Polisucco di Erin (/viewuser.php?uid=16324)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E altri inconvenienti ***
Capitolo 2: *** E vicoli ciechi ***
Capitolo 3: *** E idee drastiche ***
Capitolo 4: *** E svolte incerte ***
Capitolo 5: *** E doppi giochi ***
Capitolo 6: *** E preoccupazioni impensabili ***
Capitolo 7: *** E memorie perdute ***
Capitolo 8: *** E credi imposti ***
Capitolo 9: *** E tempi in prestito ***
Capitolo 10: *** E incontri ravvicinati ***
Capitolo 11: *** E ricordi urgenti ***
Capitolo 12: *** E debiti saldati ***
Capitolo 13: *** E contrattempi dolorosi ***
Capitolo 14: *** E finzioni reali ***
Capitolo 15: *** E sentimenti difficili ***
Capitolo 16: *** E contatti strappati ***
Capitolo 17: *** E istinti incontrollabili ***
Capitolo 18: *** E necessità vitali ***
Capitolo 19: *** E ritorni grevi ***
Capitolo 1 *** E altri inconvenienti ***
Intro editato:
inizialmente questa storia doveva essere di tre capitoli. Ma l'ispirazione è sempre più forte delle decisioni riflettute e misurate perciò mi trovo a dirvi che ho riaperto la ff e che la continuerò (qui, senza aprire un seguito a parte). Modificherò anche il rating ecc per allinearla ai nuovi sviluppi. Vi ringrazio anche perché, senza il vostro supporto ed entusiasmo, ciò non sarebbe accaduto.
Baci, Erin.
POLISUCCO e
altri inconvenienti
« Mosche Crisopa,
Sanguisughe, Lunaria, Centinodia... vediamo, Polvere di corno di
Bicorno, Pelle tritata di Girilacco, Formicaleoni e... Erba Fondente!
C'è tutto » riepilogai, osservando il liquido verdastro
che ribolliva nel calderone davanti a me.
« Io non la bevo di
nuovo quella cosa orrenda » storse il naso Ron quando un rivolo
di fumo intercettò le sue narici. Stava con le mani conserte,
sulla difensiva, e non aveva mai staccato gli occhi da me –
forse per paura che potessi fargliela tragugiare con la forza.
« Harry, diglielo tu »
feci spazientita, mescolando la quinta volta in senso orario. Mi
costrinsi a non stringere gli occhi e le labbra per non darla vinta a
Ronald; la Polisucco, però, puzzava terribilmente.
« Ron, dobbiamo farlo.
Ci servono quelle informazioni. Vuoi fare l'Auror sì o no? Ti
capiterà peggio di questo quando lascerai Hogwarts »
spiegò con pazienza Harry, appoggiato al muro dietro le sue
spalle, con le mani in tasca.
« Harry, mi pare
abbastanza evidente che in sei anni di scuola abbiamo rischiato la
morte parecchie volte e affrontato nemici e situazioni parecchio
incasinate... non penso possa andare peggio di così! »
disse con un tono di voce più acuto del solito.
Alzai le sopracciglia,
scuotendo la testa con disappunto. « Vigliacco »
sussurrai.
« Hermione, ti ho
sentito » borbottò.
« Be', io volevo che
tu sentissi » cantilenai senza guardarlo. Versai la pozione in
tre bicchieri ed in ognuno misi il capello corrispondente al
Serpeverde di cui dovevamo prendere le sembianze. La restante la
conservai in una bottiglia di vetro: poteva sempre tornare utile.
« In cosa ti
trasformerai questa volta? Un gufo? » mi prese in giro Ron.
Gli allungai malamente la
polisucco con la ciocca di Theodore Nott. « Ha-ha » risi
ironicamente. « Primo: i gufi hanno le piume. Secondo: avevo
dodici anni e poca esperienza quando feci la prima Polisucco. Ora
sono stata attentissima. »
« Per non dire
maniacale » aggiunse Harry, sorridendomi.
Gli sorrisi a mia volta; per
me era quasi un complimento.
« Che cosa andate a
fare nel dormitorio dei Serpeverde? » irruppe tra noi Mirtilla
Malcontenta, uscendo dal pavimento.
Feci un balzo indietro e per
poco non rovesciai il contenuto del mio bicchiere.
« Rischiamo la vita,
come sempre » sbuffò Ron, simulando poi un conato di
vomito.
« Mirtilla, è
un segreto, perdonaci » le dissi.
« Questo è il
mio bagno e io sento tutto ma non dico niente a nessuno » ci
tenne a precisare, occhieggiando nella direzione di Harry, verso il
quale fluttuò. « E tu in chi ti trasformi, caro Harry?
Sei così bello che è proprio un peccato... »
Harry arrossì e cercò
di divincolarsi dalle sue moine inconsistenti. « Blaise...
Zabini » disse, rimettendosi a posto gli occhiali che gli erano
scivolati sulla punta del naso.
Mirtilla guardò
improvvisamente me e prese a ridere. « Non ci sarà di
nuovo il pelo di un gatto nel tuo bicchiere? »
Mi accigliai ma non
risponsi; vidi Ron ridacchiare e lo sgomitai.
« Forza, beviamo tutto
d'un sorso. Abbiamo poco tempo » dissi con fare professionale.
« Herm diventerà
Astoria Greengrass. Una con le gambe alte quanto lei, praticamente »
ridacchiò ancora Ron.
Lo guardai malissimo.
Sfoderai la bacchetta e gliela puntai ai testicoli. « Bevi
immediatamente, Ronald Weasley. »
Non se lo fece ripetere
ancora. Avvicinammo contemporaneamente il bordo del bicchiere alle
labbra e, al mio tre, bevemmo senza nemmeno respirare. Restammo
qualche attimo a guardarci, la bocca impastata e l'espressione
disgustata. Ripulii il calderone e i bicchieri con un incanto e
nascosi tutto dietro un'apertuta segreta nel muro. Quando mi voltai,
trovai dinanzi a me Theodore Nott e Blaise Zabini. Mi girai verso lo
specchio e mi ritrovai bionda, alta e snob.
Con le divise Serpeverde già
indosso, lasciammo il bagno di Mirtilla; avevamo un'ora prima di
tornare normali e prima che i veri Theodore, Blaise e Astoria
tornassero coscienti. Dovevamo assolutamente capire se Draco Malfoy
era effettivamente diventato un Mangiamorte e quanto aveva detto ai
suoi più cari amici, che ci apprestavamo a impersonare.
Avevo osservato molto
Astoria negli ultimi mesi: era spesso accanto a Draco ma non ero
riuscita a capire fino a che punto fossero solo amici o se avessero
una relazione; in pubblico, Draco era sempre molto taciturno, poco
espansivo, troppo riservato. Nei panni di Astoria speravo di poter
ottenere qualche confessione, magari una confidenza; mi ero studiata
la sua gestualità e l'avevo osservata anche in aula. Insomma,
speravo di riuscire a recitare bene la mia parte senza far
insospettire Malfoy.
Harry e Ron avevano avuto lo
stesso compito, rispettivamente per Blaise e Theodore. Sapevo che
Harry prendeva le cose seriamente ed ero abbastanza tranquilla;
Ronald, invece, mi preoccupava. Era approsimativo e pauroso; sperai
intensamente che non ci facesse scoprire.
Imboccammo la strada che
portava ai dormitori nei sotterranei dove, in base alla
pianificazione che avevo fatto negli ultimi mesi, doveva esserci
Draco, appena tornato dagli allenamenti di Quidditch.
Per fare tutto quello che ci
eravamo proposti, avevo studiato anche molto Malfoy. Ero arrivata ad
imparare perfino i ritmi delle sue giornate: sapevo quando e quali
corsi seguiva, gli orari in cui studiava in biblioteca, i giorni e i
momenti in cui si allenava, quanto ci tempo impiegava in Sala Grande,
a pranzo o a cena; perfino cosa prendeva di solito da mangiare e in
che misura, per non parlare delle sue capatine al Club dei Duellanti
o ad Hogsmeade, per lo più con cadenza regolare. Insomma, il
fatto di conoscerlo così bene mi dava un leggero senso di
inquietudine e disagio.
« Sangue di Serpente »
pronunciai, imitando la voce di Astoria, quando fummo davanti al
punto esatto della parete.
Questa scivolò di
lato e ringraziai perché sapevo che, a parola d'ordine errata,
i due cobra di pietra si sarebbero animati e avrebbero cercato di
attaccare. E Ron avrebbe corso via come una femminuccia.
La sala comune dei
Serpeverde scendeva di qualche livello con un'ampia scalinata, si
apriva in una grande stanza circolare arredata di verde scuro,
argento e nero, decorata con uno stile gotico molto raffinato. Tutto
l'arredamento sembrava, comunque, molto più lussuoso del
nostro.
Draco Malfoy era seduto su
una poltrona di velluto scura, la nuca appoggiata alla sommità
dello schienale, i capelli gettati all'indietro e un libricino tra le
mani, intento a leggere. Le gambe erano incrociate, fasciate da un
pantalone nero dal taglio classico; i piedi nudi. Una maglietta di
cotone del medesimo colore lasciava scoperto solo il collo latteo.
Sollevò le iride
grigie dal bordo del libro appena ci vide. Avanzai per prima, perché
mi accorsi che Harry e Ron esitarono. Provai ad aprire la bocca per
salutarlo, ma Malfoy riportò gli occhi sulle righe del libro.
« Non sei venuta oggi
agli allenamenti » mormorò, voltando pagina con fare
noncurante. « Ragazzi » fece poi, a mo' di saluto.
Harry e Ron presero posto
sui divani, cercando di apparire più disinibiti possibile.
Mi ricordai di aver visto
spesso Astoria sugli splalti Serpeverde a guardare la squadra
allenarsi; ricordai anche che domani avevamo il compito di Pozioni e
lei non era una cima.
« Sì, scusami.
Studiavo in biblioteca, dovevo recuperare » gli dissi.
Lui annuì, poi chiuse
il libro e si raddrizzò, massangiandosi la nuca e facendo
roteare appena il collo, con gli occhi chiusi.
« Terribili, comunque.
Pensavo di morire alla quarta serie di addominali a fine allenamento.
Ma abbiamo la partita con i Grifondioti la settimana prossima
» fece spallucce, alzandosi in piedi e schioccandosi le dita.
Con la coda dell'occhio,
vidi Ron diventare paonazzo e digrignare i denti. Mi avvicinai a
Draco per distralo, sperando che non notasse le reazioni prive di
logica di Ronald Weasley.
« Verrò al
prossimo, però » gli sorrisi. Lui mi sorrise a sua
volta. Un sorriso quasi stanco, sereno, di quelli che mai gli avevo
visto fare; cambiò quasi i suoi lineamenti, generalmente
piegati dalla cattiveria e dal disprezzo.
Poi si sporse verso di me,
fece qualche passo e colmò la distranza tra noi. Lasciò
cadere la fronte sulla mia spalla; mi mossi istintivamente di un
mezzo passo indietro ma mi bloccai prima di concluderlo. Osservai
Harry che sgranò gli occhi ma mi disse "stai al gioco"
con il labiale.
Mi voltai davanti, sfiorando
con il naso i capelli di Malfoy. Profumavano di ambra e sandalo. Lui
profumava di ambra e sandalo; non l'avevo mai avuto così
vicino. Presi un bel respiro, ma a parlare fu lui.
« Speravo di parlarti
di quella cosa di cui abbiamo discusso ieri » lo sentii dire.
Deglutii. Non sapevo
assolutamente a cosa stesse alludendo. « Per me è acqua
passata » provai, stringendo gli occhi e guardando di nuovo
Harry oltre le spalle di Draco. Il mio migliore amico mi fece cenno
di andare avanti. Sapevo che questa inaspettata intimità tra
Astoria e Malfoy poteva tornarmi estremamente utile ma la situazione
mi rendeva agitata, non poco. La loro relazione era per me solo un
sospetto; non pensavo che, in privato, fossero così intimi.
« Per me no »
sollevò lo sguardo, puntandolo nel mio a pochi centimetri di
distanza. Sentivo il suo respiro di menta infrangersi sulla mia
pelle. Mi sentii arrossire.
« Draco, io- »
« Ragazzi, un po' di
privacy » fece d'un tratto Draco, voltandosi verso Harry e Ron.
Quest'ultimo, sempre più paonazzo, non riuscì a dire
niente di sensato. Harry si alzò, facendosi imitare da Ron,
grattandosi la testa con fare noncurante. « Sì, scusaci.
Andiamo in Sala Grande. Chiaritevi, eh » disse infine,
allusivo, guardando più me che lui.
Draco si accigliò
appena, poi annuì. Aspettò che i due varcassero la
porta del dormitorio, attimi in cui il mio cuore andò in
fibrillazione e pensai a tutto ciò che dovevo dire, come
dovevo comportarmi, cosa dovevo fare nel caso in cui... insomma,
sperai di non avere una faccia troppo spaventata.
« Draco, comunque è
meglio se parliamo un'altra volta della discussione di ieri. Magari
siamo ancora troppo caldi e
non ci farebbe bene. Ti vorrei chiedere una cosa, invece... »
« No » disse
severo, ma con una nota incredibilmente dolce nella voce. «
Voglio chiarire adesso. Non voglio passare un'altra notte in bianco a
pensare ai tuoi occhi lucidi » aggiunse.
Mi morsi il labbro
involontariamente, cosa che ad Astoria non avevo mai visto fare. Vidi
Malfoy scivolare con le iridi sulla mia bocca; feci un passo
indietro, poi un altro.
« Per me abbiamo fatto
pace » insistetti, compromettendo di molto la mia posizione. Se
ero fortunata, potevo chiarire completamente la faccenda, cosìcché
lui non tornasse più sull'argomento, nemmeno con la vera
Astoria. D'altro canto, rischiavo di creare una situazione in cui a
parlare voleva essere lei e Draco le avrebbe sicuramente detto che
ormai si erano chiariti, che non c'era più bisogno di parlare.
Un'altra opzione era quella di scappare via: mandare in frantumi il
piano, gettare al vento mesi e mesi che avevo speso per reperire gli
ingredienti e preparare la pozione, rimandare a data da destinarsi le
importanti informazioni che l'Ordine aspettava.
« Mi piaci »
disse, ignorando le mie parole. Sollevò le mani e le poggiò
ai lati del mio viso, facendo scorrere i suoi occhi nei miei. «
Ma non sono sicuro di poter fare il passo del fidanzamento. Insomma,
siamo amici da una vita e non so se sarebbe la cosa migliore. Dammi
tempo. »
Deglutii di nuovo. Mi parve
di rivedere, grazie a quelle parole, la storia complicata e –
di fatto – inesistente tra me e Ron. « Sono d'accordo »
mi limitai a dire, ma mi accorsi che stavo tremando.
Abbassai lo sguardo e misi
le mie mani su quelle di Draco, per accompagnarle dolcemente lontano
da me. Lui si fece guidare, lasciando il mio viso; ma intrecciò
le dita alle mie e me le portò dietro la vita, attirandomi a
sè.
Sussultai quando toccai con
il seno il suo petto. La sua figura era così virile, i suoi
gesti così fermi e sicuri, il suo profumo così carico e
inebriante... che mi ritrovai a desiderarlo.
« Ti sento diversa »
mi sussurrò sulle labbra, socchiudendo gli occhi.
Mi sentivo inebetita, come
drogata e stordita, tanto che non feci nulla quando mi baciò.
Mi rubò l'ultimo respiro, dischiudendomi la bocca e
penetrandomi con la lingua calda. Le sue mani si strinsero sulla mia
schiena, passando attraverso lo spazio delle mie dita; sul tessuto
sottile della camicia chiara le avvertii chiaramente sulla mia pelle.
Roventi.
Un bacio così intenso
non l'avevo mai ricevuto; quelli di Krum erano stati umidi e
impacciati. Draco invece era così... passionale. Mi imprigionò
i polsi con una mano e l'altra mi si infilò tra i capelli. Mi
baciò l'angolo della bocca, il bordo della mascella, il collo
e l'orecchio.
Il suo naso scivolò
lungo la mia pelle, passando per il mio zigomo, finché non si
affiancò al mio naso. Ci si strusciò contro. «
Ora abbiamo fatto pace » precisò.
Sorrisi. E mi maledissi per
questo. Mi sentivo così
bene che... ma non stava baciando davvero me. Stava baciando la sua
ragazza o qualcosa di simile,
stava baciando Astoria Greengrass e non Hermione Granger.
Gli poggiai le mani sul
petto e lo allontanai piano da me. « Comunque io sono
preoccupata per te. » Cercai di focalizzarmi di nuovo sul piano
che avevo elaborato, anche se tornare lucida e determinata era
piuttosto difficile.
Draco alzò un
sopracciglio.
« Ti vedo pensieroso,
spesso assente. Vorrei che ti confidassi con me, se qualcosa ti
turba. Se qualcosa ti spaventa... » lasciai cadere.
Draco contrasse la fronte,
alzando appena il mento. « Non mi hai mai detto queste cose.
Perché le noti ora? »
Sbattei le ciglia. Cazzo,
possibile che Astoria non avesse mai notato che Draco era l'ombra di
se stesso negli ultimi mesi? Non aveva mai visto il suo sguardo
spento, il suo isolarsi, i suoi dialoghi sussurrati con il professor
Piton? Non aveva notato che i suoi voti in Pozioni erano calati e che
io, Hermione Granger, ero riuscita a superarlo all'ultimo test? Non
si era accorta che l'espressione di Malfoy era passata da quella di
un superficiale bambino viziato a quella di un uomo con un macigno
sulle spalle, conscio di doverlo portare a destinazione?
« Io... non te l'ho
mai detto. Ma è da un po' che volevo » dissi quindi. Gli
poggiai una mano sulla spalla. « Ti fidi di me? »
Draco mi guardò a
lungo. « Credo di sì. »
« Io sono dalla tua
parte » lo incoraggiai.
Si passò una mano tra
i capelli, ciocche biondissime che gli ricaddero sulla tempia destra.
« Non è niente, Asti. Ho solo più preoccupazioni
di prima ora che mio padre rischia Azkaban, sai com'è. »
« Ti stai occupando di
tutto tu, lo capisco » me ne andai per un'idea.
«
Non solo. Devo anche... sostituirlo in
certe occasioni. Non è facile » mi disse allusivo.
Mi parve di capire
perfettamente, perciò insistetti. « Ma è quello
che vuoi, no? »
Draco sorrise amaramente. «
Credo di sì. »
Aggrottai le sopracciglia
con una muta domanda negli occhi. Lui la colse.
« Non so se questa
cosa faccia davvero per me. Io vorrei solo continuare a studiare
Pozioni » confessò.
Mi voltò le spalle e
andò a sedersi sul divano. Mi guardò. « Però
certe cose vanno fatte. C'è chi crede in me. »
« Io credo in te »
mi lasciai sfuggire, complice istintivamente dei sentimenti di
sconforto che Draco stava provando. Mi morsi di nuovo le labbra e
notai che lui me le fissò. « Insomma, so che prenderai
la decisione giusta » continuai.
Draco fece scivolare i piedi
scalzi sul tappeto. « Non mi avevi mai dato tutto questo
sostegno... »
« Io- »
« Grazie. »
Mi rilassai e gli sorrisi.
Guardai l'orologio a pendolo e mi accorsi che la mia ora stava per
scadere.
« Adesso devo andare.
Ma ne riparliamo » gli dissi, voltandomi e facendo per
andarmene.
Sentii i suoi passi
affrettarsi dietro di me ma finsi di non notarlo; mi afferrò
per la vita e mi girò, arrestando la mia camminata spedita. Mi
stavo cominciando ad agitare; mi morsi nuovamente il labbro inferiore
e lui me lo catturò a sua volta, succhiandolo appena. Poi,
ampliò il bacio.
« Penso che la
discussione di ieri sia servita. Ti vedo diversa » mi disse
ancora una volta. Sembrava felice. Una felicità che, mi resi
conto, non riuscivo a lasciare andare. Tornare ad essere me stessa,
con una pseudo-relazione come quella con Ron - che paragonato a Draco
era sentimentalmente un bambino con la sfera emotiva di un cucchiaino
– mi deprimeva. Mi resi conto che volevo far parte della vita
di qualcuno come Astoria faceva parte di quella di Draco. Volevo che
qualcuno mi facesse sentire così desiderata ogni giorno.
Invidiai Astoria, m'invaghii di Draco. Tutto successe in un attimo e
non me ne accorsi.
Mi allontanai rapida, varcai
la soglia del dormitorio e, appena si chiuse il muro alle mie spalle,
girai e sinistra e m'infilai in una strettoia. Continuai spedita,
cercando di calmare i battiti e i respiri, passandomi ripetutamente
le dita tremanti sulla bocca, calda e che sapeva ancora di lui.
Sentivo che stavo per tornare normale, perciò mi tolsi la
cravatta e l'appallottolai, stretta nel pugno destro.
Sulla lingua aveva ancora il
suo sapore, nelle narici ancora il suo profumo. Salii in uno
sgabuzzino, dove trovai Harry e Ron nella loro forma originaria,
intenti a slegare i tre Serperverde ancora in parte assopiti. Esitai
sulla figura di Astoria Greengrass; un morso di nervosismo mi prese
allo stomaco.
« Allora? » fece
Ron. Harry mi guardò.
« Niente di quello che
speravo. Però ho capito che sta prendendo il posto del padre,
che sta collaborando con i Mangiamorte. Ma nemmeno lui ne è
troppo convinto. Di voler seguire questa strada, intendo »
spiegai, dando intanto una mano a rimettere le cravatte ai colli di
Theodore e Blaise, mentre Ron la rimetteva ad Astoria.
Li portammo di peso al piano
inferiore, lasciandoli in posti diversi. Astoria su una panchina
dietro le serre, dove l'avevamo trovata – poteva magari pensare
di essersi appisolata, non ricordandosene. Theodore e Blaise in
biblioteca – passammo con il mantello dell'invisibilità
- chini e assopiti sui libri in un tavolo un po' appartato.
Ci ritirammo nel nostro
dormitorio prima di cena, così raccontai loro tutto. Quando
finii, rimasi a guardare il camino scoppiettante, persa nei miei
pensieri, giocherellando con il mio labbro inferiore e rimurginando.
« Com'è
stato... con te? » mi chiese d'un tratto Ron.
Mi voltai. « Cosa? »
riemersi dai miei ricordi.
« Malfoy... ti ha
toccata? »
« No. Abbiamo solo
parlato » mentii. Mi sorpresi di volermi tenere quelle
sensazioni per me, come un segreto importante.
« Meglio »
borbottò tra sè e sè, tornando a voltarsi verso
Harry.
A cena, in Sala Grande, mi
resi conto che spesso osservavo Malfoy. Il suo sguardo era così
diverso da quello che aveva avuto con me, da soli... o meglio, con
Astoria. In quel momento era freddo e tagliente; in privato era caldo
e sensuale.
Mi morsi il labbro inferiore
ripensando al suo sapore. E Draco, come se l'avessi chiamato,
intercettò il mio sguardo. Non riuscii subito a guardare
altrove; lui esitò sulla mia figura e mi parve che la sua
espressione mutasse verso un'inaspettata curiosità.
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Capitolo 2 *** E vicoli ciechi ***
Intro:
grazie per le recensioni che mi avete lasciato! Vi lascio alla lettura del nuovo capitolo. A venerdì prossimo! Baci, Erin.
POLISUCCO
e vicoli ciechi
« Ci devi riprovare. »
Abbassai lo sguardo sulle
mani giunte che tenevo poggiate sul ventre. Dischiusi la bocca per
parlare e sbattei le palpebre.
« Io... non- »
« Hermione »
continuò Remus Lupin con fare paterno, accovacciandosi davanti
a me e poggiando le sue mani ruvide sopra le mie. Sobbalzai appena e
ricambiai lo sguardo intenso. « So che ti stiamo chiedendo una
cosa davvero, davvero ingiusta per la tua età. Ma sono tempi
difficili... e tu sei la strega più brillante della tua età
» sorrise incoraggiante, così sorrisi a mia volta.
Mi strinse i palmi attorno
alle nocche sbiancate e tese; sollevai lo sguardo verso Harry, Ron,
Tonks, il signore e la signora Weasley... non potevo deludere tutte
quelle persone. Non potevo deludere l'Ordine e la Resistenza.
« Lo farò »
dissi con voce appena udibile. Poi ci riprovai. « Lo farò.
Contate su di me » assicurai.
Lupin si alzò, non
curandosi di celare la sua felicità. D'altronde ero la loro
chiave di volta dopo mesi e mesi di calma piatta, in cui era
difficile reperire le informazioni e anticipare le mosse delle
schiere oscure.
Tremai. Il freddo della
Stamberga Strillante penetrava oltre il legno marcio della struttura
e ti scavava le ossa. Deglutii. Mi chiusi i bottoni del cappotto fino
al mento, mi alzai a mia volta e me ne andai, seguita dai passi
incerti di Harry e Ron.
Uscimmo dalla base del
Platano Picchiatore e una sferzata di vento gelido pieno di neve ci
colpì; sentii Ron borbottare che gli mancava l'estate.
Era passata appena una
settimana da quando mi ero trasformata in Astoria e da quel giorno,
almeno un po', tutto era cambiato. La mia percezione delle cose, i
miei pensieri, le mie paure. La mia risolutezza era svanita, portata
via dalle ultime temperature miti di fine novembre. Non ero
sinceramente riuscita a dimenticare il vuoto allo stomaco che avevo
provato quando Malfoy mi aveva baciata e non avevo alcuna intenzione
di ritrovarmi di nuovo in sua prossimità, tanto più di
nuovo nei panni della Greengrass: avevo ardentemente sperato che non
dovessi rifarlo, ma non potevo concedermi il lusso di dire di no,
almeno non in quel momento delle nostre vite. Mi passai il dorso
della mano sull'occhio destro, poi rapidamente sul sinistro, sperando
che i miei amici non capissero che stavo piangendo. Se potevo aiutare
l'Ordine della Fenice, dovevo farlo.
Infilai le dita ghiacciate
in tasca, abbassando la testa per via del vento; camminammo nei
giardini, superando le serre e il campo da Quidditch, fino al portone
principale del Castello di Hogwarts.
Appena varcammo l'ingresso,
quando mi tolsi il cappello e mi portai i capelli dietro le orecchie,
Ron spintonò Harry e quest'ultimo mi si fece accanto.
« Sei sicura che te la
senti? » mi chiese, come sputando via delle parole che avevano
a lungo premuto contro i denti.
Annuii solamente. Così,
Harry ci riprovò. « Non devi sentirti addosso tutta la
responsabilità di questa faccenda. Non avevamo informazioni
prima e ce la siamo cavati lo stesso. Possiamo dire che ci hai
provato, ma non hai ottenuto niente » continuò,
poggiandomi una mano sulla spalla.
Distolsi lo sguardo. «
No Harry, devo farlo. Non dormirei più la notte »
confessai. « Contano su di me. Posso scoprire di Malfoy e di
tante cose facendolo crollare, facendolo confessare. Non posso
tirarmi indietro proprio ora che le cose si fanno difficili »
aggiunsi ritrovando una certa risolutezza, alzando gli occhi nei
suoi.
Harry Potter mi scrutò
a lungo, poi annuì. « Noi saremo in giro, non sarai
sola. Nel castello c'è Silente, la McGranitt e, insomma, per
qualsiasi cosa noi-»
Gli sorrisi. « Basta »
dissi con voce affettuosa. « Basta preoccuparti per me. Ora
sono una persona adulta, Harry. »
Lui strinse la mano sulla
mia spalla. « Lo so. »
Rivolsi il mio sguardo anche
a Ronald, col viso corrucciato, incapace di comunicarmi quello che
pensava davvero. « Non stare in pensiero » gli dissi. «
Non sto andando in guerra. Malfoy è solo uno stupido furetto »
scherzai e lo vidi sorridere.
Ci fermammo a parlare
sottovoce per decidere come e quando; io premevo per farlo subito,
immediatamente, quella sera stessa. Via il dente, via il dolore.
Avrei scritto un gufo a Malfoy dicendogli di vederci alla Torre di
Astronomia dopo cena, così saremmo stati soli, e non avrei
rischiato di affrontare eventuali compagni di Casa.
Presa la decisione, mi
congedai da loro per dirigermi prima alla guferia - dove con un
incantesimo contraffeci la calligrafia di Astoria e scrissi a Malfoy
- poi al bagno di Mirtilla Malcontenta per recuperare la Polisucco
che avevo nascosto dietro un pannello segreto. Loro, intanto,
avrebbero neutralizzato Astoria Greengrass.
Il bagno era deserto;
esitai, guardandomi intorno. Ticchettai con i mocassini di pelle
sulle piastrelle lucide e avanzai verso l'ultima toilette. Ci entrai
e mi chiusi dentro. Tolsi, con un incanto, il camuffamento che avevo
lanciato alla porzione di muro dietro lo scarico; spostai due pietre
e ne estrassi una bottiglia di vetro dal collo allungato e una
sostanza verdognola all'interno. Piegai il naso in una smorfia di
disgusto. Chiusi la tavoletta del gabinetto e mi ci sedetti sopra,
rigirandomi la bottiglia tra le mani.
Ora o mai più.
Dovevo farlo finché ero sicura di aver preso la decisione
giusta. Cos'era che mi spaventava così tanto? Perché
l'idea di trasformarmi di nuovo in Astoria mi fece tremare la mano
con cui aprivo il tappo della Polisucco?
Versai il contenuto in una
fialetta più piccola e nascosi tutto, nuovamente, nel mio
anfratto segreto. Misi la fialetta dentro al mio mantello e
ringraziai che, quel giorno, Mirtilla non fosse nel bagno a rigirarsi
i pollici, aspettando il malcapitato di turno per traumatizzarlo con
le sue improvvise apparizioni.
Uscii nel corriodoi e scesi
di qualche piano per raggiungere Harry e Ron. Bussai quattro volte,
con un preciso ritmo che avevamo stabilito, sulla parete dello
sgabuzzino; Ron mi aprì.
« È appena
crollata » mi disse. Mi avvicinai a lei, osservandola per un
istante di troppo, poi mi ridestai e le tolsi la cravatta, il
maglione e le scarpe, ovvero ciò che mi occorreva per
modificare la divisa standard di Hogwarts e impersonare la
Serpeverde.
Quando ebbi finito, tirai
fuori la Polisucco dal mio mantello, piegato e nascosto insieme alle
mie cose; le staccai un capello e lo immersi nel liquido nauseabondo.
Senza guardare gli occhi di Harry e Ron, buttai giù tutto d'un
fiato.
Attesi, strizzando gli occhi
e deglutendo più volte per mandare via il sapore.
« Ci sei » fece
Harry, indicando il mio volto. Mi osservai in un pezzo di vetro di
uno specchio infranto.
« Vado »
annunciai, imboccai l'uscita ma un braccio mi trattenne. Mi voltai ad
osservai il volto di Ronald. « Stai attenta » mi disse.
Gli sorrisi solamente, poi andai.
Guardai l'orologio a pendolo
del corridoio del terzo piano: le nove. La mia ora era cominciata e
scivolava già inesorabile verso la fine; mi sudavano le mani e
mi sentivo le gambe inconsistenti.
Salii di qualche piano,
presi le scale e mi diressi rapidamente alla Torre. La stanza
circolare era adornata di cuscini, magiscopi, libri e cartine
dell'universo; tutto illuminato solo dalla lieve luce della luna.
Accesi qualche candela con la bacchetta, poi presi posto in un angolo
appartato e attesi.
Furono i dieci minuti più
lunghi della mia vita; speravo e temevo che Draco Malfoy non si
presentasse. Poi, eccolo lì, sulla soglia della porta: la mano
destra appoggiata sullo stipite, la camicia arrotolata fino ai gomiti
– come se non sentisse freddo – il pantalone nero che gli
fasciava le gambe atletiche, lo sguardo tagliente come la lama di una
spada, i capelli così chiari da sembrare creati dal riflesso
della luna.
« Sei arrivato »
gli dissi.
Lui, all'inizio, non si
mosse. Poi avanzò di qualche passo, scansando i cuscini che
riempivano il pavimento, raggiungendomi. Restò in piedi a
guardarmi, così dovetti sollevare il collo per incontrare le
sue iridi.
« Non aspettavo un tuo
messaggio » sussurrò.
Cercai di calarmi nella
parte lasciando Hermione nei recessi della mia persona. «
Volevo farti una sorpresa » dissi, più lasciva di quello
che mi sarei aspettata.
Malfoy si accovacciò
sulle gambe, poggiando gli avambracci sulle ginocchia, così i
nostri volti furono alla stessa altezza.
« E... ti avevo
promesso che ne avremmo riparlato con più calma di quelle
cose » continuai, prendendo coraggio e allungando una mano
sulla sua.
Draco sembrò
trasalire, il volto contratto. « Quali cose? »
« Il discorso che
abbiamo lasciato in sospeso la settimana scorsa. Voglio farti capire
che per te ci sono. Che voglio ascoltare le tue preoccupazioni,
provare ad aiutarti... » lasciai cadere la frase.
Lui osservò la mia
mano poggiata sulla propria, poi l'afferrò e intrecciò
le dita con le mie. Si sedette completamente, accanto a me.
« Non c'è
niente che voglio condividere ad alta voce » confessò,
sempre giocherellando con la mia mano e guardandola.
« Non puoi tenerti
tutto dentro » lo incitai.
Ora che eravamo più
vicini sentivo di nuovo quel profumo che mi aveva attirato tanto: una
miscela di ambra e sandalo che cozzava con la sua figura algida, a
cui avrei associato un profumo più agrumato. La fragranza che
sentivo era invece calda, accogliente, invitante, seducente e portava
con sè il fascino dell'oriente antico.
« L'ho sempre fatto »
sorrise amaramente, guardandomi. Le sue iridi erano rese trasparenti
dalla luce della luna che tagliava la stanza con i suoi raggi
bianchi.
« Puoi provare a
confidarti una volta e-»
« L'ho fatto, ma non è
andata bene » la sua voce cambiò di tono. Divenne amara
e il suo sguardo si assottigliò. Gli strinsi involontariamente
la mano.
« Riprova con me »
gli sussurrai. « Io voglio davvero starti accanto... »
Chi era che parlava adesso?
Ero davvero così brava a recitare? O stavo provando un'assurda
e irrazionale empatia per Draco Malfoy? Perché il desiderio di
aiutarlo superava il desiderio di ottenere informazioni per l'Ordine?
Lo sentii ridere. Una risata
appena accennata ma pungente come non mi sarei mai aspettata in quel
momento. « Astoria... » mormorò. « Tu sì
che mi conosci bene. »
Mi strinse la mano più
forte, fino a farmi male. Non distolse lo sguardo dal mio e nemmeno
io lo feci; ma dischiusi appena la bocca malcelando una fitta di
dolore al polso.
« Draco... »
Con l'altra mano afferrò
la sua bacchetta e me la puntò contro prima che potessi
reagire.
« Incarceramus »
soffiò.
Improvvisamente comparirono
delle corde dai cuscini che mi tirarono all'indietro e mi bloccarono
al pavimento, intrecciandosi lungo le mia gambe, braccia e perfino
intorno al mio collo. Cominciai a respirare convulsamente, abbassando
e alzando il seno in un ritmo crescente.
« Che diavolo-»
« Chi sei? »
alzò il tono di voce, troneggiando sopra di me.
Sgranai gli occhi e lo
fissai, incapace di dire qualsiasi cosa. Poi deglutii. « Draco,
sono io, ma cosa dici, lasciami! » esclamai.
Malfoy aprì le gambe
e mise i piedi attorno ai miei fianchi, poi si abbassò per
guardarmi dritto negli occhi. « Dimmi chi sei e giuro che non
ti crucio qui, all'istante » sibilò.
Deglutii ancora una volta.
Come aveva fatto a capirlo? Cosa avevo sbagliato? Cosa era successo
in quei rapidi istanti?
« Draco... non so di
cosa stai parlando... ti prego, lasciami » provai; i miei occhi
cominciarono a farsi lucidi mentre tentavo di dare degli strattoni
alle corde con tutto il corpo.
« Vuoi sapere come ho
fatto a scoprirlo? Io e Astoria abbiamo litigato tre giorni fa. E ci
siamo lasciati. Ma, mi dicevo, poteva anche capitare che volesse
vedermi da sola per parlare... » cominciò.
« Infatti –
Draco, ti prego – io volevo solo parlare un po'... sono io, ti
giuro » riprovai.
Lui sorrise divertito. «
Ah... che bugiarda. O devo dire bugiardo? Dimmi chi sei! Eri
tu anche la settimana scorsa, eh? Ho baciato te, invece che lei...
che schifo! » disse, contraendo la mascella.
« Non capisco cosa
stai dicendo, Draco! Lasciami andare e ti spiego tutto! »
Lui rise ancora una volta;
una delle risate più crudeli che io avessi mai visto. «
Credo che invece aspetterò che passi del tempo per vederti
tornare normale... e scoprire chi sei. »
Si sollevò dal mio
corpo e si diresse verso le candele, spegnendole una ad una con una
calma impressionante. Mi sembrava di morire.
« Sai perché so
che stai mentendo? »
« Io non sto
mentendo... ti prego, ti prego Draco... » lo supplicai, ormai
terrorizzata.
« Perché »
continuò, muovendosi sinuoso per la stanza come un ragno che
osservi il bozzolo ricoperto di saliva in cui ha avvolto la sua
preda, « io ho parlato con Astoria, dopo quella volta in cui ho
parlato con te. Mi sono confidato. Sai cosa le ho detto? »
lasciò in sospeso. « Cosa ho detto ad Astoria, eh?
Sentiamo. »
Mi interrogò,
avvicinandosi di nuovo. Guardai la sua figura all'ombra della sera,
nel silenzio immobile della stanza; si potevano percepire solo i miei
respiri agitati.
« Che non vuoi fare il
Mangiamorte » provai. Seria, consapevole, intuendo i suoi
pensieri.
Draco si accigliò.
Sbatté le palpebre e mi guardò stranito. « Come
lo sai, tu- »
« Io sono Astoria »
ripetei.
« No, non lo sei! »
esclamò, visibilimente alterato. « E cosa, cosa mi
avresti risposto quella volta? COSA? » ripetè.
Sgranai gli occhi. Cosa
poteva aver risposto? D'altronde avevano litigato e si erano lasciati
e ora eravamo a questo punto. « Che non ero d'accordo... »
mormorai.
« Già »
sorrise lui, amaramente. « Mi hai dato del pazzo! Uno senza
spina dorsale, senza palle, senza virilità. Una femminuccia,
una vergogna. »
« Draco, io... »
« Ed ora mi chiedi di
confidarti i miei pensieri, che tu per me ci sarai sempre »
proseguì, ignorando i miei tentativi di farlo calmare.
« E' vero, io... »
« E' invece no!
Astoria è solo una lurida insensibile. Non mi ha mai amato e
ha sempre pensato solo al mio cognome, ai miei soldi. Sarai anche
brava a capirmi ma non sei lei... »
« Ti prego, io-»
« Sei troppo dolce per
essere lei » mormorò, quasi tra sè e sè,
prendendo a vagare per la stanza senza una meta.
Mi zittii. Osservai la
schiena ampia e muscolosa coperta dal cotone sottile della camicia
bianca; mi dava le spalle, le mani in tasca, la testa leggermente
abbandonata verso il basso che scopriva la nuca lattea. Poi si voltò.
« Cosa volevi
ottenere? A cosa ti servono certe informazioni? Sarai mica... del
trio dei miracoli? » aggiunse, sgranando gli occhi.
Mi sorpresi a mia volta. «
Draco, smettila! Io ci ho pensato, ecco perché sono tornata a
parlarti. Per fare pace, per farti capire che per te ci sono
sempre... » mi morsi il labbro con fare nervoso.
Lui mi osservò e
sorrise. « Quel gesto mi fa impazzire. Ma lei non lo fa mai »
mi disse.
Mi maledissi con tutta me
stessa. Distolsi lo sguardo, sempre più convinta che da quella
Torre non sarei uscita viva. Sentii i rintocchi delle dieci ripetersi
inesorabili, risuonando come un'eco in tutto il castello. Chiusi gli
occhi con forza, sapendo che stavo per tornare normale.
Non volli guardare. Non
volli guardare l'espressione disgustata di Draco Malfoy mentre
tornavo ad essere Hermione Granger. Non avrei sopportato di sentirmi
così umiliata, così ridicolizzata. Ma stava accadendo e
non potevo farci niente.
« Tu... » lo
sentii dire e capii che la trasformazione era completa. Sentii il
peso dei boccoli castani che mi ricaddero lungo le spalle; avvertii i
miei piedi ridursi nelle scarpe due numeri più grandi delle
mie.
Aprii le palpebre e lo
osservai. Sapevo di avere gli occhi pieni di lacrime e lo sguardo
atterrito come mai avrei sopportato di farmi vedere da lui.
« Lasciami... »
mormorai con la voce rotta. « Fammi andare via, ti prego. »
« Cosa volevi? »
sbottò, poi si avvicinò a me. Si abbassò sul mio
corpo e mi afferrò per i capelli. « Cosa cazzo volevi da
me? » mi strattonò.
« Io volevo »
singhiozzai, poi cercai di riprendermi almeno in parte. L'orgoglio mi
bruciava dentro terribilimente. « Io volevo solo aiutarti »
dissi. E mi resi conto che non era, poi, una bugia così
grande.
Mi osservò a lungo,
allentando gradualmente la presa sui miei capelli. Fece scorrere le
sue pupille nelle mie e i nostri respiri si adeguarono allo stesso
ritmo. Dovette percepire la mia sincerità, ma ne fu
visibilmente turbato. Sollevò la bacchetta e me la puntò
contro.
« Diffindo »
sussurrò.
Le corde si spezzarono in
tantissimi pezzi e la pressione che esercitavano sul mio corpo svanì
all'improvviso. Mi toccai le braccia e le gambe, mi massaggiai il
collo. Sbattei le palpebre e trovai ancora i miei occhi umidi.
« Grazie » gli
dissi, sollevandomi.
Ci osservammo per qualche
istante, in piedi l'uno davanti all'altra. Non sapevo davvero perché
mi avesse lasciato andare, se l'avevano convinto le mie parole o se
aveva provato compassione per me. Lo osservavo in viso, mai
completamente sereno e disteso come lo avevo visto quella volta al
suo dormitorio; potevo leggerci dentro rabbia, risentimento,
diffidenza ma anche curiosità.
Feci un passo, poi un altro,
diretta all'uscita. Gli passai accanto e lui non si mosse neanche di
un millimetro. Lo superai e affrettai i passi, fino alla porta; poi,
corsi via.
Corsi disperatamente lungo
il corridoio dell'ultimo piano, strappandomi via la cravatta e
cercando di guardare oltre il muro di lacrime che occludeva i miei
occhi.
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Capitolo 3 *** E idee drastiche ***
Intro:
modifico queste poche righe specificando che questo non è l'ultimo cap. Ho riaperto la storia e la continuerò qui, a breve. Grazie per il vostro supporto, per avermi seguito e ispirato. Baci,
Erin.
POLISUCCO
e idee drastiche
Mi fermai, appoggiandomi
contro le fredde pietre che ricoprivano i muri del Castello di
Hogwarts. Un orologio a pendolo segnava le dieci e quindici. Era da
poco passato il coprifuoco e io dovevo affrettarmi a tornare allo
stanzino dove Harry e Ron mi stavano aspettando.
Mi asciugai di nuovo le
lacrime salate e ripresi a camminare, spedita, cercando di ritornare
in me. Poi mi fermai. E se Astoria si era risvegliata? E se avevo
compromesso anche loro con il mio ritardo?
Raggiunsi circospetta il
luogo in cui li avevo lasciati; sbirciai dalla porta accostata, con
il respiro che mi agitava i polmoni e un forte senso di nausea ad
attanagliarmi la gola.
« Herm! Ma che
diavolo! » aprì all'improvviso la porta Ronald. «
Ma dov'eri finita? Abbiamo dovuto sistemare Astoria da soli ed era
senza scarpe e cravatta e- »
Harry gli rifilò una
gomitata; forse aveva notato i miei occhi lucidi, forse aveva
semplicemente pensato al peggio. E in quel momento era proprio ciò
che era accaduto.
« Ho fallito »
mormorai, guardando negli occhi entrambi.
Ron sbiancò; si
dovette appoggiare allo stipite della porta. « Vuoi-vuoi dire
che ti ha riconosciuto? »
Annuii gravemente. Harry
contrasse la fronte, consapevole, ma non disse nulla. Restai a
torturarmi le mani in attesa di una soluzione che piovesse dal cielo.
« Dobbiamo andare alla
stamberga e dirlo all'Ordine » disse infine Harry. Annuii,
convinta anch'io che fosse l'unica cosa ragionevole.
Ci spostammo con il mantello
dell'invisibilità, benché godessimo della protezione di
alcuni professori; uscimmo nei giardini gelidi immersi nel buio e nel
silenzio.
Davanti agli occhi severi e
preoccupati di Remus Lupin, accorso di fretta per capire cosa era
accaduto, non riuscii subito a parlare. Poi gli raccontai tutto. Mi
aspettavo scenate sul fatto che ero stata irresponsabile,
precipitosa, poco attenta; invece, mi chiese scusa.
« Ti abbiamo chiesto
troppo, è colpa nostra. Stagli alla larga. Godrai, come
sempre, della protezione di Hogwarts e non ti capiterà niente.
Ma stagli alla larga » mi ribadì. Ci salutò
affettuosamente e, di nuovo col mantello dell'invisibilità
sulle spalle, tornammo al Castello e ci rintanammo nel nostro
dormitorio.
Per me, i giorni a seguire,
furono pesanti come macigni. Non ero capace di accettare un
fallimento, non ne ero mai stata in grado. Quelle poche volte che
avevo avuto qualche cedimento, nello studio e nella vita, avevo
sempre ritentato per riuscire a ottenere il risultato sperato.
Adesso, pur volendo trasgredire le istruzioni di Lupin, non potevo
assolutamente riprendere le sembianze di Astoria né di qualche
altro Serpeverde, perché Draco Malfoy non era stupido.
Era chiaro: l'avevo
sottovalutato. Pensai e ripensai a quanto ero stata sciocca a non
informarmi prima, per bene, su quale fosse la situazione tra loro
dopo una settimana in cui avevo smesso di osservarli. Ero stata
imprudente. Mi maledicevo perché avrei potuto aspettare,
organizzarmi meglio; eppure ero sempre stata paziente e controllata.
Perché mai ero stata così precipitosa?
Questi pensieri, purtroppo,
non mi abbandonarono. La vista di Malfoy a lezione, in Sala Grande,
durante le partite di Quidditch, nei corridoi, al club dei duellanti,
mi riportava alla memoria il mio fallimento. Corrugavo la fronte,
distoglievo lo sguardo e mi davo della cretina.
Per lo più studiavo,
come avevo sempre fatto; ma ora, più di prima, passavo interi
momenti liberi in Biblioteca, senza Harry e Ron, perché
perfino i loro sguardi mi ricordavano l'umiliazione subita –
benché fossero comprensivi e gentili con me. Nessuno dei due
si era permesso di accusarmi né eravamo tornati
sull'argomento; ma io sentivo che Harry aveva pensato, almeno
una volta, che ero stata una sciocca.
Dicembre arrivò e
così anche tanta neve, tanti compiti e tante gite ad
Hogsmeade. Cominciarono anche le feste del Lumaclub a cui Lumacorno
premeva affinché andassi, dopo che la prima volta non mi ero
presentata. Perciò, dopo un mese dagli eventi, cominciai a
perdonare me stessa e mi concessi il diritto di distrarmi e
partecipare.
Indossai un abito rosso, mi
passai attorno alle spalle una stola di lana e mi incamminai, ad un
passo da Harry e Ginny che si tenevano vicini. In quel momento mi
dispiacque che Ronald non ci fosse, mi sentii davvero di troppo; ma
riflettei sul fatto che non c'erano altri motivi per cui volevo Ron
accanto a me.
La festa era più
piacevole di quello che mi sarei aspettata; l'ambiente era sereno, la
musica non troppo alta, il cibo buono e le persone abbastanza
selezionate. Dopo una mezz'ora e un calice di champagne, cominciai a
sentirmi leggera.
« Levami le mani di
dosso, lurido Magonò! » sentii all'improvviso
dall'ingresso dalla sala. Molti studenti si affacciarono a sbirciare
cosa stesse accadendo; poi, sentii un'altra voce.
« Professor Lumacorno,
signore, ho appena trovato questo ragazzo nascosto in un corridoio di
sopra » sputacchiò Gazza, trattenendo Draco Malfoy per
la spalla della giacca. « Sostiene di essere stato invitato
alla sua fest- »
« D'accordo d'accordo!
Volevo imbucarmi, contento? » si trattonò via Draco.
Lo guardai attraverso le
fessure lasciate tra i corpi dei presenti in sala; notai il suo
sguardo truce, disgustato e rancoroso. Era vestito completamente di
nero, con una giacca e un pantalone classico. I suoi capelli
biondissimi riflettevano le luci aranciate dell'ambiente.
« L'accompagnerò
io. Fuori » intervenne Piton con pesante flemma.
Vidi Malfoy deformare le sue
labbra, se possibile, in un disgusto ancora maggiore. Ci fu un attimo
di attesa in cui pareva che il giovane Serpeverde si volesse
scagliare alla gola del neo insegnante di Difesa Contro le Arti
Oscure.
« Certamente...
professore » sibilò infine e si fece accompagnare
fuori senza dire altro.
Lumacorno ruppe il silenzio
con una risatina imbarazzata e invitò gli ospiti a riprendere
la festa; la musica ripartì e dopo una prima esitazione tutti
tornarono al buffet o parlare animatamente.
Approfittando della festa
che aveva ripreso a scorrere, scivolai tra gli studenti diretta
all'uscita; lentamente lasciai la sala e mi ritrovai nel corriodoio
silenzioso e fiocamente illuminato. Sentii delle voci; mi tolsi le
scarpe e le tenni nella mano sinistra, per evitare di fare rumore.
Così, cercai di avvicinarmi alla sorgente del suono che
sentivo e mi nascosi dietro una serie di colonne quando fui vicina.
Malfoy e Piton stavano
discutendo con voce soffiata e denti stretti; sentii dire che Draco
era stato scelto, che doveva farlo, che il Signore Oscuro
credeva in lui, che era la sua occasione. Sentii di Piton e del voto
infrangibile con cui doveva proteggere il suo pupillo.
Mi premetti una mano sulla
bocca per fermare la sorpresa e la paura che mi stava attanagliando
lo stomaco. Era quello che dovevo scoprire, fin dall'inizio; con
quelle informazioni potevo riscattarmi. Provai un senso di
soddisfazione misto ad un senso di angoscia ma anche preoccupazione:
non tanto per quello che avevo scoperto in sé, quanto per la
strada che Draco aveva scelto di intraprendere.
Appena possibile, riferii
tutto a Harry e Ron e poi all'Ordine. Lupin era convinto che di Piton
ci si poteva fidare, che il suo era un doppiogioco a nostro favore.
Io non sapevo cosa credere; ma, nella mia mente, c'era un piccolo e
immotivato spazio riempito dalla preoccupazione che nutrivo per
Draco. Sentii il bisogno di aiutarlo, di nuovo. Un'emozione
che non avrei dovuto provare, che non mi faceva bene e che non avrei
mai potuto confessare a nessuno.
Passarono dei mesi, lenti e
imprigriti dal freddo dell'inverno. Harry era spesso lontano da
Hogwarts; ci dava solo informazioni a metà, circa dei viaggi
che doveva intraprendere con Silente. Una volta avevo provato a
chiedere di più ma pareva che anche Harry avesse idee confuse
a riguardo del vero scopo di quei sopralluoghi.
Dal canto mio, cercavo di
restare concentrata sulla vita del Castello e sui compiti. Mi isolavo
più di prima perché avevo pensieri che mi tenevano
sveglia la notte; mi sembrava di essere bloccata, inutile e impotente
nei confronti di una cosa così importante.
E sapevo, sapevo benissimo
che dovevo girare alla larga da Malfoy e dai suoi strani spostamenti
ma non riuscivo; e non riuscivo nemmeno a confessare a me stessa il
reale motivo.
Un giorno come altri, lo
vidi scomparire nella stanza delle necessità e, prima che si
chiudesse il passaggio, decisi di entrare. Me ne pentii un attimo
dopo, quando gli istinti lasciarono spazio alla razionalità.
Il respiro mi si fece affannoso e il cuore mi batté a ritmo
forsennato, lo stomaco mi si svuotò e le gambe mi tremarono.
Provai a muovermi nella moltitudine di oggetti e mobili che erano
stati nascosti in quella stanza magica; intanto, sentivo la sua voce
sottile e i suoi spostamenti ma non lo vedevo.
