Il Gioco

di Greatad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Risveglio al buio ***
Capitolo 2: *** In portineria ***
Capitolo 3: *** Il primo eliminato ***
Capitolo 4: *** Occhi innocenti ***



Capitolo 1
*** Risveglio al buio ***


Abe batté le palpebre. Erano ancora pesanti, doveva aver dormito davvero bene quella notte. Si girò sul pavimento. “Ancora cinque minuti.” pensò tra sé e sé. Pavimento?
Si alzò in piedi, come se poco prima si fosse trovato sui carboni ardenti piuttosto che sul piastrellato del centro commerciale. Cosa ci faceva lì? Stava facendo la spesa con Grace, avevano appena preso i pannoloni per il bambino quando…
Un pianto. Grace che grida, straziata. Il piccolo Tommy viene divorato da una sagoma oscura. Abe è paralizzato, non ha alcuna logica quello che sta succedendo.
Un incubo, sicuramente avrà avuto un mancamento, forse le pastiglie per la pressione? Eppure era convinto di averle prese quel pomeriggio… Si tenne la testa fra le mani e si diresse verso l’atrio. Dalle vetrate sul soffitto poteva vedere le stelle fuori. Era buio. Come mai non lo avevano notato, disteso a terra, mentre chiudevano?
 
Almeno non era solo. Arrivato all’atrio vide un gruppetto di persone discutere.
«Oh, ecco qualcun altro!»
«Benvenuto! Anche tu del club “siamo arrivati troppo tardi per la chiusura e troppo presto per l’apertura”?»
«Scusa?» Ma gli ci volle solo uno sguardo per capire. L’entrata era bloccata da una serranda, il buon vecchio acciaio. «Ci hanno chiuso dentro?» Ma non si fermò ad aspettare una risposta, continuando a parlottare tra sé e sé. «Trovo molto strano che ci abbiano lasciati qua… Deve essere sicuramente intenzionale.» Abe ripensò ai film che aveva visto in passato. «Forse siamo stati scelti, narcotizzati, messi da parte e poi lasciati dove eravamo prima di addormentarci per darci l’impressione di non esser stati rapiti… Diamine, questo edificio stesso potrebbe essere una replica del centro commerciale!»
 
Un ragazzo che stavo giocando col telefono parlò sopra ad Abe. «Non me ne importa un cazzo, io dovevo essere dalla mia ragazza un’ora fa! Ho un sacco di messaggi non letti e non mi crede che sono rimasto chiuso qui! Crede sia a letto con un’altra!»
«Il telefono?» Si frugò in tasca. Sì, il suo telefono era ancora lì. Lo estrasse e provò a chiamare un amico.
«Abe? È mezzanotte, perché mi stai chiamando?»
«Niente, Jack, mi è partita la chiamata per sbaglio! Ci sentiamo!»
Perché chi li ha intrappolati lì dentro aveva lasciato loro i cellulari? Era una mossa poco intelligente! Potevano chiamare i soccorsi così…
 
«Abbiamo già chiamato l’assistenza 5 minuti fa, Sherlock.” Si intromise un uomo con una valigetta in mano. Vestiva elegante, un completo davvero impeccabile non fosse stato per la cravatta allentata. «Hanno detto che manderanno qualcuno della sicurezza. Figurati, nessun responsabile del centro raggiungibile! Erano esterrefatti pure loro.»
«Beh, nell’attesa possiamo presentarci!» Esclamò una donna di mezza età, contenuta a malapena da un vestito dal motivo floreale. Una collanina si perdeva nel suo seno, lasciato volutamente in bella vista dalla scollatura.  «Io sono Christina. Ero in farmacia a prendere delle pastiglie, e mentre il commesso mi stava dando il resto sono crollata a terra… Sono stati davvero sgarbati a lasciarmi lì!»
Una ragazzina esile apparve da dietro un grosso vaso con diverse piante da appartamento. Doveva essere una quattordicenne. «I-io sono Celeste. Ero qui con i miei genitori questo pomeriggio. Ma mentre ero al bagno ho sentito gente urlare, e me ne sono rimasta nascosta lì dentro per la paura fino ad adesso…»
Abe la osservò. Era una ragazzina terrorizzata. Sicuramente stava delirando, impaurita dalla situazione ed inventandosi storie per ottenere attenzione. Si sforzò di sorriderle per rassicurarla. Celeste parve capire che era una finta gentilezza quella e torno a nascondersi dietro al vaso. Abe alzò gli occhi al cielo e riprese a ragionare ad alta voce.
«Ma… non è davvero possibile aprire dall’interno?» chiese Abe al businessman, incurante di Christina. Quel mistero lo affascinava troppo, doveva capirci di più o non sarebbe stato in pace con se stesso!
«Chiusura centralizzata. E può essere sbloccata solo con un’apposita tessera magnetica, in dotazione alle guardie… che qui non ci sono. Io sono Clark comunque, continuando con le presentazioni.»
«Sì certo, io sono Abe… E le finestre?»
«Le finestre… Ci abbiamo pensato. Ma non conoscendo le circostanze, ho valutato fosse meglio rimanere e aspettare qualche ufficiale di servizio. Sai com’è, potrebbe essere visto non bene qualcuno che esce furtivamente dalle finestre di un centro commerciale…»
 
