Sama di Suna

di ToscaSam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Sama di Suna ***
Capitolo 2: *** II. Ryoko di Kiri ***
Capitolo 3: *** III. sangue e sesso ***
Capitolo 4: *** IV. quando morì ***
Capitolo 5: *** V. cotte ***
Capitolo 6: *** VI. come divenni immortale ***



Capitolo 1
*** I. Sama di Suna ***


 
Queste sono le pagine scritte da Sama di Suna
nella sua ora più disperata.
Ore di una vita che pareva infinita,
oppure no?
Jashin l'ha abbandonata
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premesse
 
Sama è stato il mio primo, primissimo original character. Nonostante io non sia più una grande fan di anime/manga in generale (e soprattutto, nonostante per me Naruto finisca qualitativamente con la morte di Pain) proverò sempre per questo personaggio un affetto profondo.
Volevo scrivere la sua storia, dall'inizio alla fine e mi è piaciuta l'idea di farlo attraverso pagine di una specie di diario. La storia sarà quindi apprezzabile nella sua interezza solo alla fine, grazie al puzzle completo che ne uscirà.
 
Cosa dobbiamo sapere su Sama?
Che è un personaggio creato ben otto/nove anni fa. Che la sua storia è nata e si è sviluppata all'interno di un vecchissimo GDR in un forum.
Per lo stesso motivo, Sama non è l'unico nuovo personaggio nella storia. Ci sarà anche un'altra signorina, chiamata Ryoko. Si tratta del personaggio di una mia carissima amica, che conobbi molti anni fa in quel forum. Diciamo che siamo diventate amiche, mano a mano che Sama e Ryoko facevano amicizia nel GDR. è stato molto bello.
Nessun personaggio nuovo, tuttavia, sarà troppo incisivo con la trama originale del manga.
La storia parte da un evento reale del manga, ma prende le distanze molto alla svelta :)
Vi chiedo solo di voler bene a Sama, se vi capiterà di leggere questa storia. Perché le voglio bene come a una sorella ^_^
 
Qualche avvertenza prima di iniziare?
Beh, certo :)
- Se vi infastidisce la lettura di un original character, allora questa storia non fa per voi.
Di solito io in prima persona sono molto scettica riguardo i personaggi inventati dai fan, in generale. Però per politica personale tendo ad odiare le “Mary Sue” (ossia i personaggi dotati di poteri esagerati, gnocchezza infinita, e un forte ascendente sui personaggi canonici e la trama).
Quindi vi capisco!
- Spero non siano troppo incisivi i cambiamenti (lievi) che ho apportato alla trama originaria di Naruto.
BUONA LETTURA! :*
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I
 
Foresta di Kusa,
circa le 3 di notte
Ho perso tutto, nella mia vita.
Se c'era anche solo un barlume di speranza, anche solo un briciolo di sentimento di redenzione dal male che ho causato, adesso tutto è vanificato.
Ho perso tutto, qualsiasi cosa che potesse chiamarsi “la mia vita”.
Dunque sono adesso qui, nell'alcova naturale di un albero, rifugio freddo e ruvido. Scrivo con mani tremanti quello che so della mia storia, così quando morirò qualcuno avrà testimonianza della mia effettiva esistenza.
Non avevo mai pensato di rifarmi daccapo, di guardarmi indietro per ripercorrere quel sentiero travagliato e sconnesso che è stata la mia vita, dall'inizio fino ad ora.
Ho carta e penna in abbondanza, mi serviranno per non impazzire, per non morire dentro.
Non so se posso morire anche di fuori. Non credevo, ma a quanto pare è possibile. Oppure no, e si muore comunque sempre solo di testa, anche se il proprio corpo è stato fatto a pezzettini e sotterrato.
Questa domanda mi assilla la testa e le tempie pulsano, risuonano, delle stesse parole.
“è morto”, mi hanno detto. Ma io non ci credo. Non posso, non posso.
Non sono lucida, adesso.
Non so se già riuscirò ad immedesimarmi nella piccola me, di tanti anni fa.
L'importante è che abbia fissato l'intenzione di scrivere tutto quello che mi riguarda. Dall'inizio alla fine.
Per stanotte basta, mi bruciano gli occhi, ho freddo, forse sonno. Il mozzicone di candela è piccolo e tremolante. L'ho acceso io, con un piccolo jutsu di fuoco.
Che ridicola …. mi torna in mente quella volta che chiesi ad Itachi di insegnarmi a fare la Palla di Fuoco Suprema. Che idiota. E lui più di me! Si mise lì, paziente, ad insegnarmi la posizione delle mani e la tecnica da usare, facendomi credere che avrei potuto farcela. E poi, quanto abbiamo riso … i miei tentativi falliti miseramente …. la sua voce calma che mi diceva: “sai, Sama, questa è una tecnica famigliare. Solo chi ha sangue Uchiha può utilizzarla”.
Che risate. Altri tempi.
Ero lontana da lui, adesso.
Gli volevo bene a Itachi. Possiede una nobiltà d'animo più di tutti gli altri. Un'indole dolce e casalinga. Sarebbe stato un'ottima persona normale.
E invece, come me, gli ètoccata l'altra vita, quella del ricercato, del reietto.
Non che io abbia particolari rimpianti, a dirla tutta. Nei miei ventisette anni di vita, di cui quindici passati a fare la criminale, non ho nulla da rimproverarmi particolarmente.
Adesso che l'ho scritto mi sembrano così pochi, gli anni della mia vita vera. Solo quindici? Eppure avevo dodici anni, quando quelli di Suna mi hanno cacciata …
ma no, basta. Sto solo facendo confusione. Sto scrivendo cose a caso e non è il caso che continui, per stanotte.
Mi pare quasi di scrivere una lettera. Mi verrebbe da salutare qualcuno, adesso. Ma chi? A chi sto indirizzando tutto questo sfogo di follia … o magari di razionalità?
Immagino solo a me stessa, a conti fatti.
Dunque alla prossima, Sama di Suna. Spero di trovare presto un altro momento tranquillo in cui dedicarmi alla scrittura e magari anche più tranquillità mentale.
 
*
 
Foresta di Kusa,
mezzanotte
 
Ho stranamente mantenuto la promessa di ritrovarmi con la mia carta bianca, questa sera.
Mi trovo in un nascondiglio di fortuna. Mi piace Kusa, è un luogo molto erboso e le foreste sono piuttosto aspre. Un viaggiatore ignaro potrebbe perdercisi facilmente.
Io per fortuna non ho mai avuto paura di perdermi, dato che l'ignoto era per me un nascondiglio perfetto, rispetto al noto.
Credo di stare un po' mentendo a me stessa, in realtà: sto indugiando perché non voglio allontanarmi troppo da casa.
Ho costeggiato le montagne di Ishi e sono arrivata a Kusa … ogni tanto mi ero allontanata fin qui, con l'Akatsuki. Mi sento stringere il cuore in una morsa, se penso che ho lasciato la mia casacca in camera … la mia camera, che non rivedrò mai più.
Non sono più un membro dell'Akatsuki, mi sto ripetendo da giorni. Eppure non ci credo.
Sto forse sperando di risolvere questa situazione velocemente … e di poter presto tornare ad indossare la mia casacca a nuvole rosse.
Anche se immagino che ormai sarà impossibile. Il Leader sicuramente mi considera già una traditrice … non avrei dovuto scappare in questo modo, secondo lui.
E Ryoko? Oh, la mia Ryoko.
Quale sarà stata la sua faccia, una volta scoperto che non sarei mai più stata con lei?
Ma non potevo, non potevo più restare.
 
