinato, le toccò la guancia e all’istante la sua espressione cambiò. Aggrottò la fronte e le toccò la sua. La sua espressione si fece stranita e sorpresa, mentre Marika continuava a gemere in preda al dolore.
 
 
 
 
“Lei lo sa….” Disse Marika. “Sa che sto morendo.”
 
“Marika, adesso basta, TI ORDINO di svegliarti” disse Robert che non aveva nessuna intenzione di assistere alla cronaca della morte della ragazza, di ascoltare come questa bambina l’avrebbe finita.
 
“NO, non farmi svegliare….lei vuole…vuole curarmi….” Disse Marika.
 
Robert rimase basito. Questa cosa non se l’aspettava.
 
 
Marika raccontò di come la bambina mise la mano sulla sua fronte e all’improvviso accadde qualcosa, una luce si sprigionò dal suo palmo, Marika emise un sospiro di sollievo, poi la bambina le toccò la tempia con l’indice e la fece cadere in un sonno profondo.  A quel punto degli uomini stavano per entrare nella stanza…avevano la bocca sporchi di sangue, ma la bambina non gli permise di avvicinarsi.
 
“Questo bambino è morto, consumato dalla sua stessa malattia. Vi consiglio di non trasformarlo se non volete fare la sua stessa fine, sapete bene cosa fa il sangue di uomo morto” disse decisa.
 
Gli uomini sembravano dubbiosi.
 
“Potete avere i genitori, accontentatevi, come sapete la natura a volte è crudele” continuò la ragazzina.
 
Gli uomini acconsentirono uscendo dalla stanza. La bambina guardò ancora una volta il bambino nel letto e poi se ne andò.
 
 
 
 
A quel punto Marika disse di essersi svegliata in un bagno di sudore, e di aver cominciato a piangere, nel suo meraviglioso letto a baldacchino.
 
A quel punto Robert insistette più a fondo nella pratica del risveglio, e Marika si svegliò. Sudata, pallida e tremante.
 
 
 
“Il ragazzino malato non eri tu” disse Robert pensieroso.
 
“No, io l’ho sognato, ma non sono davvero io ad averlo sognato. Forse vedevo il futuro” disse Marika spaventata. “Tu che cosa ne pensi, Robert? Robert?”
 
Ma in quel momento, quando volse il capo, non c’era più  nessuno oltre a lei. Il registratore continuava tuttavia a girare sulla scrivania. Marika abbassò il capo, triste e premette il pulsante stop.
 
 
 
Nel mentre che Marika fece per chiudere la porta dell’appartamento di Robert, cominciò a scendere e incrociò sul pianerottolo nientedimeno che il professor White . Strabuzzò subito gli occhi.
 
“Non è più buona educazione, salutare? Ricorda che sono ancora il tuo insegnante, ragazzina Parker” sorrise il professore.
 
Marika cominciò a balbettare. “Mi scusi, è solo che non mi aspettavo di trovarla qui.”
 
“Se è per questo anche io mi aspettavo che l’idea di divertimento di voi ragazzi fosse diversa dal venire a visitare vecchi appartamenti abbandonati, o è forse venuta a trovare qualcuno qui, signorina Parker?”
 
“L’ha detto lei. È un appartamento abbandonato. Pensavo di trovare una persona, ma mi sono sbagliata, non c’è proprio nessuno qui. Mi avranno dato informazioni sbagliate. Non ci si può fidare proprio più di nessuno.”
 
“Non potresti trovarmi più d’accordo, beh buona giornata signorina Parker “
 
Marika scappò alla velocità della luce, troppo spaventata per essersi fatta sorprendere in quel posto, per chiedersi o anche solo provare a chiedere al professor Black che cosa ci facesse invece lui li.
 
Non si accorse neanche di aver dimenticato di chiudere la porta a chiave.
 
 
 
 
Marika pensò che trovarsi il professor white sul pianerottolo fosse la cosa peggiore che poteva succederle. Non era cosi. Quando usci dal portone, si trovò davanti proprio ALAN, con l’espressione chiara e lampante che dimostrava che la stava aspettando.
 
 
 
“Alan , che – che cosa…..” domandò ad occhi sbarrati.
 
Alan la fissò con sguardo un po’ preoccupato, dopodiché tirò fuori dalla tasca un biglietto da visita.
 
“Sono venuto a consegnarti questo. “
 
Marika lo prese in mano spaventata. Era il biglietto da visita del dottor Robert , psicanalista e ipnotista.
 
“Me l’hai…rubato…?” chiese Marika con voce soffocata.
 
“Non dire sciocchezze. Ti è caduto, me ne sono accorto, e te l’ho riportato, su quel biglietto ci sono scritti gli orari, non potevo esser sicuro che oggi fossi qui, ma ho voluto tentare. Grazie del ringraziamento,comunque” gli disse Alan scocciato.
 
“Potevi telefonarmi, invece di seguirmi” disse Marika.
 
Alan sembrò spiazzato per un momento, poi le rispose: “Non so se ti sei accorta che non ho il tuo numero…”disse un po’ indignato “ Si,potevo aspettare di vederti a scuola, ma…. Non puoi semplicemente essere contenta che te l’ho riportato?”
 
“Grazie, davvero, è solo che non mi piace essere seguita, e ancora di meno che si sappia che vengo qui” disse mortificata.
 
“Beh allora mi dispiace per te, che non vuoi che si sappia,io sono uno che sa mantenere i segreti, il professor White non lo so, ma non mi sembra il tipo!” disse Alan incapace di frenare la lingua.
 
Marika lo guardò e i suoi occhi si allargarono ancora di più.
 
“Eh si, l’ho visto, e non fingere che non l’abbia visto anche tu, si aggirava muovendosi come un pipistrello gigante, impossibile non notarlo.”
 
Marika cercò di salutare frettolosamente Alan e andarsene ma Alan le bloccò il braccio.
 
“Un’ultima cosa” le disse.
 
“Che c’è?” disse Marika scocciata.
 
“ Ho parlato con due o tre passanti per ingannare la LUNGA attesa e mi hanno detto che questo appartamento è DISABITATO da anni. Sei andata da uno psicanalista fantasma? Perché se è cosi voglio che me lo presenti, non ne ho mai visto uno.”
 
“Alan….”
 
“ Perché, voglio dire, magari fa le sedute gratis, e sarei disposto ad andarci pure io in quel caso, d’altronde che cosa dovrebbe farsene un fantasma dei soldi, giusto?”
 
Marika si scrollò di dosso la mano di Alan, e innervosita gli disse “VA AL DIAVOLO” e se ne andò accelerando il passo.
 
 
Alan rimase a guardarla andarsene infuriata e pensò un po’amareggiato: mi sta bene, sono un coglione
 
 
“Ehhhh le donne, ai miei tempi non avevano mai l’ultima parola” disse un vecchietto che aveva assistito alla scena.
 
Alan gli rivolse uno guardo interrogativo.
 
“Questo perché per concederti la prima , passavano mesi. Vedo che anche cosi si tribula sempre comunque. ” continuò il vecchietto camminando.
 
“Eh si, uno pensa che si stava meglio quando si stava peggio. Ma vorrei sapere chi è che lo dice” continuò il vecchietto parlando da solo, lasciando Alan basito a guardarlo.

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Capitolo 29
*** Gelosie tra fratelli ***


“Hai seguito Marika?? Ma sei impazzito?” lo rimproverò Zaffiro.

“Aveva perso il biglietto da visita, volevo…”

“Non era comunque una buona ragione per seguirla, Alan!”

Alan sbuffò. “Va bene, Zaffiro, come vuoi tu…”

“E comunque cosa ti importa di lei?”

“Niente. Non mi importa niente, ok? È solo che…ho pensato..”

“Hai pensato cosa?”

“Che fosse nostra amica..insomma..ha passato diverso tempo assieme a noi, come anche Clère, Stefano..”

