Maybe someday you and I will owe nothing more to our people.

di bicorn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** About school and sexy brunette. ***
Capitolo 2: *** "Royal balls are such a bore, aren’t they?" (1) ***
Capitolo 3: *** "Royal balls are such a bore, aren’t they?" (2) ***
Capitolo 4: *** About parents and dinner and a lot of sex. ***
Capitolo 5: *** The universe was made just to be seen by your eyes. (1) ***
Capitolo 6: *** The universe was made just to be seen by your eyes. (2) ***
Capitolo 7: *** The universe was made just to be seen by your eyes. (3) ***
Capitolo 8: *** The Princess and the Captain. ***
Capitolo 9: *** Ripetizioni. ***
Capitolo 10: *** B26 ***
Capitolo 11: *** Pieces - Now, we survive. ***



Capitolo 1
*** About school and sexy brunette. ***


About school and sexy brunette.

Clarke si gustava sul divano la sua maratona di serie tv su Netflix quando Octavia entrò sbattendo la porta e andando in cucina.
La bionda, abituata com'era alle sfuriate della cugina, non le badò molto, almeno fino a quando questa non iniziò a sbraitare il suo nome.

 
Si? Domandò Clarke, ancora completamente immersa nella puntata di Orange is the new black.

Dio, Clarke, non ce la fai proprio oggi! Ti ho chiesto se puoi andare tu a scuola. Pare che Alison abbia litigato con un bambino e l'insegnante vuole parlare con i genitori.
Di nuovo? Ma sei tu la mamma! Sbuffò Clarke alzandosi dal divano e scrollandosi le briciole di pop corn di dosso, sapendo già dove la discussione sarebbe andata a finire.

 
Clarke, ti lascio dormire a casa mia senza chiederti niente in cambio perché sei come una sorella per me, ma dammi una mano. Lo sai che gli orari di lavoro per me e Lincoln sono-
Ho capito, ho capito! Sto andando! Gridò Clarke dall'altra parte della casa mentre infilava i pantaloni.


Lexa controllò l'orologio per la terza volta sbuffando e poi si allentò la cravatta.
Faceva parecchio caldo quel pomeriggio di maggio e la donna stava perdendo la pazienza.

Era stata convoncata a scuola perché il figlio, Aden, era finito in una rissa con un'altra bambina. Suo figlio, al quale aveva sempre insegnato il rispetto per ogni essere umano, soprattutto per le donne.

Era solo un bambino alla fine, ma cose come questa non erano mai state tollerate in casa Woods.

Quindi alla sua irritazione per la situazione e per il caldo, si aggiungeva anche il ritardo dell'altra mamma.

La maestra, seduta sulla panchina del cortile della scuola, la osservava con uno sguardo di scuse. Lexa stava quasi per prendere il figlio per mano e andarsene quando in lontananza vide arrivare una bambina dalla pelle olivastra e i capelli scuri, che stringeva la mano di quella che Lexa supponeva essere la mamma.

Non appena furono abbastanza vicine, la giovane CEO si trovò sorpresa nel notare l'immensa differenza tra la donna, dai lunghi capelli biondi e luminosi e due occhioni blu (i più belli che Lexa avesse mai visto), e la piccola bambina, che oltre ai capelli aveva anche gli occhi scuri.

 
Tu devi essere Lexa! Annunciò così la sua presenza la donna, sorridente, facendo rabbrividire Lexa per il modo in cui questa aveva pronunciato il suo nome.

La maestra si alzò entusiata, quasi sollevata di vederla salve signor-

E lei è in ritardo disse Lexa fredda, rivolgendosi alla ragazza. Intanto il suo sguardo iniziò a scrutare la figura della bionda, che indossava una lunga t-shirt colorata e un paio di pantaloncini che lasciavano scoperte le sue lunghe gambe.
 
La bambina si nascose dietro il braccio della mamma, mentre il sorriso di Clarke non fece altro che ampliarsi ancora di più.

Mi dispiace, mia cugina mi ha detto solo mezz'ora fa dell'incontro e mi ha chiesto di sostituirla.

Lexa alzò il sopracciglio com'era solita a fare e fece due conti. Quindi non era la mamma. Poi, per qualche strana ragione, il suo sguardo corse alla sua mano sinistra e notò l'assenza della fede sull'anulare.

Non era nemmeno sposata.
Ad ogni modo, cerchiamo di risolvere la questione il prima possibile che non ho più tempo da perdere disse sbrigativa Lexa distogliendo lo sguardo.

Ora fu il turno di Clarke di alzare il sopracciglio. Scrutò, di nuovo, la figura slanciata della donna, notando come i suoi vestiti eleganti, probabilmente abiti da lavoro, stonassero con i suoi capelli ricci e ribelli. Gli occhi verdi brillavano sotto il sole di maggio e Clarke si ritrovò a mordersi il labbro. Dio, era sexy.

 
L'insegnate tentò nuovamente di prendere parola quando Clarke la precedette sono d'accordo, signora..?

Signorina si affrettò Lexa a precisare riportando la sua attenzione sulla ragazza signorina Woods.

Bene, signorina Woods. Penso che dovremmo risolvere la situazione dando ai bambini la giusta punizione, così da non perdere altro tempo prezioso che potrebbe tranquillamente essere impiegato davanti un caffè. Magari potremmo prenderlo insieme, odio prenderlo da sola. Lei che dice?Propose sfacciata Clarke, sfoggiando il sorriso più sexy del suo repertorio.

 
Lexa si ritrovò ad arrossire come non faceva da tempo e si allentò ancora di più la cravatta lei ha una bella faccia tosta!

E lei è sexy rispose prontamente Clarke. Poi, finalmente, degnò della giusta attenzione l'insegnate e disse ancora più sbrigativa di Lexa allora, si può sapere cos'è successo?


Qualche ora più tardi, una volta riaccompagnati i bambini a casa, Lexa era riuscita a liberarsi di tutti i suoi impegni del pomeriggio, come per magia.

E ora stringeva tra le mani la tazzina di caffè mentre rideva, e rideva sul serio come non le capitava da tempo, alle battute della biondina più strana che avesse mai conosciuto.

Intanto Clarke, completamente immersa negli occhi più belli e verdi che avesse mai visto, si ripeteva come un mantra che sarebbe dovuta andare a scuola per la sua dolce nipotina più spesso.

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Capitolo 2
*** "Royal balls are such a bore, aren’t they?" (1) ***


"Royal balls are such a bore, aren’t they?" 

[First part]

La principessa si lisciò il pesante vestito prima di sedersi, cercando di non perdere l'equilibrio a causa della sua pesante e complicata acconciatura.

I balli reali sono così noiosi, pensò la giovane mentre osservava le sorelle danzare con giovani principi e uomini appartenenti alla più alta nobiltà.
Il padre amava quei stramaledetti balli, inoltre non vedeva l'ora che le tre figlie trovassero marito.

Quella sera del 1815 Clarke Griffin, figlia del re John Griffin, aveva ricevuto niente di meno che tre proposte di matrimonio. E com'è consono, in quei casi, i tre giovani principi avrebbero dovuto sfidarsi in un torneo per vincere la sua mano.

Tutto ciò, pensò amaramente Clarke, era ingiusto.
Avrebbe dato qualunque cosa per poter decidere da sola chi sposare; avrebbe addirittura rinunciato al suo titolo di principessa e futura regina.

I suoi occhioni stanchi e annoiati correvano sulla pista da ballo, notando che Finn Collins e Wells Jaha la stavano ancora guardando. Non le avevano tolto gli occhi di dosso per tutta la sera, e non c'era da biasimarli.

Clarke Griffin, con il suo abito di un blu intenso che richiamava il blu dei suoi occhi, era la più bella della festa e aveva attirato su di se l'attenzione di tutti, come se gli invitati fossero tante piccole calamite e lei l'unico magnete presente nell'enorme sala.

Ma nessuno aveva attirato la sua di attenzione.

Questo fino a quando la potente famiglia Woods fece il suo trionfale, quanto ritardatario, ingresso in sala.

Lo sguardo della principessa incrociò immediatamente quello della più piccola della famiglia, Alexandria Woods.
La giovane era fasciata da abiti maschili eleganti e sfoggiava una complessa acconciatura fatta di treccine, che tentavano di intrappolare i suoi capelli selvaggi.

Per una ragione a lei ingota, Clarke si trovò ad arrossire.

Sapeva bene delle dicerie che giravano sul conto di Alexandria: la donna non aveva ancora trovato marito, semplicemente perché preferiva la compagnia femminile a quella maschile.

Clarke, in questo, non ci vedeva nulla di strano. Anzi, ammirava il coraggio di Alexandria, che nonostante le convenzioni e le regole, riusciva ad essere se stessa. Le stesse regole che Clarke non era riuscita a combattere.

Gli occhi blu della principessa scrutavano curiosi la figura di Alexandria, che ora danzava con la neocontessa Raven Reyes. Nessuno badava loro attenzione, non era poi tanto strano vedere due fanciulle danzare insieme.

Ciò che invece avrebbero dovuto notare gli invitati, era lo sguardo penetrante che Alexadria Woods continuava a rivolgere alla principessa Clarke Griffin; i loro occhi non si erano lasciati andare un attimo da quando  la mora aveva fatto il suo ingresso in sala.

E forse fu per questo che Clarke non si sorprese più di tanto quando Alexandria lasciò andare Raven con un rapido quanto  superficiale baciamano, iniziando ad avviarsi nella direzione della principessa bionda.

Non appena questa si sedette al suo fianco, Clarke distolse finalmente lo sguardo e si trovò ad arrossire di nuovo.
Gli occhi di Alexandria non abbandonarono mai la figura della principessa, anzi, continuavano a bruciare su di lei quasi come se volessero vedere al di là del vestito.

"I balli reali sono così noiosi, non crede?" la voce della donna, calda, bassa e così calma, sovrastò la musica della sala e tutti i suoi pensieri. 

"L'ho vista danzare con Raven Reyes proprio due minuti fa" rispose Clarke, schiarendosi la voce e continuando a sfuggire al suo sguardo.

Alexandria distolse lo sguardo con un sorriso amaro sulle labbra e Clarke si concesse il privilegio di sbirciare la sua figura "regole, regole, regole" sussurrò la mora così che solo loro due potessero sentire "lei sa di cosa parlo, non è vero, principessa Griffin?"

"Già.." 

"Non è ironico? Suo padre è un tale amante dei balli reali, mentre la figlia li detesta da morire".

Clarke avrebbe tanto voluto cancellare quel sorriso sbruffone dalla faccia della donna, ma sfortunatamente si ritrovò a sorridere lei stessa "stiamo parlando da nemmeno un minuto e già sa più cose di me di quante ne dovrebbe sapere. E io non so nemmeno il suo nome."

Mentiva, naturalmente. Conosceva il nome di tutti gli invitati.

"Mi perdoni" il sorriso e gli occhi di Alexandria cambiarono "sono Alexandria Woods, figlia dell'imprenditore Gustus Woods. Ma tu puoi chiamarmi Lexa" poi si fermò "posso darti del tu, Clarke?"

Clarke avvertì le guance andarle a fuoco ancora e si morse un labbro, combattuta. Le regole non prevedevano che tra i reali ci si desse del tu, soprattutto tra due principesse. 

Regole, regole, regole.

Invece, rispose "ma certo che puoi darmi del tu, Lexa."

Lexa sfoggiò un sorriso vittorioso, mentre muoveva le sue dita lunghe e affusolate lungo la panca, cercando di sfiorare le mani della principessa. Le sue dita si erano mosse così poco che nessuno se ne sarebbe accorto, ma quel poco era bastato a far rabbrividire Clarke.

Audace, pensò Clarke mentre osservava i loro mignoli sfiorarsi. Finn Collins avrebbe mai sfidato le regole solo per poterle sfiorare la mano in pubblico?

"I nostri genitori stavano discutendo, poco fa" Clarke spostò lo sguardo, seguendo quello di Lexa. John Griffin e Gustus Woods stavano ancora parlando animatamente.

"Sai, problemi di affari.." continuò Lexa "e ho sentito che hai ricevuto tre proposte di matrimonio stanotte. Tuo padre dice che un probabile matrimonio con Finn Collins gioverebbe molto al vostro regno."

Clarke ascoltava Lexa, rapita dal suono della sua voce e curiosa di vedere dove sarebbe andata a parare.

Sempre più desiderosa di contatto, Clarke iniziò a far scorrere il suo mignolo lungo la mano dell'altra donna.

Lexa la scrutò un attimo, insicura se dire o meno quello che stava per dire "sei la donna più bella che abbia mai visto, Clarke Griffin."

Clarke alzò lo sguardo dai loro mignoli e la guardò confusa. Com'era passata da un discorso sul suo matrimonio ad un complimento così sfacciato?

Sfacciato, poi. Tante persone nella sua breve vita le avevano detto cose del genere. Ma mai nessuna parola avveva sortito lo stesso effetto che avevano sortito le parole di Lexa.

"Lexa, io.." il sangue si intensificò ancora di più sulle guance di Clarke, rendendole ancora più rosee, mentre i denti continuavano a torturare il suo labbro inferiore.

"Mi piacerebbe duellare per te, ma non per vincere un matrimonio. Duellerei per vincere il tuo cuore" sussurrò Lexa vicino al suo orecchio, troppo vicina.

Le regole non prevedevano che due nobildonne si avvicinassero così.
Probabilmente, anzi sicuramente, le regole non prevedevano nemmeno che una donna duellasse per vincere il cuore della principessa più bella del regno.

Le regole parlavano anche di amore?

"Fallo, allora" sussurrò Clarke, ad un centrimento dalle labbra di Lexa. Lo sguardo di Lexa correva freneticamente fra le labbra di Clarke e i suoi occhi.

Poi, inaspettatamente, prese la mano di Clarke fra le proprie e la baciò delicatamente.

Entrambe chiusero gli occhi al contatto, e Clarke quasi ringhiò quando non sentì più il calore del corpo di Lexa affianco al proprio.

Spalancò gli occhi e la vide in piedi di fronte a lei "balla con me".

Clarke afferrò la mano che Lexa le stava porgendo senza pensarci due volte; questa strinse il corpo della bionda a se, noncurante, ancora una volta, di tutte le regole.

La trascinò  sulla pista da ballo e Clarke sussultò quando la mora posò delicatamente una mano sul suo fianco, iniziando a muoversi e a condurre la danza.

Le due non smisero di danzare e di ridere per tutta la durata della festa, noncuranti degli sguardi che avevano attirato su di loro; e il blu bruciò nel verde per tutta la notte, tanto ardentemente che tutti gli altri invitati della festa sembrarono sparire.

Non c'era nessun re, nessuna regina, nessun Finn Collins o Wells Jaha, nessun duello, nessuna regola.

Quella notte Clarke Griffin amò i balli reali più di ogni altra cosa al mondo.

E desiderò disperatamente che non ci fossero tutte quelle regole; desiderò più di ogni altra cosa che Alexandria Woods duellasse davvero per vincere il suo cuore.

Anche se, ne era sicura, aveva già vinto.


 

*Angolino di bicorn*
Partendo dal fatto che avevo in mente di scrivere una one shot del genere da tantissimo tempo; aggiungiamoci poi che quando ho iniziato a scrivere mi è partita in sottofondo Enchanted della Swift, l'ho preso come un segno del destino.
Ci tengo a sottolineare due cose: la prima è che sono sempre stata affascinata dal mondo principesco e fiabesco che era quello dei palazzi reali e dei balli del 1800; la seconda è che, nonostante tutto questo fascino, ne so ben poco di questo mondo, quindi ho usato TANTISSIMA fantasia.
Non ho sinceramente idea di come fosse vissuto l'amore omosessuale a quei tempi, ma sicuramente alla gente non passava nemmeno per l'anticamera del cervello che due donne potessero sposarsi e che fosse considerato normale per due persone dello stesso sesso innamorarsi e intraprendere una relazione. Molte persone non lo considerano normale nel 2016, figuriamoci tanto tempo fa.
DETTO QUESTO, la smetto di dilungarmi e vi dico che no, QUEL FIRST PART NON E' STATO MESSO LI' A CASO.
La one shot mi ha presa talmente tanto che ho già scritto (ebbene si) anche una seconda e ultima parte di questa mini ff (e conto di pubblicarla davvero a breve.)
Dopo questo la smetto davvero di annoiarvi e mi auguro che la one shot vi sia piaciuta; vi chiedo anche gentilmente di lasciare una piccola recensione se la raccolta vi sta piacendo, come ben sapete noi scrittrici di ff viviamo di recensioni, anche quelle critiche e costruttive (anzi, soprattutto).
Ci leggiamo al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 3
*** "Royal balls are such a bore, aren’t they?" (2) ***


 

"Royal balls are such a bore, aren’t they?" 

[Second part]

Gli occhi di Clarke correvano da una parte all'altra del giardino del re adibito per il torneo, incapaci di rimanere fissi su un solo punto, mentre la sua bocca era spalancata in un'espressione di puro stupore.

Al contrario di quanto Clarke si sarebbe aspettata, suo padre, seduto al centro tra lei e la madre, era sereno.

Si massaggiava tranquillamente il mento, come era solito a fare ogni volta che doveva prendere una decisione importante. Nonostante gli occhi del piccolo pubblico, riunitosi per assistere al torneo, erano puntati su di lui (e non solo), si stava prendendo tutto il tempo del mondo per prendere una decisione.

Abby Griffin, invece, non si riusciva a capire per cosa fosse più scioccata: se per quello che era appena successo, o se per il silenzio del marito al suo fianco.
 
"John, è inamissibile che tu ci stia anche solo pensando!" Sibilò la regina alle orecchie del marito.