Accidenti, avevo sperato di essere meno sentimentale, meno coinvolta, oggi.
Eppure non ci riesco. Sono circa due settimane che cammino da sola, con solo i pensieri a farmi compagnia.
Prima di iniziare la mia storia dall'inizio, vediamo se riesco a scrivere quello che sta accadendo ora. Giusto per darmi un attimo di ordine e pace. Ho paura di poter morire, come non l'ho mai avuta. Devo lasciare queste parole scritte.
Mi trovo nella foresta di Kusa, un luogo non remoto dalla mia direzione: Konoha. La schifosissima e stramaledetta Konoha. Sia maledetta per sempre, quella città. Sia maledetta la regione del fuoco, e siano maledetti tutti quei pezzenti con il simbolo della foglia sul proprio coprifronte.
Sono diretta alla foresta di Nara. Là sotto, nelle sue viscere, un rappresentante della famiglia Nara ha sepolto il mio compagno di vita. Colui che ho chiamato “sensei” per molti anni, che ho poi sostituito con il più ampio significato di “amore”. L'uomo che amo, l'uomo della mia vita. È sepolto sotto terra, terribilmente ferito.
Mi rifiuto di credere alla sua morte.
Quello stupido e ripugnante Zetsu … “ è morto” ha detto. Non sa di cosa parla.
Lui ed io apparteniamo all'antico culto di Jashin, il dio dell'immortalità. Egli ci concede la vita eterna, l'impossibilità di morire fisicamente, a patto che noi gli concediamo incessanti preghiere e sacrifici.
Mi sento tremendamente fredda e didascalica, mentre scrivo queste parole. È un patto tremendo, quello di cercare di conciliare le emozioni con la razionalità.
Ma sento la penna fluire comoda sotto il flusso dello sfogo. Le mie dita danzano con la tristezza e cercano di scacciarla, mentre traccio questi simboli sul foglio bianco.
Dunque dicevo di Jashin. La nostra fede, per quanto terribile a raccontarsi, è una fonte di salvezza e di garanzia. Io che ho dedicato la mia vita a fare la fuorilegge, a fare la giustiziera di un mondo che mi ha tagliata fuori, non posso che dichiararmi contenta.
È orribile, lo so. Ma ormai la mia anima è perduta, corrotta. E certo non la chiedo indietro.
Ho qui con me la mia catenina: un cerchio con un triangolo inscritto. È il simbolo dei seguaci di Jashin. Ne ho visti solo due in vita mia: il mio e quello di Hidan, il mio sensei.
Ho detto che temo la morte, in questi momenti …. ecco, Hidan una volta mi disse, sotto le incessanti domande che gli ponevo, che Jashin era piuttosto permaloso; se i sacrifici non gli venivano offerti entro un tempo limite, lui si stufava, e cominciava a mandare delle punizioni per ricordare ai suoi fedeli la loro missione.
Temo che si tratti proprio della punizione divina, il dolore che mi affligge. Il mio petto è coperto di piaghe, che sanguinano ogni tanto. Non è a caso che si trovino sul petto. Quando avrò raccontato la mia storia, sarà tutto molto più chiaro.
Non posso permettermi di compiere sacrifici a Jashin, comunque. Sono in incognito, nessuno sa che sono per conto mio. A parte i miei amici dell'Akatsuki, ovviamente.
 
Dunque è questa la mia situazione attuale: ho abbandonato la mia casa, il mio paradiso, la mia famiglia. L'Akatsuki è ora una bruciante fotografia che devo decidermi ad incollare nell'album del passato. Ma due settimane sono troppo poche.
Non posso ancora pensarlo, non è vero, non … non credo di voler continuare a scrivere oltre di questo argomento. Ho gli occhi gonfi di lacrime e lo ammetto solo perché sono sola con me stessa e questo stupido foglio di carta.
E ora smetto di scrivere. Se il sonno non mi avrà ancora mangiata viva entro un paio d'ore, tornerò a scrivere.
 
*
 
Mi ricordo come se fosse ieri quel giorno. Terribile, come un fulmine: un lampo, un botto, una voragine. Il mio lampo furono quei passettini incessanti, quei piccoli toc toc alla porta di legno. Il botto fu la voce di quella vecchia signora che lavorava al palazzo del Kazekage che mi annunciava la morte dei miei genitori. La voragine, invece, fu quello che mi rimase dentro, per moltissimo tempo.
Forse nemmeno ora l'ho rimarginata del tutto. Forse è ancora per quella voragine che combatto, che spero di riuscire nel mio intento. Oh, Hidan, amore mio … forse è stata quella voragine a condurmi da te e quindi non tutti i mali vengono per nuocere.
In ogni caso ero una bambina di quattro anni, abbastanza vispa da aver capito cosa stesse succedendo: i miei genitori me li ricordo molto poco, da un punto di vista fisionomico. Però erano molto buoni, forse più buoni di qualsiasi abitante medio di Suna.
Nonostante fossi molto piccola, mi avevano detto alcune cose: che c'era un bambino, il figlio del Kazekage, che era assai sfortunato. Suo padre non gli voleva bene, dicevano. Suo padre voleva che tutti lo odiassero. Gli aveva fatto qualcosa, mi dicevano. Io non lo capivo, allora, ma si riferivano al Demone Monocoda.
Questo bimbo assillava sempre i loro discorsi. “Quando andrai a scuola, non trattarlo mai male!” “non indicarlo mai per strada! È un bambino come te!” “non mi interessa cosa dicono gli altri bambini! Tanto meno i loro genitori. Devi volergli bene come a tutti gli altri! E guai a te se mai riderai di lui!”.
Ahh … anche prima di vederlo, ne ero già innamorata! Fare certi discorsi a una bambina produce il suo effetto. E io sapevo già di avere una cotta tremenda per questo piccolo reietto.
Mi ricordo i molti sforzi di mia mamma e mio papà, affinché quel bambino venisse accolto e amato dalla comunità; ma venivano sempre soffocati dall'autorità del Kazekage.
Ho sempre avuto un'immagine realisticamente negativa di quell'uomo a capo di Suna. Terribile, spietato ed egoista.
I miei genitori lavoravano per lui. Furono mandati in missione.
Mi ricordo l'ultimo abbraccio di mio padre e l'ultimo bacio di mia madre. Una cosa veloce. Ci vediamo stasera, dissero.
Credo che siano passati dei giorni, in realtà. Mi ricordo che avevo fame e che era scesa la notte. Però pensavo che fosse sempre lo stesso giorno. “ci vediamo stasera” voleva dire che di sicuro sarebbero tornati la sera esatta di quel giorno.
E non sarebbe mai finito, per me, se non fosse arrivata quella donnina anziana … nemmeno ricordo chi fosse …. che con il fiatone e le lacrime agli occhi mi diceva: “piccola Sama, che notizia terribile. Il tuo papà, la tua mamma … non ci sono più”.
Oh, io lo capii subito che era stato lui.
Non so bene come funzioni la mente di una bimba di quattro anni e forse mi stupirei, oggi, se vedessi una creaturina tale capace di certi ragionamenti. Fatto sta che capii subito che si trattava del Kazekage.
Oggi lo vedo chiaramente. Non so ben dire come l'idea abbia raggiunto la sua completezza e la sua oggettività così come lo è ora nel mio cervello. Quello che so per certo è che l Kazekage si sbarazzò di quei due rompiscatole dei miei genitori, che si impegnavano attivamente nella missione di far star bene suo figlio.
Lavorava così, il Kazekage. Si sbarazzava degli scomodi. E io decisi di diventare scomodissima.
La notte è fonda ormai. Sto finendo la candela.
La foresta di Kusa fruscia docilmente sotto le carezze del vento.
Sono stanca di pensare.