Mi spostai ancora e
finalmente potei notarlo; armeggiava con una sorta di armadio stretto
e alto, angolare. Lo vidi estrarre quello che pareva essere un
uccellino morto; non potevo vedere la sua espressione perché
era di spalle.
Urtai con il piede un piatto
di ottone che oscillò e sbattè contro un candelabro;
risuonò nel silenzio della stanza un rumore metallico.
Draco si voltò
d'improvviso; afferrò la bacchetta e chiuse l'armadio,
camminando e guardandosi intorno. Mi accucciai, maledicendomi. Lo
vidi sparire dietro una libreria molto alta, stracolma di vecchi vasi
e cofanetti; mi affacciai per capire se avevo via libera per cercare
di andarmene.
« Mezzosangue »
disse la sua voce alle mie spalle. Spostai la mano destra sulla
bacchetta. « Non ci provare » disse ancora. «
Solleva le mani. »
Deglutii. Sollevai
lentamente i palmi. « Alzati e girati, lentamente »
continuò. Obbedii, terrorizzata all'idea che, soli in quella
stanza, avrebbe potuto uccidermi, nascondere il mio corpo in qualche
anfratto e nessuno lo avrebbe mai saputo.
Mi sollevai e mi voltai,
tenendo sempre le mani all'altezza delle spalle, puntando finalmente
i miei occhi nei suoi. Erano passati mesi dall'ultima volta che ci
eravamo trovati in quella situazione.
« Mi ero persa »
dissi senza troppa convinzione. Infatti, lui rise.
« Mezzosangue... »
cantilenò. « Stai cercando di morire a tutti i costi,
eh? Proprio non vuoi prenderlo questo diploma. »
Corrugai la fronte ma non
distolsi lo sguardo dal suo: freddo come un temporale invernale. La
linea del suo naso era dritta, severa, quasi in contrasto con la
bocca appena carnosa e rosata; le spalle ampie erano fasciate da un
maglione nero a collo alto, appena arrotolato sugli avambracci che
lasciava intravedere il marchio che, fino a qualche mese prima, non
aveva. La mano destra, diafana e affusolata, teneva la bacchetta tra
le dita, con la punta che indicava pericolosamente il mio sterno.
Tentai il tutto per tutto;
se voleva uccidermi, l'avrebbe fatto comunque. « Cosa stai
facendo qui? »
Lui si accigliò. «
Ti aspetti davvero che te lo dica? »
Mi morsi il labbro inferiore
e lui sbatté le palpebre, per un attimo come distratto. «
Non volevi diventare un mangiamorte... » riprovai.
« Le intenzioni
cambiano a seconda degli eventi » rispose glaciale.
« E cosa ti ha fatto
cambiare idea? »
Draco sorrise amaramente. «
Tu, mezzosangue. Tu e la tua stupidità. »
Mi accalorai. « Io? Io
che ho cercato in tutti i modi di farti capire che era la scelta
sbagliata? » sbottai.
« Da quella storia ho
capito che non potrò mai decidere. Blaise, Theodore...
e Astoria, gente come loro non prevede che possa dire no al
Signore Oscuro. Così come i miei » fece una smorfia di
dolore e chiuse per un attimo gli occhi, distendendo la schiena. «
E' il naturale flusso delle cose che- »
« Tu puoi decidere,
Draco. Tu puoi. Puoi farlo! » ripetei con decisione. « La
scenata di Astoria, le parole dei tuoi amici o della tua famiglia non
sono la legge a cui devi sottostare. Tu non appartieni a loro,
appartieni solo a te stesso! »
La mano di Malfoy tremò.
Sembrò volersi abbassare ma, dopo un istante, lui la riportò
alta; stavolta puntava al mio viso.
« Cosa ne puoi sapere
tu? » disse con rabbia. « Tu con la tua bella vita, con i
tuoi amichetti! Senza problemi, senza responsabilità! »
« Anch'io ho i miei
problemi! Anch'io ho le mie responsabilità! Anch'io ho scelto
e perso, sono stata sconfitta ma mi rialzo sempre e continuo a
combattere! » gli dissi. Le braccia mi dolevano e presero a
vibrare per la tensione.
« Tu non sai niente,
Mezzosangue. Non sai niente della mia vita! » esclamò. «
Non sai niente di me! »
« Io voglio aiutarti!
Fidati di me, vieni con me » dissi, facendo un passo verso di
lui.
Draco distese il braccio e
strinse le dita attorno alla bacchetta scura.
« Posso aiutarti.
Draco, io-»
« Stupeficium!
»
Venni sbalzata lontano da
lui e caddi contro degli oggetti, perdendo i sensi.
Mi risvegliai dopo non so
quanto. Ero ricoperta di polvere e mi doleva la testa; dovetti
aiutarmi, sorreggendomi ad una sedia, per rimettermi in piedi. Mi
spazzolai i vestiti e lasciai la Stanza delle Necessità.
Mi aveva colpito con così
tanta forza e rabbia che ero svenuta all'istante; fremevo di
risentimento e l'orgoglio mi bruciava nelle vene come fuoco. Mi
decisi, in quel momento, che non lo avrei più aiutato. Che
aveva definitivamente scelto e che io non potevo farci più
niente.
Harry mancava da tre giorni
e di lui non avevamo alcuna notizia. Era cominciata la stagione delle
piogge, il cielo era sempre scuro e tutto sempre umido. Ronald era
diventato taciturno e depresso; Ginny parlava solo di Harry e ci
chiedeva in continuazione quando l'avrebbe rivisto. Odiavo non sapere
cosa stesse accadendo.
Poi, un giorno più
scuro di altri, provai un fortissimo senso di irrequietezza. Non
riuscivo a stare seduta sulla sedia, come se la Biblioteca mi
sembrasse troppo piccola, troppo angusta.
Incontrai Ron nei giardini,
appena uscito dagli allenamenti di Quidditch di quel pomeriggio.
Sentimmo dei rumori appena udibili provenire dalla Torre di
Astronomia. Sollevai lo sguardo oltre le spalle di Ron e vidi un uomo
precipitare dalla balaustra esterna.
In un attimo fu a terra.
Mi portai le mani alla
bocca. Ron si voltò e vide quel corpo, riverso, lontano
centinaia di metri da noi.
« Che diamine- »
« E' appena caduto...
mi sembrava, mi sembrava... » biasciai tra le dita, cominciando
a tremare.
« Andiamo a vedere? »
mi chiese Ron in un sussurro. Annuii.
Ci incamminammo verso il
Castello finché non vidi uscire Piton, quella che mi pareva
Bellatrix Lestrange e altre figure scure dalla base dell'edificio. A
seguire, Harry con la bacchetta sguainata.
Gridava, ma non riuscivo a
capire cosa. Volarono incantesimi ma tutto si concluse in un attimo:
il gruppo si smaterializzò e sparì nel nulla; Harry
cadde sulle ginocchia, solo.
Mi affrettai per
raggiungerlo. Ron mi stette dietro e, quando fummo abbastanza vicini,
cominciammo a chiamarlo.
Harry si voltò; il
volto rigato da lacrime, il corpo scosso da fremiti. Si girò,
indicando il corpo riverso ai piedi dei muri di Hogwarts che adesso
riconoscevo distintamente come quello di Albus Silente.
« L'ha... l'ha ucciso!
»
« Chi l'ha ucciso?
Chi, Harry? » cercai i suoi occhi.
« Piton! Piton l'ha
ucciso! »
In quel momento uscì
un'altra sagoma dal buio dell'ingresso principale. Draco Malfoy
arrancava zoppicando e perdeva sangue dalla tempia destra. Quando
Harry lo vide, si alzò e ci si scagliò contro.
« Tu! Lurido, schifoso
mangiamorte! » lo afferrò per il maglione, mentre Malfoy
restava inerme con gli occhi quasi assenti.
« Harry! »
esclamai.
Lui si voltò a
guardarmi. « Era con loro, erano d'accordo! Ha cercato di
uccidere Silente! » mi spiegò rabbioso.
« Non l'ho ucciso,
però » mormorò Draco.
Harry lo guardò con
rabbia, senza lasciare la presa. « L'hai disarmato, l'hai reso
indifeso... »
« Ho combattuto con
mia zia e con quel lurido di Piton per non farlo! E per non andare
con loro! Sono rimasto qui, ad affrontare ciò che mi merito!
Perciò uccidimi, Potter! Tanto non mi aspetta niente, da
nessuna parte » esclamò, perdendo vigore nelle ultime
parole.
Harry lo fissò con
una malvagità che mai gli avevo visto negli occhi; gli andai
vicino e lo scostai con decisione. Lasciò il maglione di Draco
che fece qualche passo indietro barcollando.
Ron andò al fianco di
Harry e così tutti e tre guardammo Malfoy. Non seppi dire se
Harry pensò seriamente di ucciderlo; di sbarazzarsi di lui
diventando giustiziere e carnefice, vendicandosi e seguendo l'istinto
di quel momento. Ma non lo fece. E nemmeno Draco sollevò mai
la bacchetta. Restammo a guardarci per qualche istante.
Non avevo ben capito cosa
era successo; potevo vedere solo il corpo di Silente immobile,
percepivo la rabbia del mio migliore amico e guardavo negli occhi un
ragazzo a cui non importava più nulla della propria vita.
Feci un passo verso Draco,
poi un altro; lui indietreggiò, spaventato da me. Poi cercò
i miei occhi, facendo scorrere furiosamente le pupille nelle mie,
cercando qualcosa che sapevo bene.
« Vuoi aiutarmi? »
Annuii. Distesi le braccia e
lentamente le portai attorno al suo torace; quando lo circondai del
tutto, in quello che sembrava un semplice abbraccio, lui cedette
appena sulle gambe e si appoggiò, stanco, su di me. Le sue
labbra si ritrovarono all'altezza del mio orecchio.
« Allora portami con
te » sussurrò.
Ci pensai su meno di quello
che avrei dovuto. Mi feci inebriare dal suo calore e dal profumo
d'ambra, dalla verità che avevo letto nei suoi occhi. Mi
voltai appena verso Harry e Ron.
« Ci vediamo davanti
al quartier generale » dissi. E con Draco Malfoy tra le braccia
mi smaterializzai e apparsi, dopo pochi istanti, davanti Grimmauld
Place n°12.
|
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Capitolo 4 *** E svolte incerte ***
Intro:
eccomi con un nuovo
capitolo. Ho deciso, come potete leggere dalle precedenti premesse
(che ho editato) di continuare qui la ff. Vi consiglio una canzone
che ascolto mentre scrivo di Draco e che a parer mio rispecchia molto
il suo stato d'animo al momento (capirete perché anche
leggendo il capitolo): Chop Suey dei System of a Down. Più
avanti ve ne indicherò altre se vi piace l'idea! Vi lascio
alla lettura. Fatemi sapere cosa ne pensate ^-^
POLISUCCO
e svolte incerte
Il silenzio e l'umido della
sera che avvolgeva Grimmauld Place mi colpì in pieno viso.
Sbattei la palpebre, cadendo pesantemente con le piante sull'asfalto;
cedetti appena sulle ginocchia con il peso addosso di Draco Malfoy.
Lui cercò di
rimettersi in piedi, guardandosi intorno stranito e confuso. Le sue
dita strinsero la stoffa del mio maglione all'altezza dei fianchi,
come ancorandosi, seppur la sua attenzione fosse rivolta alle sue
spalle. Lì si erano appena smaterializzati Harry e Ron.
Guardai il mio migliore
amico e dischiusi le labbra, la fronte contratta nella mia decisione.
« Dovevo » risposi alla sua tacita domanda.
Harry Potter camminò
verso di me e mi spinse sulla clavicola destra, continuando ad
avanzare, così mi separai da Malfoy e feci qualche passo
indietro per non cadere.
« Tu sei
un'irresponsabile! Ma cosa ti dice la testa? Portarlo qui... »
indicò, senza guardarlo, il palazzo in cui il numero dodici
era celato.
« Harry io... tu devi
capire! Malfoy ha solo noi adesso! » dissi concitata.
Vidi Draco, con la coda
dell'occhio, fissarmi con attenzione; Ronald, invece, squadrava il
suo nemico giurato con confusione mista a palese rabbia.
« Insomma, ha scelto
di non uccidere Silente! » proseguii.
« Non pronunciare quel
nome, con il suo corpo ancora caldo riverso su un prato che-»
« Harry! »
fermai quel fiume di parole, mettendogli le mani intorno al viso. «
Lo so che sei sconvolto. No, guardami. Lo so. » Feci una pausa,
stringendo le mani sui suoi zigomi. « Anch'io non posso
crederci. Ma cosa avrei dovuto fare? »
« Malfoy non merita di
essere salvato... » sibilò.
« Questo lo decideremo
tutti noi » intervenne una voce profonda e adulta.
Entrambi ci voltammo a
guardare Remus Lupin con accanto Malocchio Moody. « Entriamo
dentro, adesso » disse l'ultimo.
Camminando nel corridoio
cupo del quartier generale della Resistenza, avevo davanti a me la
schiena di Draco, ampia e muscolosa, spezzata dai movimenti incerti
della gamba destra che ogni tanto cedeva.
Non ero certa di aver fatto
la scelta giusta; le parole di Harry su ciò che avrebbe
meritato Malfoy mi avevano stranito. Potevo mettere una pietra su
tutto ciò che era stato Draco nei nostri confronti, in quegli
anni? Mentre riflettevo, mi resi anche conto che non lo avrei mai
lasciato lì, da solo, con lo sguardo perso e vuoto, con gli
occhi freddi come pezzi di vetro. Perciò, in parte, avevo
comunque preso la decisione che avevo avvertito subito come giusta.
Come morale. Mi venne un'irrazionale voglia di allungare una
mano, poggiare il palmo sui suoi dorsali e fargli sentire il mio
calore, ma mi trattenni.
Arrivammo nella stanza più
grande e ci aprimmo intorno al tavolo sotto gli occhi degli altri
presenti, tra cui il signor Weasley e Nymphadora Tonks.
Lupin poggiò una mano
sulla spalla di Draco e accompagnò il gesto per farlo sedere.
Tonks guardò stranita
il compagno. « E' il figlio dei Malfoy? Prendiamo anche
prigionieri, adesso? »
Lupin scosse la testa. «
Sembra essere venuto qui di sua spontanea volontà. »
Il signor Wealsey affiancò
il figlio e gli strinse le spalle con un gesto d'affetto. «
Stai bene? » Ron annuì.
« Silente è
morto » annunciò Harry, « Malfoy l'ha disarmato e
Piton l'ha ucciso! » esclamò. Tonks si portò una
mano alla bocca e guardò nuovamente Remus.
« Avevi detto che
potevamo fidarci di lui! Avevi detto che Silente si fidava di lui! »
gridò ancora Harry, con gli occhi pieni di lacrime.
Lupin crollò su una
sedia, confuso, passandosi le mani tra i capelli. Poi saettò i
suoi occhi chiari su Draco Malfoy.
« Parla » fece.
Draco si strinse la stoffa
dei pantaloni tra le dita. « Il signore Oscuro ha chiesto a me
di farlo... potevo portare onore alla mia famiglia. Ma comunque, se
mi fossi rifiutato, ci avrebbe ucciso. » Fece una pausa, senza
guardare nessuno. « Piton mi proteggeva, a suo modo. Credo
addirittura con un voto infrangibile. Ma, alla fine dei conti,
non ce l'ho fatta. Sono... scappato. »
« Ha combattuto contro
Bellatrix e Piton ed è rimasto al Castello » intervenni,
sporgendomi sul tavolo.
Malfoy mi guardò. «
Sì, insomma... Non ho un posto dove andare. E non so se i miei
sono ancora vivi, attualmente » disse con limpidezza, con voce
pacata come se stesse parlando di qualcosa che non gli apparteneva.
Proprio per questo, mi parve di notare la vacuità dei suoi
occhi.
« Io non mi fido »
sentenziò Harry, incrociando le braccia al petto. « Non
lo voglio qui. »
Lupin scosse la testa e si
alzò in piedi. « Mi occuperò di fare chiarezza in
questa vicenda. Intanto, il ragazzo resta qui » disse. Guardò
brevemente il resto dei presenti che annuirono.
« Come puoi? Come
potete?! »
« Harry » lo
bloccò Lupin, fissandolo negli occhi verdi della madre. «
Ora siamo tutti sconvolti ma prendere decisioni senza aver chiara
tutta la vicenda non è da me. Malfoy resta qui e poi si decide
con calma cosa fare. »
Harry lasciò la
stanza e Ron, senza dire una parola, si affrettò a
raggiungerlo. Calò un silenzio grave sul tavolo spoglio del
soggiorno.
« Hermione » mi
guardò Lupin. « Mi sembri, come sempre, la più
ragionevole. Trovi dei vestiti vecchi di Sirius nella stanza dove hai
dormito l'ultima volta. Dalli al giovane Malfoy » poi si
rivolse agli altri e li guardò con serietà. «
Convochiamo tutti per una riunione straordinaria. »
Capii
che dovevo lasciare il soggiorno. Feci cenno a Draco che si alzò
senza dire nulla e mi seguì fuori. Salimmo al piano di sopra,
verso le camere da letto; entrai in quella dove c'erano due letti a
castello e mi diressi all'armadio ampio e scuro appoggiato alla
parete in fondo. Dal cassetto tirai fuori un pantalone e una t-shirt
blu navy che mi parvero potessero andare a Draco. Glieli porsi e gli
indicai il bagno. Tirai fuori dalla mia borsa del dittamo e lo
poggiai sugli indumenti che teneva piegati sulle braccia.
« Sulla tempia e sulla
ferita della gamba » gli dissi. Lui annuì. Si voltò
e sparì oltre la porta. Restai qualche istante interdetta,
come dispiaciuta di non aver sentito da lui delle parole –
qualsiasi parola, invece che il silenzio. Poi sentii il rumore della
chiave nella toppa e feci due passi indietro, andandomene.
Mi distesi sul materasso di
sotto del letto a castello, addossato al muro a destra; in quel
momento entrarono Harry e Ron. Senza dire nulla, presero posto sulla
struttura letto a sinistra, il primo sopra e il secondo sotto. Harry
aprì una copia della Gazzetta del Profeta e accese una debole
luce; Ron prese a sfogliare delle foto in movimento dell'ultima
vacanza che aveva fatto con la famiglia, in Egitto.
« Avete intenzione di
tornare a parlarmi, prima o poi? » dissi.
Harry abbassò la
Gazzetta per guardarmi. « Forse » fece con un tono di
voce meno duro di quello che mi sarei aspettata. Ron si voltò
verso di me. « Herm io stanotte non dormo con quella serpe qua
dentro » si lamentò.
Mi venne da sorridere. «
Diamogli una possibilità. Lui la sta dando a noi. »
Harry si mise a sedere. «
No, la cosa non è vicendevole. Noi la stiamo dando a lui. »
« Harry... in un
attimo ha perso tutto. I genitori, gli amici, il futuro-»
Mi voltai improvvisamente,
rendendomi conto che sulla soglia della porta c'era Draco Malfoy.
Aveva indossato i vestiti che un tempo erano stati di Sirius e quando
Harry se ne accorse, spense la sua luce e si voltò dall'altra
parte. Ron fece lo stesso, dandogli le spalle e accovacciandosi con
il cuscino tra le gambe.
La luce affianco al mio
comodino era accesa. Gli feci un sorriso per dirgli di avanzare.
Draco poggiò il
dittamo su una mensola, insieme ai suoi vecchi abiti strappati e
macchiati di sangue; guardò il letto sopra il mio.
« Dormo lì? »
Io annuii. Lui imboccò
la scala prima che potessi dirgli qualcosa. Vidi le sue gambe
scomparire, il materasso muoversi fino a fermarsi del tutto; poi fu
come se sopra non ci fosse nessuno.
Restai ad osservare la rete
di metallo sopra di me, chiedendomi se e cosa potessi fare per farlo
stare meglio. Sembrava l'ombra di se stesso e io non riuscivo a
smettere di pensarci.
Il mattino seguente uscirono
tutti per andare al funerale di Silente perciò restammo in
casa solo noi tre e Draco. Harry camminava avanti e dietro con
frenesia, biascicando a denti stretti che avrebbe dovuto essere ad
Hogwarts anche lui e che se era bloccato lì era solo colpa di
Malfoy. Ronald mangiava, assente, giocando con le briciole rimaste
nel piatto; aveva trovato una vecchia rivista di scope magiche e la
stava sfogliando con poca attenzione.
Io ero appollaiata sotto la
finestra, con un cuscino dietro la schiena, a leggere un vecchio
libro di erbologia della biblioteca di casa Black; ma i miei occhi si
spostavano dalle righe della stessa pagina al punto in cui avevo
visto sparire Draco da mezz'ora.
Avevo un viscerale bisogno
di parlare con lui, trattenuto troppo a lungo; perciò chiusi
il libro e mi alzai, diretta nella sala accanto. La trovai vuota.
Svoltai nel corridoio e mi affacciai in cucina, nel soggiorno, negli
stanzini, nei bagni aperti; imboccai le scale e raggiunsi il secondo
piano: le camere da letto erano vuote. Sentii poi dei rumori in
mansarda; salii la scala a chiocciola che portava in una camera dal
tetto basso, piena di vecchio mobilio coperto da teli bianchi,
polvere e puzza di muffa.
Malfoy teneva un coccio di
vetro affilato tra le dita e i polsi perdevano sangue; gli occhi
erano rossi e cerchiati da quella che sembrava una notte insonne.
Lacrime ormai vecchie avevano lasciato solchi umidi sulle guance. I
capelli, biondo burro, stavano scomposti ad incorniciare un viso così
bello quanto pallido. E quel sangue, che scendeva dai polsi sulle
ginocchia e gli inzuppava perfino il pantalone, che gli lambiva le
caviglie appena scoperte e bagnava i piedi nudi e affusolati –
quel sangue, era ovunque.
Mi fiondai su di lui. Gli
strinsi i polsi per fermare l'emorragia e Draco sbatté gli
occhi, tornando cosciente. Le sue pupille nerissime scorrevano
furiose nelle mie, ostacolate dalle palpebre che cadevano pesanti per
riappropriarsi completamente dei suoi occhi.
« Fermati » mi
sussurrò.
Mugugnai di no e mi accorsi
che stavo piangendo. Con le mani piene di sangue gli diedi dei
colpetti sulle guance per non farlo riaddormentare, me le passai sul
viso per scostarmi i capelli e sentii subito il sapore ferroso che
ormai aveva sporcato anche me.
Mi alzai barcollando ma,
decisa, corsi al piano di sotto; afferrai il dittamo sulla mensola
della nostra camera e scappai, inciampando e cercando di vedere oltre
le lacrime, per raggiungerlo di nuovo.
Stappai la bottiglia con le
mani che tremavano, gliela versai sui polsi e mi strappai dei lembi
dalla maglia, arrotolandoli intorno alle sue ferite.
« Fermati » mi
ripeté con voce appena udibile.
« No... no... »
mormorai, continuando a fasciare i tagli. Sapevo che il dittamo aveva
effetto immediato ma quei solchi erano così profondi che
temevo si potessero irrazionalmente riaprire e portarlo alla morte.
Mi alzai di nuovo, corsi
ancora al piano di sotto e afferrai la mia borsa, cercandovi dentro
frettolosamente una pozione ricostituente che portavo sempre con me.
La trovai dopo poco e tornai sopra, concitata, accovacciandomi
davanti a lui e portandogliela alle bocca.
Draco mi fissava con le sue
pozze gelide prive di espressione; sembravano scavarmi dentro e
oltrepassarmi, tanto che esitai. Poi gli dilatai le labbra con le mie
dita e gli feci bere la pozione contro la sua – debole –
volontà.
Tossì e io rimasi
seduta lì accanto, aspettando di veder tornare un minimo di
colorito sul suo viso.
« Sei tutta sporca di
sangue » mi disse dopo poco, riaprendo gli occhi.
« Come ti senti? »
« …meglio. »
« Perché l'hai
fatto? » gli domandai.
Draco distolse lo sguardo.
Si mise meglio a sedere e sembrò avesse recuperato parte delle
forze. « Sono troppo vigliacco per questa vita » mi
rispose, guardando il vetro rotto ancora pieno del suo sangue.
« Nessuno è
pronto a quello che stiamo affrontando. Ma lo facciamo » gli
dissi.
« Tu sei sempre stata
forte » disse in un fievole sorriso. Mi guardò. «
Ti ho sempre preso in giro e tu non ti sei mai piegata. Ti ho sempre
ammirato. »
Dischiusi appena le labbra.
Mi passai nervosamente le dita tra i capelli e li sistemai dietro le
orecchie. « Io non sono così forte come credi. »
« Oh sì »
continuò lui. « La più forte dei tre. L'ho sempre
pensato » mi disse. « Perfino con me, perfino con i tuoi
nemici sei forte. Vai sempre avanti a testa alta. »
« Perché mi
dici queste cose? »
Lui esitò. Si toccò
le fasciature che gli avevo fatto e contrasse appena la sopracciglia
arcuate. « Perché so che senza di te non sarei qui,
adesso. Però non so se merito di vivere » mi confessò.
« Se la pensi così,
fai qualcosa per meritarlo. Uccidersi è smettere di combattere
» gli dissi.
Draco mi guardò. «
Sei la migliore di noi. » Esitò. « Perciò
ti ho sempre odiato. »
Strinse le labbra carnose in
una fitta di dolore. Si passò le mani tra i capelli per
toglierli dagli occhi e si appoggiò ad un mobile per alzarsi.
Non lo aiutai ma non lo persi di vista nemmeno un attimo.
Quando fu in piedi, mi alzai
a mia volta. Lui cominciò a muoversi e io lo affiancai,
restandogli vicina ma senza mai toccarlo. Si appoggiò al
passamano della scala a chiocciola e scese al piano inferiore,
dirigendosi alla camera che dividevamo. Salì sul letto a
castello e si distese con un sospiro di sollievo.
« Non devi starmi
sempre intorno. Non ci riproverò » disse togliendosi le
bende. Osservai i suoi polsi sporchi ma chiusi. « E mettiti una
maglia nuova, ti si vede perfino l'ombelico » aggiunse.
Mi voltai all'istante. Mi
passai i polpastrelli sull'addome accorgendomi che la t-shirt
strappata si fermava appena sotto lo sterno. « Vado a prenderti
qualcosa da mangiare in cucina. »
« Non voglio niente »
sentii dire alla sua voce, ma ero già uscita.
Passai dal bagno per
togliermi il sangue dalla faccia e cambiarmi maglia; non riuscivo a
decidere se avrei dovuto dirlo ad Harry e Ron.
In cucina trovai i miei
amici pressoché nella stessa posizione: Ron aveva smesso di
mangiare ma si era appisolato con la testa sulla rivista. Harry si
rigirava una sfera di legno tra le mani, la lanciava e la
riafferrava; sembrava perso nei suoi pensieri.
Afferrai nella dispensa del
pane e della frutta secca; nessuno dei due mi prestò
attenzione perciò colsi la palla al balzo. Tornai al piano di
sopra ma notai che Draco si era addormentato.
Poggiai il cibo sul comodino
e mi avvicinai lentamente al bordo del letto alto. I suoi capelli
erano sparsi sul cuscino e gli lambivano le sopracciglia, chiare
eppur espressive; gli occhi chiusi erano affusolati, le labbra
appoggiate l'una contro l'altra e la mascella contratta. Strinse
appena il centro della fronte su quello che parve un pensiero
negativo. La t-shirt di cotone che indossava era sottile e si
appoggiava sugli addominali definiti e asciutti di anni di Quidditch;
le vene risaltavano sui suoi avambracci e scendevano lungo i polsi e
il dorso delle mani grandi, fino alle dita lunghe. I lembi di stoffa
della mia maglietta stavano sparsi attorno, macchiati di sangue ormai
quasi marroncino, ma le incisioni che si era procurato non c'erano
più.
Voltò improvvisamente
la testa nella mia direzione, sempre premuta contro il cuscino;
spalancò i suoi occhi freddi. Notai nuovamente delle leggere
occhiaie ombreggiargli di grigio la pelle candida.
« Non volevo
svegliarti » sussurrai. « Ma se vuoi mangiare c'è
qualcosa sul comodino » gli dissi.
Presi un libro in un gesto
meccanico e, senza la reale intenzione di leggere, mi stesi sul mio
letto, incrociando le gambe una sull'altra.
Dopo qualche attimo vidi i
suoi piedi scendere dalla scaletta e finsi di non guardare; si
avvicinò al comodino e mangiò due datteri e un po' di
pane.
« Non mi piace essere
in debito » disse ad un certo punto.
Spostai gli occhi su di lui
e abbassai il libro sulla pancia. « Non sei in debito con me »
chiarii.
Lui alzò appena le
sopracciglia. « Granger, non sono un tuo problema. Mettitelo
bene in testa. »
Guardai le punte dei miei
piedi. « Questo lo so... » dissi, non troppo convinta.
« No, non lo sai. Ti
comporti come se-» si interruppe bruscamente senza finire la
frase.
Mi morsi il labbro
inferiore, poi mi misi a sedere sul bordo del letto e lo guardai. «
Sei tu che mi hai chiesto di aiutarti! Ed io-»
« L'hai fatto! »
esclamò Draco, facendo un passo. « L'hai fatto. Ora
basta. Troverò il modo di andare avanti da solo, come ho
sempre fatto. »
Mi alzai, facendo un passo
verso di lui. « Tentando di suicidarti? »
« Non sono affari tuoi
cosa farò della mia vita » disse a denti stretti.
« No, certo, ma non ti
farai del male davanti a me. Non resterò a guardare... è
una cosa che non puoi chiedermi di fare » spiegai accalorata.
« Voi Grifondoro e la
bontà d'animo... » mi canzonò appena, guardando
verso la finestra.
Strinsi i pugni lungo il
corpo. « Sei sempre stato così odioso » mormorai.
Draco mi guardò. «
Infatti. Meglio se mi tolgo da torno, no? »
Scossi la testa. «
Imbecille » biascicai, mi risedetti sul letto e presi a
tormentarmi le dita.
« Ti sei divertita a
baciarmi? »
Divenni paonazza. Dischiusi
le labbra e cercai di prendere ossigeno ma era come se qualcuno me lo
impedisse fisicamente. « Io, io non-»
« Cosa? »
m'incitò, cercando i miei occhi e tenendoli incatenati ai
suoi. Era come un magnete, nonostante fossimo distanti.
« Non potevo fare
diversamente » dissi.
Draco mi sorrise,
guardandomi da sotto le sopracciglia arcuate. « Certo. »
« Cancelliamo quei
momenti, ti spiace? Ora dovremmo stare molto insieme e non voglio
che... insomma, non voglio parlarne più » m'impuntai,
alzandomi e dandogli le spalle, fingendo di sistemare il mio letto.
« Fin dall'inizio...
volevi davvero aiutarmi? »
La sua voce mi arrivò
quasi insicura, ma non lo vedevo. Esitai. « Non del tutto. Ma
sì » deglutii, « volevo aiutarti al di là
della missione. D'altronde ho fatto tutto questo per-»
Mi voltai e mi bloccai
quando vidi i suoi occhi lucidi di lacrime. « Non mi piace
essere in debito » ripeté, poi andò via. Io mi
lasciai cadere seduta sul letto, pensierosa, confusa, stanca e
incerta. E stranita dal desiderio che avevo di abbracciarlo.
|
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Capitolo 5 *** E doppi giochi ***
Intro: rieccomi qui!
Grazie mille per il tempo che dedicate alla mia storia, recensendola
(mi fate venir voglia di scrivere un altro capitolo immediatamente
quando leggo le vostre parole *-*) e semplicemente leggendola. Voglio
condividere con voi un'immagine che ho creato qualche tempo fa per
questa fanfiction, dato che l'ho inserita su wattpad e lì mi
chiedeva di aggiungere una copertina:
POLISUCCO
e doppi giochi
« Siamo tornati. »
Sentii la voce di Tonks all'ingresso di
Casa Black e mi affrettai a scendere le scale, incrociando un
altrettanto impaziente Harry. Ci scambiammo una rapida occhiata, poi
Ron cadde dal divano del salone con un tonfo netto. «
Miseriaccia, è notte fonda! » fece.
« E allora? » chiese
sbrigativo Harry.
Lupin alzò appena le spalle. «
C'erano moltissimi maghi e magonò. E' stata una cerimonia
sentita e no, purtroppo non abbiamo scoperto niente di
rilevante. Se ora mi permettete... » alzò lo sguardo e
distese la fronte. « Draco » disse, così ci
voltammo verso le scale.
Malfoy era in piedi, incerto,
incuriosito, meno debole di quella mattina e con un'espressione più
cosciente.
« Proprio te cercavo. Vorrei
parlarti » continuò Lupin.
Malocchio Moody, che chiudeva la fila,
scosse la testa e si avviò verso il soggiorno borbottando,
precisamente verso il mobile dei liquori. Nymphadora si stava
massaggiando la nuca e sussurrò a Remus che si sarebbe avviata
in camera da letto. Restammo perciò, nel giro di qualche
istante, solo noi.
« Di cosa vuole parlarmi,
professore? »
« Non sono più il tuo
professore da anni. Va bene Remus. »
Draco esitò. « Remus
» si corresse.
« Mettiamoci comodi » fece
cenno verso la sala da pranzo e Harry intercettò il suo
sguardo. « Potete assistere, sì » rispose alla sua
tacita domanda.
Seguii Draco con lo sguardo, fin quando
mi passò davanti e varcò per primo la soglia della
stanza; fui l'ultima ad entrare e mi chiusi la porta alle spalle.
La sala da pranzo era immersa nel
silenzio; intorno al tavolo lungo erano disposte ordinatamente le
sedie e un vaso con dei tulipani balzava all'occhio per la freschezza
che donava a quell'ambiente vecchio. Dei mobili alti erano addossati
lungo le pareti, pieni di servizi da the, tovaglie, candelabri e
calici di cristallo in disuso. Il lampadario che cadeva dal soffitto,
proprio al centro della stanza, era acceso per metà.
Dato che la stanza non aveva finestre, il
fresco piacevole di quella notte di Giugno non arrivava fin lì;
c'era, invece, un caldo fastidioso che mi fece slacciare un bottone
della camicetta. Presi posto a qualche sedia di distanza da Draco,
vicino a Ron, mentre Harry restò in piedi.
« Bene » esordì Lupin
guardando Draco. « A me e all'Ordine è venuta un'idea
per farti guadagnare la permanenza qui dentro e la nostra protezione
» disse.
Vidi Malfoy irrigidirsi. Il volto gli
divenne profondo come se lo attraversassero milioni di pensieri e
contemporaneamente il nulla. I suoi occhi limpidi furono coperti un
solo istante dalle palpebre, poi alzò il mento nella direzione
di Lupin affinché proseguisse.
« E so che ti sto per chiedere una
cosa non adatta ai tuoi sedici anni né minimamente corretta,
in generale. Ma siamo in guerra o, almeno, alle porte di essa. Si
cresce in fretta. Si deve crescere in fretta: non possiamo
fare sconti a nessuno, tanto meno a noi stessi. »
Draco annuì. « Lo capisco. »
Sia io che Harry che Ronald respiravamo
silenziosamente per non perderci nemmeno un attimo di ciò che
Lupin stava per dire. Personalmente, non sapevo cosa aspettarmi.
« È passato poco più
di un giorno da ciò che è accaduto al Castello di
Hogwarts, perciò mi pare il momento adatto per agire. Dovrai
tornare a casa tua e incontrare il Signore Oscuro. »
Draco sgranò gli occhi chiari; ci
lessi dentro lo stupore e la paura di dover affrontare qualcosa da
cui era a fatica scappato.
« Perché...? »
« Sarai la nostra spia
» spiegò senza giri di parole Lupin.
Harry fece scattare le sue
iridi verdi sull'uomo; il capo di Ron s'inclinò a sinistra,
incredulo. Io concentrai la mia attenzione su Draco: il suo sguardo
era diventato stretto e consapevole, come di chi non ha bisogno di
altre parole per capire cosa fare.
« Non potrai dire a
nessuno, nessuno – nemmeno
ai tuoi genitori - che fai il doppio gioco per noi. Meglio,
dovrai fargli credere che fai il doppio gioco per favorire loro:
dovranno credere che dopo il fallimento con Silente, tu abbia deciso
di infiltrarti qui per farti ben volere dall'Ordine della Fenice e
per passare informazioni a loro. Invece sono a noi che arriveranno
certe informazioni. Mi segui? »
Draco, con mia grande
sorpresa, annuì. Harry scattò in piedi.
« Questo significa
fidarsi di lui! Non sappiamo cosa farà se lo rimandiamo
indietro, non sappiamo da che parte starà davvero! »
« Harry » lo
interruppe Lupin con un gesto della mano. « Lascia fare a me. »
Il mio amico lo guardò
con incredulità. Cercò la complicità di Ronald.
« Remus, anch'io non
credo sia una buona idea » disse quest'ultimo.
« Draco, tu te la
senti? » domandai senza rendermene conto. Avevo ignorato tutti
per guardare solo lui.
Malfoy spostò la sua
attenzione su di me e mi guardò per qualche attimo. Mi morsi
il labbro inferiore rendendomi conto di aver parlato a sproposito.
« Posso farlo »
disse solamente.
Lupin, leggermente
sollevato, annuì. « Concorderai con me tutte le
informazioni che dovrai dare ai Mangiamorte riguardo noi e il nostro
Quartier Generale. Opererai sotto copertura probabilmente per tutta
la vita o – ci si augura – fino alla fine della guerra.
Sii credibile, non lasciar trapelare emozioni che possano tradirti. E
non fidarti di nessuno » concluse sottolineando particolarmente
l'ultima frase.
« Queste cose le ho
imparate da piccolo » fece Draco con un leggero sorriso.
« Noi ti proteggeremo.
E proteggeremo anche la tua famiglia, nei limiti di ciò che ci
è possibile e nei limiti di quanto loro si faranno aiutare »
fece capire Lupin.
Malfoy annuì ancora
una volta. Harry si avviò alla porta e lasciò la stanza
senza dire nulla. Poco dopo, Ron lo seguì. Strinsi la mano in
un pugno e sentii le unghie pungermi il palmo: non sopportavo la loro
ostinazione.
« I ragazzi si
abitueranno presto a te » si scusò l'ex professore.
« Non è
fondamentale » mormorò Draco. « Mi piace la
discrezione e il silenzio e da solo sto benissimo. »
« Meglio, perché
il mestiere della spia è duro e solitario » disse Lupin,
che sapevo essere spia a sua volta tra i lupi mannari.
« Quando dovrei
cominciare? »
Mi voltai a guardarlo; mi
preoccupava pensare a quella rapida decisione di agire per conto
dell'Ordine con un tentativo di suicidio così recente.
« Quanto prima,
altrimenti la copertura salta. Se sei convinto, passo a spiegarti
tutti i particolari. »
Restai a sentire tutto,
seduta a qualche sedia da Draco, mentre Lupin gesticolava e camminava
avanti e dietro attorno al capotavola. A Malfoy spiegò, tra
l'altro, che ai Mangiamorte doveva comunicare che il nostro Quartier
Generale si trovava a Mallow street 7°, celato da opportune magie
anti-localizzazione; che eravamo in pochi a farne parte, tra cui
Lupin, Malocchio e qualche affiliato che nemmeno lui era riuscito a
conoscere – non doveva menzionare la presenza di noi ragazzi;
doveva anche dire che per adesso lo tenevano sotto osservazione,
perciò non sapeva ancora molto altro.
« Da te vorremmo
sapere tutto ciò che di rilevante riesci a scoprire. Ed anche,
e ovviamente, eventuali attacchi, mirati a cose e persone, che
tentiamo di sventare ogni giorno ma che non riusciamo a prevedere.
Ritornerai qui appena potrai staccarti senza destare sospetto: dovrai
smaterializzarti nel finto luogo del Quartier Generale e poi attuare
una seconda smaterializzazione, controllando di non essere seguito.
Altrimenti, se impossibilitato a tornare, ci scriverai via gufo ogni
qualvolta entrerai in possesso di informazioni utili »
concluse.
Draco si scrisse le finte
informazioni su un foglietto che infilò nella tasca dei
pantaloni, poi si alzò e si passò una mano tra i
capelli chiari.
« Mi muovo subito,
allora » disse a Lupin e lui annuì.
Uscì dalla stanza
riservandomi un'occhiata rapida; lasciò la porta socchiusa e
io attesi i suoi passi allontanarsi prima di avvicinarmi a Remus.
Stava per raggiungerlo quando lo fermai.
« Malfoy ha... tentato
di uccidersi. Tagliandosi... le vene dei polsi » sussurrai, con
pause che non riuscii ad evitare, perché quasi mi mancarono le
parole.
Lupin dilatò le
palpebre. Io annuii, gravemente.
« L'ho fermato giusto
in tempo. Ho ripulito tutto con un Gratta e Netta perché
non so se voglio dirlo ad Harry e Ron. Non so quanto gli farebbe bene
venire a conoscenza di questa sua debolezza » spiegai rapida,
guardandomi di tanto in tanto alle spalle. « Però voglio
che, almeno tu, lo sappia. Io credo che in Draco ci sia molto di più
di un ragazzo viziato che non è riuscito ad uccidere Silente
per semplice paura » aggiunsi. « Credo che » feci
una pausa, deglutendo e soppesando le parole, « credo che sia
sinceramente pentito, che non voglia percorrere la strada del padre,
che però pensi che non ci sia altro per lui. Questa
opportunità che gli date, probabilmente, è la spinta
che adesso gli serve per capire che c'è altro che può
fare. »
Lupin mi poggiò una
mano sulla spalla e mi sorrise. « Stai tranquilla. Se la
caverà. »
Sollevai lo sguardo, confusa
dalla sua frase; mi aspettavo che mi avrebbe detto tutt'altro,
soprattutto riguardo Malfoy. Ma, forse, Lupin aveva inteso qualcosa
che io ancora non avevo afferrato del tutto. Incerta, annuii.
Lo aiutai, perciò, a
preparare le cose per la partenza di Draco. Sarebbe partito
l'indomani all'alba, dicendo ai genitori che si era staccato dal
gruppo della Resistenza momentaneamente e che voleva parlare con il
Signore Oscuro per metterlo a conoscenza di ciò che aveva
saputo su di noi.
Quando tutto fu pronto erano
le due di notte e mancavano appena quattro ore all'alba; il mio sonno
era svanito del tutto, perciò scesi nel salone a sinistra e mi
accoccolai su una poltrona accanto al camino spento. Fuori pioveva e
la temperatura era scesa, piacevolmente, di qualche grado.
Mi passai i polpastrelli
sulle labbra, pensierosa, immersa in vecchi e nuovi ricordi e con
addosso una sensazione d'ansia e preoccupazione che non avrei dovuto
sentire.
« Nemmeno tu riesci a
dormire » sentii dire alla mia destra e vidi Draco. La sua non
era una domanda, ma una costatazione. Era scalzo e come sempre
silenzioso, tanto che non avevo avvertito la sua presenza.
« Ho mal di testa e
sto aspettando che la medicina faccia effetto » mentii, per non
dover dire che il sonno l'avevo perso anche – soprattutto
– solamente – a causa sua. In realtà,
mentivo maledettamente a me stessa.
Draco avanzò nel
salone e si lasciò cadere sul divano scuro, facendo roteare il
collo e socchiudendo gli occhi.
« Come ti senti? »
gli domandai.
« Non più
agitato di un compito in classe di Pozioni » mi fece lui.
Mi ritrovai a sorridere,
ripensando ai giorni quasi spensierati che ci eravamo lasciati alle
spalle al Castello.
« Ti preoccupa
rivedere i tuoi genitori? Tua zia? E Piton? » chiesi.
Lui scosse la testa. «
Mi preoccupa solo rivedere mia madre. Gli altri li ignorerò
come sempre e li farò parlare finché non se ne
sentiranno compiaciuti. »
Ignorai i vari riferimenti.
« Perché tua madre? »
« Perché è
l'unica di cui m'importa e l'unica che non vorrei ferire mai. Sarà
dura mentirle » confessò.
Mi morsi il labbro
inferiore, pensando alla sua difficile situazione. Non avevo mai
fatto la spia ma sapevo, dai racconti di Lupin, essere una cosa
terribile, che metteva a dura prova i tuoi nervi e la tua forza
d'animo. Temevo che Draco non fosse pronto ma sapevo che quella era
la spinta che gli serviva.
« Come fai a tremare a
fine Giugno? » mi domandò, guardandomi le gambe. Notai,
effettivamente, che le ginocchia vibravano appena.
« Non ho freddo »
diedi voce ai miei pensieri, mentre avrei fatto meglio a starmene
zitta e trovare una coperta. Non era il freddo che mi faceva tremare:
era una strana e angosciosa adrenalina a cui non riuscivo a dare un
nome.
« E allora perché
tremi? »
« Stanchezza »
mi limitai a dire, evitando di guardarlo.
Calò il silenzio per
qualche attimo; mi appoggiai allo schienale della poltrona con la
guancia, guardando le foto in movimento sopra il bordo del camino. Mi
rannicchiai maggiormente, stringendomi le gambe contro il seno e
avvolgendole con le braccia; le mie dita sfiorarono le caviglie nude.
« Tu cosa pensavi di
fare dopo Hogwarts? » mi domandò la sua voce. Mi voltai
a guardarlo.
« Il Medimago.
Inizialmente avevo pensato all'Auror ma in realtà non sono una
da prima linea » spiegai.
« Quindi hai l'indole
da crocerossina » mi prese in giro con un sorriso.
« No, non è
vero » aggrottai le sopracciglia.
« Non aiuteresti
chiunque, se in pericolo? »
Non sapevo cosa rispondere,
ma dovevo rispondere di sì. « Sì, aiuterei
chiunque. »
« Allora ho ragione »
mi disse.
Io feci spallucce. «
Però devono meritarlo. Non aiuterei qualcuno che so farebbe
del male una volta in forma. »
« Come sapevi di
poterti fidare di me? »
Sapevo che sarebbe arrivata
quella domanda. « Be', lo sentivo. »
« E' una risposta
debole » sussurrò.
Deglutii e mi sistemai
meglio sulla poltrona. Mi aggiustai i capelli dietro le orecchie e
guardai Draco negli occhi di vetro plumbeo con cui mi teneva
agganciata; sentii le guance imporporarsi e deglutii di nuovo. «
Non si possono spiegare i sentimenti » sussurrai. Ecco, mi ero
sbilanciata. Complimenti, davvero.
« La razionale e
precisa So-tutto-io che prende una decisione senza pensare, seguendo
l'istinto » commentò lui, ironico.
« A volte mi capita »
commentai, distogliendo lo sguardo dalla sua figura.
Si alzò
improvvisamente, spiegandosi la stoffa del pantalone; lo guardai con
una sorpresa che non riuscii subito a nascondere: mi resi conto che
temevo il momento della sua partenza.
Mi alzai in piedi a mia
volta, senza riflettere, lasciando le braccia distese lungo il corpo.
Trattenni il respiro, come in procinto di fare qualcosa. Draco mi
guardò, la fronte appena contratta.
Nessuno dei due disse nulla.
Io avrei voluto dirgli moltissime cose eppure non sapevo bene cosa,
nel dettaglio, avrebbe detto la mia voce se l'avessi lasciata
parlare. Lo vidi, infine, stringere i pugni e voltarsi, lasciando la
stanza e sparendo dalla mia vista. Mi lasciai ricadere sulla poltrona
dopo aver a lungo fissato il vuoto.
Mi risvegliai sulla poltrona
con dei rumori proveniente dall'ingresso, che vedevo tagliato dallo
spiraglio dell'arcata della porta. Vidi Lupin accompagnare Draco alla
soglia e parlare sottovoce con fare paterno. In uno stato ancora di
dormiveglia, non lo persi di vista nemmeno per un istante ma lui non
mi guardò mai. La porta d'ingresso si richiuse e Lupin si
passò le mani tra i capelli con aria stanca, emettendo un
sonoro respiro. Fu allora che notò che ero sveglia.
« Facciamo un bel the
caldo, poi ho delle cose importanti da dire a voi tre » mi
disse, poi sparì in cucina. Rimasi acciambellata per qualche
istante con già, sotto la pelle, la strana e immotivata
mancanza che sentivo per Draco Malfoy.
In cucina, Tonks stava
servendo la colazione che Moody stava opportunamente correggendo con
del rum. Mi ero abituata a vedere, ormai, loro tre fare soggiorno
fisso al Quartier Generale quando c'eravamo noi; il professore
Lumacorno, i signori Weasley e amici e conoscenti dell'Ordine
facevano capolino solo sporadicamente o erano a loro volta contatto
per altri nuclei di Resistenza; si tendeva, comunque, a non affollare
mai la base per dare l'idea di essere dislocati il più
possibile e scongiurare attacchi mirati a farci fuori in un'unica
soluzione.
Nymphadora, seppur a prima
vista lo si escludeva, aveva una fare materno che tirava fuori in
occasioni come quella; gli sorrisi quando mi versò il the e
lei mi scompigliò i capelli.
« Devo
obbligatoriamente aggiornarvi sulle ultime, importanti, notizie che
l'Ordine ha ottenuto. Non ho potuto esprimermi prima per via del
giovane Malfoy » disse Lupin. Bevve un sorso di succo d'ananas,
poi proseguì. « Silente era già molto malato dopo
che una maledizione l'aveva contagiato; pare durante una recente
missione alla ricerca di un Horcrux » guardò Harry, che
annuì consapevole. « Perciò, la sua morte è
stata orchestrata da lui stesso. »
« Cosa? » scattò
il mio amico con le mani sul tavolo.
Ron si accigliò,
guardando Lupin. « Perché avrebbe scelto di farsi
uccidere? » domandò.
« Perché gli
restava davvero poco da vivere e ha usato questa occasione perché
sapeva benissimo che Voldemort aveva incaricato Draco di ucciderlo. E
sapeva che, probabilmente, il ragazzo non l'avrebbe fatto. O almeno,
ci sperava. »
Guardai Harry, il cui viso
era divenuto pallido. Questo rimescolava le carte in gioco.
« Ha chiesto perciò
a Severus di farlo. Di ucciderlo, qualora Draco avesse fatto un passo
indietro. Questo avrebbe garantito al vostro professore la fiducia
completa di Voldemort per continuare a sabotarlo dell'interno.
Perché, vedete, Piton è sempre stato dalla nostra
parte. »
Passarono degli attimi di
silenzio consapevole. Nella mia mente passai in rassegna rapidamente,
come in un vortice impazzito, le situazioni in cui avevo dubitato di
Piton.
« Perché a
Malfoy non abbiamo detto che c'è già una spia? »
domandò Harry. Lo guardai, felice che fosse stato lui a porre
quella domanda.
« Perché voglio
che non sappia di essere controllato. Voglio che pensi che sia solo,
per testarlo e capire se possiamo fidarci. Severus ovviamente lo
terrà d'occhio e ci dirà se è stato leale nei
nostri confronti » spiegò Remus.
Mi sentii sollevata a sapere
che il professor Piton era dalla nostra parte: non riuscivo a capire,
completamente, se potevamo fidarci di lui a pieno ma mi rinfrancava
l'idea che Draco avesse qualcuno che vegliava su di lui.
Ci congedammo e il resto
della giornata passò priva di impegni particolari. Malocchio
dovette allontanarsi, insieme a Lupin, per dei servizi di marginale
importanza. Tonks restò a Grimmauld place e chiese il mio
aiuto per preparare della polisucco e della pozione ricostituente,
due intrugli di cui si faceva grande uso nelle file della Resistenza.
Fui contenta di tenermi
impegnata; ma non riuscii completamente a smettere di pensare a Draco
e di essere preoccupata per lui.
A cena vennero anche il
signor Weasley e suo figlio Bill che portarono pane, formaggio e
prosciutto; si bevve Burrobirra e Idromele e, sul tardi, Whisky
Incendiario. Ma io mangiai poco e non bevvi altro che acqua. Avevo lo
stomaco contratto in una fastidiosa morsa.
Quando la porta d'ingresso
si aprii, mi alzai di scatto e feci qualche passo; la signora Weasley
si tolse l'impermeabile zuppo di pioggia e mi sorrise, così le
sorrisi di rimando e tornai a sedere. Mi sentii così stupida e
vulnerabile.
Passarono delle ore che mi
videro impegnata a leggere un manuale di architettura babbana che non
m'interessava per niente; pian piano, tutti andarono a dormire e
restarono svegli solo Lupin ed Harry. Quest'ultimo mi venne incontro
e si sedette sul divano al mio fianco.
« Remus mi ha detto
ciò che ha fatto Malfoy » sussurrò. Lo guardai in
attesa. « Mi dispiace, pensavo fosse più superficiale »
aggiunse.
