Breaking The Cycle

di theseeker64
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ciao a tutti, questa è la prima traduzione che faccio quindi vi chiedo un po' di pazienza in caso notiate errori di ortografia o traduzioni un po' azzardate. Per il resto vi auguro una buona lettura! Se masticate un po' di inglese, questa è la fanfic originale: https://www.fanfiction.net/s/9209033/1/Breaking-the-Cycle
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Attraverso le pianure infestate della Città Infame, oltre la sudicia palude verde e i pilastri, crepati e decadenti che reggevano il mondo, lei lo vide arrivare; la sua armatura dorata tintinnava e scintillava alla luce della sua torcia ad ogni passo prudente che faceva. L’uomo e la sua armatura erano ridicoli alla vista. Non c’era posto per l’oro nella palude. La palude era fatta per le cose oscure, come lei, e Quelana decise che, se il folle si fosse portato a tiro, gli avrebbe fuso quell’armatura attorno al corpo per impartirgli una lezione.
 
Man mano che l’uomo avanzava a stento attraverso la palude, menando colpi decisi agli insetti giganti e aggirando attentamente dei ragni infetti che stavano nutrendosi di un cadavere, Quelana realizzò che il folle non stava solo cercando di avvicinarsi a lei, ma che lei stessa sembrava essere il suo obiettivo. La visiera dell’elmo continuava a spostarsi su di lei, sul terreno, e poi ancora su di lei, mentre l’uomo si avvicinava sempre di più.
 
Il battito del cuore di Quelana accelerò. Stette ferma e preparò la piromanzia sotto gli spessi strati del suo mantello nero, tenendo gli occhi fissi sullo straniero che si avvicinava da sotto il suo cappuccio. Il folle dorato, ora solo a pochi passi di distanza, si fermò, immerso fino alle caviglie nel fango, fissandola.
 
Nessuno dei due parlò per un lungo momento, poi il suono di una risata risuonò dall’elmo e l’uomo si tolse l’oggetto dorato dalla testa. Quelana socchiuse gli occhi, rimanendo cauta, mentre l’uomo portava l’elmo al suo fianco e si spostava le sottili ciocche lunghe fino al mento di sporchi capelli biondi dal volto. I suoi occhi si fissarono su di lei, freddi e grigi, e le sue labbra, circondate da un sottile accenno di barba, si aprirono in un largo sorriso; i suoi denti bianchi, ordinati e puliti. “Rilassati, strega. Non voglio farti del male.”
 
Quelana arretrò leggermente. Se l’uomo la chiamava ‘strega’, voleva dire che sapeva chi era, e improvvisamente non si sentiva più a suo agio in sua presenza, esposta e sola. “Che cosa vuoi?” Sibilò da sotto il cappuccio, sperando di suonare intimidatoria.
 
L’uomo dorato fissò quei suoi occhi grigi su di lei e fece un passo avanti. Quelana alzò il braccio, lasciando cadere la manica fino al polso, e gli mostrò le fiamme che avvolgevano la sua pelle chiara e le sue dita sottili, pronte a colpire; pronte a bruciare. L’uomo si fermò, s'inginocchiò e piantò la sua torcia nel fango prima di estrarre uno shotel dal fodero sulla sua schiena. Lo tenne di fronte a sé e mosse la lunga lama ricurva dell’arma in semicerchio, lasciando che la fiamma della torcia giocasse e danzasse sulla sua riflettente superficie d’acciaio. Alzò lo sguardo su di lei e le offrì un altro sorriso smagliante. “Mi puoi bruciare, strega, non lo nego. Ma sopravviverei al primo colpo e ne uscirei terribilmente arrabbiato. Riusciresti a colpirmi ancora, prima che scatti avanti e ti colpisca con la mia lama? Forse, forse no. Nessuno di noi due vuole veramente scoprirlo, vero?” Aspettò che lei rispondesse. Dato che taceva, rispose lui per lei. “No, non vogliamo. Spegni la fiamma, strega. Ti ho detto che non ti avrei fatto del male…ma lo farò senza dubbio. Se vi si dovesse arrivare.”
 
“Rispondimi,” scattò Quelana, sentendosi sempre meno a suo agio a ogni secondo che passava. “Che cosa vuoi, folle!?”
 
“Una fine,” le disse l’uomo, la sua espressione improvvisamente più buia. “Una fine…a tutto questo. Questa follia. Questo…ciclo di follia.”
 
“Di che follia parli, oltre alla tua?”
 
“Ci siamo già incontrati prima, strega, e so che tu lo sai,” disse l’uomo. “Pensaci bene. Mi conosci.”
 
La fronte di Quelana si aggrottò sotto il cappuccio. “Io…tu menti. Non solo un folle, ma anche un bugiardo.”
 
“Qual è il mio nome?” Insistette l’uomo. “Lo sai. Avanti. Pensa. Il primo nome che ti viene in mente. Qual è?”
 
“Lautrec,” disse lei immediatamente.
 
“Sì. È quello. Hai indovinato. Vedi?”
 
Quelaana scosse la testa. “Che stregoneria è questa? Cosa…” Lanciò uno sguardo alle proprie spalle, con il crescente presentimento di un attacco. Rimpianse di non essersi nascosta prima dell’arrivo dell’uomo. Voleva farlo. Se solo fosse stata più veloce.
 
“Sono solo, strega,” spiegò Lautrec. “Rilassati e svuota la mente. Sei l’unica altra persona che può capire cosa ti sto per dire. Lo so, perché te l’ho già spiegato in passato.”
 
“Non ha senso!” scattò Quelana. “È il tuo tentativo di confondermi! Di distrarmi! Dove sono i tuoi compagni? Stanno sgattaiolando nell’ombra dietro di me?”
 
Lautrec rise. “Strega, se ti avessi voluta morta, saresti morta, ora. Non mi avresti visto mentre mi avvicinavo da trecento piedi di distanza. Mi sarei avvicinato a te di nascosto e ti avrei piantato la mia lama nella gola. Hai un’incredibile maestria con le fiamme, questo è vero. Ma per un cavaliere come me? Nelle tue vesti logore e a piedi nudi? Pensi che non sarei piombato su di te per farti fuori? Avrei potuto. Non l’ho fatto. Non voglio farti del male. Non lo dirò un’altra volta. Ora ascoltami. Il prescelto è quasi pronto a nascere nel mondo, e non abbiamo molto tempo.”
 
“Il prescelto…” Gli fece eco Quelana e un velo di confusione si alzò dalla sua mente. “Vuoi dire…il mio alunno.”
 
Lautrec sorrise. “Ora ci siamo. Hm, avrei dovuto iniziare con quello. Un promemoria per la prossima volta se, dimenticati dagli Dei, ne vivremo un’altra. Sì, il prescelto è spesso un tuo studente. Tuttavia a volte non lo sono. A volte ti uccidono. A volte, perfino, non ti incontrano affatto. Sei parecchio abile a nasconderti.”
 
“Parli del Prescelto come se fossero molti invece di uno. Perché?”
 
“Perché ho imparato la verità, strega. Che questo ‘Prescelto’ che viene a calpestare il nostro mondo, ammazzando bestie, suonando campane, riempiendo ricettacoli…se fossero veramente scelti per essere ‘colui’ che mette fine a tutto, allora hanno fallito. Uno dopo l’altro. Ci hanno deluso. O forse…noi li abbiamo delusi.”
 
“Come lo sai?”
 
“Perché siamo ancora qui,” spiegò Lautrec. Alzò le mani e diede uno sguardo alla palude circostante. “Pensaci, strega. Hai una probabilità di sopravvivenza più alta della mia durante questi cicli. Il Prescelto nasce in questo mondo, porta a termine tutti i suoi obiettivi, parte per il sottosuolo con il vecchio Frampt, e poi uccide Gwyn. A volte accendono la fiamma, a volte no. In ogni caso, eccoci qui. Sopravviviamo. Il mondo…si resetta e arriva un nuovo prescelto. Tu questo lo sai, strega. Tu ed io abbiamo vissuto attraverso questo ciclo per molto, molto, tempo.”
 
Quelaana si portò una mano alla testa, fissando le acque fangose vicino ai suoi piedi. “Non…può essere.”
 
“Eppure è così,” disse Lautrec con un sospiro.
 
“Come fai a sapere cose come queste?” Domandò Quelana. “Non sei che un uomo mortale, eppure parli come se fossi un Dio.”
 
“Mi ci è voluto molto tempo per penetrare nell’abisso e vedere qualcosa di più dell’abisso stesso,” spiegò Lautrec, e Quelana notò che aveva fatto un altro passo verso di lei nel parlare. Lo voleva bruciare, ma ora…ora voleva anche sapere cos’aveva da dire. “Credo sia iniziato con una sensazione di familiarità da parte mia. Una frase detta, forse. Un movimento. Un’azione. Una folata di vento che catturò la mia attenzione. Non posso esserne sicuro. In qualche modo, tuttavia, ad un certo punto ho realizzato che avevo già vissuto questa vita prima d’ora. Più ci pensavo, e più evidente è diventato. Non l’ho vissuta solo una o due volte. L’ho vissuta decine di migliaia di volte. Forse milioni. Forse…forse da sempre.”
 
Quelana iniziò a vedere il volto del suo alunno. Aveva pensato, per così tanto tempo, al suo alunno come uno, ma il volto iniziò a cambiare e distorcersi fino a che diventarono molti volti…troppi per vederli chiaramente. Lei seppe, allora, che il folle stava dicendo la verità. “Il Prescelto…hai ragione. Ce ne sono molti.”
 
Troppi, se chiedi a me,” disse Lautrec con una smorfia amara. “Quando realizzai la prima volta la nostra eterna prigionia nel tempo, credetti che i Prescelti fossero intrappolati nel nostro mondo, e che questa fosse la loro punizione. Ma ora la vedo in un altro modo. Noi siamo i prigionieri, strega. Tu ed io e ogni altro abitante di questo regno maledetto. Loro non sono imprigionati nel nostro mondo, noi siamo imprigionati nel loro. E, francamente, sono stanco di questo.”
 
“Cicli…tu parli di cicli.”
 
“Sì. Il ciclo inizia quando un prescelto prende vita. Finisce quando affrontano il vecchio Gwyn. Poi arriva un altro prescelto. A volte sembrano…freschi. Come se non avessero mai fatto tutto questo prima d’ora. Ma molti di loro…molti di loro ritornano! Ritornano con nuove conoscenze e impeccabili abilità. Uccidono i mostri di questo mondo con facilità, scattando verso il traguardo, e a che scopo? Perché, per rifare tutto di nuovo!” Il cavaliere dorato era sempre più arrabbiato, mentre parlava, e ora il suo volto era rosso e sconvolto, e i suoi denti erano serrati. “Sai quante volte mi hanno ucciso, strega?”
 
 “Meritavi di morire. Sei un uomo malvagio,” gli disse Quelana. Stava ricordando sempre di più mentre l’uomo parlava, e ora le era tornato in mente qualcosa di terribile. “Un uomo malato! Tu uccidi la povera Anastacia di Astora! Quella donna non ha la lingua, e nonostante questo la uccidi! Ancora e poi ancora! Assassino!” Le fiamme che lambivano le sue dita crescevano e pulsavano mentre la sua rabbia cresceva.
 
Lautrec alzò gli occhi al cielo. “Si arriva sempre a questo, vero? Povera, muta, Anastacia. Ciò che faccio sono affari miei, strega. Non ne sai niente. Non giudicarmi come se ne sapessi qualcosa. E tu pensi che i Prescelti mi ammazzino per un qualche senso di giustizia? Ha! Forse un paio, ma conosci la vera ragione per la quale sono stato ammazzato decine di migliaia di volte?” Tese la mano in avanti e si tolse un guanto. Su un dito portava un anello dorato. “Per un gioiello.” Fece una risata amara. “Un anello che li aiuta nel loro viaggio. Ecco perché muoio. Se io sono malato per aver ucciso una guardiana del falò muta un paio di volte, cosa fa questo dei Prescelti? Hanno ucciso milioni, e non danno segno di volersi fermare.”
 
“Basta così, folle!” Sibilò Quelana. “Perché sei qui a dirmi questo? Se questo ciclo è così infinito come dici, non c’è niente che tu od io possiamo fare!”
 
“Ah, ecco dove ti sbagli, strega! Vedi, il Prescelto, questo Prescelto, almeno, si sta dirigendo verso Gwyn proprio ora mentre parliamo. Mi sono nascosto da lui. Ammantato nell’ombra mentre passava. Mi sono liberato dalla mia prigione. Ho viaggiato attraverso Lordran. Ucciso più di un nemico. Sceso con quell'infernale ruota di legno qui nella Città Infame, e ora intendo prenderti e fare un ultimo viaggio prima che Gwyn emetta l’ultimo respiro. Un viaggio lontano da Lordran, verso il luogo dove tutto inizia. Il Rifugio dei Non Morti. Tu ed io saremo lì quando nascerà il nuovo Prescelto. Poi troveremo un modo per rompere questo ciclo e mettere una fine a questa follia. Per sempre.”
 
Quelana stette immobile, pensando a tutte queste nuove informazioni. Un’ultima domanda valeva ancora la pena di fare. “Perché io?”
 
“Io sono il miglior cavaliere di Lordran,” disse Lautrec senza un briciolo di umiltà nella sua voce. “Ma persino il miglior cavaliere non può portare a termine una missione così monumentale come arrestare la natura stessa del mondo da solo. Tu sei Quelana, progenie della Grande Strega Izalith, Figlia del Caos, e Madre della Piromanzia. Con te al mio fianco, non ho bisogno di nessun altro.”
 
Ora era il turno di Quelana di ridere. “Il tuo errore, folle dorato, è stato credere che avrei accettato di aiutare un uomo così spregevole, mostruoso e presuntuoso come te. Vattene. Questo ‘ciclo’ che sei così deciso a terminare non mi disturba. In verità, mi ci sono abbastanza affezionata. Ora lascia questo posto.”
 
Lautrec la fissò per un momento. Un sorriso si formò lentamente sul suo volto. “Il tuo errore, strega, è stato pensare che io stessi chiedendo il tuo aiuto. E, certamente, credermi quando ho detto di essere venuto da solo.”
 
Un secondo uomo balzò fuori dalle tenebre di fianco a lei prima che Quelana potesse accendere la sua piromanzia. IL suo peso la schiacciò e li spedì entrambi a terra. Lei sussultò dal dolore e urlò, cercando di divincolarsi dalla presa dell’uomo. Le fiamme emisero delle scintille dalle sue dita, ma se si fosse spinta oltre, avrebbe rischiato di dare fuoco alle sue stesse vesti. Il secondo uomo stava ridacchiando mentre forzava le sue braccia lungo i fianchi e iniziava a legare i suoi polsi con una corda. “Ce l’ho, Lautrec! L’ho presa! Hihi! Cagna infuocata! Presa!”
 
“Bravo, Patches,” disse Lautrec seccamente, avvicinandosi a loro. “Ha sopraffatto una fragile donna. E da dietro per di più. Ora legala velocemente prima che ti fonda la carne sulle ossa.”
 
L’uomo calvo ridacchiò. “Non può farlo!”
 
“Lo può fare. Lo farà. Sbrigati, idiota,” insistette Lautrec.
 
Il sorriso sul volto dell’uomo svanì ed egli abbassò lo sguardo su Quelana. “Vuoi bruciare Patches, cagna di fuoco? Hm?” Ridacchiò. “Te l’ho fatta alla grande, non è così?”
 
Argh!” ruggì Quelana tra i denti, provando a divincolarsi dalla sua presa. Non servì a nulla. Sentì i suoi polsi legati assieme davanti a lei mentre l’uomo stringeva e assicurava i nodi. Poi la girò sul fianco e le strinse le braccia al corpo, facendo girare la corda tutto attorno fino a che lei non fu legata dalle spalle fino agli avambracci.
 
“Hihi,” ridacchiò Patches. “l’ho legata stretta, Lautrec. Non brucerà niente, ora.”
 
“Buon per te. Legale i piedi,” ordinò Lautrec, rinfoderando lo shotel ora che lei era inoffensiva. “Sbrigati. Se Gwyn muore prima che noi lasciamo Lordran…tutto questo sarà stato inutile.”
 
“I piedi? Come farà a camminare con i piedi legati?” Chiese Patches, grattandosi la sua testa calva.
 
“Non lo farà, idiota. La porterai tu.”
 
“Io? Portarla?!” scattò Patches. “Non è giusto! Non voglio!”
 
Lautrec si inginocchiò affianco all’uomo e lo fissò con quei suoi freddi, grigi occhi. “Davvero? Parlami ancora delle cose che non vuoi fare, Patches. Avanti…protesta ancora.”
 
“Io…io…” l’uomo era chiaramente spaventato dal cavaliere dorato. Deglutì, si grattò la testa e distolse gli occhi da quelli di Lautrec. “Ok, va bene allora. La porterò io. Solo che non vedo il bisogno di tutto questo…”
 
“Perché siamo nel suo dominio quaggiù. Potrebbe liberarsi, scappare via e dovremmo sprecare tempo prezioso per cercarla. Tempo che non abbiamo. Quindi legala e sollevala. Se ti lamenti ancora…beh, sai come sono quando mi arrabbio.”
 
“S-sì, Lautrec,” balbettò Patches.
 
Lautrec annuì, stette lì per un momento ed estrasse la torcia da terra. Si girò verso la palude e si rimise l’elmo dorato in testa.
 
“Lasciami andare, folle!” Insistette Quelana, tirando la corda. “Liberami e brucerò solo lui,” disse, guardando Lautrec attraverso il suo cappuccio.
 
“Taci, cagna di fuoco,” la ammonì Patches, girandola sulla schiena e spostandosi verso le sue gambe. “Uuuh, scalza cagna di fuoco? Non ci possiamo permettere degli stivali, cagna? Hihi!” Le sue dita le solleticarono le piante dei piedi.
 
Quelana sollevò di scatto il piede e sentì il tallone sbattere contro la mascella dell’uomo. Patches ululò e cadde indietro sul sedere. Lei si spostò sul fianco, si mise sulle ginocchia e si preparò a correre via nella palude.
 
Fece due passi prima che Lautrec la prendesse per il mantello e la tirasse indietro. “No!” Urlò Quelana mentre le braccia dell’uomo si avvolgevano attorno a lei e la tirassero verso il suo corpo. Il freddo acciaio della sua armatura era duro e affilato, premuto contro il suo mantello. “Lasciami andare! Non hai alcun diritto di farmi questo!”
 
Lautrec la fissò. Alzò il braccio e le tolse il cappuccio dal viso. Quelana odiava avere il cappuccio abbassato. Si sentiva esposta, nuda. Arricciò il naso, l’aria fredda della palude le spazzava le guance, le correva attraverso i capelli, le danzava sulle labbra. Provò a voltarsi, ma il cavaliere dorato la teneva ferma, tendendo il collo per poterla osservare. “Beh, le voci sono vere. Sei parecchio bella, strega.” La fissò ancora a lungo,Quelana si dimenava a disagio tra le sue braccia, mentre i suoi occhi grigi guizzavano su ogni particolare del suo viso. “Molto bella, senza dubbio.”
 
Patches tornò, mormorando maledizioni sotto i baffi, e le legò caviglie e ginocchia all’istante, mentre Lautrec la teneva ferma. Poi il cavaliere dorato la lasciò, e l’uomo calvo la prese, ridacchiando ancora, mettendosela sopra la spalla.
 
“Ora diamoci una mossa,” disse Lautrec, camminando nella palude, tenendo la torcia davanti a sé. “Abbiamo un mondo da cambiare.”
 
La magra figura di Quelana rimbalzava contro la spalla ossuta dell’uomo che la portava; corpo, gambe e braccia legati e inutili, alzando la testa e dando un ultimo, bramoso, sguardo al suo piccolo posto nella Città Infame. Un posto che ora temeva non avrebbe più rivisto.
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Spero che la lettura vi abbia intrattenuto e interessato. Se così fosse, il feedback è sempre ben accetto. Non esitate, inoltre, a scrivere critiche purché costruttive e volte al miglioramento della traduzione. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Eccovi il secondo capitolo; scusate se vi ho fatti aspettare, d'ora in poi vedrò di caricare un capitolo ogni due settimane. Buona lettura.
LoneSpark
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Capitolo 2
Il tragitto per uscire dalla Città Infame fu, fortunatamente, privo di difficoltà. Lautrec li guidò attraverso la palude, la strega Quelana legata sopra la spalla di Patches, e verso la grande ruota di legno che portava i viaggiatori lontano dal fetore e dalla sporcizia delle terre smorte al di sotto. La piattaforma scricchiolò sotto il peso dei tre, ma li sollevò lo stesso. Mentre salivano, Lautrec infilò la mano nel sacco legato attorno alla vita di Patches e ne trasse del muschio viola per Patches e per se stesso. Mandando giù il muschio, riusciva a percepire il putridume della Città Infame scivolare via dal suo corpo e la sua salute ritornare. La strega sembrava per lo più impassibile di fronte alle malattie della palude, e quindi Lautrec non le diede niente.
 
All’entrata del tunnel che conduceva all’esterno verso il Santuario del Legame del Fuoco, la strega iniziò a dibattersi sopra la spalla di Patches, e Lautrec ringraziò di essersi liberato dei barbari che infestavano il sentiero quando era entrato.
 
“Non lo sta rendendo più facile, Lautrec,” piagnucolò Patches, afferrando con una smorfia il mantello della strega. “La cagna di fuoco mi fa male alla spalla!”
 
Lautrec arrestò la loro avanzata e fece segno a Patches di metter giù Quelana. L’uomo calvo sogghignò, annuì, e la buttò a terra, dove atterrò con un tonfo nella polvere. Il suo cappuccio, cadendo, era scivolato via dal suo viso, e lei fissò Lautrec mentre questi si avvicinava; le fosse verdi smeraldo dei suoi occhi luccicavano di rabbia nel mare di candida, soffice pelle che era il suo volto. “Stai lontano da me…” minacciò lei.
 
“Non dire cosa fare al Cavalier Lautrec, cagna di fuoco!” scattò Patches.
 
“Perché fai la difficile?” le chiese Lautrec, ignorando Patches.
 
Quelana evitò i suoi occhi mentre parlava. “Perché? Rapisci una donna, la leghi, la trascini lontano dalla sua casa e hai il coraggio di chiedere perché fa la difficile? Sei veramente un folle, non è vero?”
 
Lautrec seguì il suo sguardo lungo il tunnel e verso la striscia di sole che li attendeva, verso l’esterno nella Valle delle Viverne. Quando si voltò di nuovo verso di lei, vide qualcosa al di sotto di quella rabbia ardente nei suoi occhi. “Hai paura, non è così?”
 
Lo sguardo di Quelana scattò velocemente su di lui e la sua bocca si aprì, ma lei non disse niente.
 
Lautrec annuì. “Non hai mai lasciato la Città Infame, vero? E non hai mai visto il sole nel cielo, suppongo?”
 
“Io…” Quelana balbettò, abbasso lo sguardo, e sospirò. “No…mai.”
 
