Breaking The Cycle di theseeker64 (/viewuser.php?uid=757898)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Ciao a tutti, questa è la prima traduzione che faccio quindi vi chiedo un po' di pazienza in caso notiate errori di ortografia o traduzioni un po' azzardate. Per il resto vi auguro una buona lettura! Se masticate un po' di inglese, questa è la fanfic originale: https://www.fanfiction.net/s/9209033/1/Breaking-the-Cycle
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Attraverso le pianure infestate della Città Infame, oltre la sudicia palude verde e i pilastri, crepati e decadenti che reggevano il mondo, lei lo vide arrivare; la sua armatura dorata tintinnava e scintillava alla luce della sua torcia ad ogni passo prudente che faceva. L’uomo e la sua armatura erano ridicoli alla vista. Non c’era posto per l’oro nella palude. La palude era fatta per le cose oscure, come lei, e Quelana decise che, se il folle si fosse portato a tiro, gli avrebbe fuso quell’armatura attorno al corpo per impartirgli una lezione.
Man mano che l’uomo avanzava a stento attraverso la palude, menando colpi decisi agli insetti giganti e aggirando attentamente dei ragni infetti che stavano nutrendosi di un cadavere, Quelana realizzò che il folle non stava solo cercando di avvicinarsi a lei, ma che lei stessa sembrava essere il suo obiettivo. La visiera dell’elmo continuava a spostarsi su di lei, sul terreno, e poi ancora su di lei, mentre l’uomo si avvicinava sempre di più.
Il battito del cuore di Quelana accelerò. Stette ferma e preparò la piromanzia sotto gli spessi strati del suo mantello nero, tenendo gli occhi fissi sullo straniero che si avvicinava da sotto il suo cappuccio. Il folle dorato, ora solo a pochi passi di distanza, si fermò, immerso fino alle caviglie nel fango, fissandola.
Nessuno dei due parlò per un lungo momento, poi il suono di una risata risuonò dall’elmo e l’uomo si tolse l’oggetto dorato dalla testa. Quelana socchiuse gli occhi, rimanendo cauta, mentre l’uomo portava l’elmo al suo fianco e si spostava le sottili ciocche lunghe fino al mento di sporchi capelli biondi dal volto. I suoi occhi si fissarono su di lei, freddi e grigi, e le sue labbra, circondate da un sottile accenno di barba, si aprirono in un largo sorriso; i suoi denti bianchi, ordinati e puliti. “Rilassati, strega. Non voglio farti del male.”
Quelana arretrò leggermente. Se l’uomo la chiamava ‘strega’, voleva dire che sapeva chi era, e improvvisamente non si sentiva più a suo agio in sua presenza, esposta e sola. “Che cosa vuoi?” Sibilò da sotto il cappuccio, sperando di suonare intimidatoria.
L’uomo dorato fissò quei suoi occhi grigi su di lei e fece un passo avanti. Quelana alzò il braccio, lasciando cadere la manica fino al polso, e gli mostrò le fiamme che avvolgevano la sua pelle chiara e le sue dita sottili, pronte a colpire; pronte a bruciare. L’uomo si fermò, s'inginocchiò e piantò la sua torcia nel fango prima di estrarre uno shotel dal fodero sulla sua schiena. Lo tenne di fronte a sé e mosse la lunga lama ricurva dell’arma in semicerchio, lasciando che la fiamma della torcia giocasse e danzasse sulla sua riflettente superficie d’acciaio. Alzò lo sguardo su di lei e le offrì un altro sorriso smagliante. “Mi puoi bruciare, strega, non lo nego. Ma sopravviverei al primo colpo e ne uscirei terribilmente arrabbiato. Riusciresti a colpirmi ancora, prima che scatti avanti e ti colpisca con la mia lama? Forse, forse no. Nessuno di noi due vuole veramente scoprirlo, vero?” Aspettò che lei rispondesse. Dato che taceva, rispose lui per lei. “No, non vogliamo. Spegni la fiamma, strega. Ti ho detto che non ti avrei fatto del male…ma lo farò senza dubbio. Se vi si dovesse arrivare.”
“Rispondimi,” scattò Quelana, sentendosi sempre meno a suo agio a ogni secondo che passava. “Che cosa vuoi, folle!?”
“Una fine,” le disse l’uomo, la sua espressione improvvisamente più buia. “Una fine…a tutto questo. Questa follia. Questo…ciclo di follia.”
“Di che follia parli, oltre alla tua?”
“Ci siamo già incontrati prima, strega, e so che tu lo sai,” disse l’uomo. “Pensaci bene. Mi conosci.”
La fronte di Quelana si aggrottò sotto il cappuccio. “Io…tu menti. Non solo un folle, ma anche un bugiardo.”
“Qual è il mio nome?” Insistette l’uomo. “Lo sai. Avanti. Pensa. Il primo nome che ti viene in mente. Qual è?”
“Lautrec,” disse lei immediatamente.
“Sì. È quello. Hai indovinato. Vedi?”
Quelaana scosse la testa. “Che stregoneria è questa? Cosa…” Lanciò uno sguardo alle proprie spalle, con il crescente presentimento di un attacco. Rimpianse di non essersi nascosta prima dell’arrivo dell’uomo. Voleva farlo. Se solo fosse stata più veloce.
“Sono solo, strega,” spiegò Lautrec. “Rilassati e svuota la mente. Sei l’unica altra persona che può capire cosa ti sto per dire. Lo so, perché te l’ho già spiegato in passato.”
“Non ha senso!” scattò Quelana. “È il tuo tentativo di confondermi! Di distrarmi! Dove sono i tuoi compagni? Stanno sgattaiolando nell’ombra dietro di me?”
Lautrec rise. “Strega, se ti avessi voluta morta, saresti morta, ora. Non mi avresti visto mentre mi avvicinavo da trecento piedi di distanza. Mi sarei avvicinato a te di nascosto e ti avrei piantato la mia lama nella gola. Hai un’incredibile maestria con le fiamme, questo è vero. Ma per un cavaliere come me? Nelle tue vesti logore e a piedi nudi? Pensi che non sarei piombato su di te per farti fuori? Avrei potuto. Non l’ho fatto. Non voglio farti del male. Non lo dirò un’altra volta. Ora ascoltami. Il prescelto è quasi pronto a nascere nel mondo, e non abbiamo molto tempo.”
“Il prescelto…” Gli fece eco Quelana e un velo di confusione si alzò dalla sua mente. “Vuoi dire…il mio alunno.”
Lautrec sorrise. “Ora ci siamo. Hm, avrei dovuto iniziare con quello. Un promemoria per la prossima volta se, dimenticati dagli Dei, ne vivremo un’altra. Sì, il prescelto è spesso un tuo studente. Tuttavia a volte non lo sono. A volte ti uccidono. A volte, perfino, non ti incontrano affatto. Sei parecchio abile a nasconderti.”
“Parli del Prescelto come se fossero molti invece di uno. Perché?”
“Perché ho imparato la verità, strega. Che questo ‘Prescelto’ che viene a calpestare il nostro mondo, ammazzando bestie, suonando campane, riempiendo ricettacoli…se fossero veramente scelti per essere ‘colui’ che mette fine a tutto, allora hanno fallito. Uno dopo l’altro. Ci hanno deluso. O forse…noi li abbiamo delusi.”
“Come lo sai?”
“Perché siamo ancora qui,” spiegò Lautrec. Alzò le mani e diede uno sguardo alla palude circostante. “Pensaci, strega. Hai una probabilità di sopravvivenza più alta della mia durante questi cicli. Il Prescelto nasce in questo mondo, porta a termine tutti i suoi obiettivi, parte per il sottosuolo con il vecchio Frampt, e poi uccide Gwyn. A volte accendono la fiamma, a volte no. In ogni caso, eccoci qui. Sopravviviamo. Il mondo…si resetta e arriva un nuovo prescelto. Tu questo lo sai, strega. Tu ed io abbiamo vissuto attraverso questo ciclo per molto, molto, tempo.”
Quelaana si portò una mano alla testa, fissando le acque fangose vicino ai suoi piedi. “Non…può essere.”
“Eppure è così,” disse Lautrec con un sospiro.
“Come fai a sapere cose come queste?” Domandò Quelana. “Non sei che un uomo mortale, eppure parli come se fossi un Dio.”
“Mi ci è voluto molto tempo per penetrare nell’abisso e vedere qualcosa di più dell’abisso stesso,” spiegò Lautrec, e Quelana notò che aveva fatto un altro passo verso di lei nel parlare. Lo voleva bruciare, ma ora…ora voleva anche sapere cos’aveva da dire. “Credo sia iniziato con una sensazione di familiarità da parte mia. Una frase detta, forse. Un movimento. Un’azione. Una folata di vento che catturò la mia attenzione. Non posso esserne sicuro. In qualche modo, tuttavia, ad un certo punto ho realizzato che avevo già vissuto questa vita prima d’ora. Più ci pensavo, e più evidente è diventato. Non l’ho vissuta solo una o due volte. L’ho vissuta decine di migliaia di volte. Forse milioni. Forse…forse da sempre.”
Quelana iniziò a vedere il volto del suo alunno. Aveva pensato, per così tanto tempo, al suo alunno come uno, ma il volto iniziò a cambiare e distorcersi fino a che diventarono molti volti…troppi per vederli chiaramente. Lei seppe, allora, che il folle stava dicendo la verità. “Il Prescelto…hai ragione. Ce ne sono molti.”
“Troppi, se chiedi a me,” disse Lautrec con una smorfia amara. “Quando realizzai la prima volta la nostra eterna prigionia nel tempo, credetti che i Prescelti fossero intrappolati nel nostro mondo, e che questa fosse la loro punizione. Ma ora la vedo in un altro modo. Noi siamo i prigionieri, strega. Tu ed io e ogni altro abitante di questo regno maledetto. Loro non sono imprigionati nel nostro mondo, noi siamo imprigionati nel loro. E, francamente, sono stanco di questo.”
“Cicli…tu parli di cicli.”
“Sì. Il ciclo inizia quando un prescelto prende vita. Finisce quando affrontano il vecchio Gwyn. Poi arriva un altro prescelto. A volte sembrano…freschi. Come se non avessero mai fatto tutto questo prima d’ora. Ma molti di loro…molti di loro ritornano! Ritornano con nuove conoscenze e impeccabili abilità. Uccidono i mostri di questo mondo con facilità, scattando verso il traguardo, e a che scopo? Perché, per rifare tutto di nuovo!” Il cavaliere dorato era sempre più arrabbiato, mentre parlava, e ora il suo volto era rosso e sconvolto, e i suoi denti erano serrati. “Sai quante volte mi hanno ucciso, strega?”
“Meritavi di morire. Sei un uomo malvagio,” gli disse Quelana. Stava ricordando sempre di più mentre l’uomo parlava, e ora le era tornato in mente qualcosa di terribile. “Un uomo malato! Tu uccidi la povera Anastacia di Astora! Quella donna non ha la lingua, e nonostante questo la uccidi! Ancora e poi ancora! Assassino!” Le fiamme che lambivano le sue dita crescevano e pulsavano mentre la sua rabbia cresceva.
Lautrec alzò gli occhi al cielo. “Si arriva sempre a questo, vero? Povera, muta, Anastacia. Ciò che faccio sono affari miei, strega. Non ne sai niente. Non giudicarmi come se ne sapessi qualcosa. E tu pensi che i Prescelti mi ammazzino per un qualche senso di giustizia? Ha! Forse un paio, ma conosci la vera ragione per la quale sono stato ammazzato decine di migliaia di volte?” Tese la mano in avanti e si tolse un guanto. Su un dito portava un anello dorato. “Per un gioiello.” Fece una risata amara. “Un anello che li aiuta nel loro viaggio. Ecco perché muoio. Se io sono malato per aver ucciso una guardiana del falò muta un paio di volte, cosa fa questo dei Prescelti? Hanno ucciso milioni, e non danno segno di volersi fermare.”
“Basta così, folle!” Sibilò Quelana. “Perché sei qui a dirmi questo? Se questo ciclo è così infinito come dici, non c’è niente che tu od io possiamo fare!”
“Ah, ecco dove ti sbagli, strega! Vedi, il Prescelto, questo Prescelto, almeno, si sta dirigendo verso Gwyn proprio ora mentre parliamo. Mi sono nascosto da lui. Ammantato nell’ombra mentre passava. Mi sono liberato dalla mia prigione. Ho viaggiato attraverso Lordran. Ucciso più di un nemico. Sceso con quell'infernale ruota di legno qui nella Città Infame, e ora intendo prenderti e fare un ultimo viaggio prima che Gwyn emetta l’ultimo respiro. Un viaggio lontano da Lordran, verso il luogo dove tutto inizia. Il Rifugio dei Non Morti. Tu ed io saremo lì quando nascerà il nuovo Prescelto. Poi troveremo un modo per rompere questo ciclo e mettere una fine a questa follia. Per sempre.”
Quelana stette immobile, pensando a tutte queste nuove informazioni. Un’ultima domanda valeva ancora la pena di fare. “Perché io?”
“Io sono il miglior cavaliere di Lordran,” disse Lautrec senza un briciolo di umiltà nella sua voce. “Ma persino il miglior cavaliere non può portare a termine una missione così monumentale come arrestare la natura stessa del mondo da solo. Tu sei Quelana, progenie della Grande Strega Izalith, Figlia del Caos, e Madre della Piromanzia. Con te al mio fianco, non ho bisogno di nessun altro.”
Ora era il turno di Quelana di ridere. “Il tuo errore, folle dorato, è stato credere che avrei accettato di aiutare un uomo così spregevole, mostruoso e presuntuoso come te. Vattene. Questo ‘ciclo’ che sei così deciso a terminare non mi disturba. In verità, mi ci sono abbastanza affezionata. Ora lascia questo posto.”
Lautrec la fissò per un momento. Un sorriso si formò lentamente sul suo volto. “Il tuo errore, strega, è stato pensare che io stessi chiedendo il tuo aiuto. E, certamente, credermi quando ho detto di essere venuto da solo.”
Un secondo uomo balzò fuori dalle tenebre di fianco a lei prima che Quelana potesse accendere la sua piromanzia. IL suo peso la schiacciò e li spedì entrambi a terra. Lei sussultò dal dolore e urlò, cercando di divincolarsi dalla presa dell’uomo. Le fiamme emisero delle scintille dalle sue dita, ma se si fosse spinta oltre, avrebbe rischiato di dare fuoco alle sue stesse vesti. Il secondo uomo stava ridacchiando mentre forzava le sue braccia lungo i fianchi e iniziava a legare i suoi polsi con una corda. “Ce l’ho, Lautrec! L’ho presa! Hihi! Cagna infuocata! Presa!”
“Bravo, Patches,” disse Lautrec seccamente, avvicinandosi a loro. “Ha sopraffatto una fragile donna. E da dietro per di più. Ora legala velocemente prima che ti fonda la carne sulle ossa.”
L’uomo calvo ridacchiò. “Non può farlo!”
“Lo può fare. Lo farà. Sbrigati, idiota,” insistette Lautrec.
Il sorriso sul volto dell’uomo svanì ed egli abbassò lo sguardo su Quelana. “Vuoi bruciare Patches, cagna di fuoco? Hm?” Ridacchiò. “Te l’ho fatta alla grande, non è così?”
“Argh!” ruggì Quelana tra i denti, provando a divincolarsi dalla sua presa. Non servì a nulla. Sentì i suoi polsi legati assieme davanti a lei mentre l’uomo stringeva e assicurava i nodi. Poi la girò sul fianco e le strinse le braccia al corpo, facendo girare la corda tutto attorno fino a che lei non fu legata dalle spalle fino agli avambracci.
“Hihi,” ridacchiò Patches. “l’ho legata stretta, Lautrec. Non brucerà niente, ora.”
“Buon per te. Legale i piedi,” ordinò Lautrec, rinfoderando lo shotel ora che lei era inoffensiva. “Sbrigati. Se Gwyn muore prima che noi lasciamo Lordran…tutto questo sarà stato inutile.”
“I piedi? Come farà a camminare con i piedi legati?” Chiese Patches, grattandosi la sua testa calva.
“Non lo farà, idiota. La porterai tu.”
“Io? Portarla?!” scattò Patches. “Non è giusto! Non voglio!”
Lautrec si inginocchiò affianco all’uomo e lo fissò con quei suoi freddi, grigi occhi. “Davvero? Parlami ancora delle cose che non vuoi fare, Patches. Avanti…protesta ancora.”
“Io…io…” l’uomo era chiaramente spaventato dal cavaliere dorato. Deglutì, si grattò la testa e distolse gli occhi da quelli di Lautrec. “Ok, va bene allora. La porterò io. Solo che non vedo il bisogno di tutto questo…”
“Perché siamo nel suo dominio quaggiù. Potrebbe liberarsi, scappare via e dovremmo sprecare tempo prezioso per cercarla. Tempo che non abbiamo. Quindi legala e sollevala. Se ti lamenti ancora…beh, sai come sono quando mi arrabbio.”
“S-sì, Lautrec,” balbettò Patches.
Lautrec annuì, stette lì per un momento ed estrasse la torcia da terra. Si girò verso la palude e si rimise l’elmo dorato in testa.
“Lasciami andare, folle!” Insistette Quelana, tirando la corda. “Liberami e brucerò solo lui,” disse, guardando Lautrec attraverso il suo cappuccio.
“Taci, cagna di fuoco,” la ammonì Patches, girandola sulla schiena e spostandosi verso le sue gambe. “Uuuh, scalza cagna di fuoco? Non ci possiamo permettere degli stivali, cagna? Hihi!” Le sue dita le solleticarono le piante dei piedi.
Quelana sollevò di scatto il piede e sentì il tallone sbattere contro la mascella dell’uomo. Patches ululò e cadde indietro sul sedere. Lei si spostò sul fianco, si mise sulle ginocchia e si preparò a correre via nella palude.
Fece due passi prima che Lautrec la prendesse per il mantello e la tirasse indietro. “No!” Urlò Quelana mentre le braccia dell’uomo si avvolgevano attorno a lei e la tirassero verso il suo corpo. Il freddo acciaio della sua armatura era duro e affilato, premuto contro il suo mantello. “Lasciami andare! Non hai alcun diritto di farmi questo!”
Lautrec la fissò. Alzò il braccio e le tolse il cappuccio dal viso. Quelana odiava avere il cappuccio abbassato. Si sentiva esposta, nuda. Arricciò il naso, l’aria fredda della palude le spazzava le guance, le correva attraverso i capelli, le danzava sulle labbra. Provò a voltarsi, ma il cavaliere dorato la teneva ferma, tendendo il collo per poterla osservare. “Beh, le voci sono vere. Sei parecchio bella, strega.” La fissò ancora a lungo,Quelana si dimenava a disagio tra le sue braccia, mentre i suoi occhi grigi guizzavano su ogni particolare del suo viso. “Molto bella, senza dubbio.”
Patches tornò, mormorando maledizioni sotto i baffi, e le legò caviglie e ginocchia all’istante, mentre Lautrec la teneva ferma. Poi il cavaliere dorato la lasciò, e l’uomo calvo la prese, ridacchiando ancora, mettendosela sopra la spalla.
“Ora diamoci una mossa,” disse Lautrec, camminando nella palude, tenendo la torcia davanti a sé. “Abbiamo un mondo da cambiare.”
La magra figura di Quelana rimbalzava contro la spalla ossuta dell’uomo che la portava; corpo, gambe e braccia legati e inutili, alzando la testa e dando un ultimo, bramoso, sguardo al suo piccolo posto nella Città Infame. Un posto che ora temeva non avrebbe più rivisto.
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Spero che la lettura vi abbia intrattenuto e interessato. Se così fosse, il feedback è sempre ben accetto. Non esitate, inoltre, a scrivere critiche purché costruttive e volte al miglioramento della traduzione. Al prossimo capitolo!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Eccovi il secondo capitolo; scusate se vi ho fatti aspettare, d'ora in poi vedrò di caricare un capitolo ogni due settimane. Buona lettura.
LoneSpark
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Capitolo 2
Il tragitto per uscire dalla Città Infame fu, fortunatamente, privo di difficoltà. Lautrec li guidò attraverso la palude, la strega Quelana legata sopra la spalla di Patches, e verso la grande ruota di legno che portava i viaggiatori lontano dal fetore e dalla sporcizia delle terre smorte al di sotto. La piattaforma scricchiolò sotto il peso dei tre, ma li sollevò lo stesso. Mentre salivano, Lautrec infilò la mano nel sacco legato attorno alla vita di Patches e ne trasse del muschio viola per Patches e per se stesso. Mandando giù il muschio, riusciva a percepire il putridume della Città Infame scivolare via dal suo corpo e la sua salute ritornare. La strega sembrava per lo più impassibile di fronte alle malattie della palude, e quindi Lautrec non le diede niente.
All’entrata del tunnel che conduceva all’esterno verso il Santuario del Legame del Fuoco, la strega iniziò a dibattersi sopra la spalla di Patches, e Lautrec ringraziò di essersi liberato dei barbari che infestavano il sentiero quando era entrato.
“Non lo sta rendendo più facile, Lautrec,” piagnucolò Patches, afferrando con una smorfia il mantello della strega. “La cagna di fuoco mi fa male alla spalla!”
Lautrec arrestò la loro avanzata e fece segno a Patches di metter giù Quelana. L’uomo calvo sogghignò, annuì, e la buttò a terra, dove atterrò con un tonfo nella polvere. Il suo cappuccio, cadendo, era scivolato via dal suo viso, e lei fissò Lautrec mentre questi si avvicinava; le fosse verdi smeraldo dei suoi occhi luccicavano di rabbia nel mare di candida, soffice pelle che era il suo volto. “Stai lontano da me…” minacciò lei.
“Non dire cosa fare al Cavalier Lautrec, cagna di fuoco!” scattò Patches.
“Perché fai la difficile?” le chiese Lautrec, ignorando Patches.
Quelana evitò i suoi occhi mentre parlava. “Perché? Rapisci una donna, la leghi, la trascini lontano dalla sua casa e hai il coraggio di chiedere perché fa la difficile? Sei veramente un folle, non è vero?”
Lautrec seguì il suo sguardo lungo il tunnel e verso la striscia di sole che li attendeva, verso l’esterno nella Valle delle Viverne. Quando si voltò di nuovo verso di lei, vide qualcosa al di sotto di quella rabbia ardente nei suoi occhi. “Hai paura, non è così?”
Lo sguardo di Quelana scattò velocemente su di lui e la sua bocca si aprì, ma lei non disse niente.
Lautrec annuì. “Non hai mai lasciato la Città Infame, vero? E non hai mai visto il sole nel cielo, suppongo?”
“Io…” Quelana balbettò, abbasso lo sguardo, e sospirò. “No…mai.”
“Hihi!” ridacchiò Patches dietro di loro. “La cagna di fuoco ha paura del grande sole cattivo! Hihi!”
“Patches, qual è il tuo dito preferito?” chiese Lautrec all’uomo voltandosi verso di lui.
“C-cosa?” Rispose Patches tra le risate.
“Il tuo dito preferito. Qual è?”
“Io…Immagino questo qui?” Patches si spostò al fianco di Lautrec e mosse il suo indice destro. “Ti dirò, questo ditino ha fatto gemere un buon numero di cagne come lei. Perché?”
“Se la chiami un’altra volta ‘cagna di fuoco’, te lo taglio.”
Patches ridacchiò, ma quando Lautrec lo fissò e non rise, Patches impallidì e iniziò a strofinare amorevolmente il suo dito. “È una potente piromante e la figlia di Izalith, e vale molto più di te. Portale rispetto o il dito diventa mio.”
“Per gli Dei, Lautrec, va bene!” urlò Patches, continuando a strofinarsi il dito. “Calmati, porca miseria!”
