Did I say that I need you?

di ClaireOwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I ***


Prima fanfic che pubblico in assoluto e quindi in questo momento sto scrivendo qui in preda al panico e fremendo al tempo stesso.
Aggiornerò un paio di volte al mese, la storia è ancora in via di sviluppo ma dato che il mio amore per questa ship è piuttosto smisurato sono sicura (almeno spero) che sarà un buon carburante per la mia fantasia.
Dunque mi sottopongo al vostro giudizio universale,
ti ringrazio (chiunque tu sia) per essere qui,
qualsiasi commento, critica, suggerimento non può che farmi piacere!
Buona lettura
C.

Clarke guidava sovrappensiero, forse perché di pensieri nella sua testa ce n’erano davvero troppi, si stava allontanando da tutto ciò che per troppo tempo l’aveva fatta stare male e non capiva davvero come doveva sentirsi.
Sollevata?
Eppure il senso di colpa le attanagliava lo stomaco, aveva abbandonato la sua vecchia vita, in modo furtivo, senza dare spiegazioni nemmeno a chi se le meritava, era scappata. Una vocina nella sua mente sembrava volerle rimproverare che questo non era da lei eppure in quel momento non sarebbe tornata indietro nemmeno se a chiederglielo fossero stati Jasper e Monty, i suoi più cari amici, con i quali la ragazza era cresciuta ed aveva condiviso ogni singolo momento.
Da cosa scappava?
Da sua madre che sembrava aver superato la morte di suo padre, Jake, brillantemente, così tanto da vendere la vecchia casa dove Clarke era cresciuta e comprarne un’altra; stesso quartiere, diversa compagnia: Marcus Kane, un collega ed un amico di vecchia data di quello che era stato suo marito. Scappava da una storia finita male, aveva un nome certo ma le bruciava ancora il petto quando lo sentiva: Finn.
Rabbrividì, era talmente tanto assorta in queste valutazioni che quando la macchina di fronte a lei frenò se ne rese conto quando ormai era davvero troppo tardi, poggiò freneticamente il piede sul pedale centrale ma evidentemente non bastò, sussultò quando la sua auto rimbalzò tornando un po’ indietro dopo aver impattato piuttosto bruscamente con la vecchia Ford nera che si trovava proprio là davanti, il danno era fatto. Rimase lì impietrita con le mani sul volante, non poteva credere di essersi fatta distrarre così da alcuni stupidi pensieri, questo sì che non era da lei.
Un ragazzo moro scese di fretta dall’autovettura che aveva appena tamponato, era alto e i suoi occhi color carbone puntavano dritti nei suoi, un velo di panico le oscurò il viso tanto che ci mise molto più del dovuto per slacciarsi la cintura e scendere dalla sua macchina.
Cosa diavolo ti è saltato in mente? le sbraitò contro il ragazzo con una violenza che le sembrò quasi eccessiva, non fece a tempo a rispondergli che lui aveva già ripreso ad attaccarla
Non hai visto che il semaforo era rosso? Eppure non mi sembra di aver frenato all’ultimo! Pensi che per strada ci sia solo tu? Cos’è credi che gli altri conducenti non abbiano il diritto di rispettare il codice della strada se tu vai di fretta principessa? 
Clarke lo guardava esterrefatta e accigliata, okay si era distratta ma dopotutto era stato solo un tamponamento, la sua voglia di scusarsi ora era decisamente diminuita, la strafottenza di quel tipo superava ogni limite, principessa? Ma chi diamine pensava di essere? Cercò di ricomporsi Vacci piano okay? Mi dispiace, non era mia intenzione, mi sono distratta ma potresti cercare di essere meno arrogante? 
La guardò con gli occhi spalancati, due rughe gli segnavano la fronte e si facevano spazio tra una massa di capelli arruffati
Io arrogante? Sei tu quella che mi ha tamponato nonostante fossimo ben distanti ed io avessi cominciato a frenare da un bel po’… ma qui abbiamo la principessina della strada che pensa di essere nel giusto in ogni caso 
Clarke era davvero incredula, aveva ammesso le sue colpe e aveva solo cercato di smorzare il tono della conversazione ma evidentemente quel tale non ne voleva proprio sapere
Smettila di chiamarmi in quel modo, ho un nome e pensa sono anche disponibile a fare il CID, così non dovrai più lamentarti come una dannatissima pentola di fagioli. 
Si era lasciata prendere la mano forse ma l’irascibilità di quel ragazzo l’aveva decisamente contagiata. Una fila di macchine nel frattempo non faceva altro che aumentare dietro di loro e i primi a spazientirsi si stavano già attaccando al clacson. Così la biondina che finalmente aveva ripreso un po’ di colorito in volto disse velocemente
Sono nuova di qui, ma se conosci un parcheggio nei dintorni, ti seguo, così non intralciamo il traffico e possiamo compilare le pratiche necessarie. 
Il ragazzo tentò una risata sarcastica Che c'è, adesso ti preoccupi per gli altri automobilisti eh? Quanta premura… puoi scordarti che perderò altro tempo con te, ritieniti fortunata, conosco piuttosto bene un meccanico che probabilmente mi sistemerà il tutto senza spillarmi troppo, ma non voglio avere nemmeno uno dei tuoi luridi quattrini, usali per lustrare al meglio la tua carrozza stupida principessa. 
E così dicendo le voltò le spalle senza darle il tempo di ribattere, montò nella sua macchina e svoltò non appena il semaforo ritornò verde.
-
Arrivò di fronte a quella che sarebbe stata la sua futura casa dopo una decina di minuti, era ancora incredula ma cercò di buttarsi il fatto alle spalle, quel moro sconosciuto l’aveva trattata con un’insolenza terribile e ormai il senso di colpa per l’incidente era stato totalmente accantonato. Poco male, non avrebbe dovuto affrontare tutte le trafile burocratiche del caso ma solo cercare un meccanico. Era arrivata davanti alla piccola casa a schiera che da quanto sapeva avrebbe condiviso con altre due persone, fratelli da quello che aveva capito, non poteva permettersi di affittare una casa intera e così si era accontenta di una stanza, il suo tirocinio nell’ospedale lì vicino era retribuito ma di certo non poteva aspettarsi lo stipendio di un medico.
Suonò al campanello e si guardò intorno c’era una lingua di prato che faceva da contorno alla piccola casa e un tavolino con due sedie erano proprio alla sinistra dell’entrata, da fuori sembrava già accogliente. Le aprì la porta una ragazza che doveva avere poco meno della sua età, un viso tondo e sorridente, due occhi vispi verdi e i capelli corvini lunghi le ricadevano dolcemente sul fisico asciutto Tu devi essere Clarke! 
Le sorrise Sì, sono Clarke Griffin 
Io sono Octavia Blake, ti aspettavo, accomodati, devi essere stanca!  
Solo ora, varcando la soglia Clarke si rendeva conto della spossatezza che l’aveva sorpresa, l’adrenalina causata dall’incidente l’aveva totalmente abbandonata e adesso le tre ore di viaggio le pesavano sulle palpebre e sui muscoli incordati.
La casa era distribuita su due piani, si entrava in un saloncino con un angolo cottura, un piccolo corridoio portava alle scale e vi si affacciavano due porte, l'arredamento era essenziale e non troppo moderno. L'altra ragazza non perse tempo e con una parlantina invidiabile cominciò la descrizione
Allora qui c’è il bagno Indicò la porta sulla destra appena sotto le scale Mentre questa è la mia stanza, così per qualsiasi cosa sai dove trovarmi, vieni ti faccio vedere il piano sopra, non ti disturba dormire ai piani alti no?  
accompagnò il tutto con una lieve risata che per un attimo fece sentire Clarke a casa che con un pizzico di curiosità la seguì accennandole un sorriso silenzioso.
Il piano di sopra era un soppalco sul quale si affacciavano due porte una era chiusa mentre Clarke riconobbe dall’altra aperta, quella che doveva essere la sua stanza, piuttosto fedele alle foto che aveva visto sul sito internet quando aveva trovato l’annuncio.
Et voilà! esclamò Octavia facendola entrare nella camera. Ti lascio sistemare okay? Per qualsiasi cosa mi trovi sotto. 
Clarke annuì e la ringraziò poi mentre l’altra si voltava sembrò ricordare e così le chiese
L’altra camera è sfitta? Mi ricordavo che l’annuncio fosse di due fratelli ma forse avevo frainteso… non che mi crei problemi, anzi! 
Octavia si voltò Oh no, hai ragione, hai fatto bene a ricordarmelo, nell’altra c’è mio fratello, ora non è in casa ma comunque è un tipo discreto, almeno con chi non è un suo parente stretto… sbuffò alzando gli occhi al cielo
C’è un solo bagno per tre ma in qualche modo ce la caveremo, a costo di fare i turni, ammettilo era questo a destarti preoccupazione, non è vero? 
Clarke rise e la ragazza le fece l’occhiolino, sembrava davvero una bella persona, solare, spensierata, una sorta di sua antitesi a dirla tutta eppure era sicura che sarebbero andate d’accordo.
Sistemò subito le sue cose nell’armadio, mise un paio di foto che ritraevano lei, Jasper e Monty sulla scrivania ed impilò i libri universitari sotto il comodino che stava di lato al letto. Aveva decisamente bisogno di una doccia, così prese l’accappatoio dalla valigia e si precipitò al piano inferiore.
Octavia Blake se ne stava sul divano, mangiava uno yogurt ed era assorta a guardare la televisione così la bionda esordì
Hei, posso farmi una doccia o intralcio il turno di qualcuno? la più giovane distolse lo sguardo dallo schermo e scrutandola con occhi vispi e amichevoli le disse
Credo che in ogni caso si possa fare uno strappo alla regola!
 
L’acqua calda scorreva lungo il suo corpo nudo e pallido, sembrava lavar via tutta la tensione accumulata durante la giornata, i saluti con la madre erano stati freddi e distaccati, il viaggio si era concluso con un tamponamento a  dieci minuti dall’arrivo e doveva ancora trovare il modo di comunicare a Monty e Jasper la sua decisione, per quello si sentiva terribilmente colpevole, non sapeva come avrebbero potuto prenderla anche se tre ore di macchina non erano poi troppe.
Eppure Clarke sentiva nel profondo che forse aveva preso la giusta decisione, la casa non le dispiaceva le aveva trasmesso un senso di familiarità, la sua stanza poi sembrava essere molto più accogliente di quella nella nuova casa della madre ed il compagno e poi Octavia era alla mano, le aveva fatto subito una buona impressione ed era piuttosto sicura che se lei fosse così cordiale la stessa cosa doveva valere per il fratello, cercò di aggrapparsi a quelle supposizioni, ne aveva bisogno, tutto ciò che desiderava era ritrovare un po' di stabilità, cercare un luogo a cui appartenere e riuscire a chiamarlo di nuovo casa.
Si guardò allo specchio mentre si frizionava i capelli, il suo riflesso sul vetro appannato non le sembrava uno dei peggiori che si ricordava di aver visto. Per la prima volta dopo mesi tentò di appigliarsi spudoratamente ad un flebile sentore di positività.
Sembrò ritornare nel mondo reale solo quando si accorse che aveva dimenticato i vestiti sul letto, vecchie abitudini che avrebbe dovuto abbandonare ora che viveva con due sconosciuti, si strinse la cinta di spugna dell’accappatoio sulla vita e fece per aprire la porta, tuttavia non fece in tempo ad arrivare alla maniglia che questa si aprì lasciando fare capolino ad una figura alta che la guardò da capo a piedi.
Clarke si strinse nell’accappatoio, sentendosi troppo osservata, quando i suoi occhi si scontrarono con quelli di colui che doveva essere il fratello di Octavia per poco non sussultò, non aveva dimenticato i carboni ardenti che qualche ora prima l’avevano fatta sentire una sorta di nullità ambulante. Anche il ragazzo aveva un’espressione più che contrariata sul volto, doveva averla riconosciuta: Per quale assurdo motivo sei nel mio bagno , principessa? 
Cercherò di essere chiara dato che prima sembra non essere servito a nulla, non chiamarmi in quel modo, ho un nome sai? E’ Clarke Griffin per tua informazione, e si da il caso che sia la tua nuova coinquilina che guarda un po’ ti pagherà l’affitto della sua stanza con i suoi luridi soldi. Ora, se vuoi scusarmi. 
E così dicendo si fece largo oltrepassandolo, la spalla di Clarke urtò in un impeto volontario il petto del moretto e la ragazza sparì velocemente per le scale.

Ogni briciolo di positività che prima aveva fatto capolino nell’animo della giovane era stato totalmente abbattuto dall’ira funesta di Bellamy Blake.

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Capitolo 2
*** II ***


 
Heilà,
sono tornata prima del previsto, in realtà ci tenevo a pubblicare questo secondo capitolo il prima possibile sia perché lo avevo scritto subitissimo dopo il primo (si, lo avevo pronto da un po'), sia perché finalmente si entra un po' più nel vivo della psiche di Bell & Clarke e sono visibili nuove (timidissime) sfumature del loro rapporto.
In ogni caso spero davvero vi piaccia, io mi sto portando un po' avanti con il lavoro che mi ha preso davvero tantissimo e ne sono piuttosto felice.
Come al solito per qualsiasi commento, critica o suggerimento mi trovate qui!
Ringrazio di cuore chiunque abbia interagito con questo piccolo mio esperimento, condividerlo con voi fa parte del tutto
: )
Ora basta con le rotture, vi lascio alla lettura.
with love
C.

 

 

II

Bellamy guardava la sorella sconcertato, d'altro canto lei si era precipitata sulla “scena del crimine” per fermare il fratello, aveva dimenticato di scrivergli un messaggio per avvertirlo che la ragazza era arrivata e lui avrebbe potuto disturbarla in modo inopportuno mentre la malcapitata si stava solo facendo una doccia.
Principessa? Questa devi proprio spiegarmela!  
Octavia ridacchiava guardando il fratello che se ne stava lì sull’uscio del bagno ancora piuttosto confuso.
Il ragazzo si riprese lentamente scuotendo la testa e passandosi una mano tra i capelli
Non penso di aver voglia di spiegare proprio un bel niente.
Santo cielo Bellamy, cerca di essere meno severo con chi ti circonda, non ti sei nemmeno presentato! Clarke ha fatto 3 ore di macchina per arrivare fin qui e tu le dai quel benvenuto? Non mi stupirei se scendesse a momenti con le valigie pronte per tornarsene a New York…
Era la prima volta che Octavia rimproverava così ragionevolmente il fratello e in un certo senso si sentì bene per averlo fatto, avevano sempre avuto un rapporto conflittuale, dovuto forse al legame ossessivo che i due conservavano, erano soli al mondo e si erano sempre sostenuti a vicenda ma proprio per questo spesso si trovavano a scontrarsi, Bellamy era solitamente il fautore delle infinite ramanzine alla sorella e questa inaspettata inversione di ruoli non dispiaceva minimamente ad Octavia, si sentì adulta, sentì di ricambiare concretamente la protezione che il fratello non le aveva mai fatto mancare, era come se in quel momento fosse lei a contenerlo ad indicargli la strada da seguire e tutto per quella nuova biondina che gironzolava per la loro casa.
Bellamy la guardava dritta negli occhi, le labbra serrate, il suo sguardo era ostacolato da qualche ricciolo scuro che gli ricadeva in modo disordinato sul viso ma stava fissando la sorella e per la prima volta cercava una giustificazione da presentarle per quel suo comportamento forse un po’ troppo impulsivo.
Optò, in ogni caso, per l’evidenza
Dovresti affacciarti alla finestra e vedere com’è ridotto il retro della mia auto, poi se ti riesce dovresti guardare il suo cofano e allora capiresti il perché della mia reazione.
Io penso solo che dovresti chiederle scusa… La ragazza spostò il suo sguardo verso le scale e riprese …e ribadisco che forse anche presentarti
Il ragazzo scrollo le spalle, non sostenne più lo sguardo severo di Octavia, le ricordava quello della madre e non poteva sopportarlo, apparteneva ad un passato logoro e offuscato che voleva solo continuare a mettere da parte.
Le voltò le spalle senza ribattere, salì le scale e andò dritto in camera sua, passando velocemente davanti a quella porta socchiusa che ora, dopo anni, ospitava di nuovo qualcuno.
Si sentiva inquieto, essere rimproverato da Octavia gli aveva fatto uno strano effetto, era cresciuta, non c’era dubbio, di lì a un paio di settimane avrebbe iniziato l’università, aveva quasi diciannove anni eppure per lui il tempo si era fermato a quando la sorellina di anni ne aveva appena tredici ed i due erano rimasti completamente soli, da quel momento Bellamy si era ripromesso che non le avrebbe fatto mancare nulla, che l’avrebbe protetta da un mondo che con loro era stato fin troppo crudele. Lui aveva sei anni più di lei e aveva abbandonato tutti i suoi progetti, si era rimboccato le maniche: lavorava come addetto alla security in un pub non troppo lontano da casa, dopo aver ottenuto chiaramente la tutela legale della sorella.
Era passato parecchio tempo non c’era dubbio eppure al ragazzo non era sembrato così, almeno fino a quel momento.
Si buttò sul letto, affondando il viso sul cuscino ed espirando profondamente, una piccola parte di lui in un certo senso dava ragione ad Octavia, non poteva permettersi di portare astio nei confronti della novellina per sempre, avevano bisogno dannatamente della sua quota di affitto, le cose non andavano per nulla bene al pub e sapeva che i primi tagli avrebbero riguardato la sicurezza se le cose fossero peggiorate, era fortunato che Octavia fosse riuscita ad entrare all’università con una borsa di studio ma non vi era dubbio che le spese per mantenerla e non farle mancare nulla gravassero non poco sul loro esiguo bilancio mensile. Decise di scusarsi quantomeno con sua sorella, non poteva mandare a puttane tutto quanto, scese giù in tutta fretta, passando distrattamente e nuovamente di fronte quella stanza occupata da una totale sconosciuta che per giunta lo aveva tamponato.

-

Clarke aveva fatto capolino nel suo unico rifugio in quella casa e città sconosciute con tutta la sua irrequietezza, aveva chiuso la porta e si era vestita velocemente, sarebbe uscita di corsa se ne avesse avuto la forza e se il tempo non avesse fatto così pena, affacciandosi alla finestra aveva visto delle nuvole grigie addensarsi in cielo e gli alberi erano scossi da raffiche di vento per nulla invitanti, le sembrava che l’atmosfera avesse deciso di rispecchiare il suo stato d’animo. Era ancora provata dal comportamento assolutamente inopportuno del fratello di Octavia, per pochi minuti aveva pensato di rimpacchettare tutto ed andarsene ma poi si era guardata allo specchio che stava appeso dietro la porta e si era detta “Si, ma dove? ” Non poteva tornare indietro e non poteva permettersi di vagare per la città in cerca di un’altra stanza, avrebbe dovuto passare lì quantomeno un anno della sua vita e non voleva accettare nemmeno un centesimo dalla madre, doveva cavarsela sulle sue gambe finalmente e sapeva che non avrebbe trovato un’offerta migliore di quella dei due fratelli, aveva cercato annunci per mesi.
La doccia le aveva affievolito la tensione fisica non c’era dubbio ma quella emotiva se ne stava ancora lì e lo scontro con il maggiore dei Blake non aveva fatto altro che amplificarla, non capiva come potesse essere così aggressivo, lo sguardo che le aveva rivolto quando l’aveva vista sulla soglia del bagno non lasciava molto spazio all’immaginazione, dopo la sorpresa, sul volto del ragazzo si era stampata un’espressione che grondava rabbia da tutti i pori, non riusciva a darsi una spiegazione plausibile. Pensò che il ragazzo non le aveva detto nemmeno il suo nome, non capiva perché ma il suo atteggiamento l’aveva scossa nel profondo e non riusciva a pentirsi di come gli aveva risposto tuttavia sapeva che non aveva scelta, avrebbe dovuto convivere con quel tipo, certo avrebbe potuto limitare i rapporti al minimo ma si trovavano sotto lo stesso tetto che per giunta era di sua proprietà…
Si lasciò avvolgere dal lenzuolo bianco del letto, la stanchezza e i pensieri erano diventati un tutt’uno, pensò ai visi sorridenti dei suoi migliori amici mentre i suoi occhi si chiudevano, avrebbe voluto non deluderli, sperava che capissero la sua scelta più di quanto ancora non avesse fatto lei, doveva affrontarli, si ripromise che sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto una volta sveglia.

-

La piccola Blake stava trafficando animosamente in cucina quando il maggiore irruppe nella stanza con una certa foga. Si voltò con aria compiaciuta quando lui cominciò a parlarle con un tono che riconobbe con piacere, era serio e composto ma nascondeva una velata mortificazione che portava la ragione dalla sua.
S-Scusami per prima… Si schiarì la voce Mi sono fatto prendere un po’ troppo dalla situazione 
Lei gli sorrise
Non è con me che dovresti scusarti, lo sai bene ma in ogni caso mi fa piacere che tu lo abbia ammesso.
Bellamy abbassò appena lo sguardo, i fornelli accesi promettevano una cena gustosa, si ritrovò a ridacchiare e lei si alzò sulle punte per far arrivare al fratello un buffetto sul capo
Sto cercando di rimediare alla tua inospitalità, Clarke si leccherà i baffi e dimenticherà tutto con un buon bicchiere di vino rosso e le mie specialità!
Cerca di non parlare troppo presto
Cosa vorresti insinuare?
Vedremo quando sarà tutto pronto, solo allora potremo giudicare, non sopravvalutarti, sai che il mio palato è piuttosto severo.
Lei lo guardò di sbieco ma preservando un sorriso ironico
Dovresti quanto meno apparecchiare sai? Non vorrei bruciare il tutto disse indicando con un'eccessiva gestualità le padelle piene di carne e verdura.
Il fratello annuì e cominciò a radunare l’occorrente per apparecchiare la tavola, era così strano mettere in tavola per tre, non lo faceva da una vita… scosse la testa, i ricordi lo stavano perseguitando in quella giornata così poco ordinaria.
Quando finì si appoggiò al frigorifero e osservò la sorella minore intenta a cucinare, vederla così lo faceva stare bene, era la dimostrazione che tutti quei sacrifici erano valsi la pena. Stava per dire qualcosa quando Octavia non gli lasciò il tempo di iniziare
Bell… Tempo un quarto d’ora e dovrebbe essere tutto pronto, credo che sarebbe opportuno che tu vada da Clarke, se non per chiederle scusa quanto meno per dirle che la cena è quasi pronta.
Lui sbuffò sonoramente, sua sorella era testarda, sapeva che se non avesse fatto qualcosa lo avrebbe perseguitato e gli avrebbe fatto pesare il tutto per un tempo indefinibile, era l’ultima cosa che voleva, aveva bisogno di sentirla vicina, di vederla serena, non voleva deluderla in alcun modo e cercò di accontentarla, annuendo e avviandosi al piano superiore.

Se ne stava di fronte alla porta chiusa, fece un respiro profondo, non era bravo in queste cose, non era il tipo che chiedeva facilmente scusa, non pensava nemmeno di doverlo fare fino in fondo, se non gliel’avesse chiesto la sorella probabilmente avrebbe lasciato scivolarsi tutto addosso con fare apatico, avrebbe evitato la ragazza per qualche giorno, quel tanto che bastava per mettere da parte il rancore accumulato.
Bussò. Aspettò qualche secondo ma non ottenne risposta, doveva essere davvero cocciuta, dunque riprovò aggiungendo a voce piuttosto alta
Sono Bellamy, posso entrare? lo disse col tono più formale e distaccato che riuscisse ad esprimere.
Ancora nulla, si era sforzato fin troppo pensò e decise di aprire la porta, era quasi stizzito dall’atteggiamento di quella ragazzina.
Quando varcò la soglia tuttavia si ritrovò sorpreso ed inerme all’interno di quella camera nella quale non osava entrare da anni, le borse della ragazza erano ancora su di un lato del letto eppure la stanza sembrava diversa da come la ricordava, ora c’erano delle fotografie sulla scrivania che ritraevano la vita di una persona che non conosceva affatto, l’armadio semi aperto inondava la stanza dell’odore dei vestiti della ragazza, era un profumo piacevole che gli ricordava la fioritura del gelsomino.
Clarke era avvolta malamente dal lenzuolo bianco, la trapunta era scivolata sul pavimento, dormiva, il respiro pesante gli fece capire che doveva essere crollata in un sonno profondo.
La guardò sentendosi quasi inopportuno, si sentiva di troppo, cosa doveva fare? Lasciarla dormire? Svegliarla?
Si trovò ad osservarla confuso e si sentì in colpa per aver pensato subito che l’assenza di una risposta fosse dovuta alla sua presunta arroganza. Il volto pallido affondava nel cuscino, i capelli biondi e mossi le cadevano sulla spalla scoperta dalle bretelle di una canottiera verde, a guardarla così le sembrava fragile, l’espressione del viso non era serena, poteva scorgere una smorfia amara… Di nuovo fece capolino il senso di colpa ma cercò di non pensarci, non voleva tradirsi, voleva rispettare il suo ideale di contegno, dopotutto era sempre una sconosciuta, non sapeva ancora se il suo giudizio fosse stato affrettato, l’aria da principessa viziata non le mancava, solo sembrava avvolta da un sonno profondamente triste che lo aveva scosso perché riconosceva fin troppo bene.
Cercò di pensare velocemente al da farsi, si sentiva piuttosto imbarazzato all’idea di doverla svegliare, non avrebbe saputo assolutamente cosa dirle, si avvicinò alla scrivania, ricordava che sul lato destro c’erano dei post-it ed un portapenne, lui e Octavia non avevano toccato quasi nulla all’interno di quella stanza se non per gli effetti personali della madre. Scrisse velocemente in stampatello “La cena era pronta ma dormivi, scendi quando vuoi, ti lasciamo da parte un piatto.” Poi si firmò “Bellamy (Il fratello di Octavia)”
Non era il massimo come modo di presentarsi ma svegliarla era fuori discussione, si sentiva come se stesse invadendo uno spazio troppo privato e poi non avrebbe dovuto accennare alle scuse.
Poggiò il foglietto sul comodino, vicino al cellulare, chinandosi venne investito dal respiro della ragazza e da un ulteriore ondata di profumo, era il suo odore, non erano i vestiti.
Era così vicina ed era di una bellezza disarmante, semplice, trasalì, sorprendendosi a concentrarsi su quel volto dormiente e fece dietrofront affrettandosi ad uscire.
Fu un attimo piuttosto breve, era troppo tardi quando si rese conto di essere inciampato maldestramente su una scarpa della ragazza che stava nel bel mezzo del suo percorso, perse l’equilibrio e nel cadere si appoggiò alla porta che si richiuse sbattendo contro lo stipite e lasciandolo a terra tra il letto e l’uscita ormai sbarrata. Merda sussurrò tra i denti, il rumore era stato fin troppo udibile.

Clarke trasalì, un rumore forte le era arrivato alle orecchie spazzando via il sonno, una leggera tachicardia le si affacciò nel petto, aprì gli occhi di scatto e la scena che vide le sembrò una sorta di scherzo che la mente le stava giocando. Il fratello della giovane Blake se ne stava rannicchiato sul pavimento della sua camera, si stava tenendo il braccio ed imprecava tra i denti.

Bellamy sentì lo sguardo della ragazza addosso e in men che non si dica cercò di precedere le sue ovvie lamentele per la sua inspiegabile e piuttosto imbarazzante irruzione
Io ero venuto a… Che diavolo stava facendo? Si riprese
Octavia mi aveva chiesto di dirti che la cena era pronta.
Non poteva scusarsi, non ce la faceva proprio.
Non volevo svegliarti, ma sono scivolato a causa delle tue maledettissime scarpette di cristallo nel bel mezzo della stanza, principessa!
Non riusciva ad abbandonarlo proprio quel tono polemico e scocciato, lo faceva sentire sicuro anche in una situazione del genere.
Il karma deve esistere sul serio allora.
La sua risposta tagliente arrivò prima che la giovane si rendesse conto del velo d’imbarazzo che la situazione celava. Si ritrovò subito dopo a sistemarsi come poteva i capelli scompigliati dietro le orecchie e a coprirsi alla meglio con il lenzuolo, era vestita ma in quel momento si era sentita nuda ed il riflesso era stato spontaneo.

Bellamy sbuffò ma decise di non aggiungere altro, scrollò le spalle dopo essersi rialzato e disse come non curante della battutaccia che la bionda si era lasciata sfuggire
Ti aspettiamo sotto.
Lei annuì, non era convinta che lui avesse percepito il movimento della sua testa ma non le interessava poi molto.

-

Sta arrivando
esordì il ragazzo riapparendo nella cucina ormai avvolta da un delizioso profumo speziato, Octavia lo guardò compiaciuta, lui era incerto, non sapeva se aggiungere altro ma perché avrebbe dovuto? In un certo senso aveva fatto quello che la sorella le aveva chiesto, almeno apparentemente, non si era scusato, non aveva nemmeno avuto il tempo di presentarsi, gli era sembrato stupido ma quantomeno la biondina era in procinto di scendere.
Apparì dal corridoio con indosso una maglietta oversize, stropicciandosi gli occhi. Bellamy la guardò distrattamente mentre stringeva il bicchiere pieno di vino "Ecco la piccola Alice che ha scoperto l’inesistenza del paese delle meraviglie" pensò, si trattenne dal dirlo ad alta voce e distolse lo sguardo quando i suoi occhi si scontrarono con quelli di lei: due lapislazzuli troppo profondi ed inquisitori.
Octavia la fece accomodare e la riempì di domande e di manicaretti, era una conoscenza superficiale quella che le due stavano mettendo in atto, fatta di domande di circostanza e di risposte vaghe eppure sembrava che tra le due ci fosse una sorta di connessione.
Bellamy osservava in silenzio la scena, mangiando velocemente, si stava riempiendo il secondo bicchiere quando la sorella lo incalzò
Sei di molte parole stasera.
Alzò un sopracciglio guardandola Non volevo interrompere il vostro salotto frivolo e compulsivo, ascoltarvi è già abbastanza.
Clarke si sentì avvampare, era stizza quella che faceva capolino sul suo viso, avrebbe voluto liberarla in un impeto contro quel ragazzo che sembrava sentirsi superiore a tutto e tutti, a qualsiasi situazione gli si parasse davanti, cercò di trattenersi, inspirò e poi espirò
E’ colpa mia, non credo sia facile per voi mangiare con un’estranea e pretendere che sia un’ordinaria cenetta tra fratelli.
Guardava la più piccola e cercò di sorridere ma era certa che il suo volto fosse restio a dimostrarlo.
Non dire sciocchezze, tu non c’entri nulla. Bellamy è un orso a prescindere ma speravo che riuscisse a mettere da parte questo suo lato almeno stasera.
Quanto meno adesso il maggiore dei Blake aveva un nome pensò la bionda rivolgendogli una rapida occhiata. Non sapeva cosa dire e si limitò ad abbassare lo sguardo e a mettersi un boccone in bocca. Il ragazzo non fece altrettanto
Smettila O’ non sai un bel nulla di cosa abbia passato oggi e non mi sembra il caso di fare scenate inutili di fronte ad un’estranea che in parte  è responsabile della mia pessima giornata.
Fece per alzarsi ma la sorella lo bloccò alzando una mano.
Non devi disturbarti ad andare via dato che stavo proprio per togliere il disturbo, sono stanca e non ho la minima voglia di avere a che fare con te ulteriormente, sei veramente incredibile, nemmeno ci provi. 
Il suo tono era esasperato e arrendevole, la ragazza abbandonò la tavola e sparì nella sua stanza, chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle, il fratello non ebbe nemmeno il tempo di provare a risponderle.
Clarke si sentì improvvisamente a disagio, si era catapultata nella vita di due estranei e si sentiva in parte colpevole del conflitto che li aveva animati a tal punto, non sapeva com’era avere un fratello e certe dinamiche le sfuggivano ma quei due sembravano così legati e si preoccupò di aver interferito con il loro rapporto. Scusami.
Balbettò senza pensarci troppo riferendosi al giovane ancora immobile al suo posto, lui sospirò dicendole
Lascia perdere, non sentirti la protagonista delle nostre liti, non sai com’è che vanno le cose qui. 
Era amareggiato ma comunque mantenne un pizzico di sarcasmo per non darle credito, non voleva che le facesse domande o si sentisse coinvolta, ancora una volta non voleva dare spiegazioni a nessuno né tantomeno a lei.
Clarke prese i piatti sul tavolo e si diresse verso il lavandino, aveva capito che Bellamy non avrebbe mandato avanti quella conversazione, lasciò che l’acqua fredda le scorresse tra le mani e prese la spugna insaponata precedentemente quando si sentì il polso in una stretta alzò lo sguardo, Blake senior le si era avvicinato silenziosamente e ora le teneva il polso in una stretta troppo forte
Ci penso io qui. 
Le disse. Clarke cercò di controbattere le sue labbra stavano per formulare un Ma quando il giovane ribadì
Ho detto che ci penso io.
La ragazza lo guardò arrendendosi, aveva capito che non era il tipo di persona che si poteva smuovere dalle sue prese di posizione facilmente.
Se mi lasciassi il polso
Il ragazzo guardò la sua presa sul polso di lei, era esile, la sua pelle chiara si era arrossata velocemente intorno alla stretta
Oh…
ritrasse in fretta la mano da quel contatto avventato che parlava molto più di lui, era frustrato, non sopportava essere in collera con la sorella non in quel momento della sua vita, non in quel giorno.
Clarke si asciugò le mani sui pantaloncini di cotone che indossava e andò verso le scale
Ciao Bellamy disse a mezza bocca.
Buonanotte.
Rispose lui, non era sicuro che la sua voce l’avesse raggiunta, lavò i piatti in fretta e poi si lasciò sprofondare sul divano.

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Capitolo 3
*** III ***


Okay rieccomi qui ancora una volta in anticipo, avevo pronto anche questo capitolo da un po', l'ho riletto mille volte, controllato altrettante e mi son detta perché aspettare? Lo ammetto è stato anche merito di qualcuno di voi che esprimendo la propria curiosità mi ha fatto desistere dall'aspettare il week-end quindi spero solo sia all'altezza delle vostre aspettative...
Nel frattempo vi avverto, ho introdotto un'altro personaggio... 
*momento suspance*
E chi se non Murphy? 
Solo che l'ho immaginato un po' diverso da come ce lo hanno presentato nello show, ho immaginato una sua evoluzione, una sua maturazione, ne avevo disperatamente bisogno per smuovere un po' quel rigidone di Bellamy ed è stato interessante figurarsi un Murphy differente per certi versi più amichevole, meno bullo e decisamente cresciuto, dal mio canto posso dire che ci ho sempre visto del buono sottosotto quindi ho solo cercato di tirare fuori questo suo lato, spero di non aver fatto un pasticcio e che possiate ritrovarvi comunque in sintonia con lui!
Dopodiché a voi l'ardua sentenza!
Sentitevi come sempre liberi di commentare, suggerire e criticare, recensioni o messaggi sono sempre piacevoli da leggere
:)
Baci,
Chiara.
P.s. c'è una descrizione che può essere considerata un po' pesante su un tema che per alcuni può essere delicato (droga) è alla riga 9 del primo paragrafo che riguarda Bellamy - subito dopo quello di Clarke iniziale per intenderci - ci tenevo ad avvertire per non urtare la sensibilità di nessuno.


 
III
 
Era passata una settimana dal suo arrivo, Clarke si stava ancora ambientando ma aveva cominciato a prendere confidenza con quella nuova vita che la vedeva più sola del previsto. Non era proprio quello che voleva dopo tutto? Aveva scritto due lettere a Jasper e Monty, si era affidata ad un mezzo di comunicazione che giustificasse il suo contenuto ed il suo comportamento, era qualcosa di formale ma al tempo stesso di profondamente intimo, sperava che capissero, i due dovevano essere appena tornati dalle vacanze che avevano improvvisato in un campeggio, l’avevano invitata ma lei aveva rifiutato usando la scusa dello studio. Non aveva accennato al tirocinio, era rimasta sul vago. Avrebbe iniziato in una settimana, pensava che la lontananza dalle preoccupazioni facesse in modo che la sua concentrazione ne uscisse vittoriosa. Tuttavia quelle giornate vuote le lasciavano troppo spazio ai pensieri, Boston era fredda e poco accogliente come il suo coinquilino Bellamy, la solitudine coatta che si era imposta non la aiutava a reagire all’apatia che vestiva il suo animo.
Octavia era l’unica persona con la quale intratteneva qualche conversazione ma era talmente presa dal cambiamento della sua vita che non le dedicava troppo tempo, non che Clarke lo pretendesse, si ricordava bene quella sensazione elettrizzante, l’inizio dell’università, la convinzione di essere finalmente adulti, invincibili e liberi. Non era più così per lei, andava avanti certo, ma senza quella gioia di un tempo. Sarebbe diventata un medico, lo sapeva, aveva dedicato tutta la sua vita a quello e lo aveva promesso alla persona più cara che avesse avuto, suo padre Jake. Da quando lui non c’era più, da quando lui era morto Clarke aveva perso l’entusiasmo, aveva perso l’unica persona con la quale condivideva ogni suo sogno e che non la giudicava mai ma la incoraggiava sempre.
 
-
 
Bellamy si alzò dal letto solo perché il suo migliore amico continuava a tempestarlo di chiamate e messaggi, John Murphy era fatto così prendere o lasciare e lui lo sapeva bene. Ma gli era stato vicino sempre, aveva imparato a capirlo senza fargli troppe domande, era maturato ed in fondo era una brava persona nonostante da appena adolescente dimostrasse un’inclinazione decisamente contraria.
Quando, una settimana prima, Bellamy gli aveva detto che Gina lo aveva lasciato, John lo aveva abbracciato e non aveva detto nulla, gli aveva offerto una birra e avevano cominciato a parlare d’altro, le birre sul tavolo del locale si erano moltiplicate e Bellamy per un paio d’ore era riuscito a dimenticare quella ragazza, l’unica in grado di infondergli la serenità più assoluta e di farlo sentire sicuro, protetto, non si era mai sentito in quel modo, sapeva che lei colmava una carenza primaria, era un sentimento lieve e profondo al tempo stesso probabilmente alimentato dalla voglia di Bellamy di sentirsi amato, a prescindere, incondizionatamente, come quell’amore genitoriale che non aveva mai ricevuto, nemmeno quando la madre era ancora in vita, già dopotutto Aurora amava più la sensazione che l’ago dentro la sua pelle tesa le forniva che i suoi stessi figli, per Bellamy non era mai stata una madre, era solo una tossica. Che male c’era dunque nel cercare quel senso di protezione in un'altra donna una volta adulto?
Si infilò una maglietta e si precipitò al bagno, puzzava, aveva decisamente bisogno di una doccia. L’ambiente profumava di gelsomino, Clarke doveva essere in casa.
Lui e la ragazza avevano preso le distanze dopo il primo giorno di convivenza ed ignorarla era stato più facile del previsto, era meglio così, dopo tutto al mantenimento di rapporti civili ci pensava Octavia.
Quando Bellamy finalmente pronto scese le scale pensava di trovare l’amico in macchina ad aspettarlo fuori la sua abitazione ma la scena che gli si parò davanti gli occhi non appena mise piede nel salotto di casa fu decisamente diversa e inaspettata.
John se ne stava seduto sulla poltrona e parlava animosamente con Clarke. Era talmente tanto preso dalla conversazione con la ragazza che non si era nemmeno accorto che lui, il suo migliore amico, aveva appena fatto capolino nella stanza.
Stavano ridendo a crepapelle a dire il vero ed era strano, non pensava che quella ragazza avesse una risata così cristallina e difficile da ignorare. Tossì, cos’altro poteva fare per interromperli? I due si girarono contemporaneamente puntandogli gli occhi addosso, Bellamy si sentì decisamente imbarazzato, era come se avesse interrotto qualcosa, possibile che il suo amico fosse riuscito ad intrattenere un discorso con quella biondina arrivando ad un simile livello di empatia in probabilmente meno di dieci minuti e lui che ci conviveva, per così dire, da una settimana si era limitato solamente ad inveirle contro e poi a far finta che lei non esistesse?
Heilà Bell! Quando pensavi di dirmelo? 
Dirti cosa?
Che tenevi prigioniera in casa tua questa dolce e simpatica donzella… 
La ragazza abbassò lo sguardo quando quello interrogativo e al tempo stesso contrariato di Bellamy si spostò dall’amico a lei.
Dolce e simpatica? Non erano decisamente i primi aggettivi che gli balenavano in mente pensando al volto della sua nuova coinquilina.
Clarke che si sentiva fin troppo osservata e messa in mezzo, lo salutò con un cenno che lui ricambiò distrattamente.
Bellamy voleva decisamente andare oltre quella stramba situazione e uscire con l’amico a cui si rivolse
Dunque cos’hai in programma? Vogliamo andare?
John lo guardò sorridente Certo... e Clarke viene con noi! 
Cosa?
Rispose strabuzzando gli occhi e non curandosi che lei fosse lì con loro, non capiva proprio, a che gioco stava giocando? Davvero voleva rimorchiarsi quella gattamorta e per giunta incapace a guidare della sua coinquilina?
Andiamo Bell, mi ha raccontato del vostro scontro… non vorrai serbarle rancore per un tamponamento!” aggiunse “A proposito, credo sia ora di andare a trovare il miglior meccanico di Boston!
Bellamy s’incupì, aveva rimandato quell’incontro perché non aveva la minima voglia di vedere, di nuovo, il miglior meccanico di Boston perché… Beh perché Raven Reyes, colei che deteneva questo titolo altisonante ma veritiero, era stata l’unica persona che aveva visto in quelle prime giornate autunnali, non si erano visti per la macchina, né per farsi una chiacchierata tra amici. Si erano visti solo per sesso. Entrambi uscivano fuori da delle situazioni assurde che volevano buttarsi alle spalle e avevano deciso di leccarsi le ferite a vicenda, niente coinvolgimenti emotivi, solo puro piacere, solo puro sfogo, nessuno dei due aveva chiesto all’altro di parlare delle precedenti situazioni sentimentali, sapevano solo che entrambi avevano qualcosa da dimenticare e farlo insieme sembrava piuttosto semplice, non avevano pretese, se lo erano detti chiaramente, era una cosa temporanea dopodiché amici come prima, non era la prima volta che accadeva dopo tutto, avevano avuto un trascorso sentimentale durante i primi anni del liceo e avevano capito che non erano fatti l’una per l’altra, sapevano bene, nonostante fossero passati quasi dieci anni, che le cose non erano cambiate.
-
Clarke si ritrovò a guidare la sua macchina malridotta in carovana, seguiva Murphy che a sua volta seguiva Bellamy.
La sua solitudine mattutina era stata interrotta da quello strano tipo che era Murphy, amico d’infanzia del suo inavvicinabile ed insopportabile coinquilino. Era la prima volta che qualcuno lì a Boston aveva deciso di dedicarle attenzione senza esserne realmente obbligato.
Aveva suonato alla porta, Clarke se ne stava seduta sul divano a leggere dei documenti che le servivano per il tirocinio, sapeva che O’ non era in casa, l’aveva salutata un’oretta prima dicendole che doveva sbrigare delle commissioni per l’università ma pensava che Bellamy si sarebbe preoccupato di aprire anche se ancora non si era fatto vivo, Clarke non era stupita, l’ultima settimana era trascorsa così, si scontravano per casa e si salutavano appena, aveva deciso di non cenare con i due fratelli, lo aveva detto ad Octavia che era rimasta sorpresa e forse un pelino dispiaciuta, solitamente cenava dopo di loro, a volte non lo faceva affatto.
Ma quando il qualcuno si attaccò compulsivamente al campanello dovette abbandonare la sua lettura e correre all’ingresso.
Le si parò davanti un ragazzo alto e biondo, i capelli all’indietro gli lasciavano la fronte alta scoperta, due occhi color ghiaccio, profondi e curiosi la guardavano in modo interrogativo.
Scherzò chiedendole se fosse una nuova fiamma di “Bell” e lei scosse la testa raccapricciata da quel pensiero assurdo.
Lo invitò ad entrare, non aveva molta scelta dopo tutto ma di sicuro non aveva la minima idea di mettersi a parlare con quel ragazzo piombato lì dal nulla, avrebbe preso le sue cose e si sarebbe spostata in camera come del resto faceva ogni volta che c’era Bellamy (o qualcosa che lo riguardava) nei dintorni. Invece quel John Murphy cominciò a parlare a macchinetta e lei ne fu quasi sollevata, non aveva una conversazione del genere da quando erano partiti Monty e Jasper, quasi tre settimane.
Si ritrovò a sputare fuori molti pensieri che per giorni erano rimasti imprigionati nella sua testa, era facile farlo con qualcuno che non aveva mai visto e con cui probabilmente non avrebbe condiviso molti altri momenti, ne aveva bisogno, sarebbe scoppiata, il migliore amico di Bellamy fu la prima persona con cui si sfogò del comportamento di quest’ultimo, al quale pose i suoi interrogativi a cui cercava di non dare troppo peso ma che puntualmente tornavano a galla.
Si domandò come fosse possibile che Bellamy Blake fosse così scontroso se tutte le persone che lo contornavano sembravano essere cordiali o quantomeno normali.
 
Clarke sapeva benissimo che il ragazzo non era felice dell’iniziativa presa dall’amico, il suo volto era piuttosto espressivo, quando Murphy aveva proposto di andare tutti insieme dal meccanico gli occhi gli erano diventati due spilli appuntiti, il naso arricciato increspava la pelle dove si posavano numerosissime lentiggini caffelatte.
Non parlava con Bellamy ma si era ritrovata più volte ad osservarlo, il suo modo di fare schivo e noncurante non faceva altro che innervosirla è vero tuttavia  non poteva fare a meno di porsi degli interrogativi e se non poteva riferirli a lui, non se ne parlava proprio, perché avrebbe dovuto poi? Allora cercava di evincere qualche risposta provando ad osservarlo da lontano quando era troppo preso dai suoi pensieri per curarsi della sua presenza.
Si fermarono in un parcheggio poco affollato, istintivamente Clarke si guardò intorno, non c’era l’ombra di quella che poteva essere un’officina, tuttavia vide i due, ognuno sulla rispettiva auto intenti a parcheggiare e così li emulò.
Un caffè per iniziare la giornata non si nega a nessuno disse Murphy spostando lo sguardo da Clarke a Bellamy.
Il Bell’addormentato si è svegliato per colpa mia e ora devo rimediare o non mi rivolgerà la parola per tutto il giorno.
Bellamy lo guardò torvo, quella battuta non la digeriva.
Clarke si fece scappare una risata invece, il coinquilino la fulminò con uno sguardo. J.M. si mise tra i due, Bell sembrava sul punto di dire qualcosa ma l’amico con un gesto perentorio cercò di evitare imbarazzi inutili. Entrarono nel bar e si misero seduti.
La prossima volta che troverò mille chiamate perse e messaggi ricordami di non risponderti sibilò il moro al biondo che accennò un sorriso beffardo.
Scusa se mi preoccupo per te, non vederti per una settimana mi aveva insospettito.
Lavoro lo sai, ho bisogno di dormire di mattina o non carburo. Bellamy campò la scusa del lavoro, non voleva rendere partecipe l’amico delle sue avventure con Raven, non ora che stavano andando da lei, anzi sperava proprio che il suo nome non uscisse fuori e cercò di cambiare discorso:
Promettimi che terrai d’occhio mia sorella al campus. Lo guardava serio Non voglio che si cacci nei guai com’era solita fare al liceo…
Ancora non l’hai perdonata per la scappatella con Atom? Andiamo Bell ormai è un’adulta!
Voglio solo che stia lontana dai guai, in questo periodo non posso permettermi di distrarmi, al lavoro le cose non vanno bene, non vorrei fare la fine di Wells.
Quel coglione era un buono a nulla. È per questo che l’hanno licenziato Bell, non farai la stessa fine.

Wells, quel nome a Clarke sembrò familiare ma i suoi pensieri furono interrotti dalla cameriera sorridente che servì due cappuccini ed un espresso.
Regale anche per il caffè eh principessa? Bellamy osservò la tazzina microscopica del suo espresso, si chiedeva come facesse a bere quel caffè minuscolo e a restarne soddisfatta, non riusciva proprio a capirla, era ermetica in tutto ciò che faceva per quel poco che aveva potuto osservare e ora persino la sua scelta del caffè era un mistero per lui, insomma chi in America avrebbe ordinato un espresso?
Non ti hanno mai detto che questo è il vero caffè? 
Sbuffò lei, cosa poteva aspettarsi dopo tutto da uno che non le rivolgeva la parola da una settimana per un tamponamento?

Clarke Griffin era la persona più saccente che avesse mai incontrato ecco cosa non gli andava giù, penso il moro che le rivolse un’occhiataccia per tutta risposta.

Ahiai, non siete molto compatibili voi due eh? Murphy sembrava divertito.
Bell scosse la testa e Clarke si alzò
Vado un attimo in bagno avvertì e sparì dalla loro visuale.

Murphy guardò negli occhi Bellamy con uno sguardo inquisitorio
Ora dimmi cosa ti ha fatto quella ragazza di così grave?
Bell alzò le spalle alzando gli occhi al cielo, sul serio doveva dargli spiegazioni?
Dico solo che sei un folle se hai intenzione di riservarle questo trattamento ancora a lungo, è bellissima e con una così dentro casa non mi dispererei poi tanto per essere stato piantato in asso.
Bell s'incupì tutto d'un tratto
Ora dimmi… Cosa centra Gina in tutto questo?
C’entra che se Clarke si comporta in questo modo con te è solo perché tu non hai fatto altro che punzecchiarla, mi ha raccontato di come vi siete conosciuti e di questa settimana di convivenza, sembrava amareggiata e non stimolata dal vostro rapporto, mi ha detto che non riesce a capire cosa ha fatto per essere trattata così… E’ sola Bell, non conosce nessuno qui, non deve essere semplice ricominciare tutto da capo e non credo si sia lasciata alle spalle una storia felice, sai non mi sembra sprizzare gioia da tutti i pori. Non punire gli altri per qualcosa che ti è stato fatto da una sola persona, non tutti vogliono pugnalarti alle spalle, dovresti dare la possibilità di volerti bene a chi ti sta intorno.
Quindi adesso stava prendendo le sue difese? Ma poi che razza di discorso era?
Parli come se dovesse diventare la mia ragazza Murphy, che hai fumato stamattina?
Mi ha fatto lo stesso effetto di quando ti ho conosciuto, credo che siate più simili di quanto tu possa pensare. Era lì pronta ad andarsene ma è bastato dirle due parole per farla rimanere, proprio come te. Sembrava non aspettare altro, aveva solo bisogno di parlare con un volto amico
Murphy quando ci siamo conosciuti avevo 10 anni. Lei ne ha… Oh insomma, non so esattamente quanti anni ha ma comunque frequenta l’università, non è una bambina.
Dovremmo invitarla ad uscire, potrebbe venire al pub, così ti facciamo compagnia mentre allontani malintenzionati inesistenti da un vecchio locale pidocchioso.
Non se ne parla, io penso che dovresti solo farti gli affari tuoi per una buona volta. Inspirò Non penso di farlo apposta comunque, credo proprio di non avere nulla da condividere con una come lei e sinceramente non penso di volermi sforzare a farmela stare simpatica quando è evidente che non siamo fatti per… 
Murphy diede un calcio assestato sulla caviglia dell’amico che soffocò un lamento
… Cazzo, tu stamattina sei fuori di testa!
La bionda riprese posto e tutto nella testa di Bellamy fu chiaro, non proseguì il discorso non tanto per la presenza di Clarke, tanto per la reazione dell’amico, non aveva la forza di mettersi a discutere con lui per aver detto qualcosa che poteva risultare fuori luogo. E pensare che Murphy era stato un cretino colossale quando frequentavano il liceo, chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbe preoccupato così tanto degli altri?

La verità era che Clarke gli aveva fatto tenerezza. Quando a causa del lavoro del padre Murphy, a dieci anni, aveva lasciato New York per trasferirsi a Boston si era sentito profondamente solo, cambiare scuola, ambiente, compagni a quell’età gli era sembrata una situazione insormontabile ed insostenibile almeno fino a quando non aveva incontrato Bellamy, cupo e solitario fin da bambino. Avvicinarlo invece era stato più facile del previsto, sembrava che aspettasse solo quello, proprio come Clarke in quel momento ma era troppo orgogliosa per darlo a vedere, per farlo capire, probabilmente non lo avrebbe capito nemmeno lui se non fosse stato per la situazione analoga vissuta con quello che adesso era il suo migliore amico.

Il silenzio li aveva accompagnati poco prima di riprendere la strada verso l’officina.
La ragazza li seguì senza fare troppe domande, voleva solo che quella stramba situazione finisse in fretta, si sentiva estranea, non riusciva proprio ad ignorare o ad aggirare l’astio che Bellamy le ribadiva in ogni situazione, tutte le volte anzi rimaneva spiazzata, Clarke Griffin non era una ragazza che si faceva mettere facilmente i piedi in testa, non lo era mai stata ma in quella situazione il suo lato combattente e poco arrendevole sembrava non voler venir fuori... o quantomeno non del tutto, non come avrebbe voluto eppure sembrare debole non le era mai piaciuto.

Arrivarono di fronte ad un’officina immensa, misero le macchine in doppia fila e scesero, Clarke raggiunse i due ragazzi che si guardavano intorno, cercavano qualcuno in particolare, Murphy si avvicinò ad un ragazzo che era alle prese con una moto, la ragazza cercò di capire cosa stesse dicendo ma era troppo lontano e il vento soffiava le sue parole lontano da lei e Bellamy che erano rimasti indietro, poi il biondo sparì all’interno dell’officina.
Bell tamburellava nervosamente le dita sulla sua gamba, si guardava la punta dei piedi e cercava di non pensare a quanto quella situazione fosse assurda.
Clarke spezzò il silenzio
Sembra davvero grande qui, deve essere davvero il miglior meccanico di Boston, come avete avuto l’onore di conoscerlo? 
Era la prima volta che la ragazza si rivolgeva a lui con un tono quasi amichevole.
Conoscerla, è una ragazza, si chiama… 
Fu interrotto perché Raven e Murphy avevano appena fatto capolino davanti i due.

Bellamy si sentì stringere forte il braccio, Clarke gli si era avvinghiata letteralmente all’arto superiore in una frazione di secondo.

Raven lasciò cadere una chiave inglese che teneva ancora stretta in mano, si era fatta livida in volto.

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Capitolo 4
*** IV ***


Heilà, qui è Chiara, che dire?
Si continua e devo ammettere che questo capitolo a modo suo, finalmente, vi donerà qualche chicca più propriamente Bellarke ma non pensate che da qui sia tutto in discesa!

Nel frattempo io volevo ringraziarvi di cuore per le recensioni, per chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite... Siete di una dolcezza unica e per me è davvero bello sapere di essere arrivata, in un certo senso, a qualcuno.
Perciò continuate se vi fa piacere (a me infinitamente!) e fatemi sapere cosa ne pensate, ora smetto di ammorbarvi giuro.

A voi il capitolo, buona lettura,
con tantotanto affetto
C.



IV
Clarke si sentì mancare la terra sotto i piedi, non ci pensò nemmeno quando si aggrappò al braccio di Bellamy, fu un riflesso, davanti a lei c’era una delle persone che sperava non avrebbe mai più dovuto rivedere Raven Reyes la "legittima fidanzata” di quello che era stato il suo primo e ultimo amore Finn Collins.
Quando l’aveva incontrata la prima volta era nella stanza di Finn al campus, avevano bussato e Finn aveva aperto senza pensarci, Clarke indossava solo una maglietta di lui sopra la biancheria, era così che di solito se ne stava nella camera di quello che doveva essere il suo ragazzo, senza troppi problemi ed in assoluta libertà, si sentiva davvero libera quando era con lui.
Quando Raven gli saltò al collo baciandolo ardentemente Clarke assistette alla scena incredula ma bastò che l’altra ragazza aprisse gli occhi separandosi dall’abbraccio per vedere l’intrusa e dare il via al finimondo.
Raven le si avventò contro, Finn tentava di bloccarla e nel frattempo le implorava, cercava una spiegazione plausibile, cercava una giustificazione che potesse essere esaustiva per entrambe, non fu così ovviamente. Clarke non gli diede il tempo, prese la sua roba in pochi minuti e si catapultò fuori da quella stanza così come dalla vita di Finn.
Lui dal suo canto cercò di contattarla in tutti i modi, messaggi, chiamate, alla fine in una mail il ragazzo gli spiegò come stavano le cose, lui e Raven si erano conosciuti ad una festa di un’amica comune quando lui abitava ancora a Boston e frequentava il liceo, quello che c’era tra loro era speciale ed unico, sintonia e complicità, erano stati insieme quasi tre anni, poi era partito, aveva scelto l’Università, aveva scelto New York e nella mail le scrisse che aveva scelto lei Clarke Griffin.
Forse con un’altra ragazza avrebbe potuto funzionare ma non con Clarke, lei non si faceva riconquistare da due paroline scritte per mail, aveva chiuso, Finn non le aveva detto la verità, era come se l’avesse tradita sin da subito, come poteva fidarsi ancora di un ragazzo che le aveva mentito in partenza? Che le aveva spezzato il cuore?
Se solo avesse saputo non avrebbe mai stretto un rapporto con lui, si sentiva in colpa anche per quella ragazza sconosciuta che l’aveva guardata in cagnesco e le aveva inveito contro, lei non poteva capire, non poteva immaginare.
Clarke pensava che non l’avrebbe mai più rivista, lo sperava quanto meno, la sua reazione era stata comprensibilmente furibonda nei suoi confronti ma dopotutto non era lei che si doveva giustificare.
 
