Catene di Celtica (/viewuser.php?uid=833314)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Catene cap. 1
apitolo I
Il
Destino è come una ruota che gira
per poi fermarsi sempre nello stesso punto…
Un
lampo.
Il
mondo sembrò
fermarsi udendo il rimbombo del tuono.
Eppure
il
fulmine non poteva nulla, ora. Non poteva entrare in quella stanza, non
poteva
sentirli, non poteva fermarli. La pioggia imperversava fuori dalla
finestra, ma
il Generale Jarjayes non poteva vederla, la schiena appoggiata contro i
vetri.
«Badate»
La voce
di André lo pietrificò, lasciandolo con il
braccio sollevato. «Sono pronto a
sparare.»
La pistola comparve dal nulla, e lui non poté fare altro che
restare immobile a
osservarla; lo guardava inchiodando i suoi occhi, impedendogli di
sollevarli
per vedere la reazione di Oscar.
Ma
era ancora
lì?
«Non
vi
muovete, perché io, ora, andrò via insieme a
Oscar.»
A
quelle parole
il Generale Jarjayes trovò la forza di guardarlo. C'era una
tristezza infinita
nei suoi occhi.
Ma non poteva restare senza dire niente. Non poteva permettergli di
andarsene.
«Che
cosa? Tu
vorresti scappare con Oscar?»
«Sì.»
E
a
un tratto,
tutto fu chiaro: crescere insieme, unirli, affiancarli... Ogni giorno
trascorso
a guardarsi, ogni giorno sostegno uno dell'altro, senza tregua. Senza
freni.
Legati da una catena invisibile che proprio lui, il Generale, aveva
posto.
«E
magari
vorresti anche sposarla, non è vero?»
«Sì.»
Perché
non lo
aveva capito? Era sempre stato così chiaro... Un sentimento
germogliato davanti
ai suoi occhi, davanti agli occhi di tutti.
Eppure era stato cieco.
Aveva curato, coltivato, incentivato quel sentimento; l'unico colpevole
era
lui.
«No»
disse il
Generale, abbassando lo sguardo. «Sarebbe una grossa
sciocchezza, perché
la differenza di rango che esiste tra voi non si cancellerebbe
mai.»
«Permettetemi una domanda: che cosa significa rango? Non
siamo tutti uguali,
forse?»
«Un
nobile
prima di sposare deve chiedere il permesso a sua maestà il
Re!»
«Sì,
lo so. Ma
se sua maestà il Re si innamora di una donna, deve forse
chiedere a qualcuno il
permesso di sposarla?»
«Basta, André!» Il Generale
gridò. Alzò il pugno e lo colpì dritto
in viso. «Mi
dispiace, non posso perdonarvi.»
Sollevò
la
spada, pronto a fare il suo dovere.
Oscar
era in
piedi, dietro André, e lo guardava come se non fosse in
grado di accettare
quanto stava per avvenire. Eppure le sue braccia erano abbandonate
lungo i
fianchi, il suo corpo sembrava essersi arreso. Perché i suoi
occhi no?
Perché
sembrava
delusa... Perché non riusciva a capire?
Se
ci
fosse
stata un'altra scelta, non avrebbe compiuto quel gesto. Ma non c'era.
La verità
era che non c'era scelta...
Solo la speranza, il tentativo di salvare l'onore. Nient'altro.
André
si mise
in ginocchio davanti a lui, e il Generale pensò che fosse
pronto a barattare la
propria vita per quella di Oscar, a implorare di risparmiarla o, forse,
a
chiedergli di uccidere anche lui.
Ma si ritrovò di nuovo con la pistola puntata contro, mentre
osservava André
rimettersi in piedi.
«Fate
un passo
indietro, Generale.»
«Cos'hai
intenzione di fare? Sei solo un servo, non puoi portarla via.»
André indietreggiò di qualche passo, cercando con
la mano sinistra il braccio
di Oscar.
«Ora noi ce ne andiamo.»
«Non puoi...» insistette il Generale.
Era sua figlia quella che aveva davanti, la figlia che aveva macchiato
il suo
onore, ma pur sempre il suo sangue.
«Lei
non verrà
mai con te.»
André
sembrò
scosso da un fremito; si voltò un istante a guardare Oscar e
parve arrendersi.
Abbassò la pistola.
«Padre...»
sussurrò lei. La vide stringere i pugni.
«È per i miei uomini se me ne vado.»
«Che cosa?»
«Come,
Oscar?
Davvero verresti con me?»
«Oscar!
Te lo
proibisco!»
Oscar chinò la testa di lato, senza avere la la forza di
guardarlo.
Dov'è
finito il
figlio che ho cresciuto, Oscar?
«Mi
dispiace,
padre. Darei la mia vita per voi e, vi giuro, quando questa storia
sarà finita,
tornerò. Potrete uccidermi, se vorrete. Non ve lo
impedirò.»
«Oscar» cominciò André, ma si
bloccò puntando ancora la pistola verso il
Generale.
«Hai disonorato il nome della nostra famiglia!»
«Vi
scongiuro
di perdonarmi, padre» Oscar lo guardò dritto negli
occhi. «Andiamo, André.»
Il
Generale li
vide avanzare verso la porta, l'ennesimo lampo illuminò i
capelli biondi di sua
figlia, e lui non poté fare a meno di chiedersi se mai
l'avrebbe rivista.
Sentì la chiave girare nella serratura e capì che
André lo aveva chiuso dentro.
Certo
che ti
rivedrò, Oscar. Hai giurato di tornare e io so che lo farai.
André
seguì
Oscar oltre la porta e, chiudendo a chiave la serratura, si accorse di
sua
nonna rannicchiata nell'angolo. Piangeva forte e lui provò
l'impulso di
stringerla.
«Nonna...»
Si accucciò accanto a lei liberandole il viso dalle mani.
«Non piangere, nonna.»
Ma
lei non
sembrava avere intenzione di smettere. Era persa nei suoi lamenti e
André capì
che sarebbe stato inutile cercare di consolarla.
Sentì tirare la maniglia, battere sulla porta: era il
Generale che cercava di
chiamare aiuto. Ma non c'era nessuno lì, non c'era nessuno
che potesse udirlo.
«Dobbiamo
andare, André.»
«Vengo, Oscar.»
Vengo
da te.
Scesero
le
scale in silenzio, senza correre. Se fosse comparso un servo non
avrebbe dovuto
sospettare niente.
«Prendiamo i cavalli» disse lei, dirigendosi verso
le scuderie. Non c'era
nessuno in giro.
Forse,
che
fosse opera del Generale?
André
si trovò
ad affrontare una marea di ricordi.
Era nelle stalle che lui e Oscar avevano misurato l'altezza da bambini,
era
nelle stalle che lei lo aveva sorpreso a dormire. E ancora, era nelle
stalle
che la donna che amava gli aveva annunciato di voler vivere come un
uomo.
Eppure, in quel momento, lei era lì insieme a lui. Voleva
fuggire al suo fianco,
forse era pronta a una vita da donna.
No,
ha giurato
di tornare.
«André,
che
fai? Non vieni?»
Sollevando gli occhi, la vide intenta a sellare il cavallo. Si
affrettò a
prendere il suo per coprirlo con coperta e agnellino, e sistemare la
sella.
Tirò giù le staffe e spiccò un salto
per salire.
Non
riuscì a
evitare di guardarla: sembrava calma mentre sistemava le redini, troppo
calma. Era come se fosse stato tutto normale, come se non sapesse di
dover
morire da lì a poco tempo.
Perché
André
era certo di questo: il Generale l’avrebbe uccisa, non
sarebbe riuscito a
perdonarla, non avrebbe mai messo sua figlia davanti al suo onore.
Il tuono sembrò avvertirlo che era ora di andare, che non
c’era tempo per
restare lì. Qualcuno avrebbe potuto raggiungerli.
Magari la giustizia del Re…
«Sei
pronta,
Oscar?»
Lo era. In sella al suo purosangue bianco, sembrava pronta a vivere un
giorno
come gli altri. André capì che stava pensando ai
suoi uomini.
Gettati in una cella, trattati come criminali, condannati a morte.
«Andiamo,
André.»
Affondò
i
talloni nei fianchi del cavallo e partì davanti a lui, senza
preoccuparsi della
pioggia battente.
La raggiunse con due cappe verdi, simili a quelle che avevano indossato
il
giorno in cui le campane di Notre-Dame avevano suonato per il delfino
di
Francia.
Oscar gli aveva sorriso, nonostante fosse morto il piccolo Joseph,
nonostante
la pioggia, che sembrava portare un messaggio di disgrazia per il Re.
Lei
gli aveva
sorriso, e per André non contava altro.
“Tu
vorresti
scappare con Oscar?”
Era
strano il
destino, giocava strani scherzi.
André aveva passato una vita a desiderare lei, e solo
adesso, solo ora che
stava per perderla, sembrava poter coronare il suo sogno.
“E
magari
vorresti anche sposarla, non è vero?”
Il
lampo gli
riempì gli occhi di luce, illuminò una figura a
cavallo che si stava
avvicinando al palazzo, e sembrò risvegliarlo da quel
torpore.