Ma gli occhi blu del re non sembravano voler abbandonare la figura di Alexandria Woods, che, fasciata come al solito da abiti maschili, se ne stava in piedi nel bel mezzo del campo tra i tre duellanti: Finn Collins, Wells Jaha e Nate Miller.

Questa sosteneva coraggiosa lo sguardo del re; dal suo volto impassibile e freddo non trapelavano emozioni, nemmeno un briciolo di nervosismo, ma qualsiasi occhio attento avrebbe detto che quella era solo una maschera.

Clarke si concesse finalmente di guardare la figura della donna, mentre sentiva in testa ripetersi ancora e ancora quella frase che aveva gettato i nobili e i regnanti nella più totale confusione:

"Mio signore, come stabiliscono le regole del torneo, le chiedo un solo desiderio: voglio sposare sua figlia."

Non era sicuramete un segreto che Alexandria Woods fosse una delle giovani nobili più testarde ma anche più coraggiose del reame; non erano nemmeno un segreto i suoi gusti sessuali, ma nessuno le aveva mai dato conto, fino a quando questa dava libero sfogo ai suoi desideri nel privato delle sue stanze.

Il discorso era diverso, però, se Alexandria Woods si era innamorata della figlia del re. 

La situazione si faceva ancora più complicata se la giovane nobile avrebbe duellato per vincere la mano della principessa.

(Mi piacerebbe duellare per te, ma non per vincere un matrimonio. Duellerei per vincere il tuo cuore.)

Clarke osservò la figura del padre e non si vergognò nemmeno un momento di desiderare che questo dicesse di si.

Bastava la sua benedizione, e la donna avrebbe duellato per lei. E Clarke ne era sicura, avrebbe vinto.

La principessa non si vergognò di desiderare tutte queste cose, e non si vergognò nemmeno di riconoscere i suoi sentimenti per Lexa: era innamorata di lei.

Da sciocca e giovane principessa qual'era, si era innamorata di lei dopo un singolo ballo. Ma non era sicuramente colpa sua se Lexa era la persona più affascinante del regno, sia dentro che fuori.

E riconosceva il suo amore per lei ancora e ancora ogni volta che i suoi occhioni blu scorrevano sulla figura della donna, arrossendo prepotentemente non appena questa ricambiò il suo sguardo e il suo sorriso.

"E sia" la voce severa e profonda del re irruppe nel silenzio, facendo piombare il giardino nel più completo caos.

Clarke riuscì a cogliere espressioni del tipo "ma è assurdo!" 

"Da quando due donne possono sposarsi?"

"Il re deve essersi bevuto il cervello."

Ma né a Clarke, né a Lexa, la cosa importava.
Gli occhi delle ragazze, infatti, rimasero ancorati gli uni negli altri, fino a quando a Lexa non furono portati un arco e una freccia.

La disciplina scelta da Clarke era stata proprio il tiro con l'arco, sapendo bene quanto la disciplina fosse poco apprezzata dai tre principi.

Ma nonostante questo, Clarke non si sorprese quando vide la freccia di Finn Collins arrivare quasi al centro del bersaglio.

E in quel momento aveva ormai perso ogni speranza.

Questo fino a quando non aveva incontrato un paio di selvaggi occhi verdi.

Così, quando Lexa si era messa in posizione, il braccio sinistro teso pronto a scoccare la freccia e un occhio chiuso per prendere la mira, il cuore di Clarke cominciò a correre all'impazzata. 

Un silenzio sovrannaturale si era di nuovo diffuso nel giardino; tutti osservavano con il fiato sospeso e gli occhi spalancati, pronti a cogliere ogni dettaglio.

Lexa scoccò la freccia.

Clarke chiuse gli occhi, non volendo ancora vedere l'esito del torneo.

Il giardino esplose in un timido quanto scioccato applauso e Clarke avvertì anche il padre, per la prima volta, applaudire al suo fianco.

Quando riaprì gli occhi, annegò ancora una volta in un paio di occhi smeraldini; poi lo sguardo corse al bersaglio e la vide: la freccia conficcata nel centro esatto del bersaglio.

John Griffin ancora applaudiva e sorrideva dalla sua postazione, mentre la madre ringhiava chissà quale minaccia al suo fianco.

Come successe al ballo, tutti scomparvero agli occhi di Clarke.

C'erano solo lei, il giardino, e un paio di occhi verdi ad attenderla.

Gli stessi che l'avrebbero attesa tutte le mattine al suo risveglio.

E così la principessa, sotto gli occhi stupiti del pubblico, stanca di combattere ancora contro se stessa e contro i suoi sentimenti, si alzò dalla sedia per correre nelle braccia della sua sposa.

Corse come non aveva mai fatto, così veloce eanche così sbadatamente che il vestito le si impigliò nell'erba, facendola inciampare e cadere fra le braccia di Lexa.

Questa continuava a sorriderle e la strinse a se fregandosene delle regole "vacci piano, principessa" sussurrò sulle sue labbra "non devi correre, abbiamo tutta una vita davanti."

Clarke dovette lottare con tutte le sue forze contro la voglia di baciarla lì, davanti a tutti, davanti ai suoi genitori e alla nobiltà che, ne era sicura, non avrebbe reso il loro matrimonio facile.

Così si limitò a gettarle le braccia al collo e ad affondare il viso nei suoi capelli bruni, ispirando il suo profumo che sapeva già di casa.

"Hai ragione, mio amore, abbiamo tutto il tempo del mondo."

*Angolino di Bicorn*
Devo dire che sono abbastanza soddisfatta di questa seconda parte. Vi aspettavate che Lexa duellasse per Clarke? 
Ho voluto rendere il suo personaggio qui abbastanza sfacciato e sicuro di sè, quindi forse un po' c'era da aspettarselo che avrebbe fatto qualcosa.
Spero che le one shot siano piaciute come a me è piaciuto scriverle, ovviamente fatemi sapere cosa ne pensate con una piccola recensione.
Nel prossimo aggiornamento le clexa saranno in un altro universo, e ho già parecchie idee in mente. ;)

P.S. Lexa versione Robin Hood ha il suo perché, non c'è che dire.

 

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Capitolo 4
*** About parents and dinner and a lot of sex. ***


About parents and dinner and a lot of sex.
 
Il corpo nudo di Clarke rotolò da una parte all'altra del letto, le sue dita corsero immediatamente sulla schiena altrettanto nuda della sua ragazza, facendola mormorare di piacere.

Mormorio che si traformò in una risata rumorosa, non appena le dita di Clarke fecero più pressione sui suoi fianchi per farle il solletico.

Lexa riuscì ad afferrare le mani di Clarke e a portargliele sopra la testa, poi salì a cavalcioni sul suo busto nudo.

"Clarke Griffin" sussurrò ad un centimetro dalle sue labbra "non mi lasci dormire la notte, almeno dammi tregua la mattina."

Clarke sorrise e le rubò un bacio sulle labbra "mmh, come se ti dispiacesse non dormire la notte per fare altro."

Lexa non rispose e incollò le labbra alle sue, approfondendo il bacio. I denti che giocavano delicatamente col suo labbro inferiore, per poi abbandonarlo e scendere con le labbra sul collo a baciare i marchi lasciati la notte precedente.

La situazione si fece infuocata quando le mani di Clarke corsero a stringere possessivamente le natiche dell'altra donna, dalla cui bocca fuoriscì un gemito strozzato.

Clarke e Lexa stavano insieme da tre mesi ormai. 

Ed era da tre mesi -anche di più, a dirla tutta- che le ragazze spendevano l'80% del loro tempo insieme facendo tanto, tantissimo sesso.

I loro amici le prendevano spesso in giro, dicendo che in un'altra situazione sarebbero subito diventate mamme di tanti, tantissimi, bambini.

Ma non era sicuramente colpa loro se erano due ragazzine di 18 anni e con gli ormoni che ballavano la conga.

E non potevano farci niente se non potevano fare a meno l'una dell'altra.

E probabilmente avrebbero fatto il loro sesso del buongiorno anche quel mattino, se non fossero state interrotte dalla suoneria del cellulare di Clarke.

"Ignoralo" sussurrò Clarke tra un bacio bagnato e l'altro, ma la suoneria era così insistente che aveva ormai rovinato l'intera atmosfera.

"Cazzo" Clarke scivolò da sotto il corpo caldo di Lexa, facendola sbuffare pesantemente. 

Recuperò il telefono dalla borsa, abbandonata sul pavimento, e rispose schiarendosi la voce per scrollarsi di dosso l'eccitazione di pochi secondi prima "pronto?"

Non poterono mancare gli occhi al cielo quando riconobbe la voce della madre "ciao mamma, si è qui con me."

Un sorriso felino si aprì sul viso di Lexa, mentre si avvicinava a Clarke che le dava le spalle seduta sul letto.
Iniziò a baciarle la schiena partendo dal basso, facendola sospirare di puro piacere.

"Oddio..no, no, mamma sono qui..cosa dicevi?" dopo un momento di pausa Clarke spalancò gli occhi "mamma! No, no che non stavamo facendo sesso!" Esclamò arrossendo facendo scoppiare a ridere Lexa.

"Si, si, le ricordo della cena di stasera. Ciao, ti voglio bene anche io."

Poi si voltò, abbandonado il telefono chissà dove sul pavimento "dove eravamo rimaste?"

Gli occhi di Lexa erano però spalancati "quindi era seria quando diceva di volermi a cena a casa?" domandò con la vocina piccola che usava quando era nervosa.

Clarke le si avvicinò iniziando a baciarle il collo "si, quindi? Sei venuta a cena così tante di quelle volte in questi anni."

"Si ma nei panni di Lexa, la tua migliore amica. Non nei panni della tua ragazza."

Le labbra di Clarke continuavano a scorrere sul corpo della ragazza, ignorando volutamente il suo inutile nervosismo "e allora? I miei ti conoscono da quando sei piccola, il fatto che tu sia la mia ragazza ora non cambia le cose."

"Le cambia eccome."

Clarke si allontanò sbuffando, consapevole che il suo bel programmino del mattino era ormai andato in fumo.

Dannata madre che rovinava sempre tutto.

"Amore, calmati" gli occhi blu ora puntati in quelli verdi della sua ragazza, le braccia che stringevano saldamente il suo busto nudo "sei la persona migliore del mondo. Sei educata, sei la ragazza più intelligente che conosca, e la studentessa più meritevole della scuola. Sei gentile, dolce, bellissima, hai due occhi verdi da mozzare il fiato, e oddio non parliamo di quel sedere che è..aspetta, cosa stavo dicendo?"


Lexa scoppiò a ridere, rilassandosi nelle braccia della ragazza e godendosi le sue coccole.

"Oh, si, quello che voglio dire è che sei una persona fantastica e i miei ti vogliono bene. E' solo una di quelle stupide cene in cui i genitori ammoniscono la ragazza della figlia di fare la brava. Capisci?"

Lexa annuì sul suo petto, sentendosi meno preoccupata rispetto a prima "hai ragione, amore."

Clarke sorrise soddisfatta "come sempre. E ora che ne dici di una bella dose di coccole, o sesso se preferisci, per iniziare al meglio questa giornata?"

"Vieni qui" disse Lexa sorridendo e ricominciando a baciare la sua ragazza.

 

Lexa entrò in macchina sedendosi sul sedile del passeggero e  aggiustando nervosamente il bordo del suo vestito.

Clarke, dal posto di guida, la guardava stralunata "cosa ti sei messa?"

La bruna aveva optato per un vistoso ed elegante vestitino verde, che richiamava il verde dei suoi occhi "che c'è? Lo metto per le occasioni speciali" rispose arrossendo.

"Amore non fraintendermi, sei bellissima, ma..non ti sembra eccessivo? Stiamo solo andando a cena dai miei.." rispose Clarke osservando il suo semplice jeans abbinato ad una maglia larga.

"Non è una cena, è LA cena. E ora metti in moto."

Clarke sbuffò e mise in moto, senza però dimenticarsi di lasciare un bacio sulla guancia della fidanzata. 

Non riusciva davvero a capire tutto quel nervosismo, ma lo trovava davvero adorabile.

Dieci minuti più tardi erano di fronte casa Griffin. 

Dopo aver bussato, prima che la porta si aprisse, Clarke riuscì a lasciare un altro bacio rassicurante sulla guancia della fidanzata, che per risposta le dedicò un piccolo sorriso.

La porta si aprì mostrando la figura elegante e composta di Abby Griffin "le mie ragazze! Lexa, tesoro, sei meravigliosa. Non come questa cavernicola di mia figlia, ma cosa ti sei messa?" Esclamò Abby scherzosa, mentre tirava le ragazze in un abbraccio.

La donna e il marito conoscevano Lexa e la sua famiglia da quando questa era solo una bambina, e infatti l'aveva sempre trattata come se fosse una figlia. 

Allo stesso modo, Clarke aveva sempre trattato Lexa come se fosse una sorella; ma erano ormai due anni che le cose erano cambiate.

 I sentimenti di Clarke erano cambiati.

Clarke era infatti stata la prima a rendersi conto di provare qualcosa per la sua migliore amica, e non dovette aspettare poi tanto per rendersi conto di essere ricambiata.

Lexa sorrise, rilassandosi di fronte all'affetto della donna, e Clarke decise di intrecciare le dita con le sue.

Quando entrarono in casa, un uragano di capelli biondi travolse la bruna, facendola quasi cadere a terra "Lexa!!!"
Esclamò Charlotte attaccandosi alla sua gamba.

"Oh si, ciao anche a te, sorella" disse Clarke fingendosi offesa.

Lexa le scompigliò affettuosamente i capelli "ehi, pulce. Sbaglio o diventi ogni settimana più alta, mh?"

La sorellina più piccola di Clarke in tutta risposta arrossì e le sorrise affettuosamente; aveva sempre avuto un debole per lei, sin da piccola.

Ma in fin dei conti, chi non aveva un debole per Lexa?

"Scommetto che nel giro di qualche anno diventerai più alta di quella scorbutica di tua sorella" continuò la bruna, guardando ora la sua ragazza che le stava rivolgendo una linguaccia.

Il nervosismo sembrò, però, tornare a pesare sulle sue spalle  quando nell'immenso soggiorno entrò Jake Griffin.

"Lexa" disse in tono freddo e severo il padrone di casa.

Lexa si raddrizzò e porse la mano per stringergliela educatamente "signor Griffin."

Poi Jake scoppiò a ridere e strinse anche lui la ragazza in un caloroso abbraccio.

"Ehi? Sono anche io qui?!" Esclamò Clarke divertita di fronte a quella scena.

L'uomo lasciò un bacio sulla fronte della figlia e si avviò in cucina ad aiutare la moglie.

"Ripeti insieme a me: sono un'idiota e non ho niente di cui preoccuparmi."

Lexa fulminò Clarke con lo sguardo "non puoi biasimarmi se sono nervosa con i tuoi genitori" poi abbassò la voce in un sussurro "sono pur sempre la persona che si scopa loro figlia." 

"A proposito di scopare.." soffiò Clarke avvicinandosi a lei "avrei in mente un paio di cose che potremmo fare dopo in camera mia che.." lasciò la frase in sospeso, avventandosi bisognosa sulle labbra della sua donna e  stringendola possessivamente a se.

E Lexa, ovviamente, ricambiò il bacio sorridendo, fino a quando non apparve la figura severa di Abby alle loro spalle "ehm..ehm."

Lexa si scansò rossa in viso e andò a prendere posto a tavola, grattandosi il naso.

Clarke alzò gli occhi al cielo e si andò a sedere affianco alla ragazza, poggiando possessivamente una mano sulla sua coscia come era solita a fare.

Sarebbe stata una lunga serata.

Un'ora più tardi stavano ancora gustando il secondo, tra le risate generali e la voce divertita di Abby che raccontava l'ennesimo aneddoto sull'infanzia di Clarke.

"E poi, ricordi di quella volta che girò nuda per casa con in testa il pannolino sporco della sorella?" Gridò Abby tra le risate.

Jake rideva sommessamente mentre masticava la carne e Lexa aveva gli occhi chiusi e lacrimanti per risate.

Clarke, invece, si fece piccola piccola nella sua sedia ed era l'unica che non stava ridendo "è possibile che lo racconti ogni volta? E poi Lexa era lì, ha assistito con i suoi occhi alla scena" borbottò la biondina offesa.

Lexa le si avvicinò e le lasciò un tenero bacio sulla guancia "forse dovresti correre nuda per casa più spesso, l'idea non mi dispiacerebbe affatto" e poi le lasciò un morso affettuoso sulla guancia.

Clarke si sciolse in un piccolo sorriso, dimenticandosi completamente dell'imbarazzo precedente.

"Ehi, papi, non è che potresti prendermi un coltello dalla cucina?" domandò Clarke distrattamente, rivolgendo lo sguardo al suo piatto.

Contemporaneamente, sia Jake che Lexa si alzarono dalle loro sedie, entrambi pronti ad andare in cucina e si scambiarono uno sguardo confuso.

Solo in quel momento Lexa realizzò che quel papi non aveva nulla a che fare con lei e con i nomignoli strani che usava Clarke ogni volta che erano a letto insieme.

"Ero convinta di aver sentito Lexa.." disse la bruna in un sussurro, tornando a sedersi.

Jake alzò un sopracciglio ma, confuso, decise di lasciar perdere con una scrollata di spalle.

"Allora, ragazze, ora che Charlotte è di là a giocare è arrivato il momento di fare il discorso.." pronunciò Abby con un'espressione seria in volto.

"Oh, no.." sospirò Clarke sprofondando nella sedia.

Lexa, invece, non era mai stata più rigida e nervosa. 

Non era la prima volta che Lexa affrontava un discorso del genere. Con i genitori di Costia, la sua ex ragazza, era
stato ancora più difficile perché non accettavano la loro relazione.

