Un' Altra vita

di Pinzu97
(/viewuser.php?uid=1002145)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nessun thè per una storia ***
Capitolo 2: *** 1. la teoria del gatto ***
Capitolo 3: *** 3. Alza la voce ma non farti sentire ***



Capitolo 1
*** Nessun thè per una storia ***


                                    Nessun thè per una storia

 
 
 
Tutto ciò di cui ho bisogno è una tazza di thè e un po’ di quella musica che mia sorella definisce “casino da disagiati”.
Metto su un po’ di Breaking Benjamin e subito la porta della mia stanza si apre.
“La vuoi piantare? Sto studiando!” urla la bionda.
La guardo e le rispondo con un bel ghigno.
“Mamma!” inizia ad urlare, mentre io alzo sempre di più il volume.
Non faccio troppo caso agli insulti che mia sorella continua a lanciarmi da almeno dieci secondi, ma anzi le sbatto la porta in faccia.
O almeno così penso di aver fatto, quando invece la porta sbatte in faccia a me.
“Alexandra Irving!” urla stavolta mia madre.
Sbuffo massaggiandomi la fronte.
Possibile che ogni volta debba sempre essere colpa mia?
“Cosa c’è mamma? Adesso non posso neanche rilassarmi?” le ribatto.
Gli occhi grigi di mia madre sembrano mandare scintille di fuoco.
Ormai i suoi capelli lunghi, grigiastri e pettinati in una treccia danno segno della sua vera età e la fanno somigliare più o meno ad una strega.
“Alexandra non usare quel tono con me. Tu ora spegni il lettore CD e lasci tua sorella in pace. Domani deve dare l’esame d’ingresso alla scuola privata e tu non le impedirai questa opportunità!”.
Finalmente le due megere se ne escono da camera mia.
Sono rimasta sola: senza thè e senza musica.
Fuori piove e New York è un continuo traffico.
Le luci, i suoni, il caos: tutto invita ad andarsene da questa città.
Tutto tranne l’edificio dei disagiati.
Lì si che incontri persone vere: persone con una storia.
Persone che hanno tempo per ascoltarti e per raccontare.
Anche mio nonno andava lì spesso, ma ora non più.
Mia madre fortunatamente non sa niente di tutto questo: mi rinchiuderebbe in casa se sapesse con che gente mi frequento.
Intendiamoci: non ci sono drogati e non è neanche una comunità per disagiati.
Quell’ edificio in realtà non ha un nome. Ognuno lo chiama come vuole.
Io ho voluto chiamarlo “edificio dei disagiati” solo perché chiunque io abbia incontrato lì non sembra far parte di questo mondo: siamo persone diverse.
Non siamo ragazzi che hanno bisogno di eccellere; non siamo ragazzi maltrattati; non siamo persone sempre in corsa.
Siamo semplicemente noi.
Vorrei uscire, andare lì. Ma io sono in punizione perché la principessina Annabelle mi ha incolpato di averle rubato un ciondolo che neanche so come sia fatto e mia madre non accetta il furto.
Finché non le riconsegno il ciondolo non posso andarmene.
Le gocce sulla finestra della mia camera danno una strana forma alle luci della città.
Mi butto sul letto e piombo nel mondo dei sogni.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. la teoria del gatto ***


                                                                      La teoria del gatto

 
Camminare per andare a scuola non è proprio il mio genere di sport preferito, ma è anche l’unico che faccio dunque non mi lamento: infondo cosa potranno mai essere 40 minuti di camminata sotto la pioggia con le macchine che prendono apposta le pozzanghere per bagnarti e persone che si divertono a darti spallate?
Ho la cartella zuppa: a quanto pare sono spariti anche gli ombrelli da casa.
Ovviamente oggi Annabelle aveva il test e mia madre non aveva tempo per portare anche me a scuola.
Sono sola con un gatto che cammina al mio fianco.
Aspetta, un gatto? Un gatto sotto la pioggia?
Mi fermo ed il gatto con me.
So che questa decisione non coinciderà con il volere di mia madre, ma prendo il gatto e me lo metto nello zaino per poi correre a casa velocemente.
Arrivo con un gran fiatone: si, devo assolutamente iniziare a fare qualche tipo di sport!
“Ora tu rimani in camera mia e non fai neanche un rumore capito?!” detto ciò ritorno alla porta d’ingresso e corro a scuola.
Non è una mattinata come tutte le altre infondo: è il primo giorno di scuola, quindi è peggio delle altre.
Di certo arrivare in ritardo e beccarsi una sgridata dalla preside non era nei miei piani, ma sono riuscita ad ottenere una mia piccola vittoria.
“La prego preside. Mia madre non potrebbe mai sopportare tutto questo. Adesso è presa da mia sorella e non voglio causarle problemi” le dico.
Mi guarda maleficamente, come se volesse eliminarmi da quell’ ufficio.
“Bene, ma in cambio dovrai fermarti tre pomeriggi a settimana per ripulire la scuola. Siamo a corto di personale signorina Irving e non ci farebbe male una recluta”.
Detto ciò mi spedisce in classe.
Tiro un sospiro di sollievo.
“In ritardo anche tu eh?!” dice qualcuno alle mie spalle.
Nel tentativo di girarmi, una ciocca dei miei lunghi capelli neri finisce sui miei occhi accecandomi per un secondo.
Il ragazzo che mi aveva parlato poco fa è sparito.
Mi guardo ben intorno, poi decido di non sprecare altro tempo.
Letteratura americana mi aspetta.
Appena apro la porta mi ritrovo gli occhi di tutti puntati sui di me, i miei capelli completamente bagnati, ed i miei vestiti di seconda mano zuppi di acqua.
“Vada a sedersi signorina!” m’invita un nuovo professore.
Non l’ho mai visto prima: giovane e di bel aspetto.
Ovviamente, come se la giornata non fosse iniziata già male, mi aspetta il primo banco vicino alla cattedra: l’unica fortuna è che non ho vicini di banco.
Tiro fuori il volume di letteratura ed inizio ad ascoltare il professore.
“Bene ragazzi. Io non sono qui per insegnare, quanto per scambiare con voi ogni sorta d’informazione riguardante la cultura americana. Sia  gli aspetti fondamentali, sia quelli più nascosti e lugubri. Perché non parlare di Sleepy Hollow o delle streghe di Salem?” chiede e fissa i suoi occhi verdi nei miei grigio perla.
Sembra quasi io gli faccia paura perché distoglie subito lo sguardo concentrandosi sul resto della classe.
“Bene, signorina ritardataria: posso sapere il suo nome?” domanda.
 
