So this is love?

di french_toast
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


PREMESSA IMPORTANTISSIMA!!
Scrivendo questa fanfiction mi sono impegnata nell'essere coerente con le usanze e i costumi del periodo storico (anche se non so se sono riuscita nel mio intento, se c'è qualcosa di sbagliato vi prego di farmelo notare DD:), fatto eccezione un piccolo particolare: in questo AU l'omofobia non è mai esistita. Ho deciso di far svolgere la trama in questa specie di universo parallelo perché sapevo che attenendomi ai dati storici effettivi non avrei mai potuto dare ai protagonisti un lieto fine (probabilmente sarebbero stati costretti a sposare qualcun'altra e poi a vedersi di nascosto, o, anche restando scapoli, a non manifestare pubblicamente il loro amore, e sono entrambe situazioni abbastanza difficili). Di conseguenza, anche le unioni civili saranno legali perché semplicemente nessuno in questo mondo idilliaco trova nulla di strano nell'avere preferenze diverse da quelle etero e nel coronare con un matrimonio una storia d'amore, indipendentemente dal sesso dei due amanti.

Inoltre, a volte ho utilizzato i vezzeggiativi russi Yura e Yurochka indicare Yuri Plisetskji, che sono forme più confidenziali ma potebbero anche risultare confusionare visto che spuntano all'interno della storia senza un adeguato contesto D:
Detto questo, buona lettura e spero che ciò che ho scritto vi piaccia! :D 

 
***

La vita di Yuuri in casa Giacometti era come avvolta in una nebbia di tedio: non poteva lamentarsi dei suoi parenti acquisiti, né dei loro gusti nel mangiare e nel vestire, né del modo in cui veniva trattato, perché semplicemente non ne aveva motivo. Eppure, non c'era momento in cui non desiderasse trovarsi altrove. Christophe aveva deciso di continuare a ospitarlo in casa dopo essere diventato vedovo per la seconda volta e Yuuri sapeva che, dato che non era suo figlio naturale, avrebbe anche potuto abbandonarlo a sé stesso nei sobborghi di Parigi; gli era grato di non averlo ripudiato, ma quella decisione, per quanto magnanima, non attenuava la sua tristezza.
Da quando era morta sua madre, ogni cosa aveva perso attrattiva: le passeggiate nei verdeggianti giardini del Lussemburgo, i dolcetti della boulangerie vicino casa, la musica del fonografo e le nuvole rosee del tramonto erano come ingrigiti e confusi nella sua memoria e lui era sempre meno desideroso di uscire dalla sua stanza, dove passava già intere nottate a rigirarsi nel letto senza trovare pace.
 Il lutto non era stato qualcosa che aveva assimilato subito, anzi, sembrava non riuscire ancora a realizzarlo pienamente, e i ricordi degli ultimi mesi con sua madre bruciavano ancora vividi nella sua mente. Non era stato come con suo padre; allora era troppo piccolo per poter restare notte e giorno al capezzale di un malato. Adesso invece aveva assistito a tutto: le lacrime, le urla di dolore, il sangue vermiglio nei fazzoletti su cui lei tossiva, lo strazio di vederla spegnersi giorno dopo giorno. La memoria di una sera in particolare lo perseguitava: lei aveva avvicinato la mano tremante alla sua guancia e lo aveva accarezzato lentamente, con un'indicibile dolcezza negli occhi. Poi gli aveva fatto cenno di avvicinarsi e lui aveva obbedito in silenzio, standole né troppo vicino, per non contrarre la tubercolosi, né troppo lontano, volendo sentirla bene.
"Sii forte", gli aveva detto, con un filo di voce incredibilmente roca, inceppandosi ad ogni sillaba. Sapeva che tra pochi giorni non sarebbe stata completamente in grado di parlare, e i suoi occhi si inumidivano al solo pensiero, ma lei continuava a sorridergli contenta come se non stesse succedendo nulla. Aveva fatto passare un'ultima volta la mano tremante tra i capelli di suo figlio e poi si era girata dall'altra parte per riposare.
A volte la malinconia si manifestava in forme più lievi, come quando vedeva qualcosa che gli ricordava lei. I fiori di magnolia, ad esempio, o i suoi rossetti ancora intatti nella camera da letto di Christophe; allora stava qualche minuto in quieta contemplazione e poi andava a parlarne con Yuri, il suo fratellastro. Yuri capiva come si sentisse, perché anche lui e Jean-Jacqués avevano perso la madre anni fa, ma il piccoletto, a differenza del fratello, sembrava esserle ancora particolarmente legato.
 Yuuri ricordava ancora quando aveva iniziato a frequentare la casa di Christophe e il ragazzino non gli aveva risparmiato commenti crudeli e frecciatine non troppo velate: lo prendeva in giro per i suoi occhi a mandorla, non perdeva neanche un minuto per ridicolizzare la sua cultura e la sua lingua, gli diceva incessantemente che avrebbe fatto meglio a restarsene in Giappone - alla resa dei conti, sull'ultimo punto non aveva neanche torto. Ovviamente Yura veniva spesso ripreso dai parenti, anche se Jean-Jacqués aveva provato più volte a giustificare il comportamento del fratello: diceva che non riusciva a sopportare il pensiero che Christophe amasse qualcuno aldifuori di sua madre e che avrebbe dovuto perdonarlo, perché era ancora giovane e impulsivo. Yuuri provava ad ignorarlo, ma le sue parole avevano comunque un certo peso, e ne pativa.
 Quando la salute di sua madre era peggiorata, però, le cose cambiarono. Yura lo cercava quasi ogni pomeriggio e gli parlava fino a quando non si fosse sentito un po' meglio, gli portava da mangiare e da bere quando si barricava in camera e perdeva cognizione delle ore che passava solo e a digiuno. Gli diceva poi, con un che di sprezzante, di non essere uno smidollato e di non piangere, perché per lui la vita sarebbe continuata comunque e avrebbe dovuto continuarla per lei, e lei non avrebbe mai voluto vederlo piangere a causa sua. A questa dichiarazioni Yuuri una volta aveva risposto con altre, abbondanti lacrime e Yura, non sapendo cosa fare e sicuramente non aspettandosi una reazione del genere, aveva iniziato a dare in escandescenze e aveva lasciato all'improvviso la camera imprecando sottovoce.
Era un modo strano di volergli bene, ma in fondo lo apprezzava.
A volte Yura gli raccontava di sua madre. Diceva che aveva gli occhi grandi e luminosi e lunghi capelli neri che amava accarezzare quando lei lo teneva in braccio. Diceva anche che veniva dalla Russia e aveva la pelle candida e morbida come la neve, e che la sua lingua era come una melodia arcana e, quando la parlava, lui non poteva fare a meno di ascoltarla estasiato. Aveva imparato ad essere fluente in russo per lei, e gli piaceva intrattenere conversazioni con vecchi nobili emigrati e cantare tristissime nenie quando pensava che nessuno lo stesse ascoltando.
Yura però riusciva a capirlo per determinati aspetti e non per altri. Quando gli diceva che aveva bisogno di condividere un senso di cultura con qualcuno, ad esempio, o che la solitudine lo stava consumando, il ragazzo aggrottava le sopracciglia bionde e lo guardava come se avesse detto un'eresia.
《Ma ci siamo noi》biascicava,《perché mai dovresti sentirti solo?》
A Yuuri mancava poter parlare liberamente di quella cerchia di cose che ormai appartenevano a lui e a lui soltanto, essendo probabilmente l'unico giapponese rimasto in tutta l'île de France (o forse addirittura nell'intera nazione). La fredda e sporca Parigi gli sembrava di giorno in giorno più estranea e vagheggiava di tornare a casa; sognava spesso di calpestare scalzo il bagnasciuga di Hasetsu, di percorrere di fretta gli interminabili gradini che portavano al tempio, a volte anche soltanto di sentire il suo idioma parlato da qualcuno all'infuori di lui. Ripensava ai pomeriggi d'estate passati a giocare nel boschetto dietro casa sua, con il sole che filtrava tra le foglie e il turchese del mare che si intravedeva all'orizzonte. Quelle immagini, vivide ma distanti, lo riempivano d'angoscia, se contrapposte alla sua attuale situazione, e ogni giorno continuava a vivere - o meglio, vegetare - in uno strano e nebuloso oblio. Non vedeva una via di fuga nel suo passato, ma gli piaceva cullarvisi per lenire il suo dolore. Si alienava dalla realtà, negava strenuamente la morte di sua madre e viveva interi giorni e intere notti in quel mondo che non conosceva inizio e fine, che non conosceva pace.
Quella volta, mentre rimurginava come di consueto, una realizzazione lo colpì all'improvviso: non doveva per forza restare in Francia. Poteva anche prendere il primo battello e tornare a casa così, su due piedi, se ne avesse avuto voglia. Gli brillarono gli occhi e iniziò a preparare i bagagli.
Nei giorni che seguirono andò a ritirare un'ingente somma dalla banca e la nascose prima in tasca, poi sotto il materasso, poi ne cucì una parte all'interno della sua finanziera.
Controllò gli orari di partenza dei treni notturni, e trovò una corriera disposta ad accompagnarlo alla stazione nel cuore della notte.
Al momento della fuga, però, le sue mani tremavano dalla paura, i sensi di colpa lo intorpidivano e lo immobilizzavano. Avrebbe dovuto lasciare qualcosa, una piccola lettera, forse, un foglietto stropicciato sul capezzale del suo letto per spiegare quantomeno i motivi di quel gesto estremo, ma non riusciva a prendere in mano una penna. In ogni caso, non pensava avrebbero capito. Accese, per tranquillizzarsi, un incenso all'altare dei suoi genitori e si inginocchiò per meditare, cosa che faceva spesso prima di qualche azione azzardata, come per chiedere ad entrambi perdono in anticipo. Poi prese il bagaglio e scese le scale con passo leggero, senza fare rumore, scrutando il cielo denso e plumbeo da fuori la finestra, notando, un po' nascosto dalle fronde degli alberi, il cocchio che lo aspettava in fondo alla strada.
Una volta entrato nella carrozza si sistemò sui freddi sedili di pelle e porse al cocchiere quanto pattuito, sussurrandogli di dirigersi alla Gare di Saint-Lazare. Nell'emozione generale non si rese conto che il cocchiere era in realtà il suo patrigno, che lo guardava greve attraverso il pertugio. Ci mise un po' per realizzare che il suo tentativo di fuga era stato sventato, e non oppose resistenza quando Christophe lo riportò a casa strattonandolo per il braccio, lasciando che, nel rientrare, gli sguardi dei servitori ancora svegli indugiassero su di lui con il dovuto disprezzo. A stento trattenne i singhiozzi quando Yurochka si aggiunse al coro degli spettatori, scrutandolo, se possibile, schifato e angosciato allo stesso tempo.
Di quella notte, poi, non si sarebbe ricordato nient'altro che delle lacrime roventi che gli fendevano il viso e le sue promesse di non ripetere mai più un gesto del genere.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***





