Storia di una Strega di Terra

di carlottad87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
 
1.
 
Clementina Vezzi fu uccisa la notte di mercoledì 22 febbraio, sotto un cielo senza luna.
Fu trovata all’alba del giorno a dopo, abbandonata come una bambola vecchia dietro ad un cassonetto all’angolo con Vicolo Ranocchi.
Fu Mariangela Petri, che non era riuscita a dormire la notte prima perché il nipote di qualche mese aveva le coliche e non la smetteva mai di piangere, che, mentre cercava le chiavi della saracinesca della sua macelleria all’angolo con Vicolo Ranocchi, inciampò letteralmente nel corpo.
La donna, dopo aver imprecato a bassa voce e aver recuperato le chiavi che le erano scivolate di mano, pensò che la stanchezza la rendeva distratta e che era troppo vecchia per passare le notti in bianco a quel modo: sua figlia, che era stata lasciata dal marito per un’altra, prima o poi avrebbe dovuto trovarsi una nuova sistemazione.
Nella penombra vide che qualcosa spuntava da dietro il cassonetto della spazzatura appoggiato al muro. Mariangela prese la borsa con l’intenzione di alzarsi, già indispettita che qualcuno avesse lasciato della spazzatura praticamente in mezzo alla strada, quando si accorse che si era sporcata le mani di un liquido freddo e appiccicoso che, come presto si rese conto, ricopriva l’acciottolato attorno a lei.
Quando capì che si trattava di sangue lasciò cadere nuovamente la borsa e si alzò di scatto, strofinandosi forte la mano sui pantaloni. Non passò molto tempo prima che si rendesse conto che la cosa che aveva scambiato per rifiuti altro non era che un piede, nudo e dalle unghie smaltate d’azzurro.
Mariangela non urlò ne indietreggiò alla vista del cadavere appoggiato con le spalle alla saracinesca del suo negozio, semplicemente serrò i pugni e si ritrovò a fissarla per un tempo che le parve infinito.
La ragazza bionda, che la guardava con opachi occhi grigi, teneva la testa leggermente spostata all’indietro, mettendo così in mostra un taglio sulla gola che le andava da un orecchio all’altro. I lunghi capelli le si erano appiccicati alla fronte e alla guance insanguinate, prendendo una strana sfumatura rosata. I palmi delle mani, sporchi dello stesso colore, erano rivolti verso l’alto: in quella strana posizione da penitente sembrava voler ostentare i suoi due polsi squarciati, dai quali ormai non sgorgava più nulla.
Aveva perso una scarpa e i jeans le si erano strappati all’altezza del ginocchio destro.
Il terzo cadavere che Mariangela vedeva in vita sua, dopo quello di suo nonno morto per un cancro al colon e di suo marito che aveva avuto un infarto qualche anno prima, le sembrò molto più spaventoso dei primi due. La ragazza, che dimostrava poco più di vent’anni, non aveva addosso la bruttezza della malattia, del dolore e della vecchiaia; la sua vita era stata spezzata senza preavviso, e la sua bellezza era abominevole e contro natura.
 
Dieci minuti dopo arrivarono tre volanti dei carabinieri ed un’ambulanza, chiamati da Mariangela che non riusciva a smettere di strofinarsi con un fazzoletto le mani prima sporche di sangue. Poco dopo vennero avvisati anche gli agenti del RIS che arrivarono da Parma.
Prima che l’area venisse completamente isolata per non essere contaminata, una piccola folla di curiosi ancora assonnati si radunò attorno alla scena del delitto.
Era stata violenza sessuale o solo una rapina? La ragazza era stata trovata nuda?
Tutte le persone che si erano radunate nel minuscolo vicolo, tra i più pittoreschi di Bologna, si chiedevano che cosa fosse successo: gli ultimi arrivati inorridivano alla vista del sangue secco sull’acciottolato, gli altri, quelli che erano lì fin da quando si erano sentite le prime sirene, non avrebbero abbandonato il loro posto in prima fila per nulla al mondo.
 
Teodora passò qualche ora dopo per via dell’Archiginnasio, che incrocia Pescherie Vecchie dando su piazza Maggiore. L’ambulanza se n’era già andata, rimanevano solo gli agenti del RIS che raccoglievano prove e scattavano foto.
Nel momento stesso in cui si avvicinò si senti addosso una stranissima sensazione, l’aria era pesante, le venne la nausea e le girava la testa.
Un brivido le salì fastidioso lungo la schiena, era già tardi e voleva arrivare in biblioteca il più presto possibile perché aveva un sacco di pagine da fare quel giorno, si allontanò quindi in fretta, felice di togliersi quella scena da davanti agli occhi.
Teodora non avrebbe saputo che cosa era realmente successo fino a quella sera, guardando il telegiornale delle otto. Una ragazza di vent’anni, la sua età, era stata uccisa circa alle tre della notte precedente; non si sapeva ancora se fosse stato uno stupro, ma Clementina Vezzi, così si chiamava, non era certo stata trattata con gentilezza.
Qualcuno l’aveva attirata in quel vicolo, l’aveva probabilmente tramortita perché non urlasse attirando cosi l’attenzione dei residenti, poi le aveva tagliato la gola e i polsi lasciandola li a morire dissanguata.
Ed era questo il punto su cui le autorità erano più perplesse: il sangue che era stato trovato non era neanche lontanamente comparabile a quello che un corpo umano adulto dovrebbe contenere.
E nel cadavere non ne era rimasto quasi nulla.
Il vicolo fu scandagliato con tutti i mezzi a disposizione, la polizia scientifica lavorò ininterrottamente per tre giorni in via Pescherie Vecchie, chiudendo tutte le possibili entrate e uscite in modo tale da non contaminare le prove.
Non fu trovato nulla. Una ragazza di vent’anni era stata assassinata senza che rimanesse nemmeno una traccia ad indicare il colpevole.
I giornali parlarono dell’omicidio di Clementina per settimane, per la preoccupazione che infuse in una sconcertata opinione pubblica fu paragonato al caso di Garlasco o a quello della povera Meredith.
Il ragazzo di Clementina, Federico, raccontò che da qualche mese lei si comportava in maniera strana. Erano cresciuti insieme e lui era sempre stato convinto di conoscerla alla perfezione, la ragazza però negli ultimi tempi non era più lei. Federico negò in maniera decisa che il suo cambiamento fosse causato da depressione o che magari avesse problemi di droga. Si era accorto che era distante, tanto impegnata da non poterlo più vedere spesso come una volta, però decisamente serena. Ma occupata in che cosa? Lui di certo non lo sapeva.
Come confermarono anche i genitori passava sempre più di frequente la notte fuori casa, dormendo da qualche nuova amica dell’università, così diceva, nuove amiche che però loro non avevano ancora conosciuto. 
Sia Federico che i coniugi Vezzi le avevano chiesto più volte che cosa le stesse succedendo e che cosa stesse cambiando nella sua vita, ma lei ripeteva sempre che non c’era nulla di strano e che era tutto come prima.
Sembrava davvero felice dicevano tutti. Le sue migliori amiche la vedevano sempre sorridente, luminosa, dissero che negli ultimi tempi era dimagrita e che a loro pareva decisamente più carina.
Ma che cosa ci faceva Clementina alle tre di notte, in un vicolo deserto? lontano dai locali, dalle discoteche, era forse stata da un amico? Nessuno era in grado di dare una risposta.
Chi erano le nuove persone che lei stava frequentando, perché non si facevano vive per aiutare le autorità?
Il più grande interrogativo era che cosa stesse succedendo alla ragazza e soprattutto se questo l’avesse portata alla morte.
 
2.
 
Un rumore secco. L’osso che si rompe.
Gregorio affondò la spada nell’interstizio tra le placche di metallo dell’ armatura, a livello della spalla destra.
Uno schizzo di sangue gli macchiò la guancia e gli colò lento sulle labbra. Lui lo leccò e sorrise, era eccitato.
In quel giorno di dicembre dell’anno 1499, la terra si era fusa con il cielo, tutto era morte, sangue e grida di dolore.
L’uomo si era tolto l’elmo dopo che lo avevano colpito di striscio alla fronte, miracolosamente non era rimasto ferito e questo gli dava sicurezza.
I capelli castani gli ricadevano lunghi in ciocche scomposte e incrostate di sangue vecchio di giorni, era molto alto, troppo in confronto a tutti gli altri, ansimava con gli occhi sgranati, assaporando la battaglia che imperversava attorno al lui: voleva uccidere ancora.
Il suo comandate sarebbe stato orgoglioso, mancava poco alla vittoria. Anche il potere degli Sforza avrebbe dovuto cedere alla forza inarrestabile del Valentino.
L’uomo che aveva appena colpito si dimenava in preda al dolore. Non era abitudine del capitano lasciare feriti, avrebbero potuto rialzarsi.
Gregorio stringendo l’elsa della spada con entrambe le mani, e bloccando il nemico supino con un piede, conficcò la lama sporca di sangue in mezzo ai suoi occhi. In pochi secondi questo smise di muoversi.
Due soldati correvano verso di lui con le spade sguainate, lui se ne accorse e in pochi istanti ne trafisse uno a livello della giugulare, dopo essersi chinato per schivare il suo colpo.
L’altro ebbe un momento di esitazione che gli fu fatale. Gregorio mentre lo uccideva si rese conto che probabilmente non aveva nemmeno diciotto anni. Meglio, gli stava facendo un favore, quello non era un mondo in cui valeva la pena di vivere.
Il suo cavallo era stato ferito a un fianco, e ora agonizzava a pochi metri da lui, era un animale di razza e lo aveva servito bene. Lo raggiunse e lo colpi al collo, almeno avrebbe smesso di soffrire.
Il sudore gli colava fastidiosamente sugli occhi, il suo viso era bello, dai lineamenti proporzionati e armoniosi ma forti, lasciava trasparire origini nordiche anche sotto tutta la sporcizia che si era accumulata.
Un dolore lancinante lo colpi alla gamba sinistra.                                                                         
Prima di accorgersi che cosa lo avesse causato cadde in ginocchio, tentando di fare perno sull’arto rimasto illeso.
A terra, un soldato nemico che era stato ferito al fianco, e perdeva copiosamente sangue dalla fronte, aveva conficcato un lungo pugnale nella gamba di Gregorio, esattamente dove le placche dell’armatura non lo proteggevano, dietro al ginocchio.
Lui lo colpì alla gola con la spada urlando selvaggiamente, preda di una rabbia che non riuscì a controllare. Rabbia che però lo distrasse.
Un altro uomo, caduto dopo essere stato colpito ad un piede, era riuscito a rialzarsi quando gli si era avvicinato Gregorio che gli dava le spalle.
Distratto dal colpo al ginocchio non si accorse nemmeno di chi gli trafisse il fianco con una spada sporca del sangue di tante altre persone. Cadde con i palmi in avanti, l’altro affondò con forza la lama nella sua carne, per il dolore Gregorio urlò fino a che la voce non gli si spense, poi svenne.
 
Quando si svegliò era buio.
La luna brillava rossa sopra di lui, illuminando il campo di battaglia dove non esisteva altro che morte.
Gregorio si chiese se fosse finalmente finito all’inferno, se lo sarebbe meritato per la vita che aveva vissuto. Non poteva che pensare a Flordelis, alle sue labbra piene che ricordavano le pesche mature e che avevano amato solo lui e nessun altro.
La sua bellissima Flordelis, dai lunghi capelli neri e dal cuore così puro, non era stata fatta per lui aveva sempre pensato, tutti e due lo sapevano ma lei aveva fatto finta di nulla e non se ne era mai andata.
Gregorio si chiese perché Dio lo avesse creato in quella maniera strana, non gli importava di niente, non aveva mai amato nessuno.
Di questo era sempre stato orgoglioso, attaccarsi alle cose significa essere deboli, gli aveva detto suo padre, e la forza era l’unica cosa che lui avrebbe sperato di avere. La forza non tradisce, la forza è potere.                                                                                               
Non riusciva più a sentirsi le gambe, un cadavere, amico o nemico non gli importava, gli bloccava la parte inferiore del corpo, a fatica sollevò un braccio, che però ricadde rumorosamente, privo di forze.
Aveva perso l’elmo quando lo avevano colpito e si sentiva il viso incrostato di quel sangue malato, che gli era lentamente entrato dentro, insieme a tutta quella morte: forse per quella ragione continuava a vedere in cielo una luna vermiglia.
Qualcosa si mosse alle sue spalle, Gregorio si irrigidì, immobile nella stessa posizione in cui si era svegliato.
Qualcuno stava camminando nella sua direzione, dalle voci che sentiva probabilmente due persone. Una donna rise piano, in un modo strano, gorgogliante, che gli fece rizzare i peli delle braccia sotto l’armatura.
 “Oggi è quasi noioso, non trovi?”
Qualcun altro, più giovane della prima persona che aveva parlato, canticchiava a voce bassa in una lingua che Gregorio non conosceva. Le parole erano fredde e appuntite, come se fossero fatte di metallo, e lui si rese conto di essere terrorizzato. Più si avvicinavano più Gregorio pregava di sembrare morto, voleva sparire nascosto sotto tutti quei cadaveri. Ovviamente loro sapevano che era vivo, ed erano inesorabilmente attratti verso di lui.
“Fa davvero un buon odore..” disse quello dei due prima cantava. Gregorio si rese conto che molto probabilmente era un bambino.
Non poté evitare di pensare a un ragazzino biondo e paffuto, che annusava l’aria come un segugio, con due occhi rossi, fatti di sangue e di fuoco. Aveva voglia di vomitare.
Gregorio sentiva i loro passi dietro di lui, a volte rumorosi e pesanti quando i loro piedi poggiavano sul terreno duro del campo di battaglia, altre volte ovattati, se calpestavano i cadaveri che si ammassavano ovunque.
Ci misero poco a trovarlo. Lo raggiunsero e gli tolsero di dosso il corpo che gli impediva di muoversi con una facilità impressionante.
Quando Gregorio li vide il cuore smise di battergli per qualche secondo. Urlò con quanto fiato aveva in gola, perché niente al mondo era tanto spaventoso e terribile.
E poi fu di nuovo buio.uesto
 
 
Salve a tutti, pubblico questa storia principalmente perchè mi piacerebbe avere dei feedback da parte dei lettori. Spero che la storia di Teodora vi piaccia e spero che mi facciate sapere che cosa posso migliorare.
Commentate, commentate, commentate!
Grazie mille!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.
 