“Alexandra Irving” rispondo un po’ scocciata.
Insomma, quante volte ancora dovrà sottolineare il fatto che sia arrivata in ritardo?
“Irving come il noto autore! Immagino lei sappia chi io stia menzionando” ribatte.
Sembra quasi mi stia sfidando.
“Washington Irving autore pazzo che parla del mistero di sleepy hollow nel suo orribile libro tHE SKETCHBOOK” rispondo amara.
Non si sente fiatare una mosca.
“Forse lei ritiene quest’opera letteraria orribile solo perché non sa leggere” risponde il professore.
Mi sento veramente ferita nell’orgoglio e tutto questo m’ inviperisce.
Finito di criticarmi il professore inizia a parlare dei Pilgrim fathers e la lezione continua per due lunghe ore.
Al termine esco in corridoio alla ricerca di una testa azzurra. Eccola!
Inizio a sbracciarmi finché  non mi nota.
“Alex!” urla la mia migliore amica venendomi incontro ed abbracciandomi e trascinando con lei il suo profumo di sigaretta.
“Hey!” dico allontanandomi dal suo abbraccio.
“che fine hanno fatto i piercing? E il tatuaggio alla tempia?” chiedo allarmata.
“Sai come sono i miei. Mi hanno fatto togliere tutto. Persino il tatuaggio con un’operazione laser!” dice.
Scoppio a ridere: “La mitica Michelle che si lascia sottomettere da mamma e papà!”.
Mi guarda torva.
“Beh io almeno non sono confinata in casa mia!” ribatte.
Questa affermazione mi riporta alla mia misera realtà da disagiata.
Odio quella casa e le persone che ci sono dentro.
Infondo quella non è neanche la mia vera famiglia.
Si beh, essere adottati è una cosa per cui bisognerebbe essere riconoscenti per tutta la vita, ma la mia madre adottiva e mia sorella me ne fanno pentire ogni giorno.
“Ho saputo di tuo padre quando ero a San Diego. I miei hanno telefonato, ma non potevo lasciare il lavoro” continua Michelle.
Lei ha il potere di condizionarmi l’umore ed in questo momento mi sento vuota.
“Non voglio parlarne” rispondo.
Si accorge di aver fatto un errore a parlarmi di lui, fatto sta che cambia subito argomento.
Finiamo per ritrovarci sotto i portici a fumare.
“Sai non è cosa da tutti i giorni sapere che tuo padre si è suicidato” dico fuori dal nulla.
“Oh Alex, non devi abbatterti. S e tua madre e la polizia non vogliono dirti niente riguardo al caso, beh allora troveremo qualcosa per i cavoli nostri” dice lei.
La pioggia non smette neanche per un secondo di cadere da quel cielo tenebroso.
“Non puoi inventarti una scusa con tua madre e dirle che oggi ti devi fermare a scuola cosi poi esci con me?” mi domanda Michelle facendo gli occhi dolci.
Esalo l’ultimo tiro di sigaretta.
“Mi dispiace ma devo starci davvero qui a scuola” ribatto per poi spiaccicare la cicca sotto la scarpa e rientrare seguita dalla mia migliore amica.
Purtroppo le lezioni riprendono fino alle due, quando me ne esco con lo zaino in cortile a fumare, ma la preside mi blocca.
“Signorina Irving lasci pure il fumo ad un altro momento. Le aspettano varie classi al quarto piano da riordinare” .
Il suo sguardo malefico m’impedisce di ribattere: sono alla sua mercé .
Salgo le scale fino al quarto piano. Mi sembra di aver perso un polmone nel tragitto.
 
