Green Green-Grass of Home

di Futeki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Take Me Home ***
Capitolo 2: *** Home is such a lonely place ***
Capitolo 3: *** You're my home ***



Capitolo 1
*** Take Me Home ***


Questa minilong è una sorta di spin-off di The end where I begin e appartiene quindi alla serie di Rusty Halo. Si tratta di una storia a sé stante e in quanto tale potrebbe essere letta indipendentemente dalle altre.

Poiché su EFP non è previsto l’avvertimento “trash” tra le caratteristiche di una fanfiction, mi preme specificare che questa storia presenta volutamente dei cliché e delle situazioni che potrebbero tranquillamente dirsi già viste un milione di volte.

Ma, come diceva il grande Mark Sloan, i cliché sono cliché per una ragione: perché funzionano.

 

 

 

GREEN GREEN-GRASS OF HOME

 

 

 

A Legar.

L'ho fatto davvero

e ci sono anche i petali di rosa.

 

 

 

 

I

TAKE ME HOME

If I’m laying here, will you take me home?

 

 

Il quartiere di Energlyn era uno dei pochi sobborghi di Caerphilly abitati quasi esclusivamente da Babbani. Già dalle prime ore del mattino si potevano scorgere tra le strade i furgoncini della consegna della posta e addirittura – quando il clima lo permetteva, perlopiù nella stagione estiva – alcuni postini si muovevano per i quartieri residenziali sulle loro bici, fermandosi di tanto in tanto a lasciare la corrispondenza in una buca delle lettere o un giornale dalle immagini immobili sui gradini di un portico.

Nonostante ciò, non era affatto raro che una civetta o un barbagianni solcassero il cielo con un biglietto legato a una zampa, per poi infilarsi in una casa passando per un camino o una finestra socchiusa. La posta via gufo era pressoché l’unico indizio che rivelasse la presenza di maghi all’interno della città. Non che fosse facile intravedere uno di questi rapaci notturni perfettamente addestrati, visto quanto erano discreti nell’adempiere ai propri doveri.

Il barbagianni che si infilò nella silenziosa villetta a due piani celata agli occhi dei Babbani era tanto bravo a passare inosservato da potersi definire quasi invisibile. Precipitò giù per la canna fumaria senza sporcarsi neanche una piuma di fuliggine ed entrò nel salottino non emettendo il minimo suono.

Il signor Greengrass sollevò lo sguardo dal giornale che teneva tra le mani per spostarlo sulla creatura, la quale si adagiò sullo schienale della sua poltrona per consentirgli di ritirare la lettera a lui destinata.

Annuì un paio di volte mentre leggeva, poi congedò l’animale con un colpetto, posò la missiva sul tavolino da caffè che aveva davanti e tornò al suo quotidiano.

Seduta su un’altra poltrona, sua moglie agitava la bacchetta con grazia, controllando con la magia un carboncino nero con il quale tracciava linee decise su una tavoletta bianca. L’abilità con cui immaginava e disegnava innovativi capi d’abbigliamento le aveva garantito un discreto successo nel settore, tanto che perfino nel negozio di Madama McClan a Diagon Alley si potevano acquistare prodotti della sua linea. Il suo lavoro era tanto apprezzato che se la famiglia Greengrass non fosse già stata una delle più ricche della Gran Bretagna, la sua opera sarebbe bastata a procurarle più galeoni di quanti avrebbe mai potuto spendere nella sua vita.

La minore delle sue figlie, Astoria, aveva ereditato la sua fantasia, ma aveva scelto di metterla a frutto nella nobile arte del preparare pozioni, sperimentando continuamente nuovi filtri. Nessuno ebbe da ridire sulla pericolosità di compiere tali esperimenti sul tavolino da caffè del salotto di casa senza alcuna protezione, perché Astoria Greengrass non sbagliava mai. Il suo genio superava addirittura quello già notevole di sua sorella Daphne, che, sebbene altrettanto capace e intelligente, mancava della pazienza necessaria a studiare ogni singolo aspetto di una pozione.

Invece di collaborare con la sorella, infatti, lei se ne stava stesa in maniera scomposta sul divano, le gambe allungate su un bracciolo e la testa posata su quelle di Blaise.

Quest'ultimo non pareva affatto infastidito dall'essere usato come cuscino, anzi di tanto in tanto accarezzava i capelli biondi di Daphne e ne arricciava qualche ciocca sulle proprie dita.

«Cara, dovresti davvero sederti come si converrebbe a una persona educata», le fece notare sua madre.

Daphne sapeva che non le interessava che fosse audacemente stesa addosso a Blaise, né la preoccupava che fosse così vicina al suo basso ventre da poterlo sfiorare semplicemente voltando la testa. No, a sua madre importava solo che stesse composta.

«Usciamo a fare una passeggiata?», propose, ignorando il richiamo della donna.

Nessuno le rispose.

Daphne si voltò verso sua sorella. «Astoria, ti va...»

«Ora non posso», la interruppe lei, senza alzare gli occhi dal suo calderone. «Sto cercando di capire cosa potrei usare al posto dell'Elleboro.»

Daphne scrollò le spalle. Avrebbe potuto aiutarla se si fosse sforzata di capire cosa stava facendo, ma non ne aveva voglia. Era stanca di stare in casa.

«Tu mi accompagni?», chiese, guardando Blaise dal basso.

Lui si sporse leggermente sopra di lei, per entrare completamente nel suo campo visivo. Rimase qualche istante in silenzio, prima di rispondere: «Sì.»

La strega si alzò e lo tirò per un braccio, poi chiamò uno dei due elfi domestici che gestivano la casa per farsi portare il cappotto, che aveva preferito al mantello per evitare di attirare l'attenzione tra i Babbani.

«Ci vediamo più tardi», salutò il resto della famiglia.

«Non fate tardi», li ammonì sua madre, senza distogliere l'attenzione dal proprio lavoro.

Suo padre invece rivolse loro una fugace occhiata. «State attenti.»

Daphne spalancò la porta e uscì portandosi dietro Blaise senza degnare di uno sguardo il resto della famiglia.

Il sole era appena tramontato e il paesaggio era tinto di viola. La strega si guardò intorno e cercò di apprezzare quei suggestivi ultimi istanti di luce, ma non ci riuscì. Le parve che ci fossero soltanto case e alberi per miglia, perché non vedeva altro.

Si incamminò in silenzio lungo la via che portava a Mill Road, la strada principale di Caerphilly, all’altezza in cui incrociava il fiume Nant yr Aber, che separava il loro quartiere dal resto della città.

Si trattava di una divisione puramente formale, eppure Daphne non riusciva a non sentirsi isolata dal resto del mondo e cercava spesso rifugio nel centro. Tuttavia, complice la netta maggioranza di cittadini Babbani, l’accogliente città di Caerphilly la faceva sentire un’estranea anche dopo averla ospitata per quasi sei mesi.

La verità era che non aveva modo di vincere la noia. Aveva addirittura pensato di mettersi a studiare, cosa che sua sorella faceva regolarmente, ma poi si era detta di non essere così disperata. Da quando si erano trasferiti, all’inizio dell’estate, non aveva fatto altro che girovagare per le strade più affollate della città in cerca di distrazione. Il suo disagio era accentuato dal fatto che nessun altro della famiglia sembrava sentirsi come lei. Tutti avevano approfittato dell’isolamento forzato per dedicarsi a ciò che amavano di più: suo padre leggeva giornali e gestiva i propri affari internazionali tramite posta via gufo, sua madre disegnava tutto il giorno, Astoria studiava o sperimentava nuove pozioni e Blaise, per non essere da meno e coltivare i propri interessi, passava tutto il tempo con Daphne. Eppure la sua presenza, benché la rendesse felice, non riusciva a sollevarle il morale.

A mano a mano che scemava l’entusiasmo che aveva accompagnato l’idea di uscire, Daphne rallentava. In silenzio, Blaise si adattò al suo passo, anche quando si ritrovarono ad andare così piano che sebbene riuscissero già a vedere il fiume, avrebbero impiegato una vita a raggiungerlo.

«Odio questa città», sentenziò Daphne.

Blaise si accigliò. «Non è così male.»

«Ma se non c’è mai niente da fare!», protestò lei.

«Sei tu che sei incontentabile», precisò Zabini. «Stiamo evitando i luoghi frequentati da soli maghi per non dare nell’occhio, ma ce ne sono molti altri interessanti. Ricordi quel posto dove si mangiava cibo spazzatura Babbano

«Il fast food

«Quello. Fu una bella giornata.»

Quella domenica mattina, lei, Blaise e sua sorella avevano fatto una passeggiata a Morgan Jones Park ed erano stati sorpresi dalla pioggia. Impossibilitati ad usare le bacchette davanti ai Babbani, avevano trovato rifugio all’interno del primo locale pubblico che avevano incrociato su Mill Road, rivelatosi poi un fast food. Scettici ma affamati, avevano deciso di dare una possibilità a quello strano cibo Babbano e si erano ritrovati seduti attorno a un tavolino a mangiare patatine fritte che sembravano Asticelli e a bere una frizzante bevanda marrone che Astoria giurava stesse per uscirle dal naso. Avevano riso così tanto da dimenticare di trovarsi in mezzo ai Babbani.

«Vero», gli concesse. «Un caso raro.»

Blaise alzò gli occhi al cielo. «Se mi prometti di non bocciare a priori tutte le mie proposte, entro stanotte troverò qualcosa di interessante da fare.»

Daphne sorrise. «Andata.»

 

 

Mill Road era più affollata del solito. I Babbani si fermavano davanti alle vetrine illuminate e si infilavano nei negozi per poi uscirne carichi di borse e pacchetti. Camminavano sui marciapiedi in compagnia, ridendo e chiacchierando spensierati.

Non faceva abbastanza freddo perché nevicasse, ma nessuno sembrava aver bisogno delle strade imbiancate per sentire l’aria natalizia.

Blaise lanciò un’occhiata a Daphne, che si guardava intorno con aria leggermente infastidita. Sapeva a cosa stava pensando. Non c’era niente, in quel posto, che le desse l’idea di essere a casa. L’assenza di magia le risultava inaccettabile e proprio non riusciva a capire come i Babbani potessero comportarsi come se ne fossero circondati. La chiamavano magia del Natale, mentre lei non vedeva altro che decorazioni immobili e spente, luci fredde e artificiali, colori opachi e immutabili.

«È soffocante», disse infatti di punto in bianco e se Blaise non l’avesse conosciuta così bene, probabilmente non avrebbe capito a cosa si stesse riferendo.

«Lo so», concordò in tono tranquillo. «Ma siamo al sicuro proprio perché è un posto così scialbo che a nessuno verrebbe in mente di cercarci qui.»

«Dov’è la Comunità Magica?»

Gli faceva quella domanda almeno una volta al giorno e lui le dava sempre la stessa risposta, benché sapesse che non era realmente necessario. «In periferia, tutti i quartieri lontani dal centro della città sono perlopiù abitati da maghi.»

«Noi stiamo in periferia», gli fece notare come al solito.

«Energlyn è un sobborgo Babbano

Camminarono fianco a fianco in silenzio, rallentando quando Daphne scorgeva qualcosa di interessante in una vetrina. Si fermava in preda alla curiosità ad ammirare prodotti Babbani di cui non riusciva a spiegarsi il funzionamento, poi distoglieva lo sguardo in fretta e riprendeva a camminare.

Blaise pensava a sua madre.

Gli aveva scritto una lettera che i signori Greengrass gli avevano consegnato a mano quando erano andati a prendere lui e le loro figlie alla stazione di King’s Cross, di ritorno dal loro sesto anno, dopo la morte di Albus Silente. Nella lettera, sua madre gli diceva di andare con loro in una casa sicura, mentre lei avrebbe detto in giro che suo figlio aveva deciso di rimandare l’ultimo anno di scuola per visitare l’Europa. Sarebbe rimasta a casa dei Malfoy per aiutare Narcissa e Draco a sopravvivere alla guerra e all’ira del Signore Oscuro, ancora furioso con loro, nonostante Draco avesse portato a termine l’incarico che gli era stato assegnato.

Nessuno si sarebbe fatto troppe domande sulla sparizione dei Greengrass dall’Inghilterra. Non di rado i genitori di Daphne erano partiti alla volta di qualche capitale europea in cui avevano affari da gestire. E una volta che qualcuno si fosse reso conto che non sarebbero tornati tanto presto, sarebbe stato troppo tardi per rintracciarli. Quasi nessuno era a conoscenza della casa che avevano acquistato moltissimi anni prima in un quartiere Babbano di Caerphilly, nel Galles sud-orientale, lontano da tutti coloro che conoscevano.

«Allora?», gli chiese Daphne, improvvisamente allegra. Si era distratto un istante di troppo e aveva perso il filo dei suoi pensieri, che normalmente le leggeva in faccia a chiare lettere. «Cosa stai architettando?»

Intrecciò la mano alla sua e Blaise non protestò, né la strinse. «Che intendi?»

«Hai detto che avresti proposto qualcosa da fare», gli ricordò.

Blaise batté le palpebre e si trovò a guardare il laghetto artificiale illuminato dai lampioni. «Che ne dici di visitare il Castello?», suggerì.