Con i talloni, incitò l’animale a seguire Oscar,
lo spinse al trotto per
raggiungerla, e finì con il coprirle la schiena con la cappa
verdastra.
«Dobbiamo
sbrigarci, Oscar. Arrivano dei cavalli al galoppo» disse,
mentre il suo baio
affiancava il purosangue.
Questa volta lei non gli sorrise, si limitò ad annuire.
Che
fossero gli
uomini del Re? Che fossero venuti a prendere anche lei, anche loro?
André non poteva permetterlo. Non voleva.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa
per impedirlo.
«Andiamo
a
Parigi» ordinò Oscar, voltando l’animale
verso la strada.
«No, Oscar» André afferrò le
redini di lei. «Non ancora. Dobbiamo nasconderci
adesso.»
Il
lampo
illuminò la furia negli occhi di Oscar.
«I
miei uomini,
André! Sono i miei uomini!»
«Lo
so, Oscar.
Lo so. Ma prendiamo tempo, non possiamo farci prendere
adesso.»
Con un colpo di mano, lei si liberò dalla sua stretta e
tirò le redini per far
voltare il cavallo.
«Non
c’è tempo»
spiegò Oscar voltando il capo verso la strada. «Li
giustizieranno.»
«E cosa vorresti fare? Se ti prendono adesso, tutto
è perduto. Loro sono
perduti.»
Si
scambiarono
un’occhiata, André capì che lei stava
pensando la stessa cosa. Ma era troppo
orgogliosa, troppo impaurita di perdere i suoi uomini. Di fare la cosa
sbagliata.
Maledetto
orgoglio…
Ma
poi André si
accorse dell’uomo che stava smontando da cavallo,
lì, nel loro cortile, dell’uomo
che li stava guardando.
Che li stava raggiungendo.
No.
Non poteva farla prendere.
Non ora.
«Corri,
Oscar!»
Lanciò
il
cavallo al galoppo e sentì il grido di lei, mentre incitava
il suo a seguirlo.
Si ritrovarono nel bosco, poi sulla strada fangosa che conduceva a
Parigi.
Non c’era tempo per preoccuparsi della pioggia,
dell’acqua che si infilava
sotto gli abiti, della cappa di Oscar che sembrava garrire nel vento.
Era
solo il
momento di fuggire.
«Aprite!»
Il Generale sentì il pianto fuori della porta.
Continuò a incitare chiunque ad
aprirgli, gridando e battendo i pugni sul legno di ciliegio.
Non riusciva ancora a crederci.
Oscar
e André.
Insieme.
Scappati, lontani da lui, dalla giustizia del Re, dalla sua
spada.
Ma,
conoscendo
Oscar, era abbastanza sicuro che l’avrebbe rivista. Non era
possibile che
rifiutasse di tornare. L’aveva giurato, proprio
lì, davanti a lui.
Poi,
il suono
più inaspettato si infilò piano nel suo orecchio,
e il Generale pensò che mai,
mai si sarebbe aspettato di sentirsi così emozionato udendo
il chiavistello
girare nella serratura.
Si fiondò contro la porta, pronto a raggiungere i due
disgraziati che stavano
gettando l’onta sulla sua famiglia.
Disonore.
Corse
giù per
le scale con l’idea di strangolarli, prima André e
poi Oscar, di sgridarli come
quando erano bambini.
L’immagine di sua figlia, piccola, gli attraversò
la mente come in sogno.
Quanto era passato dall’ultima volta che aveva ricordato?
«Un
messaggio!»
gridò l’uomo davanti all’entrata.
Un uomo, di cui nemmeno si era accorto.
«Un
messaggio
da Versailles.»
Il
Generale non
si chiese nemmeno per un momento cosa potesse esserci scritto, lo
strappò dalle
mani del messaggero e ruppe il sigillo di ceralacca.
Il sigillo del Re.
La
pioggia
stava cessando.
André
si chiese
se fosse un buon segno. Che il cielo fosse dalla loro parte?
Forse qualcuno, lassù da qualche parte, li aveva perdonati.
Forse non avevano
più nulla da temere.
Vide
Oscar
abbassare il cappuccio della cappa, i capelli biondi bene in vista a
pochi
passi da lui.
Non riusciva a smettere di guardarla.
Mai, mai avrebbe pensato che, un giorno, Oscar sarebbe fuggita con lui.
«Guarda,
André:
Parigi.»
Parigi
era lì,
davanti a loro, e nonostante lui avesse appena chinato il capo per
dirle di sì,
per risponderle che l’aveva vista, continuava a guardare la
donna, ignorando la
città.
Aveva le due cose più belle del mondo davanti, e occhi solo
per lei.
Non riusciva a smettere di pensare che presto l’avrebbe vista
morta.
O
forse, se il
Generale fosse stato così generoso da ucciderlo prima di
Oscar, non avrebbe
visto il suo corpo inerme, ma avrebbe saputo.
Avrebbe continuato a sapere.
Fino a quando lei non fosse tornata a casa.
«Sei
pronto,
André?» gli chiese lei, come quando tutto andava
bene, come per avvertirlo che
presto sarebbe ripartita al galoppo.
Annuì,
ma la
mente era ancora altrove. A quel corpo che aveva visto una sera, tempo
prima,
quello stesso corpo che presto non avrebbe più avuto vita.
Oscar lanciò un grido prima di fiondarsi giù per
la collina, verso Parigi.
«Arrivo,
Oscar!»
André
pensò che
non lo avrebbe permesso. Né al Generale, né a
nessun altro.
Non potevano fare del male a Oscar.
Perché
lui
l’amava.
Note
dell’autrice:
Mi
sono sempre
chiesta cosa sarebbe successo se Oscar avesse accettato di fuggire con
André…
Cosa avrebbero fatto? Dove sarebbero andati? E cosa sarebbe accaduto
dopo?
Ho
voluto dare
una mia interpretazione della storia, ignorando completamente la sorte
tragica
che li attende, ignorando la malattia di Oscar e la cecità
di André.
I
capitoli
saranno brevi (almeno i primi), preferisco prendermela comoda e sondare
il
terreno per non rischiare di scrivere qualche sciocchezza.
Infatti, oltre a implorare un parere, vi chiedo di avvertirmi se ci
fosse
qualche incongruenza nella storia. È pur sempre il secondo
tentativo con una
fanfiction!
Per
chi fosse
curioso di leggere anche il primo (una one shot ambientata durante la
sera del
ballo), eccolo qui.
Spero di leggere le vostre impressioni, davvero!
Celtica
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Catene cap 2
apitolo II
Una catena
è come
una ruota,
gira, gira, e ti
collega al tuo
destino.
O forse,
semplicemente, ti lega a ciò che ti aspetta.
Diffida delle
catene.
Cosa
stavano facendo, adesso, i suoi uomini?
Oscar
si chiese se stessero pensando a lei, al destino che li attendeva,
all’ultima
cosa da dire prima dell’esecuzione.
Forse
credevano che lei li avrebbe abbandonati, che si sarebbe dimenticata di
loro,
che avrebbe scambiato la sua vita e il suo onore con il loro ultimo
respiro.
Non
era così.
Lei
voleva salvarli.
«Dobbiamo
coprirci ora, Oscar» mormorò André,
prima di entrare a Parigi. «Lasciamo i
cavalli qui.»
«Sì.»
Nascosero
gli animali fuori dalla città, nella parte di bosco che
separava i palazzi dei
nobili. Oscar si chiese se li avrebbero ritrovati, al loro ritorno.
Ma
non c’era tempo per questo: dovevano raggiungere Bernard.
«Io
so dove si nasconde.»
Le
aveva detto André durante il tragitto.
Oscar non aveva potuto fare a meno di
chiedersi quante altre cose le avesse nascosto, quanto altro sapesse,
che non
le avrebbe mai rivelato.
Attraversarono
i vicoli di Parigi a testa china, la cappa sulle spalle, il cappuccio a
coprire
le loro teste.
Chissà
se le avrebbero
tenute ancora molto, quelle teste…
Finalmente,
André le indicò una vecchia porta, che sembrava
condurre in una cantina. Oscar
seppe con certezza che Bernard era lì.
Fu
proprio lui ad aprire.
Li
fece accomodare a un vecchio tavolo di rovere. La stanza era povera, i
muri di
pietra nascondevano diverse bottiglie di vino, di cui una
già pronta per loro.
Si accomodarono su alcune sedie.
«Bernard,
ho bisogno del tuo aiuto» esordì lei, mentre
André si versava da bere.
«Sono
pronto ad aiutarti, Oscar» Bernard si chinò verso
di lei, le mani giunte sopra
il tavolo. «Ma, se questo che mi chiedi è un aiuto
per la famiglia reale, ti
prego di rivolgerti a qualcun altro. Sono la persona meno
indicata.»
André
restò con il bicchiere sospeso a mezz’aria,
aspettando che lei rispondesse,
forse chiedendosi come avrebbe reagito Bernard, sapendo di dover
aiutare dei
soldati.
«No»
Oscar scosse la testa, gli occhi fissi in quelli dell’uomo.