“Bellamy, cosa cazzo ci fa quella puttana con te?”
Lui la guardò in modo interrogativo, Clarke se ne stava ancora appesa al suo braccio così spostò lo sguardo verso la bionda che lo ricambiò con un’espressione imbarazzata e preoccupata, il ragazzo per la prima volta guardò con apprensione quegli occhi blu che imploravano aiuto e comprensione.
“Raven cosa succede?”
“Succede che se quella non sparisce dalla mia vista nell’arco di due minuti la prenderò a calci personalmente per assicurarmi che non possa più utilizzare nessuna parte del corpo che le permetta di arrivare fin qui.”
Bellamy non capiva ma la bionda parlò prima che potesse dire nulla, lasciando finalmente il braccio del ragazzo
“Raven io non lo sapevo.”
“Cosa non sapevi di preciso? Di trombare con il mio ragazzo?”
In realtà Clarke stava per dire che non sapeva stessero andando da lei quella mattina, non sapeva fosse un meccanico né tanto meno che fosse considerata la migliore di Boston ma la verità è che effettivamente Raven aveva fatto centro, lei non lo sapeva che Finn fosse il suo ragazzo.
Si morse un labbro, la capiva profondamente, erano vittime dello stesso scherzo.
“E’ meglio che io vada” disse la bionda ai due ragazzi, Bellamy era confuso ma non disse nulla, Murphy si limitò ad annuire.
I due lasciarono la macchina di Bell a Raven la quale specificò di non voler minimamente parlare di quanto fosse appena accaduto, prese da parte il moro per un momento e gli disse “Credo che dopo oggi dovremmo darci un taglio.”
“Cioè?”
“Ci hai provato ma non puoi aiutarmi e non ha senso andare avanti, la mia reazione prima è stata quella perché lo amo ancora, lei mi ricorda solo quanto lui mi abbia fatto soffrire e quanto ancora faccia male nonostante il tempo, nonostante il divertimento insieme a te.”
Lui annuì
“Va bene , tranquilla, erano i patti, se ti consola… Nemmeno per me ha funzionato”
Un ghigno amaro si stampò sulle labbra del ragazzo che la ringraziò per la macchina e raggiunse l’amico.
Con Raven era tutto semplice, anche darci un taglio, certo non stavano insieme, era diverso, non erano legati da alcun sentimento se non un profondo rispetto eppure Bellamy si chiedeva come un ragazzo avesse potuto essere legato a entrambe, lei e Clarke, sembravano appartenere a due universi opposti.
-
Clarke si era raggomitolata sul divano non appena era arrivata in casa, non aveva avuto la forza di raggiungere la sua camera, un senso di vuoto l’aveva sorpresa e due lunghe lacrime salate le rigavano il viso, rivedere Raven aveva fatto riaffiorare tutti quei ricordi che pensava di essere riuscita a sotterrare, di nuovo sentiva quella sensazione, quel pugno allo stomaco; si era fidata di lui ciecamente senza pensarci ed era stata folle ma sentirsi traditi da una persona che aveva significato così tanto era stato davvero troppo, lui l’aveva usata, l’aveva resa solo un rimpiazzo, le aveva fatto credere di essere speciale ma in realtà era solo un bravo bugiardo e la cosa peggiore era che lei, annebbiata dal sentimento, non poteva accorgersene.
Erano passati quattro mesi ma Clarke sentiva una stretta all’addome proprio come quel giorno in cui gli occhi furenti di Raven le si erano puntati per la prima volta. Non aveva mai fatto i conti con quella faccenda, era scappata, aveva tagliato ogni ponte con Finn, come se avesse nascosto i frammenti di quella storia sotto un tappeto, non l’aveva mai affrontata ed ora tutto ciò che si era tenuta dentro stava esplodendo nel suo cuore.
-
Bellamy era rientrato in casa sovrappensiero, aveva visto la macchina di Clarke ancora malridotta parcheggiata di fronte al vialetto, sapeva che la ragazza si era già rifugiata nella sua camera come faceva quasi sempre quando entrambi erano in casa. Ripensò alla scena alla quale aveva assistito sostanzialmente inerme, sentiva ancora la presa della bionda sul braccio, credeva sarebbe crollata da un momento all’altro, quel contatto era un qualcosa di disperato ed irrazionale, lo aveva capito subito per quello non aveva fatto nulla per impedirlo, né si era lamentato come probabilmente avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione.
Invece di piangere o chissà cosa, la principessa aveva reagito, aveva cercato di fronteggiare Raven in un modo del tutto inaspettato, si era messa in una posizione di inferiorità, non credeva fosse capace di farlo, in un certo senso aveva ammesso le sue colpe, era come se quel contatto con lui le avesse dato la forza di reagire, di tenersi in piedi, quando poi l’aveva vista voltare le spalle al gruppo imbarazzata più che scossa era rimasto sorpreso, pensava davvero che fosse il tipo di persona che cerca di avere sempre l’ultima parola, invece quel gesto dimostrava quanto fosse conscia dei suoi errori.
Si ritrovò ad aprire la porta di casa scacciando via quei pensieri, non si sentiva autorizzato a fare supposizioni, non sapeva poi molto. Raven era restia a sfogarsi quando saltava fuori l’intera faccenda di Finn che comunque per Bellamy non era altro che un coglione montato, lo aveva sempre pensato da quando aveva messo piede al liceo, si era costruito un personaggio , una facciata affascinante e misteriosa che piaceva, alle ragazze soprattutto, ma dietro di essa restava un semplice ragazzo fin troppo pieno di sé.
Quando entrò non si accorse della figura raggomitolata sul divano stretta alla coperta di pile, non subito, stava sistemando la felpa sul portabiti quando il suo orecchio percepì un singhiozzo, uno solo, e si voltò nella direzione da cui proveniva, il suo primo pensiero corse ad Octavia, questione d’abitudine.
Rimase impietrito alla vista di una chioma bionda e scompigliata che poteva appartenere soltanto alla giovane Griffin.
Il suo volto era coperto da un lembo della coperta e dai capelli folti che le ricadevano in avanti, il suo respiro era affannato e sussultorio, stava trattenendo le lacrime o almeno ci provava.
La posizione fetale che aveva assunto rendeva il tutto più patetico agli occhi del ragazzo che però senza sapere bene il perché non poté fare a meno di avvicinarsi.
Si accucciò accanto al divano cercando di capire per quale assurdo motivo lo avesse fatto e maledicendosi per non aver tirato dritto ma soprattutto cercando le parole giuste per non sembrare né troppo invadente, né troppo strafottente.
Lei sembrava non essersi nemmeno resa conto che il ragazzo si fosse catapultato ai suoi piedi e continuava a respirare sussultando, di fronte a quella vista Bellamy non potè far altro che reagire come se quella davanti a lui fosse Octavia, gli mise una mano sul ginocchio.
La testa di Clarke si alzò di scatto, gli occhi erano arrossati e lucidi, il viso impastato di lacrime e rimasugli di trucco, Bellamy ebbe un brivido, quella ragazza era totalmente indifesa su quel divano, stretta a quella coperta come fosse l’unica cosa a cui potersi aggrappare per non sprofondare nell’infelicità totale eppure la sua bellezza era intatta nonostante l’espressione sconvolta e le lacrime miste al mascara, e quell'aura incantevole che la circondava nonostante tutto era così evidente perché contrastava con lo stato in cui versava la biondina. 
La guardò tentando un sorriso, il primo forse che le avesse mai rivolto.
“Le principesse non dovrebbero piangere”
Lei ricambiò lo sguardo stupefatta, forse non si aspettava che qualcuno arrivasse in suo soccorso, forse non si aspettava che proprio Bellamy stesse cercando di farla ridere ma effettivamente contro ogni sua previsione un qualcosa di molto simile ad un sorriso le affiorò sulle labbra sanguigne.
“Vuoi che ti porti un bicchiere d’acqua?”
Lei annuì ed il ragazzo si precipitò verso l’angolo cottura, tornò porgendole il bicchiere e sedendole accanto. Bevve dei piccoli sorsi cercando di regolare il respiro e cacciare via le ultime lacrime, poi quando si assicurò che la sua voce non fosse rotta dal pianto finalmente parlò
“G-grazie” respirò nuovamente voleva dire qualcos’altro ma non era sicura di esserne in grado.
“Mi dispiace” Bell pronunciò quelle parole senza pensarci troppo, istintivamente.
“Non è colpa tua è che…” un fremito la scosse.
Clarke si ritrovò a vomitare parole, raccontò tutta la vicenda a quel ragazzo che era convinta di non sopportare, lui non le aveva chiesto nulla ma lei non poteva lasciare che lui l’avesse vista in quello stato senza nemmeno fornirgli un chiarimento. Fu questa la spiegazione che volle darsi ma la realtà era profondamente diversa, aveva semplicemente bisogno di parlarne, aveva bisogno che qualcuno la ascoltasse proprio come Jasper e Monty facevano durante le loro infinite passeggiate a Central Park.
Quando finì si sentì sollevata e vuota. Si strinse le gambe al petto e appoggiò il mento sulle ginocchia, non riusciva a guardare il maggiore dei Blake in volto, aveva paura dell’espressione che poteva rivolgerle, aveva paura di essersi esposta un po' troppo.
“Allora Finn Collins è davvero il più grande dei coglioni!” Mugugnò lui.
Clarke sorrise di nuovo e finalmente si voltò, incontrò gli occhi scuri di Bellamy, aveva un’espressione che non aveva mai visto prima, rilassata e comprensiva, gentile, lo sguardo fisso nel suo, il naso perfetto e avvolto da un manto di lentiggini, due fossette sulle gote adornavano il sorriso che le porse di rimando.
Solo ora che il ragazzo non le rivolgeva le solite occhiatacce e battutine beffarde si rese conto di quanto perfetto e radioso fosse il suo viso olivastro… Pensò di delirare quando realizzò meglio cosa le stesse passando per la testa, doveva essere l’effetto dell’essersi liberata da quel fardello, del poter parlare tranquillamente di quella storia con qualcuno, di poterne parlare con lui. Decise di ricomporsi mentalmente e approfondì:
“Lo conoscevi?”
“Andavamo a scuola insieme, era un paio d’anni più piccolo ma avevamo delle frequentazioni in comune tra cui Raven. Non ho mai nutrito una gran simpatia nei suoi confronti.”
La ragazza annuì
“Non credo che il tuo giudizio faccia molto testo, voglio dire non è che ti stiano simpatiche poi così tante persone però…”
Abbassò lo sguardo, forse era stata troppo approssimativa e diretta ma non riusciva a pensare lucidamente; il ragazzo ribatté prontamente
“Cosa vuoi dire?”
“Non è che tra me e te le cose siano poi così diverse.”
Alzò un sopracciglio quando realizzò quanto Clarke aveva appena detto.
Ecco lo sapeva, non doveva lasciarsi intenerire da un paio di lacrime, era tornata quella di prima, puntigliosa e saccente, con quel caratterino guariva in fretta evidentemente.
“Tu non mi conosci principessa, non pensare che questa chiacchierata possa cambiare le carte in tavola, ho fatto quello che dovevo.”
Clarke lo fissava a bocca aperta, aveva una gran coda di paglia. Alzò gli occhi al cielo di riflesso
“Come ti pare... Guarda che non volevo...” s'interruppe.
In quel momento la porta dell’ingresso si aprì non lasciando il tempo né a Clarke, né a Bellamy di poter portare avanti quella strana discussione che li vedeva coinvolti in un nuovo battibecco.
Octavia era raggiante, stringeva al petto una felpa della Boston University come un bambino tiene un giocattolo appena comprato. La sua felicità invase l’aria della casa che adesso brillava di una nuova luce, li guardò sorridendo:
“Cosa ci fate voi due seduti insieme sul divano?”
I due si distanziarono leggermente, erano davvero troppo vicini per i loro standard.
“Sapevo che avreste fatto pace
Rivolse uno sguardo complice e soddisfatto al fratello e si sedette sulla poltrona che si trovava al lato sinistro del divano appoggiando con noncuranza i piedi sul tavolino di legno sottostante.
Bellamy ignorò quel commento concentrandosi sull’inspiegabile euforia della piccola Blake
“A cosa è dovuta questa tua eccessiva gioia?”
“Non potresti semplicemente essere contento di vedermi così invece di farmi il terzo grado Bell?”
Il ragazzo digrignò i denti e Clarke sentì i suoi muscoli tendersi, il cuscino del divano si irrigidì impercettibilmente sotto la tensione del ragazzo, lo notò perché con gli anni e lo studio aveva imparato fin troppo bene a riconoscere le reazioni del corpo umano.
“Stasera vado ad una festa, non aspettatemi in piedi.” Disse tutto d’un fiato la ragazza mora.
“Dove vai tu?”
“Ad una festa, hai sentito bene, è un party d’inizio anno in una confraternita e sono invitate anche le matricole.”
“Scordatelo.”
“Non ci provare nemmeno Bell. Non ho più tredici anni, non farò dipendere la mia vita sociale dalle tue stupide ossessioni!”
Il ragazzo si strinse i palmi e deglutì. Clarke voleva dire qualcosa per affievolire l’agitazione ma non riusciva a pensare lucidamente, ci pensò Murphy a risollevare la situazione: il telefono di Bellamy iniziò a squillare, era lui. Il maggiore dei Blake prese automaticamente il cellulare mentre la sorella si diresse verso la sua camera, aveva vinto, sarebbe andata a quella festa, avrebbe indossato il vestito più bello che aveva nell’armadio e avrebbe rivisto lui, quello splendido ragazzo con la pelle scura come il cioccolato fondente che le aveva dato il volantino durante il corso d’orientamento “Ci conto!” le aveva detto facendole l’occhiolino quando la moretta aveva detto che sarebbe andata.
-
Dopo la telefonata Bellamy le aveva chiesto se le andava di bere qualcosa con qualche amico, Clarke era rimasta stupita da quella richiesta ma aveva accettato, sapeva che non era tutta farina del suo sacco e che Murphy aveva sicuramente contribuito a far sì che l’invito arrivasse a destinazione ma colse al volo l’occasione.
Aveva bisogno di uscire, bere qualcosa perché no, soprattutto dopo quella giornata, soprattutto dopo una settimana in cui era uscita solamente per questioni legate a chiarimenti sul suo tirocinio; aveva passato il resto del tempo in una casa nella quale ancora non si sentiva davvero la benvenuta, effettivamente Clarke trasudava da ogni poro il bisogno di uscire.
 
Se ne stava seduta a tavola e ticchettava nervosa le dita sulla superficie legnosa, lei e Bellamy avevano cenato insieme, rigorosamente in silenzio ed ora, insieme, sarebbero dovuti andare al locale dove lui era solito lavorare, lo stava aspettando, si stava cambiando, per fortuna che erano le femmine quelle che di solito si facevano aspettare.
“Non posso mica venire con i vestiti impregnati dall’odoraccio di hamburger arrostiti che io ho cucinato”
Gli aveva fatto eco per sottolineare il fatto che fosse stato lui a mettersi ai fornelli.
“Non ti ho chiesto io di cucinare per due, hai fatto tutto da solo”
“Potevi dirmelo che ci tenevi così tanto a saltare la cena, non avrei avuto obiezioni”
Era già sparito per le scale senza dare il tempo alla biondina di ribattere.
Quando finalmente riapparì Clarke lo guardò da capo a piedi alzando un sopracciglio
“Dimmi che non hai passato tutto questo tempo a scegliere cosa metterti”
“Perché?”
“Sembra che tu stia andando ad un funerale Bell ecco perché.”
Il ragazzo era vestito completamente di nero, indossava una t-shirt scura, dei jeans neri e delle scarpe dello stesso colore, la cosa la fece ridere sotto i baffi.
“Quasi dimenticavo di far da accompagnatore alla principessa, stasera, non sia mai che i vestiti che indosso non siano di suo gradimento…”
E così dicendo il moro si tolse la maglietta con una nonchalance che lasciò Clarke imbarazzata, c’era da dire che però la ragazza non poté far a meno di non guardare il fisico marmoreo del più grande dei Blake.
Nel frattempo il ragazzo prese una camicia a quadri verde selva che stava sull’appendiabiti e una volta infilata cominciò ad abbottonarla, solo in quel momento si rese conto che la biondina lo stava fissando con un po’ troppa insistenza, la sua bocca era leggermente aperta e la cosa lo fece sentire insolitamente soddisfatto, stava chiudendo gli ultimi bottoni quando senza guardarla le disse
“Mi dispiace, lo spettacolo per stasera è finito.”
 
Presuntuoso, avrà anche avuto un fisico perfetto sul quale aveva forse poggiato per un po’ troppo il suo sguardo ma questo non compensava il suo pessimo carattere, penso lei.
“Come se m’interessasse” rispose fredda.
“Certo, come no!” rispose lui con aria divertita, qualcuno suonò il clacson Murphy e Atom dovevano essere arrivati.
-
Era un locale piuttosto carino pensò Clarke non appena vi mise piede, il parquet di castagno scricchiolava leggermente, il bancone si trovava al centro della sala, dai tavolini tutt’intorno si alzava un piacevole chiacchiericcio che si espandeva per l’ambiente, notò alle spalle del bancone un palco con degli strumenti poggiati sopra, il suo pensiero volò a Jas e alla sua esagerata passione per la musica, qualsiasi tipo di musica, chissà cosa stava facendo in quel momento, chissà se le due lettere erano arrivate a destinazione.
Assorta nei pensieri si ritrovò seduta ad un tavolo che fiancheggiava il muro mattonato del locale con una birra grande, forse troppo, davanti. Eppure non le sembrava di aver espresso in alcun modo di volerla.
Atom e Murphy stavano parlando fitto mentre lei contemplava il bicchiere che si ritrovò a stringere tra le mani, non era una gran bevitrice, non con sua madre medico che aveva la mania di portare tutto all’esasperazione anche un bicchiere di birra poteva essere deleterio secondo il suo modo di vedere le cose ne sarebbe seguito sicuramente un secondo e così via.
“Non è di tuo gradimento principessa?”
Eccolo Bellamy con gli occhi puntati su di lei che ritornava all’attacco, non si stancava mai? Per tutta risposta la biondina prese a trangugiare la bevanda guardandolo con aria di sfida. Un sapore amaro le inondò il palato per poi lasciare spazio ad un retrogusto che sapeva di miele e fiori di campo.
Guardò il bicchiere adesso colmo solo a metà e poi il moro soddisfatta della sua performance
“Non mi sembra, ti pare?”
Lui scrollò le spalle
“Meglio per te allora!” e si affrettò ad interessarsi al discorso che i suoi due amici stavano portando avanti.
Clarke non riusciva a prestare attenzione a quello che i tre stavano dicendo e partecipava in modo assente alla conversazione annuendo ogni tanto, dicendo qualche sì qua e là ma soprattutto sorseggiando la sua birra che aveva scoperto, grazie alle conversazioni da estimatori che i ragazzi facevano, essere una doppio malto.
Fu grata a Murphy e Bellamy per non aver proferito parola su quanto fosse accaduto nella mattinata.

Si sentiva leggera, la testa più vuota, non era una sensazione negativa, non si ricordava a quando risalisse l’ultima volta in cui si era sentita così spensierata.
Il suo sguardo si posò sul viso di Bellamy che le stava seduto davanti, era disteso, rilassato e le infondeva un senso di tranquillità che non riusciva a spiegarsi, sentì che un sorriso timido le incurvò le labbra, non riusciva a mandarlo indietro anche se una Clarke più lucida lo avrebbe senz’altro fatto senza pensarci due volte, avrebbe voluto reggere l’alcol molto meglio in quel momento, si disperò per aver accantonato senza rimorsi le esperienze base dei liceali che comprendevano sbronze e sigarette.
E adesso davvero stava sorridendo perché i suoi occhi si erano poggiati su un viso che…
I suoi pensieri furono interrotti bruscamente da un contatto che non riuscì prontamente a riconoscere, sulla sua gamba che sentiva formicolare da quando la pinta era terminata, avvertì un calore gradevole, era il calore di un altro corpo.
Ci mise un po’ per realizzare che doveva essere la gamba di Bellamy che le si era piacevolmente appoggiata lateralmente, senti il suo piede che cercava sfacciatamente quello di lui e avvampò quando Bellamy alzò uno sguardo poco decifrabile decisamente diretto verso di lei.
“Scusa, io… non volevo ma questi tavolini sono maledettamente stretti!”
Ma che cosa diceva? Ora sì che sembrava davvero la principessina viziata che Bellamy si ostinava a definire tale, le era sembrata la scusa più valida, si stava maledicendo per aver bevuto quella birra così in fretta e per non aver mangiato una fetta di pane in più a cena.
Lui però scoppiò in una risata che contagiò l’intero tavolo.
“Attenta Clarke così stai assecondando troppo l’immagine che Bellamy ti ha dipinto addosso, sei fortunata che siamo gli unici due a non farsi influenzare troppo dalle sue illazioni.”
Disse Murphy prendendola in giro bonariamente.
 
Suonavano Jazz il venerdì, la combriccola si era alzata dal tavolo quando era cominciato il concerto, strano, non li faceva tipi da musica così matura. Mentre la melodia la cullava e le faceva battere le mani come tutti gli altri stavano facendo, si ritrovò a cercare Bell con lo sguardo, eppure avrebbe dovuto prestare attenzione al concerto, si stava rimproverando ma sembrava che quell’autocritica non avesse alcun effetto su di lei.
Lo vide seduto al bancone, parlava gesticolando vistosamente con quello che doveva essere il proprietario, un uomo sulla sessantina con i capelli bianchi e lunghi e una bandana rossa legata al collo, il ragazzo stava ridendo e questo le bastò per ritornare a godersi il concerto, vederlo ridere le aveva dato un senso di pace che voleva tenersi stretto.
 
Non berrò mai più un bicchiere di birra grande nell’arco di dieci minuti e niente rum e pera a fine serata si ripromise una volta rimasta sola nella camera buia, stava maledettamente bene e questo non era da lei, come se nulla al mondo potesse preoccuparla.
Nella testa mentre il sonno la accarezzava riecheggiavano due semplici parole che le erano risuonate più dolci del solito “Buonanotte Principessa.” Sorrise stavolta senza sforzarsi di impedirlo, dopo tutto stava già dormendo.

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Capitolo 5
*** V ***


Buonasera, buongiorno, insomma come volete!
Oggi non non vi anticpo nulla...
Vi dico solo che ho dovuto riscrivere tutto il capitolo perché la chiavetta USB dove lo avevo salvato ha deciso di abbandonarmi così, senza un preciso motivo.
Spero vivamente che sia di vostro gradimento perché ho cercato di mantenere lo spirito nonostante fossi disperata per la perdita dell'originale e ho provato in tutti i modi di rendere giustizia a quello che avevo già scritto, riscrivere qualcosa non è mai una passeggiata, ho avuto paura di perdere l'enfasi ma insomma mi auguro con tutta me stessa che vi piaccia.
Direte me la potevo evitare questa "pappardella" eh!? 
E' che mi piace raccontarvi anche qualche aneddotto che in un certo senso possa farvi affezionare, voi siete stati gentilissimi e deliziosi con me finora e credo di adorarvi, davvero!
Vi ricordo che se volete lasciarmi un pensiero in una recensione non può che rendermi felice.
Ora vi lascio tranquilli alla lettura,
baci,
Chiara.


 



V
 
Era decisamente stupito dal modo in cui aveva salutato la principessa, le sue parole erano uscite in modo così diverso dal solito, niente sarcasmo, niente avversione anzi una sorta di dolcezza che non riconosceva propria accompagnò la frase di buonanotte. Decise di dare la colpa a quell’ultimo rum e pera bevuto alla svelta prima di andare via, Joseph suo fidato capo aveva insistito per offrire un ultimo shottino ai “delinquentelli”.
Aveva passato una buona serata dopo tutto, persino Clarke che con un bicchiere di birra sembrava essersi tramutata in una persona totalmente differente le era apparsa come un’ottima compagnia,  ah la magia dell’alcol!
 
Improvvisamente però ritornò alla realtà: sua sorella, come sempre del resto, l’aveva avuta vinta, si affannò per arrivare in fretta nella sua camera ma una volta lì, la trovò vuota: un moto di rabbia e preoccupazione lo prese.
Erano le tre e le mandò un messaggio, si mise sul divano e accese la televisione che stava passando vecchie repliche di uno scadente reality show, la tenne accesa solo per evitare di addormentarsi. Non avrebbe chiuso occhio prima di veder rientrare la sagoma di O’ dall’ingresso di casa.
Tre ore e mezza dopo di Octavia non c’era nemmeno l’ombra, nessuna risposta né ai messaggi né alle innumerevoli chiamate che li avevano seguiti. Bell non poteva restarsene lì immobile con le mani in mano, aveva già aspettato troppo per i suoi gusti e d’istinto prese le chiavi della macchina di Clarke dal portaoggetti vicino la televisione catapultandosi fuori.
Sostanzialmente le stava rubando l’auto per andare a prendere quella cocciuta di sua sorella ma adesso non riusciva a immaginare alcun tipo di conseguenza di quel suo gesto repentino.
Arrivò al campus in poco tempo, c’erano volantini ovunque e non fu difficile individuare il luogo adibito al party. Si ritrovò così davanti un’enorme edificio dalle pareti bianchissime, la porta bordeaux e lettere greche laminate che pendevano sulla facciata. I bicchieri rossi  abbandonati nel giardinetto circostante confermarono il tutto, corse di fretta e furia all’ingresso scavalcando qualche corpo dormiente che si trovava penosamente accasciato sull’atrio. La porta si aprì con uno scatto non appena girò la maniglia, lo sapeva, e meno male che frequentare il college avrebbe dovuto denotare un’intelligenza sopraffina, chiunque sarebbe potuto entrare in quel luogo e fare razzie. Rabbrividì al sol pensiero di immaginare sua sorella in pericolo ed entrò deciso.
Un tanfo di alcool scadente e vomito lo accolse, cercò di ignorare la nausea che automaticamente lo assalì e cominciò a guardarsi intorno alla ricerca disperata di O’.
La trovò poco dopo in quella che doveva essere una sorta di sala di ritrovo, era distesa alla meglio su un divanetto in pelle e cingeva il fianco di un ragazzone dalla carnagione scura e dai muscoli fin troppo evidenti. Sperò vivamente che quel figlio di puttana non avesse abusato della sorella mentre verteva in chissà quali condizioni.
Bell le scosse la spalla, la ragazza aprì i suoi occhioni verdi di scatto ma ci mise un po’ a mettere a fuoco la situazione, quando realizzò che davanti a lei c’era il fratello per poco non rischiò di sobbalzare e cadere dal divano.
“Bell cosa diavolo ci fai qui, si può sapere?” disse bisbigliando per non disturbare il sonno altrui e con un tono leggermente preoccupato.
“E hai pure il coraggio di chiedermelo? Mi sono preoccupato a morte.” Tuonò invece lui, noncurante di chi lo circondava.
“Beh ora che hai visto che sono sana e salva potresti anche tornartene da dove sei venuto.”
“Non penso proprio, adesso tu vieni a casa con me e non ci sono storie.”
La prese per un braccio e la obbligò ad alzarsi. Il ragazzo accanto ad Octavia si mosse, la voce profonda ed altisonante di Bellamy era stata difficile da ignorare ma al mancato contatto con la pelle di quella ragazza che lo aveva stregato sin da subito Lincoln si tirò su, aprì gli occhi e a brutto muso vedendo la mano di Bellamy stringere il braccio di O’ disse
“Lasciala – andare – subito” Distanziò le parole per rendere al meglio il tono imperativo.
La piccola Blake dovette intervenire prima che quei due potessero dar vita ad un teatrino davvero imbarazzante fatto di preoccupazione fraterna e gelosia compulsiva.
Scostò con la spalla la presa del fratello, il tutto condito dalla giusta dose di aggressività.
“Tranquillo, questo è quello psicopatico del mio fratellone che adesso, alle sette del mattino, ha deciso che la sua sorellina maggiorenne, deve necessariamente rientrare a casa.”
L’espressione tesa sul viso di Lincoln si rilassò per quanto non gli piacesse il modo in cui quel tizio l’aveva trattata, decise di starsene tranquillo, era ancora annebbiato dalla sera scorsa ma poteva dirsi quasi sicuro che l’ultima cosa che O’ volesse fosse una pseudo rissa tra lui e Blake senior.
Bellamy nonostante avesse notato l’apprensione dello sconosciuto nei confronti della sorellina invece gli ringhiò contro
“Questa è l’ultima volta che la vedi, te lo assicuro.”
E così dicendo la prese in braccio e la portò via mentre la ragazza mandava occhiate che trasudavano scuse infinite al ragazzone rimasto imbambolato sul divano.
 “Cazzo Bell, mettimi giù!”
Il fratello non rispose, la portò così fino alla macchina, la fece accomodare sul sedile e si assicurò persino di allacciarle la cintura di sicurezza.
“Avrei potuto farlo anche da sola, idiota.” Le disse lei non appena il ragazzo prese posto e mise in moto.
“Certo, come avresti potuto mandare un messaggio o rispondere alle chiamate stanotte?”
“Cristo santo, avevo il telefono scarico! E poi non mi sembra che io ti chieda di inviarmi messaggini o che so io quando quello che non rientra a casa sei tu.”
“E’ diverso O’, lo sai bene.”
“No non lo è, potresti fidarti di tua sorella come io faccio con te per esempio.”
“E’ degli altri che non mi fido infatti.”
“Facile così, la verità è che non ho più tredici anni, mettitelo bene in testa e smettila di comportarti come una madre in menopausa. So badare a me stessa”
Sentire parlare Octavia di madri era l’ultima cosa che voleva.
Cercò di cambiare discorso
“Chi era quel ragazzo?”
“Non sono affari tuoi, piuttosto Clarke sa che le hai preso la macchina?”
“Secondo te?”
“Secondo me s’infurierà.”
No, le avrebbe spiegato e Clarke avrebbe capito, ne era sicuro in cuor suo e se fosse stato necessario le avrebbe pagato la benzina che aveva consumato durante il tragitto.  Ma poi era prestissimo, non c’era modo che venisse a scoprirlo probabilmente stava ancora nel mondo dei sogni, ricordò con ghigno la figura di lei quasi barcollante che saliva le scale per rientrare in camera sua.
Non credeva reggesse così poco l’alcol ma da alticcia era decisamente più simpatica.
In ogni caso non ci sarebbe stato nulla da spiegare e nulla da capire.
“Lo trovi divertente?” Gli fece eco la sorella.
-
Luce, una fastidiosissima luce inondava la camera e la costrinse ad aprire gli occhi, con un gesto meccanico prese il cellulare e quando vide che lo schermo segnava le sette e pochi minuti sbuffò sonoramente, avrebbe solo voluto ficcare la sua testolina sotto al cuscino e rimettersi a dormire invece no, lei era Clarke Griffin quel tipo di persona che non riprende mai sonno una volta sveglia.
Si tirò su e si prese il viso tra le mani, stava incredibilmente bene nonostante il momentaneo rincoglionimento da sonno. Dunque tutte le storie che riguardavano l’alcol di sua madre non erano altro che esagerazioni dovute al mestiere. La testa era okay, lo stomaco anche, l’unico rimprovero che dovette farsi risalente alla nottata fu quello di non aver serrato le tende, guardò velocemente la sua figura allo specchio, secondo appunto: forse avrebbe anche dovuto trovare la forza di spogliarsi invece di addormentarsi con i vestiti della sera precedente.
Tutto sommato era andata bene, si disse soddisfatta.
Saltò giù dal letto alla ricerca delle pantofole ed in un battibaleno si ritrovò accasciata sotto di esso: insieme alle ciabatte uscì fuori un post-it giallo
La cena era pronta ma dormivi, scendi quando vuoi, ti lasciamo da parte un piatto. Bellamy (Il fratello di Octavia)”
c’era scritto in stampatello. La bionda si ritrovò a sorridere come una ragazzina, improvvisamente i ricordi della serata riaffiorarono, okay forse sua madre non aveva proprio tutti i torti se ora si ritrovava accucciata a terra a sorridere ad uno stupido foglietto di carta gialla su cui giacevano le parole scritte in una grafia chiara e ordinata che apparteneva al più grande dei Blake. Sentì le gote surriscaldarsi.
Cercò di non pensarci mentre ancora con la testa tra le nuvole preparava il caffè godendosi il silenzio della casa, gli altri probabilmente stavano ancora dormendo.
Un piacevole tepore si originava  dal flebile chiarore mattutino che entrava dalle ampie finestre, Clarke si lasciò avvolgere dall’aria tranquilla che insolitamente inondava la stanza, inspirò a pieni polmoni assaporando quel piccolo momento di personale e necessaria solitudine.
Nonostante percepisse ancora la spossatezza per le ore piccole si godé il silenzio sentendosi dopo tanto tempo libera, padrona di sé e della propria vita, non doveva dare spiegazioni a nessuno e per un attimo pensò di essere davvero sulla strada giusta per trovare un po’ di serenità.
Il rumore delle chiavi nella serratura la distolse in fretta dalla sua contemplazione mattutina, in un attimo i fratelli Blake fecero capolino nella stanza.
“Sei contento adesso che sono al sicuro a casa e di avermi rovinato l’intera giornata?”
Sbraitava O’ che, in men che non si dica, si chiuse in camera sbattendo sonoramente la porta.
Bellamy restò impalato davanti all’entrata.
Clarke lo osservò, aveva un’espressione livida, non lo aveva mai visto così nemmeno quando lo aveva tamponato, il tutto era amplificato da due profonde occhiaie violacee che gli contornavano gli occhi scuri ridotti a fessure, sembrava devastato, poi il suo sguardo individuò le mani strette al petto e riconobbe il portachiavi della sua macchina, ci mise un po’ a realizzare.
“Sul serio Blake? La mia macchina?” Disse più perplessa che in collera
“Ah vedo che il passaggio da Bell a Blake è stato breve, ci sono volute meno di ventiquattro ore, complimenti Griffin penso che tu abbia battuto ogni record.”
Ora Clarke si sentì un mostro. Il tono della voce del giovane non era il solito a tratti ironico e arrogante, no era segnato da un’amarezza di fondo che fece fatica ad ignorare, cercò di recuperare, prese una tazza in più e vi versò del caffè, lo porse al ragazzo e abbassando lo sguardo bisbigliò.
“Senti scusa, lascia perdere, fa come se non avessi detto nulla, tieni, credo tu ne abbia bisogno, senza offesa… hai un aspetto orribile.”
E così dicendo afferrò la sua tazza pronta a ritirarsi nuovamente in camera, cosa che più o meno faceva ogni volta che lei e Bell si ritrovavano nella stessa parte della casa.
Non fece in tempo a fare un passo che si sentì afferrare per la maglietta, la stoffa morbida tirandosi sotto la presa le scoprì una spalla, l’aria fresca le punse quel lembo di pelle nuda, si girò pronta a chiedere all’unica persona che stava con lei nella stanza cosa le stesse passando per la mente ma non appena si voltò si ritrovò quasi a sbattere contro il petto di Bellamy, non erano mai stati così vicini.
In un flash ricordò la sensazione strana che l’aveva assalita la notte precedente quando le loro gambe per un fortuito caso si erano sfiorate.
Calore.
Non era più un ricordo, stava succedendo la stessa identica cosa.
Fece un passo indietro.
No.
Non poteva sentirsi in quel modo, non con Bellamy Blake.
Il ragazzo non le diede il tempo di dire nulla
“Mi dispiace, so che avrei dovuto chiedertelo ma dormivi e mia sorella non era rientrata ancora a casa, mi sono preoccupato, non potevo restarmene qui senza fare nulla, se vuoi posso pagarti la benzina… Resta, ti prego.”
Lo disse tutto d’un fiato e Clarke fu invasa dallo stupore, non poté ignorare facilmente quel Ti prego,  vederlo così preoccupato per la sorella la intenerì, le ricordò suo padre quando ogni sabato sera l’aspettava sveglio sul divano. Capiva quell’apprensione più di chiunque altro perché le era stata sottratta violentemente con la morte di Jake.
Sua madre non aveva tempo per preoccuparsi con i turni in ospedale e tutto il resto.
A dire il vero Abby si era preoccupata di rimettere a posto solo la sua vita, quando le aveva detto di aver accettato il tirocinio della Harvard a Boston lei le aveva detto che era un’idea fantastica. Non un complimento, non un accenno alla lontananza, nulla, come se per assurdo fosse stato meglio separarsi, dopo tutto lei adesso aveva un’altra vita da portare avanti, era troppo presa dalla presenza di Marcus nella loro nuovissima villetta per preoccuparsi dei kilometri che le separavano, per curarsi di fare la mamma ancora per un po’.
Sentì che doveva restare che in quel momento era tutto ciò di cui lui aveva bisogno.
“Hei, non preoccuparti davvero, lo capisco in un certo senso.”
Bellamy sospirò era certo che quella ragazza lo avrebbe capito, lo aveva sentito.
Lei invece non pensava che lo avrebbe mai visto in quello stato ma posò la tazza sul pianale, si affrettò ad infilarsi una felpa e poi gli disse
“Ti va di uscire fuori? Un po’ d’aria ti farà bene”
Il ragazzo annuì facendo strada. Clarke aveva pensato di mettersi seduti al tavolino che aveva notato il primo giorno che aveva messo piede nella casa ma con sua sorpresa vide Bellamy condurla sul retro.
C’era una panchina, si sedettero ed un brivido la scosse, il freddo di Boston era diverso, ti entrava dentro fino alle ossa proprio come lo sguardo di Bellamy anche se adesso il ragazzo fissava la punta delle sue scarpe come se fosse impaurito da ciò che lei potesse pensare vedendolo in volto.
Iniziò lei
“Sai, forse dovresti solo cercare di capirla, comprendo la tua apprensione ma lasciala libera di sbagliare, a volte gli errori sono necessari per crescere.”
Sembrava dirlo più a se stessa.
“Non posso permetterlo. Tu non puoi capire.”
Non lo disse con cattiveria, un velo di tristezza traspariva da ogni singola parola.
“O’ è una mia responsabilità. Siamo soli Clarke e non intendo soli adesso, qui, intendo proprio soli, al mondo.”
Adesso la guardava dritta negli occhi. Era come se le avesse lasciato uno spiraglio di accesso alla sua mente a disposizione, la scelta se aprire quella fessura o meno spettava a lei.
L’istinto prevalse
“Aspetta cosa intendi?”
Bellamy prese fiato e si afferrò le ginocchia con le mani. La ragazza decise di precederlo
“Non sentirti obbligato a dirmi qualunque cosa tu stia per dire.”
Il ragazzo scosse il capo
“Nostra madre è morta di overdose. Octavia aveva tredici anni ma non è questo il punto, la sua morte è stata solo l’apice… Sono stato io a crescerla, Aurora rientrava a casa reggendosi a malapena in piedi. Noi avevamo solo bisogno di essere amati e l’unico modo per sentirsi così, era esserci l’uno per l’altra. Sempre. Ha iniziato a farsi dopo averla data alla luce, quando nostro padre se n’è andato per poi non fare mai ritorno. O’ non lo ha mai visto in volto, come non ha mai provato cosa voglia dire avere davvero una madre che ti ama più di ogni altra cosa. C’è stata troppa sofferenza nella sua vita, voglio solo assicurarmi che non debba essere più così.”
Clarke si sentì una stupida. Come era possibile che quel ragazzo convivesse con un fardello del genere ogni giorno della sua vita? Si vergognò di essersi fatta vedere così vulnerabile il giorno precedente per una stupida crisi post adolescenziale legata ad un ex ragazzo. Non immaginava che dietro quella persona arrogante e un po’ burbera potesse celarsi una sofferenza tale.
“Dio Bell… Io…”
Non sapeva cosa dire ma non voleva stare in silenzio.
“Non fa niente principessa, non è colpa tua e non puoi farci nulla.”
Era vero, ma avrebbe voluto disperatamente essere in grado di farlo stare meglio. Doveva trovare le parole giuste
“Octavia è una ragazza splendida, hai fatto un lavoro migliore di molti genitori. E’ forte Bell, per quel poco che ho potuto vedere, il suo coraggio e la sua vivacità farebbero invidia a chiunque.”
Lui non poté far altro che sorridere e non pensava potesse succedere davvero in quel momento ma Clarke aveva ragione, la descrizione che aveva tracciato di sua sorella le calzava a pennello e lui non poteva che esserne profondamente orgoglioso.
Non fu in grado di dire nulla perché lei ancora una volta prese la parola
“Fidati di lei, è tutto quello di cui ha bisogno adesso.”
“Ho paura di non esserne in grado.”
“Devi farlo per lei, per te, per quello che siete una famiglia, se non c’è fiducia non c’è amore, fattelo dire da una che l’ha capito sulla propria pelle, facendo un gran pasticcio.”
Forse non doveva mettere in mezzo quella stupida faccenda con Finn eppure era la verità, lui non l’amava davvero altrimenti si sarebbe fidato e le avrebbe raccontato tutto, era lei quella che aveva riposto la propria fiducia nella persona sbagliata.
Di tutta risposta lui le prese la mano che teneva poggiata sul grembo, quel contatto la fece trasalire, sentì il suo sangue pulsare dentro ogni singola vena del proprio corpo e le sue guance pallide e fredde avvampare, sperò con tutta se stessa che dall’esterno non si notasse.
“Grazie, davvero.”
Le disse poi la guardò ancora per un attimo e sorridendole nel modo più dolce che avesse mai visto aggiunse
“Dovremmo rientrare, la tua mano è congelata e sinceramente non voglio essere responsabile di aver fatto ammalare la principessa.”
Clarke rise.
Eccolo Bellamy Blake in tutto il suo splendore, era tornato quello di sempre senza che lei avesse avuto il tempo di realizzarlo ma stavolta era contenta di sentire quel tono ironico nella sua voce, era contenta persino di essere stata chiamata per l’ennesima volta principessa, forse ci stava facendo l’abitudine.

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Capitolo 6
*** VI ***


Rieccomi qui,
è stata una settimana lunga, tra esami (che ahimè ancora non sono finiti) e impegni vari ma ci sono.
Ci provo ad essere puntuale e nonostante avessi detto che avrei aggiornato due volte al mese è andata a finire che fino ad ora sono riuscita a farlo una volta a settimana circa, spero sarà ancora così ma se qualche volta non dovessi farcela - tra pochi giorni ricominciano le lezioni all'Università - non uccidetemi.
Vengo al dunque invece di straparlare: questo capitolo non mi fa impazzire a dirla tutta ma era necessario per condurre i personaggi dove sto pensando di farli arrivare e quindi siate magnanimi ma comunque ditemi che ne pensate.
In realtà doveva coinvolgere anche un altro avvenimento (che non vi spoilero) ma ho visto che stava venendo un po' troppo lungo e quindi ho deciso di rimandare al prossimo.
Per il resto sarete voi a dirmi, se vi andrà, qualunque altra cosa.
Io nel frattempo mando un abbraccio ad ognuno di voi, a chi ha recensito, a chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e a chi è arrivato fin qui 

vostra Chiara.


VI
 
Stava appoggiato al muro esterno del locale stretto nel suo minaccioso cappotto nero su cui una toppa bianca identificava il suo ruolo: security.
Era una delle cose che più gli piaceva di quel lavoro, non aveva bisogno di parlare molto e spesso non faceva altro che starsene in quell’angolo ad osservare con occhi attenti i movimenti della città perlopiù assopita e maldestramente illuminata dai fari di qualche macchina di passaggio e dalle precarie luci calde dei lampioni.
Il suo turno sarebbe finito in meno di un’ora ma Bellamy sarebbe rimasto lì volentieri, non aveva molta voglia di rientrare in casa.
I pochi giorni che avevano seguito la sua chiacchierata con Clarke erano stati stranamente, o forse solo prevedibilmente, imbarazzanti, i due non sapevano più molto bene come rapportarsi l’uno all’altra.
Era passato dal non sopportarla a raccontarle dettagli della sua vita che per troppo tempo aveva cercato lui stesso di dimenticare ma che soprattutto non aveva mai osato rivelare a nessuno.
L’unica persona con cui era stato costretto ad avere qualche conversazione al riguardo era lo psicologo che gli era stato affidato quando aveva deciso di firmare le carte per accollarsi l’affidamento di Octavia, il dottor Jaha ovvero il padre di Wells ex compagno di scuola e futuro collega ai tempi.
Perciò era stata una pura formalità, una cosa che aveva dovuto fare per il bene di sua sorella, non si era mai aperto realmente con quell’uomo, aveva detto il necessario, quello che voleva sentirsi dire in sostanza, nessuno gli avrebbe ridato indietro una vita normale e parlarne non faceva altro che acuire il dolore e rendere più esplicita la mancanza.
 Con Clarke era stato totalmente diverso, si era sentito vulnerabile e a posteriori non era più tanto sicuro che fosse stata la mossa giusta, eppure aveva provato un incredibile senso di sollievo dopo, era persino riuscito a recuperare il sonno perso durante la nottata passata in bianco, niente incubi, niente cattivi pensieri prima di serrare gli occhi nonostante lo avessero quasi sempre perseguitato.
Ma non voleva che lei lo vedesse come una persona debole che non era in grado di tenersi dentro delle stupide emozioni, non sapeva bene perché ma Clarke era decisamente l’ultima persona da cui voleva farsi compatire.
Tutta quella faccenda aveva decisamente scombussolato i loro rapporti, la ragazza gli aveva indirizzato più “Come stai?” del dovuto e lui aveva cercato di divincolarsi da ogni conversazione scomoda come poteva, forse in modo eccessivo.
Ma non voleva farle pena.
Non voleva che qualcuno si preoccupasse per lui, non era mai successo nulla del genere nella sua vita perché doveva iniziare adesso? Semplicemente non riusciva e non poteva accettarlo.
Così aveva passato gli ultimi giorni il più lontano da casa possibile, usciva a fare la spesa, per andare a trovare Murphy e seguiva persino i corsi in palestra di Atom. Aveva chiesto dei turni in più al lavoro e fu grato di sapere dalla sorella, anche se ancora gli parlava a stento, che quella settimana Clarke aveva finalmente iniziato il suo tirocinio.
Sapeva che non sarebbe potuto andare avanti così ancora per molto eppure evitare il suo sguardo compassionevole gli era sembrata la cosa più giusta da fare finora.
-
Clarke era soddisfatta di come le cose stavano andando ora che finalmente aveva iniziato.
Il Boston Children Hospital era accogliente, all’avanguardia e vantava un personale preparatissimo, in molti avrebbero dato oro per ottenere un tirocinio della Harvard in quel luogo. Suo padre sarebbe stato fiero di lei, era per lui che sentiva di fare la cosa giusta, quando era morto a causa di un tumore al cervello quattro prima, lei aveva deciso di mollare tutto, se non fosse stato per Finn probabilmente si sarebbe ritirata persino dal liceo nonostante fosse all’ultimo anno. Poi però ricordò di come Jake l’avesse sempre incoraggiata ad essere forte, a non arrendersi e soprattutto a credere nelle sue capacità e quindi nei suoi sogni, “anche quelli che sembrano più irraggiungibili” le aveva detto.
 
 
Il primo giorno fu eccitante e profondamente strano, si era svegliata presto con una strana nuova emozione che l’assaliva. Aveva preso l’autobus e si era trovata in men che non si dica alla reception dell’ospedale dove, insieme agli altri tirocinanti, aspettò impaziente il coordinatore.
I ragazzi che se ne stavano lì erano cinque oltre lei, due ragazze e tre ragazzi uno dei quali le ricordava estremamente qualcuno.
Un uomo sulla cinquantina apparì dopo pochi minuti al loro cospetto era lo psicologo Thelonious Jaha, nonché coordinatore del loro tirocinio: li aveva divisi in coppie di lavoro e gli aveva mostrato l’intera struttura, ironia della sorte lei era finita con quel ragazzo dal volto già noto, si chiamava Wells e pensò che dovesse essere imparentato con il dottor Jaha perché la somiglianza era palese.
Durante la pausa pranzo si sedettero insieme al tavolo nella caffetteria interna riservata al personale medico.
La tampinò di domande, come del resto aveva fatto per tutta la mattinata ma Clarke era stata piuttosto schiva con la scusa di non volersi perdere nemmeno un dettaglio di ciò che il coordinatore stava spiegando, lui invece non le era apparso altrettanto interessato come se conoscesse a memoria già tutto quello che c’era da sapere.
Ora però non poteva ignorarlo e si vide costretta a mandare avanti la conversazione nel modo più cortese che le riuscì.
“Vieni da New York quindi?”
“Già”
“E come ti trovi?”
“Credo bene… Ma tu e, insomma, il dottor Jaha siete parenti per caso?”
“Si nota tanto eh?”
“Discretamente.”
“E’ mio padre”
“Mmh, anche tu psicologo, segui le sue orme, classico.”
“Lo stesso vale per te, no?”
“Cioè?”
“Segui il percorso di tua madre, giusto? So che è un chirurgo al Lenox Hill di New York.”
“Wow… la sua fama mi precede dunque.”
“In un certo senso.”
Poi Clarke si ricordò che non solo il suo viso aveva qualcosa di già visto ma anche il suo nome le suonava stranamente familiare, Wells… Murphy l’aveva nominato qualche giorno prima, doveva essere un collega di Bell da quanto aveva capito, che fosse lo stesso ragazzo?
“Conosci Bellamy Blake per caso?”
E lo disse istintivamente, senza nemmeno rendersene davvero conto, dopo quella chiacchierata, la bionda si era sorpresa più volte a riflettere sulla vita del maggiore dei Blake, aveva cercato di figurarsela al meglio dato che tutte le supposizioni che aveva fatto su di lui erano state tradite da quel dialogo fin troppo sincero che per una mattina li aveva resi più intimi del previsto. Dal canto suo i giorni successivi Bellamy era sfuggito quasi da ogni situazione di contatto anche solo visivo, O’ era più taciturna del solito ma soprattutto non voleva saperne del fratello e così la bionda si era ritrovata a rimuginare su quel ragazzo sostanzialmente da sola.
Wells nel frattempo la guardò stupito e si schiarì la voce
“Conoscere è un parolone, anche se siamo stati compagni di classe ed ex colleghi, abbiamo scambiato qualche battuta tal volta in tutti questi anni ma non credo di essergli mai andato molto a genio… Devo dire che la cosa era reciproca in ogni caso, non amo particolarmente quel tipo di ragazzi. Tu come lo conosci? Non sei qui da poco?”
Si sentì infastidita dalla superficialità con cui fece riferimento a quel ragazzo e pensare che appena pochi giorni prima avrebbe fatto lo stesso senza pensarci due volte.
Tagliò corto
“E’ il mio coinquilino.”
“Ah… capisco e ti ha parlato di me? Wow non me lo sarei mai aspettato, a dirla tutta per un mucchio di anni mi ha quasi sempre ignorato, non credevo nemmeno che riuscisse a ricordare il mio nome.”
Tecnicamente era Murphy che lo aveva nominato ma insomma se il suo migliore amico si ricordava ancora di lui di conseguenza doveva essere lo stesso per Bellamy.
“Magari ti sei fatto un’idea sbagliata su Bell.”
Il ragazzo scoppiò in una risata un po’ troppo fragorosa per i gusti di Clarke che lo guardò con fare servero alzando un sopracciglio.
“Impossibile” si riprese il giovane “Non ho mai visto un ragazzo come lui, ha una terribile spocchia e crede di essere superiore a tutti e tutto, nemmeno a provarci si può instaurare un rapporto con Blake che vada oltre ad una conversazione di cortesia e che comunque  sembrerà farti pesare per sempre… Non ha fatto lo stesso con te?”
La ragazza sospirò sonoramente, in realtà non poteva dare tutti i torti al suo nuovo collega… Se non fosse stato per quella mattina, lei stessa si sarebbe ritrovata probabilmente a dare la stessa descrizione del più grande dei Blake e per come le cose stavano andando non si sentiva di smentire il tutto, in ogni caso non fece tempo a ribattere che una figura li raggiunse al tavolo.
“Stavo cercando proprio voi due!”
Disse Jaha accomodandosi senza chiedere il permesso.
“Papà.” Lo salutò con un cenno del capo Wells
Lui sembrò ignorarlo e si concentrò sulla giovane
“Clarke non sai quanto mi fa piacere rivederti! Sei cresciuta ma vedo che non hai tradito i geni di famiglia né tantomeno le aspirazioni.”
Lei di tutta risposta lo guardò interdetta aveva detto rivederti? Questo voleva dire che in teoria era tenuta a riconoscerli? La sua espressione doveva essere talmente stupita che Thelonious si affrettò a giustificarsi
“Tranquilla, l’ultima volta che ti ho vista avevi sette anni. Sai io, mia moglie e Wells abbiamo abitato per i primi anni di vita di questo giovanotto a New York ed eravamo molto amici con tua madre e Jake, abbiamo frequentato l’università insieme, eravamo un gruppo inseparabile! Tu e Wells siete praticamente cresciuti insieme per questo ho deciso di mettervi a lavorare in coppia quando ho saputo che avevi passato la selezione per il tirocinio, eravate così affiatati da piccoli che ho pensato avreste potuto ritrovare facilmente sintonia anche in una situazione del genere.”
Ora il ragazzo che sedeva accanto a Clarke abbassò lo sguardo come imbarazzato. A lei finalmente fu chiaro perché il nome ed i lineamenti di Wells  le erano sembrati così familiari, effettivamente lo erano. Cercò di rispondere alla meglio
“Oh… mi dispiace tanto di non avervi riconosciuto però mi fa piacere, devo dire che non ho fatto moltissime amicizie qui fino ad adesso e mi fa piacere sapere che c’è qualche vecchia conoscenza anche qui! Perciò grazie, davvero.”
Wells alzò nuovamente lo sguardo ora velato di una mesta speranza mentre Clarke rifletteva su quanto appena detto, non era del tutto sbagliato, i suoi rapporti erano molto limitati considerato il fatto che non era sicura di aver fatto una grande impressione su Bellamy nonostante tutto, Raven invece l’aveva praticamente fatta sentire un’intrusa e Octavia sembrava raggiante con chiunque le rivolgesse la parola. L’unico che aveva mostrato un po’ di disincantato interesse nei suoi confronti era Murphy che però era un po’ troppo amico del più grande dei Blake, tutto sommato non le dispiaceva sapere che c’era qualcuno al di fuori di tutto quello.
 
Quando nel pomeriggio finalmente il loro turno era finito, Clarke si ritrovò a salutarsi con Wells davanti la macchina di quest’ultimo.
“Mi ha fatto tanto piacere, è bello sapere che c’è un volto amico anche a Boston”
Disse lei.
“A chi lo dici!”
“Certo avresti potuto dirmelo prima, mi sarei risparmiata la figuraccia con tuo padre…”
“Ma va! E’ che non sapevo come uscirmene, voglio dire la tua memoria infantile sembrava totalmente andata” La frase fu accompagnata da una risatina nervosa.
“Ci vediamo domani dai, devo andare, ho paura di perdere l’autobus.”
Il ragazzo esitò
“Se vuoi posso accompagnarti io… insomma se per te è okay”
“Davvero, sei gentilissimo ma non devi disturbarti.”
“Guarda che sono di strada!”
“Sicuro?”
Il giovane annuì ed aprì la portiera a Clarke.
I due chiacchierarono animosamente per tutto il tragitto, era strano ma le sembrò davvero che quella sintonia di cui parlava Jaha non fosse poi un’invenzione. Quando arrivarono di fronte a casa Blake Wells scese dalla macchina per aprirle nuovamente lo sportello e decise di azzardare
“Ti va se… insomma se una sera… pensavo che potremmo uscire, se a te va ovviamente.”
Clarke sorrise e acconsentì lasciandogli il suo numero di telefono , le avrebbe fatto bene un po’ di svago era sicura ma si precipitò in casa subito dopo averlo abbracciato, aveva bisogno di riposare soprattutto perché aveva avuto la malsana idea di promettere ad O’ che le avrebbe insegnato a fare la pizza fatta in casa.

-
 
“Caro Blake muovi il culo e vieni a prenderti la macchina, è pronta ma occupa spazio utile per altro lavoro quindi sei pregato di recuperarla entro stasera” diceva sul display un messaggio inviatogli da Raven. Fu strano leggere il precedente che gli appariva subito sopra “Facciamo da me quando stacchi? Non accetto risposte diverse da un sì.”
Scosse la testa.
Non è che Raven non le piacesse ma era il suo modo di fare che proprio non riusciva ad accettare forse perché troppo simile al suo, non tollerava che qualcuno prendesse decisioni per lei, era quasi dispotica e dopo tutto Bellamy sentiva un po’ suo quel modo di fare autoritario, non che lo avesse scelto o ne andasse fiero, lui era così, punto.
Ora doveva solo capire come raggiungere l’officina. Chiamò Atom ma aveva la segreteria. Quindi digitò velocemente il numero di Murphy, avrebbe chiesto anche ad altri ma abitavano tutti troppo fuori mano.
“A cosa devo l’onore di una tua chiamata Bell’addormentato?”
“Dio, Murphy smettila ti prego…”
L’altro rise dall’altra parte della cornetta
“Dimmi veloce però che stavo per uscire.”
“Sei impegnato?”
“Già, ho promesso a mia madre che l’avrei accompagnata dal medico, sono giorni che rimando e non posso più, deve fare le analisi e i controlli, sai per il fratellino in arrivo.”
A volte Bellamy dimenticava che sarebbe diventato inevitabilmente uno zio acquisito.
“Cazzo…”
Gli scappò.
“Ti serve qualcosa?”
“Dovrei andare da Raven a recuperare la macchina ma sai senza un altro mezzo di trasporto non posso, Atom ha la segreteria, non mi vengono altre idee.”
“Chiedi a Clarke no? In fondo te lo deve in un certo senso, è per lei che la macchina è finita dritta, dritta da Raven.”
“Scordatelo.”
“Fai come ti pare, io vado, ci sentiamo dopo!”
E riattaccò.
Bell si affacciò alla finestra sconsolato mentre pensava in fretta sul da farsi, non poteva chiedere a Clarke di accompagnarlo, l’ultima volta che erano stati da Raven non era stato il massimo e poi non aveva intenzione di rompere il silenzio che con fatica aveva ristabilito dopo quell’imbarazzante sfogo.
Una macchina rossa che ricordava piuttosto bene si fermò davanti il vialetto dell’abitazione, si chiese cosa diamine ci facesse Wells a casa loro ma poi lo vide scendere ed aprire cortesemente lo sportello del passeggero dal quale saltò fuori una sorridente Clarke che salutò il ragazzo abbracciandolo calorosamente.
Qualcosa nello stomaco di Bellamy si contorse.
Senza pensare molto a quanto stesse accadendo dentro di lui si diresse veloce all’entrata, scese i gradini a due a due e si ritrovò ad aprire la porta a Clarke prima che lei potesse aprirla con le sue stesse chiavi, mandò un’occhiata torva al ragazzo che l’aveva accompagnata a casa senza che lei potesse accorgersene ma con la consapevolezza che quest’ultimo avesse afferrato il concetto. Si stava comportando come avrebbe fatto se al posto della biondina ci fosse stata sua sorella e non capiva esattamente il perché ma decise di rimandare gli interrogativi perché convinto che Clarke era già pronta a porgli tremila domande.
“Stavi uscendo?”
“A dire il vero no.”
“E allora perché hai aperto la porta?”
“Ti ho vista dalla finestra e ti ho reso la vita più semplice, non trovi?”
Annuì scettica mentre si chiedeva per quale motivo adesso il maggiore dei Blake non solo le aveva ricominciato a rivolgere la parola ma era stato persino gentile con lei.
“Non sei bipolare vero?”
In quanto aspirante medico sapeva benissimo che il bipolarismo non comportava "sintomi" di questo tipo ma voleva fargli arrivare bene il concetto: avrebbe anche potuto smetterla di cambiare l’atteggiamento nei suoi confronti più velocemente di quanto si cambiasse la maglietta.
Lui la ignorò
“Che ci facevi con Wells?”
“Siamo colleghi se così si può dire e ho scoperto che da piccoli eravamo parecchio amici.”
“Mhh.”
Non capiva perché dovesse interessargli ma non riusciva a frenarsi dal voler sapere per quale motivo Clarke fosse legata a Wells, forse era che non lo sopportava, era da sempre stato la sua antitesi, sin dai tempi del liceo gli aveva soffiato il posto da primo della classe, non che lui lo volesse ma insomma non era una novità il suo istinto di voler primeggiare. I professori dicevano che lui era troppo indisciplinato e così nonostante fosse un ragazzino brillante i voti di Wells superavano sempre di qualche punto i suoi, stessa cosa al liceo quando l’altro aveva vinto le elezioni come rappresentante d’istituto, i suoi amici gli avevano detto che sembrava una figura più affidabile. Bellamy poi si era visto costretto a non poter continuare gli studi a differenza sua e così quando lo vide presentarsi al locale per coprire dei turni vacanti aveva deciso di riversare tutta la frustrazione accumulata negli anni su di lui. Sapeva bene in realtà che Wells rappresentava soltanto tutto quello che avrebbe potuto avere se solo la sua vita non gli avesse riservato determinati brutti scherzi.
Ma vederlo con Clarke lo fece impazzire.
Lei nel frattempo aveva già superato il giovane Blake pronta a dirigersi al piano superiore e Bell si ritrovò ad inseguirla sulle scale.
“Si può sapere cosa ti è preso?”
Lei si voltò di scatto e se la ritrovò ad un palmo di distanza, i loro visi per una volta alla stessa altezza dato che lei lo precedeva di un paio di scalini, deglutì ma decise di non indietreggiare.
“Volevo chiederti una cosa.”
Vide le guance della ragazza farsi rosso vivo ma nonostante questo il suo volto rimase impassibile, stava aspettando che continuasse.
“Potresti accompagnarmi da Raven con la tua macchina?”
Clarke sembrò stranamente sollevata
“Intendi adesso?”
Annuì.
“Dammi cinque minuti, mi cambio e arrivo.”
“Okay ti aspetto fuori.”
 
Fu stupito quando la vide fare capolino sul vialetto erano passati davvero cinque minuti, sua sorella ci avrebbe messo il triplo del tempo, era stretta in un maglioncino blu e dei jeans chiari le fasciavano le gambe, i capelli dorati tirati su in una pettinatura disordinata e selvaggia, ancora una volta il moro si ritrovò a constatare la sua bellezza quasi primitiva, spontanea.
“Se mi ricordi la strada guido io.” Annunciò lei.
Sapeva che protestare non sarebbe servito a nulla e così i due si posizionarono ai posti pronti per partire. Il ragazzo si sentiva a disagio, sentiva di dover dire qualcosa ma non sapeva bene da dove cominciare. Clarke teneva lo sguardo fisso sulla strada ma bisbigliò
“Non mi devi spiegazioni.”
Disse con un tono solenne ma non troppo convinto spezzando il silenzio claustrofobico che li aveva avvolti.
“Scusa?”
“Pensi che io sia una stupida? Mi hai evitato per giorni, rispondevi a malapena anche solo quando ti salutavo.”
Beccato.
“Ma no, è che avevo parecchio da fare.”
“Certo come no.” Fece una piccola pausa “In ogni caso mi devi un favore.”
“Cosa?!”
“Non è che fosse tra le mie priorità andare in officina da Raven oggi pomeriggio.”
“Se non mi avessi tamponato… non sarebbe stato necessario.”
“Non ci posso credere. Ancora con questa storia? Ma non ti stanchi mai di combattere? Non potevi passarci semplicemente sopra? Dovrai rimarcarlo per sempre?”
Aveva alzato parecchio il tono della voce e non aveva preso fiato dicendo tutto di getto, non era riuscita a pensare lucidamente perché l'istinto l'aveva sopraffatta, aveva passato giorni a tentare di giustificare Bellamy per il suo comportamento ma adesso dopo quella frecciatina che le aveva indirizzato per l'ennesima volta, il controllo era andato a farsi fottere completamente. Non sapeva che le prendeva ma poteva sentire la rabbia montarle dentro.
Bellamy strabuzzò gli occhi quando la vide continuare.
“Come se per me fosse facile ritrovarmi di fronte Raven per un altro pomeriggio, non potresti semplicemente ringraziarmi invece di farmelo pesare?”
“Gira a sinistra.”
“Uhm, fantastico, bel ringraziamento Bell, figurati.”
La ragazza senza rendersene conto, si era talmente fatta assalire da quel nervosismo che il contachilometri aveva superato di gran lunga la velocità massima consentita. Bell se ne accorse e cercò di avvertirla.
“Clarke ti prego, calmati.”
Lei scosse la testa mentre sentiva gli occhi inumidirsi si era resa conto in quel momento di avercela con lui, profondamente, solo ora che si trovavano nuovamente da soli, dopo giorni, aveva capito quanto le avesse dato fastidio il modo ostinato in cui l’aveva evitata, eppure lei aveva cercato solo di aiutato, pensava di aver fatto qualcosa di buono, non era stato lui a chiederle di restare? La confusione le faceva pulsare la testa, la frustrazione le stringeva la gola, non poteva ammetterlo ma quel ragazzo aveva un'abilità invidiabile nel far mutare così in fretta i sentimenti che confusamente sentiva di provare nei suoi confronti, di qualunque entità fossero.
Nel frattempo il ragazzo non riusciva a darsi una spiegazione per il cambio d’umore repentino della sua coinquilina
“Cazzo Clarke ma che ti prende? Accosta, non puoi guidare in questo stato.”
Le disse fissando il viso arrossato e gli occhi lucidi di lei.
Clarke fermò la vettura e si accasciò sul volante, si maledisse nuovamente, odiava con tutta se stessa perdere il controllo, non era da lei, ma quel ragazzo le faceva perdere la ragione e lei non riusciva ad accettarlo né tantomeno ad impedirlo.
Il maggiore dei Blake la guardava impotente senza capire cosa avesse fatto per turbare così tanto la biondina.
Lei sfilò le chiavi dal quadrante e gliele porse senza dire una parola. Poi scese e lo invitò a fare lo stesso, quando finalmente Bell si sedette nuovamente si voltò per guardarla in faccia.
“Si può sapere che hai fatto?”
Lei lo guardò con disprezzo.
Per un momento lui pensò che a quella vista il suo cuore avesse smesso di battere.
“Non credo di aver voglia di parlare”
E così dicendo Clarke appoggiò la testa sul vetro del finestrino guardando fuori, il cielo era scuro, le giornate si stavano accorciando visibilmente.
Bellamy rimise in moto e prese a guidare verso la destinazione ormai non molto lontana.
“E’ per Raven?”
Non demorse, odiava restare all’oscuro di qualcosa.
Mentre lei non era capace ad ignorare una domanda
“No, non m’importa un accidente di lei, non è stata altro che una povera inerme pedina, proprio come me. Certo non è che fosse in cima alla lista rivederla e farmi trattare di nuovo come se fossi una stronza patentata ma no, lei non c’entra.”
D’un tratto Bellamy fu illuminato. Pensava che l’atteggiamento di Clarke fosse il solito, rispondeva sempre sardonica dopo tutto quando era lui a rivolgerle la parola, sempre fino a quella mattina quantomeno.
Ora il suo tono era totalmente diverso, si accorse che Clarke emanava rancore da ogni poro del corpo e capì che forse la colpa era solamente sua. Come al solito aveva pensato prima a se stesso, il suo orgoglio era stato ferito ma la colpa non era della ragazza, era stato lui ad esporsi così ed era scappato con la coda tra le gambe quando aveva avvertito che lei lo guardava con occhi differenti, colmi di pietà.
Non era quello che voleva.
Ma non voleva nemmeno farla star male e lo capì in quel momento guardandola di sfuggita, sentiva un dolore nel petto vedendola in quello stato, sull'orlo delle lacrime. Si morse un labbro fino a farlo sanguinare leggermente, si sentiva un perfetto bastardo, l'aveva trattata come se fosse invisibile quando lei aveva solo cercato di venirgli incontro.
Lui invece aveva rincarato la dose come se non bastasse ricordandole che era per “colpa” sua se adesso si trovavano in quella macchina diretti dal meccanico. Sono un idiota si disse mentalmente.
Il primo giorno che l’aveva vista, quando era entrato nella sua camera mentre dormiva aveva notato un’espressione sofferente sul viso, la conosceva bene, era la stessa che Octavia aveva da bambina, la stessa che probabilmente aveva tutt’ora lui. Aveva capito poi che doveva esserci dell’altro, non si trattava solo di una stupida cotta andata a finire male, il dolore di Clarke doveva originarsi da qualcosa d’importante, qualcosa che probabilmente si era tenuta dentro.
Si sentì in colpa.
E quando lo realizzò aveva già parcheggiato, erano arrivati.
La bionda si stava slacciando la cintura
“Non c’è bisogno che tu venga, resta in macchina tranquilla, me la sbrigo io.”
Fu indubbiamente sollevata ma non disse nulla, si limitò ad annuire.
Mentre apriva lo sportello per scendere Bellamy si voltò cercando i suoi occhi e farfugliò
“Perdonami.”
Non volle sentire la risposta forse per paura, codardia si disse in realtà, e si sbrigò a scendere dalla macchina.

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Capitolo 7
*** VII ***


Yeee! Ce l'ho fatta!
Temevo davvero di non riuscire a pubblicare per tempo ma sono super entusiasta di esserci riuscita e di non aver sforato troppo.
Il settimo capitolo l'ho scritto un po' a sprazzi se così possiamo dire, mentre quelli di prima erano usciti quasi tutti d'un fiato, ho faticato un po' di più per portare a termine questo qui ma credo di esserne soddisfatta (?)
Ad ogni modo non voglio dirvi proprio nulla perché credo sia un momento piuttosto importante per il risvolto dei fatti soprattutto per quanto riguarda Clarke; lascio giudicare voi, come sempre e se mi volete dire che ne pensate, dare qualche dritta, comunicare qualsiasi cosa, ne sarò davvero felice!
Ora vi mollo che mi catapulto a vedere la 7x02 di Shameless (spero che qualcuno di voi possa capire l'urgenza ahahah).
Continuo a ringraziarvi per avermi seguito fin qui, non avrei mai potuto immaginare,
un bacio grande,
Chiara.