 

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Capitolo 2
*** II. Ryoko di Kiri ***


II


 

Terra del Fuoco
tramonto
 
Abbandonare Kusa mi ha riempito di vuoto. Si può dire?
Lo so che non ha molto senso …. eppure l'ho proprio sentito. L'ho sentito entrare, farsi largo dentro di me e magiare qualunque altra emozione potessi ancora provare.
Stanotte ho sognato Ryoko.
Ryoko è la mia migliore amica. Bella, coi capelli rossi, sempre spettinati. I suoi occhi verdi e penetranti. I suoi modi decisamente poco aristocratici.
Avrebbe reagito così, lei, se fosse stato Itachi quello morto?
Mi vorrà ancora bene? La rivedrò mai più?
E pensare la prima volta che la vidi …. era così chiusa in sé stessa. Una tigre, un felino che si trae dinnanzi a qualsiasi mano tenti di fargli le carezze.
Eppure ero riuscita a diventare sua amica, in un modo o nell'altro.
 
Ero da poco tempo stata ammessa al titolo di recluta nell'Akatsuki. Facevo un po' di tutto e il leader tollerava la mia presenza. Hidan era stato molto bravo ad addestrarmi. Nessuno poteva essere contrario ad avermi lì con loro.
Inoltre la mia particolarità di non poter morire poteva costituire un vantaggio, qualora qualche membro principale fosse caduto. Ero un jolly, una riserva.
Principalmente a quei tempi mi occupavo di recuperare il cibo. Piccole razzie nei villaggi vicini, qualche sacrificio occasionale per la mia sicurezza personale – sempre e solo alle persone che ritenevo meritevoli di morte – e altre commissioni per l'organizzazione … come per esempio la messaggera.
Non so ben dire quale fosse il mio carattere, all'epoca. Ancora non ho raccontato di come venni cacciata da Suna e di come mi ritrovai ad abbracciare la fede di Jashin (diciamo che non ebbi molta scelta). Lo racconterò un'altra volta. Oggi mi sento particolarmente in vena di parlare di Ryoko.
In ogni caso. Ero una tipetta di tredici, quattordici anni.
Mi ricordo che portarono questa ragazza – mi parve molto più grande di me – e che lei invece faceva di tutto per andarsene.
Aveva un atteggiamento glaciale e occhi iniettati di veleno.
« Il leader ti parlerà a breve. Sai perché sei stata portata qui» diceva Kakuzu, con voce se possibile ancora più fredda di quella della ragazza dai capelli rossi.
« Non mi interessano i vostri schifo di motivi. Non mi unirò a nessuna organizzazione. Sono libera. Sono per conto mio».
Kisame le teneva una mano sulla spalla. Aveva un atteggiamento confidenziale e rilassato. Sembrava che la conoscesse.
« Via, Riucchan … non fare la scontrosa. Aspetta che il leader ti parli, gattina!»
« Gattina?! Toglimi queste manacce di dosso, tu! »
« Dai, siamo amici o no?» Lui era divertito, lei furiosa.
« Ti ho detto di togliere queste mani dal mio corpo. Kisame! Smettila!»
Si, si conoscevano, dedussi. Avevano lo stesso coprifronte rigato. Kiri, il paese della nebbia.
Pensai che non potesse esserci paese più adeguato per una tipa così. I suoi occhi erano davvero minacciosi.
La infastidiva il comportamento rilassato di Kisame. Pensai che si trovasse più a suo agio con Kakuzu, che la minacciava con cattiveria. Almeno lui rispondeva con la stessa moneta. Kisame la poneva su un piano cui non era abituata o, almeno, al quale non voleva abituarsi in quel momento.
Pain venne fuori dopo non molto e la condusse nel suo ufficio.
 
« Chi è?» chiesi a Kisame.
Non avevo voglia di starmi a confondere con Kakuzu. Non mi avrebbe risposto, o comunque avrebbe detto qualcosa come …
« Affari del leader. Non impicciarti»
disse, infatti.
Sbuffai sonoramente.
« Fatti i cazzi tuoi. Parlavo a Kisame»
Kakuzu mi sopportava assai poco. Sinceramente nemmeno lui brillava di simpatia ai miei occhi.
Avevo imparato a farmi strada, fra quella gente che inizialmente avevo preso come “ninja incredibilmente superiori a me per abilità, con i quali non potrò mai avere nulla a che fare”. Ben presto l'atteggiamento di riverenza e sottomissione era stato messo da parte in favore del mio più spontaneo e selvatico caratterino.
Non che Hidan non mi avesse incoraggiata in quella direzione, sia chiaro.
Kisame mi rispose:
« È Ryoko, una spadaccina di Kiri. Siamo cresciuti insieme. Era un bel po' che non la vedevo»
Io mi dondolai sul divano di pelle nera, tutto sbucciato e vecchio: « E che ci fa qui?».
Kisame alzò le spalle.
« Il leader ha mandato me e Itachi a prenderla. Credo che la voglia con noi. È in gamba, la vecchia Riucchan. Una gran bevitrice di birra, a quel che ricordo».
« E il leader la vuole come compagna di bevute?» incalzai, sarcastica.
« Chissà. Forse come cosa secondaria la vuole anche come membro. Sai, è una nukenin pure lei»
« Ma dai. Davvero?»
« Fa la parte della vendicatrice solitaria. Una brutta storia … la sua famiglia. Tutti morti. È veramente forte. Una vera ninja coi fiocchi».
Provai sinceramente un'invidia bruciante, per quella chioma rossa e quella bella figura stagliata.
Bella, forte e persino nell'Akatsuki. Comodo.
Per i miei quattordici anni sentivo il mio orgoglio piuttosto ferito, ma che dire: alta un metro e un tappo, da sempre, lentigginosa, coi capelli corti e arruffati. Somigliavo più a un folletto o a un goblin, prima che a un potenziale membro dell'Akatsuki.
Però quel giorno non me lo scorderò mai.
 
« Sama, Pain vuole anche te nel suo studio»
Non ricordo chi me lo disse. Fatto sta che mi ritrovai con Ryoko al cospetto del leader. E le parole furono:
« Sama, da oggi dividerai la tua stanza con questa persona».
Io e Ryoko ci scambiammo un'occhiata velocissima, prendendo le misure reciprocamente.
« Sissignore» dissi, obbediente e schietta.
Se l'ordine aveva sortito in me qualche scontentezza, ero riuscita a non darlo a vedere.
« Tu e Ryoko di Kiri formerete un team, da oggi. Siete una squadra».
E con questo fui fuori dall'ufficio e poi chissà come di nuovo in camera mia … che non era più solo mia.
Ryoko di Kiri … compagna di squadra … un team. Io e lei, membre dell'Akatsuki.
Ero dentro. Ero una di loro.
Due anni a fare la matricola e finalmente, potevo indossare la tunica a nuvole rosse.
Non ricordo molto altro di quel giorno, più che altro la confusione.
 

 

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Capitolo 3
*** III. sangue e sesso ***


III
 
 
Foresta di Nara
dintorni di Konoha
mezzanotte
 
So nascondere la mia presenza agli animali... ma questi qui sono davvero strani.
Credo che qualcuno l'avesse detto, di questi maledetti cervi guardiani. Ho placato l'ira di Jashin con un paio di sacrifici. Non avevo mai ucciso animali per questo scopo. Solo caccia e non mi era mai piaciuto granché farlo.
Un animale, di per sé è innocente. Non come gli uomini.
Gli uomini si meritano quasi sempre la punizione divina del buon Jashin.
Ma questi cervi … questi sono al servizio di quel ragazzo. Quello che ha ucciso Hidan.
No.
No.
Non ucciso. Hidan è qui. Qui da qualche parte.
È passato un mese da quando ho lasciato l'Akatsuki. O almeno credo, se non ho fatto male i conti. Il tempo passa così stranamente … non riesco ad essere lucida, a capire, a ragionare.
 