“Hihi!” ridacchiò Patches dietro di loro. “La cagna di fuoco ha paura del grande sole cattivo! Hihi!”
 
“Patches, qual è il tuo dito preferito?” chiese Lautrec all’uomo voltandosi verso di lui.
 
“C-cosa?” Rispose Patches tra le risate.
 
“Il tuo dito preferito. Qual è?”
 
“Io…Immagino questo qui?” Patches si spostò al fianco di Lautrec e mosse il suo indice destro. “Ti dirò, questo ditino ha fatto gemere un buon numero di cagne come lei. Perché?”
 
“Se la chiami un’altra volta ‘cagna di fuoco’, te lo taglio.”
 
Patches ridacchiò, ma quando Lautrec lo fissò e non rise, Patches impallidì e iniziò a strofinare amorevolmente il suo dito. “È una potente piromante e la figlia di Izalith, e vale molto più di te. Portale rispetto o il dito diventa mio.”
 
“Per gli Dei, Lautrec, va bene!” urlò Patches, continuando a strofinarsi il dito. “Calmati, porca miseria!”
 
Lautrec volse il suo sguardo sulla strega. Stava di nuovo fissando la fine del sentiero. “Senti, strega, ci andrai, là fuori. In un modo o nell’altro,” le spiegò Lautrec, tagliando le corde attorno alle sue caviglie con la lama del suo shotel. “Il sole non è altro che un’enorme palla di fuoco. Dovresti sentirti a casa sotto il suo sguardo.” Tagliò le corde attorno alle sue ginocchia. “Ma se tu ci combatti…se scappi da noi…se continui a sprecare il nostro tempo…le cose si possono mettere male per te. Capisci?”
 
Quelana guardò le sue gambe, ora libere, prima di posare ancora i suoi occhi verdi su Lautrec. I suoi lineamenti si fecero duri mentre parlava, “Brucerai per ciò che mi stai facendo, cavaliere.”
 
Lautrec annuì. “Mi sembra giusto. Sono sicuro che un giorno lo farò. Tutti gli uomini devono pagare per i propri peccati. Ma per adesso? Alzati. E muoviti. Patches, prosegui.”
 
Proseguirono in questo modo per tutto il tragitto fino al Santuario del Legame del Fuoco; Patches li guidava, fischiettando una melodia, felice di essersi liberato dell’incarico di portare la strega; Lautrec dietro a tutti, vigile e pronto allo scontro in caso d’imboscata; Quelana, in mezzo, avanzava riluttante, torso e braccia legati da corde. Alla fine del tunnel, si oppose all’uscire alla luce del sole, ma Lautrec la prese per la spalla e la spinse in avanti finché lei non inciampò e cadde all’esterno. La strega rantolò e sussultò come colpita da un pugno, ma dopo un momento, quando capì che il sole non le avrebbe fuso la pelle, si rialzò e iniziò a fare prudenti e timorosi passi in avanti. Lautrec si spostò dietro di lei e le tirò il cappuccio sopra la testa, e nonostante lei non lo ringraziò, iniziò a muoversi più velocemente da quel momento in poi.
 
Attraversarono rapidamente la Valle delle Viverne, passando per le rovine infestate di Petite Londo, e poi su per il lungo tratto d’ascensore che li portò al Santuario del Legame del Fuoco. Salirono la scalinata a spirale di vecchia pietra e muschio, e arrivarono al terrazzo circolare al di sotto del falò.
 
Quelana si fermò davanti alla prigione scavata nella terra sotto il falò e si voltò a guardare Lautrec. “I miei alunni hanno detto che è questo il posto dove lei risiede. Eppure, non è qui.” La voce della strega si faceva sempre più irosa da sotto il cappuccio. “L’hai uccisa. Anastacia. Perfino con tutta la tua conoscenza su cicli e Prescelti…l’hai uccisa lo stesso. Perché? Se questo mondo è destinato a resettarsi, perché uccidere comunque la donna!? I miei alunni erano così affranti per-”
 
Basta!” Urlò Lautrec, e il suo tono era abbastanza furioso da far arretrare Quelana. Lei tacque. “Se dovrò vivere un milione di vite, la ucciderò un milione di volte.” Perché devo. E perché se lo merita. Non un’altra parola. Muoviti. Ora!
Il solo pensiero della donna gli faceva ribollire il sangue. Fece un passo avanti, girò Quelana su se stessa, e la spinse per farla camminare.
 
“Che razza di cavaliere sei per uccidere una donna indifesa e senza lingua,” disse Quelana a mezza voce mentre saliva le scale che conducevano al falò soprastante. “Patetico.”
 
“Un’altra parola a riguardo e sarai tu quella senza lingua,” la ammonì Lautrec.
 
La strega gli lanciò uno sguardo da sopra le spalle, ma non parlò oltre.
 
Patches si avvicinò al falò spento, calciò le ceneri con la punta dello stivale, e sputò nel centro. Girò la sua testa calva verso Lautrec e alzò un sopracciglio. “E ora? Non mi hai mai detto esattamente come ci arriviamo a questo Rifugio dei Non-Morti da qui.”
 
“L’uccello,” disse Lautrec, indicando oltre l’arco di pietra che conduceva sottoterra, alla Fornace della Prima Fiamma. L’enorme bestia nera era lì, appollaiata in alto, i buchi neri che erano i suoi occhi fissavano il loro gruppo.
 
“Il maledetto corvo?”
 
“Sì. E Frampt non c’è più. Questo significa che il Prescelto sta affrontando il vecchio Gwyn proprio adesso mentre stiamo parlando. Non c’è tempo. Muoviamoci.”
 
“Come diavolo farà il corvo a portarci a destinazione?” Chiese Patches, grattandosi la testa. “E come dovremmo fare ad attirare la sua attenzione?”
 
“Seguitemi. Ho già fatto il grosso del lavoro,” Spiegò Lautrec, presa Quelana per la corda attorno alla sua vita, e tiratola affianco a sé mentre saliva rapidamente una rampa di scale attorno alle alte pareti della vasca interna.
 
Dopo una breve camminata, arrivarono alla base di una torreggiante struttura in pietra. Una corda penzolava giù verso di loro, ondeggiando nella fredda brezza. “Arrampicati,” disse Lautrec, afferrando la corda e spingendola verso il petto di Patches.
 
Patches deglutì, gli occhi sgranati mentre seguiva con lo sguardo la corda su e su fino alla cima dell’edificio. “È una dannata scalata di almeno trenta metri, Lautrec!”
 
Arrampicati,” scattò Lautrec. “Non abbiamo più tempo per chiacchierare.”
 
“Gli Dei mi aiutino…” sussurrò Patches, toccandosi la fronte, poi saltò e afferrò la corda più in alto che poté prima di iniziare il complicato compito di arrampicarvisi. “Immagino che dovrò portare anche la cagna di f- ehm, beh, la strega di fuoco dopo di me, no?”
 
“Sì. Ma non peserà più di 45 chili. Ce la farai.”
 
Patches si spostò più in alto. “Se cado-”
 
“Morirai. O sarai così a pezzi che ti lascerò morire,” spiegò Lautrec. “Quindi…non cadere.”
 
“Perché portarti dietro l’idiota?” Chiese Quelana appena Patches fu abbastanza alto non essere più a portata d’orecchio. “Come potrebbe esserti utile?”
 
“Ho bisogno d’aiuto,” disse Lautrec. “E non se ne trova molto in queste terre maledette. L’ho incontrato nelle catacombe. Ha provato a uccidermi.”
 
La strega voltò il viso incappucciato verso di lui.
 
Lautrec sogghignò. “Ci ha provato. Ovviamente, ha fallito. L’ho sconfitto, e invece di finirlo gli ho fatto giurare alleanza.”
 
Una risata beffarda uscì dal cappuccio della strega. “La lealtà giurata sotto un coltello non è vera lealtà.”
 
“No,” convenne Lautrec. “Ma accetterò tutto l’aiuto che riesco a ottenere, per quanto temporaneo possa essere. In più, l’uomo ha già cercato di uccidermi una volta e ha fallito. Quando inevitabilmente si stancherà di prendere ordini da me, ci riproverà. Il risultato molto probabilmente sarà lo stesso.”
 
Quelana tacque per un momento, poi disse, “Una strega in catene e un uomo che ha giurato falsa lealtà. E ti aspetti che questa tua folle missione riesca?”
 
“Mi aspetto di cambiare le cose. O morire nel tentativo.” La corda cadde oscillando verso di loro, e Lautrec guardò in alto per vedere che Patches era riuscito ad arrivare in cima e stava agitando le mani trionfante. Lautrec tirò la strega verso di sé e assicurò la corda attorno alla sua vita. “Non è particolarmente forte,” disse a Quelana mentre la legava. “Quindi non agitarti troppo se non vuoi perdere la vita.”
 
“La mia vita?” Gli fece eco Quelana. “Pensi che m’interessi della mia vita? Se morissi, stando a ciò che dici, tornerò indietro appena questo mondo si resetterà. Non è così? Tornerò nella Città Infame, nel posto a cui appartengo.”
 
“Forse,” ammise Lautrec, stringendo l’ultimo nodo. “O forse questa volta cambierò le cose e la tua miserabile esistenza finirà in uno schizzo proprio qui sui miei stivali. Puoi correre il rischio se desideri.” Portò le mani a coppa attorno alla bocca dietro alla visiera del suo elmo e sollevò la testa. “Patches! Tirala su!”
 
Quelana fu sollevata da terra, i suoi piedi nudi che dondolavano sotto di lei. Emise un grugnito a ogni strattone verso l’alto; Patches, sopra, tirava e tirava. Lautrec la guardò salire, e quando fu abbastanza in alto, poteva sbirciare sotto il suo cappuccio. Le sue labbra sottili erano arricciate in un sorriso. Non gli piaceva. Il sorriso di una strega non era mai un buon presagio. L’aveva scontato sulla sua pelle in un’altra vita.
 
“Sbrigati, Patches!” Urlò Lautrec. Stette a guardare mentre la figura scura della strega veniva sollevata nell’ultimo tratto di torre, e poi scompariva oltre il suo bordo. Passò un attimo, e non arrivò nessuna corda. “Patches! La corda!” Un altro momento. Ancora nessuna corda.
 
Lautrec imprecò e tirò un calcio all’edificio. O Patches l’aveva finalmente tradito, o la strega aveva un asso nella manica. In ogni caso, non era una buona cosa. Lautrec girò sui tacchi e corse giù per il sentiero erboso affianco alla torre. Passò sotto un arco, salì una rampa di gradini di pietra, e girò l’angolo in cima. Un sistema di carrucole lo aspettava. Corse dentro, aspettò finché il montacarichi non l’aveva sollevato abbastanza in alto, e poi saltò fuori sul tetto della struttura sottostante. L’aveva visto fare al Prescelto. Più di una volta, in effetti. Era in quel modo che aveva legato la corda lassù. Si avvicinò al bordo della collina erbosa adiacente al tetto e prese fiato. Un pilastro di pietra pendente da un lato tre metri più giù, e lontano almeno altri tre, sporgeva da terra. Conduceva a una scalinata che l’avrebbe portato in cima alla torre. Arretrò di un passo, calcolò la distanza, arretrò di un altro. Scattò verso il ciglio della collina, saltò con tutta la sua forza, e volò nell’aria verso il pilastro.
 
La cotta dorata della sua armatura sferragliò contro la roccia mancandola di poco con i piedi. I suoi guanti d’oro cercarono un appiglio, ma invano, e per un momento di nausea e terrore – pensò che sarebbe caduto. Poi il suo stivale trovò un appoggio e il cavaliere lo sfruttò per spingersi verso l’alto. Una volta in piedi, svoltò correndo l’angolo e salì la scalinata a spirale due gradini alla volta. Senza fiato, il cuore martellante nel petto, arrivò al nido del corvo.
 
Patches stava cercando furiosamente di liberare Quelana dai nodi attorno alla sua vita.
 
Patches!” Urlò Lautrec, ma l’uomo calvo non gli prestò attenzione.
 
Tuttavia Quelana lo fece, e si spostò rapidamente mentre il cavaliere correva avanti e placcava Patches al suolo. Si rotolarono due volte, evitando per poco di precipitare giù. L’elmo di Lautrec sferragliò per terra, girandosi da un lato e coprendogli così la vista. Lui ruggì e si strappò la cosa dal capo, gettandola da una parte. Quello rotolò e scomparve giù dal bordo. Lui lo ignorò, scegliendo invece di avvolgere le proprie mani attorno alla gola di Patches, e stringere.
 
Il viso di Patches si fece giallo, rosso, viola. I suoi occhi sporgenti dalle orbite, ruotavano nella sua testa. Le sue mani afferrarono quelle di Lautrec, ma erano prive di qualsiasi forza. Suoni strozzati e gorgoglianti, che potevano essere interpretati come tentativi di dialogo, uscirono dalle labbra dell’uomo.
 
“Lascialo andare,” disse Quelana a Lautrec da dietro le spalle dell’uomo. “Stava agendo sotto un mio incantesimo. L’ho ammaliato. Stai per uccidere un uomo per qualcosa che non poteva controllare.”
 
Lautrec voltò la testa di scatto e lanciò uno sguardo alla strega. Lei abbassò il cappuccio cosicché egli potesse vederla. La sua espressione era di profonda sincerità. L’uomo si girò verso Patches, ci pensò un attimo, e lo lasciò andare. Patches era a metà tra il tossire e il disperato bisogno di aria mentre il colore tornava sul suo volto. Lautrec lo scavalcò e stette in piedi a guardarlo. Vide che Quelana si trovava proprio sull’orlo del pericolante pavimento di pietra della torre.
 
“Cosa stai facendo, strega?” Chiese Lautrec. “Allontanati da lì.”
 
Patches stava ancora tossendo quando parlò da terra, “C-cos’è successo? Lautrec? Cosa diavolo è successo!?”
 
“La strega ti ha fatto un incantesimo,” spiegò Lautrec, senza staccarle gli occhi di dosso. “E ti ho quasi ucciso per questo.”
 
Patches si massaggiò la gola, e si alzò barcollando. “Lei…l’ha fatto? Ricordo che mi stava sussurrando qualcosa nell’orecchio e la sua voce era…era nel profondo della mia anima.”
 
“Allontanati da lì,” disse Lautrec.
 
Quelana si guardò indietro da sopra la spalla. “Una caduta da quest’altezza mi ucciderebbe sicuramente. Liberami.”
 
“Non farlo.”
 
“Lascia che si butti!” Protestò Patches. “Mi ha quasi fatto uccidere! Sgualdrina dalla lingua di demone!”
 
Il vento si alzò, facendo danzare selvaggiamente le sue vesti nere attorno alla sua figura minuta. Il suo cappuccio cadde dal suo volto, e Lautrec vide che c’erano lacrime nei suoi occhi. “Che io possa incontrare mia madre e le mie sorelle nell’aldilà.”
 
“No!” Urlò Lautrec.
 
La terra tremò e un lungo urlo penetrante arrivò da un luogo indefinito delle profondità del Santuario.
 
I tre tacquero immediatamente, i loro occhi che si spostavano dal suolo, al cielo, a quelli di qualcun altro.
 
“Gwyn è morto,” disse Lautrec. “Il Prescelto sta per prendere la sua decisione. Dobbiamo andare.”
 
La terra tremò ancora, e questa volta Lautrec ne approfittò per scattare in avanti e stringere Quelana tra le proprie braccia. Lei si dimenò appena. La scossa aveva risvegliato dentro di lei una paura viscerale.
 
“Cosa facciamo!?” Urlò Patches nel panico. “Come ce ne andiamo da qui!?”
 
“Il nido. Entra nel nido del corvo,” ordinò Lautrec, tirando Quelana con sé mentre si arrampicava nel letto di rami saldamente attaccato al picco più alto dell’edificio.
 
“È maledettamente ridicolo,” mormorò Patches, raggiungendolo. “Perché ho deciso di seguirti in quest’impresa!? Sedersi nel nido di un corvo a una trentina di metri d’altezza mentre il mondo si sgretola sotto di noi? Questa è follia! Cosa ti aspetto che succeda? Al dannato corvo non gliene frega un-”
 
Le ali nere della creatura apparvero così all’improvviso, che fu come se il sole stesso fosse stato oscurato completamente. Patches strillò, e perfino lo stesso Lautrec sentì il suo coraggio vacillare leggermente. La strega non disse nulla, fissò semplicemente l’enorme bestia con curiosità.
 
“Oh, Dei!” Gemette Patches mentre gli artigli della creatura si serravano attorno al suo corpo.
 
Lautrec attirò a sé Quelana e la strinse tra le braccia. Il corvo affondò gli artigli attorno a loro e li avvolse nella sua potente presa.
 
“Questa cosa riuscirà a reggere il nostro peso!?” Supplicò Patches.
 
“Speriamo.” Rispose Lautrec.
 
Sentì un’ultima scossa di terremoto mentre l’enorme corvo spalancava le sue ali e li sollevava dal nido. Il vento freddo soffiava attorno a loro in spirali, sbatacchiando le vesti della strega e levando uno degli stivali dal piede di Patches. Lui urlò, ma sia Lautrec che la strega si strinsero tra le sue braccia, rimanendo in silenzio. Guardavano mentre il corvo li portava lontano dal Santuario del Legame del Fuoco, e la torre sulla quale si trovavano pochi attimi prima sembrava crollare su se stessa.
 
Lautrec pensò che finalmente aveva fatto il primo passo avanti verso un vero cambiamento.
 
Sperava di aver ragione.
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Se la storia ti piace, lascia una recensione, e se noti alcuni errori, fammelo sapere cosicché io possa darvi un lavoro in costante miglioramento per una più gradevole lettura da parte vostra, grazie.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Persino da vuota, Abby poteva sentire il morso del freddo sulla pelle, il vento ghiacciato infilarsi tra i suoi vestiti, un gelo profondo depositarsi nelle sue ossa. Avvicinò le braccia al corpo e le ginocchia al busto. Il pavimento di pietra della cella era duro e la graffiava, ma priva di alcun tipo di letto, doveva accontentarsi; i suoi vestiti divennero la sua coperta, il suo cappello, il cuscino. C’era stato un momento nel quale la speranza dentro di lei era sembrata scaldarla, ma col passare dei giorni e il crescere del freddo, arrivò a una tremenda conclusione, e questa pareva estrarre tutto il calore dalla cella: sarebbe morta lì. Sola. E fredda; molto fredda.

 

Ad un certo punto si addormentò. Non fece alcun sogno perché, immaginava, quando si è vuoti, anche quella parte di te che sogna diventa vuota. Questo la rese triste. Dormire da non morti era sempre breve, senza riposo, e scarno, e quando si svegliava, si sentiva come se non avesse dormito affatto. Non era più nemmeno sicura che avesse ancora bisogno di dormire. Eppure lo faceva. Forse per abitudine, forse come ultima difesa contro il freddo, pungente e implacabile. Forse perché in una cella di dieci metri quadri, dormire era l’unica cosa che si potesse fare.

 

“È uno scricciolo, non trovi?”

 

Voci nell’oscurità; parole portate dal vento.

 

“È lei. La causa della nostra sofferenza.”

 

Abby aprì gli occhi. Non era il vento a parlare.

 

“Beh, prendiamola e usciamo fuori di qui. Fa un freddo cane.”

 

In una scarica d’adrenalina, Abby raggiunse i suoi vestiti, trovò l’elsa della sua mazza, e la afferrò. Rotolò da un lato, fendendo l’aria con l’arma in un arco difensivo e alzandosi in piedi con un unico movimento. Stette immobile, con l’angolo della cella alle spalle, e fissò, gli occhi spalancati, il corpo all’erta, il gruppo di persone in piedi lì, di fronte a lei. Quello più vicino era un uomo alto e calvo con uno starno sorriso stampato in volto. Dietro di lui si trovava un cavaliere in armatura dorata. Tuttavia, non indossava alcun elmo e Abby poté vedere che l’uomo era di bell’aspetto, ma i suoi occhi erano grigi e penetranti mentre la guardavano. Affianco a lui vi era una figura più bassa, avvolta completamente in vesti nere. C’erano corde annodate attorno al suo busto, alle braccia e ai polsi, e Abby sentì un brivido lungo la spina dorsale quando guardò nella fessura del cappuccio del prigioniero.

 

“Come mi chiamo?” Chiese il cavaliere dorato, facendo un passo avanti e spostando di lato l’uomo calvo cosicché potesse starle di fronte. “Rispondimi, ragazza. Come mi chiamo?”

 

Gli occhi di Abby saettarono da una figura all’altra, si leccò le labbra, deglutì. “Non capisco…chi siete voi? Siete qui per liberarmi, o…per uccidermi?”

 

“Rispondi alla mia domanda e lo scopriremo,” le disse il cavaliere dorato. “Chi sono? Dove ti trovi? Le sai queste cose? Dimmi la verità.”

 

“No!” Scattò Abby. “Non ha senso! Vi prego! Sono rinchiusa qui da…”

 

“Continua. Da quanto tempo?” chiese il cavaliere, avvicinandosi. “Ma soprattutto: come ci sei arrivata?”

 

Lei alzò la sua mazza con entrambe le mani e la inclinò di fronte a sé per difendersi da un eventuale attacco. “State lontano, signore, vi prego!”

 

“Rispondi,” ripeté. “Da dove vieni?”

 

“Vinheim! Ok? I miei genitori mi mandarono alla Scuola del Drago per stregoni. Ho…fallito. Non ero portata per la magia. Ho preso la via delle arti bianche, iniziando ad allenarmi con i miracoli. Sono una semplice sacerdotessa! Non c’è alcun bisogno di farmi del male! Io-”

 

“Non ti ho chiesto la dannata storia della tua vita, ragazza,” disse il cavaliere, che ora si era portato a tiro. “Come sei arrivata in questa cella? Come sei diventata vuota?”

 

“Io…” Iniziò Abby, ma non riuscì a trovare le parole. Aggrottò la fronte mentre ci pensava, ma più cercava di ricordare, più lontana pareva farsi ogni traccia di risposta. Deglutì, scosse la testa, e posò di nuovo il suo sguardo sul cavaliere. “Non lo so.”

 

"Bene, non dovresti. Ora rispondi all'altra domanda. Chi sono? Pensaci. Guarda la mia armatura. Un'armatura dorata. Chi sono?"

 

"Io…io…" Balbettò Abby.

 

Il cavaliere balzò in avanti. Abby urlò e cercò di colpirlo con la mazza, ma non era mai stata molto brava in quello, e il cavaliere era chiaramente addestrato al combattimento. L'uomo alzò il suo guanto dorato, le afferrò il polso in movimento, e le torse la mano verso il basso. Con l'altra mano la spinse indietro contro l'angolo della cella, e prima che lei si accorgesse di quello che stava succedendo, lui aveva sguainato una lunga lama ricurva e la stava premendo contro il suo petto…

 

"Vi  prego!" Urlò Abby, chiudendo gli occhi.

 

"Sei vuota, ragazza. Quanta paura può farti la morte?"

 

Abby ci pensò. Immaginò che l'uomo avesse ragione.

 

"Un'ultima volta: chi sono?"