«Si tratta di
dodici soldati della Guardia. Non sono certo nobili. Sono rinchiusi
nella prigione
dell’Abbazia.»
Bernard
cercò lo sguardo di André, lo vide annuire, e
tornò a rivolgersi a lei.
«Sentite,
sarei ben felice di salvare la vita a dodici uomini, ma come dovrei
fare?
Quello che mi chiedi non è possibile, Oscar. La prigione che
hai nominato è una
vera fortezza…»
Oscar
bevve un lungo sorso di vino prima di rispondere. Era ancora
intorpidita dal
viaggio, preoccupata per la sorte dei suoi uomini. Il liquido
sembrò darle un
po’ di sicurezza, scaldandola dentro.
«Pensavo
che, con il popolo… Con il loro intervento, tu potessi
salvarli.»
Bernard
sgranò gli occhi: sembrava che si aspettasse tutto, tranne
quelle parole.
«Duemila
persone, Bernard» intervenne André, scuotendo il
calice di vino. «Possono
bastare. Tu attiri tanta gente.»
«Questo
si può fare» rispose Bernard, storcendo appena la
bocca. «Ma che aiuto possono
ricevere i tuoi soldati, Oscar?»
«La
gente potrebbe richiedere la loro liberazione. Potrebbe richiedere
l’intervento
della regina… Magari qualcuno chiederà il loro
aiuto per prevenire i disordini.
Io lo farei.»
«Non
è una cattiva idea; tu cosa ne pensi,
André?»
Oscar
si voltò a guardarlo.
Era
da quando erano fuggiti che cercava di evitare i suoi occhi. Mai si
sarebbe
aspettata di scappare con lui.
Ricordò
la notte in cui avevano rischiato la vita, in cui l’aveva
rischiata André.
“Il
mio André è in
pericolo! Lasciatemi, il mio André è in
pericolo!”
Era
finalmente stretta tra le braccia di Fersen, come aveva sognato per
anni… E
l’unica cosa che era riuscita a gridare, l’unica
cosa che aveva desiderato, era
sapere André salvo.
Il
suo André.
«Concordo
con Oscar. È l’unico modo per liberarli.»
Quanto
era passato da quando erano solo bambini? Da quando non si
preoccupavano di ciò
che celava il cuore? Erano fuggiti insieme, adesso. Come uomo e donna.
«Sai,
Oscar, non mi dispiacerebbe che un cervello come il tuo lavorasse per
noi…»
O
forse no.
Aveva
giurato a suo padre di tornare. Aveva giurato di lasciarsi uccidere.
Non poteva
mancare alla parola data.
Nemmeno
per André.
Quanto
tempo era passato dal loro arresto?
Alain
si chiese quale fosse il destino che li attendeva. Non era tipo da
fermarsi a
pensare, da lasciarsi scoraggiare. Si alzò in piedi e
incitò i suoi compagni a
fare altrettanto.
«Voglio
dire ai giudici militari tutto quello che penso.»
Sì,
quello poteva essere un buon modo per andarsene, questo pensava Alain.
Almeno,
finché non entrò la guardia.
«Siete
stati condannati a morte mediante fucilazione.»
Alain
non sentì altro.
Cinque
giorni.
Gli
restavano cinque giorni di vita. Poi sarebbero morti. Tutti morti.
Ma
il comandante? Dov’era il loro comandante? Avrebbero ucciso
anche lei?
L’avrebbero fucilata, magari davanti ai nobili e alla regina?
Alain
non si chiese altro mentre si fiondava contro la porta per protestare.
Era
bella, Oscar.
Quando
sorrideva, quando sollevava gli occhi che sembravano riflettere
l’azzurro di
quella giornata. Tutto sarebbe andato bene, doveva andare bene.
Perché Oscar se
lo meritava.
«Quando
tutto sarà finito…» cominciò
lei, sdraiata sull’erba vicino ai cavalli. «Quando
i miei uomini saranno liberi, io dovrò tornare,
André.»
Fu
come un colpo per lui.
Vederla
lì, davanti a sé, baciata dal sole. Attesa dalla
morte.
«Lo
sai, questo?»
André
prese un sasso e lo lanciò vicino.
«Sì,
lo so.»
Si
aspettò di sentirla continuare, di bearsi ancora di quella
voce con cui era
cresciuto, ma Oscar rimase in silenzio. Abbastanza per lasciargli il
tempo di
pensare.
Suo
padre l’attendeva per ucciderla.
Questo
era sicuro. Nessuno, nessuno avrebbe fatto nulla per salvarla. Anche
questo era
sicuro. Non c’era nessuno abbastanza coraggioso per
difenderla, nessuno
disposto a fare qualcosa per lei.
Se
solo fosse esistito qualcuno come Oscar, generoso, buono, con il
coraggio di un
leone. Qualcuno disposto a salvarla.
«Promettimi
che non morirai, André» sussurrò Oscar,
prendendo un filo d’erba e posandolo
sulle labbra. «Io devo saperlo.»
Per
un momento, André si chiese perché lei lo volesse
sapere salvo. Ma non ebbe il
tempo di illudersi, perché conosceva l’animo di
Oscar, e aveva la certezza che
quelle parole le avrebbe pronunciate per chiunque.
Come
puoi chiedermi
questo, Oscar? Come puoi chiedermi di non morire, quando sai che darei
la mia
vita per te.
Avrebbe
voluto dire.
Invece
pensò a quel giorno, al momento in cui avevano rischiato
entrambi di morire.
Ora erano salvi, perché non poteva essere così
per sempre?
«Te
lo prometto, Oscar.»
Incontrò
i suoi occhi, il desiderio di gettarsi su di lei, proprio
lì, in mezzo alle
campagne, mentre rischiavano la vita, sembrò crescere in
lui. Ma si disse che
era normale, era tutta colpa del destino che li attendeva.
Perché,
nonostante la promessa fatta, André non aveva nessuna
intenzione di restare a
guardarla morire.
«Bene»
disse Oscar, sollevandosi a sedere nell’erba. Si
trascinò all’ombra di un
albero. «Ora che hai giurato, André, non puoi
mancare alla tua parola.»
Non
è vero, Oscar. È il
mio onore che metti in gioco, non il tuo. E del mio, francamente, non
mi
importa.
Dal
bosco udirono le grida che arrivavano dalla città. Doveva
esserci stato un
altro assalto o, forse, Bernard era riuscito a radunare una folla.
«Vuoi
vedere?» le chiese, domandandosi se fosse curiosa di sapere
quanto ci sarebbe
voluto prima di veder liberare i suoi soldati. «Vuoi che
andiamo?»
Oscar
tirò la testa indietro, si abbandonò contro il
tronco ruvido, e scosse la
testa. Chiuse gli occhi e schiuse le labbra: sembrava un invito per lui.
Mantenne
il controllo, come aveva sempre fatto, e le sedette accanto.
Intanto
i loro cavalli pascolavano lì attorno, ignari del destino,
delle sue brame,
della fine che avrebbero fatto loro due.
Bianco
e nero, giorno e notte, donna e uomo. Oscar e André.
Avrebbe
potuto passare giorni a stilare una lista di cose che li distinguevano,
rendendoli inseparabili. Perché non c’era notte
senza il giorno, così come non
poteva esserci André senza la sua Oscar.
Sarebbe
stato assurdo vivere senza di lei.
Sarebbe
stato impossibile.
«André»
lo chiamò ancora Oscar, aprendo gli occhi per guardarlo.
«Manterrai la
promessa?»
«Certo,
Oscar. È così che faccio sempre, no?»
Fu
in quell’istante che se ne accorse: il viso di lei si volse
verso il basso,
come a evitare il suo sguardo, come se stesse pensando a una promessa
che non
aveva mantenuto. Ma, era davvero così?
André
non ricordava di averla mai tradita.
«Certo,
Oscar. È così che faccio sempre, no?»
Era
vero.
Ed
era estremamente triste. Triste perché Oscar avrebbe
preferito che, per una
volta, André mancasse alla sua parola, che ripensasse a
ciò che le aveva
giurato.
“Mai
più ti farò una cosa
come questa”, le aveva detto,
stringendo il lembo della
sua camicia, strappato. E in quel momento lei ci aveva creduto, ci
aveva sperato.
Ma
ora tutto era cambiato.
Oscar
voleva il suo contatto, voleva lui.
Soprattutto
ora che la fine sembrava così vicina. Ma André
non avrebbe mancato alla sua
parola, di questo era sicura. André era un uomo
d’onore, un uomo perfetto per
lei.
«Mi
fido di te, André» disse infine, arrendendosi.
Da
lontano arrivavano i suoni che stavano aspettando. Le grida del popolo,
le
incitazioni a liberare i suoi uomini. O almeno, così sperava.
«Oscar,
riguardo a quello che è successo…»
Lei
sollevò una mano per interromperlo. Una leggera brezza le
spinse i capelli
davanti al viso. Li scostò prima di parlare.
«Non
dire niente, André. Va bene così.»
Davvero
andava bene così? Davvero non aveva altro da dirgli? Lui si
era detto pronto a
sacrificare la sua vita per lei, per non doverla guardare morire, e ora
tutto
ciò che riusciva a dirgli era questo?