Ma con Abby e John era un altro tipo di nervosismo: loro erano di famiglia.

"Avete già pensato al matrimonio? E figli, quanti?"

Lexa spalancò gli occhi e quasi le finì l'acqua di traverso, imprepata a domande del genere.

Poi, inaspettatamente, Abby scoppiò a ridere "oddio, avreste dovuto vedere le vostre facce!"

Clarke rivolse uno sguardo inceneritore alla madre, mentre dava piccoli colpetti sulla schiena della sua ragazza per farla riprendere.

"Io..Abby io amo molto sua figlia e sono intenzionata a-" Lexa balbettava come una fottuta bambina nervosa, e avrebbe tanto voluto prendersi a schiaffi in quel momento.

La signora Griffin agitò una mano come per scacciare una mosca fastidiosa "lo so, tesoro, ti conosco e non ho bisogno di senitre tutte queste cose. E poi stavo solo scherzando. Dio, voi giovani di oggi siete così seri!"
Clarke e Lexa si rivolsero uno sguardo eloquente e Abby tornò tranquillamente a mangiare.

Lexa potè finalmente rilassarsi e rivolse un piccolo sorriso alla biondina affianco a se, ma poi Abby parlò di nuovo "però voglio le porte delle camere sempre aperte quando dormite qui. Intesi?" 

Abby ora usava il suo classico tono serio, che Lexa aveva avuto l'onore di sentire solo pochissime volte. 

Annuì nervosamente e rispose con un "sissignora", usando un tono deciso.

Clarke invece alzò gli occhi al cielo "si, si certo" sussurrò; poi tornò di nuovo a dedicare tutte le attenzioni alla sua ragazza.

La mano, che prima era solo ferma sulla coscia della sua ragazza, ora scorreva dal ginocchio al bordo delle
mutandine di Lexa, che tentava, ci stava davvero provando, di rimanere lucida e composta.

Ma le cose non sarebbero mai state facili con Clarke Griffin; lo aveva già capito 10 anni fa, quando una bimba paffuta e dagli occhioni blu le aveva chiesto di giocare con lei.

Quel giorno Lexa Woods capì di essere fottuta.

E qualche ora più tardi, nella piccola camera da letto di Clarke, fu fottuta letteralmente.

A fine cena, infatti, Clarke invitò Lexa a dormire da lei e questa non esitò nemmeno un attimo a dire di si.

Erano corse in camera dopo il dessert, sbattendo la porta e chiudendola a chiave; Clarke aveva trascinato Lexa sul suo fantastico e spazioso letto matrimoniale e aveva iniziato a biaciarla intensamente.

La situazione si era ben presto scaldata e ora le mani della bionda scorrevano frenetiche sui seni nudi di Lexa, che se ne stava sotto di lei ansimante.

"Ti voglio" ringhiò Clarke possessiva sulle sue labbra.

"Prendimi, allora" rispose prontamente Lexa mordendole il labbro.

"Porte aperte!" Gridò Abby dal corridoio, facendo alzare ad entrambe le ragazze gli occhi al cielo.


 

*ANGOLINO DI BICORN*
Ehm, salve. Non so esattamente cosa sia questa cosa che è uscita fuori, ma diciamo che non rientrava esattamente fra le idee che avevo in mente per questo quarto capitolo.
Mi è passata per la testa questa bella scenetta di una cena di famiglia durante una notte insonne e delirante, ho buttato giù le idee ed ecco, è uscito fuori questo. E visto che non è completamente una cacchetta e che l'idea delle clexa che si conoscono da anni e che intrapendono poi una relazione e che fanno tanto sesso mi piaceva, ho pensato di pubblicarla.
Fatemi sapere se vi fa completamente schifo.
Per il prossimo capitolo ho in mente un'altra (eh si, mi dispiace per voi) hystorical!AU.
Speriamo bene.

 

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Capitolo 5
*** The universe was made just to be seen by your eyes. (1) ***


I couldn’t help but ask
for you to say it all again.
I tried to write it down
but I could never find a pen.
I’d give anything to hear
you say it one more time,
that the universe was made
just to be seen by my eyes.
(Saturn-Sleeping At Last.)


The universe was made just to be seen by your eyes.
[Prima parte]


Gli occhi verdi di Lexa erano più luminosi che mai, quella notte; brillavano e risplendevano della luce delle stelle sparse un po' dappertutto nel cielo.

Le notti erano particolarmente calde lì, in Italia, per questo molti soldati preferivano dormire all'aperto. Tanto avrebbero dovuto spostarsi di mattina presto, così come ogni giorno.

Lexa non aveva mai visto l'Italia prima d'ora, ed era quasi sicura che non ci sarebbe mai riuscita.

Ora che la stava vedendo, però, non le sembrava poi tanto diversa da quello che aveva visto nel resto del mondo: distruzione e tanto, tando dolore.

Una città che doveva essere stata bella, un tempo, ma che adesso si era trasformata in un inferno. 
L'intero mondo, durante la seconda guerra mondiale, era diventato un inferno.

Dopo il difficile sbarco in Sicilia (il più grande della storia, affermavano le radio nazionali) i soldati dell'asse, o almeno quelli che erano sopravvissuti, sarebbero dovuti crollare in un sonno profondo: e invece non era così.

Erano tutti svegli, a Lexa sembrava quasi che fosse pieno giorno:  c'erano persone che bevevano, chiacchieravano, si allenavano addirittura, e poi c'erano persone come lei che semplicemente non riuscivano a prendere sonno.

L'insonnia era molto diffusa fra i soldati, soprattutto fra quelli che combattevano via terra, a causa dell'inferno che vedevano tutti i giorni; per Lexa non era così.

Era ormai diventata un'abitudine per la soldatessa: a fine giornata, distesa nella sua branda, ripensava a tante cose, ma non alla guerra: pensava a lei, alla sua Costia; pensava alla madre; pensava a com'era la sua vita in America prima che tutto questo succedesse.

La mente di Lexa corse alla donna dai ricci e la pelle scura che ormai occupava tutti i suoi pensieri. Ripensò ai pomeriggi estivi passati in riva al mare, alle sarate passate al cinema a guardare quei strambi film in bianco e nero, e alle notti insonni che passavano a parlare, nude, abbracciate e sudate nei loro letti.

Lexa amava Costia, e Costia amava Lexa.

Dicevano sempre che il loro era un amore avversato dalle stelle; era proibito e vietato dalle leggi dell'uomo, ma nonostante tutto, erano felici.

E a Lexa questa felicità era stata strappata via.

Sia la sua ragazza che il padre erano morti sul campo di battaglia, combattendo per la patria.
Da quando li aveva persi, circa un anno fa, Lexa era cambiata.

La guerra non la toccava più minimanete, e se fosse morta sul campo, probabilmente non le sarebbe importato.

L'unica ragione per cui continuava ad alzarsi la mattina, era la madre.

Quella calda notte del 12 luglio, la mente di Lexa andò alla mamma. Non le scriveva da tempo, e le mancava.

Pensò di scriverle una lettera.

Lexa amava scrivere lettere, o meglio, amava scrivere e leggere. Costia diceva sempre che se non fosse stato per la guerra, Lexa sarebbe diventata una grande giornalista.
Poi diceva che avrebbero comprato una casa sul mare, e avrebbero fatto l'amore sulla spiaggia tutte le notti.

Lexa afferrò una penna e un pezzo di carta, rannicchiandosi nella sua branda, e illuminata dalla sola luce della luna, iniziò a scrivere.

Non sapeva, ovviamente, che quella lettera le avrebbe cambiato la vita per sempre.
 
12 luglio 1943
Cara mamma,

Ho ricevuto ogni tua lettera e volevo avvertirti che sono viva.

Come ben saprai, le truppe dell'asse sono sbarcate in Sicilia due giorni fa, per aprire il primo fronte europeo. Sono sicura che i generali Patton e Montgomery hanno in mente qualcosa di più grande, ma non hanno voluto rivelarci nulla.

Tutto bene le cose, lì?

Sono felice che tra te e la guerra ci sia l'oceano di mezzo; qui in Europa è un inferno invivibile, mentre ho sentito che le cose lì in California vanno molto meglio.

Non so quanto presto ti arriverà la mia lettera, ma rispondimi quando puoi.

Con tutto il mio affetto,

Lexa.


 
Quattro giorni più tardi, quella notte estiva non era molto diversa dalle altre; Lexa, sveglia e illuminata dalla luce della luna, stava scartando eccitata la lettera arrivatale dalla mamma. 
Di solito impiegava davvero molto a rispondere, ancora di più ci metteva la lettera ad arrivare.

Ma quel giorno Lexa era stata fortunata.

I suoi occhi si spalancarono non appena lessero le prime righe della lettera e le sue guance si colorarono di un rosso accesso.
 
14 Luglio 1943
Cara Lexa,

E' il diminutivo di cosa? Alexandria? Alexa? Una volta, in un libro che raccontava del significato dei nomi, ho letto che Alexandria significa "protettrice dell'umanità."
Se quello fosse davvero il tuo nome, sarebbe davvero carino.

Ad ogni modo, non sono la signora Woods. Hai sbagliato ad inserire il numero civico e la lettera è arrivata a me, la sua vicina di casa.

Non sono arrabbiata o offesa, sei stata capace di tenermi compagnia in questo afoso pomeriggio di luglio.

Ho avvertito tua madre, naturalmente, e ha detto che ti risponderà presto. E' una donna adorabile, e sappi che mi sto prendendo cura di lei, così come sta facendo lei con me.

Sappi che di solito non sono così maleducata, ma non scrivevo una lettera da tantissimo tempo e non sono più abituata: mi chiamo Clarke Griffin, e da quanto dice tua madre, siamo coetanee: ho 24 anni anche io.

Spero non ti dispiaccia che io abbia letto la tua lettera e che ti abbia risposto.
Io l'ho trovato carino.

Con la speranza che tu risponda, ti auguro buona fortuna.

Sei una donna molto coraggiosa, Lexa Woods.

Clarke.

 
Al di là dell'oceano, Clarke Griffin, nel suo piccolo appartamento a San Francisco, accarezzava i capelli scuri del suo bambino.

Dormiva beato a pancia in giù sul divano, con addosso una vecchia maglia del padre.
Clarke gli rivolse uno sguardo amorevole e gli baciò i capelli, poi andò in un'altra stanza per lasciarlo dormire.

Aveva passato la mattina con la signora Woods, di nuovo.

La sua vicina, in quel momento, era la cosa più vicina ad un'amica.

"Ti sarebbe sicuramente piaciuta, la mia Lexa" ripeteva sempre parlando della figlia, con voce nostalgica "lei è come te, è una donna forte, ne ha passate tante ma non ha mai smesso di combattere contro il mondo."

Era curiosa di conoscerla, la sua Lexa.

Ed era per questo che non aveva esitato un momento a leggere la lettera che le era arrivata una settimana fa.
Sapeva che era sbagliato, ma moriva dalla voglia di conoscerla.

La verità era che Clarke si sentiva così sola da quando era  morto Finn. Da quando se n'era andato, le era rimasto il suo piccolo Aden, la sua unica gioia, l'unico motivo per cui continuava ad alzarsi la mattina.

Ma si, si sentiva sola.

Da quando si era trasferita a San Francisco, due mesi prima, le cose erano iniziate a cambiare.
Passava tutte le mattine con la signora Woods, poi il pomeriggio andava a lavoro al ristorante, e la sera la passava con il suo amato Aden.

Poi erano arrivate le lettere di Lexa.
Era la seconda che le arrivava, contando la prima che era arrivata per sbaglio.
Clarke era eccitata e felice che le avesse risposto e che non l'avesse presa per pazza. Probabilmente si sentiva sola anche lei.
 
18 Luglio 1943
Cara Clarke,

E' un nome strano, il tuo. Non credo di averlo mai sentito prima.

Il mio vero nome è Alexandria, comunque; probabilmente ero predestinata a combattere nella guerra..ironico, non trovi?

Non sono arrabbiata o offesa che tu abbia letto la mia lettera. Mi stai tenendo compagnia in questa calda nottata di luglio.

Qui il campo è pieno di uomini e di donne, ma mi sento così sola. La guerra riesce a farmi sentire sola.

Ma parlami di te. Mia madre ti avrà raccontato così tanto di me, ma voglio conoscere anche la tua di storia.

Lexa.

 
24 Luglio 1943
Cara Lexa,

Ho sentito che siete riusciti ad arrivare a Palermo. Trovo molto coraggioso tutto quello che state facendo.

La mia storia, dici? Non è sicuramente interessante quanto la tua.
Sono nata e cresciuta a San Diego; da quel poco che ricordo, la mia infanzia è stata felice.
Sono fuggita da lì perché mi ricordava tutto quello che avevo perso: i miei genitori e mio marito Finn, tutti e 3 morti a causa della guerra.
Mi è rimasto solo mio figlio Aden. Lui è la luce delle mie giornate.

E a te, Lexa? Chi illumina le tue di giornate?

Mi dispiace che tu ti senta sola lì, in mezzo a tutto quell'inferno. E' brutto sentirsi soli, non è vero? Prometto di tenerti compagnia con le mie lettere, se tu farai lo stesso con me.

E la tua storia la conosco solo per bocca di tua madre, non credi che dovresti raccontarmi qualcosa anche tu?

Sarebbe davvero carino.

Spero di sentirti presto.

Clarke.
 
Clarke chiuse la lettera leccando la busta con la lingua e sorrise.

Probabilmente stava esagerando, ad essere così felice di scambiare delle lettere con una persona che non aveva mai visto e che, sicuramente, sarebbe presto morta in battaglia.

Era strano, eppure, nonostante l'oceano e la guerra di mezzo, sentiva una connessione con la ragazza.

Come se si fossero già conosciute; come se avessero dovuto conoscersi ancora e ancora in futuro.

Era buffo, perché non sapeva nemmeno che aspetto avesse.

Perché si sentiva così dannatamente legata a quella donna?

Forse perché si sentiva sola; forse perché le ricordava tutto quello che aveva perso con la guerra, il suo Finn; o probabilmente, anzi sicuramente, era perché aveva davvero bisogno di un amico.

D'altronde, che male c'era ad avere un amico?
 
1 Agosto, 1943
Cara Clarke,
Non ho smesso di rispondere alle tue lettere.

Le cose qui, in Sicilia, procedono bene. I civili ci hanno accolto come dei salvatori, e i tedeschi si sono dimostrati come i vigliacchi che sono sempre stati.

Mi dispiace davvero tanto per la tua perdita, Clarke.

So cosa signifca: anche io ho perso qualcuno di speciale, il suo nome era Costia. Le hanno fatto del male, perché conosceva i miei segreti.
Credevo non sarei mai riuscita a superare il dolore, ma l'ho fatto.

Mi piacerebbe così tanto conoscere tuo figlio Aden, scommeto che è un gran bell'ometto.

Qui le giornate si sussegguono sempre uguali, e l'unico momento che ho per pensare, è la notte; cosa le illumina, dici?
Il pensiero che un giorno ritornerò a casa, e riabbraccerò mia madre; ricominciare a fare tutte quelle cose normali che facevo prima di arruolarmi, capisci?

Credi che riuscirò a tornare, un giorno?

Con tutto il mio affetto, e la speranza di sentirti presto,
Lexa.

Lexa chiuse la lettera e la consegnò a chi di dovere per farla spedire.

Quella notte fu diversa: non pensò tristemente alla madre a San Francisco; nemmeo al padre e a Costia.
Quella notte un sorriso illuminava il suo volto mentre guardava le stelle e pensava a Clarke Griffin.
Le sembrò di nuovo di avere uno scopo: tornare a casa e conoscerla.

E' curioso come una persona che non aveva mai visto e che aveva conosciuto solo per sbaglio, fosse entrata così prepotentemente nei suoi pensieri.

E' che siamo così simili, pensò Lexa, per zittire la vocina nella sua testa che l'ammoniva di non affezionarsi a quella donna e di non fare stupidaggini.

Anche lei ha affrontato un lutto, ed è andata avanti.
Vorrà pur dire qualcosa se ci siamo conosciute nonostante tutto questo inferno di mezzo, no?


 
9 Agosto
Cara Alexandria,

Ho deciso che da oggi ti chiamerò sempre così.

Stasera tua madre ha portato me e Aden a cena fuori.
Poi ci ha preparato una torta di mele, dicendo che era sempre stata la tua preferita. Ti ho pensata quando l'ha preparata, e anche quando l'ho mangiata.

A dire il vero ti sto pensando anche adesso, che non riesco a dormire. E' strano, in effetti, perché non ho un volto da dare ai miei pensieri.

Se somigli anche solo vagamente alla signora Woods, devi essere davvero una bella donna.
Hai anche tu gli occhi verdi, Alexandria? Scommetto di si.

Questa Costia di cui parli, doveva essere speciale. Hai citato lei e non tuo padre.

Ma dimmi, come hai fatto a superare il dolore? E' passato un anno, ma io non riesco a smettere di pensare al mio Finn. Ho paura che nessuno riuscirà a farsi spazio nel mio cuore, come ha fatto lui.

Anche qui le giornate scorrono sempre uguali, comunque.

Ogni volta che in radio parlano dello sbarco in Sicilia, penso a te.

Com'è l'Italia? E il mare è come quello di San Francisco?
Ho sempre voluto vederla.

E si, credo che un giorno riuscirai a tornare a casa.

Magari mi ci porterai proprio tu in Italia, insieme al piccolo Aden.
Tua mamma dice sempre che saresti stata una grande viaggiatrice.

Qui, comunque, c'è una foto mia, di Aden e di Finn. Così potrai dare un volto ai tuoi pensieri; non so se anche tu pensi a me come faccio io a volte, ma mi piace immaginare di si. Sarebbe carino.