Zaffiro sospirò.

“Sono poco più degli estranei per noi. estranei simpatici, ok..ma pur sempre..”

“Fino a poco tempo fa non la pensavi così..cos’è che ti fa essere così cinico? La crisi che ha avuto Alisea in classe?”
 
Zaffiro lo guardò in tono duro.


“Quel bastardo del professore l’ha fatta piangere intenzionalmente. È stato solo grazie alle vostre preghiere che non ho fatto un casino nell’ufficio del preside.”

“Ti abbiamo risparmiato da una figuraccia ben più tremenda del suo sfogo! Non capisci? Anche a me ha dato molto fastidio, ma non si può accusare un’insegnante di aver voluto far piangere un’alunna solo perché ha tenuto una lezione sui bambini dai capelli rossi e lei casualmente li ha rossi! Non si può neanche dire che avesse voluto volutamente mettere in cattiva luce chi nasce così, all’apparenza è stata una normale lezione ed è questo che avrebbe detto!”

“E quello che pensi tu, Alan?”

“Io penso che non ha niente di ingenuo quello lì, ma nessuno ti avrebbe creduto, Zaf.”

“Però..se avessimo raccontato loro quello che Alisea ha sentito..quello che pensa il preside stesso..”

“Stai scherzando, vero? Infamare così un insegnante? Senza prove? Il preside stesso ci avrebbe dato torto e ci sarebbe andata di mezzo Alisea per aver fatto la spia.”

“Sì, ma…”

“E Black avrebbe potuto giocare su questa carta. Avrebbe detto che Alisea ha montato questo teatro del complotto contro di lei, per farlo licenziare, perché pensava facesse uso di droga.”
 
Zaffiro si sdraiò sconfitto sul divano senza proferire più parola.


“Senza contare che…seguendo Marika, almeno ho potuto scoprire una cosa…”

“Che abbiamo a che fare con una pazza che fa visite immaginarie da uno psicologo che non esiste?”

“Non sono sicuro che non esiste..il biglietto esiste, no? Ma non è la cosa più importante adesso. La cosa più importante è che ci andava anche BLACK. Cosa ci faceva Black in quell’appartamento?”

“Hai detto di non trovare nulla di interessante in quel tizio.” Disse Zaffiro.

“Sì, ma…il fatto che sia Black, sia Marika, si trovavano in quell’appartamento…”

“Cosa dovrebbe significare? Il fatto forse che siano amanti clandestini che si danno appuntamento in un apprtamento disabitato per consumare i loro atti d’amore o il fatto forse che hanno in serbo qualche strano complotto tra loro senza che nessuno sappia niente? Cosa?”

Alan ora si sentiva meno sicuro.

“Beh..ora che mi ci fai pensare…non so neanche io cosa potrebbe dimostrare…eppure mi sembrava una grande cosa…ero così entusiasta…”

Zaffiro sospirò sorridendo.
“Ti annoi e cerchi misteri dove non ci sono, fratellino. Ecco tutto.”

“Beh, ma allora se non c’è nessun mistero, allora perche mi hanno detto che l’appartamento è disabitato?”

“NON L’APPARTAMENTO, ma solo il piano del presunto psicanalista.  Hai capito male.”

“Ok, ma comunque è lo stesso. Perché i passanti avrebbero dovuto dirmi una cosa del genere?”

“Forse quel biglietto è un falso..forse c’è un omonimo..probabilmente Marika ti ha mentito ed era lì per un altro motivo, non per farsi psicanalizzare.“

“Che sarebbe lo stesso motivo che ha spinto Black ad andare lì.”

“Dio…che ossessione!” si lamentò Zaffiro.

“Quel bastardo prima fa piangere Alisea, poi si trova nello stesso luogo dove si trova Marika e a te sembra che non importi. Non ti capisco.”

“Non è che non mi importa. È che..penso che dovremmo preoccuparci solo di noi. Noi tre. È stato sempre così..e ci è bastato fino adesso. Non voglio che le cose cambino.” disse Zaffiro, facendo per andare di là.

“Zaf…tu sei sempre mio fratello..non devi aver paura che ci allontaniamo..noi..” disse Alan, tenendogli un braccio.
 
Zaffiro si scostò un po’ bruscamente dalla sua stretta.


“è per questo che ti sei scostato così bruscamente da me quando cercavo di sorreggerti quando hai avuto quello svenimento?”

Alan al ricordo si sentì un po’ in imbaarazzo. Ricordò la visione, tra l’altro, visione di cui non aveva parlato a Zaffiro.

“Mi stavi..trattando come un bambino piccolo, davanti a tutti. ero in imbarazzo, se permetti. Secondo me la stai facendo un po’ troppo grossa.”

“Come ti pare. Io vado a leggermi un libro.”

“E comunque senti chi parla. Sbaglio o passi molto tempo con Clère ultimamente? Neanche lei è un’amica?? O forse qualcosa di più?"

“Lei ci ha salvati la vita!!”

“Oh, quindi è solo riconoscenza? O forse dovresti essere un po’ meno ipocrita o un po’ meno geloso!!” disse, sorpassandolo e chiudendosi in bagno.

















 Note dell'autrice: 

allora, se notate, questo capitolo è o sembra un pò diverso dai precedenti xd infatti, gli altri capitoli li avevo fatti anni e mesi fa, (gli ultimi mesi fa ) questo è il primo capitolo che scrivo dopo tanto tempo.

E..vi spiego..quando ho cominciato a scrivere questa storia..avevo molto amore per l'amicizia in generale e per i gruppi di amici numerosi..poi però..mi è passata xd potete vedere bene cosa mi piace scrivere di più, se date una sbirciata nel mio profilo..quindi ora mi riitrovo con questa storia incompiuta che non so come terminare xd so la base..so come vorrei finisse, più o meno..ma alcune parti vi dico la verità le cancellerei proprio..xd

Per me ci sarebbero solo Alan e Zaffiro nella storia ormai..non mi piace più neanche scrivere di Alisea..lo so che è brutto da dire ma è così..ma tranquilli, nesuno morirà a causa di questa mia cosa xd

solo..è possibile che la trama subirà dei bruschi cambiamenti..per esempio si concentrerà molto di più sul rapporto tra Alan e Zaffiro..che è quello che mi interessa di più al momento.

a presto ^^

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Capitolo 30
*** Un bacio sotto la pioggia ***


Black tornò a casa sentendosi spossato e un po’ demoralizzato.

Non si aspettava di incontrare quella ragazzina bionda nello stesso appartamento di quel psicanalista.

Che cosa ci faceva lì? Forse lo stava seguendo? No, era impossibile. Forse aveva una tresca con un compagno di scuola..o comunque…non era possibile che anche lei frequentasse uno psicologo fantasma.

Perché era così, vero? Uno psicologo che ti fa sedute strane di ipnosi, in un appartamento che in teoria, tutti dicono che è disabitato, non può mica essere una persona normale.

Uno psicologo che scompare quando d’un tratto giri gli occhi, proprio come un fantasma, costringendoti ad andartene di punto in bianco, lasciando il suo studio, prima che anche l’appartamento diventi decadente e vuoto proprio come un vecchio appartamento abbandonato, non può essere una persona in carne ed ossa.

E Albert aveva ancora la faccia tosta di chiedergli cosa avesse..come se già questa storia di per sé non fosse sufficiente a farlo andare fuori di matto.

Ma Black resisteva. Resisteva perché voleva andare fino in fondo a questa storia, non poteva dire a nessuno dell’appartamento disabitato che quando meno se l’aspettava, diventava di colpo un appartamento lussuoso e arredato con tanto di abitante che ti ipnotizzava, perché nessuno gli avrebbe creduto e lo avrebbero licenziato all’istante. Albert soprattutto. Già pensava che era un pericolo per sé stesso e per gli studenti, che li odiava.