Lei parve perplessa. «Ma a quest’ora è chiuso. Dovremmo tornare domattina.»

«Penso che sia molto più suggestivo di notte», replicò lui con un mezzo sorriso.

«Vuoi entrare di nascosto?», tentò di indovinare Daphne, eccitata all’idea.

Blaise scosse la testa. «Sarebbe rischioso, potrebbero vederci. Ma domani potremmo entrare prima dell’orario di chiusura e nasconderci all’interno. Basterà non farci trovare.»

Daphne approvò e Blaise non ne fu affatto sorpreso. Sapeva di poterla convincere con l’allettante presupposto di infrangere qualche regola.

 

 

Una volta rientrati, Daphne si diresse allegramente verso la camera della sorella e le spiegò cosa avevano deciso di fare lei e Blaise. Astoria non si mostrò affatto entusiasta come si era aspettata e si rifiutò di andare, sostenendo che preferiva restare a casa a leggere un buon libro.

Litigarono.

Al piano inferiore, nel salotto con il camino acceso, i signori Greengrass si scambiarono un’occhiata.

«Vai tu?», domandò la madre delle ragazze.

Suo marito bevve un sorso di Whiskey Incendiario. «Sì, ma non subito. Lasciamo che si sfoghino un po’.»

«D’accordo», acconsentì lei. «Ma intervieni prima che mettano mano alle bacchette.»

In quello stesso istante udirono un rumore sospetto di vetri infranti.

I due coniugi si scambiarono un’occhiata eloquente, poi il signor Greengrass fece per alzarsi.

«Potrei andare io», suggerì Blaise, attirando i loro sguardi su di sé. Scrollò le spalle. «Magari riesco a farle ragionare.»

Acconsentirono, quindi Blaise salì le scale due gradini alla volta ed entrò in camera di Astoria senza neanche bussare.

«Expelliarmus

Le disarmò entrambe contando sull’effetto sorpresa. Poi riparò il vetro della finestra, probabilmente distrutto da un incantesimo, e fece Evanescere i resti di una pozione rovesciata che stava corrodendo il tappeto.

«Piantatela», disse in tono secco.

Astoria fulminò sua sorella con lo sguardo. Daphne strinse i pugni e aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. Si voltò e uscì senza neanche riprendersi la bacchetta. Sbatté la porta della propria stanza, in un chiaro invito a non essere disturbata.

Blaise guardò la minore delle Greengrass come a chiedere spiegazioni.

«Oh, andiamo, Blaise!», disse lei, irritata. «Non fare quella faccia, sai bene che non sono stata io a cominciare. Come può lei essere la sorella maggiore se è così infantile

«Astoria…»

«Si è arrabbiata perché le ho detto che non ho voglia di venire con voi al castello domani notte», spiegò in breve.

«Ma tu sapevi che si sarebbe arrabbiata, perché sapevi quanto si annoiasse. E sapevi che voleva soltanto fare qualcosa di diverso insieme a te.»

Lei sospirò.

«Vuoi negarlo?»

«No, ma…»

«Perché le hai detto di no?», chiese in tono più gentile. «Non ti costa nulla e potrebbe perfino piacerti. C’è una grande biblioteca nel castello.»

Astoria lo fissò come se fosse idiota. «Perché volevo lasciarvi soli, ovviamente

Blaise inarcò un sopracciglio. «Prego?»

«È frustrata!», esclamò lei. Poi aggiunse, abbassando la voce: «Dovreste fare un po’ di sesso in più, magari sarebbe meno acida e irrequieta.»

«E tu perché mai stai parlando di sesso con me?», domandò, leggermente a disagio. Per lui Astoria era come una sorella minore.

«Perché c’è un limite all’acidità che posso sopportare da parte sua e lei l’ha superato da mesi.»

Blaise roteò gli occhi. «Daphne non avrà un carattere facile…»

«Questo è l’eufemismo dell’anno.»

«… ma ti assicuro che neanche tu sei una Puffola Pigmea.»

«Io odio le Puffole Pigmee.»

«Ecco, appunto», le fece notare Blaise. «È tua sorella e ti vuole bene. Falla contenta. Ti assicuro che non è affatto il caso di lasciarci soli. Non sono le occasioni a mancarci.»

«Certo, quello che manca è il sale nella zucca di Daphne», borbottò lei in risposta.

Lui sospirò. «Lasciamo perdere», disse, poi posò la bacchetta di Astoria su una mensola e fece per uscire.

«Blaise?», lo chiamò lei prima che se ne andasse.

Si voltò.

«Non assecondarla troppo, soprattutto quando ti allontana», gli disse piano. «Daphne non ha idea di cosa sia meglio per lei.»

Blaise si limitò a guardarla attentamente e si chiese quando fosse diventata così perspicace. Probabilmente, si disse, lo era sempre stata, ma non aveva mai ritenuto necessario farglielo sapere.

 

 

Bussò alla camera di Daphne e lei gli urlò di andarsene. Blaise aveva ancora la sua bacchetta, quindi sapeva che la porta non era sigillata con la magia e che avrebbe potuto aprirla comunque, ma non lo fece.

Tornò un’ora dopo, bussò ancora e, senza attendere risposta, entrò con un sacchetto di carta marrone tra le mani.

«Cibo spazzatura Babbano», disse sollevando il bottino. «Non dirò a nessuno che l’hai mangiato se farai altrettanto per me.»

Daphne era seduta sul letto con le ginocchia strette al petto. Sollevò lo sguardo su di lui e sorrise.

Blaise si chiuse la porta alle spalle e andò a sedersi di fronte a lei. Le allungò un sacchetto pieno di patatine fritte e lei lo prese.

«Sono invidiosa di mia sorella minore, Blaise», decretò mentre iniziava a mangiare. «La detesto.»

«Non è vero, le vuoi bene», replicò lui.

«Sì, ma la detesto anche. Lei è così... equilibrata. È intelligente, ha spirito di iniziativa e sa cavarsela benissimo in qualsiasi situazione.»

Blaise si accigliò. «Anche tu sei così.»

«Non è vero! Da quando siamo qui mi sembra di impazzire! Ha ragione lei quando dice che mi comporto in maniera strana.»

Lui rifletté. «Non sei strana. Però tu sei più sensibile di Astoria, lei è molto più fredda, mantiene sempre il controllo. Tu sembri... turbata.»

Daphne si limitò a guardarlo, confermando la sua teoria.

«Vuoi dirmi a cosa pensi?», le domandò alla fine, in tono serio.

Lei sospirò e mangiò una patatina prima di rispondere: «A niente.»

Blaise non insisté, ma neanche le fece credere di essersela bevuta.

«Alla guerra», ammise.

«Quale guerra?»

«Quella che ci sarà tra poco.»

Lui le fece segno di spiegarsi meglio.

Daphne inspirò profondamente. «Hai mai visto la guerra, Blaise? Certo che no. Neanche io», disse senza aspettare la sua risposta. «Però concordano tutti nel dire che non è bella. Il Signore Oscuro vuole emarginare i Nati Babbani e uccidere Potter. Potter vuole uccidere il Signore Oscuro e proteggere i Nati Babbani. Silente è morto, quindi non può aiutarlo, perciò Potter è in fuga perché la realtà è che non esiste al mondo un mago abbastanza potente da uccidere il Signore Oscuro. L'unica possibilità che ha è quella di trovare tutto l'aiuto possibile, il che significherebbe guerra aperta, morti e distruzione», spiegò tutto d'un fiato.

Blaise non la interruppe.

«Supponiamo invece che Potter fallisca e che il Signore Oscuro lo uccida prima che lui riesca a crearsi un esercito. Le uniche vittime saranno i Nati Babbani, qualche dipendente del Ministero e qualche insegnante di Hogwarts troppo attaccato al passato. Senza Potter si arrenderanno quasi tutti e i Mangiamorte governeranno la Comunità Magica Britannica. A poco a poco spariranno tutti i Nati Babbani. Poi sarà il turno dei Mezzosangue. I maghi saranno sempre di meno, sempre più incuranti dei Babbani, convinti di essere superiori. Non ci saranno più rapporti diplomatici con loro, né leggi che li tutelino dalla magia dei maghi. I Babbani si spaventeranno e allora sai cosa succederà? Ci sarà una guerra anche in questo caso e loro saranno molti più di noi, saranno armati con la loro assurda tecnologia e anche se dovessimo vincere, morirà un sacco di gente.»

Blaise rimase senza parole.

Lei si schiarì la voce. «Ti rendi conto che la migliore possibilità per la Comunità Magica è quel babbeo di Harry Potter?»

Poi mangiò un'altra patatina.

«Merlino, da quant'è che ci pensi?», le domandò Blaise, decisamente sorpreso.

Scrollò le spalle. «Da un po'.»

«Daphne, qualsiasi cosa accada noi saremo lontani.»

«Lo so», si affrettò a rispondere lei. «E non fraintendermi, non è questo a spaventarmi. Sono in pensiero per tua madre, per Draco, per Pansy, ma egoisticamente posso dire che tutte le persone che amo sono tra queste mura e che qualunque cosa succeda in Inghilterra o a Hogwarts non mi toccherà direttamente. Ma quanto ci vorrà perché le strade diventino un campo di battaglia? Il Ministero è praticamente caduto, Hogwarts è in mano ai Mangiamorte e la situazione non può che peggiorare. Non dovremmo neanche essere qui, la cosa più saggia sarebbe lasciare la Gran Bretagna. Ma come posso accettare di non tornare più indietro? Quella è casa mia

Blaise si allungò verso il comodino di Daphne e prese una salvietta per pulirsi le mani, poi fece Evanescere il proprio sacchetto di patatine, ormai vuoto.

«Se davvero le cose dovessero andare così male e non potrai tornare a casa, tutto ciò che dovrai fare sarà ricominciare altrove. Non sarà facile, ma neanche impossibile», disse con dolcezza. «E poi hai la tua famiglia con te, non sei sola.»

Daphne sospirò. Estrasse l'ultima patatina dal sacchetto, che poi allungò a Blaise perché lo facesse Evanescere.

«Mi sento meglio», ammise.

«Sfogarsi fa sempre bene», replicò lui, stendendosi al suo fianco.

Daphne gli porse l'ultima patatina, ma lui scosse la testa. «Mangiala tu.»

«Dividiamola», propose con uno sguardo malizioso.

Blaise intuì cosa aveva in mente e lasciò che gli infilasse la patatina tra le labbra. Poi lei si chinò su di lui, tenendosi i lunghi capelli biondi con la mano pulita, e morse l'altra metà della patatina. Blaise sentì il sapore del sale sulle sue labbra, prima che lei si sollevasse e si allungasse dall'altra parte per prendere una salvietta.

Poi si stese accanto a lui.

«Hai ancora tu la mia bacchetta, non è vero?»

Blaise annuì, la sfilò dal mantello e gliela porse. Daphne la posò sul comodino.

«Credo che domani Astoria verrà con noi», disse mentre lei sistemava la testa sulla sua spalla.

«Davvero?»

La abbracciò. «Sì.»

«Perché a me non dà retta e a te sì?»

«Forse ha una cotta per me.»

Daphne gli diede una gomitata nelle costole e lui scoppiò a ridere.

«Pensi che i miei genitori abbiano mai visto il castello?», chiese di punto in bianco. «Dopotutto hanno questa casa da moltissimi anni, venivano qui prima ancora di sposarsi.»

«Oh, certo», fece lui divertito. «Sono sicuro che venissero in questa casa, acquistata sotto falso nome da due giovani innamorati prima del matrimonio, proprio per visitare il castello.»

Lei gli diede un’altra gomitata, ma non poté fare a meno di ridere.

Continuarono a chiacchierare del più e del meno fino a che Daphne non si addormentò. Quando il suo respiro si fece più pesante, Blaise la strinse di più a sé e prese ad accarezzarle la schiena.

La signora Greengrass li trovò in quella posizione quasi un’ora dopo, quando fece capolino dalla porta per dare un’occhiata alla figlia.

«Dorme?», chiese a Blaise in un sussurro.

Lui annuì. «Vado via tra poco.»

Lei fece un gesto con la mano per suggerirgli di non preoccuparsi, poi entrò e si chiuse la porta alle spalle.

«La prima volta che vi trovai a dormire insieme avevate quattro anni ed eravate in questa stessa posizione», commentò divertita.

Blaise la osservò. Era facile intuire da chi Daphne avesse ereditato la sua avvenenza. Nonostante l’età, la signora Greengrass era ancora una bella donna e i suoi aristocratici modi di fare la rendevano molto elegante.

«Siamo tradizionalisti», replicò con un sorriso.

Le voleva bene come a una seconda madre.

«Grazie per avermi portato qui con voi», le disse riconoscente. «E per tutto quello che fate per me.»

«Blaise, tesoro, non dire sciocchezze», lo redarguì lei, «tu sei parte della famiglia. E poi Merlino solo sa quanto Daphne abbia bisogno di te e cosa farebbe se non ci fossi», disse in tono ovvio. «Tu tiri fuori il suo lato migliore e ancora non so come ci riesci.»