Lautrec volse il suo sguardo sulla strega. Stava di nuovo fissando la fine del sentiero. “Senti, strega, ci andrai, là fuori. In un modo o nell’altro,” le spiegò Lautrec, tagliando le corde attorno alle sue caviglie con la lama del suo shotel. “Il sole non è altro che un’enorme palla di fuoco. Dovresti sentirti a casa sotto il suo sguardo.” Tagliò le corde attorno alle sue ginocchia. “Ma se tu ci combatti…se scappi da noi…se continui a sprecare il nostro tempo…le cose si possono mettere male per te. Capisci?”
Quelana guardò le sue gambe, ora libere, prima di posare ancora i suoi occhi verdi su Lautrec. I suoi lineamenti si fecero duri mentre parlava, “Brucerai per ciò che mi stai facendo, cavaliere.”
Lautrec annuì. “Mi sembra giusto. Sono sicuro che un giorno lo farò. Tutti gli uomini devono pagare per i propri peccati. Ma per adesso? Alzati. E muoviti. Patches, prosegui.”
Proseguirono in questo modo per tutto il tragitto fino al Santuario del Legame del Fuoco; Patches li guidava, fischiettando una melodia, felice di essersi liberato dell’incarico di portare la strega; Lautrec dietro a tutti, vigile e pronto allo scontro in caso d’imboscata; Quelana, in mezzo, avanzava riluttante, torso e braccia legati da corde. Alla fine del tunnel, si oppose all’uscire alla luce del sole, ma Lautrec la prese per la spalla e la spinse in avanti finché lei non inciampò e cadde all’esterno. La strega rantolò e sussultò come colpita da un pugno, ma dopo un momento, quando capì che il sole non le avrebbe fuso la pelle, si rialzò e iniziò a fare prudenti e timorosi passi in avanti. Lautrec si spostò dietro di lei e le tirò il cappuccio sopra la testa, e nonostante lei non lo ringraziò, iniziò a muoversi più velocemente da quel momento in poi.
Attraversarono rapidamente la Valle delle Viverne, passando per le rovine infestate di Petite Londo, e poi su per il lungo tratto d’ascensore che li portò al Santuario del Legame del Fuoco. Salirono la scalinata a spirale di vecchia pietra e muschio, e arrivarono al terrazzo circolare al di sotto del falò.
Quelana si fermò davanti alla prigione scavata nella terra sotto il falò e si voltò a guardare Lautrec. “I miei alunni hanno detto che è questo il posto dove lei risiede. Eppure, non è qui.” La voce della strega si faceva sempre più irosa da sotto il cappuccio. “L’hai uccisa. Anastacia. Perfino con tutta la tua conoscenza su cicli e Prescelti…l’hai uccisa lo stesso. Perché? Se questo mondo è destinato a resettarsi, perché uccidere comunque la donna!? I miei alunni erano così affranti per-”
“Basta!” Urlò Lautrec, e il suo tono era abbastanza furioso da far arretrare Quelana. Lei tacque. “Se dovrò vivere un milione di vite, la ucciderò un milione di volte.” Perché devo. E perché se lo merita. Non un’altra parola. Muoviti. Ora!”
Il solo pensiero della donna gli faceva ribollire il sangue. Fece un passo avanti, girò Quelana su se stessa, e la spinse per farla camminare.
“Che razza di cavaliere sei per uccidere una donna indifesa e senza lingua,” disse Quelana a mezza voce mentre saliva le scale che conducevano al falò soprastante. “Patetico.”
“Un’altra parola a riguardo e sarai tu quella senza lingua,” la ammonì Lautrec.
La strega gli lanciò uno sguardo da sopra le spalle, ma non parlò oltre.
Patches si avvicinò al falò spento, calciò le ceneri con la punta dello stivale, e sputò nel centro. Girò la sua testa calva verso Lautrec e alzò un sopracciglio. “E ora? Non mi hai mai detto esattamente come ci arriviamo a questo Rifugio dei Non-Morti da qui.”
“L’uccello,” disse Lautrec, indicando oltre l’arco di pietra che conduceva sottoterra, alla Fornace della Prima Fiamma. L’enorme bestia nera era lì, appollaiata in alto, i buchi neri che erano i suoi occhi fissavano il loro gruppo.
“Il maledetto corvo?”
“Sì. E Frampt non c’è più. Questo significa che il Prescelto sta affrontando il vecchio Gwyn proprio adesso mentre stiamo parlando. Non c’è tempo. Muoviamoci.”
“Come diavolo farà il corvo a portarci a destinazione?” Chiese Patches, grattandosi la testa. “E come dovremmo fare ad attirare la sua attenzione?”
“Seguitemi. Ho già fatto il grosso del lavoro,” Spiegò Lautrec, presa Quelana per la corda attorno alla sua vita, e tiratola affianco a sé mentre saliva rapidamente una rampa di scale attorno alle alte pareti della vasca interna.
Dopo una breve camminata, arrivarono alla base di una torreggiante struttura in pietra. Una corda penzolava giù verso di loro, ondeggiando nella fredda brezza. “Arrampicati,” disse Lautrec, afferrando la corda e spingendola verso il petto di Patches.
Patches deglutì, gli occhi sgranati mentre seguiva con lo sguardo la corda su e su fino alla cima dell’edificio. “È una dannata scalata di almeno trenta metri, Lautrec!”
“Arrampicati,” scattò Lautrec. “Non abbiamo più tempo per chiacchierare.”
“Gli Dei mi aiutino…” sussurrò Patches, toccandosi la fronte, poi saltò e afferrò la corda più in alto che poté prima di iniziare il complicato compito di arrampicarvisi. “Immagino che dovrò portare anche la cagna di f- ehm, beh, la strega di fuoco dopo di me, no?”
“Sì. Ma non peserà più di 45 chili. Ce la farai.”
Patches si spostò più in alto. “Se cado-”
“Morirai. O sarai così a pezzi che ti lascerò morire,” spiegò Lautrec. “Quindi…non cadere.”
“Perché portarti dietro l’idiota?” Chiese Quelana appena Patches fu abbastanza alto non essere più a portata d’orecchio. “Come potrebbe esserti utile?”
“Ho bisogno d’aiuto,” disse Lautrec. “E non se ne trova molto in queste terre maledette. L’ho incontrato nelle catacombe. Ha provato a uccidermi.”
La strega voltò il viso incappucciato verso di lui.
Lautrec sogghignò. “Ci ha provato. Ovviamente, ha fallito. L’ho sconfitto, e invece di finirlo gli ho fatto giurare alleanza.”
Una risata beffarda uscì dal cappuccio della strega. “La lealtà giurata sotto un coltello non è vera lealtà.”
“No,” convenne Lautrec. “Ma accetterò tutto l’aiuto che riesco a ottenere, per quanto temporaneo possa essere. In più, l’uomo ha già cercato di uccidermi una volta e ha fallito. Quando inevitabilmente si stancherà di prendere ordini da me, ci riproverà. Il risultato molto probabilmente sarà lo stesso.”
Quelana tacque per un momento, poi disse, “Una strega in catene e un uomo che ha giurato falsa lealtà. E ti aspetti che questa tua folle missione riesca?”
“Mi aspetto di cambiare le cose. O morire nel tentativo.” La corda cadde oscillando verso di loro, e Lautrec guardò in alto per vedere che Patches era riuscito ad arrivare in cima e stava agitando le mani trionfante. Lautrec tirò la strega verso di sé e assicurò la corda attorno alla sua vita. “Non è particolarmente forte,” disse a Quelana mentre la legava. “Quindi non agitarti troppo se non vuoi perdere la vita.”
“La mia vita?” Gli fece eco Quelana. “Pensi che m’interessi della mia vita? Se morissi, stando a ciò che dici, tornerò indietro appena questo mondo si resetterà. Non è così? Tornerò nella Città Infame, nel posto a cui appartengo.”
“Forse,” ammise Lautrec, stringendo l’ultimo nodo. “O forse questa volta cambierò le cose e la tua miserabile esistenza finirà in uno schizzo proprio qui sui miei stivali. Puoi correre il rischio se desideri.” Portò le mani a coppa attorno alla bocca dietro alla visiera del suo elmo e sollevò la testa. “Patches! Tirala su!”
Quelana fu sollevata da terra, i suoi piedi nudi che dondolavano sotto di lei. Emise un grugnito a ogni strattone verso l’alto; Patches, sopra, tirava e tirava. Lautrec la guardò salire, e quando fu abbastanza in alto, poteva sbirciare sotto il suo cappuccio. Le sue labbra sottili erano arricciate in un sorriso. Non gli piaceva. Il sorriso di una strega non era mai un buon presagio. L’aveva scontato sulla sua pelle in un’altra vita.
“Sbrigati, Patches!” Urlò Lautrec. Stette a guardare mentre la figura scura della strega veniva sollevata nell’ultimo tratto di torre, e poi scompariva oltre il suo bordo. Passò un attimo, e non arrivò nessuna corda. “Patches! La corda!” Un altro momento. Ancora nessuna corda.
Lautrec imprecò e tirò un calcio all’edificio. O Patches l’aveva finalmente tradito, o la strega aveva un asso nella manica. In ogni caso, non era una buona cosa. Lautrec girò sui tacchi e corse giù per il sentiero erboso affianco alla torre. Passò sotto un arco, salì una rampa di gradini di pietra, e girò l’angolo in cima. Un sistema di carrucole lo aspettava. Corse dentro, aspettò finché il montacarichi non l’aveva sollevato abbastanza in alto, e poi saltò fuori sul tetto della struttura sottostante. L’aveva visto fare al Prescelto. Più di una volta, in effetti. Era in quel modo che aveva legato la corda lassù. Si avvicinò al bordo della collina erbosa adiacente al tetto e prese fiato. Un pilastro di pietra pendente da un lato tre metri più giù, e lontano almeno altri tre, sporgeva da terra. Conduceva a una scalinata che l’avrebbe portato in cima alla torre. Arretrò di un passo, calcolò la distanza, arretrò di un altro. Scattò verso il ciglio della collina, saltò con tutta la sua forza, e volò nell’aria verso il pilastro.
La cotta dorata della sua armatura sferragliò contro la roccia mancandola di poco con i piedi. I suoi guanti d’oro cercarono un appiglio, ma invano, e per un momento di nausea e terrore – pensò che sarebbe caduto. Poi il suo stivale trovò un appoggio e il cavaliere lo sfruttò per spingersi verso l’alto. Una volta in piedi, svoltò correndo l’angolo e salì la scalinata a spirale due gradini alla volta. Senza fiato, il cuore martellante nel petto, arrivò al nido del corvo.
Patches stava cercando furiosamente di liberare Quelana dai nodi attorno alla sua vita.
“Patches!” Urlò Lautrec, ma l’uomo calvo non gli prestò attenzione.
Tuttavia Quelana lo fece, e si spostò rapidamente mentre il cavaliere correva avanti e placcava Patches al suolo. Si rotolarono due volte, evitando per poco di precipitare giù. L’elmo di Lautrec sferragliò per terra, girandosi da un lato e coprendogli così la vista. Lui ruggì e si strappò la cosa dal capo, gettandola da una parte. Quello rotolò e scomparve giù dal bordo. Lui lo ignorò, scegliendo invece di avvolgere le proprie mani attorno alla gola di Patches, e stringere.
Il viso di Patches si fece giallo, rosso, viola. I suoi occhi sporgenti dalle orbite, ruotavano nella sua testa. Le sue mani afferrarono quelle di Lautrec, ma erano prive di qualsiasi forza. Suoni strozzati e gorgoglianti, che potevano essere interpretati come tentativi di dialogo, uscirono dalle labbra dell’uomo.
“Lascialo andare,” disse Quelana a Lautrec da dietro le spalle dell’uomo. “Stava agendo sotto un mio incantesimo. L’ho ammaliato. Stai per uccidere un uomo per qualcosa che non poteva controllare.”
Lautrec voltò la testa di scatto e lanciò uno sguardo alla strega. Lei abbassò il cappuccio cosicché egli potesse vederla. La sua espressione era di profonda sincerità. L’uomo si girò verso Patches, ci pensò un attimo, e lo lasciò andare. Patches era a metà tra il tossire e il disperato bisogno di aria mentre il colore tornava sul suo volto. Lautrec lo scavalcò e stette in piedi a guardarlo. Vide che Quelana si trovava proprio sull’orlo del pericolante pavimento di pietra della torre.
“Cosa stai facendo, strega?” Chiese Lautrec. “Allontanati da lì.”
Patches stava ancora tossendo quando parlò da terra, “C-cos’è successo? Lautrec? Cosa diavolo è successo!?”
“La strega ti ha fatto un incantesimo,” spiegò Lautrec, senza staccarle gli occhi di dosso. “E ti ho quasi ucciso per questo.”
Patches si massaggiò la gola, e si alzò barcollando. “Lei…l’ha fatto? Ricordo che mi stava sussurrando qualcosa nell’orecchio e la sua voce era…era nel profondo della mia anima.”
“Allontanati da lì,” disse Lautrec.
Quelana si guardò indietro da sopra la spalla. “Una caduta da quest’altezza mi ucciderebbe sicuramente. Liberami.”
“Non farlo.”
“Lascia che si butti!” Protestò Patches. “Mi ha quasi fatto uccidere! Sgualdrina dalla lingua di demone!”
Il vento si alzò, facendo danzare selvaggiamente le sue vesti nere attorno alla sua figura minuta. Il suo cappuccio cadde dal suo volto, e Lautrec vide che c’erano lacrime nei suoi occhi. “Che io possa incontrare mia madre e le mie sorelle nell’aldilà.”
“No!” Urlò Lautrec.
La terra tremò e un lungo urlo penetrante arrivò da un luogo indefinito delle profondità del Santuario.
I tre tacquero immediatamente, i loro occhi che si spostavano dal suolo, al cielo, a quelli di qualcun altro.
“Gwyn è morto,” disse Lautrec. “Il Prescelto sta per prendere la sua decisione. Dobbiamo andare.”
La terra tremò ancora, e questa volta Lautrec ne approfittò per scattare in avanti e stringere Quelana tra le proprie braccia. Lei si dimenò appena. La scossa aveva risvegliato dentro di lei una paura viscerale.
“Cosa facciamo!?” Urlò Patches nel panico. “Come ce ne andiamo da qui!?”
“Il nido. Entra nel nido del corvo,” ordinò Lautrec, tirando Quelana con sé mentre si arrampicava nel letto di rami saldamente attaccato al picco più alto dell’edificio.
“È maledettamente ridicolo,” mormorò Patches, raggiungendolo. “Perché ho deciso di seguirti in quest’impresa!? Sedersi nel nido di un corvo a una trentina di metri d’altezza mentre il mondo si sgretola sotto di noi? Questa è follia! Cosa ti aspetto che succeda? Al dannato corvo non gliene frega un-”
Le ali nere della creatura apparvero così all’improvviso, che fu come se il sole stesso fosse stato oscurato completamente. Patches strillò, e perfino lo stesso Lautrec sentì il suo coraggio vacillare leggermente. La strega non disse nulla, fissò semplicemente l’enorme bestia con curiosità.
“Oh, Dei!” Gemette Patches mentre gli artigli della creatura si serravano attorno al suo corpo.
Lautrec attirò a sé Quelana e la strinse tra le braccia. Il corvo affondò gli artigli attorno a loro e li avvolse nella sua potente presa.
“Questa cosa riuscirà a reggere il nostro peso!?” Supplicò Patches.
“Speriamo.” Rispose Lautrec.
Sentì un’ultima scossa di terremoto mentre l’enorme corvo spalancava le sue ali e li sollevava dal nido. Il vento freddo soffiava attorno a loro in spirali, sbatacchiando le vesti della strega e levando uno degli stivali dal piede di Patches. Lui urlò, ma sia Lautrec che la strega si strinsero tra le sue braccia, rimanendo in silenzio. Guardavano mentre il corvo li portava lontano dal Santuario del Legame del Fuoco, e la torre sulla quale si trovavano pochi attimi prima sembrava crollare su se stessa.
Lautrec pensò che finalmente aveva fatto il primo passo avanti verso un vero cambiamento.
Sperava di aver ragione.
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Se la storia ti piace, lascia una recensione, e se noti alcuni errori, fammelo sapere cosicché io possa darvi un lavoro in costante miglioramento per una più gradevole lettura da parte vostra, grazie.
Al prossimo capitolo! |
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Persino
da vuota, Abby poteva
sentire il morso del freddo sulla pelle, il vento ghiacciato infilarsi
tra i
suoi vestiti, un gelo profondo depositarsi nelle sue ossa.
Avvicinò le braccia
al corpo e le ginocchia al busto. Il pavimento di pietra della cella
era duro e
la graffiava, ma priva di alcun tipo di letto, doveva accontentarsi; i
suoi
vestiti divennero la sua coperta, il suo cappello, il cuscino.
C’era stato un
momento nel quale la speranza dentro di lei era sembrata scaldarla, ma
col
passare dei giorni e il crescere del freddo, arrivò a una
tremenda conclusione,
e questa pareva estrarre tutto il calore dalla cella: sarebbe morta
lì. Sola. E
fredda; molto fredda.
Ad
un certo punto si addormentò.
Non fece alcun sogno perché, immaginava, quando si
è vuoti, anche quella parte
di te che sogna diventa vuota. Questo la rese triste. Dormire da non
morti era
sempre breve, senza riposo, e scarno, e quando si svegliava, si sentiva
come se
non avesse dormito affatto. Non era più nemmeno sicura che
avesse ancora bisogno di dormire.
Eppure lo faceva.
Forse per abitudine, forse come ultima difesa contro il freddo,
pungente e
implacabile. Forse perché in una cella di dieci metri
quadri, dormire era
l’unica cosa che si potesse
fare.
“È
uno scricciolo, non trovi?”
Voci
nell’oscurità; parole
portate dal vento.
“È
lei. La causa della nostra
sofferenza.”
Abby
aprì gli occhi. Non era il
vento a parlare.
“Beh,
prendiamola e usciamo fuori di qui.
Fa un freddo cane.”
In
una scarica d’adrenalina,
Abby raggiunse i suoi vestiti, trovò l’elsa della
sua mazza, e la afferrò.
Rotolò da un lato, fendendo l’aria con
l’arma in un arco difensivo e alzandosi
in piedi con un unico movimento. Stette immobile, con
l’angolo della cella alle
spalle, e fissò, gli occhi spalancati, il corpo
all’erta, il gruppo di persone
in piedi lì, di fronte a lei. Quello più vicino
era un uomo alto e calvo con
uno starno sorriso stampato in volto. Dietro di lui si trovava un
cavaliere in
armatura dorata. Tuttavia, non indossava alcun elmo e Abby
poté vedere che
l’uomo era di bell’aspetto, ma i suoi occhi erano
grigi e penetranti mentre la
guardavano. Affianco a lui vi era una figura più bassa,
avvolta completamente
in vesti nere. C’erano corde annodate attorno al suo busto,
alle braccia e ai
polsi, e Abby sentì un brivido lungo la spina dorsale quando
guardò nella
fessura del cappuccio del prigioniero.
“Come
mi chiamo?” Chiese il
cavaliere dorato, facendo un passo avanti e spostando di lato
l’uomo calvo
cosicché potesse starle di fronte. “Rispondimi,
ragazza. Come mi chiamo?”
Gli
occhi di Abby saettarono da
una figura all’altra, si leccò le labbra,
deglutì. “Non capisco…chi siete voi?
Siete
qui per liberarmi, o…per uccidermi?”
“Rispondi
alla mia domanda e lo
scopriremo,” le disse il cavaliere dorato. “Chi
sono? Dove ti trovi? Le sai
queste cose? Dimmi la verità.”
“No!”
Scattò Abby. “Non ha
senso! Vi prego! Sono rinchiusa qui da…”
“Continua.
Da quanto tempo?”
chiese il cavaliere, avvicinandosi. “Ma soprattutto: come ci sei arrivata?”
Lei
alzò la sua mazza con
entrambe le mani e la inclinò di fronte a sé per
difendersi da un eventuale
attacco. “State lontano, signore, vi prego!”
“Rispondi,”
ripeté. “Da dove
vieni?”
“Vinheim!
Ok? I miei genitori mi
mandarono alla Scuola del Drago per stregoni. Ho…fallito.
Non ero portata per
la magia. Ho preso la via delle arti bianche, iniziando ad allenarmi
con i
miracoli. Sono una semplice sacerdotessa! Non c’è
alcun bisogno di farmi del
male! Io-”
“Non
ti ho chiesto la dannata
storia della tua vita, ragazza,” disse il cavaliere, che ora
si era portato a
tiro. “Come sei arrivata in questa
cella? Come sei diventata vuota?”
“Io…”
Iniziò Abby, ma non riuscì
a trovare le parole. Aggrottò la fronte mentre ci pensava,
ma più cercava di
ricordare, più lontana pareva farsi ogni traccia di
risposta. Deglutì, scosse
la testa, e posò di nuovo il suo sguardo sul cavaliere.
“Non lo so.”
"Bene,
non dovresti. Ora
rispondi all'altra domanda. Chi sono?
Pensaci. Guarda la mia armatura. Un'armatura dorata. Chi sono?"
"Io…io…"
Balbettò
Abby.
Il
cavaliere balzò in avanti.
Abby urlò e cercò di colpirlo con la mazza, ma
non era mai stata molto brava in
quello, e il cavaliere era chiaramente addestrato al combattimento.
L'uomo alzò
il suo guanto dorato, le afferrò il polso in movimento, e le
torse la mano
verso il basso. Con l'altra mano la spinse indietro contro l'angolo
della
cella, e prima che lei si accorgesse di quello che stava succedendo,
lui aveva
sguainato una lunga lama ricurva e la stava premendo contro il suo
petto…
"Vi prego!"
Urlò Abby,
chiudendo gli occhi.
"Sei
vuota, ragazza. Quanta
paura può farti la morte?"
Abby
ci pensò. Immaginò che
l'uomo avesse ragione.
"Un'ultima
volta: chi
sono?"
Si
sforzò di aprire gli occhi e
di studiare i lineamenti del volto dell'uomo. Non le dicevano niente.
Le aveva
detto di concentrarsi sull'armatura dorata e così fece, ma
senza alcun
risultato. "Lo giuro: non lo so."
Gli
occhi freddi e grigi
dell'uomo si fissarono su di lei, e dopo un attimo di tensione, lui
annuì,
rinfoderò la lama, e la lasciò. "È
nuova," disse ai suoi compagni.
"Non so se è una buona o una cattiva notizia. Ma almeno sta
dicendo la
verità."
Abby
portò una mano tremolante alla
fronte e fece un respiro profondo per calmarsi. "Chi siete voi?"
"Sono
il Cavalier Lautrec,
di Carim," disse l'uomo attraente, piegando leggermente la testa in un
inchino. "L'uomo calvo dietro di me è Patches. È
abbastanza stupido e non
c'è da fidarsi di lui. Io lo eviterei nei nostri viaggi."
"Ehi!"
Protestò
Patches.
"Beh
è così, no?"
Patches
ci pensò su, alzò le
spalle, e annuì.
"Chi
è il tuo prigioniero?
Mi fa paura," ammise Abby, stringendo gli occhi sulle cascanti pieghe
di
stoffa nera che era la terza persona.
Il
cavaliere si mise a fianco
della figura e, nonostante i deboli tentativi di divincolarsi della
persona,
afferrò il retro del suo cappuccio. "Questa è la
nostra strega. Figlia del
Caos, Quelana."
"Strega!?" Gli fece eco Abby, arretrando
di un passo nel suo
angolo.
Il
cavaliere tirò indietro il
cappuccio. Abby fissò la donna che vi si trovava sotto,
stupefatta. Si
aspettava un qualche mostro uscito direttamente dalle storie che i suoi
genitori le leggevano da bambina. Naso arcuato e contorto, pelle verde,
verruche, denti gialli e rotti. Fortunatamente, non vide niente di
tutto ciò.
La strega era giovane - o almeno
sembrava giovane. La sua pelle era pallida, pulita e liscia alla vista.