VII
 
“Vedo che non sei solo”
Fece Raven, guardando il lato opposto della strada.
“Dai Rav, lascia perdere.”
“Guarda che ci ho pensato su ed ho capito che prendermela con lei non ha molto senso, dopotutto la poveretta non sapeva nulla… Lo stronzo in tutta questa faccenda è solo uno ed ha un nome e un cognome che non voglio nemmeno pronunciare.”
Bellamy la guardò stranito, nell’arco di un pomeriggio entrambe le ragazze erano arrivate a dire più o meno la stessa cosa.
Eppure solo un paio di settimane prima sembrava che fossero sul punto di fare una strage.
“In ogni caso tieni.”
La moretta gli porse le chiavi della macchina e continuò “E’ come nuova.”
“Quanto ti devo?”
“Vaffanculo Bell.” Poi riprese “Certo che vedere quella macchina ridotta così mi fa piangere il cuore…”
Di nuovo rivolse lo sguardo all’altro capo della strada. Poi senza che Bellamy avesse il tempo di rendersene conto Raven prese a camminare spedita in quella direzione.
 
-
 
Le aveva chiesto scusa. Aveva capito eppure lei non gli aveva detto nulla. Non pensava che sarebbe stato capace di tornare sui suoi passi. Continuava a non comprendere per quale assurdo motivo avesse sentito il bisogno di allontanarla come non riusciva a farsi una ragione del perché lei era scoppiata all’improvviso, per giorni era riuscita a passare sopra al suo comportamento probabilmente perché era ancora scossa da quello che le aveva rivelato, forse perché tutta quella sofferenza Blake in qualche modo doveva pur sfogarla. Ma poi mentre se ne stavano lì da soli quando Clarke aveva avvertito che la tensione stava crescendo sempre di più non ce l’aveva fatta. Era umana dopo tutto. Non era più riuscita a giustificarlo. Era diventata cieca.
 
Sentì qualcuno bussare sul finestrino e si girò di scatto nella direzione da cui proveniva il rumore.
Raven se ne stava al di là del vetro.
Non era scesa per evitare altri incontri indesiderati e adesso proprio lei se ne stava lì.
E aveva un sorriso furbo stampato sulle labbra carnose.
Le fece segno di scendere e la bionda obbedì.
“Ciao”
Optò per fare un primo passo, non sicura di quello a cui sarebbe andata incontro.
“Ciao!” Le rispose l’altra continuando subito, senza darle modo di aggiungere altro “Senti Clarke, diciamocelo, io e te siamo partite con il piede sbagliato… ma vedere la tua macchina in questo stato mi fa davvero male dentro.”
La bionda si sorprese a ridacchiare.
“Quindi pensavo che ne diresti se, in segno di pace, te la riparassi? A occhio mi sembra che sia solo un problema di carrozzeria quindi non sarà un grande lavoro per me. Te la rimetterò a nuovo.”
Clarke la fissò esterrefatta, non sapeva esattamente cosa dire
“Grazie Raven ma sei sicura? Voglio dire non è un peso per te?”
“E’ il mio lavoro cara, niente di più e niente di meno.”
“Vuoi che ti lasci un acconto?”
“Spero tu stia scherzando… Che segno di pace sarebbe se te lo facessi pagare?”
“Davvero, non devi…”
“Smettila di fare i complimenti.  Tanto puoi tornare a casa con Bell no?”
E spostò lo sguardo al ragazzo che le aveva raggiunte e le guardava meravigliato.
Clarke annuì cercando di evitare d’incrociare gli occhi del maggiore dei Blake.
Lui invece decise di buttarla sulla scherzo
“In realtà pensavo di lasciarla a piedi.”
Rav si mise a ridere ma Clarke era ancora troppo sconvolta per trovare una risposta adeguata o anche solo per reagire repentinamente in qualsiasi modo.
“Se mi lasci un tuo recapito, ti faccio sapere quando è pronta!”
“Certo.”
Prese il cellulare della mora e digitò il suo numero. L’altra le fece l’occhiolino e le stampò un bacio rumoroso sulla guancia poi fece un cenno a Bell e se ne tornò indietro soddisfatta.
 
Così i due coinquilini rimasero lì per un tempo che non riuscirono a determinare, Clarke era ancora sconcertata dalla rapidità con cui lei e Raven sembravano aver risolto un dilemma forse meno grave di quanto le era sembrato, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo eppure continuava a sentirsi scossa per quello che poco prima era accaduto con Bellamy.
Lui l’aveva capita,  senza bisogno che lei dicesse nulla, in poco tempo quel ragazzo dai capelli corvini e all’apparenza scorbutico aveva compreso perfettamente il motivo che aveva scatenato la sua inaspettata e violenta reazione.
Poi le aveva chiesto di perdonarlo e le era apparso più sincero che mai.
Cosa doveva fare?
Continuava a torturarsi, nessuno era mai stato in grado di capirla fino in fondo, aveva una notevole capacità di chiudersi in se stessa e di alzare delle barriere difensive, quando decideva che qualcosa doveva restare dentro lei era così, non Monty, non Jasper, tantomeno sua madre erano mai riusciti a decifrare e scuoterla interiormente in quel modo soprattutto se non era nelle sue intenzioni, nessuno a quanto pare era stato in grado di poterla scrutare e comprendere eccetto Bellamy Blake.
Senza dire niente e nello stesso identico momento  entrambi si erano mossi verso la macchina di Bell, gli sguardi bassi e la condensa che usciva dalle loro bocche socchiuse ad ogni respiro.
Durate il viaggio Bellamy aveva acceso lo stereo per contrastare alla meglio il silenzio ed ora la voce calda di un qualche cantautore americano riempiva l’ambiente angusto.
All’improvviso Clarke abbassò il volume di scatto, cercando un contatto visivo che il ragazzo tardò leggermente a ricambiare.
“Se quello che vuoi è il perdono va bene, lo avrai... Sei perdonato ok?”
Un sorriso si allargò sulle labbra di Bellamy, spontaneo e allo stesso tempo insicuro. Lei abbassò lo sguardo pensando alle parole appena dette. Il maggiore dei Blake era davvero l’unico in grado di capirla in quel modo ed era tutto quello che lei, in cuor suo, aveva sempre desiderato, aveva passato la sua vita a dare e fornirsi spiegazioni, era satura, per una volta era lei ad avere bisogno di comprensione.
Sapeva che non avrebbe avuto una risposta dal ragazzo e le andava bene così. Bastò che Bell, fermo ad un semaforo rosso, cercasse e stringesse la mano di lei nella sua, fu quello il suo modo di ringraziarla e Clarke colse tutta la sincerità e la gratitudine di quel gesto, non c’era bisogno di sprecare altre parole.
 
Quando finalmente rientrarono in casa trovarono O’ sulla soglia della porta con uno sguardo preoccupato ed allo stesso tempo divertito.
“Si può sapere dove eravate finiti?”
“Scusa O’, ho dimenticato di avvertirti, eravamo da Raven.”
“Potreste anche usare i cellulari, vi ho chiamato mille volte.”
“Almeno adesso sai cosa si prova.”
La ammonì il fratello. La ragazza per tutta risposta gli corse incontro buttandosi  tra le sue braccia e Bell la strinse delicatamente a sé, era tutto quello che aveva, la sua famiglia, e finalmente era arrivato il momento di lasciarsi alle spalle l’astio ed il rancore ormai sbiaditi dai giorni che si erano susseguiti.
Quando la ragazza si liberò dall’abbraccio lanciò un’occhiata alla bionda
“Menomale che noi due avremmo dovuto fare la pizza oggi eh!”
“Giuro che è colpa di tuo fratello… dovresti prendertela con lui sai, mi ha costretto ad accompagnarlo da Rav.”
“Non ho ancora capito se non vi sopportate o siete amici per la pelle.”
Disse lei palleggiando lo sguardo tra i due.
“E’ complicato”
Si affrettò a ribattere Bellamy tagliando corto, continuò poi cambiando discorso
“Vogliamo entrare? Muoio di fame e mi avete fatto venire voglia di pizza, magari potremmo ordinarla.”
Octavia però sbarrò la porta d’ingresso con il suo corpo minuto, poi tossì sonoramente mentre Clarke e Bell se ne stavano lì davanti impalati senza capire cosa la ragazza stesse cercando di fare.
Bastarono una manciata di secondi e da dietro la porta spuntarono fuori due figure sconosciute agli occhi di Bellamy che si girò automaticamente per guardare Clarke, cercando un qualche segnale ma tutto ciò che vide furono i suoi occhi lucidi stavolta, poteva scommetterci, erano velati di gioia, e le sue labbra che si aprivano in un sorriso che non le aveva mai visto indossare. I due ragazzi appena sopraggiunti superarono O’ velocemente e le corsero incontro mentre la bionda faceva lo stesso, i tre si strinsero in un abbraccio molto simile a quello che poco prima aveva coinvolto i fratelli Blake ma più carico di mancanze ed incomprensioni che adesso sembravano svanire in una sorta di nuvola di fumo al vento.
 
La tavola era imbandita a festa, Jasper e Monty avevano aiutato Octavia con la pizza, dopo tutto era un rituale che solitamente rispettavano circa una volta al mese con Clarke ed era forse per quel motivo che la bionda aveva proposto alla minore dei Blake di cimentarsi in quell’impresa per aggrapparsi a una piacevole vecchia tradizione.
“Credo che tu sia decisamente più brava di Clarke, hai una dote!”
Disse Jasper ancora a bocca piena, O’ gli rivolse un sorriso raggiante che probabilmente fece rimbalzare il cuore del ragazzo, Clarke glielo leggeva in volto, conosceva troppo bene quei due e non poté fare a meno di sghignazzare. Si sentiva leggera dopo tanto tempo e felice, al sicuro in un calore familiare che per tanto tempo le era mancato.
Bellamy era più taciturno del solito, non che fosse un gran chiacchierone ma per quella sera la ragazza decise di darci un taglio, tutto ciò che voleva era solamente godersi la compagnia dei suoi più cari amici.
“Dovete spiegarmi un po’ di cose”
Li minacciò brandendo il coltello con cui aveva fatto a spicchi la sua pizza.
“Vediamo… da dove partire?”
iniziò Jasper
“Forse dal fatto che esiste internet e trovare i contatti della tua coinquilina è stato un gioco da ragazzi?”
L’altro concluse la frase.
“Ma non vi siete fatti sentire per quasi tre settimane!”
“Faceva parte dell’effetto sorpresa”
Commentò Jas.
“Avevo paura che l’avreste presa male.”
“Scusa, ti trasferisci a Boston perché hai ottenuto un tirocinio della Harvard per quello che hai sempre voluto fare e avremmo dovuto prenderla male?”
La ragazza li guardò intenerita, le sue paranoie l’avevano portata a dubitare dei grandi cuori che quei due avevano e si diede della stupida.
“Ma come vi è venuto in mente di venire fino a qui?”
“Bhè… Diciamo che oltre il piacere, siamo stati mandati in missione da tua madre.”
Disse Monty.
“Cioè?”
“Non preoccuparti, stasera si festeggia, poi domani ci penseremo.”
“A proposito.” Bellamy l’interruppe, guadagnandosi in fretta l’attenzione di tutti “Io stasera sono di turno, se volete raggiungermi al locale, sono sicuro che Joseph vi offrirà un giro volentieri.”
Lo disse guardando Clarke più di tutti, poi con uno scatto repentino si alzò da tavola facendo un cenno e si andò a preparare.
“Io veramente avrei un appuntamento.”
Spiegò invece Octavia quando si assicurò che il fratello fosse abbastanza distante da non poter sentire, Jasper fece una smorfia, Clarke le mise una mano sulla spalla
“Non preoccuparti O’, divertiti e se vuoi fare un salto, sai dove trovarci!”
I due amici annuirono visibilmente e così anche la minore dei Blake si alzò e si recò in camera.
Finalmente erano rimasti soli, la giovane Griffin aspettava questo momento da troppo tempo, aveva bisogno con tutta se stessa di rivederli e di sentirsi come se nulla potesse esserle d’intralcio nella vita, cosa che solitamente accadeva solo in loro presenza
“Avresti potuto evitare quella roba della lettera melodrammatica, non era molto in stile Griffin.”
Clarke sbuffò, aveva ragione.
“Non so che cosa mi sia preso.”
“Semplice, non riuscivi a farti una ragione di come avresti fatto a vivere senza di noi!”
Rispose Jas.
I tre scoppiarono in una risata sincera.
“Ma dove siete sistemati?”
“Abbiamo preso una camera in un bed & breakfast non troppo lontano.”
Lei annuì poi si affrettò a dire
“Di mattina ho il turno in ospedale ma se volete quando stacco possiamo andarci a prendere un caffè e a fare una passeggiata come ai vecchi tempi, ho un mucchio di cose da raccontarvi.”
“Affare fatto” disse Jasper guardando prima Clarke e poi Monty “Ma adesso si esce giusto?”
e aggiunse “Sei sicuro che a quel tipo vada bene se andiamo nel locale dove lavora? Potremmo cambiare, voglio dire non mi sembrava troppo entusiasta.”
“Tranquillo, Bell è fatto così, è un po’… burbero ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine.”
 
-
 
Quei due ragazzi piombati in casa sua dal nulla erano davvero buffi, non avrebbe mai detto che la principessa potesse avere degli amici così, sembravano decisamente diversi da lei, più spensierati senza ombra di dubbio, persino troppo per i suoi gusti ma comunque  si era reso conto solo guardandoli per poche ore insieme a Clarke quanto la loro fosse un’amicizia leale e sincera.
Li aveva visti entrare e per sciogliere un po’ d’imbarazzo aveva cercato di fare il simpatico chiedendogli i documenti fuori al locale, si era sforzato un bel po’ ma l’espressione rilassata e grata sul viso di Clarke era stata la sua ricompensa, ne era valsa decisamente la pena.
Ogni giorno che passava il freddo era sempre più secco e pungente ma a lui piaceva, lo faceva sentire estremamente vivo, sveglio. Nell’ultima settimana non aveva avuto tempo di pensare a Gina e alla loro rottura, certo erano risaliti a galla pensieri ben più angusti eppure per la prima volta li aveva affrontati e non da solo.
Era mezzanotte passata, l’affluenza ormai ridotta al minimo considerando che era un giorno infrasettimanale e così Bellamy decise che forse avrebbe potuto prendersi una pausa e raggiungere gli altri dentro. Si fermò ancora un poco a contemplare il paesaggio notturno quando una voce che ormai aveva imparato bene a riconoscere lo distolse dai suoi pensieri
“Hei.”
La ragazza lo raggiunse velocemente, stringendosi in un maglioncino troppo leggero al suo fianco.
“Che ci fai qui?”
“Avevo bisogno di un po’ d’aria.”
“Ah giusto dimentico che non reggi l’alcol.”
Lei fece una smorfia divertita, stava imparando ad incassare i colpi ironici del ragazzo.
“In realtà ti volevo chiedere scusa se Jas e Monty sono piombati in casa senza preavviso, non sapevo nulla nemmeno io.”
“Tranquilla, a quanto pare l’unica a saperne qualcosa era Octavia. E comunque non c’è problema”
“Hanno detto che andranno via tra un paio di giorni…”
La sua voce s’incrinò leggermente e Bellamy le volse uno sguardo più attento per capire cosa le stesse passando per la testa.
“E’ normale che ti senta così.”
Lo aveva fatto di nuovo, era riuscito a capire solo con un’occhiata cosa affliggeva la ragazza, aveva paura che i due se ne tornassero a casa ecco cosa, aveva il terrore di perdere nuovamente il contatto con quel poco che le restava della sua vecchia vita che evidentemente non riusciva a lasciarsi totalmente alle spalle.
Poi il maggiore dei Blake, si levò il giaccone e lo poggiò delicatamente sulle spalle di Clarke, tentando un sorriso. Lei abbassò lo sguardo leggermente, le gote probabilmente ripresero un colore più roseo ma il buio notturno aiutò la ragazza a nascondere quel delicato e spontaneo imbarazzo per un gesto che celava una dolcezza di fronte alla quale non riusciva a rimanere impassibile.
“Non dovevi”
Balbettò.
Bellamy sbuffò “Ricambio il favore, dopo tutto mi stai facendo compagnia quando potresti startene dentro con i tuoi amici.”
“Voglio farlo, non mi sento obbligata.”
“Non stavo dicendo questo.”
Lei annuì.
“Non ti annoi?”
“Mi piace.” Si scostò una ribelle ciocca di capelli  dal viso “Mi piace l’aria notturna di qui, è serena, meno caotica e frenetica e per quello che mi pagano va bene.”
“Ho paura di perderli non appena torneranno a New York.”
Clarke sospirò e continuò “Non capisco più dove la mia vita mi stia portando, non so più a dove appartengo, non sono nemmeno sicura di aver fatto la scelta giusta.”
“Non è quello che hai sempre voluto fare?”
“Si ma… è arrivato in un momento particolare e spesso temo di averlo fatto più per scappare che per altro.”
“Se è andata così, un motivo ci sarà. So che Boston sembra meno accogliente di New York ma è capace di riservare delle piacevoli sorprese, e poi non li perderai, quei due stravedono per te, si vede lontano un miglio.”
“Forse è così, non so nemmeno perché te lo sto dicendo.”
“Fa niente, posso sopportare qualche paranoia dopo quello che hai fatto tu l’altro giorno.”
Lo disse guardandosi la punta delle scarpe, non era per niente facile ringraziare qualcuno per Bell, dopotutto non ne aveva mai avuto bisogno, se l’era cavata sempre da solo.
Clarke si voltò per osservare la sua figura, era una persona fuori dal comune Bellamy Blake, sensibile ma rude come nessuno, comprensivo e allo stesso tempo maledettamente istintivo, sembrava molto più umano di tante persone con cui aveva avuto a che fare nella sua vita.
La ragazza fece qualche passo avanti nella sua direzione, sino a colmare totalmente la distanza che li separava e lo abbracciò perché in quel momento sentì che era tutto ciò che voleva, le braccia di Clarke cinsero il busto snello e slanciato ed il suo corpo si legò a quello di lui con una naturalezza bestiale.
 
Il profumo di gelsomino che aveva imparato a riconoscere come l’odore di Clarke lo investì quando la ragazza lo avvolse in un abbraccio del tutto inaspettato che per un momento non riuscì a ricambiare preso alla sprovvista.
Sperò che il suo battito cardiaco accelerato non fosse udibile ma non poté fare a meno di stringere Clarke a sé e sperare in cuor suo che quel momento non fosse vittima del tempo fuggevole.
 
Quando finalmente percepì la stretta di Bellamy, la bionda si sentì per un momento al sicuro, da cosa non sapeva dirlo, ma bastò per far sì che tutte le sue paure, i suoi dubbi e le angosce sparissero, almeno per quella sera, almeno per quel momento che avrebbe voluto fermare lì per sempre.
 
-
 
La mattinata passò più lentamente del solito, le piaceva starsene al Boston Children Hospital, il suo interesse cresceva ogni giorno di più e cercava di catturare con gli occhi qualsiasi gesto, qualsiasi azione che il personale medico compiva, non velava perdersi nulla.
Quel giorno però la distrazione regnava incontrastata nella sua mente, non prestò attenzione a ciò che i medici le spiegarono, né ai continui tentativi di Wells di portare avanti in modo esasperante qualsiasi tipo di conversazione.
Pensò per tutto il tempo a quello che l’avrebbe aspettata nel primo pomeriggio, era l’unica cosa che voleva fare starsene rintanata in un bar in compagnia di Jasper e Monty, sentire le loro storie, i loro commenti, avrebbe voluto chiedergli così tante cose.
Ma se chiudeva gli occhi riusciva a vedere dipinta nella sua mente anche la scena della notte scorsa, sentiva ancora il calore della pelle viva di Bellamy addosso ed un sooriso ebete le si stampava automaticamente in volto.
Si forzò più volte nell'arco della giornata per evitare che la sua mente ripercorresse quei momenti.
Odiava sentirsi coinvolta e quindi vulnerabile.

“Ci vediamo presto al grande evento!”
Le fece il suo compagno di tirocinio a fine turno quando la ragazza gli spiegò che doveva scappare perché aveva un impegno. Clarke non capì a cosa stava facendo riferimento ma decise di non farsi domande, non le importava adesso, voleva solo raggiungere il prima possibile i suoi migliori amici.
 
I due inseparabili ragazzi la aspettavano alla fermata dell’autobus che guarda caso si trovava di fronte ad uno Starbucks. Le erano mancati incredibilmente ed averli qui adesso, poterci parlare, poterci scherzare le sembrava quasi una visione onirica.
La sera prima per quanto fosse stata contentissima della sorpresa e del tempo trascorso insieme, la presenza, seppur saltuaria, dei fratelli Blake aveva impedito al trio di trovare l’atmosfera giusta per ricreare quell’intimità che da sempre aveva caratterizzato la loro amicizia.
Clarke li conosceva da sempre, aveva ancora ricordi sbiaditi legati alla prima infanzia, l’asilo e le elementari, i giochi, i segreti, le corse, si ritrovavano insieme il pomeriggio nei soggiorni delle loro case mentre le madri si stupivano di come potessero essere legati. Poi l’adolescenza, le prime cotte, i film al cinema, i concerti, il liceo, il ballo di fine anno al quale andarono tutti insieme dando da chiacchierare a tutto l’istituto.
La ragazza si era ritrovata a volte preoccupata altre affascinata dal rapporto che c’era tra O’ e Bell proprio perché lo capiva bene, Jas e Monty erano esattamente come due fratelli per lei.
Scendendo dall’autobus per poco non inciampò nei suoi stessi piedi, la fretta di raggiungerli prevaleva sul buonsenso che solitamente la contraddistingueva e per anni le aveva fatto ottenere l’etichetta della ragazza responsabile e con la testa sulle spalle.
I due risero a crepapelle di fronte alla scena, pronti poi a coinvolgerla in un caloroso abbraccio di gruppo.
Il tavolino che presero si trovava in un angolo del locale, vicino alla vetrina appannata per la differenza di temperatura tra dentro e fuori, Clarke osservava le figure sfocate che occupavano in modo disordinato la strada mentre si gustava il racconto dell’estate in campeggio dei due amici: Jasper era responsabile di donare gli aneddoti l’enfasi giusta mentre Monty interveniva per condire il tutto con precisi dettagli. Sarebbe stata capace di ascoltarli per ore.
“Adesso tocca a te però”
Le fece Monty quando ormai avevano esaurito il repertorio.
“Non saprei da dove iniziare a dire il vero! Cosa volete sapere?”
“C’è possibilità che Octavia si lasci con il suo ragazzo o qualunque cosa sia? Sarei disposto a trasferirmi seduta stante qui per una ragazza del genere.”
Fece Jasper con un tono fin troppo serio.
Monty e Clarke risero di gusto invece così il terzo non poté evitare di sbuffare sonoramente alzando gli occhi al cielo.
“Non lo so, è strano, ci sono dei momenti in cui sto davvero bene, altri in cui invece non riesco a capire se quello che sto facendo ha davvero senso. E poi mi mancate eppure siete l’unico appiglio a quello che mi sono lasciata alle spalle, del resto non sento minimamente il bisogno, anzi…”
I due le sorrisero silenziosamente, probabilmente si aspettavano che aggiungesse dell’altro.
“E’ stato buffo, in poco tempo ho conosciuto un po’ di persone e alcune di loro continuano comunque a riportarmi echi di quello che ho abbandonato a New York.”
Così cominciò a raccontare di Raven, di come aveva reagito, dello sfogo con Bellamy e di come si era pentita subito dopo di non essersi saputa controllare, non spiegò il motivo, decise di tenersi per sé quello che sapeva sul ragazzo, considerò il discorso troppo intimo e sensibile persino per loro… Poi raccontò dello strambo incontro con i Jaha e di come la incuriosiva ma allo stesso tempo di come aveva riportato a galla pensieri che riguardavano il padre, Thelonious aveva detto che con Abby e Jake erano amici stretti e questo l’aveva proiettata indietro nel tempo a quando il suo papà era ancora in vita, provocandole un dolore che forse solo grazie a quella chiacchierata stava imparando a riconoscere.
Il malessere degli ultimi giorni, in particolare lo scontro con Bellamy non riguardavano solo lui, era come se tutta la frustrazione, la rabbia e la malinconia che l’avevano placcata per tutto quel tempo fossero riemerse insieme.
“A proposito…” Monty la interruppe incerto.
“Sai, dobbiamo darti una cosa.”
Fece eco Jas’ tenendo lo sguardo fisso sulla sua tazza di frappucino.
Clarke li guardò incuriosita e un po’ preoccupata, mentre il moro dai lineamenti asiatici che le stava seduto di fronte cercava in una tasca interna del giaccone qualcosa.
Infine le parò di fronte agli occhi una busta sigillata, la carta giallina emanava un nauseante odore di vaniglia, sul fronte una calligrafia a lei familiare aveva tracciato in modo deciso e con una penna colorata il suo nome, era il tratto di sua madre.
La afferrò incerta, fissandola per un attimo, aveva paura ad immaginare cosa fosse, forse perché un’idea le strisciava nella mente e non voleva che essa venisse confermata.
Dovette però necessariamente girare la busta per scoprire il nome - temeva in realtà fossero due - del mittente.
Dall’altro lato i due amici la guardavano inquieti, dubbiosi su quale potesse essere la sua reazione.
Sul retro della busta due nomi imperavano Abigail & Marcus.
Clarke deglutì e le mani ormai sudate, nelle quali continuava a rigirarsi quella lettera che si avvicinava sempre di più ad un invito, le tremavano.
La aprì, la strappò in realtà con molto poco riguardo.
Ne uscirono fuori quattro biglietti del treno, due di andata verso New York ed altrettanti di ritorno per Boston.
Poi l’invito per il matrimonio di sua madre.
Mancava una settimana, esatta.
Un senso di nausea la avvolse mentre si lasciava andare impotente sulla sedia.

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Capitolo 8
*** VIII ***


Ho finito di scrivere il capitolo praticamente adesso, ho fatto una revisione svolazzante ma ci tenevo a rispettare la scadenza settimanale e mi son fatta prendere un po' dalla foga.
Tuttavia credo che anche questo sia un capitolo abbastanza introspettivo ed importante, qualcuno qui comincia a realizzare cose e qualcun altro invece è un po' troppo scombussolato per realizzare il tutto più di quanto non abbia in parte già fatto...
ovviamente non c'è bisogno di fare nomi e scoprirete il resto leggendo :)
Sperando che sia di vostro gradimento io mi congedo,
come al solito per qualsiasi cosa mi trovate qui d'altra parte sono sempre curiosissima dei vostri pareri quindi fatevi avanti!
Un bacio,
Chiara.



VIII
 
Continuava a fissare l’involucro cartaceo ormai malmesso ed il contenuto, era un invito prestampato, uguale quindi a quello che avevano ricevuto chissà quante altre persone, nessun riguardo speciale per lei, nessun commento in più, nessuna dannata spiegazione. Abby era una codarda pensò nella sua testa, non le aveva accennato nulla nemmeno al telefono, eppure si sentivano quasi tutte le sere, mandavano avanti conversazioni vuote più perché il protocollo prevedeva che una madre ed una figlia dovessero sentirsi, era buon senso, di comune uso.
“Pensavi che saresti sfuggita per sempre a New York e invece…”
Jasper tentò di sdrammatizzare mentre ricevette una gomitata dal compagno che aveva capito al volo dall’espressione eterea dell’amica che la sua reazione era tutt’altro che serena.
Clarke guardò l’orologio, erano nel bar da troppo tempo e cominciava a sentire l’aria consumata attorno a lei troppo stretta, aveva bisogno di uscire.
“Vi va di camminare fino a casa?”
Jas’ strabuzzò gli occhi “Con questo fred…”
Nuovamente Monty lo fermò e le rispose convinto “Certamente.”
 
Era quasi buio e i tre passeggiavano uno affianco all’altro in silenzio, i ragazzi aspettavano che la loro amica dicesse qualcosa, sapevano bene com’era fatta, non potevano pretendere di estorcerle nulla e far finta di niente era fuori discussione.
La ragazza però non riusciva a formulare pensieri lucidi in quel momento, le dispiaceva, sapeva perfettamente che i due non avrebbero detto nulla per non offenderla in alcun modo ma tutto ciò che le passava per la mente era confuso.
La verità è che non aveva mai perdonato sua madre per la morte del padre, l’aveva accettata così velocemente.
Jake era malato, gli era stato diagnosticato un cancro al fegato e lei non aveva fatto altro che assecondare la debolezza che pian piano aveva prevalso su di lui, nonostante la sua posizione in ospedale aveva deciso di appoggiare senza remore la volontà del marito di interrompere qualsiasi trattamento, di abbandonare tutto, persino loro, Abby non aveva lottato per amore ma si era semplicemente arresa.
Non biasimava il padre, era ovvio che non potesse pensare lucidamente, chi poteva reagire in modo oggettivo di fronte alla consapevolezza di una data di scadenza così vicina?
Abigail aveva smesso persino di andarlo a trovare in ospedale era come se volesse staccarsi da lui il prima possibile, ormai era fatta e non c’erano alternative. Clarke lo sapeva bene ma continuava ad incolparla perché forse se si fosse preoccupata anche solo la metà di quanto aveva fatto lei, avrebbero potuto passare anche solo qualche mese in più come una famiglia.
Invece non le restavano degli ultimi ricordi felici a cui aggrapparsi e per questo non poteva perdonarla. Di suo padre le restava solo tutto il peso di una sofferenza che nessuno era stato in grado di alleviare.
Quando poi lui era andato per sempre Abby ci aveva messo così poco a voltare pagina: una casa nuova, un nuovo compagno, un nuovo quartiere. Per quanto Clarke avesse provato a giustificarla, a trovare motivazioni plausibili che potessero dare un senso al suo modo di reagire, non riusciva a trovare nulla a cui dare adito per capirla e dunque il rancore aveva prevalso velocemente.

Arrivarono prima del previsto davanti al Bed & Breakfast in cui alloggiavano Monty e Jasper, forse l’aria gelata e limpida gli aveva fatto accelerare il passo più di quanto potessero immaginare. Si fermarono all’entrata per i saluti.
“Sicura che non vuoi compagnia fino a casa?”
disse Jasper preoccupato.
“No, va bene così.”
“Guarda che non è un peso per noi, è più vicino del previsto.”
Rincarò Monty.
“Davvero, grazie… ma ho bisogno di stare un po’ da sola e di fare mente locale”
Non era sicura che avesse davvero bisogno di stare sola, aveva paura in realtà che i ricordi riaffiorassero e che la facessero crollare ulteriormente ma d’altro canto sapeva che i due ragazzi non potevano aiutarla più di quanto non avessero già provato a fare e non voleva che quell’imbarazzante silenzio che li aveva accompagnati fin lì continuasse a gravare su di loro, si sentiva in colpa perché era lei a non avere il coraggio di spezzarlo.
“Vedi il lato positivo, ci vedremo prima del previsto.”
Clarke annuì poi schioccò un bacio sulla guancia ad ognuno di loro nel modo più convincente possibile, non voleva che i due potessero percepire le sue debolezze, non voleva che i due si preoccupassero per lei più del dovuto.
Gli voltò le spalle velocemente ritirando le mani fredde nelle tasche della giacca e continuò per la sua strada.
Era quasi arrivata a destinazione quando il cellulare cominciò a squillare incessantemente, rispose senza nemmeno guardare il disply, meccanicamente:
“Si?”
“Clarke, tesoro!”
Era lei, sua madre. Rimase impietrita. Jasper e Monty forse le avevano detto di aver portato a termine l’impresa che lei gli aveva cinicamente assegnato, erano stati davvero veloci.
“Ciao.”
Rispose secca, cercando di scansare tutte le emozioni che in quel momento l’assalivano.
“Tutto bene?”
Con che coraggio lo chiedeva?
“Mh-mh.”
Mormorò in assenso, non riusciva a dirle sì, non riusciva a mentire così spudoratamente.
“Non sai come sono contenta di sentirti! Jas e Monty mi hanno detto che vi siete visti…”
“Già… congratulazioni.”
Disse poco convinta. Non aveva la forza di gettarle addosso i suoi pensieri.
“Hai visto i biglietti? Ne ho preso uno in più sia per l’andata che per il ritorno così puoi portare qualcuno, magari un amico.”
Forzò l’accento sulla “o”, conosceva Abby dopotutto era sua madre, perfezionista e calcolatrice sino a risultare maniacale. Era chiaro che volesse che sua figlia fosse accompagnata da un ragazzo, la forma, ancora una volta, voleva che fosse così, era cresciuta e quindi la prassi prevedeva che dovesse mostrare a tutti i suoi conoscenti quanto anche la sua figlioletta avesse una vita perfetta e felice.
“Non saprei a chi chiedere ma’, non è che in poco più di un mese ho fatto poi chissà quante amicizie, cioè non sono amicizie che potrei considerare così profonde.”
“Dai! Sai quanto sarebbero felici le zie di vederti con qualcuno diverso da i tuoi cari Monty e Jasper?”
Stava oltrepassando il limite, possibile che fosse così attaccata all’apparenza?
“Comunque ti ho messo dei soldi sul conto bancario, così puoi comprarti qualcosa, chiaramente sono comprese le spese anche per il tuo ipotetico cavaliere.”
Vedendo che la ragazza non diceva ancora nulla, Abby continuò con le informazioni
“Dopo il ricevimento potete stare a casa, i posti letto ci sono, abbiamo finito di ristrutturare anche la stanza degli ospiti, io e Marcus partiamo per la luna di miele subito dopo la festa. I biglietti di ritorno sono aperti e puoi fermarti a New York quanto vuoi, ho pensato che magari volevi salutare qualcuno!”
Parlava di lei dei suoi piani, di quello che pensava fosse giusto e non le aveva lasciato il minimo spazio, non le aveva chiesto nulla sul tirocinio, sulla casa, sulla sua nuova vita, sentì una fitta allo stomaco.
“Devo proprio andare adesso, ma gr…” tossì e ci riprovò “grazie per esserti preoccupata di tutto.”
Ed attaccò, senza voler ascoltare la risposta.
-
 
Quando Clarke rientrò lui e O’ se ne stavano accucciati sul divano a chiacchierare mentre sorseggiavano una tazza di tè.
“Hei”
Disse per salutarla.
Lei però non si girò nemmeno, fece un cenno con la mano mentre saliva le scale annunciando a gran voce e con una freddezza inquietante
“Vado a farmi una doccia, vi serve il bagno?”
Prontamente rispose Octavia dicendole che non c’era alcun problema mentre Bellamy cercava di capire cosa potesse esserle accaduto, non era solita reagire così, nemmeno quando i loro rapporti erano ancora strani e poco cordiali era stata così aspra, anzi aveva ammirato la correttezza di Clarke fin da subito, la sua discrezione, adesso invece sembrava un fascio di nervi, noncurante e annebbiata da chissà quale brutto pensiero, Bell si preoccupò, rabbuiandosi.
Quando sentirono la porta del bagno sbattere e poco dopo l’acqua scorrere in lontananza, O’ prese la parola:
“Dovresti parlarle.”
“Scusa cosa vuoi che le dica? Ha la sua vita, i suoi problemi, come ognuno di noi. Se vorrà farlo sa dove trovarci.”
“Sei davvero patetico.”
Bell la guardò smarrito.
“Dio, quando smetterai di mentire di fronte all’evidenza?”
“Non riesco a seguirti.”
“Appunto.” Poi la sorella gli prese il viso tra le mani per assicurarsi che i suoi occhi non sfuggissero il suo sguardo.
“Lei ti piace.”
Cosa stava dicendo? Non aveva senso, Octavia doveva essere impazzita pensò. Ma non rispose, non la contraddisse, non parlò perché non sapeva cosa dirle, non riusciva ad ammetterlo apertamente che lei si stava sbagliando e improvvisamente non era nemmeno più tanto sicuro di quale fosse la realtà dei fatti.
“Fai come ti pare.”  
Disse lei con un tono di rimprovero e vedendo che lui non rispondeva “Se ti sta bene così, se non riesci nemmeno a dirlo a te stesso e ti senti in pace, amen. Io però non me la bevo Bell, sei sangue del mio sangue, ti conosco troppo bene, spero che troverai il coraggio di essere felice un giorno.”
Poi si alzò, lasciandolo lì solo con i suoi pensieri più confusi che mai.
Octavia non aveva fatto una delle sue solite scenate cariche di emotività e di avversione nei suoi confronti, il suo tono era invece piuttosto afflitto e allo stesso tempo impassibile, come se fosse davvero preoccupata per lui e per quello che sentiva. Dal suo canto Bellamy non sapeva bene dove sbattere la testa, sentiva qualcosa nei confronti di Clarke? Non sapeva dirlo.
D’un tratto però il suo stomaco si attorcigliò mentre ripensò alla sera precedente, quando l’aveva stretta tra le sue braccia un senso di serenità si era fatto strada in lui, un calore nel petto lo aveva fatto sentire più vivo che mai e il profumo di lei lo aveva inebriato, lasciandolo lì incapace di reagire, aggrappato al suo corpo come se fosse l’unica cosa possibile, l'unica cosa che potesse desiderare. Staccandosi da quell’abbraccio lei gli aveva rivolto un sorriso timido e sincero, poi senza dire nulla era rientrata, lasciandolo lì ancora per un po’ piacevolmente stordito.
Forse sua sorella ci aveva visto lungo, eppure perché non riusciva ad ammetterlo a se stesso? Nonostante provasse qualcosa, le emozioni gli apparivano indecifrabili, non riusciva a pensare lucidamente e a darsi delle risposte. Scosse la testa e decise di mettersi ai fornelli, da quando era piccolo sapeva che il miglior modo per evitare di farsi affliggere dai propri pensieri era tenersi occupato, era diventata una questione di sopravvivenza, quando pensava di scoppiare, di non reggere il peso di tutto ciò che gli passava per la testa cominciava a darsi da fare, andava bene qualsiasi cosa.
Mentre si adoperava per condire il pollo, il viso tirato e stanco di Clarke che poco prima aveva fatto capolino all’ingresso gli riaffiorò in mente.
Non stava funzionando.
Voleva capire cosa le fosse successo, sapeva che avrebbe passato il pomeriggio con i suoi amici e non riusciva a spiegarsi come questo avesse potuto turbarla, si scoprì a pensare che se anche solo uno dei due avesse provato a ferirla gliel’avrebbe fatta pagare, non importava chi o cosa fosse a renderla così passiva e poco reattiva, lui non lo avrebbe permesso, vederla in quel modo lo feriva dentro, soprattutto perché il giorno prima aveva potuto osservare nei suoi occhi blu una luce nuova e gioiosa che sembrava essere contagiosa.
 
-
 
Scese per la cena alle otto in punto, i capelli biondi ancora leggermente umidi le si erano gonfiati e boccoli più mossi del solito le ricadevano dolcemente sulle spalle, il viso era quello che era invece, cercò di dipingere sul suo volto un’espressione il più neutra possibile ma ebbe risultati scarsi.
In quel momento avrebbe preferito che i tre non avessero mai ripreso a mangiare tutti insieme, le risultava davvero difficile nascondere la sua amarezza, era in momenti come questo che avrebbe voluto vivere sola o quantomeno non con due ragazzi che fino ad un mese e qualche settimana prima erano semplici estranei.
 
“Che profumino!” Esordì O’ che si faceva strada verso Bellamy, in una frazione la sua testa fece capolino sulla spalla del fratello per sbirciare la padella. Lui le passò una mano tra i capelli scuri ridacchiando e bisbigliandole qualcosa che Clarke dal tavolo non riusciva a decifrare. La più giovane Blake prese posto allora vicino alla bionda
“Jas’ e Monty sembrano fantastici, restano un altro po’? Sarebbe bello magari passare un pomeriggio insieme!”
“Purtroppo ripartono domani in mattinata.”
Disse lei fredda e concisa.
“Oh… capisco.”
Octavia sembrava perplessa, forse si aspettava una risposta più consistente e la giovane Griffin incapace di sopportare quella strana delusione che percepiva nel tono dell’altra, si corresse.
“Voglio dire sicuramente ci saranno altre occasioni, sono pur sempre i miei unici e migliori amici, sono certa che avremo modo di vederci presto, ci organizzeremo.”
E cacciò un sospiro, sapendo che quantomeno lei li avrebbe rivisti di lì ad una settimana, sarebbe stata felicissima se solo pensare a quell’evento non le avesse dato il voltastomaco.
“Non sono i tuoi unici amici Clarke.” Le disse O’ sfoggiando un sorriso d’incoraggiamento. Nel frattempo Bell arrivò a tavola con la padella piena e i tre cominciarono a mangiare.
Il silenzio pendeva in bilico sulla tavola, un po’ perché effettivamente Bellamy si era dato da fare ed il pollo era squisito, un po’ perché entrambi i fratelli non volevano turbare più di quanto non si potesse già notare la coinquilina.
Nuovamente fu Octavia ad azzardare
“A che ora stacchi stasera?”
Disse rivolgendosi al fratello che le rispose solo dopo aver trangugiato d’un fiato un bicchiere d’acqua
“Stasera non sono di turno in realtà.”
“Ah…” Fece lei, agitandosi leggermente.
Clarke la osservò era davvero ostinata se pensava che avrebbe potuto nascondere quella sottospecie di relazione clandestina al fratello ancora per molto, il ragazzo infatti stranito dal suo atteggiamento la interrogò
“Perché, hai bisogno di qualcosa?”
Lei fissò il suo piatto quasi vuoto tardando a trovare una risposta perlomeno convincente.
“E’ per via di quella festa di compleanno della tua amica, non è vero? Quella di cui mi parlavi l’altro giorno… com’è che si chiamava? Un nome esotico forse, proprio non riesco a ricordare…”
Clarke tentò di salvare la situazione, in un certo senso O’ le faceva tenerezza e le ricordava una piccola Griffin alle prese con una madre decisamente troppo apprensiva.
“Emori, si chiama così.”
“Ah già giusto, sono davvero una frana a ricordare i nomi, soprattutto se sono così particolari…”
Bellamy alzò un sopracciglio ma non disse nulla.
“Ti avrei chiesto se potevi passarmi a prendere quando staccavi… ma se non vai magari, se per te non è troppo problematico, posso fermarmi da lei.”
“Scusa e chi sarebbe questa Emori?”
“Una compagna di corso.”
“Posso venirti a prendere anche se non lavoro.”
“Non ce n’è bisogno Bell davvero, riposati anzi.”
Clarke gli rivolse un’occhiata severa che colpì ed affondò per così dire il moro che sospirando acconsentì.
“Devi mandarmi un messaggio prima di addormentarti, fammi solo sapere se è tutto okay e domani mattina chiama quando ti svegli.”
La ragazza sorrise radiosa e strizzò velocemente l’occhio girandosi verso la bionda. Poi si alzò e stampò un bacio sulla fronte al maggiore
“Grazie fratellone.”

Clarke a sua volta cominciò a sparecchiare senza proferire parola, fu Bellamy a decidere di infrangere la quiete
“Non c’è nessuna festa vero?”
Lei scrollò le spalle e lui sbuffò.
“Cerca di mantenere la calma, è adulta e, furba com’è, se la sa cavare egregiamente”
Lui annuì nonostante il suo volto celasse un’ombra di scetticismo mista a preoccupazione.
Un silenzio pesante si impossessò nuovamente dell’angolo cottura mentre i due finivano di sgomberare la tavola e di pulire.
 
“Allora io esco!”
Octavia da lontano li salutò senza dare loro la possibilità di ricambiarla. Clarke si stava asciugando le mani ancora umide per aver lavato i piatti e sbadigliò, sentì la spossatezza prendere ogni muscolo del suo corpo, non si era fermata un attimo e la giornata non era stata tra le migliori che ricordasse. Si sentiva vuota e confusa allo stesso tempo, tanto da rendersi conto in ritardo che Bell se ne stava appoggiato al tavolo e la fissava insistentemente.
“Tutto okay?”
Fece lei quando finalmente incrociò gli occhi scuri di lui.
“Io si, Octavia a parte.”
Clarke tentò di abbozzare un sorriso e provò a congedarsi.
“Sono davvero stanca credo che andrò a stendermi un po’.”
Così dicendo lo superò dirigendosi verso le scale.
 
-
 
Ci mise una frazione di secondo a capire che non poteva più sopportare il  non riuscire trovare risposte ai suoi interrogativi riguardo Clarke, non era in grado di darsi pace, quell’ombra scura sul suo volto lo stava mandando in paranoia, tentò di raggiungerla, aveva cominciato a salire pochi scalini.
“Aspetta.”
Lei si fermò senza voltarsi.
“Beviamo qualcosa? Credo che possa farti bene.”
“Non credo di aver voglia di nulla di alcolico.”
“Non ho specificato cosa, infatti a me va bene anche una tazza di latte.”
Cercò d’incoraggiarla e metterla alle strette, non voleva che le sfuggisse.
“Mi trovi in cucina.” Aggiunse, allo stesso tempo non voleva essere insistente o pressarla in qualche modo, forse sperava che fosse mossa dalla voglia di passare semplicemente un po’ di tempo con lui e di certo non voleva obbligarla a farlo.
Senza indugio le voltò le spalle e ritornò in cucina, se fosse stato ancora un bambino speranzoso e gioioso come qualche ricordo logoro dimostrava, le dita delle sue mani nelle tasche dei jeans sarebbero state incrociate nella speranza che Clarke accettasse il suo invito forse un po’ troppo maldestro ed azzardato.
 
-
 
Il suo senso di stanchezza non era finzione, si sentiva davvero sfinita e almeno fino a quel momento il suo unico desiderio era stato sprofondare nel materasso e non riemergere più quanto meno sino al giorno seguente.
Poi però Bell aveva avanzato una richiesta e lei si sentì allettata e attratta da quella proposta come una dannatissima calamita, ricordò per una frazione di secondo il momento in cui la sera prima, tra le sue braccia possenti e avvolgenti si era sentita forte e capace di poter affrontare qualsiasi cosa. Tutta quella sicurezza l’aveva abbandonata in meno di ventiquattro ore, era bastato uno semplice invito su carta profumata, di nuovo odiava sentirsi così suscettibile, così debole, inerme quasi.
 
Più di una volta lei e Bellamy insieme erano riusciti a darsi la forza necessaria per tirarsi su, per reagire, era come se la presenza dell’uno fosse in grado di rinvigorire l’altro, insieme avrebbero potuto affrontare anche una battaglia probabilmente senza restarne scalfiti, impassibili e senza alcuna paura. Una forza della natura ecco cos’erano insieme.
 
Fece retrofront, incapace di raggiungere il tanto agognato letto quanto di reprimere quell’impulso che la portava dritta tra le grinfie del maggiore dei Blake.
Lo trovò intento ad armeggiare con un pentolino di latte e cacao in polvere come se in cuor suo fosse stato certo che la ragazza lo avrebbe raggiunto senza alcuna remora o ripensamento e fu in quel momento mentre lui era ancora di spalle che sorrise sperando che lui avvertendo la sua presenza avrebbe fatto lo stesso.
 
“Vuoi parlarne?”
Chiese lui mentre con estremo riguardo posava sul tavolo due tazze fumanti.
Clarke se ne stava seduta con le gambe incrociate e tentava con risultati poco soddisfacenti di non ricambiare lo sguardo intenso e scuro di Bellamy.
“Non giudicarmi.”
Lui si fece serio e annuì prontamente.
Poi la bionda si spostò leggermente, quel tanto che le permetteva di recuperare l’invito ormai quasi stracciato che qualche ora prima aveva e glielo porse. Nel prenderlo Bell sfiorò la sua pelle chiara come la luna che quella sera imperava nel cielo scuro, provocandole un piacevole brivido.
Ci mise poco a decifrare il contenuto.
“Lui chi è?”
“Un collega di mio padre.”
Il giovane moro serrò le labbra poi tentò di capirci di più
“E tuo padre…”
“Morto. Un tumore.”
Strinse un pugno nervoso sul tavolo, ora finalmente capiva, d’un tratto quell’espressione sofferente che aveva sin da subito notato come carattere distintivo della giovane Griffin acquistò ai suoi occhi un senso, orribile e tragico.
“Io… scusami.”
Lei scosse la testa e cercò di apparire il meno turbata possibile.
“Non devi, non fa niente.”
“No invece. Stai uno schifo e vorrei aiutarti davvero. Vederti così toglie il fiato.”
E si morse il labbro per aver parlato senza nemmeno pensarci due volte, per essersi esposto forse un po’ troppo.
Clarke alzò lo sguardo e i suoi occhi blu come  l’oceano si riempirono di gratitudine per quelle semplici parole che poche persone erano state in grado di riservarle nell’ultimo periodo, Bell lo sostenne, non poteva farne a meno, quegli occhi lo facevano sentire diverso.
“Forse c’è qualcosa che potresti fare.”
Anche le sue parole affiorarono sulle sue labbra rosee e screpolate per il freddo prima che potesse realizzare cosa stesse per dire. Ora di certo non poteva tirarsi indietro.
“Mia madre mi ha mandato due biglietti, vuole che porti qualcuno con me.” Enfatizzò sul maschile proprio come aveva fatto lei al telefono.
“Magari se non hai nulla di meglio da fare… pensavo che potresti venire con me ad un noiosissimo matrimonio.”
E finalmente respirò dopo aver pronunciato l’ultima frase senza prendere fiato.
Il volto di Bellamy s’illuminò e acconsentì con enfasi prima che potesse rassicurarla a parole, ci sarebbe stato per la principessa se questo era davvero quello di cui aveva bisogno.

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Capitolo 9
*** IX ***


Eccoci di nuovo qui,
vi racconto subito e brevemente cosa è accaduto nella mia testolina un po' malata: questo capitolo sarà notevolmente più lungo degli altri caricati fino ad adesso, i motivi sono disparati ed in realtà non sono ancora del tutto chiari nemmeno a me.
Di base non volevo lasciare in sospeso alcune questioni, alcuni rapporti che prescindono dal puro Bellarke ma allo stesso tempo non volevo rallentare e spezzare ulteriormente la narrazione perciò vi ritroverete il capitolo qui sotto diviso in due parti (che sono entrambe comprese di seguito)...

E poi nulla, tutto qui, lo so che sono più mie personalissime paranoie che altro ma se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, leggervi è sempre un immenso piacere. 

Ed ora mettetevi comodi, io intanto vi abbraccio e vi auguro una buona lettura
con grande affetto,
Chiara.



IX
 
*
 
(Parte 1)
 
 
 
 
Quella mattina O’ era piombata in casa prima di quanto si aspettasse, aveva aperto la porta di soppiatto, forse pensava che lui stesse ancora dormendo, quanto a Clarke era uscita presto per continuare il tirocinio.
La sera precedente dopo che lui aveva accettato l’invito al matrimonio erano riusciti a cambiare magicamente discorso e la ragazza finalmente gli era sembrata più rilassata, la lasciò andare solo quando fu certo che i pensieri negativi si fossero allontanati quanto bastava dalla sua mente.
Non si erano messi d’accordo su molto in realtà, si sarebbe dovuto procurare un vestito adeguato e avrebbe dovuto fare un regalo alla madre di Clarke pur non avendola mai vista, si usava così, non voleva arrivare a mani vuote anche se non era di certo molto esperto di quelle grandi e così normali occasioni.
Clarke in realtà gli aveva accennato che avrebbe potuto coprire lei le spese per vestiti e quant’altro, la madre le aveva inviato dei soldi appositamente ma Bellamy non ne voleva approfittare.
“Già in piedi?”
Squillò Octavia con una voce gioiosa.
Lui annuì precisando
“Non sono riuscito a riaddormentarmi.”
La piccola Blake lo osservò per bene, intuì che il suo Bell avesse la testa tra le nuvole, stava pensando a qualcosa di preciso, si chiese se la schietta chiacchierata del giorno precedente non avesse sortito i suoi effetti. Nel frattempo si versò un po’ di caffè in una tazza e lo raggiunse quasi saltellando.
“Allora… cos’è che ti turba?”
Gli lanciò uno sguardo quasi malizioso
“Non è come pensi.”
Disse lui rivolgendo gli occhi al cielo, tutta quella pressione che O’ in un certo senso gli riversava contro lo metteva visibilmente a disagio.
“Non ho insinuato nulla infatti.”
Disse lei sulla difensiva.
“In realtà…”
S’interruppe, non era molto convinto di come aveva formulato la frase, sembrava che stesse quasi assecondando la follia di Octavia, ormai però ci stava dentro con tutte le scarpe e si vide costretto a continuare
“Diciamo che Clarke mi ha invitato al matrimonio di sua madre.”
La ragazza spalancò gli occhi chiarissimi e poi con aria sognante cinguettò
“Oh... Adoro i matrimoni!”
“Credo che tu sia fuori strada, la principessa non la pensa così a quanto pare anzi… era piuttosto seccata.”
Minimizzò, Clarke era decisamente molto più che seccata, era distrutta ma decise che non voleva fornirle dettagli particolari, si fidava di sua sorella ma non lo fece per rispetto nei confronti della biondissima Griffin.
“E’ per quello che ieri sera sembrava così agitata?”
“Esatto.”
“In ogni caso è la tua occasione.”
Di nuovo Bellamy ebbe l’impressione che O’ gli stesse dicendo qualcosa tra le righe ma cercò di ignorarla e di coinvolgerla per qualcosa di molto più urgente rispetto all’analisi dei suoi stupidi sentimenti confusi.
“Devo comprarmi un abito adatto, non ricordo nemmeno l’ultima volta che sono stato ad una cerimonia onestamente.”
Gli occhi della sorella s’illuminarono.
“Stai chiedendo consulenza alla persona adatta”
Rispose lei fiera e divertita al tempo stesso.
“Hai da fare?”
“Adesso?”
Annuì.
“No, ho lezione di pomeriggio, quindi se vuoi posso accompagnarti se pensavi di muoverti subito.”
“Già, mancano solo sei giorni.”
“Wow, non perde tempo la mamma di Clarke eh! Dammi il tempo di cambiarmi e sono da te.”
 
Come previsto Octavia scese dopo una quarantina di minuti tanto che Bell aveva avuto il tempo di andare a piedi alla banca più vicina per prelevare qualche contante.
“Ce l’hai fatta!”
“Sta’ zitto e andiamo, non sai cosa ti aspetta.”
“Comincio a chiedermi se sia stata una buona idea.”
Salirono in macchina e mentre Bell stava mettendo in moto guardò la sorella chiedendole
“Ma dove andiamo?”
“Al centro commerciale idiota. C’è un negozio italiano che ha dei vestiti di manifattura incredibili e troveremo anche un negozio di scarpe, così facciamo tutto insieme, no?”
“Ma ci metteremo una vita per arrivare!”
“Perché avevi impegni?”
Sbuffò arrendevole.
Stettero un po’ senza parlare, l’aria della macchina pian piano si scaldava, liberando un tepore confortevole, O’ guardava fuori il finestrino che si appannava sempre di più, mentre Bell cercava di mantenere la concentrazione nonostante i suoi pensieri volassero altrove.
“Insomma come te la passi?”
Il più grande dei Blake ruppe quella strana quiete
“Bene ma che diavolo di domanda è?”
“Scusa se mi preoccupo per te, è da un bel po’ che io e te non parliamo di noi, di quello che passiamo, ti ricordi? Lo facevamo spesso un tempo.”
“Ieri ci ho provato, sai?”
“Andiamo… parlare di me è sopravvalutato.”
“Quando ti pare Bell…”
O’ non era stizzita, lo stava semplicemente prendendo in giro. Il loro rapporto era così, altalenante, erano in grado di scherzare, sostenersi, incazzarsi e poi tornare ad amarsi  incondizionatamente nell’arco anche di una sola giornata. In realtà sapevano portarsi anche rancore per molto tempo ma dentro, erano consci che ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altra. In particolare Bellamy sentiva il bisogno spesso di capire fino in fondo la piccola O’, doveva proteggerla, era una sua responsabilità, dopo tutto si era fatto una promessa e lui non era il tipo da infrangere un giuramento tanto facilmente.
“Suvvia, qualcosa da raccontare ce l’avrai.” 
Lei lo guardò di traverso
“Avanti, chiedimelo, so perfettamente dove vuoi arrivare.”
Bell tossì, avrebbe voluto evitare per una volta di fare la parte del fratello maggiore geloso e bacchettone ma si fece avanti.
“Ti frequenti con il ragazzo di quella mattina?”
“Già proprio così, che perspicacia! E’ una brava persona, so che ti riesce difficile fidarti ma provaci, a volte mi ricorda te per quanto è apprensivo nei miei confronti… avete più punti in comune di quanto tu possa immaginare.”
Bellamy annuì, senza riuscire bene a capire in che modo doveva interpretare quello che la sorellina le aveva detto.

-
 
Mentre era in pausa pranzo le squillò il telefono, era Raven e Clarke si ritrovò in un attimo in preda al panico per una stupida chiamata, odiava non sapere come doversi rapportare ad una persona e gli sbalzi d’umore della ragazza l’avevano decisamente confusa.
“Pronto?”
“Ciao Clarke, disturbo?”
“No figurati, sono in pausa.”
“Immaginavo, Bell mi aveva detto del tuo tirocinio qualche tempo fa.”
Non credeva che Bell e Raven fossero così amici da sentirsi al telefono e aggiornarsi sulla loro quotidianità.
“Comunque la macchina è pronta, riusciresti a passare nel pomeriggio?”
“Credo di sì, devo organizzarmi, ti mando un messaggio per la conferma.”
Avrebbe dovuto chiedere a Bellamy ma non era entusiasta le sembrava di avergli chiesto un po’ troppi favori e quello del matrimonio aveva superato parecchi limiti che si sarebbe invece voluta imporre, era uscito fuori così, stentava ancora a credere che il ragazzo avesse accettato e si sentiva persino un po’ imbarazzata dalla sua reazione, agli occhi di tutti sarebbero sembrati una sorta di coppia e lei non era proprio in grado di sostenere quegli sguardi curiosi di parenti ed amici di famiglia che probabilmente non vedeva da quando aveva ancora troppi pochi anni per ricordare dettagli.
“Tutto bene al telefono? Sembri davvero su un altro pianeta!”
Wells la riportò alla sua insalata mista, il ragazzo si stava letteralmente spolverando un hot-dog, si era persino macchiato il colletto della polo con della senape fuoriuscita dal panino.
“Stavo solo riflettendo, devo andare a recuperare la mia macchina dal meccanico, forse la conosci, ti dice qualcosa Raven Reyes?”
“Si… di nome, andavamo nello stesso liceo ma non ci frequentavamo. Comunque se mi dici dov’è posso darti un passaggio io dopo, appena stacchiamo.”
“No Wells, davvero non devi disturbarti ancora, magari puoi darmi una mano a vedere se c’è qualche autobus o una stazione metro che ci arriva.”
“Ma dai! Clarke non ho molto da fare e passare un po’ di tempo con te mi fa solo piacere, rievocare qualche ricordo infantile mi ci vorrebbe proprio.”
La bionda dopo qualche altro tentativo dovette arrendersi e così un paio d’ore dopo i due si ritrovarono ancora insieme diretti verso l’officina.
Fu un viaggio piacevole, sicuramente fu meglio che prendere i mezzi o gravare ancora su Bellamy, Wells aveva questo vizio di parlare come una macchinetta inarrestabile e così Clarke non dovevette sforzarsi troppo dato che il ragazzo spesso non le lasciò nemmeno il tempo per rispondere. La ragazza era concentrata a ricordare la strada perciò non prestò così tanta attenzione al fiume in piena di parole che uscivano dalla bocca del collega eppure le faceva piacere, era diverso dal parlare con Monty e Jasper con i quali aveva una confidenza tale da poter toccare quasi qualsiasi argomento e d’altra parte era molto diverso anche rispetto al dialogo che si era instaurato tra lei ed il maggiore dei Blake a volte davvero troppo profondo... Con Bellamy Clarke non poteva mai abbassare la guardia perché quel ragazzo sembrava capace di poter entrare nella sua mente con un solo sguardo e a volte si sentiva esageratamente vulnerabile, Wells era totalmente diverso, la sua spensieratezza era una pausa perfetta in quel momento.
Per un secondo quando si trovarono davanti l’officina, la bionda fu quasi dispiaciuta di dover lasciare il tepore della macchina e delle chiacchiere leggere di Wells.
Lo ringraziò esageratamente mentre l’altro continuava a ribadire che lo aveva fatto solo per puro piacere, poi si allontanò.
Trovò Raven letteralmente sotto un’auto intenta a trafficare con chiavi inglesi e altri attrezzi a cui Clarke non sapeva dare un nome.
Si schiarì la voce e bastò solo quello a far sì che la ragazza spuntasse fuori e la salutasse.
“Scusa se ti ho disturbato.”
“Oh no, ho finito per oggi, questa…” fece indicando la macchina che effettivamente sembrava un vero e proprio catorcio “è una sfida personale, un allenamento se vogliamo definirlo in qualche modo.”
Clarke sorrise intenerita dallo strambo carattere della ragazza che in un certo senso le sembrava distante ma allo stesso tempo vicinissimo al suo.
“Vieni ti faccio vedere com’è andata con la tua.”
Quando la biondina vi si trovò davanti non poté fare a meno di sospirare un “Wow” non solo era nuovamente ‘sana’ ma sembrava appena uscita da un concessionario.
“Te l’avevo detto che l’avrei rimessa a nuovo.”
“Complimenti Rav’.”
Si mise istintivamente le mani sulle labbra dopo averla appellata con un nomignolo che forse non avrebbe potuto ancora usare, dopotutto tra le due c’era tutt’altro che confidenza, eppure Clarke sentiva che di essere legata a quella moretta tutto pepe.
Questa volta fu lei a fare dunque un primo passo.
“Hai detto che hai finito per oggi, no?”
“Si, ci sono gli altri ragazzi che pensano alla chiusura.”
Si voltò indicando due sagome che ancora trafficavano tra gomme e bulloni.
“Io dovrei fare un giro per negozi, devo comprare un abito da cerimonia ma non ho la più pallida idea di dove andare… Pensavo che magari potrebbe farti piacere farmi da Cicerone.”
L’altra la guardò un po’ di sbieco
“Mi stai chiedendo di uscire con te?”
Forse aveva esagerato.
Si ritrovò ad annuire nervosamente.
“E’ una vita che non vado per negozi. Non è un’idea malvagia alla fine. Vediamoci tra mezz’ora sotto casa di Bell… ehm  tua. Mi sciacquo al volo e mi metto dei vestiti decenti.”
“Va bene, allora a dopo!”
 