 

Si sforzò di aprire gli occhi e di studiare i lineamenti del volto dell'uomo. Non le dicevano niente. Le aveva detto di concentrarsi sull'armatura dorata e così fece, ma senza alcun risultato. "Lo giuro: non lo so."

 

Gli occhi freddi e grigi dell'uomo si fissarono su di lei, e dopo un attimo di tensione, lui annuì, rinfoderò la lama, e la lasciò. "È nuova," disse ai suoi compagni. "Non so se è una buona o una cattiva notizia. Ma almeno sta dicendo la verità."

 

Abby portò una mano tremolante alla fronte e fece un respiro profondo per calmarsi. "Chi siete voi?"

 

"Sono il Cavalier Lautrec, di Carim," disse l'uomo attraente, piegando leggermente la testa in un inchino. "L'uomo calvo dietro di me è Patches. È abbastanza stupido e non c'è da fidarsi di lui. Io lo eviterei nei nostri viaggi."

 

"Ehi!" Protestò Patches.

 

"Beh è così, no?"

 

Patches ci pensò su, alzò le spalle, e annuì.

 

"Chi è il tuo prigioniero? Mi fa paura," ammise Abby, stringendo gli occhi sulle cascanti pieghe di stoffa nera che era la terza persona.

 

Il cavaliere si mise a fianco della figura e, nonostante i deboli tentativi di divincolarsi della persona, afferrò il retro del suo cappuccio. "Questa è la nostra strega. Figlia del Caos, Quelana."

 

"Strega!?" Gli fece eco Abby, arretrando di un passo nel suo angolo.

 

Il cavaliere tirò indietro il cappuccio. Abby fissò la donna che vi si trovava sotto, stupefatta. Si aspettava un qualche mostro uscito direttamente dalle storie che i suoi genitori le leggevano da bambina. Naso arcuato e contorto, pelle verde, verruche, denti gialli e rotti. Fortunatamente, non vide niente di tutto ciò. La strega era giovane - o almeno sembrava giovane. La sua pelle era pallida, pulita e liscia alla vista. I suoi occhi erano di una bella sfumatura di verde, e ciocche libere dei suoi capelli color ebano pendevano affianco a essi. Un bavaglio era stato legato attorno alla sua bocca; le sue labbra sottili strette attorno al nodo centrale.

 

"È…bellissima," disse Abby. Gli occhi della strega si posarono su di lei.

 

"Già, purtroppo lo è," ammise Lautrec. "È un peccato che sia così pericolosa."

 

"Perché l'hai imbavagliata?"

 

La strega riportò lo sguardo sul cavaliere, ma Lautrec le rimise il cappuccio in testa. "Questa nostra piccola strega qui ha la lingua di un serpente. Ha il potere di sottomettere la tua mente con niente più di un paio di sussurri nel tuo orecchio. Il mio calvo compagno ha quasi perso la vita a causa di questo trucchetto."

 

Patches fece una smorfia e si massaggiò il collo. "Schifosa cagn-ehm, strega."

 

"Quanto potere…" sussurrò Abby, affascinata.

 

"Già," concordò Lautrec, mettendosi tra di loro cosicché Abby non la fissasse. "È una prigioniera potente, ma non la più collaborativa. Per questo è legata."

 

"Dove la stai portando?"

 

"Nello stesso posto dove porterò te. Lontano da questa maledetta prigione. Torneremo a Lordran."

 

Abby si accigliò. "Tu vuoi liberarmi, allora, ma…cosa ci aspetta a Lordran?"

 

Il cavaliere alzò le spalle. "Tutto? Niente? Chi lo sa. Siamo in un viaggio di cambiamento. Un cambiamento che è già iniziato." La sua bocca si aprì in un sorriso e alzò le mani indicando la cella. "Sicuramente lo senti questo freddo così aspro."

 

Abby annuì.

 

L'abbiamo creato noi. Vieni fuori con me. Guarda che magnifico cambiamento abbiamo già portato."

 

Il cavaliere allungò la mano. Abby deglutì nervosamente, il suo sguardo si posò sopra la mano, e poi sul cavaliere. Sentiva che afferrarla avrebbe sancito una sorta di patto col cavaliere e i suoi accompagnatori, divenendone parte, e l’idea la spaventava. Sembravano tutti così…forti. Così esperti. Lei era una maga fallita e un chierico novizio: cos’avrebbe mai potuto offrire loro?

 

“Non mordo,” la rassicurò il cavaliere, con un altro sorriso.

 

Lei si sforzò di sorridergli e, dato che non aveva altra scelta, afferrò la sua mano. Lui s'inchinò e la condusse fuori dalla cella mentre l’uomo calvo prendeva le corde della strega per un capo e la trascinava con sé. Il corridoio all’esterno della cella era buio, delle torce piantate su sostegni a intervalli regolari lo illuminavano, e sembrava persino più freddo di quanto fosse la sua cella. Strinse le braccia attorno al proprio corpo mentre avanzavano, il cavaliere vicino a lei che la teneva per i fianchi. Dalle crepe sul muro alla loro destra s'intravedeva un’enorme stanza. Era vuota. Alla fine del corridoio, li attendeva una stanza cilindrica; una lunga scala di acciaio spuntava dalla parete e conduceva di sopra. Abby piegò la testa all’indietro e vide un vortice bianco nel mondo che li aspettava all’esterno.

 

“Nevica,” disse.

 

“Sì. Una vera tormenta,” annuì Lautrec. “Ha iniziato proprio appena siamo arrivati.”

 

“Sembra che agli Dei non vadano a genio i cambiamenti,” soggiunse Patches da dietro, facendo quella sua strana risatina.

 

“Non capisco, signore,” disse Abby, voltandosi verso Lautrec. “Cos’è questo ‘cambiamento’ del quale voi e i vostri compagni continuate a parlare?”

 

“Non pensarci adesso. Sali e basta. Capirai poi.”

 

Abby tornò a fissare la scala, il mondo sopra di essa, la sua piccola cella dietro di lei e provò una scarica di eccitazione. Il suo piede si appoggiò sul piolo, la sua mano ne afferrò uno più in alto, e quando stava per salire, si girò verso il cavaliere. “Io…vi ringrazio, signor cavaliere. Per avermi liberato. Temevo che avrei passato il resto dei miei giorni in quella prigione.”

 

Lautrec gli posò una mano sulla spalla e annuì. Lei sorrise, e iniziò la salita.

 

Il mondo era un turbinio bianco, freddo e bagnato sopra di lei. Abby uscì dal buco e si dovette subito schermare gli occhi a causa della feroce bufera. Con grande fatica, fece un passo nella distesa alta fino al ginocchio e lasciò che la neve le toccasse i capelli, la faccia, la lingua. Sorrise; era meraviglioso. Guardò il cielo pallido sopra di lei e spalancò le braccia, in una libertà che non aveva mai sentito prima.

 

La freccia trapassò la carne vuota del suo petto in modo così netto e con tanta facilità, che Abby non aveva nemmeno capito cos’era successo finché non si ritrovò a fissare il bastoncino di legno che spuntava dal suo corpo. “Oh no,” sussurrò, barcollò, e cadde sulla neve.

 

Il respiro le si bloccò in petto e poteva sentire il sangue dietro ai denti. Emise un gorgoglio che sarebbe potuto essere un grido d’aiuto, ma nemmeno lei ne era sicura. La neve stava impregnando i suoi vestiti. Sì sentì bagnata e fredda e…sola.

 

Il viso del cavaliere apparve sopra di lei un attimo dopo. “Che diavolo…” disse, vide la freccia, capì cos’era successo e si spostò rapidamente da un lato.

 

Appena lo fece, una seconda freccia si conficcò nella neve dove si era inginocchiato solo un secondo prima.

 

“Maledetti gli Dei,” sibilò, tornando di corsa da Abby, e afferrando i vestiti sulle spalle. La trascinò dietro l’arco di pietra che conduceva al buco della scala. Riuscì a tirarla lì dietro proprio mentre una freccia si piantava a terra vicino alle sue caviglie.

 

“S-secondo…piano…” gracchiò Abby, uno sforzo doloroso a ogni parola. “L’ho visto…lui è…come me. Vuoto…”

 

“Non è possibile,” le disse Lautrec, togliendosi l’armatura dorata dalle braccia. “Nessun essere vuoto è tanto preciso.” Si voltò verso la scala. “Occhio, Patches. C’è un arciere quassù.”

 

“Un arciere?!” gli fece eco la voce di Patches da dentro il buco. “Beh, che cavolo vuoi che faccia, Lautrec? Sto portando la dannata strega in spalla!”

“Lo ucciderò,” spiegò semplicemente Lautrec. Si era levato guanti e stivali e cercava di levarsi la cotta. “Dagli un attimo e poi corri su e mettiti al riparo.”

 

Abby si toccò la ferita, ma le sue dita causarono una fitta di dolore. Strinse i denti e chiuse gli occhi finché non fu passata.

 

“Non toccarla. Torno subito,” disse il cavaliere.

 

Abby lo guardò. Era sembrato così robusto e imponente nella sua armatura dorata, ma senza di questa aveva il fisico di un normale uomo; una tunica scura e dei pantaloni avvolgevano la sua figura. “Sto…per morire…”

 

“Non puoi morire,” le spiegò Lautrec. Prese la sua cotta, si accostò all’arco, e la tese fuori con uno scatto del polso. Un secondo dopo, il suono di una freccia che tintinnò sull’oro riempì l’aria. Lautrec scivolò fuori, divenne una figura sfocata nella tormenta, e poi sparì completamente.

 

Patches uscì dal buco con la strega sulla spalla un attimo dopo. Si affannò verso il muro di pietra appena in tempo; un’altra freccia venne scoccata e attaccò la parete dietro di lui.

 

“Bastardo!” ruggì Patches, sistemando la strega affianco ad Abby. “Spara a me!?” Mise le mani attorno alla bocca e uscì appena dall’arco. “Ammazza quello stronzo codardo, Lautrec! Ammazzalo per bene!

 

“…muoio…” riuscì a sussurrare Abby tra i colpi strozzati di tosse. “Mi…ha…colpito…”

 

“Zitta, ragazza, non muori mica,” spiegò Patches. “Sei la dannata Prescelta.”

 

La strega s’inginocchiò accanto a Abby e la osservò da sotto il cappuccio. Abby rabbrividì, anche se non era sicura se fosse per il freddo, la ferita, o lo sguardo della strega. La strega cercò di raggiungerla al meglio che poteva con le braccia legate e prese la mano sinistra di Abby nella sua. Abby era meravigliata da quanto calda fosse la sua pelle mentre la strega strofinava le dita sul suo palmo. Chiuse gli occhi e si rilassò, non trovando più tanto difficile farlo.

 

Da qualche parte all’esterno, un urlo risuonò. Non era del cavaliere.

 

“Ha-ha! Ha preso il bastardo!” esultò Patches.

 

Un paio di minuti dopo, Lautrec tornò. Abby vide, sforzando gli occhi, che trascinava un corpo dietro di sé.

 

Gli occhi di Patches caddero sul corpo e la sua bocca si spalancò. “Che diavolo…com’è possibile?”

 

Abby guardò. L’arciere era vuoto. Aveva avuto ragione. Era vuoto e vestito di pelle ben oliata, stivali ai piedi, guanti sulle mani, una faretra di frecce sulla schiena. Soprattutto, però, era vivo.

 

Lautrec scosse il capo. “Ce ne sono due.”

 

Due Prescelti?” scattò Patches. “Non ti sembra un po’ buffo?”

 

“Guardalo!” disse Lautrec. “È vestito come un uomo. Era molto più preciso con quell’arco di quanto ogni normale essere vuoto potrebbe mai sognare di diventare. È un Prescelto. O forse…lui è il Prescelto.” Gli occhi del cavaliere andarono ad Abby. “E lei no.”

 

Abby ebbe un sussulto e portò una mano alla ferita. Gli occhi di Patches si posarono su di lei, sull’arciere, e poi ancora su di lei.

“Non…non ha senso.”

 

“Lo avrà presto,” spiegò il cavaliere. “Lei sta morendo per quella ferita, e lui sta morendo per la mia ferita. Portiamoli entrambi al falò. Allora scopriremo chi vive…e chi muore.”

 

Così, l’uomo calvo prese Abby tra le sue braccia, la sollevò, e la portò oltre l’arco di pietra nella bufera. Lautrec trascinò il morente essere vuoto con sé per il colletto della sua tunica. La strega li seguì lentamente, e Abby vide con grande stupore che dove i piedi della strega si posavano, la neve iniziava a sciogliersi attorno a lei.

 

Percorsero la breve distanza fino a un falò spento, che giaceva misero e dimenticato in mezzo al turbinante bianco caos della tormenta. Abby fu posta vicino ad esso, l’altro essere vuoto venne buttato affianco a lei, e Lautrec andò a prendere la strega per le corde.

 

“Accendilo,” ordinò, portandola affianco al falò.

 

Il viso della strega si voltò verso di lui, ma Abby poteva vedere che gli occhi grigi dell’uomo erano fissi sul legno spento posto davanti a lui. La strega guardò il legno, alzò le sue pallide mani quanto le corde le lo rendessero possibile, e girò i palmi al falò, le dita tese.

 

“Aspetta,” la fermò Lautrec, si abbassò e prese due rametti dal falò.  “Va bene, strega. Avanti.”

 

La visuale di Abby si era ridotta a uno stretto, buio, tunnel a quel punto, ma ciò che vide non smise di sorprenderla. Fiamme rosse e arancioni nacquero dalle mani della donna, si dimenarono nell’aria, e toccarono il falò, accendendolo immediatamente. La tiepida luce era rassicurante sulle guance vuote di Abby.

 

“Ecco,” disse Lautrec, accucciandosi affianco a lei. Mise uno dei pezzetti di legno nella sua fragile, debole mano. Lei lo strinse più che poteva e chiuse gli occhi. “No. Sveglia, ragazza. Lancialo nelle fiamme.”

 

“…fiamme…” gracchiò Abby.

 

“Ora!” insistette Lautrec, e spinta solo dalla paura delle sue grida, lanciò docilmente il rametto nel fuoco con le sue ultime forze. “Bene,” disse il cavaliere, alzandosi. “Ora tu, ragazzo. Se mi puoi ancora sentire, tieni.”

 

Abby ascoltò mentre l’atro essere vuoto sussurrò alcune parole sottovoce. Non era sicura se avesse preso o no il legno, perché non aveva più la forza di tenere gli occhi aperti. Sentiva la neve sul suo volto, sulle sue guance, e non sapeva se il bagnato fosse la neve o le sue stesse lacrime. La strega dovette averle preso la mano di nuovo, perché la sentiva calda. Ci fu un momento in cui ad Abby divenne evidente che stava morendo.

 

E poi era morta.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Mentre il ragazzo e la ragazza morivano sdraiati nella neve, Quelana osservava curiosa dall’ombra del suo cappuccio. Se il cavaliere aveva avuto ragione sul viaggio negli artigli del corvo da Lordran, sulla cella nei sotterranei del Rifugio che ospitava il suo ‘Prescelto’, e sulla rinascita dalle fiamme dopo la morte…persino Quelana avrebbe dovuto iniziare a dubitare della sua insicurezza verso di lui. Si girò verso il cavaliere e, mentre i giovani esalavano l’ultimo respiro, vide che i suoi occhi grigi erano sgranati e avevano una scintilla di entusiasmo puerile mentre fissava il falò. Quelana si voltò e dove prima giacevano i corpi vuoti, rimanevano solo due fosse nella neve.

 

Il fuoco si alzò, le fiamme rosse protese al cielo che bruciavano la neve che scendeva sopra di esse. Questa visione…il suo calore…diede a Quelana una pace che non provava da quando il cavaliere l’aveva rapita dalla Città Infame. Poi, dal fuoco, apparvero due figure spettrali, eteree. Ora erano fumo, un attimo dopo erano fantasmi, poi erano le fiamme stesse.

 

E finalmente, erano tornati.

 

Due Prescelti…” mormorò Patches affianco a lei. “Non ci credo.”

 

“Questo è un cambiamento,” disse Lautrec, annuendo. “È un buon segno.”

 

Il ragazzo e la ragazza sembrarono congelati per un attimo, e Quelana li pensò paralizzati. Poi batterono le palpebre e mossero le labbra e si guardarono intorno, disorientati e meravigliati. Il cavaliere si mosse velocemente verso il ragazzo vuoto, estrasse uno dei suoi shotel, e spinse a terra il ragazzo.

 

“Hey!” urlò l’essere vuoto, ma il cavaliere piantò rapidamente il ginocchio sul petto del ragazzo. “Che succede? Sono…morto?”

 

“Non puoi morire,” gli disse Lautrec. “Lo stesso vale per lei, ma questo non vi ha impedito di provarci.”

 

La ragazza vuota, Abby, si stava fissando le mani, girandole con uno sguardo scioccato sul volto.

 

“Ora rispondimi: chi sono?” gli chiese Lautrec. “La mia armatura dorata, la riconosci?”

 

“Eh? Che succede!?” urlò il ragazzo, dimenandosi sotto il ginocchio del cavaliere. “Io l’ho uccisa!” Guardò Abby e poi di nuovo Lautrec. “E tu hai ucciso me! Perché siamo ancora-”

 

“Non urlare e rispondimi,” lo interruppe il cavaliere. “Vuoi il mio anello? La mia armatura? Come mi chiamo?”

 

“Non lo so! Levati di dosso!”

 

“Se mi menti, non posso ucciderti, ma conosco decine di modi per farti male,” lo avvisò Lautrec. “Un’altra volta, e pensaci bene: Come - mi - chiamo?”

 

Il ragazzo vuoto fissò il cavaliere a lungo. Finalmente disse, “Non - lo - so!”

 

“Sono viva…” stava bisbigliando Abby. “Non sono nemmeno…ferita?”

 

Lautrec tolse il ginocchio dal petto del ragazzo e si alzò. Guardo per un po’ l’essere vuoto prima di tendergli la mano. Il ragazzo la strinse esitante e Lautrec lo tirò su in piedi. “O abbiamo un paio di bugiardi provetti per le mani, oppure sono nuovi Prescelti.” Si grattò la corta barba sul mento. “È…interessante.”

 

“Chi diavolo siete voi?” chiese il ragazzo, massaggiandosi la schiena nel punto in cui Lautrec l’aveva ferito e ucciso pochi minuti prima.

 

“Attacchi sempre prima di chiedere?” chiese Lautrec, raccogliendo l’arco dell’essere vuoto e restituendoglielo. “Sai, io non sono fortunato come la ragazza che hai colpito. Se fossi stato colpito…mi avresti ucciso.”

 

Ci stavo provando!” protestò il ragazzo. “Stavo cercando di uccidere tutti voi! Pensavo foste…beh, vuoti.”

 

“Come te?”

 

“Io non sono come gli altri esseri vuoti,” scattò il ragazzo.

 

“Beh, almeno su questo hai ragione. E il tuo nome?” chiese il cavaliere.

 

“Benjamin,” rispose il ragazzo. I suoi occhi si spostarono sul resto del gruppo, soffermandosi abbastanza a lungo su Quelana da fargli provare paura. “E loro chi sono?”

 

“Io sono il cavalier Lautrec di Carim,” si presentò Lautrec, prima di alzarsi e di fare un cenno verso Patches. “Questo è il mio…amico, Patches.”

 

Patches annuì facendosi scappare un risolino dalle labbra.

 

“La mia strega, Quelana,” continuò Lautrec. “Sono certo che scuserai il suo silenzio.”

 

Quelana forse il bavaglio nella sua bocca e fissò il cavaliere da dentro il cappuccio.

 

“Una strega!?” gli fece eco Benjamin, aggrottando le sopracciglia. “Viaggi con una strega!?”

 

“Sì,” disse Lautrec. “E una potente per giunta. Limitati a stare lontano dalle sue mani e dalla sua lingua e non ti farà nulla.” Si voltò verso la ragazza vuota. “E questa è…Abby, giusto?”

 

La ragazza sembrava ancora confusa quando annuì.

 

“Lei è come te,” disse Lautrec. “Prescelta.”

 

“Scelta per cosa?”

 

“Bella domanda,” ammise Lautrec. “Una a cui, sperando in bene, troveremo una risposta.”

 

Benjamin guardò la neve in cielo. La bufera si era un po’ calmata, ma i venti ululavano ancora sopra di loro. “Perché mi hai chiesto se sapevo il tuo nome?”

 

“Volevo vedere se eri nuovo,” spiegò Lautrec. “O se questa non era prima volta che compi questo viaggio.”

 

Ben fissò il cavaliere. “Non ha senso.”

 

“Poche cose ce l’hanno qui,” disse Lautrec, fece cenno a Patches di avvicinarsi e iniziò a cercare qualcosa nella sacca che l’uomo calvo portava sulle spalle. “Ora, mi aspetto cooperazione da voi due, o finirete legati come la nostra strega qui. Come pegno amichevole della nostra nuova alleanza, vi offro queste.”

 

Il cavaliere tirò fuori delicatamente dalla borsa due strane figure nere. Quelana fece un passo in avanti per cercare di capire cosa fossero. Le cose nelle mani del cavaliere erano amorfe ora, e solide un attimo dopo. Da esse proveniva uno strano vocio, e strisce bianche si muovevano sulla loro superficie come increspature sull’acqua.

 

“Cosa sono?” chiese Abby, portandosi le mani al petto.

 

“Sono ciò che rimuoverà la piaga dalla vostra carne,” le disse Lautrec. “Sazierà la fame del vostro stomaco. Riporterà la vita nei vostri occhi.” Tese la mano ai due. “Questa è la forma tangibile dell’Umanità.”

 

Benjamin fu svelto ad afferrare la strana sostanza semisolida. Se la rigirò tra le mani, facendosela quasi scivolare tra le dita. La ragazza era più titubante, così Lautrec fece un passo in avanti e gliela spinse contro il petto, costringendola a prenderla per non farla cadere.  

 

“Cosa ce ne facciamo?” domandò Abby.

 

“Offritela alle fiamme,” spiegò Lautrec. “E liberati dalla malattia che la morte ha steso su di voi.”

 

“Nella lingua dei cavalieri vuol dire ‘sarete di nuovo umani’,” aggiunse Patches.

 

Stavolta, la ragazza fu la prima a muoversi. Appena Patches disse la parola ‘umani’, si avvicinò al falò e tese l’umanità sopra le fiamme. Benjamin si mise al suo fianco e fece lo stesso. Quelana aveva già sentito i suoi alunni parlare di questo rituale, ma non l’aveva mai visto di persona, quindi osservò con grande interesse; le miriadi di poteri che celavano di fiamme non smettevano mai di stupirla.

 

La ‘malattia’, come l’aveva chiamata Lautrec, iniziò a svanire immediatamente. La pelle grigia e morta delle loro braccia, facce e colli prese colore, i buchi neri delle loro orbite fecero posto a begli occhi azzurri per la ragazza e marrone scuro per il ragazzo. Mentre l’umanità si espandeva dentro di loro, Quelana notò che i due sarebbero potuti essere fratello e sorella. Erano quasi alti uguali, ma Ben era leggermente più alto. Avevano entrambi i capelli castani; quelli di lei le cadevano sulle spalle in morbide onde; quelli del ragazzo erano corti e arruffati. Sembravano entrambi giovani, forse non avevano più di ventun anni. Anche le loro reazioni erano simili: guardarono prima le proprie mani, poi l’altro, sorridendo.