Marta e Teodora sedevano l’una di fianco all’altra con i libri aperti davanti.
La luce di quel pomeriggio di fine inverno entrava dalle enormi vetrate dell’Archiginnasio, la grande biblioteca costruita nel ‘500, disegnando strani riflessi sui tavoli di legno.
Marta stava tentando, senza grande successo, di decifrare un grafico a pagina 515 del suo libro di economia aziendale, assolutamente certa di aver sbagliato strada nella vita e di avere davanti a sé un futuro da senza-tetto.
Teodora, invece, fissava distratta il suo blocco degli appunti che stava riempiendo di piccoli disegni, con l’ipod nelle orecchie si sentiva momentaneamente ispirata. Alberi e fatine in un prato sotto il cielo stellato, strane farfalle e una luna enorme si intrecciavano a parole scritte sovrappensiero: per un momento le mie braccia si fecero ali, ed io corsi sulla schiena del vento.
Non era riuscita a dormire nemmeno quella notte e si chiedeva se fosse a causa dello stress per gli esami o perché ancora non le era venuto il ciclo.
Si portava addosso una strana sensazione di malessere che non riusciva a spiegarsi, sentendosi tutta scombussolata come se le stesse per venire l’influenza.
Lasciando perdere la sua opera d’arte improvvisata si voltò sbadigliando verso Marta, che ancora ferma alla stessa pagina di mezz’ora prima aveva definitivamente assunto un colore verdastro, sintomatico di pura disperazione.
Teodora non poté fare a meno di sorridere e si tolse le cuffie dalle orecchie per poterle parlare.
Aveva bisogno di sfogarsi e Marta era la sua migliore amica.
Le due si conoscevano fin dal primo anno di liceo, era stato amore a prima vista il loro: Marta le si era seduta vicina il primo giorno di scuola, aveva preso la copia di Cent’anni di solitudine che lei si era portata dietro come coperta di Linus e aveva dichiarato perentoria che era il più bel libro che fosse mai stato scritto. In trenta secondi conquistò il cuore di Teodora, che considerava il buon gusto in letteratura il più grande pregio di una persona.
Marta era alta, snella, i capelli scurissimi e corti, più lunghi e sfilati sul davanti erano tagliati come andava di moda. Era sicura di se, spigliata e totalmente consapevole della sua bellezza: riusciva ad attirare facilmente gli sguardi degli altri e adorava farlo.
Lei, invece, si era sempre considerata diversa, anomala, porsi al centro dell’attenzione la faceva sentire a disagio, come se tutti potessero vedere le stranezze di se stessa che l’avevano sempre resa nervosa.
Teodora era stato anche il nome di sua madre, e questa era l’unica cosa che, insieme ai lunghi e foltissimi capelli castani, di quel colore così ricco e particolare, le aveva lasciato di lei quando era morta.
In quel periodo aveva ricominciato a fare quegli strani sogni, come quando era bambina, ed era arrivata alla conclusione che forse non riusciva a dormire perché aveva paura di farlo.
“Sai, ho sognato di nuovo mia madre la notte scorsa… mi capita spesso ultimamente..”
Marta alzo la testa dal libro e aggrottò le sopracciglia
“Che tipo di sogni sono? Come quelli che facevi da piccola? “
le chiese sussurrando per non disturbare i ragazzi che studiavano nei tavoli vicini al loro.
“Non so… non me li ricordo bene quelli… ma nemmeno questi effettivamente, mi sveglio solo con la certezza di aver visto mia madre, è una cosa strana”
L’amica continuò a mordicchiare tranquillamente il tappo della sua penna blu, sgranando i grandi occhi scuri con aria leggermente più interessata.
“Era un bel sogno almeno? “
Aveva parlato più volte a Marta del periodo in cui, quando aveva circa tre o quattro anni e sua madre era appena morta, si svegliava urlando tutte le notti e non riusciva a smettere di piangere per ore. Sua zia aveva pure pensato di mandarla da uno psicologo, ma poi per fortuna gli incubi erano finiti e lei aveva ripreso a dormire tranquillamente.
“non lo so…mi sveglio sempre tutta sudata e non ho più voglia di riaddormentarmi.”
Si mosse nervosa sulla panca dove era seduta, si chiese se faceva bene a parlarne con Marta, ma di lei si fidava e provò a continuare il discorso.
“Sai, in questo periodo mi stanno capitando un sacco di cose assurde. Non capisco che cosa mi succede…”
Lei la fissava incuriosita, passandosi un unghia smaltata di rosso acceso sul labbro inferiore.
 “In che senso?che tipo di cose?”
Teodora guardò l’amica negli occhi con le guance un po’ arrossate
“Te lo dico solo se giuri che non mi prendi per scema ok? Giura che non ridi!”
Lei sorrise ed incrociò le dita “Giuro!”
“Un gatto mi segue….”
Marta la fissò interdetta.
“Un gatto ti segue?”
Nel silenzio Teodora si rese conto che la sua dichiarazione non era suonata strabiliante come aveva desiderato. L’amica aveva assunto l’aria divertita di chi è sicuro di essere la vittima di uno scherzo ma non ha ancora capito bene come.
“E che cosa te lo fa credere?” le labbra di Marta erano leggermente piegate verso l’alto, in un sorrisetto ironico.
“Ecco lo sapevo che non avrei dovuto dirtelo!” disse alzando notevolmente la voce,tanto che cinque o sei paia di occhi curiosi si girarono verso di loro. Lei abbassò il tono e tornò a bisbigliare verso la ragazza.
“Fammi finire prima di credere che stia dicendo stupidaggini…ovvio che se ti dico solo così non ha senso…”
Marta annui e le fece cenno col viso di continuare, non togliendosi però dalla faccia quel mezzo sorriso che stava infastidendo tanto Teodora.
“allora… è una settimana che me lo trovo ovunque,  prima era davanti alla porta di casa, poi ero in Via Zamboni a lezione ed era in Piazza Verdi… fermo che mi fissava!”
Marta giocherellava con il piccolo pupazzetto attaccato per decorazione all’astuccio delle penne, comprato a Berlino l’estate prima.
“Ma sei sicura fosse lo stesso? Magari è un gatto semplicemente molto simile…”
“No sono sicura…ieri notte mi sono alzata per andare in bagno, e l’ho visto fermo sull’albero di fronte alla mia finestra… mi sono presa un colpo”
Marta la guardava perplessa
“Forse si è affezionato e ti segue perché ti vede come la sua nuova padrona, che ne so…”
Teodora sbuffò.
“Ma non si avvicina mai! Rimane sempre lontano, e mi guarda… poi sono sicura sia sempre lo stesso, è completamente grigio e con il pelo lunghissimo, non ne avevo mai visti così…”
Marta non sembrava particolarmente impressionata e Teodora si accorse che probabilmente all’amica era sfuggito il punto del suo discorso, provò quindi ad essere più chiara, per farle capire che cosa la stesse sconvolgendo tanto in quel periodo.
“Non è solo la storia del gatto…ma mi stanno succedendo un sacco di cose assurde, pensa che ieri stavo sistemando la camera e.. “
Marta la interruppe prima che potesse finire la frase.
 “Ok, questo si che mi sconvolge….se sistemi la tua camera, il mondo sta seriamente girando al contrario!” la ragazza si mise a ridere a bassa voce divertita e si sporse per farle il solletico.
“Dai fammi finire! Non è questo che volevo dire!” disse lei scansandosi leggermente di lato con nessuna intenzione di partecipare all’ilarità dell’amica.
“Stavo sistemando anche il balcone, dove ci sono tutti i vasi di piante, poi sono uscita un attimo dalla camera perché dovevo dire una cosa a mia zia … quando sono tornata i fiori erano tutti sbocciati!”
“Forse non te ne eri accorta prima…. “
“No ti giuro che prima non c’erano! E poi è pieno inverno! come è possibile che siano fioriti in trenta secondi?”
L’altra ora era decisamente confusa e questo era evidente da come fissava l’amica, tentando di scoprire dove stesse l’imbroglio.
“Probabilmente il riscaldamento di camera tua era troppo alto, ha fatto l’effetto di una serra e sono sbocciati prima del tempo..”
“In trenta secondi? E poi erano sul balcone non dentro la camera”
Marta la guardo in silenzio per quasi un minuto poi si strinse nelle spalle, quasi nervosa.
“Cosa vuoi che ti dica, che la fatina della primavera è arrivata da te in anticipo sulla tabella di marcia stagionale?”
Teodora strinse le labbra e si rese conto che sarebbe potuta andare avanti con il racconto ma tanto lei non le avrebbe comunque creduto. Lasciò quindi perdere tutta la parte sugli oggetti che cambiavano posizione senza motivo, sui giocattoli di quando era piccola che erano riapparsi dopo anni e soprattutto sugli strani sogni che faceva di notte, perché non era vero che al risveglio non si ricordava più nulla.
Al mattino il sogno era ancora lì, forte e spaventoso come quello della notte prima, e della notte prima ancora.
“Sarò solo un po’ stressata, gli esami e tutto il resto… probabilmente ho solo bisogno di rilassarmi”
Marta parve sollevata dal cambio di direzione della conversazione, attribuire qualsiasi cosa allo stress era un’ottima soluzione che riportava tutto sul piano della normalità.
“Ah! Ma non ti ho ancora raccontato di ieri! Sono uscita di nuovo con Alex!”
La ragazza si perse nel lungo racconto del secondo appuntamento con Alessandro, descrivendole nei particolari come lui era vestito e quanto fosse stato carino ad offrirle l’aperitivo, ma d'altronde questo era il minimo quando avevi l’onore di uscire con lei.
Teodora si chiese se questa finalmente sarebbe stata la volta buona ma era più propensa a pensare che il povero Alex avrebbe fatto la fine di tutti gli altri, scalzato dal podio con l’arrivo di un nuovo pretendente più interessante di lui.
Pensò che se fosse nata uomo non avrebbe mai voluto innamorarsi di Marta, come donna però trovava le sue innumerevoli avventure amorose molto divertenti.
Era come avere la sua soap opera preferita a disposizione in ogni momento.
Mentre ascoltava quanto all’amica fosse piaciuto il posto dove Alex l’aveva portata, l’arredamento era decisamente raffinato e non se lo sarebbe mai aspettato da lui, Teodora si perse ad osservare la variegata popolazione dell’Archiginnasio.
I ragazzi nel tavolo di fianco al loro sembravano estremamente concentrati su enormi volumi di biologia, probabilmente vista la grandezza dei libri di testo erano studenti di medicina, in realtà però uno stava leggendo il giornale tenendoselo sulle ginocchia, l’altro invece scriveva un Sms.
Le ragazze erano tutte estremamente ben vestite e cariche di accessori costosi, alcune tiravano fuori le penne da eleganti astucci di Luis Vuitton, altre sfoggiavano collane e braccialetti di Tiffany coordinati.
Mentre uno dei bibliotecari le passò davanti, mettendo in mostra un paio di crocks viola, psichedeliche scarpe da ospedale, Teodora si mise involontariamente a pensare a suo padre.
Ricordarlo fa male e ti fa perdere tempo, si ripeteva tutte le volte che le capitava, ma spesso le succedeva che il suo viso, la sua voce e il suo modo di parlare facessero capolino da quelli di un'altra persona.
Così, in maniera incontrollata, una fitta dolorosa alla bocca dello stomaco le faceva notare quanto forse avrebbe avuto bisogno di lui.
Non poteva dire che le facesse mancare nulla, ma il trovarsi a 500 km di distanza da lei, almeno dal punto di vista affettivo, complicava un poco le cose.
Da quando sua madre era morta suo padre si era come spento.
La ragazza non trovava altre parole per descrivere quanto lui fosse cambiato, diventando qualcuno che non riconosceva più, che non riusciva nemmeno a chiamare papà.
Teodora era molto piccola quando aveva perso la mamma, ma per qualche ragione si ricordava bene come erano i giorni prima che questo avvenisse e di quanto fosse stato diverso suo padre.
La persona triste e grigia che vedeva tre o quattro volte ogni anno e che due volte al mese la chiamava non aveva nulla a che fare con la persona che lui era stato prima di quella tragedia.
Se lo ricordava solare, sempre in movimento capace di portarle all’improvviso in spiaggia, anche in pieno inverno, solo perché gli era venuta voglia di vedere il mare.
Ma forse si sbagliava, la sua testa voleva farle credere che lui prima fosse stato diverso: spesso pensava che fosse solo la sua immaginazione, in fin dei conti era solo una bambina quando se ne era andato.
Teodora ricordava anche l’amore che lo legava a sua madre, sembrava che lei fosse per lui il sole della sua galassia tutta personale.
Forse quel giorno di più di quindici anni prima era morto anche lui in quell’ospedale, solo che non se ne era ancora accorto nessuno, a parte sua figlia, che ora per questo lo odiava.
Ma odiava soprattutto se stessa per soffrirne ancora così tanto.
Una lacrima calda le rotolò lentamente sul viso riportandola alla realtà, e Teodora si accorse di qualcosa che prima non aveva notato.
Una piccola farfalla rossa, di un porpora luminoso e scintillante, era entrata da non si sa dove e svolazzava indisturbata per tutta la sala.
Le sue ali sembravano fatte di mille sfumature diverse, quando se la trovò più vicina si rese conto che andavano dal giallo, all’arancione fino al violetto più accesso, come se fossero della stessa costituzione del fuoco.
Quella farfalla tanto particolare percorse in lungo e in largo tutto lo spazio a disposizione, sfiorando le teste degli studenti chini sui libri senza che però nessuno di loro sembrasse rendersene conto.
Teodora non poté fare a meno di seguirla con lo sguardo per quella che le parve un eternità, chiedendosi come fosse possibile che nessuno vedesse una cosa tanto singolare.
Quando il piccolo insetto si avvicino al bancone dei bibliotecari la ragazza incrociò lo sguardo di una delle donne che lavorava all’Archiginnasio. La vedeva tutti i giorni ma non aveva mai fatto mai veramente caso a lei. Era piccola di statura, di si e no cinquant’anni, con i capelli di un biondo poco naturale tagliati a caschetto e dei bellissimi e luminosi occhi grigi.
Non appena i loro sguardi si incontrarono, la farfalla le passò estremamente vicino alla spalla destra, la donna per una frazione di secondo la guardò poi si voltò velocemente lasciando Teodora a chiedersi che cosa fosse successo.
Vedeva anche lei la farfalla rossa che ora le volava tanto vicina? Perché stava fissando proprio lei in mezzo alla cinquantina di studenti che si trovavano in quella sala?
Marta le sfiorò il braccio chiedendo la sua attenzione su quello che stava raccontando.
“Allora dici che dovrei chiamarlo io stasera? O devo tirarmela aspettando che sia lui a farlo?”
Teodora si volto verso di lei con l’intenzione di chiederle se anche lei si era accorta di quello che stava succedendo ma in quel momento vide che la farfalla era sparita.
Guardò ovunque tra i tavoli e sul soffitto ma non ne era rimasta traccia.
“Chiamalo tu, fino ad ora è stato lui a fare sempre il primo passo ora tocca te…”
Rispose distratta all’amica, tirando fuori dal suo repertorio la prima frase che le venne in mente. Marta annui soddisfatta
“Si mi sa che hai ragione… però non gli chiedo di uscire un'altra volta, gli dico solo che mi ha fatto piacere vederlo ieri…cioè non voglio mica che creda che sia cotta di lui no?”
Teodora annui, tentando di sembrare il più possibile interessata a quello che l’amica diceva, poi con addosso una strana sensazione di intorpidimento decise che forse era meglio tornarsene a casa.
Non sarebbe di certo riuscita a studiare nulla in quelle condizioni, chiuse il blocco degli appunti e “Storia dell’antico Egitto” di Grimal che teneva aperto davanti.
Salutò l’amica velocemente perché aveva voglia di uscire in fretta dalla biblioteca, non riuscendo a scrollarsi di dosso la strana sensazione che qualcuno la stesse osservando.
Recuperò le sue cose nell’armadietto all’entrata e si infilò di nuovo l’i-pod nelle orecchie, aveva bisogno dell’accompagnamento musicale giusto per il ritorno.
Il cielo era incredibilmente limpido e l’aria profumava leggermente di fiori, Teodora se ne stupì perché non c’erano ne parchi ne giardini nelle vicinanze, ma pensò che era un segno inconfutabile che stesse finalmente arrivando la primavera.
Aspirò a fondo e sorrise tentando di dimenticare l’ansia che le si era appiccicata addosso nelle ultime ore.
Con “Mr Brightside” dei The Killers a farle da sottofondo si diresse a passo spedito verso un piccolo supermercato del centro, lì vicino.
Sua zia le aveva chiesto di comprare altro latte prima di rientrare, ne prese due cartoni, aggiungendo al tutto un pacco di biscotti dietetici e una confezione di yogurt magri alla frutta.
Odiava essere sempre a dieta, ma era convinta di non poterne fare a meno.
Teodora viveva con sua zia Vittoria, che era la sorella gemella della sua mamma.
Abitavano in un grande appartamento vicino a Porta San Mamolo, al quarto piano di una palazzina costruita nei primi anni del ‘900.
La casa era molto fresca e luminosa, profumava di pulito e dava su un giardino interno,  dalle finestre che davano sulla strada, invece, si aveva la vista di un vecchio platano alto più di cinque metri.
Teodora adorava quell’albero: la luce verdastra che, filtrata dalle sue foglie, inondava la casa la faceva sentire come se abitasse in un bosco.
La ragazza salì le scale con lentezza, le girava un po’ la testa e si stava decisamente convincendo di covare un’influenza. Perfetto, proprio quello che le mancava.
Sua zia era al lavoro e sarebbe tornata per cena, aveva il resto del pomeriggio per se e non vedeva l’ora di mettersi in tuta ed infilarsi sotto le coperte.
Lasciò le converse beige all’ingresso, per certe cose sua zia aveva un ordine quasi orientale, e, prima di dirigersi verso la sua camera, fece tappa in cucina per fare merenda.
Mise il latte e gli yogurt in frigorifero poi i biscotti nello scaffale in alto a sinistra della credenza. Dopo un attimo di indecisione si convinse che quel giorno aveva decisamente bisogno di una dose extra di zucchero e che, per una volta, trasgredire non avrebbe fatto di certo grossi danni.
Afferrò un cucchiaio dal manico lilla ed uno dei budini al cioccolato e nocciola che sua zia mangiava ogni giorno a colazione. Dio benedica il cioccolato, pensò, uscendo soddisfatta dalla stanza.
Il corridoio era tappezzato di fotografie scattate nel corso degli anni, i cui soggetti però non erano mai cambiati: lei e sua zia al mare, lei e sua zia in vacanza in Messico, lei e sua zia a Disney World. Erano loro due in tutte le foto.
Vittoria era stata ed era ancora una donna estremamente bella: negli anni non aveva perso quella bellezza un po’ eterea, con i lineamenti che ricordavano una bambola di porcellana, che era stata il tratto distintivo anche di sua madre.
Da che Teodora aveva memoria sua zia aveva sempre tenuto i capelli corti, tingendoli di una tonalità più scura del loro colore naturale, non toglieva mai una fedina d’argento che i suoi genitori avevano regalato a lei e a sua sorella per la cresima e adorava vestirsi in maniera colorata e femminile.
Vittoria non si era mai sposata, molti anni prima aveva lasciato il fidanzato con cui stava fin dall’adolescenza ed inspiegabilmente non aveva amato più nessuno.
Aveva preso Teodora con se quando aveva quattro anni, lei che era una bambina triste che si svegliava urlando tutte le notti e non riusciva a mangiare, che parlava da sola e aveva paura di tutto, soprattutto del buio.
Francesco Giordani, il padre di Teodora, se ne era andato pochi mesi dopo la morte della moglie, uscendo per fare delle commissioni di lavoro aveva lasciato la bimba a Vittoria per il pomeriggio e poi non era più tornato.
Lo avevano cercato per giorni, ma lui non aveva mai risposto ne a casa ne al cellulare, infine, poco prima che si decidessero a chiamare la polizia aveva lasciato un messaggio nella segreteria della cognata dicendole che stava bene ma che non voleva più occuparsi di Teodora.
Quella bambina ere troppo simile a sua madre, troppo difficile da gestire: troppo, troppo aveva continuato a ripetere come in una cantilena e sua zia aveva capito che faceva sul serio e che non sarebbe tornato.
Non le avrebbe mai fatto mancare nulla, questo no, ma preferiva leccarsi le ferite da solo, come un animale malato e irresponsabile che si isola dagli altri per guarire, voleva costruirsi una nuova vita e ricominciare tutto da capo.
Ne Vittoria ne, soprattutto, Teodora glielo avevano mai perdonato.
Si chiuse la porta della sua camera alle spalle, respirò a pieni polmoni l’odore tanto familiare di vaniglia e lavanda delle candele profumate che accendeva ogni volta che era in casa e si senti finalmente tranquilla e rilassata.
Non si poteva certo dire che Teodora fosse una persona ordinata, provava a rimettere a posto ogni cosa dopo averla usata, come le ricordava sempre sua zia, ma la realtà era che il più delle volte se ne dimenticava.
Sopra la scrivania si ammucchiavano decine di romanzi che non trovavano più spazio sugli scaffali, mischiandosi disordinatamente con i libri dell’università, fogli da disegno, fotografie e ritagli di giornale.
Sul pavimento teneva da sempre un tappeto blu con ricami dalle mille sfumature, che ricordavano tanto le onde del mare, e dove da piccola giocava, facendo prima finta di essere una bellissima sirenetta poi un coraggioso pirata.
La parete di fianco al suo letto, ricoperto da una trapunta fiorita gialla e viola che lei adorava, era completamente tappezzata di fotografie del cielo, scattate nel corso degli anni, in tutti i posti in cui era stata.
I suoi cieli, come li chiamava, la rendevano automaticamente serena tutte le volte che li guardava, poteva immaginare quando voleva di essere in ognuno di quei luoghi e anche in quelli che ancora non aveva visitato: si sentiva libera e piena di una gioia irrazionale.
Accese lo stereo con il Cd dei Beatles di sua zia inserito, e, dopo essersi infilata la felpa più larga e comoda che potesse trovare, finì il la sua piccola trasgressione al cioccolato e si sdraiò sul letto coprendosi con il piumone.
Si distese su un fianco, tenendo un braccio sotto il cuscino e avvicinando le ginocchia al petto perché in nessun altra posizione sarebbe riuscita a dormire.
Hey Jude begin,You're waiting for someone to perform with“ cantava Paul McCartney e Teodora, cullata da quelle parole che trovava così dolci, pian piano si addormentò.
Sognò di nuovo sua madre, tramite uno dei pochi ricordi che aveva di lei.
Teodora avrà avuto si e no tre anni, poco prima che lei morisse, stava disegnando sul pavimento dell’ingresso, con i fogli e i pennarelli tutti sparsi su quel bellissimo tappeto con girasoli che avevano nella vecchia casa.
Sua mamma si asciugava i capelli nel bagno tenendoli rovesciati in avanti, lasciando che sfiorassero quasi il pavimento. L’aria calda del phon li faceva vorticare in una soffice onda di sfumature marroni, e, con la luce del sole che illuminava la casa dalla finestra aperta, sembravano quasi una fiamma scura.
Di scatto alzò la testa e la chioma le ricadde asciutta per tutta la schiena, come una strana pianta rampicante che le dava un aspetto magico, come da sirena.
Teodora era felice, e sapeva che mentre le si stava avvicinando lo era anche sua madre.
Le accarezzò la testa con una mano mentre con l’altra si appoggiava per sedersi vicino a lei sul tappeto. Pensò che era bellissima come probabilmente lei non sarebbe mai stata.
Nel momento in cui però, a gambe incrociate, Teodora se al trovò di fronte si accorse con orrore che il suo vestito si stava lentamente macchiando di rosso, come se qualcuno gli avesse rovesciato addosso un secchio di vernice.
Le vide i polsi e la gola, completamente squarciati, da cui sgorgavano litri di sangue scuro, i tagli erano a forma di mezzelune, e sembravano tre piccoli e grotteschi sorrisi. Urlò, e la voce gracchiante e ovattata che le venne fuori, non era quella di una bambina ma quella di un adulta.
Teodora si alzò a sedere di scatto, con l’urlo che le moriva in gola un'altra volta, come in tutte le altre occasioni in cui aveva fatto lo stesso sogno.
Si sentiva ancora sporca del sangue della madre che dal corpo martoriato le era sgorgato addosso. Si diresse d’istinto verso lo specchio nascosto in una delle ante dell’armadio.
Il sogno era stato solo un sogno, ma nel suo corpo c’era decisamente qualcosa che non andava. Come se stesse per venirle l’influenza le facevano male tutte le articolazioni, era pallida e profonde occhiaia violacee le segnavano il viso.
No, non stava affatto bene.
Teodora ripensò alla madre e si chiese perché facesse in continuazione quel sogno orrendo. D’altronde, come le avevano raccontato suo padre e sua zia, lei era morta di cancro in ospedale.
Si ricordava bene il tappeto con i girasoli che avevano nella casa dove vivevano quando era piccola, come allo stesso modo era impressa nella sua memoria la luce tutta particolare che entrava dalle finestre, di una strana sfumatura rosata perché filtrata dalle tende preferite della sua mamma.
La ragazza si domandò perché la sua testa le facesse vedere quella scena mai accaduta con tanta insistenza.
Era come se aggiungesse ad uno sfondo reale particolari ed avvenimenti del tutto inventati. Forse stava diventando pazza. Fantastico.
Specchiandosi si rese conto di quanto quell’immagine riflessa fosse lontana da come avrebbe desiderato essere. Teodora non si era mai piaciuta.
Aveva smesso di crescere in terza media ed ora raggiungeva a fatica il metro e sessanta.
Non era tanto snella e tantomeno slanciata ed era come se il suo corpo avesse deciso di non maturare di pari passo con la sua testa.
Truccarsi non le serviva più di tanto, per questo motivo aveva lasciato perdere anni prima il tentativo di assomigliare alle sue coetanee.
Preferiva rimanere un po’ anonima anche nel modo di vestire, perché non gli era mai piaciuto attirare l’attenzione degli altri su di se, odiava sentirsi osservata.
Marta era il suo esatto opposto sia fisicamente che caratterialmente.
Teodora, profondamente cosciente di non avere lo stesso successo con gli altri e la capacità di relazionarsi con loro dell’amica spesso desiderava essere come lei.
Fu riportata alla realtà dal suono delle chiavi di sua zia che aprivano la porta d’ingresso.
Vittoria era tornata dal lavoro e lei fu attirata in cucina dall’odore delle pizze che aveva portato. La ragazza si rese conto che aveva dormito molto più a lungo di quello che credeva, fuori era buio pesto ed era già ora di cena.
“Ciao tesoro” la salutò la zia dandole un bacio sulla fronte “Sei calda, hai la febbre?”
Teodora si strinse nelle spalle mentre prendeva le posate dalla credenza per apparecchiare la tavola.
“No non credo, mi sento solo un po’ strana perché ho dormito tutto il pomeriggio”
Vittoria strinse gli occhi in quell’espressione di cui Teodora conosceva ogni segreto (mi devo preoccupare? Mi sto già preoccupando!)  e di cui preferiva evitare ogni conseguenza.
“Tranquilla tata, ero solo stanca perché la notte scorsa non ho dormito bene, tutto qui, sto benissimo” continuo lei sorridendo e la zia sembrò rasserenarsi un pochino.
In quei giorni la donna si comportava in maniera insolita, era sempre nervosa e taciturna, quando di solito era la persona più vivace e solare che si potesse immaginare.
Teodora le aveva già chiesto spiegazioni più volte ma lei aveva sempre negato, giustificandosi dicendo che lavorava troppo e che avrebbe dovuto prendersi una vacanza.
Mangiarono la pizza in silenzio, la zia era persa in chissà quali pensieri, Teodora invece, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di malessere che le aveva lasciato il sogno di quel pomeriggio. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma la morte di sua madre era un tabù in casa loro, e non si tirava mai fuori l’argomento.
Dopo quello che era successo, Vittoria aveva tagliato i lunghi capelli castani, che da sempre teneva come quelli della sorella, e ne aveva cambiato il colore.
Aveva tolto tutte le foto che la ritraevano con la gemella, lasciandone solo una che teneva sul comodino della sua camera da letto, in una spessa cornice d’argento, vicino ad una più piccola di Teodora bambina con in testa un lenzuolo, nel periodo in cui diceva a tutti che sarebbe diventata un profeta.
Sua madre e sua zia adolescenti, già bellissime nei loro quindici anni, si tenevano per mano sedute su un’altalena, coi capelli che a tutte e due cascavano lunghissimi sulla schiena.
Teodora guardava qualcosa che non era stato catturato nell’inquadratura insieme a loro, che probabilmente l’aveva distratta qualche secondo prima dello scatto, Vittoria, invece, sorrideva dolcemente alla sorella, dandole tutta la sua attenzione.
Quando era bambina Teodora prendeva di nascosto quella foto e, sdraiata sotto il lettone della zia, la guardava per ore, chiedendosi che cosa sua madre stesse pensando, che cosa stesse guardando, quali fossero stati i suoi desideri in quel preciso momento.
Mai una volta aveva confuso Vittoria e Teodora, aveva sempre saputo quale fosse sua madre, che aveva qualcosa di diverso dalla gemella e, anche se non avrebbe saputo spiegare che cosa, la rendeva speciale.
Anche una parte di sua zia doveva essere scomparsa quel giorno, quella che aveva condiviso fino a quel momento con sua sorella e che ora era stata seppellita chissà dove per essere dimenticata.
A volte pensava che era stata una fortuna che sua madre fosse morta quando lei era ancora così piccola. Se fosse successo dopo avrebbe avuto il tempo di innamorarsene tanto quanto avevano fatto tutti quelli che l’avevano conosciuta. Il cuore le si sarebbe così spezzato a metà come quello della tata e di suo padre: il suo era solo stato trafitto da tanti spilloni, come una piccola bambola vodoo, e chissà magari non avrebbe mai più funzionato bene.
Si era nascosta sotto al letto di sua zia per anni, tutte le volte che era in casa da sola, e ogni tanto lo faceva ancora. Si portava dietro una torcia elettrica e leggeva un libro, altre volte scribacchiava poesie sul legno delle assi o su foglietti che poi perdeva in giro per casa.
 
Lei era il sole, e non esisteva la paura.
Poi è morta, e tutti hanno cominciato ad affogare.
Io mi sono tuffata, ma non sono affondata come loro.
Per me è impossibile, perché non ho mai imparato a respirare.
 
Vittoria si alzò e cominciò a sparecchiare la tavola, poi si fermò, con i piatti in mano, dando le spalle a Teodora.
“Mi ha chiamato tuo padre questa mattina”
A Teodora si strinse lo stomaco improvvisamente
“Che cosa voleva?”
“Mi ha chiesto se stavi bene e se avevi bisogno di qualcosa”
“Non abbiamo bisogno di altri soldi!”
Rispose di scatto Teodora, senza regolare il suo tono di voce tanto da far sembrare quello che diceva quasi un urlo.
“Non arrabbiarti, vuole solo rendersi utile immagino”
Teodora senti una rabbia dolorosa montargli dentro al corpo.
“Si renderebbe più utile chiamando me e parlando con me, anche se non è ne natale ne Pasqua!”
Vittoria non rispose e cominciò a lavare i piatti nervosamente
“ lo vedi che non gliene frega assolutamente nulla di me? L’ho sentito tre volte in tre mesi e solo per chiedermi se avevo bisogno di soldi!”
La zia non riusciva a controbattere e si limitava a stringere convulsamente le stoviglie sporche di detersivo. Questo non fece altro che innervosire ulteriormente Teodora, che irrazionalmente, percepiva la cosa come se lei lo stesse giustificando.
“Puoi dire qualcosa per favore?“ gridò esasperata la ragazza  “che non sia “poverino vuole rendersi utile”.”
L’altra si girò di scatto bagnando il pavimento con gocce di acqua insaponata.
“non sto affatto dicendo che faccia bene! Sai benissimo che cosa io pensi di lui e del fatto che se ne sia andato, semplicemente non possiamo andare avanti così ad insultarlo! E’ fatto così, non aspettarti niente da lui!”
Teodora si senti invadere da una tristezza disarmante, non sapeva cosa rispondere e due grosse lacrime le scivolarono silenziose lungo le guance.
Abbassando il viso verso il pavimento queste precipitarono e le bagnarono le dita dei piedi scalzi. Serrò i pugni che cominciarono a tremare per la rabbia che le esplodeva dentro.
Senza guardare sua zia in viso non riuscì a trattenersi da urlare ancora:
“Non me ne frega niente se è fatto così! Mi fa schifo e lo detesto! La prossima volta che ti chiama digli che mi sono buttata da un ponte, così che smetta di telefonarmi e si metta il cuore in pace!”
Vittoria apri la bocca come se volesse controbattere ma non le uscirono le parole, il lampadario e le sedie nella stanza cominciarono a tremare rumorosamente.
Teodora senza accorgersi di nulla era corsa in camera sua chiudendo con forza la porta, lasciando sua zia in cucina, dove tutto si muoveva e sbatteva senza una ragione.
Un piatto che ancora era rimasto sul tavolo si frantumò sul pavimento macchiandolo dei resti della pizza che avevano mangiato, tre bicchieri caddero dagli scaffali più in alto della credenza, tutte le ante e gli sportelli si aprivano e si chiudevano ritmicamente.
Dopo qualche minuto i mobili animati da chissà quale strana forza si fermarono, e la donna si accasciò letteralmente sulla sedia a lei più vicina.
Si strinse le tempie con mani ed emise un lungo sospiro.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.
 
Le due amiche camminavano tranquille per Via Indipendenza, Marta voleva un nuovo paio di jeans e Teodora guardava distrattamente le vetrine senza un idea chiara di cosa comprare.
Teodora si era fatta convincere che aveva assolutamente bisogno di qualcosa di nuovo nel suo guardaroba, e che se si sentiva tanto giù di morale in quel periodo fare shopping avrebbe di certo aiutato.
La ragazza dubitava caldamente che comprare vestiti avrebbe migliorato la situazione, si sarebbe solo vista goffa e grassa con un vestito che non le stava bene, nello specchio di un negozio invece che in quello di casa sua.
Non si era levata di dosso il malumore dal litigio con la zia del giorno prima, provava a non pensarci ed era sicura che uscire con Marta per lo meno l’avrebbe distratta.
“Ieri ha chiamato mio padre …” sospirò Teodora con tono rassegnato “ed io e la tata abbiamo finito per litigare”
Marta la guardò sollevando un sopracciglio e contraendo un po’ le labbra. A Marta non piaceva per niente il padre di Teodora e, pur non avendolo mai visto, provava per lui il risentimento genuino di chi odia veder soffrire periodicamente la propria migliore amica.
“Che cosa voleva?”
Teodora si strinse nelle spalle.
“A dire il vero io non ci ho parlato, ha chiamato mia zia per chiederle come stavo e se avevo bisogno di soldi. Come se io non avessi un cellulare…”
“tesoro mi dispiace, ma dovresti aspettartelo, non è la prima volta…”
Marta non si preoccupava di risultare dura con l’amica, il loro rapporto era talmente forte da poter essere totalmente oneste l’una con l’altra.
“Già, è la stessa cosa che ha detto mia zia …”
Il viso della ragazza si rabbuiò di colpo, Marta se ne rese conto e con un braccio le strinse la vita e le diede un rumoroso bacio sulla guancia.
“Dai lascia stare, è la cosa più normale del mondo che tu sia arrabbiata, devi solo imparare a farti scivolare le cose addosso,,,”
Teo sospirò sconsolata .
“ Lo so, ma è difficile, tutte le volte che chiama mi sento male per giorni, sono così arrabbiata con lui…”
“Appunto per questo dovresti far finta di niente, chi se ne importa se è uno stronzo!”         
Si strinse nelle spalle senza perdere però l’aria seria che aveva negli occhi.
“Fidati Teddi, è solo una persona, che sia tuo padre non fa differenza …”
Marta era l’unica che ancora la chiamava in quel modo, ricordava che un tempo l’avevano fatto sua madre e anche sua zia, l’amica però non lo sapeva e a Teodora non dispiaceva sentirglielo dire. Quella parola le dava sempre una bella sensazione.
“Dai andiamo da Zara, ho assolutamente bisogno di qualcosa di nuovo!”
Teodora sorrise e si perse con l’amica nei pois della collezione primavera-estate, decisamente deliziosi.
Il caldo del locale faceva contrasto con l'aria pungente della strada, ma dopo poco era piacevole potersi togliere il cappotto.
Il negozio era pieno di persone, soprattutto giovani donne, qualche coppietta, ma per lo più tante ragazze con le proprie madri.
Teo faceva spesso compere con sua zia oltre che con Marta e con le altre loro amiche, e, senza una ragione, in quel momento si chiese se farlo con sua madre sarebbe stato diverso. Come si sarebbe sentita se fosse stata lei ad accompagnarla e a darle consigli? Si sentì a disagio e le venne voglia di tornarsene a casa.
“Tesoro, andiamo al secondo piano che qui ci sono solo vestiti da quarantenne?"
Marta si mise in testa che voleva farla felice ed una cosa in cui era davvero brava era scegliere vestiti, afferrò due paia di jeans, tre gonne e due top, convinta che avrebbe finalmente trovato qualcosa che all’amica  sarebbe stato alla perfezione.
Teo temeva che l’altra l’avrebbe costretta come tutte le volte a sfilare per lei, imitando le movenze delle modelle professioniste, o “grucce con le gambe” come amava definirle.
Quella di solito era la parte migliore e divertente delle loro incursioni di shopping pomeridiano, quel giorno però non si sentiva tanto in vena di divertirsi.
Si stava dirigendo verso i camerini quando una piccola scintilla rossa riflessa su uno specchio alla sua destra attirò la sua attenzione.
Si voltò istintivamente e vide che a venti centimetri dalla testa di una ragazza che teneva in mano un paio di jeans color melanzana, svolazzava una piccola farfalla rosso fuoco, uguale a quella che aveva già visto in Archiginnasio il giorno prima.
La donna parlava in maniera concitata al cellulare e sembrava non essersi accorta dell'animale, che invece pareva seguirla in ogni suo movimento.
“Lo so che cosa ha detto! Ma no credo proprio che la situazione cambi a starcene rintanate in casa, dobbiamo fare qualcosa!”
Teodora la guardava incantata, il suo modo di camminare e di muoversi pareva quello di una ballerina classica su un palcoscenico che solo lei poteva vedere.
Le sue gambe erano lunghe e slanciate, il viso, incorniciato da capelli corti di un rosso acceso, era incredibilmente armonioso, dai tratti proporzionati e perfetti.
“dille che non mi importa… non ho voglia di discutere. Questa volta non ho intenzione di cedere a compromessi” diceva lei al telefono, regolando il tono della voce in modo che le persone che aveva intorno non sentissero.
La farfalla intanto non si allontanava da lei, e le era talmente vicina da confondersi a tratti con il colore dei suoi capelli: nel momento i cui le volò vicino all’orecchio destro la ragazza si girò e increspando le labbra la soffiò via.
Teodora era sbalordita. Non era l’unica a vederla, almeno non stava impazzendo.
I loro sguardi si incrociarono. La donna strinse gli occhi, aggrottò le sopracciglia e la guardò per qualche secondo. Tutt’attorno il mondo rallentò il suo corso e le voci divennero ovattate.
La ragazza si voltò di scatto, posò i jeans sullo scaffale più vicino e scese le scale di corsa scomparendo dalla sua vista.
Teodora si avvicinò alla rampa e guardò giù, ma lei era già sparita. Rimase li, col le mani appoggiate alla balaustra, per quasi un minuto. Poi si sentì tirare il braccio con forza.
“Allora vuoi collaborare? O devo fare tutta la fatica da sola?”
La sgridò Marta con tono scherzosamente irritato.
“Scusa... solo mi era parso di vedere qualcuno che conoscevo..”
“Chi? Qualcuno che era a scuola con noi?” anche Marta si sporse guardando verso il piano di sotto
“No, solo un amica di mia zia, nessuno di importante”                                                                             si inventò lei, poi, sorridendo, prese parte della montagna di vestiti che l’amica aveva scelto per lei
“Allora? Che cosa mi hai preso?”
“Beh ho pensato che hai pochissima roba da metterti quando usciamo la sera, quindi questi due vestitini mi sembrano adattissimi, questi jeans invece li metti con questo paio di tacchi”
Rispose lei mostrandole tutta orgogliosa un paio di scarpe col tacco nere, forse un pò troppo alte per Teodora, ma che secondo lei erano comode da indossare per via della zeppa. Teodora non ne era affatto convinta ma decise di non controbattere.
“poi ti ho preso questi due top, quello bordeaux secondo me sta benissimo col colore dei tuoi capelli e questo a fiori e carinissimo, vero?”
Teo guardò sopraffatta la montagna di vestiti che avrebbe dovuto provarsi, ma poi pensò che effettivamente aveva bisogno di qualcosa per le loro serate fuori e, armandosi di coraggio, si diresse con l’amica verso i camerini.
Dopo dieci minuti di tentativi falliti, i Jeans erano troppo lunghi e il primo dei vestiti le stava larghissimo all’altezza del seno, Teo si fermò a guardarsi nello specchio confusa.
Il secondo vestito, viola prugna con i brodi in pizzo crema, le stava benissimo.
Non sapeva se fosse per la luce dei camerini o per lo specchio che magari smagriva un po’, i titolari dei negozi ne mettevano spesso aveva sentito dire, ma si vide davvero bella.
Le sembrò di essere più magra del solito, i capelli più gonfi e luminosi, le labbra più grandi e dalla forma più definita.
Marta apri la tenda velocemente
“Allora? Questo come ti sta?” poi sorrise, leggermente stupita.
“E’ perfetto! Dio mio ti fa magrissima! Il colore poi è stupendo”
Teo si osservava interdetta, c’era davvero qualcosa di strano ma non capiva cosa.
Sospirò e decise che a caval donato non si guarda in bocca.
Quel pomeriggio i suoi risparmi subirono una repentina battuta d’arresto, perché sull’onda della sensazione che le aveva dato sentirsi così bella in quel vestito lo comprò, insieme ai due top, quello a fiori era sul serio adorabile, e alle scarpe col tacco.
 