Yuuri non amava molto la vita di società. Non che nutrisse delle forti antipatie per la licenziosa nobiltà parigina, ma più semplicemente si riteneva inadatto al compito di mantenere relazioni sociali. Quando qualcuno si avvicinava per iniziare una conversazione, ad esempio, o faceva morire il discorso in tempi brevissimi oppure trovava all'interlocutore qualcuno di più estroverso con cui poter parlare; e quando erano entrambi abbastanza distratti per prestargli la giusta attenzione, si dileguava come se nulla fosse. Inoltre, quelle conversazioni ruotavano troppo spesso attorno alla sua diversità fisica e culturale, e oscillavano tra semplici complimenti per i suoi lineamenti "esotici" e interminabili monologhi sulla naturale supremazia dei caucasici. Quindi aveva ottimi motivazioni per evitare come la peste le grandi adunanze. Ma quando Jean-Jacqués gli parlò giovialmente di un ricevimento in maschera alla maison dei Nikiforov, qualcosa dentro di lui si accese. Ricordava di aver sentito pronunciare quel cognome, anni addietro, in un bar del lungosenna dove era stato trascinato a forza dal fratellastro e dai suoi amici; un ricordo avvolto nell'estasi di un pomeriggio primaverile. Tamburellava con le dita sul bordo del tavolo, ormai quasi del tutto eclissatosi dalla discussione che gli altri intrattenevano, quando un ragazzo aveva preso posto accanto a lui, accompagnato da un uomo sulla cinquantina. La prima cosa che aveva notato di quel giovane era stata la sua bellezza eccezionale: la pelle eburnea e luminosa e i lunghi capelli platino gli conferivano un'aura quasi serafica, sembrava scolpito nell'alabastro. La linea delle sue labbra ogni tanto si arcuava in teneri sorrisi e inondava l'intera stanza di una luce improvvisa, e Yuuri non poteva fare a meno di contemplare quel candore. Quasi come per un riflesso inconscio, il ragazzo, forse sentendosi osservato, si era voltato in sua direzione e Yuuri era stato svelto nell'abbassare lo sguardo. Stava per rialzare gli occhi, quando aveva notato il suo posto vuoto. Lui era in piedi e stava parlando con Jean-Jacqués. Non aveva seguito la conversazione, ma aveva sentito dire:
《Yurochka è rimasto a casa, è troppo giovane perché mio padre gli permetta di uscire con me! Però sono qui con il mio fratellastro, Yuuri》lo aveva indicato con un cenno e quell'angelo, seguendo il suo movimento, era tornato a osservarlo, questa volta con più attenzione. Yuuri lo guardava con la coda dell'occhio e si sentiva morire.
《Siete voi?》Yuuri si era limitato ad annuire.
Erano stati in in silenzio per qualche interminabile secondo e poi il ragazzo si era messo nuovamente a sorridere - probabilmente per mera cordialità, ma agli occhi di Yuuri non era mai stato così abbagliante. Gli aveva allungato con grazia una delle sue mani affusolate e aveva detto:
《Viktor Nikiforov, lieto di conoscervi》