 
Raven arrivò con una precisione incredibile, Clarke stava ancora cercando le sue Puma verdi nel caos della camera, da quando era impegnata nel tirocinio, l’ordine nella stanza era calato vertiginosamente.
“Arrivo!” Grido sporgendosi dalla finestra.
Quando finalmente pronta spalancò la porta d’ingresso si ritrovò davanti Octavia sottobraccio a Bellamy e Raven che chiacchierava amabilmente con i fratelli Blake.
Non era stupita di vederli lì, il ragazzo l’aveva avvertita la mattina con un messaggio, non voleva assolutamente gravare economicamente anche per l’acquisto dei vestiti, aveva detto che gli risultava difficile anche accettare i biglietti del treno dato che costavano un occhio.
Tuttavia si sentì ancora una volta un’estranea mentre i tre descrivevano ricordi e situazioni che lei non poteva conoscere.
“Finalmente ce l’hai fatta Griffin.”
Le disse Raven.
“Principessa.”
L’appellò Bell a mo’ di saluto mentre O’ le mandava un bacio con la mano.
“Hai riportato la macchina a Clarke?”
Chiese il ragazzo alla mora.
“Veramente è venuta a prendersela da sola. Stiamo andando a fare un giro, in realtà.”
Disse con tranquillità mentre la reazione di Bellamy più che sorpresa sembrava piuttosto agitata, deglutì mentre annuiva silenziosamente.
“Insomma vogliamo andare?”
“Certo.”
Così Clarke superò velocemente i fratelli Blake e si fece guidare da Raven alla sua macchina.
“Dove andiamo?”
Disse lei una volta a bordo.
“Il tuo budget?”
“Non troppo limitato devo ammettere.”
“Allora il centro città è il posto adatto.”
Raven sfrecciò per le strade di Boston mentre la bionda si teneva stretta alla maniglia dello sportello, quella ragazza non doveva avere alcuna paura di schiantarsi da qualche parte, a fine percorso Clarke si ritrovò con la bocca secca e un numero non enunciabile di effrazioni che nella sua mente precisa aveva provato a contare.
“Ti va un caffè?”
“Perché no!” rispose la ‘pilota provetta’
“Stavolta offro io.”
“D’accordo.”
Si diressero verso il bar silenziosamente, mentre la bionda seguiva l’altra guardandosi attentamente intorno, non era ancora mai stata in centro.
Si sedettero in una sala del locale molto luminosa, una di fronte all’altra, era la prima volta che Clarke poteva finalmente fermarsi a studiare e analizzare il viso della mora. I suoi occhi erano scurissimi e luminosi al tempo stesso, i capelli castani se ne stavano raccolti in una treccia disordinata, e le labbra carnose avevano un colorito rosso e possente. Era una ragazza meravigliosa, si ritrovò a pensare e non poté fare a meno di riflettere sul fatto che almeno a livello estetico le due erano distanti anni luce, si chiese come Finn avesse potuto innamorarsi così in fretta di lei quando l’alternativa era Raven Reyes.
“Dio Griffin, ho qualcosa che non va? Mi fissi da un minuto buono, sto cominciando a preoccuparmi.”
“No scusa, ero sovrappensiero.”
“Mhh, a che pensavi?”
Si morse un labbro, avrebbe voluto dirglielo in realtà sarebbe stata una tale liberazione ma non poteva prevedere come avrebbe reagito, cercò di prendere il discorso alla leggera.
“Ti osservavo si, stavo notando quanto siamo diverse.”
L’altra scoppiò in un risolino nervoso.
“Credo che potremmo avere più cose in comune di quanto credi, soprattutto, se ci rifletti bene io e te non ci saremmo mai incontrate se non avessimo avuto qualcuno in comune, non trovi?”
Lo disse con una tranquillità e un’ironia leggera che la stupirono profondamente, non sapeva bene come rispondere e si ritrovò nuovamente ad annuire.
“Non preoccuparti, sono contenta in un certo senso di aver avuto la possibilità di rivederti, è come se mi avessi aiutato a superare definitivamente la cosa. Pensavo che prima o poi sarei scoppiata ma vedendoti ho capito che non ero l’unica a stare così.”
“Già.”
Si ritrovò a sussurrare a mezza bocca, capiva perfettamente quello che la ragazza stava tentando di spiegarle.
“Ho capito che non eri tu la causa del declino del mio rapporto con lui, scusa se ti affibbio questa definizione ma credo che tu sia stata solo una mera conseguenza.”
Ed era così.
Lo aveva realizzato nei giorni seguenti la stessa Clarke, aveva capito quanto i sentimenti di Finn fossero falsati e poco veritieri, come aveva potuto fare una cosa simile? Ancora non riusciva a spiegarselo ma in quel momento si sentì felice di non doverci pensare più di quanto non fosse necessario, Collins le sembrava così lontano in quel momento, si era torturata abbastanza per quel coglione e probabilmente Raven aveva fatto la stessa identica cosa.
Pensò che alla fine doveva essere bello: ne erano uscite sostanzialmente illese insieme.
Si chiese persino se le due non potessero diventare davvero amiche, dopo tutto, Octavia a parte, era l’unica ragazza con cui si era trovata ad avere contatti lì a Boston, la prima a cui aveva chiesto di accompagnarla a fare shopping, un qualcosa di veramente lontano dall’immaginario della giovane Griffin.
 
Rientrò dopo cena, teneva strette in mano parecchie buste, Rav l’aveva aiutata a scegliere non solo il vestito di un rosso bordeaux intenso, semplice e strettissimo ma anche due decolleté nere con un tacco ed un plateau vertiginosi e poi una bellissima collana di perle ed una pochette nera che richiamava le eleganti calzature.
Non ricordava quanto fosse soddisfacente girare per negozi con una sottospecie di amica, era riuscita a tenere lontane l’ansia e l’inquietudine anche se tutto quello che aveva acquistato riguardava quel maledetto matrimonio.
Bellamy le corse incontro non appena varcò la soglia e rimase lì impalato quando la vide come se stesse aspettando una sua reazione.
“Ciao?”
Fece lei interdetta
“Tutto bene?”
rispose, con un tono di voce che Clarke gli aveva sentito usare solamente con O’.
“Si, non dovrebbe? Sembri davvero strano stasera.”
Lui sospirò. La verità è che il maggiore dei Blake aveva paura che quelle due legassero in fretta; Rav’ sapeva troppe cose sul suo conto, soprattutto costudiva il segreto di quella loro strana relazione e il ragazzo temeva profondamente che la mora avrebbe potuto dire qualcosa a Clarke, sapeva in realtà che non c’erano motivi per cui Reyes fiatasse al riguardo come in teoria non doveva esserci alcun motivo di preoccuparsi se Clarke avesse scoperto qualcosa eppure da quando le aveva viste insieme quel pomeriggio era ossessionato da quel pensiero tanto che non era riuscito nemmeno a mangiare.
Improvvisamente temeva il giudizio della bionda e se avesse frainteso?
 
*
 
(Parte 2)
 
Se ne stava rannicchiata per terra con il trolley aperto, un raggio di luce entrava di soppiatto nella stanza e si posava delicatamente sul parquet rendendolo quasi caldo, non sapeva dire bene quanto si sarebbero fermati, Clarke non voleva proprio pensarci a dire la verità, stava facendo il tutto con un’apatia di fondo, non voleva fare programmi tanto quanto non avrebbe voluto andare a quella cerimonia. Aveva riposto i vestiti nuovi  ancora con le etichette, aveva preso poi qualche maglione ed un paio di jeans e adesso cercava semplicemente di non pensare a un bel niente mentre la luce solare si infrangeva sulla sua pelle e le donava un lieve tepore che la intorpidiva.
Fece un respiro profondo e si decise a chiudere la valigia.
La sua mente era più attiva che mai non riusciva a non figurarsi diversi scenari, cercava di immaginare i volti degli invitati, dei parenti lontani, delle persone che non conosceva perché legate alla famiglia Kane, ci sarebbero stati anche i pochi familiari di suo padre?
Cercava di immaginare la disposizione dei tavoli e provava a tenere la mente occupata pensando a tutti questi dettagli insignificanti, aveva paura che la sua mente la portasse ad immaginarsi come la sua vita sarebbe cambiata, come quella di sua madre sarebbe diventata… le feste, il Natale, i compleanni non più con la sorella di Jake ed il suo buffo compagno bensì con parenti nuovi di zecca.
Si chiedeva cosa sarebbe potuto succedere una volta terminato il suo tirocinio…
Sentì bussare alla porta.
Temette potesse essere Bellamy e la cosa la turbò dato che avrebbe dovuto passarci insieme tutte le seguenti ed interminabili ore, si stupì quando ad entrare fu Octavia che in un batter d’occhio riempì con la sua vivacità quel limbo che era diventato la sua camera.
“Heilà! Pronta?”
“Più o meno…”
“Ho chiamato un taxi che vi porterà alla stazione, arriva tra una mezz’ora, va bene?”
Clarke annuì.
“Senti, sto aiutando Bell a finire di fare la valigia, se l’avesse fatta da solo il suo completo sarebbe stato da buttare per tutte le pieghe che si sarebbero formate.”
Sbuffò con fare teatrale.
“Volevo chiederti… hai una vaga idea di quanto vi fermerete, almeno si mette un paio di cambi in più.”
Parlava come una madre che deve preparare la valigia al figlio adolescente che sta per partire per il camposcuola.
“Non saprei ma non credo più di un paio di giorni… al massimo tre.”
“Peccato.”
Fece lei.
“Che vuoi dire?”
“Non siamo mai stati a New York, con la scusa Bellamy avrebbe potuto visitare un po’ la città e si sarebbe distratto… A volte sono preoccupata per lui, sai? Non si prende mai una pausa, mette me sempre al primo posto, ha una vita piuttosto monotona, non fa altro che lavorare e… non so… quando ho saputo del matrimonio ero così felice per lui, è una cosa nuova, diversa e passare un po’ di tempo lontano da qui non può che fargli bene. E’ come una vacanza che non si è mai preso.”
Clarke avrebbe voluto poter dire lo stesso.
In ogni caso tagliò corto
“Non so O’, tutto può essere, non ho fatto programmi, magari poi ci fermiamo un po’ di più.”
L’altra capì che la ragazza era nel pallone e decise di non stressarla ulteriormente.
“Tranquilla, si arrangerà. Ricordati mezz’ora e arriva il taxi.”
“Okay.”
La porta si chiuse e Clarke si accasciò sul pavimento. Si sentiva già sfinita e la giornata era appena cominciata.
 
-
 
Sul taxi Clarke non aveva proferito parola, guardava fuori dal finestrino il panorama scorrerle davanti e lui che non riusciva a vedere l’espressione sul suo volto intuiva comunque che doveva essere tesa come una corda quasi sul punto di spezzarsi.
Se solo avesse potuto alleviare quella pena.
 
Ripensò alle smorfie basite di Atom e Murphy quando gli aveva annunciato che avrebbe accompagnato Clarke al matrimonio della madre.
 
“Ma un ragazzo non ce l’ha?” esclamò il moro.
“Non ha perso tempo la ragazzina!” ridacchiò sarcasticamente l’altro ricordando a Bellamy che un tempo anche Jonathan Murphy aveva saputo la sua sul fatto di essere uno stronzo sfacciato senza limiti e rimorsi.
Stavano seduti al bancone del locale del vecchio Joseph, le luci spente intorno a loro, solo le fioche lampadine illuminavano il pianale su cui giacevano le loro pinte ormai vuote ed i loro gomiti stanchi, il locale era chiuso da un pezzo e i tre non avevano la più pallida idea di che ora potesse essere.
Bellamy non poteva aspettarsi tale reazione dai suoi due migliori amici e si ritrovò spalle al muro.
Senza riuscire a trovare trovare risposte aderenti alle loro considerazioni.
“Devi ammetterlo amico, invitare qualcuno ad un matrimonio è un passo bello grosso.”
Notò Atom.
“Direi più lungo della gamba, dato che fino a qualche settimana fa sembravate tutt’altro che adatti a relazionarvi così.
Disse il biondo, mentre l’altro annuiva.
Bell sentì le sue labbra separarsi, esalò un respiro profondo.
Stavano correndo un po’ troppo per i suoi gusti.
Ma che era preso a tutti quanti?
Prima Octavia che da un momento all’altro si faceva portavoce dei suoi decisamente ermetici e poco coerenti sentimenti, cercando persino di impartirgli una profonda lezione di vita, ora  invece ci si mettevano anche questi due che pretendevano di dare strambe interpretazioni all’iniziativa di Clarke.
Come una lampadina, una parola s’illuminò nella sua mente ed il ragazzo che per qualche minuto abbondante non si era espresso, cercò di recuperare il tempo come poté
“Calmi, mi ha solo chiesto un favore, non saltate a considerazioni affrettate.”
Si aspettava che i due rinsavissero invece gli rimandarono degli sguardi perplessi e poco convinti.
“Sarà.”
Murphy cercò di chiudere il discorso, invitandoli poi a tornarsene a casa, dalle finestre alte del locale il cielo si preparava ad accogliere il sole sorgere, rischiarandosi man mano.
 
Il taxi rallentò e Bellamy di riflesso alzò lo sguardo che si era come sopito per far largo ai suoi pensieri, il colonnato e l’orologio della South Station si stagliavano alla sua destra.
Clarke aveva già tirato fuori i contanti necessari per pagare il passaggio.
La sera scorsa avevano quasi litigato per questo fatto, Bell non voleva assolutamente che fosse lei a dover pagare ma la ragazza continuava a dire che non avrebbe dovuto nemmeno insinuare una cosa simile, disse poi qualcosa che riguardava il fatto che era stata sua madre a darle dei soldi extra e che non aveva intenzione di usarli se non in quel modo così il ragazzo si ritrovò a dover accettare la situazione anche perché la biondina sembrava sul punto di scoppiare in una vera e propria crisi isterica.
In realtà quel prolungato silenzio che fin’ora Bell non aveva provato ad infrangere non faceva altro che confermare la condizione pietosa della giovane Griffin.
“Potresti prendere i biglietti?”
Sussurrò lei, voltandosi appena nella sua direzione quando ormai si trovavano dentro la stazione, zaini in spalla e valigie al seguito.
“Sono nella tasca esterna dello zainetto.”
“Si, certo.”
E così dicendo Bell si ritrovò a frugare nella suddetta tasca per recuperare i biglietti prestampati.
“Qual è il binario?”
“Il nove.”
“Allora andiamo, dovrebbe partire tra quindici minuti.”
La sua voce era fredda e ferma ma allo stesso tempo dietro quel distacco Bellamy riusciva a percepire tutta la frustrazione e l’ansia che assalivano Clarke ferocemente.
 
Abigail, pensò, aveva programmato tutto nei minimi dettagli, i biglietti erano in prima classe ed i due avevano una cabina tutta per loro seppure il viaggio durasse poco meno di tre ore. Si sentì quasi a disagio, non era abituato a quel tipo di lusso. La verità è che nemmeno la ricordava l’ultima volta che era salito su di un treno. Aveva passato i giorni precedenti ad immaginare come sarebbe stato, era una reazione infantile probabilmente ma decise di non farsi problemi, da quando Aurora non c’era più non si era mai permesso di passare più di un giorno lontano da casa, lontano da O’.
Aveva pensato a quell’emozione descritta nei libri sulle partenze, sui panorami che cambiano velocemente sotto il tuo sguardo, cercò di concentrarsi per provare quell’agognato fremito ma in quel momento tutte le stupide aspettative che la sua mente aveva deciso di costruire erano rotte dallo sguardo assente e dolente della ragazza che sedeva affianco a lui.
Si permise di posarle gli occhi addosso per un po’, le gote pallidissime e la bocca serrata, i capelli severamente tirati su in una coda di cavallo e gli occhi di ghiaccio persi nel nulla… No, non nel nulla, chissà cosa riuscivano a vedere guidati dai pensieri.
Lentamente Clarke, che aveva percepito quasi subito lo sguardo di Bell sul suo corpo e sul suo viso che proprio per quello aveva ripreso un po’ di colore, si voltò verso di lui e guardandolo, sporgendosi appena fece scivolare una lieve parola tra le sue labbra:
“Scusa.”
Non disse nient’altro.
“Smettila.”
La sposta di lui fu repentina.
“No invece. Tu non c’entri. E’ da stamattina che cerco di non pensare ma proprio non ci riesco.”
Suonava come una richiesta d’aiuto.
“Devi tenerti occupata, con me funziona quasi sempre.”
Già quasi, dato che negli ultimi giorni la tattica di Bellamy aveva dimostrato parecchie falle quando in ballo c’era la giovane Griffin.
“Lo so, è che qualunque cosa mi sembra insulsa.”
“Anche un matrimonio lo è se ci pensi bene principessa.”
La ragazza aggrottò le sopracciglia.
“Andiamo non è altro che un mucchio di documenti Clarke.”
Lei si morse un labbro e si voltò dall’altra parte premendo la fronte sul vetro freddo.
“Non fraintendermi, so cosa ci vedi, so che non riesci a capire tua madre per questa decisione repentina ma anche se lei e Marcus non si sposassero sarebbe lo stesso, è questo che sto cercando di dirti, vivono già insieme, condividono già qualcosa, e per quel che vale credo che l’unico modo per liberarti da questo peso sia parlare con lei, apertamente dico. Dalle la possibilità di spiegarti.”
“La fai semplice ma fidati non lo è.”
Farfugliò dandogli ancora le spalle.
Bell fece spallucce e chiuse gli occhi rilassandosi sul sedile.
In un certo senso sapeva di aver fatto la sua parte e soprattutto, ci avrebbe potuto scommettere, adesso Clarke stava inevitabilmente riflettendo su quello che lui aveva appena detto e il giovane non poté fare a meno di sentirsi leggermente soddisfatto.
La percepì sospirare accanto a lui poi, poco dopo avvertì una leggera pressione sulla propria spalla, si forzò per non sussultare ed aprì velocemente gli occhi per capire esattamente cosa fosse accaduto.
Il battito cardiaco accelerato però precedette di gran lunga qualsiasi pensiero di senso compiuto.
La testa della principessa giaceva sulla sua spalla come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Il suo pomo d’Adamo faceva su e giù incessantemente.
Se solo quella ragazza non gli avesse fatto perdere il controllo di sé in quel modo forse sarebbe stato capace di ammettere i suoi sentimenti come sua sorella gli aveva suggerito. Invece si ritrovava a maledirsi per il sudore freddo che gli imperlava le mani aggrappate ai braccioli della comoda poltrona.
 
-
 
Quando Clarke si ritrovò con la porta di casa di fronte e Bellamy appena alle sue spalle erano le due di pomeriggio.
La cerimonia non sarebbe iniziata prima delle quattro e mezza e grazie al cielo Monty e Jasper sarebbero passati a prenderli premurosamente, ancora una volta era tutto perfetto, organizzato in schemi preordinati e non contestabili.
La sera prima tuttavia si era sentita sollevata quando Abby al telefono le aveva detto che al suo arrivo non avrebbe trovato nessuno a casa, lei sarebbe stata con le damigelle e le truccatrici a casa di Jane la sua migliore amica, mentre Marcus con dei colleghi a casa del fratello.
Frugò per un po’ nella tasca del cappotto e trovò le chiavi di quella che ancora fatica chiamava casa, con le mani tremanti fece scattare la serratura, entrò di soppiatto come se dovesse chiedere il permesso a qualcuno e solo quando fu estremamente certa del fatto che in casa non ci fosse nessuno decise di fare strada al ragazzo facendogli posare le valigie all’entrata.
Passò in rassegna il salotto arredato in modo sobrio, la cucina, il bagno e passò velocemente al piano di sopra oltrepassando, senza rimuginarci troppo su, la camera matrimoniale, aprì invece la porta di quella che doveva essere la sua stanza e trasalì quando vide appesi al muro tutti i disegni che aveva fatto negli anni, la madre doveva averli appesi senza chiederle il permesso ed ora tutte le pareti erano tappezzati da schizzi a carboncino e vere e proprie tele invece piuttosto elaborate.
“Wow.”
Si fece sfuggire il più grande dei Blake.
“Mia madre li ha appesi senza che lo sapessi.”
Disse quasi per scusarsi.
“Clarke, sono bellissimi… li hai fatti tutti tu?”
la giovane annuì, abbassando leggermente lo sguardo.
“Non credevo disegnassi.”
“Lo facevo.” Si affrettò a correggerlo “Non prendo in mano una matita da anni.”
“Se le cose stanno così, è un peccato.”
“Mhh.”
Gli passò accanto e si diresse verso l’ultima porta, sperò che lo seguisse, non era mai piacevole per Clarke ritrovarsi di fronte a quei disegni che non facevano altro che sbatterle in faccia la sua vecchia e a suo modo perfetta vita.
Era stato Jake ad insegnarle a disegnare.
Non era certo quello il momento adatto per ricordare.
Bell, tardò di qualche minuto ma infine la raggiunse.
“Mettiti pure comodo.”
Il ragazzo ridacchiò.
E lei gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Vestirmi come un pinguino non è decisamente il mio concetto di mettermi comodo.”
La linea sottile delle labbra di Clarke s’inclinò in un sorriso, forse il primo della giornata, o persino di una serie di giorni.
“Vedi di non fare tardi, alle quattro arrivano Jas e Monty.”
Lui le fece un occhiolino che le fece rimbalzare il cuore per un paio di battiti e la costrinse a voltarsi per non pensare più al viso olivastro di Bellamy.
 
-
 
Bellamy si guardava allo specchio nel soggiorno di casa Griffin che forse da quel giorno avrebbe dovuto chiamare casa Kane senza riconoscersi.
L’ultima volta che aveva indossato un vestito elegante era stato al ballo di fine anno, pochi mesi prima che sua madre morisse ma ai tempi non ci aveva badato, aveva preso in affitto uno smoking nero e come tutti gli altri aveva vissuto senza pensarci molto quella che da tanti era definita la più bella esperienza adolescenziale.
A pensarci ora quella serata perdeva completamente valore, non era altro che uno stupido ballo passato in una logora palestra agghindata di un istituto, anno dopo anno, quella palestra si riempiva di corpi ancora acerbi eppure spavaldamente convinti di avere ai piedi il mondo intero.
La verità, il futuro, il mondo reale si era prospettato tutt’altro che luminoso come a quei tempi ogni liceale del senior year immaginava ed era stato così più o meno per tutti, nessuno escluso.
Stavolta Bell partecipava a qualcosa di tangibile e vero, un matrimonio solitamente non è fittizio o costruito, per alcuni è un giorno importante, il più importante delle intere vite di un uomo e una donna che si sono scelti, c’è davvero qualcosa da celebrare, qualcosa che incide sulle vite altrui che le cambia, le stravolge, le coinvolge, crea nuovi legami non sempre voluti, non sempre compresi.
Mentre stupidamente tentava di paragonare un ballo scolastico ad un matrimonio era la terza volta che il maggiore dei Blake disfaceva per poi ricominciare da capo il nodo della sua cravatta blu notte come il resto del completo.
Se solo O’ fosse stata lì lo avrebbe aiutato senza indugi, invece se ne stava lì da solo in una casa sconosciuta con una ragazza che fino a due mesi prima non avrebbe mai immaginato di incontrare.
Si chiese se i suoi amici non avessero avuto ragione quella sera al locale… Perché stava facendo tutto questo per qualcuno che nemmeno era sicuro di conoscere fino in fondo? Non era troppo forse? Avrebbe passato il pomeriggio e poi la sera intera con persone a lui completamente estranee e tutto ciò per cosa?
 
“Se continui così potremmo restare qui fino a domani mattina.”
La voce puntigliosa e sarcastica di Clarke lo fece scattare sull’attenti ma non si voltò nella sua direzione.
Guardò meglio il riflesso nello specchio, ci mise un po’ per mettere a fuoco le due figure: da un lato lui in tiro nel completo scuro che adornava una camicia celeste polvere già sgualcita, i capelli ribelli come al solito stonavano con l’eleganza dei suoi abiti che non era abituato ad indossare; dall’altro lei in un abito bordeaux scuro strettissimo che aderiva ad ogni singola curva del suo corpo nudo dalle ginocchia in giù.
Si concentrò sulla figura della ragazza, dato che della sua si era già stancato notevolmente, i capelli dorati e setosi erano tirati su in un morbido chignon che lasciava sfuggire qualche ciocca che si posava delicatamente sul suo viso incorniciandolo come un quadro troppo prezioso e perfetto. Gli occhi più grandi e azzurri che mai erano lievemente truccati e il colore dipinto sulla sua bocca era identico a quello del suo vestito, scorse con avidità ogni minimo centimetro quadrato del suo corpo ed una meraviglia difficile da nascondere.
Si soffermò sul collo pallido adornato da un elegante e delicato filo di perle, esitò poi sulle clavicole appena accennate sotto la pelle di porcellana e sulla scollatura ampia ma incredibilmente lontana dal risultare volgare.
Bellamy Blake aveva il fiato mozzato mentre Clarke gli si avvicinava e delicatamente gli stringeva la cravatta al collo in un nodo che come lei era apparso così semplice e perfetto alla sua vista.
L’unica cosa che riuscì a dire annaspando appena fu
“Grazie, ce l’avrei fatta anche da solo però.”
Disperatamente fuori luogo ecco come si sentì, possibile che non riuscisse nemmeno ad essere padrone delle sue stesse parole?
Si chiese per quale dannatissimo motivo dovesse risultare scontroso anche in un momento simile.
“Certo, non avevo dubbi.”
Ma Clarke ormai aveva imparato bene a gestire i raptus di Bellamy con un tenero sarcasmo che ebbe l'effetto di lasciarlo ancora più inebetito.
 
Il momento vagamente spinoso fu interrotto da Jas che invece di suonare il campanello bussò più volte al vetro dell’ampia finestra del salone, per poi improvvisare uno spettacolino composto da facce buffe che apparivano dall’altro lato del vetro.
Bellamy vide la biondina portarsi una mano alla bocca e scoppiare in una fragorosa risata ed in quel momento benedì mentalmente i due amici per essere stati in grado di tirarla su proprio in quell’istante così delicato per lei.
Quando i due uscirono dalla porta d’ingresso Monty fece un fischio d’approvazione dalla macchina mentre Jasper ancora a bocca aperta esclamò
“Dio mio Clarke sei incantevole.”
Bell gli rivolse un’occhiata veloce che l’altro non ebbe modo d’interpretare e così optò per un neutrale
“Anche tu Blake non sfiguri affatto accanto a lei.”
In realtà quell’occhiata non era per la ricerca di complimenti o approvazione era stata una naturale reazione, invidiava la capacità spontanea che il ragazzo aveva avuto nel fare quel complimento a Clarke, avrebbe maledettamente voluto esserne capace.
Invece cercò una risposta adeguata
“Si fa quel che si può…”
Era implicito che di fronte a tale bellezza chiunque avrebbe sfigurato.
“Smettetela con i convenevoli e partiamo.”
Li redarguì la bionda ottenendo un gesto di rapida approvazione da Monty che mise in moto la macchina proprio in quel momento.
 
“Fatto buon viaggio?”
Si aspettava che alla risposta ci avrebbe pensato Clarke che invece sembrava essere nuovamente con la testa da tutt’altra parte così Bell cercò di rispondere alla semplice domanda posta da Jas
“Si, decisamente piacevole, la madre di Clarke è stata gentilissima, non avevo mai viaggiato in prima classe ad essere sincero”
“Benvenuto nel club” gli rispose l'altro ridacchiando.
Eppure quelle semplici risa sembravano stridere come un gessetto troppo nuovo su una lavagna, l’atmosfera era fredda ed austera ed ognuno di loro conosceva bene il motivo.

“Terra chiama Clarke, ci sei?”
Fece Monty buttando un’occhiata sullo specchietto retrovisore.
“Cosa?”
“Ecco appunto”
sbuffò lui in segno di disapprovazione.
“Manca poco…”
aggiunse.
E Bellamy fu certo che il cuore di Clarke si fermò per un istante, il suo viso s’impallidì visibilmente nonostante il make-up.
 
“Intanto voi scendete” disse Jasper “Io faccio compagnia a Mon’ mentre cerca parcheggio.”
La macchina era stata attentamente accostata affianco la scalinata di entrata della chiesa.
Bell aprì lo sportello velocemente ed uscì facendo strada a Clarke che lo imitò.
L’auto ripartì in fretta mentre i due rimasero per un minuto buono in piedi, l’uno a fianco all’altra ancora una volta in religioso silenzio.
Clarke inspirò chiudendo gli occhi e poi espirò sonoramente.
Guardandola Bellamy  si convinse del fatto che stesse letteralmente tremando, d’istinto le prese deciso la mano, che la ragazza teneva lungo il fianco, tra la propria ed incrociò le dita con le sue, stringendo la presa più forte che poteva.
E quel gesto valse più di qualunque parola, quel contatto sembrava sussurrare a Clarke di stare serena, lui era lì per lei, per sostenerla e impedirle ad ogni costo di crollare.
Lei si avvinghiò al palmo e ad ogni singolo dito, sentiva un dannato bisogno di sentire sotto la sua pelle gelida ogni brandello di carne del più grande dei Blake.
Fu solo grazie a quella mano calda ed accogliente che trovò la forza per muovere i primi passi sul sagrato.

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Capitolo 10
*** X ***


Sapevo che prima o poi sarebbe successo,
sono in ritardo, un clamoroso ed imperdonabile ritardo ma è stata una settimana delirante e ho avuto davvero pochissimo tempo per cui perdonatemi...
(ovvero sentitevi liberi di prendermi a parolacce o robe simili ahah)
A mia discolpa posso solo dire che anche questo capitolo è venuto fuori un po' più lungo rispetto ai precedenti ed è anche vero che scriverlo è stata un'impresa direi piuttosto ardua, avevo paura di non rendere bene con le parole ciò che avevo in testa ma spero che non sia un totale fallimento, proprio per questo mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate, se avete voglia di lasciare un semplice commento/suggerimento o una critica fatelo senza alcun rimorso!
Io vi mando un abbraccio affettuoso e vi lascio alla lettura.
C.



X
 
 
Se non fosse stato per Bellamy non avrebbe mai messo piede in quella chiesa si ritrovò a pensare mentre tutti aspettavano ordinatamente il loro turno per uscire.
E ancora, se lo stesso ragazzo non le avesse tenuto nuovamente la mano mentre Abby e Marcus si stavano scambiando la promessa, chissà quale sarebbe potuta essere la sua reazione, per non parlare del momento in cui il prete recitò la classica formula
“Se qualcuno ha qualcosa in contrario a questa unione parli ora o taccia per sempre.”
In quel momento la stretta di Bell si fece via, via più forte, tanto che solo per un attimo, Clarke sentì la sua mano indolenzirsi eppure, ancora una volta, non disse nulla.
Più quel contatto era forte, meno avvertiva quella fitta al petto che le faceva venir voglia di urlare a squarciagola e di darsela a gambe.
 
Furono gli ultimi ad uscire.
C’era riso dappertutto, vide molte persone che non conosceva ridere.
Osservò da lontano il vestito di sua madre, classico e sobrio, diverso da quello che aveva visto nelle fotografie che la ritraevano con suo padre durante il grande giorno.
Abby era stretta in un abito panna e teneva ancora in mano un bouquet di rose bianche, era lontana da lei come forse non lo era mai stata, sovrastata dalla folla che si congratulava e abbracciava i neosposi.
Incontrò il viso di Marcus per un istante, l’uomo le rivolse un sorriso radioso che tentò di ricambiare nel modo più naturale possibile, non era lui il cattivo della storia, era solo una conseguenza… proprio come lei lo era stata per Finn e Raven.
Jasper li raggiunse con il fiatone, seguito a distanza da Monty.
“Pensavamo di avviarci, tua madre e Marcus per il ricevimento hanno affittato una villa sul mare, verso sud e ci vorrà un po’ per arrivare.”
“Mhh, va bene.”
Bofonchiò lei con un filo di voce e d’istinto si tirò Bellamy dietro quasi avesse paura di perderlo in mezzo a tutte quelle persone.
Non credeva potesse vedere così tanti volti sconosciuti ad un evento simile, sua madre si era data un bel da fare e di nuvo quel pensiero fu accompagnato da un filo di amarezza che sentì scorrere nel sangue delle vene sin dentro al cuore.
 
-
 
A Bell il mare non piaceva, gli faceva lontanamente tornare in mente suo padre, ovvio, erano ormai ricordi sfocati, non era che un bambino quando quell’uomo di cui non riusciva a pronunciare nemmeno il nome, lo portava in spiaggia nei pomeriggi d’estate.
Mentre lui sguazzava felicemente nell’acqua fredda dell’oceano, l’adulto se ne stava seduto sul suo asciugamano con il giornale davanti gli occhi scuri e la pipa che pendeva dalle labbra sottili e severe.
Vedeva gli altri bambini giocare con i propri genitori: costruivano castelli di sabbia bellissimi, giocavano con palloni colorati, facevano volare aquiloni e si rincorrevano sulla spiaggia.
Bellamy non aveva mai osato nemmeno chiedere nulla di simile al padre, conosceva già la risposta, così nuotava solo nel manto blu ed inventava buffi giochi solitari per passare il tempo, non amava la compagnia degli altri bambini, se non riusciva ad ottenere quella del suo papà per quale motivo avrebbe dovuto desiderare quella di altri?
 
Perciò quando arrivarono, la tipica brezza che gli scompigliò ulteriormente i capelli, gli fece provare un dolore che cercò di scacciare cercando gli occhi acquamarina di Clarke, il solo oceano in cui riusciva a perdersi senza voler trovare via d’uscita, privo di pena.
La spiaggia era ornata da fiori e lanterne, il sole era quasi tramontato del tutto ed i ragazzi si trovano con i piedi che affondavano nella sabbia fina.
“Non ho capito molto bene l’idea del ricevimento in spiaggia… non siamo un po’ fuori stagione?”
Osservò Monty
“Credo sia stata un’idea di Marcus.”
Disse Clarke ottenendo in pochi secondi l’attenzione di tutti e tre i ragazzi.
“Che c’è? La prima volta che l’ho conosciuto mi ha detto di amare l’oceano più di ogni altra cosa. E poi Abby non è tipo da mare, odia la sabbia e la salsedine…”
Lo disse con un tono soddisfatto come se avesse svelato la prima incrinatura di quel matrimonio appena celebrato.
Annuirono all’unisono, senza aggiungere nulla al riguardo.
Jasper tentò maldestramente di cambiare discorso facendo banali osservazioni sull’abbigliamento dei vari invitati.
Raggiunsero una sorta di gazebo a vetri dentro al quale c’erano i tavoli per il buffet ed una piccola orchestra che già si prodigava a diffondere una melodia blues.
Bellamy notò che ancora nessuno si era seduto, tutte quelle persone che per lui non erano che comuni volti di completi sconosciuti non facevano altro che scambiarsi calorosi saluti, sorrisetti e superficiali osservazioni.
Esattamente in quell’istante si sentì toccare la spalla, quando si voltò non pensava di trovarsi davanti proprio a quella persona.
Abigail gli stava rivolgendo un sorriso smagliante:
“Tu devi essere Bellamy!”
Già durante la cerimonia il giovane Blake si era stupito: Clarke e la madre non si assomigliavano per nulla. Le morbide linee della giovane Griffin erano secche e rigide sul corpo della donna, la seconda poi invece di una chioma bionda e lucente aveva dei lunghi capelli castani e gli occhi scuri sembravano essere così diversi da quelli così blu della figlia. L’unica cosa che sembrava accumunare le due era l’identica espressione seria e compita che però in quella giornata Abigail aveva mostrato decisamente molto meno della figlia.
“Salve signora Gr… Kane. E’ un piacere conoscerla.”
Gli porse la mano, non era molto pratico di situazioni così dannatamente formali e lontane dal suo quotidiano.
Con stupore, si ritrovò avvolto da un abbraccio.
“Chiamami Abby.”
A quanto pare la donna era anche molto più calorosa della figlia.
Lui annuì ed aggiunse
“Le faccio i miei più cari auguri, spero possiate passare una piacevole vacanza, Clarke mi ha detto che partirete stasera stessa.”
“Grazie caro, sì abbiamo l’aereo stanotte alle due. A proposito l’hai vista? Ancora non siamo riuscite ad incrociarci se non da lontano… Sai com’è con tutta questa confusione.”
Era convinto che la bionda fosse rimasta al suo fianco mentre erano entrati nella sala a vetri ma si rese subito conto che la ragazza mancava all’appello.
“Potrebbe essere al bagno?”
“Proverò a vedere…”
Fece per andarsene, poi parve ripensarci mentre prendeva da un vassoio che un cameriere le aveva premurosamente avvicinato due bicchieri di prosecco, riprese la parola porgendo l’alcolico a Bell.
“Come ti è sembrata?”
“La cerimonia? Stupenda signora, è tutto molto gradevole.”
La donna abbozzò una smorfia soddisfatta sul suo volto poi però decise di correggerlo
“In realtà parlavo di mia figlia… Siete in buoni rapporti, no?
“Beh sì…”
Sentì poca enfasi nella sua risposta, non capiva davvero come affrontare quel discorso così spinoso. Clarke non stava bene ma non era suo il compito di comunicarlo alla madre o almeno non del tutto
“Credo non sia facile per lei accettare tutto questo. Ma sicuramente non è nulla che non si possa risolvere o quantomeno chiarire con una genuina chiacchierata.”
Lei tirò fuori un perfetto sorriso materno che il ragazzo faticò a digerire, era pieno di quella tenerezza che solo una madre è capace di esprimere, una di quelle espressioni che non ricordava di aver mai visto sul viso di Aurora.
“Mi piaci Bellamy.”
Poi venne accalappiata da una coppia di signore ben vestite e si ritrovò solo nel bel mezzo della stanza, cominciò a guardarsi intorno, senza pensare molto alla conversazione appena terminata con Abigail i suoi occhi cercavano quella ormai familiare chioma bionda e quando finalmente la individuarono, il suo stomaco si chiuse come i pugni lungo il suo profilo snello ed elegante.
 
-
 
Si era allontanata appena aveva potuto rifugiandosi in bagno, sua madre era finalmente a piede libero e il solo pensare di poterle parlare guardandola negli occhi dopo una giornata simile la spaventava a morte. Non avrebbe saputo cosa dirle e soprattutto era terrorizzata dal non essere più in grado di tenersi e continuare a mentirle, un conto era farlo per telefono, un altro era fissarla dritta nelle pupille marroni e cercare di reprimere l’istinto di sbraitarle contro tutte le sue domande e le sue perplessità.
Così si era sbattuta velocemente la porta alle spalle e si era sciacquata la faccia con l’acqua gelida, si guardò per un attimo allo specchio, avrebbe dovuto resistere, avrebbe dovuto mantenere uno sguardo impassibile ancora per qualche ora poi sarebbe finito tutto.
Sentiva la testa pulsarle, era come se tutta la rabbia e le incomprensioni rivolte alla madre fossero esplose in quel momento.
Pensò a Bellamy.
Lo aveva lasciato solo nel bel mezzo del ricevimento senza nemmeno avvertirlo e si sentì in colpa, lui era stato capace di starle vicino come nessuno prima e lei era scappata come una vigliacca.
Si costrinse a trovare la forza necessaria per varcare nuovamente quella soglia che la divideva da una miriade di invitati che avrebbe dovuto far finta di riconoscere e dalla nuova vita senza imperfezioni che la madre era riuscita a ricostruirsi in quattro e quattr’otto.
Doveva farcela.
Mentre tra la folla tentava di riconoscere Bellamy, la ragazza venne intercettata da vari personaggi: una coppia di lontani zii di cui non ricordava assolutamente nulla, la mamma di Marcus che a sua detta aveva sentito parlare così tanto e bene di lei e qualche cugino più grande che adesso si ritrovava con mogli e pargoli al seguito.
Facevano tutti le stesse domande, le chiedevano dell’università, di Boston meravigliandosi e complimentandosi per la borsa di studio ed il tirocinio, le chiedevano degli amici e soprattutto facevano domande ambigue alludendo al suo accompagnatore.
Clarke dal suo canto fu brava a mantenere la calma, non solo fornì tutte le risposte adeguate ed articolate in modo tale da sembrare interessata alla conversazione ma cercò di fare qualche domanda di circostanza per non risultare sbrigativa e maleducata.
Dopo i primi ormai le era venuto meccanico e si ritrovò a pensare che alla fine non era poi così difficile.
Quando finalmente aveva soddisfatto la curiosità dell’ultimo parente più o meno lontano che aveva incrociato il suo sguardo, la ragazza cercò nuovamente di mettere a fuoco la chioma ribelle del maggiore dei Blake ma ancora una volta venne interrotta
“Qualcosa mi dice che la più bella del ricevimento ha decisamente bisogno di un bicchiere colmo di prosecco.”
Il sangue nelle sue vene raggelò in fretta.
Mentre un’imprevista tachicardia fece capolino nel suo petto.
Avrebbe riconosciuto quella voce calda e sicura di sé in qualunque situazione.
Cercò di voltarsi lentamente e quando i suoi occhi incontrarono quelli scuri di lui fece di tutto per evitare che si bagnassero di lacrime che non meritava, non dopo tutto quel tempo, non in quel maledettissimo giorno.
Finn Collins se ne stava lì davanti a lei con un’insolenza che non credeva possibile, fasciato nella divisa da cameriere che comprendeva un papillon di dubbio gusto; con una sola mano teneva un vassoio sul quale c’erano almeno una trentina di bicchieri mentre con l’altra gliene porgeva uno.
Clarke si avventò sulla bevanda, sperando che un po’ di alcol in corpo potesse aiutarla a far fronte a quella inaspettata situazione.
“Finn… cosa diamine ci fai qui?”
“Lavoro Clarke. Nulla di più.”
Lei gli lanciò un’occhiata torva di tutta risposta, per un attimo le saltò in testa il pensiero che trovarlo lì non fosse un caso. E lui che dopo il tempo trascorso insieme aveva imparato a decifrare le sue espressioni si giustificò velocemente
“Lavoro presso un catering, è tutta gavetta, sai… non avevo idea che il matrimonio di oggi fosse di tua madre, la prenotazione era a nome Kane, non credevo potesse avere a che fare con Abby.”
“Non ho detto nulla.”
“Ma l’hai pensato.”
Touché e adesso? Cosa avrebbe dovuto fare?
“E’ buffo incontrati qui non credi? Un po’ come la prima volta, sembra che il destino continui a farci scontrare… Ho aspettato per così tanto tempo una risposta a quella mail, o anche solo di poterti rivedere.”
Alla ragazza balenò in mente il primo incontro tra i due effettivamente molto cinematografico: entrambi, contemporaneamente, avevano messo le mani sullo stesso libro in biblioteca e così stettero per almeno cinque minuti a discutere, alla fine avevano trovato una banale quanto efficace soluzione, avrebbero studiato insieme.
Il resto preferì non rievocarlo.
Cos’è che aveva detto esattamente?
Non riusciva ancora a credere che oltre il matrimonio di sua madre doveva starsene lì a gestire anche questa faccenda lasciata irrisolta forse da troppo tempo.
“Finiscila, sai che non avrai mai una risposta a quelle scuse campate in aria, hai ferito noncurante delle persone che un tempo dicevi di amare, cosa ti aspetti?”
Aveva alzato il tono della voce per fare in modo che ogni singola parola lasciasse un marchio nella mente contorta del ragazzo che un tempo aveva amato più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
“Dio, non sei cambiata di una virgola, sai che ho adorato fin dal primo momento questa tua aggressività innata e poi… sei sempre bellissima.”
Sentì un senso di rabbia montarle dentro, non poteva credere che dopo tutto quello che era successo Finn potesse ancora essere così sfrontato.
Perché si comportava come se non fosse accaduto nulla?
 
“Chiudi quella bocca Collins.”
Avrebbe voluto essere lei a pronunciare quella frase ma si stupì quando si rese conto che quelle parole appartenevano a Bellamy Blake in persona.
“Blake?”
Finn spalancò la bocca e strizzò gli occhi, non riusciva a capire cosa diavolo ci facesse il maggiore dei Blake al matrimonio della madre di Clarke.
“Faresti meglio a riprendere il tuo giro invece di importunare gli invitati, dovresti prendere il lavoro più seriamente, non vorrai che i clienti si vadano a lamentare dal direttore, no?”
“Brutto figlio di p…”
Clarke vide Bell digrignare i denti e lo tirò per un braccio prima che potesse finire di udire la frase, lanciò poi uno sguardo velenoso e fulminio all’altro, aveva paura che il ragazzo potesse rispondere con la violenza, dopotutto Finn aveva tirato in ballo sua madre, una ferita ancora aperta e troppo dolente.
“Brava Clarke, sempre saggia e responsabile, lo fai tirare indietro eh? Interessante, non credevo che saresti arrivata a fartela con Bellamy Blake.”
Non ne fu sicura ma pensò di sentire il moretto che teneva ancora stretto per un braccio ringhiare.
“Se pure fosse, non sono più affari tuoi.” Gli voltò lo spalle e si allontanò con Bell grondante di rabbia mentre lei cominciò a sentire un buco nello stomaco come se le avessero dato un pugno troppo forte. Stava succedendo tutto insieme e non era sicura di essere in grado di reggere il colpo e rimanere impassibile come si era ripromessa poco prima davanti allo specchio.
“Usciamo da qui.”
Sussurrò in un orecchio a Bell.
Poi si avvicinò al tavolo del buffet e si avventò su una bottiglia di spumante ancora piena, prese due bicchieri e invitò il moretto a svignarsela.
Camminarono senza dire nulla per qualche minuto, fino a quando furono costretti a fermarsi perché l’acqua salata era quasi arrivata a bagnargli i piedi.
“Stai bene?”
Il ragazzo parlò per primo.
Clarke dimenticò di aver preso con sé i calici e trangugiò un ampio sorso direttamente dalla bottiglia che stringeva tra le mani.
“Credo di si.”
“Non volevo intromettermi, so che saresti stata in grado anche da sola di gestire un simile idiota.”
Non era vero.
Non in quel momento.
Non era mai stata capace di gestire Finn Collins, dal primo momento che l’aveva visto qualcosa dentro lei aveva ceduto. Se avesse saputo come fare a contrastarlo probabilmente sarebbe riuscita a strappargli quel libro dalle mani, se fosse stata abbastanza forte non avrebbe permesso al suo cuore di sanguinare, una cosa aveva imparato innamorandosi di quel ragazzo: l’amore è debolezza e adesso lei ne stava pagando tutte le conseguenze.
C’era stato un periodo della sua vita in cui Clarke si era sentita invincibile, inscalfibile, capace di realizzare qualsiasi sogno, qualsiasi idea, era pronta a tutto, sapeva come lottare, come affrontare a testa alta qualsiasi ostacolo. Cos’era cambiato? Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter ritrovare quella sicurezza ma troppe cose erano accadute attorno a lei senza che avesse il tempo di rendersene conto, l’avevano sovrastata e l’avevano privata di quel coraggio e di quello spirito forte che un tempo la distinguevano da chiunque.
“Grazie” Sussurrò rivolgendo l’attenzione alle onde che si disperdevano sul bagnasciuga “Per tutto.”
 
-
 
Bellamy la osservò senza aggiungere nulla, non c’era bisogno, lo sapeva bene, la luce della luna la investiva delicatamente donandole un aspetto angelico.
C’era un’inquieta fierezza nella sua sofferenza, Clarke sembrava una guerriera reduce da una battaglia che aveva perso, era una sopravvissuta certo, ma si vedeva come con onore aveva combattuto fino all’ultimo. Si chiese però chi è che avesse il compito di rimediare a tutte quelle ferite perché nessuno finora si era preoccupato di lei? Finn le aveva spezzato il cuore come se nulla fosse, la madre aveva voltato pagina senza preoccuparsi di vederla pronta ad affrontare un nuovo capitolo delle loro vite ed i suoi amici si comportavano come spettatori inermi. Sentiva un senso di protezione innata nei suoi confronti, era diverso da quello che provava per sua sorella, era qualcosa di viscerale, gli bruciava dentro facendolo confondere, l’unica cosa che riusciva a desiderare era vederla sorridere.
Le parole di sua sorella gli rimbombarono nella testa assorta nei pensieri “Se ti sta bene così, se non riesci nemmeno a dirlo a te stesso e ti senti in pace, amen. Io però non me la bevo Bell, sei sangue del mio sangue, ti conosco troppo bene, spero che troverai il coraggio di essere felice un giorno.”
Si trattava della felicità della principessa o della sua? Cos’era quel peso che percepiva nel petto ogni volta che si perdeva nei suoi lineamenti?
Erano vicini, due o tre passi li separavano, nulla più.
Se avesse colmato le distanze cosa sarebbe successo? Se i suoi occhi avessero indugiato solo qualche secondo in più sulle labbra di lei, se la sua mano non si fosse trattenuta dal delineare le forme del suo viso, lo avrebbe ammesso? Avrebbe trovato il coraggio di innamorarsi, di essere felice?
Fece un passo solo verso la ragazza che si voltò incrociando il suo sguardo denso.
 
“Ragazzi vi abbiamo cercato dappertutto!”
La voce di Monty riecheggiò sulla spiaggia deserta, destandoli da quel clima incerto che li aveva sopraffatti. Dietro di lui Jasper e Wells chiacchieravano animosamente.
“Arriviamo!”
Fu Clarke a rispondere con tono acuto mentre velocemente, come se nulla fosse, diede le spalle a lui e al mare, allungando il passo verso gli amici, i pensieri di Bell s’infransero come l’ultima onda che vide accasciarsi sulla sabbia già umida.
“Stavate forse facendo festa senza di noi?” Disse Jasper indicando la bottiglia che Clarke teneva ancora tra le mani infreddolite.
“Dovremmo finirla prima di rientrare.”
Propose il maggiore dei Blake raccogliendo reazioni favorevoli da tutto il gruppetto. A differenza dei ragazzi, non gli interessava poi molto di farsi vedere da una mandria di sconosciuti a scolare una bottiglia di champagne ma sentì egoisticamente di averne bisogno, riepilogò tutto ciò che gli era saltato in mente pochi istanti prima e decise di provare a dimenticarlo in quell’istante con l’ausilio di qualche bollicina.
Rientrarono dopo pochi minuti, il freddo e i pensieri li avevano spinti a finire il contenuto del recipiente in vetro in fretta e furia.
Non seppe dire quanto tempo lui e Clarke avessero passato fuori ma dentro un po’ di cose erano cambiate, al banchetto il cibo era quasi finito e solo in quel momento il ragazzo realizzò di non averne toccato nemmeno un briciolo, una torta si stagliava sul tavolo centrale ed Abby e Marcus erano intenti a tagliarne insieme la prima fetta, degli uomini in smoking su di un lato stavano suonando una melodia altisonante che poco dopo venne accompagnata da un applauso fragoroso. Il suo sguardo si posò istantaneamente sulle mani di Clarke, poco distante da lui, non seguivano la folla, se ne stavano lungo i fianchi chiuse in un pugno.
La coppia aprì le danze, seguita a ruota dagli invitati mentre i camerieri si occupavano di servire il dolce al resto degli invitati, si ritrovò con un piatto tra le mani e ne approfittò, mentre sentiva attorno a lui i commenti degli altri tre ragazzi che si erano avventati sulla torta ed ora ne acclamavano  la bontà.
Cercò di nuovo la giovane Griffin e la trovò poco dopo dall’altro lato della sala, nuovamente Collins le si era avvicinato con la scusa della torta, li vedeva gesticolare e cercava in tutti i modi di capire cosa volesse da lei quel cretino. Le sue gambe si mossero ancor prima dei suoi pensieri proprio in quella direzione ma quando vide Abigail raggiungerli si fermarono di botto.
 
-
 
Mentre le labbra di Finn si muovevano, la testa di Clarke pulsava, quando era arrivata, era talmente agitata che il suo stomaco si era rifiutato di accogliere qualsiasi tipo di alimento, per l’alcol però non era stata la stessa cosa e adesso la ragazza ne stava pagando le conseguenze. Non riusciva a concentrarsi sulla voce del ragazzo e forse era meglio così, osservava l’atmosfera intorno a lei confusa e frastornante, avrebbe voluto poter mettere la testa sotto ad un cuscino, dentro non sentiva nulla, solo un turbine caotico di idee ed immagini. La passeggiata in riva al mare con Bell, aveva sgombrato la sua mente o forse era stato lo champagne…
“Mi stai ascoltando?”
Scosse la testa.
“A che gioco stai giocando? Avrò passato almeno cinque minuti a parlarti.”
“Vuoi sapere come conosco Bellamy, giusto?”
“No voglio sapere per quale cazzo di motivo è qui con te adesso, come se foste una coppia o che so io.”
“Te l’ho già detto, non ti riguarda.”
Sentiva la bocca impastata e per mettere in fila una frase di senso compiuto ci aveva impiegato più del previsto.
“Avresti potuto avere di meglio e sei finita con un Blake, non è da te Griffin.”
“Avresti potuto dirmi la verità, almeno di lui posso fidarmi.”
Gli occhi del ragazzo andarono fuori dalle orbite
“Allora state insieme.
Clarke fece spallucce. Le risposte che aveva dato, i gesti che le avevano accompagnate erano fuori dal suo controllo, per la prima volta dava fiato alla sua bocca senza rimuginarci su, per la prima volta non le importava delle reazioni altrui, non era così che aveva desiderato sentirsi? Quindi bastava bere qualche bicchiere di prosecco in più ed attaccarsi avidamente ad una bottiglia di champagne? Si rimproverò mentalmente per non essersi mai lasciata andare prima, mentre da un vassoio raccoglieva un altro bicchiere.
“Vi interrompo?”
La voce di Abby non la fece sussultare come aveva immaginato, la sua presenza non la scalfì minimamente.
“Affatto.”
Disse quasi euforica.
La donna al suo fianco storse il naso ed alzò un sopracciglio mentre il giovane passandole accanto le intimò
“Vai al diavolo Clarke.”
La ragazza scoppiò in una risata sguaiata.
Gli occhi rapidi di Abigail si posarono sul bicchiere colmo che la figlia teneva tra le mani, poi sulle sue gote troppo rosse ed accaldate, uno sguardo severo e amareggiato si dipinse sul suo volto.
“Sei ubriaca.”
La ragazza le rimandò un’occhiata colpevole e divertita al tempo stesso.
“Non posso crederci, ti credevo diversa, ho sempre pensato che fossi una ragazza brillante e matura e guarda come ti sei conciata.”
“E’ colpa tua.”
“Cosa vorresti dire?”
Era arrivato più in fretta del previsto il momento della resa dei conti, i pensieri repressi si riversarono sulle labbra della biondina in un attimo
“Non hai pensato a me nemmeno per un minuto, ti sei mai chiesta cosa potessi pensare io di tutta questa faccenda? Di te e Marcus, della casa nuova, del matrimonio, del fatto che nemmeno per un secondo ti sei voltata indietro? L’hai abbandonato sul letto di morte. Ci hai lasciati prima che finisse tutto davvero e non ti sei sentita in colpa nemmeno un po’. Io ci ho provato, ho tentato di trovare una spiegazione ragionevole, di giustificarti in qualche modo e sai che c’è? Non ho trovato un singolo motivo che ti autorizzasse a comportarti come hai fatto e adesso, dopo tutto questo, hai anche il coraggio di venirmi a fare la predica? Fanculo Abby, tu, insieme al giorno più bello della tua vita, sei stata bravissima a tirare su questo teatrino, non c’è che dire, ci hai messo tutto l’impegno di cui c’era bisogno, se solo la metà lo avessi usato per aiutare papà forse adesso non staremo qui.”
Due lacrime rigarono le guance rosse della ragazza che senza rendersene conto aveva urlato con tutta la voce che il suo diaframma riuscisse a tirar fuori, facendo ammutolire in un attimo l’intera sala.
Abigail si morse un labbro, se sua figlia non avesse avuto un briciolo di ragione e fosse stata più piccola di qualche anno le avrebbe dato uno schiaffo, si trattenne invece.
Guardò Bellamy, Jasper e Monty e gli intimò come se l’altra non potesse udirla “Portatela a casa.”
 
-
 
Quando i ragazzi le si erano riversati addosso Clarke non aveva fiatato, ancora rovente ed incredula si era lasciata trascinare fuori come se fosse un sacco di farina, nessuno a dirla tutta aveva osato proferire parola, avevano raggiunto la macchina in pochi minuti prendendo la via del ritorno in men che non si dica.
Ora dormiva, la testa appoggiata sul finestrino e il cappotto di Bell sulle gambe, il ragazzo la osservò per qualche secondo: le labbra socchiuse, il trucco rovinato dalle lacrime le aveva sporcato il viso, e la pettinatura scomposta le ricadeva disordinatamente sul capo chino sul vetro, rimaneva bellissima ai suoi occhi, la sua fragilità le regalava un aspetto delicato anche in quel momento ed il cuore di Bellamy si strinse.
“Si riprenderà” Mormorò Jasper non appena si accertò che la ragazza stesse dormendo e mentre cambiava la frequenza della stazione radio, in cerca di una canzone adatta a tenerli vigili.
“Certo, lo ha sempre fatto.” Disse l’altro quasi per convincersi.
“E’ molto più forte di quello che possa sembrare.”
Ecco perché nemmeno una persona si era mai preoccupata per lei, Bell si spiegò finalmente il motivo per cui nessuno aveva provato a prendersi cura del suo cuore infranto o delle sue ferite, tutti erano convinti che potesse riuscirci da sola e si convinse del fatto che dal suo canto Clarke non si sarebbe mai piegata al punto tale da chiedere aiuto, non era nel suo stile.
“Direi che quella sfuriata lo dimostra.” Disse ancora Monty.
“Non avrei mai il coraggio di uscirmene così davanti a tutte quelle persone.”
Bellamy tacque e sospirò, si maledisse per non esserle stato accanto nel modo adatto, avrebbe dovuto fermarla mentre prendeva la bottiglia di champagne dal tavolo o afferrava l’ennesimo bicchiere dal vassoio, invece era troppo preso dalle sue impossibili domande esistenziali.
 
“Ti serve una mano per portarla dentro?”
Chiese cauto Jasper.
“No, tranquillo, posso gestirla io.”
Accennò un sorriso.
Monty prese la pochette della ragazza e tirò fuori un mazzo di chiavi, ne afferrò una colorata di rosso con lo smalto “Tieni, questa apre la porta.”
Il moro accettò l’aiuto e poi prese tra le braccia il corpo dormiente di Clarke, avviandosi verso la casa.
Una volta dentro s’interrogò velocemente sul da farsi e decise di portare la principessa nella sua stanza, aveva difficoltà nel ricordarsi dove fossero gli interruttori della luce e ci mise più del previsto a raggiungere la camera.
Finalmente adagiò delicatamente Clarke sul letto, ancora una volta si sorprese a non riuscire a toglierle gli occhi di dosso.
Si sedette accanto a lei e restò come ipnotizzato, dormiva profondamente e sperò in cuor suo che quel sonno potesse distoglierla da ciò che aveva appena passato, la smorfia sul viso di lei sembrava serena, nonostante gli occhi fossero gonfi e il viso ancora sporco.
Scosse il capo e si alzò, un tempo si sarebbe dato dell’idiota, non avrebbe mai fatto tutto questo per una ragazza che per giunta lo aveva tormentato con la sua sbadataggine. Ripensò velocemente al primo giorno che l’aveva vista, al loro scontro casuale, l’aveva trattata con strafottenza eppure non si era persa d’animo, era stato scontroso per giorni ma lei non si era scomposta minimamente, non avrebbe mai potuto immaginare cosa si celasse dietro il suo sguardo sofferente la prima volta che per sbaglio si era intromesso nel suo sonno tormentato.
Decise di levarle le scarpe e cercare una coperta. Le sfilò velocemente le calzature eleganti facendo scivolare fuori i piedi freddi dalla pelle nera, qualche granello di sabbia finì sul pavimento, le posò poi ai bordi del letto attento a non fare rumore. Si guardò intorno, sforzandosi per non far ricadere nuovamente la vista su di lei.
Aprì l’anta dell’armadio che si trovava proprio parallelo al letto maledicendo il cigolio che produsse, si stupì quando lo trovò pieno di cianfrusaglie, c’erano album fotografici, pastelli, pennelli, tavole, tutto tranne che indumenti o biancheria per il letto.
“Bell?”
“Mh?” Rispose concentrato, senza avere il tempo di realizzare che la voce che lo stava chiamando confusamente era quella della principessa.
“Che stai facendo?”
Si voltò leggermente per accertarsi che la ragazza stesse bene, doveva essersi svegliata per il  trambusto che quel vecchio armadio faceva.
Deglutì quando la vide intenta a liberarsi dal vestito, Clarke si era seduta dandogli le spalle, i suoi lunghi capelli le ricadevano sulla schiena nuda leggermente inarcata, seguì con lo sguardo la spina dorsale sino a quando la pelle chiara lasciava spazio alla stoffa dell’intimo, poi la ragazza alzò il cuscino tirando fuori una maglietta extralarge che si infilò velocemente.
Accaldato, Bellamy riprese fiato e si ricordò della domanda che poco prima la ragazza gli aveva fatto
“Io, io, sto… cercando una coperta.”
Lei si lasciò cadere sul materasso con un tonfo e gli suggerì
“Guarda nel secondo cassetto, nella vecchia stanza erano lì.”
Il ragazzo richiuse l’armadio e si spostò verso la cassettiera. Clarke aveva ragione, prese due coperte e ne porse una alla ragazza che faticava a tenere gli occhi aperti, l’afferrò e con qualche movimento maldestro e probabilmente ancora offuscato dall’alcol vi si raggomitolò, il maggiore dei Blake non poté far a meno di sorridere teneramente e disse quasi sussurrando per paura che si stesse nuovamente per addormentare
“Vado in bagno a cambiarmi, se vuoi posso ripassare prima di andare di là per vedere se è tutto okay.”
La risposta della principessa fu un mugugno incomprensibile che il ragazzo decise arbitrariamente di interpretare come un sì.
Accostò la porta, posò la coperta sul letto nella camera degli ospiti e prese dalla valigia una tuta felpata nera che avrebbe utilizzato come pigiama, era abituato a dormire in maglietta e boxer e se non fosse stato per Jasper ed il suo consiglio di prendere una tuta dall’armadio, insieme all’abito elegante si sarebbe ritrovato a comprare persino un pigiama.
In bagno si spogliò velocemente, allontanando dallo specchio la sua figura elegante, voleva assicurarsi che Clarke stesse bene e avesse ripreso sonno, si lavò i denti in fretta e si precipitò di nuovo nella stanza di lei, aveva ancora il completo da cerimonia in mano, aprì la porta che aveva accostato precedentemente ed un fascio di luce proveniente dal corridoio si proiettò sul pavimento, accanto al lato del letto in cui dormiva Clarke.
“Bellamy?”
Forse avrebbe fatto meglio a tirare dritto e a non disturbarla.
“Si? Va tutto bene?”
“Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Potresti dormire qui? Non riesco a riaddormentarmi.”
Non c’era malizia nella sua voce che denotava ancora poca lucidità, in realtà Clarke sembrava più una bambina svegliata da un brutto sogno ed in preda al panico ed ancora una volta il più grande dei Blake non riuscì a dirle di no.
“Okay.”
Disse Bell incerto e confuso da quella richiesta tanto semplice quanto strana ed intima, posò i vestiti sulla scrivania e lentamente raggiunse il letto, stando attento a non inciampare nel buio. Si sdraiò al suo fianco col cuore che batteva all’impazzata e sperò che la principessina fosse ancora abbastanza ubriaca da non farci caso, la ragazza posò la testa sul suo petto mentre lui la cingeva con le braccia, posò una mano sul capo di lei e cominciò ad accarezzarle i capelli.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, avrebbe voluto sapersi districare in quel momento così assurdo e bellissimo al tempo stesso, ma tacque inspirando il suo profumo e stringendola come se tutto potesse svanire da un momento all’altro.
Si ritrovò a far qualsiasi cosa meno che prendere sonno, non aveva mai dormito con una ragazza in quel senso, c’era sempre stato di mezzo il sesso e spesso non bastava nemmeno quello per convincerlo a rimanere.
Ma poi qual era il senso di tutto ciò? C’era davvero? Cosa avrebbe dovuto fare l’indomani una volta sveglio?
Bellamy Blake tremava e fremeva mentre al suo fianco Clarke, avvinghiata a lui, finalmente cadeva in un sonno profondo e lontano dalle complicazioni.

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Capitolo 11
*** XI ***


Eccomi qui di nuovo, più o meno per tempo, giorno più, giorno meno...
Vi faccio solo una preghiera per questo capitolo: non tirate conclusioni affrettate e abbiate tanta fede in generale che con qusti due ce ne vuole ed in un certo senso è giusto così!
Per il resto vi ringrazio davvero di cuore, ogni volta che pubblico riesco a sentire l'affetto di ognuno di voi che perdete qualche minuto delle vostre vite a leggere, scrivere recensioni, inserire tra preferiti e quant'altro insomma siete un tesoro e sinceramente, essendo la prima cosa che scrivo, non mi aspettavo questo 'feedback'!
Per cui vi mando un bacio grande, spero che possiate apprezzare anche questo capitolo,
a prestissimo!
Chiara.