Sorrisi appena. « Non
lo conosciamo affatto, in fondo. »
« Già »
mormorò Harry. « Lo dirò anche a Ron. Magari,
forse, una possibilità provo a dargliela. Voglio solo capire
cosa ci dirà Piton riguardo il suo comportamento come spia. »
In quel momento, un gufo
planò in corrispondenza delle nostre finestre e una lettera
scivolò oltre il bordo della fessura apposta nella porta
d'ingresso, poggiandosi sul tappeto interno di Casa Black. Harry si
alzò a controllare ma fu Lupin a chiarire ogni dubbio.
« Verde Smeraldo è
Severus. Vediamo che notizie ci porta » disse. Aprì la
busta e lesse velocemente. Con un sorriso la consegnò nelle
mani di Harry e guardò me. « Pare che il giovane Malfoy
abbia fatto un ottimo lavoro. »
Nervi
saldi, carisma immutato, credibilità intatta.
Il
filo si è riavvolto al gomitolo, possiamo procedere.
Nonostante le criptiche
informazioni, era chiaro a cosa volesse alludere il professor Piton.
Sorrisi a mia volta a Lupin e avvertii un senso di rilassamento che
mi ricordò le poche ore di sonno che aveva il mio corpo.
Salii in camera e mi poggiai
sul letto; ascoltai le chiacchiere di Harry e Ron a cui non
partecipai attivamente. Ronald fu messo a conoscenza del tentativo di
suicidio di Draco e delle buone notizie che portava la scarna
missiva; riparlarono a lungo di Piton e di ciò che aveva fatto
e faceva per l'Ordine della Fenice. E, prima che me ne rendessi
conto, scivolai nel sonno.
Quando riaprii gli occhi, mi
parvero passati appena cinque minuti ma l'orologio sul comodino
segnava le tre di notte.
La figura di Draco,
illuminata debolmente dalla luce della luna, era in piedi nella
camera; si era appena tolto la camicia e stava a torso nudo. Si levò
le scarpe e fece per slacciarsi la cintura. Quando mi vide, si fermò.
Non m'importava tanto di averlo visto quasi nudo; o meglio, quel
fattore passò subito in secondo piano quando notai le
cicatrici che decoravano fittamente la sua schiena ampia.
Sollevai il capo dal cuscino
e mi poggiai sul gomito destro. « Chi te l'ha fatte? »
soffiai.
Draco mi guardò cupo.
Si riallacciò la cintura e afferrò il pigiama dalla
sedia accanto a cui si stava spogliando. « Mio padre »
disse solo dopo qualche attimo.
Sparì dalla camera da
letto per qualche istante; quando tornò era vestito per la
notte. Salì sul letto sopra il mio senza dire niente, così
mi feci coraggio a parlare per prima.
« Perché... le
cicatrici? »
« Perché lo
deludevo » disse la sua voce.
Mi si contrasse lo stomaco
per la rabbia. « E' una cosa troppo crudele. »
« Sono vecchie. E poi
ne ho viste di peggio » sussurrò.
Rabbrividii. E mi trattenni
dall'indagare ancora: avrei voluto chiedergli tutto della sua vita;
avrei parlato con lui per ore. Avrei voluto ridurre quella poca
distanza che ci divideva, salire la scaletta di metallo, accoccolarmi
accanto a lui e fargli sentire che c'ero. Un pensiero impensabile.
« Com'è stato rivedere tua
madre? »
« Non facile. »
« Riesci a stare contro di lei? »
« E'... complicato. »
« In questo momento odii tutti a
parte lei, vero? »
« Basta domande, adesso »
disse con voce stanca. Mi resi conto che lo stavo spremendo troppo e
che, sicuramente, aveva passato una giornata terribile e pesante.
Avrei rimandato al giorno dopo le mie curiosità.
« Certo » mi scusai.
Mi voltai sul fianco e mi accoccolai
contro il cuscino, cullandomi appena e cercando calore dalle coperte.
« Non ti odio, Granger
» lo sentii dire dopo poco ma non risposi, fingendo di essermi
addormentata.
***
piccola nota: sono in
dubbio se scrivere anche dal punto di vista di Draco (questo
capitolo ma anche quelli a venire). Preferireste leggere gli eventi
che lo riguardano (quando è solo) dal suo punto di vista o,
proseguendo la narrazione, far sì che lui li racconti
successivamente all'Ordine e ad Hermione? Fatemi sapere ^-^ Baci!
|
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Capitolo 6 *** E preoccupazioni impensabili ***
Intro: per
la vostra gioia, eccomi con un altro cap ad appena qualche giorno dal
precedente! Devo essere sincera, le idee ce l'ho e anche la voglia di
scrivere, ma sono soprattutto le vostre recensioni a motivarmi ^-^
spero che anche questo capitolo vi piaccia! Fatemi sapere :) vi mando
un bacione!
POLISUCCO
e
preoccupazioni impensabili
Mi svegliai tardi; me ne
accorsi perché la camera era vuota. Tutti erano già
scesi, perfino Ronald. Avvertii dei rumori provenire dalla cucina e
così misi i piedi nudi per terra, indossai le infradito e
imboccai le scale, con indosso i miei pantaloncini con t-shirt
abbinata rosso borgogna, che componevano il mio pigiama.
Mi affacciai nella sala da
pranzo, trovando numerose persone a fare colazione. Esitai sulla
soglia, finché non mi passò qualcuno accanto; la pelle
del suo braccio sfiorò la mia, le sue dita scivolarono sulla
stoffa del mio pantaloncino e il suo profumo di ambra e sandalo mi
avvolse le narici. Draco si voltò a guardarmi sopra la spalla
per un attimo, ancora a contatto con me, per via dello spazio stretto
della porta. Poi mi superò e prese posto.
« Ora che ci siamo
tutti direi che possiamo cominciare una riunione ampliata »
disse Lupin, alludendo visibilmente a noi ragazzi.
Avvolti in abiti comodi o
per casa, gli ospiti di Casa Black quella mattina erano Tonks, Moody,
i signori Weasley, Kingsley, il professore Lumacorno e Bill Weasley.
Presi posto accanto a Draco,
perché le altre sedie erano occupate. Mentre improvvisamente
appariva una ricca colazione, per via di una magia del professor
Lumacorno, Lupin fece cenno a Draco. « Raccontaci di ieri »
gli disse.
Draco sollevò appena
il capo. « Sì... Mi sono smaterializzato prima nel finto
luogo del Quartier Generale, poi a Malfoy Manor » cominciò.
« Sono andato dritto da mio padre e gli ho detto tutto ciò
che avevamo concordato: che l'attacco a mia zia e Piton era stato
fatto di proposito quando mi ero accorto di aver fallito
nell'uccidere Silente. Gli ho detto che, in quel momento, ho
ragionato, pensando a come evitare che il Signore Oscuro uccidesse
noi Malfoy. Allora ho preso la decisione di fingere di ribellarmi e
attaccarli, per guadagnare la fiducia dell'Ordine e poter essere
utile ai Mangiamorte dall'interno della Resistenza. Mio padre ci ha
creduto: mi ha detto che sono un vigliacco ma che la mia astuzia mi
salva » abbassò appena il capo, sorridendo amaramente.
Gli guardai le dita lunghe giocherellare con un nastro di seta nero.
« Mio padre ha organizzato subito un incontro con Voldemort; è
venuto a Malfoy Manor con mia zia, Piton e Greyback. Ho detto a lui
le stesse cose, specificando che ho cercato un modo per compiacerlo,
per servirlo; credo di essere stato convincente. » Fece una
pausa, guardando Lupin. « Voldemort ha detto che sono sotto
esame, che ancora non sa se può fidarsi di me ma che la
furbizia è una dote che apprezza se ben canalizzata. Che, se
sarò in grado di portare a termine il mio compito qui con voi,
la mia famiglia vivrà. Perciò mi ha rispedito subito
qui: vuole che scopra i vostri piani a breve termine e vorrebbe
soprattutto sapere dove si trova Potter in questo momento »
concluse, incrociando gli occhi di Harry proprio davanti a lui,
dall'altra parte del tavolo.
Lupin congiunse le mani
davanti alla bocca, appoggiandosi leggermente contro. « Bene,
siamo sulla buona strada. Quando dovrai tornare da loro? »
« Appena so qualcosa
di rilevante. »
« Sembra quello che
gli abbiamo detto noi... » borbottò Ron, dando un morso
al suo cornetto alla confettura di ciliegie.
« Bene, bene »
ripeté Lupin. Guardò i presenti e la consapevolezza che
era scesa su quel tavolo. « Prima di tornare ad occuparci di
eventi spiacevoli e pesanti, godiamoci questa bella colazione »
disse in un sorriso, stringendo sul tavolo la mano a Tonks.
Facemmo colazione parlando
di leggerezze, quasi come se ci trovassimo al tavolo dei Grifondoro
un giorno qualsiasi dell'anno scolastico; l'unico piuttosto
silenzioso fu Malfoy.
Quando lasciammo la sala da
pranzo, cercai i suoi occhi; quando s'intrecciarono ai miei, mi mossi
indietro di un passo e, sempre guardandolo, mi spostai nel corridoio
verso la piccola biblioteca della casa.
Draco indossava degli abiti
sportivi: il pantalone di un tuta grigia e delle scarpe di tela, con
sopra una t-shirt color bosco. Ipotizzai che avesse preso – in
maniera nascosta – quello che gli serviva prima di tornare da
noi.
Camminando lentamente,
voltavo il capo sopra la spalla per sincerarmi che mi stesse
seguendo; le sue braccia toniche e definite stavano ai lati del corpo
e le sue mani erano nascoste nelle tasche. Il suo sguardo era
assottigliato e le sue labbra piegate appena in una smorfia di
interdizione.
Quando fummo nella
biblioteca, chiusi lentamente la porta e mi poggiai con la schiena
contro di essa. L'ambiente era raccolto e intimo; l'odore di polvere
e carta riempiva la sala. Un'ampia finestra illuminava l'ambiente,
avvolta da una pesante tenda color crema che aveva visto tempi
migliori. Per terra, tre tappeti persiani coprivano il parquet
rovinato, tanto che quasi non si vedeva; c'erano anche un divanetto,
due poltrone singole, un pouf e una scrivania. Le pareti, invece,
erano ricolme di libri fino al soffitto, con una scaletta addossata
contro gli scaffali che permetteva di raggiungere i piani più
alti quando non si aveva la bacchetta a portata di mano per
esercitare un wingardium leviosa.
« Perché siamo
qui? » mi domandò la sua voce piena e bassa, mentre la
luce del giorno filtrava attraverso i suoi capelli e le sue iridi.
Mi morsi appena il labbro
inferiore. « Perché voglio sapere com'è andata
con tua madre, com'è stato per te tornare lì,
affrontare tuo padre... insomma, io-» mi fermai, dischiudendo
le labbra ma guardandomi i piedi nudi che poggiavano sulla gomma nera
delle infradito. « Io vorrei sapere come stai » aggiunsi,
sollevando lo sguardo e incrociando il suo.
Draco appoggiò il
fondoschiena ad uno scaffale dietro di sé, mantenendo le mani
in tasca; guardò la pila di libri polverosa che stava sulla
scrivania in disuso.
« Granger, sono vivo.
Sto bene » mi rispose.
« Non intendo
fisicamente » lo incalzai.
Lui tornò a
guardarmi. « Mia madre ha pianto quando mi ha visto. Mi ha
detto che il Signore Oscuro ha minacciato di ucciderli se non mi
fossi ripresentato a chiedere perdono; ma temo che ci avrebbe uccisi
tutti comunque se non avessi detto quelle cose, facendogli credere
che per lui ho ancora una qualche utilità. Ma siamo sul filo
del rasoio – perciò, Granger, per adesso sto bene »
mi disse con voce atona.
Mi spostai dalla porta e mi
diressi verso di lui. Draco seguì i miei movimenti finché
non incrociai le mani davanti il mio inguine e mi fermai a pochi
passi da lui.
Volevo davvero, e tanto
intensamente, toccarlo. Sentire il suo corpo contro il mio, riprovare
quella sensazione adrenalinica che si era impadronita di me quando mi
aveva baciato sotto polisucco.
« Non devi essermi
amica a tutti i costi. Te l'ho detto, non sono un tuo problema »
mi disse Draco, facendo scorrere le sue pupille nelle mie.
« Io voglio
esserti amica, non mi sento obbligata ad esserlo » feci.
Lui annuì, abbassando
appena il mento. Si sfilò la mano sinistra dalla tasca e, tra
le dita, vidi il nastro di seta nera con cui giocava poco prima. Lo
vidi sorridere appena.
« Non so perché
l'ho fatto, ma non è nulla » mormorò prima di
porgermelo.
Allungai la mano e le mie
dita sfiorarono quella stoffa delicata e lucida larga appena due
centimetri; mi accorsi solo allora che al centro non c'era una linea
decorativa che lo percorreva da un'estremità all'altra, ma
delle parole intarsiate, senza spazi e con uno stile raffinato ed
elegante.
« E' una magia di
protezione; è scritto in arabo, l'ho preso in un viaggio che
feci qualche anno fa. Vorrei che lo usassi per legarti i capelli »
mi disse.
Me lo rigirai tra i
polpastrelli e prima che Draco potesse aggiungere altro, gli passai
le mani intorno al torace e mi strinsi a lui. Le sue braccia
restarono sospese; sentii il suo cuore accelerare e il suo profumo
intenso invadermi la testa.
Le sue dita percorsero il
dorso della mia pelle finché non trovarono le mie mani; le
staccarono delicatamente da sé e le portarono di nuovo avanti
a lui, costringendomi a fare un mezzo passo indietro.
Il suo volto era rigido, i
muscoli del suo collo e delle sue spalle tesi, i suoi occhi socchiusi
– eppure rilucevano come ematite. Mi guardò
intensamente, quasi come se avesse voluto farmi del male.
« Draco... »
« Shh » sussurrò
a qualche soffio dal mio viso, poggiandomi un dito tremante sulla
bocca. Le sue labbra si serrarono e le mascelle si contrassero. Si
allontanò da me e andò verso l'uscita, aprì la
porta e se la richiuse alle spalle senza aggiungere nulla.
Quel pomeriggio, Harry mise
a conoscenza me e Ron di un luogo in cui credeva ci potesse essere un
altro Horcrux. Pianificammo la partenza e l'occorrente e partimmo
quella sera stessa. Prima di andare, però, avevo indossato un
jeans aderente e spesso, degli anfibi e una maglia a maniche lunghe;
avevo inoltre la mia solita borsa dove conservavo ogni qualsivoglia
oggetto. Mi ero intrecciata i capelli sul lato del viso, legandoli
con il nastro di Draco. Mi ero osservata a lungo nello specchio dai
bordi consumati del secondo piano; quelle parole in oro, fitte e
ricamate, erano scomparse appena la stoffa era entrata a contatto con
i miei capelli. Ci passai sopra le dita, pensando a lui.
Non avevo avuto modo di
salutare Draco né di rivederlo; era partito anche lui,
d'accordo con Lupin, per un sopralluogo con Kingsley di media
importanza a Nocturne Alley, affinché qualche Mangiamorte
potesse riferire di aver visto Draco Malfoy con maghi della
Resistenza e confermare l'infiltrazione al Signore Oscuro. Tutto
finalizzato a passare informazioni false sugli spostamenti
dell'Ordine.
Noi uscimmo in Grimmauld
Place dopo le ventuno. La temperatura era leggermente più
fresca senza sole e la pioggia aveva smesso di riempire l'aria di
quei giorni. Affondai, comunque, gli anfibi in una pozzanghera quasi
prosciugata.
Ci allontanammo di qualche
isolato, attenti a non essere seguiti, finché non ci
smaterializzammo tenendoci per mano. Riapparimmo, pochi istanti dopo,
a Godric's Hollow.
Il paese era in festa per la
commemorazione del patrono; lanterne di carta decoravano il cielo,
passando su fili trasparenti che andavano da una casa all'altra.
Babbani e maghi avevano affollato le strade: le vie erano piene di
persone con gelati, caramelle e ventagli di cotone. Nonostante l'aria
gioiosa, mi voltai preoccupata a guardare Harry e il suo volto
incerto.
« Una festa? »
gli dissi.
« Non lo sapevo »
scosse appena la testa. « Ma poco male; faremo le nostre
ricerche passando inosservati » aggiunse.
Un uomo vestito da clown ci
diede dei palloncini e Ronald ne prese uno, portandolo con sé.
Camminando, la musica di quella che pareva una banda in piena regola
si fece sempre più vicina; attraversammo alcuni viottoli
facendoci largo tra gli abitanti di Godric's Hollow.
Una signora anziana, con una
casacca smanicata color fango, mi offrì delle caramelle che
rifiutai con cortesia; lei insistette, così ne presi un paio
ma le misi in tasca.
« Allora, dove
dovremmo andare adesso? » domandai ad Harry, affiancandolo.
« Non ho un'idea
precisa, solo delle sensazioni. Se siamo in prossimità di un
Horcrux, me ne accorgerò » disse.
Io annuii e continuai a
seguirlo, guardandomi intorno. C'era un gruppo di bambini che giocava
a rincorrersi ed uno di loro mi urtò, proseguendo oltre senza
curarsene; sorrisi, ripensando a me alla loro età.
« Quel ragazzino rosso
ti assomiglia » dissi a Ron, così lui si voltò a
guardarlo e fece spallucce, senza rispondermi.
Mi infilai una mano in tasca
e tirai fuori una caramella, offrendogliela; Ron scosse la testa. «
No, non la voglio. »
Mi accigliai. « Che
strano » gli sorrisi, ma lui non mi diede modo di scherzare,
chiudendo lì la conversazione e affrettandosi ad affiancare
Harry. Non sapevo cosa avesse ma qualcosa c'era.
Svoltammo in un vicolo dove
stavano caramellando delle mele rosse; vidi Ronald illuminarsi e
accelerare appena il passo per sentirne da vicino l'odore. Scossi la
testa e seguii il gruppo. Non era un bene, però, dimenticarci
perché eravamo lì. Tirai appena un lembo della t-shirt
di Harry e attirai la sua attenzione.
« E se andassimo verso
la collina? »
Lui scosse appena la testa,
finché non si bloccò e guardò oltre la mia
testa. « Il cimitero... » lo sentii mormorare.
Mi voltai e mi resi conto
che, in un piccolo spazio a ridosso della chiesa, c'erano una
trentina di tombe ricoperte di fiori ed edera; collegai che i
genitori di Harry dovevano essere stati sepolti proprio lì.
Lo lasciai allontanarsi da
solo, seguendolo con lo sguardo. Poi richiamai Ron e gli feci notare
la cosa; seguimmo Harry a distanza e gli lasciammo modo di stare un
attimo per conto suo.
« Granger! »
Mi girai e mi trovai davanti
Draco Malfoy. Respirava affannosamente e aveva i capelli appena
spettinati; indossava una maglia nera a mezze maniche e un jeans
chiaro ficcato in degli anfibi alla caviglia.
« Draco... »
lasciai cadere, guardandolo avvicinarsi e squadrarmi da capo a piedi.
« Stai bene? »
Annuii, confusa. Poi alzò
gli occhi sui miei amici e vidi Harry tornare verso di noi.
« Malfoy, che ci fa
qui? »
« Sono venuto a dare
una mano. »
« Non mi serve il
tuo-»
« Non combatto per te,
Potter » lo interruppe assottigliando gli occhi, in
un'espressione che mi ricordò molto le loro frecciatine nei
corridoi di Hogwarts. Poi si rivolse a me, afferrandomi per i lati
delle spalle. « Pare che stasera ci sarà un attacco dei
Mangiamorte. Vogliono fare una spedizione punitiva per i maghi che
qui vivono a contatto con i babbani. Una cosa plateale, durante la
festa » disse concitato, facendo scorrere i suoi occhi nei
miei. « Io non posso restare con voi, dovrò stare con
loro... » lasciò in sospeso, contraendo il viso. «
Devi andare via. »
« Non posso andare via
» dissi senza pensarci. « Ci sarà bisogno di tutto
l'aiuto possibile! »
« No, non potete
servigli questa occasione su un piatto d'argento! Voi tre dovete
tornare alla base perché non possono prendere Potter »
disse, guardando anche Harry e Ron. Infine si rivolse a loro. «
Lo sapete meglio di me che dovete tenere un profilo basso. L'Ordine
avviserà con dei patronus tutti i maghi di Godric's
Hollow affinché siano preparati all'attacco imminente, ma non
possiamo far evacuare il paese perché si capirebbe che c'è
una talpa tra i Mangiamorte. Io farò quello che posso dalla
mia posizione. »
Harry lo guardò a
lungo, poi annuì. « Ha ragione. Andiamo via »
disse superandolo, seguito da Ron che non smetteva di guardare me e
Malfoy. Passandomi accanto, infatti, mi afferrò per un
braccio. « Herm, muoviti » mi disse.
Annuii ma tornai a guardare
Draco. Le sue mani lasciarono lentamente le mie spalle e mi spinse
appena verso Ron. « Vai » mi disse.
« Stai attento, ti
prego » gli sussurrai guardandolo negli occhi e lui accennò
ad un sì con il capo.
Mi voltai verso Ronald e
andai via, mantenuta dalla salda stretta del mio amico, mentre mi
voltavo sopra la spalla a guardare la figura di Draco. La seconda
volta che mi girai, però, non lo trovai più. Mi
costrinsi a camminare rapidamente e raggiungere un punto nascosto da
cui ci smaterializzammo. Casa Black era deserta e vuota, come mi
sentivo io in quel momento.
Tenevo le labbra poggiate
sulle mani giunte, i gomiti sulle ginocchia, seduta sul bordo della
sedia come in procinto di alzarmi. Ero irrequieta. Harry camminava
avanti e dietro, controllando l'ora sull'appariscente orologio a cucù
del salone. Ron stava raggomitolato sul divano, la faccia distorta in
un'espressione di timore.
Lupin e gli altri erano
tornati da mezz'ora circa, dopo aver diffuso la voce tra i maghi del
paese; temendo che potesse seminarsi il panico, due dell'Ordine erano
rimasti lì, precisamente Malocchio e Kingsley, sotto
polisucco, a gestire la situazione. Gli unici ad essere portati via
furono i bambini.
« Non sembra passare
mai il tempo... »
« Ron, non possiamo
fare altro che aspettare » gli aveva risposto Harry, fermandosi
davanti alla tende tirate della finestra. Ronald sbuffò,
cambiando posizione.
« Possibile che non
possiamo prendere la polisucco anche noi e andare a dare una mano? »
« No Ron, se dovesse
finire l'effetto o se venissimo catturati, loro avrebbero un enorme
coltello dalla parte del manico. »
« Ma non possiamo
stare qui a-»
« Ma cosa credi? Che
io sia contento di essere sempre protetto, sempre tenuto al caldo?
Quando perfino Malfoy è la fuori ad aiutare?! »
« Oh, fate silenzio! »
esplosi, sollevandomi all'in piedi. Entrambi mi guardarono con
stupore. « Basta! Non voglio sentire più niente! »
esclamai, perdendo il controllo; lasciai il salone e mi andai a
chiudere in biblioteca.
Respirai. L'aria di polvere
e carta mi calmò appena; ma mi ricordò anche l'ultima
volta che ero stata lì, quella mattina. Mi sedetti su una
poltrona, guardai il vuoto e presi a mordicchiarmi il polpastrello
dell'indice. Mi spaventava e mi faceva rabbia ammetterlo, ma ero più
preoccupata a sapere Draco in quella situazione che se, al suo posto,
ci fosse stato Harry; mi dissi che, probabilmente, era perché
sapeva che il mio amico ne aveva passate tante e sapeva cavarsela
benissimo da solo. Mentre Draco, invece, era in un periodo delicato
della sua vita e certe cose non le aveva mai affrontate direttamente.
Ma, in fondo, prendevo in giro solo me stessa.
Delle nocche bussarono alla
porta e questa si aprì prima che avessi dato il via libera.
Lupin entrò silenzioso e se la richiuse alle spalle; mi
sorrise con fare paterno.
« Che ci fai qui,
tutta sola? »
Mi tolsi le dita dalla bocca
e le incrociai, strette, sotto il seno. « Cerco di calmarmi »
ammisi, sinceramente.
« Sì, ti ho
sentito poco fa » annuì, dirigendosi verso gli scaffali,
« e ti capisco. Quando vuoi bene a qualcuno è sempre
complicato. »
Lo guardai sgranando gli
occhi, poi corrucciandoli. « Non riesco a capire » feci,
vaga. Era vero: non riuscivo a capire cosa realmente mi stesse
dicendo.
Lui sorrise appena. «
Sai, è stato Severus a scrivermi quando ha saputo che Draco
era fuggito con voi. Ha usato lo pseudonimo di Verde Smeraldo e mi ha
chiesto di vederci a Londra. Lì mi ha raccontato tutto;
inizialmente non volevo crederci... » fece una pausa, alzando
il capo verso il lampadario impolverato. « Severus Piton un
Mangiamorte, ma anche fedele a Silente, che in tutti questi anni ha
fatto il doppio gioco, proteggendo Harry. Ho capito perfettamente
perché, finora, tutti ne eravamo all'oscuro; poi, le carte in
tavola sono cambiate. » Mi guardò per un attimo. «
Il voto infrangibile che ha stretto per proteggere Draco lo continua
a vincolare ma Severus avrebbe protetto in ogni caso il ragazzo. C'è
lui a vegliare sul giovane Malfoy » concluse, infilando le mani
nelle tasche di un vecchio golf color cammello.
« Perché mi
dici queste cose, proprio a me? E non ad Harry » aggiunsi.
« Perché tu
adesso hai bisogno di sapere. Di sapere che Draco è in ottime
mani. Che rischia, come rischiamo tutti, ogni giorno. Ma che ha
qualcuno lì che lo protegge » mi disse.
Mi portai le mani alle
labbra, strinsi le palpebre e guardai altrove. Sentii chiaramente gli
occhi bruciarmi e in un attimo si riempirono di lacrime. «
Io... non vedo l'ora che torni » sussurrai flebilmente.
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Capitolo 7 *** E memorie perdute ***
Intro:
Ciao
fanciulle (perché credo che mi seguano solo fanciulle xD)!
Questo sarà un capitolo molto
intenso e necessariamente drammatico. Spero che, l'andamento della
storia, stia convincendo tutti. Grazie delle appassionate ed
entusiaste recensioni: rispondo personalmente ad ognuno di voi perché
apprezzo tantissimo il tempo che dedicate a leggermi e lasciarmi un
commento. Passiamo alla storia e... fatemi sapere cosa ne pensate di
questa svolta! Ps. La canzone che ha accompagnato la mia scrittura durante il capitolo è stata questa: https://www.youtube.com/watch?v=LFf6p6actPo
POLISUCCO
e
memorie perdute
« Ron, alza il volume.
»
…Le
notizie che abbiamo da Godric's Hollow sono confuse e frammentarie.
Sappiamo, però, che l'attacco è stato durissimo. La
cattiveria con cui i Mangiamorte, mascherati, hanno colpito è
stata senza precedenti. Non sappiamo ancora le modalità e le
tempistiche dell'attacco, ma sappiamo che ha contato numerose perdite
da entrambi i fronti...
Mi strinsi la stoffa della
maglia tra le mani. Eravamo nel salone principale di Casa Black - le
frequenze di un vecchio apparecchio impostate su Radio Potter - ad
ascoltare le notizie che venivano diffuse sulla strage di Godric's
Hollow; come se non fossero bastate le informazioni che ci erano
arrivavate tutta la notte via gufo e dal camino, attraverso la testa
di Kingsley che comunicava da una taverna del luogo.
Tonks, Lupin, i signori
Weasley, i figli e altri amici della Resistenza stavano aiutando il
paese a rimettersi in piedi dopo l'attacco. E noi eravamo ancora lì,
in quella stanza divenuta troppo piccola per tutti e tre.
Mi alzai e andai in cucina a
prendere da bere. Il contatto con il vetro e il liquido fresco nella
gola mi ridiede lucidità: afferrai con le dita il bordo del
mobile e fissai la caraffa in cui oscillava l'acqua.
Era quasi l'alba e nessuno
aveva chiuso occhio, quella notte. Pensai ai miei genitori e al fatto
che mi credevano ancora a studiare ad Hogwarts, completamente ignari
di ciò che stava accadendo nel mondo – magico e non.
Riflettei nuovamente su una cosa che aveva accompagnato i miei
pensieri in quei giorni e presi una decisione che sarebbe stata, per
sempre, irreversibile.
« Herm... »
Mi voltai, osservando Ron
sulla soglia. Teneva le braccia stese lungo i fianchi, i palmi aperti
e il corpo proteso verso di me, ma non accennava a ridurre la
distanza tra noi.
« Hai una faccia
terribile » mi disse infine.
Sorrisi appena. «
Grazie » feci ironica.
« No, sul serio. Siamo
tutti devastati da questa cosa... ma tu-»
« Ron » lo
interruppi. Non volevo sentire nessuno parlare, non volevo parlare
con nessuno. « Sto bene » continuai.
Lui scosse la testa e provò
a muovere qualche passo. « No, io ti ho visto » mormorò.
Portai la mia attenzione
sulla sua fronte aggrottata; improvvisamente le sue orecchie erano
diventate rosse come i suoi capelli ma la sua faccia aveva perso
qualche tono di rosa.
« Non capisco... »
« Ieri mattina, nella
biblioteca » spiegò.
Non dissi nulla,
appoggiandomi con la schiena al bancone della cucina e continuando ad
aspettare che mi facesse capire dove voleva andare a parare.
« Tu e Malfoy,
abbracciati » concluse.
Sollevai appena le
sopracciglia. « La porta era chiusa » dissi senza
pensarci. Ma, in effetti, nessuno avrebbe potuto vederci.
Ronald scosse nuovamente la
testa. « Sì ma io ho guardato dalla toppa... »
« Tu cosa? »
alzai appena il tono di voce.
« Herm, vi ho seguito.
Ero preoccupato. Ultimamente tu... » lasciò di nuovo in
sospeso, mordicchiandosi l'interno della guancia, senza guardarmi. «
Tu e lui... insomma, che ti prende? » mi fulminò,
improvvisamente, con i suoi occhi tondi.
Strinsi le mani fino a far
sbiancare le nocche: non era assolutamente il momento per sentirmi
sotto accusa. « Ron, ma che diavolo vuoi? » sbottai.
« Cosa provi per lui?
» esclamò infine, alzando in mento verso di me, il volto
livido e teso.
Sgranai appena gli occhi per
la sincerità e la severità con cui mi stava,
stranamente, affrontando: non era mai stato capace di dirmi nulla di
importante in tutti quegli anni che ci conoscevamo. Ma, quella volta,
fui io a distogliere lo sguardo, a non volerlo affrontare; l'impeto e
il nervosismo che mi avevano aggrovigliato lo stomaco fino a poco
prima svanirono. Mi sentii messa a nudo, incapace di articolare una
risposta convincente.
« Non lo so »
sussurrai, per quanto ancora mentissi a me stessa.
Ron fece un sorriso forzato.
« Volevo sentirmi dire niente. » Fece una pausa. «
Non lo so è già- »
« Qualcosa » lo
anticipai e lo ammisi a voce alta.
Lui mi guardò con
rassegnazione. « C'è mai stata una speranza, per me? »
Tornai a guardarlo, confusa
da tanta schiettezza. Perché adesso? Perché, in tutto
quel tempo, non mi aveva mai fatto capire che ci tenesse davvero a
me? Ma, in fondo, cos'era peggio? Sentirsi dire che c'era stata ma
che era sfumata per colpa della sua goffaggine o dire che non c'era
mai stata alcuna possibilità? E qual era la verità,
poi?
« Mi dispiace Ron »
dissi solamente.
Lui mi sorrise ancora una
volta, in quel modo impacciato e incerto che lo caratterizzava
sempre; scosse la testa e la gola gli si irrigidì, come
trattenendo qualcosa di amaro che non riusciva proprio a mandare giù.
Non disse altro e andò via, lasciandomi di nuovo sola in
cucina.
Fui sulla soglia della porta
dopo qualche ora. Radio Potter aveva finito di trasmettere e Harry si
era finalmente addormentato, seguito da Ron. Li osservai qualche
istante, facendomi calmare dai loro respiri regolari.
Scrissi uno scarno
bigliettino che lasciai sul tavolo al centro dei divani. Mi diressi
alla porta d'ingresso e afferrai lo stipite di legno con fermezza,
quasi che una parte dei miei pensieri stesse cercando di trattenermi
da ciò che avevo intenzione di fare. Ma non mi diedi modo di
riflettere ulteriormente: imboccai l'uscita e mi smaterializzai nei
pressi di casa mia.
La villetta della mia
famiglia risplendeva dei colori dell'estate. Il sole accarezzava i
fiori che mia madre cresceva con tanta cura e il vialetto di ghiaia
era perfettamente ordinato, come piaceva a mio padre. Lo percorsi,
affondando appena nei sassolini che avvertii sotto le suole;
accarezzai il dorso del campanello della porta, prendendo un respiro
profondo. L'aria che lasciò le mie labbra era bollente.
Bussai e, dopo pochi
istanti, il viso di mia madre mi accolse con stupore.
« Tesoro... che ci fai
qui? »
« La scuola è
finita prima » le sorrisi, osservandola quasi con timore. Lei
aprì le braccia e io mi ci buttai dentro, stringendola forte.
Il profumo di casa mi diede il benvenuto.
« Che bella sorpresa!
» esclamò, ridacchiando, ficcandomi il naso tra i
capelli così simili ai suoi.
Mio padre comparve alle sue
spalle, la stessa faccia stupita. « Ti aspettavamo la settimana
prossima! Come mai? Come stai? » mi domandò a raffica.
« Thomas, facciamola
entrare prima! » fece mia madre e lui si batté una mano
sulla fronte. « Ma certo, piccola mia, vieni qui » disse
tirandomi dentro.
Pranzammo insieme e
chiacchierammo di tante cose; gli raccontai della scuola e di tanti
aneddoti divertenti, non accennando a nulla che potesse avere qualche
connotazione negativa. Desideravo tanto passare qualche ora con loro
dimenticandomi di tutto ciò che c'era fuori casa Granger.
Preso dalla nostalgia e
ripetendo continuamente quanto mi fossi fatta grande, quanto fossi
ormai una donna bellissima, mio padre riaprì un vecchio album
di fotografie che mi ritraevano da piccola. Ridemmo e scherzammo,
richiamando alla memoria vecchi racconti.
Si ricordarono della prima
volta che mi avevano accompagnato al binario 9 e ¾ e del mio
entusiasmo; delle mie magie accidentali, della curiosità dei
vicini, della mia crescita scolastica. Delle amicizie che temevo di
non farmi e che alla fine avevo stretto; di quanto sentivano la mia
mancava quando, durante l'anno, non ero con loro.
Mi assentai solo un attimo,
per tornare in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. E in quel
momento qualcosa mi riportò al motivo per cui ero tornata in
quel luogo; notai la mia bacchetta fare capolino fuori dallo zaino
con cui ero venuta, abbandonato ai piedi del tavolo - quasi come se
mi fossi dimenticata della sua esistenza. L'afferrai e la tirai
fuori, rigirandomela tra le dita; guardai i miei genitori di spalle
sul divano, ridere ancora per quelle foto ingiallite e imbarazzanti.
« Tesoro, queste devi
proprio vederle! »
Gli occhi mi si riempirono
di lacrime mentre avanzavo nel salone.
« Qui aveva solo tre
anni, che ricordi... »
Distesi un braccio esitante,
diretto alle loro nuche. Sapevo che erano l'unica cosa che mi teneva
legata alla vecchia vita, che non mi permetteva di andare oltre;
sapevo che li avrei persi per sempre. Mi portai la mano sinistra
sulla destra, stringendola, tenendola ferma sul suo obiettivo, come
obbligandola a fare ciò che dovevo fare. Ruotai appena
il polso e pronunciai l'incantesimo che mi fece tremare la voce.
« Oblivion. »
La mia immagine sparì,
lentamente, da tutte le fotografie che loro avevano tra le mani. Non
potei – e non volli – vedere la loro espressione mentre
ciò accadeva, mentre io sparivo inesorabilmente dai loro
ricordi.
Afferrai lo zaino e uscii
rapidamente da quella casa, sentendolo più pesante sulle
spalle: avevo preso, mentre mia madre lavava i piatti, tutto ciò
che poteva servirmi e tutto ciò da cui non volevo separarmi.
Tranne una cosa. Quella, la più importante, l'avevo lasciata
indietro.
Mi passai il dorso della
mano sugli occhi ma questi continuarono a grondare lacrime. Affrettai
il passo, senza voltarmi, camminando a testa bassa, verso un punto da
cui avrei potuto smaterializzarmi.
Apparvi poco distante da
Grimmauld place n°12; ci misi qualche istante a far calmare i
respiri e i singhiozzi. Ancora non mi capacitavo della portata della
mia scelta: mi sentivo come dentro una bolla pronta a scoppiare da un
momento all'altro, una bolla che per adesso mi distorceva la
percezione di ciò che mi circondava.
Quando aprii la porta, fu
Ron il primo a corrermi incontro. I suoi occhi erano preoccupati.
« Ma dove... »
« Non puoi andare via
così! » esclamò Harry, apparendo nel mio campo
visivo.
Abbassai il capo e passai
tra loro, urtandoli e superandoli diretta alle scale.
« Che significa “esco,
torno subito”, eh?! » mi urlò Harry dietro le
spalle, agitando il bigliettino che avevo lasciato. « Sei stata
via delle ore! »
Continuai a camminare,
salendo i primi gradini e stringendo le dita attorno alle cinghie
dello zaino. Dei passi si unirono ai miei e una mano mi voltò
all'indietro.
« Che... »
lasciò in sospeso Harry, forse quando vide i miei occhi rossi.
« Sono stata dai miei
» biascicai, « e li ho obliviati. » Sentii,
improvvisamente, il sapore delle mie lacrime sotto il labbro
superiore.
Harry spostò le sue
pupille tra le mie e strinse la fronte. Mi abbracciò,
silenzioso, e io lo lasciai fare, senza avere però la forza di
ricambiarlo. Ron stette ad osservarci in disparte per un tempo che mi
parve indefinito.
In quel momento la porta si
aprì e rientrarono Lupin, Tonks e gli altri. Mi asciugai
rapidamente il viso e mi allontanai da Harry.
Corsi giù verso Lupin
ma lo sguardo che mi restituì non mi piacque per niente. Avevo
paura di chiedergli qualsiasi cosa.
« Non ho notizie »
mi anticipò. « Nessuno ha saputo dire chi erano i
Mangiamorte a Godric's Hollow perché erano mascherati. E
quando siamo arrivati noi, loro già erano andati via. »
Fece una pausa, socchiudendo le labbra in un'espressione incerta. «
Ti mentirei se ti dicessi che so dove si trova. »
Harry guardò me, poi
Lupin. « Stai dicendo che avete perso le tracce di Malfoy? »
« E' con loro,
sicuramente » intervenne Malocchio e Lupin abbassò
appena il capo, stringendo la mascella.
Io spostai lo sguardo su
entrambi; sentivo la gola secca e l'incapacità di parlare, di
chiedere altre notizie, altre informazioni. Per fortuna Harry mi
anticipò.
« Ma perché è
con loro? Cioè, per rendere credibile la sua copertura
dovrebbe essere qui, con noi, infiltrato nella Resistenza... perché
è con loro? » ripeté Harry, guardando tutti i
presenti.
Nella mia mente, un pensiero
s'insinuò fastidiosamente, un pensiero che mi artigliò
lo stomaco in una morsa. Mi accorsi di avere i palmi delle mani umidi
di sudore e le ginocchia deboli.
« Dai Remus, devi
dirglielo » fece ad un certo punto Nymphadora, spingendolo
appena.
Cercai gli occhi del mio ex
professore di Difesa Contro le Arti Oscure. « Cosa... dovremmo
sapere? » domandai, esitante.
Lupin si passò
entrambe le mani tra i capelli, prendendo un bel respiro. «
Draco, fingendo di essersi infiltrato da noi per favorire loro, ha
passato a Voldemort delle informazioni sbagliate su di noi. Per
depistarlo. In particolare una, di cui adesso mi pento grandemente »
cominciò a spiegare.
Corrucciai appena la fronte,
incerta. « Non capisco cosa... »
« Un'informazione che
ha concordato con me, che faceva capo ad un piano che lui stesso ha
messo su in questi due giorni, ma che non avrei mai, mai
dovuto accettare. Anche se... ci ha portato nettamente in vantaggio.
»
Guardai nuovamente Harry,
mentre qualcosa mi sfuggiva dalla comprensione e non capivo ancora
bene la portata di ciò che ci stava dicendo Lupin.
« E' stato un accordo
tra me e Draco. Ed è stato lui a propormelo... io non volevo,
ma lui pensava di potercela fare » disse ancora, quasi
scusandosi, mentre mi guardava con esitazione.
Mi portai la mano destra
alle labbra. « Non riesco... non capisco... » biascicai.
Remus mi guardò negli
occhi con determinazione. « Draco aveva in mente questo piano:
ha detto a Voldemort che ci avrebbe attirati a Godric's Hollow per
ucciderci tutti nella strage che si è compiuta questa notte.
In realtà era una trappola per gli stessi Mangiamorte: sperava
– speravamo - di decimare le loro schiere... ed in parte è
stato così! Draco ci ha dato modo di metterci in grosso
vantaggio. Stanotte è morta Bellatrix Lestrange. » Fece
una pausa, poggiandomi una mano sulla spalla. « Voldemort ha
scoperto, però, l'inganno; ha torturato il giovane Malfoy e
gli ha strappato via tutte le reali informazioni che aveva su di noi.
Per fortuna, queste informazioni sono state prelevate da Piton in
persona tramite il veritaserum e perciò sono state
riferite comunque falsificate a Voldemort. »
Non afferrai granché
di ciò che cercò, con pazienza, di spiegarmi. Non
m'importava sapere perché, non m'importava capire come; non
m'importava conoscere le conseguenze, per la Resistenza, di
quell'atto avventato. In quel momento, il mio cervello aveva bisogno
solo di acquisire un'informazione semplicissima, come la morfina per
un malato terminale.
« Draco... dov'è?
»
Lupin si passò
nuovamente le mani sul viso. « Non lo so. Non so di preciso
dove sia, né come stia. Ma so una cosa, perché è
stato Severus a dirmi tutto: Voldemort ha ucciso Lucius e Narcissa
Malfoy. Ha resettato Draco, togliendogli dalla mente il
ricordo del rapporto che aveva stretto con noi e facendogli credere
che è stato Harry ad uccidergli i genitori. Non so che
progetti abbia in mente per lui ma... »
Feci un passo indietro,
allargando le braccia per sorreggermi a qualcosa, qualunque cosa,
prima di cadere con le ginocchia per terra. Ma trascinai con me solo
l'aria. In un attimo si chinarono su di me delle facce che mi
apparvero indistinte, immobili, silenti. Eppure vedevo le loro bocche
muoversi e loro stessi agitarsi. Poi, fu tutto buio.
« Non ha dormito per
niente. E poi oggi è andata a casa sua, dai suoi genitori, a
dirgli addio. Ad obliviarli. E' stato troppo per lei. »
« Capisco. Ha perso
troppo in un giorno solo. »
« Perché...
proprio Malfoy? »
« Ronald, non si
comanda ai sentimenti. »
« Perché
così... tanto? »
Ci fu un attimo di silenzio
che accompagnò il mio risveglio. Sbattei appena le palpebre ma
i miei occhi si rifiutarono di aprirsi del tutto.
« Si sta riprendendo.
Adesso, quello che dovete fare, è starle vicino. Hermione è
testarda ma voi dovete starle vicino, Harry. »
« Lo so, io-»
« Il tempo guarisce
ogni ferita. »
Lentamente mi alzai a
sedere, facendo leva con i palmi sul materasso, poggiando poi la
schiena contro il cuscino. Ron mi prese una mano tra le sue.
« Ci hai fatto
spaventare, meno male che sei un osso duro tu » si chinò
su di me Harry. I suoi occhi verdi cercarono di trasmettermi una
gioia che non riuscì a contagiarmi affatto.
Mi ritrassi dal contatto con
Ron; mi passai le mani intorno al collo e rimasi a fissare il
lenzuolo bianco che mi copriva le gambe.
« Herm, vuoi mangiare
qualcosa, eh? Vuoi bere? Vuoi che ti porto un libro? » fece la
voce di Ron.
« Avevi detto... avevi
detto che Draco era protetto. » Sollevai gli occhi su Lupin e
lui li abbassò.
« Hermione,
perdonami... »
« Mi avevi detto che
dovevo stare tranquilla! Perché? » mi sporsi. «
Perché non mi hai detto la verità? »
« E' stata una
decisione di Draco » mi disse.
« Io avevo il diritto
di sapere » sibilai tra i denti.
« In una guerra si
devono fare dei sacrifici... e il ragazzo l'aveva capito
perfettamente. Con questa trappola li abbiamo messi in forte
difficoltà! Abbiamo ucciso il braccio destro di Voldemort e- »
« Ma abbiamo perso
Draco! » esclamai, sentendo gli occhi bruciarmi e una rabbia
incontrollata montarmi dentro.
« Perdonami Hermione »
ripeté Lupin distogliendo lo sguardo. E mi resi conto che capì
perfettamente che non c'era niente che poteva dirmi, nulla che poteva
fare, non in quel momento almeno, per alleviare il mio dolore. Mi
poggiò una mano sulla gamba, quasi come una carezza, poi se ne
andò.
Guardai Harry, poi Ron. «
Voglio restare da sola. » Mi girai sul fianco, accoccolandomi
in posizione fetale.
« No Hermione, non ti
lasciamo da sola! »
« Vi prego, solo un
altro po' » mormorai.
« Ti staremo vicino,
ti aiuteremo a riprenderti » Ron era affacciato su di me, il
flusso della sue parole non riusciva ad arginarsi. « Faremo del
nostro meglio per farti capire che hai ancora noi! »
Mi portai i palmi sulle
orecchie per non sentire; le mie mani sfiorarono della stoffa morbida
che era intrecciata ai miei capelli. Ci passai sopra le dita,
lentamente, come se avessi paura di pungermi; poi sciolsi la treccia
e ne estrassi il nastro, portandolo davanti ai miei occhi. Le parole
dorate ricomparvero a decorare quel sottile pezzo di seta. Me lo
rigirai tra le mani, arrotolandolo tra le dita e poi portandomele
alla bocca. Restai così, cullandomi appena, non curandomi che
Harry e Ron fossero ancora lì.
« Non puoi lasciarti
andare così... » sentii dire alla voce di Harry.
Strinsi gli occhi, i denti,
la fronte, le nocche fino a sbiancarle. Che volevano da me? Che
volevano da me? « Andate via... »
« Non puoi smettere di
combattere... »
« Hermione, ti aiuterò
io a dimenticarlo! » intervenne Ron, afferrandomi il viso tra
le mani.
Lo scansai in modo violento,
ritraendomi. « Vai via! » esclamai.
Guardai il dolore negli
occhi di Ron ma in quel momento non m'importava di ferirlo. Harry lo
afferrò per una spalla e lo tirò lentamente via da me,
mi guardò e mi sorrise appena. « Noi ci saremo sempre
per te. »
Si allontanarono dal mio
letto e dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, lasciandomi
finalmente nel silenzio apparente dei miei pensieri.
In realtà,
ripercorrevo furiosamente tutti gli attimi e le parole che ci eravamo
scambiati, io e Draco. Il nostro bacio, quando io non ero me stessa;
i suoi occhi come vetro smerigliato, rabbiosi eppure in cerca di
redenzione. La sua freddezza, il suo ritrarsi, la sua decisione. La
sua preoccupazione per me, solo per me. Il suo profumo. La sua
consapevolezza. Il momento in cui avevo visto lui e Lupin sulla
soglia della porta, parlare a bassa voce tra loro. L'ultimo sguardo
che ci eravamo scambiati a Godric's Hollow, le sue mani che
lentamente mi avevano lasciato andare e le mie parole, le mie
speranze. E il nastro che mi aveva regalato... sentiva che non
sarebbe tornato? Si era sacrificato per noi, tentando il tutto per
tutto. Aveva, infine, deciso di compiere in altro modo il suicidio
che io gli avevo impedito di compiere?
Ma una cosa mi tormentava
come un insopportabile ronzio, impossibile da mettere a tacere. Una
cosa che non riuscivo ad immaginare come avrei mai potuto digerire.
« Mi ha dimenticato »
mormorai sulle labbra. « Mi ha dimenticato. »
|
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Capitolo 8 *** E credi imposti ***
Intro: salve
a tutti! Mi scuso per l'enorme ritardo con cui aggiorno. Non ho
intenzione di abbandonare la storia, a volte rallento per impegni di
studio/lavoro perciò non preoccupatevi! Detto ciò, ecco
a voi l'ottavo capitolo. C'è una sorpresa “narrativa”
ma non svelo niente per non fare spoiler u.u
Un bacione e... ai commenti! Sì,
perché come vedete quando voi mi dedicate tempo per farmi
sapere cosa ne pensate tramite le recensioni, io sono sempre
entusiastissima di rispondervi e lo faccio a tutti, uno per uno.
POLISUCCO
e
credi imposti
Spalancai gli occhi, uscendo
dall'incubo come da un'apnea. Inspirai profondamente, poi espirai
attraverso le labbra dischiuse. Il torace mi si alzava e abbassava
sotto lo sforzo del respiro affannato.
Mi passai le dita sulla
fronte, facendole scivolare sulle tempie e richiudendo le palpebre.
Mi sollevai a sedere, provando fitte muscolari diffuse in tutto il
corpo. Guardai il cielo all'alba, oltre la finestra della mia camera
da letto: tutto taceva. Distesi le gambe e poi le piegai, portandole
al torace; distorsi il viso in una smorfia di dolore. Feci roteare il
collo e distesi la nuca, abbassandomi a guardare l'ombelico. Le
ciocche di capelli mi solleticarono le sopracciglia e alcune mi
lambirono le labbra. Ci passai una mano dentro, riportandole a posto.
Un rumore, che intercettai
molto prima che l'uomo si palesasse davanti alla mia porta,
accompagnò l'ingresso di Severus Piton.
« Scendi subito »
mi disse solamente, così annuii.
Misi i piedi per terra,
trovando conforto nel pavimento fresco. Feci pressione sulle mani per
sollevarmi, tendendo le braccia e gli avambracci, finché non
fui in piedi.
Mi sentivo spezzato.
Come riemerso da una lunga influenza che mi aveva tenuto a letto per
settimane. Invece, avevo dormito appena due ore dopo che era
accaduto; dopo che Potter e i suoi avevano fatto irruzione nella mia
casa e avevano ucciso i miei genitori e mia zia. Dopo avermi
schiantato, erano fuggiti con la coda tra le gambe ed io... dovevo
aver perso i sensi. Perché mi sembrava di avere uno strano e
insopportabile vuoto di memoria.
Presi dalla sedia in legno
massello una camicia nera e la indossai; infilai un pantalone
classico e delle scarpe di pelle del medesimo colore. Mi guardai allo
specchio. Il vetro mi restituì l'immagine di un ragazzo
pallido e dal volto contratto. Chiusi, lentamente, i bottoni dei
polsini, infilando quei dischi di onice nero nelle asole; mi passai
nuovamente le mani tra i capelli e imboccai l'uscita.
Malfoy Manor era immersa nel
silenzio. I suoi ampi spazi, le sue tende tirate, i suoi colori
scuri, i suoi soffitti ampi e antichi, tutto mi ricordava i momenti
che avevo passato con mio padre e con mia madre; nel bene e nel male.
Eppure non sentivo la
loro mancanza.
L'ossigeno riempiva e
svuotava dolorosamente la mia cassa toracica, frastornata dalla
violenta caduta a causa dello schiantesimo, che mi aveva sbalzato
dall'altra parte del salone principale. Era stato Potter a
lanciarmelo. Con la stessa bacchetta che un attimo prima aveva
freddato i miei. Avevo osservato, con la guancia premuta contro il
pavimento, i loro corpi riversi, più bianchi che mai, immobili
nella loro perfezione; poi avevo perso i sensi.
Eppure non sentivo la
loro mancanza.
Quando fui nella sala da
pranzo, trovai Severus in piedi accanto al lungo tavolo in mogano. Il
Signore Oscuro era seduto con le mani incrociate davanti allo sterno
e un leggero sorriso ad increspargli le labbra di cenere. Gli altri
erano andati tutti via.
Voldemort si alzò e
aggirò il tavolo, mentre Piton chinava appena il capo e si
faceva da parte. Lo raggiunsi e mi abbassai su un ginocchio,
chinandomi per baciargli l'orlo della veste. Sentii la sua mano
fredda toccarmi la spalla.