Albert…

Provava dell’affetto verso quell’uomo, per questo lo trattava male. Aveva un debole per lui, ma questo, Albert non avrebbe dovuto mai scoprirlo. Lo avrebbe licenziato sicuramente se lo avesse scoperto.

Albert non era gay e non provava niente per lui, tranne una forse amicizia strana, sì, perché Black non riusciva a capacitarsi di come chiunque potesse volere dell’amicizia da lui.
 
Tornando a Robert, era davvero strano. Non gli aveva fatto domande su chi era e che cosa faceva davvero, perché Robert gli disse chiaro e tondo che se voleva la risposta ai suoi problemi e domande, non doveva fargliene a lui.

E Black ci teneva davvero tanto a scoprire la sua strana correlazione con la nuova professoressa bionda che era venuta ad insegnare nella scuola.

Non capiva cosa provava per lei, ma non era attrazione, visto che l’unica attrazione che provava era verso il preside.

Era qualcosa di diverso..più…profondo…e poi..quello strano sogno che fece…
 
(vedere capitolo 13 l’inizio )

Era stato un sogno inquietante soprattutto per il fatto che Black – realizzò solo dopo con orrore – aveva sognato la nuova professoressa e l’aveva sognata ancora prima di conoscerla, ancora prima che lei arrivasse a insegnare!!

E poi c’era stato il loro primo incontro/scontro.
 
“Invece di scusarsi, potrebbe fare più attenzione a dove mette i piedi, non le sembra?” Chiese il professore.
 
“Già…” seppe dire soltanto la donna, colpita.
 
Il professore si alzò in piedi.
 
“Suppongo che sia la nuova insegnante della 1 b “ disse con un sorrisetto il professore.
 
Alan e zaffiro spalancarono la bocca increduli.
 
“Suppongo che dovrà rivedere il suo discorso di presentazione per un’altra volta” disse sempre sorridendo.
 
“Io…io non…”
 
“Non mi deve nessuna giustificazione. A me, ma forse al Preside si. Sa, non fa una buona impressione che un docente manchi una lezione proprio il primo giorno di scuola. “
 
“Sono…stata tratenuta”disse la donna.
 
Il professore alzò gli occhi al cielo.
 
“Come mai stamattina si sentono tutti in diritto di giustificarsi con me?”
 
“Cosa? Come?”
 
“Basta” disse il professore, mettendo le mani sulle spalle della donna, ma poi fissò gli occhi azzurri della giovane donna e per un attimo sembrò che lo  sguardo dell’uomo divenne incerto, stranito. Durò solo pochi istanti, poi si riscosse. Levò le mani e prese ad andar via, non prima di fermarsi per dirle: “Le suggerisco di cambiarsi, signorina. Il suo…vestito…è un po’ troppo vistoso per i regimi della scuola” e se ne andò portando i suoi libri sottobraccio.
 
La donna lo guardò allontanarsi totalmente basita.

 
Perché aveva quasi avuto un giramento di testa durante quel loro incontro? Che cos’aveva di strano quella donna che gli aveva provocato queste emozioni?
L’aveva chiesto a Robert, che sembrava interessato da tutto questo.
Gli aveva chiesto chi era Ariel Hopkins per lui, ma lui non aveva saputo spiegarlo, solo, provava una qualche sorta di tenerezza dolente e di soggezione riferito a lei.
Così erano tornati a parlare del sogno.
 
 
 
“Aspetta….io non capisco più niente…c’è una tale confusione nella mia testa…credo di non riuscire a ricordare neanche più chi sono. Sono maschio o femmina? Io…non lo ricordo più” dici toccandoti la testa.
 
“Che importanza ha? Si nasce androgini, poi l’uomo nega la sua parte femminile. Il format esterno sentenzia: maschi di qua, femmine di là.
IDIOTI.”
 
Tu sobbalzi.
 
Vogliono dividere L’UNO, ma non possono dividerlo.
 
 
Perché aveva detto quelle cose? Quelle cose…primordiali..era strano che dicesse certe cose, lui non era un filosofo.
 
 
 
Non riconosco la persona che è nello specchio.
 
“Quella persona non sei tu. È solo un’immagine illusoria”.
 
 
 
Black non capiva cosa significasse ma l’aveva inteso come se la donna del sogno – Ariel -  era stata un’altra persona, avesse avuto un altro volto..ma quando? Un’altra vita forse?
Per questo non si riconosceva nello specchio, ma perché Black gli parlava come se sapesse chi era?
La conosceva, forse?
 
 
“Adesso NE HO ABBASTANZA di questi giochetti. DIMMI CHI SEI.”
 
“Come, con tutta questa luce non riesci a vedermi?”
 
“Sei avvolto da una nebbia” rispondi con aria dura.
 
Ti sbagli! Non c’è nessuna nebbia. Tu la vedi intorno a me perché i tuoi occhi non sono ancora pronti a riconoscermi.
 
“Aspetta….io ti conosco già???”
 
 
 
E infatti le parole che aveva detto poi la donna, gliel’avevano confermato.
 
Si conoscevano.
 
“Voglio solo che tu sappia una cosa. Non ho mai voluto  farti del male. Lo sai, vero?”
 
“L’hai fatto?” Dici con voce strozzata.
 
“No! Volevo dire che…non ho mai avuto intenzione di farlo. Neanche quando….c’è stato il grande crollo di tutto.”
 
“Io non capisco quello che tu dici”.
“Si invece, lo rifiuti solamente. Vedi,” dico stringendoti ancora di più la mano.
 
“Io…non riuscivo a capire come potessi decidere di buttare tutto all’aria, tutto quello che avevamo, per colpa di un branco di ragazzini….non riuscivo ad accettarlo…io…”
 
“Lasciami la mano!”
 
“Non potevo accettarlo!! Tu volevi proteggerli, ma non  è… non era nella nostra indole farlo….”
 
Momento di silenzio.
 
“Nostra?”
 
 
Di cosa parlava? Il crollo di tutto? Di cosa? Un impero? Una grande civiltà? Cosa?
 
E poi..quali ragazzini?
 
 
Basta cosi. Questi ricordi sono troppo dolorosi e poi comunque quando ti risveglierai non ricorderai più niente…eE neanch’io.
 
“Aspetta, cosa vuoi dire?”
 
Mi limito a sorridere.
 
Non ha importanza.
 
 
 
Quindi sapeva che avrebbero dimenticato tutto? Ma lo sapeva chi? Non di certo lui, quindi? Il suo inconscio? Cosa cercava di dirgli il suo inconscio?
 
 
 
Non aveva voluto raccontare ad Ariel del sogno. Non ci avrebbe creduto ad ogni modo e l’avrebbe presa come un tentativo di seduzione e non voleva questo.
 
 
 
 
 
Pensava a tutte queste cose mentre, stava tornando a casa. Era già buio e si apprestava ad entrare nel cortiletto, ma quello che vide, lo gelò.
Albert.
 
“Albert! Sei impazzito?? Che ci fai sotto la pioggia e senza ombrello?? Che..che diavolo ci fai sotto casa mia?”
 
Albert lo scrutò in volto, i bei riccioli biondi gli ricadevano sulle spalle e i suoi occhi azzurri lo scrutavano come calotte polari.
 
“Io dovevo…dovevo dirti che…”
 
“No, no, no, tu non dovevi proprio niente e tantomeno dovevi venire qui, a casa mia! Devi smetterla di perseguitarmi, devi…”
 
Le sue parole vennero inghiottite dal bacio che Albert di istinto gli diede. Gli teneva le mani sul viso, mani che erano coperte dai guanti azzurri che portava.
 
Tenero e passionale allo stesso tempo. Black ne fu sopraffatto e benché sorpreso, lo attirò di più a sé, rendendo il bacio molto più passionale.
 