XI
 
(parte 1)
 
Il tepore della coperta le impediva di aprire gli occhi e tornare alla vita reale, aveva dormito un sonno profondo, niente sogni, nessuna interferenza con la sua mente affollata da ricordi dolorosi, rimorsi e paranoie, solo buio, un accogliente e rassicurante buio.
Ora però sentiva un cerchio alla testa e pian, piano mentre il dolore si faceva più acuto, realizzò di non ricordare praticamente nulla della sera scorsa: possibile che avesse bevuto così tanto da non riuscire ad aggrapparsi a nessuna frase, nessun gesto, nessuna immagine?
Provò a muovere una gamba, cercava di far svegliare il suo corpo insieme alla sua testa ma c’era qualcosa che non andava, sentiva un peso sopra essa, era come se fosse incastrata a qualcosa.
Si forzò ad aprire gli occhi, pochissima luce filtrava dalle serrande tirate giù quasi del tutto, la stanza era sostanzialmente avvolta nell’oscurità ma era sicura che il sole doveva essere sorto già da un pezzo, le sembrava di aver dormito per un tempo lunghissimo ed incalcolabile.
Ci mise un po’ a mettere a fuoco, la scrivania era in disordine, notò una massa di vestiti che non riusciva a distinguere sul piano del tavolo, per terra giacevano invece le sue scarpe e l’abito elegante che doveva essersi sfilata prima di addormentarsi… D’un tratto una domanda affiorò tra i suoi pensieri ancora confusi, non ricordava di aver tirato fuori indumenti dalla valigia, se il suo vestito era ai piedi del letto, di chi erano quelli che giacevano sulla scrivania? Cercò di strizzare un pochino gli occhi per mettere meglio a fuoco ed individuò la manica di una camicia da uomo, sentì contemporaneamente il suo petto esplodere.
Rivolse lo sguardo al suo corpo e si rese conto solo in quel momento di essere cinta da un braccio sulla vita, indossava solo una maglietta.
Aveva paura a voltarsi, se solo avesse potuto ricordare qualcosa, se solo avesse potuto fronteggiare la realtà in un modo più consapevole.
Chiuse nuovamente le palpebre e cercò di concentrarsi, ripercorse con la mente i frammenti che balenavano dell’assurda giornata precedente: il treno, l’arrivo, Bellamy e la sua cravatta, il viaggio in macchina con Jasper e Monty, la mano del più grande dei Blake alla quale si era aggrappata, la chiesa, l’abito di sua madre, il mare, un papillon, il sapore del prosecco e poi Finn.
Poi più nulla.
I suoi ricordi s’interrompevano su quei lineamenti familiari che non avrebbe mai dimenticato, gli occhi color cioccolata ed i capelli più lunghi dell’ultima volta che lo aveva visto.
Doveva voltarsi, doveva trovare il coraggio di capirci di più, di ricostruire i tasselli di un puzzle interrotto a metà.
Buttò fuori tutto il fiato che aveva trattenuto mentre ripercorreva quelle immagini sfocate e si girò sul fianco, doveva solo aprire gli occhi, la verità era ad un palmo da lei.
Aveva il terrore di trovarsi accanto un corpo che conosceva fin troppo bene, aveva paura di essere caduta in una trappola dalla quale difficilmente sarebbe potuta uscire senza ferirsi ulteriormente.
E se proprio Collins fosse stato accanto a lei cosa avrebbe potuto fare? Chi li aveva visti? Cosa avrebbe potuto pensare Bellamy?
Nuovamente alzò le palpebre, nuovamente si forzò maledettamente a farlo e tutte le domande che l’avevano assillata negli ultimi minuti persero senso in un millesimo di secondo.
Un cespuglio di ricci scomposti affondava nel cuscino al suo fianco, una miriade di lentiggini punteggiavano il naso e le gote, un’espressione beata giaceva sulle labbra socchiuse di Bellamy Blake.
Clarke riprese fiato e per pochi secondi un sorriso le sfiorò la bocca secca, per poi lasciare spazio a nuove domande alle quali non era sicura di voler trovare una risposta.
Cosa ci facevano le sue gambe nude incastrate a quelle del ragazzo?
Non voleva credere che la risposta fosse così banale eppure a cos’altro avrebbe potuto pensare?
Ogni ipotesi sfumava quando il suo sguardo si perdeva nel viso dormiente di lui ma riaffiorava insieme ad un’inquietudine difficile da scacciar via, perché reagiva così?
Avrebbe voluto ricordare quel momento, avrebbe dato qualsiasi cosa per riviverlo, per poterlo conservare probabilmente, per sentire il sapore delle sue labbra ed il peso del suo corpo su di lei.
Perché, era piuttosto ovvio, non c’era altro modo in cui potevano essere andate le cose e lei si era persa un momento che solo in quel momento capì di aver desiderato praticamente dalla prima volta che i loro sguardi si erano scontrati, nonostante tutto, al di là delle fottute prime impressioni.
Sentì gli occhi inumidirsi e s’irrigidì per evitare che le lacrime compissero il loro solito sentiero.
Bell dovette in qualche modo avvertire i movimenti della ragazza, dopo tutto nemmeno Clarke  aveva capito del tutto in che modo fossero incastrati l’un l’altra sotto la coperta troppo piccola per due che avevano condiviso, perché lui arricciò il naso e si lasciò sfuggire uno sbadiglio, si portò una mano sul viso e si stropicciò gli occhi che si spalancarono velocemente.
Istintivamente la biondina serrò i suoi, sperando che il ragazzo non avesse avuto il tempo di notarlo.
 
-
 
Ci mise un po’ a mettere a fuoco ma fu quasi certo di aver visto Clarke far finta di dormire ancora, le guance rosse ed il respiro poco regolare di lei confermarono il suo sospetto ma decise di non rovinare tutto subito.
Voleva godersi ancora un po’ quella vista, voleva vedere ancora la principessa da quella distanza sostanzialmente azzerata e sentire ancora per poco il calore dei loro corpi a contatto senza imbarazzo.
Sentiva un senso di pace e quiete dentro lui che non gli erano mai appartenuti, poter osservare indisturbato il viso di Clarke in quella penombra gli sembrava il modo migliore per iniziare la giornata, avrebbe voluto rimanere così per sempre, era certo che non si sarebbe mai stancato della perfezione dei suoi lineamenti avvolti dalla coperta stropicciata.
Non riuscì a frenarsi e con una mano tremante e dubbiosa accarezzò lievemente la pelle levigata del suo viso candido, non gli importava che lei fosse sveglia e potesse avvertire quel contatto, sorrise quando la vide contrarre i muscoli della mascella ed arrossire ulteriormente.
“Buongiorno.”
Sussurrò non appena aprì gli occhi.
La risposta di Clarke fu uno sguardo confuso e quasi intimorito da quel gesto, Bell sapeva che non era solo questo a spaventarla ma ritrasse velocemente la mano.
Conosceva bene la sensazione del post sbornia, sapeva che probabilmente ricordava poco e niente della sera scorsa e che ora mille domande frullavano nella sua testa ma in un certo senso era meglio così.
La giovane Griffin sembrava sul punto di dire qualcosa, aprì le labbra per poi però richiuderle in pochissimo tempo.
“E’ tutto okay.”
Cercò di incoraggiarla.
La ragazza si portò una mano alle tempie ma ancora non riuscì a dire nulla.
“Conosco qualche metodo per alleviare il mal di testa da sbronza.”
Lei si tirò su, badando bene che la coperta le coprisse la vita e le gambe, una volta seduta, annuì per poi scuotere la testa e passarsi  le dita distrattamente tra i capelli scompigliati dal cuscino.
“Io… non ricordo quasi nulla.” Lo disse con un tono di voce colpevole che trasudava ansia e bisogno di colmare qualche lacuna.
“Tranquilla… posso aiutarti a ricomporre i pezzi mancanti ma credo sia meglio mettere qualcosa sotto i denti prima.”
“Mhh. Solo che… Santo cielo mi sento un’idiota. Io e te, insomma perché…”
Si morse un labbro, non riuscì a concludere la frase, non sapeva minimamente come chiedere a Bellamy come fossero finiti su quel letto, insieme.
“Oh…” Bell scoppiò in una risata nervosa ma cercò di riprendersi
“Sei stata tu a chiedermi di farti compagnia, non riuscivi a dormire. Pensi davvero che avrei potuto anche solo minimamente pensare di far altro se non dormire con te?!”
Gli occhi sbarrati di Clarke lo lasciarono di sasso.
Aveva espresso nel modo peggiore qualunque cosa gli stesse passando per la testa e lei lo aveva frainteso alla grande.
“Allora, potresti uscire per favore?”
“Aspetta, io non volevo dir…”
“Mi devo cambiare, ho solo una maglietta addosso.”
Lo sapeva, ricordava bene il desiderio confuso che aveva provato quando per sbaglio aveva intravisto la sua pelle candida e svestita.
Deglutì e si scostò chinando il capo, non era così che si aspettava andassero le cose, non faceva altro che rovinare ogni momento che poteva anche solo fargli sfiorare una flebile felicità.
Si rimproverò, cosa doveva aspettarsi dopo tutto? Era ubriaca, triste e sostanzialmente sola, non gli aveva chiesto di rimanere per nessun altro motivo o fine, era normale che avesse bisogno di sentire qualcuno, qualsiasi persona, accanto. Si diede dello stupido anche solo per aver potuto sospettare minimamente che quella richiesta fosse motivata da altro. Dopo tutto Clarke Griffin era al di fuori della sua portata, viaggiavano su binari paralleli che non si sarebbero mai incontrati. La vita di lei era già tracciata, aveva degli scopi e degli obiettivi da perseguire e lo stava facendo con successo ed impegno. Lui invece faceva un lavoro scadente solo per mantenere in piedi una casa di cui doveva persino affittare una stanza, aveva smesso di avere sogni, di fare progetti da molto tempo.
“Sono di sotto.”
“Okay.”
 
Apparì qualche minuto dopo, indossava dei leggins e una felpa sopra la maglietta con la quale aveva dormito.
“Faccio un caffè, lo vuoi?”
Bellamy annuì.
“Prima hai detto che ti ricordi di ieri.”
La biondina lo colse impreparato, era stato talmente preso ad autocommiserarsi per aver frainteso il suo ambiguo e poco lucido comportamento che non aveva minimamente pensato a come poterle raccontare il teatrino che l’aveva vista protagonista.
“Si ma… non sono sicuro di essere la persona adatta a raccontarti tutto.”
“Voglio sapere di Finn, mia madre può anche andare al diavolo.”
Dunque il breakout era più lungo di quanto potesse sospettare, sospirò, perché le importava ancora così tanto di sapere cosa Collins aveva fatto o detto? No, non era la persona adatta, in quel momento, ripercorrendo i ricordi della sera antecedente si penti per non avergli mollato un destro sul naso. Allo stesso tempo si preoccupò, il vero fatto saliente della cerimonia non aveva decisamente riguardato quel pezzente, la scenata a sua madre era stata deleteria e avrebbe dovuto confrontarcisi prima o poi.
“Non c’è molto da dire su di lui.”
“Si da il caso che il mio vuoto inizi proprio dal momento in cui mi ha rivolto la parola…”
“E’ venuto a salutarti, credo” Bell non aveva assistito all’intera conversazione ma grazie al cielo era arrivato in tempo per allontanarlo quando la sua sfrontatezza aveva superato ogni limite. “Non so bene cosa vi siate detti, ero lontano in quel momento, quando mi sono avvicinato ti stava dicendo qualcosa sul fatto che non sei cambiata ed è per questo che gli piaci o qualcosa del genere... e poi…”
“E poi?”
“E poi gli ho detto di togliersi di mezzo.”
“Avrei potuto benissimo farlo sola.”
“Lo so e ti ho chiesto scusa per questo, in riva al mare.”
Aggrottò le sopracciglia di fronte a quei nuovi dettagli.
“Quanto ho bevuto?”
“Un bel po’ per i tuoi standard.”
Lei lo fulminò con lo sguardo.
“Che c’è? Ho semplicemente notato che non reggi particolarmente bene l’alcol.”
“E poi basta?”
“Non proprio.”
Alzò un sopracciglio ed il ragazzo sospirò. Dovette raccontarle il resto, di Finn che si era di nuovo intromesso anche se ancora una volta non sapeva bene cosa avesse detto, di sua madre che l’aveva vista brilla e si era alterata e della sua catastrofica quanto sincera reazione.
 
-
 
Un miscuglio di emozioni contrastanti vorticavano nella mente di Clarke. La verità era anni luce lontana da come aveva provato a figurarsela su tutti i fronti.
In primo luogo lei e Bellamy a quanto pare avevano solo dormito insieme, anzi quando il ragazzo le aveva fatto capire che non avrebbe mai avuto intenzioni diverse per quanto la frase forse avesse dovuto essere contestualizzata, la bionda sentì un vuoto nel petto che la fece chiudere a riccio inevitabilmente. 
Si arrabbiò profondamente con se stessa, odiava sentirsi così suscettibile soprattutto se si trattava di sentimenti sui quali non si era ancora voluta interrogare. Non aveva mai pensato coscientemente a Bell come ad un qualcuno di diverso dal suo coinquilino ma adesso non riusciva ad ignorare le sensazioni provate finora che le mandavano messaggi piuttosto chiari.
In ogni momento da quando aveva messo piede a Boston Bellamy c’era stato, inizialmente come una specie di avversario con il quale era iniziata una sorta di competizione, poi  come un confidente, nel giro di poco era diventato addirittura un sostegno e in quella fredda mattinata Clarke aveva persino sospettato e desiderato che tra i due ci fosse stato qualcosa di più di un semplice sguardo confuso. Tutte le volte che per sbaglio o in situazioni particolari aveva avuto un contatto fisico con lui aveva sentito un brivido, una scintilla accendersi e scaldarle l’intero corpo. Lo guardò mentre affondava il capo nella tazza di caffè e capì che forse quel ragazzo era diventato in men che non si dica qualcosa di esageratamente più importante di un semplice coinquilino, non gli aveva mai chiesto molto ma lui c’era sempre stato, senza fare domande, senza farsi problemi e senza giudicarla mai.
Non aveva provato più nulla da quando aveva lasciato Finn, non si era posta il problema, aveva avuto qualche avventura ma niente di più, voleva sentirsi libera, si era detta ma a quanto pare le cose non erano andate così, non aveva messo in conto le responsabilità, le complicazioni, le sofferenze che l’avevano sopraffatta nell’arco di pochi mesi  tuttavia quando il maggiore dei Blake era nei dintorni si sentiva confidente, diversa, più forte.
Ma no, non avrebbe detto nulla perché a quanto pare era l’unica a vederla così e quel ragazzo si era infilato nel suo letto perché una poco lucida Clarke Griffin glielo aveva chiesto, aveva gridato un aiuto e lui si era precipitato probabilmente per semplice pena.
Non voleva più soffrire. Non voleva più elemosinare aiuto o commiserazione e avrebbe dovuto far fronte al gran pasticcio che in pochi minuti e con l’aiuto di una bottiglia di spumante aveva creato.
Fu lieta di ricordare che sua madre non sarebbe tornata prima di due settimane ed allo stesso tempo decise che il suo tempo a New York era scaduto.
“Vorrei tornare in serata, se non ti dispiace”
Disse guardando fuori dall’ampia finestra, restare lì avrebbe voluto dire dover fronteggiare situazioni e persone e non si sentiva pronta.
Jasper o Monty le avrebbero sicuramente chiesto come si sentiva, cosa era accaduta e lei non aveva una risposta pronta.
“Figurati.”
“Mi dispiace.”
Bell le rivolse uno sguardo perplesso.
“Tua sorella mi ha detto che ti avrebbe fatto bene svagarti un po’ ma non ce la faccio, restare qui vuol dire affondare nel passato.”
“New York starà qui per sempre Clarke, non m’interessa.”
 
*
(Parte 2)
 
La prima cosa che aveva fatto una volta messo piedi di nuovo a Boston era stato mandare un messaggio a Raven chiedendole di vedersi per fare colazione il giorno seguente.
Era stato un gesto istintivo, voleva parlare con qualcuno in grado di capire alcune dinamiche, soprattutto quelle relative a Finn ma che allo stesso tempo non avesse quella confidenza tale da farle una predica o darle un consiglio di vita, non aveva bisogno di quelle stronzate, voleva solo un po’ di sincerità e schiettezza e si era resa conto che quella ragazza era decisamente la più adatta.
 
“Non mi sarei mai aspettata di vederci di nuovo sedute in un bar così presto.”
Clarke la guardò dubbiosa, a volte non capiva se la moretta la prendesse in giro o fosse seria.
“Te l’ho detto, non così presto. Ma non mi dispiace Clarke, non sono il tipo di persona contornata da amiche ventiquattro ore su ventiquattro e la possibilità di poter fare una chiacchierata a volte mi manca.”
“Ho pensato a te perché al matrimonio di mia madre ho incontrato Finn.”
Raven diede vita ad un’espressione colma di stupore
“Che diamine ci faceva lì?”
“Si occupava del catering a quanto pare…”
“E?”
“E ha cercato di parlarmi, di scusarsi, credo.”
“Credi?”
“Temo che la pressione mi abbia indotto a bere qualche bicchiere di troppo.”
“Cosa stai cercando di dirmi Griffin? Quello che fai con lui non mi riguarda.”
Disse sulla difensiva l’altra.
Clarke scosse la testa, la ragazza stava decisamente fraintendendo.
“Ferma Rav’ tra me e Finn non è successo nulla, né succederà mai nulla, ho già sofferto troppo gli ho già permesso di ferirmi e non capiterà nuovamente, non voglio più essere debole.”
“Quindi cosa hai fatto?”
“Me ne sono liberata, in realtà Bell mi ha aiutata… E credo di poter dire di essermi lasciata tutto alle spalle, sai forse era necessario rivederlo per capirlo definitivamente”
Un ghigno si dipinse sulle labbra della giovane Reyes.
“Che buffo, Blake sembra averla presa davvero a cuore questa cosa.”
Fece con un tono abbastanza ironico che incuriosì Clarke.
“Non riesco a seguirti, a che ti riferisci?”
“Bhè diciamo che ha provato ad aiutare anche me dopo la storia di Finn…”
La bionda aggrottò le sopracciglia, nonostante fosse sempre stata piuttosto sveglia e scaltra non riusciva, o forse non voleva, capire esattamente cosa Raven volesse dire.
“Davvero non hai capito?”
La ragazza scosse la testa.
“Come sei ingenua Griffin. Diciamo che io e Bell ci siamo frequentati per un periodo.”
“Cioè uscivate insieme tipo… una coppia?”
“No Clarke, decisamente no,  più che altro direi che ce ne stavamo rintanati sotto le lenzuola stando attenti a non farci scoprire da nessuno.”
Aprì la bocca inconsciamente mentre un dolore dal petto si diradava in tutte le direzioni lasciandola incapace di reagire, non riusciva a fermarlo in alcun modo.
“Dio che liberazione. E’ stato orribile non poterne parlare con nessuno ma dopo tutto avevamo fatto un patto e con tutti gli amici in comune che abbiamo è stato meglio così. Sono così contenta che tu sia fuori da tutto questo e sia soltanto la sua coinquilina, sono sicura che a te non farà storie anche se dovesse scoprire che ne sei a conoscenza.”
Clarke non rispose, non aveva ascoltato nemmeno una parola che velocemente era uscita dalla bocca dell’amica, era come se il suo udito fosse ostacolato, attorno a lei qualsiasi rumore, qualsiasi voce erano ovattati.
Se quello che sentiva era dovuto ai suoi stupidi sentimenti per Bellamy, avrebbe dovuto difendersi prima che fosse troppo tardi. Si sentiva strana anche solo a pensare che potesse sentirsi in quel modo per il più grande dei Blake… Come aveva potuto sfuggirle? Perché se n’era accorta solo adesso? Ma poi accorta di cosa? Poteva dirsi infatuata in base a che? Al fatto che avrebbe voluto ricordare qualcosa che nemmeno era accaduto durante una sera di confusione ed ubriachezza generale?
“Hei, va tutto bene?”
Raven le stava scuotendo una spalla e la guardava dritta negli occhi.
“S-si, è solo che, ho realizzato che è tardissimo, devo fare una miriade di cose.”
“Mmh. Non ti trattengo se devi andare, tranquilla, pensavo avessi la mattinata libera…”
“Già anche io.”
E si alzò rumorosamente per evitare che la mancanza di risposte chiare facesse sentire più pesantemente il suo eco.
“Ci sentiamo presto, te lo prometto.”
Ed in cuor suo Clarke avrebbe voluto non averla mai conosciuta. Con il suo sorriso limpido e sbarazzino ed i suoi occhi grandi e quasi a mandorla le sembrava solo una ragazza gentile e determinata al tempo stesso ma troppo bella e diversa da lei, non provava ribrezzo o astio nei suoi confronti eppure immaginarla affianco di Bell le dava delle terribili fitte allo stomaco. Uscì in fretta dalla caffetteria, annaspava e cercava disperatamente un po’ d’aria, aveva bisogno di non pensare e quindi di tenersi occupata, lo stesso Blake gliel’aveva detto che funzionava quasi sempre.
 
-
 
“Clarke dov’è?”
“Credo sia uscita presto, se ho capito bene si vedeva con Rav.”
“Grazie per esserti accorto della mia presenza”
Sbuffò Murphy mentre Octavia soffocava una risata.
“Idiota.”
“Buongiorno anche a te Bellamy.”
Il moro sbadigliò e si stiracchiò distrattamente mentre cercava di liberare i suoi pensieri dalla presenza di Clarke.
“Che ci fai da queste parti?”
“Non posso passarti a salutarti?”
“Oh bhè, se la metti così…”
“Devi raccontarci com’è andata! Dettagli inclusi”
Lo incalzò la sorella.
“Ti sbagliavi se pensavi davvero di poterci sfuggire.”
Fece il biondo.
“Direi che è stato un matrimonio in piena regola, un mucchio di gente sorridente, fiumi di alcol e la giusta dose di sceneggiate.”
Non aveva la minima voglia di rivivere quei momenti, non si sentiva pronto a descrivere il senso di protezione che aveva sentito nei confronti di Clarke, né di parlare della rabbia che gli aveva provocato la presenza di Finn e infine non avrebbe mai tirato fuori il ‘gran finale’ che aveva visto protagoniste la principessa e sua madre.
“Così noiosamente ordinario?”
Annuì cercando di sembrare il più convincente possibile.
“Ma quindi niente con la biondina?”
Bellamy li guardò di traverso e scrollò le spalle cercando di sembrare superiore all’argomento.
“O’, hai perso mi devi offrire una cena il prossimo weekend”
Disse Murphy soddisfatto.
“Non ci posso credere… ma quanti anni avete?”
“Eddai Bell, lasciaci divertire un pochino, non possiamo mica essere sempre seri e compiti”
La piccola Blake cercò di convincerlo ma con scarso risultato.
“Io devo andare a fare l’inventario al pub Jon’ che fai vieni con me?”
“Affermativo.”
 
Bellamy era sommerso da bottiglie vuote e schemi da riempire mentre Murphy seduto al bancone stringeva un cappuccino preso sulla via per arrivare.
“Capisco se non ne vuoi parlare ma so che c’è qualcosa sotto.”
Il moro alzò la testa e guardò nella sua direzione
“Cosa vuoi dire?”
“Sei più silenzioso e dunque pensieroso del solito, mi fai quasi preoccupare.”
Bell sbuffò.
“Non mi andava di parlarne davanti a mia sorella o non mi avrebbe mollato un attimo.”
“Quindi c’è qualcosa che non mi hai detto.”
“Senti lo sai che non sono bravo in queste cose… Lei è… diversa da qualunque ragazza abbia mai conosciuto.”
“Quindi ti piace?”
“Forse. Dio, non lo so. E’ strano perché fino a due mesi fa non riuscivo a sopportare la sua presenza e ora… non saprei, mi sento legato a lei in un modo che non saprei nemmeno descrivere.”
“Non capisco se non hai le idee chiare o non vuoi averle.”
“E’ difficile.”
“No… dovresti solo chiederle di uscire, dopotutto lei ti ha invitato ad un fottutissimo matrimonio.”
“Non ho bisogno di uscirci per…”
“Per?”
“Per capire com’è, so già com’è, cosa le passa per la testa, come si rapporta alle persone…”
“Va bene allora chiedile di sposarti.”
Bell scoppiò in una risata liberatoria, sapeva che Murphy era l’unico in grado di sortirgli quell’effetto, aveva pronunciato quella frase con una serietà tale che qualsiasi altra persona avrebbe pensato che stesse dicendo davvero una cosa simile.
“Potrei riconsiderare la storia dell’appuntamento.”
“Ecco, va meglio, alla fine vi siete sempre rapportati in situazioni poco intime no? Mi sembra che siate sempre contornati da qualcuno.”
Il biondo aveva in parte ragione, Bell però non riuscì a non pensare alla sera del matrimonio, i suoi muscoli si tesero per qualche secondo, avevano avuto la loro intimità, come la chiamava Murphy ma era stata sporcata da un annebbiamento invadente e mistificatorio.
 
Era pomeriggio inoltrato quando sul display apparve un messaggio di Clarke “ Non torno per cena a casa, non c’è bisogno che mi aspettiate svegli.” Diceva.
Ed il ragazzo s’incupì, non era sicuro di essere in grado di sopportare ancora per molto questi alti e bassi, questi isolamenti repentini che non gli permettevano di accertarsi che lei stesse bene.
Provò a chiamarla, il telefono era staccato.
Aprì il cassetto accanto alla cassa e tirò fuori un pacchetto di Camel Blu, Joseph le teneva come scorta per le emergenze, Bell aveva smesso di fumare anni prima ma non esitò ad uscire fuori munito di fiammiferi.
Non riusciva a trovare un modo migliore per darsi una calmata, aspirò il fumo aspettando che gli bruciasse dentro più di quanto non facesse il pensiero costante di Clarke.
 
-
 
Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi seduta in un ristorante francese, candele accese ed una bottiglia di Bordeaux ancora integra che le faceva venire la nausea solo guardandola.
Aveva agito d’istinto, aveva preso il suo cellulare scorrendo velocemente la rubrica, scegliendo l’unica persona che avrebbe dovuto ricordarle il passato ma che non era in grado di procurarle dolore.
Wells indossava un maglioncino beige e si stava accingendo a riempirle il calice.
“No, sto bene così se non ti dispiace.”
“Figurati.”
“Mi sarei vestita meglio se mi avessi detto che il piano era questo.”
Protestò senza troppa convinzione, aveva sempre parlato di pub e birre quando aveva avanzato forse troppo insistentemente le sue proposte e l’aveva colta di sorpresa con la scelta di quel ristorante.
“Ma va, stai benissimo Clarke.”
Non arrossì, accolse il complimento sforzando un sorriso e prese il menù con disinvoltura.
“Ti sei ripresa?”
Non c’era una vera risposta a quella domanda, non poteva riprendersi da un qualcosa che non ricordava nemmeno, tutto ciò che sapeva gliel’aveva detto Bellamy.
“Sì, mi dispiace non avrei dovuto.”
Non era vero.
“E’ normale, tranquilla, tua madre è stata abile a mascherare l’imbarazzo e le cose si sono normalizzate in poco tempo. Avrei voluto esserci per te, avrei voluto starti vicino come quando eravamo bambini.”
Lo disse senza guardarla negli occhi e arrossendo leggermente, Clarke sorrise intenerita, Wells sembrava ancora un ragazzino impacciato ed era proprio questo che la faceva sentire a suo agio, si sentiva padrona della situazione.
“Ci sei adesso.”
“Ti ho portato una cosa.”
Si voltò e da dietro la sedia tirò fuori una rosa rossa, incartata con della carta trasparente dalla quale pendeva una vecchia foto: c’erano due bambini che si tenevano per mano, lei biondissima e con due occhi grandi azzurri e spauriti, lui più alto, un sorriso sdentato ed i capelli riccissimi e nerissimi.
Di nuovo la ragazza sorrise, questa volta più spontaneamente.
“Non dovevi Wells.”
“Era il minimo. Volevo ricordarti che ci sono e ci sarò sempre, insomma ci sono sempre stato…”
Avrebbe voluto poter dire la stessa cosa ma non era così, lo aveva dimenticato velocemente quel ragazzino nella foto e adesso percepiva quanto quella serata avesse un senso così diverso per entrambi ma egoisticamente non le interessava.
Sapeva che per non farsi troppe domande era necessario far sì che fosse uno come il suo compagno di tirocinio a tempestarla, lo faceva sempre, era un chiacchierone e lei aveva bisogno di essere oppressa da parole per fare in modo che i suoi sentimenti, i suoi dubbi e sensi di colpa non l’assalissero, era una scelta tattica, una scelta fatta senza pensare agli altri o alle conseguenze ma solo per se stessa.
Mangiarono velocemente, mentre come previsto Wells la tempestò di chiacchiere più o meno futili e la sua mente per un po’ fu sgombra, vuota e in un certo senso serena.
 
Wells parcheggiò la sua macchina a qualche metro di distanza da casa Blake solo perché Clarke gli aveva chiesto di camminare.
Appena partiti dal ristorante dei timidi fiocchi si erano infranti sul parabrezza dell’auto e Clarke era stata come ipnotizzata, aveva sempre amato la neve con la sua capacità di sovrastare ed addolcire qualsiasi spigolo sulla quale si accumulava.
“Sei sicura? Fa un freddo cane, ha pure iniziato a nevicare.”
“E’ per questo, voglio godermi a pieno la prima nevicata dell’anno.”
Così il ragazzo non poté minimamente andare contro a tutta quell’enfasi che lo riportava ad un atteggiamento così dolce ed infantile.
Camminarono in silenzio ma non fu pesante od opprimente, incoraggiava anzi quella naturale ma quasi magica atmosfera che si verificava durante una nevicata, ogni rumore era attutito dal silenzioso cadere di quei fiocchi leggeri e gonfi.
Arrivarono troppo presto per i gusti di Wells a destinazione, Clarke stringeva il fiore tra le mani mentre lui la guardava sognante di fronte al vialetto dell’abitazione dei fratelli Blake.
“Sono stata bene, ci voleva una serata così.”
“A chi lo dici.”
La biondina sapeva che il ragazzo non aspettava altro, ne era stata cosciente sin dalla prima volta che coraggiosamente gli aveva chiesto di uscire, non era stupida, sapeva riconoscere il linguaggio del corpo e in qualche modo  sentiva un legame empatico con il vecchio amico eppure aveva deciso di approfittarne, aveva scelto la via più semplice.
 
-
 
Bellamy aveva passato la serata bivaccando sul divano, cambiando canale ogni venti minuti circa e affondando le sue inquietudini in una ciotola di popcorn che aveva accuratamente preparato nel forno microonde.
Sua sorella non era in casa, era di nuovo uscita con una scusa poco credibile, avrebbe passato ancora una nottata fuori casa facendogli credere chissà cosa.
Ma il maggiore dei Blake si era arreso, non aveva senso continuare a combattere quella crociata fatta di iperprotettività nei confronti di sua sorella quando quello ad essersi perso nei meandri di anni di problemi irrisolti e penosi era proprio lui, aveva passato così tanto tempo a preoccuparsi degli altri che aveva completamente dimenticato di praticare un po’ di amor proprio.
Eppure temeva che fosse troppo tardi mentre continuava nervosamente a cambiare canale senza trovare nulla che lo potesse far distrarre quanto bastasse.
Guardava l’orario sullo schermo del cellulare ticchettando le sue dita affusolate sul ginocchio, era sempre più tardi e di Clarke nemmeno l’ombra, un magone gli attanagliò lo stomaco e per quanto cercasse d’ignorarlo, non c’era davvero nulla che potesse fare per impedire ai suoi pensieri di correre alla principessa.
Gli era stato così vicino che ora sentirla così lontana, non poter sapere cosa stesse facendo o con chi stesse passando la sua serata, lo corrodeva dentro ma la verità era che non aveva alcun diritto di conoscere quei dettagli.
Si trascinò nella sua camera poco dopo la mezzanotte e fu attirato alla finestra da quel caratteristico silenzio che aveva avvolto l’intero isolato, come un bambino curioso appiccicò il suo naso al vetro freddo, il suo alito che sbatteva contro il materiale appannandolo a scatti regolari ma a Bellamy non interessava mentre si perdeva nella danza che quei fiocchi di neve compivano in totale armonia col resto del panorama, con una leggiadria lontana dalla concezione umana del termine.
Solo dopo qualche minuto si rese conto che sulla strada apparentemente vuota erano apparse due figure, ci mise pochissimo a riconoscere la chioma bionda di Clarke ed altrettanto a rendersi conto che era accompagnata da Wells, una leggera tachicardia si affacciò nel suo petto mentre mille domande facevano capolino nella sua testa.
Si sentiva un intruso ma non riusciva a staccarsi dalla finestra, con gli occhi percorse ogni movimento fino al cancello del vialetto per entrare in casa.
Li vide parlare, una leggera condensa usciva fuori dalle loro bocche, poi riconobbe quell’inconfondibile movimento tentennante che ogni uomo faceva prima di provare a baciare le labbra di qualcuno. Vide il capo di Wells avvicinarsi e chinarsi pericolosamente su quello della ragazza e chiuse gli occhi.
Non poteva essere.
Era davvero troppo tardi.
Quando nuovamente decise di tirare su prima una e poi l’altra palpebra, nell’esatto punto in cui alcuni istanti prima c’erano i corpi tremanti dei due ragazzi, non era rimasta nemmeno l’ombra delle loro presenze.
Sentì la porta aprirsi delicatamente.
In un frangente di secondo Bell sferrò un pugno contro l’armadio che si trovava di fianco a lui, caricò il colpo velocemente ma con vemenza, percepì i muscoli tesi, sentì ogni nocca infrangersi con potenza contro il legno di ciliegio, tutta la rabbia e la sofferenza che aveva accumulato dentro di sé zampillarono via come il sangue che colorò la sua mano destra che ora si portava lentamente al petto.
Non sentì dolore, non più di quanto ne avesse sentito mentre faceva da spettatore ad una scena alla quale non aveva avuto il coraggio di partecipare come protagonista.
Il maggiore dei Blake non sentì  più nulla mentre si accasciava sul letto disfatto, lo sguardo gelido fisso sul vetro, la sua apatia si legò velocemente alla danza, ormai frenetica, della neve che precipitava fuori dalla sua casa raggelando anche il suo cuore.

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Capitolo 12
*** XII ***



Ci sono, ci sono! Pronto per voi ho un nuovo capitolo sul quale ho rimuginato tantissimo e soprattutto a lungo, avevo delle idee in mente già molto prima di arrivare a questo punto della narrazione, vi spiego meglio.
Ho preso ispirazione da un film visto un annetto fa che ho trovato tenerissimo e molto carino, si chiama "Two night stand" con l'adorabile Miles Teller e la bellissima  Analeigh Tipton, in realtà mi sono servita solo di un espediente narrativo (a base di neve dato che "l'inverno sta arrivando" ahah) che mi sembrava più o meno simpatico da sviluppare in una situazione del tutto diversa, ora se per caso avete visto il film già potrete figurarvi un qualcosa altrimenti vi lascio all'effetto sorpresa e magari vi ho solo suggerito un titolo di un film leggero e dai toni super fluff da vedere
:)

Per il resto vi ringrazio immensamente, mi avete lasciato tantissime recensioni sull'ultimo capitolo, ed essendo una più bella dell'altra mi avete quasi fatto scendere una lacrimuccia!
Come ormai sapete, mi trovate qui, se volete dirmi cosa ne pensate, darmi un consiglio, fare una critica... leggervi mi fa sempre un piacere smisurato 

Un bacione,
vostra Chiara.



 



XII
 
I momenti dei saluti arrivarono velocemente e Clarke lesse nello sguardo di Wells un’intenzione particolare comunque velata ed imbarazzata ma ben riconoscibile. Cercò di mantenere la calma mentre il ragazzo le si avvicinava titubante, le labbra scure e carnose puntavano le sue ancora più pallide per il freddo.
Non era quello che voleva, non da lui e poi avrebbe portato solo maggiori complicazioni tuttavia allo stesso tempo non voleva ferirlo, le sembrava così fragile ed era stato così dolce nell’architettare nel modo più maniacale un perfetto appuntamento romantico, non mancava davvero nulla e quello sarebbe stato, senza alcun dubbio, l’adeguato epilogo.
Tutto si fece più semplice quando lui ormai ad una distanza più che ridotta chiuse i suoi occhi ed avanzò ancora, adesso un po’ più deciso e sicuro, oramai si trattava di istanti ma in pochi secondi, d’istinto, la bionda voltò il capo facendo sì che il bacio di Wells si stampasse direttamente sulla sua guancia.
Tirò un sospiro di sollievo, non era il tipo di persona pronta a concedersi così, non dopo una settimana come quella quantomeno, non ad un ragazzo che di base era il solo vero amico che aveva a Boston, non adesso che i suoi sentimenti confusi aleggiavano insistentemente nella sua testa.
Fu lieta di non doverlo guardare negli occhi, essendosi voltata per tempo riuscì ad evitarlo, non avrebbe sorretto la delusione stampata a caratteri cubitali nel suo sguardo e senza dire nulla, dopo quel lieve contatto, girò sui tacchi e si diresse senza voltarsi verso l’ingresso.
Tenne lo sguardo basso notando che la neve stava già attecchendo al terreno e che l’intensità della precipitazione si faceva man mano più abbondante, non che le importasse fare considerazioni metereologiche ma cercò di distrarsi per non pensare alla figura di Wells che sicuramente stava ancora alle sue spalle aspettando un colpo di scena o probabilmente torturandosi con le più svariate domande.
Non era colpa sua, qualunque ragazza avrebbe potuto trovarlo attraente, qualsiasi ragazza normale si sarebbe sciolta di fronte a quel classico romanticismo da far invidia alla più illustre commedia sul genere, solo non Clarke, lei non era fatta in quel modo, sceglieva la via più difficile, era sempre stato così e per quanto ne sapeva, le cose non sarebbero cambiate quella notte.
Le luci erano spente e un forte odore di popcorn aleggiava nella sala ma la biondissima Griffin non vi badò, non aveva la più pallida idea se ci fosse qualcuno sveglio anche se giurò di aver sentito uno strano rumore sordo provenire dalla camera di Bellamy ma decise di non impicciarsi, la serata era stata già abbastanza densa di eventi,  così corse verso la sua stanza.
 
Si spogliò velocemente guardandosi allo specchio e provando una strana sensazione, si sentiva così lontana dalla figura proiettata sul vetro riflettente, vedeva una giovane donna, un corpo sano e aitante tuttavia si sentiva così distante da quella visione.
Aveva infranto un cuore senza provi rimedio quella sera, senza preoccuparsi di trovare una soluzione ed era scappata prima che qualsiasi senso di colpa potesse assalirla.
Cercò di non pensarci, spegnendo la luce, i suoi piani erano andati in fumo pensò, mentre si lasciava avvolgere dal piumone.
Si era illusa di poter dimenticare facilmente quelle sensazioni provate per Bell solo accettando di uscire con il suo collega di tirocinio ma se poteva ancora riconoscere distintamente lo strano sapore che la bile le aveva procurato quando Raven le aveva rivelato l’entità del suo rapporto con il maggiore dei Blake probabilmente tutto quello non era servito a niente.
Cercò con tutta sé stessa di scansare quei pensieri ma le sembrò impossibile soprattutto perché in quel letto si sentì profondamente piccola, il materasso era ancora freddo e la ragazza era rannicchiata in posizione fetale, solo due notti prima senza che potesse davvero realizzarlo aveva dormito il sonno migliore della sua vita e anche se sarebbe stato difficile ammetterlo non era per via dell’alcol o della stanchezza, si era sentita protetta ci avrebbe scommesso, anche se non poteva cercare una conferma nei ricordi annebbiati, sapeva che quella richiesta spudorata e fin troppo trasparente non era stata formulata casualmente.
Adesso, sola nel silenzio più assoluto e nel buio profondo, sentiva disperatamente il bisogno di avere accanto il corpo forte e rassicurante di Bell, avrebbe voluto aggrapparsi alle sue spalle, ai suoi fianchi e non staccarvisi più, ripercorse mentalmente la percezione delle sue gambe intrecciate a quelle del ragazzo, rivide il suo profilo dormiente e si rese conto di aver provato qualcosa di molto simile alla felicità, nonostante tutto.
Ora un muro nemmeno troppo spesso li separava, chissà cosa passava nella mente di Bellamy Blake.
 
-
 
Si svegliò di soprassalto, nonostante il freddo percepì la fronte imperlata dal sudore, sentiva i capelli appiccicati alla testa.
Si alzò velocemente e senza badare a nulla attorno a lui, ancora semi incosciente e con gli occhi quasi chiusi, si precipitò in bagno, aprì l’acqua della doccia e vi si buttò sotto.
Si era svegliato senza riuscire a capire se stesse sognando o ripercorrendo semplicemente con la mente ciò a cui aveva dovuto assistere, era pervaso da un senso di nausea e non sapeva se i brividi che sentiva lungo la schiena erano dovuti a quello o al freddo che sembrava aver avvolto la casa intera.
Pian, piano sotto il getto bollente i suoi sensi si svegliarono ed i nervi si sciolsero. Respirò mentre il vetro della cabina si appannava e i suoi pensieri addensavano la testa. Una goccia di sapone finì sul dorso della mano con la quale ieri si era sfogato colpendo l’armadio e il ragazzo quasi soffocò un urlo secco, l’impatto con l’armadio non era stato delicato, lo sapeva bene ma ora portando il suo sguardo alla ferita s’impressionò, era molto più profonda di quanto avesse potuto immaginare, la sentiva pulsare proprio come il suo cuore dolente l’altra sera alla finestra. Digrignò i denti e cercò nuovamente di tranquillizzarsi appoggiando la schiena alle mattonelle fredde dietro di lui mentre sentiva quello strano contrasto tra l’acqua bollente e la ceramica gelida.
Decise che avrebbe passato la mattina in camera, sarebbe uscito solo quando avrebbe avuto la certezza che Clarke non fosse stata nei dintorni. Prima o poi sarebbe tornata al suo maledettissimo tirocinio, adesso che aveva un motivò in più per apprezzarlo probabilmente non avrebbe aspettato altro… Forse si lasciò sfuggire involontariamente una singola lacrima che si confuse rapidamente con le gocce d’acqua che rapidamente s’infrangevano sul suo corpo.
 
Fu rapido ad asciugarsi i capelli che gli si gonfiarono più del solito e cercò di correre velocemente  verso la cucina per prepararsi una scorta di caffè e poter resistere così al suo isolamento autoindotto e programmato al fine di evitare scontri diretti con la principessa.
Tuttavia sembrò che le cose dovessero complicarsi e basta, il suo telefono squillò ancor prima che potesse osservare la situazione con i propri occhi.
“Pronto?”
“Bell, per l’amor del cielo, stai bene? Sei a casa?”
“O’?! Si certo, sono qui ed è tutto okay perché?”
“Come perché!? Non ti sei ancora affacciato alla finestra? Accendi la tv, c’è un disastro! Boston è completamente bloccata, la nevicata di stanotte si è trasformata in una tempesta e non accenna a smettere.”
“Cosa? Ma tu dove sei?”
“Tranquillo io sto bene, sono a casa del mio… amico Lincoln.”
Bell reagì con un grugnito a quella pseudo confessione.
“Spero risolvano questa situazione di merda il prima possibile o…” Ed esaurì la frase in un ringhio esasperato.
“Sei sicuro che vada tutto bene? Per favore non farmi preoccupare, non sei solo vero? Clarke è con te?”
Sembrava davvero che i ruoli si fossero invertiti.
“Si O’, tutto sotto controllo e si, la principessa sul pisello è qui…”
“Smettila di chiamarla così dai… Comunque accendi la tv, se ci sono novità, ci aggiorniamo.”
“Già, buona idea.”
“Un bacio!”
“Ti prego, fai attenzione.”
La sentì sbuffare dall’altro lato della cornetta mentre riattaccava senza degnarlo di una vera e propria risposta.
Nel frattempo il maggiore dei Blake si era precipitato alla finestra dalla quale non si vedeva praticamente nulla, poté realizzare solo adesso che il vetro era quasi del tutto coperto da uno strato di coltre bianchissima, così corse alla porta e provò ad aprirla.
Nulla, era completamente bloccata, ostruita da solo Dio sapeva quanta neve.
I suoi piani stavano andando in frantumi, se nessuno dei due poteva uscire di casa, per chissà quanto tempo poi, evitare Clarke sarebbe diventata un’impresa ardua se non impossibile.
Allarmato accese il televisore proprio come Octavia gli aveva suggerito, su tutti i canali gridavano all’allarme naturale, era del tutto fuori luogo che una tempesta di neve di quel calibro si abbattesse su Boston proprio l’ultima notte di Novembre, i giornalisti accusavano il sindaco di non essere ancora pronto all’eventualità mentre nel frattempo si raccomandavano di restare in casa.
“E chi esce con la porta bloccata…” si ritrovò a pensare con tono polemico Bell. Sospirò mentre sentì i passi dell’unica altra persona presente in casa farsi più vicini.
 
-
 
“Hei!”
Bell le fece un cenno con la testa, non aggiunse altro, non la guardò nemmeno, era troppo occupato a scrutare il televisore.
Appena sveglia Clarke aveva subito notato l’abnorme quantità di neve che ricopriva tutto il vicinato, era rimasta cinque minuti buoni, a dirla tutta, a scrutare il panorama, lo trovava così rilassante, amava il modo in cui la neve addolciva ogni linea. Non si era stupita dunque nel sentire quelle notizie alla tv, lo stesso però non poteva dirsi per il giovane Blake che non solo sembrava ancora non farsene una ragione ma le appariva anche piuttosto infastidito.
“Perché sembri così turbato? Non succede spesso anche a Boston?”
Disse mentre lo osservava incuriosita da quella sua espressione così tesa e inquieta.
“Non a Novembre.”
Rispose secco.
“Tecnicamente oggi è Dicembre…”
Si morse la lingua, chiedendosi perché aveva quello stupido vizio di dover precisare qualsiasi cosa anche se ,stranamente, il pungente Blake non sembrò farci caso e scosse solo leggermente la testa, lei provò a mandare avanti la conversazione.
“Voglio dire, non sei contento che potrai startene una giornata in tranquillità senza il bisogno di dover prendere ferie o dar conto a qualcuno?”
“Non ho mica dieci anni… Sarebbe come i bambini che sono felici di saltare scuola, non mi appartiene.”
“Okay, scusa allora… Era solo per dire!”
Disse Clarke disturbata da quel suo modo di fare, non riusciva davvero a comprendere da dove venisse, sapeva che molte persone potevano essere definite meteoropatiche ma non aveva mai visto qualcuno reagire così male dinnanzi ad una nevicata…
Lo lasciò davanti la tv mentre dirigendosi verso l’angolo cottura si rese conto che il ragazzo non si era degnato di fare nemmeno il caffè, sentiva qualcosa di davvero strano nell’aria ma non era in grado di captarlo ed analizzarlo, non capiva come Bell in sole quarantotto ore potesse essere passato dall’essere la persona più premurosa del mondo, tanto da dormire con lei, all’essere così scontroso e quasi insopportabile. Forse Raven sarebbe stata in grado di capirlo, forse lei poteva essere capace a smussare questo lato del suo carattere, chissà com’erano insieme…
Il bollitore le cascò dalle mani per la distrazione che quel pensiero le aveva procurato ed il frastuono della plastica sul pavimento rimbombò tra le mura.
“Che diavolo principessa, potresti prestare attenzione?”
Lei lo guardò infastidita, qualunque cosa avesse non poteva farla ricadere su di lei come se fosse la responsabile di ogni suo problema.
Tuttavia non gli rispose mentre si chinò per raccogliere i componenti di quel maledetto bollitore, invece continuò a torturarsi mentre riprese la preparazione, quel ragazzo l’avrebbe fatta impazzire se avesse continuato così, si sentì esattamente come la prima volta che lo aveva visto.
Lui non sembrava minimamente interessato a  staccarsi un attimo dal televisore, era come se lei fosse invisibile ai suoi occhi, a meno che non sbagliasse qualcosa, allora il ragazzo aveva magicamente una risposta pronta ed acida da rifilarle.
Gli si avvicinò stringendo la tazza bollente e cercando di scaldarsi come poteva, sembrava che il gelo fosse penetrato da ogni singola fessura invadendo l’intera casa oltre che il rapporto tra i due.
“Cosa dicono?”
“Non hai sentito?”
“Ero distratta.”
“Pare che continuerà così fino a domani, è tutto bloccato, tutto chiuso.”
“O’ dorme ancora?”
“Octavia non è in casa.”
Forse era questo che infastidiva il giovane Blake allora.
Tant’è che con un gesto piuttosto furibondo il moro spense la televisione lasciandola lì da sola, davanti uno schermo vuoto.
Doveva essere così, era sicuramente arrabbiato con la sorella, probabilmente la poverina aveva dovuto vuotare il sacco e dirgli che se ne stava da Lincoln e Bell che per la prima volta non poteva correre da lei doveva aver reagito particolarmente male alla frustrazione che lo aveva assalito, fu la motivazione più plausibile e concreta a cui Clarke riuscì a pensare.
Eppure, nonostante quella teoria avesse senso non riuscì a fare a meno di continuare a pensarci, avrebbe voluto essere sicura di cosa fosse a far stare Bellamy in quel modo, pretendeva una conferma e senza pensarci molto decise di chiamare la più giovane dei Blake.
“Si?”
“Hei O’ sono Clarke, tutto okay?”
“Ciao! Si dai, passerà, ci siamo abituati, forse era un po’ troppo presto ma insomma… Voi tutto bene? E’ successo qualcosa?”
“No… volevo solo chiederti un parere.”
“Dimmi pure.”
“Hai sentito Bell stamattina, vero?”
“Si, mi sembrava strano, come arrabbiato per chissà cosa.”
“E’ perché gli hai detto dove sei?”
“Oh bhè, gliel’ho dovuto dire per forza di cose ma non si è scomposto più di tanto, l’ho sentito così da prima a dirla tutta…”
“Ah…”
“Perché?”
“L’ho notato anch’io, solo non ha voluto parlare, in realtà è stato davvero scontroso.”
“In ogni caso credo che tu sia l’unica in grado di poter stabilire un contatto umano con lui.”
“Non ne sarei così sicura.”
“Fidati.”
“Dai, non voglio ammorbarti, ci vediamo appena riusciranno a mettere in funzione qualche spazzaneve.”
Riagganciò e si rigirò il telefono per le mani, poi si alzò di scatto e cominciò a fare su e giù per la stanza, sentiva uno strano nervosismo crescerle dentro. Probabilmente provò ad odiarsi, o ad odiare Bell quanto meno, non voleva stare in quel modo per qualcuno, non voleva perdere la testa, non si sarebbe mai sentita tranquilla se non fosse stata certa di avere la situazione sotto controllo ed era evidente che le cose non stavano così.
 
-
 
Si ricordò che quando Clarke era appena arrivata in casa loro era proprio lei a sparire per ore nella sua camera, forse in quel modo sarebbe riuscito ad evitarla ancora per un po’. Certo, pensò che probabilmente la ragazza era portata a farlo perché di certo non l’ avevano accolta con dei festoni ed un tappeto rosso…
In realtà la colpa era stata la sua, era lui ad esser stato decisamente poco amichevole e adesso non riusciva a biasimare la ragazza per quella scelta, era logico che si sentisse a disagio.
Il punto è che le situazioni non erano poi paragonabili, all’epoca la principessina poteva sentirsi indesiderata eppure adesso quando se la ritrovava davanti non poteva fare a meno di ripercorre con la mente quella scena alla quale, per sbaglio, aveva assistito almeno fino al momento in cui non era diventata davvero troppo da sopportare.
Quando quella mattina la vide provò un senso di rabbia misto a profonda amarezza e fece di tutto per nascondere le sue insulse sensazioni ma gli risultò davvero complicato. La frustrazione non lo aiutava, aveva sempre provato un enorme sollievo nel parlare con Clarke ma adesso non poteva farlo perché avrebbe voluto dire far chiarezza sui sentimenti che la riguardavano. Sarebbe stato come ammettere di provare qualcosa per lei, peccato che il tempismo non era davvero il forte del maggiore dei Blake.
Ma per quanto ancora poteva rimanere chiuso lì dentro? Avrebbe dovuto resistere ma poi per dimostrare cosa? E soprattutto a chi?
 
Sentì bussare alla porta e sospirò, evidentemente porsi tutte quelle domande retoriche non stava servendo a niente.
“Che c’è?”
“Senti, ho capito che te ne vuoi stare per i fatti tuoi e che probabilmente sei in collera per tua sorella ma non ti avrei disturbato se non fosse piuttosto importante.”
Grugnì qualcosa, invitandola a venire al dunque, non gli andava giù che avesse tirato in mezzo sua sorella, stranamente, per una volta, non si trattava di lei.
“Ti sei accorto stamattina che i riscaldamenti non funzionano?”
Il ragazzo sembrò come svegliarsi da un sonno profondo
“Cosa?”
“Sì, stavo congelando sotto e così mi sono appoggiata al termosifone che è completamente freddo.”
“Arrivo.”
Presero una torcia nel cassetto della cucina e si recarono nel seminterrato per vedere che problemi avesse la caldaia, provò un leggero divertimento quando vide Clarke stupita dallo scoprire che in casa ci fosse persino un seminterrato.
Era buio, la lampadina era fulminata da una vita e Bellamy aveva sempre rimandato l’ipotetica e semplice sostituzione.
“Tienimi la torcia ok?”
“Mh-mh.”
Bell aprì la caldaia mentre la ragazza teneva alta la luce per permettergli di vedere meglio, c’era un umidità pazzesca che entrava fino in fondo alle ossa e il gelo non migliorava la situazione.
Dopo qualche minuto il ragazzo fece sbuffando
“Siamo fottuti, la caldaia sembra apposto dev’essere stato un guasto dovuto alla tempesta, forse qualche tubatura esterna…”
La ragazza abbasso leggermente la lampada a pile e puntò la luce sulla mano del maggiore dei Blake che se ne stava ancora appoggiata sulla scatola nera.
“Dio, Bell ma che hai combinato con quella mano?”
 E fu preso alla sprovvista da quella domanda, non poteva certo dire che di sua spontanea volontà aveva sferrato un pugno contro l’armadio senza pensarci due volte.
“Ehm. Ieri sera ho sbattuto accidentalmente la mano contro l’armadio…”
Era troppo buio perché potesse intercettare qualsiasi tratto del suo viso o del suo corpo che potesse aiutarlo a capire cosa passava per la testa della principessa.
Passò poco ma dopo un silenzio forse troppo lungo, si sentì afferrare per un braccio, Clarke cominciò a camminare velocemente verso le scale che portavano al pianoterra.
 
“Avresti dovuto dirmelo ieri, idiota.”
“Non è niente di che…”
“Sinceramente non voglio proprio sapere cosa diavolo hai combinato per ridurti così, è decisamente profonda questa ferita e se non ci stai attento potrebbe infettarsi e metterci il triplo del tempo a cicatrizzarsi.”
Disse pragmatica, stavano seduti per terra, sul tappeto all’interno del bagno, Clarke aveva portato le ginocchia quasi al petto e appoggiata su una di queste analizzava attentamente la mano del maggiore dei Blake, mentre di lato aveva aperto, accanto a se, la cassetta del primo soccorso.
Aggrottò le sopracciglia e dichiarò la diagnosi finale
“Sei consapevole del fatto che ci sono delle schegge? Ma si può sapere che hai fatto?”
Lui sbuffò alzando le spalle
“Te l’ho già detto.”
“Passami le pinzette.”
La biondina si concentrò e cominciò ad estrarre le piccole schegge di legno dalla pelle viva del ragazzo che ogni tanto si faceva sfuggire qualche lamento ma che si perse, scordando per un attimo tutta la faccenda che lo aveva indotto a prendere a pugni il suo armadio, nel viso di Clarke, ancora una volta perfetto e capace di farlo sussultare, dimenticò il dolore per poco mentre percepiva ogni minimo contatto tra le loro mani.
Si dovette sforzare più del previsto per ignorare quelle fottute sensazioni.
La ragazza concluse il medicamento bendando meticolosamente l’ampia ferita.
Bellamy non aveva avuto possibilità di scelta e anche se in un primo momento ci aveva pensato, non riuscì a ringraziarla.
Semplicemente si alzò borbottando qualcosa che la bionda non capì subito e cominciò a camminare avanti ed indietro per smorzare quel nervosismo dovuto alla presenza di Clarke che non riusciva a scrollarsi di dosso ma anche per cercare una soluzione ed evitare di morire assiderati.
 
-
 
“E’ possibile che in casa non avete qualsiasi altra cosa per scaldarvi?”
“C’è un camino effettivamente.”
Quel giorno stava scoprendo un mucchio di cose che non aveva mai pensato quella casa potesse ospitare.
“Dove?”
“In camera di O’ ma non lo accendiamo da quando è morta Aurora, più che altro poi l’odore di fumo non si leva più dai vestiti, dalle pareti e soprattutto dalle coperte.”
Clarke realizzò che non era mai entrata nella camera della ragazza.
“Mh. Sì però proviamoci! La casa è completamente sotterrata dalla neve, già si muore di freddo, stasera non voglio immaginare come sarà.”
“Forse c’è della legna nel seminterrato, vado a controllare.”
“Ti serve una mano?”
Scosse il capo.
“Me la cavo solo.”
Clarke annuì fissando il pavimento e sfregandosi le spalle con le braccia che teneva incrociate al petto, il freddo non la aiutava ed i suoi pensieri non erano diminuiti nell’arco della mattinata, si chiedeva ancora per quale assurdo motivo Bell le riservasse un atteggiamento così distaccato e poco amichevole.
Quando poco prima gli aveva medicato la ferita lo aveva fatto perché si era preoccupata, perché a modo suo, seppur per una piccola cosa, non voleva vederlo soffrire, ancora una volta la sua reazione non le era sembrata affatto positiva.
Per quanto fino a quel momento avesse provato a reagire, a tener testa a quella sua ‘nuova’ attitudine, cominciò a sentirsi scoraggiata era come se lui la stesse respingendo ancor prima che lei potesse anche solo pensare di farsi avanti in qualsiasi modo.
 
Bell riapparse con una cassetta piena di legna, aveva un’espressione soddisfatta in volto ma non del tutto rilassata o compiaciuta.
“E’ davvero secca, non so da quanto tempo è lì.”
“Poco male.”
Entrarono nella camera di Octavia, era decisamente diversa dalle altre, aveva carattere, le pareti lilla si intonavano più o meno a qualunque oggetto od accessorio presente nel luogo, coperte, tende, cornici, oggettini… Nulla sembrava lasciato al caso e vigeva un ordine che la ragazza non avrebbe mai potuto sospettare.
Il camino era piuttosto grande e se ne stava sulla parete destra rispetto alla porta d’ingresso, proprio ai piedi dello spazioso letto che occupava gran parte dello spazio.
Senza chiedere il permesso al maggiore dei Blake, Clarke cominciò ad ispezionare i pezzetti di legna cercandone qualcuno adatto per l’accensione del fuoco.
 
Bellamy la guardò stupefatto quando circa dieci minuti dopo il fuoco illuminava la camera animandola con il suo caratteristico strepitio.
“Dio, c’è qualcosa che non sai fare Griffin?”
Disse il ragazzo quasi infastidito.
La ragazza lo guardò spazientita, in altre occasioni non si sarebbe mai e poi mai offesa o alterata per una frase del genere ma lui la stava stuzzicando da tutta la mattina e la sua comprensività era totalmente esaurita.
“Vorrei tanto capire cosa diamine ti prende oggi… Dimmi se ti ho fatto qualcosa ti prego perché mi sto sforzando ma non riesco a capire a cosa è dovuto questo trattamento speciale.
La luce del camino che colpiva lateralmente il volto del ragazzo le permise di osservare ogni singolo dettaglio, vide pian piano la fronte corrugarsi, gli occhi ridursi a fessure, stringeva i denti e per un attimo la ragazza si chiese se avesse fatto la cosa giusta a sbottare in quel modo, senza nemmeno un po’ di preavviso.
“Perché non ti sei fatta accompagnare da Wells al matrimonio?”
Lo disse con un tono secco e grave, sentiva la gola bruciare e non capiva se fosse solo la rabbia o si stesse effettivamente raffreddando.
Clarke lo guardò spaesata, cosa andava dicendo? Non riusciva minimamente a comprendere che senso avesse quella domanda.
“Non fare la finta tonta, vi ho visti ieri sera, almeno mi avresti risparmiato la seccatura.”
Clarke rimase a bocca aperta, sembrava un’altra persona, era totalmente diverso anche nei lineamenti che adesso apparivano severi e ruvidi ma è pur vero che lei non era il tipo di persona che se ne sarebbe stata lì a soccombere.
“Hai toccato il fondo Bell, sai benissimo che nessuno ti ha costretto, avevo semplicemente bisogno di un amico e mi sembravi la persona più adatta, dato quello che abbiamo condiviso.”
“Ah si? E cosa abbiamo condiviso precisamente, sentiamo? Qualche melenso sfogo post-adolescenziale ecco cosa, se non fosse che non siamo in grado ad autocensurarci o di elaborare i nostri problemi come due persone normali, io e te saremmo solo  semplici coinquilini.”
Clarke sentì il respiro farsi sempre più corto, era come se avesse corso per dieci chilometri senza mai fermarsi, ogni parola di Bell, le accorciava il fiato provocandole un’immensa fitta tra le costole.
Perché stava dicendo quelle cose? Cosa voleva insinuare, non erano solo semplici coinquilini dopo tutto?
Respirò avvertendo l’odore dell’aria affumicata.
Cercò di recuperare il controllo e sferrò l’ultimo attacco lentamente, soppesando ogni sillaba.
“Non venirmi a fare la predica su Wells… Quando mi avresti detto che Raven non ci faceva pagare perché te la portavi a letto?”
Lui la guardò con diffidenza.
“Non ti riguarda.”
Sibilò.
“Come a te non riguarda la faccenda di Wells, che per la cronaca, dato che sembra interessarti così tanto, ho respinto ieri sera, se solo fossi stato più attento ed avessi avuto con te un binocolo.”
 