«È perché non la lascio mai vincere», suggerì lui con un mezzo sorriso, ma lei scosse la testa.

«Neanche Astoria, eppure non ottiene lo stesso risultato.»

Blaise non disse nulla e la donna si limitò a sistemare la coperta addosso alla figlia, poi si allontanò.

«Buonanotte, Blaise

«Buonanotte», rispose lui, ma la porta si era già richiusa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Green Green Grass of Home è una canzone del 1965 interpretata da numerosi artisti britannici. Il titolo si traduce con L’erba verde verde di casa e rimanda ai luoghi familiari dell’infanzia dell’autore. Il riferimento, nel mio caso, è alla situazione che vede i Greengrass (di qui il trattino nel titolo, grazie al quale l’erba verde diventa il cognome di Daphne) lontani da casa e alla ricerca di un luogo sicuro, più metaforicamente che in senso letterale.

 

Take me home è una canzone dei Jess Glynne del 2015. La traduzione è Portami a casa e il sottotitolo (If I’m laying here, would you take me home?) significa: Se io stessi qui distesa, tu mi porteresti a casa?

 

Note

Rieccoci con la minilong promessa!

Ci tengo a precisare che questa fanfiction nasce su esplicita richiesta della beta, che ha anche suggerito dei prompt per rendere ancora più trash il tutto, nella migliore tradizione defilippiana (perché Queen Mary docet), quali esterne, balli improvvisi, petali di rosa e canzoni di Alessandra Amoroso.

E io, che sono la paladina dei cliché e del trash, non potevo tirarmi indietro.

Comunque questa fanfiction vuole mantenere una parvenza di serietà, quindi a dispetto della sua genesi, vediamola per quello che è, ovvero un extra su Blaise e Daphne, le cui vicende in Rusty Halo erano state tanto apprezzate.

Le descrizioni della città di Caerphilly e del quartiere di Energlyn sono quanto più accurate possibile, ma presentano ovviamente elementi fuori dal canon: la Rowling menziona Caerphilly in riferimento alla sua squadra di Quidditch, i Caerphilly Catapults, ma non aggiunge informazioni sulla Comunità Magica del luogo, quindi il tutto è opera della mia fantasia.

Anche per quanto riguarda la famiglia Greengrass ho inventato gran parte delle informazioni, perché assenti nel canon.

 

Il prossimo aggiornamento avverrà tra una settimana circa, nel frattempo colgo l’occasione per augurare a tutti buone feste e ringraziarvi per aver continuato a seguire le mie fanfiction.

Un abbraccio virtuale e buon Natale!

 

Futeki Efp

 

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Capitolo 2
*** Home is such a lonely place ***


II

HOME IS SUCH A LONELY PLACE

Don’t wait for me, home is such a lonely place without you.

 

 

Le luci dei lampioni attorno al castello di Caerphilly si incrociavano a mezz’aria prima di toccare la superficie del lago, creando particolari giochi d’ombre sull’acqua. Qua e là, qualche papera nuotava silenziosa, tenendosi a distanza dal ponte di ingresso al castello.

La folla veniva fuori dal grande portone principale, ma non era abbastanza fitta perché Blaise, Daphne e Astoria riuscissero a entrare, andando controcorrente, senza attirare l’attenzione dell’addetta alla sorveglianza.

Blaise si tolse la giacca e la porse a Daphne, che la infilò nella borsetta magicamente ampliata. Fecero per entrare e quando fu fatto loro notare che il castello stava per chiudere al pubblico, Blaise si avvicinò alla ragazza esibendo il migliore dei suoi sorrisi.

«Buonasera…», lanciò un’occhiata al cartellino con il nome che portava al collo, «Sarah. Lo capisco, ma vedi, devo rientrare a prendere la mia giacca, che ho dimenticato prima durante la visita guidata.»

Lei sbatté le palpebre, un po’ confusa dai suoi modi gentili e ammalianti al tempo stesso. «Certo», disse alla fine, lasciandoli passare, «ma uscite al più presto, siamo all’orario di chiusura.»

«Senz’altro. Grazie», aggiunse con un occhiolino.

Lei gli rivolse un sorriso imbarazzato, poi si fece da parte.

«Non dovevi disturbarti a flirtare con lei», sbottò Daphne mentre gli restituiva la giacca, quando furono entrati.

«Nessun disturbo», replicò lui divertito.

Astoria alzò gli occhi al cielo.

Si addentrarono nel castello cercando di evitare i membri del personale che li avrebbero indirizzati verso l'uscita. Trovarono una rampa di scale che portava al piano superiore e salirono, allontanandosi dalla folla.

Rimasero soli tra i corridoi antichi e iniziarono ad esplorare l’ambiente. Sulle pareti erano sistemate numerose torce spente, mentre l’illuminazione proveniva da lampade Babbane installate sul soffitto. A parte ciò, l’atmosfera rimandava alla scuola di Hogwarts. Di tanto in tanto si imbattevano in porte di legno sigillate e armature decorative. Arrivati all’incrocio con un altro corridoio, videro un custode notturno e dovettero nascondersi dietro un angolo.

Si scambiarono un’occhiata eloquente.

«Io ho addosso la Traccia», ricordò Astoria.

Blaise estrasse la bacchetta e la puntò contro l’uomo, pronto a lanciare un incantesimo Confundus.

Daphne lo trattenne. «Non è prudente usare la magia su un Babbano», disse estraendo a sua volta la bacchetta. Rivolse un cenno del capo a un’armatura. «Wingardium Leviosa

L’ascia decorativa che teneva bloccata tra le mani si staccò dal supporto, producendo un rumore metallico.

Attirata la sua attenzione, il custode tornò indietro e, non appena fu abbastanza vicino all’armatura, Daphne interruppe l’incantesimo. L’ascia fendette l’aria a meno di un metro dal viso dell’uomo, che sobbalzò e lanciò un urlo. Poi si mise a correre, lasciando il corridoio deserto.

Astoria rise e anche Blaise assunse un’espressione divertita.

«Non avresti dovuto spaventarlo a morte», finse di rimproverarla.

Daphne scrollò le spalle. «È stato efficace. E divertente.»

Proseguirono indisturbati per i corridoi deserti. Di tanto in tanto Daphne apriva con la magia una porta sigillata e Astoria restava minuti interi a guardare i reperti storici esposti.

Arrivarono in una stanza che doveva essere stato un piccolo salotto. Le pareti decorate e i divanetti disposti in semicerchio di fronte al camino le davano un'aria di familiare eleganza, che a Blaise ricordò, non senza una nota di nostalgia, la Sala Comune di Serpeverde.

«Cosa pensate che stia succedendo a Hogwarts in questo momento?», chiese Daphne, che doveva aver avuto più o meno i suoi stessi pensieri.

«Niente di troppo diverso da quello che succedeva gli anni scorsi, secondo me», intervenne Astoria, mentre sfogliava distrattamente le pagine di un libro antico tirato fuori da una teca di vetro. «Almeno per quanto riguarda i Purosangue», aggiunse voltandosi a guardare la sorella.

Daphne scrollò le spalle. «Le ingiustizie ai danni dei Mezzosangue non lasceranno indifferenti gli studenti, soprattutto i Grifondoro. Hogwarts si è sempre fondata sull'equilibrio tra le Case e se questo equilibrio venisse a mancare ci sarà una ribellione.»

«La soffocheranno», tagliò corto Astoria, rimettendo a posto il libro. «Se il Signore Oscuro non ha ancora apertamente preso il Ministero è perché vuole che prima sia tutto sotto controllo. Non fornirà alla Comunità Magica un motivo evidente per riunirsi e combattere, figuriamoci se lo consentirà ad Hogwarts. Piton farà tutto ciò che potrà per impedirlo, compreso espellere chiunque mini la sua autorità.»

Daphne annuì e si lasciò cadere su una poltrona. Puntò la bacchetta contro il camino e accese il fuoco.

«Chissà se Draco sta bene», aggiunse tra sé.

«Nella sua ultima lettera, mia madre mi ha detto che sia lui che Lady Narcissa sono abbastanza al sicuro, per quanto lo si possa essere con il Signore Oscuro tra le mura di casa», rispose Blaise, appoggiandosi allo schienale della sua poltrona.

«Se la caverà», decretò Astoria. «Lui se la cava sempre, è secondo soltanto a quel babbeo di Pot...»

Un clangore metallico la interruppe e indusse i ragazzi a voltarsi verso la fonte del rumore. In un angolo della stanza, dove una serie di lance erano appoggiate a una rastrelliera, il fantasma di una donna fluttuava su uno scudo che roteava ancora sul pavimento dopo essersi staccato dal proprio supporto.

La donna, vestita di verde e dai lineamenti delicati, puntò il proprio sguardo semitrasparente sui ragazzi.

«Voi siete maghi», osservò con una punta di sorpresa nella voce. «Dite, siete qui per caso per portarmi notizie del mio amato Gruffudd

I tre si scambiarono occhiate perplesse.

«No, signora», rispose Blaise, in tono educato. «Non conosciamo nessuno con quel nome.»

«Oh, ma certo», fece lei, scuotendo il capo traslucido. «Dovete scusarmi, aspetto da così tanto tempo da essere diventata impaziente.»

I ragazzi non replicarono.

«E maleducata!», aggiunse la donna avvicinandosi di pochi passi. «Non mi sono neanche presentata. Il mio nome è Alice de Lusignan of Angoulême, ma i più si rivolgono a me chiamandomi Dama Verde», concluse con un sorriso.

«Piacere di conoscerla, Milady», rispose lui. «Il mio nome è Blaise e loro sono Astoria e Daphne», disse indicando le ragazze, curandosi di non rivelare i loro cognomi.

«Il piacere è mio. Ma ditemi, cosa ci fate qui a quest’ora? Il castello è chiuso al pubblico.»

«Volevamo visitarlo senza la solita folla», rispose Daphne, intervenendo nella discussione.

«Speriamo che non le dispiaccia», aggiunse Blaise. «Non avevamo idea che il castello fosse già… occupato. Né tantomeno che lei aspettasse qualcuno.»

«Oh, non preoccupatevi», rispose lei, liquidando il discorso con un gesto della mano. «Gruffudd arriverà, che voi siate presenti o meno. Se avessi tenuto fuori chiunque per tutto il tempo in cui l’ho aspettato, questo castello sarebbe rimasto deserto per oltre settecento anni.»

«Settecento?», le fece eco Astoria, senza nascondere la sorpresa.

«Sì, anno più, anno meno», confermò il fantasma. «Ma il nostro amore va oltre i limiti del tempo, di questo sono certa.»

«Lui è…», iniziò Daphne, ma poi si interruppe, incapace di trovare le parole giuste.

«Morto?», concluse la donna per lei, con un risolino. «Lo è. Se anche fosse riuscito a sfuggire alla vendetta di mio marito, sarebbe comunque troppo vecchio per essere ancora in vita.»

«Suo marito?», chiese Astoria, perplessa.

«Sì, mio marito Gilbert de Clare, conte di Hertford e di Gloucester e Lord del Gamorgan, nonché padre delle mie figlie, assassino dell’amore della mia vita e, indirettamente, della sua stessa moglie.»

Blaise si accigliò e le ragazze parvero così stupite che la Dama Verde sorrise divertita. «Vi piacerebbe conoscere l’intera storia?»

 

 

Pochi minuti dopo, i ragazzi erano seduti davanti al fuoco acceso e, a separarli dal camino, Alice de Lusignan of Angoulême fluttuava nell’aria e i suoi occhi traslucidi erano persi nei ricordi.

«Avevo diciassette anni quando lasciai la Francia per andare a vivere in Inghilterra. Sposai Gilbert quando lui aveva soltanto dieci anni e neanche un briciolo della crudeltà che avrebbe mostrato in seguito», iniziò a raccontare.

Blaise lanciò un’occhiata a Daphne e si compiacque di trovarla completamente assorbita dalle parole del fantasma, felice che finalmente mostrasse interesse per qualcosa.

«Negli anni seguenti, mio marito ereditò le ricchezze e i titoli del padre. Vinse innumerevoli battaglie ed estese i propri possedimenti a danno di chiunque osasse intralciarlo. Partecipò perfino al massacro degli ebrei di Canterbury, guadagnandosi la scomunica da parte del papa, ma naturalmente non gli importava affatto del dissenso di un Babbano, sebbene rappresentasse una delle massime autorità di quei tempi. Insomma, non era affatto una bella persona», tagliò corto la Dama Verde, accompagnando quelle parole con un gesto della mano. «Ma a me non importava. Non lo amavo, né avevo alcun desiderio che fosse altrimenti. Mio marito non era mai al castello con me, tuttavia io ero una persona serena, godevo di tutti gli agi di cui poteva disporre una signora dell’epoca e avevo due splendide figlie. Non avevo però messo in conto che dalla vita avrei potuto avere di più», disse con un sorriso triste.

«Conobbi Gruffudd in occasione di una sua visita al castello. Ci innamorammo con la rapidità di due persone destinate a stare insieme che il fato ha fatto incrociare. Lui mi mostrò cosa fosse la felicità e io compresi che non avrei più potuto farne a meno.»