Teodora parcheggiò la vespa verde mela all’inizio di via Zamboni, si tolse il casco e chiamò Marta.
Si erano messe d’accordo per incontrarsi alle panchine vicino alle torri, quelle di fianco alla libreria.
“Ehi dove sei? Pensavo di essere io quella in ritardo” esordì.
“Scusa! Non ti incazzare, ero con Alex e ho perso la cognizione del tempo, sarò li fra esattamente sette minuti, recupero le chiavi della macchina e arrivo”
Teodora sorrise della strana abitudine dell’amica di dare orari così peculiarmente precisi, dieci minuti sembrano troppi, cinque troppo pochi, quindi lei pensava fosse meglio arrotondare.
“Tranquilla, intanto scelgo un posto e ti mando un messaggio per dirti dove sono.”
Rispose, sicura per esperienza che i sette minuti probabilmente sarebbero stati ventisette, ottimisticamente parlando.
“Ok perfetto, io parcheggio in piazza Aldrovandi, tu la susy l’hai lasciata alle torri?”
Susy era il nome della vespa, compagna fedele della sua adolescenza.
“Si, poi al massimo al ritorno mi ci riaccompagni in macchina?”
“Certo figurati, ora, trovo le chiavi, recupero la borsa, mi sistemo il trucco e sono da te ok? Sette minuti esatti!”
Marta riattaccò e Teodora si avviò per via Zamboni. Indossava il top a fiori che aveva comprato quel pomeriggio, stretto sotto il seno e leggermente trasparente scendeva lungo e leggero, si sentiva carina ed era contenta.
Marta aveva categoricamente deciso che l’avrebbe portata fuori e che, terminando l’opera cominciata quel pomeriggio, l’avrebbe fatta divertire, e se questo significava farla ubriacare fino a star male, beh lei di certo non glielo avrebbe impedito.
Teodora scese per via Zamboni e poi svoltò a sinistra in via Marsala, faceva freddo e camminava veloce per scaldarsi. Le piaceva quella via, era tranquilla e c’erano vari locali molto frequentati.
Entrò in un pub dove lei e le sue amiche andavano spesso, il Green Lion, entrò e, felice per il radicale cambio di temperatura, si diresse direttamente al bancone e si sedette su uno degli alti sgabelli che vi si trovavano difronte. Cercò il cellulare nella borsa nera che aveva appoggiato su uno sgabello vicino, per tenerlo occupato per Marta, e le scrisse un messaggio dicendole dove si trovava.                                                                                                                                  
Dopo qualche minuto in cui giocherellò distrattamente con il telefono, Teodora cominciò a sentire una strana sensazione, come se qualcuno la stesse osservando. A disagio cominciò a intrecciarsi tra le dita una ciocca di capelli che era sfuggita all'elastico.
I capelli erano l'unica cosa che realmente le piacevano del suo aspetto fisico: tanto lunghi da coprirle quasi tutta la schiena e molto folti, sembrava che un pittore si fosse divertito a usare tutte le tonalità di marrone che aveva per colorarli.
Erano i capelli di sua madre ed era forse anche per questo che le piacevano tanto.
Teodora si guardò attorno per assicurarsi che fosse solo una sua fantasia.
Notò che il pub era più affollato di quanto non le fosse parso entrando; un gruppo di uomini sulla trentina ridevano e commentavano rumorosamente una partita di calcio in TV, mentre il tavolo alla loro destra era occupato da tre coppie di anziani signori che giocavano a carte.
Sul divanetto in fondo alla sala rettangolare una coppia di liceali si scambiava baci sulle labbra e le guance, la maggior parte delle persone però si accalcava al bancone per ordinare da bere.
Un grande specchio poggiato alle spalle del barista rifletteva ogni suo movimento, l’uomo, nonostante la corporatura tozza e sgraziata, serviva i clienti in maniera rapida ed efficace.
Teodora stava controllando per la terza volta il cellulare, chiedendosi come mai Marta ci stesse mettendo tanto, quando non poté fare a meno di notare l'immagine di un uomo riflesso nello specchio.
Era un ragazzo seduto da solo al tavolo più vicino all'uscita, il suo viso era in parte in ombra in parte illuminato dalla luce del televisore.
La cosa che più la impressionò furono i suoi occhi, talmente neri da non distinguere l'iride dalla pupilla, e per un momento Teodora sentì una strana stretta allo stomaco.
Una massa di capelli ondulati color castano scuro incorniciava un viso dai lineamenti forti e maschili. La sua pelle era estremamente chiara, forse a causa della luce azzurrognola del televisore, pensò lei.
Le labbra erano sottili e ben definite, le sopracciglia nere e folte gli davano un’aria molto latina, e il naso, non perfetto come il resto del viso, rendeva il suo volto ancor più affascinante.
Era giovane, ma non nello stesso modo in cui lo era lei, Teodora valutò che avesse tra i trenta e i trentacinque anni, era un uomo e guardarlo le dava una strana sensazione.
La ragazza realizzò da subito che non aveva mai visto nulla che la attraesse così tanto.
L’atmosfera intorno a lei era calda e in qualche modo rilassante, Teodora si accoccolò tranquilla sulla sedia e ordinò un bicchiere di vino rosso.
Si chiese se lui stesse aspettando la fidanzata o se invece solo un amico, senza saperne la ragione però, scopri che la prima alternativa le lasciava una strana e pungente sensazione alla bocca dello stomaco.
Teneva davanti a se un bicchiere di birra che non aveva ancora cominciato, la schiuma si era già consumata ma lui non sembrava decidersi a berla.
Aveva le mani grandi e le dita molto lunghe, senza volerlo Teodora si guardo le sue, proporzionate si, ma davvero troppo piccole, poco più grandi di quelle di un bambino.
Ad interrompere lo stato di torpore nel quale si trovava furono due ragazzi: entrambi abbastanza bassi e tarchiati, portavano i capelli corti e un ghigno beffardo sul viso.
Si avvicinarono a lei e cominciarono a fare apprezzamenti poco garbati a bassa voce, per evitare che chi si trovava al bancone potesse sentire; dall'accento si capiva che i due non erano di Bologna.
Teodora non sapeva bene cosa rispondere ai due che continuavano ad importunarla, chiedendole cosa ci faceva tutta sola e se potevano offrirle qualcosa da bere.
Non era mai stata brava a gestire situazioni del genere, e l'unica cosa che poté fare fu quella di abbassare gli occhi verso le sue mani che poggiavano sul bancone e, senza dire una parola, voltarsi dall'altra parte, maledicendo Marta che tardava tanto a chiamare.
I due ragazzi sembravano invece molto divertiti dall'imbarazzo di Teodora, fecero qualche battuta che lei non riuscì a capire e poi uno dei due le girò attorno, piantandosi proprio davanti a lei.
Da quella distanza poteva sentire l'odore eccessivo di alcool che emanavano, che si intensificava ogni volta che parlavano o ridevano.
Teodora iniziava a preoccuparsi seriamente, quando quello che si era mosso poggiò la mano sulla sua, avvicinò il viso e disse: "Eddai, non fare la difficile e vieni a sederti con noi!"
Non poteva credere a quello che stava succedendo, si sentì le guance diventare bollenti cercando però in tutti i modi di tenerlo nascosto; sempre con lo sguardo basso si alzò velocemente dalla sedia, recuperò le sue cose e si diresse a passo spedito verso l'uscita, sentendo i due che continuavano a ridere dietro di lei.
Passando davanti al tavolo dove sapeva che era seduto il ragazzo dagli occhi neri, vi lanciò uno sguardo rapido, scoprendo però che lui non c'era più e che probabilmente era andato via in quei cinque minuti.
Fuori dal locale l'aria era fredda e pungente, piccole nuvolette di vapore bianco le si formavano ritmicamente davanti alle labbra. Teodora sentiva che il cuore le batteva forte in petto, si appoggiò con la schiena a una colonna e fece due respiri profondi che la tranquillizzarono.
L'unica cosa che voleva adesso era trovare Marta, cambiare locale e recuperare la serata.
Stava cercando il cellulare nella borsa, quando sentì alle sue spalle la porta del locale che si apriva; istintivamente si voltò e vide i due ragazzi di prima che uscivano e la cercavano con lo sguardo.
Birra in mano, si avvicinarono a lei a passo spedito, adesso non sorridevano più, ma sembravano quasi arrabbiati, uno dei due le strinse il braccio tanto da farle male.
Teodora notò con terrore che la strada intorno a loro era stranamente deserta, non riusciva a prendere il telefono perché lui le impediva di muoversi e in quel momento fu presa definitivamente dal panico.
Lui, che sapeva quello che passava per la mente di lei, la guardò dritta negli occhi già lucidi e sussurrò: "Sfortunatamente per te non c’è nessuno, quindi è inutile che ti opponi. Perché non vieni via con noi? Vedrai che ci divertiamo."
A quelle parole le si strinse lo stomaco e le venne la nausea, avrebbe voluto urlare, ma era come se la paura le fermasse tutte le parole in gola. Cominciò a tremare come una foglia.
Si girò di scatto e iniziò a strattonare con tutte le sue forze il braccio che il ragazzo le teneva bloccato, puntò i piedi a terra e si sbilanciò in avanti in modo da liberarsi dalla sua presa.
Un urlo strozzato dietro di loro congelò i movimenti dei due.
Quasi contemporaneamente sentirono il rumore ovattato di qualcosa che veniva sbattuto contro una parete e poi cadeva rovinosamente a terra.
Teodora e il ragazzo si voltarono mentre lui la teneva ancora immobilizzata, il suo amico si
rotolava a terra stringendosi il naso con le mani, dalle fessure tra le dita colava sangue scuro. Sopra di lui, in piedi, immobile, c'era il ragazzo dagli occhi neri: teneva i pugni chiusi e le gambe leggermente divaricate.
Lentamente si girò verso Teodora, lo sguardo fisso sulla mano dell’altro uomo sempre ferma sul suo braccio. Dai suoi occhi traspariva una forza spaventosa ed il silenzio irreale era interrotto solo dai lamenti del ferito. Teodora si accorse che sorrideva, come se fosse estremamente divertito da quello che stava succedendo.
Quello dei due che stringeva Teodora la liberò all’improvviso, corse verso il compagno a terra e lo rimise in piedi a fatica.
“Che cazzo fai stronzo?!”
Il ragazzo sorrideva con gli occhi sgranati, più del normale “Vattene”
C’era una tale convinzione nella sua voce e il tono era talmente perentorio che i due, senza mai dargli le spalle, cominciarono ad indietreggiare.
“Io ti denuncio pezzo di merda!” gli urlò quello che era stato colpito ma, nonostante la minaccia, il ragazzo non si scompose e non cambiò espressione.
“Levatevi dai piedi” continuò, e poi, con un movimento talmente rapido che Teodora fece fatica a seguire, afferrò il bavero del ragazzo che prima la teneva ferma.
“Vi conviene andarvene, o mi divertirò a farvi male.”
Mentre lo diceva continuava a sorridere, e Teodora senti un brivido salirle inaspettato lungo la schiena.
La ragazza si ritrovò a pensare, dimenticandosi per qualche istante della situazione in cui si trovava, che non somigliava né a un uomo né ad un ragazzo.
Tutto di lui, dalla posizione del corpo allo sguardo, era inquietante. Senza sapere perché ricordò la definizione di “sublime” che la sua insegnante di arte del liceo le aveva dato: qualcosa di spaventoso e meraviglioso insieme.
I due, evidentemente presi dal panico, senza farselo ripetere un'altra volta girarono i tacchi e fuggirono nella direzione opposta a quella del pub, verso Via Indipendeza.
Teodora, mentre ancora si riprendeva dallo shock, con una parte della sua testa che si stava lentamente rendendo conto che forse aveva rischiato lo stupro, si ritrovò a di fissare senza parole colui che l’aveva appena salvata.
Prima nel locale non aveva notato quanto fosse alto, forse più di un metro e novanta,
la sua pelle era talmente chiara che dava vita ad un curioso contrasto con il nero profondo dei suoi occhi. Non indossava la giacca ma non sembrava soffrire il freddo in quella sera di fine marzo, in cui le temperature erano ancora troppo basse.
“Grazie” balbettò con voce roca, provando a nascondere le sue mani che non la smettevano di tremare.
Lui finalmente si girò verso di lei e per qualche secondo la squadrò da capo a piedi con una strana espressione sul viso. Le sopracciglia aggrottate e le labbra contratte lo facevano sembrare stranamente nervoso. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, il suo viso si rilassò e lui le rispose con una voce profonda ma estremamente fredda.
“Di niente”
Teodora cominciava a sentirsi a disagio, voleva ringraziarlo di più per quello che aveva fatto ma non sapeva come comportarsi.
“Se non fossi arrivato tu no so che cosa sarebbe successo, grazie davvero…”
“La prossima volta vedi di non cacciarti in una situazione del genere”
Rispose lui tagliente, poi sorrise un’altra volta nella maniera strana di poco prima e si passò una mano tra i capelli che gli coprivano la fronte. Si voltò e se ne andò senza dire altro, nella stessa direzione che avevano preso gli altri due.
Lei fissò l’angolo dove lui era scomparso per quasi un minuto, con la mente completamente svuotata e senza capire del tutto quello che le era appena successo.
Decise di ritornare al locale dove presumibilmente Marta sarebbe arrivata a minuti, voleva raccontarle tutto, sfogarsi, forse piangere e soprattutto farsi portare a casa. Le avrebbe chiesto di rimanere da lei a dormire e si sarebbe dimenticata il prima possibile di quella brutta avventura. Mentre si ripeteva che tutto sarebbe andato bene e che in fin dei conti non era successo nulla di grave, si rese conto di qualcosa che prima non aveva notato. Una lunga strisciata di sangue luccicava ancora fresca sulla parete, alla luce del lampione, e Teo rivide nella sua mente il ragazzo che veniva colpito ed urlava di dolore.
Marta la trovò dopo poco, chinata dietro ad una colonna mentre vomitava la sua cena e calde lacrime le segnavano le guance.
 
Qualche ora dopo Teodora si alzò senza far rumore, Marta dormiva tranquilla alla sua sinistra e lei non voleva svegliarla. Le aveva raccontato che cosa le era successo quella sera e lei aveva insistito per fermarsi a dormire, senza che lei glielo chiedesse.
Si infilò la felpa azzurra di Paul Frank che l’amica le aveva regalato l’estate precedente, per il suo compleanno, e si avvicinò alla finestra.
Non c’erano più nuvole e le stelle brillavano vivaci, nel cielo sgombro di quei primi giorni di
primavera. Teo respirò a fondo e sentì i polmoni riempirsi dell’acre odore di smog della via inquinata e pensò che, per quanto potesse amare vivere in città, in quel momento avrebbe preferito di gran lunga trovarsi in aperta campagna.
Il gatto grigio era li anche quella notte, tranquillamente acciambellato su uno dei rami più alti dell’albero di fronte al suo balcone.
I due si guardarono per alcuni secondi, poi lui miagolò, inarcò la schiena e si stirò, affondando le unghie nel legno dell’albero. Con un piccolo balzo, saltò su un ramo più in basso, poi su un altro ancora, fino a che non si ritrovò in strada e corse via.
Teodora si chiese che cosa avesse fatto di male per meritarsi tutte quelle stranezze in una volta sola. Sbuffò e decise che per quel giorno ne aveva avuto davvero abbastanza, si girò e tornò a letto. Si tirò le coperte fin sopra la testa e si strinse il più possibile a Marta, che russava leggermente.
Ripensò al ragazzo che l’aveva aiutata, al suo viso e a come stranamente non sembrasse soffrire il freddo, dato che quella sera non c’erano nemmeno dieci gradi e lui indossava solo una t-shirt.
Teodora si chiese perché quando lei aveva provato a ringraziarlo avesse reagito in maniera così scostante, quasi come se fosse arrabbiato con lei che si era cacciata in quella situazione.
Le tornarono in mente i suoi occhi, di un colore così scuro e profondo che non aveva mai visto su nessuno.
Qualcosa nella stanza si mosse.
Un rumore leggero, ritmico, si faceva sempre più nitido da dietro la sua scrivania.
Teodora si sentì sprofondare nel materasso del letto mentre il cuore le batteva rumorosamente in gola, come se nessuna parte del suo corpo potesse più muoversi e tutto fosse focalizzato su quello che stava succedendo nella sua camera.
Qualcuno o qualcosa stava spostando la sua sedia di plastica bianca, quella con le ruote.
Teo si rese chiaramente conto che si stava avvicinando, e che ormai si trovava di fronte al letto, dalla parte in cui dormiva lei.
Quasi involontariamente smise di respirare, concentrò tutta la sua attenzione su quello che si muoveva al di là del piumone, intorno a lei.
Teodora si accorse con estremo terrore che qualcuno, che con certezza non era Marta, emetteva lunghi e irregolari respiri che somigliavano a rantoli dolorosi.
Il corpo della ragazza si mosse quasi senza il suo controllo, e con un coraggio che non avrebbe mai creduto di avere si tolse di scatto le coperte da davanti al viso.
Un ombra dalle fattezze umane sedeva sulla sua poltroncina, Teo non riusciva a distinguerne il viso e non capiva se fosse maschio o femmina.
D’istinto cercò Marta con la mano, senza però voltarsi e dare le spalle a qualunque cosa le si fosse seduta vicino. Provò a svegliarla strattonandole il braccio ma l’amica non si muoveva e Teodora decise allora di accendere la lampada, non troppo sicura di voler scoprire chi aveva davanti ma con il bisogno di porre fine a quella situazione da incubo.
Spinse l’interruttore dell’abat-jour che teneva sul comodino e una debole luce arancione si diffuse per tutta la stanza.
Sua madre la guardava con un espressione serena negli occhi.
Seduta con le gambe leggermente divaricate, aveva lasciato cadere le braccia ai lati della poltroncina come se non avesse le forze per muoverli.
Indossava quella che probabilmente era stata una camicia da notte bianca che, ora, oltre ad essere strappata in molti punti, aveva preso uno strano colore rosato.
Dal collo e le spalle fino alla scollatura del vestito la donna era talmente ricoperta dal suo sangue che la figlia a fatica riuscì a capire che questo sgorgava dal taglio profondo che aveva sulla gola.
Dai polsi ne gocciolava piano dell’altro, cadendo ovattato sul tappeto cobalto, dove veniva lentamente assorbito.
La ragazza senti un aspro sapore di vomito in bocca, la paura le impediva qualsiasi tipo di reazione e movimento.
“Mi sei mancata” disse l’altra Teodora “sono felice che tu finalmente mi veda.”
Alzò la mano destra con lentezza e le accarezzò la guancia. Teodora si senti sporcare del sangue di sua madre e l’ondata di nausea che provò fu quasi soffocante: voleva spostarsi, mandarla via, ma non ci riusciva.
“Devi diventare forte, bambina” continuò la donna “il nostro è un sangue cattivo, non è colpa tua.”
Teodora non era ancora riuscita a riprendersi dallo shock dell’apparizione di sua madre e non riusciva a focalizzarsi sulle sue parole e sul loro significato.
“Io ho visto, Lei mi ha parlato, tutto questo deve finire e tu sarai l’ultima di noi.”
La madre si puntellò con le mani sui braccioli della sedia e si sporse faticosamente in avanti per darle un bacio sulla fronte. Il liquido rosso zampillò dal taglio e lei se lo senti colare sul petto e sul pigiama; era denso, caldo ed emanava un forte odore di rame.
“Mi dispiace che le cose debbano andare in questo modo, ma non si può fare altrimenti.”
Teodora si svegliò di soprassalto. Aveva il fiato corto e la fronte imperlata di sudore.
Rimase per quasi cinque minuti a fissare la poltrona che non si era spostata dal suo posto e le sue mani e i suoi vestiti che da macchiati di sangue erano tornati perfettamente puliti.
Non poté evitare di mettersi a piangere.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


3.
 
La sensazione di spossatezza che aveva caratterizzato l’ultimo periodo si acuì incredibilmente nei giorni dopo quel sogno. Teodora si sentiva stanca, era sempre distratta e le pareva che un’influenza maligna avesse deciso di non esplodere mai dentro di lei, lasciandola per sempre in quella situazione di attesa e malessere. La mattina non riusciva ad alzarsi in orario, mangiava poco e aveva sempre la nausea, non ce la faceva a studiare e di conseguenza il malumore peggiorava alimentato dal senso di colpa. L’unica nota positiva era il suo aspetto, non si sapeva spiegare il motivo ma si rendeva conto che il suo corpo stava lentamente cambiando. Forse a causa della mancanza di appetito stava perdendo peso, i capelli le sembravano sempre più folti e luminosi, le gambe un po’ più lunghe, le braccia un po’ meno tornite. Si ritrovò a pensare più volte che era come se il suo corpo avesse deciso d’un tratto di crescere, recuperando tutti i passaggi che aveva lasciato indietro.
Seguiva svogliatamente le lezioni, non tenendo più nemmeno il conto delle stranezze che continuavano a succederle attorno: non erano più solo oggetti che si spostavano o giocattoli di quando era bambina che ricomparivano in giro ma una serie di inspiegabili eventi che le sconvolgevano le giornate.
L’aria si era fatta elettrica e carica di una strana energia, di aspettativa.
Due giorni dopo il sogno Teodora dormicchiava sul divano del salotto e si senti chiamare più volte da sua zia: si alzò e girò cercandola per tutta la casa prima di ricordarsi che la Tata non poteva esserci, non sarebbe infatti tornata dal lavoro prima delle sette. Sul tavolo della cucina trovò una foto di quando era bambina che non aveva mai visto: lei e sua madre, che indossava un costume intero azzurro e un cappello a tesa larga per proteggersi dal sole, si tenevano per mano davanti al mare. Teodora cominciò a tremare, prese la foto e corse in camera sua, dove la nascose in un cassetto della scrivania. 
Alcuni giorni dopo, mentre tornava a casa, trovò il gatto grigio che l’aspettava sul pianerottolo e la fissava con quei suoi grandi occhi gialli. Quando la vide arrivare si strusciò sulle sue gambe facendo le fusa, poi scappò via giù per le scale, lasciando una perplessa Teodora con il cuore che batteva all’impazzata.
La sera stessa stava guardando un film in tv mentre si metteva lo smalto sulle unghie dei piedi, quando tutto ad un tratto tutte le luci si spensero facendo sprofondare la casa nel buio più totale. Teodora si ritrovò con la boccetta di smalto in mano ed il cuore in gola, con la fastidiosissima sensazione che qualcuno la stesse osservando.
Una mano, che a Teodora parve quella di un bambino, le afferrò una spalla da dietro. La ragazza gridò, lasciando cadere la boccetta che rovesciò il suo contenuto sul pavimento.
Le luci e la televisione si riaccesero di colpo e lei si voltò di scatto. Dietro di lei non c’era nessuno.
Aveva costantemente paura che potesse succedere qualcosa di spaventoso, sobbalzava ad ogni rumore forte, quando una porta sbatteva o qualcuno sparava in televisione.
Una settimana dopo, un'altra ragazza venne trovata morta.
Il telegiornale disse che si chiamava Sara Cocchi, aveva occhi azzurri tremendamente dolci e nella foto che fecero vedere in televisione sorrideva mostrando molto le gengive. Qualcuno l’aveva portata in un vicolo vicino a Piazza Maggiore, l’aveva uccisa e dissanguata. Come l’altra ragazza che era stata trovata quasi un mese prima. Signore e Signori attenzione, ecco un serial killer.
Teodora si stava infilando le scarpe quando il servizio passò in televisione. Si scordò di colpo che aveva promesso a sua zia di andare a fare la spesa e si ritrovò a fissare lo schermo con una scarpa in mano per almeno mezzora, anche quando il telegiornale era già finito.
Sara aveva solo  20 anni. 
Passò il resto della serata a scribacchiare furiosamente poesie su un quaderno con delle margherite sulla copertina. Era l’unica cosa che la faceva sentire un po’ meglio quando il suo cuore correva così forte da scordarsi dei battiti; aveva cominciato da piccola e dato che funzionava non si era mai fermata. A volte strappava una delle pagine scritte, ne faceva un aeroplanino e lo lanciava fuori dalla finestra, altre volte le piagava e le nascondeva in giro per la casa. Non sapeva come si sarebbe sentita se qualcuno le avesse lette, al pensiero si vergognava parecchio, ma non poteva fare a meno di sparpagliarle un po' dappertutto.
 