« Draco... »
pronunciò con una voce che mi arrivò sinuosa fin dentro
le ossa. Sollevai lo sguardo e poi mi rialzai. « Stanotte
abbiamo perso molto. Tre Mangiamorte, dei migliori dei nostri, sono
stati brutalmente uccisi da quegli sciocchi e vili traditori del loro
sangue » disse con disgusto ma con un'espressione quasi
divertita.
« Sì, signore »
annuii, tenendo il capo leggermente abbassato.
Le sue dita si strinsero
sulla stoffa della mia camicia; si avvicinò di qualche spanna
al lato del mio viso. « Tu devi vendicarli, Draco. I tuoi
genitori, tua zia... meritano vendetta. Harry Potter li ha uccisi.
Perciò va ucciso lui e tutti gli altri che lo sostengono »
mi sussurrò all'orecchio.
« Sì, signore »
ripetei.
« Bravo. » Si
leccò le labbra, allontanandosi da me. « Tu vali molto,
Draco. Tu starai al mio fianco, d'ora in poi. »
« Sì, signore.
»
« Severus » fece
quindi, girandosi di spalle. « Quella cosa va fatta adesso. »
Piton annuì e mi
passò accanto, poggiandomi una mano sul braccio; capii che
dovevo andare con lui e lo seguii, senza domandare.
Uscimmo da Malfoy Manor,
percorrendo i giardini ancora umidi e freschi; poi, ci
smaterializzammo in quella che mi parve Little Hangleton. Le strade
erano deserte, il sole non era ancora sorto del tutto.
« Dobbiamo andare a
Casa Riddle e ultimare un servizio per il Signore Oscuro » mi
spiegò Severus.
Feci per muovere un passo in
avanti, ma lui mi bloccò, poggiandomi una mano sullo stomaco.
Mi voltai a guardarlo.
« Bevi prima questo »
mi disse, tirando fuori una fiala dal mantello.
Lo guardai interdetto. «
Cos'è? »
« Un ricostituente. Si
nota che sei in piedi a stento » spiegò, tenendo la
pozione protesa verso di me.
Esitai, osservando il volto
del mio ex professore, placido e impassibile come sempre. Afferrai
quindi la medicina e la odorai. Non mi sembrò familiare a
nessun intruglio con cui avessi mai avuto a che fare. « Non è
una pozione ricostituente » dissi, secco.
Piton alzò le
sopracciglia. « Cosa pensi? Che io ti stia dando qualcosa di
tossico? Sono il tuo padrino. »
Lo guardai a lungo. Presi un
bel respiro, avvertendo un cedimento involontario alle ginocchia;
feci un mezzo passo in avanti per non perdere l'equilibrio.
« Bevi » mi
ripeté.
Osservai il colore ambiguo
della fiala e, senza mai smettere di tenere gli occhi su di lui,
bevvi il contenuto in un sorso; socchiusi appena le palpebre per il
sapore orribile.
« Va bene, adesso
andiamo » gli dissi, buttando la boccetta per terra. Vidi Piton
raccoglierla e rimettersela nella tasca interna del mantello;
sollevai le spalle sbuffando appena. Poi mi raggiunse e insieme
attraversammo la piazza del paese e risalimmo i giardini frontali di
Casa Riddle.
L'imponente maniero si
presentava cupo in tutta la sua bellezza. Ricoperto di edera e con
numerose finestre sbarrate da lastre di legno, mostrava chiaramente i
segni di un abbandono prolungato.
Spingemmo la porta in avanti
senza alcuna fatica e, poco dopo, questa si frantumò alle
nostre spalle. Superammo un paio di camere, completamente rivoltate e
distrutte, come se lì dentro avesse corso un'orda impazzita di
centauri.
Spostai l'anta di un vecchio
armadio perché mi sbarrava la strada, riempiendo il corridoio;
scavalcai dei vetri rotti di uno specchio in cui mi riflessi per un
istante.
C'era odore di muffa e fiori
secchi, ma anche di quello che mi parve legno bagnato. Sfiorai la
strato di polvere che ricopriva un vecchio giradischi magico e non mi
accorsi delle minuscole schegge di vetro che erano schizzate fin lì.
Mi tagliai così i polpastrelli, che si ricoprirono di sangue.
Vidi chiaramente - come in
quel momento vedevo la schiena di Piton a pochi passi da me - degli
occhi color nocciola, con dei raggi dorati che decoravano il cerchio
dell'iride, apparire nella mia mente. Così chiari, così
definiti, così familiari. E sentii che appartenevano ad
una donna. Mi appoggiai, quasi cedendo nuovamente sulle gambe, al
tavolino circolare che avevo lì accanto; mi portai l'altra
mano, tremante e incerta, sulle sopracciglia.
« Tutto bene? »
Sollevai lo sguardo
attraverso le dita. « Benissimo » risposi deciso, ma con
voce roca. Mi osservai i polpastrelli screziati di bollicine di
sangue scuro; mi tolsi due vetrini rimasti attaccati, tamponai le
dita sopra la camicia e poi le succhiai. L'odore ferroso mi riempì
le narici e un altro mi invase i sensi: dittamo. Ma non c'era alcuna
pozione lì accanto che potesse suggerirmi quella fragranza.
Ripensai alla stranezza di
quelle sensazioni, visive e olfattive, arrivate d'improvviso. Ma,
soprattutto, ripensai all'immagine di quello sguardo che cercava il
mio, disperatamente. Scossi impercettibilmente la testa, mi passai la
mano sinistra tra i capelli e proseguii.
« Sei sicuro che vada
tutto bene? » mi domandò nuovamente Piton, quando lo
raggiunsi.
Annuii. « Mai stato
meglio » dissi sbrigativo ma, nonostante la mia perfetta
compostezza, lo vidi osservarmi di sbieco durante il corso delle
nostre ricerche.
Arrivammo, dopo pochi
minuti, in una stanza circolare. Il camino era distrutto, i divani
avevano i cuscini come scavati, i tappeti erano ricoperti da uno
strato scuro di sporcizia.
Severus si diresse ad una
vetrinetta che conteneva, ancora intatte, delle ceramiche bianche
fittamente decorate di azzurro e verde. Estrasse una pergamena
arrotolata da una lunga caraffa, la infilò in una tasca del
mantello e tornò verso di me.
« Cos'è? »
domandai.
« Una cosa per il
Signore Oscuro » disse, superandomi.
Non chiesi altro. Camminai
alle sue spalle e uscimmo da Casa Riddle. Lanciai qualche occhiata al
punto del suo mantello dove sapevo esserci la pergamena ed una di
queste volte, Piton incrociò il mio sguardo.
« Sapere troppo non fa
bene » commentò ed io distolsi l'attenzione, guardando
la fine dei giardini davanti a me.
« Certo. »
Sentii i suoi occhi sulla
mia tempia destra. « Alcune volte è meglio non saperle
le cose, o magari dimenticarle. »
Una fitta mi attraversò
il capo da parte a parte. Strinsi la fronte e le palpebre e mi fermai
un istante, con un senso di nausea ad attanagliarmi lo stomaco.
« Che ti succede? »
« Sto bene »
sibilai tra i denti.
« Draco... »
Draco. Una voce nella
mia mente. Non quella di Severus Piton, non quella del Signore
Oscuro, non quella dei miei genitori.
Incominciai a percepire i
suoni ovattati, come se il rumore dei nostri piedi nell'erba, il
vento leggero tra i cespugli, il frusciare della sua veste –
come se tutto appartenesse ad un ricordo lontano e ciò che era
nella mia mente fosse, invece, reale e presente.
E nella mia mente c'erano
quella voce, quegli occhi, quell'odore.
Caddi sulle ginocchia in un
tonfo, attutito dall'erba. Sentii le rotule infrangersi nei sassolini
commisti alla terra, avvertii il senso di nausea risalire lungo la
gola e infine vomitai. Mi sporsi in avanti, contraendo la schiena e
gli addominali, disgustato e innervosito da quella debolezza. Sputai
e mi risollevai in piedi.
Piton mi porse un
fazzoletto, cercò di rassicurarmi ma non lo capii. Poi disse
nuovamente il mio nome, così mi voltai a guardarlo.
« Bevi altro
ricostituente » fece, allungami un'altra fialetta di liquido.
Quella volta non ci pensai
su molto; buttai giù quella pozione amara che però
sembrò rinfrescarmi la gola.
« E' normale che ti
senti debole » mi spiegò. « Del tutto normale. »
Annuii senza guardarlo,
tamponandomi nuovamente le labbra con il fazzoletto. Mi passai una
mano dietro la nuca e feci una rotazione del capo, sentendo scoccare
l'osso cervicale.
« Quel maledetto »
sibilai tra i denti, assottigliando gli occhi.
« Potter? »
« Chi, se no? »
Piton si riprese la fiala
che avevo ancora tra le dita. « Ti ricordi il momento in cui ha
colpito i tuoi? » Annuii. « Lo ricordi bene? »
Lo guardai di traverso. «
Certo che lo ricordo bene » ma non lo ricordavo affatto
bene.
« Ricordi quando ti ha
schiantato? »
« Sì. »
« Quando Hermione
Granger ha colpito tua zia, prima che Potter la finisse? »
Aprii la bocca e la
richiusi. Contrassi la fronte. « Lei... »
« Hermione Jane
Granger » scandì Piton.
Lo guardai, contraendo la
mascella. « So chi è lei. »
« Ti ricordi di lei? »
Un'altra fitta mi attraversò
la testa e mi piegai appena per il dolore. Strinsi i denti. «
Perché mi fai queste domande? »
« Per testare la tua
lucidità. Non servi a nulla al Signore Oscuro se non riesci a
riprenderti. » In un attimo era diventato sbrigativo e diretto.
« Lo so benissimo »
dissi con rabbia.
« Ricordi di Hermione
Granger che lancia un incantesimo a tua zia Bellatrix? »
« Certo che lo
ricordo! » esclamai, stringendo i pugni e puntando i miei occhi
nei suoi.
Severus alzò appena
il mento e socchiuse lo sguardo. « D'accordo. » Si portò
un lembo del mantello alla spalla opposta e riprese a camminare,
oltrepassando il cancello principale di Casa Riddle.
Il giorno seguente, Malfoy
Manor ospitò gran parte delle persone più in vista del
Mondo Magico; nessuno voleva mancare ai funerali dei signori Malfoy
né poteva - chiaramente - permetterselo.
Sapevo benissimo che tutti i
presenti, nessuno escluso, versava false lacrime e profondeva finte
parole di rammarico ma non m'importava: ero io il primo a guardare la
cerimonia con distacco e assenza.
Passò circa mezzora
in cui non potei muovermi - l'angusta posizione eretta e il braccio
perennemente disteso, stretto o strattonato da esagerata commozione,
mi faceva solo desiderare di chinarmi e toccarmi le punte dei piedi
per distendere i muscoli. Severus Piton mi stava accanto, lo sguardo
contratto e quasi impassibile, forse più del mio, mentre
ricevevo le sentite condoglianze di tutti i presenti.
Dall'altra parte avevo Voldemort, che mi teneva una mano gelida sulla
spalla e riceveva a sua volta baci alla veste.
Poi, finalmente, un flusso
silenzioso e costante fece sì che gli ospiti lasciassero il
maniero, finché rimanemmo solo in pochi, ovvero la stretta
cerchia di Mangiamorte fedeli all'Oscuro Signore. Prendemmo posto
all'enorme tavolo della sala da pranzo, gli elfi domestici accesero
le candele tutt'intorno e servirono liquori e frutta secca.
La voce di Lord Voldemort
echeggiò forte eppure profonda in quella stanza dal soffitto
sconfinato. « La causa di questo giorno di lutto e commiato è
Harry Potter. Un ragazzino stupido e maldestro che con qualche aiuto
e qualche informazione in più è riuscito a uccidere tre
dei più rispettabili Mangiamorte. Il povero, povero Draco ora
si trova da solo. Ma lui è forte, fedele come suo padre; io ho
tante cose in mente per lui, per vendicarsi del giovane Potter e dei
suoi amichetti. »
I presenti mi guardarono con
ammirazione: godevo delle attenzioni dell'Oscuro. Anzi, pareva quasi
che mi stesse portando sotto la sua ala.
« La Resistenza
» rise e con lui risero tutti i maghi seduti, « pensa di
averci indebolito. Ma noi abbiamo importanti informazioni su di loro.
» Provai una fitta alle costole e mi parve di vedere Voldemort
provocarmi dolore con la magia, cercando di farmi dire qualcosa;
piegai appena le sopracciglia ma non mossi alcun altro muscolo del
viso o del corpo, non pensandoci.
Voldemort continuò a
parlare, illustrando i prossimi piano d'attacco e i compiti che
spettavano ad ognuno di noi. Io e Severus fummo incaricati di
svolgere altre missioni per diretto conto del Signore Oscuro;
nuovamente, fui guardato con invidia.
Era notte inoltrata quando,
con nuvole di fumo nero, tutti lasciarono la mia casa e rimasi solo
con la servitù. Dissi al capo degli elfi di non avere fame e
di non venirmi a chiamare se non per preciso ordine di Lord
Voldemort. Così, mi chiusi in camera da letto e mi stesi a
pancia su sul materasso.
Respirai, lentamente,
alzando e abbassando la cassa toracica. Non erano passati nemmeno due
giorni da quando mi ero risvegliato lì, nella mia camera, a
fare i conti con la morte dei miei, con l'intrusione di San Potter
nel mio maniero – tutte cose che non ricordavo effettivamente.
Avevo invece bagliori curiosi, ricordi lontani che mi apparivano
quasi irreali, avvolti da una nebbia fitta e spessa. Forse era stato
il trauma a rendermi tutto così difficile da ricordare.
Chiusi gli occhi.
Improvvisamente, vidi uno sguardo d'ambra penetrami i pensieri. Stai
attento, ti prego.
Mi alzai a sedere, sgranando
gli occhi. Avevo sentito una voce femminile, chiara come l'acqua,
nella mia testa. Mi guardai istintivamente attorno. Non era la voce
di mia madre, né di mia zia, né di nessuno a cui
potessi ricollegarla. Notai una fiala sul comodino, vicino c'era un
pezzo strappato di una pergamena; c'era scritto “prima di
andare a dormire. S.P.” Era la pozione che mi stava
somministrando Piton e l'ansia che mi aveva provocato quella voce
mosse automaticamente la mia mano verso l'intruglio, così lo
bevvi tutto d'un fiato: dovevo riprendermi in fretta ed essere utile
al Signore Oscuro come lui desiderava, vendicarmi di Potter e la sua
banda di idioti, riprendere in mano la mia vita.
Erano passate due settimane
da quando erano morti i miei e mia zia. Come tutte le sere quando
restavo da solo, ero alla mia scrivania, davanti alla pagina bianca
di un taccuino incantato; era un'abitudine che avevo preso di
recente, da circa una settimana, per appuntare le stramberie che
attraversavano la mia mente. Mi sembrava che metterle nero su bianco
mi facesse bene: alla fine le rileggevo e mi sembravano così
assurde che con un sorriso lo mettevo via.
Scrivevo di certi falsi
– ero sicuro – ricordi che parevano appartenermi; si
collegavano ad una presunta permanenza al Quartier Generale della
Resistenza, ricordi di una sorta di pacifica e sincera convivenza con
Potter, Lenticchia e gli altri e di una... specie di indescrivibile
intesa con la Granger. Cose assurde, insomma. Ma non ne avevo parlato
con nessuno: né con Piton, né tantomeno con l'Oscuro
Signore. Era inutile e controproducente dirgli che sognavo un
indirizzo diverso in cui loro erano ubicati – rispetto a quello
che noi credevamo - oppure che non ricordavo affatto l'uccisione di
mio padre da parte di Harry Potter. Ed era ancora più inutile
dire a qualcuno quello che provavo per...
Mi alzai bruscamente dalla
sedia, tanto che questa cadde all'indietro. M'infilai le oxford nere
di pelle e mi passai il mantello sulle spalle, uscendo dalla villa di
tutta fretta: Piton mi aspettava per un compito.
Imboccai il viale d'uscita
verso il cancello, immerso nel buio pesto della sera, rischiarato
solo dalle fiaccole magiche; senza fermarmi, continuando a procedere
a passo svelto, una nuvola di fumo mi avvolse mentre pensavo alla mia
destinazione.
Mi materializzai in una
strada che mi apparve subito deserta. Era una via piuttosto piccola,
che ad un primo sguardo sembrava residenziale. Una fila di lampioni
illuminava il marciapiede, umido da una recente pioggia. Davanti a me
c'era un palazzo basso ma molto lungo, di quelli dove ci sono
numerose ville a schiera e appartamenti adiacenti.
Accanto a me, l'insegna alla
fine del palo di metallo recava il nome della strada: Grimmauld
Place. Il nome mi fece subito collegare i pensieri che tormentavano i
miei sogni nell'ultimo periodo. Perché ero finito lì?
Dovevo smetterla di pensare e ripensare a quei vaneggiamenti,
soprattutto quando mi smaterializzavo.
Aggrottai la fronte, scossi
appena la testa. Stavo per andare via, per smaterializzarmi dove
Severus mi attendeva, ma sollevai istintivamente lo sguardo ad una
delle finestre illuminate e qualcosa nella mia testa mi suggerì
che solo io potevo vedere quella porzione di palazzo; ma non
m'interessava. Quello che catalizzò la mia attenzione, le mie
emozioni – che sembrarono riemergere dal fondo della mia anima
– e i miei occhi fu la sagoma di una donna. I folti capelli
ricci le sfioravano i lati delle braccia ma, essendo la luce alle sue
spalle, non ne distinguevo i dettagli. Ma sentivo che era lei.
Qualcosa in quella sagoma mi fece esitare; ma qualcos'altro mi ordinò
di andarmene di lì così, rapido, mi voltai e feci
qualche passo verso la fine del viale, sparendo poi in una nuvola di
fumo.
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Capitolo 9 *** E tempi in prestito ***
Intro:
so che
posto con enorme ritardo, vi chiedo davvero e sinceramente scusa e
spero che il capitolo vi piaccia.
ps. Nel capitolo, come in altri
passati e come farò in altri futuri (specialmente nel
prossimo), mi ricollego al filo principale che ha tracciato la nostra
Rowling ma ne do la mia personale riscrittura.
POLISUCCO
e tempi in
prestito
« Ci accampiamo qui,
stanotte? » mi domandò Ron.
Mi fermai, affondando con i
piedi nella terra morbida del sottobosco. Annusai l'aria e il
piacevole odore di resina; voltandomi a guardare uno spazio tra gli
alberi, decisi che andava bene ed annuii. « Passo agli
incantesimi di protezione. Tu pensa alla tenda » gli dissi.
Lui ed Harry sistemarono il
nostro riparo provvisorio, in quella notte di fine Luglio calda e
secca; con la bacchetta tesa verso il cielo, io mormorai le magie di
rito.
« Anche stavolta un
nulla di fatto. Sentivo che a Moonhigh non ci sarebbe stato nessun
Horcrux » borbottò Ronald, stendendosi di lato al fuoco.
« Anch'io lo
sospettavo. Ma d'altronde le informazioni in nostro possesso sono
davvero poche » fece Harry.
« Non perdetevi
d'animo » gli sorrisi, tirando da sopra le fiamme una piccola
pentola. « La prossima volta saremo più fortunati. »
Harry venne a sedersi con
entusiasmo al mio fianco, stringendomi il braccio. «
Finalmente. Mi mancava vederti sorridere. »
Io distesi di più le
labbra, abbassando lo sguardo sui ceppi incandescenti; ma le guance
persero un po' di forza e il sorriso si affievolì.
Erano passate due settimane
dall'ultima volta che avevo pianto. Avevo ricomposto, fin troppo
rapidamente, me stessa. Il dovere e l'impellenza della guerra non mi
avevano permesso di riflettere, di restare egoisticamente a
compatirmi.
È accaduto e deve
farsene una ragione. Questa la
frase che avevo sentito uscire dalla bocca di Malocchio quando non
pensava potessi sentirlo; mi era sembrata, dopo appena un paio di
giorni, ed il primo che mi degnavo di mangiare, la frase più
orribile e priva di sentimento che qualcuno potesse pensare di dire.
Ma poi mi ero accorta che quella era l'unica frase che dovevo onorare
e a cui dovevo sottostare nella mia situazione.
Ero la pedina di una partita
a scacchi di un'importanza più che determinante; si trattava
di giocarsi le ultime carte e di portare il mondo magico verso la
sconfitta o la rinascita.
Non c'era tempo per me. Non
c'era mai stato tempo per Hermione, solo per il soldato che ero
diventata per l'Ordine. Non c'era stato tempo nemmeno per Draco, per
il suo sacrificio, tempo per riflettere e per evitare l'inevitabile.
E in una vorticosa situazione fatta di sotterfugi e tempi in prestito
che rubavamo al nemico, non c'era la possibilità di fermarsi e
compatirsi, fermarsi e smettere di agire: la guerra, quel fiume in
piena che correva rapido, mi avrebbe travolto e distrutto. Dovevo
continuare a camminare.
Correre, correre,
correre.
Alzai lo sguardo. «
Domani direi di controllare nel paese limitrofo, giusto per essere
sicuri. »
Harry
lasciò la presa sul mio braccio e annuì grave. «
Altrimenti si ricomincia a correre contro il tempo. »
L'alba trovò i miei
occhi svegli. Anche se ero tornata troppo presto a combattere, ciò
non voleva dire aver cancellato la tempesta che mi scoppiava dentro
la gabbia toracica, graffiandomi i polmoni quando respiravo più
forte, strisciandomi fino al cervello e riempendolo di tuoni neri,
sogni nefasti, che mi facevano tremare le vene e i polsi.
L'alba era chiara e pulita,
lenta e calma; non era a conoscenza – o non si curava –
dei nostri tempi stretti.
Mi sollevai a sedere e mi
legai i capelli, alzandomi in piedi e stirando il colpo verso il
cielo. Roteai il collo e lo sentii scricchiolare; mi affacciai nella
tenda e chiamai i ragazzi.
Ci mettemmo in marcia per il
paese vicino, smaterializzandoci più in là nel bosco e
poi continuando a piedi.
« Facciamo il punto
della situazione » annaspò Ronald camminando, « Il
diario che aveva mia sorella era un Horcrux, giusto? »
« Giusto » annuì
Harry senza fermarsi.
« E l'abbiamo
distrutto. »
« Già »
feci.
« L'anello dei Gaunt
l'ha distrutto Silente. E siamo a due. »
« Ron, a cosa serve
questo elenco? »
Ron si fermò. «
Harry, fammi vedere il medaglione falso. »
Harry lo assecondò,
sbuffando appena e tirandolo fuori dallo zaino. « Ecco a te. »
Incrociai le braccia al
seno, aspettando che Ron guardasse per l'ennesima volta quel dannato
oggetto.
« Ronald, per quanto
te lo rigiri tra le mani quel coso non diverrà vero. C'è
anche un biglietto che lo dice, eh. »
« R.A.B. »
mormorò sulle labbra.
« Già, R.A.B..
Ron, cosa vu-»
« Forse so chi è.
»
Alzai le sopracciglia e
strinsi di più le braccia. Guardai Harry che lo fissava
rassegnato. « E chi sarebbe, quindi? »
« Non fate i cretini,
so che può sembrare strano che io sappia qualcosa in più
di voi. Ma stavolta è così » mugugnò,
rificcando il biglietto nel falso medaglione e dandolo ad Harry.
Si avvicinò ad
entrambi, si guardò intorno e poi sussurrò. «
Qualche giorno fa stavo scappando da un ragno al Quartier Generale e
sono finito nella camera con l'albero genealogico dei Black sulla
parete. » Deglutì, quindi si leccò le labbra. «
R.A.B. potrebbe essere Regulus Arcturus Black, il fratello minore di
Sirius. »
« Ma Regulus era un
mangiamorte! Aderì alle idee di Voldemort fin da subito, mi
pare! » esclamai. « Perché mai avrebbe rubato
l'Horcrux e ingannato il suo Signore? »
Harry strinse la fronte. «
Sirius mi disse che suo fratello doveva aver fatto marcia indietro,
impaurito dalla vera natura di Voldemort e da quello che impartiva ai
suoi seguaci. E così Voldemort in persona lo aveva ucciso - o
fatto uccidere, in effetti. »
« E se... fosse stato
un atto di coraggio quello per cui fu condannato? » mormorai
sovrappensiero.
« Sì, sì
esatto! » parlò Ron. « Se fosse stato lui a
mettere i bastoni tra le ruote di Tu-sai-chi? »
Restammo in silenzio a
pensare seriamente all'eventualità. Poi, Harry sollevò
lo sguardo. « C'è solo un modo per scoprirlo. Torniamo
al Quartier Generale. »
« Per vedere l'albero
genealogico? Harry, non mi credi? »
« No Ron, penso tu
abbia ragione. Voglio parlare con qualcuno che lo conosceva bene. »
« E chi? » mi
voltai, stupita.
« Kreacher. »
Tornammo subito a Grimmauld
Place numero 12 e trovammo Casa Black vuota. Salimmo rapidamente in
mansarda, dove l'elfo si era rintanato da quando avevamo cominciato a
frequentare stabilmente quella casa.
Kreacher non aveva una bella
opinione di noi e in generale di ogni mago che non fosse fedele alla
causa oscura; bastava pensare che nonostante fosse, di fatto,
“proprietà” di Harry – anche se io odiavo
moltissimo quella parola – continuava a prendere ordini dal
vecchio ritratto della madre di Sirius. Comunque, mi era sempre
apparso come un qualsiasi vecchio scorbutico e rancoroso, ancorato al
passato.
Quando gli facemmo visita,
stava lucidando dei monili d'argento appartenuti alla signora Black.
« Kreacher, dobbiamo
parlarti. »
L'elfo domestico si girò
come freddato. Ci guardò con i suoi occhi piccoli e neri, poi
si alzò di scatto, andandosi a nascondere dietro degli
scatoloni impilati.
« Kreacher, ehi! »
esclamò Harry aggirando gli oggetti e lui gli scappò
ancora. Si andò ad accucciare dietro un baule urlando che
dovevamo andare via.
Harry ripartì
all'attacco ma lo raggiunsi e lo fermai. Gli infilai la mano in tasca
e presi il medaglione, avvicinandomi lentamente verso l'elfo.
« Kreacher, io sono
Hermione. Non voglio farti del male... » dissi dolcemente. «
Ci serve... ci serve sapere solo una cosa e poi ce ne andiamo. Va
bene? »
Vidi i suoi occhi comparire
appena oltre la soglia del baule. « Ecco, guarda. Hai mai visto
questo medaglione? » aggiunsi, facendolo dondolare a mezz'aria
tra me e lui.
« È... è
il medaglione di padron Regulus » borbottò.
« Ce n'erano due, no?
» intervenne Harry. « Dov'è... quell'altro? »
L'elfo emise dei suoni rochi
dalla gola, scuotendo appena la testa. « No... Kreacher non lo
sa dov'è l'altro medaglione. »
« Sì, ma tu
l'hai mai visto? Era in questa casa? » domandai.
Mi fissò per un
istante con sguardo terribile. « Sudicia mezzosangue, arrivano
i Mangiamorte! » urlò come indemoniato, lanciandosi
contro di me. Mi graffiò la mano con le sue unghie dure e
affilate e delle gocce di sangue zampillarono via.
Ron lo spinse e lui cadde
all'indietro.
« Ah! Traditore del
tuo sangue! » gli inveì contro l'elfo.
Harry guardò prima la
mia mano, poi di nuovo Kreacher. « Ora tu mi dici dov'è
e io non ti taglio la testa » sibilò, agitandogli
nuovamente il medaglione davanti.
Kreacher sgranò gli
occhi. Forse sapeva di essere proprietà di Harry o forse era
solo spaventato per la sua vita. Ma, alla fine, parlò.
« Sì... era
qui. » La sua voce era roca come quella di un persona che non
parlava da mesi. « In questa casa. Un oggetto molto malvagio...
»
« Che vuoi dire? »
lo incalzò Harry, mentre l'elfo arretrava.
« Prima che padron
Regulus morisse ha ordinato a Kreacher di distruggerlo ma per quanto
Kreacher ci abbia provato non ci è riuscito... » disse,
lo sguardo ora assorto nel vuoto. Si portò le mani attorno
all'esile corpo, come a volersi schermare da qualcosa.
« Ma... dov'è
ora? » domandò Harry. « L'ha preso qualcuno? »
« Lui è
arrivato di notte, ha rubato molte cose... compreso il medaglione...
»
« Chi è stato?
» lo interruppe Harry. Poi alzò la voce. « Chi è
stato, Kreacher?! »
Kreacher strizzò gli
occhi e le labbra e fece uno sforzo nel pronunciare quel nome. «
Mundungus » disse infine. « Mundungus Fletcher. »
Harry si voltò a
guardarci, io annuì.
« Trovalo » gli
disse.
E Kreacher svanì,
lasciandoci soli nella mansarda di Grimmauld place numero 12.
Poco dopo, mentre Ronald si
era appisolato e io guardavo fuori il tempo umido e piovigginoso di
Londra, sentimmo un rumore improvviso provenire dalla cucina.
Harry si ricacciò il
boccino in tasca e si alzò di scatto, come facemmo tutti, per
andare nella direzione del suono.
Kreacher, con l'aiuto di un
inatteso Dobby, stava trascinando Mundungus Fletcher – il quale
pareva aver preso una brutta botta in testa. Lo disarmai
immediatamente, prendendo con un incanto la sua bacchetta.
Fu soprattutto Dobby a
parlare, a dire di aver visto Kreacher a Dian Alley e di averlo
aiutato quando aveva sentito il nome di Harry Potter.
Mundungus, intanto,
arretrava verso il fondo della cucina e borbottava qualcosa sul fatto
che l'avevamo trascinato lì come un ladro.
« Lo sanno tutti che
sei davvero un ladro, feccia » lo appellò Ron.
« Poche chiacchiere »
intervenne Harry. « Quando hai ripulito Casa Black – e
non negarlo – hai trovato un medaglione? »
Mundungus sgranò gli
occhi e si sporse in avanti. « Perché, era prezioso? »
« Ce l'hai ancora? »
domandai.
« No... »
sorrise Ron. « La feccia teme solo di non averci fatto
abbastanza. »
« L'ho dato via per
niente, che fesso! » pianse quasi. « Io stavo lì,
a vendere la mia roba a Diagon Alley, quando una del Ministero
compare e mi chiede di vedere la licenza! » si lamentò.
« Dice che vuole sbattermi dentro e l'avrebbe pure fatto, se
non le veniva la fissa per quel medaglione! »
« E chi era la strega?
»
« Non lo so, io-»
si interruppe quando intercettò qualcosa sul pavimento. Si
abbassò e prese un giornale. In copertina c'era Dolores
Umbridge. Mundungus parve seriamente sorpreso. « Oh eccola, è
lei. A lei ho venduto il medaglione.»
« Siamo noi »
disse la voce di Tonks nel corridoio d'ingresso di Casa Black.
Mi sporsi dalla poltrona su
cui ero accucciata; vidi Harry andarle in contro insieme a Ron. Con
lei c'erano Lupin, Malocchio, il padre di Ron e la madre. Si
abbracciarono con calore e ne fui quasi invidiosa.
A cena avemmo tutti molte
cose da raccontare. Lasciammo che Tonks ci mettesse al corrente degli
ultimi scontri con le schiere oscure, poi fu il nostro turno di
aggiornarla sulle importanti novità.
L'idea di aver di nuovo un
obiettivo concreto su cui puntare ci elettrizzava tutti; eppure, per
appropriarci di quel medaglione, dovevamo rischiare molto e giocarci
bene le carte a nostra disposizione.
Si trattava di un piano
davvero complicato: entrare al Ministero, completamente in mano ai
Mangiamorte che effettuavano costanti controlli a tappeto, trovare e
togliere alla Umbridge un oggetto che, quasi certamente, portava al
collo e andarcene incolumi dall'edificio.
Mi lasciai andare contro lo
schienale della sedia, quasi demoralizzata. Rimanemmo a lungo in
silenzio, a pensare ad un ben congegnato piano d'azione che non
avesse falle e contenesse delle eventuali seconde opzioni. Alla fine,
fui io a parlare, riportando alla memoria un escamotage fin
troppo familiare.
« Polisucco. »
Molti paia di occhi si
voltarono a guardarmi e non dovetti attendere molto per vederli anche
annuire. Era la soluzione più ovvia e meno rischiosa che
avevamo per introdurci li dentro. Era rischioso, certo; ma non c'era
qualcosa di meno pericoloso e incerto, perciò la Polisucco era
la trovata più adatta alle nostre esigenze.
Per preparare la pozione in
questione, di norma, avremmo impiegato quasi un mese – senza
contare il reperimento e pre-lavorazione dei vari ingredienti. Ma per
fortuna nella credenza del Quartier Generale dell'Ordine della
Fenice, la Polisucco era un elemento chiave sempre a disposizione,
che non poteva e doveva assolutamente mancare.
Dopo cena, mi diressi in
bagno per una doccia ristoratrice. Rimasi a lungo sotto il getto
d'acqua, distendendo i nervi tesi della cervicale e lavandomi un paio
di volte i capelli crespi, pieni di foglie secche e polvere, reduci
da giorni di pellegrinaggio tra boschi e paesi sperduti. Tornando in
camera mi lasciai cadere sul letto e, come ogni volta, diedi uno
sguardo al materasso vuoto sopra di me. Nessuno ci aveva dormito dopo
di lui.
Afferrai un libro e mi misi
a leggere, anche se l'ansia per ciò che ci aspettava il giorno
seguente mi distrasse troppo. Rilessi troppe volte la stessa pagina.
Quindi, decisi di chiuderlo. Rimasi con le braccia incrociate a
fissare la rete sopra di me, pensando. Pensai a quello che avevo
fatto, a quello che mi aspettava. Quando i miei pensieri sfioravano
il ricordo di Draco lo sovrapponevano con quello che adesso sapevo su
di lui.
Seppur Lupin cercasse di
nascondermi certe informazioni, avevo sbirciato alcune lettere che
arrivavano a Casa Black da Verde Smeraldo e, infine, avevo costretto
Tonks a parlarmi, a dirmi tutto ciò che stava accadendo, tutto
ciò che sapeva.
Pareva che Draco fosse
diventato il braccio destro di Voldemort; che fosse spietato,
inflessibile, l'ombra di se stesso. Che seguisse ciecamente ciò
che il Signore Oscuro voleva, come un automa. Sembrava che Voldemort,
ultimamente, si fidasse solo di lui: nemmeno Piton era riuscito ad
entrare nelle sue grazie come aveva fatto Draco in così poco
tempo. Tra le schiere dei Mangiamorte si vociferava della freddezza e
inesorabilità del giovane Malfoy.
Non l'avevo più visto
da quel giorno a Godric's Hollow ma, dopo che Tonks mi aveva detto
tutto, quando arrivavo nel luogo dove c'era stata una rappresaglia,
una qualsiasi azione dei Mangiamorte, la mia mente immaginava Draco,
lì tra le macerie, in piedi a fissarmi, con il sorriso freddo
e malevolo che mi aveva riservato a scuola per sette anni.
Non riuscivo – o forse
non volevo – ricordare il modo in cui mi aveva guardato
durante la sua permanenza a Grimmauld Place. Avevo deciso di
rimuovere ogni sensazione positiva che avevo collegato a lui: per me
era diventato ciò che era destinato ad essere, ovvero un
Mangiamorte spietato che stava dalla parte opposta alla mia, con cui
avrei dovuto un giorno scontrarmi e per cui avrei dovuto provare solo
odio. Solo odio.
Mi voltai sul fianco,
rannicchiandomi su me stessa, stringendo i denti e pregando chissà
cosa di farmi dimenticare Draco Malfoy. Certo, c'era sempre
l'oblivion. Avrei potuto scegliere di dimenticare usando la magia;
insomma, la soluzione esisteva. Ma ero davvero pronta a lasciarlo
andare? Ero davvero pronta a rinunciare a lui, a rinunciare all'idea
che si potesse ricordare di me? Quando cominciavo a pensare così,
la parte di me che voleva riportarmi con i piedi per terra mi faceva
chiaramente presente che non c'era nulla da ricordare. Io e Draco non
avevamo niente da ricordare. Non esisteva qualcosa di solo
nostro, non c'era stato veramente niente tra noi e niente poteva
testimoniarlo. No. Qualcosa c'era. Mi sfiorai il nastro di
seta nera che portavo da allora tra i capelli; non me n'ero mai
separata. Sì, ma in fondo, non ti ha detto che ti amava.
Non c'è niente da ricordare. Non sei mai stata niente per lui.
Strinsi i denti, le palpebre
e la fronte, portandomi le mani sulle orecchie come se potessi
smettere di sentire la mia stessa voce. Era vero. Mi ero legata a lui
più di quanto lui si fosse legato a me. Se poi aveva davvero
mai provato qualcosa per me.
Mi alzai dal letto e scesi
in cucina a prendere dell'acqua. Bevvi lunghi sorsi e mi massaggiai
il collo indolenzito. Tornai lentamente sopra, notando Harry e Ron
placidamente addormentati. Mi avvicinai alla finestra, chinandomi sul
comodino per spegnere la piccola luce che puntava sul mio letto, che
usavo per leggere e non disturbarli. Ma non lo feci. Invece,
spalancai gli occhi.
Una figura completamente
vestita di nero, il volto pallido e i capelli biondi come il burro,
era giù in strada e teneva il mento sollevato verso la mia
finestra.
Non osai sbattere le
palpebre. Rimasi agganciata a quello sguardo di vetro come se fossi
stata improvvisamente pietrificata. Nella mente mi passò il
tutto e il niente in un istante. Un solo istante. E dovetti reggermi
al davanzale per non cedere sulle gambe.
Tutto quello su cui avevo
faticosamente lavorato, tutto ciò che avevo accettato come
inevitabile - si era drasticamente infranto.
Corsi fuori dalla camera e
poi giù per le scale, così rapidamente che mi parve di
cadere ad ogni passo. Scalza, sentii qualche scheggia di legno del
vecchio parquet dissestato graffiarmi le piante, ma non me ne curai.
Spalancai la porta
d'ingresso e uscii in strada. Sotto il lampione, laddove l'avevo
visto, non c'era nessuno. Voltai febbrilmente la testa in tutte le
direzioni, mossi rapidamente gli occhi a destra e a sinistra, il
respiro affannato e le pupille sgranate.
« Hermione! Che-»
Mi girai di scatto,
deglutendo. « Tonks, lui era lì, era qui, proprio qui,
sotto quel lampione, era qui, così vicino, avrei potuto
parlargli, avrei potuto toccarlo, era lì, sull'altro
marciapiede, proprio lì, guardava verso la mia finestra, era
lui, era qui, era Draco » parlai convulsamente, guardando
ancora nella direzione in cui l'avevo visto.
Sentii la mano di Tonks
poggiarsi sulla mia spalla e così mi voltai.
« Entriamo dentro,
adesso » mi disse. Colsi una severità nei suoi occhi che
non mi sarei aspettata.
« Ma che... Tonks-»
« Vieni dentro »
m'interruppe.
Feci scorrere i miei occhi
nei suoi, per cercare il motivo di tanta freddezza. Intanto, il mio
cuore non accennava a calmare i battiti. « Ma io, ma lui... »
« Non poteva essere
lui. Basta rincorrere i fantasmi. »
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Capitolo 10 *** E incontri ravvicinati ***
Intro: sorpresa!
Avevo già in mente cosa sarebbe successo nel capitolo 10 così
mi sono ritagliata un po' di tempo per scriverlo (tra studio e lavoro
c.c). Ma non è tutto merito della mia volontà:
ringrazio Sae Morinaga che, con la sua lunga e appassionata
recensione, mi ha fatto venir voglia di tornare subito a immergermi
in questa scrittura. Grazie.
POLISUCCO
e
incontri ravvicinati
Casa Riddle era sempre
immersa in una coltre di buio e polvere. Ma la puzza, rispetto a due
settimane prima, sembrava quasi aumentata - come se un cadavere fosse
stato lasciato lì dentro a marcire.
« Sei in ritardo »
disse Severus, dritto e immobile nella sua lunga casacca nera.
Rispetto a due settimane
prima era cambiata anche un'altra cosa: ero io, adesso, a dover
mettere la mano in quella caraffa di ceramica per estrarre la
pergamena da portare al Signore Oscuro. Era io a dover portare a
termine direttamente le indicazioni di Voldemort e non Piton.
Lui mi seguiva, continuava a somministrarmi quelle sue pozioni
ricostituenti e mi proteggeva, da padrino qual era. Sospettai che
avesse perfino stretto un voto infragibile con mia madre dati i suoi
atteggiamenti, ma non glielo chiesi: mi era accanto e questo mi
bastava.
« Sì, sono in
ritardo » dissi, continuando a camminare in direzione della
vetrinetta, senza aggiungere altro.
Infilai la mano nella
caraffa, presi il rotolo e lo nascosti sotto l'ala sinistra del mio
mantello. Non osavo guardarne il contenuto ma avevo capito che si
trattava di una comunicazione segreta che avveniva tra l'Oscuro e una
seconda persona, forse perfino infiltrata nella resistenza, che gli
passava informazioni.
« Domattina non posso
venire con te al Ministero » disse Severus, mentre uscivamo nei
giardini umidi e silenziosi.
« Perché mai? »
« Il Signore Oscuro mi
ha affidato un altro compito. Tieni » fece, porgendomi un
sacchetto pieno di fialette. « Potrei stare via per qualche
giorno. »
***
L'alba mi trovò
nuovamente con gli occhi aperti. Rimasi a guardare la rete del
materasso sopra il mio, respirando piano. Quel giorno ci aspettava
una grande prova di coraggio e non potevamo commettere alcun errore;
se fossimo riusciti a recuperare il medaglione di Salazar avremmo
riportato un enorme vittoria.
Harry, a colazione, ci
confidò che pensava fermamente che altri Horcrux si trovassero
proprio ad Hogwarts; il problema era, però, che il castello
era ormai occupato dai Mangiamorte e, anche se Piton si apprestava a
ricoprire ufficialmente il ruolo di Preside dal primo settembre, in
quel momento era quasi impossibile pensare di andare lì per
fare delle ricerche. Avevamo deciso di rimandare, perciò,
almeno fino all'inizio dell'anno scolastico. Inoltre, Hogwarts doveva
necessariamente essere l'ultima tappa, l'ultimo scontro: da lì
saremmo usciti o vincenti o perdenti, o vivi o morti.
Ripetemmo brevemente il
programma d'azione che ci aspettava: l'idea era di rubare l'identità
di ministeriali casuali, lasciarli addormentati per almeno un'ora e
prendere i loro vestiti, cercando di trovare nel più breve
tempo possibile la Umbridge e sottrarle – con l'inganno o con
la violenza – quel maledetto medaglione. Infine, tornati al
Quartier Generale, distruggerlo.
Mi chiusi in bagno, mi
gettai l'acqua fredda sul viso e mi guardai a lungo allo specchio:
dovevo restare concentrata, non spostare i pensieri altrove –
nemmeno a quello che credevo di aver visto la sera prima. Tonks aveva
ragione: dovevo smetterla di inseguire i fantasmi.
Indossai un jeans e una
tshirt nera, scarpe comode e capelli legati; mi concessi di
intrecciarvi anche il nastro di Draco, sperando che potesse
proteggermi da tutti i pericoli.
Erano le otto in punto
quando lasciammo Grimmauld Place per smaterializzarci a Londra. Ero
stata davvero poche volte nella capitale e non ero sicura che mi
piacesse molto la caoticità di una metropoli. Troppe persone,
troppe macchine. Tutto viaggiava veloce mentre i miei pensieri
avevano bisogno di calma, tempi sospesi e sangue freddo.
Raggiungemmo la zona dov'era
ubicato il Ministero della Magia ma sapevamo bene che l'ingresso non
era visibile ai Babbani; dovemmo restare in attesa, nascosti tra la
folla, fino ad intercettare delle possibili prede, possibilmente due
uomini e una donna.
« Herm, sono nervoso »
mormorò Ron con le mani lungo il corpo, i pugni chiusi.
« Andrà tutto
bene » dissi, senza guardarlo, muovendo gli occhi frettolosi
tra le persone.
« Ron, andrà
tutto bene » ripeté Harry, ma sembrava che perfino lui
non ne fosse convinto.
***
Uscii dal camino dell'atrio
principale e mi diressi con passo svelto agli ascensori. Durante il
tragitto intercettai molti sguardi, più o meno impauriti,
probabilmente più del mio cognome che dalla mia figura.
« Buongiorno signor
Malfoy » « Buongiorno signore » « Che piacere
averla al nostro Dipartimento! »
Convenevoli. Mi limitavo ad
annuire senza salutare a mia volta; i convenevoli e le venerazioni
delle persone mi avevano sempre urtato. Il loro non era rispetto, era
solo paura. La paura era sempre stata utile, sempre necessaria per i
Malfoy; con la paura si costruisce, stratifica ed edifica la propria
volontà. Ma, in realtà, la paura mi disgustava e più
di tutto la debolezza mi urtava. E con i loro saluti da leccapiedi
impauriti, i maghi inferiori al mio rango mi urtavano.
« Cosa posso fare per
lei, signore? » mi venne in contro Davies. Era un uomo sulla
cinquantina, stazza robusta e occhiali spessi.
« Mi servono i
documenti dei controlli sull'entrate e uscite dell'ultimo periodo »
gli dissi.
« Ma certo, certo. Se
si accomoda nel mio ufficio le faccio portare da bere e tutti i
documenti, in modo che possa visionarli con calma. »
Annuii e lo seguii, passando
per il pianerottolo affollato; c'era un via vai di dipendenti e di
fogli che volavano in direzioni diverse.
« E' sempre un piacere
averla qui! Le rinnovo le condoglianze per la morte dei suoi
genitori, purtroppo non ho mai potuto fargliele di persona »
parlò fittamente, continuando a camminare. Personalmente,
l'avevo forse visto due volte prendere ordini da mio padre in quello
stesso ufficio, ma non lo conoscevo affatto.
« Lei sta seguendo le
orme di suo padre, lui ne sarebbe fiero. In questa battaglia bisogna
sapere da che parte stare e lei ha scelto quella giusta, come ovvio
che fosse. Controllate il flusso di entrata/uscita mezzosangue,
giusto? Cercate qualcuno in particolare? »
« Si limiti a portarmi
le carte e torni ad occuparsi dei suoi doveri » lo freddai.
Lui non mi guardò, mi
mostrò solo un sorriso imbarazzato. « Ma certo, mi
perdoni, sono un gran chiacchierone » si zittì.
Mi fece accomodare nel suo
ufficio personale e mi fece servire del whisky incendiario con
ghiaccio. Mi disse infine che avrebbe mandato immediatamente qualcuno
con tutte le carte e si chiuse la porta dietro, lasciandomi solo. Mi
avvicinai alle finestre e mi massaggiai il collo indolenzito.
***
« Dobbiamo restare
uniti » disse Harry nell'atrio affollato del Ministero della
Magia. O meglio, a parlare era Harry ma l'aspetto era quello di un
triste signore con sguardo appeso e pancia molle.
« Se non troviamo in
fretta la Umbridge torniamo un altro giorno, non possiamo rischiare »
feci, tirandomi appena più giù la giacca stretta che mi
fasciava i fianchi. Non avevo mai indossato un tailleur più
scomodo di quello.
« Gli ascensori »
indicò Ronald e così ci dirigemmo in fretta verso il
fondo della sala.
« Mafalda! »
Mi fermai davanti
l'ascensore con numerosi maghi in attesa come noi dell'arrivo.
« Mafalda, ehi! »
Le porte si aprirono e il
flusso cominciò ad entrare. Harry e Ron mi passarono accanto
e, quando feci per mettere un piede all'interno, una mano mi afferrò.
« Mafalda, per tutti i
diavoli, ti sto chiamando da mezz'ora! »
Sgranai gli occhi e mi
trovai affianco una donna accaldata e sconvolta. « Devi venire
subito con me, c'è bisogno di te al dipartimento! Io quei
cavolo di registri non li conosco proprio! » continuò e
con la coda dell'occhio vidi le porte dell'ascensore chiudersi e i
volti preoccupati di Harry e Ron. Poi si chiusero del tutto. Ci
eravamo persi.
« Veramente io stavo
correndo a svolgere un importante compito per-»
« No, no! E' più
importante quello che devi fare al dipartimento! »
La sua faccia era rossa e la
sua voce quasi stridula.
« Che... che è
successo? » mi arrischiai a chiedere, pur non sapendo
assolutamente chi fosse né per cosa fosse l'urgenza.
« Il signor Malfoy è
piombato da noi stamattina, dice di voler vedere i registri di
entrata e uscita, ma io non conosco la parola d'ordine per aprire il
mobile e se non ci sbrighiamo Davies mangerà la testa a me e
poi anche a te! » continuò con lo stesso impeto.
Non ebbi nemmeno il tempo di
sgranare gli occhi e perdere un respiro che la donna mi infilò
nell'ascensore successivo.
***
Erano dieci minuti che
aspettavo. Avevo finito il mio bicchiere di whisky incendiario e il
ghiaccio si era quasi del tutto sciolto.
Camminai avanti e dietro,
guardando le foto e i certificati appesi alla parete a destra
dell'ufficio, accanto alla porta. Riportavano varie menzioni di
merito attribuite al signor Davies e ai suoi sottoposti, in
particolare a tale Mafalda Hopkirk.
Mi avvicinai nuovamente alle
finestre per vedere il traffico mattutino di Londra. Poveri babbani:
senza la smaterializzazione o le passaporte, erano obbligati a stare
stipati in quelle cassette di latta con ruote e perdere chissà
quanto tempo per fare appena cento metri. Ai miei occhi da mago erano
sempre apparsi come un gradino inferiore della scala evolutiva.
Preso da una fulminante e
impellente insoddisfazione, mi voltai deciso verso la porta e a passi
svelti la raggiunsi. La aprii, già pronto a richiamare Davies,
quando quasi mi scontrai con una donna sui quaranta, l'aria spaurita
e una pila pericolante di registri tra le mani.
« Oh Merlino »
fece quella, barcollando all'indietro e facendosi sbilanciare dal
peso.
Con un movimento secco di
bacchetta feci lievitare i volumi e li direzionai alla scrivania.
« Lei è? »
le domandai prestandole poca attenzione.
« Mafalda Hopkirk,
signore » disse la sua voce sottile. « Se è tutto,
andrei. »
Alzai un sopracciglio. «
Non è assolutamente tutto. Devo controllare le entrate
e uscite dal 21 giugno e non ho intenzione di impazzire tra queste
carte da solo. »
Mi appoggiai con il
fondoschiena al bordo del tavolo, incrociando le braccia al petto. «
Quindi è pregata di chiudere la porta e rendersi utile. Pare
anche aver ricevuto delle menzioni di merito. Si faccia onore »
aggiunsi, guardandola da sotto le sopracciglia.
La strega teneva ancora le
mani unite, le gambe dritte come tronchi e gli occhi all'in giù.
« Si-signor Malfoy, ho
un compito molto importante da svolgere e davvero dovrei andare... »
Lasciai il mio posto,
dirigendomi a passi lenti e cadenzati nella sua direzione. Mi sembrò
che tremasse addirittura.
« Chiuda la porta e si
venga a sedere di fronte la scrivania » le ripetei da vicino.
***
Non avevo mai provato tanta
ansia in vita mia. Davvero, non credevo avrei retto.
Deglutii e non potei fare
altro che obbedirgli, sperando di trovare presto chiunque o qualsiasi
cosa cercasse ed avere quindi il permesso di defilarmi.
« Ma-ma certo, signor
Malfoy » dissi, chiudendo il battente di legno della porta.
Non avrei certamente pensato
di trovarmelo davanti in una situazione del genere; magari sul campo
di battaglia, faccia a faccia con le bacchetta sguainate – per
non parlare di quella parte di me che sperava, ogni volta, di vederlo
ricomparire colmo dei suoi ricordi perduti – ma certamente non
avrei immaginato di incontrarlo, di nuovo, nei panni di un'altra
persona.
Draco si allontanò da
me e prese posto sulla sedia di pelle girevole; io mi sedetti di
fronte, su una sedia. Il sole che filtrava dalle finestre gli rendeva
i capelli perfino più chiari e i suoi occhi parevano pioggia;
le mascelle definite erano contratte, le mani lunghe e affusolate
sfioravano le copertine dei registri. Gli abiti erano completamente
neri, come la sua anima. Eppure non riuscivo a smettere di pensare
quanto fosse attraente. Guardarlo, sapendo di non essere guardata
– di non essere riconosciuta – mi dava un misto di
adrenalina, ansia, paura e voglia. Mi era mancato. Mi mancava.