I suoi
occhi erano di una bella sfumatura di verde, e ciocche libere dei suoi
capelli
color ebano pendevano affianco a essi. Un bavaglio era stato legato
attorno
alla sua bocca; le sue labbra sottili strette attorno al nodo centrale.
"È…bellissima,"
disse
Abby. Gli occhi della strega si posarono su di lei.
"Già,
purtroppo lo è,"
ammise Lautrec. "È un peccato che sia così
pericolosa."
"Perché
l'hai
imbavagliata?"
La
strega riportò lo sguardo sul
cavaliere, ma Lautrec le rimise il cappuccio in testa. "Questa nostra
piccola strega qui ha la lingua di un serpente. Ha il potere di
sottomettere la
tua mente con niente più di un paio di sussurri nel tuo
orecchio. Il mio calvo
compagno ha quasi perso la vita a causa di questo trucchetto."
Patches
fece una smorfia e si
massaggiò il collo. "Schifosa cagn-ehm, strega."
"Quanto
potere…"
sussurrò Abby,
affascinata.
"Già,"
concordò
Lautrec, mettendosi tra di loro cosicché Abby non la
fissasse. "È una
prigioniera potente, ma non la più collaborativa. Per questo
è legata."
"Dove
la stai
portando?"
"Nello
stesso posto dove
porterò te. Lontano da questa maledetta prigione. Torneremo
a Lordran."
Abby
si accigliò. "Tu vuoi
liberarmi, allora, ma…cosa ci aspetta a Lordran?"
Il
cavaliere alzò le spalle.
"Tutto? Niente? Chi lo sa. Siamo in un viaggio di cambiamento. Un
cambiamento che è già iniziato." La sua bocca si
aprì in un sorriso e alzò
le mani indicando la cella. "Sicuramente lo senti questo freddo così aspro."
Abby
annuì.
L'abbiamo
creato noi. Vieni fuori con me.
Guarda che
magnifico cambiamento abbiamo già portato."
Il
cavaliere allungò la mano.
Abby deglutì nervosamente, il suo sguardo si posò
sopra la mano, e poi sul
cavaliere. Sentiva che afferrarla avrebbe sancito una sorta di patto
col
cavaliere e i suoi accompagnatori, divenendone parte, e
l’idea la spaventava.
Sembravano tutti così…forti. Così esperti.
Lei era una maga fallita e un chierico novizio: cos’avrebbe
mai potuto offrire
loro?
“Non
mordo,” la rassicurò il
cavaliere, con un altro sorriso.
Lei
si sforzò di sorridergli e,
dato che non aveva altra scelta, afferrò la sua mano. Lui
s'inchinò e la
condusse fuori dalla cella mentre l’uomo calvo prendeva le
corde della strega
per un capo e la trascinava con sé. Il corridoio
all’esterno della cella era
buio, delle torce piantate su sostegni a intervalli regolari lo
illuminavano, e
sembrava persino più freddo di quanto fosse la sua cella.
Strinse le braccia
attorno al proprio corpo mentre avanzavano, il cavaliere vicino a lei
che la
teneva per i fianchi. Dalle crepe sul muro alla loro destra
s'intravedeva
un’enorme stanza. Era vuota. Alla fine del corridoio, li
attendeva una stanza
cilindrica; una lunga scala di acciaio spuntava dalla parete e
conduceva di
sopra. Abby piegò la testa all’indietro e vide un
vortice bianco nel mondo che
li aspettava all’esterno.
“Nevica,”
disse.
“Sì.
Una vera tormenta,” annuì
Lautrec. “Ha iniziato proprio appena siamo
arrivati.”
“Sembra
che agli Dei non vadano
a genio i cambiamenti,” soggiunse Patches da dietro, facendo
quella sua strana
risatina.
“Non
capisco, signore,” disse
Abby, voltandosi verso Lautrec. “Cos’è
questo ‘cambiamento’ del quale voi e i
vostri compagni continuate a parlare?”
“Non
pensarci adesso. Sali e
basta. Capirai poi.”
Abby
tornò a fissare la scala, il
mondo sopra di essa, la sua piccola cella dietro di lei e
provò una scarica di
eccitazione. Il suo piede si appoggiò sul piolo, la sua mano
ne afferrò uno più
in alto, e quando stava per salire, si girò verso il
cavaliere. “Io…vi
ringrazio, signor cavaliere. Per avermi liberato. Temevo che avrei
passato il
resto dei miei giorni in quella prigione.”
Lautrec
gli posò una mano sulla
spalla e annuì. Lei sorrise, e iniziò la salita.
Il
mondo era un turbinio bianco,
freddo e bagnato sopra di lei. Abby uscì dal buco e si
dovette subito schermare
gli occhi a causa della feroce bufera. Con grande fatica, fece un passo
nella
distesa alta fino al ginocchio e lasciò che la neve le
toccasse i capelli, la
faccia, la lingua. Sorrise; era meraviglioso. Guardò il
cielo pallido sopra di
lei e spalancò le braccia, in una libertà che non
aveva mai sentito prima.
La
freccia trapassò la carne
vuota del suo petto in modo così netto e con tanta
facilità, che Abby non aveva
nemmeno capito cos’era successo finché non si
ritrovò a fissare il bastoncino
di legno che spuntava dal suo corpo. “Oh no,”
sussurrò, barcollò, e cadde sulla
neve.
Il
respiro le si bloccò in petto
e poteva sentire il sangue dietro ai denti. Emise un gorgoglio che
sarebbe
potuto essere un grido d’aiuto, ma nemmeno lei
ne era sicura. La neve stava impregnando i suoi vestiti.
Sì sentì bagnata e
fredda e…sola.
Il
viso del cavaliere apparve
sopra di lei un attimo dopo. “Che
diavolo…” disse, vide la freccia, capì
cos’era successo e si spostò rapidamente da un
lato.
Appena
lo fece, una seconda
freccia si conficcò nella neve dove si era inginocchiato
solo un secondo prima.
“Maledetti
gli Dei,” sibilò,
tornando di corsa da Abby, e afferrando i vestiti sulle spalle. La
trascinò
dietro l’arco di pietra che conduceva al buco della scala.
Riuscì a tirarla lì
dietro proprio mentre una freccia si piantava a terra vicino alle sue
caviglie.
“S-secondo…piano…”
gracchiò
Abby, uno sforzo doloroso a ogni parola. “L’ho
visto…lui è…come me.
Vuoto…”
“Non
è possibile,” le disse
Lautrec, togliendosi l’armatura dorata dalle braccia.
“Nessun essere vuoto è
tanto preciso.” Si voltò verso la scala.
“Occhio, Patches. C’è un arciere
quassù.”
“Un
arciere?!” gli fece eco la
voce di Patches da dentro il buco. “Beh,
che cavolo vuoi che faccia, Lautrec? Sto portando la dannata strega in
spalla!”
“Lo
ucciderò,” spiegò
semplicemente Lautrec. Si era levato guanti e stivali e cercava di
levarsi la
cotta. “Dagli un attimo e poi corri su e mettiti al
riparo.”
Abby
si toccò la ferita, ma le
sue dita causarono una fitta di dolore. Strinse i denti e chiuse gli
occhi
finché non fu passata.
“Non
toccarla. Torno subito,”
disse il cavaliere.
Abby
lo guardò. Era sembrato
così robusto e imponente nella sua armatura dorata, ma senza
di questa aveva il
fisico di un normale uomo; una tunica scura e dei pantaloni avvolgevano
la sua
figura. “Sto…per morire…”
“Non
puoi morire,” le spiegò
Lautrec. Prese la sua cotta, si accostò all’arco,
e la tese fuori con uno
scatto del polso. Un secondo dopo, il suono di una freccia che tintinnò sull’oro
riempì l’aria. Lautrec
scivolò fuori, divenne una figura sfocata nella tormenta, e
poi sparì
completamente.
Patches
uscì dal buco con la
strega sulla spalla un attimo dopo. Si affannò verso il muro
di pietra appena
in tempo; un’altra freccia venne scoccata e
attaccò la parete dietro di lui.
“Bastardo!”
ruggì Patches,
sistemando la strega affianco ad Abby. “Spara a me!?” Mise le mani attorno alla
bocca e uscì appena dall’arco.
“Ammazza quello stronzo codardo, Lautrec! Ammazzalo per bene!
“…muoio…”
riuscì a sussurrare
Abby tra i colpi strozzati di tosse.
“Mi…ha…colpito…”
“Zitta,
ragazza, non muori
mica,” spiegò Patches. “Sei la dannata
Prescelta.”
La
strega s’inginocchiò accanto
a Abby e la osservò da sotto il cappuccio. Abby
rabbrividì, anche se non era
sicura se fosse per il freddo, la ferita, o lo sguardo della strega. La
strega
cercò di raggiungerla al meglio che poteva con le braccia
legate e prese la
mano sinistra di Abby nella sua. Abby era meravigliata da quanto calda
fosse la
sua pelle mentre la strega strofinava le dita sul suo palmo. Chiuse gli
occhi e
si rilassò, non trovando più tanto difficile
farlo.
Da
qualche parte all’esterno, un
urlo risuonò. Non era del cavaliere.
“Ha-ha! Ha preso il bastardo!”
esultò Patches.
Un
paio di minuti dopo, Lautrec
tornò. Abby vide, sforzando gli occhi, che trascinava un
corpo dietro di sé.
Gli
occhi di Patches caddero sul
corpo e la sua bocca si spalancò. “Che
diavolo…com’è possibile?”
Abby
guardò. L’arciere era
vuoto. Aveva avuto ragione. Era
vuoto e vestito di pelle ben oliata, stivali ai piedi, guanti sulle
mani, una
faretra di frecce sulla schiena. Soprattutto, però, era vivo.
Lautrec
scosse il capo. “Ce ne
sono due.”
“Due Prescelti?”
scattò Patches. “Non ti sembra un po’
buffo?”
“Guardalo!”
disse Lautrec. “È
vestito come un uomo. Era molto più preciso con
quell’arco di quanto ogni
normale essere vuoto potrebbe mai sognare
di diventare. È un Prescelto. O forse…lui
è il
Prescelto.” Gli occhi del cavaliere andarono ad Abby.
“E lei no.”
Abby
ebbe un sussulto e portò
una mano alla ferita. Gli occhi di Patches si posarono su di lei,
sull’arciere,
e poi ancora su di lei.
“Non…non
ha senso.”
“Lo
avrà presto,” spiegò il
cavaliere. “Lei sta morendo per quella ferita, e lui sta morendo per la mia
ferita. Portiamoli entrambi al falò. Allora scopriremo chi
vive…e chi muore.”
Così,
l’uomo calvo prese Abby
tra le sue braccia, la sollevò, e la portò oltre
l’arco di pietra nella bufera.
Lautrec trascinò il morente essere vuoto con sé
per il colletto della sua
tunica. La strega li seguì lentamente, e Abby vide con
grande stupore che dove
i piedi della strega si posavano, la neve iniziava a sciogliersi
attorno a lei.
Percorsero
la breve distanza
fino a un falò spento, che giaceva misero e dimenticato in
mezzo al turbinante
bianco caos della tormenta. Abby fu posta vicino ad esso,
l’altro essere vuoto
venne buttato affianco a lei, e Lautrec andò a prendere la
strega per le corde.
“Accendilo,”
ordinò, portandola
affianco al falò.
Il
viso della strega si voltò
verso di lui, ma Abby poteva vedere che gli occhi grigi
dell’uomo erano fissi sul
legno spento posto davanti a lui. La strega guardò il legno,
alzò le sue
pallide mani quanto le corde le lo rendessero possibile, e
girò i palmi al
falò, le dita tese.
“Aspetta,”
la fermò Lautrec, si
abbassò e prese due rametti dal falò.
“Va bene, strega. Avanti.”
La
visuale di Abby si era
ridotta a uno stretto, buio, tunnel a quel punto, ma ciò che
vide non smise di
sorprenderla. Fiamme rosse e arancioni nacquero dalle mani della donna,
si
dimenarono nell’aria, e toccarono il falò,
accendendolo immediatamente. La
tiepida luce era rassicurante sulle guance vuote di Abby.
“Ecco,”
disse Lautrec,
accucciandosi affianco a lei. Mise uno dei pezzetti di legno nella sua
fragile,
debole mano. Lei lo strinse più che poteva e chiuse gli
occhi. “No. Sveglia,
ragazza. Lancialo nelle
fiamme.”
“…fiamme…”
gracchiò Abby.
“Ora!”
insistette Lautrec, e spinta
solo dalla paura delle sue grida, lanciò docilmente il
rametto nel fuoco con le
sue ultime forze. “Bene,” disse il cavaliere,
alzandosi. “Ora tu, ragazzo. Se
mi puoi ancora sentire, tieni.”
Abby
ascoltò mentre l’atro
essere vuoto sussurrò alcune parole sottovoce. Non era
sicura se avesse preso o
no il legno, perché non aveva più la forza di
tenere gli occhi aperti. Sentiva
la neve sul suo volto, sulle sue guance, e non sapeva se il bagnato
fosse la
neve o le sue stesse lacrime. La strega dovette averle preso la mano di
nuovo,
perché la sentiva calda. Ci fu un momento in cui ad Abby
divenne evidente che
stava morendo.
E
poi era morta.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Mentre
il ragazzo e la
ragazza morivano sdraiati nella neve, Quelana osservava curiosa
dall’ombra del
suo cappuccio. Se il cavaliere aveva avuto ragione sul viaggio negli
artigli
del corvo da Lordran, sulla cella nei sotterranei del Rifugio che
ospitava il
suo ‘Prescelto’, e
sulla rinascita
dalle fiamme dopo la morte…persino Quelana avrebbe dovuto
iniziare a dubitare
della sua insicurezza verso di lui. Si girò verso il
cavaliere e, mentre i
giovani esalavano l’ultimo respiro, vide che i suoi occhi
grigi erano sgranati
e avevano una scintilla di entusiasmo puerile mentre fissava il
falò. Quelana
si voltò e dove prima giacevano i corpi vuoti, rimanevano
solo due fosse nella
neve.
Il
fuoco si alzò, le fiamme
rosse protese al cielo che bruciavano la neve che scendeva sopra di
esse.
Questa visione…il suo calore…diede
a
Quelana una pace che non provava da quando il cavaliere
l’aveva rapita dalla
Città Infame. Poi, dal fuoco, apparvero due figure
spettrali, eteree. Ora erano
fumo, un attimo dopo erano fantasmi, poi erano le fiamme stesse.
E
finalmente, erano tornati.
“Due Prescelti…”
mormorò Patches affianco a lei. “Non ci
credo.”
“Questo
è un cambiamento,”
disse Lautrec, annuendo. “È un buon
segno.”
Il
ragazzo e la ragazza
sembrarono congelati per un attimo, e Quelana li pensò
paralizzati. Poi
batterono le palpebre e mossero le labbra e si guardarono intorno,
disorientati
e meravigliati. Il cavaliere si mosse velocemente verso il ragazzo
vuoto,
estrasse uno dei suoi shotel, e spinse a terra il ragazzo.
“Hey!”
urlò l’essere vuoto,
ma il cavaliere piantò rapidamente il ginocchio sul petto
del ragazzo. “Che
succede? Sono…morto?”
“Non
puoi morire,” gli disse
Lautrec. “Lo stesso vale per lei,
ma
questo non vi ha impedito di provarci.”
La
ragazza vuota, Abby, si
stava fissando le mani, girandole con uno sguardo scioccato sul volto.
“Ora
rispondimi: chi sono?”
gli chiese Lautrec. “La mia armatura dorata, la
riconosci?”
“Eh?
Che succede!?” urlò il
ragazzo, dimenandosi sotto il ginocchio del cavaliere. “Io
l’ho uccisa!” Guardò
Abby e poi di nuovo Lautrec. “E tu
hai ucciso me! Perché siamo ancora-”
“Non
urlare e rispondimi,” lo
interruppe il cavaliere. “Vuoi il mio anello? La mia
armatura? Come mi chiamo?”
“Non
lo so! Levati
di dosso!”
“Se
mi menti, non posso
ucciderti, ma conosco decine di modi per farti male,” lo
avvisò Lautrec.
“Un’altra volta, e pensaci bene:
Come
- mi - chiamo?”
Il
ragazzo vuoto fissò il
cavaliere a lungo. Finalmente disse, “Non - lo -
so!”
“Sono
viva…” stava
bisbigliando Abby. “Non sono
nemmeno…ferita?”
Lautrec
tolse il ginocchio
dal petto del ragazzo e si alzò. Guardo per un po’
l’essere vuoto prima di
tendergli la mano. Il ragazzo la strinse esitante e Lautrec lo
tirò su in
piedi. “O abbiamo un paio di bugiardi provetti per le mani,
oppure sono nuovi
Prescelti.” Si grattò la corta barba sul mento.
“È…interessante.”
“Chi
diavolo siete voi?”
chiese il ragazzo,
massaggiandosi la schiena nel punto in cui Lautrec l’aveva
ferito e ucciso
pochi minuti prima.
“Attacchi
sempre prima di chiedere?”
chiese Lautrec, raccogliendo l’arco dell’essere
vuoto e restituendoglielo.
“Sai, io non sono
fortunato come la
ragazza che hai colpito. Se fossi stato colpito…mi avresti
ucciso.”
“Ci stavo provando!”
protestò il ragazzo. “Stavo cercando di uccidere
tutti voi! Pensavo foste…beh, vuoti.”
“Come
te?”
“Io
non sono come gli altri
esseri vuoti,” scattò il ragazzo.
“Beh,
almeno su questo hai
ragione. E il tuo nome?” chiese il cavaliere.
“Benjamin,”
rispose il
ragazzo. I suoi occhi si spostarono sul resto del gruppo, soffermandosi
abbastanza a lungo su Quelana da fargli provare paura. “E loro chi sono?”
“Io
sono il cavalier Lautrec
di Carim,” si presentò Lautrec, prima di alzarsi e
di fare un cenno verso
Patches. “Questo è il mio…amico,
Patches.”
Patches
annuì facendosi
scappare un risolino dalle labbra.
“La
mia strega, Quelana,”
continuò Lautrec. “Sono certo che scuserai il suo
silenzio.”
Quelana
forse il bavaglio
nella sua bocca e fissò il cavaliere da dentro il cappuccio.
“Una
strega!?” gli fece eco
Benjamin, aggrottando le sopracciglia.
“Viaggi con una strega!?”
“Sì,”
disse Lautrec. “E una potente
per giunta. Limitati a stare
lontano dalle sue mani e dalla sua lingua e non ti farà
nulla.” Si voltò verso
la ragazza vuota. “E questa è…Abby,
giusto?”
La
ragazza sembrava ancora
confusa quando annuì.
“Lei
è come te,” disse
Lautrec. “Prescelta.”
“Scelta
per cosa?”
“Bella
domanda,” ammise
Lautrec. “Una a cui, sperando in bene, troveremo una
risposta.”
Benjamin
guardò la neve in
cielo. La bufera si era un po’ calmata, ma i venti ululavano
ancora sopra di
loro. “Perché mi hai chiesto se sapevo il tuo
nome?”
“Volevo
vedere se eri nuovo,”
spiegò Lautrec. “O se questa non era prima volta
che compi questo viaggio.”
Ben
fissò il cavaliere. “Non
ha senso.”
“Poche
cose ce l’hanno qui,”
disse Lautrec, fece cenno a Patches di avvicinarsi e iniziò
a cercare qualcosa
nella sacca che l’uomo calvo portava sulle spalle.
“Ora, mi aspetto
cooperazione da voi due, o finirete legati come la nostra strega qui.
Come pegno
amichevole della nostra nuova alleanza, vi offro queste.”
Il
cavaliere tirò fuori
delicatamente dalla borsa due strane figure nere. Quelana fece un passo
in
avanti per cercare di capire cosa fossero. Le cose nelle mani del
cavaliere
erano amorfe ora, e solide un attimo dopo. Da esse proveniva uno strano
vocio,
e strisce bianche si muovevano sulla loro superficie come increspature
sull’acqua.
“Cosa
sono?” chiese Abby,
portandosi le mani al petto.
“Sono
ciò che rimuoverà la
piaga dalla vostra carne,” le disse Lautrec.
“Sazierà la fame del vostro
stomaco. Riporterà la vita nei vostri occhi.” Tese
la mano ai due. “Questa è la
forma tangibile dell’Umanità.”
Benjamin
fu svelto ad
afferrare la strana sostanza semisolida. Se la rigirò tra le
mani, facendosela
quasi scivolare tra le dita. La ragazza era più titubante,
così Lautrec fece un
passo in avanti e gliela spinse contro il petto, costringendola a
prenderla per
non farla cadere.
“Cosa
ce ne facciamo?”
domandò Abby.
“Offritela
alle fiamme,”
spiegò Lautrec. “E liberati dalla malattia che la
morte ha steso su di voi.”
“Nella
lingua dei cavalieri
vuol dire ‘sarete di nuovo umani’,”
aggiunse Patches.
Stavolta,
la ragazza fu la
prima a muoversi. Appena Patches disse la parola
‘umani’, si avvicinò al falò
e
tese l’umanità sopra le fiamme. Benjamin si mise
al suo fianco e fece lo
stesso. Quelana aveva già sentito i suoi alunni parlare di
questo rituale, ma
non l’aveva mai visto di persona, quindi osservò
con grande interesse; le
miriadi di poteri che celavano di fiamme non smettevano mai di stupirla.
La
‘malattia’, come l’aveva
chiamata Lautrec, iniziò a svanire immediatamente. La pelle
grigia e morta
delle loro braccia, facce e colli prese colore, i buchi neri delle loro
orbite
fecero posto a begli occhi azzurri per la ragazza e marrone scuro per
il
ragazzo. Mentre l’umanità si espandeva dentro di
loro, Quelana notò che i due
sarebbero potuti essere fratello e sorella. Erano quasi alti uguali, ma
Ben era
leggermente più alto. Avevano entrambi i capelli castani;
quelli di lei le
cadevano sulle spalle in morbide onde; quelli del ragazzo erano corti e
arruffati. Sembravano entrambi giovani, forse non avevano
più di ventun anni.
Anche le loro reazioni erano simili: guardarono prima le proprie mani,
poi
l’altro, sorridendo.
“Non
ci posso credere!” urlò
Abby, asciugandosi gli occhi umidi. “Non…non sono
un mostro!”
“Non
finché non muori di
nuovo,” le disse Lautrec.
Ben
corrugò la fronte. “Che
vuoi dire?”
“Ce
ne occuperemo quando sarà
ora,” disse Lautrec, guardando il cielo.
“Però siamo stati qui a lungo, e
presto calerà la notte. Preferirei non trovarmi ancora nel
Rifugio dei Non
Morti allora. Dobbiamo sbrigarci.” Abbassò lo
sguardo e fissò Ben. “Un’altra
cosa. Esattamente come sei scappato
dalla tua cella?”
“Un
altro cavaliere,” ammise
il ragazzo, grattandosi la nuca. “Anche se la sua armatura
non era certo
dorata. Non so perché l’abbia fatto,
ma…è morto ora. Mi ha lanciato una chiave
da un buco nel soffitto della mia cella, si è sdraiato, mi
ha dato un paio di fiaschette
e un’altra chiave e…beh, poi è
morto.”
Lautrec
annuì. “Sì, ha
senso.” Si girò verso l’enorme portone
dall’altra parte del cortile e si portò
una mano alla fronte per ripararsi gli occhi dalla neve. “Ho
sentito di questa
parte del viaggio più di una volta. Una bestia gigantesca ci
aspetta oltre
quelle porte.”
“Una
bestia?” chiese Abby.
“Un
demone, immagino sia la migliore
descrizione di cosa sia quella
creatura,” si corresse Lautrec. “Il demone
del Rifugio.”
“Come
fai a sapere tutte
queste cose!?” domandò Abby. La ragazza si
passò una mano fra i capelli e
deglutì.
“Cioè…sei…sei un Dio o
qualcosa del genere?”
Lautrec
sorrise.