Da qualche parte nel mondo c’è qualcuno che ti sopravvive,
ma continuerà tutto allo stesso modo domani?
I colori delle cose saranno gli stessi,
voglio che il fuoco mi bruci ancora le dita,
e la vita andrà avanti ancora senza che io ti abbia mai conosciuta,
non è un’enorme ingiustizia questa?
(Poi due righe cancellate)
Il sole è caduto, e il cielo si è fatto sangue,
ti rivedrò un giorno,
nei deserti fatti di buio.
Le cose cambiarono venerdì 16 marzo, durante quello che sarebbe stato ricordato da Teodora, per tutto il resto della sua vita, come “Quel Giorno”.
Di giorni che divennero perni fondamentali della sua esistenza, di quelli che segnarono un prima e un dopo nella lunga linea retta della sua vita, ce ne furono molti altri da quel momento in poi.
Ma quello fu il primo e richiamò tutti gli altri.
Teodora stava leggendo L'ombra dello Scorpione di Stephen King, dopo aver cenato davanti alla televisione e aver guardato due episodi dei Griffin ed uno di Sex and the City.
La tata avrebbe lavorato di nuovo fino a tardi e lei aveva deciso che forse sarebbe andata a dormire da Marta perché non aveva voglia di restare da sola.
Quando arrivò alla settima riga di pagina 254 il libro le cadde di mano.
Qualcosa le era schioccato nella testa, come se un elastico si fosse strappato dopo essere stato tirato troppo, le ultime parole che aveva letto ( il suo viso disfatto, il suo viso disfatto, il suo viso disfatto) continuavano a ripetersi nella sua mente, più e più volte.
Il gatto grigio era acciambellato in uno dei vasi di fiori sul suo balcone, quello con le primule viola, facendo le fusa rumorosamente.
I suoi occhi gialli le sembrarono così luminosi, quasi fosforescenti. Teodora si alzò in piedi e si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Si rese conto che non aveva voglia di fare nient'altro che non fosse fissare quei due grandi occhi dorati, che divennero in un secondo il perno dell'intera esistenza. Tutto intorno il mondo era diventato ovattato, fece due passi verso il balcone, poi si fermò perché non aveva la forza di fare altro.
il suo viso disfatto, come ha fatto a salire così in alto?, il suo viso disfatto, ma è troppo in alto, il suo viso disfatto, il suo viso disfatto
D'un tratto il micio inarcò la schiena e i peli gli si rizzarono. Miagolò forte e in un balzo tranquillo scomparve alla vista di Teodora. La realtà si era arricciata e nell'aria che si era fatta così pesante il gatto era sparito.
In quel momento esatto la volontà di Teodora si eclissò del tutto chissà dove, e il suo corpo prese a muoversi in totale indipendenza.
Si mise un paio di UGG marroni sopra i pantaloni della tuta grigi, prese le chiavi e si infilò la giacca mettendole in tasca.
Usci di casa e scese le scale, senza rendersi conto di quello che stava facendo si ritrovò in strada: il gatto grigio l'aspettava tranquillo davanti al portone del palazzo. Non appena la vide miagolò, le si strusciò sulle gambe e ricominciò a fare le fusa.
Poi si voltò deciso, mettendosi in cammino, e lei non poté fare a meno di seguirlo un'altra volta. Teodora gli stava dietro senza sapere dove la stesse portando: non aveva paura e non era curiosa, non sentiva assolutamente nulla, semplicemente camminava.
Scesero per Via San Mamolo verso i Viali, poi, con il gatto che trotterellava tranquillamente, si diressero verso il centro storico, passando attraverso Via D'Azeglio.
Il cielo era limpido e l'aria profumava di rose. Da quel giorno in poi Teodora avrebbe associato quell'odore ai momenti speciali della sua vita: non avrebbe però mai capito se fosse il profumo della sua felicità che le usciva dal corpo e si spandeva nell'aria, o se invece comparisse prima per avvertirla che stava per succedere qualcosa di bello.
Arrivati in via Farini girarono a destra e dopo qualche minuto si ritrovano in Piazza Cavour.
Tutta la realtà si era fatta luminosa, come se fosse costruita con la stessa pasta con cui si creano i sogni: le persone camminavano lasciandosi dietro strisce di luce e Teodora sentiva le loro voci mischiate ad altre. Il mondo stesso ora parlava, gli alberi gridavano rivolti al cielo, le pietre, le pareti sussurravano al suo passaggio, tutto era diventato rumore. Poi, i suoni si trasformavano in colori che danzavano davanti ai suoi occhi, in forme che non aveva mai visto prima, lettere di una lingua che non poteva capire.
La realtà le scorreva addosso, senza che lei si rendesse conto di cosa stesse succedendo e di dove stesse andando: semplicemente seguiva una forza che sentiva battere nel cuore, nei polmoni, in ogni parte del corpo.
Alberi e siepi circondavano la piccola piazza che si trovava a qualche decina di metri dall'Archiginnasio, la biblioteca dove Teodora si fermava a studiare quasi tutti i giorni, ed era il posto preferito da lei e Marta per pranzare quando c'era bel tempo.
Il gatto si fermò davanti al busto in bronzo di Cavour e in quel momento esatto Teodora senti un secondo scoppio nella testa: il mondo usci dalla nebbia che lo aveva avvolto e lei fu sbalzata lontano da quel sogno meraviglioso in cui camminava.
I contorni delle cose tornarono a farsi definiti e i pensieri le si affollarono rumorosamente nella testa: aveva paura ma allo stesso tempo era curiosa, le tremavano le mani e sentiva il cuore correrle furiosamente nel petto.
Il gatto miagolò rumorosamente e trotterellò verso una signora, seduta su una panchina li vicino, per poi saltarle in braccio.
La donna, vestita con un cardigan verde smeraldo e pantaloni di lana beige, aveva i capelli tagliati corti sulla nuca, bianchi e folti. La cosa che più colpiva di lei erano gli occhi, di un blu così profondo e lucente che Teodora non aveva mai visto su nessuno. Quelli erano gli occhi di chi ride spesso, di chi ha vissuto una vita lunga e felice e che ha visto tanto, in un modo che a molte persone è precluso. Definire la sua età era difficile: da una parte sembrava molto anziana, alcune rughe profonde le decoravano la fronte e gli angoli degli occhi, dall'altra invece, la sua espressione e lo sguardo la facevano sembrare una ragazzina, intrappolata in un corpo che non era il suo.
Teodora si sorprese a pensare quanto fosse curiosa di sentirla parlare, di sapere se la sua voce facesse sentire bene quanto guardarla negli occhi.
"Animali curiosi i gatti non trovi?"
disse lei con tono pacato, e Teodora non rimase delusa: la sua voce era calda e melodiosa, e le ricordava un po' quella della tata e di sua nonna, con cui aveva passato molti pomeriggi della sua infanzia.
"si trovano con un piede in ognuno dei due mondi, e quando stanno di qua il più delle volte sono disposti a darci una mano." continuò lei, sorridendo con le labbra e con lo sguardo.
"Come… io… chi è lei?"
La donna accarezzava il gatto grigio, che soddisfatto faceva le fusa rumorosamente.
"Bene, per prima cosa è il caso che mi presenti" disse, allargando il sorriso e mostrando denti bianchi e perfetti.
"Il mio nome è Adela" poi allungò il braccio, per stringerle la mano.
Teodora contraccambiò il gesto senza neanche pensare, e si accorse di quanto la sua pelle fosse calda e morbida. Quel tocco delicato la fece sentire bene e quindi sorrise a sua volta.
"Siediti qui di fianco a me, vuoi? dobbiamo parlare un po' noi due"
Teodora spostò il peso da un piede all'altro indecisa su cosa fare, alla fine era solo una signora anziana, che avrebbe potuto farle? forse non ci stava più tanto con la testa e si sentiva sola, forse voleva solo fare due chiacchiere..
ma cosa ci faccio io qui? come cavolo ci sono arrivata? e perché lei parla come se mi conoscesse?
Decise che in ogni caso sarebbe stato maleducato andarsene così, si sarebbe seduta e avrebbe ascoltato cosa aveva da dire. E poi nei film dell'orrore non è mai la dolce vecchietta a mangiare i bambini no? beh forse questo non valeva per Hansel e Gretel, ma quella era solo una favola e poi lei non era più una bambina.
"Ti starai chiedendo perché io ti abbia fatta venire qui, Teodora"
Teodora sobbalzò leggermente, si accorse che le guance le bruciavano, come se avesse la febbre.
"Come sai il mio nome? in che senso mi hai fatta venire qui, cosa vuol dire?"
"Con calma capirai tutto …" la donna si schiarì la voce e si aggiustò dietro le orecchie una ciocca dei suoi capelli bianchi.
"Immagino che ultimamente ti stiano capitando cose un po' strane, cose che non riesci proprio a comprendere e che ti fanno paura, sono sicura che anche il tuo corpo sta cambiando e tu non hai idea della ragione per cui succede. Ecco, io sono qui per spiegartene il motivo."
Lei sorrise in maniera ancora più dolce mentre Teodora sentiva il cuore batterle rumorosamente.
"tu sei una strega, i tuoi poteri stanno tornando e per questa ragione attiri un sacco di magia verso di te."
Una falena le volò a pochi centimetri dal viso, aveva le ali di un beige scuro e Teodora la vide dirigersi verso il buio dietro una siepe.
"Ha…io…Cosa?"
"Ovviamente lo sono anche io" la donna le strinse la mano destra che Teodora teneva chiusa a pugno sulle ginocchia.
Non sapeva come reagire, alzarsi e andarsene senza dire una parola, ridere e chiederle se era uno scherzo o semplicemente starla ad ascoltare per vedere dove voleva arrivare.
"E' davvero difficile trovare le parole giuste per cominciare… vedi il mondo è fatto in maniera diversa da come immagini, ci sono un sacco di cose nascoste sotto la superficie"
Teodora la guardava chiedendosi davvero che cosa ci facesse li e perché stesse ad ascoltare quello che diceva.                                                                    
Era la sua voce che, non sapeva spiegarsene il motivo, aveva qualcosa che le impediva di muoversi e andarsene.
"La magia è ovunque, ma non sempre ha voglia di farsi vedere. Tutto quello che hai sempre creduto essere impossibile, quello che popolava i tuoi libri di fiabe, ciò che avevi paura si nascondesse sotto il tuo letto di notte… tutto esiste e tu hai la capacità di poterlo vedere. Sei nata diversa Teodora"
Teodora abbassò lo sguardo e lasciò scivolare i lunghi capelli davanti agli occhi, le guance le bruciavano più che mai.
"Lo so che non mi credi, ma devi avere pazienza ed ascoltarmi fino alla fine: il mondo è governato da forze così antiche, così potenti, noi la chiamiamo la Madre, la Dea… ma in realtà lei ha tanti nomi, tanti quanti i popoli del mondo"
Adela rimase in silenzio per qualche secondo poi si abbassò e raccolse da terra due foglie verdi di ginkgo biloba. Le teneva nella mano destra sul palmo, rivolto verso l'alto.
Improvvisamente qualcosa nell'aria cambiò, un'onda di elettricità si propagò da Adela verso Teodora, a cui venne la pelle d'oca sulle braccia.
Le due foglie, muovendosi da sole, si unirono al centro, poi, come una piccola farfalla dalle ali a forma di cuore si alzarono in volo.
Teodora fissava quel piccolo prodigio incantata. Le mani le scivolarono ai lati del corpo ed era sicura che, se si fosse guardata da fuori, sarebbe sembrata uno di quei personaggi dei cartoni animati a cui per lo stupore si disarticolava la mandibola.
D'un tratto le ali della farfalla presero fuoco, ma lei continuò a svolazzare in giro come se niente fosse: le ali di fiamma divennero da rosse prima viola, poi blu, fino a polverizzarsi e scomparire in un soffio di vento.
Teodora si alzò di scatto dalla panchina, fissando allibita la signora che continuava a sorridere felice.
"Non hai idea di quello che sarai in grado di fare… e noi ti insegneremo tutto quello che devi sapere"
Aveva la gola secca e non poteva fare a meno di spostare il peso da un piede all'altro.
"ma se tu, cioè se io sono… perché me lo vieni a dire solo ora?"
Si accorse che senza volere stava ansimando e si era conficcata le unghie nei palmi delle mani, strette in un pungo.
"Ecco, a questo proposito la faccenda è un po' complicata…" la donna sospirò, e una luce scura le attraversò gli occhi.
“Prima di tutto non possiamo rischiare che gli esseri umani ci scoprano. Non ne nascono tante di noi, e se in famiglia c’è solo una strega, e non ha nessuno vicino che possa aiutarla, tenerle bloccati i poteri impedisce che venga scoperta quando ancora non è in grado di controllarli.. Inoltre il nostro mondo è pericoloso Teodora, una strega bambina è molto più vulnerabile che un’adulta, ci sono un sacco di creature che muoiono dalla voglia di farci del male…”
Teodora spostò nuovamente il peso da un piede all’altro, indecisa su cosa fare.
Creature che vogliono farci del male? Ma di cosa parla?
Poi si sedette un’altra volta vicino ad Adela.
“Che tipo di creature?”
Adela accarezzava il gatto con sguardo perso, distratta da chissà quale pensiero.
“Incubi, coboldi… i vampiri soprattutto.”
Incubi? vampiri? è pazza, pazza, pazza!
Oddio… ma quelle foglie? come te le spieghi quelle?
I lunghi capelli mossi le coprirono nuovamente il viso, nascondendo il fiume caotico di pensieri contrastanti che scorreva nella sua testa.
"Senti di questo parleremo meglio più avanti, ora devi già digerire un sacco di informazioni"
Adela le prese nuovamente la mano e Teodora si rese conto che la cosa la faceva sentire davvero bene, come se quel contatto potesse magicamente calmarla e farla sentire a suo agio.
"Oggi è il 16 Marzo, fra 4 giorni sarà l'equinozio di primavera, è il giorno in cui ti torneranno i poteri."
Teodora si voltò verso di lei, spostandosi i capelli dal viso con una mano, pensò che di quel passo le sue guance avrebbero preso fuoco.
"Vieni qui alle otto martedì prossimo, ti porteremo dove è tradizione che si compia la cerimonia per il risveglio dei tuoi poteri, così potrai conoscere tutte le altre streghe della congrega."
"ma io non credo che… cioè ho un sacco di domande da farti, io davvero non capisco come sia possibile..."
"Lo so che sei confusa adesso, e ci sarà tempo per rispondere a tutte le tue domande, davvero."
Poi sospirò e si avvicinò ancora di più a Teodora, questo la fece sentire meglio.
"Vedi quando sono nata io erano tempi diversi, non ci bloccavano ancore i poteri. Io sono cresciuta sapendo quello che ero… Capisco cosa significhi per te scoprire tutto questo da un momento all'altro, immagino come ti possa sentire."
"Quanti anni ha lei?"
La donna sorrise, sistemandosi di nuovo una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Abbastanza, mia cara, abbastanza. Diciamo che ho visto e fatto parecchie cose nella mia vita.."
"Ma quelli come te, cioè come noi, quanto viviamo?"
Lei rise, e il suono della sua voce era così caldo e piacevole da ascoltare che Teodora senza accorgersene sorrise a sua volta.
"Beh questo dipende da ognuna di noi, se abbiamo un buon motivo per restare a questo mondo la nostra vita può essere davvero molto lunga"
poi a Teodora parve che il suo sguardo si rabbuiasse un poco.
“Potremmo anche vivere per sempre volessimo”
Teodora soppesò per qualche secondo quelle parole, chiedendosi quanti anni potesse avere Adela sulle spalle, quanti decenni, secoli forse?
L’idea che potessero vivere per sempre le parve assurda, e si chiese se stesse scherzando.
"Le streghe sono solo donne? o ci si sono uomini che possono fare le stesse cose?"
E la donna rise ancora, sgranando quei bellissimi occhi da ragazzina.
"Ma certo che no, che cosa buffa da dire… gli uomini non potrebbero mai capire cosa significa, le streghe possono essere solo donne. Vedi il nostro corpo è un tramite cosciente della magia, lei fluisce attraverso di noi, siamo modellate per lei. Le donne sono fatte apposta per questo, un giorno vedrai ne capirai il motivo"
"Ha…ok, certo… "
La falena di prima volava vicino ad un lampione che illuminava di giallo quel piccolo angolo di giardino in cui si trovavano: attratta dalla luce continuava a sbatterci contro, come se ci vedesse talmente poco da credere che quello fosse il sole.
"Ma se io decidessi di non venire martedì prossimo, ecco si, che cosa accadrebbe?"
"Non cambierebbe nulla, i tuoi poteri tornerebbero comunque come è giusto che sia, solo in maniera un po' più faticosa. Tu sei come una stanza che è stata costruita per accogliere la Magia: ora la porta di ingresso è sbarrata, ma noi possiamo fare in modo che venga aperta e che tutto vada come deve andare. Altrimenti verrà sfondata e la Magia entrerebbe lo stesso. Tu sei quello che sei, non c'è modo di cambiare le cose"
Teodora giocava con una ciocca di capelli, attorcigliandosela tra le dita: lo faceva tutte le volte in cui era agitata e aveva bisogno di tranquillizzarsi. Tentava di analizzare in maniera obiettiva tutte le informazioni che le erano state date quella sera, ma davvero non riusciva a gestire la confusione che si era creata nella sua testa.
Adela abbassò lo sguardo, accarezzando dietro le orecchie il gatto acciambellato sulle sue gambe.
"Sei così uguale a tua madre, anche lei giocherellava con i capelli a quel modo"
Teodora si voltò di scatto verso dei lei, col cuore che le batteva di colpo all'impazzata.
"Tu conoscevi mia madre?"
"Certo, anche lei era una strega. Mi ricordo perfettamente il giorno in cui ci incontrammo e le dissi le stesse cose che sto dicendo a te ora."
"Ma io non…come è possibile che non ne sapessi nulla?"
Disse Teodora alzando di molto il tono della sua voce.
"Beh credo che questo dipenda dal fatto che tu e tua madre siete le uniche streghe nate nella tua famiglia da molte generazioni. Probabilmente se ci fosse stata un’altra strega ora non saremmo qui. Sai la Magia funziona in maniera strana, non passa di madre in figlia, di generazione in generazione. Sceglie lei in chi manifestarsi, in completa autonomia."
Teodora appoggiò la schiena alla panchina e si voltò di nuovo verso il lampione su cui la falena continuava a sbattere senza sosta. Ed ecco qualcos'altro di sua madre che non sapeva, un altro pezzo di lei che si era perso per sempre. L'immagine che si era fatta di lei, il puzzle di particolari che aveva messo insieme negli anni per ricreare quella donna sconosciuta si distrusse di colpo: un altro spillone le venne conficcato dolorosamente nel cuore.
"Lei com'era? mia madre dico.."
Teodora teneva le mani strette in un pugno. Adela la guardò socchiudendo un po' gli occhi, poi le mise una mano sulla spalla, che in quel momento tremava un pochino.
"Oh lei era adorabile. Era così luminosa, ti rendeva felice solo starle vicino"
Lo sguardo le si fece triste e gli occhi le divennero bui.
"Io non so molto di lei, mia zia non ne parla volentieri…"
"E' comprensibile, mia cara, è comprensibile" Disse lei, e a Teodora sembrò una risposta data da chi sta pensando ad altro.
Poi si voltò nuovamente verso di lei.
“Abbiamo fatto giurare ai tuoi di non dirtelo fino a che non fossi cresciuta, ma credo che ora tu lo debba sapere. Tua madre è stata uccisa da un vampiro, tuo padre l’ha trovata dissanguata in casa vostra quando avevi tre anni.”
Teodora si aggrappo con le mani al ferro della panchina, tanto forte che le divennero bianche le nocche. Un forte senso di nausea le si diffuse dallo stomaco alla gola e gli occhi cominciarono a pizzicarle.
“Che cosa? Non è vero! Lei è morta di cancro!”
“Noi non possiamo morire di cancro Teodora” rispose Adela seria.
“Ma mia zia…lei mi ha sempre detto che era malata!”
“Lo so, abbiamo fatto promettere a lei e a tuo padre di non dirti nulla. Non era il caso che lo sapessi prima del tempo.”
Teodora allentò un po’ la presa delle mani sulla panchina, e senti lacrime calde che le scivolavano sulle guance. Era arrabbiata, triste e confusa nello stesso tempo.
Mi hanno sempre mentito. Il sogno era vero, è morta su quel tappeto e io l’ho vista. Voglio vomitare.
“Non prendertela con tua zia, non potevi saperlo prima di oggi.”
Teodora annuì senza dire nulla, poi si strinse nelle spalle e si asciugò le guance con il polsino della felpa.
“Perché proprio lei? Che cosa aveva fatto?”
“Ah, non credo ci sia una ragione, semplicemente un vampiro l’ha trovata e l’ha presa di sorpresa… Lo abbiamo cercato a lungo, per vendicarci, ma non siamo mai riuscite a trovarlo. Ad ogni modo ne abbiamo uccisi parecchi al posto suo.”
Teodora sospirò rumorosamente, non riusciva a rielaborare tutte le informazioni che le erano state date così velocemente, così di sorpresa.
Il gatto si stiracchiò, inarcando la schiena, poi saltò giù e si voltò verso Adela.
La donna lo guardò e si passò due volte le mani sulle gambe, poi, con un movimento molto fluido per una donna della sua età, si alzò dalla panchina.
Teodora capì che stava andando via e si rese conto che aveva bisogno di altro tempo con lei, aveva una miriade di domande da farle e le sembrò che quel distacco fosse troppo veloce.
Adela si voltò verso di lei e le sorrise di nuovo, in quel modo così dolce e caldo, che la fece sentire bene, riuscendo a calmarla.
"Ora devo andare, mi dispiace non poter restare di più ora. Ma ci sarà tempo per parlare, e per rispondere a tutte le tue domande." 
Si sistemò sulla spalla una borsa di pelle marrone che fino a quel momento era rimasta appoggiata al suo fianco, sulla panchina.
"Ti aspetteremo qui alle otto martedì prossimo, sii puntuale"
Teodora aprì la bocca per dire che ancora non sapeva se sarebbe venuta martedì, che ancora non sapeva se le credeva, che ancora aveva bisogno di farle domande e che voleva sapere di più su sua madre, ma le usci solo un incerto:
"ha… si ok…"
Lei annui, sorrise felice e si voltò. Il gatto le trotterellava davanti e lei lo seguì con passo tranquillo versò l'uscita di piazza Cavour, in realtà più un giardino che una piazza, incastrata nel mezzo dei palazzi antichi del centro storico. Teodora pensò nuovamente quanto il suo modo di muoversi la facesse sembrare molto più giovane di quanto invece mostrasse il suo corpo.
La ragazza rimase seduta su quella panchina a lungo, osservando il vento che muoveva le foglie delle siepi, anche dopo che Adela era scomparsa dalla sua vista.
 
Quella notte dormì solo due ore.
Era arrivata a casa alle dieci e cinque, mezz'ora prima che sua zia Vittoria tornasse dal turno in ospedale.
Quando la senti rientrare era sdraiata sul letto con la tv accesa, ma non la stava guardando veramente, si era persa da tutt'altra parte: si girò verso il muro e si copri la testa con il piumone leggero. Non voleva parlarle, voleva che lei pensasse che si fosse già addormentata.
Se le avesse parlato la tata avrebbe capito subito che c'era qualcosa che non andava e davvero in quel momento non aveva le forze per uno dei suoi soliti interrogatori. Dopo quello che aveva scoperto quella sera non voleva parlare con chi le aveva tenuto nascosto così tanto, per così tanto tempo.
La zia entrò in camera e quando vide che dormiva recuperò il telecomando e spense la televisione, si avvicinò al letto e sistemò il piumone scoprendole la testa. Lo faceva spesso e Teodora era convinta che avesse paura potesse soffocare nel sonno, come i neonati.
E pensare che l'aveva presa con se che aveva già quattro anni, quando possibilità di questo tipo erano già scomparse da tempo.
Nelle due ore in cui non fissò i cieli sulla parete di fianco al suo letto, in particolare un tramonto in Messico del colore del fuoco, sognò sua madre.
Come tutte le altre volte fu un sogno spaventoso.

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Capitolo 5
*** Capitolo4. ***


Capitolo 4.
 
Confusione. Totale.
Teodora aggiunse del sale alle verdure che stava saltando in padella, Marta, intanto, tagliava il petto di pollo in tanti pezzettini, raccontandole la sua giornata.
Ciò che quella donna le aveva detto la sera prima, il suono della sua voce, quei suoi occhi blu, erano sempre lì, sottofondo incancellabile di tutto quello che faceva.
Streghe, vampiri, magia... tutto le frullava in testa provocandole uno strano tuffo al cuore ogni volta che ci pensava più intensamente.
Era tutto vero? Forse le cose assurde che continuavano a capitarle avevano un senso dopotutto, forse il suo sentirsi strana, fuori posto, era dovuto al fatto che diversa lo era per davvero.
Aveva ancora tre giorni per pensarci, tre giorni per decidere se presentarsi a quell’assurdo appuntamento.
“Alex ha detto che ci può passare a prendere, se no possiamo andare con la mia macchina o con quella della Ceci” le disse Marta, mettendo il pollo insieme alle verdure, guardandolo un po’ crucciata.
“Dici che basta per cinque?“ chiese rimescolando il contenuto della pentola e sperando che così facendo aumentasse un pochino.
Teodora assaggiò un po’ di sugo, scottandosi la lingua.
"Buono… direi che è abbastanza, al massimo in frigo ho dello stracchino e del prosciutto, se non basta possiamo farci delle piadine”
Sua zia era via per il weekend, in un agriturismo vicino a Siena, con Flavia, la sua migliore amica dai tempi dell’università e Damiano, suo fratello, che Teodora era convinta fosse da sempre innamorato di lei.
Quella mattina quando se ne era andata l'aveva abbracciata un po' più forte, un po' più a lungo del solito.
"Fai la brava, intesi?" le aveva detto quando era già sulla porta, e lei si era chiesta se l'avrebbe salutata così anche a quarant'anni.
Teodora aveva invitato Marta e altre due amiche per cena, poi si sarebbero preparate tutte insieme e sarebbero andate a ballare. Decisamente un’idea che l’allettava, non vedeva l’ora di distrarsi da tutto quel caos che aveva in testa.
Marta recuperò quattro piatti azzurri dalla credenza, Teodora intanto, sperando di non far cadere nulla, prese due bottiglie di vino e una di coca zero dal frigo.
“C’è l’aperol che come aperitivo ci facciamo uno spritz?”
“Nell’ultimo scaffale in alto, sulla destra, dietro all’alchermes che mia zia usa per i dolci”
Marta, dopo essersi alzata sulle punte per arrivarci, si chinò a prendere qualcosa sotto una delle sedie.
"Teddi, è successo qualcosa?"
disse con in mano una pagina di quaderno a righe ripiegata.
"Non ne seminavi in giro da quando tuo padre si è scordato di chiamarti per il tuo compleanno l'anno scorso."
Sbagliato, pensò Teodora, era capitato molto più spesso ultimamente, ma la tata aveva recuperato tutte le poesie che era riuscita a trovare, per poi metterle in una scatola nell'armadio in camera di sua nipote.
"Ti ho detto che ultimamente sono un po' stressata"
L'altra si girò di scatto e lisciò il foglio di carta per leggere quello che c'era scritto, questo prima che l'amica potesse fare qualcosa per impedirglielo.
"Ha occhi neri che bruciano di fiamma, occhi che vedono dentro alle persone e lasciano cenere…"
"Smettila, smettila, smettila! Marta smettila subito!"
Lei teneva il foglio in alto con il braccio teso, in modo che Teodora, che era considerevolmente più bassa di lei, non potesse raggiungerlo.
"Hai incontrato qualcuno e non me lo hai detto? dai non fare la misteriosa!"
Disse ridacchiando, mentre l'altra saltellava nel tentativo di salvare un po' di dignità.
In quel momento suonò il campanello e Teodora riuscì a rubare la sua poesia all'amica, momentaneamente distratta.
"Ha! Non è finita qui mia cara, dopo ne riparliamo" e sapeva che non le avrebbe dato pace fino a che non le avesse raccontato tutto del protagonista di quei versi.
Ma che cosa le avrebbe potuto dire di quel ragazzo -uomo- misterioso che aveva visto quasi due settimane prima per non più di dieci minuti? ma che cavolo aveva di così speciale? Teodora aveva pensato a lui fin troppe volte negli ultimi giorni e proprio non ne capiva il motivo.
Marta corse ad aprire, mentre lei finiva di apparecchiare la tavola, dopo essersi infilata il foglietto in tasca.
Cecilia e Matilde entrarono chiacchierando animatamente, la prima stava raccontando all’amica l’ultima telefonata isterica di sua madre, che viveva a Torino, imitandone la voce stridula in maniera piuttosto esilarante.
“E poi ha concluso il tutto dicendomi che la chiamo poco, e si chiede anche perché….”
Matilde l’ascoltava un po’ distratta, forse pensando alla sua di madre, che a volte però la chiamava troppo poco.
“Che cosa avete preparato?” continuò Cecilia senza quasi prendere fiato, appoggiandosi al tavolo della cucina e lisciandosi i capelli lunghi con la mano sinistra, orgogliosa di quanto le fossero cresciuti.
“Pollo al curry, insalata e delle patate” rispose la padrona di casa, abbassandosi leggermente per aprire il forno e tirar fuori la teglia con le patate “Credo siano già pronte, ci ho messo anche il rosmarino” dichiarò soddisfatta sorridendo alle amiche.
“Noi abbiamo portato qualcosa da bere” ridacchiò Matilde, mostrando una bottiglia di Baileys ed una di vodka alla menta.
“Li ho in casa da capodanno e me li ero quasi scordati!”
Marta prese i due superalcolici e li mise in frigorifero, perché freddi erano decisamente meglio.
"Io invece ho comprato una bottiglia di moscato alla Coop sotto casa, da bere dopo cena" continuò Cecilia e Teodora pensò che avevano più alcool che cibo, fortunatamente Alex passava a prenderle.
“che cosa vi mettete stasera? Io ho portato il vestito grigio, quello con le borchie sulle spalle”
Teodora scoppiò a ridere “Marta quello non è un vestito, è una maglietta poco più lunga del normale!”
Lei scrollò le spalle sorridendo.
“Beh ho delle belle gambe, che male c’è se le faccio un po’ vedere?”.
L’autostima non le mancava di certo.
Le altre mostrarono quello che si erano portate: Matilde un vestitino viola che avrebbe messo con delle pantacollant nere e stivaletti alla caviglia, Cecila una mini e top scollato, lungo e molto colorato.
“Tu Teo invece?”
"Credo un vestito che ho comprato l’altro giorno da zara, mi sta un sacco bene addosso!”
Marta accese la televisione cercando sui canali del satellite quello che trasmetteva ininterrottamente puntate dei Simpson. Tirarono fuori comunque piadine e prosciutto e Cecilia cominciò a preparare gli Spritz.
 