La donna riportò lo sguardo sui ragazzi, prestando particolare attenzione a Daphne e Astoria. «Vedete, l’amore può essere una delle più grandi maledizioni della vita, perché ci mostra che, per tutto il tempo in cui abbiamo creduto di non averne bisogno, abbiamo vissuto a metà. Ma è anche una grande benedizione, perché nella sofferenza dovuta alla mancanza di ciò che abbiamo conosciuto e perso, resta sempre la speranza di poter riavere quella felicità, anche solo per un istante.»

Blaise guardò Daphne di sottecchi e la vide pensierosa. Aveva idea, quella meravigliosa, testarda ragazza, che era esattamente quello il modo in cui lui si sentiva a causa sua?

«Ci amammo in segreto per mesi», proseguì la Dama Verde, «ma lui aveva un cuore troppo puro per non soffrire per la nostra situazione. Il suo senso di colpa per avermi trascinato nell’adulterio lo spinse a confessarsi. Sapete, è una cosa che oggi fanno solo i Babbani, confidano a un rappresentante di una religione le proprie colpe nel tentativo di alleggerirsi il cuore. All’epoca il Mondo Magico non era così separato da quello Babbano da non esserne influenzato in termini di tradizioni e usanze. Fu in questo modo che mio marito venne a sapere di noi. Rientrò al castello, furioso per essere stato ingannato, e mi ripudiò. Tornai in Francia umiliata e distrutta dal dolore, pensando che non avrei più avuto notizie del mio amato. Invece ricevetti un gufo poco tempo dopo», disse con un sorriso triste, «con il quale mio marito mi informava della morte di Gruffudd per impiccagione, su suo ordine.»

Astoria si incupì, Daphne spalancò gli occhi.

«Morii così», proseguì lei, tranquilla. «Un attimo prima ero viva e quello dopo il mio corpo giaceva inerte sul pavimento, con il cuore spezzato. Sono tornata qui al castello, perché ero convinta che avrei ritrovato qui il mio Gruffudd. Però lui non c'era.»

«Perché non è andata a cercarlo altrove?», chiese Daphne, sinceramente curiosa.

«Perché sono sicura che lo sta già facendo lui. E se cominciassimo a cercarci entrambi finiremmo per non trovarci mai.»

Daphne tacque.

«Ma perché aspettarlo qui?», insisté Astoria. «Non è doloroso rivivere i ricordi che queste mura riportano alla mente?»

La Dama Verde scosse la testa. «Questo è il luogo in cui mi sono innamorata. È qui che ho imparato cosa significasse vivere appieno. Questo posto mi ha dato tanto quanto mi ha preso e continua ad essere così anche adesso.»

Blaise sorrise e Daphne si voltò a guardarlo proprio in quel momento, rivolgendogli un'occhiata perplessa.

«Arriverà», disse il giovane mago, che non aveva aperto bocca fino a quel momento.

La donna gli rivolse un sorriso dolce. «Arriverà», ripeté.

Nella stanza calò il silenzio. La Dama Verde tolse i ragazzi dall’imbarazzo proponendosi come guida per il castello. Al solo sentirle nominare la biblioteca, Astoria si illuminò e scattò in piedi.

La minore delle Greengrass chiacchierò con il fantasma come se fossero amiche di vecchia data mentre camminavano per i labirintici corridoi. Pochi passi dietro di loro, Blaise e Daphne le seguivano tenendosi in disparte.

«Perché le hai detto che arriverà?», domandò la strega di punto in bianco.

Blaise le lanciò un’occhiata interrogativa.

«Gruffudd. Se non è arrivato negli ultimi settecento anni, quante possibilità ci sono che arrivi in futuro?», precisò.

«Quasi nessuna», confermò lui serenamente.

«E allora perché…»

«Per il quasi», la anticipò.

Daphne rifletté per qualche istante. «Non avresti dovuto illuderla.»

«Pensi forse che lei non ne sia consapevole?», replicò, inarcando un sopracciglio. «Sa benissimo che le probabilità sono a suo sfavore. Ma un barlume di speranza è tutto ciò che le resta, assieme ai ricordi ambientati tra queste mura.»

«Non credi che dovrebbe, che ne so… andare avanti?»

Blaise la guardò come se fosse impazzita. «Daphne, forse non lo hai notato, ma lei è morta. Non c’è niente ad aspettarla in futuro.»

Lei tacque un momento. «È molto triste.»

«Sì, infatti.»

Lasciarono cadere l’argomento e proseguirono in silenzio.

La biblioteca era un’enorme sala piena di scaffali addossati alle pareti, al centro della quale un grande tavolo rotondo dominava l’ambiente. Quasi ovunque, dei paletti dissuasori impedivano ai visitatori di avvicinarsi alle parti interessanti della stanza, ma Astoria li ignorò completamente e li scavalcò per sfiorare con la punta delle dita il dorso di alcuni libri esposti.

Daphne si avvicinò a una grande vetrata. La decorazione in colori sgargianti impediva una chiara visuale dell’esterno, ma la strega dedusse che affacciava su un terrazzo.

«Da qui non si può uscire?», domandò alla Dama Verde.

Lei ridacchiò. «Io posso, ma voi no.»

«Non senza rompere il vetro», borbottò Daphne, come se stesse valutando l’idea.

Si spostò verso un balcone e provò ad aprirne la porta, senza successo.

Astoria lanciò un’occhiata a Blaise. «Dille qualcosa prima che decida di far saltare in aria questo posto.»

«E se usassi un Reductor?», propose infatti Daphne. «Con un incantesimo di riparazione potrei rimetterla a posto dopo.»

Il fantasma inorridì, Astoria guardò Blaise con espressione compiaciuta.

Appunto.

«E se invece facessimo il giro e uscissimo da un’altra parte?», suggerì Blaise, serafico.

La Dama Verde annuì convinta. «Le scale in fondo al corridoio portano alla cima della torre nord. Il panorama è bellissimo.»

«Ottimo», fece lui, afferrandole la mano e trascinandola verso la porta della biblioteca.

Si avviarono per i corridoi e quando fu sicuro che Daphne non avrebbe fatto saltare in aria niente, la lasciò andare. Lei lo precedette su per una scala a chiocciola.

Sbucarono sulla cima della torre e l’aria fredda della notte li travolse. Daphne rabbrividì e Blaise soffocò l’impulso di abbracciarla. La strega infilò le mani in tasca e si avviò verso il parapetto merlato.

Sotto di loro, la città era illuminata quasi a giorno. Le acque torbide del lago attorno al castello riflettevano lo scintillio delle strade affollate e l’eco di canti natalizi li raggiunse squarciando il silenzio. A Blaise parve quasi di riuscire a scorgere i musicisti di strada su Mill Road intenti a suonare, circondati da un gruppo di passanti che rallentavano per ascoltarli. I canti lasciarono spazio ai violini e la musica divenne più dolce.

Daphne sembrava stregata. Guardava in lontananza come se si aspettasse di veder venire fuori la sorgente di quella melodia. Quando si voltò verso Blaise, lui le tese una mano con un mezzo sorriso.

Lei la afferrò e si ritrovò a girare su se stessa, il che era probabilmente la cosa più vicina a un ballo che Blaise le avrebbe concesso quella sera.

Daphne scoppiò a ridere e lui la strinse a sé, un istante prima che perdesse l’equilibrio.

Al diavolo l’autocontrollo.

Le baciò i capelli mentre lei ancora rideva e si lasciò inebriare dalla sua presenza. Daphne si scostò da lui quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi, l’ombra di un sorriso ancora impressa sulle labbra.

Blaise distolse lo sguardo e la lasciò andare.

In quel preciso istante, tre scope da corsa comparvero davanti a loro, superando in volo la torre a velocità impressionante.

«Ho vinto ancora!», gridò uno dei tre maghi, dopo essersi fermato a mezz’aria.

«Razza di imbroglione, sono arrivato io per primo!», protestò un altro.

«Andiamo, Kevin», si intromise il terzo, un ragazzino biondo che sembrava molto più giovane degli altri due, «per quanto mi costi ammetterlo, ha ragione, ha vinto lui di nuovo.»

«E tu come fai a saperlo se stavi gareggiando? Ehi, ragazzi», fece il secondo, rivolgendosi a Daphne e Blaise, «sapreste dirci chi è arrivato prima alla torre?»

Daphne stava per rispondere di non averne la minima idea, quando Blaise la anticipò: «Dai Llewellyn!», esclamò con gli occhi illuminati di gioia.

«Visto?», disse quello che sosteneva di essere arrivato per primo, avvicinandosi a loro.

L’altro sbuffò. «Dice così perché ti ha riconosciuto, non perché hai vinto.»

«Chi è?», fece Daphne, perplessa.

«Dai Llewellyn, il cercatore dei Caerphilly Catapults!», rispose eccitato. «È nipote di Dinamite Dai, nonché vincitore del premio in sua memoria degli ultimi tre anni.»

«Vedo che mi conosci», fece l’interessato, atterrando accanto a loro, subito imitato dagli altri due.

«Puoi dirlo forte», confermò Blaise, stringendogli la mano. «E conosco anche voi», aggiunse rivolto agli altri. «Rhys Lloyd», disse, salutando il ragazzino biondo, «e Kevin Brand», strinse la mano a colui che l’aveva chiamato in causa. «Io sono Blaise. Ha davvero vinto Dai, anche se di pochissimo.»

Kevin scrollò le spalle. «Peccato. Piacere di conoscerti, Blaise. E questa bella signorina chi è?», domandò, rivolgendo un sorriso alla strega al suo fianco.

«Sono Daphne», si presentò lei, tendendo la mano.

Invece di stringergliela, Kevin la afferrò e le baciò galantemente il dorso. «Uno splendido nome per una splendida fanciulla», commentò sfrontato.

Blaise represse a fatica il fastidio.

«Cosa ci fate qui a quest’ora?», domandò Dai, interrompendo lo scambio di convenevoli.

«Siamo venuti a visitare il castello adesso che non ci sono più Babbani in giro», rispose Blaise.

Rhys annuì. «Avrete incontrato la Dama Verde, immagino.»

«Oh, sì», intervenne Daphne. «Ci ha tenuto compagnia per un po’.»                     

«Siete nuovi di qui?», fece Dai. «La popolazione magica a Caerphilly è piuttosto ridotta, è difficile incontrare maghi o streghe se non sai dove andare.»

«Lo abbiamo notato», borbottò Daphne.

Lui sorrise. «Avete presente la stazione centrale di Caerphilly?» Annuirono. «C’è un pub proprio di fianco all’ingresso, il Binario Morto. Oltre la sala principale, frequentata da Babbani, ce n’è una nascosta per i maghi. Più tardi andremo lì, se vi fa piacere potete raggiungerci.»

«Sicuramente!», rispose Blaise di getto, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Daphne.

«A dopo, allora», li salutò Rhys, rimontando in sella alla scopa. Dai fece altrettanto.

«Vi aspettiamo», ribadì Kevin, rivolgendo a Daphne un mezzo sorriso, che lei ricambiò prontamente.

Non appena furono volati via, Daphne incrociò le braccia al petto e si girò a guardare Blaise con espressione accigliata. «Grazie per avermi interpellata, prima di decidere di incontrare degli sconosciuti in un bar più tardi.»

«Oh, andiamo», ribatté lui, ancora entusiasta. «Sono settimane che non fai altro che dire che sei stanca di essere circondata da Babbani! E poi è Dai Llewellyn

«Resta uno sconosciuto», replicò testarda.

«Forse per te», fece Blaise divertito. «Io lo conosco da quando ero un bambino e lui esordiva nei Caerphilly Catapults. È un cercatore incredibile, sono anni che Draco cerca di imparare le sue manovre di volo.»

«Va bene, va bene», tagliò corto Daphne. «Quando si tratta di Quidditch perdi la testa come tutti gli altri. Lasciando da parte questo Dai, che a quanto pare è il tuo idolo, chi sono gli altri due?»

Si avviarono in direzione delle scale, per tornare alla biblioteca dove avevano lasciato Astoria.

«Rhys Lloyd, il ragazzo biondo, è il portiere dei Catapults. È il migliore amico di Dai e si diceva che fosse entrato in squadra solo per sua intercessione, poi invece, durante la sua prima partita, quando la sua squadra perdeva di centosessanta punti e Dai non poteva prendere il boccino senza che perdessero, lui entrò in campo al posto del Portiere che allora era titolare e fece delle parate incredibili, dando ai Cacciatori il tempo di recuperare lo svantaggio e a Dai di prendere il boccino. Da allora nessuno ha mai più dubitato che meritasse il posto in squadra.»

«A giudicare dall’aspetto non avrei mai detto che fosse un Portiere», osservò Daphne.

Blaise annuì. «Ha il fisico del Cercatore», convenne, «ma questo gli permette di essere veloce e la sua capacità di leggere in anticipo la traiettoria della Pluffa lo rende un Portiere incredibilmente capace.»

«E l’altro?», domandò Daphne, svoltando nel corridoio che conduceva alla biblioteca.

«Kevin Brand era un Cacciatore degli Harriers, gioca a Caerphilly da quest’anno. Conosci la storia di Rudolf Brand e Gwendolyn Morgan?»