Notai solo quando mi guardò di nuovo un'ombra violacea sotto
gli occhi, segno di notti interrotte da incubi ricorrenti. Come le
mie.
« Si dia da fare »
mi esortò.
« Certo » mi
ripresi, afferrando tre registri e cominciando ad aprirli.
« Lei dovrebbe
conoscerli a memoria. Mi risulta che sia lei a monitorare gli
ingressi al Ministero » disse.
« Con il lavoro che
c'è da fare non ricordo tutto a memoria » dissi senza
guardarlo, « ma ci vorrà un attimo » aggiunsi in
fretta.
« Lo spero. Non ho
tutta la giornata. »
Io non ho nemmeno un'ora.
Individuai, più per
fortuna che per altro, il registro di giugno e andai al fondo, fino
al giorno 21.
« Ecco, da qui in poi
» gli dissi, girandolo nella sua direzione. « Se mi dice
cosa sta cercando sicuramente faremo più in fretta. »
Draco sollevò gli
occhi chiari su di me, lame sotto le sopracciglia arcuate. Poi
sovrappose le mani sotto il mento e si appoggiò appena sopra.
« Mi serve sapere i nomi dei maghi e delle streghe che sono
entrati ed usciti al di fuori degli orari di lavoro. »
« Sospetta qualcosa,
signore? »
« Sospetto sempre
qualcosa. »
« E in particolare...?
»
Draco inclinò appena
la testa. « In questo dipartimento siete tutti troppo curiosi.
»
Diventai rossa, distolsi lo
sguardo. « Mi scusi » biascicai, sperando che non avesse
notato nulla di strano.
« Sa che Potter e i
suoi sono ricercati in tutto il Mondo Magico, vero? »
« Sì, ne sono a
conoscenza. »
« Loro, o altri per
loro conto, potrebbero avere in mente di fare un giro al Ministero
per compiere qualche atto scellerato... »
Sbiancai e non osai
guardarlo. « Qu-qui siamo sempre molto severi con i controlli.
»
« Me lo auguro »
disse poi, tornando a prestare intenzione ai registri. « Perciò
si muova a dirmi quali sono i movimenti sospetti che vede registrati
nell'ultimo mese. »
Annuii e finsi di leggere le
pagine del registro di giugno, poi feci la stessa cosa con quello di
luglio. Li accostai, confrontandoli, fingendo insomma di sapere
quello che stavo facendo.
« Può
sicuramente dare un'occhiata a questa e questa riga, e anche a questa
del 26 luglio per essere sicuri » feci infine, porgendogli i
due registri. Avevo sparato completamente a caso e mi feci mille
scrupoli per coloro i quali rischiavo di colpire; ma avevo qualcosa
di più importante da portare al termine e troppo poco tempo a
disposizione.
***
« Bene » annuii,
guardando nomi e orari. Attesi qualche minuto, più perché
mi divertiva il fatto che la signora Hopkirk avesse fretta e che io
avessi il potere di mantenerla su quella sedia. Soddisfazione
infantile, lo sapevo.
Alzai gli occhi su di lei
con l'intenzione di dirle che era libera di andare, finché non
vidi qualcosa di fin troppo familiare che attirò la mia
attenzione.
« Quel nastro. Quello
che porta tra i capelli. »
La vidi inorridire. Una
reazione fin troppo esagerata per una constatazione così
calma. Si portò una mano ai capelli, i suoi polpastrelli
toccarono la stoffa di seta nera e sembrò inorridire ancora di
più.
« È solo un
nastro. »
Lo guardai ancora,
sporgendomi sopra la scrivania verso di lei.
« Questo nastro... »
e nella mia mente apparve un nastro magico che ricordavo fin troppo
bene; uno sciamano che me l'aveva regalato in uno dei viaggi con la
mia famiglia; poi delle immagini corrotte, non perfettamente
chiare e limpide come le prime: mi vidi in una biblioteca, in una
casa, con una ragazza, con Hermione Granger. La mia fervida
immaginazione mi suggeriva che, un tempo, avevo dato a lei quel
nastro.
« Se le piace posso
darglielo! » Nella voce della strega c'era una certa urgenza.
Scossi la testa, tornando al
presente, divertito dal fatto che potesse pensare una cosa così
frivola sul sottoscritto. « No. Che sciocchezze » tornai
al mio posto. « Mi sembrava solo di averlo già visto. »
Nonostante il clima teso si
fosse leggermente mitigato, non riuscii a togliere gli occhi da quel
nastro. Era vero; era un semplice nastro nero ma la mia mente lo
collegava a importanti e lontani ricordi.
***
« Può andare »
disse finalmente, dopo quella che mi era parsa un'intera vita. Mi
alzai si scatto e per poco non perdetti l'equilibrio; le gambe
parevano burro fuso e la testa avvolta in un cerchio di corde.
« La saluto, signor
Malfoy » dissi con un mezzo inchino del capo e mi voltai
rapida, diretta alla porta.
« Quand'è che
si è fatta male? »
Mi bloccai a metà
strada e il cuore aumentò ancora i battiti. La porta sembrava
così vicina eppure così irraggiungibile.
« Non capisco... »
« La mano destra. »
Feci scendere lo sguardo e
vidi la pelle graffiata. I graffi che mi aveva lasciato Kreacher.
Stavo tornando normale.
« P-prima, con la
carta. La carta taglia. »
« Prima non li aveva.
»
« E' capitato poco fa,
quando lei... »
« Prima non li aveva.
Io non perdo alcun dettaglio » ribadì con severità.
Chiusi gli occhi e presi un
bel respiro. Lo sentii muoversi nella mia direzione ma rimasi ferma,
impalata, a dargli le spalle. Pregai che mi lasciasse andare. Pregai
chissàcosa con tutta me stessa.
« Come fa a tremare a
fine Luglio? »
« Non ho freddo. »
« E allora perché
trema? »
« Stanchezza... »
Un discorso già
fatto, delle parole così banali eppure appartenute ad un
passato fin troppo familiare, fin troppo vicino, fin troppo urgente
di essere ricordato.
Mi voltai, lo guardai dritto
negli occhi. « Signor Malfoy, adesso devo andare. Devo
completare il mio lavoro. »
Lui mi guardò a
lungo. Il suo sguardo mi parve diverso, mi scavò dentro, fin
nel profondo e il suo profumo d'ambra mi inebriò i sensi. «
Vada pure » mormorò in un sussurro e io feci un passo
indietro, poi mi voltai e afferrai la maniglia della porta. Lo vidi
girarsi e portarsi una mano alla nuca. Improvvisamente non volevo
lasciarlo; sapevo che non l'avrei rivisto, probabilmente mai più.
« Stai attento, ti prego » sussurrai e quando mi accorsi
di averlo detto ad alta voce, era troppo tardi.
Draco aveva sollevato il
capo e poi si era girato a guardarmi. I suoi occhi erano un misto di
stupore e consapevolezza.
Schizzai fuori dall'ufficio
e corsi agli ascensori, maledicendomi con tutta me stessa.
***
Dischiusi le labbra e vidi
la porta chiudersi di botto.
« Stai attento, ti
prego. » La voce di
Hermione. Godric's Hollow. L'ultima volta che l'avevo vista.
No! Spinsi
lo schienale della sedia e questa cadde all'indietro in un tonfo.
Erano ricordi falsi. Era impossibile, era irreale. Ero
malato.
« Stai attento, ti
prego. »
« Diavolo! »
esclamai, passandomi furiosamente la mano tra i capelli. Digrignai i
denti, mi accovacciai sulle gambe e mi coprii le tempie con i palmi.
Non sono ricordi reali. Non sono ricordi reali.
Mi alzai di scatto e mi girò
la testa, ma non me ne importai. Uscii dall'ufficio e mi diressi agli
ascensori.
« Oh signor Malfoy, ha
finito? Le occorre qualcos'altro? » mi intercettò
Davies. Non mi fermai e lui stette al mio passo.
« Ho bisogno della
signora Hopkirk. »
« Era con lei un
attimo fa. »
« Lo so bene »
lo guardai con il disgusto che riservavo agli idioti. « L'ho
lasciata andare ma ho ancora bisogno di lei. »
« Ha preso l'ascensore
» m'indicò, faticando a mantenere il mio passo.
Mi fermai davanti
all'apparecchio e vidi i bottoni luminosi dei piani lampeggiare, fino
a fermarsi al piano atrio.
« Arrivederci signor
Malfoy » mi salutò quello ma non gli risposi. Presi il
secondo ascensore e cliccai 'atrio'.
***
Stavo ancora correndo quando
avvertii le scarpe diventarmi, improvvisamente, troppo strette.
« Cacchio »
gemetti, saltellando e togliendomele, poi continuando a correre.
Quella Mafalda portava 35 di piede, maledetta!
Vidi, tra la folla
dell'atrio, Harry e Ron completamente ri-trasformati che correvano
verso i camini; al loro seguito una scia di guardie ministeriali che
lanciavano incanti all'impazzata.
Afferrai la bacchetta e
lanciai loro degli schiantesimi e degli incantesimi di disarmo,
continuando a correre.
« Da questa parte! »
urlai loro e Harry mi vide, afferrò Ron per un braccio e
cambiarono bruscamente direzione.
La folla attutì il
fiume in piena di guardie e guadagnammo qualche secondo.
« Abbiamo il
medaglione! » gridò Ron.
« Ai camini, di qua! »
urlai.
Tutto accade in pochi
secondi. Li spinsi nella coltre di metropolvere verdastra e così
sparì il primo, poi il secondo e quando venne il mio turno
qualcuno mi afferrò il braccio ma caddi lo stesso nel
passaggio.
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Capitolo 11 *** E ricordi urgenti ***
Intro:
va
bene, non fateci l'abitudine u.u però so di dovermi far
perdonare per tutti i mesi che vi ho fatto aspettare e poi le vostre
recensioni mi danno una carica che nemmeno immaginate! ❤
POLISUCCO
e
ricordi urgenti
Caddi
per terra, strusciando le ginocchia sui rami appuntiti del
sottobosco, poi rovinai sul fianco. L'impatto col suolo mi tolse il
fiato. Spiragli di luce filtravano fino a terra, davanti ai miei
occhi. Vedevo di lato i fusti degli alberi che dalle radici
fuoriuscite si ergevano maestosi e rendevano quel posto tranquillo e
fresco, come lo ricordavo da piccola. Era la prima cosa che mi era
venuta in mente, il primo posto a cui avevo pensato: in quel bosco
avevo passato molte domeniche con la mia famiglia, tra pic-nic ed
escursioni. Ma non importava dov'eravamo. Importava che fossi
riuscita a focalizzarmi non più su Grimmauld place, che nel
giro di qualche secondo fossi stata in grado di lasciare la mano di
Ron e pensare ad un altro luogo. Ce l'avevo fatta. Il Quartier
Generale era salvo.
Mi
voltai sulla pancia e mi sollevai sulle braccia, avvertendo dolori
diffusi in tutto il corpo. Sentii un rumore alle mie spalle e mi
voltai di scatto, accovacciata nell'erba.
A
pochi passai da me, in procinto di rialzarsi, c'era Draco Lucius
Malfoy. Sgranai gli occhi e mi si svuotò lo stomaco. Lui si
voltò e i suoi occhi mi fissarono come lame di ghiaccio.
Cercai istintivamente la bacchetta. Mi tastai il fianco destro, ma
nulla. Con la coda dell'occhio, la vidi per terra a poche braccia da
me.
Mi
alzai di scatto e lui fece lo stesso. Fu su di me prima che potessi
mettere il palmo sul mio unico strumento di difesa; mi bloccò
con il suo corpo e mi atterrò. Non ero forte; non avevo mai
lottato contro un uomo senza l'aiuto della magia.
«
Mezzosangue » disse, cercando di bloccarmi le braccia con cui
mi dimenavo. « Eri tu, lo sapevo! »
Scalciai,
senza prenderlo; ottenni solo di strisciare all'indietro sulla
schiena. Draco s'infilò nello spazio tra le mie gambe e aderì
con il bacino al mio, per evitare i miei calci. Provai a dargli delle
tallonate sulla schiena ma non sembravo fargli male.
«
Ferma... stai ferma! »
Mi
dimenai, cercai di schiaffeggiarlo e cercai di divincolarmi in tutti
i modi ma Draco era più forte di me. Gli sputai sulla faccia e
la sua espressione cambiò in una cieca rabbia: mi afferrò
con forza i polsi e li sbatté violentemente al suolo, ai lati
delle spalle. Mi mancò il respiro e tossii per l'impatto che
tutto il mio corpo ebbe con il terreno.
Adesso,
mentre troneggiava su di me, potevo rivedere l'espressione
malvagiamente soddisfatta che mi aveva riservato durante gli anni
scolastici, quando riusciva a farmi sentire piccola e sporca.
«
Draco, lasciami andare! » urlai, mentre la vista mi si
appannava per colpa delle lacrime.
«
Non azzardarti a chiamarmi per nome! » urlò a sua volta,
chinandosi su di me e stringendomi con più forza i polsi.
«
Mi-mi fai male » biascicai « lasciami, lasciami andare! »
mi agitai, digrignando i denti « Draco, maledizione! »
«
Tu » cominciò lui, a pochi centimetri dal mio viso «
tu mi hai fatto qualcosa e ora mi dirai cosa e mi darai l'antidoto.
Così, forse, ti risparmierò la vita. »
Feci
scorrere furiosamente le mie pupille nelle sue. « Ma che... »
«
E' inutile che fai la finta tonta, Mezzosangue. So bene che mi hai
somministrato qualcosa... o magari è stato un incantesimo? La
sera della morte di Silente o magari ancora prima... »
ragionava, come sovrappensiero, come divertito dalla mia paura.
«
Non so di cosa tu stia parlando » gli dissi, sbattendo le
palpebre per far cadere le lacrime e tornare a vedere.
«
Certo, come no » sorrise. Poi divenne serio, incredibilmente
serio. « Ho delle immagini in testa che riguardano te, dei
falsi ricordi, delle menzogne, che mi stanno divorando il cervello! »
urlò, stringendo ancora di più i miei polsi.
«
Ah... Draco... » soffiai senza forze. Non mi sentivo più
le mani.
«
Non chiamarmi per nome! » tuonò come tuonarono i suoi
occhi in tempesta, grigio-azzurri, rapiti da un vortice di nuvole.
«
Siamo stati vicini... siamo stati amici... »
«
Tu menti! » mi urlò sul viso.
«
Non sto... non sto mentendo » dissi, stringendo forte gli occhi
e prendendo a singhiozzare.
«
Ti ucciderò e così sparirà tutto quello che mi
hai messo nella testa » sibilò contro le mie labbra e io
tremai, con la fredda consapevolezza che nella sua follia mi avrebbe
davvero ucciso, proprio lì, proprio in quel momento.
«
Tu ricordi il nastro » tentai, « ricordi di avermelo
regalato. L'hai preso in un viaggio, è una magia araba di
protezione. Me l'hai dato per proteggermi in tua assenza! »
esclamai, spingendo il torace e agitando le spalle. « Diamine,
deve fare davvero schifo se non riesce nemmeno a difendermi da te! »
urlai.
I suoi
occhi si aprirono e la sua mascella contratta perse forza. Mi guardò
con confusa urgenza, dischiuse le labbra e la sua stretta sui miei
polsi si allentò.
Più
confusa di lui pensai che solo provando a parlare avrei continuato a
stimolare qualcosa, qualsiasi cosa avesse nei suoi ricordi
tormentati. E ad avere salva la vita. « Ma forse... il nastro
sa riconoscere le intenzioni malvagie. E tu non hai mai voluto farmi
davvero del male. Tu non mi faresti del male, io e te... abbiamo un
legame » parlai senza fermarmi, senza prendere fiato « Ci
siamo trovati in un modo strano, solo nostro. Ci siamo
riconosciuti... Ci siamo fatti forza l'un l'altro, abbiamo imparato a
capirci nei silenzi, io ho- »
«
Stai zitta... » m'interruppe con un filo di voce. Ma io non
demorsi.
«
Ricordi quando mi hai chiesto di portarti con me? Ricordi quando hai
cercato di ucciderti? Ricordi quando a Godric's Hollow eri
preoccupato per me, e io per te? »
«
Stai attento, ti prego. »
«
Zitta... » ripeté; mentre il volto andava contraendosi
la sua forza si affievoliva.
«
Non so cosa c'è stato tra noi, se potrà mai
riesserci... ma, ti prego, ti prego Draco, ricordati di me. »
Con il
polso destro quasi del tutto libero, mossi appena la mano e gli
sfiorai le nocche con le mie dita. Lui arretrò, come scottato;
uscì dalle mie gambe e strisciò rapido indietro
sull'erba. Si guardò intorno, come se d'un tratto non sapesse
dove fosse.
Tentai,
seppur priva di forze, di rialzarmi. Riuscii a portarmi in ginocchio
e provai a raggiungerlo ma lui arretrò ancora. Aveva lo
sguardo perso, vacuo, lontano. Allungai una mano.
«
Non mi toccare. »
«
Draco... »
«
Non chiamarmi per nome! » urlò, trafiggendomi con i suoi
occhi grigi appena lucidi.
Si
alzò di scatto e io arretrai, spaventata, sull'erba. Mi guardò
un'ultima volta, per un tempo così lungo eppure così
breve. Poi fece un passo indietro, un altro ancora e sparì
inghiottito in una nuvola di fumo.
***
Appoggiai
i palmi sulla porta e diedi qualche colpo leggero. La colluttazione e
prima ancora l'impatto col suolo mi avevano regalato un bel po' di
lividi; la smaterializzazione, poi, mi aveva tolto le ultime briciole
di forza.
Sentii
il rumore dello spioncino che veniva scostato; poi la porta si
spalancò e vidi che c'erano tutti, alle spalle di Harry, a
fissarmi preoccupati.
«
Herm! »
Mi
appoggiai a lui per paura di cadere a terra, sentivo le gambe molli e
le ginocchia bruciare. Almeno ero riuscita a tornare a casa.
«
Merlino, Hermione! »
«
Portate del dittamo e un ricostituente, forza! »
Davanti
a me c'era un via vai che non riuscivo a vedere distintamente per
colpa della coltre di liquido salato che mi riempiva le orbite.
«
So-sono viva, sto bene » agitai appena una mano, per
tranquillizzarli. « Ho solo bisogno di fare un bagno. »
«
Hai tutte le ginocchia escoriate e i polsi così viola che
paiono neri » disse Lupin osservandomi.
«
Lo so. »
Remus
mi prese in braccio e mi depositò sul divano prima che potessi
dirgli di non farlo.
«
Che diavolo è successo? » sbottò Harry,
accorrendo rapido al mio capezzale. « Eri con noi e un attimo
dopo... »
«
Qualcuno mi aveva afferrato. Non potevo mostrargli dove stavamo »
dissi, accettando di buon grado il ricostituente che mi avevano
avvicinato alle labbra.
Bevvi
tutto d'un sorso e dopo pochi istanti mi sentii subito meglio. Mi
toccai i polsi ma provavo delle fitte dolorosissime, come se mi ci
stessero infilando decine di lame contemporaneamente.
«
Chi era? Che ti ha fatto? »
«
Era Draco. »
Tutti
si scambiarono uno sguardo spaventato. Ronald sbiancò e poi
divenne rosso paonazzo; lo vidi agitarsi e tentare di dire qualcosa
ma lo precedetti.
«
Abbiamo avuto una colluttazione ma credo che, alla fine, abbia
ricordato qualcosa. Mi ha lasciato andare. »
Tonks
spostò Lupin e si piazzò davanti a me, con espressione
rabbiosa. « Hermione, ma cosa ti dice la testa? Draco ormai è
perso! »
Scossi
appena la testa. « No. »
Mi
afferrò per le spalle ed Harry la richiamò. «
Lasciala stare Tonks, sta male, è debo- »
«
È proprio adesso il momento giusto! » esclamò,
senza smettere di guardarmi negli occhi. « Deve capire quanto
ha rischiato. »
Ricambiai
il profondo sguardo in silenzio.
«
Non puoi fargli tornare i ricordi. Meglio che tu ci rinunci fin fa
adesso. Ormai è andata » scandì come se avesse a
che fare come una stupida.
«
Non è vero » scandii a mia volta. « L'ho visto con
i miei occhi. »
«
Ti sei illusa. Devi accettare l'idea che lui non tornerà. »
«
Potrebbe non tornare. Potrebbe non ricordare. Ma io- »
«
Vuoi provarci, eh? A costo di rimetterci la vita? » esclamò
con foga.
«
Nimphadora... » la fermò Lupin, mettendole una mano
sulla spalla. « Va bene così. » Poi si rivolse a
me. « Lei è solo preoccupata. Vuole proteggerti. »
Abbassai
le sopracciglia sugli occhi, fissandola. « Posso proteggermi da
sola » dissi secca, poi feci forza sui braccioli della poltrona
e mi alzai.
Me ne
andai lentamente verso le scale e le imboccai, ignare delle loro
voci, senza voltarmi indietro.
Mi
chiusi in bagno e mi spogliai, gettando i vestiti per terra e
riempiendo la vasca con molto sapone alla vaniglia.
***
«
Cazzo. »
Mi
passai violentemente le mani nei capelli e restai ad osservarmi nello
specchio del bagno. Respirai, non perdendomi d'occhio, cercando di
calmare il cuore e il respiro. Mi sciacquai la pelle con acqua gelida
e mi asciugai lentamente. Tornai ad osservarmi come se qualcosa
potesse cambiare.
«
Cazzo. »
Mi
voltai, nascondendo il viso tra le mani e respirando nei palmi. Ad
occhi chiusi rivedevo la scena che avevo appena lasciato. Rivedevo i
suoi occhi colmi di lacrime, sentivo il suo tremore sotto il mio
corpo e provavo rabbia, tristezza, impotenza e ancora rabbia.
Rabbia
perché non avrei voluto farle del male, perché non
riuscivo a farle del male. Tristezza perché avrei voluto solo
che smettesse di piangere, che stesse bene; e impotenza, perché
non riuscivo a gestire una situazione come quella che stavo vivendo,
colma di domande e vuoti. Ma poi tornava la rabbia, con me stesso,
una rabbia cieca che mi trovava debole, incerto, inadatto.
Hermione.
Non le
avrei mai fatto del male, aveva ragione lei. Ma su cos'altro aveva
ragione? Era davvero come diceva, i miei ricordi erano reali? Chi
aveva ucciso i miei genitori se non era stato Potter?
Mi
sentivo come se mi mancasse qualcosa, come quando sai di aver dormito
almeno otto ore ma non ricordi assolutamente nessun sogno, solo il
momento in cui hai chiuso gli occhi... ed è già
mattina. Un'insoddisfazione che non riesci a spiegarti ti prende la
gola ma presto l'accantoni e cominci la tua giornata.
Io non
riuscivo ad andare avanti. Perciò, quella strega, qualcosa
doveva sapere più di me.
Hermione.
Hermione.
«
Cazzo. »
Entrai
nel salone principale di Malfoy Manor e vidi il Signore Oscuro seduto
a capotavola, le mani giunte e lo sguardo immerso in chissà
quali pensieri. Accanto a lui Nagini, arrotolata attorno alle gambe
della sedia e vigile su ciò che accadeva intorno al suo
padrone.
«
Sono qui, mio Signore. »
Voldemort
aprì gli occhi e spostò l'attenzione su di me. Distese
le labbra sottili e mi fece cenno di avanzare. « Il mio giovane
e brillante ragazzo, ormai uomo. »
«
Sempre ai vostri ordini, Signore » accennai ad un inchino del
capo.
«
Ho ottenuto delle importanti informazioni sull'Ordine della Fenice...
o come si fanno chiamare quei quattro fessi » cominciò,
alzandosi in piedi. « Pare siano entrati in possesso di
qualcosa che mi appartiene. Una cosa molto, molto importante che
credevo perduta. »
Aggrottai
appena la fronte ma rimasi in silenzio. Non pensai a niente, come mi
era stato insegnato, per paura che lui potesse leggermi qualcosa
dentro.
«
Ho bisogno di questo oggetto. Lo rivoglio » aggiunse,
camminando verso di me. « E confido nel fatto che tu farai di
tutto per scoprire, nel minor tempo possibile, dove si trova. E
quindi lo porterai da me. »
«
Mio Signore... posso sapere la forma di quest'oggetto? »
domandai atono, celando la mia curiosità.
«
È un medaglione » disse, poggiandomi una mano sulla
spalla. Avvicinò il viso e mi guardò a fondo negli
occhi. « Trovalo, Draco. »
***
Uscii
dall'acqua come da una lunga apnea e restai a calmare i battiti. Un
piede dopo l'altro, scavalcai la vasca e mi avvolsi l'asciugamano
attorno al corpo. Mi guardai allo specchio e mi pettinai i capelli,
districando i nodi che si formavano ogni volta.
Tornai
in camera e lasciai cadere l'asciugamano per terra, restando nuda.
Afferrai degli abiti comodi e lentamente mi rivestii. Ci misi più
del normale; con la mente ero completamente altrove.
Sollevai
il capo, ridestandomi dai pensieri, mi sporsi verso il davanzale e
recuperai un bicchiere; mi fermai. Giù in strada, sul
marciapiede opposto al mio, c'era Draco.
Come
la volta precedente teneva il mento sollevato verso la mia finestra,
nel cono di luce del lampione. Indossava degli abiti scuri e il lungo
mantello gli avvolgeva il corpo fino alle caviglie.
Sembrava
una statua di cera, il riflesso del ragazzo che avevo conosciuto e
con cui mi ero più volte scontrata. Perfino da lì
potevo notare la sua pelle estremamente pallida e gli occhi
appesantiti da profonde occhiaie.
Poggiai
i palmi sul vetro e lo osservai. Draco restò immobile. Avevo
paura di interrompere quel contatto visivo e perderlo; una parte di
me voleva correre giù da lui – se era lì qualcosa
voleva significare – ma una parte non sapeva cosa aspettarsi:
temevo che le sue intenzioni non fossero pacifiche. E se avesse
ricordato la nostra ubicazione e fosse tornato per tradirci? O se era
lì per attaccarmi, per vendicarsi di ciò che pensava
gli avessi fatto? Immaginavo le parole di Tonks nella mia testa: mi
diceva di non azzardarmi a scendere senza aver avvertito tutti, di
prendere le giuste precauzioni e di pensare all'ipotesi peggiore.
Contrassi
le dita sul vetro, avvicinando il naso e la fronte. In realtà
volevo davvero solo scendere e poterlo sfiorare, lo volevo con tutta
me stessa.
Draco
ruppe la sua immobilità afferrando il lembo sinistro del
mantello; fece un gesto circolare, venne risucchiato dal fumo che si
avviluppò come un serpente nero attorno alla sua figura.
Spalancai la finestra e mi sporsi in avanti, aprendo la bocca per
parlare.
Emerse
dal fumo, prima che Draco sparisse del tutto, un uccello di carta
bianca; volò fino al mio davanzale e si poggiò con le
zampe. Era l'origami di una gru. Si aprì del tutto e divenne
un foglio privo di pieghe, completamente liscio, con su scritte un
manciata di parole in calligrafia elegante e sottile.
Sta
cercando il suo medaglione. E sa che l'avete preso voi.
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Capitolo 12 *** E debiti saldati ***
Intro:
buonsalve!
Ho cercato di aggiornare relativamente in fretta, spero che il cap vi
piaccia. Fatemi sapere come sempre, anche con una breve frase, cosa ve
n'è parso! Bacioni.
POLISUCCO
e
debiti saldati
Non ho
mai sopportato di essere in debito verso qualcuno. Esserlo ti pone in
una situazione di svantaggio: se sei ricattabile e manovrabile, sei
debole. Inoltre, non puoi sapere quando quella persona ti chiederà
di saldarlo; dovrai dire sì anche se nel momento in cui si
presenta a riscuotere le condizioni sono per te sfavorevoli.
Mentre
mi smaterializzavo via da Grimmauld place, però, pensai che
non era esattamente per questi motivi che avevo mandato un messaggio
ad Hermione. Una parte di me – che faticosamente cercavo di
lasciare ai margini della mia coscienza – voleva renderle il
favore. Voleva davvero ripagarla per tutto quello che aveva fatto per
me fino a quel momento e per quello che stava continuando a fare il
suo ricordo dentro di me: era solo per merito suo che stavo risalendo
con le unghie dal pozzo in cui ero caduto. La sua voce in superficie
mi chiamava e, sebbene fosse più facile ignorarla o pensare
che fosse un'allucinazione, quella voce, quella strega, significava
per me qualcosa di più di ciò che ero disposto ad
ammettere.
E più
ricordavo, più ragionavo.
Più
tornavo a desiderarla, più sapevo che dovevo starle lontano.
***
«
Lui sa che abbiamo noi il medaglione » esordii, dopo
aver a lungo fissato gli ospiti di Casa Black fare colazione nella
sala pranzo.
Le
loro teste si sollevarono verso di me, ancora sulla soglia della
porta con la mano sullo stipite. Era mattina presto e faceva ancora
fresco nonostante l'estate avanzasse afosa.
«
Cosa? »
«
Voldemort sa. »
Ronald
si asciugò il latte sulla bocca e deglutì. « E tu
come fai a saperlo? »
Ovviamente
mi ero aspettata quella domanda. Tirai fuori il messaggio di Draco e
lo dispiegai sul tavolo, passandoci le dita sopra. Tutti si
affacciarono verso il biglietto e qualcuno assottigliò gli
occhi.
«
Che significa? Chi lo manda? » domandò Lupin, con lo
sguardo fisso sulla carta.
«
Draco. »
Tonks
fece scattare la testa verso l'alto, guardandomi severa. « È
una trappola. »
Mi
accigliai. « Come fai a-»
«
È ovvio, Hermione. Perché, nonostante la sua memoria
perduta, nonostante sia attualmente il braccio dentro di Voldemort,
ti ha mandato- aspetta, vi siete rivisti? » domandò
improvvisamente.
Esitai.
« No, è arrivato via gufo. »
Tonks
per un attimo mi fissò, poi tornò a guardare il
biglietto. Sentivo che se le avessi detto che era venuto fin sotto la
mia finestra, avrebbe dato di matto. Forse ero io ad essere troppo
superficiale, troppo fiduciosa nei confronti di Draco?
«
Comunque, che ti abbia scritto una cosa tanto delicata al solo scopo
di aiutarti mi pare inverosimile » continuò.
Misi
la mano sul biglietto, tirandolo via dal tavolo e ficcandomelo in
tasca. « Io credo che stia cominciando a ricordare, invece.
Quando ci siamo scontrati-»
«
Ti ha fatto del male » mi interruppe Lupin, ma dal suo viso non
traspariva lo stesso accanimento della compagna.
«
Era confuso, » tentai di giustificarmi. Di giustificarlo. «
Mi ha detto che i ricordi si sovrappongono a ciò che crede
reale, non è facile. Ma si è fermato » li
guardai, « mi ha lasciato andare. E poi questo messaggio. »
Harry
corrucciò la fronte. « Parli di una trappola, »
esordì, rivolto a Tonks. « Ma, in fondo, è una
pura e semplice informazione utile. Non ci sta mica dicendo di
incontrarci chissadove o chiedendo di fare chissacosa. Ci sta solo
mettendo in guardia. »
«
Grazie, Harry » annuii nella sua direzione. Mi sorrise.
«
In effetti credo che non ci sia niente da temere » disse Lupin,
poggiando una mano sulla spalla di Nimphadora. « Al massimo, da
sperare » aggiunse con un sorriso, rivolto a me.
«
La speranza è pericolosa » borbottò Tonks.
«
Direi che il ragazzo si sta riprendendo » intervenne Malocchio,
trangugiando del caffè fumante. « Direi che la questione
è chiusa. »
In
quel momento lo adorai. Gli sorrisi e sorrisi perfino a Tonks che
rimase corrucciata a guardare altrove.
***
Malfoy
Manor era immersa nel silenzio della sera. Le tende si gonfiavano e
riabbassavano, spinte dal piacevole vento che entrava dalle grandi
portefinestre del salone principale.
Aspettavo
Severus con impazienza; erano cinque giorni che non lo vedevo, non
era mai stato via tanto a lungo.
Ero
seduto al capotavola opposto a quello che occupava, di solito, il
Signore Oscuro. Tenevo le mani incrociate sulla superficie levigata e
lucidata di quercia; la gamba si muoveva costante in un
impercettibile e ansioso tremolio.
Avevo
maturato di dire tutto al mio padrino; dei pensieri che ormai mi
stavano divorando la testa, di ciò che avevo fatto e di ciò
che volevo fare. Avrebbe potuto capirmi? Mi avrebbe tradito, invece?
Non lo sapevo, perciò esitavo. Temevo che confidandogli tutto
avrei compromesso la mia posizione e... avrei perso l'occasione di
aiutare Hermione dall'interno.
Già.
Una frase che non avrei mai immaginato nemmeno di pensare; erano
giorni che pensavo a quel messaggio che le avevo scritto, a quel
gesto impulsivo che avevo compiuto. Una parte di me se n'era pentita,
un'altra parte continuava a ripetermi che avevo fatto la cosa giusta.
Mi
passai i polpastrelli sul marchio nero, lucido e perfetto nei
contorni; risaltava come un'ustione sulla mia pelle chiara. E stava
lì a fissarmi, a ricordarmi costantemente cos'ero diventato
nell'ultimo anno. Abbassai la manica della maglia, tirandola giù
fino al polso; potevo sperare di non essere solo un vile Mangiamorte?
C'era qualcosa di più?
Un
rumore mi fece voltare la testa all'indietro e vidi Severus avanzare
verso di me. Mi alzai e attesi che mi fosse di fronte. Avrei voluto
chiedergli come stava, ma tacqui. Invece, lo domandò lui a me.
«
Sto... bene » risposi. « Sono solo stanco »
aggiunsi subito dopo, come a volermi giustificare davanti al suo
sguardo indagatore.
Mi
aggirai per il salone, andando verso le tende di seta verde,
lasciando che mi carezzassero le gambe e venissero risucchiate
indietro.
«
Stai prendendo il ricostituente? »
Annuii,
senza guardarlo.
«
Te ne lascio un'altra scorta. Probabilmente riparto subito. »
Mi
voltai con il volto corrucciato. « Di nuovo? »
Severus
annuì. « È necessario. »
«
Che stai facendo? » domandai, dopo aver a lungo esitato.
Lui si
sedette sulla sedia dov'ero pochi minuti prima; si portò le
mani alla radice del naso adunco e chiuse per un attimo gli occhi. «
Sto dando la mia vita per la causa. »
Mi
girai completamente, poi feci qualche passo, appoggiando le mani sul
bordo del tavolo. « Che stai facendo? » ripetei,
lentamente.
Severus
Piton alzò gli occhi scuri su di me; gli angoli tendevano
verso il basso e le sopracciglia avevano perso la forza.
«
Quando avrai ricordato, potrò dirti tutto. »
Sgranai
gli occhi e presi un lungo respiro. « Ricordare? » dissi
infine, con un filo di voce.
***
«
Ricordi quando ti dissi che Malfoy non meritava di essere salvato? »
Era il
compleanno di Harry, quella sera. Mezzanotte era passata da un pezzo
e io e Ron gli avevamo fatto gli auguri sotto una tenda, in mezzo
alla Foresta di Dean, contea di Gloucestershire, senza nemmeno una
fetta di torta.
«
Lo ricordo. »
Harry
distese le braccia al cielo, stiracchiandosi, poi tornò a
poggiare la testa sul cuscino.
«
Forse, se fosse morto quel giorno, avremmo perso di più di
quanto abbiamo guadagnato. »
Chiusi
il libro che avevo sulle gambe e sollevai il mento verso il mio
migliore amico. Con gli occhi, lo esortai a continuare.
«
Quello che voglio dire è che, nonostante tutto quello che gli
sta capitando, riesce comunque a... tornare.
Tenta di fare la cosa giusta. E credo che sia merito tuo. »
Abbassai
la testa, fissandomi le ginocchia. « Non credo che sia merito
mio. »
«
Io dico di sì. E lo pensa anche Ron. »
Guardai
Ronald che, con gli occhi fissi sul soffitto della tenda, fingeva di
non prestarci attenzione.
«
Secondo me Malfoy doveva trovare qualcuno che vedesse in lui altro.
Forse gli sei stata più indispensabile di quanto credi e si
sta aggrappando al tuo ricordo per uscire fuori dal baratro in cui è
ripiombato. »
«
Harry, credo che tu stia esagerando... »
Per
quanto le sue parole solleticassero in me una felicità
indescrivibile, non riuscivo ad abbandonarmi a quella speranza.
«
No, ci ho pensato. Credo che tu sia stata l'unica a dargli
un'occasione e questo, al suo posto, non lo dimenticherei. »
Lo
guardai per qualche istante, poi annuii con un mezzo sorriso e tornai
a guardare la copertina del libro. Forse era davvero così:
forse per lui ero stata la giusta medicina al momento opportuno. E
quindi, probabilmente, solo quello e nulla di più.
Guardai
l'apertura della tenda e mi alzai, seguendo la piacevole brezza che
arrivava da lì.
«
Non ho sonno, faccio il turno di guardia » dissi senza
voltarmi, uscendo fuori.
Mi
sedetti all'esterno, portandomi dietro il libro; invece di aprirlo,
feci scorrere gli occhi sulla foresta buia.
Qualche
giorno prima avevamo deciso di allontanarci da Grimmauld place per
trovare un posto anonimo e desolato dove agire.
Avevamo
discusso a lungo – soprattutto dopo che Draco ci aveva
confidato che Voldemort sapeva. Il nostro obiettivo principale
era liberarci del medaglione il più in fretta possibile;
distruggerlo, comunque, pareva essere l'opzione più
accreditata.
Dopo
aver provato ogni incantesimo che conoscevamo per infrangerlo, ci
eravamo fermati, ansanti, a riflettere: probabilmente nemmeno
l'incantesimo più oscuro che conoscevamo poteva davvero
liberarci da quell'oggetto maledetto. D'altronde era un Horcrux, un
pezzo d'anima di Voldemort che garantiva la sua immortalità:
un oggetto perciò quasi
impossibile da distruggere.
Ci
eravamo allontanati dal Quartier Generale assolutamente convinti di
poterci riuscire, convinti anche che fosse rischioso spaccarlo a
Grimmauld place – ricordavamo tutti cosa potesse scaturire da
quegli maledetti oggetti una volta in frantumi. Temevamo, inoltre,
che Tom avrebbe potuto vedere, anche solo per un istante,
l'ubicazione del nostro Quartier Generale, prima di sentire un pezzo
della sua anima brutalmente infranta da parte nostra.
«
Quindi... che si fa? » aveva detto Ron, dopo l'ennesimo
Incendio.
«
Il diario lo distruggemmo con il dente di basilisco » avevo
fatto notare, rigirandomi la bacchetta tra le dita. « Ma, pur
volendo, dovremmo tornare ad Hogwarts. »
Harry
aveva scosso la testa. « Ovviamente è fuori discussione.
Prima di settembre, per lo meno. »
«
Non possiamo aspettare tanto, lui lo sta cercando » ci aveva
ricordato Ron.
«
Esatto. »
Eravamo
rimasti qualche altro minuto a guardare la superficie di vetro sotto
cui riluceva inciso un serpente; più lo osservavo, più
mi metteva i brividi. Poi, Harry aveva avuto un'idea geniale.
«
La spada di Grifondoro » aveva esclamato.
Ron si
era accigliato, confuso. « Che? »
Io
avevo subito collegato. E mentre Ron chiedeva spiegazioni, Harry era
già pronto a chiarire tutto. « Ron, la spada può
distruggere il medaglione! La spada di Godric può assorbire
qualsiasi potere per diventare più forte... io la usai per
uccidere il Basilisco, quindi ha il potere del suo veleno, come lo
hanno i suoi denti. »
Ron,
però, aveva genuinamente espresso un lecito dubbio, che noi
avevamo preferito mettere da parte. Ovvero, dove trovare la spada?
La
consapevolezza ci era piombata addosso come una cascata ghiacciata;
eravamo rimasti in silenzio, nervosi e incompleti, a pensare. Ma,
d'altronde, era la spada che doveva trovare noi. La
spada va in aiuto di qualsiasi Grifondoro che ne abbia bisogno.
Quindi
ci eravamo accampati, ancora una volta con l'idea di aspettare.
Aspettare cosa? Era una
vita che aspettavo il momento giusto.
Un
globo di luce celeste apparve, debole, dietro gli alberi. Si gonfiò
e si dispiegò, come un foglio di carta: ne apparve una cerva,
elegante e bellissima.
Arretrai
sull'erba e, senza voltarmi, chiamai Harry. Un rumore alle mie spalle
mi avvertì che aveva sentito e stava arrivando, ma continuai
ad osservare quello splendido patronus, incantata e spaventata al
tempo stesso.
«
Che diamine... » fece la voce di Harry. Lo vidi muoversi lento
verso la luce. La cerva fece un passo indietro e si allontanò,
non prima di averlo guardato una seconda volta.
«
Vuole che la segui » dissi sovrappensiero.
Harry
deglutì e annuì, ma Ron lo trattenne. « Ma di chi
è quel patronus? »
Harry
scosse la testa. Poi riprese a camminare. Trattenni Ronald dal fare
altre domande, poi lo seguimmo in silenzio.
La
cerva ci portò ai bordi di uno stagno ricoperto di ninfee e
altre piante; l'acqua ne era così ricoperta da riuscire solo
ad immaginare che ci fosse. Poi, la cerva si ritrasformò nel
globo di luce e lenta scomparve sotto la superficie.
Harry
fece un passo avanti, poi un altro, infilando i piedi nell'acqua.
«
Harry! » lo richiamò Ronald con la voce strozzata dalla
paura. Io rimasi con gli occhi sgranati ad osservarlo avanzare: lui
sentiva di doverla seguire ed io ero con lui.
La
testa del nostro amico più caro scomparve, infine, sotto un
fiore e l'acqua restò calma. Ron prese a camminare avanti e
dietro, annunciando più volte che se non fosse uscito in
quel momento si sarebbe buttato a sua volta.
Poi,
Harry uscì. Prese un'enorme boccata d'aria e ci guardò,
sorridendo; alzò un braccio e ci mostrò la spada di
Godric.
Avrei
potuto piangere per la felicità.
«
Chi l'ha messa lì? Chi ci sta aiutando? Di chi era il
patronus? » domandai a raffica, mentre aiutavo Harry ad uscire
dallo stagno.
Lui
scosse la testa. « Non ne ho idea! Ma adesso possiamo
distruggerlo! » esclamò, respirando a fatica con la
bocca aperta.
Lasciammo
che si sedesse su una pietra, poi Ronald poggiò poco più
in là il medaglione e tutti lo guardammo.
«
Qualunque cosa ci sia dentro, lotterà... il pezzo di Riddle
del diario ha cercato di uccidermi. »
Deglutii,
osservando l'Horcrux e poi la spada. Ron diede voce ai miei pensieri.
«
A chi tocca farlo? » disse in un sussurro, aprendo e
chiudendo le mani nervosamente.
«
Io parlerò, per farlo aprire. Poi uno di voi due lo colpirà.
Ronald, fallo tu » aggiunse infine.
Ron
scosse la testa, stringendo le labbra fino a sbiancarle. «
No-non c-credo di farcela » balbettò, fissando
l'oggetto.
Harry
si tirò su e gli poggiò le mani sulle spalle, per avere
la sua attenzione. « Ron, puoi farlo. »
Ron
scosse la testa. « Quel coso fa più effetto a me che a
voi due. Mi mette i brividi, mi tremano le mani quando lo sfioro »
si lamentò.
«
Ron, per questo devi farlo! Puoi sconfiggere questa paura, tu-»
«
Lo farò io. »
Entrambi
si voltarono verso di me. Ron aveva ancora gli occhi colmi di paura
ma avevano la punta di incredulità che invece riempiva quelli
di Harry.
«
Cosa? » domandò quest'ultimo.
«
Voglio farlo io » ripetei, categorica.
Harry
tolse le mani dalle spalle di Ron e si voltò completamente
verso di me. Mi guardò a lungo. « Ne sei sicura? »
Annuii.
« Ne sono sicura. »
Harry
annuì a sua volta, poi prese la spada di Grifondoro e me la
porse. « Allora, appena si apre. »
Afferrai
il manico dell'arma e strinsi le dita, facendole aderire
perfettamente. Lo avvolsi anche con la sinistra, allargando appena le
gambe per mettermi in posizione. « Sono pronta. »
Harry
lasciò il mio sguardo e si diresse al medaglione. Pronunciò
alcune parole in serpentese e questo si aprì; un click
e poi si spalancò di colpo,
facendo fuoriuscire un'onda di fumo nero, denso e vivo.
Questo si gonfiò e ci spinse tutti all'indietro, facendoci
cadere per terra. Poi si attorcigliò e gridò,
come se fosse una creatura degli abissi.
«
Hermione, vai! » gridò Harry, ma non riuscii a vederlo.
Cercai
a tentoni la spada, tenendo gli occhi su quell'essere incorporeo,
finché non toccai con i polpastrelli qualcosa di metallico. In
quel momento dal fumo emerse un volto e poi una figura completa.
Draco
Malfoy avanzava verso di me, avvolto nei suoi soliti abiti neri,
accarezzato dal mantello; il suo volto era una maschera di spietata
soddisfazione.
«
Stupida, piccola Mezzosangue... »
La
voce che ne uscì sembrò risuonarmi direttamente nelle
orecchie, come se provenisse da dentro il mio corpo. Mi riempì
la cassa toracica e si bloccò in gola, come un singhiozzo
interrotto.
«
E così hai veramente pensato che per me potessi contare
qualcosa? Poverina, mi fai quasi pena. »
Sorrideva
ed avanzava sinuoso verso di me, seduta nell'erba. Cercai di
arretrare, strisciando all'indietro, ma con gli occhi continuavo a
guardare solo Draco.
«
Mi sei servita nel momento opportuno e adesso mi sono ripreso ciò
che era mio. Non mi è mai importato niente di te, però
è stato divertente fartelo credere. »
«
Tu non sei lui...
» biascicai.
Accanto
a Draco apparve una giovane donna che si aggrappò al suo
braccio e mi sorrise maligna. Assomigliava ad Astoria.
«
Pensavi davvero che mi sarei innamorato di te? »
Rise,
continuando ad avanzare.
«
Io sono un Malfoy, un nobile e potente purosangue. Tu solo una lurida
sanguesporco. Sei anche bruttina, goffa e ridicola, non te l'ho
sempre detto? Solo una ragazzina con i denti da castoro. »
«
Basta... smettila... »
«
Pensi davvero che il tuo ricordo possa scatenare qualcosa in me?
Credi a questa bella favola? »
«
Zitto... »
«
Quel nastro che custodisci tanto gelosamente è solo uno
stupido pezzo di stoffa senza alcun significato » continuò,
« d'altronde
non ti ha mai protetto, no? E non ti sta proteggendo nemmeno adesso.
Ti sei bevuta ogni mia singola parola... »
Fece
una pausa e la sua figura si chinò su di me; potei sentire
quel fumo avvolgermi le caviglie e le gambe, bruciava come acido.
«
Povera mezzosangue... Per me non sei niente. Niente. »
«
BASTA! »
Una
luce dorata mi passò accanto alle tempie e scese avvolgendo il
mio braccio, fino alle dita; mi riempì di forza il palmo e mi
comandò
le falangi, che si strinsero
attorno all'elsa. La stessa energia mi fece scattare, come una molla,
verso il medaglione. Trascinai la spada e la sollevai verso l'alto,
gridando e colpendo con tutta la mia forza l'Horcrux.
Un
urlo inumano contrasse la figura di Draco; venne tutto risucchiato
all'indietro e poi ci fu un'esplosione di energia che s'infranse sul
mio corpo.
Caddi
nuovamente sulle ginocchia e mi accorsi che intorno a me c'era solo
silenzio; solo il mio respiro affannato riempiva l'aria. Mi lasciai
andare ad un pianto a lungo trattenuto e solo dopo pochi istanti
sentii le mani di Harry e Ron sulle mie spalle.
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Capitolo 13 *** E contrattempi dolorosi ***
Intro:
buonasera
lettori! Ecco a voi il 13esimo capitolo. Grazie mille per le
recensioni, come sempre bellissime e molto motivanti. Spero che anche
questo cap vi piaccia, fatemi sapere <3
ps.
ricordo che il cambiamento caratteriale di Draco è dovuto al
resettaggio
di memoria e
manipolazione della suddetta da parte di Voldemort. Alcune azioni che
compie sono perciò da leggere tenendo presente questo.
POLISUCCO
e
contrattempi dolorosi
« Quella luce. È
uscita da lì » borbottò confuso Ronald,
indicando la mia testa.
Mi passai le dita tra i
capelli, sciogliendo la treccia laterale; sfiorai con i polpastrelli
una consistenza estranea. Seta nera. Esitai.
Sfilai quindi rapidamente il
nastro e me lo portai davanti al viso, sgranando le palpebre. Le
parole fittamente incise, appena in rilievo, mi restituirono uno
sguardo muto. Le sfiorai ancora.
« Che razza di magia
è? »
Non risposi subito,
continuai a toccare quell'oggetto; sbattei le ciglia e sorrisi
appena.
« Pensavo fosse quel
medaglione, invece è uscita da quel coso »
continuò Ron, accovacciandosi accanto a me nell'erba.
« È una magia
araba » mormorai, rigirandomelo delicatamente tra le dita.
Ronald guardò Harry
che fece spallucce. Quindi tornò alle domande. « E dove
l'hai preso? »
« Me l'ha regalato
Draco » sussurrai, poi li guardai « per proteggermi in
sua assenza. »
Davanti al mio sorriso privo
di forze ma vivo di speranza, Harry sorrise a sua volta e venne a
sedersi accanto a me; la sua espressione cambiò lievemente
verso l'incertezza.
« Quello che hai
visto... nel fumo... » provò, ma io scossi la testa,
tornando cupa.
« Non voglio parlarne
» distolsi lo sguardo, poi mi alzai, spazzolandomi i vestiti. «
Va bene così. »
Mi allontanai in direzione
della tenda a passo svelto; improvvisamente volevo mettere un enorme
distanza tra me e tutto ciò che avevo intorno. Sentivo un
calderone di emozioni miscelate, provavo contemporaneamente gioia e
dolore.
Sentii dei passi affrettarsi
dietro di me, poi una mano mi afferrò la spalla e mi voltò.
Ron mi fissava con aria ferita.
« Ci tieni molto a...
Malfoy? »
Strinsi il nastro nella mano
destra; il bosco taceva e c'erano solo alberi a perdita d'occhio.
Harry ci raggiunse e passò una manciata di secondi, durante i
quali Ronald non accennò a rinunciare a quella risposta.
Alzai quindi lo sguardo nel
suo; aveva la stessa espressione timorosa eppure coraggiosa di quando
l'avevo conosciuto, ma la prima stava lasciando sempre più
spazio alla seconda. In quel momento mi passarono tantissime cose per
la testa. Ciò che provavo per Draco, ciò che lui (non?)
provava per me, ciò che Ron voleva, ciò che ci
aspettava, ciò che doveva affrontare Harry, la tenacia severa
di Tonks, l'incertezza della Resistenza, la guerra che ci stava
lacerando, Voldemort che avanzava sempre di più... e tutto
sembrava comunque correlato a quella domanda. Ci tieni molto a
Malfoy? Sollevai appena il mento, pronunciandomi con assoluta
convinzione.
« Sì. »
Lui annuì, annuì
più di una volta, come se si stesse autoconvincendo. Poi
scosse la testa, si passò una mano sul viso e mi superò
diretto alla tenda.
In quel momento vidi Harry
girarsi di scatto alle sue spalle. Fu un gesto così rapido che
mi fece sgranare gli occhi e fare un passo avanti.
Lo vidi estrarre la
bacchetta e guardarsi nervosamente intorno.
« Harry, co-»
Uno sciame di maghi a
cavallo di vecchie scope ci passò sulla testa, sopra le fronde
degli alberi; mi appiattii contro un tronco e trattenni il respiro.
« Cosa diavolo...? »
« Shh. » Harry
zittì Ron e lui deglutì. « Pattuglie »
aggiunse poi in un sussurro.
Ma era troppo sperare che
non ci avessero notato. Tre scesero in picchiata in mezzo a noi e,
prima ancora che potessimo rifletterci, stavamo già scappando.
Scattammo tutti in direzione
diverse; io a destra e cominciai a correre con tutta l'energia che
avevo, evitando la fitta boscaglia e gli ostacoli nel terreno,
saltando qualche sasso, girandomi a lanciare incantesimi alle mie
spalle.
Un incarceramus mi
passò lungo la tempia sinistra e due catene atterrarono
nell'erba davanti a me; dovetti saltare per non caderci sopra.
