L'Ultima Margherita

di Ariana_Silente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nota: "L'Ultima Margherita" è un testo su cui tutt'ora sto lavorando. Sta diventando molto diverso da com'è nato, quindi di seguito trovate una versione rivista, corretta ed ampliata. Buona lettura. 


§Prologo§
 
Doni

Quand'era piccolo, quella tomba con la sua croce gli sembravano tanto grandi da avvolgerlo. Si ricordava di quando sua madre doveva separarlo dalla semplice croce di legno, che portava all'incrocio dei due bracci la foto della bimba ridente che l'aveva accompagnato nel resto della sua vita.
Si ricordava di aver sognato più volte di incontrarla lì, che quel posto non fosse altro che un ingresso verso un mondo magico, più divertente, migliore, come l'armadio per Narnia o il treno per Hogwarts, in cui la sorella era andata in avanscoperta per poi tornare a prenderlo.
Nel tempo aveva avuto modo di capire però che era solo un luogo d'arrivo e non di transito, un po’ come ne “I Fratelli Cuor di Leone”: si poteva solo proseguire e non tornare indietro. Ciò nonostante ci tornava sempre perché stare lì, a parlare alla piccola foto, lo faceva sentire sereno, come se l'avesse ancora accanto a sé.
Aveva finito di sistemare il mazzolino di margherite nel loro posto e di togliere la polvere dal vetro.
Rimase immobile, le mani lungo i fianchi, gli occhi chiusi.
Un uomo non del tutto fiorito, dibattuto tra un passato che ancora gli dava incubi e un presente da ricreare, tra morte e amore.
Indossava un cappotto lungo e scuro, il bavero rialzato a ripararsi dalla fredda aria del pomeriggio.
“Ce l'abbiamo fatta.” pensò poi sospirando, esausto.
Scrutò l'orizzonte, una lunga banda frastagliata e infuocata di lingue rosse e arancio che si mescolavano, strozzando le nubi violacee.
Fece un respiro profondo.
Si sentiva svuotato, ma per la prima volta in vita sua in pace con sé stesso. Consapevole di aver fatto tutto quello che doveva.
Era una sensazione nuova. Non particolarmente piacevole, ma appagante.

Un suono catturò la sua attenzione.
Per un attimo ebbe paura potesse trattarsi della madre o del patrigno, ma di certo nessuno dei due gli avrebbe usato la gentilezza di mantenere le distanze. Poi si disse che decisamente poteva trattarsi di un qualsiasi altro parente di uno dei numerosi defunti attorno a lui.
Eppure si sentiva osservato, non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione.
Cercò di guardarsi intorno senza attirare l'attenzione e con la coda dell'occhio notò una figura esile, femminile, più bassa di lui.
Si sentì invadere da una piacevole sensazione di sorpresa perché tanto gli era bastato per capire di chi si trattasse. E per la prima volta i suoi pensieri non furono rivolti alla piccola tomba, nonostante vi si trovasse davanti. Annuì in modo che potesse capire che l'aveva notata.
Un attimo dopo poté percepire il suo profumo, ma era rimasta dietro, a un passo da lui.
‹‹Sono sorpreso di vederti qui. Pensavo non volessi più saperne di me.›› le sussurrò.
Lei non disse niente, ma lui percepì il contatto tra i loro cappotti.
‹‹Mi dispiace per come sono andate le cose tra di noi, davvero. Non sono stato abbastanza bravo a gestire tutto. Forse se mi fossi aperto di più non ti avrei persa, ma dal mio punto di vista lasciarti all'oscuro era il modo più facile per proteggerti, anche se ora mi rendo conto che mi sbagliavo.›› proseguì con tono stanco, senza aspettarsi una risposta, a dir la verità. Che lei fosse lì era già più di quanto potesse desiderare.
‹‹Sono riuscita a capirlo, alla fine. La signora Abis e io abbiamo parlato a lungo.›› anche la sua voce era un sussurro. Lui girò la testa e riuscì a vedere uno spicchio del suo viso arrossato per il freddo.
‹‹Avete parlato di me?››  
‹‹Egocentrico.›› era tremendamente fuori luogo, ma non riuscì a trattenersi e si lasciò scappare una breve risata. Le labbra di lei si piegarono all'insù. 
D'improvviso fece meno freddo per entrambi.
‹‹Abbiamo parlato anche di te. Sono andata a trovarla qualche tempo fa. Era tanto che non la vedevo.›› lui annuì e tornò a guardare la foto della bambina.
Finalmente lei gli passò davanti per inchinarsi vicino alla tomba e accarezzare il viso sulla fotografia. Lo guardò dal basso e lui notò i suoi occhi pieni di commozione.
‹‹Vi assomigliate moltissimo.›› lui si chinò a sua volta.
‹‹Lo dicevano sempre a mamma.›› le spiegò.
‹‹Arianna.›› mormorò lei, lui annuì.
‹‹Una volta a tuo fratello ho detto che sareste andate d'accordo.›› ricordò all'improvviso.
‹‹Sì, me l'aveva detto. E scommetto che è vero.›› gli sorrise. Lui rimase imbambolato a fissarla per qualche attimo, era da tanto tempo che non gli riusciva di farla sorridere.
‹‹Mi dispiace.›› era tornata seria, scura in volto. Lui aggrottò le sopracciglia e scosse la testa.
‹‹Per favore, torna a sorridere.›› lei lo fissò intensamente.
‹‹Ho detto che non volevo più sapere nulla di te, è vero. – lui scosse la testa, ma lei non gli permise di parlare – Ho detto cose terribili, ma ero arrabbiata e delusa e stanca, ma soprattutto, ignoravo la storia di Diego e di tua sorella, di quello che vi ha fatto. Ora capisco che tutti i tuoi comportamenti, le tue scelte, erano condizionati da quell’uomo.
Ma adesso non fa più parte della tua vita, giusto?››
L'espressione del ragazzo era diventata di ghiaccio, ma null'altro dava ad intendere quanto odio fosse corso tra loro.
‹‹Sì.›› lei deglutì e si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
‹‹So che non servirà chiederti scusa e che sei arrabbiato con me...›› lui l'afferrò, la fece alzare e le prese il viso tra le mani.
‹‹Arrabbiato con te?›› le chiese incredulo. Alcune lacrime rotolarono sulle sue dita.
‹‹N-non lo sei?›› le tremò la voce. Lui sbuffò e l'avvolse tra le braccia, lei ricambiò la stretta.
‹‹Sono tante cose... ma “arrabbiato” non rientra nemmeno lontanamente nella lista.›› si scostarono e lui le accarezzò la guancia.
‹‹Ho pensato tanto a come fare per parlarti, ho pensato di scriverti... ma non mi convinceva, non riuscivo a trovare il coraggio. Poi la signora Abis mi ha detto che eri qua per qualche giorno e che sicuramente saresti venuto a trovare tua sorella. Allora sono venuta anch'io. Avevo paura di non trovarti e invece ho avuto fortuna. Al terzo tentativo.›› aggiunse dopo un attimo, suscitando un piccolo sorriso sulle labbra di lui; lei si asciugò le lacrime. Si guardarono e lui sentì nascere nel petto una profonda gratitudine per la vecchia, cara signora Abis, per la ragazza che stringeva tra le braccia e per la bambina che li aveva riuniti.
‹‹Io non osavo... non sapevo nemmeno da che parte iniziare, invece.›› ammise lui, sentendo un groppo salirgli in gola. Prese un respiro e dopo un attimo proseguì. ‹‹Grazie per essere qui. Non so come tu ci sia riuscita. Ma grazie.›› gli sorrise ancora, poi posò la guancia sul suo petto. Lui la riparò dal vento freddo.
‹‹Ho provato ad immaginare se fosse successo qualcosa del genere a me e a Mattia. Ci ho pensato tanto. Io... io credo sarei impazzita.›› le posò la guancia sulla testa per un po', poi le sollevò il mento con la punta dell'indice per osservarne il viso congestionato.
Le baciò la fronte e scosse la testa.
‹‹Non credo. Credo invece che ti saresti rimboccata le maniche e avresti combattuto. Come fai ogni volta che serve.›› si sorrisero, occhi negli occhi respirando all’unisono. Si strinsero forte. Dopo tutto quello che era successo, era la promessa più bella che potessero farsi.





 