Lei fece segno di no con la testa.

«Nel 1953, gli Heidelberg Harriers persero una partita che durò una settimana contro le Holyhead Harpies. Alla fine della gara, il Capitano degli Harriers, Rudolf Brand, fece una proposta di matrimonio al Capitano delle Harpies, Gwendolyn Morgan, che rifiutò colpendolo in testa con la sua Scopalinda

Daphne scoppiò a ridere. «Un bel modo di convincerlo a desistere.»

«Nient’affatto», replicò Blaise divertito. «Alla fine lui l’ha conquistata. Kevin è il loro secondo figlio.»

«Allora è vero che la perseveranza paga», commentò lei distrattamente.

«Così dicono», fece lui scuotendo la testa con il sorriso sulle labbra.

Quando entrarono nella biblioteca, trovarono Astoria in piedi al centro della stanza con un libro stretto tra le braccia e lo sguardo implorante rivolto alla Dama Verde.

«La prego!», stava dicendo, «è soltanto un prestito! Giuro di riportarlo qui al più presto, lo tratterò con la massima cura!»

Il fantasma rivolse lo sguardo ai nuovi arrivati, invocando il loro aiuto. «Signorina Daphne, ti dispiacerebbe spiegare a tua sorella che non può portare via un libro di questa biblioteca?»

Lei sbuffò. «Astoria…»

«Daphne! Non puoi capire! Ci sono le genealogie di tutte le più importanti famiglie aristocratiche del Duecento!»

«Ma non puoi…»

«Potrei trovare informazioni su Gruffudd», fece lei, tornando a rivolgersi alla Dama Verde, che vacillò. «Se ho ragione», aggiunse piano, «e Gruffudd è uno pseudonimo, potrei scoprire qualcosa di più sulla sua morte.»

Nella stanza calò il silenzio.

«E va bene», concesse il fantasma dopo alcuni interminabili istanti. «Adesso andate via, prima che cambi idea.»

Astoria sorrise e la ringraziò, poi si avviò verso la porta della biblioteca, trascinandosi dietro la sorella, rimasta interdetta, e un Blaise decisamente sorpreso.

Quest’ultimo attese che fossero abbastanza lontani, prima di arrischiarsi a parlare. «Astoria, quello che hai detto alla Dama Verde…»

«Era una bugia solo in parte», concluse lei per lui. «È vero che ci sono informazioni su Gruffudd in questo libro, ma io le ho già lette.»

«E che hai scoperto?», chiese Daphne, curiosa.

«Gruffudd è lo pseudonimo di Edoardo I d’Inghilterra.»

«Il re?», domandò sorpresa.

Astoria annuì. «Era il cugino di Alice. Quando Gilbert de Clare scoprì il loro tradimento ripudiò la moglie e la mandò in Francia, ma non poteva davvero far giustiziare qualcuno che da vivo avrebbe potuto rendergli più favori che da morto. Tenne nascosto l’adulterio e Edoardo gli divenne debitore per avergli evitato lo scandalo. Mandò in Francia un gufo che informasse la moglie della morte di Gruffudd, così che lei non continuasse a cercarlo. L’effetto che ebbe su di lei lo conosciamo. Per quanto riguarda Edoardo, divenne re, sposò un’altra donna e diede una sua figlia in sposa a Gilbert de Clare, per saldare il suo debito.»

«E lei ha continuato ad aspettarlo per tutto questo tempo, ignara di tutto», sussurrò Daphne, intristita dal racconto della sorella.

«Già», rispose lei.

«Sai di non poterglielo dire, non è vero?», intervenne Blaise, che fino a quel momento non aveva aperto bocca.

Daphne lo guardò indignata, invece Astoria annuì. «Lo so.»

«E volete lasciarla nell’inganno?», protestò lei.

Blaise e sua sorella la guardarono perplessi.

«Cosa ci guadagnerebbe a sapere come stanno realmente le cose?», domandò lui.

«La verità.»

«E poi?», la incalzò Astoria. «Passerà l’eternità a vagare nell’infelicità, consapevole che non le è rimasto più nulla.»

«Anche adesso non ha nulla», obiettò Daphne.

«Non è vero», la corresse Blaise dolcemente. «Ha ancora la speranza.»

«Prima o poi le passerà», precisò Astoria. «Ma non saremo noi ad anticipare quel momento.»

Lei evitò di insistere, ma era chiaramente in disaccordo.

Più per cambiare argomento che per altro, Blaise raccontò ad Astoria dell’incontro con Dai Llewellyn e gli altri e del Binario Morto. La piccola Greengrass si rifiutò categoricamente di andarci, impaziente com’era di esaminare il libro che aveva preso, così lui e Daphne decisero di accompagnarla a casa e per poi incontrare da soli i Catapults.

Uscirono dal castello evitando i guardiani notturni e presero a camminare lungo Mill Road tra le luci natalizie. Quando passarono davanti ai musicisti che avevano sentito suonare dalla cima della torre, Daphne si riscosse dai propri pensieri e si voltò verso Blaise. Lui se ne accorse, ma evitò accuratamente di incrociare il suo sguardo.

Rimasero in silenzio anche quando furono troppo lontani perché la musica li raggiungesse.

Rientrarono con Astoria solo per avvertire i genitori di Daphne che lei e Blaise sarebbero usciti di nuovo. Accennarono all’incontro con i Catapults e il signor Greengrass mostrò quasi lo stesso entusiasmo di Blaise, mentre sua moglie si limitò a raccomandarsi di fare attenzione.

Salirono al piano di sopra, indossarono i mantelli e montarono in sella alla Nimbus di Blaise. Daphne lanciò un incantesimo di disillusione e uscirono direttamente dal balcone.

Sorvolarono una Caerphilly notturna che accennava ad addormentarsi solo in parte. Le luci degli appartamenti iniziavano a spegnersi, quelle dei bar e dei locali, dove la vita si stava spostando, ad accendersi.

Daphne si strinse forte a Blaise per non cadere e gli premette il viso contro la schiena per proteggersi dal vento. Lui si maledisse per la sua incapacità di essere indifferente a quel contatto. Quando atterrarono, i capelli di Daphne erano completamente in disordine e le nocche di Blaise erano bianche per la forza con cui aveva stretto il manico di scopa nel tentativo di concentrarsi sul volo. Le sistemò una ciocca ribelle dietro un orecchio e gli parve di sentire il sangue tornare a scorrergli nelle dita.

Miniaturizzò la scopa con un incantesimo ed entrarono nel pub.

Blaise, che si era aspettato qualcosa di simile al Paiolo Magico, rimase sorpreso nel constatare che invece sembrava un comunissimo locale Babbano piuttosto affollato. Solo in quel momento ricordò che Llewellyn aveva parlato di una sala nascosta per soli maghi e gli venne in mente che non avevano idea di come raggiungerla.

«Domandiamo a lui», fece Daphne, intuendo i suoi pensieri e accennando con il capo al vecchio barman che li stava osservando da dietro al bancone, mentre puliva distrattamente un bicchiere di vetro.

In un primo momento, a Blaise ricordò Tom, l’anziano proprietario del Paiolo Magico, ma la somiglianza scomparve non appena si furono avvicinati.

«Un Whiskey Incendiario, per favore», gli disse Blaise, guardandolo dritto negli occhi.

Lui annuì e indicò un punto alla sua sinistra.

«Uno dei bagni nella toilette delle signore è guasto», disse loro con voce roca. «Qualche colpo di bacchetta sul mattone sporgente della parete sinistra del cubicolo e arriverete a destinazione.»

Blaise ringraziò e poi si avvicinò con Daphne ai bagni, guadagnandosi delle occhiatacce da alcune clienti impiccione.

Seguirono le istruzioni del barman e si infilarono di soppiatto nel bagno su cui era stato appeso un cartello che indicava che era fuori servizio.

Daphne estrasse la bacchetta e picchiettò sulla parete.

Come nel retrobottega del Paiolo Magico che celava l’ingresso a Diagon Alley, i mattoni iniziarono a vibrare e poi a spostarsi fino a creare un varco nel muro.

Davanti a loro comparve un locale del tutto diverso da quello in cui si trovavano poco prima, molto più chiassoso e decisamente magico.

Due cameriere si spostavano agilmente tra i tavoli mentre sopra le loro teste, tenuti sospesi da un incantesimo, i vassoi con le ordinazioni le seguivano obbedienti. Dietro al bancone, un uomo con un cilindro sulla testa lanciava incantesimi alle bottiglie di alcolici perché versassero da sole il proprio contenuto ai clienti.

«Blaise!», lo chiamò una voce.

Lui si voltò e individuò Dai, seduto a un tavolo con gli amici, che si sbracciava da lontano per farsi vedere.

Lo raggiunsero facendosi largo tra la gente e quando Dai si spostò sulla panca e fece loro cenno di sedersi, Blaise prese posto accanto a lui. Daphne gli si sedette di fronte, con sommo piacere di Kevin, che le stava accanto.

«Ce l’avete fatta», commentò Rhys. «Iniziavamo a credere che non sareste più venuti.»

«Io sapevo che non avresti resistito al mio fascino», commentò Kevin, rivolgendosi direttamente a Daphne.

Lei rise e gli diede dell’egocentrico. Nel frattempo, Dai aveva già fatto cenno a una cameriera di portare qualcosa per loro.

«Volavamo controvento», replicò Blaise, sfilandosi il mantello.

«Ah, ma allora sei venuto con la tua scopa?», chiese Rhys.

Dai si inserì nella conversazione. «Tu giochi a Quidditch, Blaise

«Sì», rispose lui a entrambi. «Giocavo nella squadra della mia Casa, a Hogwarts

«E tu, Daphne?», aggiunse rivolgendosi a lei, che però scosse la testa.

«Io mi limito a fare il tifo per lui», rispose, indicando Blaise con un dito.

Rhys sogghignò. «Che bello, hai anche la tifoseria personale senza essere famoso», commentò.

«Mi ritengo fortunato, in effetti», convenne lui.

«Molto fortunato», sottolineò Kevin.

Blaise lo guardò di traverso, stanco delle sue continue allusioni, ma Dai intervenne prontamente, scongiurando ogni possibile discussione in merito.

«Che scopa da corsa hai, Blaise

«Una Nimbus 2005», rispose lui, lasciando cadere la questione.

«Si vede che siete inglesi», commentò in tono leggero. «Sempre a preferire le Nimbus alle Firebolt

«Pensa un po’ se avessi accettato l’offerta dei Cannons e fossi andato a giocare in Inghilterra», commentò Rhys, rivolgendosi a Dai. «Prima o poi ti saresti convertito alle Nimbus anche tu.»

«Mai», obiettò lui deciso. «Con le Firebolt ho vinto la medaglia Dinamite Dai per gli ultimi tre anni.»

«Mi sembra di sentire un mio amico», commentò Blaise divertito. «Sostiene la superiorità delle Firebolt proprio affermando che ti hanno permesso di compiere le pericolose manovre che ti sono valse quella medaglia.»

«Mi è già simpatico, questo tuo amico», replicò Dai. «E comunque non avrei mai abbandonato Caerphilly, nemmeno per una squadra forte come i Cannons

«Ti offrivano un mucchio di galeoni», gli ricordò Rhys.

Lui scrollò le spalle. «Ci sono cose più importanti dei soldi.»

«Lo dici solo perché sei già ricco.»

Dai rise.

«Treno in arrivo tra venti minuti!», esclamò una voce, amplificata dalla magia, all’interno del locale.

Alcuni maghi si alzarono dai tavoli a cui erano seduti e si avviarono verso una porta dal lato opposto a quella da cui erano entrati Daphne e Blaise.

«Che succede?», domandò quest’ultimo incuriosito.

Rhys si alzò in piedi. «Hai la tua Nimbus, Blaise?» Sorrise. «Vediamo quanto va veloce.»

 

 

Pochi minuti dopo, una discreta folla di maghi si era radunata nel cortile sul retro del Binario Morto. Dai e Rhys recuperarono le proprie scope adagiate in un angolo e invitarono Blaise a tirare fuori la propria.

«È la notte giusta per una bella corsa», osservò Rhys. «La visibilità è ottima.»

«Io passo», commentò Kevin. «Faccio compagnia alla signorina», aggiunse ammiccando a Daphne, che gli regalò un sorriso.

A Blaise non andava di lasciarli da soli, ma ancora meno gli piaceva l’idea di stare a guardare mentre flirtavano. Tirò fuori la sua scopa e la fece tornare alle dimensioni normali.

«Come funziona?», domandò, accettando di partecipare.

Dai indicò un ponte poco lontano che passava sopra ai binari della ferrovia. «Si parte da lì nell’istante in cui la coda del treno supera il ponte. Ci sono circa cinquecento metri di tratto libero, poi il treno entrerà in una galleria. Noi passeremo sopra, in mezzo alla vegetazione, che costituisce un vero e proprio ostacolo. Una volta fuori, il treno percorre altri settecento metri prima di imboccare la seconda galleria, quella scavata nella roccia. L’obiettivo è superare la testa del treno prima di raggiungere la galleria ed essere costretti a fermarsi.»