Spero di sentirti presto;

Clarke.

 
15 Agosto, 1943
Mia cara Clarke,

Ho osservato la foto che mi hai mandato a lungo. E' in bianco e nero e sbiadita, ma riesco facilmente a cogliere i tuoi capelli biondi e occhi chiari.

Sei una gran bella donna.
Anche tuo marito era un bell'uomo, ma non è un volto noto. D'altronde, è così difficile incontrarsi qui.

La foto immagino sia vecchia, e Aden sembra molto piccolo.

Quando ho letto della torta di mele, mi è venuta tanta nostalgia. Non mangio una cosa così buona da quando è scoppiata la guerra.

Il fatto che tu mi abbia pensata, durante una notte insonne, mi rallegra: devo confessarti che, ultimamente, faccio fatica a frenare i miei pensieri..corrono sempre a te e alle tue lettere. Le tengo tutte conservate, insieme a quelle di mamma, e in momenti di sconforto le leggo.

Ti sto pensando anche adesso, e ho fatto la stessa cosa ieri notte, mentre guardavo le stelle.

Stanotte piove quindi ci siamo tutti riparati alla bene e meglio; niente stelle a tenermi compagnia stanotte.

Ma fortunatamente ci sei tu.

Come ho fatto a superare il dolore, mi chiedi..riconoscendo l'amore per quello che è: una debolezza.

Mi fa male dirlo, perché fino ad un anno fa non la pensavo così; l'anno scorso ero una persona completamente diversa, ma la guerra mi ha cambiata.

Insieme alla lettera ti spedisco una foto con mio padre, scattata all'inizio della guerra.

Sono sicura che saresti piaciuta anche a lui.

Lexa.
 
 

*Angolino di bicorn*

Se siete arrivati fin qui senza mandarmi a cagare, sono fiera di voi.

Ci tengo a sottolinerare, prima di ogni cosa, che questa è un'opera di pura fantasia. 

Nonostante questo, mi sono documentata a dovere, onde evitare di scrivere stronzate: questo sia per quanto riguarda gli avvenimenti citati, sia per quanto riguarda il ruolo delle donne durante la più grande guerra della storia.

Il ruolo delle donne nella seconda guerra mondiale fu particolarmente significativo: quasi 350.000 donne prestarono servizio nelle forze armate statunitensi, svolgendo sia compiti di amministrazione, sia di logistica, sia lavorando come meccanici, operatori radio, addestratrici di soldati uomini, infermiere. (dati tratti da The National WWII Museum | Women in WWII.) 

Nonostante le donne non combattevano sul campo, e nonostante non abbia specificato la posizione di Lexa nell'esercito statunitense, è abbastanza chiaro che nella mia ff questa rivesta il ruolo di soldato da combattimento.

Se trovate errori, o meglio, se vedete che ho scritto stronzate non esitate a farmelo notare, correggerò all'istante.

Anche se non è stata facile da scrivere, sono contenta del risultato di questa fic: l'unico "problema" è che mi ha presa così tanto, che ho dovuto dividerla in più capitoli (prevedo di metterne altri due, non di più.)

Allora, ce le vedete le clexa durante la seconda guerra mondiale? Secondo voi si sarebbero davvero conosciute in questo universo? E lo avrebbero fatto grazie al caso?

Fatemi sapere cosa ne pensate.

La seconda parte è già stata scritta, quindi conto di metterla a breve. ;)

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Capitolo 6
*** The universe was made just to be seen by your eyes. (2) ***


The universe was made just to be seen by your eyes.
[Seconda parte]
 
Erano passati quasi due mesi dallo sbarco, e gli Alleati erano ormai arrivati a Salerno.
Il prossimo obiettivo era far firmare all'Italia l'armistizio.

Le sorti della guerra erano ormai chiare: l'Italia era prossima alla resa, e la Germania era spacciata.
Agli Alleati non restava altro che vincere la guerra.

Si respirava un'aria diversa, fra i soldati.
C'era quasi..speranza.
Un qualcosa di estraneo, che non si respirava più da anni.

Si respirava anche un'aria di attesa: come avevano previsto, i piani alti avevano un obiettivo più grande.
Avrebbero aperto un altro fronte europeo, e questa volta sarebbe stato decisivo.
I soldati erano più pronti che mai a combattere, e a tornare a casa.

Clarke e Lexa avevano continuato a scambiarsi lettere in quei mesi: sempre più lunghe, spedivano una lettera alla settimana, a volte anche due.

Clarke le raccontava di qualunque cosa: della sua giornata, della signora Woods, di Aden, delle notte insonni e di quanto le sarebbe piaciuto vederla di persona.

Lexa, invece, evitava il più possibile di raccontarle i dettagli della guerra: era sempre molto superficiale, le scriveva solo di quelle poche cose che venivano comunicate anche in radio.
La verità era che non voleva farla preoccupare; perché ormai quello Clarke stava facendo, si preoccupava per lei.
In poco tempo era riuscita ad occupare un piccolo posto nel suo cuore.

Lexa nelle sue lettere parlava a Clarke dei suoi pensieri, delle sue riflessioni, e dei suoi ricordi. Le aveva parlato soprattutto di Costia.
Clarke sospettava che tra la donna dagli occhi verdi (che ormai tormentava le sue notti insonni) e l'altra, ci fosse stato qualcosa, che andava al di là della semplice amicizia.
Porbabilmente Lexa era stata innamorata di lei, ma a Clarke non importava. Anzi, questo le avvicinava ancora di più: entrambe avevano perso qualcuno che avevano amato.

Era il 15 Settembre e Lexa contava i giorni del loro arrivo in Francia.

Non tanto per l'evento in se, o perché era sicura che questo li avrebbe portati a vincere la guerra; la voglia di tornare a casa, ormai, non era più solo un desiderio lontano e sfocato nella sua mente: era un bisogno, un'esigenza.

La scorsa notte Lexa aveva parlato a Gustus di Clarke, e delle lettere. Era il suo migliore amico, e in passato gli aveva parlato anche di Costia: lui non l'aveva mai giudicata.

Per la prima volta, in quei due mesi, Lexa si era resa conto di provare dei sentimenti per Clarke Griffin.

Non era stato pianificato, e la giovane non avrebbe saputo dire con precisione quando era successo.

Se prima, la notte, era solita a pensare a tante cose e a Clarke, adesso non faceva altro che pensare a lei: pensava ai suoi capelli biondi, pensava a come doveva essere roca la sua voce (in una delle sue lettere Clarke le aveva rivelato di fumare, a volte), pensava a come sarebbe stato passare con lei i pomeriggi in riva al mare.

Non le importava se Clarke la vedeva come un'amica, voleva solo far parte della vita della donna; più di ogni altra cosa, voleva rendere felice lei e il suo bambino.

I soldati erano molto più spensierati quella notte, sapendo di avere la perla del mediterraneo quasi sotto il loro controllo.

I commilitoni le avevano offerto di andare a bere una birra.
Per festeggiare, avevano detto con un ghigno stampato in faccia, a te non va di festeggiare, piccola Lexa?
Ma no, a Lexa non andava per niente.

Preferì starsene nella tranquillità del suo sacco a pelo.

Le dita lunghe, con le unghie rovinate, scorrevano sulla foto che le aveva spedito Clarke due mesi prima.
L'indice tracciava la figura minuta di Clarke; Lexa non avrebbe cambiato nulla di quella foto, nemmeno la presenza di Finn.
Era chiaramente lui, insieme ad Aden, la ragione per cui sorrideva così radiosamente.

Lexa si chiese se a Clarke capitava ancora, ogni tanto, di sorridere così; desiderò, più di ogni altra cosa, di essere la ragione di quel sorriso.

Aveva scoperto molte altre cose su di lei, comunque: le piaceva la musica, e avrebbe voluto imparare a suonare la chitarra.
I genitori, quando erano in vita, erano stati un medico e un ingegnere.
Le sarebbe piaciuto vedere l'Italia (e Lexa aveva in mente di portarcela, quando tutto quello schifo sarebbe finito).
Aden aveva solo tre anni; chiedeva spesso del padre. 
La mamma le aveva anche parlato di lei.

Lexa prese una penna e un pezzo di carta, decisa a rispondere alla lettera che aveva ricevuto quella mattina.

20 Settembre 1943
Cara dolce Clarke,

Avevi ragione, sai? L'amore non è debolezza.
Ho questo..bene immenso per te, che arde nel petto, ogni volta che mi alzo la mattina e prendo le armi in mano; mi spinge ad andare avanti e a sperare di tornare a casa.

Presto. Tornerò presto, te l'ho promesso.
Tu mi aspetterai?

Non mancano poi tantissimi mesi al prossimo sbarco, e sono quasi sicura che con quello la guerra sarà conclusa.

Siamo rimasti in spiaggia tutta la giornata, abbiamo anche trovato il tempo di fare il bagno nel mediterraneo. Non è stata la stessa cosa di fare il bagno nelle spiagge di San Francisco, non mi sentivo..libera. Capisci cosa voglio dire?

Stanotte il cielo è magnifico, riesco a vedere tutte le costellazioni. Vorrei che tu e Aden foste qui, così da potervele indicare e spiegare la storia che si cela dietro ognuna di esse.

Mi addormenterò con la luce della luna, il rumore delle onde e il pensiero delle tue labbra di te in testa.

Buonanotte, Clarke.

Lexa.

Erano passate più di due settimane e la lettera di Lexa era finalmente arrivata.
Clarke non capiva perché ci mettessero così tanto tempo ad arrivare; scartò l'ipotesi che fosse Lexa ad impiegare del tempo a rispondere. In ogni sua lettera percepiva sempre più..non sapeva nemmeno lei come definirlo.

Sapeva solo che ad ogni lettera, ad ogni parola, si sentiva sempre più connessa a quella donna.

Due notti fa, si era svegliata di soprassalto, nel cuore della notte.
Due occhi verdi (non aveva mai visto la loro vera tonalità, ma era sicura che fossero dello stesso colore delle foreste selvagge) e un paio di labbra piene piegate in un sorriso tormentavano il suo sonno.

Tormentavano, in senso positivo.

Ad ogni risveglio, Clarke si svegliava sudata, con il cuore che le batteva all'impazzata.
Non ricordava quasi mai nulla di quello che accadeva, ma era sicura fosse qualcosa di bello.

Quella mattina, tutto risplendeva di una luce più bella.

Aveva preparato la colazione al suo bambino ed era andata a salutare la signora Woods; poi aveva annaffiato le piantine del suo terrazzo e si era preparata una tazza di Tè.

La lettera, ancora chiusa, sembrava fissarla da sopra il tavolo.
Clarke l'aveva lasciata lì, ogni tanto le lanciava uno sguardo, come se ci fosse qualcuno ad attenderla sulla soglia della porta.

Poi non ce la fece più, e con un sorriso stampato in volto la scartò e la lesse tutta d'un fiato.

Il suo sorriso si allargò ancora di più, e rilesse di nuovo le ultime righe.

Era così bello avere qualcuno, pensò Clarke stringendo la lettera al petto.

Ed era così bello che quel qualcuno fosse proprio Lexa.

Non vedeva l'ora di risponderle
.
5 Ottobre 1943
Mia cara AlexandrIa,

Odio il fatto che le lettere ci mettino così tanto tempo ad arrivare.
Non sono una persona paziente io!

Mi sei mancata, sai?

Questo bene di cui parli..credo di provarlo anche io..voglio dire, come lo spieghi il fatto che tormenti i miei pensieri di giorno e di notte?
E' come se..sentissi un calore nel petto, una fiamma che cresce e si espande nel mio corpo ogni giorno di più.

E sono le parole delle tue lettere ad alimentarla.

Non vedo l'ora che avvenga lo sbarco, e non vedo l'ora di vederti: è ovvio che ti aspetterò, mia cara Alexandria.

Non riesco a pensare ad altro.

Quando tornerai, andremo a fare il bagno qui a San Francisco: io, te, Aden e tua mamma. 

Parliamo tutti i giorni di te, ormai. Mi sento capita quando sono con lei.

Non conosco la storia delle costellazioni, anche se mi hanno sempre incuriosito. Potrai sempre spiegarmele quando tornerai, no?

Non vedo l'ora che venga la notte, così da potermi mettere nel letto e sognarti.

Con tutto il mio amore,

Clarke.



12 Ottobre Ottobre 1943
Mia adorata Clarke,

Solo oggi siamo riusciti a stabilirci a Napoli.

Odio doverti far attendere così tanto per le mie lettere, fosse per me ti scriverei ogni giorno. Anzi, fosse per me sarei già lì, a San Francisco.

Napoli è davvero bella.

Voglio dire, per quanto possa essere bella una città distrutta dalla guerra.

Sarà per il popolo di qui, che ci ha accolto calorosamente.
Inoltre sono riusciti a scacciare l'esercito tedesco da soli; sono stati molto coraggiosi, non è vero?

Il nostro prossimo obiettivo è Roma, la capitale, dopodiché avremo definitivamente conquistato la penisola..un po' mi mancherà, l'Italia.
Sembra tanto piccola dalla cartina, ma in realtà non lo è.

E dunque, cos'è questo bene che brucia nel tuo petto? Sei capace di dargli un nome? Di definirlo? 
Perché io vorrei farlo, ma ho paura.

Il tuo viso non tormenta le mie giornate, ma le migliora.
Anche stanotte sto guardando il cielo e le stelle mi ricordano i tuoi occhi.

A volte mi chiedo: come deve essere l'universo visto attraverso i tuoi occhi?
Deve essere sicuramente un posto più bello.

Probabilmente l'universo, con tutte le sue bellissime stelle, è stato fatto solo per essere visto dai tuoi occhi.

Ma perdonami, sto delirando; stanotte ho bevuto, per superare la solitudine e la tua assenza.

Ma nonostante l'alcol, i miei pensieri non ti abbandonano un secondo.

Buonanotte Clarke.

Lexa.

1 Novembre, 1943
Cara Clarke,

Non ricevo tue lettere da quasi un mese e mi manchi, mi manchi da morire.
Ci sono più probabilità che io muoia sentendo la tua mancanza, che sul campo di battaglia.

Ho paura che le mie parole nella precedente lettera ti abbiano spaventata, ma non mi scuserò per quello che sento.

Vorrei solo che tu risponda: puoi anche limitarti a salutarmi, a dirmi che è tutto ok, o a raccontarmi semplicemente della tua giornata.
Puoi anche raccontarmi della tua vita con Finn come facevi prima, mi piaceva anche quello.

Ma ti prego, rispondi alle mie lettere.

Non voglio morire.

Lexa.

10 Novembre 1943
Mia amata Alexandria,

NON ho assolutamente smesso di rispondere alle tue lettere!
Semplicemente, non mi erano arrivate. Non so perché.

Se devo essere sincera, ho pensato al peggio.
Non so dirti nemmeno io se sono morta più per la paura, o per la tua mancanza.

Mi auguro che le cose stiano andando bene lì a Napoli: sono contenta per i traguardi che ha raggiunto il nostro esercito, e sono orgogliosa di te.
Ma mi piacerebbe sapere se tu stai bene, ma bene davvero.

Le parole della tua prima lettera mi hanno molto toccata..l'ho riletta più volte. Nessuno mi aveva mai parlato così, nemmeno Finn.

Hai davvero questa grande considerazione di me, Alexandria?

Sto fumando adesso: Aden dorme nel mio letto, e io sono affacciata alla finestra del piccolo appartamento.

Dovrei sentirmi libera e al sicuro qui, ma in realtà questa vita mi sta opprimendo..non faccio altro che pensare a te.

Penso ai tuoi occhi e alla loro probabile tonalità; penso ai tuoi capelli (erano così ricci, in quella foto..sono sempre così?)

Ma più di ogni cosa penso alle tue labbra.

Penso che vorrei baciarle, scoprire il loro sapore e se sono così morbide come sembrano.
E poi penso che vorrei toccarti; questo lo sogno, a dire il vero..

E' normale tutto questo?

A dir la verità non mi importa se è normale o meno, mi importa solo di averti qui. 

Non ce la faccio più ad aspettare..

Non so che nome dare a questo "bene" immenso che provo per te, non ho né la forza né la lucidità di farlo.

La sigaretta è finita.

Non so come prenderai questa lettera, ma ora che ti ho aperto il mio cuore, mi sento più leggera.

Buonanotte.

Clarke.

Faceva freddo, e i soldati non ce la facevano più.
Erano arrivati alla periferia di Roma, ma erano stati fermati dai tedeschi.

Erano convinti di avere la vittoria in tasca, ma si erano illusi.
O meglio, se l'erano presa comoda e avevano sottovalutato la resistenza dell'esercito tedesco.

Faceva maledettamente freddo quel pomeriggio di novembre, ma Lexa non si era mai sentita più calda in vita sua.

Era rannicchiata contro la figura possente di Gustus, che sbraitava scherzosamente con uno dei suoi commilitoni: entrambi erano palesemente ubriachi.

Lexa aveva riletto la lettera tre volte per capire cosa volessero dire le parole di Clarke.

Non voleva comportarsi come una stupida ragazzina, ma non poté farne a meno.
Non smetteva di sorridere, e le guance si erano arrossate (e non solo per il freddo.)

Lexa ci pensò almeno un'ora prima di scriverle quello che avrebbe voluto davvero.

Ma alla fine si decise: Clarke le aveva aperto il suo cuore, perché lei non avrebbe dovuto fare lo stesso?

Se Clarke non era riuscita a definire quel bene che provava, lo avrebbe fatto lei.

 
22 Novembre 1943
Cara Clarke,

Non ho mai sentito la tua voce.

Ho visto il tuo viso solo in foto, e per di più in una foto vecchissima: il tuo viso potrebbe essere cambiato.