«Ora ricordo! All’altra entrata c’è la portineria!» Esclamò il ragazzo interrompendo la conversazione tra Abe e Clark. Si alzò in piedi e corse via.
«Ma cosa gli è preso?» chiese Christina.
Abe assentì, accettando il fatto. Avrebbe dovuto pensarci subito. Si sedette per terra, rilassandosi. Si rivolse a Christina, ancora in ansia per il ragazzo. «Probabilmente pensa di trovare una di quelle tessere magnetiche in portineria. Ha senso, terranno sicuramente qualche copia dentro per sbadataggine.»
Celeste prese la parola, superando la timidezza che la stava bloccando fino a prima. «Potremmo andare ad aiutarlo allora!»
Clark fissò la ragazza, con una faccia che emanava superiorità e le fece un sorrisino. «Non penso proprio.» Sembrava davvero compiaciuto nel dare spiegazioni. «Sarà sicuramente chiusa a chiave, e chiunque faccia una cosa come buttare giù una porta sarà ancora più sospetto di qualcuno che esce dalle finestre.»
Sembrava sveglio, aveva risposto alla ragazza risparmiando fiato ad Abe, anche se lo aveva fatto in un modo davvero odioso.
«Ma… Sospetti? Perché dovremmo essere sospettati di qualcosa, non abbiamo fatto niente!»
Clark sospirò, dando segni di impazienza. «Siamo dentro un centro commerciale dopo l’orario di chiusura. Possono tranquillamente pensare che siamo dei ladri malamente organizzati, per quanto ne sanno loro!»
«Non serve sgridarla così!» Si mise in mezzo Christina, preoccupata dai modi bruschi dell’uomo.
«Beh, il ragazzo non ha torto. Possiamo dividerci e cercare degli indizi su come siamo stati rinchiusi qui dentro. Il mio sospetto che siamo stati rinchiusi da qualche folle rimane.” E per Dio se gli piaceva l’idea. Aveva sempre desiderato essere al posto delle vittime stupide di quei film di serie B!
Clark parve d’accordo e convinse pure gli altri. Si divisero, ognuno in un negozio diverso. Meno che un accattone, seduto immobile addosso ad una parete dell’ingresso. Lui continuava a sorseggiare Rum dalla sua bottiglia, incurante degli altri. Ad Abe andava bene così, non aveva voglia di fare da baby sitter ad un vecchio ubriacone.

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Capitolo 2
*** In portineria ***