«Evitando di spiaccicarti nella roccia, però», intervenne Rhys. «Quasi nessuno riesce a superare il treno la prima volta, bisogna anche sapersi fermare in tempo, per evitare di farsi male.»

«Ho capito», rispose Blaise, «e penso di potercela fare.» A vincere la sfida, non a fermarmi.

Dai annuì compiaciuto e gli fece segno di montare in sella alla scopa.

Lui sfiorò la guancia di Daphne in un gesto confidenziale che sperava avrebbe spinto Kevin a lasciarla in pace.

«Stai attento», rispose lei accigliata.

«Come sempre.»

Si alzò in volo e si affiancò a Dai e Rhys, poi indicò con un cenno la folla radunata sotto di loro. «Partecipa tutta questa gente?»

Dai ridacchiò, mentre Rhys scuoteva la testa. «Siamo noi tre e quei due ragazzi laggiù», rispose spostando lo sguardo su due ragazzi in sella alle loro scope da corsa. «Queste persone sono qui per scommettere.»

«Su cosa?»

«Su tutto. Tentano di indovinare chi ce la farà, chi si arrenderà e chi, tra coloro che abitualmente superano il treno, arriverà per primo.»

«Kevin sta scommettendo su di me», intervenne Dai, lanciandosi in supposizioni sul suo compagno di squadra.

Rhys scosse la testa. «Sta guardando Blaise», replicò. «E a giudicare dalla faccia di Daphne, lei ha molta più fiducia in te di quanta ne abbia lui.»

Blaise non fece in tempo a rispondere che il rumore del treno in arrivo attirò la loro attenzione.

Tutti e tre volarono verso il ponte, per allinearsi e prepararsi alla partenza.

«Blaise, amico, vacci piano, mi raccomando», gridò Rhys per sovrastare il rumore.

Ma lui non lo stava più ascoltando.

Nell’esatto istante in cui l’ultima carrozza del treno ebbe superato il ponte, Blaise partì.

Uno dei ragazzi in gara perse un secondo alla partenza e si ritrovò ultimo prima ancora di cominciare. Rhys, invece, andava fortissimo e continuava a guadagnare velocità, tanto che sarebbe stato primo se non fosse stato per Dai.

Blaise l’aveva visto volare centinaia di volte, avendo seguito la sua carriera di giocatore fin da bambino. Eppure, osservarlo trovandosi a pochi metri da lui era evidentemente l’unico modo che rendesse giustizia all’abilità di Dai Llewellyn.

Non volava mai in linea retta per più di qualche decina di metri, si adattava invece alle correnti che sentiva attorno a sé. Inclinava il corpo da questa o da quell’altra parte a seconda del vento e la scopa lo assecondava docilmente. E anziché fargli perdere velocità, queste impercettibili, perfette acrobazie rendevano il suo volo incredibilmente fluido e rapido.

Blaise quasi rimase incantato a guardarlo mentre, nella sua scia, andava più veloce che poteva.

Il treno entrò nella galleria con un paio di secondi di vantaggio su di loro.

Si trovarono a volare tra gli alberi, cambiando continuamente direzione per evitare tronchi e rami. Fu in quel tratto che Dai guadagnò un ulteriore vantaggio su Rhys. Blaise, a pochi metri da quest’ultimo, tentò di seguire il suo stesso percorso, approfittando della sua conoscenza di quel posto.

Il ragazzo alle sue spalle, che evidentemente non aveva avuto la stessa idea, tentò invece di guadagnare terreno spostandosi a destra per superarlo, ma colpì in pieno un ramo sporgente, autoescludendosi dalla gara.

Nonostante i suoi tentativi di stare al passo, una volta superata la galleria, Rhys l’aveva già distanziato. In lontananza videro Dai raggiungere e sorpassare il treno, per poi rallentare e farsi da parte, già vittorioso.

«Forza, ragazzi!», gridò per incoraggiarli.

Rhys accelerò e superò la testa, poi cambiò immediatamente direzione per non finire sulla parete rocciosa in cui era ricavato l’ingresso della galleria.

Blaise esitò solo un istante, poi stimò di potercela fare e accelerò. Guadagnò velocemente terreno, sotto di lui le carrozze del treno scorrevano come se quest’ultimo viaggiasse al contrario.

Quattro vagoni.

Il vento gli sferzava crudelmente le guance, ma lui non sentiva altro che il rimbombo del suo battito accelerato dall’adrenalina e lo scorrere del sangue nelle vene.

Tre.

«Blaise!», gridò Dai, quando lui gli passò accanto correndo a velocità folle.

La sua mente registrò il monito implicito nel suo tono urgente, ma non se ne curò.

Due.

Si rese conto che ce l’avrebbe fatta. Aveva spazio sufficiente a raggiungere e superare il treno, quindi realizzò di aver vinto la sfida con se stesso prima ancora di averlo effettivamente fatto.

Uno.

Fu solo a quel punto che, in un barlume di lucidità, iniziò a pensare che sì, aveva spazio per raggiungere il treno, ma non ne aveva abbastanza per fermarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Green Green Grass of Home è una canzone del 1965 interpretata da numerosi artisti britannici. Il titolo si traduce con L’erba verde verde di casa e rimanda ai luoghi familiari dell’infanzia dell’autore. Il riferimento, nel mio caso, è alla situazione che vede i Greengrass (di qui il trattino nel titolo, grazie al quale l’erba verde diventa il cognome di Daphne) lontani da casa e alla ricerca di un luogo sicuro, più metaforicamente che in senso letterale.

 

Home is such a lonely place è una canzone dei Blink-182 del 2016. La traduzione è Casa è un posto così solitario e il sottotitolo (Home is such a lonely place without you) significa: Casa è un posto così solitario senza di te.

 

Note

Bentrovati! Innanzitutto, alcune segnalazioni.

Il capitolo inizia a un orario approssimativamente attorno alle cinque del pomeriggio. A quell’ora infatti, nel mese di dicembre, nel Galles è già buio. Il castello di Caerphilly chiude davvero attorno alle cinque.

La leggenda della Dama Verde di Caerphilly esiste nella cultura locale, così come le supposizioni di Astoria sull’identità di Gruffudd. Le informazioni su Gilbert de Claire sono tutte vere e storicamente ben contestualizzate.

“Questo è il luogo in cui mi sono innamorata. È qui che ho imparato cosa significasse vivere appieno. Questo posto mi ha dato tanto quanto mi ha preso e continua ad essere così anche adesso.” è una citazione libera di Grey’s Anatomy, che ricalca le parole che Meredith dice a Cristina per telefono, quando lei è andata via.

Dai Llewellyn, così come il premio in sua memoria, è citato in Il Quidditch attraverso i secoli e il personaggio da me inventato risulta essere suo nipote. Anche la storia di Rudolf Brand e Gwendolyn Morgan che Blaise racconta a Daphne è narrata nello stesso libro, mentre la svolta secondo cui alla fine i due si siano messi insieme e abbiano avuto figli, tra cui Kevin, è di mia invenzione. Rhys Lloyd, invece, è un personaggio originale.

La Nimbus 2005 non è mai citata nei romanzi, ma è facile immaginare che esista dopo i modelli 2000 e 2001 di alcuni anni prima.

Il Binario Morto è un locale di mia invenzione, sul modello del Paiolo Magico londinese, il cui nome deriva dal Binario Calmo della stazione di Napoli Centrale, simpaticamente ribattezzato dalla mia mamma “Binario Morto”.

 

Il prossimo aggiornamento avverrà tra una decina di giorni.

Auguri a tutti di buon anno e grazie per essere rimasti con me fin qui!

Un abbraccio e un ringraziamento speciale alla mia beta, Legar. ♥

 

Futeki Efp

 

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Capitolo 3
*** You're my home ***


III

YOU’RE MY HOME

You're my home, and together we share this love for us.

 

 

Daphne maledisse il vento che la costringeva a sbattere frequentemente le palpebre. In quel tipo di gara, un battito di ciglia era esattamente il tempo sufficiente a perdersi qualcosa di importante.

Iniziò a lacrimare quando si costrinse a tenere gli occhi aperti puntati su Blaise, ovvero quando si rese conto che, una volta arrivato al punto in cui lei si aspettava che rallentasse, lui stava invece accelerando.

Non lo vide neanche superare il treno, concentrata com’era sul fatto che si stava dirigendo a una velocità impossibile contro le rocce.

Aprì la bocca per gridare qualcosa, ma non riuscì a emettere alcun suono.

Blaise cambiò bruscamente direzione, ritrovandosi a testa in giù nel tentativo di frenare. Proseguì all’indietro verso la parete per qualche altro metro prima di riuscire a fermarsi e la coda della scopa finì per urtare le rocce, togliendogli il controllo.

Perse quota, ma poi si raddrizzò e tornò a volare normalmente, come se non fosse accaduto niente.

«Daphne, stai bene?», le stava dicendo Kevin. «Sei pallida.»

Si parò davanti a lei, togliendole la visuale su Blaise. Dedusse dal suo sguardo preoccupato che doveva sembrare davvero fuori di sé.

«Sto bene», mentì, cercando di convincere anche se stessa.

 

 

«Tu sei fuori di testa», decretò Rhys, senza riuscire a fare a meno di ridere, mentre andava incontro a Blaise.

Dai si congratulò in maniera più esplicita. «Una cosa del genere ti varrebbe la Medaglia Dinamite Dai», riconobbe. «Ma mi hai fatto prendere un colpo, non farlo mai più.»

«Non ci tengo a riprovare», rispose ridendo, poi tutti e tre atterrarono insieme, immergendosi tra la folla di spettatori ansiosi di congratularsi.

Blaise strinse la mano a qualche sconosciuto mentre tentava di farsi strada verso l’unica persona che gli interessava sorprendere.

Trovò Daphne insieme a Kevin, impegnata a ridere a una sua battuta e qualcosa dentro di lui si spezzò.

Fece dietrofront ed evitò di assistere ulteriormente alla scena, nella speranza di ritrovare l’entusiasmo che l’aveva animato fino a qualche istante prima. Non ci riuscì.

Concesse finti sorrisi a chi gli rivolgeva la parola e pronunciò qualche frase di circostanza, come gli imponeva la buona educazione, ma la sua mente era lontana anni luce da lì.

Si odiò per aver permesso a quella ragazza di contaminare qualsiasi cosa che lo riguardasse, inclusa la sua passione per il volo. I suoi sentimenti per lei avevano radici così profonde in lui da aver fatto presa su qualunque aspetto della sua vita. Si chiese se sarebbe stato in grado di provare qualcosa una volta riuscito a estirpare ogni traccia di lei da sé o se sarebbe rimasto incompleto per sempre.

«Blaise!», lo chiamò Daphne. Lui si voltò, impassibile, improvvisamente stanco e svuotato di tutte le energie.

«Volevo dirti che Kevin mi ha proposto di fare un giro, poi mi accompagnerà lui a casa», iniziò sorridente.

«Va bene», tagliò corto lui, poi fece per voltarsi e andarsene, ma Daphne lo trattenne per un braccio.

«Sei stato bravo», disse piano, «ma…»

«Ci vediamo a casa, va bene?», la interruppe lui.

Daphne lo lasciò andare e se fu sorpresa da quel tono brusco non lo diede a vedere, perché si limitò ad annuire e allontanarsi.

«Hai mai bevuto birra Babbana, Blaise?», domandò Rhys, comparendo alle sue spalle e cogliendolo di sorpresa. Lui scosse la testa.

«Vieni, andiamocene di qui.»

Lo condusse all’interno del Binario Morto, poi gli fece cenno di seguirlo attraverso una porta e di nuovo all’esterno, quando si ritrovarono su un terrazzino, separato dal cortile in cui si trovavano poco prima, che affacciava sulla strada.

Dai era seduto da solo su un vecchio dondolo che pareva sul punto di rompersi. Aveva in mano una bottiglia di vetro e di tanto in tanto beveva un sorso.

Quando arrivarono, si voltò a guardarli.

«Ha bisogno di una birra», spiegò Rhys, indicando Blaise con un dito.

Dai si allungò e prese un’altra bottiglia dal sacchetto di plastica ai suoi piedi e gliela porse.

Blaise ringraziò ed estrasse la bacchetta per aprirla.

«Chi sono quelle?», domandò Rhys, accennando a tre ragazze, seminascoste tra i cespugli, che Blaise non aveva notato.

Dai scrollò le spalle. «Ammiratrici, suppongo», rispose noncurante. «Ma non ho nessuna voglia di andare a parlare con loro.»

Rhys alzò gli occhi al cielo. «Non essere snob.»

Per tutta risposta, Dai bevve un altro sorso di birra.

«Ci vado io», decretò Rhys con un mezzo sorriso. «Non ringraziarmi», aggiunse, allontanandosi in direzione delle ragazze.

Dai sospirò e fece cenno a Blaise di sedersi accanto a lui. Un po’ scettico, lui obbedì. Il dondolo scricchiolò, ma resse il peso di entrambi.

«Buona questa birra», disse per rompere il silenzio.

Dai annuì. «Burrobirra alcolica. La migliore amica dei cuori infranti.»

Blaise ridacchiò, ma non ritenne educato chiedere a cosa si riferisse.