Avevo perso sia Harry che
Ron; l'unica cosa a cui il mio corpo stava rispondendo era un
basilare istinto di sopravvivenza. L'unica cosa che le gambe
percepivano era la paura che dal mio cervello andava a far palpitare
il cuore e mi ordinava di non fermarmi, nonostante il dolore,
nonostante i crampi, nonostante sapessi benissimo che non avevo
alcuna speranza di farcela.
Il terzo incarceramus
mi colpì con tutta forza, infrangendosi dietro le mie
ginocchia: all'istante le mie gambe si unirono, avvolte dalle catene,
così caddi in avanti. Complice la velocità a cui stavo
andando strisciai nell'erba per parecchi metri, con il viso sui rami
e le pietre del terreno. Mi fermai con la bocca piena di terra e il
sapore ferroso del sangue sotto il naso.
Sentii una lunga risata
mentre il mio aggressore si avvicinava. « Mi hai fatto correre
come un pazzo, ringraziami che non ti uccido all'istante. »
Si piazzò davanti a
me, abbassandosi sulle gambe; notai in quell'istante il nastro di
Draco nella terra venire calpestato dalle sue scarpe. Mi dimenai,
strattonando le catene e gridando di lasciarmi andare.
Mi colpì con violenza
e persi i sensi all'istante.
Svegliarmi a causa di uno
schiaffo fu una sensazione nauseante. Il dolore arrivò subito
dopo, bruciante, sulla guancia sinistra. Sbattei le palpebre,
cercando di prendere fiato e guardai l'uomo che incombeva sopra di
me. La sua voce mi arrivò un istante dopo.
« Hai dormito bene,
sanguesporco? »
Non lo ascoltai. Il primo
pensiero fu dove mi trovassi e se anche Harry e Ron erano stati
presi. Potevo vedere solo una stanza dal soffitto basso, sporca e con
le pareti cementate alla peggio; sembrava uno scantinato abbandonato.
« Ti trovi a Malfoy
Manor, se te lo stai chiedendo » continuò quello.
Alzai gli occhi su di lui;
era un uomo nerboruto e dall'espressione ignobile. Mi tirai le gambe
al petto, rannicchiandomi.
« E sarai ospite in
questo posto... per un po' » sorrise aprendo le braccia come in
un macabro gesto di benvenuto.
Restai in silenzio ad
osservarlo con disgusto. Nella mia testa, invece, l'informazione che
mi aveva dato continuava a vorticare come impazzita. Mi trovo a
Malfoy Manor. Mi trovo a Malfoy Manor. Mi trovo a Malfoy Manor.
« Dove sono i tuoi
amichetti? »
Sgranai gli occhi ma cercai
di riportare immediatamente lo sguardo ad un'espressione più
neutra possibile. Non li hanno presi, hanno preso solo me.
« Devi ritrovare al
più presto la lingua oppure te la tiro fuori io con la forza »
mi disse con quel sorrisetto insistente, prima di accovacciarsi
davanti a me.
Mi passò due dita
sullo zigomo e appena mi toccò provai una fitta di dolore; mi
accorsi solo allora che mi pulsava tutta la guancia e mi bruciavano
diversi punti sia lì che nel resto del corpo. Quante ferite
avevo? Erano gravi?
« Ti faccio male,
piccola? » Aprii tutta la mano sul lato del mio viso e strinse,
conficcandomi le unghie nelle carne lacerata. « Io ho appena
cominciato. »
« Anson. »
Il mio carceriere si voltò
di scatto e vidi, nonostante mi desse appena il profilo, la sua
espressione mutare in sorpresa.
« Signor Malfoy... »
Si alzò e così
facendo si spostò leggermente a destra, liberandomi di uno
spiraglio la visuale.
Draco stava in piedi poco
più in là, completamente vestito di nero con la pelle
pallida e i capelli color burro a risaltare come una stella nel cielo
notturno. Non potei fare a meno di notare anche delle evidenti
occhiaie violacee.
« Che stai facendo? »
« Signore, stavo
solo... sto interrogando la mezzosangue » tentò di dire
Anson con un tono completamente diverso da quello che aveva usato con
me. Era riverente, quasi intimorito.
« Vattene. Continuo io
qui. »
« Ma certo, signore. »
Anson abbassò appena
la testa in un mezzo inchino e si affrettò a lasciare lo
scantinato, sparendo oltre una porta di ferro pesante.
Pochi secondi e calò
il silenzio. Io non potevo fare altro che restare dov'ero; seduta su
quel pavimento di calce, legata per i polsi ad un gancio sopra la mia
testa. Ma non avevo smesso un attimo di guardarlo. E non avrei
parlato per prima.
« Mezzosangue. »
Detto da lui aveva un suono completamente diverso.
La sua mascella si contrasse
quando le sue iridi grigie seguirono la linea di quelle che immaginai
essere le mie ferite. Lo vidi stringere lo sguardo, perfino
deglutire.
Fece un passo avanti, poi un
altro, lentamente, finché le punte delle sue scarpe non
toccarono le mie.
« Ti sei fatta
catturare come una sciocca. »
La sua voce si riempì
di una nota triste e incerta. Lo vidi contrarre nuovamente la
mascella, quindi parlò con più forza.
« Che cazzo di modo è
di agire? »
Sbattei la palpebre e parlai
per la prima volta da quando mi ero risvegliata. « Come? »
« Come cazzo vi
muovete, voi? È così facile prendervi? » sbottò,
guardandomi dalla sua posizione eretta.
Per guardare in alto, il
collo cominciava a dolermi; appoggiai la testa contro la parete,
priva di forza. Feci scorrere i miei occhi nei suoi e dischiusi
appena le labbra. « Mi ucciderai? »
Draco aprì di più
lo sguardo, come se l'avessi trafitto con un pugnale. I suoi occhi
parvero sfere di acquamarina grezza.
« Non voglio ucciderti
» disse piano.
« E allora cosa? Mi
farai del male? Cercherai di tirarmi fuori informazioni utili a quel
pazzo sanguinario del tuo Signore? » sbottai, ritrovando un po'
di forza. « Oppure manderai qualcuno a farlo al posto tuo? »
Improvvisamente l'idea che qualcuno come Anson mi toccasse solamente
mi fece venire una paura paralizzante; la voce mi si spezzò e
smisi di parlare.
Draco dovette notarlo perché
si chinò sulle gambe e il suo viso fu all'altezza del mio.
Esitò, poi mi sfiorò appena la fronte; quando tolse le
dita, gli vidi i polpastrelli sporchi di sangue. Se li portò
alle labbra e lo leccò via, poi si tolse dalla tasca un
fazzoletto di seta verde e mi tamponò leggermente qualche
parte del viso. I suoi occhi seguivano la sua mano e ciò che
c'era intorno, i miei occhi non si muovevano dai suoi.
Poi estrasse la bacchetta e
d'istinto mi ritrassi, per quel che potei. Lui ne parve amareggiato;
poi spostò l'attenzione alle mie ferite e una luce giallastra
lasciò la punta del legno, infilandosi in numerosi punti della
mia pelle. Avvertii la magia penetrare nel dolore e darmi sollievo.
« Non posso curarle
completamente » disse, nascondendo nuovamente la bacchetta
sotto gli abiti. « Qualcuno s'insospettirebbe. »
Sbattei le palpebre e cercai
il suo sguardo; Draco stava osservando le sbucciature sulle mie
ginocchia e i muscoli del suo viso si irrigidirono.
« Draco... »
« Shh » mi
zittì.
Avrei voluto dire tante
cose. Di nuovo, sentimenti contrastanti si affollavano dentro il mio
stomaco, pulsavano dentro la cassa toracica e minacciavano di uscire
violentemente. Avrei voluto toccarlo, sentirlo vicino. Avrei voluto
scappare, lontanissimo da lì. Avrei voluto che mi dicesse di
più, che mi rassicurasse di più. Da che parte stava?
Potevo fidarmi?
Infine il suo nastro balenò
nei miei pensieri e le lacrime mi pizzicarono gli occhi.
« Ho perso il tuo
nastro » mormorai. « L'avevo in mano, stavo correndo,
sono caduta... deve essere stato allora che... Ho cercato di
prenderlo ma... scusami, ti avevo promesso che-»
« Non m'interessa
niente di quel dannato nastro » mi interruppe, severo.
Senza guardarmi si alzò
di scatto e se ne andò verso la porta; sentii una forte
sensazione di paura al pensiero che mi lasciasse lì da sola.
Inspiegabilmente, nonostante tutto ciò che era successo, stare
in sua presenza mi trasmetteva sicurezza.
***
Mi appoggiai lungo il
corridoio, portandomi una mano alla bocca. Frenai con difficoltà
le lacrime che salirono a bruciarmi gli occhi; deglutii, come per
digerirle.
Raddrizzai la schiena e
ripresi a camminare, svoltando a destra, poi a sinistra, imboccando
delle scale buie fino a comparire in un'anticamera, prima della
biblioteca.
Delle voci concitate mi
arrivarono ancor prima che giungessi nel salone principale; quando
misi piede sulla soglia, vidi Anson gesticolare animatamente,
raccontando di come aveva catturato e tramortito Hermione. Severus
era accanto a Amycus Carrow ed Antonin Dolohov, con malcelata aria
disgustata.
Quasi tutti i Mangiamorte
della schiera più vicina a Voldemort erano accorsi
immediatamente alla notizia che era stata presa una dei tre,
in particolar modo la Mezzosangue. Mancava solo l'Oscuro Signore ma
sarebbe arrivato a momenti; ero stato io stesso ad avvisarlo, perché
era solo questione di tempo prima che qualcuno lo facesse al posto
mio. E Voldemort si aspettava che io gli fossi fedele. Sempre.
Avanzai, tirando fuori la
bacchetta, procedendo in direzione di Anson. Le sue parole
continuavano a susseguirsi con tono divertito e rozzo, visibilmente
orgoglioso. Aveva almeno dieci anni più di me e aveva sempre
avuto addosso un'insopportabile puzza di latte inacidito. Lo vidi
girarsi e notarmi quando fui a qualche metro da lui.
« Malfoy, signore. »
« Dove l'avete
trovata? »
« E-erano nella
foresta di Dean » rispose con aria stranita.
« Erano solo loro tre?
»
« Sì, signore.
»
« E gli altri due? »
dissi rapido, stringendo la bacchetta tra le dita.
« Li-li abbiamo persi
» fece, guardandosi intorno, come cercando supporto dei suoi
compagni.
Sollevai la bacchetta e con
un gesto secco del polso gli lanciai un'Avada Kedavra. La luce verde
s'infranse sul suo petto e il corpo di Anson precipitò a terra
con un tonfo sordo.
Cadde il silenzio.
Sollevai il mento sul resto
della pattuglia ministeriale, passando in rassegna i loro volti
spaventati.
« Eravate –
quanti? Dieci? Di più? Vi siete fatti sfuggire dei ragazzi
colti alla sprovvista! » urlai, contraendo la mascella. «
Cosa ce ne facciamo della Mezzosangue? Cosa c'è da
festeggiare? » continuai, spostando furiosamente gli occhi in
tutti i loro.
Nessuno fiatò. Le
posizioni dei loro corpi si erano fatte chiuse, come a volersi
schermire dal mio impeto.
« Dovrei uccidervi
tutti » sibilai, facendo un passo verso di loro. La maggior
parte di quelli superava abbondantemente i vent'anni e provenivano da
famiglie più o meno fedeli alla causa; ma i più
volevano solo distinguersi in un mondo in pieno cambiamento. Li
vedevo davanti a me, tremanti, ignobili, superficiali e faticavo a
tenere a freno la rabbia che provavo in quel momento. Da quando erano
morti i miei - da quando avevo perso i ricordi - uccidere era
l'unica cosa con cui trovavo pace.
« Tornate a fare il
vostro lavoro, luride fecce » dissi infine e li vidi
letteralmente correre via dal salone.
« Toglietemi questo
coso dal tappeto » feci rivolto a due Mangiamorte che
obbedirono rapidamente. Da quando ero diventato il braccio destro del
Signore Oscuro nessuno osava contraddirmi, né contrastarmi. E
mai come in quel momento quel fattore mi aiutò tantissimo a
non esplodere; il loro silenzio e riverenza mi calmò. Avrei
voluto strappare gli occhi dalle orbite di tutta la pattuglia
ministeriale al completo, solo immaginando che avessero potuto
guardarla. Figurarsi toccarla.
« Draco. »
La voce di Severus mi giunse
inattesa. Mi voltai a guardarlo con la mascella ancora contratta. Mi
bastò un suo sguardo paterno per calmarmi. Deglutii, respirai.
Andai a sedermi al lungo tavolo e dopo poco un soffuso
chiacchiericcio riprese tra i presenti.
Incrociai le mani sul legno
levigato e me le osservai; sui polpastrelli potevo vedere ancora il
suo sangue. Non riuscivo a togliermi dalla mente i suoi occhi
lucidi, la sua pelle tumefatta, i suoi polsi legati, la sua paura.
Era a casa mia e io non potevo fare niente per farla andare via.
Una mano sulla spalla mi
fece voltare di scatto. Gli occhi di Piton erano stretti e
concentrati quando si chinò verso il mio viso.
« Tre cose deve
ricordare l'uomo ogni giorno: il bene che non ha fatto, il male che
ha fatto, e il tempo che ha perduto. »
Sbattei le palpebre al suono
di quello strano proverbio. Oramai la parola ricordo mi veniva
evocata da lui continuamente ma continuamente mi lasciava in sospeso.
Una parte di me era sicura che lui sapesse di me più di quanto
io sapessi di me stesso. Era un pensiero irrazionale eppur così
giusto.
In quel momento comparve
Lord Voldemort al centro del salone, accompagnato da volute di fumo
nero. Nagini si dispiegò al suo fianco e soffiò rivolta
a due Mangiamorte.
« Quale splendida,
splendida sorpresa » sibilò il Signore Oscuro,
congiungendo i palmi come in una sinistra preghiera. Aprì
quindi le braccia e fece un mezzo giro, con un sorriso a tirargli le
labbra. « Mi è giunta voce che l'amichetta di Harry
Potter è attualmente nostra ospite! »
Mi alzai in piedi e gli feci
un inchino col capo. Lui mi guardò e venne a poggiarmi le mani
sulle spalle.
« Le pattuglie si sono
fatti sfuggire Potter » gli dissi.
Voldemort sgranò gli
occhi, così mi affrettai a continuare. « Hanno avuto la
giusta punizione. Inoltre mi occuperò personalmente di
estrarre dalla Mezzosangue tutte le informazioni sulla Resistenza. »
Lo vidi sorridere con quella
deformazione alla labbra che lo faceva apparire così
spaventoso; le fessure al posto del suo naso tremarono appena, come
branchie.
« Che bravo il mio
ragazzo. Lascio tutto nelle tue mani » si avvicinò al
mio orecchio, sibilando. « Tira fuori dalla Mezzosangue ogni
cosa che sa. Sarà la nostra esca per attirare Harry Potter. »
***
Avevo perso la cognizione
del tempo. Non riuscivo a capire se fossero passati minuti oppure ore
quando vidi tornare Draco; eppure mi sembravano passati giorni.
Cercai di raddrizzarmi
meglio e lui si abbassò alla mia altezza, porgendomi un
bicchiere d'acqua; mi poggiò il bordo alle labbra e inclinò
gradualmente perché bevessi. Quel liquido fresco nella gola fu
una sensazione bellissima.
« Ti farò delle
domande. Non dirmi la verità, mai. Dimmi solo bugie. »
Aggrottai la fronte e lo
guardai confusa.
« Il Signore Oscuro
potrebbe frugare nella mia mente; per quanto io sia un bravo
Occlumante non voglio rischiare. »
« Va... bene »
dissi incerta. Cercai i suoi occhi ma non mi guardava; non riuscivo a
capire se e quanto potevo fidarmi di lui.
« E dovrai gridare.
Come se ti stessi torturando. »
Sull'ultima parola ebbi un
brivido ma mi feci coraggio e annuii. La sua voce era spaventosamente
monocorde e il suo sguardo come perso nel vuoto. Non mi guardava
direttamente negli occhi eppure notai il tremore appena accennato
alla sua mano destra quando sfiorò per caso le ferite alle mie
ginocchia.
« Ti ricordi... di me?
» gli domandai.
Finalmente Draco mi guardò;
aveva gli occhi stanchi. Il suo profumo d'ambra mi arrivava meno
forte e mischiato all'odore di sangue e muffa che impregnava l'aria.
« Hai bisogno di
sentirtelo dire? »
Sì. Era
chiaro che Draco stesse riacquistando la memoria sottratta ma avevo
bisogno di sapere come e in che misura stesse riemergendo; avevo
bisogno che lui me lo dicesse chiaramente, volevo sentirlo dalla sua
voce.
« Ti prego »
sussurrai.
Esitanti, le sue dita mi
portarono dietro l'orecchio una ciocca di capelli. Rimase poi con la
mano lì e il suo pollice mi carezzò lentamente la
tempia. Era il primo vero contatto che avevamo da troppo
tempo. E, a ben pensarci, i contatti tra noi erano stati rari anche
prima della sua amnesia.
« Sì. A volte
no. Non lo so nemmeno io » sussurrò infine. Avrei voluto
toccarlo, ma avevo le mani sollevate e legate.
« Però sei qui.
»
Spostò lo sguardo nel
mio, tagliente sotto le sopracciglia arcuate. « Sono qui. »
Mi osservò per
qualche attimo, poi contrasse i muscoli del viso e si staccò
bruscamente dal mio corpo. Si alzò in piedi e fece qualche
passo all'indietro.
« Ora grida,
supplicami di non farti del male. Non chiamarmi per nome. » Le
occhiaie come mezzelune d'ombra gli rendevano lo sguardo ancora più
penetrante. « E io ti prometto sulla mia vita che ti farò
uscire di qui. »
|
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Capitolo 14 *** E finzioni reali ***
Intro:
spero
possiate perdonarmi per l'immensa attesa a cui vi ho sottoposte. I
vostri messaggi e le vostre recensioni sono sempre meravigliose,
anche se non rispondo sempre le leggo con entusiasmo e tanta
felicità! Spero che questo capitolo vi piaccia e che sia valsa
la pena attendere. Un abbraccio.
POLISUCCO
e
finzioni reali
« Non so urlare per
finta. Non so farlo » disse dopo aver a lungo fissato il vuoto.
« Cosa? »
« Sì, non so...
insomma, si capirebbe che sto fingendo. »
Contrassi la fronte e feci
un mezzo passo indietro; istintivamente guardai la base delle scale
di cemento per vedere se qualcuno stesse arrivando.
« Pensa a qualcosa di
orribile che ti hanno fatto. Prova a riviverlo » le suggerii.
La Mezzosangue prese un bel
respiro. Mi guardò con i suoi occhi teneri, gli stessi occhi
che galleggiavano da tempo nei miei sogni. « Dai, alza la
bacchetta. »
« Tu stai delirando. »
« Cruciami, così
griderò abbastanza per non far insospettire nessuno. »
« Non lo farò.
»
« Il dolore svanisce,
la copertura invece potrebbe saltare. Fallo. »
« Non lo farò,
cazzo! » mi esasperai.
Mi portai le mani ai capelli
e ci passai dentro le dita con rabbia. Mi appoggiai ad una colonna
poco distante, abbandonando la testa verso il basso. Le punte delle
mie scarpe erano sporche di terra.
« Hai detto tu stesso
che Voldemort potrebbe frugarti nella mente! »
« Non ti farò
del male. »
« Te lo sto chiedendo
io stessa! »
« Non puoi nemmeno
chiedermelo! » mi voltai, avvicinandomi rapido di qualche
passo. La costrinsi a tenere la testa sollevata per guardarmi. «
Essere cruciati è un'esperienza troppo dolorosa. »
La vidi esitare.
Probabilmente – e sperai che fosse così – stava
ripensando alle idiozie che mi chiedeva di fare.
« Sei stato... l'hai
provato sulla tua pelle? »
Non la guardai. La sua voce
era cambiata: addolcita e priva di forza.
« Sì »
dissi solamente.
« Quante volte? »
Mi scappò
un'impercettibile risata. Quante? Avevo perso il conto. « Non è
questo il punto. Anche una sola volta resta un'esperienza terribile e
non voglio che tu debba mai provarla. »
« Chi è stato –
chi ti ha cruciato? » domandò svelta.
Mi massaggiai la nuca,
roteandola appena.
« Perché ti
interessa? »
« Perché se mi
dovesse capitare tra le mani quel bastardo lo ucciderei. »
Mi voltai con un
sopracciglio alzato. « I Grifodioti non erano forse privi di
sentimento vendicativo? Generosi e puri di cuore? »
« Per la maggior parte
del tempo » disse, distogliendo l'attenzione da me.
Nonostante la situazione
assurda in cui mi trovavo, ebbi la forza di sorridere. Sorridere
sinceramente. Ma fu un istante: tornai cupo un attimo prima di
parlare nuovamente.
« E comunque non
potresti incontrarlo. E' morto – sono entrambi morti. Lui e mia
zia.»
« Era tuo padre a... ?
»
« E mia zia »
conclusi per lei.
« Le cicatrici sulla
schiena... »
« Quelle senza
bacchetta. Dipendeva dalle occasioni. »
Risposi istintivamente ma
poi ripensai alla sua frase. Come poteva sapere delle cicatrici sulla
mia schiena? Avevo paura di chiederglielo e sentirmi dire di nuovo
che avevo rimosso dei ricordi che ci riguardavano.
Tutto tacque per qualche
istante. Aprii e chiusi i pugni; improvvisamente mi tremavano le
mani. Ero consapevole del fatto che la Mezzosangue avrebbe riaperto
il discorso; che mi avrebbe nuovamente chiesto di farlo. Certo,
era la cosa più ovvia in quel frangente: l'avrei chiesto
anch'io al suo posto. E poi, chiaramente, ci avrei messo un'intensità
nemmeno paragonabile a quella che ci mise mio padre quando, a undici
anni, non fui ammesso subito alla squadra di Quidditch.
Ma la sola idea di vederla
soffrire davanti ai miei occhi – e per di più a causa
mia – mi era intollerabile. Inutile dire che ero sicuro, almeno
prima di quel momento, che vederla soffrire, o addirittura saperla
morta, mi avrebbe dato un perverso e viscerale piacere. A scuola ero
praticamente ossessionato dall'idea di metterla in difficoltà
più o meno serie. E adesso avevo la possibilità di...
vendicarmi? O forse solo divertimi. Ma non riuscivo a pensarla ancora
così.
« Prima lo fai, prima
finisce. »
Chiusi gli occhi, scuotendo
appena la testa, ma in un gesto rapido afferrai la bacchetta e la
strinsi forte tra le dita.
« Non ci metterò
tutta la mia forza » ci tenni a precisare, evitando di
guardarla.
« Va tutto bene »
mi sorrise lei. Lo sentii nella sua voce e perciò la guardai.
La sua faccia voleva che io mi sentissi meno in colpa.
« Stai zitta che non
va bene per niente » dissi tra i denti, poi sollevai la
bacchetta e, senza darle il tempo di replicare, pronunciai
quell'incantesimo oscuro e maledetto.
I suoi occhi dolci si
spalancarono e la pelle sbiancò; la bocca si dilatò e
il corpo si contrasse su se stesso, come preso da un violento e
improvviso spasmo. Infine, urlò.
Le urla di Hermione Granger
riempirono la stanza del sotterraneo e si arrampicarono fino ai piani
superiori. Ero dannatamente sicuro che delle urla così
avrebbero convinto chiunque - che quasi stavano per convincere anche
me.
Quando parlò –
dicendomi di smettere, pregandomi di lasciarla stare – il polso
mi tremò e la bacchetta mi scivolò dalle mani, cadendo
al suolo.
Lei sollevò di scatto
la testa e mi disse di continuare, che faceva parte della farsa.
Poteva resistere, poteva farlo. Mi feci coraggio, per essere quanto
meno all'altezza della sua forza.
Afferrai nuovamente la
bacchetta e ripetei Crucio, puntandola su di lei; il suo corpo
riprese a muoversi sotto quegli spasmi terribili a vedersi e
sentirsi, come se si stesse rompendo.
Alla fine cedetti sulle
ginocchia e buttai malamente la bacchetta ai miei piedi, distrutto da
quel dolore come se l'avessi provato sulla mia pelle.
« Va bene così,
può bastare, va bene così » dissi quasi tra me,
così fitto che non fui sicuro che lei mi avesse sentito.
« Sto bene... »
La sua voce mi arrivò debole e sottile, rotta dal pianto.
« Non devi
rassicurarmi. So che stai male. »
Sollevai lo guardo, ancora
accovacciato, per vederla. Aveva gli occhi rossi e le guance bagnate
di lacrime; ogni tanto qualche singhiozzo le balzava in gola.
« Sei... sei un'idiota
» biascicai. « Una stupida Mezzosangue. »
« E t-tu una lurida
Serpe vi-viziata. »
Nei nostri insulti non c'era
l'energia velenosa di un tempo; a dire il vero, non c'era alcuna
energia e le parole si trascinavano tra loro. Ma insultarci sembrava
sospendere il tempo e riportare un po' tutto alla normalità.
Come se non fossimo quasi diciassettenni, ormai adulti, dentro un
umido sotterraneo ad essere avversari sul serio.
« Ora vado via »
dissi ad un certo punto, alzandomi. « Verrà un elfo a
portarti da mangiare. Fatti imboccare. » Recuperai la bacchetta
e la ficcai in tasca. « Non parlare troppo con lui. Non sa
tenere alcun segreto per sé » Mi passai le mani tra i
capelli, sistemandoli all'indietro. « Non abbassare mai la
guardia e fidati soltanto di me qui dentro. » Erano abbastanza
lunghi da poterli perfino legare. Forse avrei dovuto tagliarli. «
Anzi, non fidarti nemmeno di me. »
Avrei pensato a qualsiasi
stupida cosa pur di non pensare a ciò che le avevo fatto.
***
Erano le nove di sera e
Malfoy Manor era finalmente vuota. Al lungo tavolo della sala da
pranzo sedevamo io e Severus, impegnati a mangiare della carne con
prugne dolci. In realtà, ogni boccone mi sembrava ruvido come
carta vetrata.
« Hai intenzione di
metterci un'altra mezz'ora per mangiare quel pezzo? »
Spostai lo sguardo dalla
punta della forchetta al mio padrino. « Non ho molta fame. »
« Ho notato. »
Si passò il
fazzoletto di stoffa sulla bocca, poi poggiò i gomiti sul
tavolo e si sporse verso di me.
« Ti turba che la
ragazza sia qui? »
Dilatai un po' di più
gli occhi ma cercai di non tradirmi.
« Era a scuola con me.
C'è una bella differenza tra battibeccare tra i corridoi e
vederla morire a casa mia » dissi limpido.
« Certo, certo che c'è
» annuì, bevendo un sorso di vino. « Adesso è
tutto più serio. Sei un uomo, ormai. E hai nuove
responsabilità. »
« Già. »
« Era una strega
davvero brillante, a scuola. Nonostante fosse una Mezzosangue era
molto più talentuosa di molti Purosangue » commentò
quasi fra sé.
« Ma in Pozioni non mi
ha mai battuto » dissi senza pensarci. « Una volta le
misi perfino un ingrediente di troppo nel calderone » sorrisi.
« Dopo la lezione mi fermò, dicendomi che mi aveva visto
farlo, che sapeva che dirlo a te non l'avrebbe aiutata, perciò
se n'era stata zitta. Mi disse che dovevo starmene lontano da lei e
dalle sue cose. Mi minacciò » il riso mi scemò
sulla labbra e queste persero forza, candendo verso il basso. «
Ma io non sono mai riuscito a starle lontano. »
« L'ammiravi. »
« L'ho sempre
ammirata. E prenderla in giro... mi piaceva. »
« Non volevi che
t'ignorasse. Volevi la sua attenzione. »
Lo guardai; lo trovai
compiaciuto eppure serio. « Cosa? »
« Era esattamente
così. Perfino il suo odio era meglio dell'indifferenza. »
« Non capisco a cosa
tu voglia alludere. »
« Io invece penso che
tu lo capisca benissimo. »
Ci guardammo per qualche
istante. La sensazione che Severus Piton sapesse di me più di
quanto io sapessi di me stesso, tornò prepotentemente. I suoi
occhi scuri sembravano praticarmi la legilimanzia pur senza
bacchetta; la sua calma pareva suggerire che davvero non avesse alcun
dubbio su ciò che aveva appena affermato.
« Ti è sempre
piaciuta. Eri attratto da lei, ma non potevi averla. »
« Io, io non so
cosa... »
« Accettare è
il primo passo per ricordare. »
Mi alzai di scatto e lasciai
il tavolo, con una gran voglia di coprirmi le orecchie con le mani e
non sentire più niente.
***
Non sapevo se fosse mattina
o sera; lì nel sotterraneo non filtrava alcuna luce. Mi ero
appena svegliata dopo essere crollata, non sapevo nemmeno quando.
Avevo la bocca impastata e un sapore orribile sotto la lingua, come
se avessi mangiato la muffa che c'era in quelle pareti umide. Tossii.
Erano comunque parecchie
ore, forse un giorno, che Draco non si faceva vedere; avevo consumato
almeno tre pasti e di lui nemmeno l'ombra. Un elfo, prima che mi
addormentassi, aveva allungato la corda che mi teneva legati i polsi
sulla testa; ora avevo più mobilità e potevo perfino
portarmele in grembo e muovermi appena. Non sapevo se l'ordine fosse
partito da Draco – ma probabilmente sì, perché
gli elfi sono, purtroppo, al servizio esclusivo dei maghi e non
agiscono di loro intenzione. Inoltre ero abbastanza sicura che
quell'elfo non mi avesse in alcuna simpatia. Fatto era che ero
perfino riuscita a chiudere occhio e nelle braccia era tornato a
scorrere il sangue.
Ma io volevo vedere Draco.
Vederlo mi tranquillizzava –
e mai avrei pensato di dirlo. Vederlo comparire da quelle scale sulla
destra, vestito di scuro con il suo cipiglio severo, mi faceva stare
bene. Chissà perché non veniva. Era almeno in casa?
Cosa stava facendo? Stavano discutendo? Di me? Qual era il mio
destino? Era davvero capace di farmi uscire da lì dentro?
« Oh, insomma »
dissi a me stessa, cambiando posizione delle gambe. Inutile farsi
troppe domande e rischiare di andare nel panico: dovevo restare
concentrata. Sarei uscita da lì, ad ogni costo.
Dei passi sordi si fecero
sempre più vicini; mi raddrizzai, convinta che stesse per
apparire Draco. Invece ad uscire dalla bocca delle scale fu Piton.
Ci guardammo per un istante
sospeso; sapevo fosse dalla nostra parte ma dopo la scuola non avevo
più avuto modo di vederlo e un naturale sospetto mi frenava.
Era come se Verde Smeraldo e Severus Piton fossero state due persone
diverse nelle mia mente, almeno fino a quel momento.
« Granger. Come stai?
»
Per fortuna fu lui il primo
a parlare. Deglutii. « Credo bene. »
« Non sono riuscito ad
arrivare prima di adesso, ma so che sei in buone mani. »
Aggrottai la fronte. Come
poteva essere sicuro che Draco non mi facesse del male? Non almeno
dopo ciò che Voldemort gli aveva fatto.
« Mi sto occupando
personalmente dei ricordi di Draco » rispose ai miei pensieri,
rapido, quasi guardingo. Mi accorsi solo allora che non era
flemmatico e monocorde come ai tempi di Hogwarts.
« Dei ricordi... di
Draco? »
Lui annuì. «
Gli sto somministrando una pozione molto potente. »
« E' per questo che...
» lasciai in sospeso. Se non fosse stato per Piton,
probabilmente Draco in quello stesso sotterraneo mi avrebbe ucciso.
« Professore. »
Feci una pausa, decidendo di abbassare la voce. « Gli
torneranno davvero tutti i ricordi? »
« Devono. E al più
presto. Dobbiamo farti uscire di qui » parlò rapido,
conciso. « Anche tu devi assolutamente trovare qualsiasi modo
per stimolare la sua memoria. Abbiamo bisogno che Draco torni dalla
nostra parte. Intesi? »
Annuii. Anche lui annuì.
Poi si voltò, senza aggiungere altro, e sparì oltre le
scale. Alzai gli occhi al soffitto e appoggiai la testa contro la
parete. Draco.
Granger. Mezzosangue.
« Mezzosangue. »
Sbattei le palpebre e mi
sollevai appena, specchiandomi negli occhi grigi di Draco Malfoy. La
sua voce mi aveva portato via da un brutto sogno.
« Draco, finalmente
sei qui » biascicai, sorridendo appena. Mi passai il dorso
della mano sull'occhio destro, prendendo un bel respiro. «
Pensavo mi avessi abbandonato qui sotto. »
Lui mi sorrise a sua volta.
Le occhiaie violacee erano sempre ben presenti sulla sua pelle chiara
e da quella distanza potevo perfino vedere le vene verdastre che
sottili si irradiavano sotto la sua pelle. « Avevo pensato di
farlo » disse alla fine.
« E cosa ti ha fatto
tornare? »
Il suo respiro era caldo ma
le sue mani fredde; i suoi polpastrelli erano stati dimenticati sul
mio avambraccio nell'atto di svegliarmi.
« Un sogno. »
Sgranai appena gli occhi. «
Voglio sentirlo. Raccontamelo. »
Draco esitò; poi si
sedette per terra di fronte a me, facendo scorrere via, lentamente,
le dita dalla mia pelle. Perdere il suo contatto mi faceva più
male del crucio.
« Eravamo in un posto
che non conoscevo. Una specie di soffitta. Mi sentivo debole, avevo
perso molto sangue. Stavo morendo, credo. Poi compari tu. La luce
della finestra ti riveste di una luce angelica... e parli, cominci a
scuotermi e ad armeggiare con il mio corpo. Fermi il sangue e ti
strappi la maglia per fasciarmi le ferite. Credo stessi tentando il
suicidio. Mi hai salvato da me stesso. » Fece una pausa,
guardandosi i palmi aperti verso l'alto. « Era solo un stupido
sogn-»
« Era un ricordo »
lo interruppi. « La cosa è successa davvero! Al quartier
generale dell'Ordine della Fenice » precisai.
Mi osservò come se
fossi pazza. « Non tentare di-»
« Ormai lo sai di aver
perso la memoria. Lo so che lo sai » aggiunsi prima che potesse
controbattere. « Non dico che le tue idee non siano ancora
confuse – lo so che è dura, anzi, posso solo
immaginarlo. Avere due ricordi che camminano paralleli, uno falso e
uno vero, deve essere... assurdo da sopportare. »
« Mezzosangue-»
« Ma devi concentrarti
su ciò che è reale! » lo interruppi ancora. «
Io sono reale. Proprio ora, qui davanti a te. »
Tentai di allungare le mani
per toccare le sue ma la corda mi permise solo di sfiorarle con la
punta delle dita.
« Perché
vorresti farmi uscire di qui, altrimenti? Perché avresti
problemi a farmi del male? »
Draco evitò il mio
sguardo. Strinse le sopracciglia chiare verso il centro del naso e
contrasse la mascella, scuotendo impercettibilmente la testa.
« Ho bisogno che tu
ricordi tutto... » non seppi gestire la mia voce, che uscì
rotta dal pianto. Non avrei voluto, ma il mio tono si sporcò
di debolezza. « Ho bisogno che ti ricordi davvero di me. »
Mi guardò, seppur con
la stessa espressione contratta.
« Ho bisogno che ti
ricordi dei miei rossori, della mia voce tremante, della paura che mi
soffocava quando rischiavi la vita. Ho necessità vitale che tu
ricordi quei brevi e intensi istanti che abbiamo condiviso... Non
riesco ad accettare di aver perso il posto che mi ero guadagnata
tanto a fatica nella tua vita. »
Provai di nuovo ad allungare
le mani ma la corda mi ricordò che ero giunta al limite. Mi
morsi il labbro inferiore.
Lo vidi guardare la mia
bocca, infine sporgersi appena verso di me e intercettare la mia
mano, a cui intrecciò la sua.
Mi sfuggì un
singhiozzo e un sorriso. Strinsi quella mano con tutta la forza che
avevo.
« Parlami. Dimmi cosa
stai pensando » lo esortai.
Draco strinse le labbra. «
E' complicato. Le tue parole sono reali, ciò che provo è
reale, ma sembra anche un sogno vivido, di quelli dove sai che stai
sognando. »
« E' questa la realtà,
non quello che ti ha messo in testa Voldemort. »
Lui inclinò appena la
testa a sinistra e mi accorsi troppo tardi che forse avevo detto
qualcosa di troppo.
« Voldemort? »
La mano che stava nella mia
perse forza; cercai di tenermela stretta ma lui si ritrasse.
« Io... me l'hanno
detto all'Ordine... »
« E da chi hanno avuto
certe informazioni? Cose che non sono chiare nemmeno a me? »
La sua voce si era
pericolosamente alterata.
« Non so da chi hanno
avuto l'informazione Draco... ti prego... »
« Tu mi stai
nascondendo qualcosa! » sbottò, alzandosi in piedi e
facendo qualche passo indietro.
« No Draco, ti
prego... Aspetta! » gridai, quando lo vidi imboccare le scale.
Avrei voluto gridargli dell'altro, avrei voluto spiegarmi, ma non
sapevo chi potesse essere in ascolto. Mi lasciai cadere contro il
muro e mi maledissi, rabbiosa dalla sensazione di impotenza che mi
aveva appena assalito.
***
Feci cadere una sedia ma il
tonfo fu attutito dal tappeto persiano. Continuavano a ronzarmi nella
testa le parole della Mezzosangue e non sapevo se erano quelle stesse
parole a proiettare nella mia testa certe immagini oppure se fossero
ricordi reali.
Potevo vedere Voldemort in
piedi davanti a me; potevo vederlo alzare la bacchetta su di me,
pronunciare un oblivion. Poi, come lampi di luce, vidi i miei
genitori cadere sotto un incantesimo dell'Oscuro Signore; e la parola
veritaserum mi rimbombò nel cervello.
« Dannazione! »
esclamai, picchiando il pugno sul legno massello del tavolo.
Lentamente la mia forza si affievolì e le lacrime mi
opacizzarono la vista. Qualche goccia calda cadde sulle mie nocche. «
Dannazione... »
« Draco. »
Mi voltai con gli occhi
lucidi, di scatto, trovando Severus in fondo alla sala.
« Vai via. »
« Cosa succede? »
« Va' via! »
gridai, spingendo l'aria con la mano, come se potessi allontanare
anche lui.
« Sei sotto uno di
quegli attacchi, prendi il ricostituente. »
« Non voglio saperne
più niente di quel maledetto intruglio! » sbottai,
allontanandomi in direzione del camino.
Lo sentii raggiungermi ma
non si avvicinò di molto. Appoggiai i palmi sul davanzale e mi
piegai in avanti.
« Quel maledetto
intruglio ti è necessario. »
« Voldemort ha ucciso
i miei genitori? »
Non udii risposta. Risi tra
me, scuotendo appena la testa. « Vuoi almeno che io-»
« Sì. »
Mi voltai a guardarlo. Due
lettere così chiare e lampanti avevano d'un tratto messo un
punto nel ronzio dei miei pensieri.
« Sì, è
stato lui. »
Mi raddrizzai, stringendo i
denti.
« E perché...
io credo che sia stato Potter? Perché nella mia testa c'è
l'immagine di Potter che colpisce mio padre? » domandai
sfacciato, in una sorta di provocazione.
« Perché
qualcuno ha messo quei ricordi lì. »
Sgranai gli occhi. Contrassi
la mascella, con lo sguardo perso nel vuoto. Le sue parole erano il
collante del puzzle sconnesso della mia memoria.
« Il Signore Oscuro »
dissi.
Annuì solamente.
« Cos'altro? »
« Il ricostituente
serve ad aiutarti a recuperare i ricordi » vomitò d'un
fiato, come se aspettasse da tempo di darmi quell'informazione. «
Perciò non mancare mai di berlo. »
« Mi dovrei fidare? »
feci. « E se fosse tutta una farsa? Ma tu da che parte stai?
Sei una spia dell'Ordine? Stai cercando di drogarmi? »
Severus sorrise appena. «
Sai che non è così. »
Mi passai le mani tra i
capelli, facendo un giro su me stesso, fino a dargli le spalle. «
Come faccio a distinguere la verità dalla menzogna? »
« Fidati di Hermione.
»
Sbattei le palpebre, come
allucinato. Non mi voltai, ma mi portai le mani incrociate sotto il
petto. Poi inclinai appena la testa. « Cosa? »
« Pare che ci tenga
davvero a te. »
Mi voltai rabbioso. «
E tu che cazzo ne sai? »
« So cosa si prova.
Sono stato giovane anch'io. Innamorato e stupido » precisò
con un leggero sorriso. « L'amore resiste bene agli oblivion.
Resta lì, radicato, un filo d'Arianna che riesce a riportarti
fuori dal labirinto in cui rischi di perderti. »
« Da come ne parli
sembri ancora innamorato. »
Lui alzò appena il
mento. « Certo. Lo sarò sempre. »
« E perché non
sei con lei? »
Per la prima volta lo vidi
vacillare; lo vidi esitare, cercare di posare gli occhi altrove,
tremare appena con le labbra. « Non ho saputo proteggerla. Non
fare il mio stesso errore » disse infine.
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Capitolo 15 *** E sentimenti difficili ***
Intro:
sorpresa!
Capitolo un po' cupo ma compenso con l'aggiornamento rapido, vero? Un
abbraccio affettuoso per chi legge e soprattutto per chi trova il
tempo di lasciarmi una recensione.
POLISUCCO
e
sentimenti difficili
Accarezzai
le punte dei fili d'erba appena curvi, facendo scorrere piano i
palmi. L'erba era umida e verde brillante. L'odore dell'aria era
accogliente, quasi invitante: me ne riempii i polmoni.
Mi
sentivo bene. Mi sentivo piena d'energia, piena di idee, piena di
sogni in procinto di avverarsi. Ero felice; distesa sull'erba con la
mia gonna ampia, con i piedi nudi che venivano rinfrescati dalla
brezza; felice, come quei bambini che giocavano poco lontano da me.
Una
figura mi fece ombra, coprendo il sole; ci misi un attimo a metterlo
a fuoco anche se sapevo che era lui. Gli sorrisi. I suoi
capelli biondo burro erano perfino più luminosi della luce. Si
chinò su di me e mi baciò, finendo per sedersi sulle
ginocchia e farsi più vicino. Mi circondò il torace con
le braccia e fece poi sprofondare il viso tra i miei capelli.
Mi
sembrava d'essere in paradiso.
Quando
si allontanò lentamente strinsi di più le mani sulla
sua camicia, per trattenerlo. Lui continuò a spostarsi, voleva
solo guardarmi negli occhi. Restammo così, con le fronti
premute, per qualche secondo.
Sbattei
le palpebre.
L'erba
era sparita. I fiori e la luce erano spariti. Le mie mani stringevano
il vuoto e intorno a me c'era solo grigio e sporco. Mi accorsi anche
di tutti i dolori disseminati sul mio corpo appena tentai di
risollevarmi. Dovevo essermi addormentata, non sapevo quando; ma
l'avevo fatto crollando malamente sul fianco sinistro che ora non
sentivo quasi più. Provai ad aprire e chiudere le mani ma le
dita mi dolevano. Feci roteare appena il collo ma provai solo dolore.
Tentai di chiudere gli occhi per ritornare a quel piacevole e
luminoso sogno ma lo cercai invano; era sparito, sostituito dalla
realtà.
Il
solito piccolo elfo, che veniva a trovarmi due volte al giorno, si
presentò poco dopo con in mano un vassoio.
«
Penso che tu ora ce la fa a mangiare sola » disse atono,
lasciandomi il vassoio a pochi centimetri dai piedi e scomparendo con
una tale velocità da non permettermi di replicare.
Mi
allungai ad afferrare il pane e diedi qualche morso. Presi un bel
respiro e ne diedi un secondo, masticando bene, mentre mi guardavo
intorno cercando di capire da quanto tempo ero lì. Chissà
se Harry e gli altri si erano mobilitati per cercami. Chissà
se parlavano con Piton e stavano organizzando qualcosa per tirarmi
fuori. E Draco... chissà cosa pensava di me, dopo l'ultima
volta che avevamo parlato. Avevo perso la sua fiducia?
***
«
Sei riuscito ad ottenere preziose informazioni, Draco. »
Accennai
un inchino del capo in un ringraziamento solenne. Poi, tornai a
guardare il Signore Oscuro negli occhi in attesa di ulteriori
istruzioni.
«
Ora, ucciderla non servirebbe a niente. Tenerla qui prigioniera ci
tornerà utile in molte occasioni » commentò,
accarezzando Nagini, assorto in chissà quali pensieri.
«
Per il resto, puoi fare di lei ciò che vuoi » aggiunse
poi, « sempre che non ti disgusti toccare una mezzosangue! »
scoppiò a ridere, un riso che gli dilatò occhi e bocca
fino a deformarlo ancora di più.
«
Preferirei tagliarmelo, Signore » sorrisi per stare al gioco e
lui mi batté due volte la mano sulla spalla, come un padre
amorevole.
«
Manderò Severus a tenere la presidenza di Hogwarts »
disse, stringendo le dita sulla mia camicia, avvicinando il viso al
mio. « Tu, invece, resterai al mio fianco. »
«
Mi onorate » mi inchinai appena nuovamente.
«
Tu non deludermi mai e alla fine di questa guerra sarai ricoperto di
ricchezze » pronunciò solenne. I suoi occhi erano venati
di rosso, la pelle come cera e l'odore che usciva dalla sua bocca
ricordava quello di un cadavere.
Mi
svegliai di soprassalto, madido di sudore. Mi guardai intorno, come
se il mio incubo fosse ancora lì. Mi massaggiai il collo e mi
resi conto di essere nel mio letto comodo, le tende appena tirate, un
profumo di pulito a riempire l'aria; e pensai a lei. Il primo
pensiero dopo il risveglio fu per Hermione Granger e l'idea che fosse
da una settimana sotto il mio stesso tetto, anche se in un
sotterraneo umido e sporco. Scostai il lenzuolo dalle gambe e scesi
dal letto.
Mi
infilai sotto la doccia e il mal di testa sembrò attenuarsi
quando l'acqua bollente mi ricoprì completamente e a lungo; mi
asciugai rapido, lasciando i capelli ancora umidi, infilai dei
pantaloni neri e una camicia di lino verde scuro, così scesi
in sala da pranzo.
Feci
colazione completamente solo. La tentazione di andare da lei era
davvero forte ma, dopo l'ultima volta, non riuscivo a farlo.
Controllavo
minuziosamente i vassoi che ogni volta le portava Hunni e mi facevo
riferire ogni volta in che stato l'avesse trovata. Quando i vassoi
tornavano indietro ancora pieni facevo cucinare qualcos'altro, magari
di più buono, sperando che potesse farle venire appetito. Ma
io non volevo vederla; almeno non fin quando non fossi stato sicuro
di poterle dire, veramente, che stavo per farla uscire da lì.
Accettare
di essere stato manipolato da un altro individuo era un passo
difficile da compiere; soprattutto, accettare che l'unico modo di
cominciare a riemergere consisteva nel fidarmi completamente di
Severus. E della Granger. Fidarmi di loro, nonostante la diffidenza e
l'orgoglio graffiassero il mio cervello, avendo inoltre solo stralci
dei vecchi ricordi e avendone altri più forti che mi
ricordavano il mio posto – accettare di camminare in una
semioscurità, guidato solo dalle loro lanterne, era la cosa
più ardua. Ma c'era qualcos'altro di tangibile che mi spingeva
a seguire quelle luci: sentivo in maniera limpida e chiara che
mancava una parte nella mia testa e volevo sapere, volevo
riavere tutto ciò che avevo perso.
Inoltre,
sentivo anche di dover portare a termine un compito; una cosa che, in
qualche modo a me sconosciuto, sentivo venir prima del mio benessere
fisico e mentale: far scappare la Mezzosangue. Ecco perché
stavo aspettando il mio padrino nella biblioteca di Malfoy Manor, un
posto abbastanza decentrato e lontano da orecchie e occhi indiscreti.
Quando
varcò la soglia della sala polverosa, Piton aveva uno sguardo
appena contratto. Dopo le sue ultime parole, qualche giorno prima, se
n'era andato senza aggiungere niente. Le sue parole mi erano ronzate
in testa a lungo, così gli avevo mandato un gufo. Avevo
intenzione di parlarne ancora e in maniera più approfondita e
calma; prima di culminare nella più importante tra le
richieste.
«
Manca poco all'inizio di settembre » gli dissi appena si chiuse
la porta alle spalle. « Verremmo separati. »
«
Sì. Probabilmente per un lungo periodo non potremo vederci »
convenne lui, avanzando fino al tavolo. « E a tal proposito...
no, parlerò in conseguenza di ciò che mi dirai »
si interruppe enigmatico.
Alzai
appena un sopracciglio; mi misi a sedere meglio, indicandogli con il
palmo della mano la sedia libera. Severus accettò di buon
grado di accomodarsi.
«
Voglio parlare dei miei ricordi. Sono pronto a sentire tutto... nei
dettagli » precisai.
Lui distolse lo sguardo, si
portò una mano alla fronte come stanco.
« …e voglio
sapere perché dei miei sentimenti per la Granger sembri
saperne più di me » lo incalzai, senza mezzi termini.
« Ricordi di aver
avuto il compito di uccidere Silente? » Annuii, così
continuò. « Ricordi anche di non averlo fatto? Bene.
Quella notte, non so come e con quali pregressi, ma ti sei unito
all'Ordine della Fenice. »
Fece una pausa sul mio
sguardo allarmato. Il mio silenzio autoimposto dovette indurlo a
continuare.
« Ti sei offerto di
fare la spia: hai fatto credere al Signore Oscuro di esserti
infiltrato nell'Ordine ma in realtà eri dalla loro parte ed
era a loro che passavi le informazioni sui Mangiamorte. »
Si accarezzò la base
del mento, prese un bel respiro.
« Ma non è
durata. Voldemort ha scoperto tutto e ti ha... torturato, incaricando
me – per fortuna – di estrarti ogni informazione
sull'Ordine tramite il veritaserum. Poi, ti ha tolto ogni memoria
legata a loro. Inoltre, ha ucciso i tuoi genitori » aggiunse
con voce appena più bassa. « Poi ti ha collocato nuovi
ricordi e nuovi obiettivi nella testa. »
« Mi ha fatto
diventare la sua arma personale » dissi come sovrappensiero.
Lui annuì. « I
ricordi possiamo recuperarli, anche se la maggior parte dello sforzo
dovrai farlo di tua coscienza. Però la manipolazione sarà
difficile da eliminare... voglio dire, ci vorrà più
tempo. »
« Da quanto tempo sei
nell'Ordine? »
La mia domanda così
diretta sembrò spiazzarlo. Era ovvio – e forse anche
superfluo chiederglielo – eppure forse non si era aspettato la
mia domanda.
« Da molto tempo »
disse lentamente, senza guardarmi. Mi sembrò d'intuire una
nota di malinconia nella sua voce. Poi, cominciò a
tamburellare indice e medio sulla scrivania di legno prima di
riprendere a parlare. « Quanto alla Granger... so quello che mi
ha detto Remus Lupin. »
Stavolta mi guardò,
quasi incuriosito dalle sue stesse parole. « Pare che sia stata
lei a stabilire fino dall'inizio un contatto con te. Ci deve essere
stata una sorta di strana fiducia reciproca o – suppongo –
la voglia da parte sua di aiutarti e credere nelle tue buone
intenzioni. Remus parla di una sincera amicizia e di un rapporto
affezionato; in una lettera mi ha scritto che, quando hanno saputo
della perdita della tua memoria, lei è caduta in uno stato
quasi depressivo. Ho capito che doveva tenerci molto a te, »
fece una pausa, sorridendo appena « ma i sentimenti veri non si
alimentano da soli, quindi ho pensato che anche tu dovessi provarli.
Perciò ti ho spesso stimolato con il suo nome, il suo ricordo.
» Mi guardò, assottigliando appena le palpebre. «
Vedi, ti ho già detto che l'amore resiste bene agli oblivion.
L'amore ha un suo potere innato ma Voldemort ne è
completamente all'oscuro. »
Abbassai lo sguardo sulle
mie mani giunte. « Non so cosa provo per lei » mormorai.
« Ma è stata la prima cosa che ho cominciato a
ricordare. » Alzai la testa e lo guardai dritto negli occhi per
qualche secondo. « Deve andarsene di qui. »
L'espressione di Severus non
mutò ma quando parlò notai l'increspatura della sua
voce.
« Vuoi farla scappare?