Cinque ore dopo le quattro amiche si districavano tra la gente che affollava il Kindergarten, famosa discoteca bolognese, tutte evidentemente ubriache.
Prima di raggiungere il locale, che si trovava in periferia, si erano fermate in un bar del centro, dove avevano incontrato un gruppo di amici di Matilde in vena di offrire a tutte da bere.
Tra questi c'era anche il ragazzo con cui lei usciva da qualche settimana, Edoardo, biondo quanto lei e con lo stesso enorme sorriso stampato in viso. Teodora pensò che forse tanta generosità era dovuta al desiderio di far bella figura con le amiche della sua ragazza, ma che male c’era a approfittarne un po’?
Dopo aver pagato l'entrata alla cassa si diressero di fianco alla console, dove si mettevano sempre, sfruttando un angolino della sala poco frequentato e in cui si poteva allo stesso tempo respirare ed avere un ottima visuale del dj, per il quale Marta aveva da sempre una cotta.
Arrivarci fu più difficile del solito perché il locale era già pieno e nessuna di loro riusciva a mantenere l'equilibrio camminando. Teodora scivolò tre volte tra le risate sue e delle amiche, rialzandosi ogni volta con più fatica, sperando di non aver sporcato il vestito. Non sapeva se era per quello che indossava o per il quantitativo di alcool che aveva ingurgitato ma si sentiva bellissima, e non gli era mai successo prima.
I lunghissimi capelli castani le scivolavano ritmicamente davanti al viso mentre ballava, aveva le guance arrossate per il caldo e le girava la testa.
Marta la prese per mano e le fece fare una piroetta ridendo.
"Ti voglio bene!"
urlò per farsi sentire sopra la musica
"Anche io!"
rispose, scoccandole un rumoroso bacio sulla guancia. Quando beveva avrebbe dichiarato amore eterno a chiunque, ma ovviamente a Marta voleva bene davvero.
"Vado a prendermi un vodka-redbull con Alex, vuoi qualcosa?"
"No, se bevo qualcos'altro potrei vomitare!"
"Non ti muovere da qui allora, torno subito"
Le disse l'amica con la voce un po' strascicata e Teodora annui sorridendo.
Cecilia era sparita appena entrate in cerca del bagno e non si era più vista, Matilde, invece, era sdraiata sul divanetto vicino all'uscita con Edoardo. Lui le stava dicendo qualcosa all'orecchio e lei rideva felice, Teodora pensò che insieme erano proprio carini.
In quel momento si senti leggermente nauseata e dovette appoggiarsi alla parete perché la testa le girava troppo: le persone le vorticavano intorno e lei ripensò nuovamente all'incontro del giorno prima.
Che cosa doveva fare? Si rese conto che l'idea che fosse tutto vero la faceva sentire bene, mettendole addosso una gioia incredibile che non si sapeva spiegare. Finalmente qualcuno aveva visto dentro di lei qualcosa di speciale, c'erano persone che l'avrebbero capita, e con cui forse non si sarebbe sentita sempre un po' a disagio come con il resto del mondo, a parte che con Marta e la tata.
La nausea aumentò e Teodora decise di uscire nel cortile per respirare un po' di aria fresca. Sbattè contro una coppia che usciva e traballò rischiando di scivolare: maledisse se stessa per aver bevuto tutti quegli spritz, tutta quella vodka e tutto quel Baileys.
E poi lo vide.
L’uomo dagli occhi neri era dall'altra parte della sala, appoggiato con una spalla ad una colonna, quella più vicina al bar, e la stava guardando. Vederlo in mezzo a quella folla di ragazzini lo faceva sembrare completamente fuori posto.
In quel momento tutto ciò che aveva attorno si fermò, poteva sentire solo il proprio respiro e il battito del proprio cuore.
Teodora rabbrividì e si accorse che le era venuta la pelle d'oca sulle braccia.
Lui velocemente si voltò e si diresse verso l'altra sala dove c'era una seconda uscita, lei si sporse in avanti ma perse l'equilibrio e cadde in ginocchio. Le sfuggi un gemito per il dolore: quando si rialzò si accorse che le si era smagliata una delle calze che indossava ed un rivoletto di sangue le scivolava fin dentro agli stivali.
Imprecò mentalmente, trovò un fazzoletto nella borsa e provò a pulirsi come meglio poteva, peggiorando però la situazione. La macchia rossa si espanse facendo sembrare la ferita molto più grave di quello che era.
Dopo aver buttato il pezzetto di carta insanguinato per terra decise di uscire dalla sala principale, in modo da incrociare l’uomo nel cortile nel caso se ne stesse andando.
L'aria fuori era fresca, Teodora superò gruppetti di persone che si radunavano per fumare o per poter chiacchierare lontano dalla musica assordante dell'interno, cercando di evitare chi conosceva per non doversi fermare e perdere tempo. Si rese contò che la nausea le era aumentata terribilmente e che le tremavano le gambe.
Si guardò intorno, era sicura che considerata la sua altezza non le sarebbe stato difficile trovarlo fra tutta quella gente: non sapeva che cosa gli avrebbe detto, come lo avrebbe fermato, ma sentiva la necessità di farlo. Voleva vedere se i suoi occhi erano davvero così neri come gli erano parsi la prima volta, aveva bisogno di sentire il suono della sua voce, voleva che lui la guardasse pensando che fosse bella.
Non lo vedeva da nessuna parte, si sporse dall'entrata della seconda sala per vedere se era rimasto dentro ma lui non c'era, quindi si spostò verso i cancelli d'uscita dove c'era la cassa con l'intenzione di arrivare fino al parcheggio.
Si coprì la bocca con una mano, le pizzicavano le guance e la gola come succede sempre quando si sta per vomitare. Si girò verso la rete che separava il cortile della discoteca dal parcheggio, intrecciando le dita tra le maglie, chiuse gli occhi e tirò un respiro profondo.
Non vomitare, non vomitare, non vomitare.
Un forte sapore acido le si diffuse in bocca ed in gola, appoggiò anche la fronte alla rete pentendosi per l'ennesima volta di aver bevuto così tanto.
Si sentiva una stupida, voleva andare in bagno e poi trovare le sue amiche: pensò che anche se fosse riuscita a fermare "Mister Misterioso e Sfuggevole" non avrebbe avuto idea di cosa dirgli, magari si sarebbe limitata a fissarlo con espressione ebete per poi scappare dietro una siepe a vomitare. Almeno si era risparmiata quella brutta figura.
Una mano le si appoggiò sulla spalla, una scossa elettrica le attraversò la schiena.
"Stai bene?"
Si voltò e lui era li, con le sopracciglia crucciate e le labbra tirate. La sua voce bassa e profonda le provocò brividi piacevoli.
Non esistono occhi così neri, fanno paura…
Teodora annui in risposta, non riuscendo a staccare gli occhi da lui: lo stomaco fece una capriola, ma non certo per la nausea, e senti il viso in fiamme.
Lui abbassò lo sguardo verso le sue gambe e lei pensò che il vestito che si era messa era davvero troppo corto, senza accorgersene tirò la gonna per coprirsi meglio.
"Sanguini" le sue labbra si fecero ancora più sottili "Sei caduta?"
"Sono inciampata.." Sussurrò e abbassò il viso pensando che di quel passo avrebbe preso fuoco.
"Quanto hai bevuto?"
Lei spalancò gli occhi e si chiese se era davvero così evidente. Arrossì in maniera ancora più vistosa.
"Non… Non sono fatti tuoi!" gli disse, un po' risentita che le avesse fatto notare quanto si stesse rendendo ridicola.
"Hai esagerato, non stai nemmeno in piedi…" continuò lui, il suo tono era freddo e in qualche modo infastidito, come la prima volta che lo aveva incontrato.
Nessuno gli dava il diritto di venire da lei e sparare sentenze, se aveva voglia di bere fino a vomitare erano fatti suoi.
"Sto benissimo. Grazie dell'interessamento, ora torno dalle mie amiche"
Girò su se stessa con l'intenzione di rientrare, ma perse leggermente l'equilibrio e si dovette aggrappare di nuovo alla rete per non scivolare. Lo sentì ridacchiare e si innervosì ancora di più.
Respirò a fondo e si sistemò i capelli che continuavano a scivolarle davanti al viso. Lui le prese il gomito, scossa elettrica numero due.
"Ti porto a casa, non stai bene"
"No, sto benissimo, e poi sono qui con le mie amiche…"
Ciondolò pericolosamente e lui le mise una mano sul fianco, questa volta la scossa elettrica fu super.
"Ti porto a casa"
"Ma la smetti? mi ci portano le mie amiche a casa, e poi comunque non è un problema tuo!"
Lui sbuffò, poi si passò la mano tra i capelli scuri, spostandoseli dalla fronte.
"Fai come ti pare, volevo farti un favore"
Lo guardò negli occhi e lo stomaco le si attorcigliò dolorosamente: era davvero il ragazzo più attraente che avesse mai conosciuto.
Il cuore, forse per l'effetto dell'alcool o semplicemente per la sensazione di avere lui così vicino, cominciò a saltare qualche battito. A Teodora venne voglia di scrivere una poesia su quanto avrebbe voluto intrecciare le dita alle sue.
Pensò che forse aveva esagerato ed era stata un po' troppo acida: in un modo un po' strano lui stava cercando di essere d'aiuto, per la seconda volta.
"Scusa non volevo essere maleducata… solo che io…non ti conosco nemmeno"
La nausea si fece di nuovo sentire e il mondo cominciò a girarle attorno talmente forte che dovette accucciarsi a terra, facendo scivolare la schiena lungo la rete.
L'espressione di lui si addolcì, ma lei non la vide perché si era coperta gli occhi con le mani, con i capelli ondulati che le cascavano scomposti sulle spalle e sulla schiena, fin quasi a toccare per terra.
Il ragazzo si abbassò alla sua altezza piegando le ginocchia.
"Senti, ti riporto dritta a casa, non ho intenzione di farti nulla"
Lei si scoprì il viso sistemandosi i capelli dietro alle orecchie: non ne capiva il motivo ma c'era qualcosa in lui, nel suo modo di guardarla, che la faceva sentire sicura.
"Io sono Teodora" disse allungando la mano.
"Gregorio"  rispose lui stringendogliela, e il cuore di lei si scordò un altro battito.
Senza lasciarle la mano lui l'aiutò ad alzarsi, poi si tolse la giacca grigia che indossava e gliela mise sulle spalle.
"Ah, la giacca! l'ho lasciata nella macchina di Alex.."
La ragazza fece per voltarsi di nuovo verso l’entrata della discoteca, con l’intenzione di cercare Alex e farsi accompagnare alla sua macchina. Pensò che se lo avesse fatto l’avrebbero accompagnata lui e Marta a casa, si sentì sollevata ma anche delusa, perché voleva passare altro tempo con Gregorio.
"Fattela riportare domani. Ti riaccompagno io, davvero, non ti mangio.”
Mangiami invece.
Lei sentì una strana sensazione al basso ventre, subito però si pentì della direzione che avevano preso i suoi pensieri.
Teodora annuì in silenzio, poi lo seguì mentre si dirigeva verso l'uscita del cortile che dava sul parcheggio. Un momento dopo si ritrovò seduta nella sua macchina, un Audi nera che le sembrò parecchio costosa.
La testa le faceva un male tremendo e, per calmare il dolore alle tempie, l'appoggiò al finestrino freddo chiudendo gli occhi. Lui si allacciò la cintura poi si sporse per allacciare anche quella lei, che pensò, sempre tenendo gli occhi chiusi, che il suo odore era buonissimo, di pulito e di menta.
"Abito in Via Dell'Osservanza, ci si arriva da Porta San Mamolo.."
"Bene"
disse semplicemente lui, senza staccare gli occhi dallo specchietto mentre metteva in moto e faceva retromarcia per uscire dal parcheggio.
Teodora sentiva la testa estremamente pesante e il pizzicore nelle guance ed in gola aumentava.
Non vomitare, non vomitare, non vomitare.
Si mise una mano davanti alla bocca piegando il busto davanti con i capelli che le coprivano il viso. Provò a fare respiri profondi più volte, ma la situazione non migliorava.
Dopo circa un minuto, mentre da Via Stalingrado si dirigevano verso il centro, lei non ce la fece davvero più.
"Ti prego fermati, mi sento male!"
Lui senza voltarsi accostò vicino ad un giardino tra due condomini, lei si slacciò la cintura e si precipitò fuori dalla macchina.
Teodora fece giusto in tempo a nascondersi dietro un albero, in modo che lui non la vedesse, prima di rimettere la sua cena e tutto l'alcool che aveva bevuto nel corso della serata. La testa le pulsava dolorosamente, con la mano destra si reggeva appoggiandosi al tronco dell'albero, con la sinistra invece si teneva i capelli in modo che non si sporcassero.
Sentì la portiera della macchina di Gregorio sbattere e Teodora si preoccupò che stesse venendo lì a controllare che lei stesse bene: che la vedesse così era l'ultima cosa che desiderava in quel momento.
Dopo qualche secondo di attesa in cui lui non si fece vivo si calmò, prese un fazzoletto dalla sua pochette e se lo passò sulla bocca, con un altro poi si pulì le palpebre dal mascara colato.
Quando tornò verso la macchina teneva la testa bassa e camminava guardandosi i piedi: non si era mai vergognata tanto in vita sua.
Lui l'aspettava in piedi, appoggiato alla portiera del passeggero, stringendo in mano un cartoccio bianco e una bottiglia di acqua frizzante.
"Tieni, ti sistema lo stomaco"
Nel pacchetto Teodora trovò due piadine calde che Gregorio aveva comprato in una bancarella li vicino, di quelle che restano aperte tutta la notte e che per lo più si trovano vicino alle discoteche.
Ha, ecco dov'era andato…
"Grazie"
Lui annuì in silenzio, con un sorriso che lo faceva sembrare ancora più affascinante, guardandola mentre beveva d'un sorso metà della bottiglietta d'acqua che le aveva preso.
"Cazzo Marta!"
Teodora si rese conto che non si era nemmeno preoccupata di avvertire le sue amiche che se n'era andata. Cercò freneticamente il telefono nella borsetta e le inviò un messaggio, già sapendo però che non sarebbe bastato e che il giorno dopo si sarebbe sorbita una ramanzina epica, di quelle che avrebbe ricordato per anni.
 
Mati stavo male e mi sono fatta accompagnare a casa
da un mio compagno di corso che ho incontrato.
Scusa scusa scusa se sono sparita ma stavo malissimo e
non mi sono nemmeno resa conto di quello che facevo.
Domani potrai sgridarmi quanto ti pare
Ti voglio bene!
 
Teodora fissò lo schermo del suo iPhone mentre il messaggio veniva inviato e compariva in una nuvoletta azzurra sotto gli altri mandati da lei e da Marta. Pensò che la bugia del compagno di corso suonava decisamente meglio che la verità: mi ha portata a casa un tizio sconosciuto, che sicuramente ha dieci anni più me, ma tranquilla, è bello da morire!
"Speriamo che lo legga… ad ogni modo domani mi ammazzerà comunque"
Gregorio si strinse nelle spalle, poi allungò il braccio e le tolse una foglia che le si era impigliata nei capelli poco prima, i suoi occhi si fecero se possibile ancora più scuri.
Ennesimo tuffo al cuore per Teodora, che si chiese come lui potesse farle quell'effetto con così poco. Chissà come sarebbe stato baciarlo…
Lui le afferrò una ciocca di capelli e se la attorcigliò tra le dita.
“Mi piacciono i tuoi capelli, bambolina”
Teodora spalancò gli occhi e si ritrovò a bocca aperta.
Bambolina?
Gregorio si passò una mano tra i capelli e le rivolse un sorriso divertito.
Ma mi prende in giro?
"Ti porto a casa."
"Grazie… Scusa ancora per il disturbo"
"Di niente"
Teodora vide che lui si era infilato qualcosa in tasca e si chiese se era la foglia che lei aveva prima tra i capelli. Che idea stupida pensò, ma si rese conto che non gliel'aveva vista buttare.
Risalirono in macchina e Teodora assaggiò un pezzetto di piada, dubbiosa che il suo stomaco potesse sopportare del cibo tanto presto. Deglutì un paio di bocconi e la nausea non le tornò, anzi si sentì decisamente meglio.
"Hai ragione… ti sistema lo stomaco sul serio"
"Bene"
Lei si voltò verso di lui che non staccava gli occhi dalla strada: non aveva notato quanto le sue spalle fossero larghe e, contando quanto era alto, la sua figura era davvero impressionante. Si ritrovò a pensare quanto potesse sembrare un gladiatore romano, con quelle braccia muscolose e quelle mani così grandi. Guardandosi le sue, che erano piccole e bianche, si chiese che sensazione le avrebbe dato se lui gliele avesse strette.
"Allora, che cosa fai nella vita?"
Lui muoveva lentamente le mani sul volante, esprimendo in pochi fluidi gesti un estrema sicurezza, e anche un incredibile forza. Teodora non riusciva a staccare gli occhi dai suoi avambracci, che spuntavano dalla camicia verde militare arrotolata sopra i gomiti.
"Possiedo alcuni locali in centro, ho delle persone che li gestiscono."
"Ha.. wow…"
"Tu studi?"
chiese Gregorio prima che lei potesse fargli altre domande.
"Si sono al secondo anno di Conservazione dei Beni"
Lui annui voltandosi verso di lei, che pensò che non era mai stata attratta tanto da qualcuno come lo era da lui. Ed il che era strano perché non era proprio il suo tipo: di solito lei piacevano ragazzi dal viso dolce, da bambini cresciuti, mai più grandi di lei. Ragazzi che non la mettevano in soggezione. Ma lui era troppo alto, troppo adulto, troppo scuro. E i suoi occhi erano davvero troppo neri.
Senza volere le venne da sorridergli, lui, invece che ricambiare, aggrottò leggermente le sopracciglia, arricciando le labbra. In imbarazzo, Teodora tornò a guardare la strada davanti a lei.
"Siamo arrivati."
Gregorio accostò esattamente davanti al portone del palazzo di Teodora, mise in folle e spinse il tasto delle doppie frecce. Lei pensò che doveva essere stata davvero ubriaca quando se ne erano andati dal Kindergarten, perché non si ricordava di avergli detto il numero civico.
Si slacciò la cintura e si fermò a guardarsi le unghie delle mani smaltate di lilla, che quel mese era il suo colore preferito. Le faceva pensare ai fiori, all'estate e al costume da bagno preferito della tata, quello che indossava sempre quando lei era piccola e andavano al mare in Sardegna.
"Allora… ti ringrazio davvero per il passaggio, e… beh per l'aiuto… "
Lui la guardò socchiudendo gli occhi, poi allungò una mano verso di lei, per poi fermarla a mezz'aria e ritirarla quasi subito. Il battito del cuore di Teodora accelerò leggermente.
"Tu… disinfettati quel ginocchio" disse freddamente, facendola sentire a disagio.
Forse si era aspettata che lui le dicesse qualcos'altro, con un tono diverso. In realtà non era sicura di che cosa avrebbe voluto sentire, la verità era che lui la metteva terribilmente in soggezione e che sarebbe stata meglio solo una volta scesa da quella macchina, al sicuro tra le mura di casa sua. Però, quella piccola parte di Teodora che si nascondeva per la maggior parte del tempo, voleva passargli le dita sulla pelle del braccio, sentire se era caldo, e voleva farlo ridere, per sapere come si sarebbe sentita.
"Certo." rispose lei in maniera brusca, recuperando in fretta la borsa che le era scivolata tra i piedi, sotto al sedile. Velocemente si tolse la giacca che le aveva prestato, gliela porse e Gregorio l’appoggiò sul sedile posteriore.
Lui si passò una mano tra i capelli che gli coprivano la fronte, poi si girò verso il finestrino sul quale si rifletteva il suo profilo trasparente.
"Tu…Sei solo una bambina. E’ troppo presto."
"E questo che cosa vorrebbe dire? Presto per cosa?"
Ma di che cavolo parla?
Lui strinse le spalle e, dopo qualche secondo di silenzio in cui lei lo fissava stupita ma soprattutto infastidita, accese la radio.
"Senti, grazie ancora per l'aiuto ma ora devo andare. Buonanotte."
Usci in fretta dalla macchina, chiudendo rumorosamente lo sportello dietro di sé.
Trovò le chiavi di casa e un attimo dopo appoggiava la schiena alla porta che dava sul cortile interno del suo condominio.
Respirò a fondo un paio di volte e corse salendo le scale: le venne la pelle d'oca sulle braccia mentre ripensava al suono della sua voce.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5.
 
Teodora si svegliò a mezzogiorno, con la lingua che sembrava fatta di carta vetrata e con un sapore dolciastro in bocca che le dava la nausea.
La testa le pulsava terribilmente e le palpebre si erano appiccicate tra loro perché non si era struccata prima di addormentarsi.
La notte precedente, subito prima di crollare in un sonno senza sogni, si era tolta vestito e collant e si era infilata sotto il piumone in biancheria intima, senza nemmeno togliersi gli orecchini e i due bracciali che indossava.
Le ci vollero cinque minuti buoni per decidere ad alzarsi, poi prese i pantaloni della tuta e una t-shirt verde da un cassetto.
Per prima cosa si lavò i denti, nel tentativo di cancellare il sapore di ruggine e marcio che sentiva in gola, evitando accuratamente di guardarsi allo specchio. Era sicura che il suo viso, tra trucco sbavato e capelli in modalità “nido-di-uccello”, fosse in condizioni pietose.
La seconda tappa fu la cucina, si era svegliata con lo stomaco che brontolava rumorosamente: versò una dose abbondante di cereali al cioccolato e nocciole in una tazza, inondandoli di latte parzialmente scremato. Mise sul fuoco una moca di caffè e mentre aspettava fosse pronto accese la tv e si sedette sul divano a mangiare.
Ripensò a quello che era successo la sera prima e senti lo stomaco contorcersi.
Aveva lasciato le sue amiche senza nemmeno avvertire per farsi accompagnare a casa da uno sconosciuto. Sconosciuto che avrebbe potuto stuprarla, farla a pezzi e gettarla in un vicolo per quanto nel sapeva.
Decisamente una scelta intelligente, Teodora: più invecchi più diventi furba.
Ricordò quando lei gli aveva fatto accostare la macchina per poter vomitare dietro ad un albero: si sentì avvampare le guance, chiuse gli occhi aggrottando le sopracciglia e si mise una mano sulla fronte.
Non si era mai vergognata tanto.
Versò il caffè in una tazza, in una quantità che sarebbe bastata per due persone, e ci mise dentro una dose doppia di dolcificante. Poi decise che i cereali non l’avevano saziata e, anche sapendo che si sarebbe sentita in colpa, cercò i biscotti ai cereali e cioccolato che la tata mangiava quando le veniva il ciclo e aveva bisogno di zuccheri.
Squillò il telefono e Teodora sobbalzò leggermente.
Prese il cordless dal tavolino basso davanti al divano e tolse l’audio al televisore.
“Pronto?”
“Teodora perché non rispondi al cellulare, saranno due ore che ti chiamo!”
Teodora sospirò, sua zia diventava paranoica quando la lasciava a casa da sola, pensava sempre che potesse succederle chissà che cosa, immaginandosi scenari drammatici che includevano quasi sempre stupratori e serial killer.
Bhe questa volta avrebbe potuto aver ragione furbacchiona.
Le ricordò la vocina fastidiosa nella sua testa.
“Scusami tata, mi sono appena svegliata, abbiamo fatto tardi ieri sera…”
Però il cellulare avresti dovuto sentirlo squillare non pensi? Avrebbe dovuto svegliarti…
Continuò la stessa vocina.
“Mi sono preoccupata da morire, potevi mandarmi un messaggio dicendomi che avevi fatto tardi ma che eri tornata a casa e stavi bene”
Teodora sbuffò e si passò di nuovo la mano sinistra sulla fronte.
“tata sono grande, non ho pensato che ti potessi preoccupare e poi i comuni mortali dormono la domenica mattina.”
Disse bruscamente, quasi subito però si pentì del tono che aveva usato.
“Non c’è bisogno di rispondermi così male. E’ normale che mi preoccupi poi, ho solo te..”
“Si scusa… ho solo un gran mal di testa, forse è il caso che torni a letto un altro po’, ti richiamo nel pomeriggio va bene? “
“va bene tesoro, ci sentiamo più tardi. Prenditi un aspirina ok?”
“Ok” poi ci pensò su e cambiando tono disse “Ti voglio bene tata”.
Tutto d’un tratto si era sentita in colpa per non dirglielo abbastanza spesso e prima di riattaccare, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco, si chiese quanto fosse necessario ripeterlo perché le persone continuassero a volersi bene.
Fu solo dopo essersi mangiata quattro dei biscotti di sua zia inzuppati nel caffè che la vocina nella sua testa si fece risentire.
Forse è il caso che controlli il cellulare, ci saranno le chiamate della tata e almeno un milione di Marta e le altre… è strano però che tu non l’abbia sentito squillare..
Le ci volle mezz’ora di ansiose ricerche per capire che la ragione per cui non lo aveva sentito era semplicemente perché il suo telefono non era dove doveva essere. Non lo trovò nella borsa che aveva usato la sera prima ne in nessun’altro luogo della casa dove le sarebbe potuto cadere.
“Ecco ora sono fregata”
Disse mentre si lasciava cadere pesantemente sul divano, si passò poi la mano destra tra i capelli sospirando. La zia non le avrebbe comprato un altro telefono tanto presto, e lei non aveva più abbastanza soldi da parte dai lavoretti che aveva fatto l’estate prima.
“Ma cazzo come ho fatto a perderlo?” esclamò guardando il soffitto “Sono proprio un idiota!”
 