-
 
La fissò esterrefatto, appoggiando con fare arrendevole le spalle allo stipite del letto, cosa voleva dire che lo aveva respinto? Possibile che era accaduto tutto questo nel momento in cui ormai nauseato si era coperto gli occhi come uno sciocco vigliacco? E se tra loro non era successo nulla, il suo comportamento non aveva scuse, non che agli occhi di lei ne avesse in ogni caso.
Si prese la testa tra le mani, noncurante del fatto che probabilmente Clarke stesse lì ad osservarlo, come poteva giustificarsi, non era così evidente ormai?
Avrebbe voluto immaginarlo in maniera diversa, non aveva mai avuto realmente bisogno di dichiararsi a qualcuno ma questa situazione era qualcosa di patetico. Eppure anche lei aveva tirato la storia di Raven, sapeva che prima o poi sarebbe venuta a galla ma non pensava così, perché alla principessa interessava tanto?
Calò un silenzio imbarazzante tra i due che se ne stavano ai lati opposti e cercavano conforto nella fiamma del fuoco che ardeva rumorosamente tanto quanto i loro sentimenti usciti fuori allo scoperto senza che nemmeno avessero il tempo di comprenderlo pienamente.
“Vado a preparare qualcosa da mangiare, hai qualche idea?”
Il ragazzo cercò di spezzare quell’atmosfera angusta.
Parlò come se nulla fosse, ma fu tradito da un tono incerto e tremolante.
Clarke rispose senza guardarlo
“Non ho fame.”
“Nemmeno io.”
“Perché?”
Lui alzò lo sguardo che puntò dritto nelle iridi di lei, era una domanda lecita.
“Come ci siamo arrivati?”
Continuò la giovane che adesso sembrava piuttosto sconvolta.
“Io non volevo, non so cosa mi è preso…”
Sapeva di non essere del tutto sincero, non era difficile comprendere che era stato accecato da una poco motivabile e cieca gelosia.
La vide tremare e stringersi ancora, più di quanto non avesse già fatto fino a quel momento.
Gli si catapultò affianco, prese le mani esili di lei tra le sue e le sfregò, erano gelide e pallide proprio come il marmo.
Solo poco dopo si rese conto che le distanze tra loro si erano praticamente azzerate, complice probabilmente il freddo, e la collera che si era dissipata furiosamente lasciando spazio solo a parole dette a mezza bocca e una sorta di tenerezza di fondo, di apprensione, di voglia di comprendersi forse e finalmente.
“Scusa.”
Disse lei mordendosi un labbro e cercando con lo sguardo il suo.
Bellamy si specchiò come già aveva fatto altre mille volte in quegli occhi enormi e limpidi come il cielo in una giornata primaverile.
Non riuscì a rispondere, ipnotizzato da quella bellezza così pura, in grado di sovrastare qualsiasi cosa, in grado di stordirlo, capace di smuoverlo a tal punto da fargli perdere la testa.
“Ti prego, di qualcosa.”
Lo incalzò ma Bell rimase ancora qualche minuto a perdersi in lei.
Clarke abbassò allora il suo sguardo quasi intimorita da quella nuova ondata di silenzio.
Lui lasciò la presa sulle sue mani ma solo per afferrarle il volto e costringerla a rivolgergli nuovamente quello sguardo, del quale sentì tutto ad un tratto un disperato bisogno.
Era una presa forte e decisa, spogliata da tutte le incertezze e i dubbi che fino ad allora avevano accompagnato ogni gesto, parola e silenzio.
I suoi occhi indugiarono sulle sue labbra rosee più di quanto non si fossero mai permessi di fare, nonostante conoscesse il loro profilo a memoria ormai, sentì il cuore palpitare, poteva distinguere perfettamente ogni singolo battito.
Non volle farsi domande, aveva passato troppo tempo a farlo.
La distanza che li separava era ridicola eppure a Bellamy sembrava ancora incolmabile nonostante riuscisse a percepire su di lui il respiro lieve e sincopato di lei.
La presa sul suo volto si trasformò ben presto in un spasmodico bisogno di sentire ogni singolo lembo di pelle accaldata sotto i suoi polpastrelli.
E quella prossimità, quell’insistenza con cui cercava d’imprimere dentro di lui ogni dettaglio che delineava il viso di Clarke non poteva che fargli desiderare ancora di più quelle labbra adesso leggermente dischiuse.
 
Improvvisamente percepì che i centimetri che li separavano erano sempre meno,
ora le punte dei loro nasi si stavano toccando.
Millimetri.
Le loro labbra appena socchiuse, tremanti, erano quasi sul punto di sfiorarsi restando in quel limbo ancora per un po’, sarebbe potuto finire tutto da un momento all’altro se solo avessero voluto e forse ne sarebbero usciti ancora illesi, in preda alla tachicardia ma senza ferite.
 
Bellamy guardò un’ultima volta i suoi occhi, cercava una conferma, sarebbe bastato il più piccolo segnale e non si sarebbe più mosso facendosi scivolare addosso quel desiderio che stava diventando incontenibile, più avvertiva il contatto fugace con la carne pulsante della sua bocca meno riusciva a pensare lucidamente.
Eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire il sapore delle sue labbra, era pronto a farsi del male se anche fosse stato quello il rischio, l’avrebbe affrontato senza remore.
Clarke ricambiò velocemente quell’occhiata ma poi si abbandonò a lui chiudendo gli occhi e respirando pianissimo, era sicuro che le sue guance si fossero tinte del più bel tono di rosso scarlatto.
Sentì un brivido lungo la schiena ed anche le sue palpebre si serrarono.
Le loro labbra si sfiorarono con calma, si assaporarono, le mani finalmente affondarono sulla pelle candida di Clarke mentre sentiva quelle di lei aggrapparsi ai suoi capelli.
Stavolta perse il conto dei battiti del suo cuore ma poté percepire il sangue caldissimo ribollire e percorrere all’impazzata ogni vena pulsante sotto la sua pelle.
Lo spazio, i suoni, i pensieri… non c’era più nulla che potesse avvertire, solo il fuoco che continuava a scoppiettare accanto a loro, come loro ed un retrogusto prima acre e poi dolcissimo, come un melograno, era quello il sapore di Clarke.
 
Ora le due bocche si cercavano con prepotenza, una disperata e violenta prepotenza.

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Capitolo 13
*** XIII ***


Se volete insultarmi potete farlo, 
Sebbene non abbia mai dato una scadenza del tutto fissa agli aggiornamenti mi sento decisamente in ritardo e mi dispiace... è un periodaccio, pieno di cose da fare purtroppo 
:(
In ogni caso eccomi qui, vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare tanto ma alla fine ce l'ho fatta e dunque vi cedo con piacere questo nuovo capitolo ringraziandovi immensamente per tutto il vostro affetto e sostegno, sempre crescente e più caloroso, non potete immaginare la mia felicità!

Oggi non vi anticipo proprio nulla, spero solo vi piaccia e che sia degno di quello precedente... Non voglio assolutamente deludervi e mi auguro di riuscire al meglio in questa "missione".
Fatemi sapere come va la lettura,
un bacio ad ognuno di voi,
Chiara.

P.s.
Non voglio essere crudele o cosa ma molto probabilmente in questo periodo difficilmente riuscirò ad aggiornare prima di 10/15 giorni, spero possiate perdonarmi.



 


XIII
 
 
Gli aveva chiesto scusa ma per cosa poi? Perché aveva tirato fuori la storia di Raven?
L’aveva percepito subito dalla sua espressione preoccupata che c’era qualcosa che non andava, le aveva detto che non erano fatti suoi eppure sembrava davvero turbato, come se non avesse mai desiderato che lei venisse a saperlo.
Perché? Cosa cambiava?
Era la sua vita e lei non c’entrava, lei gli pagava solo uno stupido affitto dunque non aveva diritto di essere gelosa, perché non era stupida, di questo si trattava, non poteva certo mentire a se stessa, lo aveva fatto per troppo tempo, si era illusa di stare bene, di poter accettare Marcus in breve tempo, di poter far finta che il trasferimento a Boston fosse solo dovuto alle sue aspirazioni ma poi tutto era crollato, la maschera che si era costruita si era sgretolata in un attimo. Non poteva mentire di nuovo, poteva omettere dei dettagli agli altri, poteva tenersi tutto dentro ma con se stessa avrebbe dovuto iniziare ben presto a fare i conti.
Chiedere scusa era risultato naturale quando Bellamy le si era avvicinato così tanto da toglierle il respiro, quando in fretta aveva preso le sue mani e quel contatto le aveva donato un tepore che andava ben al di là della percezione fisica.
Ora però il moro se ne stava in silenzio e la guardava con un’intensità tale da lasciarla di stucco, era disarmante, si sentiva nuda sotto quello sguardo nero come la pece, profondo come l’abisso, tanto da non poterlo più sorreggere.
“Ti prego di qualcosa.”
Il tono era basso ma implorante mentre non osava incontrare ancora i suoi occhi, cercava disperatamente di trattenere la calma fissando le sue ginocchia pericolosamente vicine alle gambe incrociate di lui.
Poi sentì le mani di Bell interrompere il contatto con le sue e per un attimo pensò di non riuscire a sopravvivere a quel distacco, ne aveva bisogno, sentiva che ogni cellula del suo corpo chiedeva disperatamente di mantenere un contatto con lui.
Fu solo un istante perché la presa del maggiore dei Blake, quasi aggressiva si strinse attorno alle sue guance, obbligandola a tirare di nuovo su i suoi occhi e a posarli su di lui, non voleva perché sapeva di non essere in grado di poter resistere ancora a lungo.
Sentì il cuore in gola quando si rese conto di quanto fosse vicina al suo viso perfetto, se avesse voluto avrebbe potuto contare senza problemi le lentiggini che maculavano elegantemente il volto del ragazzo e per un minuto forse lo fece.
Venti.
Si fermò, no, non erano finite ma il viso di Bell si era avvicinato di più irrimediabilmente.
Percepì il contatto con il suo naso freddo.
Le loro labbra non erano mai state a quella distanza, pensò, sarebbe bastato il più piccolo movimento e si sarebbero toccate, sentiva il respiro affannato di Bell addosso e l’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era sentire quel fiato fondersi con il suo.
Bellamy la guardò come non aveva mai fatto, Clarke stava tremando ma non era più il freddo a provocarle la pelle d’oca.
Sostenne i suoi occhi ancora per un po’, sapeva che in quel momento stava rispondendo ad una domanda implicita, la leggeva perfettamente nelle iridi scure di lui.
Chiuse gli occhi.
Era un sì, lo avrebbe anche gridato se fosse stato necessario.
L’impatto con le labbra severe di Bellamy fu lento, sentì un sapore simile a quello delle rotelline di liquirizia che da piccola mangiava insieme a Jake.
Ma non c’era spazio adesso nella sua mente per rievocare quei ricordi, sentì tutto il corpo fremere a quel contatto, le loro bocche avevano preso a cercarsi ad assaporarsi, con le mani afferrò due ciuffi scompigliati dalla capigliatura ribelle del maggiore dei Blake.
Perse il senso del tempo e dello spazio mentre le loro labbra, le loro lingue diventavano un tutt’uno, quel baciò lasciò spazio anche ad un paio di sorrisi spontanei che automaticamente sorsero mentre uno dei due tentava di riprendere fiato velocemente, non potevano permettersi di perdere nemmeno un istante, si sentiva come se avesse sprecato tutto il suo tempo fino a quel momento.
 
Il suo rapporto con Bellamy era stato come contemplare un opera d’arte in un museo, dietro una teca di vetro, poteva analizzarla, guardarla a lungo, provare a donarle un significato ma senza toccare la tela, sentire sotto le proprie dita ogni pennellata, ogni grumo di tempera, ogni granello di polvere, non avrebbe mai realmente compreso l’entità di tale bellezza e maestosità.
Adesso la teca di vetro si era frantumata in mille pezzi e Clarke era tornata a sorridere, non aveva più paura di potersi far male con il vetro tagliente.
 
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Non seppe dire quanto durò, forse una manciata di minuti eppure continuava a sembrargli solo un attimo fugace che avrebbe potuto protrarsi anche per tutta la vita, probabilmente non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Si staccarono l’uno dall’altra lentamente, senza togliersi gli occhi di dosso, storditi dall’intensità che li aveva assaliti che forse gli aveva fatto perdere irrimediabilmente il controllo conducendoli su un punto di non ritorno.
Bellamy distinse due fossette sulle gote di Clarke, ancora arrossate.
Sorrideva e questo bastava.
Eppure non poté impedirsi di chiedersi che cosa sarebbe successo di lì a poco ma anche di lì a qualche giorno, temeva, lo sentiva nel suo cuore ancora tremante, che potesse essere stato solo un momento, che tutto potesse svanire in un secondo, forse già in quel frangente Clarke stava cambiando idea.
Tossì imbarazzato.
La ragazza guardava il fuoco per fuggire i suoi occhi.
“Clarke…”
Scandì il suo nome senza sapere bene come continuare, aveva paura che qualunque cosa avrebbe detto potesse rovinare tutto.
“Sai in realtà ho mentito prima.”
Non gli aveva dato il tempo di proseguire e adesso lo sguardo di Bell era smarrito.
“Prima… quando?”
“Quando ho detto di non avere fame.”
Lo stomaco del ragazzo borbottò come richiamato da quella parola, se le cose stavano davvero così la principessa non era stata l’unica ad aver detto il falso.
“Possiamo ancora rimediare.”
Si alzò prima ancora di aver finito la frase dirigendosi verso la cucina, sapeva che Clarke non lo avrebbe seguito, adesso avevano bisogno di assimilare quanto appena accaduto, da soli.
 
Si prese tutto il tempo per cucinare mentre rimuginava su quel bacio che nemmeno troppo inconsciamente aveva agognato.
Era come se avesse paura ad ammettere di stare maledettamente bene, non si era mai permesso dalla morte di sua madre di dirsi davvero felice, in realtà cercava solo di fare in modo che gli altri lo fossero, che sua sorella potesse continuare a fare una vita normale, degna di essere chiamata tale, ma lui no, Bellamy non si era mai concesso quel lusso, non ci aveva pensato nemmeno per pochi secondi.
Si, c’era stata Gina ed era stato vero quello che aveva sentito per lei, così tangibile da fargli provare anche un pizzico di dolore eppure con lei non aveva mai provato quel desiderio, quell’irrequietezza, quella voglia incontenibile di baciarla o di poterla avere per sé anche per un attimo, solo standole accanto, solo sfiorandole per sbaglio la pelle.
 
Tuttavia, nonostante il suo cuore sprizzasse felicità da ogni poro, nonostante ripensare a quel momento appena passato gli facesse sentire le farfalle nello stomaco e dimenticare la fame, il freddo e persino l’ansia per O’, Bellamy Blake non riusciva a smettere di tormentarsi, odiava non poter avere potere decisionale, non sopportava quel groppo in gola che i dubbi gli provocavano ed aveva una dannata paura di sentirsi così vulnerabile. Era abituato ad avere sempre tutto sotto il suo totale controllo ma con Clarke era diverso, imprevedibile ed era difficile approcciarsi a quella nuova sensazione d’instabilità che gli faceva accapponare la pelle.
 
 
Notò che Clarke aveva abilmente alimentato il fuoco che continuava ad essere l’unica fonte di calore mentre mangiavano in silenzio, senza permettersi di indugiare troppo l’uno sull’altra, avrebbe voluto dire qualcosa ma era convinto che qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca sarebbe risultata banale e fuori luogo, che gli succedeva?
Era sempre stato sicuro di sé soprattutto se si trattava di ragazze, aveva avuto le sue esperienze, le sue avventure, al liceo poi godeva di una popolarità spropositata, si era sempre chiesto da dove venisse tutto quell’attaccamento nei suoi confronti, non era il tipo che amava la compagnia, in realtà non aveva grandi difficoltà a sopportarle le persone… Eppure quasi come una punizione divina, chiunque lo prendeva a modello, era stato persino costretto a candidarsi come rappresentante del comitato studentesco, vincendo ovviamente.
E allora cos’era tutta questa insicurezza? Con Clarke si sentiva come un ragazzino alle prime armi, non sapeva dove mettere le mani, non sapeva nemmeno cosa dire per smorzare quella maledetta tensione, probabilmente avrebbe dovuto odiarsi.
“Sei andato sul classico eh?”
Esclamò ironica la ragazza poggiando con delicatezza il piatto ormai vuoto sul tappeto che li aveva ospitati sinora.
“Hai ragione, uova, pane e bacon non sono esattamente un piatto degno di una principessa.”
Clarke rispose con una faccia buffa che Bell non credeva decisamente far parte del suo repertorio espressivo, il suo viso sempre serio e quasi mai scomposto era indubbiamente la prima cosa che si notava della giovane Griffin.
Spostò la sua attenzione lontano da lei, ci provò quanto meno e questo bastò per fargli abbassare la guardia, in un attimo si ritrovò sovrastato dal corpo della ragazza che ridacchiando tentava di fargli il solletico.
Cominciò a ridere senza freni, sentiva le mani di lei insinuarsi giocosamente tra i suoi fianchi ed il contatto con il suo corpo lo fece ardere proprio come il fuoco accanto a loro.
“Ti avevo avvertito Blake, dovresti smetterla di chiamarmi in quel modo.”
Lo disse divertita mentre il ragazzo si contorceva continuando a riempire l’aria con la sua risata cristallina, il silenzio religioso, quel silenzio che è possibile ascoltare solo mentre fuori la neve continua a cadere leggiadramente, amplificava ogni singolo suono che usciva dalle loro bocche, di nuovo così vicine.
Cercò di riprendere fiato, aveva dimenticato quanto fosse faticoso ridere di gusto, contraendo l’addome, avvicinò il suo viso a quello di lei fermandosi solo quando ormai sarebbe bastato solo un altro lieve slancio per colmare i pochi centimetri ed azzerare di nuovo le distanze.
Come previsto la ragazza, presa alla sprovvista e quasi intimorita fermò le sue mani all’istante, Bellamy afferrò i suoi polsi con decisione e con agilità la bloccò, fu semplice, un movimento attento e studiato affinché nessuno dei due potesse farsi male ed il maggiore dei Blake si ritrovò al comando di quella lotta più che bizzarra che li vedeva protagonisti, ora le posizioni erano invertite.
 
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Bellamy era su di lei, poteva avvertire la pressione del suo corpo robusto e teso sul suo esile e in quel momento fragilissimo. L’aveva immobilizzata, le sue braccia ora erano a terra e le mani del ragazzo tenevano saldamente i suoi polsi incollati al parquet.
Clarke ansimava per lo sforzo tenendo fisso lo sguardo sul volto di Bell sul quale trionfava un ghigno vincente e soddisfatto, a quanto pare anche stavolta era stato lui ad avere la meglio.
Sentiva il respiro caldo e affaticato di lui addosso attrarla come una calamita.
Era sicura di non riuscire a mantenere quell’insensato autocontrollo ancora per molto.
Non fece in tempo a chiedersi se fosse giusto, allungò il collo permettendo alle loro labbra di incontrarsi di nuovo, era chiaro che entrambi aspettavano solo quello.
Fu nettamente diverso da prima, sentì la foga di Bell riversarsi nella sua bocca, fu un bacio aggressivo e capace di annebbiarle completamente la mente, tutto ciò che riusciva a percepire in quel momento era il desiderio crescente nei confronti di quelle labbra, di quel viso, di quel corpo che la premeva a terra con un vigore sconvolgente.
La pressione sui suoi polsi si alleggerì dopo poco permettendo alle sue mani, di nuovo libere, di avvinghiarsi ed esplorare il corpo fremente di Bellamy.
Sapeva che se fosse riuscita anche solo a mantenere la propria lucidità per qualche minuto in più avrebbe sicuramente esordito con qualche domanda simile ad un “Che stiamo facendo?”, non aveva la più pallida idea di cosa le fosse preso, era come se una parte sepolta in lei avesse preso il sopravvento donandole a quanto pare una maggiore sicurezza e liberandola quasi del tutto dai freni inibitori, per Bell invece non aveva scuse pronte eppure Clarke non si era mai sentita così desiderata da qualcuno.
Sentiva le mani ancora fredde di Bell farsi largo tra i suoi vestiti, aggrapparsi alla sua pelle, bastò quello a farle dimenticare tutto, non c’erano i melodrammi, l’astio e l’incomprensione che riguardavano sua madre, i dubbi che continuavano ad assalirla o la mancanza di suo padre, nulla se non lei e Bellamy e l’odore agrodolce dei loro corpi che ormai non riuscivano più a mantenere un’adeguata distanza di sicurezza.
Ciò che venne dopo fu confuso esattamente come quel sentimento crescente che non riusciva a smettere di provare nei confronti del maggiore dei Blake, d’un tratto ogni indumento che avevano indossato fino a pochi istanti prima, giaceva accanto a loro in un mucchio indistinto, disordinato, il ragazzo aveva afferrato la coperta che pendeva dal letto scaraventandola sui loro corpi nudi e ormai completamente imperlati dal sudore, erano rimasti a terra avvinghiati l’una all’altro, i loro respiri sempre più altisonanti riempivano il silenzio assordante che già da tempo si era impossessato della stanza.
Mentre Bell affondava il viso nel suo collo solleticandolo con le sue labbra estremamente umide e morbide, Clarke sospirò, fu diverso da tutti quelli che si era lasciata sfuggire finora a Boston, non era intriso di sofferenza e rimpianto, no, era come se insieme al suo fiato si fosse disperso nell’aria anche tutto quel senso di oppressione che nei giorni precedenti, nei mesi e  negli anni l’aveva resa prigioniera di sé stessa.
Clarke si sentì libera, libera di ricominciare a provare emozioni, di chiamarle con il loro nome, lasciò che le sue gambe cingessero i fianchi di Bellamy mentre le labbra del ragazzo erano arrivate velocemente al lobo del suo orecchio provocandole un brivido di piacere e facendo sussultare interamente il suo corpo che già da un po’ aderiva perfettamente a quello di lui.
Chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito.
Sentì la bocca del moro muoversi delicatamente e sussurrare in modo fin troppo apprensivo:
“Sei sicura?”
Avrebbe voluto ridere in risposta a quella domanda ma si proibì di farlo, non era mai stata così tanto sicura di qualcosa in vita sua.
Si morse il labbro inferiore ed annuì guardandolo dritto negli occhi, lasciando che le sue dita lo rassicurassero ancorandosi alla spina dorsale di quel ragazzo così diverso da chiunque altro, così simile a lei.
Fu delicato e violento al tempo stesso, lento e spasmodico, i loro corpi erano diventati un tutt’uno, le loro labbra si cercavano costantemente quasi avessero paura di perdersi, i loro fianchi si muovevano in una perfetta sintonia, le loro dita s’incrociavano, ogni singolo muscolo, ogni lembo di pelle aveva trovato esattamente il modo perfetto per intrinsecarsi, era come se fossero stati progettati per trovarsi.
Clarke si rese conto presto che probabilmente quella era la vera prima volta in cui faceva l’amore con qualcuno.
 
-
 
Non aveva mai provato nulla di simile prima d’ora, lo pensò mentre ormai giacevano sfatti e sudati avvolti solo da quella coperta che aveva avuto la premura di recuperare prima di perdere totalmente il controllo, di abbandonarsi incondizionatamente a Clarke.
Erano sdraiati su un fianco, le loro fronti quasi si toccavano, le loro gambe ancora intrecciate, il viso di Clarke era paonazzo, le pupille dilatate, i capelli scompigliati le ricadevano disordinatamente lungo la spalla nuda rimasta scoperta, era la creatura più bella che avesse mai visto, poteva dirlo con certezza, senza alcuna ombra di dubbio.
Non c’era più imbarazzo nei loro occhi incapaci di chiudersi, di abbandonare quella vista; alle loro spalle nel camino non c’era più legna infuocata, l’ultima cosa che aveva notato prima di perdersi nei meandri del corpo perfetto della giovane Griffin, solo brace ardente, sembrava che anche il fuoco li avesse emulati e non riuscì a nascondere un sorriso genuino.
“Che c’è?”
chiese lei con un filo di voce, incuriosita da quella reazione apparentemente immotivata.
“Nulla… è che il fuoco si è spento.”
“Non direi” Non si voltò per cercare conferma “Posso sentire perfettamente il rumore della brace che continua a consumarsi.”
“Esatto.”
“Non capisco.”
“Non devi sempre capire tutto, Clarke.”
Lei lo guardò interdetta e Bellamy le stampò un bacio sulla punta del naso, la ragazza era sul punto di dire qualcosa ma lui fu più veloce e posò un dito sulle sue labbra
“Non dire nulla.”
Allora sorrise e lui si ripromise di conservare quel momento nel suo cuore il più a lungo possibile mentre allargando le braccia le permetteva di accucciarsi accanto a lui, le apparve così piccola e fragile, la cinse in un abbraccio, cullandola dolcemente.
Solo allora Clarke sussurrò quasi impercettibilmente contro il suo petto
“Ho bisogno di te Bellamy Blake, non posso perdere anche te, non ora, promettilo.”
Bell la strinse più forte a sé, sapendo che quel gesto poteva valere più di una qualsiasi promessa fatta a voce.
Si addormentarono così, con i vestiti ancora accanto come un avviso inequivocabile di quanto fosse appena accaduto, avvolti in una vecchia coperta, consumati dai loro sentimenti esattamente com’era stato per la brace con il fuco alle loro spalle.
 
Sentì tossire in lontananza, credeva ancora di sognare e ci mise un po’ ad aprire gli occhi, una luce intensa avvolgeva la stanza ed un odore aspro di legna gli pizzicò subito il naso. Dalla finestra i raggi di sole brillavano cristallini e riflettendosi sul bianco della neve donavano all’ambiente una quiete ed uno splendore mozzafiato. Clarke era ancora lì accanto a lui, dormiva con un sorriso sereno stampato sul volto, avrebbe potuto abituarsi troppo facilmente a risvegli simili, si sentiva leggero e vivo.
Di nuovo fu distratto da un borbottare sommesso, non poteva essere la principessa ancora visibilmente assorta nei suoi sogni e così allungò il suo sguardo verso la porta dove due figure ostruivano il passaggio, strizzò leggermente gli occhi per mettere a fuoco: Octavia lo guardava con aria divertita mentre dietro di lei riconobbe il ragazzone della festa alla confraternita il cui viso era caratterizzato da un ben evidente imbarazzo.
Istintivamente si tirò la coperta sulle spalle, assicurandosi che anche Clarke fosse ben avvolta dal tessuto pesante.
“Okay, questo è qualcosa che non avrei mai pensato di vedere.”
Esclamò sua sorella squittendo acutamente.
Lui le lanciò un’occhiata esasperata ma complice
“Taci O’, Clarke sta ancora dormendo… Se mi aspettate in cucina e mi date il tempo di mettermi qualcosa addosso, arrivo in pochi minuti, promesso.”
Octavia sorrise e fece cenno a Lincoln di seguirla, chiudendosi la porta alle spalle.
Il ragazzo invece si prese ancora qualche minuto di tempo per osservare la sua principessa, aveva paura di dimenticare cosa volesse dire provare quella gioia che scorreva inarrestabile dentro di lui ma ben presto si rese conto di alimentarla incessantemente solo guardandola, le sue labbra si schiusero in un ghigno tenero.
Si infilò velocemente la maglietta che giaceva insieme a tutti i loro vestiti e lo stesso fece con i pantaloni, poi si chinò e piegò con cura i vestiti della ragazza, li impilò riponendoli al suo fianco, lasciando un bigliettino sul quale scrisse frettolosamente “Buongiorno principessa, sono in cucina, non siamo soli per cui non farti venire in mente strane idee.” Uscì solo dopo averle posato un bacio leggero sulla fronte.
 
“Ce l’hai fatta eh romanticone?”
Bell guardò la sorella di sbieco mentre la ragazza riempiva tre tazze di caffè appena fatto.
“Mi spieghi come siete finiti in camera mia?”
Dato che il ragazzo sembrava restio a parlare di sua spontanea volontà la più piccola dei Blake aveva optato per una sorta d’interrogatorio al quale Lincoln sembrava assistere senza voler attirare l’attenzione.
“Scusa O’, ti sei accorta del freddo?”
Lei lo guardò stralunata.
“Boston è stata bloccata per due giorni a causa di una tempesta di neve… cosa ti aspettavi un caldo caraibico?”
“Intendo non senti che dentro casa si congela quasi quanto fuori?”
“Oh ti assicuro che non è affatto così.”
Disse ridacchiando.
“In ogni caso i termosifoni sono andati.”
“Cosa?”
“Non so deve essere successo qualcosa… Forse delle tubature, la caldaia non sembrava danneggiata.”
“Ecco perché tu e Clake avete deciso di…”
“Non c’è bisogno che continui.”
Lo disse volgendo uno sguardo fuggente al ragazzone che stava accanto a Octavia, evidentemente anche Bellamy Blake aveva i suoi punti deboli ed era in grado di provare imbarazzo.
Cercò di riprendersi in fretta rivolgendosi all’altra presenza maschile.
“Grazie… ehm…”
“Lincoln”
Disse l’altro prontamente.
“Lincoln… Grazie per averla riportata a casa sana e salva.”
“Figurati, è stato un piacere.”
In un’altra situazione il giovane Blake avrebbe travisato quella frase ma era ancora troppo frastornato dalla notte appena passata per badare a quell’implicito apprezzamento che quel ragazzo aveva fatto su sua sorella, si limitò ad annuire impassibile, assottigliando leggermente le labbra.
“Credo sia arrivato il momento di togliere il disturbo…”
Disse in quel momento l’accompagnatore di O’
“Perché non rimani a pranzo invece?”
Ribatté lei senza cercare approvazione nello sguardo di Bell.
“Ma no…”
“Dovresti, invece.”
L’offerta di Bellamy fece sgranare gli occhioni acquamarina della sorellina mentre l’invitato gli sorrise quasi riconoscente per quell’atto di simil misericordia.
“Ho mandato un messaggio a Rav’, passa anche lei.”
Bell non capì il nesso.
“Scusa, perché dovrebbe?”
Fece leggermente allarmato.
“Per i termosifoni idiota, sai perfettamente che se la cava con qualsiasi cosa, almeno non dovremo chiamare e pagare fior fior di quattrini un idraulico, sarà divertente, una vedilo come una sorta di pranzo pre-natalizio tra amici…”
Non poteva darle torto e poi O’ era euforica, vederla così provocava un moto di serenità in Bell anche se, avrebbe preferito ricavarsi un momento solo per lui e Clarke, sapeva che non sarebbe finita lì, gli avrebbe chiesto di confrontarsi, la biondina non era il tipo da rendere tutto spontaneo o semplice, avrebbe voluto dei chiarimenti e forse, in parte, li voleva anche lui.
Era come essere stato catapultato in un sogno, era successo tutto in fretta, senza un senso apparente e nonostante dalle labbra di lei, la scorsa notte, fossero uscite parole ben chiare che gli erano rimaste impresse nel profondo del suo cuore, temeva con tutto se stesso che adesso Clarke potesse tornare sui suoi passi.
“Quindi tutte le strade sono nuovamente agibili?”
“Già… perché?”
Scosse la testa, evitare la presenza di Raven con loro quella mattina sarebbe stato impossibile.
 
-
 
Sentiva la gola terribilmente secca, tossì, l’aria era densa di fumo e le girava la testa, allungò la mano in cerca di quel corpo che era stato capace di accoglierla e farla allontanare anche solo per una notte da tutte le sue incertezze, da tutte le sue paure. Si rese conto presto di essere rimasta sola in quel giaciglio improvvisato.
Aprì gli occhi e si alzò di scatto. La coperta le scivolò di dosso lasciando che il suo busto nudo si scontrasse con l’aria fredda e frizzante della mattina.
Portò le ginocchia al petto e cercò di ricoprirsi.
Si guardò intorno spaesata ed indolenzita, non era stata una gran trovata quella di passare la notte per terra, avrebbero potuto benissimo spostarsi sul letto…
Solo in quel momento i ricordi si fecero più vividi, assalendola quasi violentemente e Clarke si ritrovò a sorridere, di certo la loro prima preoccupazione non era stata la comodità, non riuscì a biasimarsi, sentiva ancora ogni singola parte di lei elettrizzata, era una sensazione difficilmente descrivibile che non aveva mai provato prima.
I suoi occhi, dopo aver percorso il perimetro della stanza, arrivarono velocemente ai panni accanto a lei, naturale, stava congelando, nonostante dei timidi raggi di sole si infrangessero proprio sul parquet donandogli un leggero tepore.
Lesse il bigliettino sussurrando, non erano soli, chi poteva essere arrivato?
E da quanto?
Li avevano visti?
Cosa avrebbe dovuto dire a Bellamy?
Mille domande tempestarono il suo cervello impedendole di rilassare ogni nervo teso.
Si portò distrattamente gli indumenti al naso, erano impregnati dell’odore di Bellamy, dei loro corpi sudati.
Sorrise di nuovo, nonostante continuasse a cercare spiegazioni razionali, non riusciva a convincersi che fosse potuto accadere davvero invece doveva cercare di far ordine in quella situazione velocemente, se solo Bell fosse stato accanto a lei in quel momento.
Sentì il campanello suonare, accompagnato da un vociare in lontananza, e adesso chi era ancora?
Si vestì in fretta piuttosto scombussolata da quel risveglio solitario che non era stato affatto utile ad assimilare i sentimenti provati la scorsa notte che ancora sembravano galleggiarle nel petto.

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Capitolo 14
*** XIV ***


Splendori, eccomi di nuovo ad aggiornare.
Oggi vi lascio con un capitolo leggermente più breve ma denso di eventi che sconvolgeranno i miei ragazzi, Clarke in primis.
Se pensavate che le cose sarebbero state rose e fiori, vi sbagliavate di grosso eheh (non è cattiveria giuro, è solo la storia che avevo in mente ma spero che possiate apprezzare comunque qualche colpo di scena
:) )
In ogni caso come sempre preferisco lasciarvi alla lettura piuttosto che ammorbarvi, era solo giusto prepararvi un minimo all'entità del capitolo!
Come sempre vi ringrazio per tutto il vostro affetto, ognuno di voi a suo modo mi ha dato tantissimo, ogni vostra riflessione, commento, pensiero è stato fondamentale per lo sviluppo della storia e spero ancora di poterne leggere altri.
Un bacio,
vostra Chiara.


XIV
 
Fece un respiro profondo prima di uscire dalla stanza, sapeva che abbandonarla equivaleva a lasciarsi alle spalle tutto ciò che quelle mura avevano ospitato, in fondo non sapeva né quando, né dove e soprattutto se avrebbe mai ritrovato quei momenti od erano destinati a restare ricordi.
Ad ogni passo Clarke poteva sentire al meglio le voci che provenivano dal salone, ora riusciva persino a  distinguerle, riconobbe Bellamy ed Octavia per primi, si sentiva attirata dal calore che emanavano, dalla familiarità con la quale giungevano alle sue orecchie e affrettò il passo nonostante avesse paura, non sapeva esattamente come doveva comportarsi, né cosa avesse intenzione di fare il maggiore dei Blake.
Quando entrò nella stanza la prima ad accoglierla, saltandole al collo, senza darle il tempo di dire una parola, fu O’.
“Clarke! Tutto bene? Non sei morta assiderata vero?”
La ragazza rispose a quella stretta un po’ stupita, la giovane Blake non si era mai sbilanciata fino a quel punto, forse Bell le aveva detto qualcosa…
Fu allora che cercò di mettere a fuoco le altre figure che popolavano la stanza, accanto al posto dove poco prima sedeva Octavia, c’era un ragazzo possente, muscoloso e dallo sguardo enigmatico, doveva essere quel Lincoln di cui la ragazza non faceva altro che parlare.
Di fronte a lui sull’altro divano vide Bellamy, teneva lo sguardo fisso su un punto a vuoto e sembrava piuttosto nervoso, lo vedeva da come tamburellava le sue dita sul ginocchio.
Non era finita, vicino a lui, stretta in un maglioncino nero con un vertiginoso scollo a v c’era Raven, sembrava completamente a suo agio nonostante fosse così vicina al maggiore dei Blake, tanto quasi che le loro gambe avrebbero potuto sfiorarsi da un momento all’altro. No, Clarke non poté proprio fare a meno di notare quella vicinanza tra i due mostrata con così tanta disinvoltura e deglutì cercando velocemente di distogliere lo sguardo, sentì presto lo stomaco bruciare ma provò, sforzandosi immensamente, ad ignorare quella stupida sensazione.
“Hei, tutto bene?”
“Cos’… si certo.”
Disse con un tono poco convincente alla più piccola dei Blake.
Lincoln si alzò per presentarsi, non appena O’ lasciò libera la bionda.
“Piacere, sono Lincoln.”
“Oh, lo sospettavo, ho sentito molto parlare di te! Sono Clarke comunque.”
Disse cercando di sorridere a lui e di rimando ad Octavia che l’aveva fulminata quando si era lasciata sfuggire quel commento, la stretta di mano del ragazzone era decisa e forte in un modo profondamente rassicurante.
Fu in quell’istante che sentì un altro sguardo addosso, sapeva perfettamente che apparteneva a Bell, lo percepiva, si sentiva scrutata nel profondo eppure, nonostante fosse tutto quello che voleva, Clarke non ricambiò l’occhiata ma fece un cenno amichevole a Raven che le sorrise mostrandole la dentatura perfetta e smagliante.
Si lasciò cadere sulla poltrona che si trovava tra i due divani, incrociò le gambe, faceva ancora un freddo assurdo nonostante il sole avesse preso il suo posto nel cielo finalmente terso di Boston già da un bel po’ di ore.
“Io e Bellamy andiamo a dare un’occhiata alla caldaia e alle tubature, altre due braccia forti potrebbero far comodo, vuoi unirti Lincoln?”
Disse ferma Rav’ facendo rimbalzare lo sguardo dal moro che le sedeva accanto all’altro ragazzo di fronte a lei.
La risposta di lui fu affermativa e così i tre lasciarono la stanza in fretta, mentre Clarke confusa cercò di non prestare attenzione allo strano atteggiamento di Bell.
Non l’aveva degnata di uno sguardo, o meglio lo aveva fatto solo quando era sicuro che lei non potesse notarlo.
Perché?
Eppure lei aveva seguito un copione identico.
Non si era costruita delle aspettative, non aveva avuto il tempo, senza dubbio non immaginava così il risveglio, aveva escluso la possibilità di ritrovarsi sola in quella stanza che le era apparsa troppo grande e vuota, così come non aveva considerato minimamente la possibilità di inciampare in altre persone.
Era stata un’idiota.
Di solito la sua mente calcolatrice e pragmatica si preparava a qualsiasi evenienza, metteva in conto tutto ma stavolta era diverso.
Forse aveva sperato in un “Buongiorno principessa” sussurrato a mezza bocca nell’orecchio, aveva difficoltà ad ammetterlo ma una parte di lei ne era ben conscia.
Era stato come dimenticare tutto quella notte, i volti, i gesti, le voci, i problemi suoi e degli altri e adesso si stava maledicendo per essersi permessa di perdere il controllo di sé e della situazione in quel modo ma anche di essersi aperta a Bellamy, di essersi mostrata senza filtri, ricordava bene la strana dichiarazione che le era sfuggita poco dopo quel perfetto e fugace momento di intimità.
 
“Clarke? Sicura di stare bene?”
Octavia era appena arrivata con una tazza fumante, qualsiasi cosa ci fosse stata dentro sarebbe andata bene.
“Uhm, si… Sono solo un po’ infreddolita, tutto qui, davvero.”
La ragazza la guardò poco convinta ma cercò di assecondarla
“Già, appena Bell mi ha detto che i termosifoni non funzionavano, ho chiamato Raven è davvero una fortuna che sia riuscita a passare.”
Clarke annuì senza aggiungere molto e così la minore dei Blake cercò di mandare avanti la conversazione.
“Lincoln e Rav si fermano a pranzo, spero non ti dispiaccia, sai con tutta questa neve e il Natale che si avvicina mi faceva piacere passare del tempo in famiglia.”
Clarke sorrise sinceramente ma con una certa amarezza, famiglia aveva detto… Non avendo nessun altro, era chiaro che i Blake avessero costruito il loro concetto di famiglia sugli amici eppure non riusciva bene ad interpretare i ruoli, ovvio O’ e Bell erano fratelli, Raven era un’amica intima, forse troppo per qualcuno, mentre il ragazzone tutto muscoli era una presenza alla quale Bellamy volente o nolente si sarebbe dovuto abituare e sapeva che Octavia ce la stava mettendo tutta.
Ma lei cos’era?
Non un’amica, era piombata nelle loro vite non per questioni di empatia ma in modo casuale, scegliendo un annuncio tra i mille che aveva letto.
Non una conoscente, sia Bellamy che Octavia l’avevano messa al corrente di cose che probabilmente erano riusciti a condividere con pochissime altre persone ed era stato semplice e naturale proprio perché non avevano un legame profondo, sapevano che lei li avrebbe ascoltati senza riservargli alcun giudizio particolare, del resto anche lei aveva fatto la stessa identica cosa.
Ma Clarke non si sentiva parte di quella famiglia allargata decantata da Octavia, non sapeva nemmeno cosa sarebbe successo tra lei e Bell… Forse non voleva saperlo, sarebbe stato semplice in quel momento lasciarsi tutto alle spalle, magari si sarebbe impedita di soffrire o forse era ancora in tempo per non affezionarsi in modo irreversibile.
Poi ricordò il viso di Bellamy a pochi centimetri dal suo, poco prima che i loro corpi si accogliessero l’un l’altro, la sua espressione intensa, seria ed entusiasta al tempo stesso, le gote arrossate sotto le mille lentiggini che le tempestavano.
Era già troppo tardi.
Il solo pensiero le aveva procurato un incontenibile aumento dei battiti cardiaci.
 
-
 
“Hai ragione, la caldaia sembra apposto.”
Raven stava ponderando, nel buio e un po’ claustrofobico seminterrato, riuscì a notare le sue sopracciglia leggermente aggrottate e la sua espressione concentrata, volta a non lasciare nulla al caso. Lincoln se ne stava un po’ in disparte e a Bellamy non dispiaceva, era ormai inequivocabile che il ragazzo frequentasse sua sorella ma comunque avrebbe avuto bisogno di tempo per accettarlo nonostante gli sembrasse più affidabile di quanto non avesse il coraggio di ammettere.
“Dammi una mano.”
Bell guardò la ragazza in attesa di spiegazioni.
“I tubi sono proprio sopra le nostre teste, se riesci a prendermi sulle spalle dovrei arrivare a dare un’occhiata senza troppi problemi, Lincoln tu puoi chiedere a O’ di farti dare la cassetta degli attrezzi e una torcia in più?”
L’ultimo interpellato annuì e li lasciò soli, in cerca di ciò che aveva chiesto il meccanico tutto pepe che si stava improvvisando idraulico con una maestria impeccabile.
Bell si accucciò invece per permetterle di salire sulle sue spalle.
“Ci sei?”
“Mh-mh.”
Il ragazzo afferrò le gambe della mora che le penzolavano sui pettorali per assicurarsi che non cadesse, attento a non perdere l’equilibrio si sollevò lasciando a Rav’ il compito di capirci qualcosa.
“Quindi Clarke eh?”
Bell si sentì avvampare, sapeva perfettamente che non vi era stata alcuna fuga di notizie, da quando Raven era arrivata, erano stati insieme dunque non c’era modo che O’ si fosse lasciata sfuggire qualcosa senza che lui lo notasse. Non riusciva a credere che la ragazza avesse capito sola tutto quanto e fu grato che da quella posizione non potesse guardarlo in volto.
“Chi tace acconsente giusto?”
“Già, così dicono.”
Rispose frettolosamente, si sentiva a disagio, non gli piaceva venire allo scoperto, mostrarsi sensibile soprattutto la giovane Reyes non era la persona adatta a questo tipo di confidenze, il loro rapporto non era mai stato caratterizzato da una spiccata comunicazione.
“Non m’interessa Bell, te l’ho già detto non ho mai avuto alcuna pretesa su di te se è questo che ti fa sentire a disagio.”
“Non è questo, fidati… Più che altro come lo hai capito?”
“Grazie per la considerazione!” Fece lei con un finto tono offeso, rispondendo alla prima parte della sua frase e riprendendo il filo del discorso subito dopo “Ho avuto una conversazione con Clarke l’altro giorno che mi ha fatto sospettare qualcosa, mi è sfuggito qualche dettaglio di troppo su quello che c’è stato tra di noi e la sua reazione è stata difficilmente fraintendibile e poi… E’ piuttosto chiaro da come la guardi, da come ti preoccupi  quando è nei paraggi e stamattina… Le tue occhiate veloci ed impercettibili ed il tuo nervosismo ti hanno tradito… Se la tua intenzione era quella di non dare nell’occhio hai miseramente fallito.”
Raven era una brava osservatrice, era parte integrante del suo lavoro dopo tutto e probabilmente sarebbe stato strano se fosse stato il contrario.
Per quanto riguarda la velata gelosia di Clarke, l’aveva notata anche lui, persino poco prima la ragazza gli era sembrata leggermente infastidita dalla presenza di Rav, doveva parlarle, era così difficile cercare di capirla senza farlo e mai e poi mai avrebbe voluto che fraintendesse quello che sentiva per lei.
“Non ho ben chiara la situazione ad ogni modo.”
Suonò come una giustificazione ma era la verità, dopo Gina il massimo che si era permesso erano state le scappatelle con Raven mentre prima di lei tutto ciò che aveva avuto con delle ragazze era riducibile alla definizione di rapporto occasionale, era stato difficile per Bellamy ammettere i suoi sentimenti e ancora si sentiva stranito per il modo in cui avevano deciso di affiorare tutti insieme, non era chiaro adesso da che parte avrebbe dovuto cominciare.
I pensieri stavano prendendo il sopravvento, era normale da quando si era svegliato non aveva avuto un momento per fare il punto della situazione, perfino adesso non era completamente solo ed era sicuro, conoscendola, che questo non aveva giovato nemmeno a Clarke.
“Ci sono!”
Fece Raven euforica mentre si muoveva più del dovuto sulle spalle del moro, cercava di sporgersi ulteriormente verso i tubi che costeggiavano il soffitto dello scantinato.
“Sono i bulloni alcuni si sono allentati mentre altri son…”
Un tonfo le impedì di terminare l’analisi.
Bellamy aveva perso l’equilibrio, sebbene fosse forte e la mora, snella com’era, non era certo un peso insostenibile, tutti quei movimenti, sommati forse i suoi pensieri più contorti del solito, gli avevano fatto perdere l’equilibrio.
Si erano ritrovati a terra, lei sopra di lui, in un groviglio confuso di gambe e braccia, la ragazza si era lasciata sfuggire una risata mentre il ragazzo le aveva chiesto se stesse bene.
Erano abituati a quella vicinanza e d’imbarazzo non c’era nemmeno l’ombra.
 
“Lincoln è rimasto su per dare una mano ad O’ con l’arrosto, ho portato io quello che vi serve.”
Una voce fuoricampo li fece voltare simultaneamente, i due erano ancora in quella stramba posizione e quando gli occhi del moro incrociarono quelli di Clarke sbarrati ed increduli le parole gli rimasero attaccate alla lingua secca.
A quella vista la ragazza si lasciò cadere la cassetta degli attrezzi dalle mani che al contatto con il pavimento sprigionò un’assordante fragore e farfugliando un accigliato quanto stizzito “Scusate” si dileguò goffamente e all’istante senza dar tempo a nessuno dei due di fornire un briciolo di spiegazione.
Avrebbe ricordato quella espressione a lungo, si lasciò sfuggire un sospiro angosciato e rassegnato al tempo stesso. Solo poco dopo riprese il controllo della situazione.
“Dio santo Raven vuoi spostarti?”
La ragazza obbedì senza replicare, il volto di Bellamy era contratto e preoccupato, sembrava che tutta la sua sicurezza percepibile da chiunque al primo sguardo lo avesse completamente abbandonato.
“Perdonami.”
Replicò solo dopo aver preso le distanze l’amica.
“Non è colpa tua.”
Ed era vero, se solo Clarke fosse entrata cinque minuti prima lo avrebbe visto con i suoi occhi.
“Vedrai che spiegandole la situazione capirà.”
Cercò ancora di consolarlo.
Ma non era così, Bell aveva penato per acquistare la fiducia della bionda, inizialmente lo aveva fatto inconsapevolmente, persino contro la sua volontà era successo e basta, si erano trovati semplicemente per una pura coincidenza probabilmente la stessa che aveva fatto entrare Clarke nel momento sbagliato.
Annuì poco convinto, non voleva addossare le proprie ansie ad una terza persona, non lo aveva fatto in momenti ben più critici e non avrebbe certo iniziato in quel momento.
Aveva affrontato di peggio, era vero ma mai si era sentito in quel modo: scoraggiato ed angosciato, non riusciva ancora a credere che la principessa potesse sortirgli quell’effetto, quando era successo?
Come aveva fatto ad innamorarsi senza rendersene conto?
 
-
 
Da almeno un quarto d’ora teneva la testa bassa sul piatto.
Gli altri ridevano e scherzavano, Octavia era intenta a raccontare a Lincoln qualche aneddoto sulla sua infanzia che includeva anche il maggiore dei Blake, mentre Raven condiva quel racconto con qualche commento relativo a quanto le cose erano cambiate.
Bellamy ascoltava in silenzio, un’occhiata veloce le aveva permesso di notare la sua mascella serrata in un’espressione severa e tesa.
Clarke sentiva un nodo stringerle la gola che le rendeva difficile inghiottire i bocconi che a forza tentava di mandare giù, il suo stomaco era chiuso.
Non capiva come fosse possibile, come potessero far tutti finta di nulla che poi tutti… In realtà il suo pensiero non riusciva a staccarsi dalla scena che poco prima le si era parata davanti agli occhi, inequivocabile e schietta.
Si chiese a che gioco stessero partecipando.
Eppure finalmente capì cosa doveva aver provato Raven quando quella mattina era piombata nella camera di Finn e aveva trovato lei… Ma perché, che senso aveva dopo quello che si erano confidate, ripagarla con la stessa pena?
Certo, la bionda non aveva avuto il tempo di aggiornarla e non era stata nemmeno tanto sicura di volerlo dire a qualcuno in particolare ma allora per quale dannato motivo Bell l’aveva illusa se poi il suo obiettivo era quello di riabbandonarsi all’altra ragazza?
Sapeva che questa farsa sarebbe durata ancora per un po’, non era ingenua era chiaro che ognuno stesse tenendo da parte le spiegazioni per un  momento più consono ma non era convinta di poter guardare più negli occhi il giovane Blake.
Aveva capito che adesso fare finta di nulla era l’unico modo che il ragazzo aveva per far sì, ancora una volta, che la sorella minore potesse godersi un momento di tranquillità e velata gioia, sapeva perfettamente che quella era da sempre stata la priorità del moro.
Solo che la ragazza sentiva la rabbia e la delusione corroderla dentro, si vergognava di se stessa per aver agito d’istinto la scorsa notte, per essersi lasciata illudere e adesso fingere che fosse tutto come sempre era più difficile del previsto.
Di nuovo desiderava solo poter fuggire.
Il suo cellulare sembrò leggerla nel pensiero, nell’arco di cinque minuti arrivarono due messaggi uno di Jaha, l’altro di Wells.
Entrambi le comunicavano che doveva recarsi al più presto nell’ufficio del rettore di Harvard per delle questioni importanti legate al tirocinio.
Clarke non se lo fece ripetere due volte.
“Scusate ragazzi…”
Fece per ottenere l’attenzione senza far caso a quale discorso stesse interrompendo.
“Purtroppo devo andare, è un’emergenza, è successo qualcosa con il tirocinio e non posso rimandare.”
Cercò di tenere un tono disincantato e si stupì per la sua fermezza, fuggì però lo sguardo di Bellamy che la scrutava con le sopracciglia aggrottate ed un’espressione inebetita dipinta sul volto, probabilmente si chiedeva se fosse la verità.
“Mi dispiace.”
Disse Octavia sinceramente.
“Se ce la fai cerca di fare presto! Così più tardi riesci a raggiungerci per il tè.”
Clarke le rivolse un sorriso premuroso “Ci proverò.”
Non voleva deluderla, capiva perfettamente i sentimenti di Bellamy per la sorella, era impossibile non provarli, quella ragazza voleva essere amata, cercava in continuazione la conferma dell’affetto degli altri, Clarke non voleva coinvolgerla assolutamente nella strana situazione in cui si era cacciata, semplicemente non lo meritava.
 
Quando, dopo essersi data una sciacquata, essersi sistemata alla bell’e meglio ed aver lasciato l’ennesimo saluto generale alla tavolata, Clarke si diresse verso la porta sentì una presenza seguirla fuori.
“Principessa.”
Deglutì e sentì il cuore fermarsi per un istante, doveva trovare il coraggio di voltarsi, di fronteggiare Bellamy.
“Cosa vuoi?”
Fece secca, girandosi verso di lui  e cercando di mantenere il viso inalterato dalla moltitudine di sentimenti che l’attanagliavano.
“Ho bisogno di parlarti.”
“No, non ne hai bisogno minimamente, è tutto piuttosto chiaro.”
Era arrabbiata, come poteva continuare ad insistere così? Non gli era bastato il teatrino al quale aveva dovuto assistere?
“Dio santo, Clarke no che non lo è, quello che hai visto è un errore.”
“Fammi indovinare? Non è come sembra, giusto? Non me la bevo Blake, non più. Facciamo così, è stata una bella serata quella di ieri, ci siamo divertiti ma non ci dobbiamo nulla l’un l’altro, scusa se ti ho dato questa impressione.”
E pronunciare quella frase le costò uno sforzo immane, era stata una bella serata sì, aveva scoperto di essere in grado di ricominciare ad amare nonostante Finn e questo era stato il prezzo da pagare.
“Sai benissimo che non è così.”
Si, sapeva che si era ripromessa di non soffrire più e adesso invece si ritrovava vittima dell’ennesimo scherzo del destino.
“So benissimo che sono già in ritardo.”
Lo lasciò sulla soglia della staccionata, corse verso la macchina e forse si lasciò scappare una lacrima, contenta quanto meno che il ragazzo non l’avrebbe mai potuta notare.
Stavolta Bellamy Blake non poteva asciugare le sue lacrime, non poteva consolarla, era lui il colpevole e lei era stata solo una stupida, si era lasciata illudere con facilità estrema.
 
 
 
Lo studio del rettore era gigante, la bandiera degli Stati Uniti penzolava su un’asta in faggio proprio dietro la scrivania mentre sul lato destro della stanza un grande tavolo in legno lucido era popolato da diverse persone, riconobbe Wells e Jaha e qualche viso appartenente ai ragazzi incrociati durante la permanenza al Boston Children’s Hospital.
Clarke era piombata nella stanza con il fiatone ed il trucco imperfetto, leggermente colato.
“Ben arrivata signorina Griffin.”
La salutò in maniera formale il padre di Wells il quale invece le rivolse un cenno del capo imbarazzato, dopo quella serata i due non si erano più visti o sentiti, lei cercò di sorridere, non ce l’aveva con lui, anzi era dispiaciuta in un certo senso di non poterlo ricambiare, sarebbe stato così facile a pensarci bene ma il suo cuore aveva optato per la sofferenza ancora una volta, la solita vecchia storia.
“Salve a tutti.”
Replicò con la voce roca ma compita prendendo posto.
Poi una donna più anziana che doveva essere il rettore, per la precisione la prima donna a ricoprire quel ruolo alla Harvard, prese la parola.
“Bene ora che siamo tutti, possiamo cominciare, io sono Drew Gilpin Faust, rettore dell’università che si è occupata dei vostri tirocini. Volevo prima di tutto complimentarmi con ognuno di voi per aver ottenuto questa possibilità, mi dispiace infinitamente di non essere riuscita a vedervi prima.”
Fece una pausa, sistemando dei fogli che teneva in una cartellina sul tavolo, poi li passò ad ognuno di loro e riprese a parlare
“Purtroppo dopo la nevicata di questi giorni il Boston Children’s Hospital ha riportato dei danni in alcune strutture, molti bambini sono stati spostati d’urgenza in altri reparti e da oggi sono iniziati i lavori per sistemare il drammatico incidente, chiaramente in questo momento risulta impossibile alla struttura potervi fornire l’attenzione, il personale e la strumentazione necessaria per continuare al meglio il vostro tirocinio…”
Un vociare si alzò sul tavolo, Clarke cercò delle risposte sul foglio che stringeva tra le mani, era una domanda per cambiare la sede del Tirocinio, elencati vi erano molti ospedali sparsi negli States, notò che solo uno era a Boston.
“Silenzio, fatemi finire. Capisco quanto questa situazione possa essere disagevole per voi ma vi assicuro che purtroppo è indipendente dalla nostra volontà, mi premeva però prima di continuare, sapere chi di voi è fuori sede.”
Clarke alzò la mano, insieme a lei altri cinque studenti, tre ragazzi e due ragazze.
“Bene, molti ospedali della nazione ci hanno dato la loro disponibilità ad accogliere gli studenti, quasi uno per stato, qui a Boston si è attivato il General Hospital che è anche più vicino al campus tuttavia non ha la possibilità di accogliere tutti voi, dato che già altri studenti hanno preso parte alle attività legate a tirocini per cui devo, con forte rammarico, chiedere a voi fuorisede di spostarvi nelle vostre città di provenienza.”
Clarke deglutì, questo voleva dire la fine di tutto.
Non era quello che aveva desiderato poco prima al tavolo con gli altri?
Quello a cui aveva pensato per la durata di tutto il viaggio mentre il viso di Bellamy non si decideva ad abbandonare i suoi pensieri.
Allora perché faceva così male?
“Ad ogni modo non preoccupatevi, provvederemo a spesare il vostro rientro e comunque la vostra università di riferimento resterà la Harvard, il tirocinio è comunque legato alla nostra facoltà di medicina e dunque il vostro attestato finale verrà diretto dai nostri uffici. Spero possiate comprendere la situazione, sappiate che per qualsiasi cosa siamo a vostra disposizione.”
Le ultime parole arrivarono ovattate alle orecchie della giovane Griffin, improvvisamente non le importava del tirocinio, della sua carriera, del rientro a casa, della madre o di Marcus, avrebbe dovuto abbandonare la sua vita a Boston, e questo voleva dire lasciarsi alle spalle Wells, Murphy, Octavia e sì, Bellamy, proprio lui.
Gli studenti cominciarono a tempestare di domande il rettore e Jaha, alcuni si alzarono, sventolarono fogli, chiesero informazioni, dettagli, erano tutti piuttosto agitati, curiosi di capire cosa li avrebbe aspettati.
Non lei.
Clarke era riuscita a figurarsi con molta lucidità come la sua vita sarebbe cambiata per l’ennesima volta, no, in realtà non si trattava di un cambiamento vero e proprio, sarebbe tornata alle origini, avrebbe dovuto affrontare i fantasmi che incautamente aveva deciso di lasciarsi alle spalle, avrebbe riabbracciato Jasper e Monty ma forse questo voleva dire lasciare il suo cuore in stato confusionale in casa Blake, per sempre.

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Capitolo 15
*** XV ***


Innanzi tutto TANTI AUGURI a tutti!
Prendete questo capitolo come un piccolo regalo anche se non sarà abbastanza per tutte le parole bellissime che avete speso per me e questa storia ultimamente, dire che vi sono grata è riduttivo e spero quindi che mettere tutta me stessa nella stesura del racconto possa essere un buon modo per 'sdebitarmi'.
A occhio siamo agli sgoccioli, non so se arriverò ai 20 capitoli, ho già tutto nella mia mente, devo solo continuare a scrivere e cercherò di farlo ogni qual volta avrò dei buchi di tempo libero anche se il periodo di Gennaio/Febbraio sarà deleterio... (maledetta sessione
:'( )
Credo che ormai ci risentiremo per l'anno nuovo perciò vi faccio un affettuoso augurio per un buon 2017 - aspettiamo in trepidanti che 'sti Bellarke si muovano anche nella serie ahha magari ci faranno questo benedetto regalo, chissà? -
Non vedo l'ora di sapere cosa pensiate della piega che sta prendendo la storia perciò se vi fa piacere, io sono qui, pronta a leggere le vostre recensioni!
Un bacio grande e ancora auguroni,
vostra Chiara.

 
 

XV
 
Era rientrata in tarda serata, non poteva sopportare l’idea di vedere i loro volti ancora per molto, condividere altri momenti con i fratelli Blake avrebbe reso tutto più difficile, aveva persino paura di arrendersi alle spiegazioni di Bellamy e quello sarebbe stato catastrofico sia per sé stessa, sia per il futuro che ormai sembrava delineato in modo precisamente chiaro e già scritto in maniera irreversibile.
 
Così prima di tornare a casa aveva preso il cellulare cercando alla svelta il numero di Jasper.
Aveva sentito il bisogno di sfogarsi e la sensibilità di quel ragazzo era esattamente ciò che cercava, gli raccontò tutto per filo e per segno ma l’amico le fornì una risposta che non si sarebbe mai aspettata:
“Clarke, lo so che adesso sei sconvolta da tutto quello che è accaduto in così poco tempo ma non credo di riuscire ad essere totalmente d’accordo con te.”
“Cosa?”
Le aveva risposto innervosita e stupita mentre se ne stava in una tavola calda ad aspettare un piatto di zuppa.
“Lo sai che all’inizio ero piuttosto prevenuto nei confronti di Bellamy, ma al matrimonio l’ho osservato bene… Quel ragazzo stravede per te, tu gli hai chiesto di accompagnarti ad un evento così importante e lui non ha battuto ciglio, non solo, è stato lì per te pur non conoscendo quasi nessuno, ti ha sostenuto tutto il tempo e quando ti abbiamo riportato a casa in quello stato era così preoccupato… Sinceramente pagherei oro per trovare una persona che si preoccupi come ha fatto lui con te, non riesco a credere che sia stato così sciocco da ricadere in una vecchia e superflua storiella. Era troppo preso, non sono l’unico a pensarlo, anche Monty ne è convinto, ne abbiamo parlato per giorni. Deve esserci qualcosa dietro, magari non so… un incidente forse?”
Dopo quella risposta Clarke si sentì quasi tradita, aveva chiamato Jasper con la consapevolezza  che lui fosse la persona adatta ad assecondare i suoi pensieri, aveva sempre fatto così da quando erano piccoli, non si sarebbe mai aspettata quella presa di posizione nettamente opposta alle sue preoccupazioni, non si era minimamente preparata a questo e fu colta alla sprovvista.
“Ma…”
Lui dall’altra parte la interruppe in fretta
“Dovresti smetterla con i ma, con l’orgoglio, con la tua testardaggine basata su una razionalità asfissiante, lo dico per il tuo bene Clarke comincia a lottare per quel che vuoi, non lasciarti sfuggire un qualcosa che potresti rimpiangere per sempre, a costo di farti male, se pure andasse così non sarebbe la prima volta e probabilmente nemmeno l’ultima.”
“Se anche volessi non potrei, hai capito che sono praticamente obbligata a tornarmene a New York?”
“Non è una distanza incolmabile quella tra Boston e New York, lo sai bene.”
“Non lo so, non mi sembra così facile come dici tu.”
“Prenditi un attimo per rifletterci però, promettimelo.”
Sospirò, non era sicura di poter mantenere una promessa del genere.
“Okay.”
Disse semplicemente, non molto convinta.
“Ci sentiamo allora.”
La bionda prese a mangiare, Se anche avesse voluto non aveva poi tutto quel tempo da dedicare ai suoi pensieri: nel portafoglio teneva i ticket di rimborso carburante per arrivare a New York forniteli dalla Harvard, quella era la sua penultima notte lì e aveva persino dovuto avvertire Abby del suo ritorno con un messaggio, sarebbero scaduti dopo due giorni.
 
Ora invece se ne stava in camera a guardarsi intorno, aveva passato tanto di quel tempo tra quelle mura i primi giorni, quando con Bell il rapporto era quello che era. Nelle ultime giornate invece non ci era quasi entrata, sfiorò la parete comunicante con la camera del maggiore dei Blake, fu un gesto spontaneo e semplice, non se ne rese nemmeno davvero conto ma un’ espressione sconsolata s’impossessò delle sue labbra. Era impossibile cancellare tutto il tempo trascorso a Boston, era stato come partire da zero e aveva dato per scontato così tante cose come il fatto di poterci rimanere a tempo indeterminato.
Ripensò alle parole che Jasper aveva detto fermamente al telefono, lo fece mentre da sotto il letto tirava fuori la valigia e cominciava a riempirla con tutto quello che stava trovando a portata di mano.
Non riusciva a credere che quello che avesse visto fosse diverso da come le era apparso, nonostante Bellamy l’avesse inseguita fuori quel pomeriggio per discuterne, nonostante a pranzo non avesse proferito parola come se fosse in qualche modo davvero preoccupato o rattristato, non potevano esserci giustificazioni e lei come una stupida si era fatta illudere.
No, era arrabbiata e anche se le parole di Jasper avevano sortito un certo effetto, le avevano accennato una visuale diversa, una possibilità, la giovane Griffin non poté cancellare quel senso di vuoto che sentiva da quando aveva visto Bellamy e Raven così vicini.
 