Brendan si affrettò lungo il corridoio. Sentì la tasca vibrare. Prese in mano il cellulare e controllò: una nota vocale da Amore di 32 minuti. “Merda.” Scansò una pianta su vaso in mezzo al corridoio, di fronte alla vetrina di un negozio di Elettrodomestici – Il meglio a metà citava lo slogan sui volantini.
Si fermò davanti alle indicazioni su un cartellone vicino.
Portineria – piano terra, ala Nord.
Finalmente una buona notizia! Stava andando nella direzione giusta, nonostante fosse partito solo con l'idea di allontanarsi da quel gruppo di svitati. “Aspettiamo i soccorsi, questo cazzo. Non è colpa mia se sono rimasto chiuso qui dentro!” Pensò, allungando il passo.
Arrivò davanti ad un'altra saracinesca, identica a quella da cui era partito. Si guardò attorno, finché non riconobbe una porta con la targhetta “Portineria – Responsabile Mr. Stuart”.
Provò la maniglia ma la porta non si muoveva. Chiusa a chiave. Brendan non si demoralizzò e prese la ricorsa. Con qualche spallata doveva andare giù! Al primo colpo il dolore gli assalì la spalla e vide le stelle.
Camminava scherzando con degli amici. Erano al centro commerciale per sfottere il loro compagno di classe che lavorava come facchino al supermercato. Confabularono su cosa fargli per rovinargli la giornata. Improvvisamente Todd non aveva più la testa, una fontana di sangue si riversò su Gillian. Brendan fece un saltò, allontanandosi dagli schizzi. Ma cosa era successo? Perchè Todd non finiva la frase? Sentì qualcosa di molliccio sotto i piedi, quando era atterrato dal salto. Guardò la suola: era sporca di moccio? La testa di Gillian stava ancora rotolando, dopo che l'aveva calpestata.
“Assurdo... devo averlo sognato prima di svegliarmi.”
Si rialzò. L'ultima spallata doveva aver avuto successo, la porta si stava aprendo pian piano, facendo un cigolio snervante.
Diede una forte spinta, volendo aprirla completamente per far cessare il cigolio. Ma la porta ignorò la sua irruenza e proseguì ad aprirsi lentamente.
“Ma che cazzo... E va bene, aspettiamo, sarà a molla, cazzonesò.”
Entrò nella stanza. Subito la temperatura precipitò. Si strinse le braccia, lasciate scoperte dalla t-shirt che indossava. “Non scherza il portinaio con l'aria condizionata...” Cercò a tastoni l'interruttore. Lo premette, ma non successe nulla. Utilizzando il flash del cellulare si fece luce per cercare la tessera. Magari in un cassetto... Iniziò la sua ricerca dalla scrivania, ma ebbe scarsi risultati. Si intascò qualche monetina, “È il minimo dopo questa rottura”.
Si bloccò in mezzo alla stanza. Un altro flash come il precedente.
Stava correndo lungo il corridoio del centro commerciale, inseguito da un mostro. Ogni volta che incrociava una persona la spingeva dietro di sé, sperando di rallentarne l’avanzata. Un negozio aperto di mobilia, entrò pensando di nascondersi in qualche armadio. Prima di farlo però butto un’occhiata dietro di sé. Una sagoma scura, coperta da ali nere, stava tirando un lungo intestino fuori dalla pancia squarciata della vecchia che aveva spintonato 5 secondi prima. Il mostro alzò lo sguardo. Scambiò uno sguardo con quegli occhi rossi. Non avvertì istinto omicida né sì sentì di scappare. Era affascinato, voleva avvicinarsi per poterli ammirare da più vicino.
Il mostrò staccò un morso dall’intestino della vittima. Brendan tornò in sé e si lanciò dentro Mobili Trovatel, dove si nascose nel primo armadio abbastanza grande da ospitarlo.
 
Riprese i sensi. Era disteso al centro del pavimento della portineria. Una pozza di sangue secco vicino a lui, che prima credeva di non aver visto. Resistette all’impulso di guardare che ore erano sullo schermo del cellulare, non voleva leggere la notifica pop-up di Cinzia che gli diceva che lo mollava perché l’aveva bidonata quella sera. Un odore acre copriva la stanza. Anche quello gli pareva nuovo. Si avvicino ad un armadio e ne aprì un'anta. Un braccio mozzato reggeva la tessera magnetica che stava cercando.
“Ma cosa...” Inorridito, allungò la mano destra per prendere la tessera. In fondo era sua di diritto quella tessera, fanculo al proprietario del braccio. Ma non riuscì a prenderla. Ci provò ancora, inutilmente.  Guardò irritato il proprio braccio destro, chiedendosi se fosse paralizzato perché ci era svenuto sopra prima o cosa. Sbiancò. Il suo braccio non c’era più. Iniziò a tremare. Osservò meglio il braccio mozzato. Le unghie, mangiucchiate fino alla carne. La pelle depilata. Il dito indice vistosamente più corto del mignolo. Quello era il suo braccio. Cacciò un grido. 