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Capitolo 2
*** I ***


 
§Capitolo Primo§
 
«Sei ancora lì dentro, sei vivo?»
Alcuni suoni al di là della porta le dissero che per lo meno qualcuno dentro c'era e visto che si muoveva, era vivo.
La ragazza sospirò stanca e appoggiò la fronte alla porta chiusa.
«Senti, non lo so se mi stai ascoltando o se sei troppo strafatto per poterlo fare. In ogni caso, non sopporto più di vederti periodicamente sparire e poi ritrovarti in questo buco più morto che vivo. Soprattutto, non ce la faccio più a parlare con una porta chiusa. Non credi che almeno meriti una spiegazione per questo tuo comportamento?» le rispose il silenzio, ma da come si atteggiava, il viso annoiato e gli inquilini che mentre passavano le lanciavano occhiate solidali o scuotevano il capo come a dirle di lasciar perdere, sembrava che fosse una cosa normale. Quasi una routine.
Poco dopo una signora, curva per l'età, i capelli illuminati dal tempo, arrivò col suo bastone a passo lento dal solito giro mattutino che comprendeva la passeggiata col cane e la spesa. Si fermò all'altezza della giovane appoggiata alla porta, lei, sentendosi osservata, si girò con le braccia conserte. L'anziana la guardò col suo sguardo attento.
«Ancora qui, mia cara?» le chiese gentilmente.
«Così sembra, signora.» annuì lei. La donna osservò la porta dietro la ragazza.
«Ha menato colpi ovunque, questa notte. Non credo aprirà.» si guardarono.
«Sì, lo immaginavo.» mormorò lei.
«Vieni con una vecchia signora, cara. La spesa è pesante per le mie povere braccia e potrei avere una fetta di torta di là.» la invitò a seguirla senza accennare a cedere la busta con la spesa.
«La ringrazio molto, ma non si preoccupi, ho lezione fra un'ora. A proposito, sarà meglio che vada.» le rispose con tono d'urgenza.
L'anziana lasciò che i passi della ragazza si spegnessero e attese altri cinque minuti per sicurezza.
Picchiò il suo bastone con forza sulla porta che era stata spettatrice del monologo della ragazza.
«Ehi, tu. So che mi senti. Della tua vita puoi fare ciò che preferisci. Gettala pure nell'immondizia se così ti pare. Ma smettila di maltrattare quella povera anima. Prendi una decisione, una buona volta. Razza di somaro.» inveì con molta più energia di quella che si poteva sospettare da una donna della sua età. Se ne andò al suo appartamento poche porte più avanti.
Nei due giorni successivi, la ragazza non si fece più vedere né la porta dell'appartamento cui aveva dedicato le sue parole si era aperta.
La mattina del terzo giorno, la signora stava risalendo le scale come suo solito, rimuginando tra sé, quando sentì qualcuno venirle incontro.
«A cosa si deve l'onore di riaverti nel nostro mondo?» gli chiese col suo tono mezzo burbero.
«Buon giorno anche a lei, signora.» le sorrise. Lei lo studiò.
Si era lavato, sbarbato, vestito come Dio comanda e a tracolla portava la solita borsa per l'università. Ma non era riuscito a nascondere del tutto i postumi di quegli ennesimi giorni di follia.
«Bene, mettiti all'opera e fa' qualcosa di utile: prendi una decisione.» e con un passo difficoltoso alla volta lo sorpassò.
«Dovrebbe smetterla di ripetermi le stesse cose.» mormorò lui, un'ombra era scesa nei suoi occhi fino a poco prima limpidi.
«Dici davvero? Oh, devi perdonare questa vecchietta. La mia memoria non è più quella di una volta.» diede mostra del suo lato più vulnerabile e se ne andò accompagnata dal suono secco del suo bastone.
Lui scosse la testa sospirando e andò ad affrontare la giornata.
Seguì le lezioni con moderato interesse, a pranzo si sedette coi compagni di corso e risero, scambiandosi battute e progetti per il futuro. Nel pomeriggio proseguì le sue ricerche per la tesi.
Verso sera tornò nel suo appartamento, abbandonò la borsa a lato dell'ingresso e posò con cura la cartelletta con i documenti raccolti durante la giornata.
Andò in bagno e si lavò, quindi accese la radio e si prese qualcosa da bere nel frigo.
Il telefonino squillò: una chiamata della madre. La ignorò.
Si mise seduto sulla poltrona e lanciò uno sguardo alla foto sul tavolo che usava anche come scrivania e all'occorrenza come armadio: due sorridenti bambini abbracciati. Due paia di occhi simili, concentrati sull'obbiettivo e due sorrisi identici ricchi di speranze e vita. L'unica parte del piccolo appartamento che sembrava non aver subito danni.
Per fortuna.
Sospirò, guardandosi intorno.
Erano stati giorni difficili. Come la conversazione col patrigno che aveva scatenato per l'ennesima volta quel disastro: ricevere insulti senza poter ribattere o, meglio, senza poter inveire come avrebbe desiderato diventava sempre più difficile da tollerare. Una volta se la cavava meglio, ma ultimamente...
Osservò la casa.
Oggetti a terra, alcuni anche rotti, bottiglie, avanzi di cibo, mozziconi di sigarette e tracce delle canne che si era sparato una dietro all'altra.
Quanto aveva fumato? E come poteva ricordarlo?
Il mal di testa era insistente, picchiava brutale sulle tempie, le occhiaie erano evidenti e la sete lo aveva tormentato tutto il giorno.
Finì di bere e lanciò un nuovo sguardo alla foto.
Ogni volta che si risvegliava, che la sua parte “grillo parlante” tornava al timone, si sentiva sempre un po' in colpa per quei cedimenti alla indistinta e incandescente voglia di spaccare il mondo che a volte arrivava a livelli tali che sentiva proprio una pressione intollerabile al petto, che gli toglieva il respiro, che lo scavava dall'interno come un fuoco. Era arrivato alla conclusione che in quei periodi era meglio rinchiudersi nel suo guscio e sfogarla.
Salvo poi tornare alla coscienza e ai sensi di colpa.
Si concentrò sul viso allegro e vispo della bambina.
«Ora sistemo, promesso.» le mormorò. Aveva smesso di prometterle che non ci sarebbe ricascato. Non era in grado di resistere.
Si mise una tuta, spalancò tutte le finestre e iniziò il minuzioso e faticoso lavoro di pulizia e riordino, cercando di ridare una dignità a quel povero appartamento.
Un'ora dopo aveva finito di raccogliere tutta l'immondizia sparsa in giro, aveva lavato i pavimenti, riordinato le stanze, messo in azione la vecchia lavatrice e stava per ripulire il bagno quando il cellulare suonò di nuovo.
Riconobbe il numero prima di leggere il nome della persona che stava chiamando.
Uscì sul balconcino e si sedette appoggiato alla parete.
«Ciao, tesoro.» la salutò cercando di imprimere tutto il sollievo che provava in quel momento.
«Deduco tu sia vivo.» poche parole. Tono tagliente.
Poteva andare peggio, in effetti.
«Speravi di liberarti di me?» cercò di metterla sul ridere.
«Cos'è, un consiglio? Inizio a credere che sia ora di farlo.» c'era rabbia e dolore. La voce le tremava. Si morse il labbro.
«Piccola, senti...»
«Non chiamarmi così.» lo interruppe brusca.
«Amore...»
«Oh sì, proprio.» ribatté lei, gelida. A quel punto sospirò, capendo quanto grave fosse la situazione. Le spalle cedettero.
«Greta, non posso che darti ragione. Fidati di me, se puoi: i miei sentimenti sono sinceri. Ma sono fatto così e non credo di poter cambiare.» le disse.
«Ma perché? Perché?» per l'ennesima volta le rispose il silenzio.
Il ragazzo aveva chiuso gli occhi.
I sei mesi in cui si erano frequentati erano stati un sogno: aveva riscoperto il piacere di stare in mezzo alla gente, condividere le piccole cose di tutti i giorni. Aveva riso più in quei mesi che nei precedenti anni, era tornato a preoccuparsi e a fidarsi e non gli capitava da... scosse la testa, chiudendo gli occhi.
«Ehi. Sei ancora lì?» lui sorrise. Sentiva la sua preoccupazione.
«Sì, sono qui. Stavo pensando alla nostra storia.» le mormorò.
«E a quale conclusione sei arrivato?» sapeva che non avrebbe ottenuto risposta, così aveva cambiato domanda. Il ragazzo sospirò.
«È un gran casino e la colpa è solo mia. Forse davvero dovresti liberarti di me.» le disse. Dall'altra parte ci fu un lungo silenzio.
Restarono ad ascoltare l'uno il respiro dell'altra.
«Forse hai ragione.» c'era una tristezza infinita in quella frase. Altro lungo silenzio.
«Per il resto tutto bene?» a quel punto lui si fece forza per mandare avanti la conversazione.
«Sì. E tu?»
«Bene.»
«Perfetto.» ci fu ancora qualche minuto di silenzio. «Senti, devo andare.»
«Certo, il turno. Buon lavoro, Greta.»
«Ci sentiamo.»
«Ci sarò.» gli sembrò che lei fosse indecisa se dire qualcos'altro, ma alla fine tacque e chiuse la conversazione. Sulla home del cellulare comparve l’immagine di lui e Greta abbracciati in riva a un lago. Rimase a fissarla finché lo schermo tornò nero e vuoto.
Restò fermo immobile, sentendo il vento sulla faccia e chiedendosi per quanto tempo Greta avrebbe resistito. Sapeva che avrebbe sofferto immensamente nel caso in cui se ne fosse andata, ma in tutta onestà non poteva biasimarla. 
Tornò dentro e finì di sistemare il bagno, si rifece la doccia e poi con lo stomaco che brontolava andò nel cucinino e aprì il frigo. La lucetta mostrò una fresca desolazione.
Decise che doveva andare a recuperare qualcosa al supermercato all'angolo e si sbrigò a uscire, mentre le ombre della sera si allungavano.
Suonò il cellulare mentre era in strada. Non poteva ignorare la chiamata questa volta.
«Pronto?»
«Tua madre mi ha detto che in questi giorni il tuo cellulare non era raggiungibile e prima non hai risposto. Ti pare corretto, ragazzo?» quando lo apostrofava con “ragazzo” significava che bisognava camminare su un campo minato.
«Mi spiace. Dev'essere perché ho lavorato parecchio e magari non sempre c'è campo, Diego, lo sai.» silenzio.
Una volta ne sarebbe rimasto spaventato, ma l'età e la distanza chilometrica che c'era tra loro attualmente gli aveva permesso di abbandonare la paura e sostituirla con una specie d'ansia.
«Sarà come dici. Senti, Elia, per il weekend ti aspettiamo a casa. Tua mamma vuole fare una cena con gli amici e sarebbe poco carino da parte tua non esserci.» in altre parole: “ho una cena di lavoro importante, torna indietro che devo mettere in mostra il mio futuro avvocato”.
«Credo di non avere impegni per questo weekend.» non che avesse tutta questa possibilità di scelta.
«Molto bene. Ho saputo che sei fidanzato.» rimase per un attimo spaesato.
«Addirittura fidanzato. No, non mi risulta temo. Come mai sei giunto a questa conclusione, papà?» era quasi arrivato al supermarket.