«Da quanto tempo sei innamorato di Daphne, Blaise?», chiese invece l’altro, senza farsi problemi.

Lui esitò. «Non lo so», rispose. «Da sempre, mi pare.»

Dai rise. «Conosco la sensazione. Avrei detto che steste insieme, ma evidentemente mi sbagliavo.»

«Decisamente», replicò lui, buttando giù un altro sorso di birra.

Stavano parlando senza guardarsi negli occhi, come se si rivolgessero a se stessi più che all’altro.

Blaise seguì lo sguardo di Dai fino a Rhys, che stava posando per una fotografia con una ragazza.

«Solitamente tendo a credere di poter fare tutto da solo», aggiunse, lasciandosi andare alle confidenze. «Come se potessi bastare per tutti e due. Nei miei rari momenti di lucidità invece mi rendo conto della follia di questo pensiero. Nessuno è così forte.»

Dai annuì e si disse d’accordo. «La vera domanda è quanto possiamo reprimere prima che tutto questo ci uccida dall’interno. Ci convinciamo di non essere incompleti quando impariamo ad amare noi stessi, poi scopriamo di poter essere davvero felici quando amiamo qualcun altro. Alla fine qualcosa va storto e perdiamo tutto, l'amore si porta via una parte di noi e improvvisamente non siamo più così certi di bastarci.»

Blaise non disse nulla, ma si voltò ancora verso di lui e di nuovo seguì il suo sguardo fino a Rhys.

«Certo, ma io che ne so?», scherzò Dai, aprendo un’altra birra. «Io e te a malapena ci conosciamo e io non sono abbastanza ubriaco per questi discorsi.»

Blaise rise. «La prima delle due cose può essere d’aiuto più di una sbronza», gli fece notare.

Dai annuì, serio. «Verissimo.»

E bevve ancora.

 

 

Daphne annuì distrattamente un paio di volte mentre Kevin parlava della sua carriera negli Harriers. Si era rivelato un tantino troppo loquace per i suoi gusti, tuttavia in un altro momento non se ne sarebbe curata. Era attraente e abbastanza sicuro di sé da risultare affascinante senza apparire arrogante, ma lei aveva altro per la testa.

Si era pentita di aver lasciato Blaise al Binario Morto senza accertarsi che stesse bene. Aveva intuito che c'era qualcosa di strano in lui, ma era così abituata a vederlo risollevarsi da solo che aveva pensato fosse meglio lasciarlo in pace. Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che avrebbe dovuto essere con lui in quel momento.

«Daphne, mi stai ascoltando?»

La strega riportò lo sguardo su Kevin. «Perdonami, sono molto stanca», si scusò. «Comunque sono arrivata, casa mia è proprio qui dietro. Grazie per avermi fatto compagnia.»

Non voleva mostrare a Kevin l'esatta posizione della loro casa sicura, quindi aveva deciso di lasciarsi accompagnare solo fino all'inizio del quartiere di Energlyn, a qualche isolato di distanza.

Se lui trovò strano che lei lo stesse congedando all'improvviso nel bel mezzo della strada, non lo diede a vedere.

«È stato un piacere», rispose con un mezzo sorriso. «A dirla tutta sarei felice di rivederti ancora.»

Daphne esitò. Non che fosse sorpresa, anzi, le era parso subito chiaro di piacergli, ma era stata così distratta mentre passeggiavano insieme da aver quasi dimenticato di essere in sua compagnia.

Non fece in tempo a dire nulla che Kevin la baciò, forse incoraggiato da qualcosa nella sua espressione sorpresa che doveva aver interpretato come lusingata.

Lo respinse con delicatezza e lui si lasciò allontanare, ma non si perse d'animo.

«Andiamo, non vorrai dirmi che non ti piaccio», la sfidò con un sorriso sfrontato.

Lei si limitò a ricambiare il suo sguardo e quando lui provò a baciarla ancora ci mise un istante di troppo a fermarlo.

«No

«No, non ti piaccio, o no, non puoi dirlo?», insisté, afferrandole un braccio.

«No e basta, Kevin, lasciami andare.»

Il suo sorriso si spense quando capì che faceva sul serio.

Non ebbe il tempo di allontanarsi che una terza persona si intromise.

«L'hai sentita», intervenne Blaise in tono minaccioso, comparendo alle sue spalle con la bacchetta alla mano. «Lasciala.»

Kevin obbedì e si allontanò da Daphne di un passo. «Calma, amico», iniziò conciliante. «La stavo solo accompagnando a casa.»

«Non ce n'è bisogno», tagliò corto lui. «Adesso ci sono io.»

Kevin sorrise. «È in mani sicure allora. Buonanotte», salutò, guardando prima Blaise e poi Daphne. Dopodiché si smaterializzò, lasciandoli soli.

Non appena se ne fu andato, Blaise ripose la bacchetta nella tasca del mantello e si avviò verso casa, senza degnare Daphne di uno sguardo.

La strega, sorpresa e infastidita, prese a camminare a passo svelto per stargli dietro.

«Mi stavi seguendo?», gli domandò, sperando che si decidesse a riconoscere la sua presenza e a rallentare per rispondere.

«Quanto sei egocentrica», disse invece lui, senza accennare a farlo. «Stavo tornando a casa, tutto qui.»

«Non c'era bisogno che ti intromettessi, avevo tutto sotto controllo.»

Nell'istante in cui ebbe finito di pronunciare quelle parole si rese conto che così dicendo avrebbe solo ottenuto di farlo arrabbiare di più.

Blaise si fermò all'improvviso e lei gli finì addosso. Si voltò a guardarla e Daphne attese una sfuriata che non arrivò. Senza rivolgerle neanche la parola, Blaise riprese a camminare ed entrò nel vialetto della casa dei Greengrass.

Un elfo comparve sulla soglia per aprirgli la porta prima ancora che bussasse e lui entrò e gli lasciò il mantello, sempre in silenzio.

«Blaise», lo chiamò lei, seguendolo su per le scale.

Lui entrò nella propria camera e fece per chiudersi la porta alle spalle, ma Daphne la fermò con un braccio e scivolò all'interno.

«Blaise!», tentò ancora di attirare la sua attenzione, ma lui si ostinò a rimanere in silenzio.

«Sei arrabbiato con me, per caso?», domandò, incerta su cosa dire.

«Arrabbiato?», ripeté lui, mostrando finalmente una reazione. «Arrabbiato? Certo che no

«Non si direbbe», replicò Daphne, in tono altrettanto sarcastico.

«Non sono arrabbiato», insisté lui, stavolta spaventosamente calmo, mentre si sfilava il maglione rimanendo in maniche di camicia. «Vai a dormire, è tardi.»

«Non finché non mi avrai detto cos'hai», ribatté ostinata.

«Che bisogno c'è?», fece Blaise sarcastico. «Tanto avevi tutto sotto controllo.»

«Allora è questo.»

«Poteva essere una brutta persona, ci hai pensato?», le fece notare.

Daphne alzò gli occhi al cielo. «Ma se sei stato tu ad accettare subito l'invito di quei tre!»

«Non è la stessa cosa!», ribatté alterato. «Guardati, quanto pensi che ci voglia a sopraffarti fisicamente e impedirti di usare la bacchetta?»

Lei si accigliò. «Questo che c'entra?»

Blaise rise amareggiato. «Adesso vuoi negare che fosse sul punto di fare qualcosa che non volevi?»

«E sarebbe colpa mia?», replicò lei.

«E di chi, se no?»

«Blaise, dimmi che questa è una scenata di gelosia, altrimenti dovrò credere che tu sia fuori di testa.»

Lui le diede le spalle e prese a sbottonarsi la camicia. «Pensa quello che vuoi, ma vattene dalla mia stanza.»

«Io non ho fatto niente!», protestò lei, sempre più arrabbiata.

«Certo, come al solito.»

Daphne strinse i pugni con tanta forza da conficcarsi le unghie nei palmi e gli si avvicinò, costringendolo a guardarla dritto negli occhi. «Qual è il problema?»

«Devi piantarla di dare corda a chiunque!», strillò lui, altrettanto infervorato.

L'ira di Daphne si placò all'istante e lei rimase a guardarlo in silenzio.

Il suo Blaise, il ragazzo che l'aveva amata fin da quando erano bambini, era in piedi di fronte a lei a riversarle addosso una rabbia che non serviva ad altro che a nascondere quanto fosse ferito.

Si odiò per avergli inconsapevolmente fatto del male ancora una volta e non trovò le parole giuste da usare per farglielo sapere, così tacque.

Blaise dovette rendersi conto di quello che lei aveva appena realizzato perché perse immediatamente la voglia di litigare.

Daphne aspettò che dicesse qualcosa, ma lui sembrava altrettanto in difficoltà con le parole.

Poi Blaise la prese per le braccia, la attirò a sé e la baciò.

Per la prima volta in tutta la sua vita, Daphne pensò che il contatto tra le loro labbra fosse terribilmente sbagliato.

Fece per allontanarsi, ma lui la trattenne. Quando si staccò da lei le rivolse uno sguardo acceso. «Se anche avessi voluto davvero respingermi, non ci saresti riuscita», decretò.

Lei intuì vagamente che si riferiva alla discussione di poco prima, ma non riuscì a recuperare il filo del discorso, perché lui la baciò ancora.

Stavolta però, mentre assaporava la dolcezza delle sue labbra, si rese conto che non c’era niente al mondo che fosse più giusto. Il respiro di Blaise era quanto di più familiare e rassicurante avesse nella propria vita. Se c’era una cosa su cui non aveva mai avuto dubbi era il suo bisogno di lui e di tutto ciò che poteva darle.

Blaise era la sua casa.

Lui, invece, al momento sembrava più preso dal soddisfare un altro tipo di bisogno, decisamente più pratico e che aveva a che fare con le sue mani infilate audacemente sotto i vestiti di Daphne, la quale si ritrovò con il reggiseno sganciato prima ancora di riuscire a sfilarsi il maglione.

«Io e te abbiamo seri problemi di comunicazione, lo sai, vero?», disse, mentre Blaise le toglieva i pantaloni, accarezzandole la pelle nuda.

«Stai zitta», ribatté lui, tornando a premere le labbra contro le sue.

Ecco, appunto.

La spogliò senza mostrare alcuna traccia del riguardo che le riservava di solito. Aveva completamente abbandonato la consueta gentilezza con cui la trattava e, per chissà quale arcano motivo, Daphne si sentì amata per quello che era per la prima volta.

Le piacque sentirsi spingere sul letto senza che Blaise si fosse chiesto se lei era d'accordo. Le piacque il contatto della sua pelle nuda contro la propria mentre realizzava di non averlo neanche visto spogliarsi.

Ancora di più, le piacque sentirlo sopra di sé, dentro di sé, con l'urgenza di chi sa che non c'è altro posto al mondo in cui vorrebbe trovarsi.

Fece per suggerire di sigillare la porta con la magia, ma Blaise le tappò la bocca con una mano e non poté fare altro che lasciarsi andare.

 

 

Trattenersi non era affatto facile.

Blaise sapeva bene che, nello stato emotivo in cui si trovava, se avesse perso il controllo, non le avrebbe resistito neanche per cinque minuti.

Ma lui aveva alcune cose da mettere in chiaro, prima che il potere tornasse tutto nelle mani di Daphne.

«Io so», iniziò a dire, mentre ansimava al ritmo delle proprie spinte, «che preferisci me a tutti i ragazzi con cui sei stata.»

Lei mugolò sotto di lui, ma non rispose. Aveva gli occhi chiusi e l'aria di essere vicinissima al piacere.

Blaise si fermò, suscitando un gemito di protesta. «Dillo.»

Daphne aprì gli occhi e lo guardò con tenerezza mista a ostinazione. «Non ho intenzione di nutrire il tuo ego con...»

«... la verità?», concluse lui per lei, muovendosi impercettibilmente.

Daphne emise un debole suono, ma non disse nulla.

Blaise affondò ancora in lei, premendole il bacino contro il proprio.

La strega sospirò e lui sentì i suoi muscoli interni contrarsi attorno a sé.

Fermarsi ancora fu una vera e propria tortura, una sofferenza fisica che lo indusse a stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche. Ci mise qualche istante a riprendere fiato, poi avvicinò le labbra al suo orecchio e le succhiò il lobo. «Non credo che ti lascerò venire», sussurrò.

Daphne gemette per la frustrazione. «Vuoi che ti preghi?»

«Sì.»

«Ti prego.»

«E voglio che tu smetta di vedere altri ragazzi.»

Lei non rispose, quindi Blaise si mosse strappandole un sospiro, poi si limitò a strofinarle le labbra sui seni, conscio che se avesse esagerato nell'alimentare il fuoco dentro di lei, avrebbe finito per bruciarsi anche lui e il gioco si sarebbe concluso troppo in fretta. Le morse un capezzolo senza delicatezza, poi prese a succhiarlo. Lei ansimò più forte e Blaise si sentì incitato a continuare.

Aveva già rinunciato all'idea di strapparle una promessa con quel supplizio – per lei, per lui – quando Daphne gli accarezzò i capelli.

«Sì», disse teneramente.