Se non fosse per le parole di mia madre, probabilmente dubiterei anche della tua esistenza.

Non ti ho mai vista, e nonostante volessi avere la certezza, non sono sicura che riucirò mai a farlo.

Nonostante tutto, mi sono innamorata di te.

Mi sono innamorata della tua compagnia, del tuo essere sempre solare, semplice e spontanea.

Il tuo lavoro non sarà quello che desideravi fare da bambina, ma ci metti tutto l'impegno e mi sono innamorata anche di quello.

Mi sono innamorata del piccolo Aden e di quella che era la tua vita quando eri sposata con Finn.

Mi sono innamorata di un futuro che ho costruito nella mia testa, e che non so se tu vorrai vivere.

Mi sono innamorata  di quel neo, a sinistra del labbro superiore, che sono riuscita a vedere per la prima volta solo dopo un mese passato ad osservare la tua foto.

Non me ne frega niente se non dovrei essere innamorata di te, perché lo sono.

Non sei la prima donna che ho amato, e quindi non ho paura.

Non ho la minima idea di come farò,  ma ti prometto che tornerò a San Francisco.
Non dovrei fare promesse io, un misero soldato, nel bel mezzo della guerra, ma lo sto facendo.

E' amore.  Quel bene immenso che non riuscivo a definire, è amore.

Con il cuore più  leggero,

Lexa.

Clarke Griffin non aveva mai amato prima d'ora.
Era stata con due uomini in tutta la sua vita, e uno aveva creduto di amarlo.

Finn l'aveva resa felice.
Le aveva dato una casa, un sorriso, e soprattutto, le aveva dato Aden.

Forse, l'unica persona che aveva mai amato, era suo figlio.

Ma il tipo di amore che Clarke non aveva mai provato, era un altro.

Clarke non aveva mai amato ed era quello che continuava a ripetersi nella sua testa, mentre leggeva le parole di Lexa.

Il cuore sembrava volerle uscire fuori dal petto, e la testa le faceva tremendamente male.

Era scoppiata a piangere, quando aveva realizzato di essersi innamorata di Lexa Woods: la donna con cui si scambiava lettere da quattro mesi, impegnata nella più grande guerra della storia, che probabilmente non avrebbe mai visto.

Tu sei completamente impazzita, continuava a ripetersi la donna, mentre stringeva la lettera e accendeva un'altra sigaretta.
Solo un'altra, per affrontare quel treno in corsa di emozioni che l'aveva colpita in pieno stomaco.

L'intera situazione era follia pura.

Clarke Griffin non avrebbe dovuto innamorarsi di Lexa Woods:
Primo, perché le donne non amano altre donne (giusto?)
Secondo, non l'aveva mai vista. Non sapeva come fosse la sua voce, la sua faccia rovinata dalla guerra, la vera tonalità dei suoi occhi, non conosceva nemmeno tutte le sue piccole abitudini che avrebbero dovuto farla innamorare di lei (per esempio, come le piaceva fare colazione la mattina?)

Lexa Woods non esiste; o meglio, è una persona reale, ma la persona che si era costruita Clarke nella sua testa era completamente diversa dalla Lexa reale.
Ti sei costruita questa donna perché ti manca Finn, perché ti senti sola e hai questo dannato bisogno di amare e di essere amata.

Clarke si ripeté questo discorso per due settimane. 

Era quasi stato convincente, all'inizio, ma il viso della donna continuava a tormentare i suoi pensieri.

Clarke non avrebbe dovuto innamorarsi di una donna, ma allora perché non riusciva a smettere di pensare a lei e alle sue labbra?
Perché non smetteva di fantasticare sul suo ritorno e su una futura vita insieme?

Perché si sentiva così dannatamente connessa a lei?

Clarke Griffin combatté contro i suoi sentimenti per quasi un mese, e solo dopo allora decise di rispondere alla lettera di Lexa.

Si sentiva eccitata ed impaurita allo stesso tempo, ma lo avrebbe fatto.

Le avrebbe detto la verità.

*Angolino di bicorn*

Salve bella gente.

Allora, non ho molto da dire su questa seconda parte.

So che il tutto può sembrare un po'..affrettato. Ma è comunque una mini-long, quindi non potevo tirarla troppo per le lunghe.

E poi le Clarke e Lexa di questo universo, sono personaggi molto fragili e che hanno perso tanto, quindi diciamo che l'una ha trovato nell'altra una sorta di rifugio, e le lettere sono una sorta di consolazione a tutto ciò che accade intorno a loro..quindi ecco perché hanno maturato dei sentimenti così forti e in così poco tempo.
Non so se tutto questo è arrivato a voi lettori, perché è questa la chiave della mini-long, ma mi auguro di si.

Sono curiosa di sapere cosa ne pensate: Lexa è stata troppo impulsiva a rivelarle i suoi sentimenti? E Clarke? Si lascerà andare?
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate.

Inoltre ringrazio chi recensice, aggiunge la storia fra le seguite e i preferiti, ma anche i lettori silenziosi.
Questa raccolta è viva  anche grazie a voi.

Ci si legge alla terza (e ultima) parte, che non sono sicura di poter postare la prossima settimana, anche se farò il possibile.

 

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Capitolo 7
*** The universe was made just to be seen by your eyes. (3) ***


The universe was made just to be seen by your eyes.
[Terza parte]
 

10 Dicembre 1943

Cara Alexandira,

mentirei se ti dicessi che è stato facile per me scrivere questa lettera.

Non ero sicura al cento per cento di volerti dare una risposta, all'inizio, e di questo mi vergogno tantissimo.
Ma meriti di sapere la verità.

La verità che ho cercato di nascondere a me stessa dalla prima notte in cui ti ho sognata e dalla prima volta che il tuo viso ha sfiorato i miei pensieri.
Una verità scomoda, per il mondo e inizialmente anche per me.

Ma alla fine ci ho pensato e mi sono chiesta: cosa c'è di sbagliato nell'essermi innamorata di te?
Non sono sicuramente la prima donna ad amare un'altra donna.
E, ovviamente, non sono la prima donna ad amare qualcuno che si trova al di là dell'oceano.
Cosa c'è di sbagliato nel provare qualcosa di così grande e bello?

Tu mi fai sentire viva, Lexa. Mi fai sentire come se la vita dovesse essere di più di semplice sopravvivenza. E io non voglio tornare a sopravvivere mai più.

Quindi voglio farlo: voglio amarti e voglio permetteri di amarmi, con tutti i rischi e i problemi a cui andremo incontro.
Ti dono il mio cuore, mia cara Alexandria, con la consapevolezza che lo tratterai bene come io sto facendo con il tuo.

Ti amo immensamente, e da oggi conterò i giorni che ci separano dal nostro primo incontro con una consapevolezza diversa.

A presto, mia adorata.

Clarke.

Lexa strinse tra le mani la lettera rovinata e ingiallita che le aveva mandato Clarke quasi 6 mesi prima: sapeva di speranza e di promesse, e Lexa era solita a leggerla ogni volta che aveva paura.
Clarke, inizialmente combattuta, aveva ricambiato i suoi sentimenti, e Lexa si era sentita la donna più felice della terra quando la lettera le era arrivata.
Per i sei mesi successivi, Clarke e Lexa avevano continuato a scambiarsi lettere, in cui si giuravano fedeltà e facevano promesse su un futuro insieme.

Erano passati sei mesi e il gran giorno era arrivato: gli Alleati avevano abbandonato l'Italia, e ora si stavano dirigendo sulle coste della Norrmandia.
La maggior parte delle truppe erano stipate in piccoli aerei, che avrebbero dovuto portarli a terra in seguito ad un massiccio bombardamento aeronavale.
Erano le prime ore del 6 giugno 1944 e nell'aereo in cui Lexa era stata assegnata, pesava un silenzio surreale, interrotto da preghiere e nomi sussurrati nel terrore.

Lexa infilò la lettera in tasca, più determinata di prima, e accarezzò distrattamente il bracciale in cuoio che le aveva regalato Clarke per Natale (di colore nero, con su inciso "protector of mankind".)
Gli occhi verdi della soldatessa vagarono fuori il finestrino, e nel buio della notte, vide le coste francesi illuminate dalla luce macabra delle bombe.
Era arrivato il momento.

Atterrarono mezz'ora dopo sulle spiagge di Utah e Omaha, ma la reazione nemica non si fece attendere: nel giro di qualche minuto, si scatenò il caos.
Lexa non aveva mai visto l'inferno, ma era sicura che avesse le sembianze delle spiagge francesi nel bel mezzo della guerra.

In un groviglio di luci, spari, grida e corpi che correvano, Lexa entrò in un vero e proprio stato di trance e iniziò a sparare a chiunque le si avvicinasse; non era nemmeno più capace di distinguere le truppe alleate da quelle nemiche.

Avvertì solo lontanamente la voce di Gustus gridare il suo nome, gli occhi ancora puntati sui corpi che correvano nelle vicinanze e le mani a stringere la sua fedele arma.
Solo dopo un po' avvertì un dolore lancinante all'altezza degli addominali: sangue, c'era sangue ovunque.

A Lexa mancò il respiro: le avevano sparato.

Si inginocchiò a terra mentre si reggeva la pancia, lo sguardo ancora puntato sul sangue che sgorgava dal suo corpo.
Poi, ai suoi occhi, il colore rosso del sangue si trasformò nel blu intenso dei suoi occhi preferiti.

Poi fu il buio.

-

Clarke sgranocchiava la sua barretta di cioccolato, mentre con occhi stanchi osservava la figura del figlio che dormiva beatamente nel suo letto.
Vederlo dormire le metteva sempre una certa tranquillità: osservava il suo petto alzarsi e abbassarsi regolamente, sorridendo, e pensava a quanto fosse bello e a quanto fosse fortunata ad averlo.

Probabilmente, se non fosse stato per lui, non sarebbe sopravvissuta in quei due mesi.

Due mesi.

Erano passati due mesi dall'ultima lettera di Lexa, due mesi dallo sbarco in Normandia.
Il numero di vittime comunicato alla radio era agghiaciante (quasi 6600 per le truppe statunitensi.)

Clarke ci aveva creduto, era davvero stata sicura che Lexa ce l'avrebbe fatta. D'altronde, glielo aveva promesso.
Ma quel silenzio pesante durato oltre due mesi, non poteva che significare una sola cosa: Lexa era morta.
E con lei, se n'era andata anche una piccola parte dell'anima di Clarke, assieme a tutte le speranze e tutte le promesse.

Aveva di nuovo riposto il suo cuore e la sua felicità nelle mani di qualcuno che non sarebbe mai tornato a casa, e ora stava soffrendo.
Avrebbe sofferto per sempre la perdita di Lexa.

Per quasi un mese era stata paziente, pensava che in tutto quel caos i soldati non riuscissero nemmeno a trovare il tempo di dormire, figuriamoci di scrivere lettere.
Poi era subentrata la paura: la paura di averla persa per sempre, e quello fu decisamente il periodo più brutto della sua vita.
Infine, alla fine del secondo mese, era subentrata la rassegnazione.

La madre di Lexa non aveva perso la speranza, diceva che era certa che la figlia non fosse morta, riusciva a sentirlo.
Ma Clarke pensava fosse semplicemente un modo tutto suo di affrontare il dolore.

Quindi non era riuscita a sfogarsi nemmeno con lei.
Aveva ricominciato a fumare, ogni giorno, e almeno una volta a settimana scriveva lettere a Lexa come se fosse ancora in vita. 
Lettere che non sarebbero mai arrivate.

La notte era decisamente la parte peggiore della giornata: se durante la mattina faceva di tutto per tenere la mente impegnata, di notte, da sola nel suo letto, fissava il soffitto e immaginava scenari che non si sarebbero mai verificati.

Porterò te e Aden il più lontano possibile da tutto questo.
Se solo potessi, ti sposerei anche, ma sappiamo tutte e due che non abbiamo bisogno di pezzi di carta per testimoniare il nostro amore.


Lexa glielo ripeteva sempre. L'avrebbe davvero sposata, se solo avesse potuto.

Quella mattina, avevano comunicato in radio che tutti i soldati feriti gravemente, sarebbero tornati a casa dalle loro famiglie.
Con un gesto di stizza aveva spento la radio e si era diretta in doccia, pronta ad affrontare quella giornata infernale.
L'ennesima, senza di lei.

A fine giornata, esausta, si era prepata un tè e accovacciata vicino la finestra.
Osservava le stelle attraverso il vetro opaco e per un attimo immaginò se stessa, insieme alla sua amata, distesa su una collina, col naso all'insù ad osservare le costellazioni; la voce calda e rassicurante di Lexa che le sussurrava all'orecchio tutte quelle storie che avrebbe tanto voluto senitre.

Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente quando le parve di sentire davvero la voce di qualcuno vicino il suo orecchio.

"Clarke.."

Clarke si girò di scatto, avvertendo una presenza alle sue spalle.
Ma, naturalmente, non c'era nessuno.
Sospirò, prima di alzarsi e di recarsi in cucina per sciacquare la tazza.
Osservò il suo riflesso nello specchio: i capelli arruffati, gli occhi rossi contornati da un paio di occhiaie a dimostrare la sua mancanza di sonno, e la camicia troppo grande di Finn a coprirle il corpo fin sopra le ginocchia.

Sobbalzò e quasi la tazza le scivolò di mano quando avvertì qualcuno bussare alla sua porta.
Si asciugò le mani con un panno e si chiese chi potesse mai presentarsi a casa sua alle 10 di sera: Aden aveva insistito per dormire di nuovo a casa della signora Woods, che era diventata come una nonna per lui, e Clarke era quasi certa che a quell'ora stessero già dormendo.

Quando aprì la porta, le sembrò di vedere un fantasma.

Con la bocca spalancata, gli occhioni blu di Clarke correvano sulla figura presente sulla soglia della porta, pronti a cogliere più dettagli possibili.

I capelli scuri e lunghi erano raccolti sotto un cappellino, così da lasciare scoperto il viso che era ricoperto quà e là di piccole ferite che si stavano rimarginando. Gli occhi erano incredibilmente luminosi e un sorriso timido dominava su quel viso, ora arrossato per l'imbarazzo.
I vestiti militari erano molto più puliti di quanto Clarke avesse immaginato nelle sue fantasie.
Una mano stringeva una sacca, che probabilmente conteneva i suoi vestiti civili, mentre l'altra si muoveva timidamente a mò di saluto.

"Ciao, Clarke."

Lexa era viva.

Se ne stava lì, sulla soglia della sua porta, viva e reale, come se non fosse sparita per più di due mesi.
Come se Clarke non fosse stata convinta per tutto quel tempo di aver perso il più grande amore della sua vita.

Inizialmente si sentì sorpresa, pensò addirittura di essere capitata in uno di quei dannati sogni che la facevano svegliare triste e amareggiata, facendola rendere conto di quanto lontana fosse la realtà da quello che desiderava davvero.

Poi provò rabbia: perché in quei due mesi era sparita? Perché l'aveva tormenentata (e non in senso positivo questa volta) facendola soffrire così?

Poi provò solo un immenso e intenso amore.

Nell'esatto momento in cui i suoi occhi stanchi avevano incrociato quelli felici e speranzosi di Lexa, sentì esplodere nel suo corpo, come una bomba, tutto l'amore che aveva provato per Lexa in quei mesi.

Il corpo minuto di Clarke si gettò disperatamente fra le braccia della soldatessa, il naso immerso nei suoi capelli bruni ad inspirare il suo odore, e gli occhi chiusi che cercavano di combattere contro le lacrime.

"Ehi..va tutto bene" Lexa l'aveva stretta delicatamente e sussurrava, come se temesse di mandarla in pezzi da un momento all'altro.

"Sei..qui. Sei davvero qui" singhiozzò Clarke tra le sue braccia.
Lexa si prese tutto il tempo del mondo per stringere a se la donna che aveva amato e bramato per tutti quei mesi.
Inspirava profondamente il suo odore (perché sapeva già che avrebbe profumato di vaniglia?) e le accarezzava dolcemente la schiena.

Avevano pianto, strette l'una nelle braccia dell'altra, e solo dopo dieci minuti buoni si staccarono, solo per avvicinare di nuovo i loro visi.
"Guardami" chiese gentilmente Lexa, per invogliare Clarke ad aprire gli occhi.
Quando fu invasa da un paio di occhioni blu, si sentì quasi svenire.
La mano corse a raccogliere le sue lacrime, per poi essere sostituita dalle sue labbra.

Lexa si sentì a casa: non perché era a San Francisco, o perché era nel suo condominio. Clarke la faceva sentire così.

La bionda la tirò nell'appartamento, chiudendo la porta e attirando il suo corpo a se.
I loro corpi aderirono perfettamente l'uno all'altro, come due pezzi di un puzzle, e un bellissimo e luminosissimo sorriso spuntò sul volto di Lexa.

Clarke si rese conto di non aver mai visto niente di più bello.

Le sue mani, dalle dita curate e le unghie laccate di rosso, ancora accarezzavano il viso di Lexa, così bello eppure così rovinato, per poi portarle dietro la sua nuca.

Lo sguardo cadde volontariamente su ciò che aveva bramato per tutti quei mesi di distanza: le sue labbra.
Erano piene e rigenerate, fatta eccezione per un piccolo taglio sul labbro superiore.
Si avvicinò, lentamente, alternando lo sguardo tra le sue labbra e i suoi occhi, rendendosi conto che Lexa stava facendo lo stesso.

Quando le loro labbra si unirono per la prima volta, Clarke e Lexa erano impreparate all'insieme di emozioni che stavano provando: si sentivano letteralmente come due quattordicenni al loro primo bacio.
Le labbra si esploravano inizialmente timide, poi sempre più consapevoli e audaci, fino a che i baci non si trasformarono in un groviglio di lingue e di sospiri.