«Perché, volevi tenermelo nascosto?» lo accusò subito. Chiuse gli occhi, stanco.
«No, ma visto che non ho mai avuto occasione di parlartene e non è una cosa ancora così ufficiale, vorrei sapere come sei arrivato a questa affermazione.» scelse con cura le parole.     
«Tua madre ha intuito qualcosa. Quindi non sei fidanzato, ma questa ragazza come si chiama? Cosa fa nella sua vita?»
«Ho conosciuto una ragazza ed è una persona normale, nient'altro. Quando sarà il momento la conoscerai, non preoccuparti.»
Mai. Mai l'avrebbe portata anche solo dove si allungava la sua ombra.
«Fa' quello che ritieni giusto. Ti passo la tua povera mamma. Potevi anche degnarti di parlarle in questi giorni.» dall'altra parte della cornetta ci furono dei movimenti, mentre lui entrava finalmente nel calduccio del supermercato e iniziava a raccogliere qualcosa qui e là.
«Ciao!» ascoltare la voce calda della mamma era sempre una gioia.
«Ciao mamma. Va tutto bene?»
«Sì tesoro. Tutto come sempre, ma parlami di te: hai lavorato così tanto, non possono lasciarti un po' riposare?»
«Lo sai che non posso rifiutarmi e poi arrotondo un po' con i lavoretti di sera. Mi spiace averti fatto preoccupare.»
«Oh, tranquillo, cosa fai di bello?»
«Un po' di spesa.»
«Ma non è un po' tardi?»
«Sì infatti sta quasi per chiudere. Prima però non potevo. Dai, ti saluto. Tanto ci vediamo questo weekend.»
«È vero, non vedo l'ora!» il suo entusiasmo gli faceva un po’ male al cuore.
«Nemmeno io. Ciao, mamma.»
«Ciao! Aspetta, devo ripassarti papà?»
«No, non ce n'è bisogno, buona serata.» chiuse frettolosamente la chiamata.
Tornò indietro, nel buio di quell'autunno inoltrato e accese la luce delle scale, ma quando fu arrivato al suo piano, la signora anziana che abitava due porte più in là stava per rientrare col cagnolino, un piccolo rompiscatole sempre in cerca di coccole e attenzioni.  Il cane, euforico nel vederlo, sfuggì alla presa della padrona e si tuffò addosso a lui abbaiando allegro.
«Ciao Strike, sono contento di vederti.» il mostriciattolo saltellava a più non posso cercando di afferrare il sacchetto della spesa.
«Sta' giù, screanzato!» gli disse la padrona, allontanandolo col bastone.
«Oh, abbiamo fatto spesa, ragazzo.» Elia sorrise. Il modo in cui diceva "ragazzo" la signora Abis, al contrario di suo padre, era sempre la promessa di qualcosa di buono.
«Il frigo piangeva.» disse a mo' di spiegazione.
«Comprendo. Oh, puoi venire un attimo di là?» giocando col cane, Elia seguì la signora con un sorriso.
La sua casa era un appartamento modesto ma ben curato, ordinato e profumato di lavanda. Dalla cucina arrivava un buon odorino che attirò subito l'attenzione del ragazzo.
«Sì, ho giusto di là un piatto di lasagne, ma temo di averne fatte troppe.» rispose allo sguardo interrogativo dell'ospite.
«Ma io, veramente...» tentò lui.
«Sì, sì, vedo che hai fatto spesa, poi immagino dovrai anche cucinare e dopo lavare tutto. E ora che verrà pronto, tutto questo ben di Dio si sarà raffreddato. Ma hai fatto la spesa, hai ragione, anche io rinuncerei a un piatto caldo e pronto di succulente lasagne.» rispose lei, iniziando ad apparecchiare per due.
Il ragazzo si arrese, appoggiò sul piano della cucina la sua povera spesa e prese ad aiutare la vicina: mise in tavola una bottiglia di vino e un dolce che aveva comprato poco prima e poi si accomodarono con la teglia di lasagne fumante al loro fianco.
La signora Abis fece le porzioni e iniziarono a mangiare, ogni tanto dava dei pezzetti al cane che si era messo di fianco a lei e non si muoveva.
«Sono veramente buone.»
«Grazie caro. Meglio di qualsiasi pasta con sugo pronto, immagino.» lui rise.
«Come darle torto. Ma le conviene aspettarmi così tardi?» lei nascose un ghigno divertito.
«Chi io? Ma per chi mi prendi, per la solita vecchia bisbetica che non ha nulla da fare e spia i vicini?» lui le lanciò un'occhiata.
«Diciamo che a volte è questa l'impressione che si ha.» fece finta di arrabbiarsi e gli diede un colpo sulla mano. Elia rise di cuore.
«Maleducato. E io che ti offro pure la cena.» Elia chinò il capo nella sua direzione e le versò da bere.
«Ah, a proposito: le sono debitore.» l'anziana gli fece l'occhiolino.
«Ho di là le persiane che non funzionano più bene.» lui scoppiò a ridere
«Dopo questa lauta cena avrò la forza necessaria per ripararle, non si preoccupi.» ridacchiarono insieme.
«Come vanno i tuoi studi?»
«Bene, devo fare gli ultimi esami prossimamente, e anche la tesi procede bene.» gli riusciva molto più naturale parlare a un'estranea di quel genere di cose che con sua madre, ma preferì accantonare quel pensiero.
«Lavori sempre su quel caso non risolto?» si guardarono, Elia si sentì tremare, come sempre.
«Sì, esatto. Il mio relatore è rimasto affascinato dalla... complessità del caso.»
«E i tuoi lo sanno che vuoi diventare paladino dei deboli e degli oppressi poveri anziché dei poveri ricchi pescati con le mani nella marmellata?» gli chiese all'improvviso. Elia rimase in silenzio per un po'. Ma aveva rinunciato a chiederle come faceva a sapere certe cose, aveva un intuito e uno spirito d'osservazione impressionante, quella vecchia.
Depose le posate.
«Lo scopriranno a tempo debito, non c'è fretta.» rispose lentamente, un po' del tepore di poco prima si disperse. La signora lo guardò qualche minuto ancora.
«Capisco. Vogliamo un po' parlare di questa tua tendenza da Mr. Hide, giovanotto? Ho sentito dire che correre o nuotare rilassi mente e corpo come poche altre cose al mondo.» lo stava studiando ancora, osservava il suo atteggiamento, la sua espressione. Lui lo sapeva che non c'era cattiveria in quella brava signora un po' rude e burbera a volte, ma lei doveva imparare a farsi gli affari suoi.
«A volte ho l'impressione che si prenda troppa libertà nei miei confronti, signora Abis.» le disse gelido.
«Oh, hai ragione. Mi lascio prendere la mano. Scusa se vorrei che non ti facessi buttare fuori dal tuo misero appartamento per cui paghi un affitto conveniente che ti permette di non dipendere da tuo... padre, posso chiamarlo così?» gli rispose a tono. Lui posò il bicchiere, non sapeva se essere più sconcertato per la rivelazione o l'accenno al patrigno.
«Che intende dire?»
«Che i condomini si sono un po' stufati, sai? Non è normale che un ragazzo come te si chiuda in casa, spacchi roba, gridi, crei sempre un tanfo pazzesco, sì perché non pensare che chiudendo la tua porta rimanga tutto dentro. E poi con la tua bella borsa, fresco fresco, te ne esci, ma nemmeno così tanto: pensi non si noti il viso sciupato, le occhiaie e il tanfo che ti si cuce addosso?
Non è normale, dicono. Si vocifera che ti buchi e qualcuno sussurra che anche spacci, perché cavolo altrimenti si chiude in casa e fa tutti quei rumori strani? Magari produci la roba a due passi dai loro angelici pargoli. È pericoloso, dicono.
Iniziano ad avere timore, ecco. Pensano che il passo da questo a un regolamento di conti tra piccoli spacciatori sia imminente. Compatiscono quella tua povera fanciulla.» Rimase in silenzio per lungo tempo a rimuginare su quelle parole. Poi sentì che la donna si alzava e gli stringeva una mano.
Un gesto cortese e solidale, lo sorprese non poco.
Si guardarono.
«Te la puoi cavare fino a un certo punto col discorso del contratto. Oggettivamente, è innegabile che tu disturbi durante la notte, qualche volta. Se a qualcuno salta la mosca al naso, può chiamare la polizia e tu ti becchi una denuncia. Non mi sembra il caso, ti pare? O qualcosa di più se non vado errando...» lo fissò in modo eloquente, Elia deglutì pensando alle sostanze che conservava. Piccole quantità, certo, ma sufficienti per avere rogne.
«Io...»
«Posso parlarti francamente?» lui le sorrise, studiando le sue rughe.
«Francamente, c'è una volta che non lo fa?» si guadagnò uno scappellotto. «D'accordo. Certo che può.» ribatté massaggiandosi la nuca.
«Io sono solo una vecchia bisbetica ignorante, ma penso che hai bisogno di aiuto. Di qualcuno che ti possa aiutare a capire il motivo della rabbia che c'hai dentro.» si spiegò meglio. Elia si leccò le labbra.
«Sto bene, signora.»
«Proviamo a parlarne con la tua ragazza, allora? A naso direi che mi darebbe ragione.» gli disse.     
Decise che era tempo di andarsene, non poté nascondere l'espressione irata che di certo la signora non mancò di notare, ma rimase in silenzio. Iniziò a sparecchiare vincendo tra le risate le proteste della signora Abis, lavò i piatti, mise via le lasagne avanzate in frigo e in credenza i dolci che aveva preso al supermercato per lei, poi andò nel piccolo salotto dove l'anziana si era accomodata sul divano a guardare la tv con Strike acciambellato di fianco.
«Signora, sono in camera o in bagno le tapparelle difettose? Così inizio a vedere se posso fare qualcosa.»
«Bagno, si è proprio bloccata. Vieni caro, ti faccio strada.» lo precedette fino al bagno e gli accese la luce.
Lui aprì la finestra e l'aria fredda della sera lo investì, guardò bene sia a destra che a sinistra ma non riusciva a distinguere molto col buio. Rientrò e provò a tirare la cordicella, non si riusciva a smuovere, ma con quella luce c'era poco da vedere.
«Vengo qui domani pomeriggio, signora. Non si vede molto così, mi spiace.»
«Sì, sì, non c'è mica problema, non scappo.» gli disse con uno sbadiglio, sorrise.
«È ora di andare a dormire, mia cara signora.»
«È colpa tua se faccio tardi.» gli disse con un occhiolino mentre andava a prendergli la borsa della spesa.
«Cercherò di non rompere più le sue tapparelle, lo prometto.» le rispose. Ridacchiarono insieme.
Lei riuscì a scoccargli un bacio ruvido sulla guancia.
«Buona notte signora e grazie per tutto.»
«Smettila con queste fesserie. Sicuro di non aver bisogno di niente?» si premurò di aggiungere.
«Alla mia età credo di potermela cavare da solo.» disse mentre salutava il cagnetto. Si rialzò e scambiò uno sguardo con la donna.
Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, si vedeva, ma preferì tacere. Rimase colpito da quanto fosse piccola e fragile.
«Ci si vede in giro, vicina.» le disse.
«Ma certo. Buona notte a te, giovanotto.»
Si diresse alla sua porta mentre l'anziana chiudeva a chiave. Entrò, sistemò la spesa e si lavò per poi mettersi il pigiama. Guardò il cellulare: era quasi mezzanotte. Doveva dire a Greta che nel weekend tornava dai suoi. Preferì invece mettersi la sveglia alle sei.