“Ah tu sei la ragazzina. Bene. Lì c’è lo straccio ed i detersivi. Buona fortuna”.
Mi guardo intorno: non sono mai venuta quassù.
La prima classe sulla mia destra è la 5^E . Prima di mettermi al lavoro guardo la cartina del piano.
Perfetto, mi aspettano all’incirca dodici classi e tre bagni.
“Problemi?” mi volto.
Un tizio si è appena seduto sulla cattedra.
“Vattene devo pulire” rispondo acida.
Adesso non ho certo tempo per degli scherzi stupidi e battute idiote.
“Hey volevo solo aiutarti!” mi dice.
“Bene aiutami sparendo da questo piano”.
Ed in pochi secondi lui è fuori.
Inizio a pulire i banchi e poi la lavagna ed infine la cattedra.
Certo che le finestre di quel piano sono davvero grandi.
Alle cinque finisco il mio lavoro: i bagni sono stati veramente la parte più tragica!
Mi appoggio contro il muro sbuffando.
Guardo un attimo la mappa e vedo che ci sono delle scale sulla mia sinistra che sono indicate.
Mi guardo attorno.
In realtà alla mia sinistra c’è una porta, ma non si apre.
“Hey ragazzina io scendo al terzo piano. Tra mezzora devo chiudere i cancelli. Sbrigati a finire” mi dice improvvisamente la bidella spaventandomi.
Possibile che ogni persona debba arrivare di soppiatto alle mie spalle?
La osservo scendere le scale e poi riprovo ad aprire quella porta.
“Hai bisogno di questa?” il tizio di prima appare al mio fianco.
“Possibile che tu sia sempre qui?!” urlo.
Lo vedo arrabbiarsi: la sua faccia ha un’espressione orribile.
“Bene ciao”. E se ne va.
Rimango di stucco.
Ma che giornata strana è mai questa?
Prendo lo zaino ed esco da scuola.
La pioggia sembra non avere mai interruzione.
In mezzora raggiungo casa.
“Ma dove sei stata?” sono le parole accoglienti di mia madre che mi strilla contro.
“Ti aspettavamo per pranzo per festeggiare l’ingresso di tua sorella alla scuola privata dato che ha passato il test. Ma tu ovviamente non c’eri! Possibile che devi sempre creare disastri?” urla.
La fisso immobile.
“Complimenti” aggiunge la bionda dietro di lei.
“Dobbiamo fare dei servizi sociali a scuola” rispondo.
Le odio davvero tanto.  Per mia madre esiste solo la bionda: io sono solo un mostro.
“Cos’hai combinato stavolta per dover fare servizi sociali?!” urla ancora.
Ha l’aria stravolta.
“Niente. È un progetto di classe” ribatto.
Tolgo le scarpe e corro in camera non stando più a sentire né lei né la bionda.
Vorrei solo scappare da quella casa.
Apro la porta e subito calpesto una cacca.
Mi sono completamente scordata del gatto!
Lo vedo scendere da sopra il mio armadio ed iniziare a miagolare: questa non ci voleva.
“Devi stare zitto se no ti scopriranno sh!” sussurro.
 
Lo prendo in braccio e inizio a coccolarlo.
Finalmente smette di miagolare e inizia a fare le fusa.
Mi butto sul letto con lui.
Devo assolutamente pulire.
Cambio i calzini e tolgo lo sporco dalla camera.
“Tu non hai ancora mangiato vero?” chiedo più a me stessa che al gatto.
Proprio in quel momento mia madre urla “A tavola!”.
Sbuffo e mi alzo.
Lascio il gatto in stanza e chiudo la porta.
Durante la cena mia madre non fa altro che lodare  Annabelle e la sua intelligenza e bellezza, senza scordare di mostrare la sua divisa.
“Si brava complimenti!” ribatto acida.
Fortunatamente le due sono talmente prese dalla loro discussione che non si accorgono di niente mentre metto il pollo in un tovagliolo di carta.
“Bene io vado a dormire” dico alzandomi.
Mi lanciano uno sguardo di poco interesse e le abbandono alle loro chiacchiere.
Entro in camera e dò da mangiare al gatto.
Lo osservo mentre si sbaffa tutta la mia porzione di pollo.
“Ti chiamerò Einstein perché mi sembri un gatto intelligente” dico.
Lo accarezzo e sorrido.
Un rumore però mi disturba: possibile che la pioggia sia tanto arrogante?
Mi affaccio alla finestra: il ragazzo della scuola!
Perché diavolo sta lanciando sassi alla mia finestra?
Apro e un vento gelido mi colpisce in faccia insieme a tutta la pioggia.
“Che vuoi?” gli dico.
“Scendi!” ribatte lui.
Chiudo e sbuffo. Ma quel ragazzo è proprio uno stalker.
“Mamma mi sono scordata che oggi è il mio turno di portare la pattumiera!” dico prendendo la spazzatura e uscendo velocemente di casa.
“Che vuoi?” urlo al ragazzo.
“Stai calma, voglio solo il mio gatto” dice lui.
Lo guardo spiazzata.
Sta scherzando spero. Come fa a sapere che ho un gatto? E soprattutto che sia il suo!
“Ma cosa dici?” ribatto.
“Senti tu hai il mio gatto” continua lui.
“Come fai a dirlo?” chiedo curiosa.
Questa storia è davvero strana.
“Il mio gatto non andrebbe mai via di casa, soprattutto non starebbe mai a casa di uno sconosciuto. A meno che questo sconosciuto non sia come me!” risponde.
Questo tipo dev’essere un pazzo.
“Che cosa intendi dire?” chiedo spaventata.
“Niente. Ridammi semplicemente il mio gatto se rivuoi indietro il ciondolo di tua sorella!”.
Okay, questa è una minaccia bella e buona.
“Senti tu sei fuori di testa. Stai lontano da me e dalla mia famiglia e non presentarti mai più a casa mia!”.
Torno su in casa lasciandolo fuori da solo.
Sono spaventata e inorridita. Quel ragazzo continua a perseguitarmi e deve smetterla.
“Non dovevi buttarla la spazzatura?” mi richiama la bionda.
“la pioggia è troppo forte!” ribatto.
 