Quando,
quando il suo cuore era diventato di ghiaccio?
«Sì,
Oscar» mormorò André, sollevando un
ginocchio accanto al suo. «Come vuoi.»
Ma
non era questo che voleva.
Non
è questo…
«André,
io…»
Fu
il turno di André di interromperla.
«Non
importa, davvero. Non importa.»
Non
era vero, non poteva esserlo. Perché non lo era per lei,
come poteva esserlo
per lui?
Lui
che, ancora quel giorno, aveva confessato di amarla. Davanti a suo
padre, nella
casa in cui erano cresciuti. Ma cosa ne sarebbe stato di loro, ora?
Moriremo,
o meglio, sarò
io a morire. André andrà lontano,
sposerà qualche contadina che gli riempirà la
casa di figli. Una donna che non sono io.
«Pensi
che stia funzionando?» chiese ancora André.
«Pensi che riusciremo a liberarli?
Sto pensando ad Alain… Non ce lo vedo chiuso in una
cella.»
«Se
la caverà… Bernard riuscirà a tirarlo
fuori. Lui e tutti gli altri.»
Sì,
ma quando? E come avrebbe fatto a sapere che tutto era concluso? Che
era il
momento di tornare a casa?
Al
mio patibolo…
Sarebbe
stato brutto separarsi da André, ora che erano
così vicini. Così soli.
Era
quasi strano quel momento. Perché non erano più
il comandante e il suo soldato,
erano solo loro: uomo e donna.
Ma
presto tutto sarebbe finito.
Presto,
troppo presto, il Generale avrebbe messo fine alla sua vita.
Note
dell’autrice:
Innanzitutto
vorrei ringraziare chi ha letto, recensito, inserito la storia tra le
preferite
e le seguite. Davvero: grazie!
Ero
una lettrice silenziosa anch’io, finché non ho
iniziato a pubblicare… Allora mi
sono resa conto di come anche due parole facciano piacere.
Passando
alla storia:
Ho
dimenticato di fare un ulteriore chiarimento. Mi baso
sull’anime, non sul
manga. Mi baso su una Oscar più fredda, ma che ho amato, e
di cui, fra tutto,
ho amato la voce.
Celtica
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
cap. 3
Dedicato alla mia
Cre,
che ha finalmente
deciso di recensire,
e a Rita, la prima
ad avermi citata!
apitolo
III
È quando
la catena
si spezza
che non sai
più da
che parte gira la ruota.
Le grida della folla
aumentarono, si
fecero intense, come se la gente stesse aspettando qualcosa.
André vide Oscar alzarsi in piedi, e
capì: voleva sapere.
Sarebbero dovuti tornare indietro,
rischiare di incontrare le guardie, di essere riconosciuti. Ma non
c’era altro
modo per essere certi che Alain e gli altri fossero stati liberati.
«Andiamo a vedere, André» disse
Oscar, volgendo il viso verso la città.
Parigi li osservava,
come sempre.
Parigi che adesso viveva i tumulti del popolo, che veniva aggredita,
derubata
dai suoi stessi figli.
Coprirono le divise
e il capo con la
cappa verde, e si incamminarono nei vicoli della città,
diretti alla prigione
dell’Abbazia.
Restarono in disparte, con la gente
accalcata davanti a loro, migliaia di persone intorno.
André si guardò in giro, pensando che
avrebbero rischiato di perdersi, di confondersi tra la folla. Prese
Oscar per
un braccio e lei non disse niente.
Né un lamento, né uno sguardo, come
se le stesse bene così, come se fosse d’accordo
con lui.
Oscar…
quanto vorrei che questo momento non finisse, invece presto
dovrò separarmi da
te.
Lasciò
scivolare la mano lungo il
braccio di lei, le accarezzò il polso con le dita e le prese
la mano. Fu allora
che Oscar si voltò a guardarlo.
Non sembrava turbata, non sembrava
dispiacerle.
Qualcuno li spinse
in avanti, e André
aumentò la stretta per non rischiare di perderla.
«Ehi…» si lamentò lui,
voltandosi
verso la gente che avevano dietro.
L’uomo che li aveva spinti lo guardò
male, con astio, quasi come se avesse intuito che non erano del popolo.
Poi
sollevò le braccia in alto e prese a gridare insieme alla
folla.
«Liberi!
Li vogliamo liberi! Sono
figli di Parigi, come noi! Liberi, liberi!»
André
percepì un tremito da parte di Oscar,
e capì che si stava chiedendo se li avrebbero liberati, se
il suo piano avrebbe
funzionato.
Rimasero ad aspettare finché Oscar
non chinò il volto a terra e si liberò della sua
stretta.
«Andiamo via, André.»
«Perché? Cosa succede?»
La vide farsi spazio tra la folla e
la seguì. Era tutto molto diverso da Palazzo Jarjayes: gli
odori, i suoni, i
colori… Era come tuffarsi nel mare ghiacciato dopo un bagno
di sole.
«Oscar,
aspetta… Oscar!»
André la
seguì mentre correva per i
vicoli di Parigi, mentre fuggiva lontano da lui. Vide il cappuccio
della cappa
di lei scivolare giù, liberando i suoi capelli biondi.
«Oscar!
Oscar! Fermati!»
Svoltarono ancora e
ancora, passarono
davanti a vetrine distrutte, a bambini che si dividevano un tozzo di
pane, alla
sudicia miseria che ricopriva la città.
André corse più veloce, ignorando
tutto ciò che aveva davanti, tenendo gli occhi incollati ai
capelli biondi e
alla cappa verde. Arrivò quasi a raggiungerla…
«Vattene!»
gridò Oscar di rimando,
sollevando una mano. «Va’ via,
André!»
Quando finalmente si trovò tanto
vicino da poterla toccare, la afferrò per un braccio e la
spinse in un vicolo in
ombra.
«Vattene»
ripeté ancora, sfidandolo
con uno sguardo. «Voglio stare sola,
André.»
«No,
Oscar» mormorò, prendendola per
le spalle. «Non sono più il tuo servo, ricordi?
Non sono nemmeno più un
soldato. Non posso più obbedire.»
Affondò le dita nella cappa di lei,
stringendo forte le braccia, affinché non fuggisse.
Avrebbe voluto chiederle di guardarlo
negli occhi, di sollevare il viso e sfidarlo ancora, e baciarla,
baciarla
impedendole di parlare. Di dargli ordini. Di cacciarlo via.
«E cosa
sei allora?» chiese Oscar,
sollevando il mento.
Quanto avrebbe voluto zittirla… Se
solo non le avesse promesso di non farlo mai più. Di non
baciarla mai più.
«Solo un
uomo.»
Era così vicino da poter sentire il
suo respiro farsi pesante, lento, stuzzicante.
«Solo un
uomo, André?»
Oscar
parlò con un tono diverso,
quasi suadente, e se André non avesse passato una vita a
conoscerla, se non
fosse stato sicuro di sbagliare, l’avrebbe presa in
quell’istante, rubandole
molto più di un bacio.
«Sì»
sussurrò lui, allentando la
presa sulle braccia di Oscar per avvicinarla a sé.
Sarebbe bastato chinarsi per sentire
il suo sapore e, se non fosse stato per il giuramento, André
lo avrebbe fatto.
Ma lei era lì, davanti a lui, e non sembrava intenzionata a
fuggire.
Al
diavolo il giuramento!
André si
sentì deciso, pensò che
fosse il momento giusto per farlo, per farle capire che
l’amava ancora, sempre,
che era pronto a morire per lei. Con lei.
Soffiò sulle sue labbra e la vide
chiudere gli occhi.
Forse non si sarebbe ribellata. No,
che motivo aveva? Ormai doveva aver capito quali erano le sue
intenzioni, ormai
doveva aver preso la sua decisione.
Chiuse gli occhi e
un grido
interruppe quel momento. Sembravano urla di gioia, come se la Francia,
il
popolo, Parigi, avessero trionfato.
«Sono liberi! Liberi!»
Oscar
riaprì gli occhi e sembrò
rendersi conto solo in quell’istante di quanto stava per
accadere.
Se
solo avessero atteso ancora un momento… Sarebbe bastato un
momento.
«Hai
sentito?» mormorò, abbassando lo
sguardo imbarazzata. Un sorriso sembrò colorarle le gote.
«Devono averli
liberati… Ha funzionato, André.»
Lui non poté fare a meno che
sorriderle di rimando. La lasciò andare e annuì.
«I miei
compagni sono liberi.»
Oscar si
sentì meglio, ma durò un
istante.
Subito, il pensiero
della promessa
fatta al padre tornò a investire i suoi pensieri. E tutto
tornò buio dentro di
lei.
Ma non doveva essere triste: i suoi
uomini erano finalmente liberi. Non rischiavano più la vita
per una sua
decisione, erano stati salvati, graziati dal reame. Chissà
se anche lei sarebbe
mai stata graziata?
No,
ho deluso mio padre. Ho macchiato l’onore della nostra
famiglia. Lui non mi
perdonerà mai, e quando tornerò a casa mi
ucciderà.
«Sei
felice, Oscar?» chiese André
mentre uscivano dal vicolo.