Il resto della giornata passò lentamente: dopo aver deciso che non aveva le energie ne sopratutto la voglia di mettersi a studiare, con il computer sulla pancia si guardò gli ultimi tre episodi della sesta stagione di Game of Thrones, quelli che ancora non aveva visto.
Poi fece merenda, con un appetito che quel giorno sembrava insaziabile, e telefonò a Marta con il cordless di casa.
“Come hai potuto andartene senza dirci nulla, sono morta di paura, pensavo di avessero stuprata o chissà che cosa! sono incazzata nera, sappilo! Chi cavolo ti ha portata a casa poi? ”
Le urlò Marta nelle orecchie appena rispose alla telefonata, senza lasciarle il tempo di dirle nulla, nemmeno di scusarsi.
“E poi, ti pare che mi chiami alle cinque del pomeriggio? Sono stata in pensiero tutto il giorno, ti avrò cercata mille volte! stavo per venire da te a vedere se stavi bene!” continuò l’amica
“Lo so, davvero, mi sono comportata malissimo! Mi sento così in colpa, ma ero talmente ubriaca che sul momento mi sono scordata di avvertirvi che tornavo a casa…però sto bene, non mi è successo nulla!”
“Ma poteva succedere! Sei stata una cretina irresponsabile!”
Teodora si guardava i calzini a righe viola e bianche che indossava mentre annuiva con le labbra strette, come se l’altra potesse vederla e questo la convincesse di quanto fosse pentita dell’errore.
“E poi per quale motivo non rispondi al telefono?”
“Ha ecco… credo di averlo perso…”
Teodora senti l’amica sospirare rumorosamente e capì che si era rassegnata al corso degli eventi e per quel giorno avrebbe smesso di sgridarla.
“Ti presto il mio vecchio Iphone 5, ok? sei un tale disastro Teddy…”
“Già, la tata si arrabbierà da morire questa volta, era praticamente nuovo..”
“Ah, a proposito, ho la tua giacca”
Le due chiacchierarono per un'altra mezz’ora e Marta le raccontò tutto quello che si era persa della sera precedente: Cecilia aveva incontrato un ragazzo troppo carino che le aveva offerto da bere e Matilde ubriaca le aveva confessato che forse si era innamorata di Edoardo.
Quando riattaccò Teodora ripensò a Gregorio e arrossì senza volere.
Poi si chiese come fosse possibile che lei non si fosse mai innamorata di nessuno, tutti quelli con cui era uscita erano durati davvero poco: alcuni troppo noiosi, altri così diversi da lei, così ottusi.
Chissà come ci si sentiva ad essere innamorati, era vero che si vede tutto in maniera diversa? E poi, sapere di essere ricambiati doveva essere davvero la sensazione più bella del mondo…
Si sdraiò sul divano con l’intenzione di leggere “L’ombra dello scorpione”, voleva concludere il capitolo che aveva iniziato il giorno prima.
Non riuscì a finire nemmeno tre pagine che già dormiva, con il polso sinistro sulla fronte e il libro aperto sulla pancia.
 
Fu lo squillo del telefono a svegliarla, due ore dopo.
Teodora si alzò velocemente ed il libro le cadde per terra piegando alcune pagine verso l’interno.
Prese il cordless convinta che fosse ancora sua zia a chiamarla, conoscendo il suo dono di cercarla sempre nei momenti meno opportuni, in particolare quando era sotto la doccia o quando dormiva.
Poi però lesse il numero che lampeggiava sul display verde e si trovò a fissarlo stupita per qualche secondo: qualcuno la stava chiamando dal suo cellulare.
Dopo lo smarrimento iniziale, si rese conto che la spiegazione più probabile era che qualcuno estremamente onesto avesse trovato il suo Iphone e avesse cercato il numero di casa in rubrica per ritracciarla.
“Pronto” disse con un tono di voce più squillante di quanto avrebbe voluto.
“Sono sotto casa tua bambolina, ti ho riportato il telefono” rispose una voce profonda e fredda, che lei riconobbe subito.
Teodora usci sul balcone del salotto che dava sulla strada: sotto il cono di luce creato da un lampione Gregorio la guardava con un mezzo sorriso, appoggiato con la schiena alla portiera sinistra della sua macchina. Lei scorse la cover azzurra del suo cellulare, in parte coperta dai riccioli scuri che cadevano sulle orecchie e sulla nuca di lui.
“Scendi” continuò Gregorio, e Teodora non poté fare a meno di sobbalzare leggermente.
“Arrivo, dammi un minuto”
Riattaccò e si pentì di non aver detto altro. Forse avrebbe dovuto ringraziarlo subito per averle riportato il telefono, forse sarebbe stato più educato invitarlo a salire.
Corse in camera sua e si tolse velocemente il pantaloni della tuta e la t-shirt per sostituirli con leggings neri e una felpa. Poi si spazzolò i capelli e li legò in una coda alta, sperando che sembrassero puliti.
Prese le chiavi e si precipitò fuori di casa: fece tutto talmente in fretta che non si accorse del bicchiere sul tavolo della cucina che oscillava senza che nessuno lo avesse toccato e nemmeno delle due arance che dal cesto rotolavano silenziosamente e infine cadevano a terra.
 
“Ciao”disse lei mentre il portone d’ingresso si richiudeva alle sue spalle.
“Ciao” rispose lui, sempre sorridendo e con il sopracciglio destro leggermente inarcato.
Lei sentì un brivido correrle lungo la schiena, in lui c’era qualcosa di tremendamente pericoloso, selvaggio e violento, e Teodora si stupì di non essersene accorta prima.
I capelli gli incorniciavano il viso facendolo sembrare un leone scuro, gli occhi invece, sembravano un po’ folli, affamati.
“L’ho trovato sotto il sedile della macchina prima, continuava a squillare” lui allungò il braccio e le porse il telefono “Deve esserti caduto ieri sera”
“Grazie” disse Teodora con la voce stridula di prima, in questo caso ancora più acuta per via dell’imbarazzo, si sporse per prenderlo e ci mancò poco che non le scivolasse di mano.
Arrossì e si chiese come fosse possibile che ogni volta facesse la figura della cretina imbranata quando se lo trovava davanti.
Tranquilla, dopo aver vomitato dietro un albero tre minuti dopo esservi presentati non c’è nulla di peggio che tu possa fare..
“mi dispiace tu sia dovuto venire fino a qui, se mi avessi chiamata prima sarei passata io a prenderlo..”
“Non importa, ero di strada”
Teodora pensò che l’unico aggettivo che le veniva in mente per descrivere la sua voce era “buia”, esattamente come il resto di lui.
“Ti ho disturbata?”
chiese Gregorio, passandosi una mano tra i capelli che gli cadevano sulla fronte, come faceva sempre, avrebbe scoperto lei col tempo, quando era nervoso.
“No, non stavo facendo nulla, leggevo un po’ “
“Che cosa?”
Teodora lo guardò, stupita per la domanda che presupponeva l’inizio di una conversazione.
“Stephen King… L’ombra dello scorpione
“Ha, l’ho letto, mi piacciono i suoi libri”
Disse lui sorridendo, ma non con lo stesso ghigno di prima: a Teodora sembrò che gli occhi gli si illuminassero un pochino e arrossì mentre lo guardava.
“E’ il mio preferito, insieme ad It
continuò lei, felice per aver trovato qualcosa di cui Gregorio aveva voglia di parlare.
Il talismano lo hai letto?”
chiese poi lui, allungando leggermente la schiena verso di lei.
“No, avrei voluto però… vedi quello era uno dei preferiti di mia madre ma dopo che è morta, mia zia ha buttato la copia che avevamo in casa. Io non me la sono sentita di ricomprarlo…”
Mentre parlava Teodora si rese conto della facilità con cui aveva detto a uno sconosciuto della morte di sua madre, cosa di cui tendenzialmente faticava a parlare anche con le sue amiche.
Non è che la sua mancanza la facesse soffrire, in fin dei conti era morta quando era talmente piccola che ora si ricordava il suo viso solo perché era identico a quello della tata.
E ovviamente grazie a quei sogni.
In casa, però, parlarne era così proibito che con il tempo si era abituata a pensare che nessuno dovesse saperne nulla, che fosse qualcosa di talmente privato da non dover essere mai condiviso.
Gregorio si appoggiò nuovamente con la schiena alla macchina e a Teodora parve che volesse allontanarsi da lei.
“Mi dispiace”disse con una voce più fredda e roca di prima.
“figurati, è morta che io avevo tre anni…” poi smise di parlare perché non sapeva che altro dire, quante informazioni aggiungere. Abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
“Come è morta?”
“Cancro. Io però non mi ricordo nulla di quando si è ammalata o di quando era in ospedale… Ero troppo piccola”
Lui socchiuse gli occhi e contrasse la mascella.
“Se vuoi posso prestartelo io il libro” disse dopo qualche secondo di silenzio.
Lei lo guardò e sorrise, lui si passò ancora la mano sinistra tra i capelli.
“Grazie, mi farebbe piacere”
gli rispose, e si rese conto che stava quasi sussurrando.
“Bene, magari passo una delle prossime sere..”
Lei annuì e pensò che lui sembrasse un po’ a disagio.
“Ora devo andare, ho del lavoro da finire”
“Scusa ancora per il disturbo”
“Figurati” rispose lui, poi la guardò di nuovo negli occhi e il solito sorrisetto divertito riapparve. “Ti ho salvato il mio numero in rubrica.”
Poi salì in macchina e riparti senza dire altro. Teodora lo guardò andarsene chiedendosi perché, nuovamente, quei pochi minuti che aveva passato in sua compagnia la facessero sentire così come non si era mai sentita. Strinse il telefono nella mano destra.
Perché mi ha lasciato il suo numero?
Il suo modo di parlare, di muoversi, di guardarla attraverso quei incredibili occhi neri la rendevano ansiosa, confusa. Ecco che cosa voleva dire essere attratta da qualcuno: mentre gli stava vicino una parte di lei voleva toccarlo, sentire il suo odore, ma soprattutto voleva che lui provasse la stessa cosa nei suoi confronti.
 
Quando tornò in casa, notò subito le arance cadute dal tavolo della cucina e il bicchiere che si era ribaltato senza però rotolare a terra e rompersi.
L’acqua che conteneva ora sgocciolava macchiando il pavimento.
Teodora appoggiò la schiena alla parete, con le braccia lungo in fianchi.
Poi si accorse di un foglietto bianco sotto la gamba di una delle sedie, si chinò per raccoglierlo e vide che in realtà si trattava del retro di una fotografia. Girandola si rese conto che era quella di lei e sua madre in riva al mare che aveva trovato qualche giorno prima: la madre le teneva la mano e la guardava, Teodora sembrava invece rivolgere tutta la sua attenzione ad un secchiello rosso davanti a lei. I capelli della madre erano mossi dal vento e le coprivano in parte la guancia sinistra.
Teodora si ritrovò a fissarne le mille sfumature, calde e familiari, che ancora trasparivano dalla foto sbiadita dal tempo.
Dopo qualche secondo, o forse di più ma lei non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, i capelli cominciarono a muoversi, come se una brezza del mondo reale fosse trapelata in quello catturato dalla fotografia. Lentamente anche tutto il resto cambiò di posizione, la piccola Teodora si liberò dalla stretta della madre e prese con entrambe le mani il secchiello, l’altra, invece, rivolse lo sguardo verso chi stava dietro la macchina e si spostò i capelli dal viso.
Si posò la mano sinistra sul petto, sopra al bordo del costume azzurro che indossava, poi, con un gesto fluido e aggraziato, tese il braccio destro davanti a se, con l’indice puntato. Teodora capi che non era rivolto a colui che aveva scattato la foto, forse suo padre, ma a lei stessa, che guardava quel piccolo frammento del suo passato da fuori.
Per lo stupore sobbalzò, la fotografia le cadde e scivolò silenziosamente sotto al tavolo.
Fu in quel momento che ripensò, per la prima volta quel giorno, all’anziana signora che le aveva sconvolto la vita qualche sera prima.
Sentì il cuore che le si contraeva nel petto e capì con certezza che il martedì successivo sarebbe andata a quello strano appuntamento.
Qualcosa dentro di lei sapeva che non avrebbe potuto evitarlo, che tutto non sarebbe mai più stato come prima in ogni caso.
Voleva la conferma che quello che Adela le aveva detto era vero, e si rese conto che ci sperava con tutta se stessa.
Sono una strega.
Si disse, con il cuore che le batteva forte.
Mia madre lo era e io sono come lei.
E a questo pensiero si senti pervadere da un’onda di gioia inaspettata e disarmante.
 
 
 
 
 
           
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Capitolo 6.
 
Teodora si guardava allo specchio mentre si spazzolava i lunghi capelli ondulati: lo faceva con forza, passandosi ogni tanto le dita della mano sinistra tra le ciocche morbide, sentendo la pelle sensibile della cute.
Osservò i suoi grandi occhi castani, di quel caldo color miele che a volte sembrava quasi giallo, le sue ciglia lunghe e nere, il suo naso sottile e le labbra carnose con l’arco di cupido poco pronunciato. Si trovò bella e sorrise, decise che ogni mattina si sarebbe guardata allo specchio e lo avrebbe detto a voce alta, male di certo non poteva farle.
Si chiese se si sarebbe mai più vista allo stesso modo, dopo quella sera. Parte di lei era terribilmente eccitata, voleva uscire il più presto possibile di casa e tuffarsi in quel mondo nuovo che l’aspettava.
Allo stesso tempo però, aveva paura: quanto di lei sarebbe rimasto uguale? Quanto sarebbe cambiato?
L’idea che forse il giorno dopo sarebbe potuta essere una persona completamente diversa la metteva notevolmente a disagio.
Si sfilò il paio di jeans che stava provando e rimase in biancheria intima qualche minuto davanti allo specchio. Poi, pensando che in fin dei conti le sue gambe sembravano molto più sottili negli ultimi tempi indossò una gonna in velluto a coste azzurro, un maglioncino nero e collant scure.
Si truccò un po’, giusto per apparire un po’ meno bambina: quello non sarebbe stato un giorno come gli altri, e aveva bisogno di affrontarlo come un’adulta.
“Tata vado da Marta, non mi aspettare” urlò verso la cucina, dove sua zia stava sistemando i piatti sporchi nella lavastoviglie.
Sua zia si affacciò alla porta di camera sua e Teodora pensò che in lei ci fosse qualcosa di strano.
Si stringeva le mani all’altezza dell’ombelico, torturandosi nervosamente le dita.
“Ma uscite o restate in casa?” chiese, con gli occhi leggermente spalancati.
Teodora si chiese se magari avesse avuto una giornata pesante a lavoro.
“Non so, magari usciamo per bere qualcosa”
rispose, stringendosi nelle spalle.
La guardò dritta negli occhi per qualche secondo senza dire nulla e Teodora si rese conto che era molto più pallida del solito.
“Non fare troppo tardi tesoro” disse infine.
Dopo qualche secondo ancora si sporse verso di lei e l’abbracciò forte. Teodora contraccambiò un po’ perplessa.
“Ti voglio bene tata”
Poi si mise la giacca e uscì di casa.
Lei mi vedrà allo stesso modo domani?
Senza guardarsi indietro, si chiuse la porta alle spalle e scese le scale di corsa, con il cuore che le batteva all’impazzata nel petto.
 
Erano le sette e mezza quando Teodora si sedette su una delle panchine di Piazza Cavour, la stessa dove qualche sera prima aveva incontrato Adela.
L’aria della sera era fresca e le foglie degli alberi si muovevano facendo un suono che a Teodora parve incantevole, come una musica antica.
Si scostò i capelli della fronte e cominciò a intrecciarne una ciocca, altra cosa che faceva quando era nervosa. In una panchina alla sua destra sedeva una ragazza dai capelli rossi, che teneva legati in uno chignon disordinato, e con le guance piene di lentiggini.
Aveva una corporatura molto esile e non le sembrò particolarmente alta; vestiva con una giacca di jeans di quelle con fodera in sherpa, che Teodora trovò molto carina, pantaloni aderenti neri ed un maglione bordeaux a collo alto.
Teodora pensò che sembrava una fatina, le mancavano solo le orecchie a punta.
A proposito di fate, esistono anche quelle? Oddio voglio vedere una fata.
Ma quindi vuol dire che già ci credo, ma ci credo sul serio?
Come se si sentisse osservata, la ragazza dai capelli rossi si voltò verso Teodora, che si accorse che aveva dei bellissimi occhi verdi, e le rivolse un sorriso aperto e spontaneo.
“Ciao, stai aspettando Adela?”
Il cuore di Teodora cominciò a battere un po’ più forte mentre ricambiava il sorriso.
“Come lo hai capito?”
La ragazza alzò il dito indice, con l’unghia di color rosa confetto, indicando sopra la testa di Teodora. Lei si voltò e guardando in alto si rese conto che due piccole farfalle di fuoco le volavano sopra.
“Ha.. non le avevo viste. Ne compaiono ovunque ultimamente…”
L’altra si alzò con un movimento aggraziato e le si sedette di fianco.
“Si anche io ne vedo dappertutto, Adela ha detto che sono fatte di magia o che si nutrono di magia, una cosa cosi.”
Disse lei osservando le piccole fiammelle arancioni che ora svolazzavano sulle teste di entrambe.
“Ah comunque, io sono Agnese, piacere!”
Teodora sentì un forte senso di sollievo alla bocca dello stomaco.
Non sono sola. Non dovrò aspettare qui da sola se non verrà nessuno.
“Teodora, piacere” rispose lei, stringendole la mano. Si accorse di un piccolo triangolino marrone nell’iride sinistra di Agnese e lo trovò delizioso.
“Tu… ecco, tu sapevi già di tutto questo?” continuò Teodora, indicando prima le due farfalle di fuoco sopra di loro e poi se stessa e Agnese.
“Fino alla settimana scorsa non ne avevo idea… “ rispose l’altra, toccandosi il collo con la mano destra e arrossendo un pochino. “Ultimamente stavano succedendo un sacco di cose strane, pensavo di star impazzendo… non avevo assolutamente idea che fosse questo.”
La ragazza pronunciò “questo” abbassando il tono di voce, come se qualcuno passando di lì avrebbe potuto capire di che cosa stavano parlando.
“Già… Adela mi ha detto che anche mia madre era cosi…una strega” anche Teodora pronunciò l’ultima parola abbassando la voce.
“Ma è morta quando ero piccola quindi non ne sapevo nulla” disse.
Sospirando riprese a intrecciarsi i capelli.
“Anche una mia cugina lo era” riprese Agnese “ma è morta qualche settimana fa, Adela mi ha detto che è stata uccisa da un vampiro” disse lei, abbassando nuovamente il tono di voce.
“Io ad ogni modo non ne sapevo nulla, non la vedevo spesso… credo che fosse l’unica in famiglia”.
“Anche mia mamma è morta così, a me hanno sempre detto che era stato un cancro.”
Teodora sentì la voce incresparsi un pochino e pizzicarle un po’ gli occhi. Come era possibile parlare con tanta tranquillità di un argomento cosi difficile con qualcuno che aveva appena conosciuto? Era come le era successo con Gregorio qualche sera prima.
“Tu hai idea di quello che faremo stasera? Perché ci hanno fatte venire qui?” continuò Teodora, in parte con la speranza di cambiare argomento, in parte perché era molto curiosa.
“Da quello che ho capito devono toglierci l’incantesimo che ci ha tenuto i poteri magici bloccati fino ad ora… ma non ho idea di come lo faranno” Agnese si appoggiò con la schiena alla panchina e piegò la testa all’indietro, guardando i rami degli alberi sopra di loro che si muovevano al ritmo del vento.
“Spero non faccia male”
Beh almeno non sono l’unica ad avere paura.
Mentre Teodora stava per rispondere che lo sperava anche lei, una voce squillante attirò la sua attenzione.
“Teodora e Agnese vero?”
Una ragazza piccolina, con lunghi capelli di un biondo chiarissimo che le arrivavano alla vita, si fermò davanti a loro. Indossava una felpa nera, una gonna lunga a fiori che le arrivava fino ai piedi e un paio di Dottor Martens blu. Sul suo piccolo nasino all’insù portava occhiali da vista con montatura tartarugata, molto grandi ma che non nascondevano i lineamenti armoniosi e delicati del suo viso e che mettevano in risalto un paio di occhi scuri da togliere il fiato.
“Io sono Bianca, la Strepitosa Veggente, al vostro servizio.”
Si afferrò la stoffa della gonna e abbozzò un inchino.
Teodora pensò che doveva essere eccentrica quanto bella, e si chiese se tutte le altre streghe che avrebbero conosciuto fossero così.
“Sono venuta a prendervi, la macchina ci aspetta davanti al Tribunale, Adela la vedremo a destinazione” continuò, indicando con la mano alla sua destra, dove effettivamente si trovavano gli uffici del Tribunale di Bologna.
Teodora e Agnese si alzarono e a turno le strinsero la mano e si presentarono.
“Se sei una veggente vuol dire che vedi il futuro?” chiese Agnese mentre si avviavano insieme.
“Certo, e sono anche la migliore in circolazione. Non la migliore mai esistita perché Aura la Saggia mi batte ma ci sto lavorando.”
Teodora pensò che la sua voce era adorabile e quando parlava pareva che mille campanellini suonassero insieme.
“Per questo sapevi che eravamo noi che ti stavamo aspettando?” chiese Agnese.
“No, in realtà ho fermato altre due coppie di ragazze venendo in qua, e tutte mi hanno guardato malissimo quando ho detto che sono strepitosa.” Con un gesto veloce si spostò i capelli dietro alle orecchie e increspò le labbra.
Teodora si chiese se il problema fosse che si era presentata come strepitosa o come veggente.
“Dev’essere perché non mi hanno mai vista in abito da sera” disse mentre si voltava verso Teodora e le faceva l’occhiolino. Lei sorrise e si rilassò ancora di più, pensando che se tutte le streghe erano cosi non aveva di che preoccuparsi.
Le tre camminarono fino ad un SUV nero di grandi dimensioni, in cui le aspettavano altre due donne. La prima si presentò come Marianna, aveva lunghi capelli neri e due luminosi occhi castani, ed era la madre dell’altra, Angela.
Angela era spettacolare, Teodora non trovò nessun aggettivo più appropriato a descriverla. Indossava un vestito nero scollato di pizzo molto corto, una giacca dello stesso colore e delle ballerine rosse. Era alta e il vestito le metteva in risalto le forme proporzionate e due delle gambe più belle che Teodora avesse mai visto.
I capelli le arrivavano alle spalle ed erano dello stesso colore di quelli della madre, il suo naso era un po’ grande ma comunque proporzionato e aveva le labbra sottili ma belle.
Ma come è possibile che siano tutte cosi belle?
Angela sorrise e si sistemò i capelli con la mano, Teodora ebbe l’impressione che fosse perfettamente consapevole della propria bellezza.
Dopo essersi sistemate nel SUV e aver messo in moto, Angela, che sedeva davanti di fianco alla madre si voltò verso di loro.
“Allora da quello che ho capito nessuna di voi ha idea di quello che faremo stasera vero?”
disse guardandole con gli occhi spalancati.
Teodora e Agnese annuirono, arrossendo entrambe.
“Mia mamma che è una strega anche lei, quindi ne so abbastanza, conosco già la maggior parte dei membri della congrega” continuò sorridendo. Teodora si senti leggermente in soggezione.
Marianna tolse la mano dal cambio e la posò su quella della figlia, poi alzò lo sguardo allo specchietto retrovisore per poter vedere le ragazze sedute dietro.
“Capisco quanto possiate essere confuse ragazze, io pure quando avevo la vostra età non ne sapevo nulla, è stata una doccia fredda scoprirlo. Ma posso assicurarvi una cosa: non vi pentirete mai di essere venute qui stasera.” Disse sorridendo in maniera gentile.
“La sede della congrega” continuò mimando con le dita due virgolette mentre pronunciava la parola “sede”. “si trova in un palazzo storico del centro, vi ci porteremo nei prossimi giorni quando inizierete la vostra educazione.”
Teodora si chiese che cosa intendessero con educazione, ma si scoprì parecchio eccitata invece che preoccupata.
“Quello che faremo stasera si svolgerà in un luogo sacro a monte Paderno e si farà oggi perché è l’equinozio di primavera, giorno di Eostre, personificazione della Madre come dea della fertilità.“
Bianca in quel momento rise eccitata “C’è un sacco di magia nell’aria oggi” alzò la testa verso l’alto e inspirò forte “Non ne sentite l’odore?”
Marianna spostò nuovamente lo sguardo verso Teodora e Agnese.
“So che sono molte informazioni tutte insieme, e che probabilmente non capite bene quello che vi sto dicendo, ma provate a fidarvi e ascoltatemi bene”
Teodora si chiese se non fossero state rapite da una setta di wiccan invasate e se sarebbero tornate a casa sane e salve quella sera. Magari le avrebbero sacrificate su un altare nei boschi al chiaro di luna. Splendido, ci mancava.
“E’ tradizione che i poteri delle nuove streghe vengano sbloccati in occasione del solstizio di primavera, i confini tra il Velo e il mondo umano sono più labili che durante il resto dell’anno, la magia è molto forte oggi.”
“Che cos’è il Velo?” chiese Agnese.
“Il Velo sono tutte le creature magiche esistenti: noi, le fate, le ninfe, i folletti, tutti insomma” rispose Angela. “Con Velo si intendono tutte le diverse specie ma anche la dimensione di cui fanno parte.”
“In che senso “la dimensione di cui fanno parte”?” domandò Teodora confusa.
“La magia è in tutte le cose ma per gli esseri umani è quasi impossibile vederla. Il “Velo” è la dimensione della magia, dove esistono tutte le creature magiche.” Le disse Marianna.
Teodora annuì, senza però aver capito bene quello che le avevano spiegato.
“Stasera ne vedrete parecchie di creature magiche, sono sempre attratte quando c’è molta magia. E oggi ci sarà tutta la congrega.” Disse Bianca. “State lontane dai folletti però, sono infidi e traditori, e voi siete così innocenti che potrebbero approfittarne.”
Folletti? Ma dove sono capitata?
Marianna si schiarì la voce con un colpo di tosse.
“Si, lasciate perdere i folletti, non sai mai da che parte stanno. La loro magia è tanto forte quanto loro sono avidi, e anche se non dovrebbero fanno sempre affari con i vampiri.”
“Quindi i vampiri sono malvagi?” chiese timidamente Agnese “Adela mi ha detto che mia cugina è stata uccisa da uno di loro”.
Marianna strinse le mani sul volante, tanto da farsi diventare bianche le nocche.
“I vampiri sono abomini.” disse solamente.
Dopo un silenzio che a Teodora parve durare un eternità, Bianca prese la mano di Agnese che le sedeva di fianco.
“Clementina era una mia cara amica, è stato orribile quando abbiamo scoperto che l’avevano uccisa.” Le tremava un po’ la voce.
“Ma perché dite che sono stati i vampiri e non un comune assassino?” chiese Teodora curiosa.
“Beh, prima di tutto Clementina non si sarebbe di certo fatta uccidere da un essere umano, era forte la ragazza, per aver riacquistato i suoi poteri solo da un anno il suo controllo del fuoco era strepitoso” disse Bianca, con gli occhi persi da qualche parte fuori dal finestrino. Poi voltandosi verso Teodora continuò:
“Poi l’hanno trovata completamente dissanguata, quindi è abbastanza chiaro che sia stato un vampiro”.
“Però al telegiornale hanno detto che aveva la gola e i polsi tagliati” disse Teodora “non avrebbero dovuto trovare, che ne so, segni di morsi?”
Marianna negò, muovendo la testa in maniera decisa.
“I tagli sono solo una maniera per camuffare quello che fanno agli occhi degli esseri umani.”
“I vampiri sopravvivono benissimo senza uccidere le proprie vittime, non hanno bisogno di dissanguarle per nutrirsi, tra l’altro hanno anche un sacco di gente che lavora per loro nelle banche del sangue, quindi hanno cibo a volontà quelle sanguisughe schifose.” si intromise Angela, parlando velocemente e con le guance arrossate.
“Ma quindi i vampiri possono stringere relazioni con le persone normali?” Chiese Agnese “Da quello che mi aveva fatto capire Adela, se sei una creatura magica rivelarsi a loro è proibito.”
“Il più delle volte” rispose Marianna “Per quanto riguarda noi ci sono occasioni in cui siamo costrette a stringere accordi con alcuni di loro, capi di stato e persone importanti, perché ci aiutino a mantenere meglio il segreto… Nella società di oggi purtroppo è necessario” disse sospirando, come se ancora non si fosse abituata bene all’idea.
Teodora si chiese quanti anni avesse Marianna, e si ripromise di domandarlo ad Angela in futuro.
“Poi noi abbiamo delle famiglie, non si può tenere il segreto con tutti.” la interruppe Bianca.
“Per i vampiri ad ogni modo è diverso, loro hanno impiegati umani che svolgono i loro affari durante il giorno, le sanguisughe sono sempre state schifosamente ricche” continuò Marianna, e il disprezzo nella sua voce era palpabile. “Tra altro, è comune che certe persone gli si offrano spontaneamente”
“In che senso?” chiese Teodora, sentendo un brivido fastidioso lungo la schiena.
“Il mondo è pieno di pazzi a quanto pare” disse Angela, stringendosi nelle spalle.
“Molte persone trovano affascinante donarsi a loro, e farci anche altre cose, la moda di “Twilight” non ha aiutato.”
Teodora si chiese che cosa intendessero con “altre cose”, ma non ebbe il coraggio di chiedere.
“Ma quindi se hanno la possibilità di nutrirsi senza problemi, perché hanno ucciso sua cugina?” domandò Teodora indicando Agnese.
“Beh ma perché ci odiano!” rispose Marianna “Immagino Adela ti abbia accennato qualcosa, noi e i vampiri siamo nemici giurati, da sempre. Se ce ne capita uno a tiro lo facciamo fuori e loro fanno lo stesso con noi.”
Teodora sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco, e si ritrovò a chiedersi quanta violenza c’era nel nuovo mondo in cui si stava buttando senza pensare.
In quel momento il grande SUV nero svoltò a porta San Mamolo, vicino a casa di Teodora, per prendere Via dei Colli.
“Da qui mancano circa venti minuti” disse Marianna.
“In che cosa consiste quello che faremo stasera?” domandò Teodora, cercando in parte di spostare l’attenzione dal tema “vampiro” che sembrava aver rovinato l’umore a tutte quante.
“Prepareremo una pozione che vi restituisca i poteri in maniera completa e definitiva, nessuno ve li potrà bloccare un'altra volta. Poi scopriremo di che casta fate parte.” Rispose Bianca, sorridendo di nuovo, ma con ancora lo sguardo perso chissà dove, tanto che Teodora si chiese se quella fosse la sua espressione abituale.
“Che cos’è una casta?” domandò.
“Ogni strega ha una diversa inclinazione magica, che la fa appartenere ad una diversa casta.” Rispose nuovamente Bianca. “Di base tutte abbiamo gli stessi poteri, e possiamo fare le stesse cose con la magia. Ci sonò però alcune capacità, legate ad un diverso elemento, che solo le streghe di una certa casta hanno. Per esempio, solo le streghe dell’aria come me possiedono la preveggenza e possono manipolare il vento” disse orgogliosa, poi rovistò nella sua borsa e trovò un pezzettino di carta che piegò nella forma di un areoplanino.
“Guardate” se lo mise sul palmo della mano e quello, dopo qualche secondo, si alzò di alcuni centimetri, guidato da una brezza fresca arrivata da chissà dove. Il piccolo areoplanino girò su se stesso un paio di volte, un po’ traballante, e poi tornò a posarsi delicatamente sulla mano di Bianca.
Teodora e Agnese la guardarono strabiliate.
“Ma sei incredibile!” disse quasi gridando Teodora e Bianca arrossì, sorridendo soddisfatta.
“Guarda questo allora” disse Marianna dal sedile davanti.
Staccò la mano destra dal volante e senza allontanare la sguardo dalla strada piego il palmo verso l’alto. Si sentì uno strano crepitio nell’aria e una fiamma arancione le comparve sulla mano, dalla fine del polso fino all’attaccatura delle dita.
“Io posso comandare il fuoco.”
Agnese si lasciò sfuggire un gridolino, emozionata. “Questa è la cosa più strepitosa che abbia mai visto” disse.
“Potrete farlo anche voi, non appena vi libereranno i poteri. E poi questo è niente, non avete idea di quello che sarete in grado di fare.” Continuò Marianna, con una punta di orgoglio nella voce.
“Ma chi ci insegnerà?” chiese Teodora.
“Dalla prossima settimana verrete tutti i giorni nel palazzo della congrega, e pian piano vi insegneremo tutto quello che dovete sapere su come usare i vostri poteri.” Marianna le guardò ancora dallo specchietto retrovisore.
“Ovviamente non siete obbligate, potete anche scegliere di non far parte della congrega e continuare con le vostre vite. Alcune streghe lo fanno.” Sospirò rumorosamente.
“Però i poteri vi verranno sbloccati comunque, se non lo facessimo si libererebbero da soli e non sarebbe piacevole. Farebbe molto male… si dice che certe streghe siano impazzite.”
Forse era quella la ragione del suo malessere negli ultimi tempi, la magia che provava a tornare e non aveva trovato via libera.
Teodora si chiese anche perché Adela non le avesse detto che sarebbe stato cosi pericoloso se non si fosse presentata all’appuntamento, forse era sicura che sarebbe venuta, magari aveva visto qualcosa in lei che glielo aveva fatto capire.
Nella macchina tutte si fecero silenziose per qualche minuto, e Teodora provò a rielaborare quanto gli era stato detto fino a quel momento. Il SUV procedeva silenzioso in una strada poco illuminata, costeggiata da alberi su entrambi i lati; sporgendosi a sinistra si potevano vedere le luci di Bologna che si facevano sempre più piccole mentre loro salivano per i colli che circondavano la città.
Sarebbe andata al palazzo della congrega per imparare a gestire i suoi poteri? Come avrebbe fatto con lo studio, con l’università? Forse questa nuova fase della sua vita era più importante di quella precedente? Teodora non ne aveva idea e si sentiva a disagio.
“Eccoci.”
Marianna svoltò in una strada secondaria, molto più stretta di quella da cui erano arrivate. I rami degli alberi e delle siepi più in basso strusciavano sui lati del SUV, facendo un rumore sgradevole, che ricordava quello del gesso sulla lavagna.
Procedettero così per alcuni minuti, durante i quali il cuore di Teodora batteva sempre più forte.
Finalmente arrivarono davanti ad un cancello in ferro battuto, che sembrava molto antico, illuminato ai lati dalla luce tremolante di due lampioni ricurvi. Attorno a questi volavano molte falene e, mentre le osservava, Teodora fu quasi sicura di vedere alcune paia di occhi argentati che le osservavano dall’oscurità, nel fruscio della vegetazione.
Di fronte al cancello due figure minute, coperte dalla testa ai piedi con un mantello scuro si avvicinarono alla macchina. Una delle due, quella più vicina al posto del guidatore si tolse il cappuccio e Teodora vide una ragazza dalle guance paffute, con grandi occhi verdi e capelli castani.
“Siete arrivate finalmente, la festa è già cominciata e ci eravamo stufate di aspettare” la ragazza si scoprì un braccio dal mantello e con la mano, piccola e piena di anelli colorati, toccò il ferro del cancello. Nel punto dove posò la mano questo si illuminò, come se fosse incandescente, e le ante si aprirono cigolando sui cardini.
“Passate” disse indicando la direzione con la mano “Noi vi raggiungiamo dopo aver sigillato tutto e scacciato i coboldi che si sono nascosti tra gli alberi.
Marianna sibilò.
“Parassiti… ne avete visti molti stasera?”
“No solo due, che tentavano di entrare di nascosto. Con tutta la magia che c’è nell’aria, la festa di stasera dovrà profumare come una mensa scolastica per loro.”
Mentre Teodora si chiedeva che cosa fosse un coboldo, la macchina attraversò il cancello e proseguì lungo la strada buia. Poi Bianca abbassò il finestrino e si sporse con quasi tutto il busto verso le due figure che erano rimaste indietro.
“Mariarosa non ci hai chiesto la parola d’ordine! Come fai a sapere che non siamo dei Goblin travestiti?” disse seria.
“Non siete un po’ piccoline? Non avete le corna poi…” rispose Mariarosa mentre la seconda strega al suo fianco rideva e si scopriva la testa, rivelando un cespuglio di capelli ricci e scuri “Qual era la parola d’ordine poi?”
“Assorbente usato” gridò Marianna, mentre il SUV si allontanava sempre di più.
“Che schifo” disse una mentre l’altra ridacchiava “Almeno è meglio di quella che ti sei inventata l’anno scorso.”