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Capitolo 3
*** II ***


II

 

 

Alle sette era seduto sulla panchina a tre passi dall'ingresso della struttura dove Greta svolgeva i suoi tirocini da infermiera. L'aria era fredda e una brina spessa ricopriva l'erba, sembrava una decorazione di Natale. Il traffico era in aumento sulla strada cui dava le spalle. Il suo respiro si condensava in piccole nubi, si sistemò meglio la sciarpa intorno al collo. Finalmente la vide uscire: totalmente nascosta da cappello, sciarpa e giubbotto, la sua immancabile borsa appesa alla spalla e si dirigeva con passo spedito verso la fermata dell'autobus. Doveva per forza passare davanti a lui. Sorrise sotto lo strato di lana che gli ricopriva la bocca.
«Buon giorno meraviglioso raggio di sole. Non pare anche a te una splendida giornata?» declamò in modo teatrale. Lei si fermò di botto e si girò. Lo guardò per parecchi attimi, prima di avvicinarsi.
Era stanca, l'espressione tirata.
L'abbracciò stretta e cercò la sua guancia sotto tutti gli strati che si era messa addosso per ripararsi dal freddo.
«Che ci fai tu qui? Non hai lezione?»
«No, ma tranquilla, sono felice anche io di vederti.»
«Buon giorno amore mio.» mormorò lei, la strinse più forte.
«Propongo cappuccio e brioches, che dici?» si avviarono, tenendosi per mano.
«Approvato.»
Scelsero il bar, salutarono il barista, un signore alto e magro, capelli e barba grigi, una sorta di cowboy nostrano, che chiese loro se volessero il solito.
«Bombolone alla crema per te e integrale per il raggio di sole, qui?» chiese ancora, mentre i ragazzi prendevano posto.
«Grazie Gio.» rispose Greta.
Si guardarono.
«Turno difficile?» chiese Elia, accarezzandole col pollice il dorso della mano. Lei scosse la testa e sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
«Veramente no, ma è un periodo un po' complicato.»
«Spero non sia tutta colpa mia.» lei gli lanciò un'occhiata intensa, ma arrivò la colazione.
«Con il miglior buon giorno della casa! Raggio di sole, vedi di non offuscarti troppo, lascia un po' perdere quei turni.»
«Cercherò di farne meno.» gli sorrise lei.
«E tu, cavaliere, non potresti portare la principessa in vacanza da qualche parte?» proseguì imperterrito il barista.
«Provvederò, lo prometto.» acconsentì Elia. Il barista, soddisfatto, se ne tornò al bancone e loro presero a godersi la colazione.
«Vado a passare sabato e domenica da una mia amica per studiare.» lo informò dopo i primi sorsi alla bevanda calda. Elia annuì.
«Mi dispiace solo che non vai a divertirti. Io invece lo passerò dai miei.» si guardarono.
«Non esserne troppo entusiasta o potrei pensare che fingi.» gli sorrise divertita.
«Non posso infilarmi in quella tua borsa? Vengo da voi e vi faccio da tuttofare, dai. Sono bravo a cucinare, stirare, lavare... Sono un perfetto uomo di casa!» Greta gettò indietro la testa e scoppiò a ridere e anche lui iniziò a ridere. La risata della ragazza era contagiosa e lui adorava sentire quel suono scrosciante e genuino.
«Non chiedermelo un'altra volta o finirà che i tuoi genitori dovranno cavarsela da soli, perfetto uomo di casa.» la ragazza vide la solita ombra calare negli occhi di Elia all'accenno di disubbidire ai suoi. Era strano, di solito erano le ragazze ad avere cattivi rapporti col padre, non le era mai capitato di incontrare un ragazzo che invece ne aveva.
«Anche volendo non potrei rifiutarmi.» era un'ammissione che tutte le volte faceva con uno sforzo tremendo.
«Mamma mia Elia, che sarà mai. Su, sono solo due giorni e poi te ne ritorni qui.» lui la guardò con uno sguardo indecifrabile, poi le sorrise. Quel sorriso che non mostrava quasi mai, sincero e aperto.
Si salutarono poco dopo ed Elia si diresse in università. Seguì le lezioni della mattina e andò nel pomeriggio a discutere con il suo relatore del materiale che aveva trovato, di come impostare il discorso di tesi.
Quello che voleva affrontare era un caso particolare, aveva fatto scalpore ai tempi e lui era anche riuscito a recuperare vari articoli di giornale che ne parlavano, il caso era stato archiviato come fatalità. Anche se molte erano le domande a cui nessuno si era degnato di dare risposta, secondo lui.
Avrebbe fatto un'introduzione sulle leggi a tutela della persona, poi entrando nello specifico sui bambini, quindi avrebbe citato alcuni episodi in cui in un primo momento si era arrivati ad una conclusione che poi era stata ribaltata grazie a nuove indagini. Successivamente avrebbe sviluppato il suo caso.
«Ti sei scelto un tema tosto, sei sicuro di riuscire a sostenere la mole di lavoro?» non erano molte le cose per cui era sicuro, ma su quello non si sarebbe mai tirato indietro.
«Non l'avrei scelto altrimenti, le pare?» rispose secco.
«Ovviamente. Bene, puoi cominciare a scrivere qualcosa, il materiale per l'introduzione non manca, mi pare.»
«Perfetto. Nel weekend non sarò reperibile, ma risponderò alle e-mail eventualmente, professore.»
«D'accordo, Maffeis, non c'è problema. A settimana prossima.»
«Arrivederci professore.»
Lasciò l'università e tornò a casa nel tardo pomeriggio, fece una doccia e si mise vicino alla foto dei bambini. La guardò a lungo nel silenzio della casa.
Al piano di sopra qualche bambino stava giocando a rincorrersi, la tele a palla. I vicini di fianco ancora litigavano per chissà che cosa. Andò a bussare alla porta della signora Abis per andare a vedere la tapparella del bagno, ma Ben, il cane della signora, non si sentiva. Magari erano fuori a passeggiare.
Rimaneva sempre in pensiero quando si rendeva conto che non era nel suo appartamento. Rimaneva pur sempre una donna anziana. Tornò in casa e si soffermò un attimo davanti al suo tavolo.
«Verrò a trovarti.» disse alla piccola immagine ormai vecchia di anni. Passò le dita sulla superficie fredda del vetro e andò nel cucinino. Nell'attesa che venisse pronto chiamò Greta, per chiacchierare del più e del meno.
Sembrava che la crisi di inizio settimana fosse superata.
Dopo cena fece una chiamata a sua madre, quindi si preparò per quel tour de force di due giorni.
La mattina dopo prese il treno delle 7 che da Verona, dove studiava, lo riportava a Milano, dove era nato e cresciuto.
Frastornato dalla marea di persone che andavano e venivano, ciascuna presa dalla propria urgenza, guadagnò l'uscita, saltò sull'autobus per le cinque fermate che lo separavano dalla casa dei genitori e quindi si avviò a piedi, zaino in spalla fino al signorile condominio dove si erano trasferiti quando mamma aveva accolto il patrigno. Cercò di fare quel tratto di strada nel maggior tempo possibile, ma alla fine si ritrovò al portone d'ingresso.
Il portiere lo accolse con gioia.
«Finalmente di ritorno, signore. È passato più di un mese.»
«Sono felice di vederla, Mario. Come stanno i nipotini?» gli occhi dell'uomo brillarono.
«Sono le solite pesti. Mai un attimo zitte o buone, ma che ci deve fare, sono bambini. Il grande ha iniziato le elementari.»
«Il primo passo di un lungo percorso.» annuì cordiale lui.
«Già e sembra ieri che lo tenevo fra le mie braccia, piccolo come un bambolotto.» ricordò l'uomo con una buona dose di nostalgia. Elia annuì ancora.
«Vola questo tempo.»
«Ha proprio ragione! Ma che sbadato, le faccio perdere il suo, di tempo. Desidera che avvisi i suoi genitori?» e aveva già sollevato la cornetta per fare il numero del loro appartamento.
«Non si preoccupi. Non è necessario.» l'altro si fermò e depose la cornetta del telefono poi andò a chiamargli l'ascensore.
«Resterà per molto tempo?» gli chiese, mentre Elia entrava nel cubicolo.
«Lunedì ho lezione di buon' ora.» disse serio.
«E' un peccato, vostra madre sente oltremodo la vostra mancanza.» gli confidò, guardandosi intorno, per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi. L'espressione del ragazzo si fece triste.
«Lo so, gli rimanga vicino per quel che può, Mario.» gli sussurrò di rimando.
«Come sempre.» lo assicurò.
Le porte dell'ascensore si chiusero e rimase solo col suo riflesso. Cercò di stamparsi un'espressione meno cupa.
Sua mamma venne ad aprirgli e l'espressione si accese di sorpresa e gioia. Si abbracciarono e baciarono e presero a raccontarsi contemporaneamente, riuscendo a seguire l'una i discorsi dell'altro. Risero, era un gioco che non avrebbero mai abbandonato.
Era una donna minuta, sua mamma, un tempo i capelli lunghi, vellutati e neri come la notte, ora erano diventati grigio-argentei e sul viso portava numerose rughe, le prime Elia ricordava di averle viste dopo la tragedia. Era sempre stata energica e fiduciosa, ma dopo la morte della figlia qualcosa si era spento in lei: la luce che le illuminava lo sguardo era svanito e l'energia che la pervadeva, rendendo tutto ciò che faceva magico, era svanita.
Non si era abbandonata alla disperazione solo perché il bambino che le era rimasto aveva bisogno di lei. Ma nulla era più rimasto come prima. Elia l'aveva percepito chiaramente e aveva per lungo tempo patito quel vuoto che col tempo si era accresciuto.
«Potevi chiamarmi, caro. Papà sarebbe venuto volentieri a prenderti.» gli stava dicendo, mentre gli toglieva il borsone e lo faceva accomodare.
«Avevo voglia di fare quattro passi.»
«Come sta la signora Abis? » gli chiese, portandogli un piatto di dolcetti caserecci. Ne prese due o tre continuando a chiacchierare di Ben e della tapparella che non era ancora riuscito a sistemare.
Andarono avanti a chiacchierare, poi il ragazzo fece una doccia, quindi raggiunse la donna che stava riordinando alcuni documenti.
«Come hai fatto a capire che ho conosciuto una ragazza, ma'?» le chiese strofinando vigorosamente i capelli bagnati. Lei lo guardò con dolcezza.
«Sono tua mamma tesoro, certe cose a una mamma non c'è bisogno di dirle. Avanti, raccontami di lei.» si guardarono.
«Non c'è molto da dire. Ci stiamo ancora conoscendo, mamma.» parve che le bastasse come risposta. «Vuoi una mano?» propose.
«No, tranquillo, ho quasi finito. Volevo andare da Ari, vieni con me?» si lanciarono uno sguardo.
«Papà torna prima di cena?» volle assicurarsi.
«Quando finiscono col lavoro, abbiamo tutto il tempo per fare con calma.» e così dicendo recuperava la borsa.
Il viaggio in macchina non durò a lungo, Elia andò a prendere un mazzolino di margherite poi madre e figlio superarono le file di lapidi, fino ad arrivare a una piccola croce di legno che negli anni addietro era stata solitaria, invece ora era affiancata da tante altre lapidi e croci.
«Non mi ricordavo tutte queste tombe.» mormorò Elia, dopo aver posato il suo mazzetto.
«Pian piano si sono aggiunte le altre. Il tempo deve fare il suo corso.» gli rispose, con lo sguardo concentrato sulla piccola foto, una bimba ridente abbracciata a un cane due volte più grande di lei.
«Già.» Elia strinse a sé la mamma, in un abbraccio protettivo come i tanti che lei aveva riservato a lui. Rimasero in silenzio mentre i raggi del sole sfioravano il legno rovinato dalle intemperie.
«Dovremo pensare di sostituire il legno, mamma. Fra un po' non si capirà nemmeno più che cosa servivano le assi.» disse d'un tratto.
«Oh, caro, ma a che servirebbe?»
«Ho come l'impressione che Diego abbia espresso un parere contrario a riguardo.»
«Sai che non mi piace quando parli di tuo papà in questo modo.»
«E a me non piace quando lasci che sia lui a decidere su ogni cosa.»
«E' lui che ti garantisce i lussi che hai, Elia. Un po' di gratitudine dovresti dimostrarla. È ora di andare.» il ragazzo si morse il labbro.
«Perché lui trova una perdita di tempo stare qui?» le chiese, senza muoversi di un passo.
«Elia...»
«Vai se vuoi, ti raggiungo dopo.»
«Non ne vale la pena tesoro, tua sorella lo sa che...»
«Ho il diritto di stare con mia sorella tutto il tempo che desidero, visto che non posso nemmeno venire tutti i giorni. E lei non è qui a dire cosa vorrebbe.» non aveva alzato la voce, ma nel suo tono era espresso un bisogno così profondo che la donna non protestò oltre, anzi tornò indietro e si aggrappò al braccio del figlio, posandogli la testa sulla spalla.
«Venire qui da sola è così duro, a volte.» gli confidò. Elia sospirò.
«E' vero che non stai più da quegli amici di tuo padre?» gli chiese dopo un po'
«E' vero.»
«Hai rinunciato alla cifra che ti passava. Non so ancora il perché.»
«Finché non devo pensare anche a pagare l'università, me la cavo. E sto meglio così.»
«Non capisco dove nasca questa tua ribellione.»“Perché non hai mai voluto sapere la verità, mamma.” era la risposta vera e invece giocò ancora quella carta di dissimulazione.
«Non si chiama ribellione, mamma, si chiama indipendenza.» le rispose pacato, iniziando ad avviarsi per il ritorno dopo un ultimo sguardo alla tomba.
«E non ti va di raccontarmi nulla di questa misteriosa ragazza?»
«Mamma...» protestò con un sorriso.
«Ma dai, la mamma di Matteo ha già conosciuto sua futura nuora!» Elia rise divertito.
«Futura nuora? Non è che correte un po' troppo voi mamme con la fantasia? È più probabile che si lascino fra un mese che io superi l'esame.»
«Non scherzare su queste cose. L'università è importante e poi ti devi laureare, non sai nemmeno quanto ansioso sia tuo padre.» gli disse col suo tono serio.
«Immagino.» le rispose altrettanto seriamente, immaginando il giorno in cui avrebbe discusso la sua tesi.
«A cosa stai pensando?» Elia sbatté un attimo gli occhi, sorpreso.
«Cosa?»
«Stavi sorridendo un attimo fa, a cosa pensavi?» gli spiegò. Lui scosse la testa.
«Oh, niente. Mi è venuto in mente una volta quando il cane della signora Abis è riuscito a rubare l'ultima fetta di torta sul piano cottura della cucina.» ribatté scuotendo le spalle. Anche sua madre sorrise, senza essere del tutto convinta.
«E' tutto pronto per questa sera?» le chiese per cambiare argomento mentre salivano il macchina e si lasciavano alle spalle il cimitero.
«Sì, la sala hai visto è già pronta e aspetto la consegna degli antipasti e del dolce.»
«Hai preparato i gnocchi col ragù?»
«Sì e di secondo ci sono affettati e tartine.»
«Ti sei superata anche questa volta!» le sorrise.