La gente correva per le strade, gente
allegra, come se la fame e la miseria non fossero mai esistite.
«Sì,
sono felice.»
Ma era vero solo a metà.
Perché
quella notizia, quella bellissima
notizia, non faceva altro che
calare su di lei come l’ascia di un boia.
Avrebbe potuto rivedere i suoi uomini
prima di tornare a casa?
No, forse era meglio non rischiare di
essere scoperta, di far trovare André. Doveva pensare anche
a lui: non poteva
permettere che gli facessero del male.
Era ora di tornare indietro, di
raggiungere Palazzo Jarjayes e il suo destino.
«Devo
tornare, André.»
Lo guardò chiedendosi cosa fosse più
giusto dire. Doveva salutarlo, dirgli addio?
Erano stati
così vicini… Come uomo e
donna.
Ma non era durata,
perché adesso lei
doveva morire. Per un istante aveva creduto che André
l’avrebbe baciata, che le
avrebbe lasciato almeno un ricordo dolce da portare con sé.
Che, almeno per una
volta, avrebbe potuto sentirsi donna.
Ma le grida, la notizia, la gioia,
erano arrivate proprio in quel momento e tutto era finito.
Morto.
Come sarò io tra poco.
«Sì,
lo so» rispose André,
guardandola come se si stesse chiedendo quale sarebbe stata la sua
prossima
mossa.
Oscar si
avviò ai cavalli, e pensò a
quel bacio che avrebbe potuto rendere più dolce la sua morte.
André
restò a guardarla mentre
montava in sella.
Forse Oscar si aspettava che lui non
la seguisse, che prendesse il suo baio e si allontanasse il
più possibile da
Parigi.
Ma non era quella la sua intenzione.
Non poteva abbandonarla. Non ora.
«André…»
cominciò lei, guardandolo
dall’alto del suo cavallo bianco. Strinse le redini per farlo
voltare. «Le
nostre strade si dividono. Non voglio che tu torni con me, sarebbe la
tua
condanna e…»
«No»
la interruppe, facendo qualche
passo per avvicinarsi. «La mia condanna è
lasciarti andare, Oscar.»
Per un momento, lei
abbandonò le mani
sul garrese, guardandolo come se non credesse a quanto aveva appena
detto.
André si ritrovò a chiedersi quali fossero i suoi
pensieri, se avesse intuito
qualcosa di ciò che lui intendeva, ma subito gli occhi di
Oscar tornarono a
voltarsi verso il bosco.
«Addio,
André.»
La sentì incitare l’animale al
galoppo, gli stivali colpirono i fianchi, e lei svanì in
mezzo agli alberi.
No…
Non così… Non così, Oscar!
André
slegò il suo baio, spiccò un
salto per salire in sella, e partì al suo inseguimento. Era
veloce, Oscar, ma
lui l’avrebbe raggiunta.
Doveva
raggiungerla.
Era un suo dovere fermarla, era il
suo compito proteggerla. Era cresciuto in quel modo, sempre vegliando
su di
lei, sempre avendola al fianco. Non poteva rimanere solo, non ora.
Spinse i talloni a fondo nei fianchi
del cavallo, gridò perché corresse più
veloce, ignorando tutto ciò che lo
circondava.
Nulla più aveva importanza.
Solo raggiungere
Oscar.
Aggirò un
albero, saltò un tronco
caduto, ma lei non c’era ancora, non c’era
ancora… Doveva correre di più.
Colpì ancora con i talloni, quasi
fosse una danza, e spinse le redini come una frusta.
Finalmente la vide
più avanti, mentre
trottava tranquilla in mezzo al verde.
Si chiese come avrebbe fatto a
convincerla, come avrebbe potuto spingerla a non tornare a casa.
Era impossibile.
Conoscendo Oscar, André sapeva che
non avrebbe mai accettato di mancare alla parola data, di nascondersi,
celandosi all’uomo che rivoleva indietro la vita che le aveva
donato.
«Oscar! Aspetta, Oscar!»
Corri,
corri… Portami da lei.
La raggiunse
all’ombra di un salice.
Non smontò da cavallo per paura che lei fuggisse ancora,
lontano da lui, che si
ricongiungesse con il suo destino.
«André…»
Quando Oscar si voltò a guardarlo,
André vide gli occhi umidi di lacrime.
«Che cosa
vuoi?»
Fu poco più di un sussurro, ma lui
capì che Oscar stava cercando di ricomporsi, che non voleva
essere vista così. Disperata.
«Scendi un
momento. Devo parlarti.»
Aspettò di vederla smontare prima di
scendere con un volteggio. La raggiunse, mentre i cavalli pascolavano
lì
vicino.
«Ho
deciso, Oscar.»
Era vero.
Non pensava ad altro da quando erano
fuggiti da Palazzo Jarjayes, non aveva avuto in mente altro, se non
salvarla,
impendendole di tornare. Ora, però, ora che si accorgeva di
non avere un’idea
precisa, un piano per nasconderla, si limitò ad agire
d’istinto.
«Che cosa,
André? Che cosa hai
deciso?»
Erano a pochi passi
di distanza, e
André si avvicinò ancora, così da
guardarla dall’alto. Era poco più bassa di
lui, eppure André la sovrastava.
Avrebbe voluto toccarla, farle capire
le sue intenzioni, baciarla e mettere fine a quell’agonia. Ma
rimase immobile,
rigido come una statua, mentre il respiro di lei diveniva irregolare.
Forse stava intuendo…? O forse no.
Forse, semplicemente, credeva che lui
l’avrebbe baciata.
Ma André
non lo fece.
«Vieni con
me, Oscar» esordì, senza
darle una spiegazione, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
«Vieni via
con me. Andremo lontano e non ci troveranno mai. La giustizia del re
resterà a
Parigi, mentre noi vivremo da qualche altra parte… In
pace.»
Soli.
Insieme. Avrebbe voluto
aggiungere.
«Non
posso» rispose lei con un
sospiro. Abbassò lo sguardo, come per evitarlo.
«Sai che non posso. Ho giurato,
André. Io ho giurato! Ho dato la mia parola!»
Vide i pugni di
Oscar chiudersi,
sollevarsi all’altezza del petto, e l’immagine di
quella sera, la sera in cui
l’aveva desiderata più di ogni cosa al mondo,
tornò a forza nella sua mente.
Avrebbe voluto osare, afferrarle i
polsi, spingerla sull’erba, ma aveva commesso
quell’errore già una volta.
Sapeva di aver sbagliato. Sapeva che lei non avrebbe voluto.
Oscar non lo amava.
C’era una
sola cosa da fare. André
non aveva scelta, di questo era certo. Se non poteva averla, se non
poteva
convincerla a fuggire insieme, a vivere in solitudine per sempre,
almeno poteva
impedirle di morire.
«Lo so,
Oscar» mormorò, sentendo la
tensione correre come un filo invisibile attraverso i nervi.
«Per questo devo
farlo. Perdonami.»
Gli occhi di Oscar si fecero
interrogativi, rimase con le labbra schiuse mentre lo guardava, i pugni
ancora
chiusi davanti a sé.
«Ma
cosa…» riuscì a sussurrare, un
momento prima che André la prendesse di peso e se la
caricasse in spalla.
Note
dell’autrice:
Arrivo un po’ in
ritardo, avrei
preferito pubblicare con il quarto capitolo già pronto, ma
non ho ancora avuto
tempo di scriverlo.
In ogni caso, dal
prossimo capitolo
comincerà la storia. Fin qui, questi primi tre considerateli
una sorta di
prologo, o introduzione.
Grazie ancora per
leggere/seguire/recensire!
Celtica
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Rieccomi!
Torno
dopo un po’ di tempo, ma non ho mai avuto
intenzione di abbandonare questa storia.
Comincia
da qui, infatti, la prima parte, che vedrà
comparire anche qualche
vecchia
conoscenza.
I
primi tre capitoli erano da considerarsi un Prologo.
Adesso,
invece, questo sembrerà un po’ di passaggio,
ma serve. Serve.
PRIMA
PARTE
Stava
gridando.
E
si dimenava, come in preda alla pazzia.
Ma
cosa stava accadendo?
Oscar
colpì con i pugni la schiena di André, si
dibatté, avendo davanti agli occhi
solo il bosco in cui si erano incontrati. Si pentì di
essersi fermata, di
essere scesa da cavallo, di averlo ascoltato.
Sarebbe
dovuta fuggire.
«Lasciami,
André!» gridò ancora, mentre i capelli
scendevano a coprirle il viso. «Lasciami
subito!»
Vide
la coscia del baio e la sua coda nera che frustava l’aria,
finché André non la
fece montare in sella. Cosa pensava? Che avrebbe viaggiato con lui?
«Sei
impazzito, André?! Cosa vorresti fare? Vuoi fuggire, forse?
Pensi sia questa la
soluzione?» Oscar sembrò calmarsi di colpo,
abbassò gli occhi sul garrese. «Non
è questo il modo, André. Io devo
tornare.»
Le
mani di André erano ancora vicinissime alla sua vita, come
se avesse voluto
impedirle di cadere; il pugno raggiunse il copertino, e Oscar
notò i calli
lasciati dalla scherma.