È così tanto tempo che non vedo gli occhi di Hidan.
Oh, amore mio. Mio unico, impareggiabile, immenso amore.
I suoi occhi chiari, di quella sfumatura innaturale. Ho sempre sentito dire che gli albini sono estremamente deboli di costituzione. Lui no. Lui, il suo ampio petto, la sua muscolatura possente e calda.
Ricordo la prima volta che abbiamo fatto l'amore.
Fu tutto insieme. Non aspettavamo altro, da troppo tempo.
Kakuzu se n'era voluto rimanere al covo a sistemare certe somme di denaro per la contabilità dell'organizzazione. O forse, come pensai in seguito, tutto faceva parte di un piano malvagio per farci fare la più grossa delle figuracce.
Ma non mi importa … se essere stati scoperti da Kakuzu è stato il prezzo … beh, lo pagherei mille altre volte.
Avevo sedici anni. Ero innamorata persa di Hidan, probabilmente dal primo istante in cui avevo visto i suoi occhi, dopo essermi risvegliata da quell'oblio di morte quasi certa.
E mi rammarico di non averlo ancora messo per iscritto.
Quello è un ricordo meraviglioso. Quello è l'inizio della mia nuova vita.
Ma torno al giorno in cui io e Hidan ci immergemmo da soli nella foresta per esercitarci con la falce. Era davvero un buon maestro. O forse i miei metodi di giudizio sono sempre stati offuscati dal sentimento forte che provavo – e provo! – per lui.
 
« Sama» mi disse.
« Prendi la falce e seguimi. Oggi andiamo molto più lontano».
« Perché?» chiesi io, forse falsamente innocente.
« Perché è quello che cazzo ho deciso» Hidan è sempre stato famoso per la sua finezza d'espressione.
Trovammo quello spazio sufficiente fra i nodi degli alberi. Eravamo nella foresta profonda, la luce filtrava appena.
« Non ce ne andremo finché non avrai imparato qualcosa di nuovo» mi disse, aspro.
Io mi misi in guardia e aspettai l'attacco.
E arrivò, più feroce che mai. Non me l'aspettavo per nulla. Era come se volesse sfogarsi, se avesse qualcosa dentro e non trovasse altro modo di toglierselo dalla testa se non con il combattimento.
Non lo dico solo perché so come andò a finire, ma perché me ne dette davvero l'impressione.
Più volte avevo pensato di chiedergli “sensei, tutto bene?” ma non ne avevo avuto il coraggio. Ero in effetti turbata, stupita.
Ci colpimmo più volte, ma quella che uscì senza dubbio sconfitta ero io.
Forse a un certo punto decise di smettere perché mi aveva colpita così forte che il sangue mi usciva copiosamente da una spalla.
Gettò via la falce e mi si fece vicino:
« Cazzo, non volevo farti così male. È profondo? Fai vedere, bimba».
E poi non so bene come, inebriata dall'odore del sangue, del sudore, dal combattimento e dalle sue parole, mi ritrovai premuta contro di lui, a baciarlo come se dovessi mangiarmelo tutto.
E lui altrettanto.
Rispondeva e mi mordeva e mi accarezzava e premeva contro di me.
Rotolammo a terra, quasi combattendo. Io gemevo per il dolore alla spalla e per l'eccitazione. Lui non era da meno.
I nostri corpi erano appiccicosi, sentivo il suo torace caldo premere contro la mia canottiera sudata.
E in un attimo non c'era più nessuna canottiera. Il vento soffiava sulla pelle nuda sudata e rendeva tutto più fresco e scivoloso.
Poi ci fu il tronco di un albero, dietro di me e Hidan che mi baciava e mi spogliava di qualsiasi residuo di indumento.
Ed io ero accesa, accesa di fuoco, di qualcosa che anche adesso che ci penso, mi fa sentir male.
Dio mio, Hidan. Quanto ti amo, quanto ti vorrei ora con me.
Dove sei, mio amore? Mio maestro, mia vita.
Se la morte ti ha preso davvero, allora che prenda anche me, così che la morte “ci unisca”, anziché “ci separi”. Voglio essere unita a te, come quella prima volta, nella foresta.
Contro l'albero duro, le nostre pelli scorticate che rimbalzavano le une sulle altre.
Il tuo corpo caldo, la saliva umida di entrambe le bocche molli e affamate.
Il permesso che non mi hai mai chiesto, ma che senza dubbio ti avrei concesso anche a parole, di esplorare ciò che non era mai stato scoperto nel mio corpo. Quella sensazione di durezza, di riempimento, di soddisfazione di un antico appetito.
E poi il ritmo, frenetico. Tutto scorreva, umido e veloce. Io contro l'albero, tu contro di me. Il rumore mozzato dei miei respiri, i tuoi rantolii, i gemiti, la tua rigidità dentro di me.
Quanto tempo ti avevo desiderato.
Non avrei mai immaginato di risolvere quella situazione tutta in una volta. Ma tu di certo non eri tipo da separare primo bacio e prima volta.
Lo volevamo troppo. Tu spingevi, spingevi e io sussultavo. Tutto sapeva di sale, di caldo e brividi assieme.
E poi l'orribile, maledetta voce di Kakuzu.
 
« Se volevate essere lasciati soli, bastava dirlo esplicitamente».
Io che mi sentii morire … e che probabilmente, non fosse stato per la protezione di Jashin, un infarto lo avrei avuto per davvero.
E tu, fine come un petalo di rosa, con la voce affannata:
« Non lo vengo a dire a te, se ho voglia di scopare!»
Quel poco di romantico che aveva l'episodio, veniva ora ridotto in brindelli.
« Certo che no. Però mi avresti risparmiato la scena. In ogni caso sono venuto ad avvisarti che il leader ti vuole parlare»
« Vai a farti fottere, Kakuzu» rispose Hidan, con molta delicatezza.
Non so bene il mio ruolo esteriore, in questa faccenda. Dovevo essere alquanto ridicola, tutta nuda, compressa contro l'albero e il corpo di Hidan.
« Oh, io no di certo. Ma finite pure, voi due. Ci vediamo da Pain-sama».
E girò i tacchi.
Che razza di stronzo, quell'uomo.
Adesso è morto.
Anche lui.
Così ha detto Zetsu.
“sono stati sconfitti. Sono morti”. Non è possibile. Kakuzu. Morto.
Hidan, oh, mio Hidan. Tu non sei morto.
Io ti verrò a disseppellire. Sono vicina. Ti troverò.
Dovessi impiegare tutta la mia vita per radere al suolo ogni singola zolla di questa foresta.
E poi faremo l'amore per sempre. Ce ne andremo lontani. Lontani da Konoha e anche dall'Akatsuki. Vivremo da soli, per sempre. Ricomporrò il tuo corpo, con tutta la cura possibile. Sarò al tuo fianco per lenire il dolore, per sentirti parlare, per sentirti respirare.
Mio Hidan, mio sensei.
Non sei morto, non puoi. Jashin lo impedirà. Jashin non tradirà il suo servo più fedele.