Una gomitata lo riportò bruscamente alla realtà e si girò dolorante e disincantato verso il fratellastro, che lo guardava con un che di canzonatorio.
《A cosa stavi pensando?》Alzò allusivo un sopracciglio. Yuuri prese con uno scatto il suo invito e lo nascose in tasca.
《A niente》
Si alzò pensieroso dal dondolo del giardino, prima che Jean-Jacqués potesse iniziare a punzecchiarlo e si diresse verso lo studio di Christophe dove, una volta arrivato, trovò l'uomo chino su delle scartoffie.
《Christophe,》interruppe il silenzio guadagnandosi l'attenzione l'altro. Yuuri deglutì sommessamente. 《Ho saputo del ricevimento di questo venerdì e vorrei chiedervi, se non vi dispiace...》
Chris sorrise amaro e abbassò lo sguardo. 《Per tre anni non mi hai mai chiesto di uscire, Yuuri...》
《Lo so, ma questa volta vorrei davvero...》
《Io preferirei invece che restassi a casa》
Una fitta lo colpì forte allo stomaco e annaspò impercettibilmente. Per qualche secondo, dovette appoggiarsi su una mensola della libreria per calmarsi. Poi riprese a parlare con voce tremante.
《So di non essere una persona loquace o carismatica e di non stare completamente a mio agio in società, ma vi prego, vi prego, farò di tutto per non mettervi in imbarazzo-》
《Non è questo il problema》prese una pausa per massaggiarsi le tempie, sembrando sinceramente affranto. 《Da quando Minako non c'è più, tu non sei più lo stesso: sei lunatico, impulsivo. Ti sto chiedendo di restare a casa perché sono più preoccupato per te che per me. Non penso che mi metteresti in imbarazzo facendoti uscire, anzi, ma non vorrei che accadesse nuovamente qualcosa di spiacevole》Scandì bene quelle sue ultime parole, scrutandolo da sotto le sue ciglia incredibilmente lunghe. 《Comprendi?》
E allora Yuuri, riuscendo ancora per poco a trattenere le lacrime, rispose con un filo di voce:
《Onestamente no, non comprendo》
L'uomo corrucciò le sopracciglia.《Yuuri, a me dispiace rammendartelo, ma hai provato a fuggire senza preavviso verso il Giappone non meno di una settimana fa. Mi preoccupa il pensiero che tu possa ripetere una simile azione, vedendoti ancora così emotivamente instabile. Appena starai meglio ti permetterò di uscire in tutta tranquillità》
Il ragazzo abbassò sconfitto lo sguardo e mugugnò, uscendo dalla stanza.《Adesso capisco》
Corse giù dalle scale verso il salotto, facendo scorrere le dita tra gli intarsi del corrimano, e si abbandonò sconfitto sul divano. Yurochka gli venne incontro, probabilmente dopo aver ascoltato qualche pettegolezzo da Jean-Jacqués, e si sedette accanto a lui con un'espressione indecifrabile dipinta sul volto.
《Hai parlato con mio padre?》
Yuuri asserì con un piccolo mugolio.
《E cosa ti ha detto?》
Questa volta non rispose. Il ragazzino allora intrecciò le sue dita con quelle del fratellastro e sospirò, andando a poggiare la mano libera sulla sua spalla.
《La prossima volta ti farà andare, ne sono sicuro》
《Anche io》
Questa consapevolezza non alleviava il suo dispiacere: guardava ancora vacuo il pavimento lasciandosi scappare qualche sporadico singhiozzo.
Yura arricciò il naso disgustato.《E comunque non capisco perché tu stia così male per una stupida festa a casa dei Nikiforov》fece una pausa《Che, tra l'altro, sono delle esimie teste di cazzo》
《YURI!》
《Ma è la verità!》

***


La sera del ricevimento Yuuri accese un altro incenso sull'altare della sua stanza: guardava assorto il fumo librarsi nell'aria e attendeva impaziente che la casa fosse libera.
Sentì poi il tonfo che portone emise chiudendosi, vide il bastoncino consumarsi subito dopo, e si rimise immediatamente in piedi. Recuperò dal fondo del suo armadio un vecchio abito nero, un po' stretto e dai lembi sfilacciati, ma se lo fece bastare. Una volta vestito, sgattaiolò verso la camera di Jean-Jacqués e rovistò nel suo cassettone alla ricerca di una maschera; ne trovò, dopo un quarto d'ora di disperato rantolare, una di un colore cinereo. Restò un po' a guardarla e a tastarne nervosamente i bordi con i polpastrelli, assalito di nuovo dai sensi di colpa. Poi prese un respiro profondo e, finalmente rilassatosi, sgusciò nella sua stanza facendo bene attenzione che la servitù non lo vedesse. Prese allora il pettine da sopra il comò, si pose di fronte allo specchio e iniziò ad acconciarsi all'indietro i capelli, come faceva sua madre quando abitavano ancora a Les Invalides e dovevano uscire per la passeggiata domenicale. Scrutando il suo riflesso si rese conto di quanto la tonalità del vestito fosse un po' complementare a quella della sua pelle candida, e di come le ciocche pettinate, nere e lucide sopra la sua testa, ricordassero quasi l'elegante piumaggio di un corvo.
Tolse gli occhiali e li poggiò sul capezzale del letto, poi guardò di nuovo i suoi lineamenti, adesso più sfumati e confusi. Arraffò la maschera, che giaceva apparente dimenticata in un angolo della stanza, socchiuse la porta e vi guardò attraverso per verificare che non ci fosse nessuno nei paraggi. Appena ebbe la certezza di essere solo, chiuse la porta a chiave come per dare l'impressione che si fosse recluso dentro a piangere (cosa per nulla rara) e scese al piano inferiore. Con una prontezza di spirito che non gli apparteneva, scavalcò prima la finestra del salone e poi la bassa recinzione del giardino, sapendo anche che dal suo tentativo di fuga Christophe aveva fatto sorvegliare l'entrata principale e che quella sera il turno di guardia spettava ad Otabek, l’inserviente amico di Yura dallo sguardo impassibile e dai muscoli non indifferenti. Salì sul primo omnibus che facesse sosta al Marais e si sedette fremente, ancora incredulo di essere riuscito in quell'impresa, poi si lisciò per bene i pantaloni sulle gambe e si guardò intorno. Ipnotizzato dalle ombre degli arbusti che si abbattevano copiose sulle alte facciate dei palazzi, mano a mano che la carrozza proseguiva nel suo percorso, rimuginava senza trovare pace sulle conseguenze di quella sua diserzione. Sapeva di aver tradito per la seconda volta la fiducia di Christophe, e non lo avrebbe biasimato se, una volta scoperta la sua malefatta, avesse deciso di abbandonarlo a sé stesso, senza una casa e senza avere di che vivere, in balia del freddo delle notti parigine. Si chiedeva se davvero valesse la pena rischiare così tanto per vedere ancora una volta Viktor; dopotutto quello di essere al centro delle sue attenzioni, dei suoi baci e delle sue carezze era soltanto un vecchio sogno su cui era piacevole fantasticare nei momenti in cui sentiva che la solitudine e il crepacuore potessero essere capaci, in qualche modo, di divorarlo vivo. Non sapeva neanche come avrebbe fatto a trovare quello splendore di ragazzo in mezzo a tanta gente e se, avendolo trovato, si sarebbe interessato ad una personcina insignificante come lui, ma non poteva fare a meno di sperare che qualcosa sarebbe accaduto: gli sarebbe bastato scambiare qualche parola, o anche scorgere in un punto lontano l'argento dei suoi capelli e contemplarlo distante.
Il carrozziere iniziò a rallentare