 

“Non ci posso credere!” urlò Abby, asciugandosi gli occhi umidi. “Non…non sono un mostro!”

 

“Non finché non muori di nuovo,” le disse Lautrec.

 

Ben corrugò la fronte. “Che vuoi dire?”

 

“Ce ne occuperemo quando sarà ora,” disse Lautrec, guardando il cielo. “Però siamo stati qui a lungo, e presto calerà la notte. Preferirei non trovarmi ancora nel Rifugio dei Non Morti allora. Dobbiamo sbrigarci.” Abbassò lo sguardo e fissò Ben. “Un’altra cosa. Esattamente come sei scappato dalla tua cella?”

 

“Un altro cavaliere,” ammise il ragazzo, grattandosi la nuca. “Anche se la sua armatura non era certo dorata. Non so perché l’abbia fatto, ma…è morto ora. Mi ha lanciato una chiave da un buco nel soffitto della mia cella, si è sdraiato, mi ha dato un paio di fiaschette e un’altra chiave e…beh, poi è morto.”

 

Lautrec annuì. “Sì, ha senso.” Si girò verso l’enorme portone dall’altra parte del cortile e si portò una mano alla fronte per ripararsi gli occhi dalla neve. “Ho sentito di questa parte del viaggio più di una volta. Una bestia gigantesca ci aspetta oltre quelle porte.”

 

“Una bestia?” chiese Abby.

 

“Un demone, immagino sia la migliore descrizione di cosa sia quella creatura,” si corresse Lautrec. “Il demone del Rifugio.”

 

“Come fai a sapere tutte queste cose!?” domandò Abby. La ragazza si passò una mano fra i capelli e deglutì. “Cioè…sei…sei un Dio o qualcosa del genere?”

 

Lautrec sorrise. “Sfortunatamente no. Voi potreste esserlo però.” Guardò Benjamin. “Uno di voi…entrambi…nessuno…chi può dirlo?”

 

Io potrei essere un Dio?” disse Abby, tornando a fissare le fiamme.

 

“Una cosina piena di dubbi per essere un Dio, non è così?” scherzò Patches. “Ci vogliamo dare una mossa o cosa? Sapete cosa dicono: Il tempo vola come una freccia; la frutta vola come una banana! Hihi!”

 

“Io sono pronto,” disse Benjamin. “Ho passato abbastanza tempo in questo posto da bastarmi per una vita intera…o due, immagino, nel mio caso.”

 

“Hihi! Questo è lo spirito!” esultò Patches dandogli una pacca sulla spalla.

 

Lautrec si spostò davanti a Quelana. Lei girò la testa per evitare i suoi penetranti occhi grigi. La mano di lui cadde sulla sua spalla e la strinse. “Ascolta, strega, lo so che non ti piaccio per ciò che ho fatto, ma il punto qui è che potrebbe esserci un avversario potente che ci aspetta oltre quelle porte. Ti ho rapita così che potessi aiutarci a sopravvivere a tali incontri. Ho bisogno di sapere che ora sei dalla mia parte.”

 

Quelana fissò il falò, ignorando il cavaliere, chiedendosi a quale gioco crudele stava giocando parlandole senza che lei potesse rispondergli.

 

“Ehi,” disse lui, girandole il braccio cosicché lei dovesse guardarlo.

 

Quelana grugnì e si divincolò dalla sua presa, ma pestò le sue vesti col tallone, e senza le braccia per bilanciarsi, inciampò all’indietro e cadde atterrando in un mucchietto di neve, che sibilò e diventò acqua attorno a lei quasi istantaneamente. Il cappuccio le era caduto, e lei giaceva lì inerme, con la neve che le scendeva e si scioglieva sul viso, guardando il cavaliere che troneggiava su di lei.

 

“Ti serve aiuto con la strega, Lautrec?” chiese Patches.

 

Gli occhi del cavaliere restarono fissi in quelli di lei. “No…andate verso la porta. Devo scambiare una parola con lei.”

 

Patches annuì, raccolse quel poco di bagaglio che avevano, e guidò i due giovani nella neve. Appena furono soli, Lautrec le s’inginocchiò affianco. Quelana fissò l’uomo, chiedendosi se poteva incendiarlo senza appicare il fuoco alle sue stesse vesti.

 

Lautrec sorrise. “Le fiamme bruciano persino nei tuoi occhi, strega.”

 

Delle fiammelle le salirono dalle dita.

 

Il sorriso del cavaliere si allargò quando vide le sue mani, per poi tornare a guardarla. “Se ti tolgo il bavaglio…mi stregherai? Sarò alla tua mercé?”

 

Quelana lo fissò.

 

Lautrec guardò il resto del gruppo che aspettava alle porte. “Immagino di poter correre il rischio,” disse, si piegò in avanti per portare le mani dietro alla sua testa, e slegò il bavaglio.

 

Tolto lo straccio dalla sua bocca, Quelana si leccò le labbra. Guardò in su, verso l’uomo, facendo del suo meglio per controllare la rabbia. “Accenderò i tuoi falò ma non starò mai al tuo fianco in battaglia,” scattò lei. “Che il demone ti ammazzi per i tuoi crimini…patetico cavaliere.”

 Lautrec scosse la testa, mantenendo il sorriso. “Stai dando un ottimo esempio del perché ti dovrei tenere imbavagliata per il resto del nostro viaggio.”

 

“Avanti, imbavagliami,” gli disse Quelana. “Non ho niente da dire a te o ai tuoi ‘compagni’. Siete in una missione inutile che porterà solo a fallimento, morte e terrore. Come fanno tutte le cose.”

 

“Come fecero le tue sorelle?”

 

Le parole del cavaliere colsero Quelana di sorpresa. Indietreggiò come colpita da un pugno, poi la rabbia prese il soppravvento e aprì la bocca per urlare al cavaliere-

 

-ma lui alzò il bavaglio e scosse la testa, così lei la chiuse di nuovo, riprendendo compostezza e continuando a voce bassa.

 

“Come osi nominare le mie sorelle…non sai niente di-”

 

“So abbastanza,” la interruppe Lautrec. “So che il Caos che prese Izalith prese anche loro. Le deformò. Ne fece mostri. So che tu fosti l’unica a riuscire a scappare.” Fece una pausa, guardando il cielo. “Strega, guardati attorno. Qualsiasi cosa io abbia fatto venendo qui, ho già cambiato qualcosa. Questo tempo, il freddo…la coppia di Prescelti che tu stessa hai visto rinascere dalle fiamme dopo la morte.” Tornò a guardarla. “Chissà che cambiamenti ci attendono a Lordran. Che cambiamenti potrebbero aver agito sui suoi abitanti…sulle tue sorelle.”

 

“Tu…” iniziò lei, ma poi comprese il peso delle sue parole e le tornarono in mente loro. I volti delle sue sorelle di fronte al caos le balenarono in mente; volti belli, giovani, ancora incontaminati dalla piaga di distruzione che li aveva distorti. “Non è possibile,” bisbigliò, scacciando via quei folli pensieri dalla testa. “Ciò che fatto, è fatto.”

 

“Ma potrebbe essere disfatto,” aggiunse Lautrec. “Ti propongo questo patto, strega: Aiutami contro i miei nemici, e giuro che ti porterò a Izalith. Ti porterò dalle tue sorelle. E allora vedremo che cambiamenti abbiamo portato in questo nostro mondo crudele.”

 

“Quanto può valere la promessa di un cavaliere disonorevole?” chiese Quelana.

 

“Non ho disonorato nessun giuramento cavalleresco, strega,” le spiegò Lautrec. “I giuramenti che ho fatto…li ho portati tutti a termine. E continuerò a fare così. Ora, abbiamo un accordo?”

 

Quelana soppesò le sue opzioni, non vide alcun pro nel rifiutare l’offerta del folle, e posò gli occhi su di lui. Per un breve istante, vide ancora i volti delle sue sorelle, ma svanirono appena chiuse gli occhi. La possibilità che venire qui le avesse salvate in qualche modo dai mostri che erano divenute era piccola…ma era una possibilità. “Va bene. Abbiamo un accordo. Riportami a Izalith, e…il mio fuoco distruggerà i tuoi nemici.”

 

Le mani di Lautrec la presero per le spalle e la sollevarono in piedi. “Bene,” disse lui, riabbassandole il cappuccio sul volto. “Ora fai del tuo meglio per non stregare nessuno dei miei compagni di viaggio e mantieni quel tuo ‘patetico cavaliere’ al minimo e non ti dovrò imbavagliare.”

 

Quelana fissò il cavaliere negli occhi per un momento prima di annuire e di mettersi dietro di lui. Si diressero dall’altra parte del cortile e raggiunsero gli altri alle porte del Rifugio.

 

“Lautrec, non si sente un accidente qui dietro,” disse Patches, l’orecchio premuto contro le porte. “Sicuro che ci debba essere un gran demone bastardo qui dietro?”

 

“Positivo;” rispose Lautrec. “State pronti.”

 

“Cosa faccio io?” chiese Abby. La ragazza sembrava terrorizzata nelle sue vesti bianche e rosse da sacerdotessa, la mazza stretta appena nella mano destra, un talismano dall’aspetto logoro nella sinistra.

 

“Fai miracoli?” chiese Lautrec.

 

La ragazza guardò il suo talismano, si leccò le labbra, annuì. “Non molto bene,” ammise, arrossendo.

 

Lautrec e Patches si scambiarono uno sguardo. “Magari per stavolta…resta in disparte.”

 

La ragazza annuì con fare sollevato.

 

Benjamin estrasse una freccia dalla faretra e si avvicinò a loro. “Io sono pronto. Cosa c’è di cui aver paura? Non possiamo morire.”

 

Voi no,” lo corresse Patches. “Noi sì.”

 

“Quindi combattete bene,” disse Lautrec, appoggiò le mani alle porte e spinse.

 

Il bordo metallico delle porte strisciò per terra mentre si aprivano, producendo un rumore forte e lacerante che rimbombò nella stanza all’interno. Una terribile folata d’aria fredda spirò da dentro mentre Lautrec forzava le porte quanto bastava per farlo passare. Quelana lo seguì, Patches dietro di lei, e i Prescelti in fondo. La stanza era un’ampia sala dal soffitto alto che forse un tempo sarebbe potuta essere una chiesa o una cattedrale. I muri erano pericolanti e cadevano a pezzi, così come il pavimento. Un buco nel soffitto lasciava entrare un fascio di luce e neve in un angolo.

 

“Gli Dei ci salvino…” mormorò Patches, che aveva superato velocemente Quelana per avanzare nella sala.

 

“Che diavolo…” disse Lautrec.

 

Quelana si spostò affianco all’alto uomo calvo per vedere cosa li sconcertasse tanto.

 

“Cos’abbiamo fatto…” sussurrò Patches.

 

Dall’altra parte della sala una massa enorme era distesa al suolo. Quelana strizzò gli occhi per mettere a fuoco l'essere prima di accorgersi che qualsiasi cosa fosse: era viva. O almeno ci provava. Aveva una piccola testa sopra a un corpo massiccio e rotondo e sulla tempia un enorme tumore sbilanciava il demone, facendogli penzolare la testa da un lato mentre giaceva lì, gemendo. Quelana vide, con orrore, che la cosa aveva tre braccia che spuntavano dal suo corpo gonfio, ma uno dei tre non si era completamente sviluppato. Era esile e più debole degli altri e graffiava il terreno cercando di alzare in piedi il mostro. Sangue e pus colavano su tutta la sua faccia, e vide rivoli rosso scuro scendere dal naso del mostro. Una lingua nera sbucava dalle labbra, leccando il sangue mentre gli occhi del demone si guardavano in su, davanti, e poi da un lato all’altro senza scopo.

 

“Cos’è quella cosa?” disse Abby da dietro con una vocina spaventata.

 

Patches si voltò verso Lautrec. “E così questo sarebbe il tuo ‘Demone del Rifugio’?” L’uomo calvo si girò di nuovo verso la creatura. “Immagino che nessuno dei tuoi Prescelti abbia mai menzionato che era un mostro storpio e deforme con un tumore, no?”

 

“Abbiamo…cambiato delle cose,” disse Lautrec camminando in avanti.

 

Il demone emise un suono patetico iniziando ad agitare di nuovo le sue piccole braccia. I suoi occhi si fermarono sul cavaliere, ma mantenere la concentrazione sembrava causargli dolore, così scosse la testa e altro sangue gli uscì dal naso. Il tumore che spuntava dalla sua testa colpì il terreno e la creatura emise un ululato acuto e straziante.

 

Loro cinque stettero lì a guardare in silenzio mentre i suoi occhi sfrecciavano, scuoteva la testa e tirava fuori la lingua finché finalmente Lautrec si voltò verso Quelana e disse, “Brucia quell’essere, strega. Brucialo e rispediscilo all’inferno da cui è venuto.”

 

Tu hai fatto questo,” disse Quelana. “Volevi cambiare le cose e così hai fatto. Non hai mai considerato che avresti potuto cambiarle in peggio. Le mie sorelle…” Le immaginò contorcersi per il dolore come stava facendo in quel momento il demone e le fece venire la nausea. “Cos’hai fatto?”

 

“Brucialo,” insistette. “Se non perché te lo ordino io, fallo per mettere fine alle sue sofferenze.”

 

Lei tornò a guardare la creatura. Stava pateticamente cercando di avvicinarsi strisciando, ma non aveva né la forza, né la consapevolezza che solo una delle sue tre braccia si stava muovendo. Si girò verso il cavaliere, e i due si fissarono. Lautrec si spostò al suo fianco.

 

“Magari possiamo aiutarlo…” sussurrò Abby.

 

“Non dire stupidaggini, è già morto,” le disse Ben. “Solo…solo che non lo sa ancora.”

 

“Va e fa’ la tua magia, strega,” disse Patches. “Non lo voglio più sentire piangere.”

 

Quelana guardò loro tre, poi Lautrec, e infine il demone. Si avvicinò lentamente, alzando le mani legate quanto più possibile, i palmi in fuori, producendo fiamme attorno alle dita. Gli occhi della creatura caddero su di lei mentre attraversava la cattedrale e, gemendo, tese la testa verso di lei. Il tumore colpì ancora una volta il suolo, provocando un orribile grido dalle labbra nere e insanguinate. Le fiamme attorno alle sue dita si estesero ai palmi e avvamparono alte. La mascella del demone si mosse su e giù, facendosi scappare un suono che sarebbe potuto sembrare un pianto.

 

Quelana gli si mise di fronte, appena fuori dalla presa del suo braccio sottosviluppato, e guardò la bestia. Vicino al mostro, una tristezza incredibile le strinse il cuore, e le ricordò ancora una volta il caos che aveva preso le sue sorelle. Le fiamme si alzarono ancora attorno alle sue mani e lei sussurrò una parola al demone sotto di esse, “Riposa.”

 

Fasci di fiamme rosse e arancioni eruttarono dalle sue mani, avvolsero l’intero corpo del mostro, e ne arsero la carne. Le urla che aveva ruggito prima non erano niente a confronto dei suoi ultimi ululati. Tuttavia, le fiamme di Quelana erano potenti, e il demone tacque in fretta.

 

Quando ebbe finito, davanti a lei rimase solo l’enorme cadavere ardente del mostro; nero, carbonizzato e decisamente morto.

 

Lautrec le si avvicinò e guardò il demone. Toccò la testa con la punta del suo stivale per controllarne la condizione. “Ben fatto.”

 

Quelana si voltò verso di lui. “Non fare il sorpreso, cavaliere. Conosco il fuoco. Era un compito semplice.” Guardò la testa annerita del demone. “La domanda è, quali altri ‘cambiamenti’ tu abbia causato a Lordran venendo qui. Quali altre mostruosità ci attendono?”

 

Lautrec fissò la bestia a lungo prima di dire piano, “Immagino che lo scopriremo presto.”

 

E con queste parole, li raggruppò, li guidò fuori dalla cattedrale nella bufera, su per un basso pendio sassoso verso il nido del corvo. L’enorme volatile si vedeva in lontananza, una massiccia figura nera nel bianco caos della neve, e stava arrivando.

 

A quale nuova terra li stesse portando, Quelana non lo sapeva.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

In cima alla torre orientale degli Archivi del Duca, Solaire guardava il confuso residuo bianco e blu del sole; un vento freddo soffiava dalle oscure rovine di Anor Londo, facendo sventolare il suo Mantello del Sole dietro di lui. Gli occhi gli s’inumidirono nella visiera del suo elmo. Gli mancavano i raggi di luce dorata che scendevano dal cielo. Desiderava sentire ancora il calore del Sole; bere in nome della sua gloria; combattere sotto il suo sguardo attento e protettivo.  Eppure sapeva che erano le speranze di un folle - almeno fino a quando Logan non avrebbe fatto ulteriori progressi nei suoi studi - e che il Grande Freddo allargatosi su Lordran come una piaga era tutto ciò che lo attendeva su quella torre. Era l’unica cosa che lo avrebbe mai atteso ormai. Era venuto lo stesso a osservare; a sperare. La speranza era tutto ciò che di caldo era rimasto a Lordran.

“Cavalier Solaire,” la voce del suo scudiero gli giunse da dietro le spalle. Il ragazzo gli si avvicinò, s’inchinò e stette sull’attenti, in attesa di risposta.

“Cosa c’è, Henrik?” rispose Solaire, gli occhi ancora sul guscio vuoto della pallida luce nel cielo.

“Il Magnifico Chester è tornato con notizie dal Sud,” spiegò Henrik. “Chiede di parlare direttamente a Logan.”

Solaire si voltò finalmente verso il ragazzo, accigliandosi dietro l’elmo.  “Sa che nessuno può parlare a Logan,” e dopo una breve pausa, “Che è successo?”

Il suo scudiero si strinse nelle spalle. “Ha chiesto di Logan, nient’altro. Sono venuto da te, come mi è stato ordinato. Sta aspettando nel salone principale.”

“Bravo, Henrik. Sei stato saggio a non disturbare Logan,” disse Solaire, trattenendosi dall’aggiungere, avresti avuto terrore di ciò che avresti visto. “Parlerò con Chester immediatamente.”

Il ragazzo annuì, s’inchinò e scomparve giù nella scala a chiocciola dalla quale era arrivato. Solaire si voltò ancora una volta a guardare il sole blu, s’inchinò a esso con lo stesso rispetto che gli aveva mostrato il suo scudiero, e lo seguì.

Trovò il ‘magnifico’ Chester che passeggiava nel salone principale degli Archivi, le mani giunte dietro la schiena, ridacchiando tra sé e sé mentre passava da un dipinto all’altro. Solaire osservò l’uomo scendendo le scale della biblioteca, ridendo del suo abbigliamento. Quell’uomo era un guerriero, più o meno, e Solaire era dell’idea che ogni guerriero dovesse indossare la corazza più pesante disponibile che non impedisse i movimenti. Eppure davanti a lui c’era Chester, con il suo sporco cappotto scuro e i suoi pantaloni di pelle. Il suo ‘elmo’ era un fragile cappello a cilindro con la maschera di un giullare a coprire il viso dell’uomo. Quando Solaire l’aveva incontrato per la prima volta, pensava che la sorridente maschera dipinta fosse il suo volto.

Chester si voltò verso Solaire sentendolo arrivare, e la bocca da giullare della sua maschera rideva del cavaliere quando parlò “Chiedo del grande stregone, e mi si presenta il suo cane da salotto. Che peccato.”

“Tieni a freno la lingua, Chester,” lo ammonì Solaire, avvicinandosi all’uomo.

“Uno fa fatica a tenere a freno la lingua, no? Queste maledette strisciano tutto il tempo tra le nostre labbra,” disse Chester a bassa voce da dietro la maschera. “Alcune più maledette di altre, ovviamente.” Rise.

“Su questo mi trovi d’accordo,” disse Solaire, rivolgendo all’uomo uno sguardo severo. “Che notizie porti dal Sud? Cosa sta facendo l’Armata Vuota?”

Chester fece spallucce, tornando a guardare i dipinti sul muro. “Ciò che fa sempre l’Armata Vuota. Se ne stanno là fermi. Grugniscono. Sbuffano. Si grattano le palle, o almeno, il posto dove le avevano un tempo. Hah!”

“Non sprecare il mio tempo. Hai chiesto di Logan. Deve essere importante.”

Chester emise un suono da dietro la maschera che sarebbe potuto essere di delusione. “Sì. Dritto al punto come sempre, eh Solaire? Come fa uno a ficcarsi un così grosso palo su per il culo con così tanto dannato metallo a coprirlo?”

Le guance di Solaire arrossirono di rabbia. Se l’uomo che aveva di fronte non fosse stata la migliore spia che avevano, avrebbe considerato l’idea di sguainare la sua spada e sfidare il folle a duello proprio lì nel salone.

Chester rise. “Rilassati, cavaliere. Porto due notizie dal Sud. La prima,” si voltò, camminò per il salone e sollevò da una panca lungo il muro un prigioniero legato e incappucciato. “È questa. La seconda…beh, la seconda è il motivo per il quale volevo parlare a Logan di persona.”

Solaire fissò il prigioniero dell’uomo. Era basso e acconciato in abiti grigi logori e sudici. “Lui chi è?”

Lei è la preziosa ‘guardiana del fuoco’ che Logan voleva tanto incontrare. Non aveva detto nulla al suo cane preferito?” lo schernì Chester.

“Hai legato e incappucciato così una donna?” scattò Solaire indignato. “Non hai alcun onore? Liberala!”

Chester si strinse nelle spalle. “È di Logan ora. Liberala se vuoi, io cercavo di star fuori dai casini.” Afferrò la donna per il gomito e la spinse in avanti.

Solaire la prese e le levò subito il cappuccio. “Le mie scuse, madame,” disse una volta tolto. La donna non gli apparve come si era aspettato la mitica e leggendaria guardiana del fuoco. Era giovane, la pelle rosea e dolci occhi azzurri. I capelli, puliti e biondo ramato, erano raccolti in uno chignon dietro alla testa. Guardò Solaire e deglutì. Sembrava spaventata. “Non avete niente da temere ora, milady. Io sono il Cavalier Solaire, Guerriero del Sole. Siete in buone mani.”

“Se ciò che Logan cercava era qualcuno con cui chiacchierare, rimarrà un po’ deluso,” disse Chester. Portò un dito alla bocca della sua maschera e picchiettò. “Questa qui non ha la lingua.”

“Oh,” disse Solaire, imbarazzato. Rivolse alla donna un sorriso comprensivo. “Le mie scuse, milady. Vi…vi assicuro che il vostro trattamento fin ora non è stato ordinato né da me, né dal mio superiore, Logan. Forse vi posso offrire qualcosa da mangiare? O da bere? Il viaggio deve essere stato-”

“Vuoi che la donna ci preghi di tagliarle anche le orecchie, Solaire?” lo schernì Chester. “Non ha fame. Le ho offerto cibo in abbondanza durante il viaggio. Non sono un mostro. Lei è una guardiana del fuoco. Le fiamme sono il loro nutrimento. Offrile una torcia, se insisti a voler essere così tremendamente cavalleresco.”