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Capitolo 4
*** IV. quando morì ***


Foresta di Nara,
due e mezza
 
mi tornano alla mente i ricordi peggiori.
L'ora più buia, più nera della mia vita.
Quanto tempo è già passato da quella sera? Da quanto tempo sono in questa foresta?
Mi sembra di impazzire. Sono giorni o mesi? E se fossero anni?
No, no, è impossibile. Mesi. Si tratta di mesi.
Tre? Quattro?
Non lo so più.
Ma il ricordo vola, stanotte. Vola a una sera di tre o quattro mesi fa. Alla sera, quella sera. L'unica sera di cui ricorderò con certezza tutti i contorni, per sempre.
 
Quella sera ero seduta sul vecchio divano nero tutto sgangherato. Mi piaceva starmene lì accoccolata in pose non proprio da vera signorina, magari in pigiama, a ridere e scherzare con gli altri.
Quella volta però c’era più silenzio del solito, perché sul piccolo tavolino che adornava a casaccio il piccolo spazio, Deidara giocava a carte con Kisame ed entrambi avevano esplicitamente richiesto che non volasse una mosca.
Io li osservavo, a gambe incrociate, seduta appunto sul divano tutto rotto. Ero pacifica, mi sentivo contenta e non avevo preoccupazioni per la mente.
Hidan, il mio Hidan, era occupato in una missione di recupero di una forza portante con il suo compagno di squadra, quel vecchio idiota di Kakuzu
Erano dalle parti di Konoha, aveva detto Zetsu, e io non li invidiavo per niente. Odiavo quel posto. Mi ispirava una tale antipatia anche solo a pensarlo.
Appena fosse tornato, Hidan, gli avrei fatto una scenata perché sicuramente non mi aveva portato nemmeno un regalino. Lui sapeva che scherzavo, solo che mi andava di rompergli un po’ le scatole.

La mia migliore amica, nonché collega di lavoro dell’organizzazione, era presumibilmente nei bagni a farsi la doccia e più tardi ci avrebbe raggiunti.
Immaginai che una volta arrivata lei, il “non volare una mosca” sarebbe cessato volenti o nolenti, e Kisame si sarebbe infuriato scherzosamente con lei. Deidara l’avrebbe presa male sul serio, invece, e sarebbe rimasto stizzito fino al mattino dopo.
Ridacchiai fra me e me della sua faccia impermalita, poi mi alzai per andare a rovistare nella credenza: mi pareva che l’ultima volta che qualcuno aveva fatto rifornimento di cibo, avesse trovato anche dei bei succhi di frutta dall’aspetto delizioso. Inseguendo quella vaga immagine che avevo di loro in testa, mi diressi verso lo sportello che immaginavo potesse contenerli.
Prima che io potessi raggiungere la meta, la porta di ingresso si aprì. Un sorriso largo mi si dipinse in volto, immaginando che il sensei fosse già di ritorno. 
Voltai la testa a guadare e vidi invece Zetsu, sporco di pioggia e fango.
Non mi importò assolutamente nulla di lui, anzi, il mio pensiero più grande fu: “accidenti, che tempo c’è fuori?!”. Nessuno si era curato della sua entrata, nemmeno Kisame e Deidara, che continuavano a star seduti sul pavimento a giocare attorno a quel tavolino.
Se mai qualcuno mi avesse detto: “avrai un giorno, nella tua vita, in cui ogni certezza ti sembrerà vacillare, ogni sentimento ti soffocherà di dolore, ogni minima briciola del tuo corpo desidererà la morte”, io sicuramente non avrei mai inserito quella serata, che sembrava così normale, fra le giornate candidabili.
E invece fu proprio quello il giorno.
Con tre parole, lo capii:

« Sono stati sconfitti».
Silenzio.
Lo stesso silenzio che vigeva finora, ma ancora di più, di più. Più silenzio.
Vedo Deidara voltarsi, Kisame poggiare le carte sul tavolo.
« Sono morti entrambi».
Dice la voce di Zetsu.
Si apre una voragine nel pavimento e io scivolo giù, giù, giù. Tutto si fa scuro, ovattato e informe. 
Kisame inizia a fare domande di cui non capisco il significato. Urla cose a Zetsu, che rimane impassibile. Gli risponde piano, così piano che non riesco a sentirlo.
Sento il braccio di Deidara attorno alla mia vita, mi accorgo che sto cadendo perché non ho più le gambe.
“Sama, Sama” sento dire da molto lontano. 
Chi è Sama? Non me lo ricordo, eppure credo che dovrei saperlo.
Li guardo con calma tutti e tre. Non sento un rumore, solo un forte ronzio e gli orecchi che bruciano.
Deidara mi stringe al petto, Kisame urla qualcosa, poi arriva Ryoko, che mi fissa e mi prende il volto fra le mani.
Non ho un corpo, solo due occhi che guardano e non capiscono quello che vedono. Ryoko mi parla ma io non la sento. 
Percepisco spostamenti e confusione, poi una forte pressione ai polsi: Ryoko me li sta stringendo. Perché? 
Ho in mano un coltello ma l’ho impugnato dalla parte sbagliata: mi sanguina la mano. Fa male.
« Sama che vuoi fare? Fermati. Vieni a sdraiarti»
Ora la sento: è la voce di Ryoko, la mia cara Ryoko. Sento una forza, un impulso che mi dice che lei è tutto quello che mi rimane. Ho perso qualcosa di enormemente grande e Ryoko è l’unico pezzetto di quel che resta.
Le cingo debolmente il collo e Deidara mi sfila dolcemente il coltello di mano. 
Credo di aver urlato e pianto fortissimo, ma io ricordo solo silenzio. E buio.
Un insieme di voci confuse ciarlano al mio orecchio:
« Che si è fatta?»
« Ha preso un coltello, diceva di voler andare fuori ad ammazzare i responsabili»
« Si è tagliata, è confusa»
« Ma è svenuta?»
« No, ma ancora non ragiona. È fuori di sé»
« Cosa dobbiamo fare?»
« Lasciateci Ryoko con lei. Andiamo via, qui la soffochiamo e basta»
« Ma Zetsu ha detto com’è  stato possibile? Insomma … il fatto dell’immortalità»
« L’hanno fatto esplodere. Hanno sepolto quel che è rimasto»
« Chi è stato?»
« Shikamaru Nara, dicono»