fino a fermarsi nei paraggi della Place des Vodges e Yuuri si svegliò subito da quel torpore in cui versava per scendere giù dall'omnibus. Vagò per qualche minuto, incerto sull'esatta collocazione della maison Nikiforov e, quando si rese conto di averla trovata, prese l'invito sgualcito dalla tasca dei pantaloni e allacciò stretta la maschera dietro la nuca.







-Note dell'autice-
Alla fine ho deciso di far diventare Minako la madre di Yuuri (tanto avevo già sconvolto del tutto la sua famiglia xD) perché il pensiero di vederlo insieme a Hiroko mi ha fatto troppa impressione!! DD:
Come al solito spero che il secondo capitolo sia stato di vostro gradimento e lasciate, se vi va, una recensione! :D 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


                        Se avesse dovuto paragonare lo stile, la bellezza e lo sfarzo della maison Nikiforov a qualche altro edificio, probabilmente Yuuri avrebbe pensato ad un Ermitage in miniatura. Il tetto del salone si stagliava alto e dava ampio spazio agli affreschi sul soffitto che decoravano le stanze annesse, schiariti perpetuamente dalla luce dei giganteschi lampadari. Gli intarsi dorati percorrevano le mura in tutta la loro altezza e brillavano contro lo stucco bianco delle pareti. In un soppalco sul fondo della sala da ballo un gruppo di musicisti suonava un valzer e sul pavimento marmoreo un tripudio di gonne e merletti danzava ininterrotto. Yuuri vagava senza sosta di stanza in stanza, zigagando tra gli invitati con incredibile maestria, come preso da una smania che gli impediva di stare fermo. Più che smania, quella era un'angoscia imprecisata, che avrebbe più tardi identificato con la paura di essere scoperto e riportato a forza in casa, o trattenuto fortuitamente per ore in una discussione aberrante e senza avere vie di fuga, oppure, la cosa che lo spaventava di più, il pensiero di non ritrovare il suo adorato anche dopo aver perquisito ogni centimetro di quella villa.
Per distrarsi un po' da questi brutti pensieri circumnavigava con gli occhi il perimetro della stanza, restando magari un po' ad ammirare qualche statua che riposava placida sulle nicchie della pareti o qualche abito particolarmente elaborato. Non realizzò subito che Viktor si trovasse di fronte a lui, nell'alto di una tribuna che si affacciava sull'ampia sala, ma lo fece a piccoli passi: la prima cosa che notò fu il colore innaturalmente chiaro dei capelli - adesso non più lunghi, ma accorciati in un ciuffo che gli incorniciava aggraziatamente il viso. Poi lo colpirono insieme, quasi in una sorta di illuminazione, la statura, la corporatura, l'atteggiamento, la risata, i lineamenti del viso che, anche se coperti dal nero della maschera, erano sommariamente riconoscibili. Stava seduto a parlare assorto con una nobildonna che poteva essere facilmente scambiata per sua madre sia per l'età e sia per la somiglianza, e accarezzava con una mano il musetto di un barboncino che stava accucciato ai suoi piedi.
 Si mise a contemplarlo all'ombra di uno stipite di una porta con un'infinita dolcezza negli occhi, felice della sua piccola vittoria, quando Viktor, quasi per lo stesso strano riflesso del loro primo incontro, si girò verso di lui. La sua immediata reazione fu quella di abbassare lo sguardo, con le gote che si facevano paonazze dalla vergogna, e provare a distrarsi per non dare l'impressione di aver osato ammirare così a lungo. Quando, dopo qualche minuto di inutile errare, rivolse di nuovo lo sguardo su quel soppalco e trovò il ragazzo in procinto di andarsene, la sua prima reazione fu quella di fuggire sconfitto in una sala più remota, fin troppo tentato dall'idea di tornarsene a casa. Aveva avuto, nel corso del suo breve tragitto, la brutta sensazione di essere seguito, e ne aveva indicato subito le cause nello sguardo maligno degli invitati e nei sua sensi un po' allucinati da un principio di lacrime (segno che i suoi nervi stessero cominciando di nuovo a cedere). Stette poi qualche secondo nella più totale immobilità in un salotto quasi del tutto svuotato, nel disperato tentativo di ricomporsi abbastanza da poter tornare, nella migliore delle ipotesi, alle sue inconcludenti ricerche, quando sentì dei passi avvicinarsi lenti verso di lui. Gli si formò un nodo in gola quando giunse alla realizzazione di essere stato effettivamente seguito. Il rimbombo delle suole contro il pavimento si fermò esattamente quando il suo pedinatore iniziò a dire:
《Vi siete perso? State per caso cercando qualcuno?》
La voce era maschile, profonda e allo stesso tempo tenera. Yuuri aveva l'impressione di averla sentita in altre occasioni: in cuor suo sapeva chi fosse stato a parlare, ma non era abbastanza coraggioso da voltarsi a guardarlo.
《No- io...》Fece una pausa e prese un respiro 《Non ho nessuno da cercare》
《Potrei farvi compagnia io》mosse qualche altro passo in sua direzione, la sua voce che diventava sempre più gioviale《Non amo vedere i miei invitati star soli》
Anche dopo aver avuto la certezza che a parlare fosse Viktor, non si voltò, pietrificato dalla sua stessa codardia. Provò a temporeggiare cambiando discorso:
《Non ho mai frequentato questo tipo di ambienti》
《Questo, scusatemi se mi permetto, è piuttosto strano: avreste dovuto debuttare in società già da tempo. Non conoscete davvero nessuno?》
Yuuri, nel suo silenzio, capì che Viktor si aspettasse qualche spiegazione che non arrivò.
L'altro poi continuò:《In ogni caso, non sono qui per giudicarvi. Vi propongo invece di festeggiare insieme il suo debutto un po' tardivo》
l russo poggiò delicatamente una mano sulla sua spalla, costringendo Yuuri a rivolgergli lo sguardo. Incontrò i suoi occhi cerulei, profondi come abissi oceanici, lucenti come le creste delle onde bagnate dal sole, e balenò nella sua mente un'immagine del mare del Kyushu.
Viktor dischiuse la bocca ed annaspò, forse, pensava Yuuri, in preda al disgusto o alla meraviglia.
Quando riprese a parlare, il suo tono non fu tanto arrogante, quanto supplichevole.
《Concedetemi un valzer》
Yuuri si limitò ad annuire. Sul viso di Viktor nacque luminoso un sorriso:
《Allora seguitemi》
Quell'angelo prese allora la mano di Yuuri nella sua con un fare al contempo deciso e cauto, come se stesse trattenendo tra le sue dita qualcosa di indicibilmente prezioso, poi azzardarono qualche passo all'unisono prima che il giapponese lo fermasse.
《Aspettate, io...》Deglutì sommessamente, provando un po' a temporeggiare. Teneva la testa bassa per il pudore. 《Non so come si danza》
《Posso insegnarvi seduta stante》