Sbuffo e lancio la pattumiera da parte correndo a chiudermi in camera.
Una giornata davvero strana quella di oggi: spero solo domani vada meglio.
 
 
 
************************************************************************************
 
 
Lo sperare in una giornata migliore di certo è chiedere troppo: sembra quasi che la vita voglia farmela pagare per tutti gli sbagli commessi.
“Non sono stata io preside glielo giuro” ribatto alzando gli occhi al cielo.
“Beh signorina Irving le iniziali sono le sue. Questa è una prova fin troppo evidente!” urla lei di rimando.
“Le pare che io sia tanto stupida da commettere un reato e firmarlo pure?” urlo a mia volta.
Sono sconvolta: qualcuno è entrato nella scuola subito dopo che io ho finito di pulire e ha pensato bene d’imbrattare con le bombolette spray tutto il pavimento del quarto piano con un disegno di una prostituta fumatrice e ovviamente la colpa è subito caduta su di me, dato che il graffito era firmato AL. IR.
“Beh in effetti è alquanto strano. Ma lei era l’unica ieri presente al quarto piano. Per stavolta passa, vedremo di scoprire che cosa è successo. In ogni caso si fermerà anche oggi pomeriggio per pulire quell’ obbrobrio!” detto ciò la preside mi spedisce fuori dall’ufficio.
Appena esco vedo lo sguardo degli altri ragazzi, seduti in attesa del loro turno, scrutarmi con attenzione.
Odio questa scuola, questa città e questa gente.
Vorrei solo tornare all’edificio dei disagiati e invece sono bloccata qui.
“Ma che cavolo hai fatto?” urla la mia migliore amica in un misto tra preoccupazione e ammirazione.
“Michelle ti pare io possa aver fatto una cosa del genere?!” ribatto alquanto scossa ed infuriata.
Neanche la mia migliore amica mi crede più, lei che mi conosce più di tutti.
“Beh in ogni caso appena lo scopre Samantah tu sei in dei guai belli grossi” ribatte.
Mi volto a fissarla negli occhi con sguardo interrogativo: “che c’entra quell’ oca adesso?!”.
“Come che c’entra? Le hai fatto un vero e proprio ritratto solo versione prostituta e ti sei pure firmata!” mi spiega.
Adesso capisco perché tutti i ragazzi in quella scuola continuano a fissarmi.
Capisco perché mi scrutano con terrore e ammirazione: quel graffito è il più grande insulto alla persona più famosa tra gli studenti.
Chiunque mi abbia messo in mezzo a questo casino finisce male!
“Michelle devi aiutarmi. Qualcuno sta provando ad incastrarmi!” le dico.
Ma ecco che un suono di tacchi fa ammutolire tutti i presenti.
Sento un brivido salirmi su per la schiena.
“Guarda, guarda. Una povera ragazza adottata di terza che insulta me, la regina di questa scuola. Ma chi cavolo ti credi di essere?” sibila una voce alle mie spalle.
Michelle deglutisce rumorosamente e mi volto a fissare in faccia la rossa con le tette mezze di fuori.
“Io non ho fatto proprio niente!” le dico di rimando.
“Che c’è? Prima ti firmi e poi scappi? Ti sei messa contro la peggiore dei tuoi nemici bimba. Guardati intorno d’ora in poi, perché questo è il mio territorio e tu lo hai appena invaso. È guerra!” mi urla.
Sculetta via seguita da un povero ragazzo di prima con in spalla il suo zaino.
 