«Sei troppo buono. Eccoci, ora dammi una mano che finiamo di sistemare le ultime cose.» parcheggiarono la macchina, quindi tornarono in casa e finirono di sistemare i dettagli e si cambiarono nell'attesa delle pietanze ordinate.
Fu Elia che scese a prenderle e a pagare, quindi con la madre sistemò sul tavolo gli antipasti e prepararono l'aperitivo. Si cambiarono e attesero il ritorno del padre e dei colleghi. Elia si era messo a sfogliare il giornale di quel giorno, passando distrattamente da un titolo all'altro.
«Papà non vede l'ora che tu diventa avvocato. È da quando hai finito il tirocinio che continua a ripetere che diventerai un grande difensore.» gli disse, senza sospettare quanta rabbia quelle parole gli suscitassero.
«Bene.» mormorò lui.
Sì sentirono voci nel corridoio e il campanello suonò.
Elia ripiegò il giornale e lo ripose con calma: le danze stavano iniziando.
Andò tutto bene fino al dolce e al caffè, dopo che tutti erano sazi di buon cibo e vino: suo padre non fece altro che metterlo in mostra, come si fa con le tecnologie di ultima generazione, a beneficio dei suoi soci e colleghi, ripetendo gli esami superati, la media, le sue brillanti prove e i tirocini negli studi di famosi e affermati suoi futuri colleghi e che stava per occupare un posto come avvocato difensore nello studio del vecchio avvocato Garbi, a Verona dove il ragazzo studiava.
Finché a un collega di suo padre non venne in mente la brillante idea di chiedergli su cosa stesse svolgendo la tesi. Elia si irrigidì.
«Riguarda la difesa di grandi società nelle controversie legali. Non è così?» rispose Diego e fu così, che per una volta gli venne in aiuto col suo modo di fare.
«Esatto, papà, hai una memoria eccellente, come sempre.» sorrise al collega del padre con aria soddisfatta, di chi ritiene di aver detto tutto, purtroppo l'altro non fu della stessa opinione.
«Hai preso un caso preciso in esame?» volle sapere.
«Al momento sto raccogliendo informazioni generali per l'introduzione. Penso poi che sarà il mio relatore a decidere.» riuscì a svicolare con lo stesso tono pacato e serio che usava durante le interrogazioni.
«Quindi non avete ancora deciso il titolo?»
«Non ancora in effetti.»
«Potrebbe essere “Difesa di una società”» si intromise suo padre. Lui scrollò le spalle.
«Lo deciderà al momento opportuno il relatore, immagino.» gli rispose Elia, assaporando sempre di più il gusto eccitante di quel suo personale gioco mancino.
«Tuo figlio si è lasciato sfuggire non una parola in più del necessario, Diego.» suo padre espanse il petto, come faceva tutte le volte che si sentiva orgoglioso – fin troppo spesso per Elia.
«L'ho notato anche io. È un'ottima qualità per un futuro avvocato, non trovi, Ennio?» gli rispose compiaciuto.
«Quando hai deciso di intraprendere questa strada?» tornò alla carica il signor Ennio che a Elia iniziava a piacere sempre meno.
«Beh, un ragazzo intelligente e volenteroso come può perdersi un lavoro sicuro e remunerativo come quello dell'avvocato? La scelta è stata praticamente obbligata.» Elia lasciò che sulle sue labbra si dipingesse il sorrisetto che aveva avuto anni per mettere a punto: una via di mezzo tra il ghigno e il sorriso vero e ciascuno poteva leggerci ciò che preferiva, risparmiando a lui di dover esprimere un parere chiaro e definitivo, che il più delle volte era contrario a quello del patrigno. Nel frattempo Diego era scivolato accanto alla moglie, la mamma di Elia, che stava chiacchierando tranquilla con una alcune mogli dei convenuti. Tuttavia il signor Ennio era ancora intento a parlare con Elia.
«La scelta è stata davvero obbligata?» domandò quello con una vena di malizia che ad Elia non sfuggì.
«Sì fa per dire. Quello dell'avvocato è un mestiere interessante sotto molti punti di vista.» rispose con fredda cortesia.
«Non hai mai preso in considerazione altre professioni?» gli chiese con un'espressione di stupore. «Ai ragazzi giovani come te capita spesso di cambiare idea.»
Elia lo squadrò, era un uomo di mezza età, magro e ben vestito.
«Se anche dopo il liceo ho preso in considerazione altri tipi di mestieri, alla fine la decisione è ricaduta su questo. Ormai sono alla fine, mollare tutto sarebbe da sciocchi.» gli rispose in tono ragionevole.
«Quindi mi stai dicendo che tuo padre non si è in alcun modo intromesso nella tua decisione?» Elia gli lanciò una penetrante occhiata ostile.
«Lei lavora col mio patrigno. Credo che sappia già la risposta. Mi perdoni ora.» e si dileguò in cucina, prendendo un po' d'acqua. Avrebbe voluto avere un po' di roba dietro in quel momento. La serata si stava protraendo un po' troppo per i suoi gusti e la sua pazienza si era esaurita già a metà cena.
Qualcuno entrò nella cucina, socchiudendo la porta.
«Oh Elia, sei qui. Pensavo fossi in bagno, stai bene?» gli chiese allegra sua madre.
«Ma certo, avevo bisogno di un bicchier d'acqua. Di là sembra esistano solo alcolici.»
«Hai ragione, ma ormai siamo alla fine, porta pazienza. Qualcuno si è già congedato. Però è meglio se vieni di là con me, papà vorrebbe farti conoscere una persona.» Elia chiuse gli occhi, sentendo una sensazione fastidiosa montargli dentro.
«E' quell'incantevole unica fanciulla, figlia del socio?» lei gli sorrise, senza cogliere l'ironia del figlio.
«Tesoro, hai sempre avuto questo intuito straordinario! È una ragazza incantevole, vedrai.»
«Significa che siete già sulla buona strada per stringere accordi di fidanzamento?» ribatté sollevando un sopracciglio.
«Elia, non fare così. Lei studia qui a Milano, come avresti mai potuto avere occasione di incontrarla?»
«E se io avessi già altri progetti?» buttò lì duramente.
«Mi hai detto più volte che non è una cosa seria con la tua fantomatica ragazza. Altrimenti me ne avresti parlato. E ora cerca di non fare lo zotico, tuo padre ci rimarrebbe molto male.» ribatté sullo stesso tono, indicandogli di tornare in sala.
Scuotendo la testa, Elia tornò in mezzo ai colleghi e soci e altri vari partner in affari del padre e lo cercò di malavoglia.
«Papà mi cercavi?» Diego si voltò e gli tese il braccio per stringergli le spalle.
«Finalmente Elia! Credevo fossero le principesse a farsi attendere.» fece la sua battuta strizzando l'occhio alla ragazza che gli stava davanti, vicino presumibilmente a suo padre. Elia la guardò, una ragazza normale, capelli castani corti, occhi attenti, dall'aria nervosa quasi quanto la sua.
«Ragazzo mio, vorrei presentarti Chiara Rogi, figlia del mio caro socio ed amico. Sai, è al terzo anno di medicina, diventerà un brillante chirurgo.» lui cercò di sorriderle e le porse la mano, lei allungò la sua, fu una stretta veloce e debole.
«E' un piacere. Complimenti, sono sicuro che sarai la migliore, ma spero di non dover mai finire sotto i tuoi ferri.» le disse simulando una cordialità che non provava.
Lei gli sorrise.
«Mi hanno raccontato che hai scelto di andare a studiare a Verona.» gli rispose lei, con scarso interesse.
«Mio padre conosceva alcuni avvocati che lavorano lì, così ho potuto subito tastare il terreno, come dire.»
«Venga, Rogi, le mostro quella collezione di sigari di cui si parlava.» disse suo padre e preso sotto braccio il socio, si allontanò con decisione.
Ormai nella sala rimanevano poche persone oltre a loro, Elia fece spostare la ragazza verso il caminetto.
«Ti trovi bene là?» gli chiese ancora la ragazza.
«Molto meglio di quanto mi troverei qui, fidati. Come mai sei qui?» si guardarono.
«Mio padre ha insistito molto affinché partecipassi a questa cena, ma vorrei non ti facessi idee strane.» gli disse francamente. La ragazza conquistò numerosi punti in più nella fiducia di Elia.
«Mi fa piacere sentirtelo dire. Vale lo stesso per me. Non so cosa ti abbiano raccontato e non voglio mancarti di rispetto assolutamente, ma ho già i miei progetti.» le disse altrettanto francamente e con tono d'urgenza, alcuni passi si stavano avvicinando. Si guardarono di nuovo, questa volta con una solidarietà che fino a poco prima non c'era.
«Come la mettiamo con i nostri genitori?» gli chiese con la stessa fretta.
«E' il mio patrigno, non il mio genitore. E in genere io lascio che creda quello che preferisce.» le disse sbrigativo. Cercando d'indovinare se avesse svelato troppo delle sue carte, ma ormai era fatta.
«Allora ragazzi, posso offrirvi qualcosa? Un ultimo dolcetto oppure da bere?» chiese gentile la mamma di Elia, la ragazza gli lanciò un'ultima occhiata come a sancire il loro accordo e le sorrise.
«Oh signora, non si preoccupi. Io sono piena da scoppiare e vista l'ora è il caso che vada, domani devo alzarmi per studiare.»
«Tuo padre sarà con Diego di là nel salotto, vai pure a chiamarlo.» la ragazza ringraziando andò nella stanza, mentre Elia iniziava a raccogliere bicchieri vuoti lasciati su ogni superficie che non fosse a livello del pavimento.
«Elia, non vieni a salutare gli ospiti?» lo richiamò suo padre e lui abbandonò di nuovo la sicurezza della cucina per andare ora verso l'uscio di casa.
«Perdonatemi, eccomi. Arrivederci signor Rogi, è stato un piacere averla come ospite.» si rivolse alla ragazza.
«Buono studio per domani, non voglio trattenerti oltre. È stato un piacere conoscerti.» e fece il gesto di baciarle le guance.
«Vale lo stesso per me. Grazie della serata.»
«Figurati, cara. Torna a trovarci quando preferisci.» rispose la mamma, arrivata in quel momento.
«E senza complimenti.» aggiunse Diego, che strinse la mano al socio prima di chiudere la porta di casa.
Tornarono in silenzio verso la sala.
«E' stata un'ottima serata.» concluse l'uomo. La mamma sorrise.
«Ne sono felice, so quanti ci tenevi.»
«Elia avresti potuto essere un po' più socievole stasera, non ti pare? Come hai trovato la nostra Chiara?» Elia sbadigliò vistosamente.
«Mi sembra una persona normale, ora scusatemi, ma sono molto stanco.»
«Su tesoro, non ci dici altro? Che impressione ti ha fatto, è carina no?» cercò di spronarlo la madre.
«Mamma che vuoi che ti dica, ci ho parlato forse cinque minuti. È una ragazza perbene.»
«Sicuramente più perbene di quella che frequenti adesso, altrimenti ce ne parleresti più apertamente. Vedi di non fare passi falsi e di approfondire la conoscenza di Chiara Rogi. Sarebbe un peccato che te la lasciassi scappare.» sentenziò il patrigno con quel suo tono autoritario che odiava tanto.
«Lo sai, caro, che questo genere di cose non si possono combinare, lascia tempo al tempo. Ha detto che gli ha fatto una buona impressione, se son rose fioriranno.» si intromise la madre, odorando che il figlio non sarebbe stato disposto a cedere tanto facilmente su quel punto.
«Cara, perché non finisci di sistemare? Se no rimane tutto in disordine. Vieni con me, tu.» disse invece al ragazzo che lo seguì a due passi di distanza. Andarono nel salotto.
«Rogi ha una società molto ben avviata che tratta con l'estero, lo sapevi? Se riuscissi a convincerlo a fondere le nostre società sarebbe un grande guadagno. Capisci?» era appoggiato allo schienale della grande poltrona che guardava sulla finestra, un sigaro acceso in mano. Il fumo, per ironia della sorte, a Elio aveva sempre dato fastidio. La luce era spenta.
«Capisco.» disse freddamente.
«Non mettermi i bastoni tra le ruote ragazzo. Lo sai che non mi piace.»
«Ho sempre cercato di non farlo.»
«Vorrei che te la facessi piacere. Invitala domani per fare qualcosa.» era tornato al tono simpatico delle proposte.
«Ha detto che deve studiare e io pure e poi devo tornare a Verona.»
«Dove c'è il tuo momentaneo passatempo.» tirò una boccata al sigaro, Elia sentiva la testa ronzare per la rabbia, ma doveva trattenersi.
«Dove seguo delle lezioni per cui ho l'obbligo di frequenza, lo sai.»
«Cerca di chiuderla con quella sciacquetta.»
«Devo andare a dormire, a domani.» e senza lasciare al patrigno il tempo di ribattere era già avviato in camera sua che ormai era diventata la camera degli ospiti. Si tolse i vestiti e si infilò una vecchia maglia slavata, sciovalando poi nel bagnetto attiguo. Si sciacquò più volte il viso bollente con acqua fredda ed evitò di guardarsi allo specchio.
Aveva dannatamente bisogno della sua roba, ma non ne aveva portata nemmeno un po', maledizione.
Andò alla finestra e la spalancò, restando immobile a sentire l'aria gelida della notte sulla pelle nuda.
Sua madre dopo un'oretta bussò alla porta ed entrò in punta di piedi.
«Chiudi quella finestra, sei impazzito?» Elia si riscosse e chiuse i vetri.
«Stai bene?» le lanciò uno sguardo cupo.
«Ho la faccia di uno che sta bene?»
«Elia...»
«Smettila, mamma. Come hai potuto farmi una cosa del genere? Manca poco che il matrimonio è già combinato!» non c'era più rabbia in lui, il gelo della notte aveva preso il posto dell'ira.
«La stai prendendo nel modo sbagliato.»
«E quale sarebbe quello giusto?» volle sapere.
«Hai conosciuto una nuova amica.»
«Non sono suo amico e lei non è amica mia.»
«Sei un testardo ingrato.» lo accusò.
«Non credi che dovresti andare da lui? Il letto da solo non si riscalda.» tutti e due avevano gli occhi pieni di lacrime. A dividerli quell'amore difficile da comprendere per un uomo e il fantasma di una perdita atroce per cui nessuno dei due si era fatto una ragione.
La donna si asciugò le lacrime e uscì dalla camera del figlio, il ragazzo si infilò finalmente sotto le coperte, guardando il cellulare.
Visualizzò le email e una nuova attirò particolarmente la sua attenzione: grazie ai vecchi ritagli di giornale e ai dati forniti da un giornalista, era riuscito a risalire all'indirizzo di una donna che lavorava nel collegio dove era avvenuta la tragedia, e la signora aveva risposto che era disponibile per un colloquio. Immediatamente si mise a scrivere, chiedendo di concordare al più presto per un giorno e una data. La inviò con il cuore che batteva forte.
Guardò l'ora.
Erano le due. Decise che era meglio non scrivere a Greta, mise la sveglia e dormì un sonno agitato. Doveva andarsene da lì al più presto o sarebbe impazzito.
Pensò ancora a lei, quando si erano sdraiati sulla riva isolata dalla vegetazione di quel lago e per la prima volta si erano amati, con i raggi caldi del sole sulla pelle e l'alito delicato del vento tra i capelli.  