《Voi? A-adesso? Dite sul sero?》
《Certamente》la melodia della sua voce riprese, se possibile, in una nota più amabile di prima. 《Vi avviso però, dovremo spostarci in un posto più appartato. Voi vi fidate di me?》
La risposta gli risuonava incessantemente dentro da quando lo aveva visto per la prima volta, e disse senza esitare:
《Sì》
Prontamente Viktor lo trascinò per le altre sale della maison, una più bella dell'altra, ma vuote e meno illuminate, per poi fermarsi nell'anticamera della biblioteca. La prima cosa che lo colpì, entrando, fu la finestra a tutta altezza che inondava di candida luce lunare tutti gli interni. Accarezzava lieve i mobiletti, i divani e le poltrone posti qua e là sul pavimento, e faceva brillare flebilmente la linea dorata che, sul tetto pitturato di un blu intenso, tracciava intere costellazioni. Viktor sollevò a mezz'aria le loro mani ancora congiunte e fece scivolare quella libera sul fianco di Yuuri, cosa che lo fece sussultare. Quasi istintivamente, ricordando nebbiosamente il modo in cui ballavano gli altri invitati, mise l'altra sua mano sulla spalla dell'accompagnatore e iniziarono a danzare con piccoli, semplici passi sulla musica ovattata che risuonava fino a quella stanza. A volte, alla melodia si accompagnava un canticchiare di Viktor; nulla di musicalmente eccelso, ma che agli occhi di Yuuri lo faceva sembrare ancora più angelico. Il ritmo della loro danza diventava sempre più incalzante mano a mano che Yuuri imparava i passi, fino a diventare quasi vorticoso. Probabilmente per una forza centripeta che agiva sul loro continuo volteggiare, il giapponese aveva come l'impressione di avvicinarsi sempre di più al suo accompagnatore. Quel complicato valzer si ridusse progressivamente ad un abbraccio e ad un ondeggiare che scandiva lento il ritmo della musica. Nel paradiso artificiale, nell'idillio in cui Viktor l'aveva catapultato con la sua sola presenza, acquisì un'audacia fino ad allora sconosciuta e reclinò un po' la testa verso il petto del ragazzo, con le chiare intenzioni di poggiarvisi contro. Lo guardò negli occhi cercando il suo consenso e carpì allora, in una specie di fulminante illuminazione, che costui non aspettava altro da quando per la prima volta gli aveva rivolto lo sguardo e la parola. Forte di questa consapevolezza e con il petto traboccante di contentezza, sprofondò il viso tra gli alamari dorati della giacca del russo. Chiuse gli occhi ed esalò un profondo respiro, immaginando di poter sentire il battito del suo cuore anche attraverso i diversi strati di tessuto. In altre situazioni, con un altro umore, avrebbe chiesto scusa per un'azione tanto sconsiderata, ma Viktor sembrava non disprezzare questa situazione: fece passare una delle sue mani tra i capelli di Yuuri, un pettine bianco in un mare di pece, e la pose dietro la nuca, prendendo ad accarezzarla dolcemente.
《Siete stato fantastico》disse con un ché di orgoglioso, 《E siete pure incredibilmente veloce ad imparare! Se lo desiderate, potremmo anche ballare in sala》
E Yuuri rispose, sentendosi già meno coraggioso: 《Non saprei, io... non mi sento ancora completamente a mio agio. Spero comprendiate.》
Viktor asserì senza dubitare nessuna delle sue parole, poi sciolse l'abbraccio e prese la sua mano, intrecciando le loro dita. 《Dato che la danza è stata bocciata, avrei il piacere di mostrarvi uno degli angoli che più prediligo in questa maison. Mi seguirete?》
Il giapponese sorrise timidamente, e replicò con un filo di voce: 《Pensavo ormai sapeste che mi fido ciecamente di voi》
Negli occhi di Viktor, straripanti di gratitudine, balenò come un lampo di luce accecante. Ricominciò il loro perpetuo vagare tra gli innumerevoli corridoi di quella casa, ed entrambi ebbero tregua solo di fronte ad un'altissima porta a vetri che si affacciava sul verde del giardino. Yuuri, osservando l'ordine ritmico e le forme armoniose degli arbusti e degli alberi tutt'intorno, vi riconobbe un'ombra trasmutata di quella sacralità che tanto distingueva le composizioni del paese del Sol levante. Anche se il paesaggio che gli si stagliava di fronte era completamente diverso da quello che vagheggiava con la sua memoria, non poté fare a meno di desiderare di esplorarlo.
Stava avanzando un po' incerto quando il suo accompagnatore lo trattenne sull'uscio della porta, pregandolo con queste parole:
《Aspettate- prima di addentrarci tra le sterpaglie》incurvò le sue labbra in un sorriso nervoso 《Vorrei chiedervi, sempre se vogliate, di placare un mio tremendo, terribile dubbio》
Yuuri si limitò ad annuire e a guardarlo con gli occhi sgranati
《Voi... voi sapete che sono Viktor, figlio di Nikolaj Nikiforov, di una famiglia nobiliare piuttosto vicina allo Zar》
《Sì》
《Insomma, avete una vaga idea della mia identità. Se voleste cercarmi anche dopo che saremmo separati, sapreste dove farlo》
Le guance di Yuuri si imporporarono al pensiero delle innumerevoli volte in cui aveva chiesto dettagli sulla vita privata del russo a Jean-Jacqués, e rispose impacciato:《Certamente》
《Ecco, io- non voglio che tutto ciò che abbiamo condiviso sprofondi nell'oblio.》Prese un respiro e il tempo sembrò dilatarsi per un attimo, poi continuò:
《Vi prego, vi scongiuro, datemi almeno la sicurezza di conoscere il vostro nome. Sento- uh, vi sembrerà avventato, ma sento già che qualcosa di profondo ci lega》
Il pudore che Yuuri non aveva avuto prima ritornò inesorabilmente a galla nella sua mente, adesso ingigantito, e le parole si arrovellavano dietro le sue labbra senza tramutarsi in voce: come risposta alla sua supplica, Viktor ebbe solo un nervoso silenzio. Il giapponese temeva che lo ripudiasse nel momento esatto in cui avrebbe pronunciato il suo nome dal suono indistinguibilmente esotico, oppure dopo qualche ora, dopo averlo scoperto orfano e mantenuto, o semplicemente vedendo quei lineamenti, che ai suoi occhi erano sgraziati e innaturali. Viktor colse il grande sconforto che attanagliava Yuuri, e non volendo assillarlo chiedendogli il perché di tanta afflizione si limitò ad accarezzargli il dorso della mano con il suo pollice.
《Non preoccupatevi se non volete rispondermi, vedo che siete affranto e non vi forzerei mai nel dire qualcosa che non volete. Il motivo per cui mi tenete nascosto il vostro nome sarà certamente rispettabile e giustificabilissimo, e non voglio indugiare oltre. Ho soltanto una richiesta da farvi: promettetemi che ci rivedremo.》
Commosso da tanto affetto incondizionato, Yuuri attese un po', il giusto tempo per tranquillizzarsi, e poi pronunciò a bassa voce:
《Ve lo prometto》