“Io…io non..non capisco..” disse Black confuso, quando si staccò.
 
Albert gli sorrise. Qualche fiocco di neve cadde in quel momento tra di loro, mischiandosi alla pioggia e rendendo il tutto più magico.
 
“Tengo a te, stupido idiota.” Gli disse, strusciando il naso contro il suo ed andando via.
 
 
 
 
 
 











 Note dell'autrice: 

FINALMENTE abbiamo svelato il mistero del sogno!! ahhah sono certa che chi sta seguendo, se ne era anche già dimenticato!! ehehhe tranquilli, avrete le spiegazioni a tutto! Ancora un mucchio di cose devono accadere *_*

IL BACIO TRA ALBERT E BLACK!! Devo ammettere che mi diverto molto ad immaginarli come Piton e Silente da giovani ahhah 

e così siamo alla prima coppia di questa storia!!

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Capitolo 31
*** Un po' troppe persone vanno da questo psicanalista! ***


Albert e Black avevano fatto sesso appassionato per gran parte della notte e alla fine erano crollati, l’uno tra le braccia dell’altro.

Fu Albert il primo a svegliarsi e si incantò, seduto, a guardare Black dormire.

Black che dormiva, sembrava un angelo caduto. Caduto dal cielo per arrivare sulla Terra, o forse precipitare, chissà.

La lunga cascata di riccioli neri gli contornavano il viso dandogli proprio l’aspetto di un angelo. Il suo viso, che di solito era sempre corrucciato, non doveva difendersi tra le spire del sonno e dal sogno e così da addormentato non sembrava per niente il diavolo che pareva di giorno. Anzi, sembrava proprio un angelo.

Albert rise internamente dei suoi pensieri. Era tantissimo tempo che non gli prendeva una scuffia così, proprio come se fosse un adolescente! Aveva trentaquattro anni, avrebbe dovuto diventare maturo da un bel pezzo. Questa cosa tra..preside e insegnante era..una follia. Ma quanto gli piaceva!

E il modo in cui Black aveva corrisposto…al bacio..era sublime. Sotto i fiocchi di neve, poi..proprio come una favola, o l’incantesimo di una favola.

Cos’era Black per lui? Questo non sapeva dirlo. Per lui provava un affetto e un’adorazione dolente, il che era strano perché avrebbe dovuto essere giustificata da una sorta di amicizia e di confidenza nata ed evoluta con il tempo e con Black non c’era stato modo di far crescere una cosa del genere. Si conoscevano, ma quasi come due estranei, non avevano coltivato nulla..allora perché gli sembrava di conoscerlo da sempre?
 
“Hai finito di guardarmi?” chiese Black sonnecchiando ancora.

Albert rise.

“Speravo mi concedessi ancora qualche minuto.”

“Qualche?? Se il tempo che hai passato a guardarmi dormire, l’avessi utilizzato per preparare il caffè, l’avresti senz’altro speso meglio.”

“Mmm..io non ne sono tanto sicuro..” disse Albert.

Black sembrò un po’ compiaciuto e si sporse per baciarlo e forse anche mordicchiargli le labbra.



“Non ho mai chiesto a nessuno di farmi un caffè per la seconda volta.” Disse Black.

“In teoria…siccome questa è casa tua, dovresti tu..” ridacchiare Albert.

“Sei l’unico cui, per ora, dopo una tale insolenza, non ho mandato via a calci. Ritieniti un privilegiato.” Continuò Black.
 
Albert allora lo guardò. Forse Black stava giocando, ma in ogni caso, meglio non rischiare.

“Dove stai andando?” fece per bloccargli il braccio Black.

“A..fare il caffè!” disse Albert.

“Non ti azzardare neanche a pensare di toccare le mie cose.” Disse Black con un sorrisino, alzandosi.

Albert sorrise di rimando e poi gli venne in mente una cosa.

“Che..che ore sono?”

Black a sua volta sgranò gli occhi.
 
Guardarono la sveglia sul comodino.

Le dieci del mattino.

“Cazzo. Dovevo essere al lavoro!!” disse Black.

“Anch’io!!” disse Albert in preda all’ansia.

“Ok, niente colazione..”

“Cosa? Non se ne parla. Non lo sai che è il pasto più importante della giornata??”

“Albert, non è il momento di scherzare!”

“E chi scherza??”

Black tornò a guardarlo.

“La scuola..non possiamo..non presentarci..”

“Ehi, io sono il preside. Posso fare tutto quello che voglio.” Disse lui sorridendo.

“E io?” rispose sarcastico l’altro.

“Sei con me no? Tranquillo, non ti chiederò una giustificazione.” Disse il preside facendogli l’occhiolino.
 
 
 
 
 
 
*

Così, Albert e Black fecero una sana colazione in santa pace, parlando tra le altre cose della notte scorsa.

Venne fuori che erano entrambi gay non dichiarati, ma che avevano avuto già altre esperienze.
“Forse ci siamo riconosciuti a distanza, allora..” disse Black.

“Io non credo..” disse Albert.

“Andiamo! Sei venuto da me e mi hai baciato!” gli ricordò Black.

“Sì..l’ho fatto..”

“Come sapevi che non ti avrei mollato uno schiaffo o insultato? Con uno come me hai rischiato grosso.”

“Sapevo..o meglio ero sicuro..mi avresti corrisposto..”

“E questo a causa..della nostra chimica formidabile?” disse Back virgolettando a mò di sarcasmo.

“A causa di quello che ci lega..”

“Albert..noi ci conosciamo da così poco..non voglio sminuire quello che c’è e che potrà esserci ma…”

“No, Black, non..non voglio dire..ascolta, non voglio essere frainteso..quello che voglio dire è che so che ci conosciamo da poco..ma non è così per me..a me sembra di conoscerti da un mucchio di tempo..hai mai provato questa sensazione?”

Black toccato da quelle parole, ripensò ai suoi sogni sulla professoressa bionda. Conosciuta ancora prima di conoscerla davvero.

“Ok, ascolta..ora io ti racconterò una cosa..ma prometti di non chiamare il manicomio più vicino, ok?”

“Lo prometto, Black.”
 
 
 
 
*

Finito il racconto, Albert non aveva detto neanche una parola.
“Lo sapevo. Pensi che io sia pazzo, perché vado da uno psicanalista fantasma in uno studio disabitato.” Disse Black.

“Black, io non penso che tu sia pazzo..”

“Anche perché saremmo due i pazzi..io e quella studentessa.” Disse l’altro.

“Veramente, saremmo in tre.

“Cosa??”

“Black, anche io vado da quello psicanalista. Ci vado per raccontargli di te.”

“C-che cosa hai detto??”

“Era quello che stavo cercando di dirti. Se a te sembra di conoscere già quella professoressa, è da un mucchio di tempo che io sento di conoscere te. Di percepire anche di averti voluto..molto bene! Di averti..amato..forse!”

Black era davvero senza parole stavolta.
 
 
 
 
 
 
 
 
*

Era già mezzogiorno quando finalmente sia Albert, sia Black, si incamminarono verso la scuola, infagottati in pesanti cappotti.

Stavano costeggiando il cortile, in quel momento.

“ Agli altri insegnanti diremo che sei venuto con me, per faccende importanti. Nessuna spiegazione, neanche con gli studenti, ok?” chiese Albert.

“E che cosa facciamo con la ragazzina?”

Albert sospirò.

“Dobbiamo parlarle. Finora credevo di essere io ad avere delle allucinazioni e mi andava più che bene..ma siamo in tre, quindi questa faccenda..è molto reale. Abbiamo bisogno di vederci più chiaramente!” 

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Capitolo 32
*** Alan racconta la sua visione con Zaffiro a tutti quanti ***


Alan, Zaffiro e Alisea si stavano incamminando su per il vialetto della scuola.

Era una giornata strana, calda, ma allo stesso tempo cupa, come a voler lasciar presagire qualcosa..qualcosa di strano.