«Magari
non sarà l’idea giusta, ma è
l’unica che mi
è venuta» mormorò André, e
lei si
ritrovò a guardarlo. «Non ti lascerò
tornare
indietro.»
«E
dove vorresti andare? Me lo dici, André? Cosa ti aspetti che
succeda se non
torno? C’è una condanna sulla mia testa!»
Oscar
si sentì pronta a colpirlo per fuggire, o forse,
pensò, solo per sfogare tutta
la rabbia che l’opprimeva. Perché lei desiderava
vivere, e non era giusto, non
era giusto che André glielo imponesse.
Aveva
dato la sua parola.
Era
logico che avrebbe preferito non tornare a casa, ma cosa poteva fare?
André era
uno sciocco a non capire.
«Per
questo voglio portarti via!» gridò
André sul suo viso. «Per questo,
Oscar…»
«È
tutto inutile, André. Mi cercheranno.»
Fu
allora che la mano di André cercò la sua. La
strinse, come era successo tante
volte quando lei ne aveva avuto più bisogno.
«Andremo
lontano.»
Oscar
lasciò che André mantenesse quel contatto. Era
strano il modo in cui si
sentiva, strano e sbagliato.
Perché,
dopo tanto tempo, Oscar era felice.
Era
ormai giunta la sera.
Il
Generale Jarjayes spostò lo sguardo dalla finestra alla
statua dell’aquila, che
lo fissava dall’alto della volta decorata. Non poteva credere
a quanto aveva
sentito.
I
soldati della Guardia erano stati liberati. Perché Oscar non
era ancora
tornata?
Voleva
darle la notizia.
Era
il momento, il momento della grazia della Regina, della grazia di un
padre
verso il disonore del figlio. E non ci sarebbe stato momento
più bello per
perdonare Oscar.
Si
era giocata la vita, ed era riuscita a non perderla per una gentile
intromissione del fato.
Pose
il braccio dietro la schiena mentre si tirava dritto, pronto a chiamare
un suo
servitore. Avanzò di qualche passo sul pavimento a scacchi e
si sentì come una pedina:
Oscar lo aveva usato.
Oscar
gli aveva mentito.
O
forse… Forse era successo qualcosa. Ma lui non poteva
saperlo.
«Informa
Sua Maestà la Regina: mio figlio Oscar è
scomparso.»
«Signore?»
Il servitore lo guardò di traverso, come se non credesse a
quanto stava
dicendo.
«Va’,
adesso. E non tornare senza un messaggio!»
Pensò
a tutte le possibili risposte, a ogni eventualità, ma
l’unica cosa certa era
quella: Oscar non era tornata.
Erano
insieme sullo stesso cavallo.
Per
André era ancora incredibile, come se Oscar fosse cambiata
di colpo,
lasciandolo salire dietro di lei. Non si era fidato a farle cavalcare
il suo;
conoscendola, sarebbe potuta fuggire, tornando alla casa che, ora,
André
odiava.
C’era
ancora sua nonna là. E il Generale, e i servi con cui era
cresciuto.
Ma
non era più casa sua.
Era
stato il Generale a spingerlo a fuggire, il giorno in cui
l’aveva nominato
l’attendente di Oscar.
Il
giorno in cui l’aveva accolto a palazzo, affiancandolo a
lei… Donandogli una
spada affinché si allenasse con suo
figlio.
E
per un po’ André l’aveva davvero
considerata un maschio. Per anni i suoi
sentimenti per lei erano stati affetto e amicizia, com’era
giusto che fosse tra
due bambini.
Oscar,
rigida e ferma fino a un momento prima, si sistemò meglio
sulla sella. E André
ricordò la notte che aveva sentito il suo corpo sotto il
suo, immobile e
tremante, come lui non avrebbe mai voluto che fosse.
Si
chiese se anche lei ci stesse pensando.
Non
parlavano, non avevano detto una parola dopo che anche André
era montato in
sella. Dopo che aveva accerchiato i suoi fianchi con le braccia, per
poter
raggiungere le redini e guidare il cavallo.
Non
poteva vederla in viso, ma la immaginava rossa di vergogna, o magari,
magari
no… Magari era pallida come la luna che era rimasta a
osservarli nel cielo
azzurro, mentre il sole calava. E presto, molto presto, così
come Oscar sarebbe
stata l’unica luce per André, la luna avrebbe
guardato quei luoghi dall’alto,
illuminandoli con i suoi raggi.
«André…»
sussurrò lei.
Gli
occhi di André si posarono sui suoi capelli biondi, che
coprivano la casacca
blu. Tirò le redini per fermare il cavallo, e
sentì tutta la tensione di quella
giornata salirgli in gola.
Parlò,
cercando di non darla a vedere.
«Sì,
Oscar?»
Vide
il profilo deciso di lei mentre si voltava, e fu quando
incontrò i suoi occhi
che intuì tutti i pensieri che si portava dentro. Temette,
temette per ciò che
gli avrebbe detto, e il cuore mancò un battito quando
udì la sua risposta.
«Grazie.»
Non
importava a nessuno.
Maria
Antonietta, Regina di Francia, lo aveva anche gridato, ma non
c’era stato
qualcuno a smentirla. Della morte di Louis Joseph sembrava importare a
lei
soltanto.
Si
rigirò nel letto, nella sua stanza, lanciò
un’occhiata alla balaustra in legno
dorato, che doveva separare il suo spazio privato da quello pubblico, e
tornò a
fissare l’alcova con i suoi broccati ricamati
d’oro, capendo che nemmeno allora
sarebbe riuscita a dormire.
Ormai
ogni giorno rivedeva lui.
Lo
aveva vegliato tutta la notte, ma non le era stato concesso di
partecipare ai
suoi funerali, a Saint Denis. Aveva implorato, aveva pianto, ma il
delfino era
partito da solo.
Il
popolo, il popolo che avrebbe dovuto piangerlo, era troppo occupato a
organizzarsi, a sparlare di lei, a trasformare i suoi
Stati Generali in Assemblea Costituente.
Si
erano presi suo figlio, cosa volevano ancora?
Dio
l’aveva incoronata Regina di Francia. E loro avrebbero dovuto
amarla.
Invece,
invece quel giorno le erano arrivate voci, voci orrende sul suo conto.
Non
comprendevano il suo dolore, non riuscivano a condividere la morte di
suo
figlio.
L’aveva
detto, era vero. Aveva gridato di voler fare il bagno nel loro sangue,
ma quale
madre non lo avrebbe fatto, al suo posto?
Quale
madre, dopo aver perso un principe, sarebbe rimasta in silenzio?
Invece
il popolo, il suo popolo, quel
silenzio lo aveva donato a lei, quando i tre Stati si erano riuniti a
Versailles.
Tirò
sopra la testa le lenzuola di seta, decorate con le rose, e
risentì nella testa
le grida di quel giorno, quel maledetto giorno, un mese esatto prima
che Louis
Joseph morisse.
«Viva
il Duca d’Orleans!»
Era
stato durante la parata, mentre il delfino di Francia seguiva da una
finestra.
Come si era sentita, lei… Come si era sentita delusa. Ferita.
Suo
figlio era morto e non importava a nessuno, come non gli era importato
che
fosse l’erede al trono.
C’erano
grida fuori dalla porta, e Maria Antonietta venne distratta dalle voci.
«Glielo
direte domattina! Sua Maestà sta riposando!»
«Non
può aspettare! Il Generale Jarjayes dice che è
urgente!»
«Non
potete! Fermatevi! Non potete entrare!»
La
porta si aprì e la contessa di Noailles varcò la
soglia, sola. Maria Antonietta
si tirò a sedere sul letto e ascoltò quanto aveva
da dire.
«Maestà,
perdonatemi… È arrivato or ora un messaggero da
Palazzo Jarjayes.»
«Ditemi,
è forse capitato qualcosa a madamigella Oscar? Non fatemi
stare in pensiero!
Parlate, contessa!»
Madame
de Noailles abbassò gli occhi all’altezza della
balaustra, e sembrò non osare
avvicinarsi. La Regina si chiese se fosse capitato qualcosa a Oscar.
No,
non lei. Non l’unica persona che Louis Joseph aveva
apprezzato, che aveva quasi amato.
Non la persona che era corsa
da lei sentendo suonare le campane di Notre Dame.
«Maestà,
madamigella Oscar non si trova. Sembra che sia fuggita al sentore di
una
condanna, sembra che il vostro perdono non sia giunto in
tempo…»
Maria
Antonietta sentì i capelli scivolarle sul petto, mentre
stringeva forte le
lenzuola.
«No…»
«È
così, Maestà.»
«Non
può essere vero. Da dove arriva la fonte? Non posso credere
che madamigella
Oscar si sia macchiata di un simile tradimento!»
La
contessa di Noailles la guardò negli occhi, stavolta. E
sembrò solo dare
conferma a ciò che aveva detto.
«È
stato il Generale Jarjayes in persona a mandare un messo, Vostra
Maestà.»
La
Regina fece un gesto con la mano.
«Lasciatemi
ora, ne discuteremo domattina.»