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Capitolo 3
*** Il primo eliminato ***


Un grido. Christina sapeva che era una pessima idea dividersi! Smise di frugare tra i flaconi di antidepressivi e uscì dalla farmacia. Vide che anche gli altri stavano uscendo uno alla volta dal negozio assegnato.
Vide quell’Abe correre di slancio verso l’altra entrata, senza aspettare nessuno. Perché? Il grido pareva maschile e Clark era uscito dopo di Abe. La cosa pareva sospetta… Vide la testa di Celeste sbucare da una porta poco più avanti.
«Celeste! Adesso arrivo!» Disse, cercando di approntare il tono più premuroso di cui era capace. Aveva il viso pallidissimo. Christina fece per avvicinarsi e abbracciarla, ma la ragazzina la fissò impaurita facendosi sempre più piccola.
“Forse è meglio lasciarla in pace…” Pensò Christina, abbandonando l’idea di stritolarla di coccole.
 
***
 
Abe non ci credeva. Era molto più di quello che sperava. Il ragazzo a terra in una pozza di sangue ancora agonizzante, con un braccio mozzato. E proprio mentre erano tutti divisi! Il colpevole poteva nascondersi tra loro... Si fece avanti e iniziò a frugare nella stanza. Non ci volle molto prima che trovasse la tessera sostenuta da quello che una volta era chiamato “Il braccio di Brendan”. Sentì dei passi avvicinarsi. Come avrebbe potuto dare il benvenuto al resto del gruppo? Una frase ad effetto... Qualcosa sulla linea di “Vivere o morire...A voi la scelta!” Ma quella forse era troppo da cattivo... In fondo per loro anche lui poteva essere tra i sospettati.
Vide Clark alla porta.
«Mai aprire una porta che non è sicura!»  Disse tra sé e sé Abe, con una voce profonda e rammaricata guardando il povero ragazzo a terra.
Clark entrò e provò il polso al ragazzo. « E' ancora vivo! » esclamò « Cosa diamine stavi facendo? »
Abe arrossì. Dall'entusiasmo non aveva controllato lo stato di vita del ragazzo, ma vedendo la pozza di sangue e il pallore aveva dato per scontato che... Ma la voce di Clark interruppe i suoi pensieri.
« Sbrigati, va alla farmacia e recupera delle bende! Dobbiamo fermare l'emorragia, per quel poco che può servire ormai! »
Uscì, spintonando via Christina. Vedere il braccio mozzato l'aveva zittita, non aveva pronunciato parola. Almeno una cosa buona in tutto questo!

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Capitolo 4
*** Occhi innocenti ***


Brendan fu fasciato alla bell'e meglio, e lasciato a riposare su una panchina nel corridoio.
Abe, ripresosi dal momento di vergogna, stava spiegando la sua teoria. Un pazzo doveva averli intrappolati lì dentro e uno alla volta li stava testando. Il ragazzo doveva aver sacrificato il proprio braccio per ottenere la tessera magnetica delle serrande, salvandoli tutti probabilmente con il suo sacrificio.
« Ed è per questo che secondo me dovremmo verificare subito se la tessera funziona! Anche se ne dubito, non ci renderebbe mai le cose così facili... »
« Porca troia! E questo cos'è! » Urlò Clark, che non si era fatto abbindolare dai discorsi di Abe e appena questi aveva iniziato a parlare aveva provato ad usare la tessera.
Clark stava tastando una superficie nera, che bloccava la via verso l'aria aperta.
Abe era incredulo. Ora pure una barriera? Erano pure in mezzo ad un evento paranormale?
« Ma se non la hai neanche aperta! » Sussurrò Celeste, tenendosi come sempre a debita distanza dal gruppo.
Abe alzò gli occhi al cielo. Cosa avrebbe dovuto fare a quella ragazzina per farla stare buona? Forse scambiandoci due parole e facendosela amica sarebbe stata più collaborativa.
 