Zaffiro si voltò a guardare suo fratello Alan e sorrise. I suoi capelli stavano crescendo e stavano diventando morbidi e setosi, i suoi lineamenti si stavano allungando e stavano diventando più belli. Prima aveva un viso più da bambino, ora stava diventando più ragazzo, un po’ più adulto.

Sentì un moto di tenerezza verso di lui.

Si voltò verso Alisea. Camminava con il suo vestitino blu e i capelli rossi, un po’ spettinati.



Zaffiro pensò a tutti e tre come a un nucleo, un dolcissimo nucleo. Gli sovvenivano un po’ più di rado queste sensazioni, ma a volte tornavano, non sapeva ancora definire se era una cosa dolce o forse solo strana. Avrebbe dovuto preoccuparsene? Si stava forse preoccupando troppo?
 
Fu interrotto da queste elucubrazioni, quando sentì delle voci famigliari provenire da una porta aperta. Lui e i fratelli, si affrettarono ad avvicinarsi alla porta socchiusa.

Rimasero sbalorditi quando videro chi c’era dentro!

Marika, il professor White e il preside!

Marika stava spifferando tutto quanto della storia del psicanalista e del mistero che gravitava intorno a esso.

Prima che potesse fermarlo, Alan entrò dentro, furioso.

“Così…a me non vuoi dire nulla..ma al preside sì eh?? “
 
Rimasero tutti basiti davanti a quella scenata.

“Signorina, che significa questo?” chiese il preside, mentre il professore ghignava sotto i baffi.

“Io..io non…”

“Avresti dovuto parlarcene! Ti avrei detto che..che anche io..”

“Che tu COSA?” chiese Zaffiro, d’un tratto allarmato.

Alan si volse verso Zaffiro e anche verso Alisea, pieno di sensi di colpa.

“Io…io…”

“Alan, mi hai detto di non sapere niente di questa sorta di psicanalista..mi hai mentito??”

“NO! Sai che non lo farei mai! Non ho mai incontrato questo tizio! Intendevo dire che anche io ho..avuto una specie di visione!!” disse Alan imbarazzato.

Ora erano tutti stralunati.

“Che tipo di visione? Non farmi stare in pensiero, Alan..” disse Zaffiro, prendendogli il viso tra le mani, ma Alan, imbarazzato, si allontanò dalle mani calde e premurose di suo fratello, sfuggendo a quegli occhi azzurri e preoccupati, quegli occhi azzurri come l’oceano atlantico.

“Io…non è niente di che…forse me lo sono solo immaginato..è stato più come un sogno a occhi aperti..” disse Alan, sperando che tutti quanti lasciassero perdere. Non aveva voglia di parlarne, era stato un grosso errore.

“Senti, ragazzino, se io, un professore, posso confessare di aver avuto visioni su una donna ancora prima di incontrarla, tu puoi..”

“Donna? Quale donna?” chiese Alan.

Il professore guardò il preside, a disagio.

“Le spiegazioni a dopo..ora, per favore, figliolo..dicci quello che pensi di aver visto. Almeno due di noi, sono coinvolti in questa storia assurda, e forse anche tre, dobbiamo capire quanti esattamente di noi sono coinvolti e se qualcuno ci ha fatto assumere inconsapevolmente una droga o altro, capisci?”

Alan sospirò, rendendosi conto che non aveva altra scelta. Sentì Zaffiro prendergli la mano e si sentì inaspettatamente protetto dalla sua stretta. Si voltò, sentendosi un po’ avvampare quando lo guardò negli occhi. Quello che stava per raccontare, non aiutava.
 
Raccontare non fu facile per Alan, soprattutto avendo gli occhi di tutti puntati addosso. Descrivere la scena era stato complicato e anche il luogo.



“Un saloon? Intendi un saloon? Come nei film western?” gli chiedeva Alisea.

“Mi sentivo svenire..e tu mi hai preso in braccio per..per impedire che crollassi a terra..” diceva Alan. “ con grande imbarazzo.

“Che significa che eri con tuo fratello, ma non eravate davvero voi? Avevate degli altri nomi?” chiedeva ancora il preside.

“Non solo..credo non fosse neanche mio fratello..” diceva Alan, senza guardare Zaffiro.

Vide che Zaffiro sembrava un po’ perplesso e ricordò come si era comunque sentito.

Diglielo a quella stufa là che stavi per centrare. DUE VOLTE, fratello” lo canzonò l’altro senza lasciarlo andare.
 
“Non sono tuo fratello” rispose l’altro cercando di non dare a vedere il calore che l’aveva avvolto dentro il cuore  nel sentire quelle parole.

“Non eravamo fratelli di sangue, ma era come se lo fossimo..cioè per me lo eri..forse eravamo migliori amici..” disse infatti Alan all’indirizzo di Zaffiro, che sembrò rinfrancato da quelle parole.

“Spiegati meglio, Alan. Cosa intendi con il fatto che forse lo eravate? Ricordi le sensazioni che provavi nelle visioni? Ricordi di un’altra vita forse o è solo una tua intuizione?” chiese il preside.

“No..io..” cominciò Alan, mentre l’ansia cresceva. Aveva dovuto mentire e dire che si era sentito come se Zaffiro nella sua visione fosse come suo fratello, ma non era sicuro che fosse la verità..forse un po’ era anche così..ma c’era dell’altro..aveva semplicemente detto quello che era più facile da spiegare a loro, quello che forse tutti loro volevano sentire. “Io…non lo so..non ricordo..è solo una sensazione..nella visione sentivo che eravamo molto legati..che ci volevamo molto bene..ecco.” disse Alan, estremamente a disagio, ripensando a quella visione.

Aveva provato una sensazione di amore molto potente durante quella visione e per quel ragazzo. Lo amava, ne era quasi sicuro, ma si sentiva male a dirlo, perché non riconosceva in quel Zaffiro, la figura fraterna che da sempre lo aveva accompagnato nella sua vita. Era un’altra persona, era Zaffiro, ma non suo fratello e questo lo metteva a disagio. La sensazione di amore che aveva provato, lo metteva a disagio, lo faceva sentire in colpa.

Alzò gli occhi verso il fratello, che sembrava squadrarlo. Il suo sguardo era impenetrabile e si sentì male di nuovo.

Poi Zaffiro si avvicinò nuovamente a lui e gli mise una mano sulla fronte:

“Guarda un po’..scotti. La prego, smettiamo di parlarne, mio fratello potrebbe sentirsi male di nuovo.” Disse Zaffiro.

“Mi dispiace, ma non possiamo farlo, signorino. Anzi, la faccenda si complica ulteriormente, soprattutto dal momento che la signorina Marika sostiene che questo misterioso psicanalista, sia suo padre.” Disse Albert, spiazzando tutti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice:   
 
eccomi quaaaa!! Chissà se avevate sospettato in anticipo che sarei andata a finire a questo! ehheh 

Voglio essere sincera..per chi mi conosce e conosce le fanfiction che scrivo su SPN, sa quanto sono ossessionata dal wincest! Purtroppo..ho cominciato a scrivere questa storia quando ancora non conoscevo Supernatural (sono diversi anni che ci lavoro e la scrivo e riscrivo da capo ) penso si veda anche dal mio stile di scrittura dell'inizio, quanto è diverso rispetto agli ultimi capitoli..questo perchè prima ero maggiormente ossessionata dall'idea dei fratelli maggiori che difendono la sorellina più piccola..e dall'amicizia dei gruppi in generale...con il tempo le cose sono cambiate, mi sono chiusa fino a preferire i circoli chiusi..nel senso le amicizie a gruppi mi piacciono sempre, ma mi concentro meglio nelle coppie di fratelli...maschi ancora di più e in questo ci fa le spese purtroppo la dolce alisea, che ho fatto coccolare tanto dai fratelli, fino adesso, ma ora viene un pò trascurata xd

eh si, supernatural mi ha cambiato xd

credo si veda anche da come sto improntando la storia, che mi piace conentrarmi di più ora sui due fratelli maschi..alan e zaffiro xd

Torniamo per un attimo alla storia e concentriamoci sulla visione di alan..di sicuro dai molti spunti che ho messo lì, qualche sospetto sarà venuto a qualcuno..ma forse non ne siete ancora sicuri..di certo vi starete chiedendo perchè mai alan si fa tanti problemi per una semplice visione e perchè suona così tanto imbarazzato a parlarne..