Fu
quando la contessa de Noailles fu uscita che si lasciò
cadere sui cuscini. I
broccati che aveva intorno, i dipinti dei più grandi
maestri, furono i soli
testimoni delle sue parole.
«Madamigella
Oscar… Non sapete il dolore che mi state dando.»
Non
avevano conio.
Era
ormai notte, Oscar pensò che fosse giunta l’ora di
accamparsi, ma André tenne
al passo il baio, mentre il suo cavallo bianco li seguiva dappresso,
legato
dietro di loro.
Non
avevano livre.
E
le era venuto in mente solo ora… Forse che André
avesse qualcosa con sé? Oscar
sapeva che quelle poche monete che teneva in tasca non sarebbero
bastate, né
per avere cibo, i cui prezzi erano diventati esorbitanti, né
per un letto.
«Sarà
il caso di fermarci» esordì André.
Era
strano restare in silenzio con lui. Non ricordava di aver mai passato
tanti
momenti muti, eppure carichi di tensione. Perché
André era vicino alla sua
schiena, e ogni movimento dell’animale corrispondeva a uno
sfiorarsi.
Non
era più come quella sera lontana, di cui Oscar si era
già pentita.
Ora
quasi desiderava essere con lui, sullo stesso cavallo.
«Sì,
André. Lo penso anch’io.»
Si
sarebbero sistemati vicini? Oscar si chiese quanto lui
l’avrebbe tenuta sotto
sorveglianza: in fondo, temeva ancora che potesse fuggire.
Altrimenti
perché non lasciarle la sua cavalcatura?
Forse
anche lui sente
quello che provo…
C’era
ancora quella notte, e dopo sarebbero giunti i problemi. Di questo
Oscar era
certa.
Perché
il Generale si sarebbe accorto del suo ennesimo tradimento, della sua
fuga,
della liberazione dei suoi uomini. E l’avrebbe cercata.
Anche
in capo al mondo.
Ma
come avrebbero fatto a sopravvivere? Come avrebbero fatto, senza
denaro, e con
le divise dei soldati di Parigi? Non avrebbero trovato nessuno disposto
ad
aiutarli, non dopo gli ultimi avvenimenti.
Non
dopo la giornata delle tegole di
Grenoble, non dopo l’inverno gelido e lo scarso raccolto che
avevano fatto
salire i prezzi alle stelle.
Mentre
smontava da cavallo, Oscar si chiese se qualcuno sarebbe riuscito a
prenderli.
André aveva promesso di non permetterlo, aveva promesso di
non permettere a
nessuno di ucciderla.
Oscar
pregò, pregò per quella notte che li avrebbe
tenuti vicini, spingendola a
ricordare quella famosa sera, e pregò per suo padre,
affinché la perdonasse.
In
tempi diversi avrebbe passato quella notte a giocare.
Sarebbe
rimasta in compagnia della contessa di Polignac, a cercare di
dimenticare. Come
aveva tentato di allontanare dalla mente la finta gravidanza, il fatto
di non
riuscire a dare un erede al trono di Francia.
Ma
da quando si era allontanata dal mondo, da quando i suoi pensieri
avevano
accarezzato l’idea di ricreare un piccolo villaggio accanto
al Petit Trianon,
Maria Antonietta continuava a immaginare il futuro che avrebbe potuto
avere il
delfino in quelle dodici casette, ispirate a un quadro di Robert.
Le
Hameau, la semplicità che avrebbero potuto vivere, la stessa
che aveva creato
tanto scandalo e dicerie sul suo conto.
Ennesima
notte insonne.
La
Regina si allontanò dal ricordo del figlio e
pensò a Oscar.
Al
giorno in cui si era schierata dalla sua parte, al giorno in cui si era
sentita
costretta a intervenire per placare un duello e proteggerla.
Dov’era
andata ora? Perché era fuggita?
Non
immaginava, forse, che la sua Regina l’avrebbe protetta
ancora?
Maria
Antonietta serrò gli occhi più forte che
poté: l’indomani avrebbe preso una
decisione. Non avrebbe permesso la fine della loro amicizia.
Qualcuno
doveva riportarla indietro.
André
si chiese quanti turbamenti avrebbe portato la loro fuga.
Ci
sarebbero state chiacchiere, a Versailles.
Sua
nonna sarebbe stata interrogata a fondo dal Generale, magari anche
convocata a
Corte. La immaginava tremante, con le lacrime agli occhi, mentre
rispondeva in
modo vago. André era sicuro che con la mente sarebbe corsa a
lui.
Oscar
trasse un profondo sospiro.
Era
sdraiata al suo fianco, gli occhi aperti contro le stelle. Poteva quasi
vederne
il riflesso…
Avrebbe
tentato ancora di fuggire?
Oscar
si sorreggeva la testa con le braccia, ma era molto che non parlava.
André
pensò che avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire la sua
voce.
Per
sentirsi dire che aveva fatto bene, che lei si sentiva al sicuro, per
udire un
altro “grazie”.
«André…»
Lui
sollevò mezzo busto per guardarla.
«Sì,
Oscar?»
Vide
la rugiada risplendere al chiarore della luna, vicino al suo viso.
Sembrava
circondata da tanti piccoli diamanti, solo che nessuno sfarzo di
Versailles
avrebbe potuto competere con quell’immagine.
Che
i nobili si tenessero i loro gioielli. A lui bastava Oscar.
«Non
temi che possa fuggire?»
André
si chiese se Oscar lo avrebbe fatto, se sarebbe fuggita.
“Ho
giurato di tornare,
André! Io ho giurato!”
«A
dirti la verità, Oscar: sì, lo temo. Ma so che
non lo farai.»
Lei
si voltò verso il suo viso e sembrò sorridere.
Forse, pensò André, si stava
chiedendo da dove gli venisse quella certezza. Tirò fuori la
sua espressione
più beffarda, quella che usava quando era sicura di
sé, quando voleva
dimostrare di non essere per niente intimorita.
Lo
guardò in segno di sfida.
«Perché
non dovrei provare?»
Era
bella.
Gli
ricordava i bei momenti passati insieme, le avventure che lo avevano
spinto a
desiderare di proteggerla, sempre. Come il giorno in cui Oscar aveva
atteso
Girodel lungo la strada, recando una grave offesa al Re. Appostata
all’ombra di
un albero, le braccia incrociate e l’espressione sicura, lo
aveva provocato
mentre tutta la Corte di Versailles li attendeva per il duello.
Era
stato André a capire i tormenti che aveva dentro. Era stato
André a spingerla a
prendere una decisione.
Ma
ora non poteva permettere che decidesse Oscar.
Sapeva
che sarebbe tornata di corsa da suo padre, lasciandosi portare via la
vita
senza reagire.
Doveva,
doveva impedirglielo.
«È
molto semplice, Oscar» disse, imitando
l’espressione sarcastica di lei. Aveva
un desiderio immenso di avvicinarla. «Se ci provi e fallisci,
non potrai più
fuggire.»
Oscar
si sollevò, mettendosi a sedere. Tornò seria e lo
guardò di sbieco.
«Cosa
intendi, André?»
In
quel momento uscì un venticello a scompigliarle i capelli, e
André si pose una
mano sulla fronte mentre rispondeva. Cercò di non perdere
l’ironia.
«Se
lo fai ti lego.»
La
casacca di Oscar sussultò mentre scoppiavano entrambi a
ridere.
Note
dell’autrice:
Mi
scuso di nuovo per il ritardo. Ho avuto dei problemi e la storia
è passata in
quarto piano.
So
che questo capitolo vi sembrerà un po’ noioso, ma
prometto di impegnarmi a
migliorare. Da qui in poi la storia si allarga, entrano in scena altri
personaggi e, spero, prossimamente dovrebbe esserci un po’
d’azione.
Cavalli
al galoppo!
Grazie
per avermi aspettata!
Celtica
P.S.:
non ho messo note, ma non significa che le cose scritte siano inventate
(parlo
dei pensieri della Regina, dei fatti appena accennati a cui fa
riferimento
Oscar, ah e della depressione! La depressione che ha colpito Maria
Antonietta.
Non credo che mi vedrete inserire date, non credo. Ma non significa
niente. I numeri
non fanno la storia).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Cap. 5
Mi dispiace.
Mi dispiace di
aver dato l’idea di aver abbandonato la storia. Non è così.
Avevo bisogno
di uno stacco, non chiedetemi perché.
So solo che
cercherò di essere più puntuale, di impegnarmi di più,
perché non
voglio abbandonarla.
E non voglio nemmeno
che sembri che l’abbia fatto.
Dove
eravamo rimasti?
Oscar e André sono fuggiti,
lontano da Parigi.
Il Generale si è accorto della
loro scomparsa e ha informato la Regina.
Maria Antonietta si sente
tradita, ma nonostante tutto decide di dare una seconda occasione a Oscar,
riportandola a casa.
PRIMA PARTE
apitolo V
Cavalli
al galoppo.
Finalmente
Oscar riusciva a sentire il suo sotto di sé, ora che André l’aveva lasciata
andare. Correva al suo fianco, sul baio che li aveva uniti nel corpo e divisi nell’anima.