“Sfortunatamente no. Voi
potreste
esserlo però.” Guardò Benjamin.
“Uno di
voi…entrambi…nessuno…chi
può dirlo?”
“Io potrei essere un Dio?” disse
Abby, tornando a fissare le fiamme.
“Una
cosina piena di dubbi
per essere un Dio, non è così?”
scherzò Patches. “Ci vogliamo dare una mossa o
cosa? Sapete cosa dicono: Il tempo vola come una freccia; la frutta
vola come
una banana! Hihi!”
“Io
sono pronto,” disse
Benjamin. “Ho passato abbastanza tempo in questo posto da
bastarmi per una vita
intera…o due, immagino,
nel mio
caso.”
“Hihi!
Questo è lo spirito!”
esultò Patches dandogli una pacca sulla spalla.
Lautrec
si spostò davanti a
Quelana. Lei girò la testa per evitare i suoi penetranti
occhi grigi. La mano
di lui cadde sulla sua spalla e la strinse. “Ascolta, strega,
lo so che non ti
piaccio per ciò che ho fatto, ma il punto qui è
che potrebbe esserci un
avversario potente che ci aspetta oltre quelle porte. Ti ho rapita
così che
potessi aiutarci a sopravvivere a
tali incontri. Ho bisogno di sapere che ora sei dalla mia
parte.”
Quelana
fissò il falò,
ignorando il cavaliere, chiedendosi a quale gioco crudele stava
giocando parlandole
senza che lei potesse rispondergli.
“Ehi,”
disse lui, girandole
il braccio cosicché lei dovesse guardarlo.
Quelana
grugnì e si divincolò
dalla sua presa, ma pestò le sue vesti col tallone, e senza
le braccia per
bilanciarsi, inciampò all’indietro e cadde
atterrando in un mucchietto di neve,
che sibilò e diventò acqua attorno a lei quasi
istantaneamente. Il cappuccio le
era caduto, e lei giaceva lì inerme, con la neve che le
scendeva e si
scioglieva sul viso, guardando il cavaliere che troneggiava su di lei.
“Ti
serve aiuto con la
strega, Lautrec?” chiese Patches.
Gli
occhi del cavaliere
restarono fissi in quelli di lei. “No…andate verso
la porta. Devo scambiare una
parola con lei.”
Patches
annuì, raccolse quel
poco di bagaglio che avevano, e guidò i due giovani nella
neve. Appena furono
soli, Lautrec le s’inginocchiò affianco. Quelana
fissò l’uomo, chiedendosi se
poteva incendiarlo senza appicare il fuoco alle sue stesse vesti.
Lautrec
sorrise. “Le fiamme
bruciano persino nei tuoi occhi,
strega.”
Delle
fiammelle le salirono
dalle dita.
Il
sorriso del cavaliere si
allargò quando vide le sue mani, per poi tornare a
guardarla. “Se ti tolgo il
bavaglio…mi stregherai? Sarò alla tua
mercé?”
Quelana
lo fissò.
Lautrec
guardò il resto del
gruppo che aspettava alle porte. “Immagino di poter correre
il rischio,” disse,
si piegò in avanti per portare le mani dietro alla sua
testa, e slegò il
bavaglio.
Tolto
lo straccio dalla sua
bocca, Quelana si leccò le labbra. Guardò in su,
verso l’uomo, facendo del suo meglio
per controllare la rabbia. “Accenderò i tuoi
falò ma non starò mai
al tuo fianco in battaglia,” scattò
lei. “Che il demone ti ammazzi per i tuoi
crimini…patetico cavaliere.”
Lautrec scosse la testa,
mantenendo il
sorriso. “Stai dando un ottimo esempio del perché
ti dovrei tenere imbavagliata
per il resto del nostro viaggio.”
“Avanti,
imbavagliami,” gli
disse Quelana. “Non ho niente da dire a te o
ai tuoi ‘compagni’. Siete in una missione
inutile che porterà solo a
fallimento, morte e terrore. Come fanno tutte le cose.”
“Come
fecero le tue sorelle?”
Le
parole del cavaliere
colsero Quelana di sorpresa. Indietreggiò come colpita da un
pugno, poi la
rabbia prese il soppravvento e aprì la bocca per urlare al
cavaliere-
-ma
lui alzò il bavaglio e
scosse la testa, così lei la chiuse di nuovo, riprendendo
compostezza e
continuando a voce bassa.
“Come
osi nominare le mie
sorelle…non sai niente
di-”
“So
abbastanza,” la
interruppe Lautrec. “So che il Caos che prese Izalith prese
anche loro. Le deformò.
Ne fece mostri. So che
tu fosti l’unica a
riuscire a
scappare.” Fece una pausa, guardando il cielo.
“Strega, guardati attorno.
Qualsiasi cosa io abbia fatto venendo qui, ho già cambiato qualcosa. Questo tempo, il
freddo…la coppia di Prescelti
che tu stessa hai visto rinascere
dalle fiamme dopo la morte.” Tornò a guardarla.
“Chissà che cambiamenti ci
attendono a Lordran. Che cambiamenti potrebbero aver agito sui suoi
abitanti…sulle tue sorelle.”
“Tu…”
iniziò lei, ma poi
comprese il peso delle sue parole e le tornarono in mente loro. I volti
delle
sue sorelle di fronte al caos le balenarono in mente; volti belli,
giovani,
ancora incontaminati dalla piaga di distruzione che li aveva distorti.
“Non è
possibile,” bisbigliò, scacciando via quei folli
pensieri dalla testa. “Ciò che
fatto, è fatto.”
“Ma
potrebbe essere disfatto,”
aggiunse Lautrec. “Ti
propongo questo patto, strega: Aiutami contro i miei nemici, e giuro
che ti
porterò a Izalith. Ti porterò dalle tue sorelle.
E allora vedremo che
cambiamenti abbiamo portato in questo nostro mondo crudele.”
“Quanto
può valere la
promessa di un cavaliere disonorevole?” chiese Quelana.
“Non
ho disonorato nessun
giuramento cavalleresco, strega,” le spiegò
Lautrec. “I giuramenti che ho
fatto…li ho portati tutti a termine. E continuerò
a fare così. Ora, abbiamo un
accordo?”
Quelana
soppesò le sue
opzioni, non vide alcun pro nel rifiutare l’offerta del
folle, e posò gli occhi
su di lui. Per un breve istante, vide ancora i volti delle sue sorelle,
ma
svanirono appena chiuse gli occhi. La possibilità che venire
qui le avesse
salvate in qualche modo dai mostri che erano divenute era
piccola…ma era una
possibilità. “Va bene. Abbiamo un accordo.
Riportami a Izalith, e…il mio fuoco
distruggerà i tuoi nemici.”
Le
mani di Lautrec la presero
per le spalle e la sollevarono in piedi. “Bene,”
disse lui, riabbassandole il
cappuccio sul volto. “Ora fai del tuo meglio per non stregare
nessuno dei miei
compagni di viaggio e mantieni quel tuo ‘patetico
cavaliere’ al minimo e non ti
dovrò imbavagliare.”
Quelana
fissò il cavaliere
negli occhi per un momento prima di annuire e di mettersi dietro di
lui. Si
diressero dall’altra parte del cortile e raggiunsero gli
altri alle porte del
Rifugio.
“Lautrec,
non si sente un
accidente qui dietro,” disse Patches, l’orecchio
premuto contro le porte.
“Sicuro che ci debba essere un gran demone bastardo qui
dietro?”
“Positivo;”
rispose Lautrec.
“State pronti.”
“Cosa
faccio io?” chiese Abby.
La ragazza sembrava
terrorizzata nelle sue vesti bianche e rosse da sacerdotessa, la mazza
stretta
appena nella mano destra, un talismano dall’aspetto logoro
nella sinistra.
“Fai
miracoli?” chiese
Lautrec.
La
ragazza guardò il suo
talismano, si leccò le labbra, annuì.
“Non molto bene,” ammise, arrossendo.
Lautrec
e Patches si
scambiarono uno sguardo. “Magari per
stavolta…resta in disparte.”
La
ragazza annuì con fare
sollevato.
Benjamin
estrasse una freccia
dalla faretra e si avvicinò a loro. “Io
sono pronto. Cosa c’è di cui aver paura? Non
possiamo morire.”
“Voi no,” lo corresse Patches.
“Noi
sì.”
“Quindi
combattete bene,”
disse Lautrec, appoggiò le mani alle porte e spinse.
Il
bordo metallico delle
porte strisciò per terra mentre si aprivano, producendo un
rumore forte e
lacerante che rimbombò nella stanza all’interno.
Una terribile folata d’aria
fredda spirò da dentro mentre Lautrec forzava le porte
quanto bastava per farlo
passare. Quelana lo seguì, Patches dietro di lei, e i
Prescelti in fondo. La
stanza era un’ampia sala dal soffitto alto che forse un tempo
sarebbe potuta
essere una chiesa o una cattedrale. I muri erano pericolanti e cadevano
a
pezzi, così come il pavimento. Un buco nel soffitto lasciava
entrare un fascio
di luce e neve in un angolo.
“Gli
Dei ci salvino…” mormorò
Patches, che aveva superato velocemente Quelana per avanzare nella sala.
“Che
diavolo…” disse Lautrec.
Quelana
si spostò affianco
all’alto uomo calvo per vedere cosa li sconcertasse tanto.
“Cos’abbiamo
fatto…” sussurrò
Patches.
Dall’altra
parte della sala
una massa enorme era distesa al suolo. Quelana strizzò gli
occhi per mettere a
fuoco l'essere prima di accorgersi che qualsiasi cosa fosse: era viva.
O almeno
ci provava. Aveva una piccola testa
sopra a un corpo massiccio e rotondo e sulla tempia un enorme tumore
sbilanciava il demone, facendogli penzolare la testa da un lato mentre
giaceva
lì, gemendo. Quelana vide, con orrore, che la cosa aveva tre braccia che spuntavano dal suo corpo
gonfio, ma uno dei tre non
si era completamente sviluppato. Era esile e più debole
degli altri e graffiava
il terreno cercando di alzare in piedi il mostro. Sangue e pus colavano
su
tutta la sua faccia, e vide rivoli rosso scuro scendere dal naso del
mostro. Una
lingua nera sbucava dalle labbra, leccando il sangue mentre gli occhi
del
demone si guardavano in su, davanti, e poi da un lato
all’altro senza scopo.
“Cos’è
quella cosa?” disse
Abby da dietro con una vocina spaventata.
Patches
si voltò verso
Lautrec. “E così questo sarebbe il tuo
‘Demone del Rifugio’?” L’uomo
calvo si
girò di nuovo verso la creatura. “Immagino che
nessuno dei tuoi Prescelti abbia
mai menzionato che era un mostro storpio e deforme con un tumore,
no?”
“Abbiamo…cambiato
delle
cose,” disse Lautrec camminando in avanti.
Il
demone emise un suono
patetico iniziando ad agitare di nuovo le sue piccole braccia. I suoi
occhi si
fermarono sul cavaliere, ma mantenere la concentrazione sembrava
causargli
dolore, così scosse la testa e altro sangue gli
uscì dal naso. Il tumore che
spuntava dalla sua testa colpì il terreno e la creatura
emise un ululato acuto
e straziante.
Loro
cinque stettero lì a
guardare in silenzio mentre i suoi occhi sfrecciavano, scuoteva la
testa e
tirava fuori la lingua finché finalmente Lautrec si
voltò verso Quelana e
disse, “Brucia quell’essere, strega. Brucialo e
rispediscilo all’inferno da cui
è venuto.”
“Tu hai fatto questo,” disse
Quelana. “Volevi cambiare le cose e
così hai fatto. Non hai mai considerato che avresti potuto
cambiarle in peggio. Le mie
sorelle…” Le immaginò
contorcersi per il dolore come stava facendo in quel momento il demone
e le
fece venire la nausea. “Cos’hai fatto?”
“Brucialo,”
insistette. “Se
non perché te lo ordino io, fallo per mettere fine alle sue
sofferenze.”
Lei
tornò a guardare la
creatura. Stava pateticamente cercando di avvicinarsi strisciando, ma
non aveva
né la forza, né la consapevolezza che solo una
delle sue tre braccia si stava
muovendo. Si girò verso il cavaliere, e i due si fissarono.
Lautrec si spostò
al suo fianco.
“Magari
possiamo aiutarlo…”
sussurrò Abby.
“Non
dire stupidaggini, è già
morto,” le disse Ben. “Solo…solo che non
lo sa ancora.”
“Va
e fa’ la tua magia,
strega,” disse Patches. “Non lo voglio
più sentire piangere.”
Quelana
guardò loro tre, poi
Lautrec, e infine il demone. Si avvicinò lentamente, alzando
le mani legate
quanto più possibile, i palmi in fuori, producendo fiamme
attorno alle dita.
Gli occhi della creatura caddero su di lei mentre attraversava la
cattedrale e,
gemendo, tese la testa verso di lei. Il tumore colpì ancora
una volta il suolo,
provocando un orribile grido dalle labbra nere e insanguinate. Le
fiamme
attorno alle sue dita si estesero ai palmi e avvamparono alte. La
mascella del
demone si mosse su e giù, facendosi scappare un suono che
sarebbe potuto
sembrare un pianto.
Quelana
gli si mise di
fronte, appena fuori dalla presa del suo braccio sottosviluppato, e
guardò la
bestia. Vicino al mostro, una tristezza incredibile le strinse il
cuore, e le
ricordò ancora una volta il caos che aveva preso le sue
sorelle. Le fiamme si
alzarono ancora attorno alle sue mani e lei sussurrò una
parola al demone sotto
di esse, “Riposa.”
Fasci
di fiamme rosse e
arancioni eruttarono dalle sue mani, avvolsero l’intero corpo
del mostro, e ne
arsero la carne. Le urla che aveva ruggito prima non erano niente a
confronto
dei suoi ultimi ululati. Tuttavia, le fiamme di Quelana erano potenti,
e il
demone tacque in fretta.
Quando
ebbe finito, davanti a
lei rimase solo l’enorme cadavere ardente del mostro; nero,
carbonizzato e
decisamente morto.
Lautrec
le si avvicinò e
guardò il demone. Toccò la testa con la punta del
suo stivale per controllarne
la condizione. “Ben fatto.”
Quelana
si voltò verso di
lui. “Non fare il sorpreso, cavaliere. Conosco il fuoco. Era
un compito
semplice.” Guardò la testa annerita del demone.
“La domanda è, quali altri
‘cambiamenti’ tu abbia causato a Lordran venendo
qui. Quali altre mostruosità
ci attendono?”
Lautrec
fissò la bestia a
lungo prima di dire piano, “Immagino che lo scopriremo
presto.”
E
con queste parole, li
raggruppò, li guidò fuori dalla cattedrale nella
bufera, su per un basso pendio
sassoso verso il nido del corvo. L’enorme volatile si vedeva
in lontananza, una
massiccia figura nera nel bianco caos della neve, e stava arrivando.
A
quale nuova terra li stesse
portando, Quelana non lo sapeva.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
In cima alla torre orientale degli Archivi del
Duca, Solaire guardava
il confuso residuo bianco e blu del sole; un vento freddo soffiava
dalle oscure
rovine di Anor Londo, facendo sventolare il suo Mantello del Sole
dietro di
lui. Gli occhi gli s’inumidirono nella visiera del suo elmo.
Gli mancavano i
raggi di luce dorata che scendevano dal cielo. Desiderava sentire
ancora il
calore del Sole; bere in nome della sua gloria; combattere sotto il suo
sguardo
attento e protettivo. Eppure
sapeva che
erano le speranze di un folle - almeno fino a quando Logan non avrebbe
fatto
ulteriori progressi nei suoi studi - e che il Grande Freddo allargatosi
su
Lordran come una piaga era tutto ciò che lo attendeva su
quella torre. Era l’unica
cosa che lo avrebbe mai atteso
ormai. Era venuto lo stesso a osservare; a sperare.
La speranza era tutto ciò che di caldo era rimasto a Lordran.
“Cavalier Solaire,” la voce del
suo scudiero gli giunse da dietro le
spalle. Il ragazzo gli si avvicinò,
s’inchinò e stette sull’attenti, in
attesa
di risposta.
“Cosa c’è,
Henrik?” rispose Solaire, gli occhi ancora sul guscio vuoto
della pallida luce nel cielo.
“Il Magnifico Chester è
tornato con notizie dal Sud,” spiegò Henrik.
“Chiede di parlare direttamente a Logan.”
Solaire si voltò finalmente verso il
ragazzo, accigliandosi dietro
l’elmo. “Sa
che nessuno può parlare a
Logan,” e dopo una breve pausa, “Che è
successo?”
Il suo scudiero si strinse nelle spalle.
“Ha chiesto di Logan,
nient’altro. Sono venuto da te, come mi è stato
ordinato. Sta aspettando nel
salone principale.”
“Bravo, Henrik. Sei stato saggio a non
disturbare Logan,” disse
Solaire, trattenendosi dall’aggiungere, avresti
avuto terrore di ciò che avresti visto.
“Parlerò con Chester
immediatamente.”
Il ragazzo annuì,
s’inchinò e scomparve giù nella scala a
chiocciola
dalla quale era arrivato. Solaire si voltò ancora una volta
a guardare il sole
blu, s’inchinò a esso con lo stesso rispetto che
gli aveva mostrato il suo
scudiero, e lo seguì.
Trovò il ‘magnifico’
Chester che passeggiava nel salone principale
degli Archivi, le mani giunte dietro la schiena, ridacchiando tra
sé e sé
mentre passava da un dipinto all’altro. Solaire
osservò l’uomo scendendo le
scale della biblioteca, ridendo del suo abbigliamento.
Quell’uomo era un
guerriero, più o meno, e Solaire era dell’idea che
ogni guerriero dovesse
indossare la corazza più pesante disponibile che non
impedisse i movimenti.
Eppure davanti a lui c’era Chester, con il suo sporco
cappotto scuro e i suoi
pantaloni di pelle. Il suo ‘elmo’ era un fragile
cappello a cilindro con la
maschera di un giullare a coprire il viso dell’uomo. Quando
Solaire l’aveva
incontrato per la prima volta, pensava che la sorridente maschera
dipinta fosse il suo volto.
Chester si voltò verso Solaire
sentendolo arrivare, e la bocca da
giullare della sua maschera rideva del cavaliere quando
parlò “Chiedo del
grande stregone, e mi si presenta il suo cane da salotto. Che
peccato.”
“Tieni a freno la lingua,
Chester,” lo ammonì Solaire, avvicinandosi
all’uomo.
“Uno fa fatica a tenere a freno la
lingua, no? Queste maledette
strisciano tutto il tempo tra le nostre labbra,” disse
Chester a bassa voce da
dietro la maschera. “Alcune più maledette di
altre, ovviamente.” Rise.
“Su questo mi trovi
d’accordo,” disse Solaire, rivolgendo
all’uomo uno
sguardo severo. “Che notizie porti dal Sud? Cosa sta facendo
l’Armata Vuota?”
Chester fece spallucce, tornando a guardare i
dipinti sul muro. “Ciò
che fa sempre l’Armata Vuota. Se ne stanno là
fermi. Grugniscono. Sbuffano. Si
grattano le palle, o almeno, il posto dove le avevano un tempo.
Hah!”
“Non sprecare il mio tempo. Hai chiesto
di Logan. Deve essere
importante.”
Chester emise un suono da dietro la maschera che
sarebbe potuto essere
di delusione. “Sì. Dritto al punto come sempre, eh
Solaire? Come fa uno a ficcarsi un
così grosso palo su
per il culo con così tanto dannato metallo
a coprirlo?”
Le guance di Solaire arrossirono di rabbia. Se
l’uomo che aveva di
fronte non fosse stata la migliore spia che avevano, avrebbe
considerato l’idea
di sguainare la sua spada e sfidare il folle a duello proprio
lì nel salone.
Chester rise. “Rilassati, cavaliere.
Porto due notizie dal Sud. La
prima,” si voltò, camminò per il salone
e sollevò da una panca lungo il muro un
prigioniero legato e incappucciato. “È questa.
La seconda…beh, la seconda
è il
motivo per il quale volevo parlare a Logan di persona.”
Solaire fissò il prigioniero
dell’uomo. Era basso e acconciato in abiti
grigi logori e sudici. “Lui chi è?”
“Lei
è la preziosa ‘guardiana
del fuoco’ che Logan voleva tanto incontrare. Non aveva detto
nulla al suo cane
preferito?” lo schernì Chester.
“Hai legato e incappucciato
così una donna?”
scattò Solaire indignato. “Non hai alcun onore?
Liberala!”
Chester si strinse nelle spalle.
“È di Logan ora. Liberala se vuoi, io
cercavo di star fuori dai casini.” Afferrò la
donna per il gomito e la spinse
in avanti.
Solaire la prese e le levò subito il
cappuccio. “Le mie scuse, madame,”
disse una volta tolto. La donna non gli apparve come si era aspettato
la mitica
e leggendaria guardiana del fuoco. Era giovane, la pelle rosea e dolci
occhi
azzurri. I capelli, puliti e biondo ramato, erano raccolti in uno
chignon
dietro alla testa. Guardò Solaire e deglutì.
Sembrava spaventata. “Non avete
niente da temere ora, milady. Io sono il Cavalier Solaire, Guerriero
del Sole.
Siete in buone mani.”
“Se ciò che Logan cercava era
qualcuno con cui chiacchierare, rimarrà
un po’ deluso,” disse Chester. Portò un
dito alla bocca della sua maschera e picchiettò.
“Questa qui non ha la lingua.”
“Oh,” disse Solaire,
imbarazzato. Rivolse alla donna un sorriso
comprensivo. “Le mie scuse, milady. Vi…vi assicuro
che il vostro trattamento
fin ora non è stato ordinato né da me,
né dal mio superiore, Logan. Forse vi
posso offrire qualcosa da mangiare? O da bere? Il viaggio deve essere
stato-”
“Vuoi che la donna ci preghi di tagliarle
anche le orecchie,
Solaire?” lo schernì Chester. “Non ha
fame. Le ho offerto
cibo in abbondanza durante il viaggio. Non sono un mostro. Lei
è una guardiana del fuoco.
Le fiamme sono il
loro nutrimento. Offrile una torcia, se insisti a voler essere
così
tremendamente cavalleresco.”
Solaire guardò l’uomo e
strinse il pugno, ma trattenne la lingua di
fronte alla signora. Si sforzò di sembrare amichevole.
“La seconda notizia,
Chester, e poi vattene.”
“Voglio parlare con Logan.”
“No.”
Chester incrociò le braccia sul petto.
“Quanto a lungo pensi che gli
uomini tra queste mura continueranno a prendere ordini da un capo che
non
possono vedere? Si stanno stancando, cavaliere. Abbiamo radunato una
forza di
quasi un centinaio di uomini, eppure stiamo fermi ad aspettare, giorno
dopo
giorno mentre questo freddo infernale è sempre
più crudele e sempre più
freddo e i nostri nemici si
ammassano fuori dalle nostre porte. Logan deve
mostrarsi.”
“Logan sta studiando,” disse
Solaire, e in parte era vero. Ciò che non
disse all’uomo era che Logan molto probabilmente stava anche
impazzendo. “Sta
lavorando a un modo per liberarci
da
questo freddo infernale.”
“Sai cosa dicono gli uomini?”
chiese Chester, spostando il peso
sull’altro piede e facendo dondolare la sua balestra appesa
dietro la schiena.
“Alcuni dicono che Logan è morto. Altri che tu
l’hai ucciso…altri dicono che ha lasciato Lordran,
si è arreso, è scappato in
un posto migliore. Un posto più
caldo.”
“Ti assicuro che lui è
qui,” disse Solaire, sempre più impaziente.
“Ma
non posso dire altro. Elaborerà presto un piano per
contrastare l’Armata Vuota
e cancellare il Grande Freddo. Non dubitare del suo genio. Dimentichi
che è
stato lui ad ammazzare il mostro
senza scaglie che si aggirava in questo edificio e prenderne possesso.