Blaise alzò gli occhi per incrociare i suoi. «Sì cosa?»

«Preferisco te.»

«Ma non per questo smetterai di vedere altri», dedusse lui. Lei confermò con il suo silenzio.

Blaise fece per scuotere la testa, ma cambiò idea quando si rese conto che il minimo movimento gli provocava fitte di eccitazione nel basso ventre. Aprì la bocca, poi la richiuse. Daphne lo guardò mentre cercava le parole per esprimersi.

«Non posso più farlo», disse alla fine. «Ti amo troppo per accettare di non essere l'unico», ammise controvoglia. Poi distolse lo sguardo da lei e ricominciò a baciarle i seni.

Daphne si agitò eccitata sotto di lui. «Blaise...», tentò di richiamare la sua attenzione, ma lui non la ascoltò.

Riprese a spingersi dentro di lei, stavolta con l'intenzione di arrivare fino in fondo.

Quando raggiunse il piacere, Daphne si lasciò sfuggire un grido che Blaise soffocò prontamente con una mano, troppo scosso emotivamente per usare la propria bocca.

Ci vollero un altro paio di spinte perché venisse anche lui e nel frattempo Daphne gli baciò teneramente il palmo della mano, ancora premuto contro le sue labbra.

Blaise crollò su di lei, poi, con uno sforzo sovrumano, si spostò al suo fianco per non pesarle addosso. Steso sulla schiena, chiuse gli occhi e si rilassò.

Daphne si voltò su un fianco, poi gli posò la testa sul braccio. Dal momento che lui non le prestava attenzione, la strega si decise a parlare.

«È stato... Mi è piaciuto molto.»

«Come sempre», osservò lui senza scomporsi, tenendo gli occhi chiusi. «Perché me lo dici?»

«Per nutrire il tuo ego.»

Blaise sorrise. «Non sei stanca? Dormi», suggerì, intenzionato a fare altrettanto.

«Guardami», ordinò Daphne.

Blaise la ignorò, quindi la strega gli mise una mano sulla guancia e lo costrinse a voltarsi. Riluttante, lui aprì gli occhi. Si ritrovò a fissare le sue labbra e si rese conto di desiderare ardentemente di baciarla. Non lo fece.

«Mi hai dato un ultimatum, Blaise?», domandò in tono serio, con la mano ancora sul suo viso.

«Sono sicuro che troverai qualcun altro con cui fare del buon sesso», commentò invece di rispondere.

Daphne roteò gli occhi. «Blaise...»

Lui attese che dicesse qualcos'altro, sforzandosi di non trovare il proprio nome sulle sue labbra terribilmente eccitante.

«Non essere arrabbiato con me.»

Blaise sospirò. «Non sono arrabbiato», ammise. «Sono stanco. Penso che dovrei starti lontano per un po'.»

Daphne si accigliò. «Perché?»

Lui si voltò su un fianco per guardarla meglio e, a un'occhiata più attenta, stabilì che lei davvero non si rendeva conto appieno dell'effetto che aveva su di lui.

«Se non posso avere quello che desidero allora forse dovrei smettere di desiderarlo. Sei d'accordo?», le chiese con dolcezza.

Lei parve riflettere. «Io non voglio che tu smetta.»

Egoista.

«E io non voglio che tu veda altre persone.»

«Forse potremmo... trovare un compromesso», suggerì esitante.

Blaise scosse la testa. «Un compromesso è una soluzione che lascia insoddisfatte entrambe le parti.»

«Io sarei più insoddisfatta se tu ti allontanassi da me.»

Quella piccola confessione accese in lui un barlume di speranza. «Allora accontentami», propose in tono stanco. «O pensi forse che non potrei bastarti?»

Daphne si mise a sedere e si avvolse il lenzuolo attorno al corpo, con un pudore che solitamente non mostrava davanti a lui. Poi si voltò a guardarlo. «E tu sei sicuro che non smetterò di interessarti quando avrai avuto ciò che vuoi e l'eccitazione della conquista sarà svanita?»

Blaise rimase di sasso.

Mai gli era passato per la mente che Daphne potesse avere quel genere di dubbi. Eppure era chiaro, a giudicare dalla fronte aggrottata e dalla linea dritta delle labbra, che la sua preoccupazione era reale.

Restò con la bocca aperta per un po', incredulo. Alla fine decise che doveva aver battuto la testa, forse contro la testata del letto, nella foga dell'amplesso.

«Ma fai sul serio?»

Daphne sbuffò e si alzò in piedi, recuperò la propria bacchetta e la utilizzò per raggruppare i vestiti sparpagliati per la stanza.

«Daphne», richiamò la sua attenzione, mentre lei sfilava i capelli biondi dal collo della maglia che stava indossando, «fai sul serio?»

«Ti sembra che io stia scherzando?», replicò lei infastidita.

Lui si accigliò. «Fammi capire bene, cosa credi di essere per me, un capriccio?»

«Come faccio a saperlo?»

«Certo», convenne Blaise, «non capisci i tuoi sentimenti, figuriamoci i miei.»

«Non è la stessa cosa», ribatté, mettendosi nuovamente a sedere sul letto. «Io so quello che voglio ed è molto più semplice di quello che vuoi tu. Ho bisogno di te nella mia vita, in qualsiasi modo. Vuoi una relazione? Va bene, proviamoci. Ma che succederà se non dovesse andare bene? Cosa farai se dovessi renderti conto che per tutti questi anni non hai fatto altro che idealizzarmi e che invece non sono la persona che credevi?»

«Nessuno ti conosce meglio di me, Daphne», rispose accigliato. «Sei testarda, egocentrica, irritante e meravigliosa. Tu non sei affatto perfetta, ma io non credo di poter amare i difetti di un'altra persona con la stessa intensità con cui amo i tuoi.»

Lei trattenne il respiro per qualche istante.

Blaise non si era mai preoccupato di nascondere i suoi sentimenti per lei, e anzi, non perdeva mai occasione per ricordarglieli, al punto che Daphne sembrava così abituata ad essere amata da non esserne più neanche toccata.

Eppure in quel momento, la sua espressione gli diede la chiara misura di quanto fosse spaventata e bisognosa di conferme.

La attirò a sé e l'abbracciò. «Per anni ho continuato a ripetermi che dovevo solo darti tempo e contemporaneamente temevo che un giorno il tempo ti avrebbe portato via da me. Ogni volta che sembravi lasciarti andare e ti vedevo avvicinarti a me, tu finivi per tirarti indietro così bruscamente che mi lasciavi svuotato», disse tutto d’un fiato. Lei non parlo, quindi proseguì. «Daphne, tu hai influenzato tutta la mia vita. Ti ho sempre avuta accanto a me e ti ho sempre voluta così tanto che non ho mai imparato a fare a meno di te. È logorante sapere che tu sei tutto ciò di cui ho bisogno e non poterti avere fino in fondo, toccarti con la consapevolezza che da un momento all'altro mi lascerai ancora. Perfino adesso è così. Hai idea di come sia stringerti e avere la certezza che ti sto per perdere un'altra volta?», esitò, ma non si aspettava davvero una risposta. «Come avrei potuto sopportare tutto questo se ti avessi amata anche solo un po' meno di così?»

«Io sceglierò sempre te», replicò lei convinta. Blaise notò che le tremava il labbro inferiore, tuttavia la sua voce era sorprendentemente ferma. «Ho sempre agito sulla base di questa certezza, ho fatto quello che ritenevo giusto e ti giuro su Merlino che non ho mai voluto ferirti davvero. Ma se tu mi chiedi di scegliere tra te e chiunque altro, io sceglierò sempre te, anche se questo mi spaventa a morte. Puoi chiamarlo amore se vuoi, ma io credo sia un sentimento troppo egoista per esserlo. L'unica certezza che ho è che sei necessario non solo alla mia felicità, ma alla mia stessa sopravvivenza. Capisci che intendo?»

Fu il turno di Blaise di esitare. «Meglio di quanto credi.»

«Allora perché sembri così sorpreso?», fece lei. «Cosa ti aspettavi? Una dichiarazione romantica e petali di rosa?»

Sollevò la bacchetta contro il suo viso. Dalla punta fuoriuscì un pugno di petali rossi che si impigliarono tra i capelli di Blaise come piccoli coriandoli.

«Tanti auguri.»

Blaise scoppiò a ridere e cadde disteso, trascinandola con sé.

«Pensi che ci abbiano sentiti?», domandò Daphne, esitante.

Blaise scosse la testa. «I tuoi genitori non ci sono. I loro mantelli non sono appesi all’ingresso e l’elfo che ci ha aperto la porta ha provato a comunicarcelo, prima che lo piantassimo lì da solo.»

«In effetti mi era parso strano che non ti fossi posto il problema.»

«In caso contrario a quest’ora starei fuggendo il più lontano possibile», ammise. «Tuttavia sono abbastanza sicuro che tua sorella sappia che siamo rientrati.»

Daphne nascose il viso contro la sua spalla, imbarazzata. «Merlino.»

Blaise ridacchiò e prese ad accarezzarla.

«Se non potremo tornare in Inghilterra», fece lei, improvvisamente seria e senza guardarlo negli occhi, «se dovremo trovarci una nuova casa, tu non mi abbandonerai, vero? Verrai sempre con me.»

Non era una domanda.

Blaise non riuscì a tirare fuori una risposta adeguatamente simpatica, perciò si limitò a dire ciò che pensava. «Per me casa è dove sei tu.»

Daphne, che aveva trattenuto il fiato fino a quel momento, espirò.

«Non avere paura», sussurrò lui. «Hai idea di quanto siamo fortunati io e te?», le fece notare. «Pensa a tutto ciò che può tenere separate due persone. Non c’è niente del genere a ostacolare noi.»

«Ti riferisci alla Dama Verde?», chiese lei.

In verità, Blaise stava pensando a Dai Llewellyn, ma non gli parve il caso di dirlo. Si chiese se Rhys fosse a conoscenza di ciò che provava.

«Anche io», proseguì Daphne, prendendo il suo silenzio per una conferma.

«Io però sarei arrivato», precisò lui. «Non come Gruffudd

Lei sorrise e lo baciò con dolcezza. Poi gli diede le spalle e si strinse a lui, lasciandosi abbracciare.

Rivolse lo sguardo alla finestra chiusa, dalla quale intravedeva le strade scure e poco familiari di Energlyn.

Da qualche parte, lontano da lì, la guerra stava per raggiungere casa sua, eppure, pensò, se anche non si fosse trovata a centinaia di chilometri di distanza, si sarebbe sentita comunque al sicuro finché fosse stata stretta da quelle braccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Green Green Grass of Home è una canzone del 1965 interpretata da numerosi artisti britannici. Il titolo si traduce con L’erba verde verde di casa e rimanda ai luoghi familiari dell’infanzia dell’autore. Il riferimento, nel mio caso, è alla situazione che vede i Greengrass (di qui il trattino nel titolo, grazie al quale l’erba verde diventa il cognome di Daphne) lontani da casa e alla ricerca di un luogo sicuro, più metaforicamente che in senso letterale.

 

You’re my Home è una canzone di Angeline Quinto del 2011. La traduzione è Tu sei la mia casa e il sottotitolo (You’re my home and together we share this love for us) è un verso della canzone, che significa: Tu sei la mia casa e condividiamo questo amore per noi.

 

Note

Con questo terzo capitolo si conclude la piccola storia di Blaise e Daphne, nonché l’esperimento nato dall’amore per il trash che io e la beta, ahinoi, condividiamo. E anche stavolta possiamo dire di averne inserito abbastanza, con l’angry sex, i petali di rosa e le canzoni di Alessandra Amoroso come colonna sonora ai momenti romantici.

Segnalo, a questo proposito, le citazioni Temevo che un giorno il tempo ti avrebbe portato via (da Fuoco d’artificio) e Stringerti e avere la certezza che ti sto per perdere un’altra volta (da Stupendo fino a qui) tratte appunto dalle canzoni di Alessandra Amoroso.

Infine, segnalo la modifica al rating della storia (da rosso ad arancione), su suggerimento della beta, in quanto la scena di sesso non è così particolareggiata da richiedere il rating rosso e la conseguente restrizione a un pubblico maggiorenne.

 

 

Mi scuso per avervi fatto aspettare più di quanto avrei voluto per questo capitolo, ma l’università mi impegna più del previsto. È per questo motivo che non penso di poter pubblicare i capitoli della long The end where I begin con cadenza bisettimanale. Non mi piace venir meno ad appuntamenti che ho fissato io stessa, ma purtroppo i tempi necessari sono piuttosto variabili. Come indicazione approssimativa posso dire che conto di pubblicare un capitolo al mese. Comunque sarà più facile rimanere aggiornati tramite facebook, per questo rinnovo l’invito ad aggiungermi: Futeki Efp.

 

Grazie a chi mi ha seguito anche in quest’altra avventura, soprattutto la mia beta, Legar, senza la quale probabilmente questa fanfiction non avrebbe mai visto la luce. ♥

Ho adorato scriverla e non posso che ringraziare due volte tutti coloro che hanno apprezzato la lettura tanto quanto io ho amato la stesura.

Alla prossima!

Futeki

 

 

 

 

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