Solaire guardò l’uomo e strinse il pugno, ma trattenne la lingua di fronte alla signora. Si sforzò di sembrare amichevole. “La seconda notizia, Chester, e poi vattene.”

“Voglio parlare con Logan.”

“No.”

Chester incrociò le braccia sul petto. “Quanto a lungo pensi che gli uomini tra queste mura continueranno a prendere ordini da un capo che non possono vedere? Si stanno stancando, cavaliere. Abbiamo radunato una forza di quasi un centinaio di uomini, eppure stiamo fermi ad aspettare, giorno dopo giorno mentre questo freddo infernale è sempre più crudele e sempre più freddo e i nostri nemici si ammassano fuori dalle nostre porte. Logan deve mostrarsi.”

“Logan sta studiando,” disse Solaire, e in parte era vero. Ciò che non disse all’uomo era che Logan molto probabilmente stava anche impazzendo. “Sta lavorando a un modo per liberarci da questo freddo infernale.”

“Sai cosa dicono gli uomini?” chiese Chester, spostando il peso sull’altro piede e facendo dondolare la sua balestra appesa dietro la schiena. “Alcuni dicono che Logan è morto. Altri che tu l’hai ucciso…altri dicono che ha lasciato Lordran, si è arreso, è scappato in un posto migliore. Un posto più caldo.”

“Ti assicuro che lui è qui,” disse Solaire, sempre più impaziente. “Ma non posso dire altro. Elaborerà presto un piano per contrastare l’Armata Vuota e cancellare il Grande Freddo. Non dubitare del suo genio. Dimentichi che è stato lui ad ammazzare il mostro senza scaglie che si aggirava in questo edificio e prenderne possesso. Fu lui a iniziare ad accettare rifugiati contro il freddo. Dagli tempo.”

“Ha meno tempo di quanto pensi, cavaliere,” disse Chester. “C’è aria di ribellione. Basterà che un solo uomo audace si faccia avanti per farla scattare.”

“E sei tu quell’uomo?” chiese Solaire, lasciando cadere la mano sull’elsa della sua spada.

Chester la guardò e rise. “Non oggi, cavaliere.”

“E allora dimmi le altre informazioni. Porterò la notizia a Logan immediatamente.”

Chester sospirò, esitò, ma poi disse, “Il corvo ha lasciato Lordran.”

Solaire rimase a bocca aperta sotto l’elmo. “Che cosa?

Una risatina venne dalla maschera di Chester. “Proprio così. Il corvo si è alzato un’altra volta in volo. L’ho visto con questi miei occhi. Avrei informato io stesso Logan di un tale miracolo, ma…immagino che anche il suo cane vada bene. Sì, il corvo ha volato. E forse la risposta alle nostre sofferenze si troverà negli artigli della bestia al suo ritorno. Se farà mai ritorno.”

“E avevi intenzione di tenere per te quest’informazione?!” scattò Solaire. “Dovrei decapitarti qui e ora per un simile tradimento!”

Chester rise. “Vai e corri dal tuo padrone, cane. Assicurati di specificare che è stato il Magnifico Chester a portare la notizia.” Si voltò verso la donna bionda e fece un inchino. “Addio per ora…milady,” disse con un’ultima risatina, si girò, e se ne andò tranquillamente.

Solaire lo guardò allontanarsi, scuotendo il capo. Odiava gli uomini come Chester, e in normali circostanze non avrebbe mai combattuto al loro fianco. Dall’arrivo del freddo, però, le circostanze erano diventate tutto tranne che normali. Si accorse che la donna lo stava fissando e ridacchiò nervosamente dietro il suo elmo. “Perdonatemi, milady. Ecco, mostratemi i polsi.” Sguainò la spada, tenendo conto del modo in cui sgranò gli occhi la donna mentre lo faceva, e tagliò le corde. “Ecco fatto. Vi assicuro che non tratterei mai una dama come l’uomo che vi ha portata qui. Avremmo voluto mandare qualcun altro al suo posto, ma le strade stanno diventando sempre più pericolose e lui, sfortunatamente, è un maestro nel passare inosservato.”

La donna lo fissò.

Solaire arrossì dietro al suo elmo quando si ricordò ancora una volta che lei non aveva la lingua. “Ah, sì, ehm…Immagino che Logan vorrà vedervi. Sono sicuro che appena vi avrà parlato, vi offrirà un bagno caldo e tutto ciò che desideriate. Venite, milady,” disse e le porse il gomito. La donna lo guardò come se non avesse mai visto quel gesto prima di allora. Solaire le prese il braccio e lo mise attorno al suo, sorrise, e la guidò verso la prigione.

La torre della prigione nell’ala orientale degli Archivi era, disgraziatamente, il luogo dove si trovavano le stanze di Logan. Solaire odiava la torre. I segni e le cicatrici di dolore e sofferenza erano su ogni freddo mattone dei suoi muri cilindrici. In più, l’enorme scalinata che scendeva a spirale verso il piano terra dove Logan risiedeva non era affatto corta, e ogni volta che Solaire la saliva o scendeva, si ritrovava sempre con il fiato corto. Mentre il cavaliere accompagnava la guardiana del fuoco verso la scaletta e la aiutava a scendere il primo piolo che li avrebbe condotti alla scalinata, notò il modo bizzarro in cui le pareti giocavano con il suono dei loro passi; come se non fossero sicuri di come far echeggiare il rumore. Dava a tutta la fredda e oscura stanza un’aria infestata alla quale Solaire non faceva caso.

Raggiunse la donna ai piedi della scaletta, le prese di nuovo il braccio, e iniziò la lunga e sinuosa discesa verso Logan. Camminando, parlò alla guardiana del fuoco, “Logan usa questa vecchia prigione come studio, milady, vi assicuro che non siete più una prigioniera. Quest’uomo è…un eccentrico, vedete. La sua mente è brillante, e come tutte le cose brillanti, lavora in una strana maniera. Non ne abbiate paura, però. È un uomo buono. Gli Archivi del Duca furono conquistati da lui. Quando il freddo arrivò a Lordran, gli uomini e le donne del regno cercarono rifugio. Logan li accolse tutti a braccia aperte. È…buffo, in un certo senso. È servito un grande freddo perché gli uomini unissero le forze. Il freddo e gli esseri vuoti, ovviamente, ma sono certo che saprete dell’Armata Vuota.”

Il viso della guardiana rimase immobile in un’espressione di paura e preoccupazione, quindi Solaire proseguì. “Eh-ehm, beh, um…ricordo che Logan ha menzionato che vi trovavate rinchiusa in una cella scavata nella roccia. Forse non siete a conoscenza dell’Armata Vuota. Beh, vedete, poco dopo l’arrivo del freddo, gli esseri vuoti iniziarono a fuggire verso Anor Londo. Tutti quanti. Loro…squartarono e uccisero tutti gli uomini sul loro cammino. Ora si dice che ce ne siano centinaia accampati tra le mura della grande cattedrale laggiù. Sono delle creature dannate. Tuttavia, non temono nulla, milady. Non appena Logan avrà terminato i suoi studi, ci dirà quale sarà la nostra prossima mossa e spazzeremo via gli esseri vuoti come un potente raggio di sole che scaccia l’oscurità.”

Si voltò verso la donna, raggiante e col petto in fuori, aspettando una reazione. La donna non ne mostrò alcuna, allora il cavaliere camminò per il resto del tragitto in un silenzio leggermente deluso.

Al piano terra, nel retro della torre, pile e pile di libri alte come tre uomini adulti gli uni sulle spalle degli altri li attendevano. Alcuni libri erano circondati da cumuli di tomi aperti con le pagine strappate. Molti altri libri erano sparpagliati sul pavimento, le copertine divelte e diverse pagine disposte l’una affianco all’altra in quello che, immaginava Solaire, era una specie di ordine d’importanza. Pergamene giacevano appoggiate contro le pareti. Grossi codici erano sul punto di cadere dalla scrivania di legno al centro della stanza, anche se persino quella era sepolta in un bianco mare di carta. Una dozzina di candele circondava lo studio, e Solaire pensò che fosse quasi un miracolo che qualcosa non avesse già preso fuoco e che tutto non fosse finito in cenere. “Logan,” chiamò tra le pile di libri. “Sei qu-”

Un golem di cristallo apparve da dietro una pila di libri particolarmente alta, la luce delle candele danzava sul corpo blu e metallico della creatura.

La guardiana al suo fianco emise un suono di terrore dalla sua bocca senza lingua e sobbalzò verso il gomito di Solaire. Lui la prese al volo e le mise una mano sulla spalla, “Le mie scuse di nuovo, milady. Avrei dovuto avvisarvi. Questa…cosa è l’animaletto di Logan.” Si voltò di nuovo verso il golem e annuì, anche se lui stesso non riusciva a credere che quel mostro si fosse semplicemente presentato alle porte degli archivi un giorno e avesse iniziato a seguire gli ordini di Logan. C’era qualcosa di malvagio nella creatura.

Il golem li ignorò e si allontanò con il suo passo pesante verso la scalinata, ogni suo passo sembrava scuotere l’intera torre.

“Solaire?” la saggia e profonda voce di Logan giunse da dietro una torre di libri. Un attimo dopo, l’uomo emerse dall’ombra; la luce delle candele tremolava sulle sue vesti scure, e la fiamma illuminava debolmente il suo volto sotto l’enorme cappello a falda larga. “Amico mio.”

Solaire annuì. “Come procedono i tuoi studi, Logan? Ci sono state delle svolte?”

“Temo di no, coraggioso Cavaliere del Sole,” rispose Logan, girando attorno alla scrivania e raggiungendoli. I suoi occhi, sebbene fosse difficile capirlo da sotto il suo cappello, si spostarono sulla donna. “La mia guardiana del fuoco?”

“Sì,” disse Solaire. “Temo che la donna non abbia la lingua, tuttavia. Chester l’ha portata qui poco fa.”

Logan improvvisamente alzò la testa e fissò la cima della torre. Solaire distolse lo sguardo. Era abituato a questi momenti di…riflessione che Logan aveva. Immaginava che il genio avesse il suo prezzo. Quando l’uomo con il grande cappello finalmente tornò a guardarli, sorrideva. “La mia guardiana del fuoco.”

“Sì…niente lingua, però. L’ha portata Chester.” Ripeté Solaire.

“Niente lingua?” gli fece eco Logan, arricciando le labbra. “Peccato.”

Dopo qualche istante di silenzio, Solaire capì che stava aspettando che dicesse qualcosa. “Ah, sì. Proprio un peccato. Povera fanciulla. Chester l’ha tenuta legata e incappucciata durante il viaggio.”

“Mmm, che peccato,” disse ancora Logan e si avvicinò alla donna. “Aprite la bocca, milady.”

La donna indietreggiò e guardò spaventata Solaire. Questi annuì e le accarezzò la schiena. “Va tutto bene. Non vi farà del male. Vuole solo vedere.”

“Solo vedere,” concordò Logan.

Lentamente, con le labbra tremanti, la donna aprì la bocca. Logan si sporse in avanti e fissò nell’oscurità della sua bocca. “Mmm, già. Non ha la lingua. Ci berremo su.”

“B-bere?” balbettò Solaire.

Logan andò dietro a una pila di libri senza rispondere e tornò un attimo dopo reggendo un calice di bronzo. Solaire sbirciò all’interno e vide che dentro c’era vino rosso. “Ecco, milady,” disse Logan, e un sorriso gli increspò il volto. “Bevete e i vostri problemi svaniranno.”

Di nuovo, la donna guardò Solaire. Lui le offrì il suo sorriso più gentile e annuì. Lei si voltò verso Logan, fissò timorosa il calice, e lo prese nelle sue mani tremanti.

“Bevete,” la incitò Logan.

La guardiana esitò, guardò un’ultima volta Solaire, e porto la coppa alle labbra. La sua testa bionda si piegò all’indietro e il vino rosso si riversò nella sua bocca priva di lingua.

Appena ebbe finito, Solaire prese la coppa dalle sue mani e la restituì a Logan. “Ecco fatto, milady. Vedete? Era solo un po’ di vino per una viaggiatrice esausta.”

Beh…” disse Logan, piegando la testa da un lato. “Era un po’ più di quello.”

Solaire si accigliò e aprì la bocca per chiedergli cosa intendesse con quelle parole, ma le dita della guardiana che si piantavano nel suo braccio lo interruppero. Si voltò a guardarla e vide che il volto della donna era distorto dal dolore, le sue stesse mani strette attorno alla gola, rumori soffocati le uscivano dalle labbra. “Logan!” Urlò lui. “Che le hai fatto?!”

“Mmm,” mormorò Logan, avvicinandosi alla ragazza mentre soffocava. “L’ho avvelenata.”

“Per gli Dei, perché mai?!” scattò Solaire. La donna cadde a terra e Solaire con lei, prendendole la testa nel grembo.

“Non parlare degli Dei qui, Solaire,” disse Logan, un improvviso tono di asprezza nella voce. “Non c’è posto per loro nel mio studio. Sono bestie crudeli e la loro ora si avvicina.”

“Sta morendo…” disse Solaire, mentre la donna smetteva di tossire. Uno strano lampo di serenità le illuminò il viso, socchiuse gli occhi, e un debole sorriso le si allargò sulle labbra. Poi gli occhi si chiusero, con loro la bocca, e la guardiana del fuoco li lasciò. “Hai…ucciso un’innocente.”

“Nessuno è innocente,” lo corresse Logan, inginocchiandosi al loro fianco. “Lascia andare il suo corpo. Guarda uno dei pochi miracoli rimasti in questo freddo mondo maledetto.”

Solaire represse la rabbia e fece come gli veniva detto. Mentre il corpo lasciava le sue braccia, si dissolse nelle vesti sudice che la avvolgevano; come se le vesti stesse avessero inghiottito il suo cadavere. Una luce calda illuminò le guance di Solaire mentre osservava nel mucchio di vesti, dove era apparsa un’anima scintillante.

“L’anima di una guardiana del fuoco,” disse Logan, a bassa voce e riverente. “Ne ho vista soltanto una nella mia vita. Questa è la seconda. È…bellissima, non è così?”

La luce danzò negli occhi di Solaire, affascinandolo, attraendolo, paralizzandolo. “S-sì,” balbettò. “È…incredibile.”

“Un uomo crudele userebbe l’anima per donare alla propria alchimia un potere rinnovato,” continuò Logan. “Ma noi non siamo uomini crudeli, vero Solaire?”

“N-no.”

“Noi siamo brav’uomini, non è così?”

“Sì.”

Logan annuì. “E allora ciò che noi brav’uomini dobbiamo fare con l’anima della donna è…” Tese le braccia verso il cumulo di vesti, avvicinò le mani, e appoggiò i palmi sopra l’anima. Sorrise premendo verso il basso, e Solaire guardò stupefatto mentre questa veniva assorbita dalle vesti stesse.

Poi lei era tornata.

“Sia lodato il Sole,” sussurrò Solaire.

Il bel volto della donna apparve tra le vesti, poi le sue mani, i piedi, e in pochi istanti il suo corpo era di nuovo tra loro. Chiuse i suoi occhi azzurri una volta, due, e poi li tenne aperti. Fissò confusa Solaire, Logan e il soffitto.

“La morte ha una maniera buffa di rinvigorire le persone,” disse Logan, ancora sorridente. “Parlate, donna, poiché le mie mani hanno poteri curativi.” E dicendo ciò, le accarezzò le guance.

Lei aprì la bocca, i suoi occhi fissi in quelli di Logan, e provò a formare una parola.

“Avanti,” insistette. “Parlate. Potete farlo.”

“La…” mormorò lei. “Lau…”

Solaire era scioccato. “Per gli Dei, è guarita.”

“Ti ho detto di non nominarli. Questa non è opera degli Dei,” disse Logan. “Questa è opera mia.” Guardò di nuovo la donna. “Come vi chiamate, guardiana del fuoco?”

“Vi prego…” disse lei con voce debole e sottile, bisbigliando tra le labbra screpolate. “Non voglio parlare. Non voglio vivere. La mia lingua è malvagia. Vi prego, io-”

“Non voglio più sentire discorsi simili,” la interruppe Logan. “Vi ho donato una seconda vita, mia dolce signora, non me ne facciate pentire con parole tanto oscure. Vi ho chiesto il vostro nome, ricambiate la mia cortesia e ditemelo.”

La donna sembrava sul punto di scoppiare in lacrime, ma rispose comunque. “Anastacia,” sussurrò. “Anastacia di…di Astora.”

Il viso di Solaire s’illuminò dietro l’elmo. “Milady, vengo anch’io da Astora!”

“Astora?” disse Logan, percorrendo con le dita la falda del suo cappello, mentre la guardava pensieroso. “È buffo. I capelli biondi, gli occhi azzurri, il profilo del mento, il naso, persino il leggero accento nella vostra voce mi avevano portato a credere che foste di Carim.”

Anastacia si voltò di scatto verso di lui, gli occhi pieni di terrore. Scosse la testa. “N-no, signore. Astora. Anastacia di Astora.”

L’espressione di Logan si fece dura e crudele sotto il suo cappello, e per un attimo Solaire credette che avrebbe colpito la ragazza. Poi la sua bocca si aprì in un sorriso e rise, appoggiando una mano sulla fronte della donna. “Potete essere chiunque desideriate, mia dolce signora. Dopotutto, cos’è un uomo o una donna senza i suoi piccoli segreti? Mmm.” Alzò la testa verso il soffitto. “Siete libera di passeggiare per gli Archivi quanto volete. Ci sono stanze da bagno, dispense per il cibo, cantine per il vino, letti, poltrone. La maggior parte degli uomini qui radunati sono abbastanza gentili, ma ci sono bisogni che prendono il controllo delle menti degli uomini quando non sono impegnati, quindi vi raccomando di restare il più vestita possibile in loro compagnia.” Le sue dita strofinarono la falda del cappello. “Non siete proprietaria della vostra vita, tuttavia. Quella, per adesso, appartiene a me. Avete capito?”

Anastacia abbassò la testa e annuì.

“Brava ragazza,” disse Logan, sorridendo. “E cercate di non infastidire i golem. Sono creature violente, temo, e tendono a distruggere ciò che non capiscono.” Guardò verso Solaire. “In questo senso non sono molto diversi dagli uomini, immagino!” Rise.

Solaire cercò di forzare una risata, ma suonava strana e piatta quindi si fermò. “Devo scortare la signorina?”

“No,” disse Logan. “Può scortarsi da sola.”

Si alzò, le porse la mano, e la sollevò in piedi. Lei guardò tra loro due, s’inchinò e li lasciò. Logan la osservò mentre se ne andava, strofinandosi la falda del cappello. “Una cara ragazza. È un peccato che quegli Dei crudeli l’abbiano ritenuta adatta a tenere accese le fiamme.”

“È umana?” chiese Solaire a bassa voce quando fu sicuro che fosse abbastanza lontana.

“Sì,” disse Logan. “Tutto ciò che ho letto lo conferma. Probabilmente aveva una vita normale…da qualche parte…prima che le fosse tagliata la lingua, ne sono certo.” Si voltò verso Solaire. “Quali altre notizie mi porti, buon cavaliere?”

Solaire si levò l’elmo dalla testa cosicché Logan potesse vedere il sorriso sul suo volto. “Logan…il corvo ha lasciato il nido!”

Il volto di Logan era un mistero sotto l’ombra del suo cappello. Si massaggiò il mento e mormorò tra sé, riflettendo sull’informazione.

L’espressione di gioia di Solaire lasciò il posto a una di confusione. “Cioè…è un buon segno, no? Il Prescelto di cui parlavi. Il corvo ha sempre lasciato il nido solo per portarlo qui.”

“Ma abbiamo già avuto un prescelto,” gli fece notare Logan. “E ha fallito.”

Solaire sospirò. “Sì…non me lo devi ricordare. Ma se in qualche modo ce ne fosse un altro…”

“Mmm, molte possibilità,” ammise Logan, annuendo. “Troppe per sprecare tempo prezioso a fare ipotesi. Risposte. Ne abbiamo bisogno. Tu le troverai.”

Io?” domandò Solaire.

“L’hai detto tu stesso, Solaire, questa faccenda potrebbe essere molto importante. Potrebbe far parte della risposta per la quale sto tanto lavorando qui sotto,” disse Logan. “Di chi altri posso fidarmi per un tale compito? Sì, tu. Prendi tutti gli uomini che ti servono per il viaggio, ma dovrai essere tu a guidarli. Ho bisogno di sapere cosa ci porterà quel corvo dal rifugio…sempre ammesso che tornerà in questo freddo mondo morente che si è lasciato alle spalle.”

“Io…farò come vuoi,” disse Solaire, inchinandosi. “Ma, Logan, anche gli uomini, come te, stanno perdendo la pazienza. Vogliono vederti, parlarti. Ci rivolgiamo tutti a te per avere consigli…e un capo. Se io parto, il loro ultimo debole legame con te sarà spezzato.”

“Mmm,” mormorò Logan. “Mi…mostrerò, un giorno. Gli uomini possono aspettare fino ad allora.”

“Sarai indifeso,” gli fece notare Solaire.

“Ah sì?” chiese Logan, e a un suo cenno il golem di cristallo uscì con il suo passo pesante da dietro una colonna e fissò la sua testa blu su Solaire.

Solaire deglutì. “Va bene, Logan. Andrò io…e…e spero di tornare da te con delle risposte.” Solaire pensò a quel pallido sole morto nel cielo. “E con la speranza.

“Lo spero anch’io, amico mio,” concordò Logan. “Lo spero anch’io.”

Con queste parole, Logan sparì dietro al suo mucchio di libri e candele, e Solaire fece un respiro profondo, preparandosi alla lunga scalinata per uscire dalle prigioni degli Archivi. Più tardi, camminando nella biblioteca, incontrò la piccola guardiana bionda in piedi vicino alla ringhiera del secondo piano. Stava singhiozzando tra le mani. Solaire si affrettò a raggiungerla e le offrì il suo fazzoletto e un sorriso gentile, ma la donna gli diede le spalle e corse via senza rispondere. Il cavaliere si accigliò, infilò il fazzoletto sotto la sua corazza, e si diresse alla caserma per formare una compagnia per il lungo e pericoloso viaggio che li attendeva.

Sia lodato il Sole, pensò. Ne ho bisogno ora più che mai.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Quando il corvo finalmente atterrò sul suo nido, in alto sopra il Santuario del Legame del Fuoco, con lei e il cavaliere in uno degli artigli, Patches e i ragazzi nell’altro, Quelana non solo vide i cambiamenti di Lordran, ma li avvertì. Il freddo che si era impadronito del Rifugio da cui erano scappati aveva raggiunto anche il santuario. Raffiche ghiacciate scuotevano le sue vesti nere mentre il corvo li lasciava andare, e scoprì che il nido dell’animale era ricoperto di neve, dove prima non ce n’era. Sotto la torre, il mondo era stato avvolto in una coperta di bianco purissimo. Quelana alzò lo sguardo verso i ponti e le fortezze che stavano come sentinelle all’orizzonte e anche loro erano state sepolte dalla neve. Si chiese che inferno di ghiaccio avesse scatenato il folle cavaliere su quel mondo, e se la sua stretta gelata avesse raggiunto persino Izalith; avesse raggiunto le sue sorelle.