Sorridevano l'una sulle labbra dell'altra, mentre Clarke trascinava delicatamente la soldatessa nella sua camera da letto, le mani che non smettevano un attimo di esplorare corpi accaldati e sudati.

Si staccarono solo quando Clarke si sedette sul letto; gli occhi a scrutarsi curiosi e sorridenti, le labbra rosse e gonfie per i baci.

Lexa si mise a cavalcioni sulle gambe di Clarke, guardandola ancora negli occhi come a chiederle un muto permesso.
Permesso che venne concesso quando Clarke si sbottonò la camicia e la gettò via, mostrandosi alla sua amata in tutta la sua bellezza.
Gli occhi di Lexa divennero verde scuro a causa della lussuria e in men che non si dica si liberarono entrambe di tutti quegli abiti ingombranti.

Le mani di Lexa, ora seduta a cavalcioni sul suo addome, scorrevano sul corpo di Clarke, esperte, mentre questa non riusciva a trattenere sospiri di puro piacere.

Non veniva toccata in quel modo da tantissimo tempo.
Anzi, probabilmente non era mai stata toccata, amata e venerata così mai prima d'ora.

I baci di Lexa, inizialmente impegnati sulle sue labbra, si spostarono sul suo collo candido, lasciando una serie di piccoli segni rossi per indicare il suo passaggio.
Poi si dedicarono al suo seno prosperoso, prendendosene cura con baci e piccoli morsi.

Clarke strinse forte il lenzuolo del suo letto mentre gridava il nome di Lexa.

Musica per le sue orecchie.

La bionda quasi sussultò quando Lexa le allargò le gambe, portando la sua completa attenzione sul centro del suo piacere.
Lexa iniziò a baciarle il ginocchio, scendendo poi alle cosce e all'inguine.
Il tutto molto lentamente e delicatamente, tanto che Clarke pensò di impazzire.

"Lex.." iniziò a lamentarsi Clarke, per poi venire interrotta dalla lingua di Lexa che si era fiondata senza preavviso nella sua intimità.
Iniziò a spingerla dentro e fuori, stuzzicando il suo organo del piacere prima lentamente, poi sempre più veloce, mentre Clarke muoveva i suoi fianchi assecondando il ritmo di Lexa.

La stanza di Clarke, prima buia e silenziosa, si riempì delle sue grida di piacere.
Una mano a stringere il lenzuolo, l'altra invece a tirare i capelli di Lexa per spingerla a fare di più.
Un mugolio di piacere vibrò nella gola di Lexa quando Clarke la ricoprì dei suoi umori, venendo e pronunciando il nome della sua amata.

Respiravano entrambe pesantemente, ma non si diedero nemmeno il tempo di riprendere fiato che le loro labbra erano già incollate in un altro bacio infuocato.

Chiaramente avevano parecchio tempo da recuperare.

Ora le posizioni si erano invertite: Lexa era sotto di Clarke, ansimante e con gli occhi spalancati per il piacere, mentre Clarke, seduta sul suo addome, le stuzzicava i capezzoli con le dita.

"Sei così bella, Lexa" sussurrò Clarke sul suo capezzolo "bellissima" e poi glielo morse.
La mano destra, intanto, scese tra i loro corpi arrivando all'intimità della donna.
Le dita iniziarono a scorrere lentamente sulle labbra della sua apertura, penetrando immediatamente nella sua inimità  che era già dannatamente pronta.

"Oh mio dio.." sussurrò Lexa in preda al piacere, mentre Clarke la zittiva con un altro bacio.
Le sue dita si muovevano prima lente e incerte, ma poi presero ritmo e inziarono a muoversi dentro e fuori.
Lexa assecondò immediatamente quel ritmo, muovendo i fianchi verso quelle dita lunghe e perfette, e anche Clarke iniziò a muovere il suo corpo in una sensuale danza.

"Ti amo, Clarke.." gridò  Lexa tra una spinta e l'altra, chiudendo gli occhi.
Clarke si fermò improvvisamente, le dita ancora immerse nella sua intimità.
Un sorriso timido ad illuminarle il volto, mentre Lexa aveva spalancato gli occhi per protestare.
Proteste che le morirono in gola quando Clarke ricominciò con le spinte "ti amo anche io, Alexandria" rispose Clarke mordicchiandole possessivamente il labbro.

Quel ti amo sussurrato sulle sue labbra, quelle dita lunghe che le procuravano piacere, furono un combo perfetto per Lexa: venne gridando il nome di Clarke, guardandola negli occhi e sorridendoleome se fosse la cosa più bella del mondo.

Clarke la osservò: i capelli arruffati, le pupille ancora scure per il iacere e il seno minuto e sodo che si alzava e abbassava  freneticamente..nemmeno nei suoi sogni più bagnati aveva avuto il piacere di godere di una visione del genere.

Come se fosse possibile, sentì di essersi innamorata di quella donna ancora di più.

Si guardarono negli occhi, ancora nude e stremate e ansimanti, per un tempo indeterminato, poi Clarke crollò al fianco della sua soldatessa preferita, bisognosa di nuovo contatto.
La sua mano iniziò a scorrere sull'addome piatto della mora, coperto da una fasciatura, mentre gli occhi di Lexa non abbandonarono un attimo il viso della bionda.

"Parlami ancora.." sussurrò Clarke, con gli occhi lucidi e ancora increduli per tutto quello che era appena accaduto.
Lexa ridacchiò, felice per la prima volta, o probabilmente come non lo era mai stata.
Si avvicinò  e le diede un altro bacio sulle labbra "sei meravigliosa, Clarke" poi un altro bacio e un altro ancora.
Clarke chiuse gli occhi, godendosi quella voce calda e rassicurante che era riuscita a sentire solo nei suoi sogni tormentati.
Si accoccolò sulla sua spalla e Lexa la strinse a se.

"Credevo di averti persa" sussurrò Clarke sulla sua pelle, incapace di guardarla.
Lexa sospirò "lo so, mi dispiace. Sono stata davvero male, Clarke, inoltre non permettevano ai feriti di mandare lettere dall'ospedale.
Ma sappi che sei stata nei miei pensieri ogni secondo."
Clarke annuì "non c'è stato un singolo giorno in cui io non ti abbia pensata" poi alzò il capo e la guardò negli occhi "sei il mio sole, Lexa."
Lexa sorrise e le diede un bacio sulle labbra, come a dirle che si, anche lei era il suo sole.

Poi Clarke tornò nella stessa posizione di prima "sei già stata da tua madre?"
Lexa le baciò i capelli "non ancora. Avevo bisogno di vederti."

Clarke sorrise, un sorriso amaro, l'unico che poteva accompagnare la domanda che stava per porle "quando ripartirai?"
"Non parto" rispose immediamante Lexa "l'esercito statunitese non ha più bisogno di me."
Clarke sollevò il capo e la guardò negli occhi, tentando di capire se stesse scherzando o meno.

Ma il suo sorriso luminoso era una risposta più che sufficiente.
"Quindi resti.." realizzò Clarke "resti!" Gridò, fiondandosi su di lei e riempiendola di baci.
Lexa scoppiò a ridere e le accarezzò la schiena nuda "resto, mia amata. Per sempre."

 
*Angolino di bicorn*

Eccolo qua il terzo capitolo.
Fra i tre questo è stato quello più difficile da scrivere, visto che in un capitolo solo vanno entrambe incontro a tantissime emozioni, anche opposte.
Clarke passa dalla convinzione di averla persa per sempre a passare una notte di passione con lei ad apprendere poi la notizia che desiderava sentire più di ogni cosa.

Non sono sicura di essere riuscita a rendere al cento per cento tutte le emozioni e i sentimenti delle due protagoniste, ma mi auguro di si. Anche se sono convinta che avrei potuto fare molto meglio.

Come ho già detto questo era l'ultimo capitolo. Non sono ancora certa dell'universo che sceglierò per il prossimo capitolo, ma sono (quasi) sicura che non vi deluderò.

 

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Capitolo 8
*** The Princess and the Captain. ***


The Princess and the Captain.

[Pirates AU]

 
 
Il corpo di Clarke venne maldestramente gettato su un pavimento di legno. La giovane principessa si piegò sulle ginocchia e digrignò i denti per trattenere il lamento di dolore.

Attraverso il sacco di iuta che le avevano legato in testa riusciva vagamente a distinguere delle ombre muoversi davanti a lei e stagliarsi contro la luce del sole.

Era notte fonda quando i pirati avevano fatto irruzione nel palazzo reale della TonDC, derubando la sua famiglia e mettendo a ferro e fuoco la città.
Clarke si era nascosta nel grandissimo e lussuoso armadio delle sue stanze, consapevole che prima o poi sarebbero venuti a prenderla.
Sapeva bene che i pirati l'avrebbero rapita per chiedere un'altissima somma al re Griffin, per fargliela riavere indietro.
Per questo non si era mostrata spaventata e non aveva lottato quando due uomini dalla carnagione scura avevano spalancato violentemente l'armadio della sua  camera e le avevano legato polsi e imbavagliata.
Non si era mostrata spaventata nemmeno quando le avevano messo un sacco in testa e trascinata fuori, con le urla della madre che riecheggiavano alle sue spalle.

La verità è che la princcipessa Clarke Griffin non si era mostrata spaventata semplicemente perché non aveva paura di perdere per sempre quella vita. Non aveva nemmeno paura di morire.
Qualunque cosa sarebbe stato meglio di una vita vissuta tra abiti e ori preziosi, regole, balli reali e matrimoni combinati.
Lei non la voleva quella vita. Lei voleva sentirsi libera e vedere il mondo.
Un po' come facevano i pirati delle storie che le raccontavano da bambina.

E un po' li invidiava, quei pirati.

Quindi era per questo che Clarke non era spaventata nemmeno in quel momento.

I polsi le bruciavano per la corda troppo stretta e i piedi le facevano male. I due pirati che l'avevano rapita l'avevano spintonata per tutto il tempo, prima di salire sulla barca, e ora che era lì non sapeva cosa aspettarsi.
Un silenzio inquietante avvolgeva la barca; per un istante pensò che l'avrebbero semplicemente lasciata lì, sul ponte di comando, imbavagliata come un tacchino pronto per essere ucciso e mangiato.

Ma poi un'ombra si inginocchiò proprio davanti a lei, e Clarke trattenne il respiro non appena questa le tolse il sacco dalla testa.
I suoi occhi ci misero un po' ad abituarsi di nuovo alla luce del sole; iniziarono a scorrere rapidamente sul ponte di comando e notò riunito attorno a lei un numeroso gruppo di donne e uomini.

Pirati, pirati ovunque.

Come aveva dedotto, era sul ponte di comando di una nave, la più grande che gli occhi di Clarke avessero mai visto, e ora si stava muovendo.
Ma non riuscì a cogliere altri particolari, perché il suo sguardo venne catturato da un paio di occhi verdi curiosi che la stavano studiando.
La donna davanti a lei non doveva essere di molto più grande di lei; aveva gli occhi verdi e luminosi, e una complicata acconciatura che imprigionava i capelli mossi; la carnagione era un po' scura (probabilmente a causa del tempo eccessivo che passava al sole), e le labbra erano piene e colorate.
Quelle stesse labbra erano piegate in un sorriso, mentre gli occhi verdi studiavano la nuova arrivata con curiosità e con qualcos'altro che Clarke non riuscì a cogliere.

"Capitano, cosa dobbiamo farne di lei?" Domandò cautamente una voce alle sue spalle.

Quella ragazzina era il capitano.

Clarke alzò il mento, fiera, cercando di non mostrarsi intimorita dalla donna.  A dirla tutta non era per niente intimorita, più che altro curiosa.
Le donne si studiarono ancora per un po', fino a quando una voce di donna interruppe nuovamente il silenzio: 

"Io propongo di gettarla in mare. Non ce ne facciamo niente delle belle e delicate principesse come lei."

"Io propongo di tenerla prigioniera, e di chiedere un riscatto al re" propose un'altra voce.
Clarke serrò la mascella. Nessuna di quelle proposte l'allettava particolarmente, ma fu abbastanza saggia da decidere di tenere la bocca chiusa, almeno per ora.

"Silenzio" ringhiò il capitano a denti stretti, alzandosi all'improvviso.
Gli occhi di Clarke sentirono immediatamente la mancanza di quel viso, e seguirono attentamente il corpo della donna posizionarsi davanti la sua ciurma di pirati.

Clarke riuscì a cogliere altri particolari: era alta, e indossava un pantalone nero che le fasciava perfettamente le gambe magre e toniche, mentre una maglia larga e bianca nascondeva le sue forme femminili.
Una ragazza davvero attraente, non c'è che dire pensò involontariamente Clarke, arrossendo.

Una donna con la carnagione scura, la stessa che aveva parlato prima, la guardò con disprezzo.

"La ragazza per ora sarà ospite sulla nostra nave; slegatela e nutritela, poi deciderò io sul da farsi" pronunciò autoritario il capitano, non permettendo repliche.

Lanciò un'ultima occhiata alla prigioniera e fece per andarsene, quando Clarke riuscì a togliersi il bavaglio che le copriva la bocca e finalmente parlò "capitano, vorrei parlarle in privato, se è possibile". Aveva finalmente l'occasione di abbandonare la sua vecchia vita e di essere chi voleva davvero, e non se la sarebbe lasciata scappare per niente al mondo.

"Stupida ragazzina insolente.." uno dei due uomini alle sue spalle alzò minacciosamente la sua grande mano per colpirla, ma venne interrotto dal capitano.

"Fermati!" Gridò; sembrava quasi arrabbiata.
Guardò severamente il suo uomo, poi si avvicinò di nuovo alla ragazza inginocchiandosi davanti a lei.

"Come ti chiami?" Domandò gentilmente, spiazzando la giovane.
"Clarke" sussurrò la principessa, sorpresa di tutta quella gentilezza che non si sarebbe mai aspettata, non da un capitano così temuto.

Gli occhi del capitano la scrutarono ancora, come se volesse disperatamente comunicarle qualcosa con lo sguardo, poi parlò "va bene, Clarke. Cambiati e vieni nella mia cabina, ti aspetterò lì."

"Lexa.." sussurrò incredulo l'uomo che aveva cercato di colpire la principessa poco prima.
Lexa lo guardò in malomodo, poi si alzò e andò via senza degnare gli altri di attenzioni.

-
 
Una ragazza, Octavia, l'aveva aiutata a mangiare e a cambiarsi. Era stata molto più gentile, rispetto ai pirati che aveva incontrato fino a quel momento.
Ovviamente il discorso non valeva per Lexa

Quella donna con un solo sguardo era capace di intimorire un gruppo di uomini, ma Clarke non aveva paura. Clarke voleva conoscerla. Voleva sapere cosa aveva portato una giovane donna a diventare capitano di una ciurma di pirati; voleva sapere cosa si provava ad avere il completo controllo della propria vita (e non solo), e soprattutto voleva sapere cosa si provava ad essere liberi.

Clarke voleva conoscere Lexa, e non le importava di quali complicazioni avrebbe incontrato, di quante altre mani rozze l'avrebbero toccata. Lexa l'aveva guardata e trattata diversamentre, non la disprezzava per il suo status sociale e per la sua ricchezza, e questo per Clarke era più che sufficiente a farla restare.


Octavia le aveva raccontato che anche lei era stata prigioniera su quella nave, ma col tempo era riuscita a guadagnarsi la fiducia del comandante (la ciurma era solita a chiamarla anche così) ed era diventata un pirata a tutti gli effetti.

"Lexa diceva sempre che aveva visto qualcosa di diverso in me, e per questo mi ha lasciato scelta: la scelta di tornare dalla mia famiglia o di restare con loro per sempre" le aveva raccontato.

Aveva anche detto che non avrebbe abbandonato la vita da pirata per nulla al mondo.

Chissà se Lexa aveva visto qualcosa di diverso anche in lei; chissà se le avrebbe lasciato scelta.

Con mani tremanti per l'emozione, Clarke spalancò la porta della cabina del capitano senza nemmeno bussare. 

Davanti ai suoi occhi curiosi e bramosi si stagliava la schiena nuda del comandante, che si stava evidentemente cambiando.

Clarke sarebbe dovuta tornare indietro o quantomeno rendere nota la sua presenza, ma non lo fece. I suoi occhi corsero su e giù su quella distesa di pelle olivastra, cogliendo sempre più dettagli: un gigantesco tatuaggio tribale decorava quasi tutta la schiena del capitano, e una cicatrice bianca all'altezza dei reni stonava con il naturale colorito della sua pelle.

Clarke era innegabilmente e perdutamente attratta dal capitano dei pirati che l'avevano rapita e, a dirla tutta, non avrebbe fatto nulla per rimediare a questo.

Quella visione venne interrotta da una grande maglia marrone, appena infilata dalla ragazza.

Si girò a guardarla e la luce nei suoi occhi fece capire a Clarke che si era resa conto della sua presenza già da molto tempo.

"Lexa-ehm, comandante. Scusami, avrei dovuto bussare" pronunciò finalmente Clarke per rompere il silenzio, ma non credeva nemmeno lei a quelle parole.

Chiuse la porta alle sue spalle e con passo incerto si avvicinò alla donna più bella che avesse mai visto.
Lexa la studiava, ancora, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo fasciato da abiti tipicamente pirateschi.
Si morse il labbro, pensierosa, ma non disse nulla.

Clarke prese un respiro profondo "so di essere una prigioniera qui, e che non dovrei avanzare richieste.." poi si fermò, con la speranza che la comandante rispondesse. Ma questa si limitò a puntare i suoi occhi verdi in quelli blu della principessa "..ma vorrei chiederti di rimanere qui, come pirata. Non sono interessata a tornare dalla mia famiglia."