Shikamaru Nara. Shikamaru Nara. Shikamaru Nara. Il suo nome impresso nella mia mente a caratteri di fuoco brucia insieme alle mie lacrime salate.
Non dimenticherò, Shikamaru Nara. 
*
Era scesa la notte e mi resi conto di essere ancora sveglia. Forse avevo dormito qualche ora, ma la differenza di stato fra il sonno e la veglia, in quel momento per me, era nulla. Sentii gli occhi gonfi e le palpebre pesanti. Avevo la gola raschiata con la palese impressione che se avessi provato a dire qualcosa non sarebbe uscito alcun suono; ero senza voce. Avevo dunque urlato senza rendermene conto.
Una lieve pressione attorno al mio corpo mi fece capire di non essere sola. Tastai per comprendere la consistenza di quella non ricordata compagnia e mi resi conto di chi fosse: Ryoko si era addormentata  abbracciata a me. Eravamo stese sul divano e lei mi cingeva con una tenerezza così grande che il mio cervello andò  ripescare una sensazione lontana mi ricordata; pensai alla mia mamma e riaffiorò con lei la sensazione di esserle stretta mentre dormivo nel letto.
Finalmente percepii i lucciconi che mi spuntarono sul ciglio degli occhi e poi la gola mi arse con insolenza. Tirai su col naso e Ryoko si mosse.
« Ehi» mi disse, assonnata. Era addormentata, ma cercava comunque di farmi star bene.
« Ciao Riucchan»
« Ti do fastidio?»
« No»
« Vuoi qualcosa?»
« No».
Io parlavo con deboli soffi, lei con dolci sbuffi. 
In un attimo fu di nuovo nel sonno.
Io adesso ero sveglia e cosciente: mi frizzava una mano, mi dolevano la gola e gli occhi. Ero presente. 
La mia testa diceva solo che non era possibile che fosse accaduto quel che avevano detto. Non era accaduto e basta.
Hidan aveva bisogno d’aiuto. Aveva bisogno di me. E non c’era tempo da perdere.
Alzai il braccio con cui Ryoko mi stringeva e al suo mugugnare interrogativo risposi con un: “vado al bagno”.
Ryoko, la mia cara Ryoko. Era buona, lei. Era la mia sorellona, la mia inseparabile e insostituibile sorellona. Faceva la cattiva e la vita l’aveva provata abbastanza da giustificala, ma nel suo profondo, alla radice, lei era buona. Ed era stata chissà quante ore a coccolarmi per farmi addormentare e a zittirmi mentre urlavo.
Lei si meritava ogni bene.
Eppure non potevo dirle che non stavo andando al bagno, ma che me ne stavo andando per sempre.
Se ci ripenso adesso, mi dispiace tantissimo che quella sia stata la mia ultima notte nell’Akatsuki, nella vera Akatsuki. Ho visto la sua disfatta dall’esterno, come una codarda. Dopo tutte le cose belle e brutte che avevamo passato insieme …
Eppure, quella fu l’ultima notte. Mi diressi in camera mia e di Ryoko, mi caricai del mio zaino, della mia falce e di una pala: avevano sotterrato il corpo esploso del mio Hidan. Chissà come stava soffrendo.
Lui stava soffrendo, perché lui era vivo. Non poteva essere morto.
Zetsu non capiva nulla, non aveva ma capito nulla! È una stupida pianta senza cervello, mi dicevo. Cosa vuoi che ne sappia di Hidan?
Accidenti a Zetsu, fu il mio ultimo pensiero, mentre varcavo la soglia solitaria, lasciando Ryoko dolcemente addormentata sul divano.

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Capitolo 5
*** V. cotte ***


V
 

Foresta di Nara,
circa l'una di notte
 
 
Nella mia vita ho avuto poche cotte … e un vero amore.
Gaara, certo, è stato la mia prima cotta.
Come ho già detto, quel ragazzino così solo, triste, arrabbiato e pericoloso, mi affascinava moltissimo.
Quanto l'ho spiato, da bambina.
Ero veramente tremenda, però, a quei tempi. Un conto era fingere l'innamoramento anche a me stessa; un altro era l'impegno attivo per sovvertire l'ordine del Kazekage.
Avevo cercato di ucciderlo circa tredici volte: le prime quattro ... diciamo che furono tentativi davvero sciocchi, ma che potevo farci … avevo cinque anni.
Col tempo smisi di creare trappole all'ingresso del palazzo (cose come corde tese o pozze d'acqua) e mi dedicai a più costruttivi incendi e piccoli esplosivi.
Era divertente, perché la mia statura veramente minuta mi permetteva di nascondermi con facilità. Il Kazekage non mi vide mai di persona. Non poteva sapere con certezza che si trattava di me, però chissà come … lo aveva indovinato (sarcasmo … sarcasmo).
Ben presto tutti i genitori di Suna mi iniziarono a squadrare, a sussurrare al mio passaggio, a farmi sentire il piccolo mostriciattolo che ero.
Minuscola, lentigginosa, coi capelli castani ispidi, arruffati e, all'epoca, sempre lunghi. Gli occhietti scuri, pronti a cogliere ogni minaccia.
La compassione verso la povera orfana ci mise pochissimo a tramutarsi in intolleranza verso la piccola figlia dei traditori.
Sama mostriciattolo, Sama faccia a macchie, Sama capelli di stoppa, Sama selvatica, Sama scellerata, Sama bambina pazza, Sama da manicomio ….
questi e molti altri appellativi ho udito rivolti alla me di molti anni fa. Figuriamoci come ne è uscita una bambina che dai quattro anni fino ai dodici ha convissuto con certa gentaccia.
Inselvatichita più che mai, rabbiosa, cattiva. Ero proprio così.
Buffo pensare che una banda di criminali abbia negli anni ammansito e addomesticato il mio dolore selvaggio.
Ma a quel tempo non sapevo niente del mio futuro. Pensavo che sarebbe rimasto legato a Suna per sempre. Ah, ma figuriamoci!
Se non fosse stato per la gente, la città in sé mi sarebbe anche piaciuta. Detesto scrivere una cosa del genere, ma spesso mi sono trovata a rimpiangere il bel clima della mia città natale.
Il caldo soffocante, il vento leggero che trasportava i granelli di sabbiolina. La ruvidità di ogni edificio. Quelli erano ricordi piacevoli.
Beh, se poi ci metto dentro le persone, ogni ricordo diventa uno schifo, però ecco … l'ambiente di per sé non era male.
Mi nascondevo in ogni angolo. Ah ah ah, quanto ho sbirciato il figlio del Kazekage! Lo vedevo, anche lui solo e incattivito. Con dei bellissimi capelli rossi. Mi sono sempre piaciuti i capelli rossi.
E poi aveva occhi grandi, sofferenti, azzurri cerchiati da pesantissime occhiaie.
Forse a pensarci, non avrebbe mai potuto ricambiare i miei sentimenti. Voglio dire … era una vita che lanciavo bombe nello studio di suo padre.
Forse non è quello che si direbbe proprio un buon inizio.
O magari, al contrario, visto quant'era cattivo quell'uomo con lui, mi avrebbe potuta anche vedere in un'ottica romantica.
Che pensieri strani, da mettere per iscritto, adesso che tutto è così lontano.
Di Temari però mi ricordo bene.
Lei si che mi piaceva. Oh, che ragazza dolce.
Me la ricordo che mi lasciava dei profumatissimi pacchettini sulla soglia di casa, pieni di cibo buono. Se fosse stato per lei, credo che mi avrebbe adottata come una figlia sua, credo! Ah ah ah.
Era molto autoritaria, ma anche buona. Un gran cuore.
Peccato non aver ceduto ed esserle rimasta in qualche modo sempre più lontana di quanto avrei potuto.
 
Un'altra cotta fu … oh cielo. Non avrei mai pensato di metterlo per iscritto, da nessuna parte. Mai detto a nessuno.
Forse non me l'ero nemmeno mai detta troppo forte manco a me stessa.
Se devo scrivere tutto di me, tutto quello che mi riguarda, bisogna che mi decida.
Deidara è stato un'altra cotta.
Dal primo momento che ho incontrato Hidan ho provato qualcosa per lui, però ammetto che dopo essere stata portata all'Akatsuki, Deidara fu il primo a volermi bene e trattarmi come una di loro.
Era giovane, simpatico e molto affine al mio carattere. Gli stavo simpatica da quando gli avevano raccontato che avevo cercato di far esplodere il Kazekage diverse volte.
Mi piacevano anche le sue bombe. Quegli uccellini vagamente inquietanti …
non posso dire di essermi innamorata di lui, quello no. Era un misto fra un amico, un fratello e il desiderio di qualcosa di più. Ero troppo spaventata e disillusa per tentare un approccio romantico con Hidan, nonostante fosse lui il primissimo della delicata lista interiore degli affetti.
Ci fu una volta in cui tutto, forse, prese una piega definitiva.
Ero seduta con Deidara sul divano nero, rotto e ammaccato del covo dell'Akatsuki. Al tempo ero una recluta, non potevo ancora indossare la tunica.
Stavamo giocando con l'argilla e lui dava di matto ogni volta che riuscivo a creare una figurina che gli piacesse.
 