è forse Alan innamorato del fratello allora? O forse è solo imbarazzato a pensare che una versione sua precedente lo è stata? Il suo imbarazzo cela solo vergogna  qualcosa di più?

Vedremo..io posso dirvi che per ora non metto l'avvertimento incest, perchè ho pensato a questa storia non con questo colpo di scena e stravolgerla con una cosa così, mi impedirebbe di svolgere la trama come l'avevo pensata!

Per ora vi lascio con il dubbio su quello che sta ruotando nella testolina del fratellino :pp  

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Capitolo 33
*** Altri misteri sul padre di Marika e su Alan e Alisea ***


Continuarono la discussione fuori dalla scuola, perché il preside sostenne che di certe cose era meglio parlarne lontano da orecchie indiscrete, quindi fecero una passeggiata. Per fortuna non faceva molto freddo.
 
Il padre di Marika era morto anni fa, durante una missione in Irak, o meglio, era quello che ormai pensavano tutti, perché era nella lista dei dispersi durante la guerra, per curare i feriti.

Era morto quando lei aveva solo sei mesi.

Il padre di Marika era un sensitivo o almeno sosteneva di esserlo, di avere dei poteri.

Era capitato tutto per caso. Marika una notte gli parve di sentirlo che la chiamava, che le chiedeva di raccontarle la sua vita.

Marika capì ben presto che suo padre non aveva ricordi che lei fosse sua figlia. Certo, non che lui avesse ammesse di esserlo. Marika lo aveva semplicemente capito. Aveva visto delle foto di lui a casa quand’era giovane e lo aveva riconosciuto.

Aveva cercato di fargli delle domande, ma l’uomo non dava nessuna spiegazione o indizio sulla sua reale identità. Si era chiuso in un mutismo assoluto e si ostinava a fare domande a lei, volendo investigare sulla sua vita.

Marika allora era stata al gioco e non aveva più provato a convincerlo di essere sua figlia.

Ma non aveva idea che giocasse a fare “lo psicologo” anche con altri.

Non sapeva cosa fosse. Se fosse un fantasma o uno spirito che non trovava pace. Non sapeva cosa cercava.
 
“Quindi lo spir..ehm..tuo padre, sarebbe in grado di vedere..cosa? Vite passate di altre persone?” chiese Alan che nel frattempo si era rimesso. La sconvolgente rivelazione di quella vicenda gli fece dimenticare per un attimo la sua visione.

“Non stiamo parlando di vite passate qui..” disse il preside, cercando di restare concreto.

“A me invece sembra che stiamo parlando proprio di questo! Non dimentichiamo che il professore qui, dice che conosceva già la professoressa Ariel!” disse Alan.

“E questo che cosa vorrebbe dire?” chiese White sulla difensiva.

“credo che Alan stia cercando di suggerire che forse voi due…” disse Zaffiro con uno sguardo eloquente.

White si sentì imbarazzato e anche squadrato pericolosamente dal preside.

“è così? Ti attrae quella donna??” chiese e stranamente sembrava arrabbiato. Molto.

“No, non è così. Te lo assicuro, Albert.” Disse, giustificandosi un po’ troppo, mentre Albert lo guardava come a sfidarlo a mentire.

Alan, Zaffiro e Alisea si lanciarono un’occhiata complice. A quanto pare non si sbagliavano sul preside e il professore.

Marika però, sembrava ancora indecisa, a disagio.

Albert allora, le chiese se era tutto okay, e lei prese un grosso sospiro e decise di raccontare la visione di quel ragazzino.
 
 
“Il dottore sta parlando con i miei genitori. Dicono che ho una *macchia* nel cervello, che si allarga, ed è troppo avanzata, non possono fare niente.”

 
*tumore* pensò Robert.
 
“Non sanno che si tratta di tumore?” le domandò.
 
“Io…non so che cosa dici….tumore? non ho mai sentito questa parola…..so solo che sto morendo, il dottore dice che non supererò la notte….”
 
Robert era combattuto se chiedere a Marika di andare avanti o interrompere la seduta…rivivere la propria morte, in alcuni casi poteva sconvolgere il paziente.
 
“Mia madre mi ha dato un infuso di erbe per farmi dormire. Ha funzionato. Sto sognando. Sono incubi. Ma sempre meglio dei deliri. “ diceva ancora Marika.
 
 
 Marika cominciò a piangere e a singhiozzare. Diceva che ad un tratto fu strappata dai suoi incubi da ladri e saccheggiatori e barbari, che erano venuti ad uccidere i suoi genitori. Ad un certo punto una bambina si avvicinò a lei….aveva i vestiti sporchi di sangue e i capelli rossi come il fuoco, sembrava un demone….
 
 
 
La guardò e allungò una mano al suo viso, mentre Marika in stato di semi incoscienza si rendeva conto a malapena di quello che stava succedendo. Aveva gli occhi semi – chiusi in una smorfia di dolore per la malattia che la stava consumando. Non poteva muoversi.
 
La bambina aveva lo sguardo allucinato, le toccò la guancia e all’istante la sua espressione cambiò. Aggrottò la fronte e le toccò la sua. La sua espressione si fece stranita e sorpresa, mentre Marika continuava a gemere in preda al dolore.
 
 
 
 
“Lei lo sa….” Disse Marika. “Sa che sto morendo.”
 
“Marika, adesso basta, TI ORDINO di svegliarti” disse Robert che non aveva nessuna intenzione di assistere alla cronaca della morte della ragazza, di ascoltare come questa bambina l’avrebbe finita.
 
“NO, non farmi svegliare….lei vuole…vuole curarmi….” Disse Marika.
 
Robert rimase basito. Questa cosa non se l’aspettava.
 
 
Marika raccontò di come la bambina mise la mano sulla sua fronte e all’improvviso accadde qualcosa, una luce si sprigionò dal suo palmo, Marika emise un sospiro di sollievo, poi la bambina le toccò la tempia con l’indice e la fece cadere in un sonno profondo.  A quel punto degli uomini stavano per entrare nella stanza…avevano la bocca sporchi di sangue, ma la bambina non gli permise di avvicinarsi.
 
“Questo bambino è morto, consumato dalla sua stessa malattia. Vi consiglio di non trasformarlo se non volete fare la sua stessa fine, sapete bene cosa fa il sangue di uomo morto” disse decisa.
 
Gli uomini sembravano dubbiosi.
 
“Potete avere i genitori, accontentatevi, come sapete la natura a volte è crudele” continuò la ragazzina.
 
Gli uomini acconsentirono uscendo dalla stanza. La bambina guardò ancora una volta il bambino nel letto e poi se ne andò.
 
 
 
 
A quel punto Marika disse di essersi svegliata in un bagno di sudore, e di aver cominciato a piangere, nel suo meraviglioso letto a baldacchino.
 
A quel punto Robert insistette più a fondo nella pratica del risveglio, e Marika si svegliò. Sudata, pallida e tremante.
 
 
 
“Il ragazzino malato non eri tu” disse Robert pensieroso.
 
“No, io l’ho sognato, ma non sono davvero io ad averlo sognato. Forse vedevo il futuro” 

 
La tragedia cominciò ad arrivare quando Marika disse che era sicura, o quasi sicura, che la bambina dai capelli rossi, fosse Alisea.