Se quell’ oca vuole la guerra allora l’accontenterò. L’unico problema è che sono io contro tutta la scuola.
Prendo Michelle a braccetto e andiamo insieme verso la classe.
Tutte quelle occhiate mi spaventano.
In classe mi sento un po’ più al sicuro, eppure le ore di lezione sembrano passare troppo velocemente.
Inoltre oggi termino le lezioni alle quattro del pomeriggio e devo fermarmi per pulire quel graffito che occupa tutto il corridoio.
A pranzo aspetto che i corridoi si svuotino per poi andare in bagno e chiudermi lì a mangiare: non sono così stupida da andare in mensa a mangiare.
Sicuramente l’oca mi aspetta per bullizzarmi.
Mi chiudo bene in bagno ed inizio a mangiare e dopo il panino fumo anche una sigaretta: mi serve a calmare i nervi.
Guardo la luce pallida invadere le piastrelle del bagno. Sono completamente sola, o così penso.
“Hey piccola, problemi?” riconosco istantaneamente quella voce.
Le mie giornate sembrano solamente un incubo di questo periodo.
“cosa vuoi? Sbagliato bagno? Sai questo è per le donne. E poi credevo di aver chiuso!” ribatto.
“Lo sai cosa voglio. E stai tranquilla dovresti conoscere bene la mia dote di riuscire a sgattaiolare in qualsiasi posto” risponde.
Lo fisso.
Ha questi capelli castani continuamente spettinati che sembra si sia appena svegliato, gli occhi color miele che sembrano sempre divertiti e delle gambe davvero lunghe: probabilmente è alto un metro e novanta.
Fortunatamente non è troppo magro se no sembrerebbe una ridicola spiga di grano.
Quello che mi colpisce è il suo piercing al sopracciglio destro.
“Senti tu sei davvero uno psicopatico. Io non ho il tuo gatto e devi smetterla di stalkerarmi!” .
Lui inizia a ridere e si volta a guardare fuori dalla finestra.
“Io ho bisogno del mio gatto indietro e se non me lo dai con le buone allora devo ricorrere ai metodi cattivi. Sono stato fin troppo buono con quel graffito. Alla fine non ottieni mai una vera e propria punizione. Non è per niente divertente!” dice lui ghignando.
Cerco di rielaborare i dati e l’unica parola che mi viene in mente è: Stronzo!
È tutta colpa sua!
“Tu sei pazzo! Mi spieghi perché quel gatto è tanto importante? Non lo avresti lasciato da solo per strada se ci tenessi tanto a lui! Quindi fammi un favore e sparisci dalla mia vita!!” urlo.
In quel momento si spalanca la porta del bagno.
“Eccoti qua. Sai, ti cercavo!”  m’interrompe Samantah.
Ho ben poco da scappare dato che si è accerchiata di tre ragazze, una delle quali sembra un armadio.
So già cosa mi aspetta e mi dò della stupida per aver scelto il bagno come nascondiglio.
Mi giro verso il ragazzo, ma lui si è completamente volatilizzato.
La finestra è aperta.
“Preparati. Non sarò indulgente con te!” ghigna la rossa.
Mi prendono per i capelli e mi mettono la testa nel water tirando ripetutamente lo sciacquone e gettandovi dentro carta igienica e assorbenti trovati nel cestino.
“Bene e sappi che questo è solo l’inizio” conclude la rossa ghignando.
Finalmente escono lasciandomi stesa sul pavimento del bagno, da sola e completamente sporca.
La mia vita fa decisamente schifo.
Sento la campanella suonare: penso salterò la prossima ora.
 
Appena vedo dalla fessura della porta che non c’è più un singolo individuo nel corridoio, esco e mi dirigo ai sotterranei.
Cerco di non farmi notare dalle bidelle.
Finalmente raggiungo le docce. Mi spoglio e mi metto sotto il getto d’acqua calda tenendo in mano i vestiti: hanno bisogno anche loro di una lavata.
Faccio scivolare via tutti gli insulti che lancerei a quell’oca e mi calmo.
Chiudo l’acqua e sospiro.
“Allora ti sei decisa a darmi quel gatto?” mi sorprende una voce.
“Possibile che mi segui fino a qui?” ribatto acida.
Non ho proprio voglia di vedere la sua faccia ed in più sono nuda sotto la doccia.
“Ti ho portato un asciugamano” è la sua unica risposta.
Me lo lancia dall’altra parte della tendina: adesso è anche gentile?
Mi asciugo e mi vesto velocemente ed esco dalla doccia.
“Sei tu che mi pensi ed ecco che io arrivo” aggiunge appena lo vedo.
Ha un ghigno insopportabile.
“Mi puoi spiegare perché fai tutto questo per un gatto? E come fai a sparire e apparire così improvvisamente? E cosa significa che siamo simili?!” le mie domande sono infinite ma m’incentro solo su quelle tre.
La sua presenza è insopportabile, ma deve chiarirmi molte cose.
“Quel gatto è mio e lo rivoglio e le altre cose te le spiegherò più avanti!” risponde.
Persino il suo essere così calmo mi dà sui nervi: non lo sopporto.
“Niente risposte, niente gatto” e detto questo mi avvicino alla porta di uscita.
Mi sento afferrare per il polso e tirare indietro. Le sue braccia mi cingono il collo come in un abbraccio.
Non sono più abituata a quel tipo di contatto con un ragazzo e arrossisco istintivamente.
“Qui l’unico che può dettare legge sono io. Ci vediamo oggi a scuola Alex” sussurra.
Sento un brivido lungo la schiena; le sue braccia si staccano dal mio corpo.
Non può trattarmi così! Mi giro per gridargli contro ma è scomparso.
Ecco a cosa è buono quel ragazzo: a scomparire. Sempre.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Alza la voce ma non farti sentire ***