< Uhhh! Questa deve esplodere! Ti prego! Fammela esplodere!>
< NO!> ripresi la mia statuetta a forma di mucca. Era proprio bellina, mi ci ero affezionata.
< Non ha senso conservarla, uhn. Più belle sono, più artistica sarà l'esplosione! Quella è argilla esplosiva, Sama-chan!>
In effetti giocare a fare le formine con argilla esplosiva era piuttosto stupido.
< E va bene! Prenditi la mia mucca> gliela porsi con gran risentimento.
< Ohh ma che broncio adorabile, piiiccola Sama-chan!> mi tirò le guance lentigginose. Avvampai.
< Lasciami!>
in risposta, lui mi prese in braccio e mi strizzò come un orsacchiotto. Io ero in preda a convulsi di risa e un forte formicolio allo stomaco.
Poi ad un certo punto, Deidara smise di fare lo scemo e mi sistemò a sedere sulle sue ginocchia, spostandomi una ciocca di capelli arruffati dietro l'orecchio. Fu un gesto così adorabile che per un momento mi immaginai di volergli dare un bacio.
Poi vidi Hidan, poco più in là, che avanzava dalla sua stanza verso l'uscita per andare ad esercitarsi con la falce. Mi squadrò velocemente e in quell'attimo capii di voler essere da tutt'altra parte.
Capii che Deidara non era quello che volevo e che ero stata veramente sciocca.
 
Per l'amor del cielo, sembro una vera sciacquetta, a scrivere queste cose di me.
In realtà la mia cotta per Dei è durata molto poco. L'ho sempre sentito come un grandissimo amico, da quella volta in poi.
Ora che ci penso, mi manca molto Deidara. Come Ryoko, anche lui era uno di quelli che rendevano la tana dell'Akatsuki una piccola famiglia.
E a chi non volevo bene, alla fine? Itachi e Kisame … anche loro, erano una faccia piacevole.
Kakuzu … che sentimenti contrastanti. Sento le mie budella contorcersi all'idea che non potrò mai più odiarlo, mai più guardarlo in cagnesco.
Proprio come fu per Sasori.
Nel vedere un coprifronte di Suna, la prima volta mi ero rincuorata. Eppure poi avevo scoperto di non provare una gran simpatia per Sasori. Né lui la provava verso di me.
Mi ignorava, ogni tanto lanciava qualche frecciatina sulla mia presenza lì. Mi diceva che ero una specie di concubina … oppure che ero una marmocchia frignucolosa … o anche che la mia testa non funzionava nel verso giusto, visto che avevo in simpatia Deidara (e la sua arte).
Però quando mi dissero che era morto ….
 
Il mondo non dovrebbe girare così.
Lo so di non meritare la redenzione, lo so che non sono un'eroina, una buona. Non lo sarò mai e non voglio esserlo. Però, dannazione.
Il male primitivo, quello che trasformò ognuno di noi in ninja ricercati, è stato per mano degli “eroi”. E loro, impuniti, hanno mantenuto il loro status.
Anche i genitori di Sasori erano morti, se non sbaglio. E quello che mi venne riferito, fu che Sasori aveva preferito fare una brutta fine piuttosto che distruggere la propria famiglia.
 
Adesso vado a dormire. Sono stanca.
Questi maledetti cervi non mi fanno muovere velocemente come vorrei.
Se solo ci fosse un indizio … un modo per sapere dove è sepolto il mio Hidan.
Credo che potrei impazzire, se non sono già matta.
Odio Konoha, odio Shikamaru Nara. Hidan, aspettami, se sei lì.
Lo so che non perderai fiducia in me.
La tua Sama sta arrivando. Tua, tua e solo tua.

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Capitolo 6
*** VI. come divenni immortale ***


 Foresta di Nara,
notte fonda.
 
Ho smesso di contare le ore. L'unica distinzione che mi riesce è di non confondere il giorno con la notte.
Oggi non ho fatto progressi. Questa foresta mi fa impazzire.
Se dovessi dire da quanto tempo ho cominciato a scrivere queste pagine, non saprei rispondere. Ricordo di aver usato il termine “settimane”, una volta. Quindi in totale si parla di mesi? È passato già un anno? Più di un anno?
E Hidan … oh Hidan. Se sto impazzendo io, da sola ma tutta intera, cosa ne sarà di te, ora? Sarai sempre una mente vigile, in grado di capire … o il dolore e le speranze infrante di un salvataggio veloce, ti hanno fatto cadere nell'oblio?
Jashin mi perseguita: le piaghe sul petto sono concentrate, proprio nel punto in cui …
si, devo raccontarlo, ormai.
 
Molti anni fa, quando ero una piccola mocciosa ribelle – che credeva di poter far saltare in aria il Kazekage – ricevetti un compito che mi scaraventò a capo fitto nella mia da nukenin.
Avevo frequentato l'accademia ninja come tutti i bambini, ma solo a me erano toccate le occhiatacce, lo sdegno e la solitudine. A me e a Gaara, il figlio del Kage. In effetti, Suna non ha molto da farsi invidiare per le relazioni sociali.
Quando venne formato il mio team, ricordo la riluttanza dei miei due compagni maschi. Si chiamavano Hoshiko e Kinji. Non ho molto più dei loro nomi in testa. Ogni tanto mi tornano in mente, come una specie di antico ritornello senza senso. Le loro facce le ho rimosse, dopo aver pensato per anni di possederle ancora. Hoshiko e Kinji. Chissà perché la mia memoria ha deciso di inventarsi questa filastrocca.
Se ne stavano sempre per i fatti loro e quando ci assegnavano le missioni, facevano finta che io non ci fossi. Il maestro a volte mi diceva l'orario sbagliato, per non farmi presenziare.
Credo che mi odiassero tutti così tanto perché ero ingestibile: nessuno mi era stato accanto dalla morte dei miei genitori e una bambina che si tira su a pane e rancore non è proprio il massimo. Lo dico mettendomi nei panni di quelli di Suna … forse anche io mi sarei detestata. Però quella ero io e ormai non posso cambiare.
Mi infervoravo di tutto, facevo baccano, non parlavo d'altro se non di uccidere il Kazekage. Mi sentivo superiore a chiunque … o forse solo più furba.
Fatto sta che un giorno venimmo convocati per una missione di livello piuttosto alto. Hoshiko e Kinji erano stati tutto il tempo a crogiolarsi nell'idea che il Kage avesse individuato la loro bravura. Io ero stata tenuta fuori dall'ufficio, col maestro. Non potevo mica stare alla presenza del Kazekage.
Mi venne poi detto che la missione era la seguente: dei ladri avevano derubato un'anziana ricca signora ed erano diretti verso il confine con la foresta. Beh, che grande idiozia fu il mio pensiero. Almeno non dovevamo spazzare la sabbia via dal cortile di qualcuno, ma restava una missione idiota per dei ninja diplomati.
Che ingenua, sapete?
Quelli che ci aspettavano, sul confine, non erano ladri. Erano mercenari assoldati per ucciderci. Il Kazekage aveva deciso di sacrificare Hoshiko e Kinji pur di liberarsi di me. Una missione trappola, proprio come per i miei scomodi genitori.
Capimmo subito che si trattava di qualcosa di più pericoloso del previsto e io mi resi conto di che cosa significasse.
Ero certa che sarei caduta combattendo. Piccola, lentigginosa e totalmente fuori di cervello: decisi che sarei morta, ma che l'avrei fatto con almeno un kunai in mano. Non è un atteggiamento da lodare: una ragazzina dovrebbe fuggire davanti a gente che minaccia di farla fuori.
Hoshiko e Kinji se la diedero a gambe, ma sinceramente non so se siano sopravvissuti o meno. Peccato, sarei quasi curiosa, adesso.
Beh, mi ricordo di aver sentito molto male. Così tanto da non avere paragoni. La certezza di non poter mai più alzarsi in piedi e l'incertezza di come fosse fatto il mio corpo. Poi qualche voce diceva che sarei morta di lì a un paio di attimi e che potevano sloggiare. Il lavoro era finito, il Kage li avrebbe pagati al punto di ritrovo.
Se ci ripenso ora, mi vengono i brividi … di odio! eppure in quel momento non credo di essermi agitata troppo. Era una disperazione totale.
Attesi in un silenzio simile a una bolla, che la morte venisse a prendermi.
Poi ci furono degli altri rumori,. Più velati, poco dopo che i briganti se n'erano andati. Questi qui erano come passi di qualcuno che non è certo se uscire allo scoperto.
Aprii gli occhi e vidi qualcuno in lontananza.
 