E quando disse che pensava che il ragazzino pallido e morente fosse ALAN, Zaffiro uscì direttamente fuori di testa.
 
 
 

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Capitolo 34
*** Zaffiro si arrabbia con Marika ***


“Ti rendi conto di quello che puoi provocare con le tue parole?” la aggredì infatti Zaffiro.

“Zaffiro..io..” cercò di difendersi Marika.

“Ti rendi conto dello shock che rischi di dare loro?? Stai dicendo ad Alisea che è un demone che fa del male alla gente! A mio fratello hai appena detto che stava morendo di tumore!!” disse Zaffiro scioccato e infervorato.

“Ragazzo, forse dovremmo..” cominciò il preside.

“No! No! Mia sorella pensa di essere maledetta, a causa di quello che lui ha detto in classe sui bambini dai capelli rossi e ora…” disse Zaffiro. La rabbia per quell’ingiustizia tornava prepotentemente, soprattutto vedendo Alisea che stava per piangere di nuovo.

“Cosa? Quindi ora sarebbe colpa mia? Ma certo! È tipico dei ragazzini infantili prendere una normale lezione di storia come un fatto personale e anche molto egocentrico, lasciatemi dire!”

“Vi prego, concentriamoci su..” diceva il preside, cercando di riportare la calma.

“Ti sei inventata tutto quanto! Di sicuro hai fatto il lavaggio del cervello a lui e a lui, per fargli solo credere di vedere certe cose..” disse Zaffiro fuori di sé.

“Ehi, mi stai dando del suggestionabile, ragazzino? Ti dico che sono stato in quello studio!”

“Questo non vuol dire che lei non si sia inventata tutto! Secondo me ha inventato la storia del ragazzino malato e della bambina demone solo per attirarel’attenzione!”

Come osi pensare che mentirei su mio padre??” disse Marika, che si stava davvero arrabbiando.

“ E tu come osi dire che mia sorella aveva una runa malefica sul braccio!!” perchè tra le altre cose, Marika aveva ammesso che il giorno della visione di Alan, le era sembrato di vedere uno strano segno sul braccio di Alisea..simile a una runa.

“Ce l’aveva, ti dico! Io l’ho vista!”

“Tu ti fai di qualche fungo allucinogeno e secondo me l’hai passato anche a loro! Altro che psicanalista fantasma!!” disse Zaffiro sempre più fuori di sé.

“Adesso basta! State zitti! Non tollero questo comportamento!” disse il preside, cercando di riprendersi la sua autorità, ma Zaffiro non voleva mollare.

“Zaffiro, per favore, non esagerare..” disse Alan.

“No! Il fatto che tu abbia una cotta per questa tipa, non ti autorizza a farti imbambolare e a credere a tutto quello che ti propina!!”
 
Ci fu un attimo di silenzio davanti a questa ennesima sfuriata.

“Zaf, ma che cazzo dici?” disse Alan stralunato.

Marika fissava entrambi, senza parole.

“Beh, perché non è vero? Ammettilo! Lei ti piace!” disse Zaffiro arrabbiato, mentre Alan cercava ancora di riprendersi dallo shock. Zaffiro era forse geloso di Marika?

“Zaf, cerca di ragionare..per favore..” si intromise Alisea con voce calma, mentre Alan si metteva le mani tra i capelli.

“Non voglio ragionare. Voglio che chiudiamo con questa storia assurda. Preside, ci scusi, ma noi…se possibile vorremmo ritornare in classe.” Disse Zaffiro, prendendo sottobraccio Alan da una parte e Alisea dall'altra.

Alan guardò Zaffiro come se fosse una sottospecie di strana giraffa. Non si era mai comportato così prima d’ora.

“Stai alla larga da mio fratello.” disse poi rivolto alla biondina che non sapeva cosa altro dire.

“Un momento, giovanotti. Non crederete di tornare a fare lezione in queste condizioni, vero?” disse il preside.

I ragazzi lo guardarono stralunati.

“Sarà meglio che..voi tre tornaste a casa con il pullman delle 09:30. Avete un’aria decisamente sconvolta per tornare in classe. Ci vediamo domani per riparlare di questa vicenda. Arrivederci.” Disse il preside, sorpassandoli, accanto al professore.

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Capitolo 35
*** Momento tenero in camera tra i due fratelli ***


Zaffiro, Alan e Alisea non riuscivano a crederci. Erano appena stati consigliati di marinare la scuola, da un preside. Se l’avessero raccontato, non ci avrebbe creduto nessuno.

“Perché? Tutta la storia che ci hanno raccontato? Non è forse ancora più assurda? Lo psicanalista fantasma..” borbottò ancora Zaffiro, mentre, con i loro zaini, aspettavano l’arrivo del pullman che stava arrivando. Per fortuna erano riusciti a prenderlo in tempo.

“Non ti sembra di aver un po’ esagerato con lei? È pur sempre una ragazza..” disse Alan, mentre il pullman si fermava davanti a loro.

Zaffiro ridacchiò. “Senti come difende la sua ragazza..”

“Non è la mia ragazza!!” si infervorò Alan. “E tu sei sempre stato un gentiluomo con le ragazze! Non ti sei mai comportato così. E hai fatto fare una figuraccia anche a me, te ne sei almeno reso conto??”

“Figuraccia? Perché?” chiese Zaffiro stranito.

Alan sbuffò. “Le hai detto che ho una cotta e ora pensa che è così.”

“Perché? Non è vero?”

“NO!!” sbottò ancora Alan. Zaffiro parve sollevato da questo.

“Meglio così. Porta problemi.” Disse.

Alisea finalmente disse anche lei la sua.

“Non possiamo fingere che non ci siano troppe cose strane in questa storia..avete detto anche voi che si comportava stranamente con la professoressa quando la vide la prima volta..” disse Alisea.

(vedere cap 16 )


“Ali, con molta probabilità, il profesor White è d’accordo con Marika. Non so chi dei due abbia cominciato questa follia, ma l’altro gli tiene le parti..” disse Zaffiro.

“ E il motivo sarebbe?” chiese Alan.

Zaffiro scrollò le spalle.

“Probabilmente sono pazzi..oppure hanno un qualche interesse a creare tutta questa storia assurda..chi lo sa..”

“Ma perché non dare loro almeno il beneficio del dubbio? Se perfino il preside ci crede..”

“Alan, il preside è innamorato del pipistrello gigante e crederebbe anche che il pianeta è governato da Xenu, se venisse dalla bocca di White. E poi..vuoi davvero credere a cose come reincarnazione, vite passate, psicanalisti fantasmi? È da folli.”

“Quindi io sarei un folle secondo te…quella visione me la sono inventata..” disse arrabbiato.

Zaffiro lo guardò, boccheggiando.

“Forse stavi facendo un sogno a occhi aperti..non sai cosa..”

“Vaffanculo, Zaffiro.” Disse Alan, considerando chiuso l’argomento.
 
 
 
 
 
 
 
*

Quando erano tornati a casa, si erano inventati con la zia, che avevano subito un’intossicazione da cibo vaariato e quindi erano stati mandati a casa. La zia sembrò non fare domande.

I due fratelli erano sdraiati sul letto di Zaffiro, mentre la sorellina giocava al computer.

Ad Alan era passata l’arrabbiatura e ora quello che rimaneva, era lo stupore per come si era comportato Zaffiro.

“Dai..parlami ancora di quella visione..dimmi dell’affetto che provavi per me..” lo stuzzicava Zaffiro.

“Fottiti..” disse Alan imbronciato. Non avrebbe dovuto raccontarglielo. Ora lo avrebbe preso in giro  a vita.

Zaffiro sorrise e si voltò a guardarlo negli occhi.

“Fratelli anche in un’altra vita eh? Cerca di ricordare altro, mi piacerebbe sapere come ci siamo incontrati. “

Alan si volse a guardarlo stupito.