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Capitolo 4
*** III ***


 

§Capitolo Terzo§

 
Era ancora immerso nel ricordo-sogno del lago, quando una voce lo richiamò con insistenza.
«Svegliati.» Elia rimase immobile, cercando di fare mente locale su dove fosse e perché una voce dovesse svegliarlo dal suo sonno. Quindi ricordò e aprì gli occhi.
«Mamma, è successo qualcosa?» chiese mettendosi a sedere, sbadigliando.
«No, ma lo sai che non puoi dormire fino a tardi.» lui acchiappò il cellulare e lanciò un'occhiata allo schermo.
«Mamma, non so se te ne sei accorta, ma sono le sette e mezza di domenica mattina.» ribatté lasciandosi ricadere sul materasso che cigolò.
«Io non mi farei trovare a letto da tuo padre.» lo avvisò cupa.
«Oh, immagino sia di malumore perché non voglio impalmare la ragazza e quindi lui non ha certezza sulla fusione.» rispose a metà tra l'irritato e l'ironico.
«Non parlare in questo modo volgare! Potresti parlar chiaro e dire che sei già fidanzato, allora.» Elia si alzò e si vestì, tenendo d'occhio la madre e cercando di decidere se fuggire subito dalla finestra oppure fare uno sforzo e uscire in maniera meno originale ma più sicura dalla porta di casa.
«Potrei farlo, se non fossi sicuro che dopo farebbe di tutto per fare del male a questa ipotetica fidanzata.» rispose piano. Sua madre lo fulminò con lo sguardo.
«Come puoi parlare in questo modo di lui!»
Ecco, lo stava rifacendo.
Gli occhi sgranati da bambina, l'espressione incredula, la faccia di chi si sente dire un'assurdità immensa.
Elia scosse la testa, preparandosi a ribattere.
«Mah, magari perché pretende che mi sposi con una tipa che ho visto per una sera?»
Ecco, di nuovo.
Lo stupore scomparve dal suo viso segnato. L'espressione divenne dura e ostinata, di chi chiude le porte alla realtà.
«Vuole solo il meglio per te. Se ti propone Chiara è perché è una ragazza squisita che ha davanti un progetto di vita serio e responsabile. Come il tuo. Ti impedisce di perdere la testa per la prima che si vende. Non farmi ripetere che...»
«Che ti ha accettato per quello che eri, una madre sola che faticava ad arrivare a fine mese, mi ha amato come un figlio e ha voluto darmi un tenore di vita e un'istruzione superiori.» ripeté meccanicamente, con tono freddo e distaccato così come era sempre stato il rapporto tra lui e Diego.
«Che lo abbia fatto perché quello della famiglia felice era uno status sociale che gli mancava non ti ha mai sfiorata, vero, mamma?» le ringhiò a un passo dal viso.
Ma come al solito, le sue ragioni sarebbero cadute nel vuoto. Sua madre era già sorda da prima. Glielo diceva la sua postura rigida, il volto impassibile e impallidito.
«Sei...» iniziò rabbiosa, con i pugni serrati.
«Un testardo ingrato.» completò per lei senza dare importanza alle parole, uscendo dalla stanza e dirigendosi in cucina.
Un’ora più tardi tornò Diego dal suo jogging quotidiano ed Elia aveva preparato lo zaino e stava studiando su alcuni testi.
Lo sentì entrare e salutare la mamma che gli aveva preparato il bagno e l'acqua fresca. Quindi per un'altra mezz'ora studiò con tranquillità.
Quando l'uomo finì di sistemarsi, la mamma disse che usciva ed Elia e Diego rimasero da soli. Quando l'uomo si sedette difronte a lui, Elia capì che sarebbe stata meglio l'opzione finestra, quella mattina.
«Sei impegnato?» gli chiese accendendosi uno dei suoi sigari.
«Sto studiando, in effetti.» rispose lui.
«Non puoi prenderti una pausa?» Elia girò la pagina e seguì a leggere. 
«Non mi interessano le manovre della tua società.» gli disse quieto.
«Avrai tutto il tempo per approfondirle quando mi tutelerai. Non era di questo che volevo parlarti.» fortuna aveva il viso chinato sul libro, perché le sue sopracciglia schizzarono così in alto da confondersi con i capelli.
Finalmente Elia alzò lo sguardo e chiuse il libro. C'era un solo altro argomento su cui Diego insisteva a tormentarlo.
«Ti ascolto.» lo guardò negli occhi.
«Non sopporto l'idea che tu passi il tempo in un cimitero.» centrò il punto senza troppi giri, Elia si preparò al secondo scontro verbale in poche ore.
Doveva aver vinto il primo posto a un qualche concorso per il peggior primo premio della storia.
«Quindi?» incrociò le braccia.
Una volta aveva avuto paura. Non protestava mai troppo, alla seconda occhiataccia di Diego.
Quando la madre andava al cimitero, Diego faceva in modo di portarlo via con sé. Gli faceva fare cose divertente e gli prendeva quello che chiedeva. Lo portava a giocare a calcio con i suoi amici o nei parchi giochi per bambini. Quando la madre si recava a trovare la figlia, per lui era un momento di svago e divertimento. L'uomo pensava così di “togliergli il vizio” come spiegava agli amici. Ma il bambino che era stato aveva intuito ben presto che invece era solo un'ingiustizia. Ed era riuscito ad ottenere di accompagnare la mamma ogni tanto. 
Ma adesso non era più un bambino.
«È per donnicciole e vecchi. Tu non sei né vecchio né una donnicciola. Sei mio figlio ed è il caso che ti comporti come conviene.»
«Non ci andavo da mesi. Fine della storia, Diego.» gli rispose a tono.
«Sono tuo padre!» Elia sorrise. L'espressione fredda e aggrottata dell'uomo la dicevano lunga sul livello di scontento. Non poteva negare l'evidenza: aveva il diritto di andare al cimitero.
«Ha soltanto causato un sacco di problemi, sempre, e noi ne abbiamo pagato le conseguenze!» ringhiò ancora, seguì un tonfo e gli oggetti sul tavolo sobbalzarono. Il sigaro e la cenere erano finiti per terra, la sedia caduta all'indietro per l'improvviso movimento in avanti dell'occupante che si era chinato, minaccioso, verso il ragazzo, picchiando violentemente il pugno sul tavolo.
Fino a quel momento, Elia se l'era cavata.
Era riuscito a stare calmo, a tenere a bada la voglia di prenderlo a pugni.  
A un centimetro dal viso contorto del patrigno, anche la sua espressione ebbe un tremito, ma fu più bravo e non mostrò quanta rabbia avesse in corpo. Se l'avesse fatto...
«Non un'altra parola, Diego.» sussurrò pianissimo, i denti stridevano gli uni sugli altri con un rumore sinistro.
«Altrimenti cosa fai? Sono io che ti mantengo.» lo apostrofò con quella strafottenza insopportabile.  
Una volta sarebbe bastato a fargli chiudere la bocca e ad abbassare gli occhi. Ora aveva una visione d'insieme migliore.
«Tu mi mantieni solo gli studi perché ti serve.» gli rispose con un'improvvisa calma sepolcrale. Fu una goduria osservare i suoi muscoli facciali contrarsi e l’ira palpitare nei suoi occhi.
Rimasero a guardarsi in cagnesco per diversi minuti, mentre l'uomo cercava qualcosa da ribattere e più i secondi di silenzio aumentavano, più Elia si rendeva conto di averla spuntata.
Il ragazzo si rimise diritto, forte di quel benedetto silenzio che puzzava di fumo del sigaro a terra, e raccolse velocemente i libri che aveva lasciato fuori e le penne, li ficcò nello zaino e recuperò il cappotto.
«Dove diavolo pensi di andare?» esplose Diego. Elia si girò e gli fece un cenno del capo.
«Di' a mia madre che non mi fermo per pranzo, ho il treno che parte a mezzogiorno. Salutala e dille pure che non deve più portarmi con lei al cimitero, che ho altro di meglio da fare che perdere quel tempo.» fece per uscire, ma sentì i passi dell'uomo che veniva verso di lui. Gli afferrò il braccio. Si girò di scatto liberandosi dalla sua presa e fece un passo avanti per fronteggiarlo, tenendo d'occhio le mani del patrigno. Parlò prima che potesse farlo lui.
«Un'ultima cosa. Trovati un altro modo per annettere le tue società. La poligamia è reato da noi, se per caso ti fosse sfuggito. Te lo do per certo, l'ho studiato.» senza attendere oltre, uscì dalla porta e se la sbatté alle spalle, scese i tre piani il più rapidamente possibile. Alla porta salutò frettolosamente il portiere di turno e si fermò al cancello delle auto.
Vista l'ora non dovette attendere molto il ritorno della madre.
«Dove stai andando?» gli chiese subito, scendendo dall'auto accesa.
«Mi dai un passaggio in stazione?» la donna dovette leggergli in faccia che la sua pazienza era esaurita da un pezzo, tornò in macchina ed Elia saltò su.
«Ho pensato molto a quello che mi hai detto.» gli disse a un tratto, prima che scendesse dalla macchina una volta alla stazione. Elia rimase un attimo in silenzio.
«Riguardo a cosa?»
«A quello che abbiamo fatto con Chiara Rogi.» Elia la guardò. Avrebbe preferito non parlasse al plurale. Attese che trovasse le parole per continuare.
«Mi dispiace per quello che ho detto riguardo a questa persona che tanto difendi, non la conosco nemmeno. E ti chiedo scusa anche per quello che dice papà.» lui scosse la testa.
«Per quello che papà dice, solo lui è responsabile. Non te la porterò in casa, mamma, né te ne parlerò mai.» gli costava tutta la sua determinazione essere così duro. La donna si asciugò alcune lacrime dietro gli occhiali scuri. Gli stessi che portava da quando era morta la figlia.
«Sì lo capisco.» Elia allungò timidamente una mano e si rese conto di tremare.
Non ci badò e strinse la mano della madre.
«Non ho mai discusso sulle tue decisioni, mamma. E ti prego di non mettere in discussione le mie. Non è colpa tua.» la donna si lasciò sfuggire un singhiozzo ed Elia si allungò per abbracciarla.
«Mi dispiace per il pranzo, mi avrebbe fatto piacere restare, ma se sto con Diego altri cinque minuti potrei uccidere.» lei gli si strinse ancora più forte e lui aumentò la forza con cui la cingeva, dicendole quello che a parole non sarebbe mai riuscito.
«Non devi prendere il treno?» gli chiese quando ritrovò la voce. Lui scosse le spalle.
«Fra un po'. Ma Diego non li fa più i suoi viaggi di lavoro?» le chiese tutto d'un tratto.
«Capita ancora qualche volta, sì. Perché?» rispose la donna, mentre il figlio scendeva, mise dentro solo la testa.
«L'Arena merita di essere vista.» fece lui con un occhiolino, chiuse la portiera e si incamminò. La donna rimase a guardare il figlio finché non scomparve oltre l'ingresso della stazione.
 