Fu lui a iniziare ad accettare
rifugiati
contro il freddo. Dagli tempo.”
“Ha meno tempo
di quanto
pensi, cavaliere,” disse Chester.
“C’è aria di ribellione.
Basterà che un solo uomo audace si faccia avanti per
farla scattare.”
“E sei tu
quell’uomo?” chiese Solaire, lasciando cadere la
mano
sull’elsa della sua spada.
Chester la guardò e rise. “Non
oggi, cavaliere.”
“E allora dimmi le altre informazioni.
Porterò la notizia a Logan
immediatamente.”
Chester sospirò, esitò, ma
poi disse, “Il corvo ha lasciato Lordran.”
Solaire rimase a bocca aperta sotto
l’elmo. “Che cosa?”
Una risatina venne dalla maschera di Chester.
“Proprio così. Il corvo
si è alzato un’altra volta in volo. L’ho
visto con questi miei occhi. Avrei
informato io stesso Logan di un tale miracolo, ma…immagino
che anche il suo cane vada bene.
Sì, il corvo ha volato.
E forse la risposta alle nostre sofferenze si troverà negli
artigli della
bestia al suo ritorno. Se farà mai
ritorno.”
“E avevi intenzione di tenere
per
te quest’informazione?!”
scattò Solaire. “Dovrei decapitarti qui e ora per
un simile tradimento!”
Chester rise. “Vai e corri dal tuo
padrone, cane. Assicurati di
specificare che è stato il Magnifico Chester a portare la
notizia.” Si voltò
verso la donna bionda e fece un inchino. “Addio per
ora…milady,”
disse con un’ultima risatina, si girò, e se ne
andò
tranquillamente.
Solaire lo guardò allontanarsi,
scuotendo il capo. Odiava gli uomini
come Chester, e in normali circostanze non avrebbe mai combattuto al
loro
fianco. Dall’arrivo del freddo, però, le
circostanze erano diventate tutto
tranne che normali. Si accorse che la donna lo stava fissando e
ridacchiò
nervosamente dietro il suo elmo. “Perdonatemi, milady. Ecco,
mostratemi i
polsi.” Sguainò la spada, tenendo conto del modo
in cui sgranò gli occhi la
donna mentre lo faceva, e tagliò le corde. “Ecco
fatto. Vi assicuro che non
tratterei mai una dama come l’uomo che vi ha portata qui.
Avremmo voluto
mandare qualcun altro al suo posto, ma le strade stanno diventando
sempre più
pericolose e lui, sfortunatamente, è un maestro nel passare
inosservato.”
La donna lo fissò.
Solaire arrossì dietro al suo elmo
quando si ricordò ancora una volta
che lei non aveva la lingua. “Ah, sì,
ehm…Immagino che Logan vorrà vedervi.
Sono sicuro che appena vi avrà parlato, vi
offrirà un bagno caldo e tutto ciò
che desideriate. Venite, milady,” disse e le porse il gomito.
La donna lo
guardò come se non avesse mai visto quel gesto prima di
allora. Solaire le
prese il braccio e lo mise attorno al suo, sorrise, e la
guidò verso la
prigione.
La torre della prigione nell’ala
orientale degli Archivi era,
disgraziatamente, il luogo dove si trovavano le stanze di Logan.
Solaire odiava
la torre. I segni e le cicatrici di dolore e sofferenza erano su ogni
freddo
mattone dei suoi muri cilindrici. In più, l’enorme
scalinata che scendeva a
spirale verso il piano terra dove Logan risiedeva non era affatto
corta, e ogni
volta che Solaire la saliva o scendeva, si ritrovava sempre con il
fiato corto.
Mentre il cavaliere accompagnava la guardiana del fuoco verso la
scaletta e la aiutava
a scendere il primo piolo che li avrebbe condotti alla scalinata,
notò il modo
bizzarro in cui le pareti giocavano con il suono dei loro passi; come
se non
fossero sicuri di come far echeggiare il rumore. Dava a tutta la fredda
e
oscura stanza un’aria infestata alla quale Solaire non faceva
caso.
Raggiunse la donna ai piedi della scaletta, le
prese di nuovo il
braccio, e iniziò la lunga e sinuosa discesa verso Logan.
Camminando, parlò
alla guardiana del fuoco, “Logan usa questa vecchia prigione
come studio,
milady, vi assicuro che non siete più una prigioniera.
Quest’uomo è…un
eccentrico, vedete. La sua mente è brillante, e come tutte
le cose brillanti,
lavora in una strana maniera. Non ne abbiate paura, però.
È un uomo buono. Gli
Archivi del Duca furono conquistati da lui. Quando il freddo
arrivò a Lordran,
gli uomini e le donne del regno cercarono rifugio. Logan li accolse
tutti a
braccia aperte. È…buffo, in un certo senso.
È servito un grande freddo
perché gli uomini unissero le
forze. Il freddo e gli esseri vuoti, ovviamente, ma sono certo che
saprete
dell’Armata Vuota.”
Il viso della guardiana rimase immobile in
un’espressione di paura e
preoccupazione, quindi Solaire proseguì. “Eh-ehm,
beh, um…ricordo che Logan ha
menzionato che vi trovavate rinchiusa in una cella scavata nella
roccia. Forse non siete a
conoscenza dell’Armata
Vuota. Beh, vedete, poco dopo l’arrivo del freddo, gli esseri
vuoti iniziarono
a fuggire verso Anor Londo. Tutti quanti. Loro…squartarono e
uccisero tutti gli
uomini sul loro cammino. Ora si dice che ce ne siano centinaia
accampati tra le mura della grande cattedrale laggiù.
Sono delle creature dannate. Tuttavia, non temono nulla, milady. Non
appena
Logan avrà terminato i suoi studi, ci dirà quale
sarà la nostra prossima mossa
e spazzeremo via gli esseri vuoti come un potente raggio di sole che
scaccia
l’oscurità.”
Si voltò verso la donna, raggiante e col
petto in fuori, aspettando una
reazione. La donna non ne mostrò alcuna, allora il cavaliere
camminò per il
resto del tragitto in un silenzio leggermente deluso.
Al piano terra, nel retro della torre, pile e pile
di libri alte come
tre uomini adulti gli uni sulle spalle degli altri li attendevano.
Alcuni libri
erano circondati da cumuli di tomi aperti con le pagine strappate.
Molti altri
libri erano sparpagliati sul pavimento, le copertine divelte e diverse
pagine
disposte l’una affianco all’altra in quello che,
immaginava Solaire, era una
specie di ordine d’importanza. Pergamene giacevano appoggiate
contro le pareti.
Grossi codici erano sul punto di cadere dalla scrivania di legno al
centro della
stanza, anche se persino quella era
sepolta in un bianco mare di carta. Una dozzina di candele circondava
lo
studio, e Solaire pensò che fosse quasi un miracolo che
qualcosa non avesse già
preso fuoco e che tutto non fosse
finito in cenere. “Logan,” chiamò tra le
pile di libri. “Sei qu-”
Un golem di cristallo apparve da dietro una pila di
libri
particolarmente alta, la luce delle candele danzava sul corpo blu e
metallico
della creatura.
La guardiana al suo fianco emise un suono di
terrore dalla sua bocca
senza lingua e sobbalzò verso il gomito di Solaire. Lui la
prese al volo e le
mise una mano sulla spalla, “Le mie scuse di nuovo, milady.
Avrei dovuto
avvisarvi. Questa…cosa
è l’animaletto
di Logan.” Si voltò di nuovo verso il golem e
annuì, anche se lui stesso non
riusciva a credere che quel mostro si fosse semplicemente presentato
alle porte
degli archivi un giorno e avesse iniziato a seguire gli ordini di
Logan. C’era
qualcosa di malvagio nella creatura.
Il golem li ignorò e si
allontanò con il suo passo pesante verso la
scalinata, ogni suo passo sembrava scuotere l’intera torre.
“Solaire?” la saggia e profonda
voce di Logan giunse da dietro una
torre di libri. Un attimo dopo, l’uomo emerse
dall’ombra; la luce delle candele
tremolava sulle sue vesti scure, e la fiamma illuminava debolmente il
suo volto
sotto l’enorme cappello a falda larga. “Amico
mio.”
Solaire annuì. “Come procedono
i tuoi studi, Logan? Ci sono state delle
svolte?”
“Temo di no, coraggioso Cavaliere del
Sole,” rispose Logan, girando
attorno alla scrivania e raggiungendoli. I suoi occhi, sebbene fosse
difficile
capirlo da sotto il suo cappello, si spostarono sulla donna.
“La mia guardiana
del fuoco?”
“Sì,” disse Solaire.
“Temo che la donna non abbia la lingua, tuttavia.
Chester l’ha portata qui poco fa.”
Logan improvvisamente alzò la testa e
fissò la cima della torre.
Solaire distolse lo sguardo. Era abituato a questi momenti
di…riflessione che
Logan aveva. Immaginava che il genio avesse il suo prezzo. Quando
l’uomo con il
grande cappello finalmente tornò a guardarli, sorrideva.
“La mia guardiana del
fuoco.”
“Sì…niente lingua,
però. L’ha portata Chester.”
Ripeté Solaire.
“Niente lingua?” gli fece eco
Logan, arricciando le labbra. “Peccato.”
Dopo qualche istante di silenzio, Solaire
capì che stava aspettando che
dicesse qualcosa. “Ah, sì. Proprio un peccato.
Povera fanciulla. Chester l’ha
tenuta legata e incappucciata durante il viaggio.”
“Mmm, che peccato,” disse
ancora Logan e si avvicinò alla donna.
“Aprite la bocca, milady.”
La donna indietreggiò e
guardò spaventata Solaire. Questi annuì e le
accarezzò la schiena. “Va tutto bene. Non vi
farà del male. Vuole solo vedere.”
“Solo vedere,”
concordò Logan.
Lentamente, con le labbra tremanti, la donna
aprì la bocca. Logan si
sporse in avanti e fissò nell’oscurità
della sua bocca. “Mmm, già. Non ha la
lingua. Ci berremo su.”
“B-bere?” balbettò
Solaire.
Logan andò dietro a una pila di libri
senza rispondere e tornò un
attimo dopo reggendo un calice di bronzo. Solaire sbirciò
all’interno e vide
che dentro c’era vino rosso. “Ecco,
milady,” disse Logan, e un sorriso gli
increspò il volto. “Bevete e i vostri problemi
svaniranno.”
Di nuovo, la donna guardò Solaire. Lui
le offrì il suo sorriso più
gentile e annuì. Lei si voltò verso Logan,
fissò timorosa il calice, e lo prese
nelle sue mani tremanti.
“Bevete,” la incitò
Logan.
La guardiana esitò, guardò
un’ultima volta Solaire, e porto la coppa
alle labbra. La sua testa bionda si piegò
all’indietro e il vino rosso si
riversò nella sua bocca priva di lingua.
Appena ebbe finito, Solaire prese la coppa dalle
sue mani e la restituì
a Logan. “Ecco fatto, milady. Vedete? Era solo un
po’ di vino per una
viaggiatrice esausta.”
Beh…” disse Logan, piegando la
testa da un lato. “Era un po’ più
di quello.”
Solaire si accigliò e aprì la
bocca per chiedergli cosa intendesse con
quelle parole, ma le dita della guardiana che si piantavano nel suo
braccio lo
interruppero. Si voltò a guardarla e vide che il volto della
donna era distorto
dal dolore, le sue stesse mani strette attorno alla gola, rumori
soffocati le
uscivano dalle labbra. “Logan!” Urlò
lui. “Che le hai fatto?!”
“Mmm,” mormorò
Logan, avvicinandosi alla ragazza mentre soffocava.
“L’ho avvelenata.”
“Per gli Dei,
perché mai?!”
scattò Solaire. La donna cadde a terra e Solaire con lei,
prendendole la testa
nel grembo.
“Non parlare degli Dei qui,
Solaire,” disse Logan, un improvviso tono
di asprezza nella voce. “Non c’è posto
per loro nel mio studio. Sono bestie
crudeli e la loro ora si avvicina.”
“Sta morendo…” disse
Solaire, mentre la donna smetteva di tossire. Uno
strano lampo di serenità le illuminò il viso,
socchiuse gli occhi, e un debole
sorriso le si allargò sulle labbra. Poi gli occhi si
chiusero, con loro la
bocca, e la guardiana del fuoco li lasciò.
“Hai…ucciso un’innocente.”
“Nessuno è
innocente,” lo corresse Logan, inginocchiandosi al loro
fianco. “Lascia andare il suo corpo. Guarda uno dei pochi
miracoli rimasti in
questo freddo mondo maledetto.”
Solaire represse la rabbia e fece come gli veniva
detto. Mentre il
corpo lasciava le sue braccia, si dissolse nelle vesti sudice che la
avvolgevano; come se le vesti stesse avessero inghiottito il suo
cadavere. Una
luce calda illuminò le guance di Solaire mentre osservava
nel mucchio di vesti,
dove era apparsa un’anima scintillante.
“L’anima di una guardiana del
fuoco,” disse Logan, a bassa voce e
riverente. “Ne ho vista soltanto una nella mia vita. Questa
è la seconda.
È…bellissima, non è
così?”
La luce danzò negli occhi di Solaire,
affascinandolo, attraendolo,
paralizzandolo. “S-sì,”
balbettò.
“È…incredibile.”
“Un uomo crudele userebbe
l’anima per donare alla propria alchimia un
potere rinnovato,” continuò Logan. “Ma
noi non siamo uomini crudeli, vero
Solaire?”
“N-no.”
“Noi siamo brav’uomini, non
è così?”
“Sì.”
Logan annuì. “E allora
ciò che noi
brav’uomini dobbiamo fare con l’anima della donna
è…” Tese le braccia verso il
cumulo di vesti, avvicinò le mani, e appoggiò i
palmi sopra l’anima. Sorrise
premendo verso il basso, e Solaire guardò stupefatto mentre
questa veniva
assorbita dalle vesti stesse.
Poi lei era tornata.
“Sia lodato il Sole,”
sussurrò Solaire.
Il bel volto della donna apparve tra le vesti, poi
le sue mani, i
piedi, e in pochi istanti il suo corpo era di nuovo tra loro. Chiuse i
suoi
occhi azzurri una volta, due, e poi li tenne aperti. Fissò
confusa Solaire,
Logan e il soffitto.
“La morte ha una maniera buffa di
rinvigorire le persone,” disse Logan,
ancora sorridente. “Parlate, donna, poiché le mie
mani hanno poteri curativi.”
E dicendo ciò, le accarezzò le guance.
Lei aprì la bocca, i suoi occhi fissi in
quelli di Logan, e provò a
formare una parola.
“Avanti,” insistette.
“Parlate. Potete farlo.”
“La…”
mormorò lei. “Lau…”
Solaire era scioccato. “Per gli Dei,
è guarita.”
“Ti ho detto di non nominarli.
Questa non è opera degli Dei,” disse Logan.
“Questa è opera mia.”
Guardò di nuovo la donna. “Come vi
chiamate, guardiana del fuoco?”
“Vi prego…” disse
lei con voce debole e sottile, bisbigliando tra le
labbra screpolate. “Non voglio parlare. Non voglio vivere. La mia lingua è
malvagia. Vi prego, io-”
“Non voglio più sentire
discorsi simili,” la interruppe Logan. “Vi ho
donato una seconda vita, mia dolce signora, non me ne facciate pentire
con
parole tanto oscure. Vi ho chiesto il vostro nome, ricambiate la mia
cortesia e
ditemelo.”
La donna sembrava sul punto di scoppiare in
lacrime, ma rispose
comunque. “Anastacia,” sussurrò.
“Anastacia di…di Astora.”
Il viso di Solaire s’illuminò
dietro l’elmo. “Milady, vengo anch’io da
Astora!”
“Astora?” disse Logan,
percorrendo con le dita la falda del suo
cappello, mentre la guardava pensieroso. “È buffo.
I capelli biondi, gli occhi
azzurri, il profilo del mento, il naso, persino il leggero accento
nella vostra
voce mi avevano portato a credere che foste di Carim.”
Anastacia si voltò di scatto verso di
lui, gli occhi pieni di terrore.
Scosse la testa. “N-no, signore. Astora. Anastacia di Astora.”
L’espressione di Logan si fece dura e
crudele sotto il suo cappello, e
per un attimo Solaire credette che avrebbe colpito la ragazza. Poi la
sua bocca
si aprì in un sorriso e rise, appoggiando una mano sulla
fronte della donna.
“Potete essere chiunque desideriate, mia dolce signora.
Dopotutto, cos’è un
uomo o una donna senza i suoi piccoli segreti? Mmm.”
Alzò la testa verso il
soffitto. “Siete libera di passeggiare per gli Archivi quanto
volete. Ci sono
stanze da bagno, dispense per il cibo, cantine per il vino, letti,
poltrone. La
maggior parte degli uomini qui radunati sono abbastanza gentili, ma ci
sono
bisogni che prendono il controllo delle menti degli uomini quando non
sono
impegnati, quindi vi raccomando di restare il più vestita
possibile in loro
compagnia.” Le sue dita strofinarono la falda del cappello.
“Non siete proprietaria
della vostra vita, tuttavia. Quella, per adesso, appartiene a me. Avete
capito?”
Anastacia abbassò la testa e
annuì.
“Brava ragazza,” disse Logan,
sorridendo. “E cercate di non infastidire
i golem. Sono creature violente, temo, e tendono a distruggere
ciò che non
capiscono.” Guardò verso Solaire. “In
questo senso non sono molto diversi dagli
uomini, immagino!” Rise.
Solaire cercò di forzare una risata, ma
suonava strana e piatta quindi
si fermò. “Devo scortare la signorina?”
“No,” disse Logan.
“Può scortarsi da sola.”
Si alzò, le porse la mano, e la
sollevò in piedi. Lei guardò tra loro
due, s’inchinò e li lasciò. Logan la
osservò mentre se ne andava, strofinandosi
la falda del cappello. “Una cara ragazza. È un
peccato che quegli Dei crudeli
l’abbiano ritenuta adatta a tenere accese le
fiamme.”
“È umana?” chiese
Solaire a bassa voce quando fu sicuro che fosse
abbastanza lontana.
“Sì,” disse Logan.
“Tutto ciò che ho letto lo conferma. Probabilmente
aveva una vita normale…da qualche parte…prima che
le fosse tagliata la lingua,
ne sono certo.” Si voltò verso Solaire.
“Quali altre notizie mi porti, buon
cavaliere?”
Solaire si levò l’elmo dalla
testa cosicché Logan potesse vedere il
sorriso sul suo volto. “Logan…il corvo ha lasciato
il nido!”
Il volto di Logan era un mistero sotto
l’ombra del suo cappello. Si
massaggiò il mento e mormorò tra sé,
riflettendo sull’informazione.
L’espressione di gioia di Solaire
lasciò il posto a una di confusione.
“Cioè…è un buon segno, no?
Il Prescelto di cui parlavi. Il corvo ha sempre
lasciato il nido solo per portarlo qui.”
“Ma abbiamo già avuto
un
prescelto,” gli fece notare Logan. “E ha
fallito.”
Solaire sospirò.
“Sì…non me lo devi ricordare. Ma se in
qualche modo ce
ne fosse un altro…”
“Mmm, molte
possibilità,” ammise Logan, annuendo. “Troppe per sprecare tempo prezioso a fare
ipotesi. Risposte. Ne
abbiamo bisogno. Tu le
troverai.”
“Io?”
domandò Solaire.
“L’hai detto tu stesso,
Solaire, questa faccenda potrebbe essere molto
importante. Potrebbe far parte della risposta per la quale sto tanto
lavorando
qui sotto,” disse Logan. “Di chi altri posso
fidarmi per un tale compito? Sì,
tu. Prendi tutti gli uomini che ti servono per il viaggio, ma dovrai essere tu a guidarli. Ho bisogno
di sapere cosa ci porterà quel corvo dal
rifugio…sempre ammesso che tornerà in
questo freddo mondo morente che si è lasciato alle
spalle.”
“Io…farò come
vuoi,” disse Solaire, inchinandosi. “Ma, Logan,
anche gli
uomini, come te, stanno perdendo la pazienza. Vogliono vederti,
parlarti. Ci rivolgiamo
tutti a te per avere consigli…e un capo. Se io
parto, il loro ultimo debole legame con te sarà
spezzato.”
“Mmm,” mormorò
Logan. “Mi…mostrerò, un giorno. Gli
uomini possono
aspettare fino ad allora.”
“Sarai indifeso,” gli fece
notare Solaire.
“Ah sì?” chiese
Logan, e a un suo cenno il golem di cristallo uscì con
il suo passo pesante da dietro una colonna e fissò la sua
testa blu su Solaire.
Solaire deglutì. “Va bene,
Logan. Andrò io…e…e spero di tornare
da te
con delle risposte.” Solaire pensò a quel pallido
sole morto nel cielo. “E con
la speranza.
“Lo spero anch’io, amico
mio,” concordò Logan. “Lo spero
anch’io.”
Con queste parole, Logan sparì dietro al
suo mucchio di libri e
candele, e Solaire fece un respiro profondo, preparandosi alla lunga
scalinata
per uscire dalle prigioni degli Archivi. Più tardi,
camminando nella
biblioteca, incontrò la piccola guardiana bionda in piedi
vicino alla ringhiera
del secondo piano. Stava singhiozzando tra le mani. Solaire si
affrettò a
raggiungerla e le offrì il suo fazzoletto e un sorriso
gentile, ma la donna gli
diede le spalle e corse via senza rispondere. Il cavaliere si
accigliò, infilò
il fazzoletto sotto la sua corazza, e si diresse alla caserma per
formare una
compagnia per il lungo e pericoloso viaggio che li attendeva.
Sia lodato il Sole, pensò. Ne
ho bisogno ora più che mai.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Quando
il corvo finalmente atterrò sul suo nido, in alto sopra il
Santuario del Legame
del Fuoco, con lei e il cavaliere in uno degli artigli, Patches e i
ragazzi
nell’altro, Quelana non solo vide i cambiamenti di Lordran,
ma li avvertì. Il freddo
che si era
impadronito del Rifugio da cui erano scappati aveva raggiunto anche il
santuario. Raffiche ghiacciate scuotevano le sue vesti nere mentre il
corvo li
lasciava andare, e scoprì che il nido dell’animale
era ricoperto di neve, dove
prima non ce n’era. Sotto la torre, il mondo era stato
avvolto in una coperta
di bianco purissimo. Quelana alzò lo sguardo verso i ponti e
le fortezze che
stavano come sentinelle all’orizzonte e anche loro erano
state sepolte dalla
neve. Si chiese che inferno di ghiaccio avesse scatenato il folle
cavaliere su
quel mondo, e se la sua stretta gelata avesse raggiunto persino
Izalith; avesse
raggiunto le sue sorelle.
Si
dimenò nella sua stretta, guardandosi dietro le spalle.
“Lasciami andare. Siamo
atterrati.”
“Questo
è…impossibile,” mormorò
Lautrec; i suoi occhi grigi persi nella vista della
nuova Lordran dietro le ciocche disordinate dei suoi sporchi capelli
biondi.
“Nessuna tormenta potrebbe fare questo così
velocemente.”
“Volevi
il tuo adorato ‘cambiamento’. L’hai
avuto. Ora lasciami andare,” ripeté
Quelana, cercando di divincolarsi dalle sue braccia.
“Zitta,”
ordinò il cavaliere sottovoce. Il suo volto si era
improvvisamente irrigidito.
“Lautrec…”
sussurrò Patches dall’altro lato del nido, gli
occhi spalancati e preoccupati.
“Lo
vedo,” gli bisbigliò in risposta il cavaliere.
Quelana
allungò il collo in
avanti per guardare giù verso il santuario. Là,
dietro a un gruppo di pilastri
di pietra, lo vide. “Quali altre atrocità hai
risvegliato, folle dorato?”