»
Esitai, stupito dall'effetto
che quella domanda a voce alta ebbe sui miei ricordi. La vidi di
fronte a me in una biblioteca simile a quella dove mi trovavo.
Eravamo soli. Il suo profumo. Le sue mani intorno al mio
torace. Un abbraccio. Quanto avevo desiderato un contatto del
genere... Eppure, mi ero irrigidito. D'un tratto avevo pensato che
non era così che doveva andare, che non potevo arrogarmi il
diritto di influenzare anche quell'aspetto della sua vita, non avevo
alcun diritto di farla innamorare di me quando non potevo darle
niente. Niente. Sarebbe stata più felice con Lenticchia,
avrebbe avuto una vita tranquilla. Io potevo solo farla soffrire.
Contrassi la fronte e
deglutii. « Non voglio solo. Io devo. Glielo devo. Anche
se questo non ripagherà completamente l'immenso debito che ho
nei suoi confronti. »
« Debito? » mi
fece eco Severus.
Annuii. « Mi ha
restituito la vita e nuove opportunità in più
occasioni. È ora che anch'io faccia la mia parte. »
Non ero sicuro a quali
ricordi attingessero quelle parole ma più le sentivo a voce
alta – e non solo nella mia testa – più ero sicuro
della loro veridicità. C'era sempre un dubbio strisciante e un
laccio terribile che mi tirava indietro, verso ciò che tutti
si aspettavano che io fossi. Ma adesso ne ero, almeno, consapevole. E
quel laccio, pian piano, l'avrei reciso.
***
« È il terzo
vassoio che torna quasi intatto nelle cucine. »
Alzai la testa e mi ritrovai
davanti Draco Malfoy. La camicia verde scuro, arrotolata fino ai
gomiti, lasciava in bella mostra il marchio nero che gli sporcava la
pelle lattea.
Mi misi meglio a sedere,
priva di forza. Vederlo dopo così tante ore – giorni? -
scatenava in me sentimenti contrastanti: ero arrabbiata eppure
contenta. Mi limitai, però, a distogliere lo sguardo,
risentita. « Non consumo alcuna energia perciò non ho
fame. »
« Non mi interessa,
devi mangiare. »
Il suo tono di voce non
ammetteva repliche. Era stato brusco, severo. La cosa mi infastidì,
perché la freddezza e la distanza che imponeva ai nostri
dialoghi mi stavano lentamente consumando.
« Non. Ho. Fame. »
scandii, fissandolo.
Draco si chinò sulle
gambe e poggiò gli avambracci sulle ginocchia. I nostri occhi
erano alla stessa altezza e appena un metro ci distanziava. «
Vuoi lasciarti morire? Non vuoi lasciarlo questo posto? »
« Certo che voglio »
mormorai nervosamente.
« Per una fuga c'è
bisogno di forza » sussurrò a voce ancora più
bassa della mia.
Sbattei le palpebre e
sgranai gli occhi. Non era la prima volta che mi diceva che mi
avrebbe fatto uscire da lì; ma la parola fuga assumeva
tutta un altro spessore.
« Quando? »
chiesi solamente.
« Domani. Se tutto va
come deve » aggiunse, continuando a fissare i suoi occhi di
tempesta nei miei. Questi si spostarono sulle mie manette e poi sulla
corda che mi teneva legata alla parete. « Tra poco tutto questo
finirà. Tornerai dai tuoi amici, dormirai in un letto comodo.
Avrai di nuovo Potter e Lenticchia incollati addosso e tante nobili
missioni da portare a termine. »
Le sue parole si
trascinavano l'un l'altra impastate di amarezza. Non pensai nemmeno a
chiedere i dettagli di quella fuga, quali erano stati gli accordi,
quando e come erano riusciti a mettersi in contatto fra loro. Cercai
solo i suoi occhi ma non mi guardavano più.
« Mi stai dicendo che
non ci rivedremo. »
La mia non era una domanda,
era quasi una certezza. Lui sarebbe dovuto restare al suo posto, al
fianco di Voldemort, seppur avesse recuperato tutti i ricordi –
a maggior ragione – per aiutarci. Ed io al completo servizio e
protezione dell'Ordine della Fenice. Forse, ci sarebbe capitata in
sorte la sfortuna di incontrarci sul campo di battaglia.
« Ne sembri quasi
dispiaciuta » fece lui, sorridendo appena.
« Dovrei esserne
contenta? » domandai con evidente risentimento.
Non mi aspettavo una
risposta in particolare; avrebbe potuto offendere la mia ingenuità,
ridere di me o ignorarmi e andare via. Invece mi porse un'altra
domanda e la sua voce era estremamente seria.
« Cosa provi per me? »
La gola mi si seccò.
Voltai la testa verso un punto imprecisato sperando di camuffare il
mio rossore; lo stomaco mi si attorcigliò e sentii le mani
tremare appena. Deglutii a vuoto.
« Perché vuoi
saperlo? »
« Non rispondere con
un'altra domanda » disse con voce profonda. « Avanti. »
« Non lo so »
esordii, guardando una macchia di muffa nell'angolo tra le pareti. «
E' difficile. »
« Provaci » mi
esortò.
Deglutii nuovamente. Mi
accorsi solo in un secondo momento che avevo cominciato a
stropicciarmi il bordo della maglia.
« Ci tengo molto a te
» dissi. « Sento che tra noi c'è un legame. »
« Guardami. »
Arrossii ancora di più;
avvertii chiaramente la mia pelle in fiamme.
« Hermione. »
Non mi aveva mai chiamato
per nome. Mai. Mi voltai come scottata, puntando nuovamente i miei
occhi nei suoi. Quegli occhi grigio-azzurri, smerigliati come vetro
infranto; la mascella definita e appena contratta, le sopracciglia
basse ed espressive, lo guardo intenso.
« Sei attratta da me?
»
« C-cosa? »
balbettai.
« Quello che provi è
attrazione? »
Capii. Seppur infiammata dal
potere erotico che quel ragazzo riusciva inconsciamente ad esercitare
su di me – che ad essere sinceri, aveva da sempre esercitato su
di me negli anni – capii a cosa volesse alludere. Sorrisi
appena, seppur con lo stomaco ancora in subbuglio.
« Non è solo
una questione di attrazione fisica, Draco » dissi lentamente.
Lo fissai a lungo, sperando che le mie parole lo convincessero e
penetrassero a fondo nei suoi ricordi.
« Mh » fece,
scuotendo appena la testa. « L'attrazione sessuale è
facile da gestire, i sentimenti molto meno. »
« Non c'è
niente da gestire » risposi rapida.
« Certo che c'è.
I sentimenti sono complicati. Vanno tenuti a bada, spesso sotto
controllo. E spesso non ne viene fuori niente di buono. »
« Cosa può
venire di male dall'amore? » Un attimo dopo aver pronunciato
l'ultima parola, sgranai gli occhi e dischiusi la bocca per
correggermi. Ma le parole non riuscivo più a trovarle. Perché
avevo parlato d'amore? Perché lo avevo detto?
« Amore? » alzò
un sopracciglio.
« No io... intendevo
dire, cioè... come sentimento generale tra due persone che...
insomma... » farfugliai, abbassando gradualmente gli occhi e
concentrandomi sulla punta delle sue scarpe di pelle nera.
Draco Malfoy sorrise. Rise
quasi, per qualche secondo. Mi parve l'espressione più bella e
naturale che gli avessi visto fare, persino più bella di
quella che aveva nel suo dormitorio, molti mesi prima, quando lo
avevo incontrato sotto forma di Astoria.
« Sei buffa »
disse infine, scuotendo appena la testa. « E molto dolce. »
Si alzò in piedi e fece un mezzo passo indietro, incrociando
le braccia sotto il petto. « Ma io non posso darti quello che
vuoi. »
La sua voce aveva
gradualmente perso leggerezza fino a diventare più cupa. Mi
guardava, adesso, con le sopracciglia basse sugli occhi e il viso
contratto.
Quanto a me, era come se una
morsa sconosciuta mi avesse artigliato lo stomaco e mi avesse
strappato via le viscere; le sue parole erano state così
semplici eppure così terribili. Poche, semplici parole, mi
avevano fatto ben capire che lui mi considerava una ragazzina buffa
e dolce ma nulla di più; che non provava nemmeno
lontanamente quello che io provavo per lui. Da sporca mezzosangue
l'unica cosa che avevo ottenuto da lui era una vaga amicizia.
Sorrisi amaramente,
distogliendo gli occhi da lui. « Ora lasciami sola, voglio
cercare di dormire. »
Non rialzai lo sguardo ma lo
sentii lentamente andare via senza aggiungere altro e in breve ero da
nuovo da sola con i miei pensieri.
***
Cazzo.
Mi appoggiai con le spalle
al muro delle scale, appena dopo qualche scalino, quando lei non poté
più vedere la mia figura.
Mi portai le mani sul viso e
le passai sopra con nervosismo, finendo nei capelli. Restai a fissare
il vuoto e sentire i suoi respiri lontani. Nel buio di quelle scale
di cemento l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era all'enorme
cazzata che avevo detto. L'avevo ferita e per di più
costringendomi a dire cose prive di senso. Quando aveva confermato il
mio sospetto – che non fosse solo attrazione fisica – ero
andato completamente nel panico. I sentimenti mi spaventavano più
di qualsiasi altra cosa; soprattutto perché, a provarli, ero
anch'io.
Una parte di me avrebbe solo
voluto correre di nuovo in quel sotterraneo, dirle che non era come
sembrava, che di lei m'importava e non poco... che l'amavo. Che
l'amavo? Non sapevo quale fosse la parola più opportuna da
usare, ma sapevo bene cosa provavo: lei era l'unica persona, insieme
a Severus, di cui m'importava. L'unica per cui avrei sacrificato
tutto me stesso e di più; l'unica che riusciva a farmi male e
bene con uno sguardo.
L'unica da cui non avrei mai
voluto separarmi eppure dovevo farlo. Per lei.
|
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Capitolo 16 *** E contatti strappati ***
Intro:
buongiorno
a tutti! Ecco a voi il nuovo capitolo. Sarà un po' pesante ma
ho già pronto il prossimo (avevo scritto una cosa lunghissima
ma ho pensato fosse meglio dividerla in due parti). Perciò al
massimo entro domenica avrete anche il capitolo diciassette (e forse
un po' di gioia xD forse, però u.u)
Vi ringrazio davvero molto per le
recensioni, aspetto i vostri pareri per questo cap! Un abbraccio.
POLISUCCO
e
contatti strappati
Vuoi aiutarmi? Temevo
la sua risposta, temevo un rifiuto. Temevo che dopo tutto ciò
che le avevo detto, tutto ciò che le avevo fatto, ogni barlume
di pietà nei miei confronti fosse svanito. Ero in piedi a
sanguinare e l'unica cosa che non mi faceva cadere sulle ginocchia
era il suo sguardo. Poi, il suo lieve cenno d'assenso e le labbra
tremanti color del tramonto. Allora
portami con te. Le
sue mani tese verso di me: l'invito più dolce della mia breve
vita. Finalmente il suo calore, il suo profumo, il suo abbraccio a
sanare il mio corpo stanco. Avevo chiuso gli occhi. Avrei voluto
perdermi con il naso tra i suoi capelli; da lei mi sarei fatto
portare ovunque e ovunque sarei stato a casa.
Deglutii.
Mi
portai le dita davanti agli occhi quando l'alba
arrivò a bruciare il mio sguardo vuoto. Le pupille si
ridussero fin quasi a scomparire e, mentre lentamente abbassavo la
mano, nei miei occhi restò solo freddo cielo.
Non avevo dormito neanche un
minuto quella notte e la cosa non mi sorprendeva affatto. Ero rimasto
seduto sulla poltrona di velluto a guardare fuori, prima la notte,
poi il giorno. Se mi fossi osservato allo specchio avrei trovato - ne
ero sicuro - le occhiaie quasi nere e l'espressione vacua, di chi sa
che sta per perdere tutto.
Stavo per perderla.
Nella mia perversa arroganza ero stato quasi felice di averla avuta
con me, nonostante lo sfondo in cui si era mosso il tutto. Avevo
avuto la possibilità di averla vicino, in un modo malato, ne
ero consapevole; in un modo che faceva schifo perfino a me stesso. Ma
lei era stata lì con me a ricordarmi chi ero e chi potevo
essere; senza di lei avevo paura di diventare ciò che temevo
di più. Ma dovevo, dovevo lasciarla andare...
« Draco. »
Voltai appena il capo con
ancora la mano sotto il mento. Severus era lì.
« Sì »
annuii, guardando nuovamente oltre la finestra.
Sentii i suoi passi farsi
lontani e sapevo che avrei dovuto seguirlo; mi concessi ancora un
attimo e poi mi alzai.
Il piano che stavamo per
mettere in pratica era fin troppo semplice e sicuro per avere rischi
di fallimento; ma per organizzarlo avevo rischiato più volte
di perdere la mia innata pazienza e di uccidere qualcuno.
Severus era da tempo in
contatto con Lupin per decidere il da farsi ma l'idea risolutiva era
stata concepita da San Potter. La chiave di tutto il nostro piano era
quell'elfo domestico traditore che aveva lasciato i Malfoy anni
prima, liberandosi dallo stato di servitù. Mio padre non aveva
mai dimenticato quell'episodio e l'onta che il suo orgoglio aveva
subito; tornato a casa aveva minacciato di ridurre a brandelli ogni
briciolo di vita di Harry Potter e perfino io ne avevo avuto paura.
Avevamo dodici anni all'epoca e mio padre mi sembrava l'essere più
terribile e pericoloso del mondo.
Ad ogni modo, Dobby si
sarebbe smaterializzato nel sotterraneo e avrebbe portato via
Hermione, perché lui poteva eludere tutte le magie
anti-smaterializzazione che esistevano a Malfoy Manor. Se fossero
venuti dei maghi avremmo dovuto inscenare una battaglia in cui
perdere avrebbe significato cadere sotto la rabbia di Lord Voldemort;
un gesto furtivo e di fatto inosservato come quello di Dobby era
legittimo che potesse sfuggirci.
Non era comunque la rabbia o
la vendetta del Signore Oscuro a spaventarmi; anche se fosse andato
tutto nel peggiore dei modi, l'importante era che Hermione fosse
riuscita a tornare a casa. Del resto, della mia vita non mi era mai
importato così poco come negli ultimi tempi.
Imboccai gli scalini diretti
al sotterraneo con una lentezza esasperante. Quella era,
probabilmente, l'ultima volta che la vedevo. Avevo pensato tante
volte a cosa dirle ma la mia mente era un groviglio di idee da cui
non usciva niente di sensato. Di una cosa ero però certo: non
avrei mostrato alcuna debolezza, perché era meglio per lei
credere che della nostra separazione mi importasse poco o niente.
Strinsi i denti e contrassi le mascelle, fermandomi un attimo prima
dell'ultimo scalino. Presi un lento respiro e avanzai.
***
« Sei riuscita a
dormire un po'?»
Alzai lo sguardo nella sua
direzione, sollevandomi da terra. Scossi appena la testa. « Non
molto. E tu? »
« Sì,
abbastanza bene. Ho il sonno pesante » aggiunse affrettato.
Sorrisi appena. «
Beato te, allora. » Mi sedetti del tutto e mossi appena i polsi
indolenziti, facendo una smorfia di dolore.
« Tra mezz'ora al
massimo Dobby sarà qui, quelle possiamo anche toglierle »
fece Draco, avanzando verso di me.
« Dobby? » gli
feci eco.
« Già »
annuì, abbassandosi sulle gambe davanti a me. In un attimo era
davvero vicino, così vicino che avrei potuto allungarmi e... «
Verrà lui. Può smaterializzarsi senza problemi qui
dentro e portarti via, perciò è la soluzione più
sicura. »
Le sue dita fredde passarono
intorno agli anelli delle manette e infilò nella serratura una
piccola chiave affusolata. Il suo profumo d'ambra era penetrante e
inebriante come quella volta nella biblioteca di Casa Black; i suoi
occhi non ricambiavano il mio sguardo così mi sentii quasi
autorizzata a sporgermi per sfiorargli la fronte con le labbra.
Desideravo da tempo baciarlo e in quel momento mi sarebbe bastato
anche un bacio lieve e innocente; l'idea di poterlo toccare mosse il
mio corpo e rallentò la mia ragione. Perché era lì,
ad un soffio da me. Ad arrivare prima fu il mio naso e Draco alzò
di scatto la testa, sfiorandolo con il suo; il suo respiro s'infranse
sulla mia bocca e i suoi occhi scorsero furiosi nei miei. Quanto
mancava? Un centimetro? Forse meno, per un bacio? Lo stomaco mi si
svuotò e un brivido attraversò il mio corpo.
Draco si allontanò,
alzandosi completamente. « Fatto, ora sei libera. » Lo
disse senza guardarmi, passandosi appena una mano sul viso.
« Grazie »
sussurrai, aprendo e chiudendo i pugni e provando a mettermi in
piedi. Lo feci sorreggendomi al muro alle mie spalle e per un attimo
ebbi un giramento di testa.
Quando lo guardai, aveva le
braccia lungo il corpo e stava proteso verso di me; mi parve la
posizione di uno pronto ad aiutare qualora fosse stato necessario.
« È una
settimana che non cammino » dissi flebilmente ma sorridendo,
così feci qualche passo incerto e lentamente provai a
raggiungerlo.
Draco allungò le
braccia verso di me. « Sei stai per cadere, afferrami. »
« Non ce n'è
bisogno » sorrisi, superandolo e andando verso il fondo del
sotterraneo. Poi mi appoggiai ad una colonna e rifeci il tragitto al
contrario.
« Va già meglio
» dissi, abbandonando la schiena contro il muro. Mi sembrava di
aver corso una maratona.
« Sei forte. Ti
riprenderai in un attimo » mi disse.
« Che farai adesso? »
domandai senza ascoltarlo. « Da adesso in poi, quali sono i
tuoi compiti? Mi devo aspettare d'incontrarti sul campo di battaglia?
» dissi infine con un tono più fievole.
Draco sorrise appena,
abbassando lo sguardo. « Troppe domande, come tuo solito. »
« Scegline una e
rispondi. »
« No, non mi
incontrerai con la bacchetta sguainata. Forse non mi vedrai più.
»
Sorrisi. Un sorriso quasi
isterico, tirato dal nervosismo. « Più è
un tempo così lungo. »
« Magari significa
solo che morirò abbastanza presto e- »
« Non dirlo » lo
interruppi, « non così facilmente, non con questa
leggerezza. » Mi staccai appena dal muro. « Tu non
morirai. »
« Tutti moriamo, prima
o poi. »
« Non morirai adesso.
Non morirai giovane. »
« Ho scelto una strada
che non può portarmi a niente di buono. »
« No, tu avevi scelto
la strada giusta! Vieni con me... »
Draco strinse le
sopracciglia e assunse un'espressione contratta. « Non posso.»
« Perché? Non
c'è niente qui per te! »
« Se posso davvero
fare qualcosa della mia inutile vita è cercare di dedicarla
alla giusta causa. »
Inclinai appena la testa,
cercando di capire dove volesse arrivare. « Cosa-»
« Dall'interno posso
aiutarvi, posso essere un'ottima spia dal fianco di Voldemort. »
Sgranai gli occhi. Era
arrivato a quel punto dei suoi ricordi? Aveva deciso di fidarsi di
me, di combattere la sua ragione e la sua falsa memoria?
« Tu, quindi... »
« Ho ricordato tutto.
O quasi. Il problema non sono nemmeno i ricordi, è combattere
contro ciò che dovrei fare e ciò che voglio fare
veramente. È come se... » fece una pausa, si passò
una mano tra i capelli e sollevò gli occhi al soffitto,
scoprendo il collo latteo e il pomo d'Adamo. « È come se
avessi due anime in un solo corpo che lottano continuamente. »
« Però adesso
ne sei consapevole. Puoi farcela, Draco. Io sono qui-»
« No. » Mi
freddò. La sua voce uscì in maniera completamente
diversa da prima, gelida come i suoi occhi. « No, tu devi
prendere la tua strada e dimenticarti della mia esistenza. Mi hai
aiutato abbastanza, non sono un tuo problema né devo
diventarlo. »
« No-non si tratta di
essere un problema » biascicai, ferita.
« Sì, tu hai
sempre voluto aggiustarmi. Si tratta solo di questo. »
« Non si tratta di
questo » ripetei, seria.
« Hai provato pietà
per me e mi hai offerto il tuo aiuto. Lo so e ti ringrazio di averlo
fatto. Ne ho avuto bisogno, ma ora basta. Va bene così »
sorrise infine. Un sorriso privo di alcuna emozione.
« Forse è anche
cominciata così ma poi-»
« Poi cosa? »
ruggì quasi.
« Poi è
cambiato tutto! » esclamai, sporgendomi in avanti.
« Non è
cambiato niente. Siamo sempre Draco Malfoy, la serpe viziata e
presuntuosa ed Hermione Granger, l'impertinente so-tutto-io! »
si sporse anche lui.
« No, ti sbagli! Ora
siamo io e te. Io e te » ripetei, abbassando la voce. Lo
sguardo di Draco si liquefece e lo vidi prendere un respiro, senza
riuscire a continuare.
Un'apparizione improvvisa ci
fece girare. Dobby era a pochi passi da noi e alle sue spalle c'erano
anche Harry e Ron. Sgranai gli occhi quando il mio migliore amico mi
corse incontro e mi catturò in un abbraccio spezzafiato. Ron
abbracciò poi entrambi e in un attimo fui sommersa dalle loro
attenzioni.
« Siamo qui! È
tutto ok, siamo qui! Adesso andiamo via! » continuava a
ripetere Harry, commosso.
« Ragazzi... mi
soffocate » biascicai sorridendo ma non mi lasciarono. Dopo una
manciata di secondi fu la voce di Draco a tirarmi fuori da lì.
« Dovete andare, i
convenevoli lasciateveli per dopo. » La sua voce era bassa e
roca, lontana eppure così vicina.
Harry e Ron si scostarono da
me e così mi si riaprì la vista; Draco era qualche
passo più avanti, il volto indurito dalla severità
delle sue parole.
Mi feci largo tra i due per
raggiungerlo; camminai sicura eppure lenta. Draco non distolse gli
occhi da me nemmeno un istante, nemmeno quando gli poggiai le mani
sui gomiti.
« Non voglio lasciarti
» mormorai. Nel mio lento incedere verso di lui avevo pensato
contemporaneamente ad un milione di frasi ma nessuna era riuscita a
lasciare le mie labbra se non quella stupida sentimentale ammissione
di debolezza.
« Devi farlo. »
Era dolce come non mi sarei aspettata. Mi sorrise appena e fece
salire le sue mani sulle mie braccia. « Devi andare. » Le
sue falangi sembravano trattenermi e spingermi via al tempo stesso.
« Vieni con me »
sussurrai, anche se sapevo perfettamente che la mia frase non aveva
alcun senso. Non poteva lasciare la sua posizione, per tutti noi era
molto più utile averlo all'interno. Era una guerra e non erano
certo in conto i miei desideri o le mie emozioni.
« Non posso. »
« Ci rivedremo? »
« Non lo so. »
« Mi mancherai. Mi
manchi già. » Ormai il mio cuore aveva sopraffatto il
cervello e non avevo alcun controllo sulle parole; l'unica cosa che
mi riempiva i pensieri era che l'avrei perso per sempre. Di nuovo.
« Tornerai alla tua
vita, starai bene. » La sua voce mi parve incrinata ma non ero
abbastanza lucida per capirlo davvero.
« Senza di te non
starò mai bene. »
« Dici così
adesso. Il tempo passa e guarisce tutte le ferite. »
« Tu non sei una
ferita. »
Mi sollevai sulle punte
diretta alle sue labbra; i nostri nasi si sfiorarono ma Draco poggiò
due dita sulla mia bocca. I suoi polpastrelli sapevano di sapone ed
erano freddi come il ghiaccio. Eravamo così vicini che potevo
guardare dentro il suo corpo attraverso quelle iridi così
trasparenti, che facevano brillare come ematite le pupille dilatate.
« No, non farlo »
sussurrò. La sua mascella era contratta e le sopracciglia
basse sulle palpebre. Sollevò di scatto la testa e guardò
oltre la mia spalla. « Potter, portala via. Mettila in salvo.
Rapido. »
Si allontanò da me e
io allungai le braccia per non lasciarlo. Sentii un movimento alle
mie spalle e qualcuno mi tirò indietro; le mie dita
scivolarono via dal corpo di Draco ma io non volevo staccare gli
occhi da lui.
« No, Harry! »
mi dimenai. Draco era a qualche passo di me, sempre più
lontano, sempre più irraggiungibile.
Intorno a me apparve Ron,
poi Dobby ma io non riuscii a seguire i movimenti di nessuno se non i
suoi.
L'ultima immagine che ebbi
fu l'espressione contratta sul viso di Draco. Poi, un turbine mi
offuscò la vista e un attimo dopo guardavo il camino spento di
Casa Black.
Mi voltai con risentimento a
guardare Harry e Ron e nello spostamento d'aria avvertii tagliente
l'umido dei miei occhi.
« Perché? »
mi voltai rabbiosa, trovando Harry. « Perché mi avete
trascinato via? »
« Hermione... »
fece lui dolcemente.
« Non ne avevate
diritto, non stava a voi decidere quando! » esclamai,
stringendo i pugni.
« Era evidente che lui
voleva che te ne andavi » parlò Ron, lapidario. Spostai
l'attenzione su di lui, fermo impalato nella sua postura goffa. «
Il bacio che hai provato a dargli... non l'ha voluto. »
Sbattei le palpebre e aprii
lentamente i pugni. Le dita ricaddero, deboli.
« Dovrebbe essere
abbastanza da capire, Hermione » continuò con
un'espressione quasi di sufficienza. E nelle sue parole c'era veleno.
Puro risentimento, pura vendetta. Pareva quasi soddisfatto di quella
situazione, quasi contento che io me ne stessi in silenzio a venir
ferita dalle sue parole.
Misi un piede dopo l'altro e
con la poca forza che mi rimaneva gli tirai uno schiaffo sulla
guancia.
Non fece in tempo ad
evitarlo quindi si portò una mano sul punto in cui l'avevo
colpito, con espressione incredula. Lo guardai per qualche secondo,
poi me ne andai, diretta al piano superiore. Puntai al bagno, dove mi
chiusi, per poter stare da sola. Mi accovacciai per terra, cullandomi
appena, tenendo gli occhi fissi nel vuoto.
Le parole di Ron non mi
erano mai sembrate così veritiere. In tanti anni che lo
conoscevo era stato capace di dire tante cose insensate e usando così
tante lettere, eppure quella volta aveva detto qualcosa di molto
conciso e molto realistico. Aveva ragione, lui che vedeva la cosa
dall'esterno; aveva ragione lui che non era coinvolto, annebbiato dai
sentimenti unilaterali che mi stavano divorando. Ero sempre stata
così posata, razionale, intuitiva, consapevole; ora, l'idea
che avessi una percezione alterata e che facessi la figura della
stupida mi fece rabbia. Ma ammettere che Draco non provasse niente
per me, anzi, che fossi per lui solo un fastidio di cui liberarsi in
fretta, mi feriva come poche cose avevano fatto nella vita. Possibile
che per lui non fossi niente e che mai lo ero stata? Possibile che
quelle volte che eravamo stati insieme, quel coinvolgimento emotivo
c'era stato solo da parte mia?
Era chiaro, non era tutto
falso. Ma lui non mi voleva nello stesso modo in cui lo volevo io. Io
ne ero innamorata, Draco per me provava riconoscenza.
Esattamente, la riconoscenza aveva mosso le azioni di Draco Malfoy;
il nastro, il suo preoccuparsi per me, il volermi mettere in salvo...
tutto era coerente con il suo desiderio di sdebitarsi. Da parte sua
non c'era alcun desiderio, nemmeno sessuale, nei miei confronti; non
c'era mai stato.
E io dovevo accettarlo.
Dovevo. Assolutamente.
***
Caddi sulle ginocchia, privo
di forza. Reclinai la testa all'indietro, come in una muta preghiera
rivolta al cielo. Ti prego, fa che stia bene. Ben presto la
vista mi si appannò dalle lacrime e digrignai i denti. Non
riuscivo a dirlo. Non riuscivo a pregare affinché si
dimenticasse di me. Non riuscivo a pensarlo, figurarsi a dirlo;
doveva, doveva assolutamente innamorarsi di Lenticchia e farsi la sua
vita ma la sola idea mi faceva attorcigliare lo stomaco. Mi veniva la
nausea e provavo una rabbia indicibile.
Ma d'altronde non potevo
darle niente. Non potevo darle nessuna vita degna di lei: se avesse
vinto Voldemort, lei sarebbe stata perseguitata anche qualora io
avessi deciso di sposarla. Se avesse vinto l'Ordine, io sarei stato
un reietto con cui nessuno avrebbe voluto avere niente a che fare,
sempre se non fossi finito ad Azkaban. In effetti la mia vita era
durata anche troppo. Sarebbe dovuta finire in quella torre, dopo il
rifiuto di uccidere Silente; o magari prima ancora. Hermione mi aveva
dato un nuova possibilità di vita e aveva visto in me cose che
nemmeno io avevo mai visto in me stesso; potevo compiere ora le
scelte giuste e morire, forse in battaglia, con il sorriso sulle
labbra, sapendo di aver difeso le cose a cui lei teneva di più.
Mi passai il dorso delle
mani sugli occhi e mi sollevai, osservando il punto in cui era
rimasta legata per una settimana. La corda, le manette aperte e
niente più. Niente era rimasto di lei.
Dovevo andare avanti. Dovevo
riprendermi in fretta e non mostrare segni di debolezza che potessero
insospettire l'Oscuro Signore. Dovevo farlo, anche per lei.
Pochi istanti dopo, io e
Severus Piton eravamo seduti nel salone principale di Malfoy Manor ad
attendere l'arrivo di Voldemort. Avevo comunicato io stesso che la
Mezzosangue era stata portata via da un elfo domestico libero.
Tra noi c'era solo silenzio
e contemplazione; attesa, bruciante, di cosa sarebbe accaduto. Da
parte mia continuavo a pensare solo a lei; a quanto l'avevo ferita e
se fosse davvero giusto farle provare un dolore adesso per evitarle
un dolore futuro. Razionalmente, sì. Egoisticamente, no. La
volevo. La volevo con tutto me stesso. Volevo toccarla, abbracciarla,
baciarla, addormentarmi con lei. Volevo poter vivere con lei tutti i
giorni della mia vita. Volevo che mi guardasse sempre con gli stessi
occhi dolci e innamorati, fieri di me nonostante fossi solo un
vigliacco.
Riconobbi lo strusciare
della veste di Lord Voldemort, poi il sibilo del serpente. Lui fece
il suo ingresso dalla porta a sinistra ed entrambi ci alzammo in
piedi. Accennai un inchino del capo e rimasi con gli occhi bassi
anche quando mi parlò.
« Com'è potuto
succedere, Draco? » il mio nome pronunciato da lui aveva sempre
una sfumatura orribile.
« Mio Signore, io ho
sentito dei rumori dal sotterraneo e, nemmeno il tempo di scendere,
ho visto sparire davanti ai miei occhi la Mezzosangue con l'elfo
Dobby, quel traditore che si liberò dalla nostra famiglia anni
fa, per colpa di Harry Potter. »
Parlai senza esitazione e
con la punta di disgusto che aveva caratterizzato i miei discorsi
negli anni scolastici. Le dita del mio Signore mi toccarono il mento;
erano gelide quanto quelle di un cadavere. Fecero una leggera
pressione per portare i miei occhi nei suoi. Restai impassibile,
nonostante la sua vicinanza mi desse da sempre i brividi.
« Quindi, l'elfo
sapeva dove trovarla. »
« Crediamo che ci sia
una spia tra i Mangiamorte » intervenne Severus.
« Ed io penso di
sapere chi sia » dissi.
Voldemort mi fissò,
assottigliando lo sguardo. « Continua. »
Sapevo – e speravo –
di avere la sua più completa fiducia. D'altronde lui era così:
quando credeva di avere il pieno controllo su una cosa – su una
persona – non accettava, nemmeno come dubbio, che questa
potesse raggirarlo. Era stato così con Severus e lo era
tutt'ora; e lo era con me, di fatto una sua creazione.
« Credo sia una
vendetta nei miei confronti, più che nei vostri. Quando ho
ucciso Anson Brown ho terrorizzato alcuni e fatto arrabbiare altri. »
« Hai un nome? »
« Due. Alecto Carrow e
Walden Macnair. » Non m'importava di nessuno di loro. Erano
tutti sacrificabili per quanto mi riguardava.
Il Signore Oscuro annuì,
con un sorriso distorto sul volto da teschio.
« Pagheranno con tutte
le gocce di sangue del loro inutile corpo » sibilò.
« Quindi le pergamene
che prendi a Casa Riddle sono contraffatte? »
Severus annuì.
Eravamo rimasti in quello stesso salone, quando il Signore Oscuro se
n'era andato. Mi ero lasciato ricadere sulla poltrona, stanco e
provato come se avessi affrontato una battaglia. Era stato un giorno
lunghissimo.
« Faccio credere che
esista una spia nell'Ordine, con cui comunico. In realtà le
scriviamo io e Lupin per far avere informazioni al Signore Oscuro,
più o meno veritiere. »
« Passate anche delle
informazioni corrette? » mi sorpresi.
« Certo. Non possiamo
passare solo informazioni false, altrimenti si insospettirebbe
troppo. Però, gestendo noi la cosa, limitiamo al minimo i
danni. Quando sarò ad Hogwarts ti metterai in contatto tu con
Lupin e farai questa cosa. »
Annuii, guardando un punto
imprecisato del lume di cristallo del tavolino basso. Erano passate
alcune ore da quando Hermione se n'era andata ma mi sembravano mille
di più. Eppure, sentivo ancora il suo calore sotto le mie
dita, il suo profumo nelle narici.
« Quello sguardo. »
Corrucciai la fronte e mi
voltai a guardare il mio padrino. « Cosa? »
« So che pensi a lei »
disse. « Hai il mio stesso sguardo. »
Sorrisi, scuotendo la testa.
« Non è come credi. So bene qual è il mio
posto... e qual è il suo. E che questi non devono essere
confusi. »
« La pensavo anch'io
come te. »
Alzai le sopracciglia. «
Parli al passato? »
Severus annuì. «
Sono rimasto lontano da lei, speravo riuscisse ad avere la vita che
sperava, che meritava, senza di me. Ma alla fine è stata
uccisa comunque... tornassi indietro, lotterei per lei. Rimarrei al
suo fianco. Sarei più egoista » sorrise infine
amaramente.
Lo guardai a lungo. Poi
strinsi le labbra. « Non lo so » mormorai, mentre le sue
parole scivolavano serpentine tra i miei pensieri.
« Draco, siamo in
guerra. E non c'è un posto sicuro dove nessuno la ferirà.
Dato ciò, non privarti dell'unica fortuna... l'unica cosa
bella che ti è capitato di trovare nella vita. »
Sapevo che stava parlando di
sé stesso. Nonostante ciò, le sue parole si cucivano
perfettamente su di me e avevano la profondità e la verità
della saggezza. Come ignorarle? Metterle in pratica restava, però,
enormemente difficile.
« Sarà
difficile, a volte impossibile mantenere vivo il legame. Vederla. Ma
non rinunciare in partenza » mi incalzò.
Fissavo l'angolo del tappeto
persiano, i disegni fittamente intrecciati che lo decoravano e che si
perdevano per tutta la sua estensione. La stessa fitta trama
aggrovigliava, in quel momento, i miei pensieri.
« Ho paura di farla
soffrire. »
« Se ti ama, sta già
soffrendo. »
« Ho paura di
coinvolgerla in situazioni pericolose. »
« È già
coinvolta, fino alla punta dei capelli » sentì la sua
voce sorridere.
« E poi i suoi
sentimenti sono così... belli. Non so se riuscirei a gestirli.
»
« Draco. » Mi
voltai a guardarlo. « Non c'è bisogno di prevedere tutto
quello che succederà. Di pianificare, a tavolino, per evitare
ogni minimo errore. Gli errori, i passi falsi e le cadute ci saranno.
Ma sarete insieme ad affrontarle. Non farti carico della scelta che
spetta anche a lei. »
Mi voltai a guardare il
fondo buio della stanza, cercando di lottare contro il mio istinto di
alzarmi e andare da lei.
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Capitolo 17 *** E istinti incontrollabili ***
Intro:
Eccomi
di nuovo! Sono stata brava, vero? u.u Vi regalo anche un piccola
piccola gif che ho realizzato (sto imparando e la qualità del
film faceva schifo xD) immaginando che, nel film, Hermione avesse
detto cose che rimandavano a Draco mentre respirava l'amortentia... e
che lui se ne accorgeva xD
Vi abbraccio e ringrazio
tanto tanto chi trova il tempo di recensire! A presto.
ps.
il capitolo finisce in sospeso: lo so di essere sadica ma m'impegno
ad aggiornare quanto prima u.u
POLISUCCO
e
istinti incontrollabili
Erano le quattro di notte e
fissavo il soffitto della mia camera da letto. La luce della luna
filtrava tra gli spiragli delle tende e io me ne stavo nudo a cercare
di zittire il cervello.
Tra qualche ora avrei dovuto
essere dall'altra parte dell'Inghilterra: dovevo incontrare un
vampiro che stava a capo di una cospicua cerchia di suoi simili.
L'obiettivo era quello di convertirlo alla causa del Signore Oscuro,
anche se il punto era solo trovare qualcosa che desiderasse in cambio
del suo supporto.
Da lì a poche ore mi
aspettava un duro e diplomatico incontro, in cui avrei avuto bisogno
di tutta la mia lucidità. Ma da cosa dipendeva la mia
lucidità, la mia calma e il mio raziocinio? Era inutile che
continuavo a mentire a me stesso.
Volerla proteggere era
sempre la mia priorità ma la vocina egoista che lampeggiava
nel mio cervello continuava a suggerirmi che senza di lei non sarei
stato in grado di affrontare niente. Che se l'ultima immagine di
Hermione era quella di lei che mi veniva strappata dalle dita, con
gli occhi rossi e spalancati, io non ero in grado di andare avanti.
Non ero così forte, non lo ero mai stato. Ero egoista,
bastardo e vigliacco; avevo sempre pensato solo a me stesso e
probabilmente avrei continuato a farlo. E pensare a me stesso
significava vederla, vedere il suo sorriso, sentire i suoi
incoraggiamenti, prendere un po' della sua forza.
Da solo non valevo niente.
Era sempre stato così.
La finestra della camera di
Hermione, che condivideva con quei due, era buia. Come del resto
tutta la palazzina e l'intera strada, immersa nel silenzio e
nell'umidità degli ultimi momenti della notte.
Mi passai i palmi delle mani
sui pantaloni neri e le nascosi nuovamente sotto i lembi del
mantello. Tenni il viso sollevato verso quel vetro, chiarendo a me
stesso che se non l'avessi vista apparire nel giro di dieci secondi
avrei fatto marcia indietro. Era un gioco perverso; a poche ore dalla
sua liberazione, alle quattro e mezza di notte, non avrebbe mai
potuto essere sveglia. Era sicuramente crollata – e sperai
davvero che stesse dormendo, cercando di recuperare tutte le forze
che aveva perso anche per colpa mia.
Uno, due.
Strinsi e aprii i pugni, un
paio di volte. Avrei potuto chiamarla, lanciare un sassolino alla
finestra cercando di attirare la sua attenzione. Ero venuto per
vederla, cosa diavolo stavo facendo lì impalato?
Tre, quattro. Cinque.
La verità era che una
parte di me sperava che non mi vedesse. Così sarei tornato a
casa, avrei recuperato i lumi della ragione e avrei continuato il mio
percorso di scelte sensate – per così dire.
Sei.
Ma lei doveva
vedermi. Io avevo bisogno che lei sentisse che ero lì.
Sette, otto.
L'idea di saperla ferita
dalle mie ultime parole non mi pareva più una buona idea.
L'idea di sapere che magari stava piangendo, mettendo in dubbio tutto
ciò che pensava di aver visto tra noi, mi indeboliva. Ma
cos'era meglio? Un dolore adesso o un dolore futuro, quello che
sentivo le avrei dato?
Nove.
Ma sì, era la cosa
giusta. Lei doveva dimenticarsi di me, doveva mettere in dubbio fino
ad accantonare i sentimenti che provava.
Dieci.
Tirai il labbro destro in
quello che aveva solo l'ombra di un sorriso. Chinai la testa fino a
guardarmi le punte dei piedi. Ora, un passo dopo l'altro, me ne sarei
andato via.
Mi voltai di scatto,
cercando di forzarmi con una risolutezza che in quel momento non
avevo. Mi portai il mantello sulla spalla sinistra e infilai le mani
in tasca; affrettai il passo, verso la fine del marciapiede.
« Draco! »
Mi fermai. Sollevai lo
sguardo davanti a me e restai irrigidito al suono di quella voce.
« Draco. »
Dei tonfi ovattati si fecero
sempre più vicini e io lentamente mi girai, vedendola.
Era in piedi davanti a me,
scalza, con una vestaglia lilla a bretelline, i capelli arruffati e
le guance arrossate.
« Torna dentro »
sussurrai, senza sapere nemmeno io cosa stessi dicendo.
« Perché sei
qui? » La sua voce era appena udibile. Gli occhi rossi e lucidi
mi fecero vacillare.
« Non lo so »
dissi. « Ero nel mio letto a pensare... oggi devo vedere quel
tipo e non riesco, non so come farcela » blaterai, poi scossi
la testa. La guardai. « Non so cosa mi sia preso. Torna dentro
» ripetei, facendo un passo indietro.
Hermione si mosse verso di
me.
« No, aspetta »
fece con voce incrinata.
Le sorrisi. Fu inevitabile
sorriderle. « Ero così sicuro qualche ora fa. Scusami se
ho ceduto. »
« Sicuro di cosa? »
la sua espressione era chiaramente confusa.
« Mi ero ripromesso di
starti lontano. Io... non posso darti quello che meriti »
dissi, facendo scorrere i miei occhi in quelli di lei. Erano come due
pietre rare, lucide e preziose. « L'unica cosa che posso
davvero fare è proteggerti... anche da me. »
« Mi stai dicendo che
mi hai respinto perché volevi il mio bene? Ma che razza di
decisione insensata è mai questa? »
Il tono che mi aveva rivolto
era sporco di frustrazione; ma come darle torto? Fino a qualche ora
prima l'avevo trattata con sufficienza e freddezza.
« Prima mi mandi via,
poi ti presenti sotto la mia finestra. Io non ci sto capendo più
niente » mormorò.
Mossi un passo verso di lei
ma il suo sguardo ferito mi bloccò.
« No, non avvicinarti.
Non farlo se pensi di andartene di nuovo » disse, raccogliendo
visibilmente tutte le forze che aveva.
« Io non vorrei mai
separarmi da te. »
I suoi occhi erano lucidi e
sgranati.
« E allora... perché?
» sussurrò quasi.
« Perché è
così che deve andare. »
« Siamo solo noi a
decidere come deve andare! » esplose Hermione, stringendo i
pugni.
« Non è così
semplice, non lo è mai stato tra me e te » dissi con
voce pacata.
« Facciamo in modo che
lo diventi! Cosa serve se non il volerlo entrambi? Il resto verrà
da sé » mosse un passo verso di me, gli occhi si
addolcirono.
Mi spostai appena indietro;
avevo il terrore che, avvicinandosi troppo, il suo profumo mi avrebbe
tolto ogni briciolo di controllo che mi restava.
« Sarebbe una scelta
del tutto egoista. Ti succhierei via tutto ciò che hai di
bello, ti userei per stare bene e tirare avanti. Tu verresti
consumata dalla mia vita e ti ferirei in modi che nemmeno immagini. »
« So che la tua vita è
al limite tra il bene e il male. So cosa ti aspetta, so cosa mi
aspetta. Lo so da tempo, eppure la cosa che continuo a vedere davanti
a me sei sempre tu. Draco. » Fece un altro passo, poi un altro
ancora. Ero pietrificato dal suo sguardo, non riuscivo a muovere i
miei piedi per andare via da lì. « Vedo il ragazzo che
sei e che cerchi di essere, combattendo contro ciò che ti è
sempre stato imposto. Non m'importa di altro perché so chi ho
davanti. »
Contrassi i muscoli del viso
per frenare le parole che in quel momento avrei voluto dire. Ero
stanco, provato, debole psicologicamente; volevo solo abbracciarla e
riprendere a respirare. Abbandonare tutti i pensieri e le
preoccupazioni tra le sue gambe.
« Ti prego, basta
così. »
Non erano le parole che
avrei voluto dire. Non era quello che pensavo avrei detto quando
avevo deciso di lasciare il mio letto e smaterializzarmi a Grimmauld
place.
« Draco... »
« Non ce la faccio. »
Mi portai le mani dietro la nuca e abbassai appena la testa,
guardandola da sotto le sopracciglia. « Tu non immagini nemmeno
lontanamente l'effetto che mi fai. »
Hermione sbatté le
palpebre e le mie parole restarono nell'aria che ci separava.
« No, non lo immagino
» disse infine fievole.
« Quando hai provato a
baciarmi ho avuto un paura terribile. »
I suoi occhi si strinsero e
cercarono una risposta tra i miei.
« Ho paura che, se ti
baciassi, finirei per divorarti. »
Le labbra di Hermione si
dischiusero e presero ossigeno.
« Per te provo un
amore folle e malsano, una cosa che non ho mai provato prima. »
« Draco... »
« Ho paura di perdere
completamente il controllo quando sono con te. » La guardai a
lungo, cercando di restare fermo immobile al mio posto. « E se
tu non mi aiuti a starti lontano... io non credo di farcela ancora a
lungo. »
La vidi tremare. Un visibile
brivido le scese dalla gola fino alla punta dei piedi; ma non era per
il fresco della sera, lo sapevo bene. Era la stessa sensazione che
provavo anch'io. Non lo avevo mai ammesso nemmeno tra i miei
pensieri, ma c'era sempre stata tra noi una tensione sessuale
fortissima.
Quando fece un passo verso
di me, allungando appena una mano, la fermai. « No. »
Puntai i miei occhi nei suoi
e senza darmi tempo di ribellarmi a me stesso, mi smaterializzai via
da lei.
***
Mi chiusi la porta alle
spalle cercando di fare meno rumore possibile. Camminai sulla punta
dei piedi, puntando l'inizio delle scale. Passai davanti alla porta
della cucina e stavo per salire sul primo gradino quando Harry mi
vide.
Uscì dalla stanza con
un bicchiere d'acqua in mano e mi rivolse un'espressione confusa.
« Da dove stai
venendo? » domandò con voce impastata dal sonno.
« Ero andata in bagno
» dissi senza aver tempo di pensarci.
« Il bagno è
affianco alla camera da letto » alzò un sopracciglio.
« Sì, beh,
volevo fare due passi. »
« Hermione, ho sentito
chiudersi la porta d'ingresso. »
Mi morsi il labbro inferiore
e scesi dal gradino, appoggiandomi con la schiena al muro dietro di
me.
« Volevo prendere un
po' d'aria. »
« Quindi non c'entra
niente Malfoy? »
Spalancai gli occhi e sporsi
la testa in avanti. « Ma allora mi spii? »
Harry abbozzò un
sorriso. « Sono state una serie di coincidenze. »
« Bene, ora che sai
con chi ero penso possa finire l'interrogatorio » tagliai
corto, facendo per andarmene.
« No no, » mi
richiamò, « parliamo un po'. Tanto il sonno è
sparito per entrambi, vero? »
Lo guardai qualche secondo,
poi annuii. Lo seguii nel salone e presi posto sulla poltrona di
stoffa rossa, su cui mi appallottolai.
« Ron ha davvero
sbagliato, prima » esordì, facendo oscillare l'acqua nel
bicchiere come se fosse firewhisky. « Crede che Malfoy ti stia
usando e che non abbia nemmeno vagamente delle intenzioni serie con
te. »
Aprii la bocca per parlare
ma Harry mi fece cenno con la mano di aspettare che finisse.
« Ma, e dico ma, io ho
avuto un'impressione diversa della faccenda. Tu sai... » fece
una pausa, evitando di guardarmi direttamente. « Sai quanto io
tenga a Ginny. »
« Sì, lo so
bene » gli dissi. L'espressione di Harry era deformata dalla
preoccupazione.
« Ed è proprio
per questo che vorrei starle lontano. Cioè, faccio di tutto,
ma non sempre ci riesco. »
« Perché vuoi
starle lontano? » gli domandai, come se la cosa riguardasse me
in prima persona. E, in effetti, così era.
« Perché voglio
proteggerla. Voglio che Voldemort non sappia che colpendo lei
colpisce me. Voglio che possa avere una vita felice, tranquilla,
lontana da tutto questo... schifo. »
I suoi occhi verdi tornarono
a guardarmi; erano addolciti come poche volte lo erano stati.
« Per me è una
cosa preziosissima. Ho paura ogni giorno per lei eppure desidero ogni
giorno di poter stare con lei. »
Mi portai la mano sulla gola
per mascherare il barlume di un singhiozzo. Avevo capito benissimo
dove voleva arrivare.
« Perciò, se il
mio istinto funziona ancora bene, credo che Malfoy provi ciò
che provo io. Lo vedo bene, mi riconosco in lui. Ecco perché
non riesco più a parlare male di lui. »
Annuii, rapidamente,
arginando una violenta commozione. « M-mi ha detto »
deglutii e presi fiato. « Mi ha detto che non potremmo mai
stare insieme anche se lui non vorrebbe mai separarsi da me. »
Lo dissi rapidamente, senza esitazione, per poi tacere di colpo. Le
parole che mi aveva rivolto e le emozioni che mi aveva fatto provare
vibravano ancora cocenti dentro la mia cassa toracica. Ed ora,
parlarne, si stava rivelando fin troppo difficile.
« Lo capisco bene »
disse Harry.
Annuii, passandomi il dorso
della mano sugli occhi. « Ma io lo amo » sussurrai, così
piano che riuscii appena a sentirlo io stessa. Guardavo i libri
immobili sulla mensola sopra il camino per fissare i miei occhi su un
punto fuori di me.
« Se non fosse stato
amore, non avreste sofferto così tanto. »
Annuii ancora, nascondendo
la bocca tra le mani e singhiozzando silenziosamente. Sentii Harry
alzarsi e venirmi incontro. Mi abbracciò e lo lasciai fare,
quasi inerte, chiudendo gli occhi e rilassandomi dentro la sua
tshirt. Non volevo pensare. Le parole di Draco erano state bellissime
eppure terribili. Come poter andare avanti rinunciando a lui? Era una
domanda davvero retorica, perché la risposta era ovvia: non
potevo. Ormai era fatta, eravamo andati troppo oltre, pur non avendo
mai condiviso altro che emozioni e parole. Un amore folle e
malsano. Non era troppo diverso da ciò che io provavo per
lui.
***
Misi piede nella contea di
Durham appena dopo le nove. Non ero mai stato in quella zona
dell'Inghilterra, perciò seguii alla lettera le indicazioni di
Severus su come trovare Marcus Flewter.
L'insediamento dei suoi si
trovava a nord, fuori dalle città principali, in un villaggio
dove Marcus era temuto e rispettato da tutta la comunità. Il
posto era, però, come tutti gli insediamenti magici che avevo
visitato nel mondo: appartato, modesto e nascosto. Fatta eccezione
per la villa imponente e lugubre di Marcus; era impossibile non
notarla.
Il vampiro mi attendeva e
non sapevo se era una cosa di cui essere contento. Avevo indossato il
mio solito nero, cercando di essere formale senza esagerare:
pantaloni classici, camicia di cotone, scarpe oxford, mantello chiuso
dalla spilla di famiglia sulla clavicola sinistra. Quando bussai al
batacchio d'ottone, cercai di tenere il mento alto e lo sguardo
rilassato; avrei mentito a me stesso se avessi detto che non ero
nervoso. Potevo giustificarmi, ricordandomi di avere solo diciassette
anni. Ma poi riflettevo sul fatto che l'età era solo un numero
e che io ero dovuto crescere in fretta.
La porta mi fu aperta da una
donna dall'espressione vuota. Mi guardava, eppure non mi vedeva. I
suoi occhi marroni erano velati di bianco, la sua pelle era bianca
come un lenzuolo e sembrava che nel suo corpo non ci fosse traccia di
sangue.
« Signor Malfoy,
benvenuto. »
Spostò il braccio con
un gesto circolare così entrai, mentre mi veniva chiusa la
porta alle spalle. Mi ritrovai in un ingresso avvolto dalla
semioscurità; le tende erano tutte tirate e l'arredamento non
aveva alcun colore vivace. Non era molto diversa da casa mia.