♪ ♩ Note dell'autrice ♩  ♪  
Buon pomeriggio a tutti! 
Innanzitutto, per tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qui, un grazie immenso ;;
Anche se immersa in uno studio matto e disperatissimo (e altri impegni vari, ma principalmente quello, maledetti professori), sono riuscita ad accozzare quattro parole per pubblicare il terzo capitolo ;;
Spero tantissimo che vi sia piaciuto, e solo se volete lasciatemi una recensione!! ♡

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Viktor prese nuovamente per mano il suo ospite e lo trascinò per i sentieri lastricati del giardino per poi allontanarsi dal percorso da essi tracciato, continuando la loro folle corsa sul prato inglese, circondati da un tripudio di arbusti e di fiori. Si fermò di fronte ad una siepe piuttosto alta, che arrivava più o meno a metà del suo addome, ma appariva più rada verso il centro, come se qualcuno l'avesse oltrepassata più volte in quell'esatto luogo.
I giardinieri avevano provato a coprire questo difetto arrangiando al meglio quei radi rametti che ancora resistevano, gli stessi che Viktor scostò con noncuranza mentre faceva strada per lui e per Yuuri. Il paesaggio aldilà dell'arbusto era nascosto da delle alte querce frondose, dando l'erronea sensazione che il giardino terminasse lì. Una volta superate anch'esse, Yuuri rimase paralizzato dalla meraviglia: non ricordava che quella parte del Marais confinasse con l'Île della Citè.
 Di fronte a lui si stagliava tutta Parigi, aleggiante di una luce soffusa, con i faggi dei grandi boulevard che si confondevano tra le finestre dei palazzi e le alte torri di Notre Dame che svettavano verso il blu della notte, e la Senna tutt'intorno, che brillava di una sfavillio riflesso dalle stelle. La poesia che emanava quell'elegantissima città si palesò nuovamente, dopo tanti mesi, agli occhi del giapponese.
Si rigirò indietro e vide Viktor, ormai abituato a quel paesaggio, togliersi la giacca e gettarla indifferente tra la fanghiglia e l'erba alta, creando ad entrambi un piccolo giaciglio. Yuuri vi si sedette sopra un po' titubante, lanciando prima un paio di sguardi indagatori al russo perché fosse sicuro che potesse sedervisi accanto. Una volta sistematosi, Viktor riprese la conversazione:
《Scoprii questo posto anni fa, in uno dei miei primi soggiorni in Francia. Non è incantevole?》
Yuuri rispose piano, con la voce ancora rapita dalla meraviglia
《Lo è...》
Viktor sorrise teneramente, poi continuò:
《Quando sentivo il bisogno di nascondermi un po', non avevo posto migliore in cui rifugiarmi. Rammento la prima volta in cui arrivai qui, mi si intrecciarono tutti i rametti tra le mie ciocche- da ragazzetto tenevo i capelli lunghi, sapevate?》
Disse con una strana inflessione, quasi come se sapesse che Yuuri ne fosse a conoscenza, e abbassò lo sguardo e lo scrutò con la coda dell'occhio, giusto per non apparire troppo smanioso di sapere la risposta. L'interpellato trasalì e disse con un'artificiosità difficilmente credibile, perché tradita dal nervoso tremolio della sua voce:
《No, io- non sapevo, ecco.》 E le sue labbra si incurvarono impacciate in una piccola mezzaluna. Viktor finse di non accorgersi del suo imbarazzo, ricambiò candidamente il sorriso e continuò: 《Erano estremamente scomodi, in particolar modo quando dovevo addentrarmi nei giardini,》sghignazzò 《Ma devo ammettere che un po' li rimpiango.》 Fece una pausa.
 Guardò prima con tenera malinconia un ricciolo argentato che gli si poggiava su una guancia, poi, di sfuggita, Yuuri, che spezzettava nervosamente un filo d'erba con la punta delle dita, e infine si fissò sul panorama. 《Quando vidi per la prima volta questo splendore avevo forse quindici anni, e compresi come in una folgorante illuminazione l'insignificanza dei miei personalissimi problemi o, addirittura, della mia esistenza intera, di fronte all'eterno.》proferì in un solo respiro, come se stesse levandosi un grosso peso di dosso《Parigi, anche se ignara, è sempre stata amica e consolatrice. Mi capita spesso di sedermi qui e pensare, ammirando Notre Dame: quanti altri anni si reggerà in piedi, quanti altri la vedranno con la mia stessa luce negli occhi?》
 