2. Alza la voce ma non farti sentire

 
Quel pomeriggio non l’avevo visto e neanche le due settimane successive: finalmente ha deciso di scomparire per sempre dalla mia vita.
Vado in cucina e mi scaldo del thè.
Oggi è la giornata giusta per andare al rifugio dei disagiati.
Mia madre è fuori con delle amiche e la principessina si incontra di nascosto con un tizio molto snob: mi ha pregato affinché non lo dicessi alla mamma.
Bevo velocemente la tazza di thè, mi vesto ed esco.
Fuori il tempo è grigio, ma fortunatamente non piove.
Einstein mi guarda dalla finestra mentre mi allontano: quel gatto ha qualcosa di strano.
Percorro velocemente i tre chilometri che mi separano da quell’edificio e finalmente entro.
Non ci sono porte: solo rifugi in cartone, coperte, rimasugli di cibo, bottiglie e scale incomplete.
Salgo al sesto piano saltando agilmente le parti delle scale franate: sembra quasi di fare parkour!
“Alex!” mi accoglie un grido di gioia.
Anthony mi corre incontro e mi sorride.
“Finalmente! È da troppo tempo che manchi. Marte iniziava a dubitare che saresti tornata”.
Guardo il ragazzino e noto che ha una cicatrice sotto l’occhio.
“Che hai fatto?” chiedo un po’ imbarazzata; non voglio che pensi che sono un’ impicciona.
“Oh niente di che mi sono azzuffato con uno più grande” risponde ridendo.
Anthony ha la capacità di essere sempre positivo pure nelle pessime condizioni, quindi non riesco ad immaginarlo in una zuffa…deve esserci sotto qualcos’ altro.
“Marte!” urlo salutando il vecchio arrotolato in tre coperte.
“Oh piccolina sei tornata! Ho una storia per te” mi risponde con la sua voce rauca.
Mi avvicino e mi siedo per terra vicino a lui.
“Che ne dici di fare un po’ di fuoco?” aggiunge.
Mi alzo e aiuto Anthony a dar fuoco a degli stecchi in un barile.
“Bene ragazzi, questa è la storia di una creatura che vive al di là di questa terra. Una creatura che è racchiusa nei nostri pensieri e che ci culla in ogni istante!” inizia il vecchio Marte.
La storia è davvero intrigante ed  in alcuni punti sembra che Marte parli di un’esperienza che ha davvero vissuto.
La creatura di cui parla non ha un vero nome, dice che ognuno la definisce come vuole.
Dice che la creatura è in pericolo perché l’odio si è impossessato della maggior parte delle persone e non c’è più spazio per questa creatura che addolcisce il cuore.
E così si conclude la storia.
“Marte tu concludi le tue storie sempre in modo ambiguo. Cioè non si capisce mai come finiscano realmente!” ribatte scherzosamente Anthony.
Ma Marte non risponde, fissa un punto dietro le mie spalle così mi volto anche io e rimango a bocca aperta: non voglio crederci!
“Ciao Alexandra” dice.
Non capisco cosa ci faccia lui qui.
“Marte dobbiamo andare” aggiunge.
Fisso quegli occhi color miele che alla luce del fuoco sono ancora più caldi, ma sempre perfidi.
Il vecchio si alza.
“scusami ma chi sei?” chiede Anthony confuso.
Anche io non capisco.
Insomma come fa a conoscere Marte? Io non ho mai visto quello stalker da queste parti.
“Tranquilli ragazzi. Qui finisce la storia, sta a voi trovare un finale. Ora devo andare” risponde.
“Marte dove stai andando?” chiedo preoccupata.
“Non t’immischiare in cose che non ti riguardano” dice lo sconosciuto.
Non riesco a fidarmi di lui: ogni volta che appare succede qualcosa di brutto.
Mi alzo e gli corro incontro fino a buttarlo per terra con tutto il peso del mio corpo.
Lo afferro per il colletto della felpa.
“Tu non darmi ordini stronzo!” urlo.
Marte e Anthony ci osservano.
“Toglimi le mani di dosso ragazzina!” urla ribaltando la situazione per poi alzarsi e tirare in piedi anche me afferrandomi per i polsi.
I nostri sguardi s’incrociano e l’odio scorre profondo.
“Tu non porti Marte proprio da nessuna parte!” urlo.
E lui non fa altro che sospirare scocciato.
“Alex. Vieni qui” interviene Layla.
Non avevo notato ci fosse anche lei.
“No!!” ribatto.
“Alex devi venire qua da me. Lascia andare Marte. Samuel è un amico” ripete la donna dai capelli nero corvino.
Mi volto verso di lei. Sembra che tutti mi siano contro: io voglio solo proteggere il mio amico.
Marte mi si avvicina e mi abbraccia: “Alex, piccola, tu devi finire questa storia capito? Ora devo andare. Ti ricorderò sempre!” mi sussurra all’orecchio e mi stringe in un forte abbraccio.
Rimango immobile mentre lo stalker di nome Samuel e Marte si allontanano nel buio del palazzo.
Il tempo è fermo. Il silenzio è assordante.
Io non so raccontare le storie. Io non voglio e non posso finire la storia di Marte.
Io non saprei neanche se salvare quella creatura o farla morire nell’oscurità.
Ma sono io ora che mi sento avvolta nell’oscurità.
“Ora dovete andare” dice Layla risvegliandomi dai miei pensieri.
Io ed Anthony ci guardiamo.
Scendiamo insieme le scale, in silenzio, senza niente da dirci, o forse troppo di cui parlare per farlo realmente.
Una volta fuori dal palazzo Anthony sussurra “Ma che cosa è successo?”.
Anche lui è sconvolto come me. Non riusciamo a capire.
“Dici che domani rivedremo Marte?” mi chiede.
“Io…io non credo lo rivedremo più” ribatto.
Mi sembra quasi di rivivere la scomparsa di mio padre.
Le lacrime chiedono di uscire, ma la mia forza di volontà è più forte.
“Anthony devo andare” dico e gli sorrido.
Voglio che almeno lui sia tranquillo e non pensi a ciò che è successo oggi.
M’incammino velocemente a casa: la pioggia inizia a cadere prepotente.
Appena entro in casa le urla di mia madre si fanno sentire.
“Alexandra Irving!!! Dove diavolo sei stata? Ti ricordo che tu sei in punizione e non puoi uscire!”.
Sbuffo e decido di non degnarla di alcuna risposta.
“Signorina mi aspetto che tu mi risponda!” mi urla in faccia bloccandomi l’accesso alla mia camera.
“Dove diavolo mi pare!” le urlo di rimando “non ho dieci anni. So badare a me stessa!”.
Non finisco la frase che la sua mano si posa forte sulla mia guancia dandomi una forte sensazione di dolore.
“Ancora una volta e ti sbatto fuori da questa casa!” sibila.
Entro in camera e sbatto la porta.
È solo una megera. Non capisce niente! Io la odio!!!!
Stavolta niente mi trattiene dal piangere.
Voglio mio padre: mi manca troppo.
Einstein mi si avvicina ed inizia a leccare le mie lacrime salate.
Il suo gesto è così dolce che mi viene voglia di sorridere: lo prendo in braccio ed inizio a coccolarlo e mi addormento con lui tra le mie braccia.
 