Si dimenò nella sua stretta, guardandosi dietro le spalle. “Lasciami andare. Siamo atterrati.”

“Questo è…impossibile,” mormorò Lautrec; i suoi occhi grigi persi nella vista della nuova Lordran dietro le ciocche disordinate dei suoi sporchi capelli biondi. “Nessuna tormenta potrebbe fare questo così velocemente.”

“Volevi il tuo adorato ‘cambiamento’. L’hai avuto. Ora lasciami andare,” ripeté Quelana, cercando di divincolarsi dalle sue braccia.

“Zitta,” ordinò il cavaliere sottovoce. Il suo volto si era improvvisamente irrigidito.

“Lautrec…” sussurrò Patches dall’altro lato del nido, gli occhi spalancati e preoccupati.

“Lo vedo,” gli bisbigliò in risposta il cavaliere.

Quelana allungò il collo in avanti per guardare giù verso il santuario. Là, dietro a un gruppo di pilastri di pietra, lo vide. “Quali altre atrocità hai risvegliato, folle dorato?” Quelana riusciva a intravedere solo pelliccia, zanne e zoccoli mentre qualsiasi mostro li aspettasse sotto passava dietro ai pilastri; un’enorme ascia lasciava una scia sulla neve dietro di lui, trascinata dalla bestia, graffiando e scavando nella terra. Il demone grugnì e si scosse la neve dalle spalle pelose prima di sparire dietro a un muro di pietra vicino al falò spento.

“Il Demone Toro,” mormorò Lautrec. “Non dovrebbe trovarsi qui.”

“Nemmeno noi,” sibilò Quelana da dentro le sue vesti e quasi contemporaneamente una raffica fredda si alzò sul nido del corvo, spingendo rametti e ciottoli giù dal bordo, una trentina di metri più in giù.

“Che succede?” piagnucolò Abby, la giovane monaca. Sia lei che il ragazzo, Benjamin, erano inginocchiati affianco a Patches, fissando l’orrore più in basso con espressioni di terrore sui loro giovani volti. “Che cos’è quella cosa?”

“Non m’importa,” disse Benjamin e afferrò il suo arco. Estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò, prendendo la mira. “Mi serve solo un colpo preciso.”

“Mettilo giù, ragazzo,” lo ammonì Lautrec. “Scatenerai solo la furia del demone.”

“Gliela pianterò tra gli occhi,” disse Ben, tendendo l’arco. “Per accecarlo.”

“È un bersaglio troppo piccolo. Lo mancherai. Mettilo giù. Subito,” ordinò Lautrec.

Ben, lo guardò, vide la severa espressione sul volto del cavaliere, e abbassò l’arco. Abby strisciò fino all’orlo del nido, con i soffici boccoli dei suoi capelli castani già pieni di neve, e si strinse le mani al petto, guardando verso il basso. “Forse…non ci vuole fare alcun male.”

Patches sbuffò con una risata. “Forse dovremmo mandarti giù a chiederglielo, ragazza. Perché non…provi a saltare? Eh?”

“Se fossi sicura di sopravvivere alla caduta , lo farei,” rispose seriamente Abby. Quelana notò che la ragazza non si era accorta di essere presa in giro.

“Zitti tutti,” disse Lautrec. “Aspetteremo. Se ne andrà, prima o poi.”

“E se non lo fa?” Chiese Patches.

“Lo farà.”

E così aspettarono. Il demone camminò avanti e indietro, s’intravedeva la sua scura pelliccia mentre passava tra i pilastri. A un tratto, la bestia piantò la sua ascia in terra, ruggendo, ma qualsiasi cosa l’avesse agitata, se n’era andata; estrasse l’ascia e continuò a vagare senza meta. Il demone arrivò fino al falò e lo annusò.

“No…” mormorò Lautrec. “Il fuoco è…spento.”

Quelana non se n’era accorta prima, ma il cavaliere aveva ragione. Nemmeno la più piccola brace brillava tra le ceneri del falò. Si voltò verso il cavaliere. “O la tua povera vittima muta si è liberata dalla propria prigione…o è già morta.”

Una miriade di emozioni attraversò il volto di Lautrec mentre fissava il falò. Alla fine, sussurrò, “Non è morta…non ancora.

“E tu come faresti a saperlo?”

“Lo so,” rispose Lautrec, e non disse altro.

“O mio…” urlò Abby. “Guardate!”

Sotto di loro, ora che il demone aveva dato loro le spalle, la deformità del mostro, come quella del Demone del Rifugio prima di lui, era chiaramente visibile. Una seconda testa penzolava dalle spalle della creatura, vicino al gomito, da un collo sottile, dondolando da un alto all’altro ad ogni passo della creatura. La bocca della testa deforme era piena di zanne ancora più affilate della sua testa principale, e Quelana riusciva a vedere la lingua rosea catturare i fiocchi di neve, appesa quasi sottosopra.

Tu sei il responsabile per tutto questo,” sussurrò Quelana dietro le sue spalle al cavaliere. “Hai scatenato l’inferno su Lordran nella tua folle ricerca del cambiamento. Qualunque Dio crudele vegliasse su di noi…ora ci ha sicuramente abbandonati.”

“Tieni a freno la lingua, strega,” la ammonì Patches dall’altro lato del nido.

“No, ha ragione,” ammise Lautrec. “Mi assumo tutta la responsabilità. Volevo spezzare l’eterno, esasperante ciclo di questo mondo e l’ho fatto. Non ho mai pensato che non ci sarebbero state conseguenze. Se dobbiamo ammazzare un paio di demoni deformi…e sia.”

“E questo freddo?” Chiese Quelana. “E se non finisse? E se peggiorasse e basta? E se-”

La mano di Lautrec le chiuse la bocca. “Siamo stati scoperti,” disse, guardando in basso.

Quelana seguì il suo sguardo e vide ciò che lui aveva visto: la seconda testa del demone aveva due piccoli e luccicanti occhi rossi nelle luminose orbite sotto la sua fronte sporgente. Guardavano in alto, fissando il nido del corvo mentre dondolava da una parte all’altra. La sua bocca fece una smorfia e la cosa emise un urlo acuto e penetrante che sembrava il canto di un uccello ferito a morte. La testa principale del demone si voltò, puntando anche i suoi occhi sul gruppo nel nido, e ruggì, piantando l’ascia nella terra e battendosi il petto con la mano libera.

“Beh, merda,” imprecò Patches, estraendo una spada corta dal fodero che portava in vita. “Sapete, speravo davvero che non dovessimo affrontare il demone gigante con due teste oggi.”

Quelana allontanò la testa dalla mano del cavaliere. “Slegami, folle! Incenerirò quella bestia.”

Tu scapperai verso la Città Infame non appena ne avrai l’occasione,” disse Lautrec, alzandosi e sguainando i suoi due shotel.

“Anche se fosse, metterei fine alle sofferenze del mostro,” insistette Quelana, girandosi sulla schiena e stringendo i pugni. “Ora slegami. Hai bisogno di me.”

Sotto di loro, il Demone Toro ruggì ancora, stavolta più vicino, e Quelana sentì la costruzione di pietra sulla quale erano accucciati tremare come fosse stata colpita con forza. Lautrec guardò lei, poi l’orlo del precipizio, poi di nuovo lei. Si leccò le labbra e sospirò. “D’accordo, strega. Non farmene pentire,” la ammonì, s’inginocchiò e slegò il nodo che le stringeva il torso e le spalle.

Il demone ruggì nuovamente e l’edificio tremò.

Quelana strattonò la corda rimastale attorno ai polsi. “Liberami le mani.”

“Non esagerare,” disse Lautrec, afferrandola per il gomito e tirandola su in piedi. Raccolse la corda che pendeva dai suoi polsi e la lanciò ad Abby. “Tienila stretta. Se cerca di scappare, trattienila, intesi?”

Il volto della ragazza si riempì di confusione. “C-cosa? Perché io? Io non-”

“Cos’altro sai fare?” chiese Lautrec.

Abby aprì la bocca per replicare, capì cosa intendeva, e la richiuse. “…va bene.”

“Lo prenderò di lato!” disse Ben, avvicinandosi al cavaliere ed estraendo dal fodero un pugnale. “Sono bravo a rimanere nascosto. Io-”

“Resta qui,” lo interruppe Lautrec. “E se il demone sembra avere la meglio su me e Patches, colpiscilo con una freccia per distrarlo.”

Benjamin si accigliò. “Sì, ma se-”

“Non era una richiesta,” disse Lautrec. Si voltò verso Patches. “Sarai il primo a scendere. Anche se non sembra, il demone è veloce e la sua ascia ha un raggio considerevole, quindi ti suggerirei di atterrare in corsa.”

L’uomo calvo non sembrò contento, ma al contrario degli altri due, non contestò l’ordine del cavaliere. Strinse la spada, invece, e si avvicinò al bordo dell’edificio, dove lo aspettava la corda che avevano usato per salire, e la afferrò. “Non farmi aspettare troppo,” disse con un occhiolino, un sorriso e un salto di alto, con la corda in mano.

L’edificio tremò ancora, stavolta abbastanza forte da spezzare il pavimento di pietra nell’angolo e far precipitare una lastra di roccia traballante. Lautrec raccolse la corda e la strinse nelle mani di Quelana. “Ricorda che ti ho dato la mia parola di riportarti alla Città Infame, strega. Tienilo a mente, prima di bruciare ciò che non dovresti, laggiù.”

“Non so a cosa o a chi tu ti stia riferendo,” disse Quelana, alzando le mani vicino al volto del cavaliere e facendo danzare una fiammella sulla punta delle dita.

Lautrec si allontanò dal fuoco e si accigliò. Disse, “Chi può sapere quali orrori ti aspettano ora nella Città Infame? Potresti avere bisogno di un cavaliere come me per un viaggio sicuro,” poi, rivolto ad Abby, “Tienila vicina.”

Quelana si voltò verso la ragazza e strinse gli occhi. Le guance di Abby avvamparono e lei abbassò lo sguardo. Quelana scosse la testa, strinse più forte la corda, e si calò oltre il bordo per raggiungere il suolo. La discesa fu breve e abbastanza facile e poi i suoi piedi toccarono la terra innevata di Lordran. Patches non si vedeva da nessuna parte e, fortunatamente, nemmeno il demone. Quelana sollevò ancora una volta le mani e maledisse il cavaliere per averle lasciate legate. Abby fu dietro di lei un attimo dopo, il capo libero della corda di Quelana in mano. Quando Quelana la fissò nuovamente, la ragazza deglutì e alzò le braccia per difendersi. “S-sto solo eseguendo gli ordini del cavaliere. Ti prego, non…non voglio essere bruciata.”

“Non ho intenzione di bruciarti,” le disse Quelana, e per un attimo pensò di avvicinarsi alla ragazza e sussurrarle un incantesimo all’orecchio, ma Lautrec si calò subito accanto a loro.

“Che cosa stai facendo?” Sussurrò ad Abby, gli shotel stretti nei guanti dorati. “Prendila e muoviti. Dobbiamo dividerci e accerchiare la creatura.”

“Oh, sì,” disse Abby, scuotendo la testa e mordendosi il labbro. Si voltò verso Quelana, deglutì e tirò nervosamente la corda.

Se la ragazza non fosse stata così dannatamente spaventata, Quelana avrebbe potuto fare un po’ di resistenza, ma era già abbastanza nervosa, così la seguì diligentemente. Lautrec li sorpassò di corsa, gli shotel vicino ai fianchi, accucciato furtivamente. Strisciò lungo un muro di pietra, alzando la neve dietro ai suoi stivali dorati. Abby la condusse nell’altra direzione con passi lenti e prudenti, fermandosi ogni due secondi sentendo il demone ruggire lì vicino. Quelana restò in silenzio, permettendo alla ragazza di allontanarsi sempre più dagli altri, ma lei aveva un’altra idea. Da qualche parte dietro il muro, Patches urlò e il demone ruggì. Sentì scoccare una freccia dall’alto e il ragazzo, Benjamin, urlare “Ora!”. Il suono della pietra che si sbriciolava rimbombò tutto attorno a loro e Abby sussultò, portando una mano tremante alle labbra.

Si stavano avvicinando all’angolo del muro che li avrebbe portati allo spiazzo principale del falò, e Quelana vide la sua opportunità svanire. Si fermò, e quando Abby finì la corda, lo strattone improvviso la fece quasi scivolare. Si voltò indietro, con gli occhi sgranati e confusi, e tirò gentilmente la corda. “Dai! Dobbiamo-”

“Vieni qui, ragazza,” la interruppe Quelana, avvicinandosi e prendendo la corda in mano, cosicché si accorciasse sempre di più mentre camminava. “Lascia che ti dica una cosa.”

“Che stai facendo?” sussurrò Abby, alzando il sopracciglio. “Vuoi…farmi del male?”

“No, dolcezza, niente del genere,” la rassicurò Quelana, e quando ebbe raccolto tutta la corda, tirò a sé la ragazza e premette le labbra sull’orecchio di Abby. Nemmeno Quelana poteva comprendere veramente le parole che pronunciò. Erano parole antiche, parole arcane, e quando le bisbigliò, sembrava come se qualcosa di altrettanto antico ed arcano parlasse attraverso di lei, muovendo la sua lingua, manipolando l’aria. Sentì la ragazza irrigidirsi accanto a lei e poi afflosciarsi improvvisamente. Quelana la prese tra le braccia e la distese sulla neve, appoggiandola al muro.

“Slega i nodi che mi bloccano le mani,” ordinò Quelana, tendendo i polsi alla ragazza.

“Mmm,” gemette Abby, ruotando gli occhi. “Io…Io…”

“Sei sotto il mio incantesimo ora,” disse Quelana, perdendo la pazienza. “Adesso slega il nodo.”

Gli occhi di Abby fissarono concentrati il nodo, poi, però, distolse lo sguardo. “Pe…perché?”

Quelana restò a bocca aperta. Aveva usato l’incantesimo dell’Ammaliamento Non Morti da quando aveva memoria. L’aveva usato sui suoi alunni, sui nemici, persino su sua sorella stessa, una volta. Nessuno aveva mai fatto resistenza. “Mi hai sentito? Ti ho detto di-”

“No,” disse Abby, scuotendo la testa. Era intontita, fiacca, eppure da qualche parte dentro di lei, la sua coscienza rimaneva la stessa.

Quelana si alzò, stupefatta, e fissò la ragazza. Oltre il muro, un uomo (Quelana non riuscì a capire se Patches o Lautrec) urlò ancora, e il terreno vibrò con un colpo potente. Non aveva tempo di rimuginare sull’anomalia che le stava di fronte. Prese la corda nelle sue mani ancora legate e si avvicinò all’angolo della parete. Prima di andarsene, si voltò verso la ragazza e disse, “Resta dove sei. Sarai al sicuro,” e scattò velocemente nello stretto passaggio.

Sbirciando verso lo spiazzo del falò, non vedeva nessun uomo o demone, solo la bianca coperta di neve che sembrava aver avvolto tutta Lordran nel suo abbraccio. Nel cielo azzurro pallido, il guscio vuoto del sole guardava la neve cadere sul mondo. Persino il grande fuoco nel cielo si spegne, pensò Quelana. Madre Izalith salvaci. E con questo pensiero, fece uno scattò verso le scale a chiocciola che l’avrebbero riportata a casa.

Il corpo di Patches in volo la distrasse. L’uomo calvo sbatté a terra, scivolando nello spesso strato di neve contro una vicina costruzione di pietra, urlando di dolore. La spalla sanguinava. Il Demone Toro lo seguì con passo pesante da dietro gli archi del santuario, trascinando l’ascia dietro di sé. Da terra, Quelana trovò il mostro persino più terrificante. Svettava nel cielo, alto quattro metri e mezzo, e la sua bocca irta di pugnali azzannava l’aria mentre avanzava di corsa. Alzò l’ascia, piegandosi sulle ginocchia, pronto a saltare.

Anche Lautrec uscì dagli archi, le dita in mezzo alle labbra, e fischiò. La testa deforme e floscia del demone urlò, e l’altra testa si voltò ad affrontare il cavaliere dorato. Lautrec estrasse dal fodero il suo secondo shotel e si spostò velocemente dietro al mostro, distogliendo la sua attenzione da Patches. Gli occhi della bestia si fissarono su di lui e la bocca azzannò la neve che cadeva tra loro due. Anche da dove si trovava, a una decina di metri di distanza, Quelana poteva sentire l’odore di decomposizione nell’alito della creatura avvelenare l’aria. Stai perdendo tempo, si disse e si voltò per scappare.

Il suo piede si era appena posato sul primo gradino quando si fermò. Sei fuggita altre volte, Quelana, pensò, e tutto ciò che ti sei lasciata alle spalle è stato distrutto. Si voltò indietro appena in tempo per vedere il cavaliere schivare un’ampia spazzata dell’ascia del demone. Non gli doveva alcuna fedeltà né a lui, né al resto del gruppo. Era loro prigioniera dopotutto, ma il pensiero di scappare ancora, la vigliaccheria del suo abbandono, non le stava bene.

Lautrec, con un grido di battaglia, balzò verso il demone con entrambi gli shotel stretti nei suoi guanti di metallo, alti sopra la testa. Le lame squarciarono la coscia della bestia, spruzzando sangue quasi nero dalla ferita e causando un penetrante guaito di dolore dalla cosa, prima che colpisse di rimando il cavaliere. Lautrec barcollò all’indietro, riprese l’equilibrio e si alzò in piedi. Urlò ancora e si mosse in avanti, ma ci deve essere stata una roccia nascosta sotto la neve, perché Quelana lo vide inciampare e cadere su un ginocchio. Il Demone Toro colse l’opportunità e abbassò l’ascia, la spinse in avanti e verso l’alto. La superficie piatta della sua lama d’acciaio colpì Lautrec al petto e lo scagliò indietro verso l’alto. Volò all’indietro, colpendo il suolo e strisciando nella neve sulla schiena. I suoi occhi si chiusero di scatto e strinse i denti, inspirando. Il demone gli si avvicinò.

Quelana guardò lo scontro e poi la scalinata. Non avrebbe mai dovuto prendere la dolorosa decisione di fuggire da Izalith mentre le sue sorelle venivano deformate dal caos che la distrusse…ma poteva certamente evitare altri rimpianti in futuro. Il Demone Toro sollevò la sua enorme ascia e corse in avanti-

-e Quelana scattò per fermarlo. Gli occhi della bestia andarono dal corpo disteso di Lautrec a lei, e il demone cambiò direzione. Lei sollevò le mani all’altezza delle spalle e le aprì verso la bestia, con le dita ben aperte. Il mostro ruggì, calò l’ascia sopra di lei, e-

-fiamme eruttarono dalle sue mani, dando vita a un cerchio caotico di ardente, impetuosa distruzione rossa e arancione. Il fuoco divampò in un ampio cerchio, facendo sia da scudo contro il colpo del demone sia da contrattacco vero e proprio. La bestia guaì e indietreggiò per sfuggire al calore, ma le fiamme avvamparono in avanti, avvolgendo il suo corpo in una colonna di fuoco. La pelliccia della cosa s’incendiò, e quando le fiamme della strega si furono spente, il demone aveva dato origine alle proprie fiamme sulle spalle, la schiena e le gambe. Alzò la testa e urlò al cielo prima di lanciarsi a terra, rotolandosi su se stesso, cercando disperatamente di domare le fiamme sulla sua pelliccia.

Lautrec si rialzò a fatica. Guardò il demone, poi lei, annuì in segno di ringraziamento e si avvicinò per attaccare la bestia, stringendo gli shotel. Il demone si alzò, spento il fuoco, con la pelliccia nera e ricoperta di cenere.

Non li hai abbandonati. Hai aiutato. Ora corri, si disse Quelana e si voltò per farlo.

Strega!” Le urlò dietro Lautrec. “Rimani e combatti! Ho bisogno-”

Ma le sue parole vennero interrotte quando l’artiglio del demone per poco non gli strappò la testa dagli spallacci dorati. Quelana corse oltre l’angolo, scendendo la scalinata a chiocciola due gradini alla volta, e scattò oltre la caverna vuota con le sbarre, verso la seconda scalinata che l’avrebbe condotta all’ascensore…e a casa.

L’aveva quasi raggiunta quando la figura torreggiante del Demone Toro oscurò il cielo. Quelana guardò, spaventata e con gli occhi spalancati, verso l’alto e che la cosa era balzata giù dalla parte superiore e stava cercando di colpirla con l’ascia. Si gettò di lato mentre l’ascia staccava da terra un enorme pezzo di fango e neve dal suolo. Il demone atterrò con un assordante tonfo e ruggì.

Quelana si girò sulla schiena, con difficoltà, viste le mani legate, e affrontò il demone. Sollevò le mani e cercò di scatenare un’altra fiammata, ma non ci riuscì. Aveva speso troppo del suo fuoco interiore per stregare la ragazza prima e attaccando il demone poi e aveva bisogno di tempo per riprendersi. Tempo che non aveva.

Lautrec saltò giù dietro al demone, cercando di piantare i suoi shotel nella schiena della creatura, ma la piccola testa deforme che gli pendeva dalle spalle la avvisò con un urlo; il Demone Toro si voltò e sollevò il suo enorme artiglio. Lautrec fu preso nella stretta del demone, scosso come una bambola, e poi gettato a terra. Giacque inerte, ferito e forse morto accanto alla gabbia dove, ironicamente, aveva ucciso innumerevoli volte la donna al suo interno. Il demone grugnì soddisfatto, si voltò verso Quelana e sollevò la sua ascia.

Lei riusciva a vedere Benjamin scoccare freccia dopo freccia contro il mostro dal nido del corvo, ma metà mancavano il bersaglio, l’altra metà rimbalzavano semplicemente sulle dure spalle della creatura. Lautrec era privo di sensi, e Quelana capì che era finita. Mentre il demone si avvicinava, abbassò le mani e si costrinse a fissare il mostro che veniva a finirla. Perdonatemi sorelle mie, pensò. Che possiate trovare misericordia.

“Fermo!”

Abby arrivò con passo incerto dalla scalinata dietro al demone, appoggiandosi al muro per mantenere l’equilibrio mentre si avvicinava. “Fermo,” disse nuovamente, portandosi una mano alla fronte e scuotendosi la neve dai capelli.

“Che stai facendo, sciocca ragazza?!” Urlò Quelana. “Ti avevo detto di stare ferma! Ora ci ucciderà entrambe!”

“No,” disse lei, scuotendo la testa, e poi parlò dolcemente al demone, “Tu non ferirai più nessuno.”

Il Demone Toro si voltò a guardarla, piegando la testa di lato e socchiudendo i piccoli occhi su di lei. La studiò solo per qualche secondo prima di emettere un forte ruggito, alzando l’enorme ascia sopra la testa, scuotendola nell’aria furiosamente.