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


Capitolo 7.
 
Il SUV nero parcheggiò in un grande spiazzo tra gli alberi, vicino a numerose altre macchine.
Teodora si guardò intorno e si accorse che erano tutte vetture costose: c’erano varie Audi, alcune Mercedes e pure una Porche. Pensò che se i vampiri erano notoriamente ricchi nemmeno le streghe della Congrega dovevano essere da meno.
Le cinque donne si inoltrarono tra i fitti alberi che separavano il parcheggio da un’area da cui provenivano risate, canti e musica. Teodora rimase completamente sbalordita quando, lasciandosi il boschetto alle spalle, si ritrovò in uno spazio aperto enorme, circondato da alti pini, faggi e querce.
Nel centro della radura Teodora vide un grande monolite, alto almeno due metri, sul quale erano incisi simboli che non conosceva, ma che le parvero simili a rune. Attorno alla sua base erano state disposte candele accese, fiori raccolti in mazzi e diversi tipi di frutta, in particolare mele rosse. A quanto pareva le streghe adoravano le mele, che ironia pensò, e non poté fare a meno di piegare le labbra in un sorriso.
Attorno al monolite l’erba era coperta di cuscini e tappeti, sui quali sedevano moltissime donne: alcune di queste chiacchieravano animatamente, si tenevano per mano e ridevano, altre bevevano birra e quello che sembrava vino rosso in calici di vetro. Molte di loro accarezzavano gatti accovacciati sulle loro gambe, mentre altri camminavano tranquillamente sull’erba e sui tappeti.
Teodora scorse una donna dai lunghi capelli castani che suonava un violino, vicino a lei un’altra cantava con voce bellissima ed eterea una canzone che non riuscì  a riconoscere.
In prossimità del limite del bosco erano stati montati grandi tendoni colorati, all’interno dei quali la ragazza scorse lunghi tavoli ricoperti di piatti colmi di cibo e di diversi tipi di bevande, principalmente alcoliche. Tutta l’area era illuminata da lanterne, alcune erano appoggiate a terra o appese ai tendoni mentre altre fluttuavano in aria, scivolando su una brezza invisibile.
Lo spettacolo che aveva davanti le parve una via di mezzo tra una sagra medioevale e una festa studentesca, e Teodora trovò tutto strepitoso.
Marianna e Bianca guidarono le tre ragazze più giovani verso uno dei tendoni, quello centrale. Mentre camminavano molte donne si alzarono dai cuscini e si avvicinarono per presentarsi, con ampli sorrisi stampati in viso.
“Benvenute!” dissero alcune, altre strinsero la mano a Teodora e Agnese, perché probabilmente già conoscevano Angela. “Finalmente siete arrivate!” “Vi stavate perdendo il più bello della festa”.
Teodora stordita sorrideva a tutte, ripetendo il suo nome a tutte quelle che le allungavano la mano, sicura che in meno di trenta secondi si sarebbe scordata gran parte dei loro.
Quando arrivarono davanti al tendone Teodora scorse Adela, seduta su un grande cuscino, vicina ad altre due donne con cui stava parlando. Una era alta ed estremamente magra, con occhi dal taglio orientale, capelli neri e labbra sottili. La seconda, invece, era fisicamente il suo contrario: dimostrava più o meno cinquant’anni, teneva i capelli biondi legati in uno chignon sulla nuca, aveva forme abbondanti e un seno prosperoso. A Teodora ricordò un po’ una valchiria e un po’ una venditrice di birra all’Oktoberfest, non che ci fosse mai stata.
Adela le vide e si alzò per raggiungerle in maniera aggraziata, le altre due la seguirono sorridendo.
“Finalmente sono arrivati gli ospiti d’onore” posò una mano sulla spalla di Agnese e l’altra su quella di Angela, poi si stacco e abbracciò Teodora, che si accorse che profumava di gelsomini.
“Queste sono Altea e Cornelia, insieme a me sono le streghe a capo di questa congrega” disse indicando prima la donna alta poi la valchiria prosperosa.
“Benvenute alla festa in onore di Eoestre” disse Altea, mentre Cornelia passava un braccio sopra le spalle di Agnese e afferrava Teodora per la vita con quello che le era rimasto libero.
“Bisogna bere in onore della Dea, Eoestre non sarebbe felice a vederci tutte cosi sobrie.”
Cornelia liberò le due e si diresse verso Bianca, che abbracciò con affetto.
Altea e Adela riempirono cinque calici di vino rosso e lo porsero alle ultime arrivate. Teodora ne provò un sorso e trovò che il suo sapore dolce e delicato fosse buonissimo.
Si accorse che Agnese davanti a lei non beveva, ma che dirigeva tutta la sua attenzione agli altri alberi dietro al tendone. Illuminate dalla luce delle lanterne nella radura, giovani donne scalze sedevano sui rami, osservandole con curiosità. Alcune avevano i capelli intrecciati in complicate acconciature, altre li tenevano sciolti e questi le coprivano come fossero mantelli; erano vestite con abiti lunghi di un tessuto leggero, che ondeggiavano mossi dal vento. Teodora vide che avevano le orecchie a punta.
“Sono ninfe dei boschi, le Driadi” le disse Adela quando si accorse dei loro sguardi meravigliati diretti al bosco. “Può essere che ci siano dei folletti vicino alle radici degli alberi, loro non salgono sui rami più alti perché non vanno assolutamente d’accordo con le ninfe.”
Teodora si sporse in avanti per riuscire a vedere qualcosa nel sottobosco, ma le parve soltanto di scorgere alcune paia di occhi argentati, come quelli che si era trovata davanti poco prima al cancello. Le vennero i brividi.
Saranno quelli i folletti?
“Venite è ora di porgere le offerte importanti” disse Adela e fece segno a Teodora e alle altre di seguirla al centro dello spiazzo.
Tutte le streghe della congrega, vedendo Adela camminare verso il centro, smisero di colpo di cantare, suonare e chiacchierare; tutte si diressero verso l’imponente monolite.
Adela si girò verso le donne che le si erano radunate davanti, dando le spalle al grande macigno di pietra. I suoi occhi azzurri brillavano e Teodora scorse i tratti della giovane e bellissima donna che era stata.
“Benvenute a tutte, stasera, in occasione del solstizio di primavera, avrà luogo la cerimonia di liberazione dei poteri di tre nuove streghe.”
Adela con un movimento del braccio destro indicò Teodora, Agnese e Angela. Le altre streghe attorno a loro cominciarono ad applaudire e a gridare, tanto che le tre arrossirono vistosamente.
“Ora, prima di cominciare con il rituale, è il momento di porgere le nostre offerte a Eoestre, madre di tutte le streghe e delle creature del Velo.”
Molte streghe ripresero ad applaudire e Teodora vide che erano tutte molto emozionate. Quella doveva essere un’occasione estremamente importate per loro.
Cornelia passò una busta di tessuto blu ad Adela, da questa la donna tirò fuori un lungo spillone con il manico bianco intagliato, che pareva essere fatto di osso. Il battito del cuore di Teodora accelerò leggermente. Che cosa ci dovevano fare?
Adela, senza abbandonare la sua espressione calma e rilassata, si punse il dito indice con lo spillone e fece cadere le gocce di sangue che uscirono dalla ferita sull’erba davanti al monolite.
“A te Grande Madre doniamo noi stesse in questo giorno sacro.”
Adela passò lo spillone a Cornelia che fece lo stesso prima di porgerlo ad Altea.
Tutte le streghe, una ad una, ripeterono lo stesso rituale. Tutte condividevano lo stesso sguardo e non proferivano parola, come se quel gesto fosse tanto importante da meritarsi un completo silenzio pieno di rispetto.
Infine, Teodora si ritrovò con l’oggetto in mano, chiedendosi se stesse davvero per perforarsi il dito e versare il suo sangue per terra in onore di una divinità di cui non sapeva nulla.
Agnese e Angela l’avevano fatto. Alla prima tremavano tanto le mani che quasi gli era caduto lo spillone per terra; la seconda, invece, aveva drizzato le spalle orgogliosa, come se aspettasse quel momento da anni.
Teodora si sentiva frastornata, stavano succedendo un sacco di cose, troppo in fretta. Sua madre anni prima aveva fatto lo stesso? Come si era sentita di fronte a tutte quelle novità? Come avrebbe voluto che fosse al suo fianco in quel momento, per poterle spiegare tutto di quel nuovo mondo dove si facevano offerte di sangue e le ninfe ti osservavano accucciate sugli alberi.
La ragazza si accorse però che la sensazione più forte che sentiva dentro di se non era la paura, non aveva voglia di scappare e tornare alla sua vita di tutti i giorni: era eccitata, aveva voglia di imparare, di vedere, e di sentire il più possibile.
Ora sono qui e devo andare fino in fondo.
Si punse il dito con lo spillone e versò il suo sangue sull’erba.
Tutte le streghe dietro di lei gridarono di gioia.
“E’ fatta, Grande Madre accogli la nostra offerta!”
“Proteggici Dea, benedici le tue figlie!”
Molte delle streghe si abbracciarono: c’era una tale intimità e confidenza tra loro che era evidente che si conoscevano da tantissimo tempo.
Probabilmente si conoscono da molte vite.
Era questo che significava diventare una strega? Acquistare una nuova, grande famiglia?
Per Teodora che era cresciuta da sola con sua zia e che aveva perso sua madre e suo padre quando era ancora molto piccola, la sensazione che gli diede trovarsi al centro di questo piccolo mondo fatto solo di donne fu travolgente.
Voglio essere come loro, voglio essere parte di loro.
“E ora bevete e mangiate, mentre noi terminiamo la pozione per il rituale” disse Altea.
Le donne si sparpagliarono nuovamente nella radura, molte si diressero verso i grandi tavoli imbanditi li vicino, mentre Adela, Altea e Cornelia tornarono verso il tendone centrale.
Teodora vide che aggiungevano ingredienti in un grande calderone e che, mentre recitavano  formule che lei non poteva sentire, tenevano le mani aperte sopra il vapore generato dal suo contenuto. I loro palmi sprigionavano una luce tenue che le parve iridescente.
“Incredibile vero?”
Agnese le si era avvicinata mentre Angela parlava con sua madre e con altre due streghe, tra le quali riconobbe Mariarosa, la ragazza che le aveva accolte al cancello.
“Già, non ci credo ancora… Mi sembra un sogno”
Marianna le raggiunse, sorridendo posò alle due una mano sulla spalla, stingendole delicatamente.
“Tutto bene?”
“Si” rispose Agnese “sono solo un po’ nervosa.”
Teodora annuì e disse: “Pure io… mi sembra ancora tutto così irreale”
“Lo so, avrete bisogno di tempo per abituarvi a tutto” poi si voltò verso sua figlia che ancora parlava con le altre streghe. “Per Angela è più facile, lei sa di queste cose da quando è nata.”
Le tre rimasero in silenzio, poi Agnese indicò il monolite a pochi metri da loro.
“Che cosa rappresenta? Che cosa significano quei simboli?”
“Quella è una pietra sacra, si dice che furono le prime streghe a crearla e a inciderla, per questo è così sacra per noi.”
I suoi occhi brillarono orgogliosi.
“Il territorio di questa congrega è uno dei più magici del mondo, noi siamo considerate tra le streghe più potenti in assoluto. La leggenda vuole che le prime della nostra specie siano nate qui e che quella pietra sia stata piantata da Gaia la Prima Strega, figlia della dea Ecate, e incisa dalle sue figlie.”
Teodora pensò che era davvero strano che le streghe si definissero “di un’altra specie” rispetto alle persone senza poteri magici.
“Ma perché Adela ha detto che Eoestre è la madre delle streghe se lo è anche Ecate?” chiese Agnese.
“La Dea Madre ha tante forme, Eoestre ed Ecate sono due delle sue manifestazioni. Si dice però che quando creò il mondo e partorì la prima strega, Gaia, si fosse incarnata in Ecate.”
“E i simboli?” domandò Teodora indicando le figure incise sul monolite, dopo qualche secondo di silenzio.
“Sono rune antiche, la lingua che la Dea insegnò a Gaia per praticare la magia. Ormai sono poche le streghe che ne conoscono il significato, Adela è l’unica della nostra congrega che ancora parla la lingua antica. Lei è la più vecchia di noi.”
“Quanti anni ha Adela?” chiese Teodora, sperando che non fosse considerata una domanda scortese dalle streghe.
“Ha più di mille anni… c’è chi dice che sia cresciuta in un castello medioevale, chi invece che abbia visto la caduta dell’Impero Romano. Lei non conferma ne l’una ne l’altra, le piace fare la misteriosa.” Rispose Marianna con un sorrisetto furbo.
La ragazza non credeva alle proprie orecchie. Com’era possibile che avesse chiacchierato tranquillamente con qualcuno che era nato nel primo millennio dopo Cristo?
“Se non è troppo..” disse Teodora “Posso chiederti quanti anni hai? Non rispondermi se non vuoi… “
“Dimostro ancora meno di quarant’anni, vero?” rispose Marianna soddisfatta, facendo l’occhiolino. “Sono nata nell’anno dell’Unità d’Italia, nel 1861.”
Teodora e Agnese la guardarono sbalordite.
“Ci ho messo un bel po’ prima di sistemarmi con il padre di Angela, e a decidere di invecchiare con qualcuno… diciamo che mi sono divertita come una ventenne per molti anni”
“Tutto questo è incredibile!” esclamò Agnese, con un tono di voce molto più alto del normale.
“Quindi se io volessi vivere per sempre potrei farlo? Se invece decidessi di invecchiare e morire come una persona normale sarebbe comunque una mia decisione?” continuò Teodora.
“Già, molti dicono che questo sia il dono più grande di noi streghe. Siamo le uniche creature magiche che possono scegliere se essere immortali.”
Teodora soppesò quelle parole.
Il dono più grande delle streghe…
“Noi non possiamo ammalarci come gli essere umani, ma possiamo morire di morte violenta. La maggior parte delle creature del Velo possono essere uccise se gli si taglia la testa, anche i vampiri. La storia dei paletti nel cuore è solo un mito, però muoiono anche se vengono esposti a lungo alla luce del sole o se gli dai fuoco”.
La ragazza si sentì leggermente nauseata e sperò di non dover mai vedere qualcuno, anche un vampiro, che bruciava vivo.
“Quante cose non sono vere sui vampiri? A parte i paletti intendo…”
Marianna si toccò il meno con pollice e indice, stingendo leggermente gli occhi.
“Dunque, non è vero che odiano l’aglio, si riflettono negli specchi… e non ti trasformano in vampiro se ti mordono, devi prima bere il loro sangue e morire per diventare come loro”.
Teodora vide che la donna rabbrividiva.
“Anche solo l’idea di essere toccata da una di quelle sanguisughe mi fa vomitare. Non capirò mai perché gli esseri umani desiderino farsi mordere da loro.”
“Perché i vampiri ci odiano tanto?” domandò Agnese.
“Per quanto ne so, noi e i vampiri siamo sempre stati nemici… Loro vivono secondo principi completamente contrari ai nostri, si nutrono di sangue, devono uccidere per riprodursi. E’ abominevole e contro natura.” Poi si strinse nelle spalle.
“Ad un certo punto della storia loro hanno cominciato ad uccidere noi e noi ad uccidere loro. Ultimamente non li andiamo più a cercare tanto come facevamo prima, gli anni quaranta sono stati un bagno di sangue e non vogliamo che una situazione del genere si ripeta. Le veggenti ci dicono se qualcuna di noi verrà attaccata e dove, e in quel caso ci difendiamo.”
“Come hanno fatto a trovare e a uccidere mia cugina allora?”
Agnese stringeva i pugni nervosa.
“La Preveggenza non è sempre esatta, Bianca è la veggente più dotata che abbiamo ma non sempre riesce a vedere quello che sta per succedere.” La donna fece una pausa e sospirò.
“E’ rimasta sconvolta per la morte di Clementina, erano molto amiche e si sente ancora in colpa per non averlo predetto… non ha dormito né mangiato per giorni dopo che è successo.”
A Teodora in quel momento brontolò rumorosamente lo stomaco, per il nervosismo quel giorno non aveva mangiato quasi nulla.
“Avete fame? Andiamo a mangiare qualcosa”.
Le tre donne si riempirono i piatti di verdure cucinate in diversi modi, torte salate e molti tipi di pasta. Teodora si accorse che non c’era carne da nessuna parte.
Saranno tutte vegetariane?
“Dovrete sforzarvi di mangiare di più d’ora in avanti. Il vostro corpo non sarà abituato ai nuovi poteri e deve imparare a gestire la nuova situazione. Avere la magia “in circolo”” disse facendo due virgolette con le dita “sarà come fare un sacco di ginnastica…”
Fare ginnastica senza andare in palestra? Dove devo firmare?
Teodora si servi una seconda porzione di pasta al forno. Tanto valeva approfittarne.
In quel momento la ragazza si accorse che nella radura era calato nuovamente il silenzio: tutte le streghe osservavano Adela, Altea e Cornelia che ritornavano verso il monolite sacro, trasportando il calderone pieno del liquido scuro e fumante che avevano preparato.
“E’ ora, è ora!” Marianna batté le mani emozionata. Teodora e Agnese appoggiarono i piatti e si guardarono mentre diventavano sempre più pallide.
Perché sono così nervosa? Non è un esame!
E se si accorgessero che non sono una di loro? Come farei a tornare a casa come se nulla fosse?
Agnese si tolse la giacca e si arrotolò il maglione sui gomiti, poi si passò una mano sul collo.
I riccioli rossi sulla nuca della ragazza erano umidi e Teodora si chiese se stesse sudando per il nervosismo.
Tutte le donne si radunarono attorno al grande calderone: alcune facevano congetture sulle caste di appartenenza delle tre nuove streghe, altre speravano che facessero parte della propria.
“Silenzio, silenzio” disse gentilmente Adela alzando la mano “E’ finalmente arrivato il momento di liberare la vera natura di queste tre giovani streghe” continuò indicando Teodora, Angela e Agnese.
“Come tutte sapete, oltre a riportare i loro poteri, la pozione che berranno ci farà capire a quale casta ognuna di loro appartiene.” Poi si diresse direttamente ad Agnese e Teodora “Immagino vi abbiano spiegato che tutte le streghe possiedono diverse capacità magiche, legate ad un diverso elemento naturale. Oltre a poter controllare liberamente il proprio elemento le streghe d’aria possiedono il dono della preveggenza; quelle d’acqua dell’onironautica, possono cioè modificare i sogni altrui e comunicare attraverso di essi; quelle di fuoco dell’evocazione e dello svelamento delle nature occulte e, infine, quelle di terra sono in grado di guarire con il tocco delle loro mani.”
Cornelia riempì tre calici con il liquido contenuto nel calderone, Teodora si accorse che era di color blu notte e che emanava un profumo dolce e fruttato.
“Che la Madre vi benedica in questo giorno speciale” continuò Adela “Bevete una per volta.”
La prima a bere fu Angela, afferrò il calice di vetro e se lo portò alle labbra velocemente, con evidente impazienza. Quando inghiotti il liquido aggrottò le sopracciglia e strinse i pugni, poi spostò la testa all’indietro chiudendo gli occhi. Il calice di vetro cadde per terra ma incredibilmente non si ruppe.
Teodora trattenne il respiro, nessuno parlava.
Dai palmi di Angela scaturì una luce bianca, prima debole poi sempre più forte, i piedi le si staccarono da terra e inarcò la schiena all’indietro.
Sulle sue mani, dove era comparsa la luce, apparvero fiamme rosse e arancioni che in un attimo si propagarono dalle estremità per tutto il suo corpo.
Angela ardeva completamente, galleggiando a mezz’aria, con i capelli trasformati in una lingua di fuoco che si muoveva furiosamente.
Teodora non poté fare a meno di gridare, poi  si coprì la bocca con una mano. Agnese si aggrappò al suo braccio, con gli occhi sbarrati dal terrore.
Le altre streghe osservavano tranquille la scena, alcune di loro bisbigliavano all’orecchio di quella che avevano vicino, altre guardavano Angela bruciare viva stringendosi tra loro, serene.
Teodora capì che tutte avevano già visto succedere la stessa cosa molte volte, durante altre cerimonie identiche in passato, e la preoccupazione per la ragazza si attenuò un poco.
Dopo meno di un minuto i piedi di Angela toccarono nuovamente terra e le fiamme che prima l’avvolgevano si spensero, partendo dalle mani fino ai suoi capelli.
Tutte le donne radunate attorno a lei applaudirono, eccitate.
“Il cuore della tua magia è il fuoco!” esclamò Adela, prima di abbracciarla e baciarla sulle guance. Angela sembrava leggermente sconvolta, si guardava attorno come se non capisse bene che cosa le fosse successo ma sorrideva lo stesso felice. Sua madre la raggiunse e le prese la mano, era chiaro che fosse orgogliosa di lei.
“Ora Agnese” disse Altea, e Cornelia le passò uno dei due calici rimasti. Le mani della ragazza tremavano visibilmente quando lo afferrò, ma dopo un momento di esitazione si fece forza e trangugiò qualche sorso del suo contenuto.
Come era successo per Angela anche i suoi palmi emanarono una luce bianca delicata, ma a differenza di quest’ultima lei non fu lambita dalle fiamme mentre levitava. Dopo qualche istante Agnese alzò le mani osservandole incredula: dalla punta delle dita fin quasi ai gomiti la sua carne aveva perso consistenza, sembrava fatta di mercurio liquido. Anche i suoi occhi divennero dello stesso colore, come se fossero specchi mutevoli e instabili.
La ragazza cadde in ginocchio e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, poi colpì il terreno con le mani e queste sembrarono liquefarsi e fondersi con l’erba. Teodora ebbe paura che si sarebbe sciolta e che sarebbe scomparsa così, imitando la fine della malvagia Strega dell’Ovest. La ragazza però alzò nuovamente le mani verso l’alto e queste di colpo riacquistarono forma e si ricomposero, lasciando riaffiorare la pelle sotto l’argento, che scomparve prima dalle braccia e poi dai suoi occhi.
“Acqua” bisbigliarono molte delle streghe riunite attorno ad Agnese, confermando quello che Teodora aveva già sospettato sull’elemento di appartenenza della ragazza. Adela prese Agnese per mano aiutandola ad alzarsi: la ragazza sembrava estremamente confusa e continuava a strofinarsi entrambe le mani sugli avambracci, come per accertarsi che fossero tornate normali.  
“Sei una strega d’acqua” le disse Adela.
Alcune donne le si avvicinarono e le dissero che anche loro appartenevano a quell’elemento e che presto l’avrebbero aiutata a comprendere come la sua magia si manifestava.
Quando Cornelia passò a Teodora l’ultimo calice il suo cuore batteva talmente forte che tutte le voci e i rumori attorno a lei si erano attutiti e parevano come appannati.
La ragazza bevve e si accorse che il sapore del liquido blu era dolce, fruttato e speziato al tempo stesso; le piacque così tanto da assaporarlo lentamente, leccandosi le labbra con la lingua.
Prima che potesse avvicinarsi il bicchiere alla bocca per un altro sorso le mani le si contrassero in uno spasmo involontario e questo cadde, frantumandosi. Teodora sentì un forte calore nello stomaco, nei polmoni e all’altezza delle mani, che presto iniziarono a emanare la stessa luce bianca che aveva visto con Angela e Agnese.
La testa le si fece leggera e aveva la nausea, sentiva il mondo girare come quando si è così ubriachi da non avere più il controllo su se stessi e su quello che circonda: Teodora perse l’equilibrio e cadde prima in ginocchio e poi, sbilanciandosi all’indietro, sulla schiena. Tutto divenne buio.
 