 
             *************************************************************************
Oggi si terrà l’assemblea scolastica dove si affronteranno le quattro squadre di basket delle diverse scuole.
Io amo il basket, intendiamoci, ma i giocatori della nostra scuola sono dei veri gorilla insensibili che non fanno altro che creare problemi.
Inoltre una delle cheerleader tanto amate sarà quell’oca di Samantah, quindi sto supplicando mia madre di lasciarmi a casa, ma non c’è scusa che tenga.
Indosso i jeans neri, la canotta azzurra e sopra la felpa nera di mio padre.
Saluto Einstein lasciandogli una ciottola di croccantini sul tappeto ed esco.
Fuori c’è il sole: un po’ pallido, ma pur sempre luminoso.
Ricordo quando con papà nelle giornate di sole si andava fuori città, al lago e pescavamo fino a quando non tramontava e allora iniziavamo a montare le tende per campeggiare e lui mi raccontava quelle storie….storie simili a quelle che raccontava Marte.
Persa nei miei pensieri vado a sbattere contro qualcuno rimbalzando a terra.
“Scusami!” mi sento dire.
Alzo lo sguardo massaggiandomi il fondo schiena.
“Scusami…scusami tu. Io, ecco io non..” ma non mi lascia finire che mi porge la mano e mi aiuta ad alzarmi.
“Non ti ho mai vista da queste parti” dice e sorride.
Mi sento un’idiota. Neanche riesco a parlare!
“Io..io frequento l’ Arcadia” ribatto.
“Oh, allora per oggi saremo avversari” e sorride di nuovo.
In quel momento non capisco ma riflettendoci sopra realizzo che è il giorno dell’assemblea.
Quindi lui è un giocatore di una delle altre tre scuole.
“Senti ho la macchina qui parcheggiata. Vuoi uno strappo?” mi chiede.
Acconsento e rimango sbalordita a vedere quella cavolo di Jaguar nera lucida davanti ai miei occhi.
“Ehm si un po’ appariscente” scherza, notando la mia faccia.
“Ehm no, questa non è appariscente. Questa è fantastica, magnifica, potente!” urlo io emozionata.
“Dai sali!” dice ridendo.
Arriviamo a scuola in meno di dieci minuti: i più lunghi ed imbarazzanti della mia vita.
Lui continua a farmi domande ed io non faccio altro che stare zitta e muovere la testa per accennare ad un si o ad un no.
“Se ti chiedo il nome dici che mi farai sentire la tua voce?” scherza scendendo dall’auto.
“Alexandra Irving” dico.
“Oh la sorella di Annabelle! Siete così diverse!” risponde subito.
“Conosci mia sorella?” domando confusa.
“Certo siamo a scuola insieme e lei parla sempre di te. Ma ti credevo più strana e brutta per come ti descriveva” e si mette a ridere.
È così bello il suo sorriso: cioè, tutto di lui è bello.
“Beh si, non ho un buon rapporto con la mia sorellastra ahah” ribatto.
Chissà cosa dice quella principessina di me nella sua scuola.
“Quindi tu sei della scuola privata Franklin” continuo e lui annuisce.
Lo osservo: capelli corvini, occhi verdi, alto e muscoloso e un sorriso da 3.000.000 di dollari.
Ma cosa sto pensando? Insomma basta con questi pensieri da ragazzina in calore!
“Grazie del passaggio ora devo andare” dico cercando di fuggire da quella situazione imbarazzante.
“Oh si, però -mi afferra per un braccio- che ne dici di aspettarmi all’uscita?”.
“Mh ho da fare mi dispiace” e scappo.
Sono convinta che le mie orecchie stiano fumando da quanto sono calde.
Inspira, espira.
Ok, tutto passato.
Devo entrare!
“Alex!!!” mi corre incontro Michelle.
“Che ne dici di andare a fumare una sigaretta?” propone.
Andiamo sul retro della scuola e ci mettiamo a fumare e a parlare del week end.
Niente di particolare da entrambi i fronti.
Ma veniamo subito interrotte: “Scusami, potresti lasciarmi solo con Alexandra?” chiede a Michelle una voce ben nota.
La mia migliore amica neanche ribatte ma spegne la sigaretta, mi fa l’occhiolino e entra dentro.
“Ridammi il gatto” continua.
“Mi hai rotto con questa storia. Quel gatto è mio si chiama Einstein e tu non lo tocchi!” ribatto scorbutica.
Quel tizio, Samuel, mi fa venire un diavolo per capello ogni volta che ci parlo.
“Certo che si chiama Einstein, come altro volevi chiamarlo?!” urla di rimando.
“Che intendi?” chiedo sconcertata.
“Si chiama Einstein è il suo nome da quando è nato e nessuno glielo ha mai cambiato. Ma tu c’ hai capito qualcosa di quel gatto? Perché sembra tu sia ignara di ogni cosa. Ma dov’è finito tuo padre?” risponde.
Io rimango un attimo basita.
Einstein? Tutti? Sapere cosa?
“non osare nominare mio padre. È morto e tu non lo conosci neanche!” urlo per poi voltarmi e andarmene, ma lui mi blocca l’accesso alla porta.