《Innumerevoli》La voce di Yuuri era un bisbiglio, quasi si mescolava con il vento《È stato questo quello che mi ero domandato non appena la vidi, e questo quello che mi rese affascinante Parigi. Ma più il tempo passava, più questo fascino si ritorceva su sé stesso e diventava opprimente- non saprei spiegarvi》
《Provateci》
Il ragazzo deglutì e rimuginò, cercando le parole più adeguate. Non trovandole, optò per quelle che gli stava suggerendo il cuore:
《La lontananza, la malinconia. La consapevolezza di trovarsi in un posto che, per quanto bello, non sia la propria casa. In questo caso è peggio- sì, è peggio perché è facile odiare un luogo fatiscente. Essere l'unico a disprezzare un luogo venerato e celebrato da tutti, e pure amandolo tu stesso a volte, sentendoti quasi colpevole di tradimento, è una sensazione tanto bizzarra quanto terribile. Ripeto che non saprei spiegarvi esattamente-》
 
《No, penso di capire. Ignorando i motivi per cui dovreste esservi trasferito qui, provenite da un posto tanto lontano che non può essere visitato dopo un paio di mesi o, non so, d'anni?》
 
Yuuri annuì e nello sguardo del russo balenò un'insaziabile curiosità.
《Vi prego, non tenetemi sulle spine! Ci troveremo pure a Parigi, ma non si incontra tutti i giorni un forestiero da terre così remote!》 Il ragazzo stette irremovibilmente in silenzio, e Viktor fu costretto ad importunarlo nuovamente. 《Magari provenite dall'altra parte dell'oceano, dagli Stati Uniti?》
Un cenno di no con la testa.
《Cosa c'è di più remoto degli States? La Cina?》poi disse con un ché di insinuante, come se sapesse già la risposta: 《Il Giappone?》
L'altro abbassò il capo, sentendo l'irrefrenabile bisogno di nascondersi《Sì》
《Davvero? E com'era? Dove abitavate?》
Esitò per un attimo. L'esortazione a condividere qualcosa di così intimo lo poneva un po' sulla difensiva e iniziò a ritrarsi fisicamente su sé stesso, come un istrice indifeso nel percepire un pericolo. Poi, in un impeto di coraggio sollevò il capo per incontrare gli occhi di Viktor, sgranati in una curiosità insaziabile e allo stesso tempo corrucciati in un ché di empatico, tutti protesi verso di lui. Allora schiarì la voce sapendo che, se non avesse parlato ora, il russo avrebbe trovato sicuramente un modo per farglielo fare.
 
《Vivevo in un modesto villaggio di pescatori, non era nulla di comparabile con lo splendore della Cité. Però, non so, era forse il modo di vivere ad essere diverso- magari era la prossimità al mare, la foresta tutt'attorno casa mia, quell'insieme di tradizioni a cui mi ero abituato, o anche quei ragazzi e quelle ragazze che conoscevo- mi chiedo spesso cosa stiano facendo, adesso》 
《Avete mai pensato di ritornare?》
《In Giappone, dite?》
《Sì》
《Diverse volte,》Abbassò lo sguardo e arrossì al pensiero del suo passato tentativo di fuga, 《Ma sarebbe un itinerario troppo impegnativo; per arrivare qui solcai due oceani, restai in viaggio per quasi sei mesi》
Viktor teneva il peso del suo viso sul dorso della mano e lo guardava assorto in chissà quale pensiero. Dischiuse un po' le labbra, esitando prima di prendere la parola:
《Potreste fare il viaggio inverso》
《Cosa intendete?》
《Potreste attraversare l'Europa continentale seduto comodamente sul sedile del treno! E fare nel frattempo interessantissime tappe, attraversando magari le piazze barocche di Bruxelles, o i canali di Amsterdam, o i giganteschi viali di Berlino. Magari potreste anche passare da San Pietroburgo per un saluto...》
La giovialità con cui aveva descritto i primi luoghi era stata completamente stroncata dalla sua ultima asserzione: l'aveva pronunciata a voce bassa e con una nota di malinconia, come se la consapevolezza della fugacità di questo loro incontro fosse piombata all'improvviso su di lui, e avesse reso pesanti anche le sue parole. A Yuuri si strinse un po' il cuore vedendolo in quello stato ma non poteva fare a meno di pensare che la sua reazione fosse stata esagerata, perché sapeva di essere qualcuno che non aveva mai visto prima e che, nel malaugurato caso in cui Christophe dovesse scoprirlo, non avrà più occasione di rivedere.
 