< Ehi tizio ….> dissi: .
Poi svenni, o principiai a morire.
In un istante il tizio mi era vicino e mi sussurrava delle cose. Posso aiutarti diceva. Allora aiutami.
Vuoi diventare immortale? Boh, si. Non sapevo nemmeno se lo stavo sognando.
Avrai degli obblighi. Va bene.
Sarò il tuo maestro. Va bene,
Sei pronta? Si.
E con un colpo netto, venni colpita al petto da un gigantesco palo appuntito. Mi trapassò la cassa toracica e si conficcò nel terreno sotto di me. Emisi un urlo efferato, di paura più totale. E mi vidi quel coso nero venir fuori dal petto. Ero inchiodata, sanguinante, distrutta!
Con gli occhi pieni di lacrime vidi chi mi aveva fatto questo: un ragazzo più grande di me … con la carnagione pallida e due occhi rosa violaceo, da albino. Occhi eloquenti e molto, molto intriganti.
< Perché mi hai fatto questo?> dissi, devastata, urlando, fra le lacrime.
Lui rispose, tranquillo: < Sei viva>.
E io mi accorsi di essere viva. Avevo un palo conficcato nel petto! Ma ero viva!
Sgranai gli occhi nel più incredulo stupore. Lui rise. Aveva una voce beffarda. Anche da una risata gentile si riconosceva il tono di uno sbruffone.
< Ti ho detto che ti avrei resa immortale. Non mi hai ascoltato?>
< Beh … no> risposi con franchezza. Ero un po' troppo impegnata a morire, qualche istante prima.
Lui rise di nuovo. Mi ipnotizzai ancora in quel colore insolito di occhi. Aveva una faccia molto piacevole e quegli occhi la rendevano speciale.
< Senti, perché sei stata lasciata qui a morire, piccoletta? Ho visto dei criminali di basso rango allontanarsi in fretta e furia>.
Aveva un tono sbrigativo, si guardava intorno, come se aspettasse qualcuno. Decidendo che eravamo soli, almeno per il momento, si accovacciò accanto a me, parlandomi come se fossimo davanti a una tazza di tè e non davanti al mio corpo spappolato.
< Beh> dissi io, percependo il palo vibrare ad ogni parola: < sono di Suna. Il Kazekage ha fatto uccidere i miei genitori, quando avevo quattro anni. Da quel giorno medito di fargli altrettanto. Solo che lui se n'è accorto e credo che ci sia riuscito prima di me>.
Il ragazzo, che aveva uno strano abbigliamento e un coprifronte rigato (era un ricercato, allora!), sospirò:
< Naaah, non c'è ancora riuscito a farti fuori. E mi sa che ormai non gli riuscirà più. Più che altro, ormai non puoi più tornare in quella fogna> disse alludendo a Suna, con un cenno del capo. < Tu ora sei mia discepola. Ti insegnerò a diventare una Jashinista. E ti allenerò per bene, finché non sarai in grado di uccidere il Kazekage>.
< Tu mi …. mi porti via da Suna?>
< Si, mocciosa. Se non ti sta bene dovrò usare la forza>
< Ohhh! Hai capito male! Tu … tu mi salvi la vita! Mi porti via! Mi allenerai ….. chi sei tu? Sarò per sempre tua debitrice!>.
Il palo iniziava a farmi molto male. Non ne potevo nemmeno più di vederlo così orribilmente conficcato nel mio torace.
< Mi chiamo Hidan. E senti, non pensare che sarà tutto rose e fiori. Tanto per cominciare, il tuo primo problema si chiama Kakuzu. E lo incontrerai prima del previsto>.
Prima di capire, avevo visto i suoi occhi dardeggiare in una direzione imprecisata della foresta.
Aveva assunto un'aria di sfida, ancora prima che i miei sensi mi suggerissero la presenza di un terzo individuo.
Rabbrividii nell'incrociare lo sguardo del nuovo arrivato, la cui faccia era tenuta nascosta da una specie di maschera di stoffa. Avevo visto certa gente di Suna, con dei copricapo simili, ma il coprifronte di questo Kakuzu, mi risultava sconosciuto.
I suoi occhi non erano affatto amichevoli. In una manciata di secondi, riuscì a gelare tutto l'ambiente. Guardò me, poi il ragazzo di nome Hidan, poi di nuovo me.
 
< Perché l'hai fatto?>
La sua voce risuonava infagottata, da sotto quella maschera.
< Tsk. Fanculo, Kakuzu!> Lo rimbeccò Hidan. < Voglio espandere la mia religione! Non posso fare quel che cazzo mi pare?!>.
< Risparmia le parolacce, imbecille. E dovevi espandere la tua religione proprio con una mocciosa incontrata per strada, vero? Questo non ha niente a vedere con il discorso che ti ha fatto il leader non meno di ventiquattr'ore fa, vero? “Uno può dire di essere un bravo ninja quando ha addestrato un allievo. Quando mi porterai un allievo in grado di battersi come si deve, saprò che sei diventato qualcuno.” il leader te l'ha detto perché ti stavi atteggiando, come se tu fossi il ninja più dotato del mondo! Non perché dovevi presentargli il primo idiota che ti capitava a tiro!>
< Quante parole, vecchia bambola di stoffa. Rattoppato! Vai a fare i discorsi a qualcun altro. Mi importa un cazzo di quello che pensi!>
< Farebbe bene a importarti, perché noi ora stiamo rientrando al covo e tu dovrai portarti dietro questa mocciosa. Perché ormai ha visto e sentito molte cose di noi, ma non posso più ucciderla. Se è una ripicca, sappi che è la cosa più infantile che tu abbia mai fatto. Che te ne farai di lei? La porterai dietro per sempre come un animaletto?>
< La allenerò. E la mostrerò al leader.>
< Tu sei senza cervello>
< E tu sei un vecchio rincoglionito!>
 
Ovviamente avevo sentito ogni parola, anche se si erano comportati come se fossi sorda.
Non ci avevo capito un accidente, se non che ero sgradita a quello di nome Kakuzu, mentre Hidan mi avrebbe dovuta portare con sé. Avevano parlato di questo leader … chissà di che cosa.
Improvvisamente sentii che non avevo paura. Né di Kakuzu, né del fantomatico leader.
Ero immortale.
Non avrei mai più dovuto temere niente.
Questa consapevolezza improvvisa, quel misto infinito di emozioni, belle, brutte, fortissime, mi fecero girare la testa e in un attimo, svenni.
Di certo non avevo fatto una bella impressione.

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