Quelana riusciva a intravedere solo pelliccia, zanne e zoccoli mentre
qualsiasi
mostro li aspettasse sotto passava dietro ai pilastri;
un’enorme ascia lasciava
una scia sulla neve dietro di lui, trascinata dalla bestia, graffiando
e
scavando nella terra. Il demone grugnì e si scosse la neve
dalle spalle pelose
prima di sparire dietro a un muro di pietra vicino al falò
spento.
“Il
Demone Toro,” mormorò Lautrec. “Non
dovrebbe trovarsi
qui.”
“Nemmeno
noi,”
sibilò Quelana da dentro le sue vesti e quasi
contemporaneamente una raffica
fredda si alzò sul nido del corvo, spingendo rametti e
ciottoli giù dal bordo,
una trentina di metri più in giù.
“Che
succede?” piagnucolò Abby, la giovane monaca. Sia
lei
che il ragazzo, Benjamin, erano inginocchiati affianco a Patches,
fissando
l’orrore più in basso con espressioni di terrore
sui loro giovani volti. “Che
cos’è quella cosa?”
“Non
m’importa,” disse Benjamin e afferrò il
suo arco.
Estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò, prendendo
la mira. “Mi serve
solo un colpo preciso.”
“Mettilo
giù, ragazzo,” lo ammonì Lautrec.
“Scatenerai solo
la furia del demone.”
“Gliela
pianterò tra gli occhi,” disse Ben, tendendo
l’arco. “Per accecarlo.”
“È
un bersaglio troppo piccolo. Lo mancherai. Mettilo giù. Subito,” ordinò
Lautrec.
Ben,
lo guardò, vide la severa espressione sul volto del
cavaliere, e abbassò l’arco. Abby
strisciò fino all’orlo del nido, con i
soffici boccoli dei suoi capelli castani già pieni di neve,
e si strinse le
mani al petto, guardando verso il basso.
“Forse…non ci vuole fare alcun male.”
Patches
sbuffò con una risata. “Forse
dovremmo mandarti giù a chiederglielo, ragazza.
Perché
non…provi a saltare? Eh?”
“Se
fossi sicura di sopravvivere alla caduta , lo farei,”
rispose seriamente Abby. Quelana notò che la ragazza non si
era accorta di
essere presa in giro.
“Zitti
tutti,” disse Lautrec. “Aspetteremo. Se ne
andrà,
prima o poi.”
“E
se non lo fa?” Chiese Patches.
“Lo
farà.”
E
così aspettarono. Il demone camminò avanti e
indietro, s’intravedeva
la sua scura pelliccia mentre passava tra i pilastri. A un tratto, la
bestia
piantò la sua ascia in terra, ruggendo, ma qualsiasi cosa
l’avesse agitata, se
n’era andata; estrasse l’ascia e
continuò a vagare senza meta. Il demone arrivò
fino al falò e lo annusò.
“No…”
mormorò Lautrec. “Il fuoco
è…spento.”
Quelana
non se n’era accorta prima, ma il cavaliere aveva
ragione. Nemmeno la più piccola brace brillava tra le ceneri
del falò. Si voltò
verso il cavaliere. “O la tua povera vittima muta si
è liberata dalla propria
prigione…o è già morta.”
Una
miriade di emozioni attraversò il volto di Lautrec
mentre fissava il falò. Alla fine, sussurrò,
“Non è morta…non ancora.
“E
tu come faresti a saperlo?”
“Lo
so,” rispose Lautrec, e non disse altro.
“O
mio…” urlò Abby.
“Guardate!”
Sotto
di loro, ora che il demone aveva dato loro le spalle,
la deformità del mostro, come quella del Demone del Rifugio
prima di lui, era
chiaramente visibile. Una seconda
testa penzolava dalle spalle della creatura, vicino al gomito, da un
collo
sottile, dondolando da un alto all’altro ad ogni passo della
creatura. La bocca
della testa deforme era piena di zanne ancora più affilate
della sua testa
principale, e Quelana riusciva a vedere la lingua rosea catturare i
fiocchi di
neve, appesa quasi sottosopra.
“Tu sei il
responsabile per tutto questo,” sussurrò Quelana
dietro le sue spalle al
cavaliere. “Hai scatenato l’inferno su Lordran
nella tua folle ricerca del
cambiamento. Qualunque Dio crudele vegliasse su di noi…ora
ci ha sicuramente
abbandonati.”
“Tieni
a freno la lingua, strega,” la ammonì Patches
dall’altro lato del nido.
“No,
ha ragione,” ammise Lautrec. “Mi assumo tutta la
responsabilità. Volevo spezzare l’eterno,
esasperante ciclo di questo mondo e
l’ho fatto. Non ho mai pensato che non ci sarebbero state
conseguenze. Se dobbiamo
ammazzare un paio di demoni deformi…e sia.”
“E
questo freddo?” Chiese Quelana. “E se non finisse?
E se
peggiorasse e basta? E se-”
La
mano di Lautrec le chiuse la bocca. “Siamo stati
scoperti,” disse, guardando in basso.
Quelana
seguì il suo sguardo e vide ciò che lui aveva
visto: la seconda testa del demone aveva due piccoli e luccicanti occhi
rossi
nelle luminose orbite sotto la sua fronte sporgente. Guardavano in
alto,
fissando il nido del corvo mentre dondolava da una parte
all’altra. La sua
bocca fece una smorfia e la cosa emise un urlo acuto e penetrante che
sembrava
il canto di un uccello ferito a morte. La testa principale del demone
si voltò,
puntando anche i suoi occhi sul gruppo nel nido, e ruggì,
piantando l’ascia
nella terra e battendosi il petto con la mano libera.
“Beh,
merda,” imprecò Patches, estraendo una spada corta
dal
fodero che portava in vita. “Sapete, speravo davvero che non
dovessimo
affrontare il demone gigante con due teste oggi.”
Quelana
allontanò la testa dalla
mano del cavaliere. “Slegami, folle! Incenerirò
quella
bestia.”
“Tu
scapperai verso la Città Infame
non appena ne avrai l’occasione,” disse Lautrec,
alzandosi e sguainando i suoi due shotel.
“Anche
se fosse, metterei fine alle
sofferenze del mostro,” insistette Quelana, girandosi sulla
schiena e
stringendo i pugni. “Ora slegami. Hai bisogno di
me.”
Sotto
di loro, il Demone Toro ruggì
ancora, stavolta più vicino, e Quelana sentì la
costruzione di pietra sulla
quale erano accucciati tremare come fosse stata colpita con forza.
Lautrec
guardò lei, poi l’orlo del precipizio, poi di
nuovo lei. Si leccò le labbra e
sospirò. “D’accordo, strega. Non farmene
pentire,” la ammonì,
s’inginocchiò e
slegò il nodo che le stringeva il torso e le spalle.
Il
demone ruggì nuovamente e l’edificio
tremò.
Quelana
strattonò la corda rimastale
attorno ai polsi. “Liberami le mani.”
“Non
esagerare,” disse Lautrec,
afferrandola per il gomito e tirandola su in piedi. Raccolse la corda
che
pendeva dai suoi polsi e la lanciò ad Abby.
“Tienila stretta. Se cerca di
scappare, trattienila, intesi?”
Il
volto della ragazza si riempì di
confusione. “C-cosa? Perché io? Io non-”
“Cos’altro
sai fare?” chiese Lautrec.
Abby
aprì la bocca per replicare, capì
cosa intendeva, e la richiuse. “…va
bene.”
“Lo
prenderò di lato!” disse Ben,
avvicinandosi al cavaliere ed estraendo dal fodero un pugnale.
“Sono bravo a
rimanere nascosto. Io-”
“Resta
qui,” lo interruppe Lautrec. “E se
il demone sembra avere la meglio su me e Patches, colpiscilo con una
freccia
per distrarlo.”
Benjamin
si accigliò. “Sì, ma se-”
“Non
era una richiesta,” disse Lautrec. Si
voltò verso Patches. “Sarai il primo a scendere.
Anche se non sembra, il demone
è veloce e la sua ascia ha un raggio considerevole, quindi
ti suggerirei di
atterrare in corsa.”
L’uomo
calvo non sembrò contento, ma al
contrario degli altri due, non contestò l’ordine
del cavaliere. Strinse la
spada, invece, e si avvicinò al bordo
dell’edificio, dove lo aspettava la corda
che avevano usato per salire, e la afferrò. “Non
farmi aspettare troppo,” disse
con un occhiolino, un sorriso e un salto di alto, con la corda in mano.
L’edificio
tremò ancora, stavolta
abbastanza forte da spezzare il pavimento di pietra
nell’angolo e far
precipitare una lastra di roccia traballante. Lautrec raccolse la corda
e la
strinse nelle mani di Quelana. “Ricorda che ti ho dato la mia
parola di
riportarti alla Città Infame, strega. Tienilo a mente, prima
di bruciare ciò
che non dovresti, laggiù.”
“Non
so a cosa o a chi tu ti stia
riferendo,” disse Quelana, alzando le mani vicino al
volto del cavaliere e facendo danzare una fiammella sulla punta delle
dita.
Lautrec
si allontanò dal fuoco e si
accigliò. Disse, “Chi può sapere quali
orrori ti aspettano ora nella Città
Infame? Potresti avere bisogno di
un
cavaliere come me per un viaggio sicuro,” poi, rivolto ad
Abby, “Tienila
vicina.”
Quelana
si voltò verso la ragazza e
strinse gli occhi. Le guance di Abby avvamparono e lei
abbassò lo sguardo.
Quelana scosse la testa, strinse più forte la corda, e si
calò oltre il bordo
per raggiungere il suolo. La discesa fu breve e abbastanza facile e poi
i suoi
piedi toccarono la terra innevata di Lordran. Patches non si vedeva da
nessuna
parte e, fortunatamente, nemmeno il demone. Quelana sollevò
ancora una volta le
mani e maledisse il cavaliere per averle lasciate legate. Abby fu
dietro di lei
un attimo dopo, il capo libero della corda di Quelana in mano. Quando
Quelana
la fissò nuovamente, la ragazza deglutì e
alzò le braccia per difendersi.
“S-sto solo eseguendo gli ordini del cavaliere. Ti prego,
non…non voglio essere
bruciata.”
“Non
ho intenzione di bruciarti,” le disse
Quelana, e per un attimo pensò di avvicinarsi alla ragazza e
sussurrarle un
incantesimo all’orecchio, ma Lautrec si calò
subito accanto a loro.
“Che
cosa stai facendo?” Sussurrò ad Abby,
gli shotel stretti nei guanti dorati. “Prendila e muoviti. Dobbiamo dividerci e accerchiare
la creatura.”
“Oh,
sì,” disse Abby, scuotendo la testa e
mordendosi il labbro. Si voltò verso Quelana,
deglutì e tirò nervosamente la
corda.
Se
la ragazza non fosse stata così
dannatamente spaventata, Quelana avrebbe potuto fare un po’
di resistenza, ma
era già abbastanza nervosa, così la
seguì diligentemente. Lautrec li sorpassò
di corsa, gli shotel vicino ai fianchi, accucciato furtivamente.
Strisciò lungo
un muro di pietra, alzando la neve dietro ai suoi stivali dorati. Abby
la
condusse nell’altra direzione con passi lenti e prudenti,
fermandosi ogni due
secondi sentendo il demone ruggire lì vicino. Quelana
restò in silenzio,
permettendo alla ragazza di allontanarsi sempre più dagli
altri, ma lei aveva
un’altra idea. Da qualche parte dietro il muro, Patches
urlò e il demone ruggì.
Sentì scoccare una freccia dall’alto e il ragazzo,
Benjamin, urlare “Ora!”.
Il suono della pietra che si
sbriciolava rimbombò tutto attorno a loro e Abby
sussultò, portando una mano
tremante alle labbra.
Si
stavano avvicinando all’angolo del muro
che li avrebbe portati allo spiazzo principale del falò, e
Quelana vide la sua
opportunità svanire. Si fermò, e quando Abby
finì la corda, lo strattone
improvviso la fece quasi scivolare. Si voltò indietro, con
gli occhi sgranati e
confusi, e tirò gentilmente la corda. “Dai!
Dobbiamo-”
“Vieni
qui, ragazza,” la interruppe
Quelana, avvicinandosi e prendendo la corda in mano,
cosicché si accorciasse
sempre di più mentre camminava. “Lascia che ti
dica una cosa.”
“Che
stai facendo?” sussurrò Abby, alzando
il sopracciglio. “Vuoi…farmi del male?”
“No,
dolcezza, niente del genere,” la
rassicurò Quelana, e quando ebbe raccolto tutta la corda,
tirò a sé la ragazza
e premette le labbra sull’orecchio di Abby. Nemmeno Quelana
poteva comprendere
veramente le parole che pronunciò. Erano parole antiche,
parole arcane, e quando le
bisbigliò, sembrava
come se qualcosa di altrettanto antico ed arcano parlasse attraverso di
lei,
muovendo la sua lingua, manipolando l’aria. Sentì
la ragazza irrigidirsi
accanto a lei e poi afflosciarsi improvvisamente. Quelana la prese tra
le
braccia e la distese sulla neve, appoggiandola al muro.
“Slega
i nodi che mi bloccano le mani,”
ordinò Quelana, tendendo i polsi alla ragazza.
“Mmm,”
gemette Abby, ruotando gli occhi.
“Io…Io…”
“Sei
sotto il mio incantesimo ora,” disse
Quelana, perdendo la pazienza. “Adesso slega
il nodo.”
Gli
occhi di Abby fissarono concentrati il
nodo, poi, però, distolse lo sguardo.
“Pe…perché?”
Quelana
restò a bocca aperta. Aveva usato
l’incantesimo dell’Ammaliamento Non Morti da quando
aveva memoria. L’aveva
usato sui suoi alunni, sui nemici, persino su sua sorella
stessa, una volta. Nessuno aveva mai fatto resistenza. “Mi
hai sentito? Ti ho detto di-”
“No,”
disse Abby, scuotendo la testa. Era
intontita, fiacca, eppure da qualche parte dentro di lei, la sua
coscienza
rimaneva la stessa.
Quelana
si alzò, stupefatta, e fissò la
ragazza. Oltre il muro, un uomo (Quelana non riuscì a capire
se Patches o
Lautrec) urlò ancora, e il terreno vibrò con un
colpo potente. Non aveva tempo
di rimuginare sull’anomalia che le stava di fronte. Prese la
corda nelle sue
mani ancora legate e si avvicinò all’angolo della
parete. Prima di andarsene,
si voltò verso la ragazza e disse, “Resta dove
sei. Sarai al sicuro,” e scattò
velocemente nello stretto passaggio.
Sbirciando
verso lo spiazzo del falò, non
vedeva nessun uomo o demone, solo la bianca coperta di neve che
sembrava aver
avvolto tutta Lordran nel suo abbraccio. Nel cielo azzurro pallido, il
guscio
vuoto del sole guardava la neve cadere sul mondo. Persino
il grande fuoco nel cielo si spegne, pensò
Quelana. Madre Izalith salvaci. E
con questo
pensiero, fece uno scattò verso le scale a chiocciola che
l’avrebbero riportata
a casa.
Il
corpo di Patches in volo la distrasse.
L’uomo calvo sbatté a terra, scivolando nello
spesso strato di neve contro una
vicina costruzione di pietra, urlando di dolore. La spalla sanguinava.
Il
Demone Toro lo seguì con passo pesante da dietro gli archi
del santuario,
trascinando l’ascia dietro di sé. Da terra,
Quelana trovò il mostro persino più
terrificante. Svettava nel cielo, alto quattro metri e mezzo, e la sua
bocca
irta di pugnali azzannava l’aria mentre avanzava di corsa.
Alzò l’ascia,
piegandosi sulle ginocchia, pronto a saltare.
Anche
Lautrec uscì dagli archi, le dita in
mezzo alle labbra, e fischiò. La testa deforme e floscia del
demone urlò, e
l’altra testa si voltò ad affrontare il cavaliere
dorato. Lautrec estrasse dal
fodero il suo secondo shotel e si spostò velocemente dietro
al mostro,
distogliendo la sua attenzione da Patches. Gli occhi della bestia si
fissarono
su di lui e la bocca azzannò la neve che cadeva tra loro
due. Anche da dove si
trovava, a una decina di metri di distanza, Quelana poteva sentire
l’odore di
decomposizione nell’alito della creatura avvelenare
l’aria. Stai perdendo tempo,
si disse e si voltò
per scappare.
Il
suo piede si era appena posato sul
primo gradino quando si fermò. Sei
fuggita altre volte, Quelana, pensò, e
tutto ciò che ti sei lasciata alle spalle è stato
distrutto. Si voltò
indietro appena in tempo per vedere il cavaliere schivare
un’ampia spazzata
dell’ascia del demone. Non gli doveva alcuna
fedeltà né a lui, né al resto del
gruppo. Era loro prigioniera
dopotutto, ma il pensiero di scappare ancora, la vigliaccheria del suo
abbandono, non le stava bene.
Lautrec,
con un grido di battaglia, balzò
verso il demone con entrambi gli shotel stretti nei suoi guanti di
metallo,
alti sopra la testa. Le lame squarciarono la coscia della bestia,
spruzzando
sangue quasi nero dalla ferita e causando un penetrante guaito di
dolore dalla
cosa, prima che colpisse di rimando il cavaliere. Lautrec
barcollò all’indietro,
riprese l’equilibrio e si alzò in piedi.
Urlò ancora e si mosse in avanti, ma
ci deve essere stata una roccia nascosta sotto la neve,
perché Quelana lo vide
inciampare e cadere su un ginocchio. Il Demone Toro colse
l’opportunità e
abbassò l’ascia, la spinse in avanti e verso
l’alto. La superficie piatta della
sua lama d’acciaio colpì Lautrec al petto e lo
scagliò indietro verso l’alto.
Volò all’indietro, colpendo il suolo e strisciando
nella neve sulla schiena. I
suoi occhi si chiusero di scatto e strinse i denti, inspirando. Il
demone gli
si avvicinò.
Quelana
guardò lo scontro e poi la
scalinata. Non avrebbe mai dovuto prendere la dolorosa decisione di
fuggire da
Izalith mentre le sue sorelle venivano deformate dal caos che la
distrusse…ma
poteva certamente evitare altri rimpianti in futuro. Il Demone Toro
sollevò la
sua enorme ascia e corse in avanti-
-e
Quelana scattò per fermarlo. Gli occhi
della bestia andarono dal corpo disteso di Lautrec a lei, e il demone
cambiò
direzione. Lei sollevò le mani all’altezza delle
spalle e le aprì verso la
bestia, con le dita ben aperte. Il mostro ruggì,
calò l’ascia sopra di lei, e-
-fiamme
eruttarono dalle sue mani, dando
vita a un cerchio caotico di ardente, impetuosa distruzione rossa e
arancione.
Il fuoco divampò in un ampio cerchio, facendo sia da scudo
contro il colpo del
demone sia da contrattacco vero e proprio. La bestia guaì e
indietreggiò per
sfuggire al calore, ma le fiamme avvamparono in avanti, avvolgendo il
suo corpo
in una colonna di fuoco. La pelliccia della cosa
s’incendiò, e quando le fiamme
della strega si furono spente, il demone aveva dato origine alle proprie fiamme sulle spalle, la schiena
e le gambe. Alzò la testa e urlò al cielo prima
di lanciarsi a terra,
rotolandosi su se stesso, cercando disperatamente di domare le fiamme
sulla sua
pelliccia.
Lautrec
si rialzò a fatica. Guardò il
demone, poi lei, annuì in segno di ringraziamento e si
avvicinò per attaccare
la bestia, stringendo gli shotel. Il demone si alzò, spento
il fuoco, con la
pelliccia nera e ricoperta di cenere.
Non
li hai abbandonati. Hai aiutato. Ora corri, si disse Quelana
e si voltò per
farlo.
“Strega!”
Le urlò dietro Lautrec. “Rimani e combatti! Ho
bisogno-”
Ma
le sue parole vennero interrotte quando
l’artiglio del demone per poco non gli strappò la
testa dagli spallacci dorati.
Quelana corse oltre l’angolo, scendendo la scalinata a
chiocciola due gradini
alla volta, e scattò oltre la caverna vuota con le sbarre,
verso la seconda
scalinata che l’avrebbe condotta
all’ascensore…e a casa.
L’aveva
quasi raggiunta quando la figura
torreggiante del Demone Toro oscurò il cielo. Quelana
guardò, spaventata e con
gli occhi spalancati, verso l’alto e che la cosa era balzata
giù dalla parte
superiore e stava cercando di colpirla con l’ascia. Si
gettò di lato mentre
l’ascia staccava da terra un enorme pezzo di fango e neve dal
suolo. Il demone
atterrò con un assordante tonfo e ruggì.
Quelana
si girò sulla schiena, con
difficoltà, viste le mani legate, e affrontò il
demone. Sollevò le mani e cercò
di scatenare un’altra fiammata, ma non ci riuscì.
Aveva speso troppo del suo
fuoco interiore per stregare la ragazza prima e attaccando il demone
poi e
aveva bisogno di tempo per riprendersi. Tempo che non aveva.
Lautrec
saltò giù dietro al demone, cercando
di piantare i suoi shotel nella schiena della creatura, ma la piccola
testa
deforme che gli pendeva dalle spalle la avvisò con un urlo;
il Demone Toro si
voltò e sollevò il suo enorme artiglio. Lautrec
fu preso nella stretta del
demone, scosso come una bambola, e poi gettato a terra. Giacque inerte,
ferito
e forse morto accanto alla gabbia dove, ironicamente, aveva ucciso
innumerevoli
volte la donna al suo interno. Il demone grugnì soddisfatto,
si voltò verso
Quelana e sollevò la sua ascia.
Lei
riusciva a vedere Benjamin scoccare
freccia dopo freccia contro il mostro dal nido del corvo, ma
metà mancavano il
bersaglio, l’altra metà rimbalzavano semplicemente
sulle dure spalle della
creatura. Lautrec era privo di sensi, e Quelana capì che era
finita. Mentre il
demone si avvicinava, abbassò le mani e si costrinse a
fissare il mostro che
veniva a finirla. Perdonatemi sorelle mie,
pensò. Che possiate trovare
misericordia.
“Fermo!”
Abby
arrivò con passo incerto dalla
scalinata dietro al demone, appoggiandosi al muro per mantenere
l’equilibrio
mentre si avvicinava. “Fermo,” disse nuovamente,
portandosi una mano alla
fronte e scuotendosi la neve dai capelli.
“Che
stai facendo, sciocca ragazza?!” Urlò
Quelana. “Ti avevo detto di stare ferma! Ora ci
ucciderà entrambe!”
“No,”
disse lei, scuotendo la testa, e poi
parlò dolcemente al demone, “Tu non ferirai
più nessuno.”
Il
Demone Toro si voltò a guardarla,
piegando la testa di lato e socchiudendo i piccoli occhi su di lei. La
studiò
solo per qualche secondo prima di emettere un forte ruggito, alzando
l’enorme
ascia sopra la testa, scuotendola nell’aria furiosamente.
“Basta,”
disse lei, facendo un passo in
avanti, le mani sui fianchi.
“Folle
ragazza,” sussurrò Quelana,
scuotendo la testa. Controllò la propria fiamma interiore,
ma non la trovò
abbastanza forte da bruciare di nuovo. Non poteva fare nulla tranne
guardare la
ragazza avvicinarsi sempre di più e il demone diventare
sempre più furioso.
Appena fu a tiro, però, l’ascia della bestia si
abbassò leggermente, e mentre
Abby gli andava persino più vicino,
il demone sembrò confuso.
“Placa
la tua ira, bestia,” ordinò Abby.
“Non vogliamo farti altro male e non ce ne aspettiamo altro
da te.”
Miracolosamente,
l’ascia del demone gli
cadde di mano. I suoi occhi guardavano la ragazza alta nemmeno la
metà di lui
appoggiargli una mano sulla gamba. “Abbassati,
cosicché ti possa guardare negli
occhi,” disse Abby dolcemente.