Lasciò Clark e Christina alla console della portineria, per cercare di trovare il video della telecamera di quella parte del centro commerciale e vedere se trovavano qualche indizio su chi li aveva intrappolati. Abe invece decise di affrontare Celeste, davanti ad una bibita fresca ad un bar lì dentro.
Aprì il frigorifero ed estrasse una birra per lui e una coca cola per lei.
« Offro io! Dici che lasciare i soldi sul bancone possa andare bene? »
« Non mi piacciono le bibite frizzanti. »
Abe sospirò. Mise via la coca e la birra e si sedette a fianco a lei al bancone.
« Celeste, posso capire la diffidenza nei confronti degli sconosciuti, ma in questa situazione dovresti cercare di aprirti di più con noi. Solo restando uniti possiamo uscire da tutto questo. Guarda cosa è successo a Brendan che ha voluto isolarsi dal gruppo! »
Celeste fece una smorfia e si decise a guardare verso Abe. Forse aveva catturato finalmente la sua attenzione?
« Se c'è qualcosa che ti preoccupa, parlamene pure. È normale avere paura in questa situazione, ma dovresti essere sincera con noi. Solo così potremo collaborare e sostenerci a vicenda. » Concluse con un sorriso, non uno forzato come la prima volta che le aveva parlato. Uno di quei rari sorrisi che gli sfuggivano ogni tanto.
« Io... vedo delle cose orribili. »
« Scusa? »
« Ero in bagno a tremare. Sentivo delle urla provenire da fuori. Urla di aiuto, e rumori viscidi, come quando il macellaio taglia le bistecche per la mamma. Avevo paura, e mi sono rifiutata di uscire pure quando non ho più sentito le urla. Erano state sostituite dal silenzio. Un silenzio completo. Non riuscivo a muovermi, ero come paralizzata. Solo quando ho sentito delle voci fuori mi sono decisa ad uscire. Un barbone stava litigando con Clark, qualcosa sul Rum che non voleva dividere con l'altro. Ma quando mi hanno vista il barbone mi ha fissato sconcertato e si è appoggiato al muro a dormire come se non fosse successo niente. Clark è stato carino e mi ha accolta. »
« E quali sono le cose orribili che hai visto? »
« Il corridoio è pieno di cadaveri. Voi siete coperti di sangue. Quando prima hanno chiamato i soccorsi, stavano parlando con una scarpa. La serranda prima, non è stata aperta. Clark stava strisciando la tessera magnetica sul muro piuttosto che sulla piastra apposita. »
« Sai, penso tu sia soltanto scossa... »
« Già, devo essere impazzita. »
Celeste si rialzò in piedi e corse via piangendo.
“Non posso farci niente. Proprio non so atteggiarmi con i giovani.” Abe sospirò, finendo la propria birra. Se davvero tutto questo era il gioco perverso di qualche pazzoide, perché intrappolare pure Celeste? Di solito quei giochi venivano fatti per far pentire chi ci giocava delle proprie azioni. Non aveva senso che la ragazzina fosse anche lei lì dentro con loro.
Si rialzò se si stiracchiò. Uscì dal bar. Ma qualcosa non andava nel corridoio principale. Non riusciva a capire cosa. Un forte mal di testa lo assalì. Camminando, si ritrovò sul punto dove si era risvegliato quella notte. Gli tornarono in mente le immagini che aveva visto appena sveglio. Grace, senza la mandibola, che implora al mostro di smettere di mangiare i resti di Tommy. Senza la mandibola? Come faceva a implorare senza la mandibola? Eppure lei era lì, davanti a lui, riversa a terra.
«Grace? Grace? Perché sei distesa? Rialzati, che fra poco chiudono! » La ammonì Abe. Queste donne! Sempre a perdere tempo, cosa ci sarà di così speciale nel camminare in un centro commerciale? Fosse stato un parco… Poi non era neanche molto vivace questo centro in particolare. Un sacco di gente morta a terra, cosa potrebbe pensare Tommy?
Abe prese per mano Tommy, o meglio quel che ne rimaneva.
Lacrime sgorgarono dagli occhi di Abe. Non era giusto. Quello a cui stava partecipando era un incubo. Non era possibile. 

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