Teodora si trovava davanti al monolite illuminato dalla luce della luna, non c’era più nessuno intorno a lei. Toccò con una mano i simboli incisi sulla roccia e le parve che si illuminassero al suo passaggio.
Da dietro la grande pietra comparve sua madre, con i lunghi capelli che si muovevano al ritmo del vento. Indossava la stessa camicia da notte sporca di sangue che Teodora aveva visto nei suoi sogni, in quelli in cui era una bambina e in quello in cui la madre era apparsa in camera sua.
Anche in quel momento stava sognando?
La donna le accarezzò una guancia e Teodora pregò di non sentire ancora il suo sangue caldo che le scivolava sulla pelle.
“Ricorda Teodora, la Dea ci guarda dalla luna, veglia su di noi. Lei ci guiderà e faremo ammenda dei nostri peccati.”
Teodora voleva chiederle che cosa significassero le sue parole ma non riusciva a produrre alcun suono, la sua bocca rimaneva irrimediabilmente chiusa.
E’ sicuramente un altro sogno
“Perdonami… ma non si può evitare” disse ancora sua madre.
Una folata di vento le alzò l’orlo del vestito, quanto era bella pensò la giovane strega, perché non aveva potuto crescere con lei?
La madre guardò un puntò al di là delle spalle di Teodora, sospirò e socchiuse leggermente gli occhi. La ragazza si voltò per vedere che cosa avesse attirato la sua attenzione, ma non c’era nulla, solo il bosco buio. Si girò nuovamente verso sua madre, ma lei era sparita.
 
Teodora riprese conoscenza in un sussulto, l’aria le entrò nei polmoni bruciando e lei si alzò a sedere con un grido. Doveva essere svenuta.
Attorno a lei il silenzio era assoluto, decine di occhi spalancati la guardavano e la ragazza capì subito che c’era qualcosa che non andava.
Hanno scoperto che non sono una di loro? Mi cacceranno?
Adela la guardava con gli occhi stretti in due fessure, Marianna teneva una mano sopra la bocca come se avesse appena visto qualcosa di sconvolgente.
Teodora si accorse che attorno a lei erano cresciuti fiori di diversi colori, in particolare vide moltissimi non ti scordar di me, in un’area a forma di cerchio della quale lei era il centro.
Ma c’erano anche prima?
“Sei una strega di terra Teodora” disse Adela, in un sussurro che pareva più una domanda che una affermazione.
Sono una strega! Ma perché mi guardano tutte così?
Teodora non sapeva che cosa dire, aveva fatto qualcosa di sbagliato? Era un male essere una Strega di Terra?
“Non va bene? È una cosa brutta?” chiese lei rivolgendosi ad Adela. La donna si inginocchiò, abbassandosi al suo livello per guardarla negli occhi, poi le prese le mani nelle sue.
“No Teodora, non c’è niente di male… siamo solo un po’ stupite perché l’ultima Strega di Terra di questa congrega è morta più di cinquecento anni fa.”

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


Capitolo 8.
 
 
Il grande SUV nero scivolava nel buio di quella notte di primavera, scendendo dai colli bolognesi e avvicinandosi alla città. Al suo interno nessuno parlava più da quando avevano lasciato Monte Paderno, quasi dieci minuti prima.
Quando Teodora aveva ripreso conoscenza, dopo aver bevuto la pozione e aver scoperto che era una Strega di Terra, molte delle donne che si accalcavano attorno a lei l’avevano guardata con una sorta di stupore reverenziale. La ragazza aveva anche sentito alcune parlare sottovoce di una profezia, ma aveva avuto paura di chiedere di che cosa si trattava.
Adela le aveva spiegato che tutto quello stupore dipendeva dal fatto che le Streghe di Terra erano incredibilmente rare, non ne nascevano da secoli, ed i loro poteri di creazione e guarigione erano unici tra tutte le creature del Velo.
“In che cosa consistono i miei poteri?” aveva domandato allora Teodora.
“Puoi guarire con le mani, le ferite e anche le malattie, inoltre con la tua magia puoi far crescere qualsiasi tipo di pianta. Noi non possiamo farlo in maniera così diretta, solo usando pozioni e incantesimi, tu invece semplicemente volendolo. E’ qualcosa di straordinario anche per noi.”
In quel momento le erano tornati in mente i fiori spuntati sul suo bancone in pieno inverno e si era chiesta se le cose fossero collegate.
Dopo Adela l’aveva aiutata ad alzarsi e, insieme ad Angela e Agnese, si erano spostate verso i tendoni dove qualcuno le aveva offerto del vino rosso e lei ne aveva trangugiato due bicchieri senza quasi sentirne il sapore.
Si sentiva a disagio perché tutte le donne presenti continuavano a guardarla curiose, come se si aspettassero che da un momento all’altro avrebbe fatto sfoggio dei fantastici poteri di cui a quanto pare era dotata. Aveva sperato che almeno tra le streghe avrebbe smesso di provare quella sensazione di inadeguatezza che si portava sempre dietro ma a quanto pareva quella era la sua maledizione, non poteva liberarsene.
La luce dei lampioni che illuminavano Via dei Colli si rifletteva sulla carrozzeria della grande macchina nera e sul viso di Teodora che osservava il panorama in silenzio. Bologna si era sempre più vicina e lei aveva voglia di arrivare a casa sua, infilarsi nel suo letto e riflettere con calma su tutto quello che era successo.
“Dopodomani ci vedremo sotto le torri, alle dieci, vi vengo a prendere io e vi accompagno alla Congrega, così vedete dov’è e imparate la strada” disse Marianna, distraendo Teodora dai suoi pensieri. Quando avevano salutato Adela prima di lasciare la radura anche lei aveva detto che si sarebbero viste il giovedì successivo, perché avevano bisogno di almeno un giorno per riposare, in modo tale che il loro corpo si abituasse alla nuova condizione.
“Che cosa faremo giovedì, inizierete a insegnarci ad usare la magia?” chiese Agnese, e Teodora si accorse dalla sua voce che era agitata.
“Inizieremo a spiegarvi i principi alla base della magia, innanzitutto dobbiamo farvi capire come funziona e come potete usarla… Poi il resto verrà da se. Vi insegneremo anche la storia della Congrega e del Velo.”
“Adela ha detto che il nostro corpo deve abituarsi alla nuova condizione, che cosa vuol dire? Si riferiva a quello che dicevi prima che è come far ginnastica?” domandò Teodora.
“Anche, vi sentirete stanche e deboli nei prossimi giorni, ma poi vi abituerete. Sarà tutto un po’ diverso da prima…”
Nella macchina calò nuovamente il silenzio.
Teodora prese coraggio.
“Mi potete parlare un po’ di più delle Streghe di Terra per favore? Perché tutte mi guardavano come se fossi un fenomeno da baraccone?”
Bianca e Marianna sospirarono, poi la prima disse: “Mi dispiace se ti abbiamo fatta sentire a disagio Teodora… sapevamo che sarebbe nata presto una Strega di Terra ma non avevamo idea che fosse ora, siamo rimaste veramente sorprese.”
Poi gli occhi di Bianca si appannarono un poco e parve che lei perdesse leggermente contatto con la realtà.
“Posso chiamarti Teo? A te piace Teddi ma penso che io dovrei chiamarti Teo.”
Teodora la guardò spalancando gli occhi, poi annuì e si strinse nelle spalle, chiedendosi il perché di una domanda tanto fuori contesto. Bianca era proprio strana.
“Perché dite che sapevate che sarebbe nata una Strega di Terra?”
“Era stato profetizzato, alcune veggenti del secolo scorso hanno detto che ne sarebbe venuta una all’inizio del nuovo millennio… non hanno detto precisamente quando né quale sarebbe stata la sua missione.” Continuò Marianna.
Agnese guardava Teodora come se avesse appena visto un unicorno che vomitava arcobaleni, Angela, invece, si pizzicava le labbra con indice e pollice, evidentemente incuriosita dal tema della conversazione.
“Missione?” Teodora si sentiva sempre più confusa.
“Di solito ogni Strega di Terra viene al mondo con un compito da portare a termine, qualcosa di importante… anche per questo si dice che siano le più amate dalla Madre”
Il cuore di Teodora cominciò a fare la capriole.
Compito? Ma che cavolo…?
Bianca vide lo sguardo sconvolto di Teodora e si affrettò ad aggiungere:
“Ma non è una legge universale, non tutte le Streghe di Terra hanno una qualche missione da compiere credo” si interruppe come se stesse valutando quello che aveva detto e se era il caso di aggiungere altro “Poi in ogni caso non deve essere ora, potrebbe accadere fra un secolo o fra un millennio… chi lo può sapere…”
Il cuore di Teodora continuò imperterrito con le capriole. Non aveva mai nemmeno preso in considerazione l’idea di poter vivere per un millennio, chi lo avrebbe fatto? Le avevano detto che le streghe possono anche essere immortali ma probabilmente era un’informazione talmente inconcepibile che lei non l’aveva mai presa veramente in considerazione.
Chiuse gli occhi e si passò il palmo freddo della mano sulla fronte.
“Sono troppe informazioni per una sola sera… non basterebbero decenni porca miseria.” Disse la ragazza e le altre risero.
“Già… hai pienamente ragione tesoro” concluse Marianna.
 
Teodora salutò le altre streghe con un sorriso dopo che l’avevano accompagnata al palazzo dove viveva con sua zia.
Agnese e Angela le avevano lasciato il loro numero di telefono, poi la prima aveva proposto di vedersi un po’ prima dell’orario dell’appuntamento per prendersi un caffè assieme e fare due chiacchiere. Teodora aveva accettato felice.
Salì le scale e aprì la porta del suo appartamento facendo meno rumore possibile, era l’una e sua zia stava probabilmente già dormendo.
Quando passò in punta di piedi davanti alla cucina si accorse però che Vittoria l’aspettava seduta al tavolo da pranzo, a braccia conserte, e Teodora capì che c’era decisamente qualcosa che non andava.
“Siediti, Teodora”
La ragazza rimase a guardarla dalla porta, con una mano sullo stipite mentre l’altra stringeva la giacca che si era tolta entrando. Gli occhi di sua zia erano leggermente arrossati e Teodora si rese conto che aveva pianto.
Sa tutto, sa che cosa è successo stasera e che sono una strega.
“Si tata, dobbiamo parlare”
Teodora si sedette.
“E’ già successo? Sei una di loro?”
“Si.” Rispose semplicemente lei.
La zia sospirò rumorosamente e Teodora si accorse di quanto sembrasse preoccupata e stanca in quel momento. Aveva la stessa espressione in viso che le aveva visto spesso negli ultimi mesi, aveva paura per lei?
“Sapevi della mamma vero? Sapevi che era una strega?”
“Si. Lei me lo disse subito.” Vittoria si spostò leggermente sulla sedia, appoggiando la schiena alla spalliera.
“Non sapevo se anche tu saresti stata come lei. Ma da quando sono iniziate le stranezze, le stesse che succedevano a didi, non ho avuto dubbi”
Solo sua zia chiamava sua madre didi quando era ancora viva e Teodora senti una fitta di gelosia per il rapporto così esclusivo che le due avevano condiviso.
“Perché non mi hai mai raccontato nulla?” disse la ragazza con una voce fredda e dura che quasi non riconobbe come sua.
“Mi hai sempre detto che era morta di cancro, ti rendi conto? E ora scopro che è stata uccisa!”
Teodora si accorse che stava piangendo, sentiva che sua zia l’aveva tradita tenendole nascosta una parte così fondamentale nella vita di sua mamma e di se stessa. Come aveva potuto?
“Perché non potevo! Credi che per me sia stato facile?” gridò Vittoria “Le altre streghe della Congrega mi hanno fatto promettere che non ti avrei detto niente… dissero che non potevi saperne nulla nel caso non fossi stata una di loro… e che era probabile che non lo fossi perché non è comune che nascano streghe in due generazioni successive.”
Non è comune ma nemmeno impossibile, pensò Teodora, in fin dei conti Angela e Marianna erano madre e figlia, ed erano entrambe Streghe di Fuoco. Era chiaro che sua madre non era una Strega di Terra come lei, perché le avevano detto che l’ultima della Congrega era morta più di cinquecento anni prima, ma a quale elemento apparteneva la sua magia? Teodora era tremendamente curiosa, voleva saperne di più su sua madre e soprattutto su quella parte di lei di cui non sapeva nulla, quella che le avevano sempre nascosto.
“Parlami di lei tata, ti prego… voglio sapere tutto.”
Vittoria si mosse ancora sulla sedia, evidente nervosa. Era chiaro che parlare della sua gemella richiedesse un enorme sforzo per lei e che non era pronta, se mai lo sarebbe stata. Ma a Teodora non importava, in quel caso voleva essere egoista, era stufa di girare attorno all’argomento e di far quasi finta che sua madre non fosse mai esistita: aveva tutto il diritto di fare domande e soprattutto, visti gli ultimi assurdi sviluppi della sua vita, doveva capire quanto sua zia sapeva della morte di sua sorella e della sua magia.
“Dopo il suo ventesimo compleanno cominciarono le stranezze, cose che scomparivano nel nulla, rumori di notte, oggetti che si rompevano da soli… e poi vedevamo quel maledetto gatto ovunque. Lei diceva che era adorabile ma a me invece dava i brividi… sembrava che la seguisse.”
Teodora sapeva che si riferiva al gatto che l’aveva condotta da Adela la sera in cui le aveva rivelato che era una strega. Era passata meno di settimana ma a lei sembrava molto di più, come era possibile che la sua vita fosse cambiata tanto in così poco tempo? Come era possibile che solo qualche giorno prima le sue più grandi preoccupazioni fossero passare con 30 l’esame di Egittologia e che cosa indossare per andare a ballare il sabato sera?
Non era sicura di che cosa provava in quel momento: era agitata, confusa, emozionata e spaventata allo stesso tempo, ma certamente non voleva che le cose tornassero come prima. Sentiva che dentro di lei qualcosa si era sbloccato, si era messo in moto, prima lentamente poi sempre più veloce. Non era più la stessa della settimana prima e non vedeva l’ora di scoprire come.
“In quei giorni tua madre aveva sempre la testa sulle nuvole, non capivo che cosa le stesse succedendo, di solito mi confidava tutto… Poi una sera mi ha detto che doveva andare, senza dirmi né dove né con chi, ha preso su ed è uscita.”
Vittoria si morse l’unghia del pollice, fresca di manicure, continuando a fissare il tavolo davanti a lei.
“Quando è tornata era sconvolta. Mi raccontò di aver conosciuto una donna di nome Adela che le aveva detto che era una strega e che doveva presentarsi ad un assurdo appuntamento per farsi ridare i suoi poteri magici.” Vittoria ridacchiò tetra. “Io le dissi che era un idiozia e che sicuramente la stavano prendendo in giro. Lei però affermò che ci credeva e che avrebbe incontrato quella donna di nuovo… Non hai idea di quanto ho provato a convincerla a non andare, ma lei ha detto che non c’era scelta e che tutto quello che le avevano detto era vero.”
Teodora pensò a come si era sentita lei quando Adela le aveva rivelato la sua natura di strega, e capì perfettamente che cosa doveva aver provato sua madre quando le era successo lo stesso. La ragazza vide che sua zia aveva gli occhi lucidi.
“La notte del solstizio di primavera quelle donne le fecero qualcosa, e quando tornò da me non era più la stessa… non è stata mai più la stessa.”
Due lacrime le scivolarono silenziosamente sulle guance e Teodora cominciò a pentirsi di averle chiesto di parlarle di sua madre. Forse era troppo doloroso per lei, forse non era forte abbastanza per ricordare la sorella.
“Passava sempre più tempo con le streghe della Congrega, aveva imparato a fare un sacco di cose incredibili. Mi spiegò che il suo elemento era l’aria e che poteva prevedere il futuro… Cambiò anche fisicamente.”
Sua madre quindi era una Strega d’Aria, pensò Teodora, aggiungendo quell’informazione a tutti quei frammenti di lei che stava pian piano mettendo insieme.
Sua zia si sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio destro, come a sottolineare che con quel taglio aveva voluto differenziare ancora di più il suo aspetto da quello della sorella quando lei era morta.
“Divenne facile distinguerci,  prima ci scambiavano sempre, era come se lei brillasse più di me. La sua bellezza era disarmante.”
Teodora si rese conto che non c’era nessuna invidia nel tono con cui Vittoria parlava di sua sorella, solo ammirazione ed amore.
“Poi conobbe tuo padre… dovevi vedere come la guardava quando erano insieme. Lei era innamorata di lui, ma sono anche sicura che non lo fosse nella stessa maniera in cui lo era lui. Francesco era completamente dipendente da lei, era al centro della sua esistenza.”
Sentir parlare di suo padre provocò a Teodora la solita fitta dolorosa alla bocca dello stomaco.
“Quando sei nata tua madre era al settimo cielo, eri tu il centro del suo mondo, nessun altro era importante per lei come lo eri tu… ed io ho sempre pensato che tuo padre ne fosse infastidito.”
Teodora trasalì leggermente. Sapeva già che suo padre aveva amato sua madre molto di più di quanto avrebbe mai potuto amare lei, ma era comunque brutto sentirselo dire da qualcun’altro.
Vittoria guardò preoccupata sua nipote.
“Scusami tesoro… ma è così che stanno le cose”
“Parlami di quando è morta tata”
Sua zia sbiancò leggermente, poi guardò Teodora con un’espressione tormentata e triste, come se le stesse chiedendo come poteva essere tanto crudele da farla parlare di qualcosa di così difficile e doloroso.
“Voglio la verità questa volta.” continuò la ragazza con lo stesso tono freddo di prima.
Sua zia sospirò rumorosamente e si massaggiò le tempie con le dita.
“Una sera, quasi una settimana prima della sua morte, tua madre mi telefonò. Ricordo che era molto tardi, stavo già dormendo e lei mi svegliò. Era molto agitata e mi sembrò che avesse pianto… Disse che forse avrei dovuto prendermi cura di te per un periodo, le chiesi che cosa stesse succedendo e se lei e Francesco stessero bene” la voce di Vittoria si ruppe e lei dovette fermarsi per qualche momento.
“Disse che andava tutto bene ma che dovevo giurarle che se fosse successo qualcosa, qualunque cosa, ti avrei preso con me e mi sarei occupata di te come se fossi mia. Non ha voluto dirmi altro, ovviamente ho giurato che lo avrei fatto e lei ha riattaccato. Una settimana dopo era morta.”
Teodora era confusa, che sua madre avesse predetto la sua stessa morte? Era questa la ragione dietro alla telefonata fatta a sua zia Vittoria? Essendo una Strega d’Aria poteva prevedere il futuro. La ragazza si chiese se avesse visto il vampiro che l’aveva uccisa e perché in quel caso non avesse fatto nulla per impedire il suo omicidio.
“Vi ha trovate tuo padre. Lui lavorava fino a tardi quel giorno e quando è rientrato lei era morta da almeno tre ore… le avevano tagliato i polsi e la gola e tu a forza di piangere ti eri addormentata di fianco a lei. Quando ti sono venuta prendere eri tutta sporca del suo sangue…”
Vittoria scoppiò a piangere, non più in grado di controllare le sue emozioni. Teodora non riusciva a pensare ad altro che al suo sogno, quello che l’aveva perseguitata negli ultimi mesi: era tutto vero, lei aveva assistito all’omicidio di sua madre. Ma aveva visto anche il suo assassino? Perché non sognava mai il vampiro che l’aveva uccisa?
Come se le stesse leggendo nel pensiero sua zia ricominciò a parlare, dopo essersi asciugata gli occhi con la manica del cardigan che indossava.
“La polizia ti ha interrogata a lungo, anche a distanza di mesi, ma non sei mai riuscita a ricordare che cosa avessi visto quella sera, chi era stato… Poi vennero le streghe, la donna chiamata Adela mi disse che era stato un vampiro, e che avrei dovuto tenerti nascosto tutto fino a che non fossi stata abbastanza grande. Se ne sarebbero occupate loro mi disse…”
Teodora prese la mano di sua zia e si rese conto che tremava leggermente.
“Sogno spesso la mamma, quando è morta… è un sogno orribile. Ma non vedo mai chi l’ha uccisa…”
“Oh Teddi..” riuscì solo a rispondere Vittoria. Poi si alzò velocemente e l’abbracciò forte.
“Ti voglio così bene piccola mia… sono così preoccupata che ti succeda qualcosa, non sopporterei di perdere anche te.”
Teodora ricambiò l’abbraccio provando a trattenere le lacrime che volevano sgorgare senza controllo. Non sapeva che cosa dire né tantomeno come rassicurarla. In realtà avrebbe avuto bisogno di qualcuno che tranquillizzasse lei in quel momento, che le dicesse che anche se camminava verso un futuro oscuro, fatto di cose sconosciute e violenza, sarebbe andato tutto bene.
In quel momento le tornò in mente Gregorio, senza sapere bene perché.
Anche pensare a lui le dava la stessa sensazione allo stomaco che si prova quando si fa un salto nel vuoto. 

Un’ora dopo Teodora non riusciva ancora a prendere sonno. Osservava le foto del cielo appese sulla parete di fianco al suo letto, ripensando ancora a quanto Vittoria le aveva raccontato sulla morte di sua madre.
Sua zia bussò piano alla porta e la ragazza si chiese come facesse a sapere che era ancora sveglia. Per un momento pensò di non risponderle perché sentiva il bisogno di stare da sola.
“Avanti” disse però poi, curiosa di sapere che cosa Vittoria avesse ancora da dirle.
La donna entrò nella stanza buia lasciando entrare la luce proveniente dal corridoio. Teodora si voltò verso di lei, mettendosi poi a sedere con le gambe incrociate.
“Il giorno dopo aver capito che tuo padre non sarebbe tornato a prenderti, sono andata a casa vostra per prendere le tue cose e in un cassetto ho trovato questo.” Vittoria appoggiò sul letto un sacchetto di velluto nero, chiuso all’estremità con un nastro dorato. “C’era un biglietto indirizzato a me in cui tua madre mi diceva di dartelo se avessi scoperto di essere una strega.”
Poi Vittoria accarezzò la testa a sua nipote e senza dire altro uscì.
Teodora accese la abat-jour sul suo comodino: sul velluto del sacchetto era ricamata una rosa dorata e il contenuto era leggero e dalla forma rettangolare. Con le mani che le tremavano leggermente sciolse il nodo ed estrasse un mazzo di carte, di tarocchi.
Ogni carta sembrava essere stata dipinta a mano, alcune figure erano state colorate con una tinta dorata che brillava leggermente alla luce della lampada.
Teodora cominciò a disporre i tarocchi sulla trapunta che copriva il suo letto, meravigliandosi della bellezza di ognuno di loro. Sua madre gli usava per predire il futuro? Forse aveva pensato che anche sua figlia sarebbe stata una Strega dell’Aria e le aveva tramandato quel mazzo perché mettesse in pratica le sue capacità. Teodora si intristì leggermente: sua madre sarebbe stata delusa sapendo che era una Strega di Terra e non dell’Aria come lei?
Mentre distribuiva le carte si accorse che alcune erano state inserite nel mazzo al contrario, coperte. Si chiese se fosse stato casuale o se sua madre le avesse volontariamente disposte in quel modo, poi le separò dalle altre per vedere di quali tarocchi si trattava.
La luna, gli amanti, l’imperatrice e la morte. 

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