Slacciai il mantello e la
seguii, attraversando un corridoio stretto pieno di vecchi quadri.
Poi mi fece cenno di accomodarmi in un piccolo soggiorno, dove
entrai. Le pareti erano completamente ricoperte da carta da parati
barocca, di una tonalità scurissima di viola. C'erano due
poltrone, un tappeto nero di lana e nient'altro.
Presi posto e attesi. Non mi
era mai capitato di stare tanto a lungo in una stanza così
vuota e così silenziosa; non mi sarebbe dispiaciuto se non
fosse stato per il fatto che odiavo non sapere cosa dovermi
aspettare.
« Signor Malfoy »
esordì una voce profonda, così mi voltai. Non avevo
sentito arrivare nessuno e la cosa mi sorprese non poco.
Quello che intuii doveva
essere Marcus Flewter era un uomo alto quasi due metri e magrissimo.
Aveva dei lunghi capelli neri che portava intrecciati e degli occhi
del medesimo colore da cui non si distingueva la pupilla. La pelle
era bianca come quella della donna che mi aveva accolto e le sue
labbra avevano una sfumatura verdognola. Vestiva in abiti molto
eleganti, come se fosse in procinto di uscire ed andare ad una
cerimonia.
« Ah, ma sei solo un
ragazzo » aggiunse, muovendo qualche passo nella mia direzione.
Mi alzai in piedi e gli
porsi la mano. « Avrebbe
preferito un uomo anziano e dalle vedute chiuse, signor Flewter? »
Il vampiro mi osservò
per qualche secondo, poi ricambiò il gesto e mi strinse la
mano.
« Siediti pure. »
Accennai un inchino del capo
e mi risedetti, poi lo fece anche lui. Mi ero preparato una decina di
discorsi molto diversi tra loro ma era difficile essere sicuro di
dire la cosa giusta.
« Immagino sappia
perché sono qui. »
« Sì, ma voglio
che tu me lo dica lo stesso » disse mellifluo, incrociando le
dita sul ventre.
« Vengo per conto di
Lord Voldemort. »
« Sì, il
fallito » mi interruppe.
Non mi scomposi. Sapevo bene
che il mondo magico era diviso in tre linee di pensiero: una credeva
che Voldemort fosse il male assoluto; una lo venerava come un dio;
l'altra, seppur ridotta all'osso e presente solo in alcuni gruppi che
vivevano lontano dalla giurisdizione del Ministero della Magia,
credeva che Voldemort fosse solo un pallone gonfiato che si era fatto
sconfiggere da un bambino in fasce. Marcus era, quindi, di
quell'idea. E sarebbe stato molto difficile convincerlo a prendere
parte alla causa, perché non vedeva Voldemort come un leader.
E, cosa non meno importante, chi doveva convincerlo era disgustato
dalle sue stesse parole.
« Lord Voldemort è
un mago molto potente, il più potente attualmente in
circolazione. Ed è molto, molto più forte dell'ultima
volta. »
« Sì, qualcosa
è cambiato nella sua anima » disse Marcus, ma non colsi
esattamente la sua allusione.
« Sta riunendo molte
forze diverse sotto la sua guida. I suoi progetti sono maestosi;
affiliarsi a lui significherebbe stare dalla parte giusta della
battaglia. E avere un posto d'onore alla fine di tutto. »
Lo guardai, sperando di aver
fatto almeno breccia nella sua cupidigia. Mi era stato detto che
Marcus era un personaggio avido e senza troppi scrupoli, carismatico
quanto bastava per farsi seguire da un cospicuo gruppo di suoi simili
nella mia proposta.
Ma lui rise. Emise un suono
roco e cavernoso e i suoi occhi brillarono divertiti. « Perché
hanno mandato proprio te, ragazzo? »
« Come? » mi
sorpresi, dilatando le pupille.
« Avrebbero dovuto
mandare qualcuno di più convinto. »
« Non riesco a
seguirla, signor Flewter. »
Lui m'indicò,
sporgendosi appena nella mia direzione. « Ho accettato questo
incontro pensando già che non avrei accettato. Non provo
alcuna stima per quel mago, non potrei mai seguirlo. Poi mi è
stato detto che mi avrebbe mandato il suo braccio destro... e mi si
presenta qui un ragazzino appena uscito da scuola. »
Corrucciai la fronte e presi
dei respiri serrati. « Vorrei davvero potermi definire in
maniera così spensierata come mi vede lei. »
Marcus si zittì. Non
avevo detto niente di così particolare per meritare quella
specie di piccola vittoria. Ma il vampiro mi guardò con occhi
diversi.
« Tu non otterrai
niente da Tom Riddle. »
« Mi limito a servirlo
» dissi rapido.
Marcus scosse lentamente la
testa. « Tu non devi servire nessuno, ragazzino. Perché,
invece, non segui me? »
Alzai le sopracciglia,
completamente stupito da quella proposta. « Cosa? »
« Voldemort non
vincerà. E non lo so solo perché ho vissuto troppo a
lungo per capirle, certe cose. Ma perché chi lo segue non lo
rispetta. Ne ha solo paura. Un fottuto timore da farsela sotto la
notte. E la paura è un sentimento fugace che prima o poi
passa. Al che, i tuoi seguaci ti si rivolteranno contro, perché
vorranno di più. O ti abbandoneranno, per isole felici lontano
da tutta la schifezza che crei. »
Poggiò i gomiti sulle
ginocchia e si avvicinò con la faccia ancora di più a
me. La sua pelle era uno strato unico privo di difetti, come se fosse
porcellana. Non potevo dire quanti anni avesse: tutto di lui mi dava
l'idea di un uomo molto giovane; i suoi occhi sembravano, però,
vecchi di almeno cent'anni.
« A questo mondo si
sta davvero insieme solo per amore o per ideologie. Non fare scelte
nella vita che non vadano in una delle due direzioni. E se sei
fortunato, potrai unirle. »
Poi, il suo sguardo cambiò.
Forse in seguito ad una mia espressione o ad una sua idea. Ma lo vidi
sorridere. Un sorriso molto diverso da quelli distorti e sadici che
aveva fatto fino a quel momento. Era quasi paterno.
« Ma ti sto dando consigli che in cuor tuo sai già.
Maledetto, sei venuto per mentirmi? Tu hai già capito tutto. »
Lasciai Villa Flewter con
più confusione che risposte. L'ultima cosa che mi aveva detto,
poggiandomi una mano sulla spalla, era stata: « Non sono uno
sciocco. Fa' sapere al tuo capo che sono dei suoi. Ma tu sei l'unico
che, quando non mi vedrà sul campo di battaglia, potrà
fare un sorriso. Non sono un uomo di parola, mi perdonerai per
questo. » Poi mi aveva accompagnato alla porta e mi aveva detto
Addio.
Seppur fossi uscito
fisicamente integro da quella mattina, il mio cervello era ferito e
provato da troppe cose. Forse l'universo stava cercando spingermi
nella direzione giusta, cercando di dirmelo attraverso tutte le
persone che incontravo; forse, era solo la verità che mi
veniva espressa dalle parole dei personaggi più impensabili.
Le notizie circa la folle malvagità di Marcus Flewter e le
parole che questo mi aveva rivolto solo poco prima cozzavano
terribilmente; come poteva un uomo essere così cattivo eppure
così saggio? Forse solo i vampiri potevano. Forse solo loro
potevano avere, nonostante tutto, una così chiara visione
della vita.
Mi spostai in un vicolo
ombroso e mi smaterializzai a Malfoy Manor verso le tredici. Passai
dal disimpegno, togliendomi il mantello, così avanzai verso
sala da pranzo. Mi arrotolai le maniche della camicia fino ai gomiti
non smettendo di camminare, finché non vidi da lontano il
lungo tavolo in legno massello e mi fermai interdetto.
Era apparecchiato per due.
Niente di nuovo per quella stanza, da quando erano morti i miei.
Spesso mangiavo da solo ma molto spesso a farmi compagnia c'era anche
Severus. L'unico problema era che sapevo che il mio padrino era in
Scozia in quel momento e non sarebbe tornato prima di tre giorni.
Hunni mi passò
accanto, aggirandomi, facendomi quindi un inchino del capo.
« Signor Malfoy, l'ha
portata Dobby e ha detto che era ospite su vostra richiesta. Se ho
sbagliato a mettere due posti... »
« No, no Hunni »
mi affrettai a dire, « dov'è?»
L'elfo domestico non alzò
la testa. « In sala libri, signore. Ho detto che non sapevo
quando tornavate voi... »
Non aspettai che finisse di
parlare. Non mi serviva sapere altro. Affrettai il passo e imboccai
il corridoio per le stanze est, superandone tre a ritmo spedito prima
di rallentare a pochi passi dall'unica porta da cui usciva un forte
spiraglio di luce.
Misi la mano destra sullo
stipite e rimasi sulla soglia. Hermione era di profilo vicino agli
scaffali sulla sinistra della stanza, con lo sguardo incatenato alla
pagina di un libro. Mi concessi di osservarla senza dire nulla per
qualche istante; poi la vidi sollevare gli occhi davanti a sé
con una consapevolezza diversa, quindi voltarsi e incrociare i miei.
Chiuse il libro con il dito
indice in mezzo, voltandosi completamente verso di me.
« Scusami. Ho
praticamente costretto Dobby a darmi un passaggio. E ho usato
tutto il mio fascino per convincere Hunni a non allarmarsi. »
« Non dovevi venire
qui. È pericoloso » sussurrai senza troppa convinzione.
Lei annuì. « Lo
so. Ma dovevo vederti. »
« Sto bene. »
« Ora che lo vedo sono
più tranquilla. » Aveva un sorriso calmo eppure potevo
intravedere una punta di nervosismo.
« Io per niente.
Voldemort piomba qui quando vuole e senza alcun preavviso, perciò
è-»
« Draco » mi
interruppe. « Non devi preoccuparti sempre per me. »
« Le mie uniche
preoccupazioni riguardano te. »
Hermione sorrise ma scosse
appena la testa. « No, non devi. Sono al fianco di Harry Potter
da sei anni, ho imparato a cavarmela. »
Le sorrisi di rimando. «
Questo te lo concedo. »
Lasciò il libro su un
tavolino e mi venne in contro. Non mi mossi, non volevo. Finì
il suo lento incedere a così poco da me, tanto che sollevando
una mano mi toccò la guancia.
« Sei sicuro di stare
bene? »
« Ora non lo so più
» le sussurrai.
« Smettila »
abbassò gli occhi. Le portai due dita sotto il mento e la
riportai a me.
« Smettila tu di
provocarmi. »
« Non voglio
provocarti... »
« Lo fai costantemente
» scandii, spostando lo sguardo dai suoi occhi alle labbra.
« Non volontariamente
» disse. Il tono di voce che avevamo assunto era basso, intimo,
solo nostro.
« Non dire
sciocchezze. »
Hermione rise piano,
passando i suoi indici sulle mie sopracciglia e seguendo la linea dei
miei zigomi. « Faccio del mio meglio per provocarti. »
« Ecco la verità.
»
« Ma non me ne
accorgo, mi viene naturale » aggiunse, scendendo con i
polpastrelli sulle mascelle e continuando in avanti, fino agli angoli
della mia bocca. Poi mi guardò fisso negli occhi. «
Perché mi piaci. »
« Tu sei... »
provai, ma non riuscii a dire niente di sensato. Mi persi nel suo
sguardo di rame liquido e nella sua carnagione rosata e soffice come
i petali dei fiori.
Le afferrai la vita esile e
strinsi tra le mani la sua pelle, così Hermione dischiuse
appena la bocca per respirare.
« Dovevi tornare a
casa quando eri ancora in tempo per farlo » le sussurrai sulle
labbra, appena i nostri nasi si sfiorarono. « Adesso è
troppo tardi. »
|
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Capitolo 18 *** E necessità vitali ***
Intro:
come
promesso sono tornata prestissimo! Vi avevo lasciati in sospeso e non
si fa u.u In più a breve sarò molto impegnata con il
Lucca Comics (aiuto da standista degli amici che hanno una
fumetteria) perciò non potrò postare altri cap per
qualche settimana. Mi raccomando, fatemi sentire il vostro parere
anche con una brevissima recensione: mi ispirate e scrivo più
velocemente poi u.u
Un abbraccio!
POLISUCCO
e
necessità vitali
« Dovevi tornare a
casa quando eri ancora in tempo per farlo » mi sussurrò
sulle labbra, appena i nostri nasi si sfiorarono. « Adesso è
troppo tardi. »
La sua bocca si dischiuse e
carezzò appena la mia, respirando il mio respiro. Le sue
sopracciglia erano contratte e ma gli occhi erano spalancati,
limpidi, liquidi; le sue mani mi tenevano stretta eppure si
ancoravano a me, come se volessero mantenere un punto fisso per non
crollare.
I miei indici erano ancora
appoggiai agli angoli della sua bocca, tremanti. Volevo azzerare
quella maledetta distanza che ci divideva da quasi un anno, volevo
baciarlo con le mie labbra e non con quelle d'un altra. Volevo
che mi divorasse, così come aveva detto, perché
anch'io temevo che un solo bacio non mi sarebbe bastato.
Mi alzai appena sulle punte,
quei pochi centimetri che mi permisero di premere completamente la
mia bocca sulla sua. Lo baciai in un profondo respiro, prima di
ritrarmi appena.
« Hermione »
disse roco, contraendo la mascella.
« Non... trattenerti »
sussurrai.
Mi afferrò il viso
con le mani e ci fu un ultimo istante in cui si concesse di guardarmi
provando a starmi lontano. Poi, mi tirò a sé. Mi baciò
con l'impeto che mi ero aspettata, come se fosse qualcosa di
necessario. Di vitale, come respirare. Come se fossimo stati
chiusi sott'acqua troppo a lungo e ora avessimo bisogno d'ossigeno
per sopravvivere.
I miei polpastrelli furono
catturati dalla sua bocca insieme alle mie labbra; la sua lingua
incontrò la mia, rovente. Strinse i miei capelli tra le dita,
facendo sì che reclinassi la testa all'indietro; mi sovrastò
con il suo corpo, così inarcai la schiena, mentre mi baciava
ancora. Scese sul mento, poi sul collo, mentre le sue mani
scivolavano di nuovo sui miei fianchi e lungo le gambe, infilandosi
poi sotto l'abito.
Le mia dita si intrecciarono
dietro la sua nuca, mentre Draco mi baciava la parte alta del seno,
lasciata appena scoperta. Gemetti, guardai il soffitto senza vederlo;
era tutto avvolto della nebbia per quanto mi riguardava.
Mi spinse all'indietro,
facendomi camminare, finché non toccai qualcosa con le gambe;
mi passò le mani sotto il sedere e mi sollevò,
poggiandomi su quella che immaginai fosse la scrivania. Qualcosa
cadde, facendo rumore, ma a nessuno dei due importava vedere cosa.
Restai un attimo a guardarlo negli occhi, per la prima volta alla
stessa altezza del suo sguardo: ascoltai i miei e i suoi respiri
infranti, i desideri impellenti, il bruciore ardente che agitava la
nostra pelle.
Mi osservava da sotto le
sopracciglia arcuate, come un predatore; erano così chiare,
eppure così espressive. Mossi esitanti le mani e le portai al
primo bottone della sua camicia scura; senza distogliere gli occhi
dai suoi, slacciai un bottone. Poi un altro, e un altro ancora,
finché la camicia si aprì del tutto. La pelle scolpita
e muscolosa del suo torace mi fece mancare un inspiro: mi era
capitato di vedere Harry o Ron a torso nudo ma la vista non era
nemmeno lontanamente paragonabile.
Infilai i polpastrelli sotto
i lembi di stoffa e percorsi lentamente le linee muscolari, dai
pettorali agli addominali in rilievo. Sentii poi le sue mani sulle
mie gambe. Delicate ma sicure, entrambe, partirono dalle ginocchia ed
arrivarono fino al bordo del mio abito di cotone; quindi, varcarono
il confine. Si spostò sui lati e arrivò fino ai glutei,
senza mai spostare gli occhi da me. Lì mi strinse la pelle e
mi tirò in avanti, facendo sussultare, affinché
aderissi a lui. Si abbassò su di me con una calma esasperante,
tanto che mi sembrò di scoppiare.
« Il vestito »
soffiò, poco prima che le sue labbra toccassero nuovamente le
mie. Mi baciò, dischiudendo la mia bocca, cercando la mia
lingua, stringendo tra le dita la mia pelle bollente. « Tu già
sapevi » aggiunse, baciandomi ancora, mentre le sue dita
s'infilavano sotto il bordo dei miei slip. « Sapevo... cosa? »
dissi in un respiro rubato, quando mi baciò il collo,
risalendo lungo l'orecchio. « Che avrei voluto metterci le mani
sotto » mi sussurrò, baciandomi la spalla e facendo
cadere con il naso la brellina dell'abito. « Che avrei voluto
strappartelo via. »
« Continuo a
provocarti » giocai, socchiudendo gli occhi.
« La tua sola presenza
mi provoca » mi confessò, baciandomi le clavicole.
Le mie mani si mossero prima
che potessi deciderlo razionalmente; le ritrovai sul bordo dei suoi
pantaloni, in procinto di slacciare quell'unico bottone. Lo
feci, senza rifletterci ulteriormente, avvertendo la sua erezione.
Dischiusi le labbra per prendere fiato, ma non riuscii del tutto.
Avevo il corpo di Draco tra le gambe, le sue spalle ampie a
sovrastare il mio corpo esile e temevo, temevo realmente che le
sensazioni che stavo provando potessero uccidermi.
Draco chiuse le dita sui
lati dei miei slip e li tirò verso di sé, togliendomeli
completamente. Abbassai appena i suoi pantaloni, poi l'intimo. Lo
toccai e gemette sulla mia bocca, mordendomi appena il labbro.
Mi passò nuovamente
le mani dietro il sedere e mi tirò verso di sé, finché
le nostre intimità si toccarono.
Mi guardò negli occhi
e lentamente spinse dentro di me. Aspettò che i miei muscoli
si rilassassero, poi andò fino in fondo.
Mi parve di aver disimparato
a respirare. Aprii la bocca ma non riuscii ad incamerare ossigeno. Mi
strinsi a lui, aggrappandomi alla sua schiena, nascondendo il naso
nel suo collo.
« Ti sto-»
« No, » lo
bloccai con voce instabile, prima che potesse aggiungere altro. «
Non voglio che ti fermi » aggiunsi contro la sua mascella.
Lentamente riprese a
muoversi e il dolore scemò, ma il mio corpo continuava ad
essere sconvolto dalla sua impetuosità. Appena mi rilassai lui
se ne accorse, intensificando le spinte. Ogni spinta mi toglieva un
respiro, ogni spinta mi faceva tremare, aumentando il piacere. Non
avrei mai potuto immaginare una sensazione simile; era una cosa che,
senza provarla, non si poteva capire né descrivere.
Ed io ne ero già
assuefatta.
***
Il sole colorava la pelle di
Hermione, rendeva i suoi occhi più chiari e s'intrufolava tra
i suoi boccoli. Il suo seno si alzava e abbassava al ritmo dei suoi
respiri affannati, il suo corpo tremava appena; ero disteso accanto a
lei ad osservarla, abbandonati ancora ansanti su quella scrivania di
legno duro che solo ora mi accorgevo di quanto fosse scomoda.
« Devo portarti via da
qui » sussurrai dopo un tempo che mi parve interminabile.
Hermione voltò la
testa e mi sorrise. « Lo so. »
Mi sollevai a sedere,
passandomi la mano tra i capelli. La guardai sollevarsi, sistemarsi
le bretelline dell'abito e riportare l'orlo alle ginocchia. Fece
pressione sulle mani e scese giù con un piccolo saltello,
rimettendo i piedi sul pavimento. La imitai. Poi le afferrai le mani,
che frettolose si spazzolavano la gonna, e lei mi guardò
stranita.
Me le portai alla bocca e le
baciai, poi le depositai alla mia nuca e l'avvicinai a me,
stringendola. Le lasciai alcuni baci sulla tempia destra, sugli
zigomi, sul lato del naso. Restai per qualche istante a sentire il
suo profumo.
« Vorrei restare così
per sempre » mi disse e per un attimo credetti che a dirlo
fosse stata la mia voce. Le sorrisi contro la pelle e la baciai
un'ultima volta.
Mi allontanai, senza
separarmi dalla sua mano sinistra, così la condussi oltre
quella stanza, per il corridoio, infine passai per la sala da pranzo.
Richiamai Hunni, dicendogli di togliere quei due piatti rimasti
ancora sulla tavola – temevo che Voldemort potesse piombare lì
in mia assenza e farsi qualche domanda.
Camminando, appellai
il mantello con la bacchetta e uscii nei giardini, attraversandoli,
fino a giungere al cancello.
Mi voltai a guardarla e
senza lasciarla mi smaterializzai a Grimmauld place n°12. Le ore
pigre del dopo pranzo avevano svuotato la strada. Tutto era immerso
nel caldo e ovattato silenzio di quel momento sospeso.
« Vai dentro. Ti
guardo entrare e vado via » le dissi.
Annuì debolmente,
ripetutamente, ma restò ferma al suo posto. Mi abbassai appena
e le sfiorai il naso con il mio, facendola sorridere.
« Non è un
addio » le dissi.
Un rumore alla mia sinistra
mi fece voltare e istintivamente le strinsi la mano, mettendomi
appena davanti a lei.
Ronald Lenticchia
Weasley mi guardava come se volesse uccidermi; non gli avevo mai
visto uno sguardo simile, escludendo le volte in cui aveva cercato
goffamente di offendermi.
Aggrottai le sopracciglia,
più per confusione che per altro, quando lo vidi avanzare con
la bacchetta sguainata. Presi di riflesso la mia e mi voltai
completamente verso di lui.
« Vattene Malfoy,
lasciala stare! »
« Weasley »
cominciai, mentre continuava ad avanzare.
« Allontanati da lei!
» urlò. « Non le farai più del male! »
« Ron, non capisci! »
esclamò Hermione.
Io contrassi i muscoli del
viso, senza perderlo d'occhio. « Io non... non le farei mai del
male. » Bugia. Le avevo fatto del male, seppur
l'intenzione fosse quella di proteggerla. E le avevo fatto del male,
quando ancora non ricordavo tutto di lei. E le avrei fatto male,
ancora, forse sempre.
« Tu sarai sempre uno
schifoso Mangiamorte, ecco quello che sei! E questa cosa non cambierà
mai! » continuò, fermandosi a qualche metro da me.
Aveva il volto contratto e
rosso, deformato dalla rabbia; il braccio disteso tremava mentre
teneva la bacchetta e la stringeva così forte da far sbiancare
le nocche.
In quel momento vidi uscire
anche Potter, che si affrettò a raggiungerlo, ma Lenticchia
non sembrò accorgersi di quella nuova presenza.
« Tu non la meriti,
potrai fare mille buone azioni ma niente cambierà lo schifo
che sei! » mi urlò ancora contro.
Sorrisi, perdendo forza
nella mano che stringevo ad Hermione.
« È vero. Hai
detto cose sensate, Weasley. Un record per te. » Lo vidi
irrigidirsi ancora di più, muovere un altro mezzo passo verso
di me. « Io non la merito perché ho fatto solo scelte
sbagliate nella mia vita. »
« Draco, non-»
« Ma la amo » le
strinsi la mano, guardando ancora Weasley. « E non sto alzando
la bacchetta contro di te solo ed esclusivamente per questo. »
« Non dire cazzate,
Malfoy! Tu non sei capace di amare » ringhiò.
Strinsi tra le mani il legno
sottile della mia bacchetta. Tutto ciò che diceva quel
pezzente sembrava l'eco dei miei tormenti, resa vivida davanti ai
miei occhi. La Verità era lì, come personificata
da quell'essere, a parlami schiettamente e a voce alta, non più
solo nei miei pensieri. Avrei potuto annientarlo, annientando così
il mio dolore?
La mano di Hermione mi toccò
la guancia e i miei occhi si aprirono; i muscoli si rilassarono, il
respiro rallentò. Mi voltai a guardarla mentre lei avanzava e
si parava davanti a me.
« Ronald, io ti giuro,
ti giuro che se non chiudi quella bocca schifosa e non butti a terra
quella maledetta bacchetta io ti faccio rimpiangere di essere nato! »
esclamò stringendo i pugni lungo il corpo.
Potter, intanto, aveva
afferrato il braccio di Weasley e l'aveva tirato a sé; quello
aveva provato a divincolarsi ma teneva ancora gli occhi fissi su noi
due.
« Tu non hai alcun
diritto di continuare a tormentarmi perché ho scelto lui e non
te! »
Il pezzente spalancò
gli occhi e la bacchetta gli cadde da mano, emettendo due suoni
sordi; Potter gliela raccolse e se la mise in tasca, lontana dalle
sue mani tremanti.
Eravamo rimasti a fissarci
ancora a lungo prima che l'amico decidesse di portarlo dentro - non
prima di aver sorriso nella direzione di Hermione e annuito appena
nella mia.
Rimanemmo soli e cercai lo
sguardo di lei; era appena velato dalla tristezza e arrossato
dall'impeto delle parole.
« Lui ha ragione, ma
io non voglio lasciarti andare. Non più » dissi infine.
« Tu non sei così
» scosse la testa, sussurrandomelo quasi, a pochi palmi dal
viso. « Tu sei quello che ho conosciuto in questo ultimo anno,
tu sei molto più di quello che pensi. »
La guardai, facendo scorrere
le pupille nelle sue. « Nei tuoi occhi mi vedo come mi vedi tu.
»
Era lei. Era sempre stata
lei.
***
Una nuvola di fumo mi portò
via Draco e il tramonto di quel pomeriggio mi portò via il
sole.
Mi ero rintanata nella
camera da letto, cercando di tenere insieme due sentimenti molto
contrastanti: la gioia, per ciò che c'era stato tra me e
Draco; la tristezza, per quello che c'era stato con Ronald.
Non era giusto. Non era
giusto che io non potessi essere felice, che io mi dovessi sentire in
colpa nei confronti di uno dei miei più cari amici, di una
delle due persone a cui tenevo di più al mondo – ora che
nemmeno i miei si ricordavano più della mia esistenza.
Era ingiusto che lui non
volesse vedermi felice, che lui non capisse che io ero andata avanti
anni luce rispetto al punto in cui ci eravamo lasciati; che tra noi
non era cominciato niente e niente poteva accadere. Che le sue parole
mi ferivano e ferivano la persona che amavo, che era ancora peggio.
« Hermione. »
Mi voltai verso la porta,
trovando Ron. Non dissi nulla, mi limitai a guardarlo.
« Posso... cioè,
possiamo parlare? »
« Dipende »
deglutii, tenendo a bada il pianto. « Cosa vuoi dirmi? »
« Voglio scusarmi »
esordì, con il volto abbandonato. « Non avevo capito
niente. »
« Mi pare un buon
inizio » concessi, indicando il materasso del letto a castello
di fronte. « Siediti e continua. »
Ron si mosse lentamente e
prese posto, intrecciando le mani e oscillando appena avanti e dietro
con la schiena.
« Ho parlato con
Harry, mi ha fatto capire la situazione. Io pensavo che lui ti
manipolasse » disse d'un fiato.
Alzai un sopracciglio. «
Che bella considerazione che hai di me! »
« No, aspetta, fammi
finire » disse prontamente, sporgendosi un po' in avanti. «
Non avevo capito che aveva recuperato i ricordi, non avevo capito che
vi eravate... ritrovati. »
« E ti sei comunque
sentito in diritto di fare quella sparata? Dire quelle cose orribili
» scandii.
« Quello che ho
detto... lo penso. Cioè, non so che opinione farmi di Malfoy
al momento » continuò rapidamente.
« Ha tradito i suoi
per aiutarci. Nonostante gli abbiano rimosso la memoria, è
riuscito a tornare. Continua a collaborare con noi, facendo il doppio
gioco. Cosa ti serve per capire che non è il Draco Malfoy che
hai conosciuto ad Hogwarts? » sbottai, stringendo gli occhi.
Ronald scosse la testa. «
Detto così... »
« È così
» puntualizzai.
« Tu lo ami? »
Sbattei le palpebre e mi
accorsi di stare completamente protesa in avanti, così tornai
dritta. Lo dissi seriamente, eppure – mi accorsi – in
maniera così naturale. « Sì, lo amo. »
Lui annuì,
guardandosi i piedi. « Sì, era ovvio a questo punto. Non
so se la supererò mai, ma ti prometto che non farò più
certe sparate. »
« Mi andrebbe bene. Se
riuscissi a rispettarmi » aggiunsi.
Ronald alzò gli
occhi. « Certo! Io ti rispetto » disse concitato. «
È lui che-»
« Ferendo lui, ferisci
me » sottolineai e finalmente vidi la consapevolezza nei suoi
occhi chiari.
***
Lord Voldemort sedeva sulla
poltrona verde scuro del mio salone; Nagini stava dritta sollevata al
suo fianco e mi fissava con i suoi occhi lunghi.
Il tramonto era terminato da
un pezzo ma nessuno aveva ancora acceso i lampadari e la figura del
Signore Oscuro mi pareva ancora più sinistra dato il biancore
della sua pelle.
Le squame del suo animale
riflettevano le uniche flebili luci che provenivano dai giardini,
rendendolo ancora più inquietante. Prima di Nagini, avrei
detto che mi piacevano i serpenti.
Mi sembrava così
lontano il momento in cui avevo fatto l'amore con Hermione. Erano
passate una manciata di ore eppure la felicità, l'eccitazione,
la leggerezza, la passione, la tranquillità che lei era stata
in grado di trasmettermi erano stati sostituiti da pura tensione.
Mi ero ritrovato Voldemort
in casa, seduto su quella stessa poltrona, l'aria cupa e lo sguardo
distante – molto diverso da quello esaltato e malvagio che
esibiva con gli altri. Sembrava stanco. Sembrava spaventato. Non
potevo chiedergli cosa avesse, non era quello il tipo di rapporto che
lui creava con i suoi seguaci. E, in effetti, non era
'preoccupazione' quella che mi spingeva a chiedermi a cosa stesse
pensando. Era curiosità. Poteva un uomo tanto potente avere
dei dubbi?
« Draco. Ci sono delle
cose a cui tengo, ad Hogwarts » disse lentamente,
cominciando ad accarezzare il dorso rugoso del muso del serpente. «
Cose che nessuno dovrà mai toccare » aggiunse, dopo un
lungo silenzio.
Non era difficile capire a
cosa stesse alludendo. Ma perché ora? Perché lo stava
dicendo a me? A pensarci, era stato sempre molto diretto nei miei
confronti. Forse, si fidava di me perché non ammetteva di
poter fallire. Lo avevo capito da un po' a quella parte, ormai. Mi
aveva manipolato personalmente affinché fossi completamente in
sua malia, perciò parlare con me era come parlare con se
stesso. Lo sentivo, senza bisogno che nessuno me lo spiegasse. Il
potere che pensava di avere gli aveva ottenebrato il giudizio in più
di un'occasione e lo stava facendo ancora, perché non si
accorgeva di quanto fossi – di nuovo – cambiato. Severus
era stato al suo fianco per tanti anni, continuava a farlo e
Voldemort gli stava dando la guida di Hogwarts, laddove c'erano le
cose che voleva proteggere.
« Voglio che anche tu
vada ad Hogwarts. Non subito. E come studente. Anche lì ci
saranno da reclutare seguaci... dall'interno » disse, quasi tra
sé, così restai in silenzio, come ad ascoltare le
farneticazioni di un pazzo. Ma andare ad Hogwarts significava perdere
la mia indipendenza, la possibilità di spostarmi e
smaterializzarmi dove e quando volevo, di restare in contatto con
l'Ordine... di vederla.
« Non sono più
utile qui, al vostro fianco? » domandai quindi.
Voldemort scosse la testa. «
Ora è un momento delicato. Qui non c'è più
niente da fare, il centro di tutto sarà Hogwarts. Deve cadere,
deve crollare e schiacciarli sotto, vivi, prima che possano fiatare
ancora. » Mi guardò profondamente negli occhi: il suo
corpo era così immobile che sembrava non avesse bisogno di
respirare. Come una statua di ceramica, fredda e scolpita in
quell'istante. « Dopo il Ministero, anche Hogwarts si arrenderà
a me. » Si portò le mani sotto il mento, guardando un
punto imprecisato oltre la mia spalla. « E, allora, sarà
fatta. »
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Capitolo 19 *** E ritorni grevi ***
Intro:
Scusate
l'immenso ritardo. Ho avuto un mare di problemi personali, compresi
due lutti in famiglia. Spero capiate. Vi ringrazio per tutti i
messaggi privati e pubblici dove mi fate capire quanto amate la mia
storia.
ps.
Nel cap do per scontato il recupero
della Coppa di Tassorosso anche se non ne ho narrato gli eventi –
considerate perciò che si è svolto tutto nello stesso
modo dei libri/film e che la coppa è in loro possesso.
POLISUCCO
e
ritorni grevi
Non avrei mai pensato che
potesse sembrarmi fuori contesto indossare la divisa di Hogwarts. Mi
sentivo strano a ricambiare lo sguardo che il mio riflesso mi
mostrava; stentavo a riconoscermi, sebbene fossero passati appena una
manciata di mesi dalla morte di Silente e dalla mia fuga da Hogwarts.
Da quando avevo messo piede al Quartier Generale dell'Ordine, da
quando avevo conosciuto davvero Hermione.
Da quando lei aveva
conosciuto davvero ciò che ero.
Mesi? Assurdo. Per la
mia mente erano trascorsi anni. Io stesso ero cambiato in modi
che faticavo a comprendere.
Passai i polpastrelli sotto
il colletto bianco della camicia.
Erano stati mesi grevi e
densi, dolorosi e pesanti, che quasi mi parve ridicolo abbandonare i
miei abiti neri per indossare quel completo così spensierato.
Un anno prima, con quello
stesso abbigliamento, ero lontanissimo dal pensare cosa sarebbe
accaduto; ero concentrato sugli attimi presenti con la paura, un
giorno, di ritrovarmi costretto a seguire le orme di mio padre –
e infine, mesi dopo, ero proprio al posto che lui aveva lasciato. Era
sempre stato quello il mio destino, in un modo o nell'altro? Che io
avessi avuto o meno consapevolezza, scelta? Dovevo necessariamente
passare per quella selva oscura per compiere ciò che,
infine, mi avrebbe redento? Era indispensabile andare fino in fondo
per proteggere me stesso e chi amavo?
Sembravano così
distanti i momenti in cui mi lamentavo dei compiti in classe, di
Potter e la sua fastidiosa presenza, degli allenamenti troppo duri di
Quidditch – Hermione. Lì, nella mia Sala Comune.
Il nostro primo bacio, il nostro primo contatto. Inevitabile fu avere
la mente piena della sua presenza. Mi sembrava di amarla da
sempre, anche nei momenti in cui credevo di odiarla. Avrei voluto
dirle chiaramente ''Ti amo'', guardandola negli occhi; provavo una
stretta allo stomaco al pensiero che non sapevo quando l'avrei
rivista ed ero terrorizzato dall'idea che avrei potuto non avere più
occasione di dirle quelle parole che non avevo mai detto a nessuno.
Nonostante avessi vestito il
nero e mi fossi ritrovato al fianco di Voldemort, nonostante avessi
tentato con tutto me stesso di riavere pieno controllo sul mio corpo
e sulla mia mente, tutto ciò che fino a quel momento avevo
costruito si apprestava a cadere come un castello di carte. Lo
sentivo.
Dapprima come spia, poi con
la mente manovrata da quel mostro, di nuovo per mia scelta e
costringendomi a mettere da parte tutte le debolezze, avevo fatto in
modo di restare al fianco di Voldemort non solo per salvare la mia
pelle – unica cosa di cui, un tempo, mi sarebbe importato.
Ero adesso consapevole di
far parte di un disegno più grande, dove tante persone, ogni
giorno, rischiavano in prima persona, compresa lei. Per lei
avevo mantenuto la lucidità, la calma, la pazienza, i ricordi.
Avevo dei piani da portare avanti; contraffare le pergamene,
collaborare con Lupin e la resistenza, vedere Hermione più
spesso che potevo ma, adesso... tutto ciò che avevo pensato mi
si rivoltava contro. Bastava una parola del Signore Oscuro e io
dovevo abbassare la testa, mettermi la divisa e partire. Lontano, ad
Hogwarts. Isolato da tutto, da tutti. Lontano da lei. Basta.
Tutto ciò che avevo pianificato non contava più niente.
Posso farcela, devo
tenere duro, fino in fondo. La mia strada era già tracciata,
fin dalla mia nascita. Ma adesso sto decidendo io come
percorrerla.
Mi accorsi che le dita mi
tremavano mentre mi annodavo la cravatta.
***
« Domani è
primo settembre. »
Alzai gli occhi su Harry,
aspettando che proseguisse con ciò che sia io che Ron sapevamo
ci attendeva. Ne avevamo discusso a lungo in quelle ultime settimane
e mi sembrava che il tempo avesse giocato a scorrere lento eppure
troppo rapido.
« E noi ci
infiltreremo ad Hogwarts. Ora che abbiamo anche la coppa di Tosca,
non ci resta che trovare gli ultimi Horcrux. Lo sento che sono al
Castello. »
« Solita Polisucco,
eh? » intervenne Ron, sporgendosi in mezzo a noi. «
Solite cose? »
« Solite cose, Ron »
gli sorrise Harry. « Le cose di sempre. »
Aleggiò uno strano
silenzio tra noi, improvvisamente come se l'ultima frase di Harry ci
avesse portato a ripercorrere gli eventi che ci avevano condotto fino
a lì, un attimo prima della fine.
Dopo aver utilizzato la
Polisucco per infiltrarci nella camera blindata di Bellatrix, dopo
aver rischiato innumerevoli volte di fallire, eravamo riusciti a
tornare ancora una volta al Quartier Generale, sani e salvi.
Era come se fossimo, ogni
volta, d'accapo; le stesse scelte, le stesse dinamiche, gli stessi
errori e gli stessi necessari interventi. Sapevo che la domanda che
graffiava la testa di tutti noi era: quando finirà?
Harry sperava davvero che gli ultimi Horcrux si trovassero al
Castello, perciò lo speravo anch'io. Probabilmente sarebbe
finita ad Hogwarts per noi, proprio com'era iniziata.
Presi la mano di Harry e lui
ebbe un sussulto. « Siamo sempre noi tre, insieme. »
Guardai anche Ron, incerto nella sua espressione palese di colpa. Lo
sguardo che ci scambiammo fu eloquente; in quel frangente non
importava più nulla, i risentimenti e i rancori passavano in
secondo piano. Eravamo, ancora una volta, ad affrontare qualcosa di
infinitamente più grande di noi. D'accapo, insieme. Sempre.
Allungai la mano verso di
lui e aspettai che me la stringesse; lo fece, esitante, poi strinse
nel dita tra le mie. « Andrà bene. Siamo quasi alla
fine, lo sento. »
***
« Tutto pronto, Draco?
»
Mi voltai verso Severus e
annuii, chiudendo il fermaglio del baule. Recuperai alcuni libri e il
mantello scolastico.
« Non c'è
bisogno che mi aspetti sulla porta » dissi, sentendo ancora la
sua presenza alle mie spalle.
« Vorrei parlarti. »
Lasciai la sciarpa sul baule
e mi girai, incrociando la sua figura austera e scura.
« So che venire ad
Hogwarts non ti piace per niente. Ma stare vicini, in questo momento,
è la cosa migliore. »
« Questo lo so »
dissi rapidamente, poi esitai. « Però non ho la libertà
di movimento che mi serve. »
« Per vedere lei?
»
Lo fissai a lungo, poi
annuii.
« Sarà ad
Hogwarts. »
Sgranai gli occhi e lo
fissai immobile, stupito.
« Si infiltrano con la
Polisucco, credono che altri Horcrux siano nel Castello. »
Mi portai le mani dietro la
nuca, stringendo la pelle delicata del collo, abbassando lo sguardo e
contraendo la fronte, le mascelle. Gli eventi si prendevano gioco di
me nella maniera più ridicola che potessero trovare. «
Terremo Voldemort lontano da Hogwarts » dissi infine,
sollevando lo sguardo in quello del mio padrino. « Li lasceremo
agire il più possibile indisturbati. Deve... devono
rischiare il meno possibile. » Sciolsi le dita intrecciate e
raddrizzai il busto. « Comincia e finisce tutto lì, eh?
» feci con un mezzo sorriso teso.
***
Avevo scelto personalmente
le identità in cui trasformarci, stavolta. Nessuno di noto,
nessuno di riconoscibile. Tre ragazzi anonimi che prendevano
l'Espresso per Hogwarts, casa Tassorosso, bauli e cianfrusaglie
annesse.
C'era qualcosa di
estremamente diverso in quella partenza, però. Sebbene tutto
sembrasse apparentemente lo stesso - il binario affollato, il treno
che sbuffava, i saluti, gli abbracci, le raccomandazioni - non era
solo la mia consapevolezza a rendere greve il momento: le espressioni
dei genitori e degli studenti erano cupe e rassegnate, spesso
impaurite. La verità era che stavamo andando in un posto che,
sapevamo bene, non era più lo stesso che ci aveva cresciuto.
Dopo la morte di Silente, il
Castello era stato preso dai Mangiamorte che ora ne gestivano le
attività; avevo saputo che avevano perfino intenzione di
insegnare Arti Oscure. L'unica rassicurazione – per quanto ci
riguardava – era sapere di trovare Piton come preside. Avrebbe
recitato bene la sua parte, come sempre, e ci avrebbe permesso di
agire pressoché indisturbati.
Camminammo nello stretto
corridoio, trovando molti scompartimenti occupati anche solo da una
persona. Il treno era decisamente meno affollato di come lo ricordavo
ma noi continuammo per trovare un posto completamente vuoto.
Trascinai il pesante baule
che avevo deciso di portare con me; per lo più c'erano abiti e
libri del tutto innocenti, mentre quello che d'importante mi serviva
era conservato nella mia borsa magica.
Superammo un ulteriore
scompartimento ed ebbi un tuffo al cuore.
Draco era lì, seduto
al fianco di Blaise Zabini, Pansy Parkinson e Astoria Greengrass.
Teneva la cravatta appena allentata, l'avambraccio destro disteso sul
tavolo e l'altro appoggiato distrattamente sulla gamba. Mentre gli
altri parlavano, lui guardava fuori dal finestrino lo scorrere del
paesaggio.
Poi, spostò gli occhi
in un punto imprecisato del vetro e ricambiò il mio sguardo
attraverso il riflesso, sgranando appena le palpebre. Quindi, si
voltò di scatto.
***
Era lei. Avrei
riconosciuto lo sguardo con cui mi fissava tra mille.
Fin da quando avevo saputo
che l'avrei trovata ad Hogwarts, fin da quando avevo messo piede sul
binario nove e trequarti, fin dall'inizio avevo sperato di poterla
vedere, soprattutto di poterla riconoscere. Che fattezze
avrebbe avuto? Di una donna o di un uomo? Undici o diciassette anni?
Mi sarebbe passata accanto, senza che potessi accorgermene? Ero
spaventato. Disperato all'idea che fosse lì, da qualche parte
su quel treno, senza che io potessi riconoscerla. Mentre ero sul
binario avevo passato in rassegna tutti i volti per trovare qualcosa
che mi facesse pensare a lei. Ogni trio che vedevo lo fissavo
insistentemente, sperando che fossero loro, che lei fosse lì.
Invano. O magari non ero stato in grado di capire che ce l'avevo
proprio davanti. Quella cosa mi stava logorando.
E poi, eccola.
Quell'espressione, il suo esitare davanti al mio scompartimento.
Aveva una treccia nera e gli occhi azzurri, eppure il suo sguardo
l'avrei riconosciuto sempre. Sciocco. Come avevo potuto
pensare che sarebbe potuta sfuggirmi? Come avevo potuto pensare che
sarei riuscito a sfuggirle?
Sorrisi, distendendo i
muscoli del viso, senza muovermi, combattendo contro la voglia che
avevo di alzarmi e stringerla a me, dopo settimane che non la vedevo.
***
« Kate, andiamo »
mi richiamò Ron, gli occhi spalancati e imploranti, facendomi
ridestare.
Ero sicura che fossero
passati poco più di dieci secondi ma mi pareva d'aver
scambiato con Draco uno sguardo infinito, denso e colmo di tante
parole. Gli sorrisi appena a mia volta, sicura che mi avrebbe potuto
vedere solo lui, felice che mi avesse riconosciuto così
rapidamente, da un riflesso nel vetro, dalla mia esitazione nel
trovarmelo di fronte.
Combattei contro la voglia
di entrare in quel cunicolo e abbracciarlo, stringermi a lui, dirgli
che sarebbe andato tutto bene. Non mi interessava sapere nemmeno
perché fosse lì, quali erano i suoi piani o,
probabilmente, quelli di Voldemort. Non ora. L'unica cosa che
riempiva il mio cervello al momento era il fatto che stesse bene, che
fosse lì, davanti a me.
Ripresi a camminare,
sforzandomi di mettere i piedi uno dopo l'altro. Non potevo
sbilanciarmi, non potevo fare o dire nulla; ma mi cullai nella
certezza che avrei potuto cercarlo in un secondo momento.
Trovammo posto qualche
scompartimento più in là, chiudendo la porta per non
essere disturbati.
« So che non c'è
bisogno di dirlo ma... » esordì Harry, guardandomi da
sotto uno scompigliato ciuffo biondo. « Non farti scoprire a
guardare Malfoy. »
Mi morsi appena il labbro
inferiore, rendendomi conto che la mia esitazione non era passata
inosservata. Ma come avrebbe potuto, per i miei migliori amici? Forse
quel sorriso, ma non quei dieci secondi di immobilità.
« Lo so. Non lo vedevo
da quel giorno, starò più attenta » dissi tra me
e me, guardandomi le mani intrecciate sulle gambe. « Mi chiedo
perché sia qui »
« Sicuramente è
stato Voldemort a mandarlo. Non penso possa agire di sua volontà,
oramai » ragionò Harry, poggiando la fronte sui pugni
chiusi. « Però la sua presenza può esserci molto
utile. Contando che ai piani alti abbiamo Piton. »
« Sì ma...
perché mandarlo qui se c'è già Piton? Qual è
il suo scopo? » intervenne Ron.
Strinsi le labbra, prendendo
un respiro; provai a ragionare come avrebbe fatto Voldemort.
« Probabilmente, Draco
gli serve per convincere gli studenti a stare dalla sua, per far
cadere Hogwarts dall'interno senza dover muovere un muscolo. È
un modo per reclutare sempre più seguaci, anziché
ucciderli. D'altronde gli serve gente viva che voglia combattere e le
menti giovani sono plasmabili. »
« Sì, »
annuì Harry, « anch'io penso che sia così. Il
problema è che Tom è troppo sicuro di sé per
notare che le due persone centrali del suo piano sono proprio quelle
che l'hanno tradito. »
***
Camminai lentamente nel
corridoio assolato del terzo piano. Avevo arrotolato la camicia fino
ad un palmo dal polso, non potevo di più. Sapevo bene che
nessuno avrebbe detto niente sul mio marchio, non in quel frangente,
non con Piton come preside. Anzi, per i miei compagni di Casa era
perfino un vanto; io, invece, me ne vergognavo ogni giorno. Pur
sapendo che era lì, sotto la stoffa, evitavo il più
possibile di guardarlo.
La routine del Castello,
seppur cominciata da nemmeno un giorno, mi dava già la nausea;
l'idea di seguire le lezioni, studiare, starmene seduto in quel banco
minuscolo. Mi allentai la cravatta ed entrai in biblioteca. Nel
dormitorio non avevo alcuna voglia di stare, tanto meno in Sala
Grande; troppa gente che voleva parlare con me. Lì –
notai con piacere esserci ancora Madama Pince – vigeva la
regola del silenzio, invece. Chissà quanto avesse lavorato il
mio inconscio per portarmi lì dentro facendo credere al mio io
di aver bisogno solo di un po' di pace.
***
Aprii un libro di storia
spesso quanto il mio pugno, facendo cadere pesantemente il lato
sinistro sul tavolo.
« Qualcosa appartenuto
a Corvonero, eh? » mormorai, sfogliando i capitoli. « Sei
sicuro? »
« Sicuro. Dopo la
coppa di Tassorosso, ci serve qualcosa di Corvonero » sussurrò
Harry, fissando il soffitto.
« Mi sembra un po'
poco come punto di partenza » si lamentò Ron,
rigirandosi una piuma tra le mani.
Lo ignorai, leggendo per
l'ennesima volta la storia della fondazione di Hogwarts. Prestai più
attenzione alla parte riguardante Corvonero, leggendo lentamente ogni
parola.
« Potrei chiedere a
Luna. »
« Lunatica? »
alzai un sopracciglio, guardandolo di sbieco.
« Dai. Lei è
Corvonero. »
« Sì ma pure
pazza. »
« Lasciala in pace,
Ron » lo spintonò Harry. « Ci serve tutto l'aiuto
possibile. »
« Sì, Harry ha
ragione » annuii, alzando completamente lo sguardo del libro. «
Dovresti cercarla mentre io continuo le ricerche qui dentro. Dobbiamo
ridurre i tempi il più possibile. E tu, Ron, ho sentito che
Neville e gli altri si vedono di nascosto, scopri dove. »
***
Imboccai il corridoio di
storia della magia, famoso per essere sempre vuoto: l'unica a cercare
spesso qualcosa tra quegli scaffali era lei. Mi pareva di
vederla, in divisa, i riccioli morbidi sospesi a metà schiena,
sollevata sulle punte mentre cercava di rimettere a posto un libro
troppo pesante. Quante volte l'avevo vista negli anni, quante volte
avevo finto di ignorarla?
Mi raddrizzai quando una
Tassorosso svoltò l'angolo, imboccando il corridoio dove mi
trovavo. Sapevo di avere un'espressione ammorbidita e recuperai,
contraendo lo sguardo. Ma fu un attimo e la mia espressione tornò
dolce. Quella ragazza si sollevò sulle punte, sforzandosi di
sistemare al suo posto un libro più grande della sua testa,
mordendosi il labbro inferiore.
La raggiunsi in qualche
passo e mi accostai alle sue spalle, prendendole il libro che teneva
in alto, pericolante tra le mani, e mettendolo sullo scaffale. Lei
reclinò il capo e spostò gli occhi verso l'alto per
guardarmi a rovescio, stupita.
Si voltò
completamente nello spazio tra la libreria e il mio corpo, sollevando
il suo sguardo per ricambiare il mio.
« Ehi »
mormorai, così stranito dal suo aspetto eppure così
felice di averla lì con me.
« Draco »
mormorò la sua voce, facendomi prendere un sussulto.
Sollevai lentamente una
mano, poggiandole i polpastrelli sulla guancia, socchiudendo gli
occhi per qualche istante. « Avevo bisogno di vedere il tuo
viso, ma credo che mi andrà bene anche così. Per ora »
aggiunsi.
« Non dovremmo... io e
te-»
« In realtà ora
che sei sotto Polisucco, è molto più facile passare
inosservati. Meglio che mi sappiano con una Tassorosso che con
Hermione Granger » le sussurrai.
« Shhh! » mi
zittì, guardandosi intorno.
Mi venne da sorridere, mi
era mancata davvero troppo. « Stasera voglio vederti. Torre di
Astronomia. Alle dieci. »
« Draco, per quanto
vorrei, io... non mi sembra il caso. »
Poggiai la mia fronte sulla
sua, chiudendo gli occhi. « So bene che il momento è
delicato, che il tempo è poco. So che dovrei fare ciò
che serve, ciò che è necessario. So che dovrei...
starti lontano. » Feci una pausa, spingendo il mento in avanti
per poggiare appena le mie labbra sulle sue. « Non riesco a
starti lontano » dissi in un sussurro.
« Draco »
mormorò Hermione, stringendo tra i pugni la stoffa della mia
camicia. Mi baciò appena e io la strinsi per qualche istante,
accovacciandomi sulla sua figura, nascondendo il viso tra i suoi
capelli.
Avrei voluto dirle tante
cose oppure, semplicemente, portarla via, scappare con lei, lontano
da tutto quello schifo, in un posto dove nessuno ci avrebbe mai
trovati. Ma lei non avrebbe mai mollato. Non avrebbe mai abbandonato
i suoi amici e non avrebbe mai rinunciato a lottare per qualcosa in
cui credeva, per qualcosa che avrebbe salvato tutti. Ed era giusto
così. Adesso lo capivo, attraverso lei e tutto ciò per
cui rischiava ogni giorno. Non l'avrei delusa, non sarei stato
vigliacco ancora una volta.
Mi limitai a stringerla più
forte, quasi fino a farle male. « Stai attenta. Quando tutto
finirà, staremo finalmente insieme. »
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