Lexa le si avvicinò, e Clarke si trovò costretta ad indietreggiare per non trovarsela addosso. La sua schiena si scontrò contro il muro freddo della cabina e trattenne il respiro quando Lexa le si avvicinò ancora di più, facendo aderire il proprio corpo al suo.

Clarke rabbrividì avvertendo le forme femminili del comandante contro le proprie, e trattenne il respiro quando questa le afferrò il mento e si avvicinò alle sue labbra "e una piccola e graziosa principessa come te cosa dovrebbe mai farci in una ciurma di pirati rozzi e sporchi, mh?" Domandò sulle sue labbra, in tono tutt'altro che intimidatorio.

Stava giocando con lei, come se fosse il gatto della situazione e Clarke lo stupido topolino che si era lasciato intrappolare troppo facilmente.
Ma Clarke non ci stava per niente ad essere il topolino indifeso.

"Sono quasi sicura di avere la tua stessa età."

Lexa si lasciò sfuggire un sorriso divertito, ma non si allontanò.

"Sei davvero una ragazzina insolente, i miei pirati hanno ragione, dovrei gettarti in mare. Potresti portarmi non pochi problemi."

Un brivido ignoto percosse la schiena di Clarke, e prima che potesse anche solo pensarci, le sue labbra si avvicinarono all'orecchio del capitano "io sono una fonte inesauribile di problemi" sussurrò seducente, noncurante della sua effettiva posizione di prigioniera.

Lexa spalancò gli occhi e si scostò dalla ragazza come se si fosse scottata. Poi le diede le spalle.

"Ti concederò un periodo di prova di 10 giorni. Se sarai riuscita a guadagnarti la fiducia mia e della mia ciurma, potrai restare. Altrimenti tornerai dritta diritta a TonDC" la voce di Lexa, ad un orecchio poco attento, sarebbe potuta apparire severa e decisa, ma in realtà tremava.

Clarke, inzialmente delusa da quell'allontanamento e cambio di atteggiamento, decise poi di non darsi per vinta.

D'altronde ora era un pirata. Era libera di fare quello che voleva, quindi perché non avrebbe dovuto continuare a divertirsi con il suo attraente capitano?

La principessa si avvicinò alla comandante, l'afferrò per un braccio facendola girare e la fece sbattere contro il tavolo della cabina.

Lexa spalancò gli occhi, sorpresa e impreparata, un luccichio brillava nel fondo di quel mare verde, ma Clarke di nuovo non ebbe il tempo di interrogarsi "come ti permetti?" Sibilò indignata Lexa.

Questo sarebbe dovuto essere un campanello d'allarme per Clarke: si stava spingendo troppo oltre, e Lexa si stava innervosendo.

Ma non si fermò.

Appoggiò le mani sulla scrivania, proprio vicino ai fianchi di Lexa, e si avvicinò alle sue labbra "la principessa si augura di riuscire a soddifare tutte le richieste del suo comandante, allora" sussurrò, lasciandole un piccolo bacio a fior di labbra.
Durò un secondo, ma Clarke avvertì una scarica elettrica attraversarle tutto il corpo e il basso ventre.

Lexa aveva chiuso gli occhi e sporgeva ancora le labbra, come a chiedere di più, e in quel momento Clarke capì di avere la comandante sotto il suo completo controllo.

Poi si allontanò, velocemente come si era avvicinata, e uscì dalla cabina sbattendo la porta.

Non c'erano dubbi, la vita da pirata le sarebbe piaciuta da impazzire.

 


*Angolino di Bicorn*
 
Tranquilli, lo sclero settimanale di questa raccolta non manca mai. Questa volta mi sono cimentata in una PIRATES!AU (un altro universo che mi ha sempre affascinato tanto.) Clarke inerpeta di nuovo le vesti di una principessa annoiata, ma in questo caso la Lexa che la salva da questo mondo pomposo e fatto di eccessi è un gran bel pirata. ;)
Non ho molto da dire su questa one shot, visto che è in se conclusa. Fatemi sapere cosa ne pensate e se vi è piaciuta questa AU, e come sempre un ringraziamento grande a chi legge e a chi mi fa sempre sapere cosa ne pensa dei miei brevi racconti.

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Capitolo 9
*** Ripetizioni. ***


Ripetizioni.
 

Clarke osservò lo sguardo concentrato di Aden, in attesa di una risposta.

Nonostante la trigonometria e la matematica in generale non fossero il suo forte, ce la stava mettendo davvero tutta per riuscire a capire l'argomento.

Quando Clarke aveva iniziato a dare ripetizioni al ragazzino, quasi tre mesi fa, aveva subito capito di avere a che fare con un ragazzo brillante e determinato. Nonostante fosse più piccolo di lei, era bello fronteggiarsi e scambiare opinioni con qualcuno così sveglio e intelligente. 

Per questo, quando andava a casa di Aden per dargli ripetizioni di matematica, ci andava sempre con piacere.

La madre era sempre stata molto gentile con lei, e la paga era buona.

Tutto molto perfetto, fin troppo.

Le cose erano andate bene fino a quando non aveva fatto la conoscenza della figlia più grande di casa, Lexa Woods.
Conoscenza, si fa per dire. In quei tre mesi non le aveva rivolto parola nemmeno una volta; l'unica cosa che Clarke era riuscita ad ottenere, erano sguardi criptici che non riusciva proprio ad interpretare.

Eppure Clarke era particolarmente apprezzata per il suo essere molto espansiva e per il suo riuscire a fare amicizia con chiunque.
E ci aveva davvero provato a fare amiciza, con Lexa, ma dopo aver ottenuto solo un assordante silenzio, aveva semplicemente gettato la spugna.

"Quindi devo semplicemente porre il lato de-" iniziò a ripetere Aden, illuminandosi per aver capito la spiegazione della sua insegnate, per poi venire interrotto dal rumore della porta di casa che sbatteva.

La figura di Lexa Woods apparve nel soggiorno di casa e gli occhi di Clarke corsero immediatamente a studiarla: era sicuramente una bella ragazza. Occhi verdi, capelli lunghi e castani, sorriso da mozzare il fiato e fisico allenato. Clarke probabilmente le avrebbe addirittura chiesto di uscire, se non fosse stata così dannatamente strana e silenziosa.

"Ehi, sorellina" l'accolse Aden con un sorriso; sorriso che venne ricambiato dalla sorella maggiore accompagnato da un bacio sulla fronte.

"Lexa" provò Clarke con voce atona, cercando di attirare la sua attenzione. Ma l'unica cosa che ottenne, come ogni maledetta volta, fu uno sguardo che la ragazza non riuscì proprio a decifrare: cos'era quello che vedeva nei suoi occhi? Rabbia? Astio? Curiosità? 

La più grande di casa Woods studiò per un po' l'insegnante, per poi darle le spalle e imboccare le scale.

Clarke sospirò, rassegnata "quale diavolo è il suo problema?" Domandò più a se stessa che al ragazzino. Non riusciva proprio a capire:
Clarke era capace di fare amicizia con tutti, perché con Lexa non ci riusciva? Stava sbagliando lei in qualcosa?
Aden scrollò le spalle mentre finiva i suoi compiti di matematica.

La lezione volse al termine nel giro di 10 minuti, dopodichè Clarke domandò di usare il bagno prima di andare via.

Salendo le scale, Clarke non riuscì a smettere di pensare a Lexa e all'intera situazione; continuava a tormentarsi sul perché di tutta questa immotivata freddezza nei suoi confronti e cercava disperatamente una soluzione per riuscire a legare con la donna. D'altronde, avrebbe dovuto spendere pomeriggi in quella casa ancora per molto tempo, quindi perché non tentare di creare un rapporto con la sorella del ragazzo a cui dava ripetizioni?

Immersa com'era nei suoi pensieri, non si accorse che era già arrivata di fronte al bagno e che la porta si era appena spalancata.

Gli occhioni blu di Clarke si scontrarono contro il corpo quasi nudo di Lexa, avvolto com'era da un asciugamano striminzito che lasciava scoperte le gambe chilometriche e le spalle ancora bagnate dai capelli gocciolanti.
Lo sguardo di Clarke finì involontariamente col seguire il percorso di una gocciolina bastarda che si infilò nell'asciugamano per poi proseguire dritta dritta nella valle dei seni.

La biondina deglutì rumorosamente e guardò la ragazza di fronte a se negli occhi; ancora quello sguardo. Perché la guardava così? Perché non proferiva parola?

"Lexa.." tentò per l'ennesima volta Clarke con la voce tremante e le guance rosse per l'imbarazzo.
Lexa sembrò studiarla ancora un po', lasciando scorrere il suo sguardo sul corpo di Clarke e facendola sentire nuda e spoglia, come se fosse lei quella con addosso un misero asciugamano.

Clarke sentì qualcosa accendersi dentro di lei a quello sguardo così insistente e si permise di fare lo stesso, ma non appena induguiò un po' troppo su quelle gambe infinite, Lexa avanzò per andare in camera sua.

Senza pensarci nemmeno, Clarke si spostò davanti l'ingresso della camera, impedendo a Lexa il passaggio.

Questa prima sgranò gli occhi per la sorpresa e poi tornò alla sua classica espressione stoica.

"Puoi farmi passare?" Era più un ordine che una domanda.
Clarke spalancò la bocca per la sorpresa (era la prima volta che aveva il piacere di sentire il suono della sua voce) "ah, allora sai parlarare?!"

Lexa alzò un sopracciglio di fronte a tutta quell'ironia e arroganza.

"Mi spieghi qual'è il tuo problema? Anzi, qual'è il MIO problema, visto che prima di oggi non mi hai mai rivolto parola?"

Lexa mantenne la sua espressione glaciale, ma spostò le mani sui fianchi dell'insegnante per spostarla non tanto gentilmente e per far aderire il suo corpo contro il muro.

Le si avvicinò minacciosamente e Clarke si sentì pervadere da un brivido. Non era sicura se quello fosse o meno un brivido di paura.

Quella cosa che si era accesa prima davanti lo sguardo di Lexa, ora si muoveva disperatamente nel suo basso ventre; si sentiva come se l'interno del suo corpo stesse per prendere fuoco.

"Non mi sembra molto saggio uscire con la ragazza che da ripetizioni al mio fratellino" rispose Lexa, quasi come se fosse una cosa ovvia.

Uscire? E chi aveva mai parlato di uscire?

"C-cosa?" Fantastico, Clarke, ci mancava solo che iniziassi a balbettare come una dodicenne.

"Uscire, un appuntamento, hai presente?" Disse Lexa con una nota divertita nella voce, ghignando.

"Sei attratta da me, lo vedo come mi guardi, Clarke" continuò, calcando di proposito sulla K finale del suo nome e accendendo Clarke ancora di più "e sei indubbiamente una bella donna. Probabilmente ti avrei già sbattuta sul tavolo del soggiorno, se tu non lo avessi tenuto impegnato con tutti quei libri di scuola."

Qualcosa esplose nel corpo di Clarke, e questa si trovò ad arrossire e a boccheggiare alla ricerca d'aria, incredula.
Osservò quegli occhi verdi per capire se la stesse prendendo per il culo e poi lo vide: quella strana luce che scorgeva nei suoi occhi era bramosia, desiderio

Lexa la desiderava. E il lago bollente che si era appena creato nelle mutandine di Clarke, suggeriva che per lei era lo stesso.
Ecco perché era sempre così inspiegabilmente frustrata  in sua presenza. Ecco perché non le andava giù che non le avesse mai rivolto parola. 
Almeno fino a quel momento.


Gli occhi di Clarke andarono a cercare le labbra piene di Lexa, ora con una nuova consapevolezza e una luce diversa, e Lexa si leccò labbra sapendo di essere guardata. La biondina si sporse per catturare quella bocca rovente in un bacio, ma Lexa si allontanò bruscamente ed entrò in camera, quasi come se niente fosse accaduto.

Le gambe di Clarke tremarono e questa si trovò costretta ad appoggiarsi disperatamente alla parete per non cadere. La bocca cercava disperatamente aria da cedere ai polmoni (da quanto tratteneva il respiro?) e sentì le gambe farsi ancora più molli quando realizzò che avevano davvero avuto quella conversazione mentre Lexa era praticamente nuda.

La testa di Clarke si girò verso la cameretta di Lexa, e solo allora si rese conto che la porta era stata lasciata aperta in un muto invito.

Come se il suo corpo fosse dotato di vita propria, si staccò dal muro e si affacciò nella stanza.

Il lago nelle sue mutandine (avrebbe dovuto buttarle, come minimo) crebbe ancora di più quando i suoi occhi vennero invasi dalla visione del corpo nudo di Lexa, girato di spalle.

La ragazza aveva il capo girato verso di lei, e la guardava con quel classico scintillio che ormai la bionda aveva imparato a riconoscere.

Poi, qualcosa si ruppe definitvamente nel petto di Clarke quando Lexa le sorrise maliziosamente.

Non ci vide più.

"Oh, sai cosa? Fanculo tutto" Esclamò decisa, entrando in camera e chiudendo la porta a chiave.

Era arrivato il momento di dare un po' di ripetizioni a quell'impertinente di Lexa Woods.


*Angolino di Bicorn*
Ho pensato (giustamente) che la one shot precedente fosse parecchio corta, e così è stato anche con questa, quindi perché non farmi perdonare con un aggiornamente velocissimo?
So bene che le one shot brevi non sono il massimo, ma ho così tante idee da sviluppare, che non appena inizio a scrivere di una mi stanco subito e inizio già a pensare alla successiva..è una mia pecca, lo so bene. Ma ci sto lavorando.
A parte questo, spero che questa piccola pazzia vi sia piaciuta (ebbene si, finalmente una modern!AU.)
Questa volta abbiamo una Clarke (un pochino ingenua) nelle vesti di insegnante che da ripetizioni, e una Lexa apparentemente antipatica che in realtà vuole solo portarsi a letto la biondina.
Mi sono divertita a scriverla, e spero che sia stato lo stesso per voi a leggerla.
Come sempre faccio un ringraziamento grande a chi recensisce, legge e aggiunge la ff tra le seguite, ricordate e preferite; sappiate che apprezzo ognuno di voi (che gran lecchina.)

Vi consolo così: sto già lavorando alla prossima one shot, e se tutto va bene conto di postarla entro la fine di questa settimana (aggiornamenti brevi ma rapidi, mi sono fatta perdonare?)

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Capitolo 10
*** B26 ***


B26
 
B26.
Lexa osservò i caratteri cubitali incisi sulla porta e sospirò pesantemente; chiuse gli occhi e cominciò a ripercorrere ancora una volta il corridoio dell'ospedale.

La sorella maggiore, Anya, appollaita su una delle comidissime sedie d'attesa la osservò infastidita; tutto questo andare avanti e dietro le stava facendo venire il mal di mare.

"Hai intenzione di scavare un tunnel nel pavimento o cosa?" Domandò ironica, cercando, invano, di allentare la tensione nella sorella più piccola.

Lexa non la degnò nemmeno di uno sguardo. Si portò le mani nei capelli scompigliati e continuò ad andare avanti e dietro, sparendo ogni tanto dalla sua vista.

Lo sguardo di Anya cadde sull sedie poste di fronte a lei, e osservò con una punta di gelosia i volti di Octavia, Raven e Lincoln addormentati.
Erano rimasti svegli tutta la dannata notte, e Anya sentiva sempre di più il peso della notte insonne gravarle sugli occhi castani.
Ma il suo codice morale di sorella maggiore le imponeva di rimanere vigile e attenta sulla sua sorellina, che sarebbe come minimo impazzita senza qualcuno al suo fianco.

Dopo che la più piccola delle sorelle Woods attraversò per la trecentesima volta il corridoio, Anya si alzò, decisa a prendere in mano la situazione "senti, ti vado a prendere un thé, ti va?"
Lexa non la guardò. Anya aggrottò le sopracciglia e le poggiò una mano sulla spalla.
La donna sobbalzò, rendendosi finalmente conto della presenza della sorella al suo fianco e poi voltò il capo di scatto "thé? Ti sembra che io abbia bisogno di un thé in questo momento?"

Anya sgranò gli occhi, mentre osservava il suo viso: gli occhi verdi, di solito luminosi, ora erano spenti e contornati da due grandissime occhiaie; le labbra piene erano screpolate e il viso incrdibilmente pallido.

"No, penso che tu abbia bisogno di dormire. E devi darti una calmata, perché siamo tutti nervosi qui-"

Lexa l'afferrò per le spalle "mi calmerò solo quando chiameranno il mio nome, mi faranno entrare in stanza e vedrò con i miei stessi occhi che stanno entrambe bene, ok?!" Affermò alzando un po' la voce e attirando l'attenzione di alcuni dottori che stavano passando in quel momento.

La situazione era più grave di quanto Anya avesse pensato.

Lexa era sempre stata una persona calma ed equilibrata, anche nelle situazioni più disperate; non l'aveva mai vista ridotta in uno stato simile, nemmeno quando erano morti i loro genitori, o quando aveva temporaneamente rotto con la sua attuale moglie.
Cercava sempre di rimanere lucida e attenta, e di analizzare ogni situazione per trovare la soluzione migliore.

Ma era ovvio che quel tipo di situazione non faceva testo, nemmeno per una personalità come la sua.

Anya gettò uno sguardo impaurito ai tre belli addormentati, rendendosi conto che non avrebbe ricevuto nessun tipo di aiuto, e così decise di passare al piano B: gettò le braccia al collo della sorella e la strinse forte.

Lexa inizialmente rimase tesa, ma poi si rilassò un po' nelle braccia della sorella maggiore, che erano sempre state il suo più grande rifugio.