“Basta,” disse lei, facendo un passo in avanti, le mani sui fianchi.

“Folle ragazza,” sussurrò Quelana, scuotendo la testa. Controllò la propria fiamma interiore, ma non la trovò abbastanza forte da bruciare di nuovo. Non poteva fare nulla tranne guardare la ragazza avvicinarsi sempre di più e il demone diventare sempre più furioso. Appena fu a tiro, però, l’ascia della bestia si abbassò leggermente, e mentre Abby gli andava persino più vicino, il demone sembrò confuso.

“Placa la tua ira, bestia,” ordinò Abby. “Non vogliamo farti altro male e non ce ne aspettiamo altro da te.”

Miracolosamente, l’ascia del demone gli cadde di mano. I suoi occhi guardavano la ragazza alta nemmeno la metà di lui appoggiargli una mano sulla gamba. “Abbassati, cosicché ti possa guardare negli occhi,” disse Abby dolcemente.

Quelana era senza parola guardando l’enorme mostro che aveva appena scagliato due uomini e l’aveva quasi decapitata abbassarsi in ginocchio e fissare la ragazza di fronte a lui. Abby sorrise e portò una mano al collo peloso della creatura. “Non ci credo…” sussurrò Quelana, alzandosi in piedi e avvicinandosi all’incredibile scena che aveva davanti. Guardò il calmo demone dall’aria quasi serena e poi Abby. Prima la ragazza aveva opposto resistenza al suo incantesimo, e ora questo. “Cosa sei tu?” Chiese Quelana.

Abby stava ancora sorridendo mentre le sue mani accarezzavano la pelliccia del demone. “La Prescelta, no? O almeno, questo è quello che tutti voi mi avete detto.”

“No, ragazza…” Disse Quelana, deglutendo, la gola improvvisamente secca. “Tu sei…qualcos’altro.”

Lautrec era di nuovo in piedi, ma piegato verso il buco nella parete con le sbarre. I suoi pugni erano stretti attorno alle sbarre e ansimava. Quando si voltò di nuovo verso l’insolita vista di Abby e del demone inginocchiato, il suo volto era paonazzo e furioso. I suoi shotel erano di nuovo nelle sue mani. Si avvicinò.

“No,” gli disse Quelana, spostandosi velocemente dietro al demone per bloccargli la strada. “Non vedi che la ragazza ha sottomesso la bestia? Non devi-”

La spinse lontano da lui. “Sei scappata. Non hai più voce in capitolo.”

“Ti ho salvato la vita!” Protestò Quelana inciampando all’indietro e cadendo nella neve.

“Solo per abbandonarmi subito dopo,” disse Lautrec camminando verso il demone.

Non ti ho abbandonato!” Scattò Quelana.

Lautrec la ignorò e si avvicinò ad Abby, fissando il demone con uno sguardo di meraviglia e odio stampato sul volto.

“Ti prego,” lo implorò Abby. “La lotta è nella natura di questa creatura. Non è colpa sua se ci ha attaccati. Devi-”

Lautrec spinse via anche lei, e senza altre parole, conficcò il suo shotel nella giugulare del demone, con uno spruzzo di sangue scuro a tingergli i guanti dorati di morte. Abby urlò, gli occhi pieni di lacrime, ma la furia si era impossessata del cavaliere e iniziò a piantare gli shotel nella gola della creatura in una rapida, furiosa successione. Eppure, il demone non contrattaccò. Cadde solo su un fianco e soffocò sul suo stesso sangue mentre il cavaliere gli scavava nella gola.

Morì molto prima che Lautrec smettesse di colpirlo.

Abby era inginocchiata nella neve, il volto tra le mani, singhiozzando piano. Quelana si avvicinò, s’inginocchiò, e appoggiò le mani sulla spalla della ragazza. Patches era apparso sopra di loro, sull’orlo di terra che dava sulla gabbia e si grattò la testa calva. “Che diavolo…” mormorò.

Lautrec liberò gli shotel dalla gola del demone morto. I suoi guanti e la sua cotta erano ricoperti dal sangue della cosa e gocciolavano mentre lui stava fermo, ansimando per riprendere fiato. Quelana lo guardò scuotendo la testa e accarezzando la spalla di Abby. “Non eri così furioso verso il demone. La tua furia non si è risvegliata finché non hai guardato in quella gabbia vuota dove di solito si trova la tua ‘vittima’,” disse. Lui non la guardò, né rispose, così lei continuò. “Ci sono solo due cose che ho visto risvegliare una tale emozione negli uomini. Quindi dimmi, cavaliere dorato, perché continui ad uccidere quella povera guardiana del fuoco? Per odio…o per amore?”

Lautrec stette in silenzio a lungo, e proprio quando Quelana pensava che non avrebbe avuto risposta, mormorò, “Entrambi,” e rinfoderò le sue lame.

Mentre il pallido cerchio di luce che un tempo sarebbe potuto essere il sole si abbassava sotto il lontano orizzonte e la notte scendeva su Lordran, si accamparono al santuario del legame del fuoco. Lautrec aveva mandato Patches e Benjamin a raccogliere legna sufficiente dalla zona circostante, e poi l’aveva fatta accendere a Quelana prima di allontanarla dal fuoco verso un vicino pilastro di pietra. La sua ricompensa per avergli salvato la vita fu di essere legata e messa a sedere per la notte. Per il suo tentativo di stregare Abby, le rimise il bavaglio in bocca e poi fu lasciata, zitta e sola, mentre il resto di loro si stringeva attorno al fuoco.

“Ho un taglio,” grugnì Patches, osservandosi la spalla insanguinata mentre strisciava verso il falò e gettava un bastoncino tra le fiamme. “Dannatissimo bastardo di un demone…brutto pure, hihi.”

“Posso chiudere la ferita con ferro e fuoco,” gli disse Lautrec, “ma non ho modo di fermare qualsiasi infezione possa essersi formata.”

Patches sospirò, sembrò avere un dibattito interiore, e poi si voltò verso Benjamin, che sembrava pallido e malato. “C’è un sacco nascosto di otri di vino da quella parte,” indicò, “sotto una pila di tre pietre bianche. Vai a prenderle, ragazzo.”

“Sto male,” protestò Ben, e a dire la verità, ne aveva l’aspetto.

“Non me ne frega un accidente, sto sanguinando! Datti da fare, merdina,” urlò Patches, prendendo un sasso e lanciandoglielo.

“Te lo prendo io il tuo dannato vino,” disse Lautrec, lanciando i guanti vicino al fuoco e alzandosi. “Anche se avremo una piccola discussione sulle altre ‘scorte’ che potresti avere nei paraggi.” Alzò gli occhi al cielo, verso la neve. “Sperando sia ancora là. Abbiamo cambiato un bel po’ di cose in questo mondo maledetto.”

Patches aggrottò la fronte. “Oh, non sarebbe proprio una sfortuna? Non la mia piccola amata scorta di vino, che quegli déi maledetti congelino tutto il mondo, ma per carità lasciatemi il vino!

Lautrec sparì dietro agli archi di pietra che conducevano al cimitero che Quelana aveva visto dal nido del corvo e tornò un attimo dopo, portando con sé un sacco marrone. Patches lo vide e un sorriso sbilenco gli illuminò il volto. “Ah, ma allora è vero che gli Dei esistono ancora! Fantastico! Hihi.”

La risata dell’uomo calvo scomparve in fretta e fu sostituita da gemiti di dolore qualche secondo dopo non appena Lautrec bagnò con il vino la sua spalla ferita. Patches dovette stringere una cintura tra i denti mentre Benjamin lo teneva fermo quando il cavaliere scaldò la lama del suo shotel sopra il falò e la premette contro la ferita, chiudendola. Quando ebbe fatto, e Patches ebbe finito di grugnire e lamentarsi, i tre iniziarono a passarsi un otre tra loro. Abby stava seduta, stringendosi le ginocchia, fissando silenziosa nel fuoco e ignorandoli la maggior parte del tempo finché Ben si voltò verso di lei e le offrì il vino.

“Ha fatto star meglio me,” disse.

“No, grazie,” disse sottovoce Abby e appoggiò il mento sulle ginocchia.

“Ce l’hai con me, ragazza?” chiese Lautrec, sedendosi dall’altra parte del falò. “Per aver ucciso il tuo povero, dolce, demone.”

Abby non disse nulla, l’unica certezza che l’avesse sentito era la sua fronte corrucciata.

Lautrec rise e prese un altro sorso dall’otre. “La domanda è,” continuò lui, leccandosi le labbra. “Cos’è cambiato in questo mondo maledetto per far sì che accadesse una cosa simile? Era la bestia deforme in sé…o sei tu a essere speciale?”

Abby si strinse nelle spalle. “Tu mi hai detto che ero speciale. Che ero…Prescelta.”

“Beh, lo siete entrambi,” la interruppe Patches, indicando Ben. “Ma l’unica cosa degna di nota che abbia fatto questo ragazzo qui è stato piantarti una freccia nel petto nel rifugio! Hihi.”

“Non volevo farlo,” si difese Ben, imbarazzato. “E potrei fare molto di più! Non è stata colpa mia se mi avete lasciato lassù con quello stupido corvo a guardare il combattimento. Avrei potuto aiutare…avrei potuto uccidere quello stupido coso, il demone, da solo.”

“Perché siete tutti così decisi a uccidere tutto?” protestò Abby, parlando finalmente più forte di un semplice sussurro. “Avremmo potuto salvarlo!”

“Salvarlo da cosa?” chiese Lautrec con un sorriso. “Era un demone. Esistono solo per portare dolore e distruzione. Si meritava la morte, ed è quello che gli ho dato.”

Tu perché esisti?” scattò di rimando Abby. “Tutto ciò che ho visto te fare è stato portare dolore e distruzione.”

Lautrec guardò Patches e i due risero. “È tutta arzilla ora che è un’ammaestra-demoni, eh?” disse Patches prendendo un sorso di vino.

“Ho freddo,” s’intromise Ben, stringendosi le braccia attorno al suo farsetto di pelle.

Lautrec sospirò. “Quali Dei buffoni e crudeli mi hanno affidato due Prescelti, una che vuole abbracciare i propri nemici fino alla sottomissione, e l’altro che non fa altro che lamentarsi e sbagliare tiri che avrebbe dovuto fare.”

La bocca di Ben si spalancò con indignazione. “Ehi, ho colpito con un sacco di quelle frecce.”

“E hai mancato con altrettanto,” aggiunse Patches.

“Hai del talento naturale, ma ti manca la disciplina di un arciere più esperto,” disse Lautrec al ragazzo. “Inarchi la schiena e pieghi i gomiti quando tendi l’arco. Devi migliorare queste cose.”

“Beh…mostrami,” disse Ben.

Lautrec bevve dall’otre e Quelana poteva vedere che il liquido al suo interno stava iniziando ad avere effetto su tutti e tre. Il cavaliere fece spallucce, si alzò in piedi, e condusse il ragazzo fino al bordo dell’accampamento. Patches si tirò su a fatica e barcollò dietro di loro, ridendo a una battuta di pessimo gusto riguardo alle ‘frecce nel tuo culo’. Quando fu sola, Abby si alzò, si avvolse il suo mantello da monaca più stretto attorno a sé e attraversò lo spiazzo, avvicinandosi a Quelana. Arrancò nella neve, salì pochi gradini di pietra, e le si fermò di fronte. Abby incrociò le braccia sul petto e la fissò. Quelana non poteva fare altro che fissarla a sua volta. Vicino al falò, Patches rise e Benjamin urlò qualcosa.

Abby li guardò, poi tornò su Quelana. “Se ti tolgo il bavaglio dalla bocca…cercherai di controllarmi ancora?”

Quelana scosse la testa, e lo pensava veramente. Non solo la ragazza le aveva salvato la vita, ma ora le era chiaro che ci fosse qualcosa di speciale in lei.

Abby si morse il labbro, si guardò un’ultima volta alle spalle, e si accucciò vicino a Quelana. Deglutì nervosamente mentre alzava il cappuccio del mantello nero dal volto di Quelana e tendeva le mani dietro la sua nuca per snodare il nodo del bavaglio. Cadde dalle sue labbra, e Quelana se le leccò. “Grazie” disse sottovoce alla ragazza.

Abby sorrise, annuì, e si sedette accanto a lei; guardandola e stringendosi di nuovo le ginocchia al petto. Ci fu un momento di silenzio, poi la ragazza chiese “Come hai fatto prima? Come mi sei…entrata nella mente in quel modo?”

“È un trucchetto molto antico,” disse Quelana, spostandosi quel tanto che le permettevano le corde attorno al corpo per stare più comoda. “La vera domanda è: come hai fatto tu a resistere? Non mi era mai successo prima.”

Abby alzò le spalle. “Io…non lo so” disse, e poi, pensandoci meglio “Non ho capito. Il cavaliere mi ha detto che sono la non morta ‘Prescelta’. Non dovrei essere in qualche modo speciale?”

Quelana annuì. “Sì, è solo che…sia io che quel cavaliere abbiamo vissuto molti cicli di eroi ‘Prescelti’. Nessuno è mai stato capace di fare ciò che hai fatto tu oggi.”

“Allora forse erano falsi eroi…” disse Abby facendo spallucce.

“Forse sì” ammise Quelana e poté evitare di sorridere. Le piaceva la ragazza. C’era qualcosa di…onesto nel modo in cui parlava, come se non avesse niente da nascondere o da perdere. Per quel che ne sapeva Quelana, forse era così. “Hai detto di venire da Vinheim?”

Abby annuì, e, quando lo fece, della neve le cadde dai capelli. “Sì. I miei genitori mi mandarono alla grande Scuola del Drago per stregoni e chierici laggiù. Però io…non ero particolarmente brava in nessuna delle due specialità.” Guardò il cielo con un sorriso nostalgico. “Avevo fatto così bene i test iniziali, ma quando si arrivò alla pratica…fare incantesimi e pregare e tutto il resto…non ero brava e basta. I miei genitori non erano né tristi né arrabbiati o cosa, ma…non si sono certo sforzati di nascondere la loro delusione.”

Quelana annuì. “Sì, molti uomini e donne che ho incontrato hanno trovato le arti superiori difficili da comprendere. Hanno a che fare con la tua mente, sono sicura che lo sai. La scuola ti deve essere servita a qualcosa, no?”

Abby si morse il labbro e sorrise prima di annuire. “Sì, intelletto per le stregonerie, fede per i miracoli.”

“Le menti degli stregoni sono fatte per comprendere la conoscenza e la logica molto nel profondo” disse Quelana. “Sfortunatamente, è qualcosa che non si può insegnare. Un mio alunno, tanto tempo fa, Salaman, me lo spiegò, una volta. Afferrano numeri e schemi meglio degli altri, e così riescono a vedere le antiche verità celate in questo mondo e utilizzarle nei loro incantesimi. I chierici…si  affidano agli Dei per ottenere forza. Quando fai un miracolo, tu non stai facendo nulla in realtà. Stai chiedendo un favore agli Dei. Che ti ascoltino o meno non sta a te…dipende tutto da quanto è forte la tua fede.” Fissò la ragazza con gli occhi azzurri e le lacere vesti da monaca. “Ma non mi sembri una donna molto pia, mi sbaglio?”

“No…non molto, immagino” ammise Abby.

Quelana annuì, fece una pausa affinché comprendesse le sue parole. “Ma esistono altre arti. Altre arti…più oscure.”

Abby era a bocca aperta. Un fiocco di neve le cadde sul labbro e lo leccò via. “Intendi…” fece un cenno con la testa alle mani di Quelana. “Come il tuo fuoco.”

“Sì” le disse Quelana. “Mentre gli stregoni cercano la conoscenza, e i chierici conducono una vita di servitù, i piromanti ne conducono una di controllo. Non chiedi un favore alle fiamme, ordini loro di fare come desideri.”

La ragazza aveva gli occhi sgranati, e Quelana colse l’occasione per far danzare una fiammella sulla mano, dal pollice al mignolo, prima di spegnerla. Abby deglutì e guardò di nuovo Quelana negli occhi. “E possono apprendere tutti la piromanzia? Ci proibivano di parlarne a scuola.”

Tutti” disse Quelana. “L’unica cosa importante è ricordarsi che tu controlli le fiamme,” disse dolcemente, e la sua mente andò per un attimo a Salaman, “ma devi anche temerle…o ti consumeranno.”

Il volto di Abby era acceso d’interesse, curiosità, timore, ed entusiasmo. Si morse il labbro e fissò le mani di Quelana. “Così…saresti disposta a prendermi come tua alunna?”

“Sì.”

Abby deglutì. “Quel cavaliere ha detto che non sei umana. Che sei…una strega. Che sei nata dal fuoco. È davvero così?”

“Sì.”

La ragazza corrugò la fronte, non aspettandosi chiaramente una risposta così schietta. “Oh…capisco.”

“Veniamo entrambe da anime oscure, ragazza” insistette Quelana. “Non possiamo essere tanto diverse.”

“Forse no” ammise Abby annuendo, e in quei suoi occhi azzurri si accese una scintilla di speranza.

“Che stai facendo là in fondo, ragazza?!” la voce di Patches giunse attraverso lo spiazzo. “Stai lontana dalla cagn-ehm, uhm, strega e portaci un altro otre di vino.”

Abby sospirò. “Non sono sicura di essere a mio agio con gli altri…sembrano così decisi a combattere tutto. E ora bevono quando potrebbero esserci pericoli appena oltre queste colline.”

“Sangue e vino” disse Quelana. “Due cose delle quali gli uomini saranno sempre bramosi.” Il suo sguardo si posò sul corpo della ragazza di fronte a lei. “E c’è una terza cosa che desiderano. Ti conviene stare all’erta per proteggerla, perché io non ti posso aiutare così legata.”

Abby ci pensò un attimo, poi comprese. “Oh” disse, con una smorfia, stringendosi ancor più le vesti addosso. “Io…cercherò di convincerli a liberarti. Se sarò una tua alunna, non possono trattarti così, no?”

Quelana sorrise. “Sei…molto dolce. Speriamo che tu abbia ragione.”

Abby ricambiò il sorriso. “D’accordo. La prima cosa che farò domani mattina sarà parlare col cavaliere.”

“Vacci piano con lui” la ammonì Quelana. “L’ego di un uomo è fragile e lui tende a ferire ciò che lo mette a rischio.”

Abby annuì, e sollevò il bavaglio, con un sorriso comprensivo. “Mi dispiace” disse, e si piegò in avanti per legarlo nuovamente attorno alla testa di Quelana.

“Un guanto,” disse Quelana prima di essere zittita di nuovo. “Una piromante ha bisogno di un guanto. Preoccupati di trovare uno.”

“Va bene” disse Abby e mise a posto il bavaglio. “Un guanto e la tua liberazione saranno le prime cose che chiederò domani mattina. E…grazie.”

Quelana annuì, la ragazza le abbassò di nuovo il cappuccio sul volto, e poi tornò al gruppo di uomini che scoccava frecce nel terreno il loro vino. C’era qualcosa nella ragazza che le aveva dato un senso di speranza che non provava da molto tempo. Forse sarebbe stata lei a portare finalmente la pace a Izalith e a liberare le sue sorelle dal loro destino crudele. Forse sarebbe stata lei a porre fine a questo ciclo di fallimenti che aveva distrutto Lordran.

Fu con questi pensieri di speranza che Quelana si addormentò.

Sognò del fuoco; sognò di un grande eroe che si levava da un lago di cenere per spazzare via con le fiamme tutti i mostri del mondo - uomini e demoni. L’eroe era basso e magro, ma determinato, e aveva dei bellissimi occhi azzurri.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

L’ombra avanzò attraverso il letto di cenere e ossa e sul suo cammino lasciò scie di fuoco e caos; era la morte e stava venendo a prenderli tutti. Le ossa che frantumava divennero una bestia, e la bestia cercò di fermarla, ma dalle mani dell’ombra uscirono fiamme, e la bestia d’ossa fu distrutta in un vortice di ardente distruzione. Le ceneri liquide presero la forma di un gigantesco golem, ma il potere dell’ombra era cresciuto. Si sollevò dal lago di morte come tentacoli di fumo nero. Il fuoco che si era acceso nelle sue mani era divampato sulle braccia e sul suo corpo, finché non ci fu più ombra: c’era solo fuoco. Il Dio di fuoco baciò la cenere e baciò le ossa e baciò il cielo stesso. Presero tutti fuoco e il mondo stava bruciando. Il volto del Dio di fuoco lo guardò ed era il volto di lei per un istante, poi un altro, poi di nuovo il primo, poi un altro ancora.

Ana!” urlò Lautrec. I suoi occhi si spalancarono mentre si alzava a sedere dal freddo letto di neve sotto di lui, annaspando. La sua pelle era calda e appiccicosa sotto i suoi abiti, ma le sue mani erano ghiacciate. Se le infilò sotto le ascelle e ci mise un attimo a capire dov’era.

L’oscurità lo circondava, avvolgendo ancora le terre di Lordran nel buio. Il fuoco che avevano acceso prima che si addormentasse era spento, e le sagome confuse dei suoi compagni di viaggio erano masse immobili in semicerchio. Le ombre diventano fiamme, pensò per un attimo prima di cacciare quella folle idea dalla mente. “Patches” sussurrò oltre il falò; si ricordava fosse compito dell’uomo calvo stare di sentinella.

Quando Patches non rispose, Lautrec fu colto da un altro folle pensiero. Sono morti. Sono tutti morti e congelati ed io sono l’ultimo uomo rimasto al mondo. “Patches!” disse di nuovo.

Una delle masse immobili si mosse nel buio e grugnì. “Mmh…fanculo.”

“Ti sei addormentato durante il tuo turno di guardia” lo rimproverò Lautrec. “Saremo potuti essere tutti sgozzati nel sonno.”

Il fagotto si alzò improvvisamente. “Maledetti gli Dei…Io, ehm, non stavo dormendo. Stavo solo…riposando gli occhi, ecco tutto.” Patches stette in silenzio per un momento, poi aggiunse “Comunque, c’è un buio dannato qua fuori senza il falò. Dubito che qualunque assalitore avrebbe potuto trovare le nostre gole da sgozzare in ogni caso.”

“Scommetto che riuscirei a trovare la tua” gli disse Lautrec.

L’unica risposta fu la risata nervosa di Patches.

“Non ti sembra…sbagliato?” gli chiese Lautrec. Fissò l’orizzonte lontano, le vette delle montagne, vagamente illuminate dalla pallida luna. “Questa notte, intendo. Sembra stranamente lunga. Il sole dovrebbe essere già sorto a quest’ora.”

“Forse abbiamo cancellato il sole dall’esistenza chiudendo gli occhi? Ha!” rise Patches.

La battuta non piacque a Lautrec. Il sole sembrava già morente quando erano arrivati a Lordran. L’ipotesi che ora fosse morto non era così azzardata come avrebbe preferito. Aveva smesso di nevicare, ma era persino più freddo, e non sembrava che il sole avesse intenzione di sorgere presto. “Dobbiamo riaccendere il fuoco” disse Lautrec.