“Conoscendoti..di sicuro ci siamo conosciuti perché sei inciampato su un sasso e mi sei caduto addosso.” Rise Zaffiro.

“Quanto sei idiota..” disse Alan, nascondendo la testa sul suo braccio coperto dalla felpa.
 
Non alzò più la testa per un po’. Rimase così, inspirando l’odore della felpa del fratello. Era confortante. Sapeva di..casa.

Zaffiro rimase fermo, sorridendo e guardandolo. Alan poteva sentire il calore venire dal corpo di Zaffiro. Calore umano.

Senza quasi rendersene conto – o forse se ne rendeva conto e questa era la parte peggiore – alzò la testa per appoggiarsi al collo di Zaffiro.

Sentiva il bisogno di un contatto più fisico con Zaffiro.

Si perse nel suo odore e nei pensieri..non aveva avuto il coraggio di dire a suo fratello che pensava di essere innamorato nel sogno..e poi Zaffiro non credeva a questa storia..a cosa sarebbe servito dirglielo se non farsi dare dell’incestuoso perché amava suo fratello? Zaffiro non avrebbe mai creduto al fatto che lo fosse solo nel sogno e non c’entrasse niente la realtà e anche così gli rimaneva un vago sentore di colpa…

“Alan, cosa fai?” chiese Zaffiro perplesso.

“Cosa?” boccheggiò Alan. Che Zaffiro sapesse leggere nel pensiero?

“Sembravi..ansimare..” disse Zaffiro confuso..e forse imbarazzato?

“Io…mal di pancia..” disse Alan, mentendo, tenendosi la pancia. Che stupido che era stato. Che cosa gli era preso? Si era perso a inspirare il suo odore. Che vergogna.

Per fortuna Zaffiro sembrò cascarci, ma per orrore suo, allungò la mano per mettergliela sulla pancia.

“Provo a farti un massaggio..”

“Cosa?? NO!!”cercò di ribellarsi Alan.

Ma Zaffiro non lo ascoltò e cominciò a massaggiarlo piano con le sue mani calde.
 
Alan cercò di mostrarsi tranquillo e di rllassarsi. Le mani di Zaffiro erano calde, premurose..lo facevano sentire bene. Pensava a questo mentre, cercava di controllare il suo battito cardiaco. Da un certo lato era contento che Zaffiro si interessasse anche a lui, in termini di attenzioni..finora era sempre stata Alisea quella ad avere tutte le attenzioni.

Zaffiro era premuroso..attento e forte e dolce. Il fratello ideale. Non pensava di essere così disperato per volere...cosa? Coccole da lui? Cosa?
 

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Capitolo 36
*** Marika si sfoga con Clère e Stefano ***


Marika si sentiva così disperata per quello che era successo e per la rabbia di Zaffiro nei suoi confronti, che si mise a chattare con Clère su Facebook, raccontandole per filo e per segno quello che era appena successo.

Nella conversazione poi, si inserì anche Stefano, che subito si mostrò infastidito.

“Ma che uomo è, quell’Alan? Quello scemo di suo fratello ti offende e lui non apre bocca?? È più innamorato del fratello, te lo dico io. Devi lasciarlo perdere!!”

Marika rise tra sé e sé. Stefano sembrava quasi geloso e la cosa le faceva molto piacere.

“In fondo Zaffiro ha fatto bene ad arrabbiarsi. Quelli sono i suoi fratelli e io ho detto delle cose davvero terribili su di loro. voleva solo proteggere la sua famiglia. Ma allora voi mi credete?”

Clère e Stefano erano perplessi sulla storia ma erano molto curiosi e volevano che Marika li portasse in questo luogo misterioso.

Marika era molto contenta di avere dalla sua parte degli amici che le credessero.

Si chiese se era vero che Alan aveva una cotta per lei. Probabilmente no. Zaffiro vaneggiava. Era vero poi che considerava Alan un bel ragazzino, ma..si sentiva attratta anche da Stefano.

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Capitolo 37
*** Lui vi aspetta ***


L’indomani a scuola, Zaffiro, Alan, Alisea e Marika erano stati convocati dal preside e dal professor black nello studio del preside.

“Mi raccomando, ragazzi. Devo chiedervi di non parlare di quello che è successo ieri.  Non vogliamo che la scuola mormori. In particolare non vogliamo che si pensi che il docente scolastico faccia uso di droghe, allucinogeni o cose varie. Noi tutti dimenticheremo questa faccenda e torneremo alle nostre vite, ok? Fareste meglio a farlo anche voi.” Disse il preside.

I ragazzi si guardarono imbarazzati, ma annuirono.
 
 
Durante le lezioni scolastiche, comunque, Zaffiro venne avvicinato inaspettatamente da Clère.

“Zaffiro, posso parlarvi?” chiese timidamente.

Zaffiro si scambiò un’occhiata in tralice con Alan.

“Marika ha già fatto la spia, vedo.” Disse Zaffiro.

“è mia amica. Mi ha raccontato quello che è successo.”

“Beh, meno persone sanno di questa situazione imbarazzante, meglio è!” disse Zaffiro.

“Lo sa anche Stefano.”

“COSA??”

“Ascoltate. Marika è letteralmente scoppiata a piangere al telefono. Ci ho parlato per un’ora. Non ha mentito, ve lo posso assicurare. Per lei è stata dura tenersi questo segreto per così tanto tempo.”

“Clère, non crederai a questa storia? Alla storia dello psicanalista fantasma?? È assurdo.” Disse Alan sbalordito.

“Ma anche il professor black ci è andato!!”

“Oh, avanti, Clère, quanto sei ingenua!! Marika può essersi benissimo inventata tutta questa storia assurda e essersi messa d’accordo con black che si sarebbe perfino inventato tutta la montatura del sogno, per tirare uno scherzo crudele a mio fratello! Tra l’altro, se l’era presa anche con Alisea qualche giorno fa!”

“E quindi è una coincidenza il fatto che Alan li abbia incontrati entrambi lo stesso giorno in quel posto?” ripetè Clère ostinata.

“Non lo capisci?? Si sono messi d’accordo! Il biglietto da visita che Marika avrebbe perso? È stata tutta una messinscena!”

“Come sapeva che Alan l’avrebbe seguita??”

“Ha voluto rischiare!!”

“Ah sì? E il motivo di questa sceneggiata quale sarebbe?”

“Sarebbe che vuole attirare l’attenzione di mio fratello!” disse Zaffiro arrabbiato, ma Alan lo bloccò.

“Zaffiro, smettiamola con questa storia, per favore.”

“Sì, smettiamola.” Disse Marika arrivando all’improvviso.
 
Si voltarono tutti verso di lei. Al suo fianco , c'era anche Stefano, che guardava tutti con sguardo arrabbiato.

“Se non mi credete, venite con me, oggi pomeriggio, nel famoso studio. LUI mi ha detto di dirvi che VI ASPETTA.” Disse.

















Note dell'autrice: 

ragazzi, volevo dire a tutti che molto probabilmente cancellerò questa storia, ma non perchè non ricevo recensioni, ma perchè sta diventando davvero un casino..non mi piace come l'ho strutturata, i primi capitoli sono pieni di errori e contraddizioni e mi sono quasi pentita di aver inserito Alisea tra il gruppo di fratelli..mi dispiace ç_ç

MA ho intenzione di ripubblicarla..questa volta la scriverei più seriamente e approfondirei anche la bromance tra Alan e Zaffiro..se vorrete seguirmi, sto pensando se riscriverla praticamente subito e sarà molto diversa...un pò più matura, anche se certe cose non le cambierò!

In ogni caso fino a quando questo progetto non avrà una forma vera e propria, non cancellerò questa storia, tranquilli.

cmq non so neanche se questa cosa si farà..in caso avverto nelle recensioni

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