Viaggiare in treno gli piaceva sempre un sacco, lo portavano fondamentalmente lontano dai problemi. E più si allontanava da Milano, più si spogliava di tutte le maschere e corazze di cui si vestiva tutte le volte che ci doveva tornare.
Seduto al suo posto, la fronte appoggiata al finestrino, guardava scorrere il paesaggio, pensando alla foto che aveva lasciato a casa, alle cose dette e alla rabbia che aveva ancora dentro.
Per calmarsi pensò a Greta e dopo che si sentì tranquillizzato la chiamò.
Rispose dopo un paio di squilli, chiacchierarono del più e del meno, decisero di vedersi l'indomani per pranzo poi si salutarono.
Cercò nelle email ma il giornalista non aveva risposto, quindi tirò fuori il libro e si immerse nella lettura.
Due ore più tardi era sulla strada per il suo appartamento.
Aprì le finestre, tirò fuori i libri e studiò per le ore successive, poi cenò e si mise a sfogliare i suoi fogli fitti di appunti per la tesi, molti riportavano la sua calligrafia infantile, e i vecchi articoli di giornale che aveva recuperato e conservato con gelosia.
In tutti i reportage e nelle interviste su cui nel tempo era riuscito a mettere le mani c'era sempre la stessa versione: una studentessa del collegio Celestino V presso Fornaci, in barba alle regole, aveva abbandonato di notte il suo dormitorio e si era inoltrata nella foresta del comprensorio, per altro vietata agli studenti, e lì aveva trovato la morte cadendo da un'altezza imprecisata. Il caso era stato archiviato come una fatale bravata o una sorta di rito di iniziazione.
Solo in certi articoli di giornali minori si era fatto cenno al fatto strano che la ragazzina indossasse solo la camicia da notte e che erano stati ritrovati alcuni libri di testo e una torcia. E in un numero ancora minore di articoli erano riportate interviste che sostenevano versioni diverse da quella più famosa.
Elia aveva sempre provato a parlarne con sua mamma, cercando di mettere in risalto i particolari di quelle voci fuori dal coro, ponendo quelle domande che gli ronzavano in testa da sempre.
Ma il dolore della donna era sempre stato così profondo e straziante che era come parlare a un muro invalicabile.
Poi Diego era sempre stato molto abile nel farlo sentire in colpa a trattare di quegli argomenti con la madre: non vedeva che già soffriva abbastanza? Non poteva semplicemente credere al dato di fatto che quella ragazzina era sempre stata indisciplinata e ribelle? E la conclusione era sempre la stessa: non doveva rimuginare, già soffriva per la perdita. A cosa serviva cacciare il dito nella piaga? Dimenticare era la parola d'ordine.
Così Diego lo redarguiva, tutte le volte.
E per molti anni Elia aveva tenuto la bocca chiusa, con quelle domande a vorticargli perennemente di sottofondo in testa: perché nel bosco praticamente nuda? Chi aveva messo quei libri nel bosco? Perché mai Arianna, una ragazzina di buon senso, si era cacciata in quella situazione?
Tutte quelle domande si concretizzavano poi in incubi notturni più o meno vividi, a cui col tempo aveva fatto l'abitudine.
Sua mamma, presa dal suo cieco amore per Diego, non lo aveva mai saputo, certo, ma non occorreva essere un sensitivo per capire che la sorella non stava affatto bene in quel collegio. La mamma non aveva visto lo sguardo della preside, quel giorno...
 
Gli occhi pieni di lacrime e il cuore gonfio di dolore, il piccolo passò lo sguardo sulla madre sconvolta, sul patrigno che aveva disegnato la sua versione dei fatti e poi lanciò un'occhiata alla preside.
Per un istante i loro occhi si incrociarono.
Il bambino deglutì, c'era qualcosa in quello sguardo...
 
Allora come in quel momento deglutì e sentì qualcosa di indistinto gonfiarsi a dismisura nel petto, qualcosa di grosso, enorme, impetuoso e incandescente che per un attimo gli tolse quasi il respiro...
 