“Su questo, amico mio, mi trovi d’accordo” disse Patches.

Lautrec si alzò, stiracchiandosi la schiena rigida come non lo era mai stata quando aveva vent’anni, ma dieci passati sotto il peso della sua armatura dorata avevano lasciato il segno, così aveva bisogno di un po’ d’esercizio dopo la notte. Prese la sua armatura dietro di lui, trovò i suoi stivali e se li infilò ai piedi. Afferrò un ramo spesso dal falò e si diresse verso Quelana.

Stava ancora dormendo quando arrivò da lei, legata dalle spalle alla vita a un pilastro di pietra dietro di lei. Si accucciò al suo fianco e le scosse la spalla. “Svegliati, strega. Mi servono le tue fiamme.” Quando non rispose, la scosse più forte. “Svegliati” disse ad alta voce. Nuovamente, non rispose allora le sollevò il cappuccio dalla testa e-

-sussultò. Nella fioca luce della luna, vide che il suo volto era più pallido del solito, e che gli occhi le erano ruotati indietro, lasciando due cerchi bianchi al loro posto. Tremava violentemente e i denti erano serrati sul bavaglio nella sua bocca. “Ehi!” urlò Lautrec, strappando il bavaglio. La sua bocca si chiuse immediatamente, ma riusciva a sentire i denti tremare l’uno contro l’altro al suo interno.

“Che succede?” disse Patches dal falò.

“Sta avendo…un attacco o qualcosa del genere” disse Lautrec.

“Attento, Lautrec” lo mise in guardia Patches; la sua voce era più vicina. “È una strega, non lo dimenticare. Forse è un trucco. Potrebbe essere un tentativo di prenderti alla sprovvista.”

“Non è un trucco, idiota, portami qualcosa con cui coprirla - sta tremando” ordinò Lautrec, e l’agitazione nella sua voce sorprese se stesso. La strega gli aveva salvato la vita, più o meno, e voleva saldare il debito, se possibile.

Patches fu dietro di lui un attimo dopo. Lautrec allungò la mano e Patches ci appoggiò sopra un piccolo fagotto di stoffa. “È tutto qiqjocndmssssssssssssssqui? Cosa diavolo sarebbe questo?”

“È la veste di un uomo che ho ucciso. Era proprio un piccolo bastardo di un chierico” disse Patches. “È tutto quello che abbiamo, Lautrec. Non eravamo esattamente preparati all’arrivo su Lordran di una maledetta tormenta.”

“Non eravamo preparati a niente di tutto ciò. Questo è il problema” ammise Lautrec. Slegò il nodo che legava la strega al pilastro e lei cadde tra le sue braccia l’istante in cui fu liberata. Controllò che i polsi fossero ancora legati prima di avvolgere la veste da chierico stretta attorno al suo corpo e alle sue spalle. Oltre a quello, non sapeva che altro fare per lei.

“Assicurati che non si strozzi con la lingua” disse Patches. “Diamine…sta davvero tremando come una dannata foglia al vento.”

Stette così seduto accanto a lei per un po’, aprendole ogni tanto le labbra con le dita per assicurarsi che la lingua fosse ancora al proprio posto. Lautrec si era quasi dimenticato come fosse stringere una donna, e quanto potesse essere piacevole, ma ricordò a se stesso che Quelana non era una donna, e nemmeno umana, e che la cosa tremante che stringeva tra le braccia era una strega nata dalle fiamme che lo odiava.

L’alba non era ancora arrivata quando lei parlò, “Sto morendo.”

La sua voce fioca colse Lautrec di sorpresa. Allungò il collo in avanti per guardarla in viso. Gli occhi erano ritornati al loro posto, ma tremava ancora tra le sue braccia, e il suo volto era pallido e solcato da rughe di sofferenza. “Non stai morendo, strega. Hai avuto…una crisi di qualche tipo” le disse Lautrec.

“Non mi sono mai sentita così” sussurrò Quelana, la voce tremante come il suo corpo. “Tutto il calore del mondo...è svanito. È fuggito dal mio corpo ed è stato sostituito da uno strato di pietra e morte. Mi fa tremare.”

“Hai solo freddo” le disse Lautrec.

“Ho trascorso tutta la mia esistenza senza provare mai questo ‘freddo’ del quale la tua gente parla” disse Quelana. “Mi stai dicendo che lo sto provando solo adesso?”

“Ho visto una ragazza convincere un demone a inginocchiarsi a parole ieri” disse Lautrec. “Ho visto una bestia con due teste. Ho visto una tormenta rovesciare il mondo in un batter d’occhi, ed ho assistito a due giovani che morivano e risorgevano dalle fiamme. Le cose sono cambiate, strega. Forse questa è una di quelle.”

“Non mi sentivo così prima di addormentarmi” disse Quelana, ancora tremante tra le sue braccia. “E poi ho fatto un sogno…o forse era un incubo.”

“Ehi, anche tu hai sognato, strega del fuoco?” chiese Patches. Lautrec si voltò verso la sua figura nell’ombra, un paio di metri più in là; si era persino dimenticato che l’uomo fosse lì. “Anch’io.”

Lautrec si accigliò mentre un nodo di ansia gli si stringeva nello stomaco. “…pure io.”

“Ah sì?” chiese Patches. “Nel mio c’era mia madre. È buffo, però: la vecchia è morta da vent’anni ormai. Non ho sognato di lei una singola volta. Era avvolta nelle fiamme e combatteva tutti questi mostri e queste creature. Tipo, forse mi stava proteggendo? Troppo poco, troppo tardi, dolce madre. Ha.”

“Anche nel mio sogno c’era un guerriero in fiamme” disse Quelana, e Lautrec notò che i suoi brividi si calmarono leggermente. “Solo che il guerriero aveva il volto della ragazza Prescelta. Di Abby.”

“Fare lo stesso sogno di una strega?” disse Patches. “Non può venirne niente di buono. A meno che tu non abbia sognato la stessa maledetta cosa, Lautrec.”

“No” mentì lui. Il volto di lei era ancora nella sua mente, sorridente un attimo, in lacrime quello dopo, e infine implorante. Implorandolo per ciò che si meritava. “Ho sognato di vincere un torneo.”

Quelana lo fissò per un momento prima di dire “È una bugia. Ma non voglio parlare oltre di questi sogni, in ogni caso. I sogni parlano per mezzo di indovinelli, e mi piacerebbe riflettere sul mio.”

E d’un tratto, i suoi brividi cessarono. La sua calma improvvisa tra le sue braccia era quasi destabilizzante.

“Era ora” disse Patches alzandosi. “È l’alba.”

Lautrec alzò lo sguardo verso il lontano orizzonte a est ed era vero: quello smorto, azzurro, ovale di luce stava sorgendo, ghermendo le cime delle montagne con dita di luce.

“Liberami” disse Quelana.

“Non c’è di che” rispose Lautrec seccamente e le tolse la veste del chierico.

“Ti ringrazierò quando terrai fede alla tua parola e mi riporterai alla Città Infame così che io possa scoprire cos’è accaduto alle mie sorelle” gli disse Quelana.

“Col tempo” disse Lautrec, stancandosi della sua insistenza nel ritornare in quel posto malato. “Prima di tutto, devo trovare qualcuno. Devo scoprire cos’è successo a Lordran da quando ce ne siamo andati. Sembra che siamo stati via per poco tempo, ma…il tempo potrebbe essere stato distorto. La notte mi è sembrata strana e fin troppo lunga. Chi può sapere quanto tempo è passato mentre eravamo stretti negli artigli del corvo.”

“Potrebbero essere passati giorni” disse Patches.

“Potrebbero essere passati anni” lo corresse Lautrec. “Chi lo sa? Ecco perché dobbiamo trovare qualcuno.”

“Oppure sarai trovato da qualcuno…” aggiunse Quelana, e i tre si scambiarono un silenzio sgradevole mentre veniva mattina a Lordran. Patches fece un gesto con le mani, scosse la testa, e se andò verso il falò. Anche Lautrec stava per voltarsi per andarsene quando le parole della strega lo fermarono. “Voglio prendere la ragazza come mia alunna.”

Alzò un sopracciglio e la guardò. “La ragazza?”

Quelana aveva un’espressione dura in volto. Annuì. “Sì. Abby. Voglio insegnarle le arti della piromanzia.”

“Mi hai appena detto che vuoi essere riportata nella Città Infame.”

“È così. Con la ragazza.” Quelana si mosse un po’ nelle corde e lo fissò con gli occhi socchiusi. “Anche se non mi aspetto di essere liberata così facilmente. Ti accompagnerò senza lamentarmi o tentare di scappare finché non avrai raggiunto qualunque luogo vorrai. In cambio, quando avremo finito…la ragazza è mia.”

Un sorriso increspò le labbra di Lautrec. “Rivendichi la proprietà sulla nostra piccola monaca Prescelta, non è così? Trasformerai quella poveretta in una piromante e dovrò preoccuparmi che due di voi non mi incendino.”

“Le darò forza. Le darò consigli e uno scopo. Sarebbe un potente alleato per entrambi.”

“E, certamente, ti stai basando sul trucchetto di ieri con il Demone Toro?” chiese Lautrec.

“Quello” ammise Quelana “e altro. E ovviamente c’è anche il fatto che abbiamo sognato entrambi questa notte.”

Ridendo, piangendo, implorando; il suo volto, poi quello di Abby, poi di nuovo il suo. “E tu come fai a saperlo?” chiese Lautrec.

Fu il turno di Quelana di sorridere. “Non lo sapevo fino ad ora.” Quando Lautrec si accigliò, il suo sorriso si allargò soltanto. “Puoi tenermi prigioniera per il resto dei tuoi giorni, cavaliere, ma indebolirai solo il tuo gruppo, mettendo in pericolo tutte le nostre vite. Liberami e starò con te e prenderò la ragazza come mia alunna fino a che non avrai più bisogno di noi. Questa è la mia offerta.”

Lautrec soppesò le parole della strega, grattandosi la corta barba che gli stava crescendo sul mento e sulla mandibola. Quelana lo fissò con i suoi occhi verde smeraldo, aspettando una risposta. O dice la verità sul prendersi cura della ragazza e restare con noi, pensò Lautrec, o è un’ottima bugiarda. In nessuno dei due casi si sentiva tranquillo. “Conosco bene queste terre, strega” le disse, avvicinandosi con il suo shotel. “Non farmi sì che ti debba venire a cercare. Quando ti troverò, potrei non essere più gentile come sono stato finora”. Con queste parole, tagliò l’ultimo pezzo di corda ancora stretto attorno a lei. Si sedette massaggiandosi i polsi e fissandolo finché non rinfoderò la lama e ritornò al falò.

“Potresti aver fatto un errore, amico mio” disse Patches quando fu tornato, puntando il pugnale che aveva appena affilato verso Quelana. “Presto ci beccheremo delle palle di fuoco nel culo. Se dovesse succedere…stai certo che ucciderò la strega”. Lautrec gli lanciò un’occhiata fredda e non ritornarono più sull’argomento.

Abby e Benjamin si svegliarono poco dopo: il ragazzo lamentandosi del torcicollo; la ragazza allegra ed entusiasta, soprattutto quando Quelana li raggiunse al falò e le disse che sarebbe diventata la sua maestra. I grandi occhi azzurri della ragazza si inumidirono e un sorriso le illuminò il suo bel volto, ma quando cercò di ringraziare Lautrec, lui alzò solo la mano, scosse la testa, e le disse di prepararsi per il cammino. Il gruppo raccolse velocemente il poco che avevano, poi lui li condusse verso le colline ad ovest, e verso il Borgo dei Non Morti, dove sperava di trovare qualcuno…e non qualcosa. Patches si mise in testa, Benjamin dietro di lui, e Lautrec li fece seguire da Quelana e Abby, facendo lui stesso da retroguardia mentre teneva d’occhio la strega. Mentre salivano i gradini spaccati e consumati, rivolse un ultimo sguardo al santuario, alla gabbia vuota scavata nel terreno e al falò che stava al centro di tutto, senza riuscire a levarsi di dosso l’inquietante sensazione che non li avrebbe mai più rivisti.

Arrivarono alla lunga e stretta galleria delle fogne, che li avrebbe portati al Borgo dei Non Morti, senza vedere un singolo essere vuoto. È come se il mondo fosse scomparso lasciando solo i demoni a comandare, pensò Lautrec mentre scendevano l’ultima rampa di gradini. I demoni…e noi.

La galleria delle fogne era buia, fredda, e puzzava come la morte stessa. Mentre si spostavano lentamente nella sua gola, Lautrec osservò le diverse reazioni dei suoi compagni di viaggio dalla sua posizione nel retro. Patches grugnì qualcosa sulla puzza e fece una pessima battuta sui ratti e sulle malattie. Ben arrancava dietro di lui, imbronciato, con il suo arco corto che dondolava in vita. Quelana continuava a sussultare ad ogni ombra, ogni rumore, e Lautrec poteva scorgere piccole fiammelle che minacciavano di uscire dalle sua dita ogni volta. Non aveva mai lasciato la Città Infame ed era giustamente prudente; dopo quello che aveva visto, Lautrec era contento di avere un altro paio di occhi vigili sui pericoli di Lordran. Abby si era svegliata con il sorriso, e non era minimamente svanito mentre marciavano nello sporco e nel liquame. Accarezzava la parete della galleria, facendo commenti sulla stupefacente architettura e comparandola alle case di Vinheim. Quelana le disse qualcosa sottovoce e la ragazza rise e rispose, anche lei a bassa voce. Lautrec si accigliò, capendo che se le due fossero diventate maestra e allieva, il loro rapporto si sarebbe rafforzato incredibilmente. E poi rimarrai solo con un ragazzo inutile e un uomo che prima ti getterà in un buco e poi te ne tirerà fuori, pensò Lautrec.

Raggiunse le due e afferrò il braccio di Abby, allontanandola dalla strega. Quelana lo fissò con quel suo serio e attento sguardo, ma Lautrec aspettò che riprendesse a camminare.

“Che cosa c’è?” chiese Abby quando si furono rimessi in cammino.

“Non è prudente parlare con una strega standole così vicino” le disse Lautrec. “A meno che tu non voglia diventare sua schiava”.

Abby rise. “Il suo incantesimo su di me non funziona, però”.

“Non funziona? O non l’ha ancora fatto? Non essere arrogante, ragazza” la ammonì Lautrec. “Non sai nulla dei pericoli che ci potrebbero attendere…o di quelli che camminano al nostro fianco”.

“Non ho paura” disse Abby, alzando leggermente il mento.

“È questo il problema. Non avevi paura nemmeno al Rifugio dei Non Morti, e ti sei presa una freccia sul petto per questo motivo. Farai meglio a imparare che questo mondo è ricoperto di spine, e se non starai attenta, ti dilanierà”.

Abby si voltò a guardarlo e lui notò una scintilla di intelligenza in quei suoi occhi da cerbiatta. “Se è come dici, perché dovrei fidarmi di te?”

Lautrec annuì. “Ora stai imparando, ragazza” disse mentre si avvicinavano alla fine della galleria. “Non dovresti”.

Il Borgo dei Non Morti era desolato come il Santuario del Legame del Fuoco. Gli edifici cadenti e in rovina del passato si ergevano come sentinelle attorno a loro; fatiscenti pile di pietra crollata e legno incurvato si appoggiavano le une sulle altre. A nord gli antichi bastioni della città li osservavano dall’alto, i tetti ricoperti da diversi metri di neve, i loro merli e le loro feritoie distrutti. La neve scendeva dal sole smorto nel pallido cielo sopra di loro e freddi venti spazzavano le strade.

“È bellissimo” disse Abby a voce bassa e rispettosa.

“È merda, ecco cos’è” la corresse Patches, voltandosi verso Lautrec. “Dove diavolo sono i dannati esseri vuoti?”

“Questo luogo sarebbe dovuto essere infestato, giusto?” disse Benjamin. “Io e miei amici spesso ci raccontavamo le storie sul grande disastro che colpì il Borgo che avevamo sentito dai nostri genitori e dai loro.” Saltò sopra il muretto di pietra che dava sul borgo inferiore e si schermò gli occhi con la mano sulla fronte. “Ma non c’è nulla. Quelle storie erano false…o è questo mondo a esserlo?”

Quelana sembrava persino più a disagio con tutto quel cielo sopra di lei. Prese Abby per il gomito e le si avvicinò. “Non dovremmo essere qui. Questo posto sembra…sbagliato.”

“Qui siamo esposti,” disse Lautrec indicando davanti a sé. “Se volete sedervi e discuterne, fatelo con la schiena contro un muro. Muovetevi.”

Così si spostarono. Diede istruzioni a Patches, e l’uomo calvo li portò sopra ponti e sotto arcate, attraverso edifici e varchi vuoti e decadenti, salendo scale e scendendo pendii, eppure mentre esploravano sempre più a fondo il Borgo, Lautrec non riusciva a ignorare il presentimento che la strega avesse ragione: qualcosa in quel posto era sbagliato.

Fu mentre si avvicinavano alla torre che portava in cima ai bastioni che Benjamin disse, “Ci stanno osservando. L’edificio accanto al ponte che abbiamo attraversato prima. Ho visto due volte del movimento, una prima, una appena adesso.”

Abby e Patches si voltarono per guardare e Lautrec sentì salire la rabbia. “E ora sanno che se non altro ne siamo al corrente,” li rimproverò prima di rivolgersi al ragazzo, “Ne sei sicuro?”

Ben annuì. “Dite tutti che sono inutile, ma ho un occhio attento. È per questo che mio padre mi mise tra le mani un arco quando tutto ciò che avrei voluto era una penna.”

“Farò il giro,” disse Patches. “Coglierò quel bastardo di sorpresa.”

“Inutile. Adesso sanno che siamo qui a discuterne,” disse Lautrec e, dato che non poteva peggiorare la situazione, si voltò per osservare lui stesso. L’edificio che aveva indicato il ragazzo sembrava vuoto e abbandonato come tutti gli altri, ma diverse finestre segnavano il muro; molti posti nascosti da cui spiare. “Voglio parlare con lui. O con lei.”

“Presumi sia una persona…e non un altro demone,” disse Quelana.

“I demoni sanno solo attaccare. Non pedinano, non aspettano, non pianificano,” spiegò Lautrec. “Chiunque ci stia osservando…lo fa per un motivo.”

 “E poi?” chiese Abby. “Anche a me piacerebbe parlare con qualcuno. Magari lo chiamiamo? Dopo tutto, non ci ha attaccato. Potrebbe non avere intenzioni ostili,” ma quando Lautrec la guardò, sospirò, con un’espressione mortificata. “Ma immagino…che il mondo sia malvagio.”

Quelana notò i loro sguardi e aggrottò la fronte. “Ti ha detto questo? Non lasciare che ti privi del tuo ottimismo, Abby. Ti tiene al caldo in questo mondo gelido.”

Abby sorrise. “Grazie.”

“Commovente,” disse Patches seccamente, “ma se a voi va bene, preferirei spostarmi prima di beccarmi una freccia nel culo.”

Lautrec aveva aperto la bocca per rispondere quando vide lui stesso il movimento. Però non era stato nel lontano edificio che aveva indicato prima Benjamin, ma da una finestra della caserma vicino a loro. “Abbassatevi,” ordinò, afferrando Quelana al suo fianco e tirandola giù vicino al pavimento di pietra sotto i loro piedi.

“Lasciami,” scattò lei, voltandosi per assicurarsi che anche Abby si fosse abbassata.

“È in quell’edificio,” disse Lautrec, indicando davanti a sé.

Patches condusse Ben più in là, dietro i merli della città, dividendo l’obiettivo nemico. Anche Lautrec si spostò verso destra e Quelana accese le proprie mani. Abby osservava in silenzio, stupita. “Sei in inferiorità numerica!” urlò Lautrec, lanciando uno sguardo sopra al muro. La caserma era immobile e silenziosa in risposta; la neve gocciolava dal tetto e dai davanzali. “Non vogliamo combattere! Voglio solo sapere cos’è successo a Lordran!”

Ci fu un lungo istante di silenzio prima che arrivasse una risposta, attutita dalla pietra e dal legno del suo nascondiglio, “In inferiorità, dici? Non credo.”

La voce aveva un accento particolare, e a Lautrec suonò familiare. Guardò i suoi compagni di viaggio, ma nessuno sembrava più sicuro di quanto non lo fosse lui. Lanciò un altro sguardo e urlò, “Che intendi dire?”

Un altro lungo silenzio, poi, “Il sole tramonta. Arriveranno i cani. Sono la vostra unica speranza. Fate come vi dico.”

Patches sbuffò divertito, allontanatosi ancora lungo la merlatura. “Non prenderci per idioti, amico! Non è passata nemmeno un’ora dall’alba! Abbiamo ancora tutto il giorno per scappare dall’arrivo di questi ‘cani’ di cui parli.”

Dopo il solito silenzio, la voce parlò, “Allora forse siete davvero viaggiatori da un altro mondo. I giorni si accorciano e le notti si allungano a Lordran. Guardate il cielo e vedrete che ho ragione.”

Lautrec alzò lo sguardo. La neve gli bagnò la fronte, il vento soffiò tra i suoi capelli, e un brivido gli corse lungo la schiena. L’uomo aveva ragione; il pallido sole aveva già iniziato la discesa verso l’orizzonte a occidente. “…impossibile,” mormorò.

“Fate come vi dico, viaggiatori, e sopravvivrete alla notte. O ignoratemi e i cani vi prenderanno, anche se chiamare queste bestie ‘cani’ potrebbe non essere corretto. Sono mostri, creazioni dell’oscurità stessa, desiderano solo devastare e distruggere. Sfidate la sorte contro di loro stanotte…o deponete le armi e lanciatele a me. Decidete in fretta. Giunge la notte e con essa…la morte.”

Lautrec guardò alla sua sinistra e vide che i suoi compagni di viaggio stavano tutti fissando lui. Nonostante tutte le loro lamentele, i loro rifiuti e la rabbia per i suoi ordini, quando era il momento di prendere decisioni, lo consideravano ancora il loro leader. La sua decisione fu semplice: aveva bisogno di risposte ed era determinato a trovarle quindi si alzò, sguainò i suoi shotel, e li scagliò sulla piattaforma rialzata fuori dalla caserma. Patches imprecò, ma fece lo stesso, Ben e Abby dopo di lui. Quelana non aveva armi, quindi non gettò nulla, ma lei e Lautrec si scambiarono uno sguardo e domò le fiamme nelle sue mani, ritirandole nella sua veste. Il nostro segreto, pensò lui, e lei annuì, sembrando d’accordo.

“Saggia decisione,” disse la voce. “Ora mettete le mani sopra la testa e tornate per la strada dalla quale siete arrivati. Fate in fretta, se volete sopravvivere.”

Mentre marciava, Lautrec finalmente riconobbe la strana voce. Era Domhnall di Zena, il mercante e collezionista di oggetti rari, e ora la sua vita era nelle mani di quell’uomo.

E nel cielo, l’oscurità stava arrivando velocemente.

Venendo a prenderli tutti.

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