Quindi prese un bel respiro e, non pensando neanche di incontrare il suo sguardo, rispose come poteva:
《Non penso di essere in grado di affrontare un viaggio del genere,》 arricciò il naso, volendo enfatizzare l'impossibilità della cosa, 《Se devo essere sincero, non credo che-》Si arrestò, notando che Viktor lo osservava insistentemente, con gli occhi sgranati di chi sembra aver avuto un’improvvisa realizzazione.
《Per caso qualcosa vi-》
《Il modo in cui arricciate il naso- penso di avervi già visto prima》disse in una specie di rigetto, e poi arrossì per la sua impulsività. 《...Scusatemi per avervi interrotto. Non merito di essere considerato un galantuomo》
《Oh, no, cosa dite!》 Yuuri si affrettò a consolarlo, 《Non crucciatevi per questo, avevate tutte le motivazioni per essere irrequieto. Non si può sempre ponderare ogni parola》
Viktor non sembrava essere confortato dalle sue lusinghe e, anche se biascicava all'ospite qualche ringraziamento per la pazienza, la sua fronte iniziò a corrugarsi, contorta da chissà quali pensieri. Poi si massaggiò le tempie con una mano, adombrandosi con essa gli occhi, e pronunciò lento e in modo ben scandito queste parole, senza nascondere una nota di vergogna:
《Permettetemi un'ultima insolenza》
Sul viso di Yuuri nacque inconsciamente un nervoso sorrisetto, e le sue ciglia batterono più volte, perplesse 《C-Cosa volete dirmi?》
L'altro sollevò il capo, ostinandosi a guardarlo《Vi sto chiedendo di togliervi la maschera- la curiosità mi sta corrodendo》
Yuuri trasalì, restando per un attimo interdetto e l'altro, percependo il suo lampante imbarazzo, intervenne subito:
《Se vi fa sentire meno a disagio posso toglierla anch'io, attendete un attimo-》
E sfilò via il nastro di raso che teneva attaccato l'orpello dietro la sua nuca, facendolo poi scivolare tra le dita con una grazia che sembrava innata. Poi lo poggiò sul prato, dimenticandolo lì, e si voltò verso Yuuri con gli zigomi non più nascosti da quel sottile strato di stoffa, nel pieno della sua luminosa bellezza. Autonomamente le mani di Yuuri imitarono il suo stesso movimento, ma in modo molto più lento e tremante. Viktor, che aveva trattenuto ansiosamente il respiro fino a quel momento, non provò sorpresa nel vedere scoperto il visto del suo ospite: nei suoi occhi si leggeva soltanto una profondissima gratitudine.
《Yuuri,》 le sue labbra si distesero nel sorriso radioso di chi ritrova qualcuno che aveva pensato perduto 《Yuuri Katsuki》
Questa volta l'interpellato non trasalì soltanto, ma balzò indietro, spaventato, e provava a mantenersi in equilibrio facendo quasi sprofondare le dita nel terreno《Come fate a conoscere il mio nome?》
《Ci incontrammo per la prima volta tempo addietro, non ricordate? In un locale lungo la Senna》Tra le migliaia di pensieri che attraversavano la mente di Yuuri in quel momento, non sfiorò neanche per un attimo il fatto che Viktor potesse ricordarsi di lui. 《So che è strano, ma mi era rimasto particolarmente impresso nella memoria questo vostro modo di storcere il naso》
《È un po' crudele sapere di essere ricordati per un particolare così sgraziato...》
《Di cosa state parlando? Eravate amabile》
Questa ultima frase lo colpì, o meglio, trafisse, come un fendente o una freccia che gli squarciava il petto: da quanto gli aveva raccontato Jean-Jacqués, sapeva che Viktor, nonostante le sue parvenze angeliche, era un abilissimo seduttore. Lui era stato coraggioso fino a quando la sua identità era stata nascosta dalla maschera, quando ancora pensava di poter stringere a sé la persona da lui tanto vagheggiata e poi fuggire via impunito, ma adesso che Viktor conosceva la sua vera identità era diverso, si sentiva molto più vulnerabile. Anche vaga intuizione che quel ragazzo stesse flirtando ancora con lui, nonostante si fosse rivelato per la persona che era e che detestava, lo spiazzava completamente. Non sapeva come giustificare questo suo atteggiamento se non riconducendolo ad uno scherzo di cattivissimo gusto, di cui però non riusciva a dargli colpa: era naturale che una persona come Yuuri meritasse un trattamento del genere. Però, anche con la dura realtà di fronte ai suoi occhi, non poteva fare a meno di illudersi che Viktor serbasse veramente qualche tenerezza per lui - era per metà agonia, per metà speranza
《E... uhm... ricordate ancora il mio nome?》Azzardò, con le parole che fuoriuscivano dolorosamente dalle labbra.
《Come avrei potuto dimenticarlo?》
Non reagì, si limitò a guardarlo con i suoi grandi occhi nocciola, lucidi e luminosi al contempo; e Viktor comprese, nell'abisso delle sue iridi di terra e di luna, cos'era che lo stava frenando.
《Voi non siete pienamente cosciente della vostra bellezza, non è così? Se lo foste stato, non vi sareste tanto stupito delle mie affermazioni. Penso che sia impossibile dimenticare uno sguardo così dolce e dei lineamenti così delicati,》avvicinò la punta delle dita alla mano dell'altro, e prese a sfiorarla come se fosse qualcosa di sacro 《Avete tutta un'aura che aleggia intorno a voi, qualcosa di indefinibile, di candida bellezza,》appressò il dorso della mano altrui alle sue labbra e vi poggiò devotamente un bacio, ma dopo quell'ultimo gesto non gli fu permesso di continuare il suo panegirico.
Yuuri aveva reagito a tutta quella sfilza di complimenti con il panico più totale, non sapendo più cosa fare o, ancora peggio, cosa pensare: ad ogni parola gentile che Viktor gli rivolse, la sua mente urlava disperatamente "Bugie! soltanto bugie!" . Divenne istintivamente ritroso e scacciò subito via la mano non appena ne ebbe l'opportunità, poi indietreggiò, avvertendo forte il bisogno di scappare.  Nella sua testa si ripetevano incessantemente le parole di uno di quei bei libri d'oltremanica che spesso Jean-Jacqués portava dalla libreria, parole che l'autore stesso aveva definito idolatre, e che quando le lesse per la prima volta gli riportarono alla mente la soave immagine del russo. Sognava, un giorno, di potergliele riferire, ma non nel modo in cui stava per farlo: 《Voi siete fatto di avorio e d'oro》disse, poi prese un respiro, rivolgendogli uno sguardo che potrebbe essere scambiato per quello di una bestia impaurita 《Non avete tempo da perdere con persone come me》
Poi si alzò e fece per andarsene, e a poco servirono le suppliche di Viktor. Quando il ragazzo provò timidamente a fermarlo trattenendolo da un braccio, in un ultimo atto di liberazione, lo spinse facendolo cadere a terra, ormai incapace di pensare razionalmente.
Le campane di Notre Dame iniziarono a suonare la mezzanotte, e ogni rintocco sembrava gli rimbombasse nell'anima, scuotendolo da capo a piede, come una premonizione di un castigo divino per la crudeltà che aveva appena compiuto. Abbassò un'ultima volta lo sguardo su quello di Viktor, e lo trovò sconvolto, sì, ma supplichevole: ancora una volta, lo stava pregando di restare. Si voltò e corse via, sperando di trovare rifugio all'ombra delle siepi e delle querce, fuggendo non tanto da Viktor quanto da sé stesso.⁠⁠⁠⁠



♪ ♩ Note dell'autrice ♩  ♪  
Buon pomeriggio! Mi dispiace tantissimo per l'immenso ritardo, ho avuto un sacco di contrattempi a scuola e questa storia è schifosamente difficile da scrivere a volte ç_ç (quando ho il tempo non ho l'ispirazione, quando ho l'ispirazione non ho il tempo e finisce che aggiorno dopo un mese ;;)
Comunque, ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto fin qui! Ve ne sarò eternamente grata! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento :D




...scrivo qui, alla fine, due noticine inutili: la frase "Era per metà agonia, per metà speranza" è tratta da Persuasione di Jane Austen, e il libro a cui si riferisce Yuuri nelle ultime righe è Il ritratto di Dorian Gray!

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