"Ho paura che qualcosa vada storto, Anya" sussurrò nei capelli bruni della sorella "ho paura che qualcosa vada storto, che una di loro due stia male- ho paura di non essere in grado e di mandare tutto a puttane."

Anya le accarezzò i capelli, comprensiva "lo so, tesoro. Ma non manderai a puttane proprio nulla. Non conosco nessuno come te e tua moglie più adatte a questo ruolo. Sono sicura che farete grandi cose per lei" e dicendo questo le lasciò un bacio sulla guancia.

Lexa accennò un sorriso, con gli occhi ricolmi di lacrime, e sia lei che Anya scoppiarono a ridere quando sentirono Raven borbottare nel sonno dopo aver ricevuto una manata da Octavia.

In qualunque modo sarebbero andate le cose, era felice di avere persone come loro nella propria vita e di potrle chiamare famiglia.

Lexa gettò ancora una volta uno sguardo ansioso alle lettere incise su quella dannata porta, (B26, una lettera e un numero che non avrebbe mai dimenticato) e proprio in quel momento la porta si spalancò mostrando la figura stanca e felice di un'infermiera.

"E' andato tutto bene" disse, con un lieve sorriso sulle labbra.

Il corpo di Lexa si rilassò immediatamente a quelle parole e calde lacrime, che aveva trattenuto fino a quel momento, le caddero sulle guance.

"Potete vederle, se volete. Ma una persona alla volta, la signora è molto stanca" e così dicendo se ne andò, sparendo alla fine del corridoio.

Anya e Lexa si guardarono. La più piccola sorrise tra le lacrime, mentre la sorella maggiore ricambiava radiosa il suo sorriso. Poi annuì con il capo, e Lexa le si lanciò di nuovo tra le braccia prima di lasciare il corridoio e di correre nella camera dell'ospedale.
Vide solo con la coda dell'occhio le figure di Raven, Octavia e Lincoln alzarsi in piedi e correre da Anya per chiedere informazioni.

La strada dal corridoio alla stanza fu una delle cose che Lexa avrebbe sicuramente per tutto il resto della sua vita, sembrava non terminare più.

Quando arrivò sulla soglia della stanza, i suoi occhi ripresero a lacrimare e un singhiozzo sfuggì al suo controllo, alla  vista di sua moglie che stringeva tra le braccia il regalo più bello che la vita potesse fare loro.

Un parto cesareo.

Clarke Griffin-Woods aveva avuto un parto cesareo. Aveva appena partorito una bellissima bambina e, nonostante questo, nonostante il volto scavato dal sonno e dalla fatica, nonostante i capelli scompigliati e il camice d'ospedale che le avvolgeva il suo bellissimo corpo, continuava ad apparire agli occhi di Lexa come la cosa più bella esistente al mondo.

Clarke cullava concentrata la minuscola bambina, e si rese conto della presenza di Lexa solo quando la sentì singhiozzare.

Si guardarono negli occhi, entrambe in lacrime, e quando Clarke le sorrise Lexa si avvicinò al suo fianco.
Si inginocchiò vicino il letto, e riuscì a staccare lo sguardo dagli occhioni stanchi e sorridenti di sua moglie solo per guardare la piccola creaturina che stringeva fra le braccia.

Era bellissima. La creatura più bella che avesse mai visto.

Lexa ricordava di aver sentito una sensazione del genere (la gente parlava di farfalle nello stomaco, ma a lei sembravano più un branco inferocito di rinoceronti) solo quando aveva visto Clarke per la prima volta; poi quando l'aveva baciata e infine quando Clarke le aveva chiesto di sposarla, due anni prima.

Clarke era la sua anima gemella, la sua persona, l'amore della sua vita, e ne era prondomante innamorata.

Ma guardando quella minuscola bambina tra le braccia di sua moglie, sentì di essersi innamorata di nuovo: della bambina, di sua moglie, e della fantastica vita che attendeva tutte e tre.

Clarke continuò a guardarla e avvicinò cautamente le braccia alla moglie, invitandola a prendere la bambina in braccio.

Lexa non se lo fece ripetere due volte, e molto, molto, delicatamente sfilò il corpicino dalle braccia della moglie e lo tenne stretto al suo petto.

"Oh mio dio.." sospirò Lexa fra le lacrime.

"Lexa!" Clarke scoppiò a ridere, fra le lacrime.

Lexa, sentendo quella risata contagiosa, iniziò a ridere anche lei.

Chiunque avesse assistito a quella scena le avrebbe prese per pazze, ma a loro poco importava.

Clarke sentì il petto riempirsi di calda felicità alla vista della sua compagna stringere tra le braccia la cosa più bella della loro vita.

Quando avevano deciso di avere un bambino, Clarke si era subito proposta per portare avanti la gravidanza, e Lexa aveva accettato entusiasta.
"Voglio che abbia i tuoi occhi, il tuo sorriso e la tua travolgente voglia di vivere. E poi non mi dispiacerebbe una mini versione di te che gironzola per casa."
Clarke rise ancora più rumorosamente a quel ricordo.

"Shh.." sussurrò Lexa, più a se stessa che alla moglie, cercando di smettere di ridere e di non svegliare la bambina.
Poi sollevò il capo, continuando a stringere in maniera attenta e delicata la sua bambina, e guardò Clarke con uno sguardo ricolmo d'amore.

"E' bellissima.." sussurrò Lexa, appoggiando la fronte contro quella della moglie.
"Tu sei bellissima" rispose Clarke immediatamente, lasciandole un dolce bacio sulle labbra.
Lexa ricambiò il bacio, intensificandolo; un bacio che sapeva di lacrime, di promesse e di un nuovo, radioso futuro.

Bacio che venne interrotto da una piccola vocina. Le due donne abbassarono immediatamente lo sguardo sulla piccola, che si era appena svegliata. Con le manine cercava di toccare il volto bagnato di lacrime delle mamme.

"Benvenuta al mondo, piccola Costia" sussurrò Clarke, chinandosi e dando un bacio sulla fronte della piccola.
Lexa sollevò lo sguardo, sorpresa, nel sentire il nome della sua migliore amica morta in un tragico incidente stradale cinque anni prima.
Clarke era presente, quando Lexa ricevette la triste notizia.
Nonostante si frequentassero da poco,  le rimase vicina come solo una persona che ti ama immensamente riesce a fare. Probabilmente se non fosse stato per lei e Anya, sarebbe caduta nel vortice nero della depressione in cui era caduta molti anni prima a causa della morte dei genitori.

E non ne avevano mai discusso, del nome della bambina. Avevano semplicemente pensato che l'avrebbero deciso al momento, seguendo il cuore.
E in quel momento il cuore di Lexa non solo le diceva che quello era il nome giusto per la loro bambina, ma anche che cinque anni prima aveva preso la decisione giusta chiedendo alla sua vicina di stanza di uscire per un appuntamento.

Lexa si avvicinò al viso della moglie, attirando la sua attenzione, e le sussurrò sulle labbra "ti amo da morire" per poi baciarla appassionatamente.
Clarke sorrise nel bacio e poi rispose senza pensarci due volte "ti amo anche io, mio amore."
 

*Angolino di Bicorn*
Credevate mi fossi dimenticata di aggiornare la raccolta? Mi dispiace per voi, ma no, non l'ho fatto.
Mi auguro di aver allietato, anche se di poco, questa noiosa domenica sera con questa fluffosissima e idillica ones-shot. Perché uno dei più grandi sogni di noi shipper, è proprio quello di vedere una delle nostre otp diventare genitori.
Probabilmente, anche se Lexa fosse stata ancora in vita, non avremo mai avuto il piacere di vedere una scena del genere in The 100..menomale che esistono le ff e le AU.
La one shot è  stata felicemente ispirata da un'altra fanfiction che vi consiglio di leggere assolutamente: I love you, isn't that enough? di Clexa_xxx;ma anche dalla canzone Light degli Sleeping At Last (non c'è niente da fare, le loro canzoni mi faranno sempre pensare alle clexa.)
Come faccio in ogni capitolo ormai ringrazio tutti i miei lettori, soprattutto quelli che spendono due minuti della loro giornata per farmi sapere i loro pensieri e pareri; fatemi sapere se questa AU è piaciuta, e se magari in futuro vorrete leggere ancora qualcosa del genere. :)

 

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Capitolo 11
*** Pieces - Now, we survive. ***


Voglio deidcare questa breve one shot alla mia persona.
Non solo ho avuto la fortuna di trovare qualcuno che condivide i miei stessi interessi (e le mie stesse ship!!!), ma ho trovato anche qualcuno che crede in me e che mi sprona a fare sempre del mio meglio (e si, diciamocelo, probabilmente se non fosse stato per lei questa one shot ora non sarebbe qui.)
Grazie I.

Pieces - Now, we survive.

Le dita di Clarke scorrevano delicate sulla sua pelle nivea e sorprendentemente pulita e morbida. I denti iniziarono a torturare senza pietà le sue labbra rovinate e segnate dalla guerra non appena la punta dell'indice andò a toccare le innumerevoli cicatrici presenti sul suo corpo. 
Alcune erano più vecchie, e risalivano ai suoi primi giorni sulla terra; altre invece erano recenti, e risalivano al suo interminabile viaggio nella città della luce.
Ma ce ne fosse stata una, una sola di cicatrice, che non fosse stata toccata da lei.

Passò delicatamente il pollice sul segno bianco situato al di sotto del suo seno sinistro, e l'immagina di Lexa nuda, sopra di lei, fece immediatamente capolino nella sua mente.

"Sei bellissima, Clarke. Non nasconderti, non a me" sussurrò il comandante mentre lasciava una scia di baci che partiva dalla sua pancia e raggiungeva la valle dei seni.

Clarke strinse gli occhi per trattenere le lacrime e poi li riaprì immediatamente; guardò la sua immagine allo specchio appannato, e quello che vide non le piacque, non le piacque per niente.
Non riconosceva più la ragazzina piena di sogni e di speranze che qualche mese fa era atterrata sulla terra.
Così come non riconosceva più la persona che era stata prima di perdere lei.

"Conosco quello sguardo.." sussurrò Abby, con una mano sulla guancia della figlia.
"Io l'amavo, mamma.." sospirò Clarke scoppiando a piangere, lasciandosi finalmente andare, anche se solo per pochi istanti.


Tutto il dolore e la tristezza che ormai facevano parte della sua anima, riuscirono ad aprire un varco nella sua apatia.
Aveva bisogno di urlare. Aveva bigosno di piangere, e di cacciare fuori quella parte buia della sua anima che aveva cercato di reprimere, fino a quel momento. Aveva bisogno di spaccare tutto, di fare del male, di farsi del male. 
Aveva bisogno di rivederla, di toccarla e di baciarla, anche solo per un'ultima volta. 
Aveva bisogno di sentirsi dire quel "ti amo anche io" che Lexa non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare.
Perché l'amore è debolezza, e un comandante per essere tale deve stare da solo.

Si vestì dei vestiti puliti e nuovi che era riuscita a procurarsi.
Afferrò con rabbia l'oggetto appoggiato al muro che Raven era riuscita a trovare e ad aggiustare miracolosamente.
"Per farti stare meglio" le aveva sussurrato porgendoglielo, quando era tornata da Polis. Raven sapeva della morte di Lexa, e quel suo gesto era un modo tutto suo per farle sapere che la capiva e che le era vicina.

Andò fuori ed inspirò a pieni polmoni l'aria della foresta; si sedette a terra ed appoggiò la chitarra sulle gambe. I capelli biondi le ricaddero sul viso, quasi a voler celare al mondo esterno tutte le emozioni che si sarebbero potute leggere attraverso i suoi occhi.
Il viso stanco e segnato dalla fatica si aprì in un sorriso malinconinco, non appena le sue dita iniziarono a pizzicare le corde di quella chitarra malconcia, mentre un'immagine un po' sfocata fecero capolino nella mente di Clarke: il padre, ancora molto giovane, che cercava di insegnare ad una piccola Clarke Griffin a suonare la chitarra.

La chitarra iniziò ad emettere la melodia di una vecchia canzone che Clarke aveva probabilmente sentito in un tempo remoto sull'arca, quando il tempo per fare cose piacevoli come ascoltare musica esisteva ancora.

"Run away, run away if you can't speak
Turn a page on a world that you don't need
Wide awake and you're scared that you won't come down now"


Il viso del padre continuò a tormentare dolcemente i suoi pensieri. Una serie di ricordi legati a lui e alla sua infanzia si affacciarono al balcone della sua memoria, mentre i suoi occhi blu si schiarivano e si bagnavano delle lacrime che non aveva avuto il coraggio di versare fino a quel momento.

"Didn't I tell you you were gonna break down
Didn't I warn you, didn't I warn you
Better take it easy, try to find a way out
Better start believing in yourself"


Le dita accarezzavano frenetiche le corde della chitarra, come se stessero accarezzando un'amante che non vedevano da tanto tempo.

"We build it up, we tear it down
We leave our pieces on the ground
We see no end, we don't know how."


Il ritmo della canzone cambiò e si fece improvvisamente più veloce.
Il volto familiare e rassicurante del padre si dissolse e scomparve, lasciando spazio nei suoi pensieri al ricordo di altri due uomini importanti nella sua vita: Finn e Wes. Due uomini che, ognuno a modo loro, l'avevano cambiata e fatta crescere, e che sicuramente non avrebbe dimeticato.

"Hold onto me
You're all I have, all I have
Hold onto me
You're all I have, all I have"


Due occhi verdi, profondi, imperscrutabili. Si fecero spazio nella mente di Clarke, prepotenti, non lasciando spazio e posto ad altri pensieri o ricordi.
Il viso di Lexa prese forma. Non quello corrucciato, sporco del trucco nero di guerra; ma quello sorridente, pulito, contornato da capelli mossi e selvaggi come la sua anima.

"Now and then there's a light in the darkness
Feel around till you find where your heart went
There's a weight in the air but you can't see why, why"


La mente avida e masochista di Clarke iniziò a riprodurre sempre più ricordi, che sparivano tanto rapidamente così come erano apparsi, per lasciare spazio al ricordo successivo.
Occhi blu che annegavano in un paio di occhi verdi; mani che si cercavano, in maniera inevitabile, attratte come un magnete dalla più potente calamita.
Vide se stessa girata di spalle, e lo sguardo misterioso e altrettanto indagatore di Lexa percorrerle la schiena. Quegli occhi insistenti che bramavano sempre di più, e che celavano segreti che Clarke, era sicura, non sarebbe mai riuscita a svelare.

"Didn't I tell you you were gonna break down
Didn't I want you, everybody wants you
Tell me what you're needing, give into your bleeding
Never any feeling for yourself"


Calde lacrime iniziarono a scorrere sulle guance di Clarke, ma la voce non mostrava il minimo cenno di cedimento. Le parole della canzone venivano quasi gridate, come se fossero una sortia di richiesta d'aiuto.
Vide di nuovo se stessa. Il suo corpo, caldo, bollente di desiderio, era avvinghiato a quello altrettanto desideroso di Lexa. Le loro bocche si cercavano, avide di contatto, e le loro mani esploravano le zone più probite e preziose dei loro corpi.

"We build it up, we tear it down
We leave our pieces on the ground
We see no end, we don't know how
We are lost and we're falling
Hold onto me"


Un brivido di terrore la percorse lungo tutta la spina dorsale, non appena rivide, quasi come se la scena stesse accadendo un'altra volta sotto i suoi occhi, il corpo di Lexa disteso, privo di vita, su quel maledetto tavolo. 
Non aveva potuto fare niente. Era stata così stupida da non riuscire a salvarla  da uno stupido proiettile conficcato nella pancia.
Aveva iniziato a recitare quella stupida preghiera come una stupida bambina innamorata in preda al pianto.
E l'aveva persa.

"You're all I have, all I have
Hold onto me
You're all I have, all I have
Can you hold onto me
Can you hold onto me"


Il  ritmo della canzone diminuì improvvisamente, mentre Clarke si limitava ormai a sussurrare le ultime parole della canzone.
Lasciò cadere lo strumento musicale sull'erba bagnata quando sentì due braccia esili ma energiche cingerle le spalle, e solo allora diede sfogo al suo pianto disperato.
Il tocco delicato di Raven accarezzava i capelli biondi di Clarke, mentre dolci parole di conforto uscivano dalle sue labbra.
"Non sei sola Clarke, ci sono io con te. Andrà tutto bene, andrà tutto bene."
Clarke incastrò il viso nell'incavo del suo collo, piangendo ancora più  forte.

Come avrebbe fatto? Come avrebbe fatto senza la sua comandante al suo fianco? Sarebbe riuscita a limitarsi alla semplice sopravvivenza?

 
*Angolino di bicorn*
So che probabilmente sicuramente avevate dato per scontato che io avessi abbandonato questa raccolta, ma no, non l'ho fatto.
Non ho giustificazioni che tengano per giustificare questa lunga assenza, semplicemente con l'inizio dell'università sono stata risucchiata dai mille impegni e da mille cose nuove.
Non prometto di riuscire di nuovo ad aggiornare con la stessa frequenza di prima, ma farò del mio meglio per aggiungere nuove storie.
Non mi ero mai cimentata in un angst prima (generalmente perché le odio) ma dopo la 4x01 di The 100 e dopo quasi un anno di assenza di Lexa, sentivo il bisogno di sfogarmi in qualche modo.
So che questa non è un AU e che non era quello che vi aspettavate, ma spero comunque di non aver deluso troppo le vostre aspettative (e soprattutto di trovare qualcuno che legga ancora la raccolta.)
Ci si legge al prossimo universo (e spero di leggervi presto e in tanti!)

P.S. La canzone cantata da Clarke è Pieces, di Rob Thomas. :)

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