Quelana
era senza parola guardando
l’enorme mostro che aveva appena scagliato due uomini e
l’aveva quasi decapitata
abbassarsi in ginocchio e fissare la ragazza di fronte a lui. Abby
sorrise e
portò una mano al collo peloso della creatura.
“Non ci credo…” sussurrò
Quelana, alzandosi in piedi e avvicinandosi all’incredibile
scena che aveva
davanti. Guardò il calmo demone dall’aria quasi
serena e poi Abby. Prima la
ragazza aveva opposto resistenza al suo incantesimo, e ora questo. “Cosa sei
tu?”
Chiese Quelana.
Abby
stava ancora sorridendo mentre le sue
mani accarezzavano la pelliccia del demone. “La Prescelta,
no? O almeno,
questo è quello che tutti voi mi avete detto.”
“No,
ragazza…” Disse Quelana, deglutendo,
la gola improvvisamente secca. “Tu sei…qualcos’altro.”
Lautrec
era di nuovo in piedi, ma piegato
verso il buco nella parete con le sbarre. I suoi pugni erano stretti
attorno
alle sbarre e ansimava. Quando si voltò di nuovo verso
l’insolita vista di Abby
e del demone inginocchiato, il suo volto era paonazzo e furioso. I suoi
shotel
erano di nuovo nelle sue mani. Si avvicinò.
“No,”
gli disse Quelana, spostandosi
velocemente dietro al demone per bloccargli la strada. “Non
vedi che la ragazza
ha sottomesso la bestia? Non devi-”
La
spinse lontano da lui. “Sei scappata.
Non hai più voce in capitolo.”
“Ti
ho salvato la vita!”
Protestò Quelana inciampando all’indietro e
cadendo nella
neve.
“Solo
per abbandonarmi subito dopo,” disse
Lautrec camminando verso il demone.
“Non
ti ho abbandonato!” Scattò Quelana.
Lautrec
la ignorò e si avvicinò ad Abby,
fissando il demone con uno sguardo di meraviglia e odio stampato sul
volto.
“Ti
prego,” lo implorò Abby. “La lotta
è
nella natura di questa creatura. Non è colpa sua se ci ha
attaccati. Devi-”
Lautrec
spinse via anche lei, e senza
altre parole, conficcò il suo shotel nella giugulare del
demone, con uno
spruzzo di sangue scuro a tingergli i guanti dorati di morte. Abby
urlò, gli
occhi pieni di lacrime, ma la furia si era impossessata del cavaliere e
iniziò
a piantare gli shotel nella gola della creatura in una rapida, furiosa
successione. Eppure, il demone non contrattaccò. Cadde solo
su un fianco e
soffocò sul suo stesso sangue mentre il cavaliere gli
scavava nella gola.
Morì
molto prima che Lautrec smettesse di
colpirlo.
Abby
era inginocchiata nella neve, il
volto tra le mani, singhiozzando piano. Quelana si avvicinò,
s’inginocchiò, e
appoggiò le mani sulla spalla della ragazza. Patches era
apparso sopra di loro,
sull’orlo di terra che dava sulla gabbia e si
grattò la testa calva. “Che
diavolo…” mormorò.
Lautrec
liberò gli shotel dalla gola del
demone morto. I suoi guanti e la sua cotta erano ricoperti dal sangue
della
cosa e gocciolavano mentre lui stava fermo, ansimando per riprendere
fiato.
Quelana lo guardò scuotendo la testa e accarezzando la
spalla di Abby. “Non eri
così furioso verso il demone. La tua furia
non si è risvegliata finché non hai guardato in
quella gabbia vuota dove di
solito si trova la tua ‘vittima’,” disse.
Lui non la guardò, né rispose, così
lei continuò. “Ci sono solo due cose che ho visto
risvegliare una tale emozione
negli uomini. Quindi dimmi, cavaliere dorato, perché
continui ad uccidere
quella povera guardiana del fuoco? Per odio…o per
amore?”
Lautrec
stette in silenzio a lungo, e
proprio quando Quelana pensava che non avrebbe avuto risposta,
mormorò,
“Entrambi,” e rinfoderò le sue lame.
Mentre
il pallido cerchio di luce che un
tempo sarebbe potuto essere il sole si abbassava sotto il lontano
orizzonte e
la notte scendeva su Lordran, si accamparono al santuario del legame
del fuoco.
Lautrec aveva mandato Patches e Benjamin a raccogliere legna
sufficiente dalla
zona circostante, e poi l’aveva fatta accendere a Quelana
prima di allontanarla
dal fuoco verso un vicino pilastro di pietra. La sua ricompensa per
avergli
salvato la vita fu di essere legata e messa a sedere per la notte. Per
il suo
tentativo di stregare Abby, le rimise il bavaglio in bocca e poi fu
lasciata,
zitta e sola, mentre il resto di loro si stringeva attorno al fuoco.
“Ho
un taglio,” grugnì Patches,
osservandosi la spalla insanguinata mentre strisciava verso il
falò e gettava
un bastoncino tra le fiamme. “Dannatissimo bastardo di un
demone…brutto pure,
hihi.”
“Posso
chiudere la ferita con ferro e
fuoco,” gli disse Lautrec, “ma non ho modo di
fermare qualsiasi infezione possa
essersi formata.”
Patches
sospirò, sembrò avere un dibattito
interiore, e poi si voltò verso Benjamin, che sembrava
pallido e malato. “C’è
un sacco nascosto di otri di vino da quella parte,”
indicò, “sotto una pila di
tre pietre bianche. Vai a prenderle, ragazzo.”
“Sto
male,” protestò Ben, e a dire la
verità, ne aveva l’aspetto.
“Non
me ne frega un accidente, sto
sanguinando! Datti da fare, merdina,” urlò
Patches, prendendo un sasso e lanciandoglielo.
“Te
lo prendo io il tuo dannato
vino,” disse Lautrec, lanciando i guanti vicino
al fuoco e alzandosi. “Anche se avremo una piccola
discussione sulle altre
‘scorte’ che potresti avere nei paraggi.”
Alzò gli occhi al cielo, verso la
neve. “Sperando sia ancora là. Abbiamo cambiato un
bel po’ di cose in questo
mondo maledetto.”
Patches
aggrottò la fronte. “Oh, non
sarebbe proprio una sfortuna? Non la mia piccola amata scorta di vino,
che
quegli déi maledetti congelino tutto il mondo, ma per
carità lasciatemi il vino!”
Lautrec
sparì dietro agli archi di pietra
che conducevano al cimitero che Quelana aveva visto dal nido del corvo
e tornò
un attimo dopo, portando con sé un sacco marrone. Patches lo
vide e un sorriso
sbilenco gli illuminò il volto. “Ah, ma allora è vero che gli Dei esistono
ancora! Fantastico! Hihi.”
La
risata dell’uomo calvo scomparve in
fretta e fu sostituita da gemiti di dolore qualche secondo dopo non
appena
Lautrec bagnò con il vino la sua spalla ferita. Patches
dovette stringere una
cintura tra i denti mentre Benjamin lo teneva fermo quando il cavaliere
scaldò
la lama del suo shotel sopra il falò e la premette contro la
ferita,
chiudendola. Quando ebbe fatto, e Patches ebbe finito di grugnire e
lamentarsi,
i tre iniziarono a passarsi un otre tra loro. Abby stava seduta,
stringendosi
le ginocchia, fissando silenziosa nel fuoco e ignorandoli la maggior
parte del
tempo finché Ben si voltò verso di lei e le
offrì il vino.
“Ha
fatto star meglio me,”
disse.
“No,
grazie,” disse sottovoce Abby e
appoggiò il mento sulle ginocchia.
“Ce
l’hai con me, ragazza?” chiese
Lautrec, sedendosi dall’altra parte del falò.
“Per aver ucciso il tuo povero,
dolce, demone.”
Abby
non disse nulla, l’unica certezza che
l’avesse sentito era la sua fronte corrucciata.
Lautrec
rise e prese un altro sorso
dall’otre. “La domanda è,”
continuò lui, leccandosi le labbra.
“Cos’è cambiato
in questo mondo maledetto per far sì che accadesse una cosa
simile? Era la
bestia deforme in sé…o sei tu
a
essere speciale?”
Abby
si strinse nelle spalle. “Tu
mi hai detto che ero speciale. Che
ero…Prescelta.”
“Beh,
lo siete entrambi,” la
interruppe Patches, indicando Ben. “Ma l’unica cosa
degna di nota che abbia fatto questo ragazzo qui è stato
piantarti una freccia
nel petto nel rifugio! Hihi.”
“Non
volevo
farlo,” si difese Ben, imbarazzato. “E potrei fare
molto di più! Non è stata
colpa mia se mi avete lasciato lassù con quello stupido corvo a guardare il combattimento. Avrei
potuto aiutare…avrei
potuto uccidere quello stupido coso, il demone, da solo.”
“Perché
siete tutti così decisi a uccidere
tutto?” protestò Abby, parlando
finalmente più forte di un semplice sussurro.
“Avremmo potuto salvarlo!”
“Salvarlo
da cosa?” chiese Lautrec
con un sorriso. “Era un demone. Esistono solo
per portare dolore e distruzione. Si meritava la morte, ed è
quello che gli ho
dato.”
“Tu
perché esisti?” scattò di rimando Abby.
“Tutto ciò che ho visto te
fare è stato portare dolore e
distruzione.”
Lautrec
guardò Patches e i due risero. “È
tutta arzilla ora che è un’ammaestra-demoni,
eh?” disse Patches prendendo un
sorso di vino.
“Ho
freddo,” s’intromise Ben, stringendosi
le braccia attorno al suo farsetto di pelle.
Lautrec
sospirò. “Quali Dei buffoni e
crudeli mi hanno affidato due Prescelti, una che vuole abbracciare
i propri nemici fino alla sottomissione, e l’altro che
non fa altro che lamentarsi e sbagliare tiri che avrebbe
dovuto fare.”
La
bocca di Ben si spalancò con
indignazione. “Ehi, ho colpito
con un
sacco di quelle frecce.”
“E
hai mancato con altrettanto,” aggiunse
Patches.
“Hai
del talento naturale, ma ti manca la
disciplina di un arciere più esperto,” disse
Lautrec al ragazzo. “Inarchi la
schiena e pieghi i gomiti quando tendi l’arco. Devi
migliorare queste cose.”
“Beh…mostrami,”
disse Ben.
Lautrec
bevve dall’otre e Quelana poteva
vedere che il liquido al suo interno stava iniziando ad avere effetto
su tutti
e tre. Il cavaliere fece spallucce, si alzò in piedi, e
condusse il ragazzo
fino al bordo dell’accampamento. Patches si tirò
su a fatica e barcollò dietro
di loro, ridendo a una battuta di pessimo gusto riguardo alle
‘frecce nel tuo
culo’. Quando fu sola, Abby si alzò, si avvolse il
suo mantello da monaca più
stretto attorno a sé e attraversò lo spiazzo,
avvicinandosi a Quelana. Arrancò
nella neve, salì pochi gradini di pietra, e le si
fermò di fronte. Abby
incrociò le braccia sul petto e la fissò. Quelana
non poteva fare altro che fissarla
a sua volta. Vicino al falò, Patches rise e Benjamin
urlò qualcosa.
Abby
li guardò, poi tornò su Quelana. “Se
ti tolgo il bavaglio dalla bocca…cercherai di controllarmi
ancora?”
Quelana
scosse la testa, e lo pensava
veramente. Non solo la ragazza le aveva salvato la vita, ma ora le era
chiaro
che ci fosse qualcosa di speciale in lei.
Abby
si morse il labbro, si guardò
un’ultima volta alle spalle, e si accucciò vicino
a Quelana. Deglutì
nervosamente mentre alzava il cappuccio del mantello nero dal volto di
Quelana
e tendeva le mani dietro la sua nuca per snodare il nodo del bavaglio.
Cadde
dalle sue labbra, e Quelana se le leccò.
“Grazie” disse sottovoce alla ragazza.
Abby
sorrise, annuì, e si sedette accanto
a lei; guardandola e stringendosi di nuovo le ginocchia al petto. Ci fu
un
momento di silenzio, poi la ragazza chiese “Come hai fatto
prima? Come mi
sei…entrata nella mente in quel modo?”
“È
un trucchetto molto antico,” disse
Quelana, spostandosi quel tanto che le permettevano le corde attorno al
corpo
per stare più comoda. “La vera domanda
è: come hai fatto tu a
resistere? Non mi era mai successo prima.”
Abby
alzò le spalle. “Io…non lo
so” disse,
e poi, pensandoci meglio “Non ho capito. Il cavaliere mi ha
detto che sono la
non morta ‘Prescelta’. Non dovrei
essere in qualche modo speciale?”
Quelana
annuì. “Sì, è solo
che…sia io che
quel cavaliere abbiamo vissuto molti cicli di eroi
‘Prescelti’. Nessuno è mai
stato capace di fare ciò che hai fatto tu oggi.”
“Allora
forse erano falsi eroi…” disse Abby
facendo spallucce.
“Forse
sì” ammise Quelana e poté evitare
di sorridere. Le piaceva la ragazza. C’era qualcosa
di…onesto nel modo in cui
parlava, come se non avesse niente da
nascondere o da perdere. Per quel che ne sapeva Quelana, forse era
così. “Hai detto
di venire da Vinheim?”
Abby
annuì, e, quando lo fece, della neve
le cadde dai capelli. “Sì. I miei genitori mi
mandarono alla grande Scuola del
Drago per stregoni e chierici laggiù. Però
io…non ero particolarmente brava in
nessuna delle due specialità.” Guardò
il cielo con un sorriso nostalgico.
“Avevo fatto così bene
i test
iniziali, ma quando si arrivò alla pratica…fare
incantesimi e pregare e tutto
il resto…non ero brava e basta. I miei genitori non erano
né tristi né
arrabbiati o cosa, ma…non si sono certo sforzati di
nascondere la loro
delusione.”
Quelana
annuì. “Sì, molti uomini e donne
che ho incontrato hanno trovato le arti superiori
difficili da comprendere. Hanno a che fare con la tua mente, sono
sicura che lo
sai. La scuola ti deve essere servita a qualcosa, no?”
Abby
si morse il labbro e sorrise prima di
annuire. “Sì, intelletto per le stregonerie, fede
per i miracoli.”
“Le
menti degli stregoni sono fatte per
comprendere la conoscenza e la logica molto nel profondo”
disse Quelana.
“Sfortunatamente, è qualcosa che non si
può insegnare. Un mio alunno, tanto
tempo fa, Salaman, me lo spiegò, una volta. Afferrano numeri
e schemi meglio
degli altri, e così riescono a vedere le antiche
verità celate in questo mondo
e utilizzarle nei loro incantesimi. I chierici…si affidano agli Dei per
ottenere forza. Quando
fai un miracolo, tu non stai facendo nulla in realtà. Stai chiedendo un favore agli Dei. Che ti
ascoltino o meno non sta a
te…dipende tutto da quanto è forte la tua
fede.” Fissò la ragazza con gli occhi
azzurri e le lacere vesti da monaca. “Ma non mi sembri una
donna molto pia, mi
sbaglio?”
“No…non
molto, immagino” ammise Abby.
Quelana
annuì, fece una pausa affinché
comprendesse le sue parole. “Ma esistono
altre arti. Altre arti…più
oscure.”
Abby
era a bocca aperta. Un fiocco di neve
le cadde sul labbro e lo leccò via.
“Intendi…” fece un cenno con la testa
alle
mani di Quelana. “Come il tuo fuoco.”
“Sì”
le disse Quelana. “Mentre gli
stregoni cercano la conoscenza, e i chierici conducono una vita di
servitù, i piromanti
ne
conducono una di controllo. Non
chiedi un favore alle fiamme, ordini
loro di fare come desideri.”
La
ragazza aveva gli occhi sgranati, e
Quelana colse l’occasione per far danzare una fiammella sulla
mano, dal pollice
al mignolo, prima di spegnerla. Abby deglutì e
guardò di nuovo Quelana negli
occhi. “E possono apprendere tutti
la
piromanzia? Ci proibivano di parlarne a scuola.”
“Tutti”
disse Quelana. “L’unica cosa importante
è ricordarsi che tu controlli le
fiamme,” disse dolcemente, e la sua mente andò per
un attimo a Salaman, “ma devi
anche temerle…o ti consumeranno.”
Il
volto di Abby era acceso d’interesse,
curiosità, timore, ed entusiasmo. Si morse il labbro e
fissò le mani di
Quelana. “Così…saresti disposta a
prendermi come tua alunna?”
“Sì.”
Abby
deglutì. “Quel cavaliere ha detto che
non sei umana. Che sei…una strega. Che sei nata
dal fuoco. È davvero così?”
“Sì.”
La
ragazza corrugò la fronte, non
aspettandosi chiaramente una risposta così schietta.
“Oh…capisco.”
“Veniamo
entrambe da anime oscure,
ragazza” insistette Quelana. “Non possiamo essere
tanto diverse.”
“Forse
no” ammise Abby annuendo, e in quei
suoi occhi azzurri si accese una scintilla di speranza.
“Che
stai facendo là in fondo, ragazza?!”
la voce di Patches giunse attraverso lo spiazzo. “Stai
lontana dalla cagn-ehm,
uhm, strega e portaci un altro otre
di vino.”
Abby
sospirò. “Non sono sicura di essere a
mio agio con gli altri…sembrano così decisi a
combattere tutto. E ora bevono
quando potrebbero esserci
pericoli appena oltre queste colline.”
“Sangue
e vino” disse Quelana. “Due cose
delle quali gli uomini saranno sempre
bramosi.” Il suo sguardo si posò sul corpo della
ragazza di fronte a lei. “E
c’è una terza
cosa che desiderano. Ti
conviene stare all’erta per proteggerla, perché io
non ti posso aiutare così
legata.”
Abby
ci pensò un attimo, poi comprese.
“Oh” disse, con una smorfia, stringendosi ancor
più le vesti addosso.
“Io…cercherò di convincerli a
liberarti. Se sarò una tua alunna, non possono
trattarti così, no?”
Quelana
sorrise. “Sei…molto dolce.
Speriamo che tu abbia ragione.”
Abby
ricambiò il sorriso. “D’accordo. La
prima cosa che farò domani mattina sarà parlare
col cavaliere.”
“Vacci
piano con lui” la ammonì Quelana.
“L’ego di un uomo è fragile e lui tende
a ferire ciò che lo mette a rischio.”
Abby
annuì, e sollevò il bavaglio, con un
sorriso comprensivo. “Mi dispiace” disse, e si
piegò in avanti per legarlo
nuovamente attorno alla testa di Quelana.
“Un
guanto,” disse Quelana prima di essere
zittita di nuovo. “Una piromante ha bisogno di un guanto.
Preoccupati di
trovare uno.”
“Va
bene” disse Abby e mise a posto il
bavaglio. “Un guanto e la tua liberazione saranno le prime
cose che chiederò
domani mattina. E…grazie.”
Quelana
annuì, la ragazza le abbassò di
nuovo il cappuccio sul volto, e poi tornò al gruppo di
uomini che scoccava
frecce nel terreno il loro vino. C’era qualcosa nella ragazza
che le aveva dato
un senso di speranza che non provava da molto tempo. Forse sarebbe
stata lei a
portare finalmente la pace a Izalith e a liberare le sue sorelle dal
loro
destino crudele. Forse sarebbe stata lei a porre fine a questo ciclo di
fallimenti che aveva distrutto Lordran.
Fu
con questi pensieri di speranza che
Quelana si addormentò.
Sognò
del fuoco; sognò di un grande eroe
che si levava da un lago di cenere per spazzare via con le fiamme tutti
i
mostri del mondo - uomini e demoni. L’eroe era basso e magro,
ma determinato, e
aveva dei bellissimi occhi azzurri.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
L’ombra
avanzò attraverso il letto di cenere e ossa e sul
suo cammino lasciò scie di fuoco e caos; era la morte e
stava venendo a
prenderli tutti. Le ossa che frantumava divennero una bestia, e la
bestia cercò
di fermarla, ma dalle mani dell’ombra uscirono fiamme, e la
bestia d’ossa fu
distrutta in un vortice di ardente distruzione. Le ceneri liquide
presero la
forma di un gigantesco golem, ma il potere dell’ombra era
cresciuto. Si sollevò
dal lago di morte come tentacoli di fumo nero. Il fuoco che si era
acceso nelle
sue mani era divampato sulle braccia e sul suo corpo, finché
non ci fu più
ombra: c’era solo fuoco. Il Dio di fuoco baciò la
cenere e baciò le ossa e
baciò il cielo stesso. Presero tutti fuoco e il mondo stava
bruciando. Il volto
del Dio di fuoco lo guardò ed era il volto di lei per un
istante, poi un altro,
poi di nuovo il primo, poi un altro ancora.
“Ana!” urlò
Lautrec. I suoi occhi si spalancarono mentre si alzava a sedere dal
freddo
letto di neve sotto di lui, annaspando. La sua pelle era calda e
appiccicosa
sotto i suoi abiti, ma le sue mani erano ghiacciate. Se le
infilò sotto le
ascelle e ci mise un attimo a capire dov’era.
L’oscurità
lo circondava, avvolgendo ancora le terre di
Lordran nel buio. Il fuoco che avevano acceso prima che si
addormentasse era
spento, e le sagome confuse dei suoi compagni di viaggio erano masse
immobili
in semicerchio. Le ombre diventano fiamme,
pensò per un attimo prima di cacciare quella folle idea
dalla mente. “Patches”
sussurrò oltre il falò; si ricordava fosse
compito dell’uomo calvo stare di
sentinella.
Quando
Patches non rispose, Lautrec fu colto da un altro
folle pensiero. Sono morti. Sono tutti
morti e congelati ed io sono l’ultimo uomo rimasto al mondo.
“Patches!”
disse di nuovo.
Una delle
masse immobili si mosse nel buio e grugnì.
“Mmh…fanculo.”
“Ti
sei addormentato durante il tuo turno di guardia” lo
rimproverò Lautrec. “Saremo potuti essere tutti
sgozzati nel sonno.”
Il fagotto
si alzò improvvisamente. “Maledetti gli
Dei…Io,
ehm, non stavo dormendo. Stavo solo…riposando gli occhi,
ecco tutto.” Patches
stette in silenzio per un momento, poi aggiunse “Comunque,
c’è un buio dannato
qua fuori senza il falò. Dubito che qualunque assalitore
avrebbe potuto trovare
le nostre gole da sgozzare in ogni caso.”
“Scommetto
che riuscirei a trovare la tua” gli disse
Lautrec.
L’unica
risposta fu la risata nervosa di Patches.
“Non
ti sembra…sbagliato?” gli chiese Lautrec.
Fissò l’orizzonte
lontano, le vette delle montagne, vagamente illuminate dalla pallida
luna.
“Questa notte, intendo. Sembra stranamente lunga. Il sole
dovrebbe essere già
sorto a quest’ora.”
“Forse
abbiamo cancellato il sole dall’esistenza chiudendo
gli occhi? Ha!” rise Patches.
La battuta
non piacque a Lautrec. Il sole sembrava già
morente quando erano arrivati a Lordran. L’ipotesi che ora
fosse morto non era così
azzardata come
avrebbe preferito. Aveva smesso di nevicare, ma era persino
più freddo, e non
sembrava che il sole avesse intenzione di sorgere presto.
“Dobbiamo riaccendere
il fuoco” disse Lautrec.
“Su
questo, amico mio, mi trovi d’accordo” disse
Patches.
Lautrec si
alzò, stiracchiandosi la schiena rigida come non
lo era mai stata quando aveva vent’anni, ma dieci passati
sotto il peso della
sua armatura dorata avevano lasciato il segno, così aveva
bisogno di un po’
d’esercizio dopo la notte. Prese la sua armatura dietro di
lui, trovò i suoi
stivali e se li infilò ai piedi. Afferrò un ramo
spesso dal falò e si diresse
verso Quelana.