-
 
Non aveva praticamente dormito.
Per tutta la notte non aveva fatto altro che rigirarsi tra le coperte senza riuscire a prendere sonno, tormentato da pensieri che avevano solamente una protagonista: Clarke.
Se solo avesse potuto riavvolgere il nastro, come faceva un tempo con le compilation in cassetta che ascoltava con Murphy…
Solo la sera prima era stato accanto alla biondina per tutto il tempo e adesso l’assenza di ogni contatto, persino quella di un briciolo di comunicazione lo avevano lacerato.
Aveva provato a pensare in che modo avrebbe potuto recuperare la sua fiducia e quando intorno a mezzanotte l’aveva sentita entrare in camera lo aveva persino sfiorato l’idea di fare irruzione nella stanza accanto e costringerla ad ascoltare ciò che aveva da dire, in poco tempo si era preparato una sorta di discorso: un misto imbarazzante tra una dichiarazione ed un confuso chiarimento su quanto accaduto quella mattina.
Poi la parte più razionale di lui aveva preso il sopravvento, aveva capito che essere affrettati con Clarke era sbagliato e soprattutto non portava a nulla, lei per tutto quel tempo non aveva fatto altro che temere di essere nuovamente ferita ed ora che paradossalmente ai suoi occhi era proprio lui ad aver tradito la sua fiducia, ad averle fatto male, avrebbe dovuto quantomeno darle il tempo  per capire e  realizzare che la versione dei fatti era un’altra, se si fosse affrettato e le avesse raccontato com’erano andate realmente le cose alle sue orecchie sarebbe suonata solo come un’immensa bugia per intrufolarsi ancora nel suo letto.
Così si era lasciato andare sul cuscino sperando di addormentarsi il prima possibile, chiaramente aveva ottenuto scarsissimi risultati.
 
Certo tutta quella faccenda gli aveva fatto chiarezza, la sua reazione era stata inequivocabile e quantomeno adesso il maggiore dei Blake era davvero sicuro di cosa provasse davvero Clarke eppure quando il pomeriggio precedente aveva tentato di fermarla, di parlarle, lei aveva negato spudoratamente.
“Ci siamo divertiti.”
Era questo che gli aveva quasi sputato in faccia.
Non era di quello che si trattava, Bellamy non si era mai sentito così con nessuna, non aveva mai provato quella sensazione di felicità pura, non si era mai sentito completo.
Mentre si era divertito spesso, fin troppo con innumerevoli ragazze.
Così quelle parole erano arrivate come una pugnalata alle spalle anche se nel profondo sapeva che non erano vere, lo aveva intuito da come la ragazza più testarda che avesse mai conosciuto aveva serrato repentinamente le labbra in una fessura severa poco dopo aver pronunciato la fatidica frase.
Ancora si ritrovò a pensare che avrebbe dovuto aspettare, avrebbe dovuto di nuovo capirla, reimparare il suo stesso linguaggio, assecondarla sino a prevedere la sua prossima mossa, solo in quel modo Clarke si sarebbe nuovamente fidata, dopo tutto lo aveva già fatto senza nemmeno realizzarlo fino in fondo, semplicemente da un momento all’altro si era scoperto follemente attratto da una ragazza alla quale qualche mese prima aveva bestialmente inveito contro.
Quindi seppur assonnato si alzò dal letto stringendo i pugni, era deciso a combattere per riaverla indietro, aveva sempre messo gli altri prima di lui, non era mai stato egoista anche se spesso era stato additato come tale, nel profondo sapeva perfettamente di aver sempre fatto tutto il possibile per preservare prima di se stesso, le persone che amava, forse era davvero giunto il momento di dedicarsi un momento, aveva diritto anche lui di conquistare quella felicità che per anni gli era apparsa solo come un miraggio e che adesso invece sembrava avere un nome ed un cognome.
 
Quando arrivò in cucina trovò con grande sorpresa sua sorella già seduta a tavola, leggeva il giornale e mangiava avidamente i cereali al miele da una ciotola colma di latte freddo. Octavia assomigliava dannatamente al padre, era uno scherzo del destino il fatto che lei non potesse nemmeno ricordarlo. Bellamy però aveva dei flashback nitidi, anche lui odiava il latte caldo e quando leggeva non si accorgeva minimamente di ciò che accadeva attorno a lui, si sedeva sempre poco composto a tavola, esattamente come sua sorella in quel momento che se ne stava con una gamba a penzoloni dalla sedia mentre teneva il mento appoggiato sul ginocchio dell’altra che aveva tirato su stringendola quasi al petto.
Il moro arricciò il naso a quel pensiero che risuonava così malinconico nella sua mente, odiava profondamente lasciare che la sua testa viaggiasse così ma non poteva aspettarsi altro, dopo tutto aveva passato quasi tutta la notte così.
Si schiarì la voce per farsi riconoscere dalla sorella che a quel punto si vide quasi costretta ad alzare lo sguardo su di lui.
“Buongiorno! In piedi da molto? Non hai una bella cera, sai?”
“Ho dormito poco e niente.”
Fece alzando leggermente le spalle. La giovane donna gli mandò un’occhiatina complice, Bell ci mise poco a capire a cosa stesse facendo riferimento e scosse la testa abbassando lo sguardo e prendendo posto accanto a lei, una smorfia amareggiata comparve increspò le sue labbra.
“Ho fatto un casino O’.”
Disse a voce bassa, lei gli rivolse uno sguardo interrogativo. Erano stati bravi a far finta di nulla, nessuno aveva detto una parola fuori posto durante il pranzo il giorno prima, in realtà lui e Clarke non avevano quasi parlato ma sua sorella era troppo preoccupata a far fare bella figura a Lincoln per rendersene conto, e se anche fosse stato avrebbe dato la colpa alla situazione più imbarazzante e stramba del solito. Octavia aveva questa peculiarità, possedeva un modo tutto suo di vedere le cose e spesso faticava a cambiare prospettiva, si chiese se anche suo padre fosse così, questo non lo ricordava… Era passato davvero troppo tempo.
“Insomma vuoi spiegarti?”
La ragazza vedendolo imbambolato cercò di spronarlo.
Bellamy a quel punto esplose, che male c’era nello sfogarsi? Non poteva continuare a tenere tutto dentro com’era solito fare, in tutto quel tempo questo modo di approcciare non lo aveva portato da nessuna parte.
“Ieri è stato tutto sbagliato. Io non sono mai stato capace a far uscire fuori quello che provo e forse non ne ho nemmeno mai avuto davvero bisogno, voglio dire con Gina non c’era motivo di farlo, era semplice, non siamo mai stati dei grandi chiacchieroni ed avevamo trovato il nostro modo di trovarci…” Fece una breve pausa, mentre la minore dei Blake lo guardò con due occhioni apprensivi, non aveva mai visto suo fratello in quello stato.
“Perciò ho pensato che con tutte quelle persone intorno non fosse il caso di dire qualcosa a Clarke, né di… insomma, né di approcciarmi in modo più fisico a lei.”
Sembrava imbarazzato, non si era mai aperto così con Octavia, di solito era lei che cominciava a parlargli di tutti i suoi problemi ed il ragazzo l’aveva sempre ascoltata pazientemente cercando di darle la forza necessaria per affrontare qualunque ostacolo.
“Insomma quando con Raven siamo scesi nello scantinato per aggiustare le tubature, abbiamo mandato Lincoln a prendere gli attrezzi ed io me la sono caricata sulle spalle per farla arrivare alle tubature ed evitare di prendere la scala , a un certo punto però ho perso l’equilibrio e siamo cascati. Il fatto è che… lei era su di me nel momento in cui è entrata Clarke che ovviamente ha frainteso tutto.”
La mora lo guardò perplessa “E quindi? Cioè può capitare, non basta spiegarle che è stato un incidente? Tu e Raven poi… Che storia, sareste la peggior coppia di sempre.”
“Non è proprio così semplice, c’è una cosa che non sai effettivamente.”
Fece un respiro, O’ si sarebbe arrabbiata, non sopportava quando qualcuno le mentiva o ometteva qualcosa, soprattutto se quel qualcuno era lui, suo fratello.
“Il fatto è che io e Rav abbiamo avuto una sorta di relazione, non lo sa nessuno, era una cosa più fisica che altro, ci siamo trovati, lei era disperata per Finn mentre io credevo che dopo Gina non avrei mai potuto aprirmi con nessun’altra. E’ saltato fuori che Clarke parlando con lei, è venuta a conoscenza di questa storia perciò quando ha visto quella scena credo sia andata in paranoia.”
A quel punto Bell chiuse gli occhi e si preparò mentalmente ad un’invettiva che sua sorella non gli avrebbe mai risparmiato.
Con sua sorpresa però la minore esclamò
“Cazzo, Bell!”
Aprì prima una palpebra poi l’altra, Octavia lo guardava apprensiva ma riprese subito a parlare
“Hai davvero combinato un gran pasticcio non c’è che dire… Però sono sicura che se Clarke avrà la pazienza di ascoltare non appena le sarà passato lo sconcerto iniziale, capirà. Devi solo lasciarla sbollire.”
Era quello che si era detto anche lui, sentirlo da qualcun altro lo rassicurava eppure qualcosa dentro di lui continuava a temere che le cose potessero andare alla deriva.
Avrebbe voluto rispondere ma in quel momento Clarke apparì dalla porta del corridoio, i due si ammutolirono e finalmente anche O’ capì di quale entità fosse il clima d’imbarazzo che aleggiava nella stanza, tuttavia fu la prima a rompere il silenzio, avrebbe fatto il possibile per aiutare Bellamy
“Heilà! Ben svegliata.”
La bionda le rivolse un sorriso flebile, ben attenta ad evitare lo sguardo del maggiore dei Blake, prese posto di fronte ad Octavia e si schiarì la voce. Ticchettava le unghie sul tavolo mentre si mordeva la parte superiore del labbro, sembrava quasi che stesse prendendo tempo.
Bell le passò una tazza pulita ed il bricco con il caffè, tenendo lo sguardo fisso sulle sue mani.
“Devo dirvi una cosa.”
Fece d’un tratto la ragazza dopo aver preso solo un sorso dalla tazza colma, solo a quel punto il moro si permise di incontrare i suoi occhi e ciò che vide lo mise a disagio.
Le iridi della giovane erano lucide, le pupille arrossate ed il contorno occhi gonfio, sembrava quasi che come lui non avesse dormito o peggio che avesse pianto, fece fatica a reprimere l’impulso di capitolare al suo fianco e stringerla, la sua espressione era affranta e di riflesso un groppo si formò nella gola del ragazzo.
“Io…” Deglutì lei. “Ieri. Ieri quando…” Si fermò di nuovo, sembrava che avesse difficoltà a riordinare i suoi pensieri.
Octavia le prese una mano e Clarke fece un lieve sussulto “Hei, tranquilla, fai un respiro.” Disse la minore dei Blake per provare a calmarla. La bionda strinse la mano della ragazza e ricominciò
“Ieri mi hanno convocato alla Harvard. L’ospedale in cui facevo tirocinio ha subito dei gravi danni con la tempesta di neve. Ci hanno dovuto spostare in altre strutture solo che quelle di Boston non possono accogliere tutti. Hanno chiesto a noi fuorisede di tornare nelle nostre città, dicono che hanno già una lista di ospedali e ambulatori pronti a farci recuperare il programma. Io… Io non posso rinunciare a questa opportunità. Ci hanno già fornito i biglietti del treno o dei ticket per il rimborso della benzina ma scadono domani perciò oggi è il mio ultimo giorno qui.”
Bellamy rimase impietrito, forse socchiuse le labbra leggermente, non sapeva dirlo.
Quindi finiva così, non c’era tempo per far sì che le sue ferite si rimarginassero e se mai l’avessero fatto, lei sarebbe stata a chilometri di distanza.
Dunque Clarke stava per scappare di nuovo e questa volta, pur volendo, non sarebbe potuta tornare indietro.
Sua sorella era corsa dall’altra parte del tavolo e aveva abbracciato la bionda, le aveva detto qualcosa ma lui non era più in grado di percepire le parole, di riconoscerle.
 
-
 
Clarke guidava da un’ora, l’autostrada si stagliava infinita alla sua vista, non c’era traffico, chissà perché i ritorni sembravano sempre più brevi delle partenze. Di solito erano anche più semplici ma non questa volta.
 
Era partita presto quella mattina, avrebbe voluto evitare di salutarli per l’ultima volta ma Octavia aveva insistito ed aveva scaraventato giù dal letto anche Bellamy. Non si erano più parlati, quando aveva dato la notizia, lui era rimasto in silenzio per un po’, poi aveva allontanato la sedia dal tavolo, si era alzato e si era chiuso in bagno, dopodiché era uscito, doveva continuare l’inventario aveva detto, doveva lavorare, non un accenno alla sua partenza, non un commento e forse era meglio così in un certo senso quella freddezza rendeva tutto più semplice.
Octavia invece era rimasta con lei, l’aveva aiutata con la valigia e gli scatoloni poi l’aveva lasciata con una frase
“Sono sicura che un giorno chiarirete Clarke. Bellamy si riuscirà a spiegare prima o poi però ti prego promettimi che saprai ascoltarlo e proverai a capirlo quando succederà.”
Non le aveva dato il tempo di rispondere, si era chiusa la porta alle spalle e l’aveva lasciata sola in quella stanza ora del tutto spoglia proprio come la prima volta che ci aveva messo piede. Clarke aveva sbuffato mentre con lo scotch chiudeva gli ultimi scatoloni, la verità era che non si sarebbero mai più rivisti, una lacrima solitaria accompagnò quel pensiero rigandole il volto ma la scacciò via prontamente con la manica della felpa che indossava.
Quando si erano salutati i tre si erano radunati di fronte casa, Clarke aveva spostato la macchina appena fuori la staccionata per caricarci le ultime cose, Bellamy senza dirle o chiedere nulla le aveva fatto trovare tutto già pronto nel cofano di quel vecchio catorcio. Octavia le afferrò le spalle con le mani in un gesto di sostegno amichevole “Andrà tutto bene alla fine, vedrai.” Le aveva sussurrato quasi impercettibilmente prima di stamparle un bacio rumoroso sulla guancia e salutarla con un augurio che suonò strano alla biondina come se appartenesse ad un’era lontana nel tempo
“Ci rincontreremo.”*
Le aveva detto guardandola dritta nelle iridi la minore dei Blake con un tono fermo e serio, sembrava essere profondamente convinta di ciò che stava dicendo quasi fosse una profezia.
Bellamy si fece avanti impacciato quando fu il suo turno, le mani nelle tasche del giubbotto pesante, le labbra serrate e lo sguardo cupo ma perso in lei.
Clarke si avvicinò titubante a sua volta, non sapeva nemmeno cosa dire, avevano passato gli ultimi due giorni ad evitarsi, torturandosi per averlo fatto e ora che finalmente avevano la possibilità di parlarsi anche solo per qualche minuto nessuno dei due sembrava avere la più pallida idea di come cominciare.
Non si resero nemmeno conto che la furba O’ avesse tagliato la corda già da un po’.
Dopo ancora qualche istante d’imbarazzo la bionda si permise di lasciare che i suoi occhi s’incontrassero forse per quella che sarebbe stata l’ultima volta con i pozzi scuri di lui, si morse un labbro quando percepì che Bell la stava scrutando più di quanto non avesse mai fatto, sembrava esterrefatto e deciso a non lasciarsi scappare nemmeno il più piccolo dei dettagli che la caratterizzavano, ancora una volta si sentì spogliata di tutto, una voragine si aprì nel suo petto e per un istante la giovane Griffin dimenticò ogni cosa accaduta negli ultimissimi giorni, dovette essere lo stesso per il maggiore dei Blake che dopo aver inspirato a fondo l’aria frizzante mattutina si decise ad avanzare ancora un po’ verso di lei e ad aprire le braccia accogliendola in un abbraccio forte carico probabilmente di tutto ciò che non erano riusciti a dirsi.
Quella stretta sapeva di scuse e rimpianti, di rabbia, di tristezza ma ciò che rimase attaccato ai loro corpi fu senz’altro amore.
Clarke lasciò che la sua testa sprofondasse nel petto del ragazzo, lo stesso che aveva pensato fermamente di odiare che credeva non sarebbe mai riuscita a comprendere.
Si rese conto di come l’odore di Bellamy sembrava avere un effetto anestetizzante su di lei, stretta da quel corpo si sentì per quella manciata di minuti lontana da ogni minaccia e capì quanto le fosse mancato pur avendolo avuto così vicino.
Quando si separarono Bell non parlò, non aggiunse nulla, semplicemente la guardò voltargli le spalle, rimase lì fin quando la ragazza ormai salita in macchina ingranò la prima, forse stava aspettando (e sperando) fino alla fine che le cose andassero diversamente, che ci fosse una svolta da un momento all’altro.
A quel punto Clarke lasciò scivolare il suo sguardo nello specchietto retrovisore, il moro era ancora lì le fece un cenno con la testa e per un attimo credette di vedere le sue labbra schiudersi come se stessero dicendo finalmente qualcosa ma era davvero troppo tardi.
 
Durante il viaggio la biondina non riuscì a non pensare ad altro, stava sfrecciando a centoventi chilometri orari verso la direzione opposta in cui sentiva di appartenere e non poteva farci assolutamente nulla.
 
Quando entrò in casa, tutto era avvolto dal silenzio, non sapeva se ci fosse qualcuno, era entrata di soppiatto, non vedeva sua madre dal matrimonio e l’ultima volta che era stata lì aveva avuto Bellamy accanto, sentì una fitta allo stomaco che cercò di ignorare mentre correva nella sua camera.
Lasciò la valigia cadere vicino la scrivania e si rannicchiò sul letto, per un attimo ebbe il sospetto che i cuscini sapessero ancora di lui, quell’odore diventato ormai così familiare la fece sentire fuori posto ancora una volta, che ci faceva a New York?
Non trovando una risposta adeguata al suo stato d’animo chiuse gli occhi e lasciò che il sonno la allontanasse da quella realtà così rarefatta e poco rassicurante.
Si svegliò solamente quando sentì bussare alla sua porta, non sapeva dire quanto tempo fosse passato, aveva dormito senza sognare, si era lasciata cadere nel buio e l’unica cosa di cui era sicura era che avrebbe voluto farlo per molto più tempo, si tirò su a sedere e con la bocca ancora impastata ed i segni del cuscino sul volto azzardò un “Avanti.”
Dall’uscio fece capolino l’ultima persona che pensava di vedere varcare la soglia che portava alla sua camera: Marcus.
Lo osservò stupita, non avevano mai avuto molti contatti, lei non glielo aveva permesso nonostante i vari tentativi di lui comunque mai troppo convincenti.
“Ti dispiace?”
Scosse il capo, non sapeva per quale motivo ma fu lieta di incontrare le sue fattezze piuttosto che quelle della madre o addirittura di Jasper o Monty.
“Dormivi?” Fece lui imbarazzato.
“Non preoccuparti, prima o poi mi sarei dovuta svegliare.” Disse con un sorriso più spontaneo di quanto si sarebbe aspettata.
“Mi sono permesso di scaricare la macchina, ho messo gli scatoloni qua fuori, non volevo disturbarti, quando sei arrivata ero in bagno a farmi una doccia.”
“Grazie.” Parlò con un tono sincero poi lasciò che la sua curiosità e il suo timore venissero a galla in una sola domanda “C’è mia madre?”
“No, Abigail è di turno in ospedale ma si è raccomandata più volte di prepararti qualcosa di caldo, ci sono uova e pancetta appena fatti in cucina e personalmente sto morendo di fame… Vuoi unirti?”
Clarke annuì nonostante non sentisse realmente il bisogno di mangiare.
Seguì silenziosamente l’uomo fino alla tavola dove presero posto. Era tutto perfetto.
Marcus aveva apparecchiato in modo impeccabile e una padella invitante se ne stava al centro della tavola ricca di cibo, a quella vista la ragazza sentì l’acquolina in bocca, il profumo di bacon soffritto aveva invaso le stanze della casa riportandola indietro nel passato.
Suo padre cucinava la colazione salata tutte le domeniche, si svegliava presto e si metteva ai fornelli, poi quando tutto era pronto chiamava lei ed Abby e insieme banchettavano, erano capaci di starsene attorno a quel tavolo anche per più di due ore, chiacchieravano e chissà perché avevano sempre qualcosa di nuovo da dirsi, era uno dei pochi momenti in cui riuscivano a stare tutti insieme, poi alle volte Jake si avvicinava alla radio che tenevano sopra il frigorifero, inseriva qualche vecchia cassetta con sopra delle canzoni blues ed invitava Abby a ballare, quando era più piccola Clarke saltellava attorno a loro, crescendo aveva imparato a restarsene al suo posto, si perdeva a guardarli sentendosi scaldata da una primordiale felicità.
Erano anni che qualcuno non le preparava una colazione simile, da quando suo padre aveva scoperto di star male quell’usanza era scomparsa insieme alla sua energia vitale. Doveva essere stata sua madre a suggerire quel particolare menù ed in un certo senso fu lieta che Marcus avesse fatto tutto quello per lei, non era sicura di meritarlo, non dopo il modo in cui si era comportata alla cerimonia.
“Mi dispiace.” Sussurrò mentre l’uomo accanto a lei si stava riempiendo il piatto, lui la guardò intenerito e non tardò a risponderle
“Tranquilla Clarke, so che è dura e anche se può essere difficile crederlo lo sa bene anche tua madre, abbiamo avuto vent’anni anche noi, so che è strano immaginarlo ma non vederci come alieni o esseri incapaci di capire cosa muove quel senso di frustrazione in te. Tua madre me ne ha parlato per tutta la luna di miele…”
Non sapeva cosa dire, non si aspettava un’argomentazione simile credeva che quell’uomo al quale aveva negato la parola tante volte avrebbe semplicemente raccolto le sue scuse ritornando presto al suo piatto.
“Non volevo rovinare un momento così importante per voi, me ne rendo conto solo adesso e mi dispiace se non sono sempre stata molto amichevole nei tuoi confronti, so che sei una brava persona ma è stato strano per me.”
Marcus le rivolse un sorriso sincero
“Non devi chiedermi scusa, ognuno ha i suoi tempi e sapevo a cosa andavo incontro, stai facendo la tua vita, le tue esperienze e so quanto possa averti scombinato alcune abitudini tutto questo ma sono sicuro che riusciremo a cavarcela. Sappi solo che non voglio prendere il posto di nessuno, sarai per sempre Clarke Griffin e per tua madre sei un’ancora di salvezza, ricorda sempre che sei la prova dell’amore che prova ed ha provato per Jake, non dimenticarlo. Per quanto riguarda me, vedimi come un amico nulla più, non voglio assolutamente rimpiazzare una figura paterna o altro… Amo tua madre più di quanto non sia mai stato in grado di fare con altre persone e voglio solo il meglio per voi.”
Sentì gli occhi gonfiarsi, erano lucidi ma le lacrime che stavano facendo capolino non erano amare, fu grata per quelle parole, si sentì persino stupida, si rese conto d’improvviso dell’impatto che avevano avuto i suoi pregiudizi nei confronti della figura di Marcus e provò un forte senso di colpa.
Fu come se in un attimo tutto fosse più chiaro, finalmente illuminato da una luce diversa, sua madre non aveva lasciato andare suo padre, aveva solo rispettato le sue scelte, alla sua morte non era riuscita ad entrare nella stanza d’ospedale solo perché avrebbe voluto dire fronteggiare una perdita troppo grande per lei e il fatto che avesse incontrato qualcuno che potesse renderla felice non voleva certo significare che avesse smesso di amare suo padre.
Clarke si sentì più leggera, era come se fosse riuscita a sciogliere un nodo troppo complicato da sbrogliare, la risoluzione di quell’intricato laccio era sempre stata sotto i suoi occhi troppo appannati da risentimenti superficiali, fu come tornare a respirare dopo aver passato troppo tempo in apnea, un senso di improvvisa serenità la avvolse, tutto l’astio e la rabbia repressa che da mesi l’assalivano ogni qual volta si trovava in quella casa con Marcus o Abby l’abbandonarono.
“Grazie, davvero.”
L’uomo alzò il bicchiere con la spremuta d’arancia in un brindisi e la bionda lo emulò sorridendo.
 
Più tardi quando sua madre suonò al campanello, Clarke le aprì la porta e senza darle nemmeno il tempo di mettere piede in casa la avvolse in un abbraccio “Perdonami, sono stata un’idiota.”
Abby fu presa di sorpresa ma poco dopo ricambiò la stretta sussurrandole “Shhh. Sono così contenta che tu sia di nuovo qui con noi.”
Solo ascoltando quelle parole il pensiero della giovane Griffin volò a Boston, dopo quel pasto a metà tra la colazione ed il pranzo aveva passato le ore successive nella sua camera a riordinare le sue cose pensando per tutto il tempo a quanti dettagli avesse mistificato della sua vita con Abby. Adesso era felice di essere riuscita a superare quella situazione e di poter nuovamente guardare sua madre come solo un figlio sa fare con ammirazione e affetto incondizionato ma sentiva comunque di aver lasciato una parte consistente di sé in casa Blake, quella casa che l’aveva accolta quando era convinta di non averne più una.
 
-
 
“L’hai lasciata andare quindi? Così senza dirle nulla?”
John stringeva un bicchierino di rum tra le mani mentre il vecchio Joseph aveva finalmente acceso il suo sigaro ed il locale ormai vuoto in poco tempo aveva acquisito l’odore caratteristico e dolce del tabacco vanigliato.
“Cos’altro potevo fare? Non dipendeva da quel malinteso, hai capito che è tornata per una causa di forza maggiore?”
Joseph sospirò borbottando “Ah i giovani d’oggi… Si vede che non avete sfiorato la guerra, un tempo si era pronti a tutto per amore, non importa se fosse indirizzato ad una donna, alla patria o ad un ideale… Eravamo pronti anche a morire.”
Murphy soffocò un risolino e commentò
“Ah, il vecchio Jo’ ha proprio ragione caro Blake, ci siamo rincoglioniti, devi ammetterlo.”
Bellamy aveva un sorriso ebete dipinto in volto, nonostante dentro si sentisse morire, l’alcol stava facendo il suo effetto ed apparentemente il moro sembrava quasi fin troppo tranquillo e pacato, Murphy però lo guardava con un’aria preoccupata, conosceva bene l’amico e comprendeva perfettamente il suo modo di reagire alla sofferenza, sembrava come se si facesse scivolare tutto addosso, appariva superiore a qualsiasi tipo di emozione negativa ma dentro lasciava che lo sconforto lo corrodesse silenziosamente.
“Tornerà.”
Sentenziò solennemente il biondino, non lo disse solo per concedere una speranza in quel momento di sconforto al suo migliore amico ma anche perché era fermamente convinto che ciò che aveva legato quei due era un qualcosa di indissolubile, non sarebbe potuto sparire tutto così, non in quel modo e poi prima di passare a prendere Bellamy aveva parlato con Octavia che come lui non era decisa a lasciar andare nuovamente all’apatia suo fratello e sembrava avere in testa già un piano delineato per far sì che quei due si permettessero quanto meno una seconda possibilità.
Bellamy si riempì l’ennesimo shottino che buttò giù di colpo, no, Clarke non sarebbe tornata mai sui suoi passi, non da sola ed il ragazzo aveva smesso di credere che il destino potesse essere benevolo nei suoi confronti.

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Capitolo 16
*** XVI ***


Per prima cosa ci tengo ad augure un sereno 2017 a tutte le splendide persone che sono capitate qui.
Non credevo sarei riuscita ad oggiornare così presto ma dopo taaantissimo tempo ho scritto il capitolo quasi tutto d'un fiato... 
Ci siamo quasi, se le mie previsioni sono giuste la storia si chiuderà nell'arco di un altro paio di capitoli e da un lato mi dispiace, iniziare questa avventura è stato fantastico ed ognuno di voi, con i vostri contributi è stato un compagno prezioso!
Come al solito straparlo per cui... eccovi qui il primo aggiornamento del 2017, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate
:)
Un bacio grande e ancora auguroni,
vostra Chiara.



XVI
 
Passare il Natale in casa Murphy era una consuetudine, erano anni ormai che questa tradizione andava avanti, da quando Aurora era morta ogni Natale doveva rigorosamente celebrarsi in quella casa non troppo distante dalla loro. C’erano regali per tutti, un tacchino al forno da leccarsi i baffi ed ogni genere di leccornia che potesse trovarsi sulla faccia della terra. Ma Bellamy odiava comunque quel periodo dell’anno, lo odiava perché ogni qual volta si ritrovava tra quelle quattro mura non faceva altro che pensare a come non era mai stato così per loro anche se a Octavia stava bene anzi benissimo, a volte sembrava che vivesse per quello.
La famiglia Murphy li aveva accolti senza nemmeno pensarci due volte, si comportavano davvero come fossero i due genitori che non avevano mai avuto. Persino adesso che Bella, la madre di John, era incinta di ormai quasi sei mesi, lei ed Alex non si erano tirati indietro e anche se era tosto da ammettere, Bellamy gli era grato, non tanto per lui, festeggiare era l’ultima cosa che aveva pensato di fare ma come sempre per sua sorella che invece prendeva quella stupida festa quasi troppo seriamente.
Avevano finito di mangiare da un pezzo e non sapeva dire con precisione che ore fossero, tuttavia se ne stavano ancora tutti stretti attorno al tavolo a chiacchierare rumorosamente anche Bell era lì con loro fisicamente ma mentalmente non poteva certo dirsi partecipe.
Aveva passato le ultime due settimane a torturarsi, lavorava, cercava di stare fuori casa il più tempo possibile, provava a tenersi impegnato come poteva eppure non riusciva mai a concentrarsi pienamente su ciò che stava facendo, Clarke sembrava essere sempre lì tra i suoi pensieri ed ogni volta che rientrava in casa, sapere di non trovarla appollaiata sul divano con qualche libro in mano, o di non sentire la sua voce provenire da quella che ormai era per antonomasia la sua stanza gli provocava dolorose fitte allo stomaco e al cuore.
Pensava che si sarebbe fatta sentire, non pretendeva una chiamata ovvio ma aveva sperato quanto meno in un sms, invece nulla. Era sparita dalle loro vite esattamente nel modo in cui era apparsa casualmente e all’improvviso senza nemmeno dargli il tempo necessario per realizzare eppure a pensarci adesso abituarsi alla sua presenza era stato quanto di più semplice e naturale gli fosse mai accaduto nonostante Bellamy Blake odiasse avere sconosciuti attorno.
 
La sera prima Octavia aveva provato a fargli affrontare la realtà dei fatti, se ne stavano seduti scomposti sul divano con una coperta mal messa sulle gambe e la facciata di Netflix aperta sul portatile della sorella quando quest’ultima aveva detto tutto d’un fiato:
“Forse dovremmo ripostare l’annuncio per l’affitto sul sito.”
Bell che stava mangiando con foga dei cereali per poco non si strozzò. Fare una cosa del genere voleva dire andare avanti e sapeva che non aveva altra scelta, era la cosa giusta da fare ma anche la più dolorosa. Non era pronto. Non ancora, sapeva perfettamente che una minuscola e patetica parte di sé sperava che da un momento all’altro la principessa tornasse, come se non fosse accaduto nulla.
Ma soprattutto era sempre stato lui ad occuparsi della burocrazia concernente l’amministrazione della casa, bollette, tariffe telefoniche, ogni volta era lui a curarsene, affitto incluso mentre adesso la piccola O’ aveva ribaltato la situazione con una frase, facendolo sentire un perfetto cretino, si era lasciato prendere talmente tanto dalle sue emozioni da perdere di vista anche le responsabilità maggiori.
“Credo sia opportuno aspettare l’anno nuovo a questo punto.”
Tentennò e riprese “A Natale le persone tornano sempre in famiglia.
La mora annuì lentamente, posando uno sguardo preoccupato sulla sua figura.
“Sei sicuro di non volerne parlare?”
Fece lei con un tono quasi materno.
“Non c’è niente di cui parlare.”
Rispose brusco.
Octavia esitò, vederlo così la faceva star male, si sentiva persino in colpa a provare quella strana felicità che ultimamente la aveva colta di soppiatto.
“Come vuoi, se dovesse cambiare qualcosa sai che sono qui.”
Lui scosse la testa senza rispondere, posò la tazza ancora quasi piena sul tavolo, la fame lo aveva completamente abbandonato.
 
Si erano scambiati i regali, grazie al cielo O’ aveva pensato a tutto, persino a John. Così si ritrovò a stringere un maglione bordeaux, un cd masterizzato di cui Murphy aveva stilato la tracklist nei minimi dettagli ed una bottiglia di Bourbon che Alex e Bella avevano confezionato con grande cura; di lato pendeva un bigliettino 
“Non bere per dimenticare, mai. Fallo (a piccoli sorsi) per riacquistare il coraggio e la fiducia.”
Bellamy guardò confuso quella calligrafia e lanciò un’occhiata al suo migliore amico che per tutta risposta fece spallucce, il morò improvvisò un ghigno che sarebbe dovuto essere un sorriso di gratitudine.
Si alzò e passando di lato all’amico disse
“Vado a prendere una boccata d’aria.”
Si sedette sugli scalini del portico e tirò fuori dal giaccone un pacchetto integro di sigarette, ne sfilò una e l’accese, faceva ancora troppo freddo, anche se ormai la neve che settimane prima aveva sotterrato Boston si era sciolta quasi del tutto, ebbe un fremito involontario ripensando a quei giorni.
“Hai ricominciato?”
La voce calda di John arrivò al momento giusto.
“Mi sono concesso un piccolo sfogo, solo ogni tanto.”
“Allora passamene una.”
“Tua madre andrà fuori di testa quando sentirà l’odore sui vestiti.”
“E’ lei quella incinta, mica io e comunque ormai non sono più un ragazzino, se ne farà una ragione, sa perfettamente che non è un’abitudine.”
Il moro passò il pacchetto al ragazzo che si sedette accanto a lui.
Gli occhi verdi di Murphy scrutarono per qualche istante il panorama, era buio ormai e tutto ciò che si vedeva erano i chiarori delle luci soffuse dalle finestre, poi lasciò ritornare lo sguardo ai suoi piedi.
“Quindi è così?”
Bell, non rispose subito, aspettò un po’ inspirando profondamente
“Cosa?”
“Innamorarsi, dico.”
Il maggiore dei Blake si permise di tirare un po’ di fumo dalla sigaretta.
“Già.”
“Perciò fa schifo?”
“Mh, forse è una prerogativa dei Blake.”
“Tua sorella non mi sembra così disperata.”
“Mia sorella è ancora una ragazzina che si sta facendo illudere da un ragazzo che tra qualche mese o al massimo pochi anni, si sarà rotto i coglioni e la pianterà in asso.”
“Ma tu non la stai fermando.”
“No. Saprà cavarsela, ha superato traumi di gran lunga peggiori.”
“Non dovrebbe essere così anche per te?”
“E’ complicato.”
“Non credo.”
Bellamy che fino a quel momento aveva portato avanti la conversazione guardando un punto nel vuoto e cercando di non dare troppo peso a quelle parole che pure uscivano in modo spontaneo e sincero, puntò i suoi occhi scuri in quelli chiarissimi dell’amico.
“Dove stai cercando di arrivare Murphy?”
Lui fece spallucce, un ghigno furbo piegò le sue labbra e il maggiore dei Blake si chiese cosa ci fosse di così divertente, non riusciva proprio a pensare di poter scherzare in quella situazione.
“Dico solo che non hai fatto nulla per evitare questo e ora stai continuando a farti scivolare tutto addosso. Deciditi Blake o vai avanti o tenti il tutto e per tutto e la riporti indietro, da te.”
Bellamy soffiò tra le sue mani che adesso avevano un nauseante odore di tabacco e carta bruciata, gli rivolse un’occhiata veloce, poi si alzò e senza dire nulla rientrò in casa.
 
-
 
Ricordava perfettamente il capanno degli attrezzi di Monty, solo non così, in tutti quei mesi sembrava che New York fosse stata presa da uno spirito rivoluzionario, niente era come lo aveva lasciato, persino quel lurido capanno dove da bambini si chiudevano per ore a giocare a strega di mezzanotte.
Green e Jordan si erano dati da fare, avevano buttato tutti i vecchi attrezzi del papà di Monty e avevano rimesso a nuovo quel posto, tirandolo a lucido. C’erano luci dappertutto, un tavolo da biliardo e persino una stufa a pallet.
Jasper aveva improvvisato un dj set ed ora un mucchio di ragazzi popolavano quel capanno partecipando al “Meraviglioso party post natalizio di Monty & Jas’” come avevano tenuto a specificare quei due.
Clarke era lì solo perché era praticamente stata obbligata dai due amici, festeggiare non era certo tra le sue priorità e a dirla tutta doveva ancora riprendersi dalla Vigilia e dal pranzo di Natale che aveva passato con Marcus, la madre e la sua nuova nonna acquisita.
 
Aveva passato due giorni fuori dal comune ed erano stati incredibilmente sereni, quando Jake era morto lei e la madre avevano smesso di festeggiare il Natale, a volte la ragazza lo passava in casa Jordan, altre volte se ne stava a letto per tutto il giorno e così via.
Invece si erano riuniti nel nuovo appartamento, sua madre aveva addirittura cucinato per tutto il giorno e a tavola si erano persino permessi di ridere aprendo una vecchia bottiglia di Pinot grigio.
Nonostante fosse incredibilmente sollevata da quella nuova situazione che stava imparando ad accettare, mancava qualcuno. Per questo Clarke Griffin non sopportava l’aria di festa che aleggiava in quel periodo dell’anno, non faceva altro che ricordarle quel senso di mancanza che sentiva ogni qual volta vedeva le famiglie (al completo) dei suoi amici riunirsi.
Fu difficile ammetterlo ma il suo pensiero non fu solo per Jake stavolta, non riuscì a impedirsi di pensare a Bellamy.  
 
Stringeva un bicchiere rosso pieno a metà di birra, aveva deciso di andarci piano, ultimamente sembrava che la storia dell’alcol le fosse sfuggita un po’ di mano creando solamente gran casini.
Le saltò in mente l’immagine del maggiore dei Blake con i capelli arruffati che la mattina dopo il matrimonio, nel suo letto accanto a lei, la canzonava prendendola in giro perché reggeva poco l’alcol. Le sembrava passata un’infinità di tempo, invece quei ricordi non avevano nemmeno un mese di vita.
“Posso?”
Una voce femminile piuttosto familiare la distolse da quei pensieri torbidi.
La giovane Griffin alzò lo sguardo che ricadde sul corpo mozzafiato e fasciato da un completo aderente appartenente a Raven Reyes in persona.
Dovette lasciarsi sfuggire un’espressione che ricalcava maldestramente lo stupore ed una sorta di rancore latente perché la mora si mise subito sulla difensiva.
“Se non vuoi vedermi non fa niente, posso andare via.”
Lo disse con tono soave e dolce che Clarke non riuscì a comprendere fino in fondo.
La bionda scosse la testa, la maleducazione non le apparteneva anche se di certo Rav era l’ultima persona di cui desiderava la compagnia, d’altro canto non capiva cosa diamine ci facesse là e forse anche la curiosità la spinse a farle spazio per lasciarla sedere accanto a lei.
Sapeva che avrebbe dovuto dirle qualcosa e mentre lasciò che il suo sguardo si perdesse tra i corpi danzanti che si muovevano per tutta l’aerea del capanno, provò anche a formulare qualche frase innocua da pronunciare per spezzare quella strana atmosfera, non ci riuscì.
“Ho dei vecchi parenti che abitano qui a New York. Ho provato fino alla fine di scampare al supplizio del Natale in famiglia ma quest’anno ho fallito miseramente.”
Spiegò la ragazza con fare sbrigativo, come se non fosse esattamente quello di cui volesse parlare.
Clarke però soppesò ogni parola. Un supplizio l’aveva definito, c’era chi avrebbe dato qualsiasi cosa per riavere indietro una famiglia vera con cui passare le feste e chi invece lo definiva con freddo disincanto un supplizio. Nella sua testa fece capolino il viso dolce di Octavia, come lei o forse più di lei, apparteneva a quella categoria di persone che probabilmente sognava ogni notte di riabbracciare quei genitori che per lei non c’erano mai stati, si morse un labbro e lasciò che i suoi occhi scivolassero sui suoi anfibi. 
“Com’è stato il rientro a New York?”
Clarke, alzò la testa e la guardò dritta negli occhi.
Perché le stava facendo quella domanda? Non capiva cosa stesse tentando di fare, voleva umiliarla?
Sentì la bile affacciarsi sul palato ma cercò di ricacciarla indietro mentre cercava delle parole più neutre possibili per definire il suo forzato ritorno.
Non fece in tempo, lo sguardo di Raven si fece più intenso, Clarke pensò che i suoi occhi avessero parlato prima che lei potesse farlo, effettivamente li sentì inumidirsi appena.
La ragazza ruotò appena il busto e le buttò le braccia al collo.
La giovane Griffin rimase avvolta in quell’abbraccio per qualche istante prima di poter reagire, era confusa, eppure quel contatto le era sembrato quanto di più sincero ci fosse mai stato tra le due. Ricambiò la stretta naturalmente mentre ancora in stato confusionale si chiese davvero cosa passasse per la mente di Raven.            
La mora interruppe per prima quel contatto annunciando
“C’è una cosa che devo assolutamente dirti ma mi piacerebbe farlo in un ambiente più tranquillo. Ti va di camminare un po’?”
Le disse già in piedi e porgendole una mano per aiutarla a staccarsi dalla panca sulla quale se ne stava seduta da troppo tempo.
La bionda annuì.
 
“Scusa la poca comunicazione, non sono esattamente in vena.”
Avevano preso a camminare per la via deserta, faceva davvero troppo freddo per starsene sedute su un muretto.   
“Tranquilla, è colpa mia.”
Clarke si fermò guardandola di sbieco, cosa diceva? Non era colpa sua… Era Bellamy che l’aveva trascinata in quel casino e lei, ancora una volta, non aveva fatto nulla per evitarlo, quella scena vista dall’esterno poteva apparire persino comica, era la seconda volta che le due si trovavano a condividere una situazione simile.
“Sai, in realtà avevo pensato di venire a New York pesino qualche giorno dopo la tua partenza, a prescindere dal Natale con i parenti… Dovresti sapere come stanno davvero le cose e dato che sappiamo tutti che parlare non è certo il forte di Blake, sapevo che era una mia responsabilità.”
Clarke aggrottò le sopracciglia.
“Non penso che tu debba scusarti o chissà cosa. Come al solito sono stata io a… portare scompiglio.”
Disse di getto e sinceramente fuggendo lo sguardo scuro della mora.
“No, aspetta, il fatto è che non sai come stanno le cose davvero, hai frainteso e fidati, stavolta tu non c’entri nulla!”
Clarke aprì la bocca ed una nuvola di condensa anticipò il fiato che stava per utilizzare ma Raven non le diede il tempo.
“Quando ti ho detto di me e Bellamy non sono stata chiara, non credevo ce ne fosse bisogno, non sapevo esattamente come andassero le cose fra voi.”
Fece una breve pausa
“E’ vero, io e Bell abbiamo condiviso qualcosa ma è stato un errore… Uno sfogo a dirla tutta, né io, né lui abbiamo tratto il minimo beneficio da ciò che c’è stato tra noi. E’ finita il giorno che vi ho visti insieme per la prima volta, quando siete venuti per l’incidente. Quando ti ho vista mi sono fatta prendere dalla collera e ho capito che non ero minimamente riuscita ad andare avanti. Lo stesso è stato per lui. Vederti a Boston mi ha aiutata più di quanto lui non sia stato in grado di fare. Ho capito che non eri tu il problema, né Bellamy che per inciso non potrà essere mai nulla più di un grande amico, il mio problema era Finn, erano le ferite che mi aveva lasciato addosso e che per assurdo tu sei stata in grado di curare, lo hai fatto inconsapevolmente accettando le mie scuse e provando con tutta te stessa a capirmi. In quanto a Bellamy te l’ho già detto, tra me e lui è finita subito anzi, in realtà non è mai iniziata. Posso dirti con certezza solo che lui è estremamente diverso, non è Finn. Quando quella mattina ci hai trovato in quel modo era perché mi aveva preso sulle spalle per arrivare alle tubature ed evitare di prendere la scala, io però mi sono mossa troppo, lui ha perso l’equilibrio e siamo caduti, a quel punto sei entrata tu. La cosa divertente è che io e Bell avevamo parlato di te per tutto il tempo, da quando sei arrivata nella sua vita quel ragazzo ha fatto dei cambiamenti incredibili, era impossibile non notarli… E’ persino riuscito ad accettare Lincoln. Ma da quando non ci sei è tornato come pensavo non lo avrei più rivisto, è in preda all’apatia. Clarke, tu ci hai curato… E senza di te non è lo stesso.”
Ci mise un po’ ad assimilare la miriade di informazioni che la ragazza accanto a lei aveva pronunciato con un’enfasi inaspettata, sembrava davvero sincera, aveva parlato come se fosse una questione di vita o di morte e per Clarke fu impossibile dubitare anche di una sola virgola, Raven non aveva alcun bisogno di mentirle, non avrebbe avuto minimamente senso.
Si sentì un’idiota e percepì il suo cuore ritornare a battere all’impazzata.
Un sorriso involontario si fece largo sul suo volto, la mora le prese le mani.
“Sapevo che avresti capito, O’ me l’aveva detto.”
 
-
 
“Vuoi spiegarmi per quale motivo dobbiamo organizzare noi la festa di Capodanno?”
Bellamy si stava lamentando mentre sua sorella trafficava da una stanza all’altra con addobbi e scatoloni vari.
“Te l’ho già detto Bell, nessuno aveva la disponibilità.”
“Nemmeno Lincoln?”
Le chiese con un tono pungente. La ragazza sbuffò.
“Nemmeno lui.”
Il moro si lasciò sprofondare sulla poltrona, lasciando che le sue mani sfregassero il viso e scompigliassero i capelli, a volte non era sicuro di avere la pazienza necessaria per stare dietro alla sorella.
“Ti farà bene vedrai, almeno ti terrai occupato… Dici sempre che funziona! E poi verranno tutti i tuoi amici.”
“Come se non li vedessi tutti i restanti trecentosessantaquattro giorni dell’anno.”
Dubitava ampiamente delle convinzioni di Octavia. Non aveva voglia e basta, non c’era molto da aggiungere ma evidentemente sua sorella non voleva sentire ragioni per cui si sarebbe dovuto rimboccare le maniche e aiutarla nella bizzarra impresa di decorare la casa a dovere.
“Mancano tre giorni, vuoi spiegarmi almeno perché stiamo facendo tutto questo adesso?”
Indicò dei vecchi scatoloni che O’ stava tirando fuori dal seminterrato in cui vi erano addobbi natalizi inutilizzati ormai da anni, anche sforzandosi non riusciva proprio a ricordare quando fosse l’ultima volta che avesse visto quella casa decorata per le festività invernali.
“Non vorrai fare tutto all’ultimo!”
“Dio O’, prendila con più tranquillità però! Sembra che stia per venire a farci visita il presidente in persona.”
La ragazza lo guardò aggrottando le sopracciglia e lasciando che un broncio improvvisato e poco credibile spuntasse sulle sue labbra.
“Ho voglia di farlo okay? Mi aiuta a percepire maggiormente l’aria di festa.”
Sapeva che Bellamy in quel momento avrebbe voluto soffocarla ma aveva i suoi buoni motivi per far sì che quel giorno fosse tutto perfetto e non si sarebbe fatta ostacolare dal cuore infranto di suo fratello.
Il campanello interruppe quella sana discussione fraterna. Octavia stava seduta sul pavimento, tentava di capire se il contenuto di quegli scatoloni colmi di polvere potesse essere ancora utilizzabile e così il maggiore dei Blake si trovò costretto ad andare ad aprire, stava per chiedere, sbuffando per l’ennesima volta, chi diavolo avesse invitato ma decise di evitare, l’avrebbe scoperto a momenti.
Fuori dalla porta John, Atom e Lincoln portavano sulle spalle un abete, ai loro piedi c’erano buste piene di addobbi.
“Ti conviene darci una mano amico.”
Disse Atom senza nemmeno salutarlo, lui annuì debolmente mentre i ragazzi entravano in fila indiana con in spalla il tradizionale albero.
Sentì Lincoln chiedere ad Octavia dove volesse posizionarlo mentre lui, ormai arresosi del tutto, si accingeva a portar dentro le mille buste colme di palline, luci e quant’altro.
Si chiese dove fosse Raven, sembrava che sua sorella ci avesse preso gusto con le riunioni tra vecchi amici ed effettivamente era l’unica a mancare all’appello.
Tra loro due le cose non erano andate male, la ragazza si era preoccupata fin troppo di ciò che quella caduta avrebbe potuto comportare ma Bell aveva cercato di fare in modo che non si sentisse coinvolta più di tanto.
Quando aveva saputo della partenza di Clarke, Raven gli aveva stretto la mano in silenzio, poi gli aveva chiesto se poteva quantomeno chiamarla, non aveva capito bene perché ma sembrava che la moretta avesse quel chiodo fisso di chiarire la situazione con Clarke a tutti i costi, doveva essere per via dei trascorsi con Finn. Dal suo canto però aveva provato a spiegarle che lui stesso più volte aveva già tentato di provare a raccontare a Clarke la verità ovviamente senza riscuotere alcun successo, temeva che se pure Rav si fosse intromessa i nervi della bionda non avrebbero retto.
“Dov’è Reyes?”
Murphy lo aveva letto nel pensiero e da in cima alla scala mentre adornava l’albero con un filo di luci colorate indirizzò la domanda alla minore dei Blake.
“A New York.”
Rispose d’un fiato, la ragazza sapeva che sentire il nome di quella città avrebbe fatto sussultare Bellamy che infatti sentì una fitta colpire la bocca dello stomaco.
“Che diavolo ci fa a New York?”
Come al solito Atom dava fiato prima di pensare.
“Da quanto ho capito ha dei parenti con i quali avrebbe passato il Natale, ci sarà per la festa, non disperate e credo che tornerà in compagnia.”
A quel punto Bellamy pensò di vedere sua sorella e Murphy che si scambiavano un occhiolino, credette quasi di aver avuto una visione e decise di non farsi domande così si offrì per andare a preparare una tazza di tè, ne aveva abbastanza di tutte quelle chiacchiere, non riusciva proprio a condividere quella spensieratezza che sembrava aver colpito all’improvviso ognuno di loro, nel profondo sapeva perfettamente di invidiarli.
 
-
 
“Sorpresa!”
Gridarono in coro Raven, Jasper e Monty.
Abby e Marcus li avevano lasciati soli in casa Kane per una cena con dei colleghi della madre di Clarke ed ora i quattro se ne stavano seduti sul tappeto del salotto.
La giovane Griffin stringeva i biglietti che tre giorni dopo li avrebbero portati dritti dritti a Boston, non era sicura di essere felice, nonostante tutti intorno a lei sprizzassero di gioia, sapeva che quello voleva dire solo una cosa e non era sicura di essere pronta, la verità è che non sapeva nemmeno se era ciò che voleva fino in fondo.
Era stata male ed anche se lo era stata per un qualcosa che nemmeno esisteva, dopo una simile scottatura aveva una paura fottuta di giocare con il fuoco nuovamente.
Per di più nonostante il suo pensiero corresse a Bellamy più del dovuto era in un certo senso riuscita inspiegabilmente a raggiungere una sorta di nuovo equilibrio a New York.
Era buffo perché non si era preparata minimamente ad una situazione simile, non l’aveva proprio presa in considerazione anzi, prima di partire avevano fatto capolino nella sua mente solo previsioni negative… Il ritorno invece era stato di gran lunga più piacevole del previsto e Clarke sentiva davvero di essersi liberata di una zavorra imponente che per troppo tempo l’aveva affossata.
Poteva quasi dire che quei pochi giorni passati a casa l’avessero resa una persona diversa, migliore per certi versi, certo ma non era sicura di essere la stessa persona che i Blake avevano salutato settimane prima.
Sentì gli occhi di tutti addosso, si aspettavano sicuramente una reazione differente, sprigionò una risatina nervosa e per nulla invitante.
Monty fu il primo a parlare
“Hei… C’è qualcosa che non va?”
Clarke non poté sfuggire il suo sguardo apprensivo.
“Io non so come ringraziarvi…” Lasciò scivolare i suoi occhi su ognuno di loro per poi riabbassarli sui biglietti “Solo che… non so se me la sento o se è la cosa giusta da fare.”
Ci fu un attimo di silenzio che pesò sulle spalle di Clarke più di quanto non potesse immaginare, non voleva deluderli ma non voleva nemmeno tradire se stessa.
L’amore è debolezza.
E realisticamente temeva di non avere la forza adatta per affrontare ancora il viso del maggiore dei Blake, di una cosa era certa… Era davvero innamorata di lui, lo aveva capito a pochi chilometri da Boston quando il vuoto più opprimente si era impossessato di ogni parte del suo corpo. Era stata forte, aveva continuato per la sua strada nonostante il primo istinto fosse stato quello di far marcia indietro ma adesso cosa sarebbe accaduto se lo avesse rivisto?
Raven la smosse dai suoi torpidi pensieri
“Dovresti darti una possibilità Clarke, avere paura è normale.”
Lo disse sorridendo mentre gli altri due annuivano all’unisono.
“Datti quantomeno un po’ di tempo per pensarci su!”
Questa volta a parlare fu Jasper che stranamente non aveva ancora detto nulla.
Non riuscì a scacciare una moderata curiosità che si era affacciata timidamente nei suoi pensieri:
“Ma esattamente quale sarebbe il programma?”
Raven ridacchiò e fece salire la giusta suspance prima di risponderle.
“A quanto pare Octavia si è messa in testa di organizzare la festa del secolo… Ha persino costretto gli altri ad adoperarsi per comprare degli addobbi degni di essere chiamati tali.”
“Capisci? Non possiamo assolutamente mancare, la regola prevede il fatto che io e Monty dobbiamo essere presenti ad un party simile… ne vale il nostro prestigioso titolo di re delle feste!”
Jas’ tentò a quel punto di sdrammatizzare, l’aria si era decisamente riscaldata e Clarke si permise persino di sorridere leggermente a quelle parole.
“Ma Bell… Bellamy lo sa?”
Non sapeva perché stava facendo quella domanda, era affiorata sulle sue labbra prima che potesse dire altro.
Rav la guardò incerta, probabilmente cercava di capire quale fosse la sua reazione o se voleva semplicemente sentirsi dire qualcosa.
“Non credo. Non fino ad oggi quanto meno… In realtà dovrei avvertire O’, volevamo essere sicuri che tu ci fossi prima di confermarle.”
“Quand’è che avrei detto sì?”
Disse Clarke con un misto d’ironia e serietà alla quale gli altri non seppero subito come reagire.
“Andiamo, vuoi davvero farci buttare il biglietto? Hai idea di quanto sia costato?”
Monty, il più pragmatico sviò la sua domanda retorica.
Clarke sbuffò alzando gli occhi al cielo ma poi accennò un sorriso.
“Bene, prendo come un sì quella tua strana espressione.”
E detto questo Raven prese il cellulare velocemente cominciando a digitare chissà cosa, la destinataria era ovviamente la minore dei Blake.
“Non si torna indietro principessa.
Jas le diede un buffetto sulla spalla e Clarke pensò che era strano sentire quel nomignolo uscire fuori dalla bocca di qualcuno che non fosse Bellamy, le mancava dannatamente persino la sua voce, il suo modo di parlarle come se esistesse solo lei.

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Capitolo 17
*** XVII ***


Ci siamo.
Argh.
La verità è che sostanzialmente questo è l'ultimo capitolo ed io mi sento molto peggio e meno sicura di quando ho pubblicato il primo.
Avete capito bene, proprio l'ultimo!
Almeno ufficiosamente, mettiamola così perché la verità è che al 99% vi ammorberò con un epilogo che però pubblicherò con un (bel) po' più di calma.
E niente spero che vi piaccia e di non aver rovinato tutto (questo è il mio più grande timore a dirla tutta!)
Per i dialoghi tra Bellamy e Clarke mi sono ispirata - molto lontanamente - alle loro interazioni negli episodi 3x05 e 3x13 ne parlerò meglio in un angolino che mi ritaglierò a fine capitolo!
Nel frattempo vi ringrazio con tuttotuttotutto il mio cuoricino, siete stati meravigliosi e mi sono affezionata ad ognuno di voi che pazientemente mi ha sopportato e sostenuto tramite bellissimi messaggi e recensioni 

Perciò vi mando un bacio gigante colmo di affetto e gratitudine,
vostra Chiara



XVII
 
Il finestrino le mostrava panorami sfuggenti illuminati da una luce quasi irreale, il sole stava tramontando e nell’arco di un’ora sarebbero arrivati a Boston.
Raven, Green e Jordan ridacchiavano da quando il viaggio era iniziato, Clarke aveva provato con tutta se stessa a star dietro a quelle chiacchiere per una buona mezz’ora ma poi si era arresa così aveva finto di addormentarsi.
Ora però se ne stava seduta in quel vagone angusto, le mani sulle ginocchia e le labbra massacrate dai denti che non riuscivano a smettere di morderle, erano cinque minuti buoni che aveva preso a percepire il sapore del sangue ma nonostante ciò smettere era impossibile.
Fuggiva lo sguardo degli altri puntando i suoi occhi fuori il finestrino lercio.
Sapeva che si erano accorti del suo teatrale e mal recitato risveglio ma nessuno aveva osato chiederle nulla.
Fu grata che quei tre si trovassero così bene insieme, parlavano ininterrottamente, la bionda si era abituata perfettamente al loro vociare unito allo stridere delle ruote sulle rotaie e quella strana melodia sembrava cullare i suoi pensieri inquieti, si chiese se quando tutto quello sarebbe finito anche le sue fantasie l’avrebbero abbandonata.
Da quando aveva messo piede su quel treno, controvoglia, non aveva fatto altro che avere un chiodo fisso: Bellamy Blake.
Si ritrovò ad immaginare più volte il loro incontro, mentalmente si preparò perfino un discorso da fare.
Non aveva toccato cibo tutto il giorno tanta era l’agitazione.
Maledisse quella nauseante sensazione, ancora una volta si riconosceva a stento, era sempre riuscita a controllarsi, non aveva mai avuto crisi di panico, mai aveva permesso all’ansia di dominarla in quel modo, nemmeno al capezzale di suo padre.
Eppure quel senso di inquietudine continuava a corroderle lo stomaco e a farle aumentare i battiti cardiaci ogni qual volta nei suoi pensieri appariva quel volto ornato da mille lentiggini.
 
Non era mai stata a casa di Raven.
Appena arrivati avevano preso un taxi e si erano ritrovati in un monolocale con un soppalco, era bello in modo esagerato, ordinato e pulitissimo, sembrava una casa tipo da rivista d’arredamento ma per questo appariva anche dannatamente fredda.
“Fate come se foste a casa vostra.”
Clarke le rivolse l’attenzione.
“Posso usare il bagno?”
La mora annuì.
“Muoviti però, dobbiamo organizzarci con i turni per prepararci, ho promesso a O’ che saremmo andati un po’ prima per darle una mano.”
Clarke non rispose, raggiunse il bagno rapidamente e si chiuse la porta alle spalle.
Aprì il rubinetto facendo scorrere l’acqua, con le mani si porto il liquido limpido al viso, si sciacquò velocemente, quasi con foga poi permise ai suoi occhi di ispezionare la sua figura riflessa nello specchio.
Era pallida.
Le labbra screpolate e martoriate dal freddo e dal suo stesso vizio di mordersele in continuazione.
Due occhiaie descrivevano alla perfezione il suo contorno occhi.
La fronte scoperta, come il resto del viso, era ancora imperlata dall’acqua gelida che alla luce al led del bagno rendeva le goccioline quasi scintillanti.
Respirò a fondo.
Non aveva dormito affatto durante quelle notti ed il suo viso sembrava renderlo manifesto. Aveva passato le nottate a rigirarsi tra le coperte, cercava timidamente di rievocare le immagini di quando in quella stanza con lei c’era stato anche il maggiore dei Blake, si era vergognata quando si era sorpresa ad annusare il cuscino cercando di riconoscere invano il suo odore.
Era sparito, si era dissolto assimilato dal suo e da quello dell’ammorbidente che sua madre utilizzava quando faceva il bucato.
 
Guardare il suo riflesso in quello specchio non faceva altro che confermare il fatto che si fosse piegata ad un sentimento che non era in grado di controllare, per la prima volta in vita sua sentiva la paura impadronirsi di lei.
Essere lì, in quella città, non voleva solo dire fronteggiare Bellamy, voleva dire arrendersi definitivamente a ciò che sarebbe accaduto, la verità è che Clarke si sentiva invasa dai sensi di colpa, non aveva dato alcuna possibilità a Bell, aveva lasciato che un’ampia barriera la avvolgesse allontanandola da lui per sempre.
Si era resa conto di aver fatto esattamente ciò che aveva rimproverato alla madre per troppo tempo, non era stata in grado di combattere per amore.
Non si sarebbe stupita dunque se il maggiore dei Blake non avesse accettato di parlarle dopotutto lei aveva fatto lo stesso e forse questa era la sua paura più grande, se Bell non l’avesse perdonata, sarebbe finito tutto e stavolta per davvero, in modo irreversibile.
Sentì bussare alla porta.
“Hei Clarke tutto okay? E’ un quarto d’ora buono che te ne stai chiusa lì.”
La voce di Monty sembrava davvero preoccupata.
Solo in quel momento la bionda si rese conto che stava tremando, doveva darsi un contegno e recuperare l’autocontrollo.
Inspirò.
“Si…” Si bagnò i polsi con dell’acqua gelida. “Adesso arrivo.”
 
-
 
“Volete muovervi?”
Octavia era su di giri, sembrava davvero agitata come se quella festa fosse una ragione di vita o di morte per lei.
“Andiamo O’, lasciaci almeno il tempo di metterci il cappotto.”
John la canzonò delicatamente.
“Avete preso la lista?”
“Bell dovresti averla in tasca.”
Il biondo gli lanciò un’occhiata che lo smosse  da quella perenne distrazione che lo aveva colpito da quando Clarke era sparita dalle loro vite.
Automaticamente lasciò scorrere la sua mano verso la tasca posteriore dei jeans, afferrò la lista e la sventolò sotto il naso della sorella.
“Sbrigatevi.”
O’ squittì impaziente e il fratello cercò di ignorarla.
Quella situazione lo stava mettendo seriamente a disagio, erano tutti irrequieti, in fibrillazione, sembravano dei ragazzini che entravano in un pub per la prima volta.
 