“Che vuoi dire che è morto?” domanda.
Incontro i suoi occhi: colgo una nota di sconcerto, di preoccupazione.
“Levati. Io non voglio parlarne con te!” sussurro.
Si fa subito da parte e sento il suo sguardo sulle mie spalle.
“Stagli lontana” sono le ultime parole che gli sento dire prima di sparire.
Io non lo capisco. Io non lo sopporto. Perché ce l’ha tanto con me e con quel gatto?
Il pensiero di incontrarlo ovunque è fisso e sono spaventata: lui è veramente uno stalker.
Devo stargli lontana, ma una domanda mi ronza in testa: come fa a conoscere mio padre?
Con questi pensieri mi avvio verso la palestra.
Luci, brillantini, cartelloni, facce pitturate regnano quel luogo.
Il silenzio è completamente schiacciato dalle varie urla, dalla musica e dai cori.
Guardo verso le cheerleader: ovviamente Samantah è lì tra loro.
“Alex vieni ho trovato posto vicino al campo!” mi prende per un braccio Michelle.
“Allora con quel tipo?” mi sussurra all’orecchio per poi farmi l’occhiolino.
Penso che sulla mia faccia si sia dipinta un’espressione di disgusto: “lascia perdere quello è fuori di testa!”.
Vengo interrotta dal suono di una tromba da stadio che annuncia l’inizio della partita.
Per tutto il tempo guardo Michelle esultare ad ogni canestro fatto dalla nostra scuola: insomma, io non la capisco.
Lei odia tutta quella gente eppure esulta per loro.
Capirei ci fossero gli Knicks in campo!
Finalmente c’è un po’ di pausa, durante la quale le cheerleader fanno ondeggiare i loro fondoschiena.
Me ne esco dalla palestra per andare a prendere un po’ d’acqua, ma rimango bloccata all’inizio del corridoio con la bocca spalancata.
Davanti a me sta arrivando il ragazzo che mi ha dato un passaggio insieme ai suoi compagni di squadra.
Vorrei tanto nascondermi, ma ormai mi hanno già vista, anzi, lui sta proprio venendo verso di me!!!
“Ciao…Alexandra giusto?” mi dice.
Io annuisco senza riuscire a spiaccicare neanche una parola, ma insomma che mi prende?!?
“Beh spero mi guarderai giocare!” mi dice per poi passarmi la sua mano tra i capelli e superare la porta.
Sono proprio una stupida: insomma, potevo dire qualcosa.
Che stupida!
Corro velocemente a prendere la bottiglietta d’acqua e torno in palestra, proprio nel momento in cui i giocatori dell’Arcadia e quelli della Franklin iniziano a giocare.
Incrocio lo sguardo di Michelle che mi fa segno di sbrigarmi.
La raggiungo e stavolta rimango più attenta alla partita: lo vedo sudato correre con tanta bravura verso il canestro e centrarlo perfettamente.
Sembra un Dio disceso in terra!
“Terra chiama Alexandra! Amica mia stai sbavando!” mi deride Michelle.
Io le tiro una spallata affettuosa.
“Allora il capitano della Franklin ti fa battere il cuore?” domanda ammiccando con lo sguardo.
Non posso mostrarmi così vulnerabile: è solo uno sconosciuto!
“Ma chi? Ahaha quel ragazzo? Nah non è il mio tipo…troppo…troppo..” ma non riesco a continuare.
“Si..troppo figo” conclude la mia migliore amica ridendo.
“Quanto sei stupida!” ribatto.
Alla fine della partita vedo quel ragazzo raggiungere le cheerleader della sua scuola e prenderne una tra le braccia, sollevarla e baciarla: avevano vinto.
“oh-oh. Hai sbagliato preda Alex, mi sa che dovrai cercartene un altro!” continua a ridere la mia migliore amica.
“Ma la finisci?!” ribatto scocciata.
Era da immaginarselo che un ragazzo talmente bello fosse fidanzato.
E in più quella tipa somigliava così tanto a Samantah nell’ atteggiamento e anche nel fisico.
Ma esiste una cheerleader simpatica a questo mondo?!?
Sbuffo e mi avvio fuori per fumare una sigaretta.
Dopo pochi minuti la preside mi si presenta davanti con una faccia alquanto arrabbiata.
“Alexandra Irving, non so se noti i vari cartelli che indicano quanto sia vietato fumare nel cortile interno. Ora sbrigati ragazzina, hai una palestra da pulire!” mi ordina.
Possibile che non riesca ad avere dieci minuti di pausa?
Torno dentro e, quando tutti sono usciti dalla palestra, mi avvio verso lo sgabuzzino per prendere il necessario.
Stavolta sono da sola: nessuna bidella a controllare il mio lavoro.
Il silenzio di quel luogo è più assordante del baccano precedente.
Vorrei urlare al mondo quanto faccia schifo. Vorrei urlare a quel Dio di ridarmi mio padre.
E vorrei davvero essere lasciata in pace.
Ma quelle urla non sono altro che una piccola brezza nella mia mente; un sospiro in quel silenzio assordante.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3632557