Stava
ancora dormendo quando arrivò da lei, legata dalle
spalle alla vita a un pilastro di pietra dietro di lei. Si
accucciò al suo
fianco e le scosse la spalla. “Svegliati, strega. Mi servono
le tue fiamme.”
Quando non rispose, la scosse più forte.
“Svegliati” disse ad alta voce.
Nuovamente, non rispose allora le sollevò il cappuccio dalla
testa e-
-sussultò.
Nella fioca luce della luna, vide che il suo
volto era più pallido del solito, e che gli occhi le erano
ruotati indietro,
lasciando due cerchi bianchi al loro posto. Tremava violentemente e i
denti
erano serrati sul bavaglio nella sua bocca. “Ehi!”
urlò Lautrec, strappando il
bavaglio. La sua bocca si chiuse immediatamente, ma riusciva a sentire
i denti
tremare l’uno contro l’altro al suo interno.
“Che
succede?” disse Patches dal falò.
“Sta
avendo…un attacco o qualcosa del genere” disse
Lautrec.
“Attento,
Lautrec” lo mise in guardia Patches; la sua voce
era più vicina. “È una strega, non lo
dimenticare. Forse è un trucco. Potrebbe essere
un tentativo di prenderti alla sprovvista.”
“Non
è un trucco,
idiota, portami qualcosa con cui coprirla - sta tremando”
ordinò Lautrec, e
l’agitazione nella sua voce sorprese se
stesso. La strega gli aveva salvato la vita, più o
meno, e voleva saldare
il debito, se possibile.
Patches fu
dietro di lui un attimo dopo. Lautrec allungò la
mano e Patches ci appoggiò sopra un piccolo fagotto di
stoffa. “È tutto qiqjocndmssssssssssssssqui?
Cosa diavolo sarebbe
questo?”
“È
la veste di un uomo che ho ucciso. Era proprio un
piccolo bastardo di un chierico” disse Patches.
“È tutto quello che abbiamo,
Lautrec. Non eravamo esattamente preparati
all’arrivo su Lordran di una maledetta tormenta.”
“Non
eravamo preparati a niente di tutto ciò. Questo è
il
problema” ammise Lautrec. Slegò il nodo che legava
la strega al pilastro e lei
cadde tra le sue braccia l’istante in cui fu liberata.
Controllò che i polsi
fossero ancora legati prima di avvolgere la veste da chierico stretta
attorno
al suo corpo e alle sue spalle. Oltre a quello, non sapeva che altro
fare per
lei.
“Assicurati
che non si strozzi con la lingua” disse
Patches. “Diamine…sta davvero
tremando come una dannata foglia al vento.”
Stette
così seduto accanto a lei per un po’, aprendole
ogni
tanto le labbra con le dita per assicurarsi che la lingua fosse ancora
al
proprio posto. Lautrec si era quasi dimenticato come fosse stringere
una donna,
e quanto potesse essere piacevole, ma ricordò a se stesso
che Quelana non era
una donna, e nemmeno umana, e che
la
cosa tremante che stringeva tra le braccia era una strega nata dalle
fiamme che
lo odiava.
L’alba
non era ancora arrivata quando lei parlò, “Sto
morendo.”
La sua voce
fioca colse Lautrec di sorpresa. Allungò il
collo in avanti per guardarla in viso. Gli occhi erano ritornati al
loro posto,
ma tremava ancora tra le sue braccia, e il suo volto era pallido e
solcato da
rughe di sofferenza. “Non stai morendo, strega. Hai
avuto…una crisi di qualche
tipo” le disse Lautrec.
“Non
mi sono mai sentita così” sussurrò
Quelana, la voce
tremante come il suo corpo. “Tutto il calore del
mondo...è svanito. È fuggito
dal mio corpo ed è stato sostituito da uno strato di pietra
e morte. Mi fa
tremare.”
“Hai
solo freddo” le disse Lautrec.
“Ho
trascorso tutta la mia esistenza senza provare mai
questo ‘freddo’ del quale la tua gente
parla” disse Quelana. “Mi stai dicendo
che lo sto provando solo adesso?”
“Ho
visto una ragazza convincere un demone a inginocchiarsi
a parole ieri” disse
Lautrec. “Ho
visto una bestia con due teste. Ho visto una tormenta rovesciare il mondo in un batter d’occhi, ed
ho
assistito a due giovani che morivano e risorgevano dalle fiamme. Le
cose sono
cambiate, strega. Forse questa è una di quelle.”
“Non
mi sentivo così prima di addormentarmi” disse
Quelana,
ancora tremante tra le sue braccia. “E poi ho fatto un
sogno…o forse era un
incubo.”
“Ehi,
anche tu hai sognato, strega del fuoco?” chiese
Patches. Lautrec si voltò verso la sua figura
nell’ombra, un paio di metri più
in là; si era persino dimenticato che l’uomo fosse
lì. “Anch’io.”
Lautrec si
accigliò mentre un nodo di ansia gli si
stringeva nello stomaco. “…pure io.”
“Ah
sì?” chiese Patches. “Nel mio
c’era mia madre. È buffo,
però: la vecchia è morta
da vent’anni
ormai. Non ho sognato di lei una singola
volta. Era avvolta nelle fiamme e combatteva tutti questi
mostri e queste
creature. Tipo, forse mi stava proteggendo? Troppo poco, troppo tardi,
dolce
madre. Ha.”
“Anche
nel mio sogno c’era un guerriero in fiamme” disse
Quelana, e Lautrec notò che i suoi brividi si calmarono
leggermente. “Solo che
il guerriero aveva il volto della ragazza Prescelta. Di Abby.”
“Fare
lo stesso sogno di una strega?” disse Patches. “Non
può venirne niente di buono. A meno che tu non abbia sognato
la stessa
maledetta cosa, Lautrec.”
“No”
mentì lui. Il volto di lei era ancora nella sua mente,
sorridente un attimo, in lacrime quello dopo, e infine implorante.
Implorandolo
per ciò che si meritava. “Ho sognato di vincere un
torneo.”
Quelana lo
fissò per un momento prima di dire “È
una bugia.
Ma non voglio parlare oltre di questi sogni, in ogni caso. I sogni
parlano per
mezzo di indovinelli, e mi piacerebbe riflettere sul mio.”
E
d’un tratto, i suoi brividi cessarono. La sua calma
improvvisa tra le sue braccia era quasi destabilizzante.
“Era
ora” disse Patches alzandosi. “È
l’alba.”
Lautrec
alzò lo sguardo verso il lontano orizzonte a est ed
era vero: quello smorto, azzurro, ovale di luce stava sorgendo,
ghermendo le
cime delle montagne con dita di luce.
“Liberami”
disse Quelana.
“Non
c’è di che” rispose Lautrec seccamente e
le tolse la
veste del chierico.
“Ti
ringrazierò quando
terrai fede alla tua parola e mi riporterai alla Città
Infame così che io possa
scoprire cos’è accaduto alle mie
sorelle” gli disse Quelana.
“Col
tempo” disse Lautrec, stancandosi della sua insistenza
nel ritornare in quel posto malato. “Prima di tutto, devo
trovare qualcuno.
Devo scoprire cos’è successo
a
Lordran da quando ce ne siamo andati. Sembra che siamo stati via per
poco
tempo, ma…il tempo potrebbe essere stato distorto. La notte
mi è sembrata strana
e fin troppo lunga. Chi può sapere quanto tempo è
passato mentre eravamo
stretti negli artigli del corvo.”
“Potrebbero
essere passati giorni”
disse Patches.
“Potrebbero
essere passati anni” lo
corresse Lautrec. “Chi lo sa? Ecco perché dobbiamo
trovare
qualcuno.”
“Oppure
sarai trovato
da qualcuno…” aggiunse Quelana, e i tre si
scambiarono un silenzio sgradevole
mentre veniva mattina a Lordran. Patches fece un gesto con le mani,
scosse la
testa, e se andò verso il falò. Anche Lautrec
stava per voltarsi per andarsene
quando le parole della strega lo fermarono. “Voglio prendere
la ragazza come
mia alunna.”
Alzò
un sopracciglio e la guardò. “La ragazza?”
Quelana
aveva un’espressione dura in volto. Annuì.
“Sì.
Abby. Voglio insegnarle le arti della piromanzia.”
“Mi
hai appena detto che vuoi essere riportata nella Città
Infame.”
“È
così. Con la
ragazza.” Quelana si mosse un po’ nelle corde e lo
fissò con gli occhi
socchiusi. “Anche se non mi aspetto di essere liberata
così facilmente. Ti
accompagnerò senza lamentarmi o tentare di scappare
finché non avrai raggiunto
qualunque luogo vorrai. In cambio, quando avremo finito…la
ragazza è mia.”
Un sorriso
increspò le labbra di Lautrec. “Rivendichi la
proprietà sulla nostra piccola monaca Prescelta, non
è così? Trasformerai
quella poveretta in una piromante e dovrò preoccuparmi che due di voi non mi incendino.”
“Le
darò forza. Le darò consigli e uno scopo. Sarebbe
un
potente alleato per entrambi.”
“E,
certamente, ti stai basando sul trucchetto di ieri con
il Demone Toro?” chiese Lautrec.
“Quello”
ammise Quelana “e altro. E ovviamente
c’è anche il
fatto che abbiamo sognato entrambi questa notte.”
Ridendo, piangendo,
implorando; il suo volto, poi quello di Abby, poi di nuovo il suo.
“E tu
come fai a saperlo?” chiese Lautrec.
Fu il turno
di Quelana di sorridere. “Non lo sapevo fino ad
ora.” Quando Lautrec si accigliò, il suo sorriso
si allargò soltanto. “Puoi
tenermi prigioniera per il resto dei tuoi giorni, cavaliere, ma
indebolirai
solo il tuo gruppo, mettendo in pericolo tutte
le nostre vite. Liberami e starò con te e
prenderò la ragazza come mia alunna
fino a che non avrai più bisogno di noi. Questa è
la mia offerta.”
Lautrec
soppesò le parole della strega, grattandosi la
corta barba che gli stava crescendo sul mento e sulla mandibola.
Quelana lo
fissò con i suoi occhi verde smeraldo, aspettando una
risposta. O dice la verità sul
prendersi cura della
ragazza e restare con noi, pensò Lautrec, o è un’ottima bugiarda.
In nessuno dei due casi si sentiva
tranquillo. “Conosco bene queste terre, strega” le
disse, avvicinandosi con il
suo shotel. “Non farmi sì che ti debba venire a
cercare. Quando ti troverò,
potrei non essere più gentile come sono stato
finora”. Con queste parole,
tagliò l’ultimo pezzo di corda ancora stretto
attorno a lei. Si sedette
massaggiandosi i polsi e fissandolo finché non
rinfoderò la lama e ritornò al
falò.
“Potresti
aver fatto un errore, amico mio” disse Patches
quando fu tornato, puntando il pugnale che aveva appena affilato verso
Quelana.
“Presto ci beccheremo delle palle di fuoco nel culo. Se
dovesse succedere…stai certo
che ucciderò la strega”. Lautrec
gli lanciò un’occhiata fredda e non ritornarono
più sull’argomento.
Abby e
Benjamin si svegliarono poco dopo: il ragazzo
lamentandosi del torcicollo; la ragazza allegra ed entusiasta,
soprattutto quando
Quelana li raggiunse al falò e le disse che sarebbe
diventata la sua maestra. I
grandi occhi azzurri della ragazza si inumidirono e un sorriso le
illuminò il
suo bel volto, ma quando cercò di ringraziare Lautrec, lui
alzò solo la mano,
scosse la testa, e le disse di prepararsi per il cammino. Il gruppo
raccolse
velocemente il poco che avevano, poi lui li condusse verso le colline
ad ovest,
e verso il Borgo dei Non Morti, dove sperava di trovare
qualcuno…e non qualcosa.
Patches si mise in testa, Benjamin
dietro di lui, e Lautrec li fece seguire da Quelana e Abby, facendo lui
stesso
da retroguardia mentre teneva d’occhio la strega. Mentre
salivano i gradini
spaccati e consumati, rivolse un ultimo sguardo al santuario, alla
gabbia vuota
scavata nel terreno e al falò che stava al centro di tutto,
senza riuscire a
levarsi di dosso l’inquietante sensazione che non li avrebbe
mai più rivisti.
Arrivarono
alla lunga e stretta galleria delle fogne, che
li avrebbe portati al Borgo dei Non Morti, senza vedere un singolo
essere
vuoto. È come se il mondo fosse
scomparso
lasciando solo i demoni a comandare, pensò Lautrec
mentre scendevano
l’ultima rampa di gradini. I
demoni…e noi.
La galleria
delle fogne era buia, fredda, e puzzava come la
morte stessa. Mentre si spostavano lentamente nella sua gola, Lautrec
osservò
le diverse reazioni dei suoi compagni di viaggio dalla sua posizione
nel retro.
Patches grugnì qualcosa sulla puzza e fece una pessima
battuta sui ratti e
sulle malattie. Ben arrancava dietro di lui, imbronciato, con il suo
arco corto
che dondolava in vita. Quelana continuava a sussultare ad ogni ombra,
ogni
rumore, e Lautrec poteva scorgere piccole fiammelle che minacciavano di
uscire
dalle sua dita ogni volta. Non aveva mai lasciato la Città
Infame ed era giustamente
prudente; dopo quello che aveva visto, Lautrec era contento di avere un
altro
paio di occhi vigili sui pericoli di Lordran. Abby si era svegliata con
il
sorriso, e non era minimamente svanito mentre marciavano nello sporco e
nel
liquame. Accarezzava la parete della galleria, facendo commenti sulla
stupefacente architettura e comparandola alle case di Vinheim. Quelana
le disse
qualcosa sottovoce e la ragazza rise e rispose, anche lei a bassa voce.
Lautrec
si accigliò, capendo che se le due fossero diventate maestra
e allieva, il loro
rapporto si sarebbe rafforzato incredibilmente. E
poi rimarrai solo con un ragazzo inutile e un uomo che prima ti
getterà in un buco e poi te ne tirerà fuori,
pensò Lautrec.
Raggiunse
le due e afferrò il braccio di Abby, allontanandola
dalla strega. Quelana lo fissò con quel suo serio e attento
sguardo, ma Lautrec
aspettò che riprendesse a camminare.
“Che
cosa c’è?” chiese Abby quando si furono
rimessi in
cammino.
“Non
è prudente parlare con una strega standole così
vicino”
le disse Lautrec. “A meno che tu non voglia diventare sua
schiava”.
Abby rise.
“Il suo incantesimo su di me non funziona,
però”.
“Non
funziona? O non l’ha ancora
fatto? Non essere arrogante, ragazza” la ammonì
Lautrec.
“Non sai nulla dei pericoli che ci potrebbero
attendere…o di quelli che
camminano al nostro fianco”.
“Non
ho paura” disse Abby, alzando leggermente il mento.
“È
questo il problema. Non avevi paura nemmeno al Rifugio
dei Non Morti, e ti sei presa una freccia sul petto per questo motivo.
Farai
meglio a imparare che questo mondo è ricoperto di spine, e
se non starai
attenta, ti dilanierà”.
Abby si
voltò a guardarlo e lui notò una scintilla di
intelligenza in quei suoi occhi da cerbiatta. “Se
è come dici, perché dovrei
fidarmi di te?”
Lautrec
annuì. “Ora stai imparando, ragazza”
disse mentre
si avvicinavano alla fine della galleria. “Non
dovresti”.
Il Borgo
dei Non Morti era desolato come il Santuario del
Legame del Fuoco. Gli edifici cadenti e in rovina del passato si
ergevano come
sentinelle attorno a loro; fatiscenti pile di pietra crollata e legno
incurvato
si appoggiavano le une sulle altre. A nord gli antichi bastioni della
città li
osservavano dall’alto, i tetti ricoperti da diversi metri di
neve, i loro merli
e le loro feritoie distrutti. La neve scendeva dal sole smorto nel
pallido
cielo sopra di loro e freddi venti spazzavano le strade.
“È
bellissimo” disse Abby a voce bassa e rispettosa.
“È
merda, ecco
cos’è” la corresse Patches, voltandosi
verso Lautrec. “Dove diavolo sono i
dannati esseri vuoti?”
“Questo
luogo sarebbe dovuto essere infestato, giusto?”
disse Benjamin. “Io e miei amici spesso ci raccontavamo le
storie sul grande
disastro che colpì il Borgo che avevamo sentito dai nostri
genitori e dai
loro.” Saltò sopra il muretto di pietra che dava
sul borgo inferiore e si
schermò gli occhi con la mano sulla fronte. “Ma
non c’è nulla.
Quelle storie erano false…o è questo mondo a esserlo?”
Quelana
sembrava persino più a disagio con tutto quel cielo
sopra di lei. Prese Abby per il gomito e le si avvicinò.
“Non dovremmo essere
qui. Questo posto sembra…sbagliato.”
“Qui
siamo esposti,” disse Lautrec indicando davanti a
sé.
“Se volete sedervi e discuterne, fatelo con la schiena contro
un muro.
Muovetevi.”
Così
si spostarono. Diede istruzioni a Patches, e l’uomo
calvo li portò sopra ponti e sotto arcate, attraverso
edifici e varchi vuoti e
decadenti, salendo scale e scendendo pendii, eppure mentre esploravano
sempre
più a fondo il Borgo, Lautrec non riusciva a ignorare il
presentimento che la
strega avesse ragione: qualcosa in quel posto era
sbagliato.
Fu mentre
si avvicinavano alla torre che portava in cima ai
bastioni che Benjamin disse, “Ci stanno osservando.
L’edificio accanto al ponte
che abbiamo attraversato prima. Ho visto due volte del movimento, una
prima,
una appena adesso.”
Abby e
Patches si voltarono per guardare e Lautrec sentì
salire la rabbia. “E ora sanno che se non altro ne siamo al
corrente,” li
rimproverò prima di rivolgersi al ragazzo, “Ne sei
sicuro?”
Ben
annuì. “Dite tutti che sono inutile, ma ho un
occhio
attento. È per questo che mio padre mi mise tra le mani un
arco quando tutto
ciò che avrei voluto era una penna.”
“Farò
il giro,” disse Patches. “Coglierò quel
bastardo di
sorpresa.”
“Inutile.
Adesso sanno che siamo qui a discuterne,” disse
Lautrec e, dato che non poteva peggiorare la situazione, si
voltò per osservare
lui stesso. L’edificio che aveva indicato il ragazzo sembrava
vuoto e
abbandonato come tutti gli altri, ma diverse finestre segnavano il
muro; molti
posti nascosti da cui spiare. “Voglio parlare con lui. O con
lei.”
“Presumi
sia una persona…e non un altro demone,” disse
Quelana.
“I
demoni sanno solo attaccare. Non pedinano, non
aspettano, non pianificano,” spiegò Lautrec.
“Chiunque ci stia osservando…lo fa
per un motivo.”
“E poi?”
chiese
Abby. “Anche a me piacerebbe parlare con qualcuno. Magari lo
chiamiamo? Dopo
tutto, non ci ha attaccato. Potrebbe non avere intenzioni
ostili,” ma quando
Lautrec la guardò, sospirò, con
un’espressione mortificata. “Ma
immagino…che il
mondo sia malvagio.”
Quelana
notò i loro sguardi e aggrottò la fronte.
“Ti ha
detto questo? Non lasciare che ti privi del tuo ottimismo, Abby. Ti
tiene al
caldo in questo mondo gelido.”
Abby
sorrise. “Grazie.”
“Commovente,”
disse Patches seccamente, “ma se a voi va
bene, preferirei spostarmi prima di beccarmi una freccia nel
culo.”
Lautrec
aveva aperto la bocca per rispondere quando vide
lui stesso il movimento. Però non era stato nel lontano
edificio che aveva
indicato prima Benjamin, ma da una finestra della caserma vicino a
loro. “Abbassatevi,”
ordinò, afferrando Quelana al suo fianco e tirandola
giù vicino al pavimento di
pietra sotto i loro piedi.
“Lasciami,”
scattò lei, voltandosi per assicurarsi che
anche Abby si fosse abbassata.
“È
in quell’edificio,” disse Lautrec, indicando
davanti a
sé.
Patches
condusse Ben più in là, dietro i merli della
città,
dividendo l’obiettivo nemico. Anche Lautrec si
spostò verso destra e Quelana
accese le proprie mani. Abby osservava in silenzio, stupita.
“Sei in inferiorità
numerica!” urlò Lautrec, lanciando uno sguardo
sopra al muro. La caserma era
immobile e silenziosa in risposta; la neve gocciolava dal tetto e dai
davanzali. “Non vogliamo combattere! Voglio solo sapere
cos’è successo a
Lordran!”
Ci fu un
lungo istante di silenzio prima che arrivasse una
risposta, attutita dalla pietra e dal legno del suo nascondiglio,
“In
inferiorità, dici? Non credo.”
La voce
aveva un accento particolare, e a Lautrec suonò
familiare. Guardò i suoi compagni di viaggio, ma nessuno
sembrava più sicuro di
quanto non lo fosse lui. Lanciò un altro sguardo e
urlò, “Che intendi dire?”
Un altro
lungo silenzio, poi, “Il sole tramonta.
Arriveranno i cani. Sono la vostra unica speranza. Fate come vi
dico.”
Patches
sbuffò divertito, allontanatosi ancora lungo la
merlatura. “Non prenderci per idioti, amico! Non è
passata nemmeno un’ora
dall’alba! Abbiamo ancora tutto il giorno per scappare
dall’arrivo di questi
‘cani’ di cui parli.”
Dopo il
solito silenzio, la voce parlò, “Allora forse
siete
davvero viaggiatori da un altro
mondo. I giorni si accorciano e le notti si allungano a Lordran.
Guardate il
cielo e vedrete che ho ragione.”
Lautrec
alzò lo sguardo. La neve gli bagnò la fronte, il
vento soffiò tra i suoi capelli, e un brivido gli corse
lungo la schiena.
L’uomo aveva ragione; il pallido sole aveva già
iniziato la discesa verso
l’orizzonte a occidente.
“…impossibile,” mormorò.
“Fate
come vi dico, viaggiatori, e sopravvivrete alla
notte. O ignoratemi e i cani vi prenderanno, anche se chiamare queste
bestie
‘cani’ potrebbe non essere corretto. Sono mostri,
creazioni dell’oscurità
stessa, desiderano solo devastare e distruggere. Sfidate la sorte
contro di
loro stanotte…o deponete le armi e lanciatele a me. Decidete
in fretta. Giunge
la notte e con essa…la morte.”
Lautrec
guardò alla sua sinistra e vide che i suoi compagni
di viaggio stavano tutti fissando lui. Nonostante tutte le loro
lamentele, i
loro rifiuti e la rabbia per i suoi ordini, quando era il momento di
prendere
decisioni, lo consideravano ancora il loro leader. La sua decisione fu
semplice: aveva bisogno di risposte ed era determinato a trovarle
quindi si
alzò, sguainò i suoi shotel, e li
scagliò sulla piattaforma rialzata fuori
dalla caserma. Patches imprecò, ma fece lo stesso, Ben e
Abby dopo di lui.
Quelana non aveva armi, quindi non gettò nulla, ma lei e
Lautrec si scambiarono
uno sguardo e domò le fiamme nelle sue mani, ritirandole
nella sua veste. Il nostro segreto,
pensò lui, e lei
annuì, sembrando d’accordo.
“Saggia
decisione,” disse la voce. “Ora mettete le mani
sopra la testa e tornate per la strada dalla quale siete arrivati. Fate
in
fretta, se volete sopravvivere.”
Mentre
marciava, Lautrec finalmente riconobbe la strana
voce. Era Domhnall di Zena, il mercante e collezionista di oggetti
rari, e ora
la sua vita era nelle mani di quell’uomo.
E nel
cielo, l’oscurità stava arrivando velocemente.
Venendo a
prenderli tutti.
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