Scosse la testa per liberarsi da quella sensazione che era diventata familiare. In fondo era per dare una risposta a quelle domande che Elia aveva intrapreso la facoltà di giurisprudenza: diventare avvocato, scoprire la verità sulla morte della sorella e difenderne la memoria. Anche se ovviamente il patrigno aveva insistito per quel mestiere per ben differenti ragioni.
Elia ricordava quando aveva deciso che sarebbe diventato avvocato: dopo il diploma del liceo, durante una vacanza al mare.
In quel periodo Diego non faceva che ripetere che sarebbe stato un'ottima idea quella di essere un avvocato per difendere una persona o una società in difficoltà. Il patrigno poi aggiungeva che in particolare, difendere la società da cui dipende il proprio livello di benessere sarebbe stato proprio il raggiungimento massimo dell'obiettivo, un po' come unire l'utile al dilettevole. E così aveva stabilito il percorso del ragazzo.
Elia come al solito l'aveva lasciato parlare, per metà ascoltandolo e per metà perdendosi nella musica che si sparava a palla nelle orecchie. Per molti giorni i discorsi di Diego erano stati solo un noioso ronzio di sottofondo. Ma un pomeriggio, seduto in riva al mare ad osservare l'andirivieni delle onde con Diego al suo fianco a parlargli, la sua attenzione si era soffermata sulle parole “difendere” e “persona in difficoltà”. E nella sua mente si era acceso un lampo di luce che era arrivato al viso pallido e immoto della sorellina. Il suo cuore aveva smesso di battere: l'abisso di solitudine in cui era sprofondato si fece sentire in tutta la sua immensità.
Più tardi, quello stesso giorno, aveva fatto una ricerca sulla professione di avvocato ed era andato a scartabellare le carte che sua madre custodiva con cura sul caso della figlia.
Sì, si era detto: sarebbe diventato avvocato.
E avrebbe trovato la verità sulla morte della sorella, rimasta impunita per tutti quegli anni e per molti ancora a venire.
Ovviamente a Diego questa parte dei suoi scopi non l'aveva mai rivelata.
I veri passi sulla sua personale strada della ribellione li aveva compiuti quando aveva cercato un relatore per la tesi le cui aree di competenza fossero la materia penale e la difesa delle persone invischiate in casi di verità controverse. E poi aveva contattato il giornalista, autore di alcuni articoli dove si faceva cenno agli elementi strani del caso, alcuni membri del corpo degli inservienti e degli insegnanti, nonché tutte le compagne di corso di cui era riuscito a reperire almeno un recapito.
Ora si trovava con un appuntamento da prendere con il giornalista, che poteva accendere chissà quale nuova luce o addirittura la possibilità di riuscire a far riaprire il caso, con le notizie che sarebbe riuscito ad acquisire... Era decisamente ansioso di conoscere di persona l'uomo che aveva saputo indicare i dettagli che non tornavano nella versione della “bravata finita male”.
Erano ormai le dieci quando iniziò a stilare una serie di domande che avrebbe voluto porre all'uomo che sperava di incontrare presto. Alla fine si trovò una lista di trenta e passa, quindi cercò di ridurle, di accorparle dove possibile e riuscì ad arrivare a una ventina.
Sbadigliò.
L'indomani doveva svegliarsi presto, e decise che poteva ritenersi soddisfatto.
Mise via le sue carte, gli appunti e i libri, quindi andò a dormire.
L'unica cosa degna di nota della giornata fu il pranzo con Greta.
Fu come se tutte e due avessero abbassato le difese e si fossero riproposti soltanto per quello che erano, due ragazzi innamorati. Ciascuno evitò accuratamente quegli argomenti che potevano mettere in crisi quell'apparente armonia e si godettero le loro risate, i commenti su questo o quel libro o le loro impressione sull'ultimo film, visto da Greta e di cui, come sempre, Elia ne aveva solo sentito parlare.
Alla fine trascorsero il pomeriggio insieme, finché a Greta non venne in mente che doveva tornare a casa.
«Va bene, ti riaccompagno.» Elia la prese sottobraccio.
«Ma così poi ti devi fare il doppio della strada. Guarda che non mi perdo.» protestò debolmente lei.
«Poi voi donne dite che la cavalleria è morta.» si lamentò lui, sollevando lo sguardo al cielo con aria affranta. Lei scoppiò a ridere.
«Non sia mai, cavaliere senza macchia e senza paura!» recitò a tono. E così si avviarono verso la periferia. Presero un autobus e fecero un altro quarto d'ora a piedi e finalmente arrivarono al condominio dove viveva Greta.
«Eccoci qui. Vuoi salire?» disse lei, una volta al cancello.
«No, tranquilla. Ti saluto qua.» l'attirò a sé e la baciò.
«Ehm, ciao sorella.» i ragazzi voltarono la testa in direzione della voce.
«Mattia, cosa ci fai tu qui?» indagò Greta, lanciando un'occhiata divertita ad Elia.
«Potrei farti la stessa domanda. Non dovevi tornare per le due? Sai che ore sono oppure siete andati sul pianeta Venere e non siete ancora tornati?» il ragazzino fece la linguaccia alla sorella che scosse le spalle.
«Touche.» rise Elia scompigliando i capelli a Mattia.
«Ciao mascalzone, come stai?» 
«Bene, ma starei meglio se vi toglieste dai piedi e mi faceste entrare. Poi potete continuare a limonarvi.»  ribatté il monello facendo un salto avanti e suonando il campanello.
«Mattia!» esclamò scandalizzata Greta, ma il suo rimprovero si perse nel freddo.
«Greta?» rispose una voce femminile dal citofono.
«Sì mamma siamo noi. E c'è anche Elia che si...» rispose il bambino, ma Grata gli tappò la bocca prima che potesse concludere la frase.
«Vi aspetto, coraggio.» disse la voce e i cancelli vennero aperti.
Elia rimase indietro titubante. Fu Mattia a tornare indietro e afferrandogli la mano dicendogli che non poteva scappare.
Non era la prima volta che capitava che venisse invitato a casa di Greta. Nei primi tempi era riuscito ad evitare di incontrare gli altri membri della sua famiglia, nonostante gli sembrasse di conoscerli per via dei commenti e dei racconti della ragazza.
Attraverso le parole di Greta, Elia aveva conosciuto per primo il fratellino, un bimbo sveglio e monello di undici anni, di cui la ragazza non finiva mai di lamentarsi, ma si preoccupava ogni volta che avesse fatto i compiti, lo accompagnava quando poteva dagli amici, a scuola o a nuoto. Quindi aveva imparato a conoscere i suoi genitori: lui lavorava, lei casalinga che riusciva a farsi in quattro e ad essere onnipresente per le esigenze dei figli.
Erano il ritratto di quella che si definisce una famiglia felice, insomma. Pensare a loro in un certo senso gli faceva sempre molto male: era vedere un piccolo universo composto di gesti, parole, attenzioni che non gli erano familiari, ma allo stesso tempo respirare l'aria di quella casa era un barlume di luce su quanto lui non avesse e di cui sentiva fortemente bisogno.
Dall'altra parte era una gioia ritrovarsi coinvolto, era come tornare indietro nel tempo ed era una sorta di balsamo per le sue inquietudini.
Mattia, il fratello monello, si era legato a lui quasi subito ed Elia ricambiava quell'affetto sincero con tutto il cuore. Poi c'era la signora Cerri, una donna serena e ridente, in grado di tenere a bada l'esuberanza del figlio con un'occhiata minacciosa e spronare la figlia con poche parole azzeccate.
Il padre di Greta era un architetto e aveva un suo studio in centro, preciso e corretto in ogni suo gesto e parola. Quando tornava a casa la sera abbandonava la ventiquattrore e il cappotto e salutava tutti con un sorriso stanco.
La prima volta che si erano incontrati aveva stretto la mano di Elia scrutandolo con attenzione, mano a mano però che si erano conosciuti era passato da quell'aria di diffidenza, a cui infondo Elia era abituato, a una molto più amichevole e complice, il che lo lasciava alquanto a disagio, non sapendo come comportarsi: viveva nella costante ansia di doversi difendere da un attacco improvviso, come una preda braccata.
«Mi stavo per preoccupare, Greta. La prossima volta avvisa, un sms non ti uccide mica.»
«La perdoni signora, la colpa è mia. Mi sono messo a camminare e il tempo ci è volato via.» si frappose Elia.
«Non difenderla sempre, tu. E dai a Mattia la tua borsa che la mettiamo di là.» lui si rese conto di stringere la tracolla.
«Oh...»
«Perché, non ti fermi a cena?» gli chiese la signora. «Guarda che non è un problema, un piatto di minestra lo tiriamo fuori.»
«Perfavoreperfavoreperfavore.» gli fece gli occhioni dolci il bambino, aggrappato anche lui alla tracolla, ripetendo quelle parole come una cantilena. Elia alzò lo sguardo e intercettò quello di Greta che gli sorrise.
«Non guardare me, la colpa è sua.» gli disse, indicando il fratello.
«Ehi! Io non ho fatto niente!» protestò lui, ma Elia si stava già togliendo la borsa e con una mano acchiappò il bambino.
«Tu sei il solito ficcanaso.» lo rimbrottò sollevandolo di peso.
«Lasciami! Lasciami!» gridò ridendo il ragazzino, cercando di divincolarsi.
Quando Mattia si interessò alla televisione, Elia si spostò in cucina, dove Greta e sua mamma stavano chiacchierando mentre iniziavano i preparativi per la cena.
«Sono andate bene le lezioni?» le stava chiedendo.
«Sì, come al solito. Il problema sono i tirocini, lo sai. Non si capisce mai niente e organizzazione zero.»
«Ne devi fare ancora molti?» si intromise lui, sedendosi al tavolo e aiutandola a sbucciare le patate.
«Mi mancano ancora cento ore circa. E poi, se Dio vuole, posso iniziare a cercare qualcuno per fare la tesi.» gli rispose.
«Hai deciso l'argomento che ti piacerebbe?» fece la signora, di spalle perché rivolta ai fornelli.
«Sì, mamma, ne abbiamo già parlato. Se voglio diventare ostetrica, l'argomento deve essere qualcosa collegato al parto e alla nascita del bambino.» Elia le sorrise. La vedeva con guanti e mascherina a far nascere piccoli mostriciattoli urlanti.
«E tu Elia, tutto bene? Greta mi ha detto che sei stato dai tuoi questo weekend.» fu come se delle unghie si fossero messe tutte assieme a grattare su una lavagna. Elia però si fece forza e deglutì.
«Tutto bene, grazie.» si concentrò sul lavoro che stava facendo e non vide che Greta faceva segno alla mamma di smettere.
«Hai più visto la signora Abis, Elia?» ruppe quel momentaneo silenzio la voce tranquilla di Greta.
Lui sollevò di nuovo lo sguardo e cercò di riprendere la conversazione.
«Non ancora, tra l'altro devo sempre sistemarle la tapparella del bagno che è bloccata.»
«Se serve una mano possiamo chiedere anche a Fede.» tentò la mamma di Greta. Elia la guardò, cercando di dirle che non era in alcun modo contrariato.
«Credo di potermela cavare da solo, a ogni modo grazie.»
Arrivarono le venti, il padre di Greta rientrò dal lavoro e tutti si misero a tavola ridendo e scherzando.
«Signori, la compagnia è magnifica, ma l'ora è tarda e io devo far ritorno all'ovile.» disse ad un tratto Elia quando si rese conto dell'ora.
La signora guardò l'orologio.
«Accidenti è vero. È tardissimo. Mattia smettila subito di giocare e vai a letto.» spronò il figlio che prontamente si lamentò.
«Dai, mamma, finisco la partita.»
«Nemmeno per idea, la finisci domani dopo i compiti.» ribatté la mamma mentre si alzava.
I due iniziarono una trattativa fatta di botta e risposta.
Greta sbadigliò.
«È tardi, sì.» disse piano Elia, facendo scorrere un dito sulla guancia della fidanzata.
«E domani tutti ci alziamo presto. Greta porti di là tu queste tazzine, così posso dare uno strappo al nostro Elia?» lui girò di colpo la testa.
«Non si deve preoccupare per me, signor Cerri. Ci sono i bus.» cercò di dissuadere l'altro.
«Non fare complimenti, non so più come dirtelo.» gli disse con gentile fermezza, facendo morire tutte le proteste del ragazzo, che sorrise e accettò l'offerta.
Salutò i signori Cerri, il piccolo di casa addirittura corse in pigiama dal bagno, lo abbracciò e proseguì a spazzolarsi i denti, poi Elia strinse a sé la ragazza, aspirando il suo aroma che sapeva di cose buone.
Quindi con il signor Cerri scesero e salirono in macchina, iniziando il viaggio di ritorno.
«Ehi, domenica porto la truppa a vedere un film da ridere, visto che ultimamente il lavoro mi rapisce. Ti va di unirti a noi o devi studiare?» gli chiese con tono allegro il signor Cerri, mentre superavano incroci e rotonde, seguendo le indicazioni del ragazzo.
«Guardi verrei più che volentieri, ma lo studio mi reclama.»
«Immagino, comunque se cambi idea non farti problemi.»
«Grazie davvero.»
«Ma di cosa.›› rimase in silenzio per qualche attimo, poi riprese a parlare. 
‹‹Sai, Greta non ci ha presentato tutti i suoi spasimanti. E tu sei quello che è riuscito più di tutti a conquistarsi l'affetto di Mattia. Essendo il fratellino minore, è sempre stato geloso. Bisogna dire che ci mette del suo per combinarle, ma tu hai resistito e vinto i suoi attacchi» Elia annuì, stava cercando di capire dove volesse andare a parare il padre di Greta.
«In realtà non ho dovuto fare chissà cosa. E poi è un ragazzino a posto, sa come farsi voler bene se si sa leggere tra le righe.» spiegò Elia. L'uomo lo guardò con quella sua aria calma e serena.
«Non è da tutti, credimi.» fece una piccola pausa ed Elia si rese conto che quello era il punto cruciale che gli interessava discutere, aveva cambiato tono: «Greta mi ha confidato che ogni tanto sparisci nel tuo appartamento. Ora, senza girarci troppo attorno, siamo entrambe persone adulte: Greta ne rimane sempre molto turbata perché non è in grado di aiutarti.
Da parte mia posso dirti che ormai ho visto di che stoffa sei fatto, ma se hai problemi possiamo provare a parlarne e cercare una soluzione.» erano arrivati al palazzetto di Elia e avevano parcheggiato.
Aveva ascoltato tutto il discorso dell'uomo e per la prima volta non aveva avuto sentore di nessuna minaccia né giudizio. Gli aveva fatto solo un discorso preciso in cui metteva in chiaro i punti in ombra.   
Fece per parlare, ma l'uomo riprese parola.
«Vorrei chiederti di non prendertela con Greta, lei mi ha parlato in confidenza perché ho insistito.»
«Non sono in alcun modo arrabbiato con Greta e sono molto dispiaciuto di farla preoccupare, a dirla tutta.»
«Ma non puoi farne a meno?»
«È così.»
«Si percepisce che sotto l'apparenza c'è qualcosa di molto più oscuro e profondo, infatti. Sembri convinto di dover affrontare tutto da solo.» Elia lo guardò negli occhi, poi concentrò lo sguardo in avanti oltre il parabrezza. La notte era buia, le nuvole coprivano il cielo. Sentì la mano dell'uomo posarsi sulla sua spalla, non si mosse.
«Non so contro cosa ti stai battendo, Elia. Ma smettila, altrimenti la tua guerra ti consumerà.» lui chinò il capo.
«Voi siete persone di buon cuore. Io conosco persone che non sono buone e pensano solo ai propri fini. E ho un compito da svolgere, prima che io possa mettere fine alla mia guerra.» mormorò tra i denti.
«Immaginavo avresti risposto così. Ricorda però che anche la persona più paziente del mondo si può spazientire.» Elia annuì, sentendo un nodo allo stomaco.
«Lo so.» aprì la portiera e scese, ma prima di chiuderla si chinò in avanti.
«Signor Cerri?» chiamò.
«Sì?»
«Grazie.» l'altro gli sorrise.
«C'è un motivo per cui i capelli diventano bianchi, tranquillo. Buona notte.»
«Anche a lei.» Elia rimase a guardare la macchina allontanarsi fino a diventare due puntini luminosi.  

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