“Si può sapere che vi prende?”
Sbottò una volta in auto con l’amico.
“Che vuoi dire?”
“Andiamo… Sembrate così eccitati all’idea di questa fantomatica festa.”
“Santo cielo Bellamy, cerchiamo solo un po’ di leggerezza, sai è una scusa come un’altra per distrarsi dalla pesantezza delle nostre insulse vite.”
Bellamy lo guardò poco convinto e mise in moto, avrebbero fatto il rifornimento di alcolici da Joseph che glieli stava vendendo ad un prezzo stracciato.
“Aspettami in macchina”
Fece Murphy.
Bell non oppose resistenza, era stanco.
Per tutti quei giorni si era sentito trattato come una persona a cui era stata diagnosticata una malattia terminale, non facevano altro che tenerlo occupato, fargli più domande del dovuto e così via.
Il più delle volte cercava di non rispondere, di ritagliarsi i suoi spazi ma con quella storia della maledetta festa di fine anno gli era stato praticamente impossibile, casa sua era invasa da quella strana combriccola praticamente ventiquattr’ore su ventiquattro.
Senza rendersene conto uscì dall’auto e cominciò a camminare quasi nevroticamente, avanti e indietro.
Negli ultimi tempi la delusione che con orrore e prudenza cercava di non accostare a una vera e propria definizione di disperazione aveva fatto largo ad un senso di rabbia che stava tentando di reprimere come poteva.
Non sapeva se sarebbe riuscito a resistere ancora per molto, quando aveva iniziato la terapia con Jaha quest’ultimo lo aveva avvertito
“Devi imparare a controllare la rabbia ragazzo, ho letto i tuoi fascicoli scolastici, sembra che la tua testa calda ti abbia portato a partecipare ad un numero un po’ troppo elevato di risse.”
Ricordò di come l’unica cosa positiva che aveva tratto da quegli incontri fosse stato proprio il controllo di se stesso, aveva imparato a gestire le sue emozioni soprattutto le negative, quelle più presenti nella sua vita effettivamente.
Ogni qual volta sentiva di esplodere chiedeva ad Atom di ospitarlo in palestra dopo la chiusura, gli era capitato di passare nottate intere a sfogarsi sul sacco.
Ma quelli erano ricordi che appartenevano a qualche anno prima.
Con il tempo aveva appreso soprattutto come lasciarsi scivolare le cose addosso, forse qualcuno avrebbe azzardato dicendo che era semplicemente maturato.
Eppure percepiva che qualcosa non andava, erano anni che non sentiva il sangue ribollire in quel modo, la frustrazione per essere compatito da chiunque gli rivolgesse la parola (persino il vecchio Joseph) aveva raggiunto livelli esasperanti.
Tutto questo per cosa?
Una ragazza, di cui ormai a fatica riusciva a pronunciare il nome.
Il vuoto che Clarke aveva lasciato in lui era stato rimpiazzato prima dall’amarezza poi da vero e proprio rancore.
Era arrabbiato.
Lo aveva lasciato senza dire nulla, non gli aveva nemmeno concesso di darle la ben che minima spiegazione eppure lui aveva fatto i salti mortali per lei, l’aveva persino accompagnata a quello stupido matrimonio, dov’è che aveva sbagliato?
Quella domanda continuava a perseguitarlo da quando la biondina era sparita nel nulla e il non riuscire a trovare una risposta esaustiva lo aveva ridotto in quello stato penoso.
Continuava ad essere convinto che se avesse avuto davvero bisogno di lui come gli aveva detto, gli avrebbe dato una possibilità, lo avrebbe quantomeno ascoltato, invece se n’era lavata le mani come se niente fosse, lo aveva fatto sentire un pezzente.
Clarke Griffin non lo amava davvero, non c’era altra spiegazione, doveva essere così, quella era la cruda verità.
Ora lui doveva solo capire come accettarla.
Se solo non si fosse lasciato trascinare in quella situazione… Guardò il suo riflesso nel vetro della macchina alla quale sfilava accanto ormai da troppo tempo.
Nonostante la poca luce riconobbe il suo volto livido, la mascella tesa, gli occhi ridotti a fessure.
Sputò a terra, doveva andare avanti e quale migliore occasione dell’anno nuovo?
Rientrò in macchina prima del ritorno di John, sapeva che se lo avesse trovato fuori gli avrebbe rivolto l’ennesimo interrogatorio sul suo stato d’animo e allora sì che sarebbe stata la fine.
 
-
 
Aveva abbondato con il fondotinta e Raven l’aveva aiutata.
Le fu grata, a prescindere da come sarebbero andate le cose, era sempre più convinta che non ce l’avrebbe mai fatta senza di lei, le aveva persino prestato un vestito.
Era un semplice tubino nero, dannatamente attillato per gli standard di Clarke e forse un po’ troppo scollato ma quando si erano ritrovati tutti  insieme di fronte all’armadio di Rav, era stato impossibile smuovere la compagnia dalla scelta che era ricaduta proprio su quell’abito.
“Siete proprio sicuri di questo dresscode?”
Jasper si lamentava mentre si sistemava il papillon dalla dubbia decorazione in tinta con le bretelle che teneva sopra la camicia bianca leggermente sbottonata.
“Assolutamente… O’ è stata irremovibile.”
Disse laconica, quasi scusandosi Raven.
“Stai benissimo Jas.”
Clarke tentò di consolarlo, era il minimo che potesse fare dopo tutto ciò che quei ragazzi avevano fatto e sacrificato per lei, si accorse che Monty la guardò con un sorrisino soddisfatto stampato sulle labbra.
“Se lo dici tu… Peccato che qualcuna sia già impegnata.”
Era sicura che non fosse tra le intenzioni del ragazzo rivelare quel piccolo ed innocuo pensiero ma non poté esimersi dal ridacchiare tra sé e regalare all’amico una pacca sulla spalla.
 
Arrivarono a casa Blake nemmeno un’ora dopo, Clarke non era mai stata così tesa in tutta la sua intera vita, mille domande e paranoie la tormentavano con un’intensità ancora maggiore di quanto non fosse stato fino a quel momento.
Si presentarono alla porta stringendo due bottiglie di spumante, la bionda restò leggermente indietro dal resto dei ragazzi quasi come a volersi coprire dietro i corpi slanciati di Green e Jordan,  in qualche modo era convinta che entrare ed essere vista per ultima le donasse un’illusione di una seppur fragile protezione.
Raven suonò al campanello e Clarke strinse istintivamente la mano di Monty che stava esattamente due passi avanti a lei. Sentì la morbida presa di lui infonderle un barlume di coraggio, sapeva che se non le avesse dato le spalle gli avrebbe sorriso o bisbigliato qualcosa in grado di rafforzarla quel tanto per farle affrontare a testa alta quella situazione colma di interrogativi ai quali era giusto dare delle risposte definitive.
Fu Octavia ad aprire e la bionda non poté fare a meno di tirare un gran sospiro di sollievo, sotto sotto però se lo aspettava, era quasi sicura del fatto che Bellamy non l’avrebbe accolta di persona soprattutto se contornata da altra gente, in particolare se accompagnata proprio da Raven.
Il viso di O’ era adornato da un sorriso raggiante e in quel contesto piuttosto emozionato che sembrava voler risaltare ancor di più i suoi lineamenti delicati.
Indossava un vestito verde smeraldo che faceva perfettamente pendant con i suoi occhi grandi e gioiosi, Clarke pensò che Jas’ doveva aver spalancato la bocca in un espressione del tutto inebetita, la bellezza della minore dei Blake quella sera avrebbe messo a disagio chiunque, rivedere quella figura aprì uno squarcio nel cuore della giovane Griffin che solo in quel momento si rese conto che ciò che stava vivendo era reale e non faceva parte di uno dei tanti sogni tormentati che l’avevano perseguitata durante le notti passate.
“Dio, sono così contenta di vedervi.”
Esclamò riservando poi un abbraccio ad ognuno di loro e assicurandosi che Lincoln e Atom, avendola ormai raggiunta sulla soglia, facessero lo stesso.
Quando fu il suo turno sentì che la piccola Octavia la strinse più del dovuto, aveva una forza incredibile per il suo corpo minuto.
“Temevo non venissi”
Le sussurrò mentre pian piano la scioglieva dalla presa delle sue braccia.
Clarke abbassò leggermente lo sguardo e improvvisò un sorriso che probabilmente però trasudava terrore ed incertezza perché la più piccola le prese le mani e le disse “Andrà tutto bene, vedrai.” Stava per lasciarla entrare quando poi aggiunse “Hai ancora un po’ di tempo per prepararti… Bell e John sono andati a prendere le ultime cose.” Infine le riservò un occhiolino furbo.
Solo in quel momento Clarke si rese conto che il suo respiro si riassestò, l’ansia le aveva ancora una volta fatto perdere il controllo di sé impedendole di rendersi conto che stava boccheggiando.
Il salone di casa Blake era irriconoscibile, i mobili erano stati spostati per lasciare maggiore spazio, un grande abete colmo di addobbi e lucine si stagliava sul lato sinistro e altre luminarie varie adornavano ogni angolo della casa che odorava di buono.
Clarke fu presa da un timido fremito, le era mancato così tanto quel luogo…
 
Era ancora l’unica ad avere ancora indosso il cappotto, doveva essersi persa di nuovo nei suoi pensieri perché gli altri si erano già sparpagliati lungo l’area del salotto, Raven stava aiutando Octavia a disporre le ultime cose sul tavolo mentre i ragazzi si erano accomodati sul divano e sembravano presi da una conversazione fitta.
La bionda si avvicinò alle due ragazze che nell’angolo cottura si accingevano a svuotare pacchi di patatine e cibarie varie in delle scodelle colorate.
“O’, dove posso poggiare il giacchetto?”
Fece agitando le braccia per attirare la sua attenzione, la mora si voltò appena e sovrappensiero le rispose velocemente
“In camera tu…” Si corresse mordendosi un labbro “Nella camera degli ospiti.” Poi ritornò a preparare freneticamente la disposizione del cibo forse leggermente imbarazzata dalla gaffe.
Clarke annuì più a se stessa che alla minore dei Blake, la sua camera era diventata la camera degli ospiti ed era giusto così, in un certo senso provò sollievo nel sapere che nessuno avesse ancora preso il suo posto.
Si diresse velocemente su per le scale, non ci fu nemmeno bisogno di accendere le luci, conosceva così bene quella casa ormai, entrò di soppiatto in quella stanza che le era appartenuta per mesi, come se adesso si sentisse un’intrusa, si sfilò velocemente il giacchetto e la sciarpa, senza nemmeno guardarsi intorno, sapeva che nulla era cambiato.
Lo aveva capito in fretta, i Blake non amavano quel luogo che era appartenuto molto prima di lei ad Aurora, era conscia del fatto che tutto era intatto, uguale a come lo aveva lasciato lei nemmeno un mese fa e perdersi in quella stanza avrebbe voluto dire aumentare a dismisura quel senso di nostalgia che l’aveva attanagliata non appena messo piede nella dimora dei fratelli Blake.
Accostò la porta alle sue spalle, chiuse gli occhi ed espirò, nel buio e nel silenzio di quel piano riusciva a percepire la miriade di sensazioni che la sconvolgevano, sentiva lo stomaco in subbuglio, il cuore palpitare ad una velocità smisurata e la bocca asciutta.
Avrebbe voluto aggrapparsi disperatamente a qualcosa o qualcuno per farsi forza ma si rese conto che ormai non era più in grado di farlo, aveva sempre contato sugli altri per superare le proprie paure primo fra tutti c’era stato Jake, suo padre, l’unica persona che c’era sempre stata per lei, fino agli ultimi istanti, era morto stringendole la mano e forse in quel momento era stato lui a trarre la forza necessaria da lei per abbandonare quel corpo ormai martoriato dalla malattia, quel mondo e quelle persone che avrebbero avuto ancora tanto da offrirgli.
C’erano stati Jasper e Monty poi, per un periodo che ormai sembrava appartenere ad un passato remoto persino Collins era stato un punto fermo, un’ancora.
Ma mai nessuno nella sua vita era stato presente come Bellamy Blake, nessuno le aveva dato le stesse sicurezze senza chiedere assolutamente nulla in cambio e adesso l’ironia della sorte voleva che quel tremore, quella stupida agitazione fosse dovuta proprio al fatto che a momenti se lo sarebbe ritrovato davanti in carne ed ossa senza poter più far affidamento su di lui, lo avrebbe dovuto affrontare, avrebbe dovuto provare a lottare per convincerlo che si era pentita, che si era lasciata sovrastare dal timore di perderlo fino a far sì che quell’immensa paura si tramutasse poi in gelida realtà.
Si ritrovò nella camera del maggiore dei Blake senza nemmeno rendersene conto.
Dal primo momento in cui si era traferita quel posto le era apparso semplicemente off-limits, cercò di provare a ricordare se avesse mai osato metterci piede e alla fine realizzò che l’unica volta in cui si era affacciata da quella porta in modo del tutto fugace era stato quando durante la nevicata aveva dovuto avvertirlo del malfunzionamento dei termosifoni.
Accese la luce e respirò a fondo l’aria nella stanza, finalmente riuscì a percepire il suo odore, quel profumo acre che aveva cercato per tutto quel lasso di tempo in cui era stata lontano da lì senza mai riuscire a ritrovarlo da nessuna parte, addosso a nessuno.
Si guardò intorno cercando di catturare con lo sguardo qualsiasi dettaglio, dopotutto era il mondo di Bellamy e non avendo la sicurezza del suo perdono voleva conservare dentro sé qualcosa che lo riguardasse anche solo per un’ultima volta.
Le pareti rosse scuro emanavano calore ed i mobili in legno rendevano il tutto più accogliente.
Il letto era sfatto da un lato.
La scrivania invasa da vestiti e qualche foto che lo ritraeva in compagnia di Murphy ed Octavia, sfiorò quelle immagini avvicinandosi di soppiatto, dovevano essere di qualche anno fa. Il viso di Bell era più scavato ed insieme alle lentiggini s’intravedeva qualche brufolo tipico dell’adolescenza, Murphy faceva una linguaccia eppure la sue espressione sembrava identica a quella che sfoderava tutti i giorni, O’ invece era semplicemente più paffuta ma il suo sguardo era già maturo, già adulto, doveva essere cresciuta fin troppo in fretta.
Sapeva che avrebbe dovuto raggiungere gli altri, che avrebbe dovuto aiutare O’ e Rav ma non riusciva a staccare gli occhi da quelle fotografie o ad abbandonare quella camera che le faceva sentire Bellamy più vicino in un certo senso.
Era come se restare lì dentro le desse la sensazione che non fosse cambiato nulla, come se fosse tornata indietro nel tempo, era il luogo a cui sentiva di appartenere.
Solo in quel momento sentì la porta che prima si era chiusa alle sue spalle aprirsi, doveva essere Octavia che veniva a cercarla, cercò nella sua mente una scusa credibile da raccontarle, non sapeva come avrebbe potuto reagire vedendola nella stanza del fratello e con un gesto repentino abbandonò sulla scrivania la cornice in cui i volti dei fratelli Blake e il giovane Murphy erano rinchiusi in un alone di nostalgia e vetro impolverato.
Si voltò velocemente ma una frase tagliente le arrivò prima che potesse davvero realizzare
“Clarke… Cosa diamine ci fai nella mia camera?”
La bionda trasalì, sentire quella voce profonda e inconfondibile le squarciò il petto a metà e sentì il panico prenderla alla sprovvista.
Bellamy Blake si stagliava di fronte a lei, chiuso in un cappotto scuro e avvolto da una sciarpa blu, la faccia arrossata dal freddo e gli occhi pieni di risentimento.
 
-
 
Quando Octavia aveva percepito un leggero bussare alla porta sapeva perfettamente che si trattava di Bell e Murphy.
A quel punto infatti gli altri invitati erano arrivati tutti c’erano Miller e Bryan, ormai inseparabili che avevano raggiunto in fretta gli altri ragazzi con i quali stavano discutendo rumorosamente sul campionato di Basket come se non ci fosse un domani.
Emori ed  Harper, sue compagne di corso, invece si erano presentate al volo con Raven e si erano subito rese disponibili per dare una mano alle due ragazze.
Realizzò in quel momento che Clarke non era più scesa, era via da almeno una ventina di minuti buoni e in un certo senso fu contenta, voleva che la sua presenza lì fosse una sorpresa per Bellamy così prima di aprire costrinse Jas e Monty a nascondersi nella sua camera, vederli lì sarebbe stata una prova schiacciante, suo fratello doveva ancora vestirsi a festa e magari salendo sarebbero riusciti a scontrarsi, a quel pensiero si compiacque, tutto sarebbe andato come programmato, si concesse dunque un sorrisino beffardo che probabilmente nessuno notò davvero.
Solo quando trascinò i due al sicuro aprì la porta, fu grata che Bell avesse dimenticato le chiavi dentro o non avrebbe mai fatto in tempo.
“Dio O’ perché ci hai messo così tanto? Stavamo congelando… Quel geniaccio di tuo fratello ha scordato di nuovo le chiavi.”
Fece con enfasi John mentre si guardava intorno attento probabilmente alla ricerca di Clarke.
I due entrarono stringendo due buste di carta colme di bottiglie e salutando gli altri più o meno cordialmente.
 
 
“Dovresti andare a cambiarti”
Sua sorella lo aveva preso per un braccio e trascinato fino all’imbocco delle scale.
“Dai O’… E’ davvero necessario?”
Sapeva che non avrebbe voluto sentire ragioni, era stata particolarmente severa quando aveva parlato di ‘abbigliamento consono alla festa’ ma sperava comunque di poter fare uno strappo a quella insulsa regola.
Scosse il capo come previsto.
“Fila a cambiarti Bell.”
Il ragazzo sospirò e cominciò a salire i gradini a due a due.
Non vedeva l’ora che la festa finisse, realizzò adesso che quelle stupide promesse sull’anno nuovo fatte di obiettivi irraggiungibili e buoni propositi non facevano proprio per lui.
La porta della sua stanza era chiusa ma vide chiaramente dalla fessura che la distaccava leggermente dal pavimento che la luce era rimasta accesa, si rimproverò mentalmente, con tutte quelle dannate lucine che sua sorella aveva sparso per casa sarebbe arrivata una bolletta da brividi, non poteva permettersi di dimenticarsi le luci accese, affrettò il passo verso la camera ed aprì la porta con velocità.
Ci mise una frazione di secondo a riconoscere la figura di spalle che se ne stava proprio di fronte a lui, non era difficile attribuire l’appartenenza di quella chioma bionda e sentì il respiro mancargli per qualche istante quando si sorprese a soffermarsi sulla schiena lasciata scoperta da un vestitino nero che lasciava davvero poco spazio all’immaginazione.
Deglutì e strinse le mani in due pugni, non poteva farsi abbindolare.
La ragazza si stava voltando quando lui con fare inquisitorio e piuttosto aggressivo le chiese
“Clarke… cosa diamine ci fai nella mia camera?”
Non voleva sapere realmente per quale dannato motivo lei fosse lì, voleva solo che sparisse dal suo campo visivo.
O forse no.
Lei lo guardò dritto in viso, un’espressione crucciata e preoccupata sembrava dipinta alla perfezione sul suo volto.
Gli occhi languidi, spalancati di un azzurro intenso che aveva quasi dimenticato.
Le labbra rosee socchiuse ed un leggero imbarazzo che le tingeva di rosso le guance.
Stava provando a dire qualcosa, lo leggeva palesemente nel modo in cui muoveva leggermente la mandibola eppure sembrava non riuscire a dar fiato alle parole.
Non gli importava se fosse uno strano scherzo di Octavia o Murphy o chi per loro, se Clarke era venuta di sua spontanea volontà, se ancora una volta il destino gli stesse tirando un colpo basso, sentiva solo un’incontrollabile rabbia pervaderlo e accalorarlo.
Si tolse la giacca con un gesto secco scaraventandola sul letto, poi incalzò la bionda con un tono determinato e forse un po’ troppo minaccioso.
“Cosa ci fai qui Clarke?”
La ragazza esitò leggermente probabilmente destabilizzata da quel rancore amaro che emergeva da ogni singola parola da lui pronunciata.
“Abbiamo bisogno di parlare…”
Non sembrava convinta.
“Ah quindi hai deciso che dobbiamo farlo proprio ora? Dopo essere scappata, senza darmi nessuna possibilità di chiarimento, ti ripresenti qui come se nulla fosse e adesso vuoi parlarmi?”
Le parole di Bellamy trasudavano delusione, Clarke serrò le labbra e digrignò i denti, il ragazzo riconosceva alla perfezione l’effetto catastrofico che quella frase stava avendo su di lei. La vide fare un respiro profondo probabilmente per non abbandonarsi a quelle emozioni che la stavano cogliendo di sorpresa
“Lo sai, non avevo altra scelta.”
Il maggiore dei Blake sembrò ignorare quella risposta così vaga e approssimativa.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda. Perché sei qui Clarke?”
Si morse le labbra.
“Octavia.” Sussurrò, temeva che Bellamy potesse fraintendere perché riprese subito a parlare gesticolando e balbettando come una forsennata “E’ stata una sua idea, si è organizzata con gli altri, mi hanno regalato il biglietto per venire qui e… Bell, avevo pensato che non fosse giusto, che non avessi voglia di vedermi ma non sono riuscita a tirarmi indietro, avevo bisogno di chiarire.”
“Non mi sembra ti stia riuscendo granché bene.”
Clarke si avvicinò leggermente, avrebbe fatto un passo indietro se dietro di lui la porta non fosse stata chiusa ostruendogli così il passaggio.
“Ti prego dimmi che affrontare tutta questa situazione come fosse una guerra non è quello che vuoi.”
La guardò alzando un sopracciglio, con che coraggio gli stava chiedendo una cosa simile? Come poteva arrendersi? Come poteva perdonarla? Sentiva ancora quella morsa di dolore stringergli il petto dal giorno in cui li aveva lasciati senza dargli nemmeno una possibilità.
“E se così fosse? Guardaci, prova a ricordarti di quando ci siamo visti per la prima volta, non sarebbe una novità, siamo sempre stati in guerra io e te.”
Scosse la testa angosciata.
“Sai che non è così, questo non è ciò che sei Bell.”
“Ti sbagli, questo è ciò che sono sempre stato, ho solo lasciato che tu m’illudessi del contrario persino Octavia e Murphy mi hanno spinto a fidarmi di te e guarda com’è andata a finire, non lascerò che gli altri mi dicano più cosa devo fare.”
Disse sfoggiando un ghigno amaro e alzando il tono della voce che ora sovrastava persino la musica e il chiacchiericcio che finora si percepivano dal piano inferiore.
Clarke si strinse le braccia al petto, il suo respiro arrivava alle orecchie del maggiore dei Blake spezzato, sembrava che potesse scoppiare a piangere da un momento all’altro e il ragazzo faticò a trattenersi dal precipitarsi vicino a lei e stringerla a sé, nonostante tutto ciò che aveva passato lontano da lei in quelle giornate infernali, vederla così lo devastava, soprattutto sapendo che erano state le sue parole a ridurla in quello stato.
Una piccola parte di lui però non riusciva a biasimarsi, si sentiva vittima dell’atteggiamento di Clarke, non si era fidata, aveva lasciato che le impressioni prendessero il sopravvento e rovinassero in pochi minuti ciò che avevano condiviso.
“Bellamy, ho bisogno di te.”
Gli occhi della principessa erano lucidi, sembravano due specchi d’acqua cristallina eppure la rabbia continuava a ribollire nel sangue caldo del moro nonostante sentire quella frase lo avesse fatto sussultare appena.
“Ah sì? Hai bisogno di me?”
Il tono beffardo.
“Si. Ho bisogno del ragazzo che non mi ha lasciata sola la notte del matrimonio di mia madre.”
“Mi hai lasciato Clarke. Hai lasciato tutti noi…”
“Bellam…”
“Ne ho abbastanza. Non abiti più qui adesso e non c’è alcun motivo per cui tu te ne stia qui in camera mia. Non ti rendi conto dei danni che hai fatto? Ci hai lasciati senza il minimo preavviso quando sapevi benissimo quanto ci servisse la quota dell’affitto, arrivare a fine mese con O’ che studia e con un solo stipendio è impossibile. Mi hanno trattato come un pezzente per tutti questi giorni, come una bambina a cui è morto il gatto, come se avessi bisogno di essere compatito. Mia sorella ha persino messo in piedi questa maledettissima festa e lo ha fatto per te a quanto pare… Ha speso tutti i risparmi che aveva per comprare degli stupidi addobbi e rendere la casa a prova di principessa, coinvolgendo ogni amico mio e suo.”
“Io… Mi… mi dispiace.”
Le stava rinfacciando cose stupide, lo sapeva in cuor suo ma non riusciva a farne a meno, era stato male, da morire. E vederla lì avvolta in quel vestito maledettamente sexy gli aveva dato l’impressione che lei non avesse sofferto nemmeno la metà di quanto avesse fatto lui, nemmeno quelle scuse sofferte e sincere sembravano convincerlo del tutto.
Ai suoi occhi si era presentata in quella casa di nuovo con una semplicità snervante, aveva solo cercato di farla sentire in colpa perché per un mese lui stesso era stato perseguitato da un senso di colpa colossale: quello di non aver fatto abbastanza e tutti non sembravano far altro che ribadirglielo ad ogni sguardo, ad ogni parola, con ogni gesto. Persino quella messinscena della festa di fine anno lo confermava, andava a coprire in qualche modo quelle che erano state le sue  carenze, senza considerare minimamente che era stata Clarke a lasciarli lì a Boston, soli, di nuovo.
La sentì singhiozzare, tirare su con il naso probabilmente per impedire alle lacrime di fare il loro corso, lui si era già voltato, una mano sulla maniglia, pronto a lasciarla indietro, ad abbandonare quella farsa una volta per tutte eppure stava tentennando, non riusciva a lasciarsi alle spalle quella ragazza, non in quel modo.
La sentì arretrare, lasciarsi cadere sul letto seduta probabilmente, non aveva bisogno di osservarla per prevederne i movimenti, era sicuro che se ne stava con il capo chinato, i capelli che le coprivano parzialmente il viso e le mani sulle ginocchia raccolte verso il petto.
Provò a resistere ancora un po’ all’impulso di precipitarsi da lei, cercò di rielaborare quanto accaduto in quegli ultimi minuti, sapeva di avere esagerato, sapeva che Clarke non aveva avuto potere decisionale che era stata costretta a lasciare Boston e sapeva quanto quelle parole l’avessero ferita ma…
Si rese conto improvvisamente che non c’erano ma.
“Scusami.”
Fu un sussurro flebile, la voce gli arrivò completamente spezzata dal pianto che Clarke sembrava ormai riuscire a trattenere davvero a stento.
Si voltò e la vide lì, sull’angolo del suo letto, minuscola, indifesa e ferita ed era colpa sua, sua e di nessun altro stavolta.
Clarke alzò leggermente il viso ed i suoi occhi si scontrarono con quelli arrossati di lei e resi ancor più scintillanti dalle lacrime salate che non riuscivano ad abbandonarli.
“Mi dispiace di esser andata via, ho fatto un casino Bell, io non potevo sapere…  sono stata un’idiota, non credevo che… Dio. Ero così convinta di ciò che avevo visto che non ci ho più capito nulla.”
Bellamy rimase impalato a guardarla, era bellissima, non riuscì a far niente oltre che permettersi d’indugiare su di lei ancora un po’, sapeva quanto fosse costato a Clarke ammettere di aver sbagliato, lo aveva capito fin da subito, l’orgoglio era radicato in lei almeno quanto lo era in lui.
La vide riabbassare la testa con un gesto sconsolato, probabilmente si aspettava una reazione più repentina da parte sua e quella titubanza doveva averla scoraggiata e condotta fuori strada.
Scosse la testa avvicinandosi a lei piano, non sapeva cosa stava facendo esattamente, sapeva solo che non riusciva più a starle lontano, aveva già sprecato troppo tempo.
S’inginocchiò di fronte a lei prendendole una mano tra le sue, sentì il suo sguardo intenso su di sé e la mano minuscola stringersi alle sue quasi aggrapparsi alla sua carne.
Si sentì vivo per un momento.
Sapeva che l’avrebbe perdonata anche perché se non l’avesse fatto avrebbe dovuto convivere per sempre consapevole di aver commesso l’errore più grande della sua vita, solo non sapeva ancora quando sarebbe stato pronto davvero.
Senza lasciarle la mano si alzò per poi sedersi accanto a lei.
Sentì la testa di Clarke poggiarsi tra la sua spalla e il suo petto, il cuore ricominciò a battere.
“So che potremmo aggiustare tutto questo”
Sospirò la bionda cercandolo con lo sguardo, lui però non ricambiò quel contatto visivo.
 
-
 
Qualcuno aveva alzato il volume della musica, si chiese se la loro discussione avesse raggiunto le orecchie degli altri.
Ma realisticamente doveva essere stato semplicemente Jasper che si era impossessato quasi sicuramente dell’impianto stereo.
Tra lei e Bellamy era piombato un silenzio assordante spezzato solamente da quei rumori che comunque apparivano lontani e confusi.
Non le aveva risposto, avrebbe voluto chiedergli perché ma si limitò a rispettare quella seppur flebile ed incerta quiete.
C’era tensione ma non era qualcosa di irreparabile o astiosa come invece lo era stata poco prima, piuttosto era un silenzio denso, fatto di sfogo, di tentativi, sapeva che quel gesto doveva esser stato tanto per lui, non era il tipo che tornava sui suoi passi facilmente ma stavolta lo aveva fatto, per lei, doveva pur significare qualcosa, anche se ancora non le aveva rivolto né uno sguardo né la parola.
 
La porta si aprì senza che nessuno dei due avesse il tempo di poter far qualcosa prima. La musica proveniente dal piano inferiore aveva attutito ogni altro suono impedendogli di sentire i passi di Octavia avvicinarsi.
La ragazza si sporse con la testa
“Interrompo qualcosa?”
Lo chiese con un tono giocoso e malizioso.
Il maggiore dei Blake con un gesto imbarazzato e rapido lasciò le mani di Clarke e scosse la testa.
“Stavamo solo… parlando.”
Cercò di improvvisare Clarke, si rese conto solo pochi istanti dopo che effettivamente non era che la pura verità.
“E’ pronto ma non volevamo iniziare senza di voi.”
Bell si alzò per primo.
“Eccoci.”
Disse secco.
La bionda rimase ancora un po’ seduta sul bordo del suo letto invece, non riuscì a capire fino in fondo cosa passasse per la testa del ragazzo e questo la frustrava profondamente, cos’era successo tra loro due? E’ così che avevano chiarito? Perché si sentiva ancora incompleta allora?
O’ la stava guardando, forse anche lei stava cercando di capirci qualcosa, si affrettò a raggiungere i fratelli Blake, non voleva più deludere nessuno.
 
Mangiarono quasi fino allo sfinimento, Octavia e gli altri si erano davvero superati, il tavolo era ampio, non lo aveva mai visto così popolato, solitamente lei e i fratelli Blake ne occupavano solo un angolo invece le apparì gremito di gente, sorrise vedendo i suoi migliori amici ridere e scherzare con quelle persone che seppur per un breve periodo avevano significato così tanto per lei, l’avevano accolta come se fosse la cosa più semplice del mondo senza troppi complimenti o domande.
Non aveva mai amato la compagnia, era sempre stata piuttosto solitaria eppure quella situazione le stava donando un calore inedito che non credeva di poter provare anche se ancora non riusciva a sorridere come facevano gli altri.
Il suo sguardo talvolta volava a Bellamy in modo fugace, riprovò quella sensazione che l’aveva scombussolata il giorno del pranzo con Raven e Lincoln, si sentiva inerme, con le spalle al muro, avrebbe voluto prendere il maggiore dei Blake da parte per potergli parlare, per porgli tutte quelle domande che l’avevano assalita da quando O’ li aveva interrotti ed il ragazzo aveva lasciato la stanza come se nulla fosse.
Ma non poteva farlo, non in quel momento.
E vederlo chiacchierare con gli altri, scherzare, la faceva sentire a disagio proprio come quel giorno quando il ragazzo era riuscito a far finta di nulla con una nonchalance disarmante.
La serata andò avanti in quel modo fino a dieci minuti prima della mezzanotte.
 
“Dovremmo uscire per il brindisi!”
Octavia aveva il viso arrossato, era salita in piedi sul divano come una vera regina in procinto di parlare ai suoi sudditi.
I ragazzi sotto di lei si entusiasmarono, sentì qualche commento sullo spumante, i bicchieri e dei presunti fuochi d’artificio.
Clarke non poté far a meno di sorridere di fronte a quella gioia un po’ malsana e banale ma si precipito come gli altri a recuperare il giaccone per uscire.
 
Si erano sparpagliati per tutto il perimetro del piccolo giardino di casa Blake, mancava veramente poco, nonostante molti di loro non si fossero mai visti prima avevano legato tutti piuttosto in fretta, non erano più divisi in piccoli gruppi come all’inizio della serata durante la cena o poco dopo, sembravano una vera famiglia come del resto amava definirla O’.
Si strinse un po’ nella giacca pesante, era stata sicuramente molto meno presente degli altri, il comportamento di Bellamy aveva continuato a turbarla per tutto il tempo, aveva provato a non badarci ma senza ottenere un risultato ottimale.
Adesso lo stava cercando con gli occhi, voleva provare a ristabilire un contatto con lui, sentiva che tra loro c’era ancora qualcosa di lasciato a metà.
Era sicura di aver esaminato ogni metro quadro del giardinetto ma non c’era traccia del maggiore dei Blake.
Istintivamente si allontanò dal gruppo già da tempo in festa nonostante mancassero ancora una manciata di minuti allo scoccare della mezzanotte, c’era solo un luogo dove Bell poteva essersi rifugiato, si intrufolò sul retro con la consapevolezza che nessuno avrebbe notato la sua assenza.
Non si stupì di trovarlo lì, in piedi vicino a quella panchina dove il ragazzo le aveva cominciato a raccontare la sua storia per la prima volta, realizzò velocemente che doveva aver notato la sua presenza perché sentiva i suoi occhi puntati sul suo corpo minuto.
“Fammi indovinare sei qui per aggiustare le cose”
Fece imitando l’ultima frase rimasta in sospeso che gli aveva rivolto qualche ora prima, il tono di nuovo sarcastico al quale Clarke, ancora una volta, non si era preparata del tutto.
Stavolta però sarebbe stata forte, avrebbe combattuto.
“Sono venuta solo per vedere se stessi bene…”
“Non ho bisogno del tuo aiuto.”
Il viso era tirato, sembrava quasi che stesse lottando contro una parte di se stesso.
La bionda abbassò lo sguardo, lo avrebbe rispettato, non poteva pretendere che lui stesse ad ascoltarla, fece qualche passo indietro ma non riuscì a dargli le spalle, si perse invece in quel viso teso e sofferente.
“Clarke, non ce la faccio…”
Disse a fatica quando ormai lei aveva quasi preso in considerazione l’idea di lasciarlo solo, dopotutto non le era sembrato che volesse averla tra i piedi ed in un certo senso era comprensibile, l’aveva messo in conto, stava solo cercando la forza necessaria per lasciarsi alle spalle per sempre Bellamy Blake.
Aveva  avuto l’impressione che una parte di lui volesse a tutti i costi che le cose tornassero a posto mentre un’altra cieca ed egoista non riusciva a perdonarsi per essersi mostrato così debole ai suoi occhi.
Conosceva bene quella sensazione.
Eppure seppur inconsciamente Bell le aveva appena chiesto di restare.
“Prenditi il tempo necessario Bellamy. Tu non hai alcuna colpa in questa storia okay?”
“No. E’ anche colpa mia. Non sono stato in grado di spiegarti, di convincerti, di fermarti, di farti cambiare idea.”
Non lo aveva mai visto così, i suoi occhi erano appannati da quelle che sembravano lacrime, sapeva che le stava trattenendo coraggiosamente, sapeva che odiava profondamente farsi vedere da lei in quello stato e sapeva anche che tuttavia era necessario, doveva sfogarsi, doveva trovare la forza di perdonarsi perché era evidente Bellamy era furioso e più che con lei sembrava esserlo con se stesso.
“Forse ma non ne sono convinta, ci hai provato Bell. Hai tentato di farlo davvero, hai provato a fermarmi ma io ero troppo cieca per rendermi conto di come stessero davvero le cose. A questo punto dovresti solo trovare la forza di perdonare te stesso.”
“Il perdono non è semplice per noi.”
Lo disse senza guardarla, sembrava parlare più a se stesso ma lo capiva, lo capiva forse più di quanto non avesse mai fatto.
Lei annuì impercettibilmente.
Aveva provato le stesse identiche sensazioni dopo aver parlato con Marcus e sua madre qualche settimana prima.
Lo cercò con gli occhi, era l’unica cosa che poteva fare in quel momento, voleva fargli sentire che lei ci sarebbe sempre stata se questo era ciò che voleva, voleva fargli comprendere che lei non vedeva debolezza in quel suo sfogo.
Quando finalmente, dopo qualche secondo, i loro sguardi s’incontrarono Bellamy sembrò ritrovare il coraggio per parlare ancora
“Ero così arrabbiato quando te ne sei andata.”
Clarke sussultò, le parole e gli occhi lucidi di Bellamy l’avevano colpita nel profondo, sprizzavano una violenta sincerità che l’avevano lacerata, solo in quel frangente si rese conto quanto avessero sofferto entrambi, avevano provato lo stesso identico inquantificabile dolore.
“Non voglio sentirmi in quel modo mai più.”
Clarke sorrise appena, quel tanto che quella situazione così delicata le permetteva poi s’inumettò le labbra e cercò le parole adatte
“Sai di non essere l’unico che cerca di perdonare se stesso, vero?”
Il ragazzo deglutì mantenendo labbra ancora serrate.
“Forse un giorno ci riusciremo. Ma abbiamo bisogno l’una dell’altro per farlo Bellamy, sai, sono convinta che l’unico modo che abbiamo per superare tutto questo è insieme.”
Bell si asciugò il viso, una lacrima si era fatta largo tra le sue lentiggini, annuì con una certa enfasi e Clarke si lasciò sfuggire un altro sorriso, meno timido di quelli che gli aveva provato a riservare finora, l’aveva capita ne era certa.
Il maggiore dei Blake si morse un labbro e provò a rispondere alla meno peggio con un ghigno indecifrabile a quel segno di pace, Clarke invece fece scivolare il suo sguardo sul terreno, si sentì leggera ma non abbastanza per fare quello che avrebbe voluto, non era ancora sicura di come Bellamy avrebbe reagito a quella nuova tregua almeno fin quando non si senti tirare per i fianchi, successe tutto in una frazione di secondo, l’ultimo secondo dell’anno, Bell la strinse a sé con prepotenza e posò le labbra sulle sue prima delicatamente poi sempre con maggior trasporto.
Sentirono gli altri urlare di gioia dall'altro lato del giardino poi i fuochi d’artificio rimbombarono nel cielo di Boston, esplodevano senza sosta esattamente come i loro cuori.
Si divisero a fatica, lo fecero sorridendo e lasciando che i loro visi non si allontanassero più del necessario, ripresero fiato finendo di assaporare il gusto che ognuno dei due aveva lasciato sulla lingua dell’altro, lo fecero senza staccarsi mai gli occhi di dosso, stringendosi l’una all’altro ancora, con avidità.
“Credo di amarti Clarke Griffin.”
Quelle parole avvolte in un sussurro la fecero rabbrividire.
Rise.
La gioia le esplose nel petto insieme ad una lacrima.
Affondò le mani nella chioma scura e ribelle di Bellamy e con foga avvicinò il viso del ragazzo al suo ancora di più sino a colmare del tutto la breve distanza che li separava, lo baciò lasciandosi andare completamente a lui, riversando in quell’effusione tutto l’amore che per troppo tempo l’aveva terrorizzata.
Non si sentiva debole, a dir la verità non si era mai sentita così forte, completa.
 
Difficilmente Bellamy Blake e Clarke Griffin avrebbero dimenticato quella notte.
 
Angolo autrice:
Lo so, sono stata un po' smielata con la cosa del Capodanno ma che posso farci? Era praticamente servita su un piatto d'argento e non ho potuto proprio farne a meno...
Per quanto riguarda Bellamy e Clarke oltre al fatto che li amo e sono così contenta di essermi sfogata con questa ff (mannaggia a Jason che ci sta facendo soffrire lentamente) mi sono più o meno attenuta il più possibile ai dialoghi di cui vi parlavo all'inizio.
Ovviamente non ho potuto riportare parola per parola ed ho dovuto fare un lavoro di bricolage tra frasi dette nella serie e altre inventate da me, le situazioni ed i contesti sono molto diversi eppure seppur lontanamente trovavo molto pertinenti alcune loro battute quindi mi sono lasciata prendere un po'.
Poi la Bellarke della 3x13 è praticamente la mia scena preferita in assoluto per cui vi prego abbonatemi questa scelta 

E poi niente la verità è che ci tenevo a dirvi queste due "stronzatine" perché in realtà ero e sono molto insicura riguardo alcune scelte alle quali alla fine non sono riuscita a rinunciare quindi perdonate il (doppio) accollo ahaha.

Ancora un grazie immenso a tutti - nessuno escluso -, non credo avrei mai potuto tirare fuori questa roba qui fino alla fine senza di voi, sul serio.
Per qualunque cosa, sono qui pronta a ricevere ogni consiglio/critica/quello che volete.

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


Ed eccoci qui, come promesso!
Ora ci siamo davvero, questo è l'epilogo, non credevo di pubblicarlo tanto presto ma l'ho scritto di getto in un pomeriggio e... non ho resistito, sarà che non amo lasciare le cose incomplete.
Non so dirvi se lo immaginavo esattamente così, come al solito in alcune sue parti si è praticamente scritto da solo, l'unico avvertimento che posso fare è che vi troverete davanti ad uno scenario decisamente fluff (non so nemmeno io come sia accaduto) ma se non amate il genere il mio consiglio è quello di considerare la storia finita al capitolo precedente ahaha!

Per le considerazioni, i saluti e gli annunci ci sentiamo sotto che devo dirvi un po' di cose e non voglio rovinarvi questo benedetto finale!

 


Epilogo
 
Dodici anni dopo.
 
Non è passato un anno senza che i delinquenti, come con il tempo amò definirli il vecchio Joseph, non si ritrovassero insieme a casa Blake il trentun dicembre.
Era diventata, anno dopo anno, una salda tradizione e si sa, spesso certe cose diventano ‘tradizione’ senza nemmeno dare il tempo a chi le vive di notarlo, di capire.
E’ stato così e basta.
Sono cresciuti, pensa Bellamy tenendo stretto un calice di vino rosso accanto al fuoco, osserva attento la piacevole e caotica situazione che scalda la stanza, come ogni anno sono ancora qui e si lascia sfuggire un sorriso compiaciuto.
Sono cresciuti ed hanno avuto sempre più bisogno l’uno dell’altro.
Non è stato facile eppure sono proprio lì, quasi tutti, insieme.
Ripensa al lascito del caro Joseph, ‘Arcadia’ il vecchio locale in ciliegio che quell’uomo aveva costruito da zero, è diventato suo da un giorno all’altro, senza alcun preavviso.
 
Quando Joe morì era una mattina di Marzo, pioveva a dirotto, il vecchio era malato da un po’ e nell’ultimo periodo lui e Murphy si erano trovati a gestire completamente soli il locale. Quest’ultimo l’aveva chiamato insolitamente presto, la voce rotta e flebile, Bellamy ci mise poco a capire, una lacrima solitaria gli rigò il lato sinistro del volto, solo una, strinse i pugni e si ripromise che non era quello il modo per onorare la memoria di Joseph. Si forzò a reagire, quell’uomo gli aveva dato una possibilità quando lui era solo un pivellino neodiciottenne, era grazie a lui se aveva imparato il valore del lavoro, l’importanza dell’impegno e della dedizione ma soprattutto il vecchio Joe gli aveva permesso di onorare la sua promessa: assicurare ad Octavia una vita degna di essere chiamata tale, di adempire alla sua responsabilità primaria.
E fu probabilmente in quel momento, attaccando il telefono con Murphy e correndo a perdifiato sino all’ospedale che si rese conto che Joseph era stato quanto di più vicino ad un padre aveva mai avuto dopo quello che era accaduto.
Clarke lo aveva stretto a sé senza dire nulla, il fato aveva voluto che fosse stata proprio lei ad aver passato gli ultimi istanti al suo fianco, sapeva che il suo tempo era quasi scaduto, glielo  aveva confessato sussurrandolo piano qualche tempo dopo, così aveva mandato via gli infermieri di turno e aveva deciso di far compagnia a quell’uomo solo negli ultimi istanti della sua vita. Bellamy aveva sorriso quando la principessa le aveva raccontato incerta questa cosa, Joseph adorava Clarke dopotutto, non faceva altro che dirglielo da quando aveva saputo che i due erano riusciti finalmente a mettere da parte l’orgoglio e ad amarsi ogni giorno come fosse il primo.
Per questo la ragazza fu probabilmente la meno sorpresa quando qualche settimana dopo, l’avvocato del vecchio bussò alla loro porta.
Il testamento di Joe parlava chiaro, Bell era l’erede unico del locale.
 

Alza appena lo sguardo dal bicchiere che sta sorseggiando lentamente, osserva John stringere in un tenero abbraccio Emori, regalarle un bacio leggero sulla punta del naso.
 
Senza lui non ce l’avrebbe mai fatta, la perdita di Joseph fece più male di quanto avesse mai potuto immaginare e fu solo grazie a Murphy se Bellamy riuscì a canalizzare quel dolore in qualcosa di buono.
Misero a nuovo il locale, insieme, realizzarono un vecchio progetto che trovarono in un cassetto impolverato dove Joseph teneva le sue cose, ristrutturarono ‘Arcadia’ proprio come lui avrebbe voluto.
E pensare che il maggiore dei Blake non era nemmeno così sicuro di poter accettare di mandare avanti quell’attività, non si era sentito all’altezza ma non aveva considerato il fatto di  non essere più solo.
 

John si accorge dello sguardo dell’amico e gli sorride, mostrando i denti bianchissimi, è strano, non l’ha mai visto così felice, gli fa di rimando un occhiolino e l’altro torna a stringere la sua dolce metà.
Bellamy lascia ancora che i suoi occhi viaggino per il salone ormai grande e spazioso, quando Octavia si trasferì definitivamente a New York, fu lei stessa a pregarlo di far sì che la sua vecchia camera diventasse parte integrante del vecchio salotto.
“Così la me adolescente sarà con te e Clarke mentre cucinerete, quando guarderete la televisione, quando mia nipote farà i suoi primi passi…”
E con quell’ultima frase Bellamy si era lasciato convincere, dopo tutto sua sorella conosceva alla perfezione i suoi punti deboli.
 
Ora il suo sguardo scuro cerca quello limpido e ancora sofferente della minore dei Blake, lo fa ancora come quando erano due ragazzini, con impertinenza ed impazienza, si rilassa solo quando le iridi verdi della sorella lo accolgono e sul viso tirato di lei si stampa una smorfia dispettosa.
E’ seduta sulle gambe di Jasper, l’unico che è stato in grado di capirla, l’unico della quale O’ è riuscita ad innamorarsi dopo la morte di Lincoln.
 
Un brivido percorre la schiena di Bell quando rievoca quella maledetta notte, una pallottola, una sola bastò per portar via la vita dal forte corpo di Lincoln.
Faceva freddo, la polizia parlò di qualche problema inerente una strana gang che aveva disgraziatamente a che fare con la ditta in cui lavorava il ragazzo di sua sorella.
Parlarono di un errore, una fatalità, Lincoln si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato dissero. L’uomo che lo uccise tale Pike marcirà in galera fino alla fine dei suoi giorni eppure avere questa certezza non bastava ad Octavia.
Non le rimase nulla se non la fuga, la fuga da una città che le aveva solo dato sofferenza, O’ aveva trovato dolore persino nella felicità più assoluta, abbandonò Boston, voleva lasciarsi alle spalle i ricordi amari e Bell non provò a fermarla, la lasciò volare via, com’era giusto che sia.
“Tornerò, te lo prometto e quando lo farò sarò più forte di quanto tu possa anche solo immaginare.”
Lo disse stringendolo in un abbraccio e mettendogli al collo una catenina alla quale era attaccata la copia delle sue chiavi.
Se solo avesse potuto salvarla, si era ripromesso di tenerla lontana dalla sofferenza ma aveva fallito.
“Non sarà sola, te lo prometto.”
E Clarke era stata di parola, New York aveva accolto Octavia così come Boston aveva fatto con quella ragazza bionda di cui il maggiore dei Blake si era perdutamente innamorato.
 
Quando due anni e mezzo dopo quel tragico incidente O’ si sentì pronta a tornare non era sola, al suo fianco c’era Jasper ed era davvero l’unico che poteva comprenderla aveva osservato Clarke, in fondo aveva perso anche lui la ragazza di cui era innamorato.
No, non era morta ma forse fu quasi peggio.
Maya lo lasciò senza fornirgli alcuna spiegazione, da un momento all’altro, prima si era addormentata abbracciata a lui, poi la mattina dopo non c’era più, era sparita, non aveva lasciato nessuna traccia di sé se non nel cuore completamente in frantumi di Jas.
Quei due erano riusciti miracolosamente a curarsi vicendevolmente e poi a lui piaceva pensare che tra Jasper e sua sorella fosse scattato qualcosa dal primo momento in cui si erano visti, non era poi un mistero che quel ragazzo svampito avesse da sempre avuto un debole per la minore dei Blake.

 
Manca poco allo scoccare della mezzanotte, lo deduce quando vede Clarke farsi vicina esattamente come quella volta di dodici anni fa, ogni anno la principessa lo cerca poco prima che le lancette si allineino, è una sorta di gioco, è come un rito ed è il loro modo di ringraziare quel destino che li ha fatti incontrare, che gli ha permesso di cercarsi, di imparare ad amarsi.
La bionda gli sorride ed è un sorriso che gli squarcia il petto, lascia che le sue mani cerchino quelle di lui, gli facciano lasciare il calice con un gesto attento e delicato.
Bellamy non resiste molto, non aspetta più la mezzanotte ormai e le stampa un bacio tenero ed umido sulle labbra, hanno ancora quel sapore dolce di una vita fa, la stringe a sé e così vicini, si godono lo spettacolo più grande dei quali sono stati artefici insieme sei anni prima.
Alexandra infatti corre per tutto il perimetro della casa, ride mentre Richie, il fratello minore di John, appena dodicenne, cerca di acciuffarla.
Quella bambina dagli occhi chiari ed i capelli biondo cenere è stata in grado di portare gioia allo stato puro, non solo a loro ma a tutta quella strana combriccola molto simile ad una famiglia che ogni anno si ostina a riunirsi nel salone di casa Blake come se il tempo non potesse mai scalfire quello che hanno condiviso.
Non è un caso infatti se Monty ed Harper, i neosposini, cerchino in tutti i modi di placare gli animi di quei ragazzini che appaiono instancabili, lo fanno ridacchiando però ed unendosi di fatto a quello strano gioco fatto di conte, corse e nascondigli.
Solo quando Bryan e Miller si alzano dal divano con enfasi e dando il via all’immancabile conto alla rovescia tutto si blocca.
Tutti, uno ad uno a partire da Alexandra si uniscono al coro e quando i fuochi d’artificio fuori segnano l’inizio del nuovo anno la compagnia si ritrova più unita che mai, condividono un disordinato e caloroso abbraccio, si scambiano affettuosamente gli auguri e si regalano sorrisi sinceri.
Clarke è la prima a staccarsi, prende la mano ad Alexandra e le stampa un bacio sulla fronte, Bellamy nota quel gesto così semplice e dolce e non riesce ad evitare che il suo viso prima leggermente contratto dai ricordi evocati s’illumini.
La bimba chiede curiosa
“Sta per chiamare, zia Raven, non è vero?”
Clarke che si è chinata per guardarla non fa a tempo a risponderle che Bell, inginocchiatosi per arrivare all’altezza della figlia, le fa eco
“Puoi scommetterci piccoletta, lo sai che zia Raven e zio Atom puntano la sveglia solo per noi, per sapere quando arriva la mezzanotte qui e festeggiare insieme.”
La piccola bambina sgrana i suoi occhi verdi così simili a quelli di Octavia e le sue gote macchiate da leggere efelidi si gonfiano in un sorriso genuino.
Clarke posiziona il computer vicino al piano cottura e accede a Skype, piano piano ognuno trova il suo posto e attende impaziente.
Ci vogliono solo pochi minuti, la chiamata arriva come da tradizione e Raven ed Atom appaiono sullo schermo, sono sorridenti e soprattutto sono al mare.
“Maledizione Rav’ devi smetterla di farci questo!”
Impreca Jasper scherzando.
Sono a Sydney ormai da tre anni, si sono trasferiti quando Atom ha vinto un importante premio pugilistico in una palestra australiana guadagnandosi un visto per lui e la sua dolce metà.
La ragazza ride mentre chiede
“Allora raggi di sole, come state?”
“Ce la caviamo!”
Risponde Bellamy.
“Che ore sono da voi?”
Chiede Murphy.
“Per la miseria John ci fai questa domanda ogni volta, sono le quattro di pomeriggio ed è il primo dell’anno già da un bel po’… Quando imparerai?”
Ridacchia l’amico dall’altra parte dello schermo.
“Alex dove sei?”
Chiede Raven strizzando un po’ gli occhi in cerca della figlia di quella che è a tutti gli effetti, nonostante la distanza, la sua migliore amica.
“Ci sono zia, sono qui! Tanti auguri!”
Dice con enfasi la più piccola sbracciandosi verso il computer al che Richie la solleva prendendola in braccio e procurandosi uno sguardo apprensivo e dubbioso da parte di Bellamy che però viene bloccato con un semplice gesto da Clarke prima che possa dire qualcosa.
“Hei zii! Ora la vedete? Auguri eh.” Fa il ragazzino dai capelli biondissimi come quelli del fratello maggiore.
“Mio Dio, siete così grandi! Quanto mi mancate…”
 
-
 
“Mamma, mamma!”
Clarke si sente tirare dalla manica del maglione, i suoi occhi chiari corrono a quelli altrettanto limpidi della figlia
“Dimmi piccola.”
“Posso andare fuori con Richie e zio John a fare le stelline?”
Si mette le mani dietro la schiena e si lascia dondolare con il resto del corpo, quella bambina sembra essere la miniatura perfetta di Bellamy, pensa velocemente dentro sé, non sa se è un bene o un male dato che la conseguenza è che non riesce proprio a resisterle.
“Papà che ha detto?”
Ora la bimba abbassa leggermente lo sguardo ma la madre del tutto intenerita le tira su il piccolo mento con un gesto delicato e le sussurra all’orecchio:
“Puoi andare, ci penso io a distrarlo…”
E la piccola Alexandra lascia che la sua bocca sdentata si allarghi in un gran sorriso, abbraccia velocemente la madre e corre via.
Clarke vede con la coda dell’occhio un Bellamy preoccupato che la insegue, vuole metterle il cappottino.
“Non è cambiato di una virgola eh?”
Riconosce la voce di Octavia alle sue spalle. E le risponde scuotendo la testa, lei continua
“Quando crescerà le renderà la vita impossibile.”
Lo dice mostrandole un ghigno, forse nasconde un po’ di amarezza e Clarke le prende la mano, la stringe, vuole farle sentire ad ogni costo la sua vicinanza, quei ricordi sono così vividi anche in lei.
“Con te ha fatto un lavoro splendido O’, impeccabile anzi.”
E l’altra annuisce
“Hai ragione e poi se mai vorrà scappare di casa sappi che la zia le aprirà sempre la porta a braccia aperte.”
Bellamy le interrompe, deve aver vinto la sua battaglia contro la piccola peste
“Chi è che dovrebbe scappare di casa?!”
Fa con tono inquisitorio.
“Lo zio la rispedirà dritta al mittente Bell, non preoccuparti, credo di poterti capire.”
“Che Dio ti benedica Jas sei la mia garanzia!”
E i quattro scoppiano in una risata, la strana leggerezza che aleggia nella stanza di casa Blake è il frutto di quella notte magica pensa Clarke, quella giornata è diventata un punto di riferimento per tutti loro, persino per chi come Raven ed Atom si trova oltreoceano.
Le loro vite non si sono più separate, nonostante le loro strade lo abbiano fatto, sono riusciti comunque a crescere insieme a condividere la gioia come il dolore, sono diventati forti insieme e adesso capisce anche lei finalmente perché O’ in passato si era così legata a quel concetto di famiglia che aveva associato alle sue amicizie, persino lei non avrebbe trovato una parola più adatta per definirlo.
I suoi pensieri vengono interrotti da Jasper che invita O’ sulla pista da ballo improvvisata da Miller e Bryan che hanno aperto le danze ed Harper e Monty che li hanno seguiti senza farselo ripetere due volte.
Allora Bellamy le si avvicina, l’abbraccia da dietro e le sussurra all’orecchio
“Vuoi ballae principessa?”
Lei scuote leggermente la testa e lascia che il ragazzo le posi le labbra sul collo e la stringa ancora di più a sé, non ne avrà mai abbastanza di quegli abbracci, nonostante li riceva da dodici anni, ogni volta sono disarmanti nella loro sincerità, nella loro ricerca di amore.
“Voglio starmene ancora qui per un po’ Bell, stretta a te, voglio godermi ogni singolo momento di felicità che traspare dai volti di ognuno di loro, dai gesti, dalle voci, ne ho bisogno.”
La sua risposta non tarda
“Lo so, è la stessa cosa per me.”
E Clarke sa che il suo sguardo ora è rivolto ad Octavia che stringe al collo Jasper, il suo ultimo appiglio di speranza.
“Andrà tutto bene.”
Le dice senza pensarci e in quel momento la porta si spalanca, rientrano infreddoliti John, Emori e Richie mentre Alexandra li ha già superati e raggiunge veloce come un fulmine i suoi genitori avvinghiandosi ai loro fianchi e completando alla perfezione quell’abbraccio.
 
-
 
“Andiamo papà me l’avevi promesso!”
Alex se ne sta stesa sul lettino della sua cameretta, la stessa che dodici anni prima aveva ospitato per la prima volta Clarke Griffin a Boston.
La bionda le sta rimboccando le coperte e lancia uno sguardo interrogativo a Bell, lui non fa tempo a rispondere, la loro figlioletta è fin troppo perspicace e lo anticipa.
“Papà mi ha detto che mi avrebbe raccontato la storia di come vi siete conosciuti prima di dormire.”
“Si ma è l’una passata! I bambini a quest’ora sono già tutti a dormire…”
“Appunto! Voglio ascoltarla, se no non mi addormento!”
Sbuffa la bimba e sembra maledettamente convinta di ciò che sta dicendo. Clarke cerca di mediare
“Suvvia, non è la prima volta che l’ascolteresti perché invece non cerchiamo una nuova favola nel libro che ti ha regalato nonna Abby?”
“La vostra storia è meglio di una favola, è vera!”
Obietta l’instancabile monella, Bell allora guarda dritto negli occhi Clarke ed è uno sguardo inequivocabile, arrendevole, di fronte a tanta ostinatezza condita da quegli occhi stanchi ma così dolci e bramanti quei due non possono che cedere dinnanzi alla volontà della bimba che sembra aver capito e si sistema comoda sul cuscino pronta ad ascoltare quella storia per l’ennesima volta.
Bellamy si schiarisce la voce e si mette comodo sulla sedia che ha messo proprio accanto al letto, Clarke invece si siede sul bordo di questo e con una mano accarezza da sopra la coperta il braccio della sua bambina.
“Era un settembre particolarmente caldo e me ne stavo tranquillo in macchina…” Inizia il maggiore dei Blake con enfasi “Andavo di fretta, dovevo raggiungere zio Murphy e fare con lui delle commissioni di lavoro. Il semaforo davanti a me però era già arancione e quindi ho cominciato a frenare. Avevo tutto sotto controllo, i finestrini abbassati, la musica allegra quando ad un certo punto la mia macchina ha fatto BOOOM.”
Alexandra ridacchia mentre il padre improvvisa quel suono onomatopeico mimandolo con le braccia, Clarke si concede un’espressione buffissima che fa così bene al cuore di Bellamy.
“Devi sapere che tua madre era davvero un disastro…”
Ma la bionda non ci sta ed interviene
“E tuo padre aveva una gran bella faccia tosta! Avresti dovuto vederlo! E’ sceso dalla macchina in fretta e furia verso di me e mi ha sgridato proprio come fa con te quando dimentichi tutte le luci accese in giro per casa!”
Il moro scrolla le spalle e con un’espressione superiore continua
“Comunque la mia macchina era tutta rotta, malconcia ma non potevo fermarmi anche se tua mamma era stata brava e mi aveva detto che avremmo potuto compilare i documenti per pagare i danni, sai, il punto è che non volevo darle soddisfazione e poi come ti dicevo ero già in ritardo. L’ho lasciata lì quindi e sono corso da John ma ho pensato al suo viso per tutto il viaggio e mi sono maledetto per non averle quanto meno lasciato il mio numero di cellulare, non puoi immaginare la sorpresa quando l’ho vista a casa mia quando quel pomeriggio sono rientrato dal lavoro…”
Clarke andò avanti
“Ha comunque continuato a fare l’antipatico però… ma con il passare dei giorni le cose si sono sistemate da sole anche perché zio John e zia O’ avevano capito che forse dovevamo darci una possibilità, sai, è stato anche grazie a loro se piano piano siamo diventati amici…”
Bellamy sfiora la gamba della sua principessa delicatamente e la invita ad osservare meglio Alexandra, dorme, il suo respiro si è fatto regolare e la sua espressione è così innocente, così serena.
“Questa volta è durata meno del previsto.”
Osserva lui, in un sussurro pacato, è un tono nuovo al quale ancora non si è abituato nonostante sia passato ormai qualche anno, è sempre così quando c’è Alex di mezzo, si stupisce di sé, della sua premura, della sua fragilità paterna che traspare in modo diretto anche solo da come parla.
“Non arriveremo mai fino alla fine della storia se continuiamo così.”
Dice Clarke quasi sovrappensiero, si è persa in quel momento di familiarità, di gioia primitiva, ama guardare la sua piccola creatura dormire, ama farlo insieme all’uomo che ha amato sino all’ultimo lembo di carne per concepirla e che scopre di amare ancora ogni giorno di più, in un modo nuovo, differente eppure sempre meravigliosamente uguale.
Lui si permette di contemplarla ancora un po’, poi però la tira a sé, lascia che le loro labbra s’incontrino e sussurra sorridendo in quel bacio
“Il fatto è che non c’è fine a questa storia.”
 
Ennesimo angolo autrice: sono logorroica lo so e non so nemmeno bene da dove partire.
Intanto ringrazio ancora ognuno di voi, come vi ho già detto ogni vostro commento, ogni vostra reazione è stata fondamentale ed è difficile descrivere la gioia provata nel vedere interazioni con la mia storia!
Poi volevo cominciare con qualche spiegazione:
1) Ho scelto il nome di Alexandra per la figlia di Clarke e Bellamy non a caso, se non sbaglio è un personaggio che (nelle Au? Non ho capito benissimo a dirla tutta ahah) associano a Lexa e non avendo particolare ispirazione l'ho scelto perché mi faceva piacere prendere ispirazione da un personaggio comunque caro ed importante per Clarke.
2) Scusate per la melodrammaticità nei confronti di Octavia, ho adorato il suo rapporto con Lincoln ma dall'alba dei tempi l'ho sempre shippata con Jasper.
3) A proposito di Jasper... Ho optato per una Maya in fuga perché se fosse morta anche lei sarebbe stato davvero troppo tremendo(?)
4) Lo so, lo so, è un po' nosense la cosa di Raven con Atom ma avendolo inserito in quanto amico di Bell  mi sembrava stupido che rimanessero soli... dai ho donato una gioia a Rav alla fine mica era così male Atom!
5) L'idea per l'epilogo è nata dalla figlia che chiede a Bell e Clarke di raccontare la loro storia, è nata prima che finissi di stendere la trama vera e propria poi tutto il resto è stato costruito su questa idea di partenza.
6) Ho scelto di scrivere l'epilogo al presento, rievocando i momenti passati per contestualizzare il tutto perché mi piace pensare che i Bellarke appartengano al presente - Lo so che sono scema ahahah.

Okay adesso ho finito per davvero e mi fa sentire parecchio strana, ho davvero amato scrivere questa ff ed è stato un esperimento splendido.
Infatti ve lo confesso potrei avere qualche stramba idea che mi frulla nella testa e cercherò con calma di svilupparla, è sempre un AU Bellarke, mi muovo meglio così, insomma non prometto nulla comunque ma voi rimanete in ascolto, non si sa mai!

Un bacio gigante a tutti voi che mi avete accompagnato fin qui!



 

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