Perché
lei aveva sentito il bisogno di essere libera, aveva percepito quelle catene a
cui André sembrava averla legata, e aveva capito di sbagliare.
Lui
non aveva mai voluto imprigionarla.
Ma
solo liberarla, spezzare le catene che la tenevano legata a Maria Antonietta e
a Parigi, al mondo scintillante di Versailles, alla miseria che si annidava nel
petto dei nobili mostrando il suo volto tra i vicoli della città.
Oscar
godette del vento sul viso, del cavallo che rispondeva a ogni suo movimento. Le
bastava spostarsi appena sulla sella perché lui capisse dove voleva andare…
Erano
cresciuti insieme, proprio come lei e André.
«Oscar!»
Lei
tirò le redini per fermarsi e si voltò a guardarlo.
Dopo
quella notte insonne, passata a osservare le stelle, le cose sembravano tornate
come prima di partire. Quando i sensi di colpa le attanagliavano lo stomaco e
il desiderio di essere di qualcuno, come di lui,
sembravano i timori di un bambino.
«Dimmi,
André.»
Quando
avevano deciso di rimettersi in marcia Oscar era rimasta a guardarlo,
chiedendosi perché facesse di tutto per salvarle la vita. Erano partiti senza
mangiare, con i brontolii della pancia di André come sottofondo.
Ma
lei sentiva qualcosa.
E
sapeva, sapeva che nonostante quei pensieri, nonostante quelle paure, il
momento di spezzare la catena era giunto.
Solo
che non si sentiva pronta…
Udì
il nitrito del baio mentre André lo spingeva al passo verso di lei, per
raggiungerla.
Stavano
affiancando il bosco, si rese conto Oscar, ma sulla collina che avevano di
fronte c’era un villaggio. Quale, non avrebbe saputo dirlo. Immaginò si
trattasse di Vincennes.
«Dobbiamo
entrare nel paese.»
Lei
sapeva bene perché.
Non
avevano cibo, non avevano soldi e armi. Non potevano cacciare, non potevano
nutrirsi. Erano stati fortunati a trovare un ruscello quella mattina, ma Oscar
si accorse di non conoscere le zone intorno a Parigi. Non così a sud-est.
Ebbe
conferma che si trattava di Vincennes quando riconobbe il castello.
«Direi
di lasciare i cavalli nel bosco quando saremo vicini. E forse…» André si sporse
sulla sella, quasi come se qualcun altro avesse potuto sentire quanto stava per
dire. «Forse dovremo “prendere” alcune cose…»
Oscar
si agitò sul cavallo, spingendolo a voltarsi indietro.
«Che
cosa dici, Andrè? Vorresti rubare?»
Lui
si avvicinò abbastanza da prendere le briglie. Le fece cenno di scendere e
Oscar capì che temeva una sua possibile fuga. Lo ascoltò, volteggiando giù dalla
sella, ma tenne il pugno chiuso intorno alle redini, pronta a saltare in groppa
e ad abbandonarlo.
«No,
Oscar» disse André, imitandola e scendendo da cavallo. «Non sono un ladro. Ma
non possiamo entrare in paese vestiti in questo modo.»
«Perché,
Andrè? Perché mi stai dicendo questo?»
Oscar
ebbe l’orribile visione di lei vestita da donna.
Solo
una volta era successo, e si era ripromessa che non si sarebbe più ripetuto.
«Perché
ho fame, Oscar» insisté, falciando l’erba con le gambe per raggiungerla. Se lo
ritrovò vicino, troppo vicino, ed ebbe paura. «E anche tu devi mangiare.»
Si
ritrovò a osservare le pagliuzze dorate nei suoi occhi verdi, sentì il respiro
accorciarsi quando scese a studiare le labbra, e un fremito, quando André la
inchiodò tra sé e il cavallo.
Gabriel
era stato definito da Sua Grazia, ostinato.
C’erano
voluti impegno e insistenza affinché accettasse di apportare modifiche alla
Camera della Regina.
Maria
Antonietta poteva ora ammirare i broccati in fiore, i ritratti di sua madre e
di suo fratello, il caminetto in marmo screziato, il busto che la ritraeva con
addosso il mantello reale e un medaglione con il profilo di Luigi XVI.
Sedette
sullo sgabello, gli occhi fissi sullo stipo dei gioielli di origine tedesca, e
si concentrò su ciò che l’aveva tenuta sveglia tutta la notte.
Chi
scegliere?
Doveva
mandare qualcuno a cercare Oscar, a dirle di tornare a casa. Qualcuno che le
dicesse del mancato pericolo, del suo intervento e salvataggio.
Qualcuno
di cui Oscar potesse fidarsi.
La
Regina tirò la testa indietro, al soffitto a cupola, e prese la sua decisione.
Due
nomi per vederne partire uno solo.
Ma
quale?
Avrebbe
voluto baciarla per mettere fine a quell’agonia.
Oscar
era bloccata, occhi negli occhi con lui. Sarebbe bastato allungarsi, prenderla
tra le braccia e rubarle un bacio. Ultimamente si ritrovava spesso a stretto
contatto con lei e, ogni volta, la vedeva in modo diverso.
Un
po’ più arrendevole…
Un
po’ più disponibile.
Meno
furiosa, meno spaventata, meno confusa.
«André»
soffiò Oscar, poggiando una mano sul suo petto. «Fermati.»
Nonostante
la camicia, lui sentì la pelle scottare sotto il suo tocco. Si ritrovò a
chiedersi cosa avrebbe provato senza la stoffa a dividerli, cosa avrebbe
sentito.
Provò
un brivido solo a immaginarlo.
«Perdonami,
Oscar.»
André
fece un passo indietro, abbassò lo sguardo sulle bisacce del cavallo, poi, di
nuovo, sulla divisa di lei…
Doveva
essere così bella.
«Oscar.»
Il
tono di André si fece duro e, per un istante, riconobbe la paura negli occhi di
lei. Forse temeva di ripetere quella notte? Quell’incubo vissuto?
No,
non le avrebbe fatto del male, lo aveva giurato a lei e a se stesso.
«Dovrai
toglierti quella divisa. E anch’io.»
«Come?»
André
si voltò, per guidare le redini del baio perché facesse qualche passo avanti e
lo seguisse. Indicò il bosco.
«Ci
staranno cercando, non possiamo permettere che ci trovino.»
«Questo
lo so» mormorò Oscar con disappunto, stringendo la mano a pugno.
«Vestiti
così ci prenderanno subito, Oscar» disse, squadrandola da capo a piedi.
«Cercano due soldati. Noi non possiamo più esserlo.»
La
vide scuotere la testa, passarsi una mano sulla fronte.
«No,
no, André… Ho capito cosa vuoi dire, ma io… io non posso. Non posso vestire da
donna. No, André!»
Quando
la vide mettere un piede nella staffa e rimontare in sella, si sentì morire.
«Aspetta,
Oscar!» gridò André, sollevando il braccio. «Scendi da cavallo, Oscar, scendi e
ti spiegherò.»
Lei
fece cenno di no con la testa, e il cavallo seguì i suoi movimenti, girando in
tondo.
«Non
c’è più niente da dire» mormorò Oscar, ergendosi dritta. E bastò vederla per
capire cosa avrebbe fatto… «Io torno indietro.»
Fu
come uno specchio che andava in pezzi, come lo stridio di una catena che si
trascina, come vederla morire.
«Addio,
André.»
La
sentì incitare il cavallo, balzò in sella mentre lei partiva al galoppo,
affondò i talloni nei fianchi del baio come aveva già fatto.
Ma
era tardi…
Non
era riuscito a spezzare le catene che la tenevano legata a Parigi, non era
riuscito a farle capire di essere libera. E stavolta, stavolta forse non
sarebbe riuscito a fermarla.
«Conte
di Fersen.»
Lo
disse con la solita, reverente, dolcezza. E si lasciò baciare la mano, lasciò
che lui si inchinasse davanti a lei, chiamandola Maestà, giurandole devozione
imperitura.
E
lo fece accomodare, prima di svelargli il motivo di quella visita.
«Vi
ho fatto chiamare» cominciò la Regina, sedendogli di fronte. «Perché ho fiducia
in voi e in nessun altro, Fersen.»
«Maestà,
ditemi come posso servirvi.»
Maria
Antonietta si era preparata tutto un discorso fatto di ricordi, di amicizia e
di vite salvate, ma ritrovarsi con lui era bastato a farglielo dimenticare.
Era
incredibile sapere di essere stata tra le sue braccia, di averlo amato, e di
doverlo nascondere… Anche a lui. Soprattutto a lui.
Perché,
se anche Fersen si era messo al servizio della Corona, lei era certa che dentro
di sé provasse ancora qualcosa.
Era
facile fingere, fuori, dove tutti potevano vedere, aiutandosi con profumi e
belletti, falsi sorrisi e frasi fatte. Era facile dire, dirsi, di aver spinto quei sentimenti in fondo al cuore.
Ma
non era così.
Non
poteva esserlo.
«Si
tratta di madamigella Oscar.»
Lo
vide impallidire.
«Madamigella
Oscar avete detto, Maestà?»
Aveva
deciso di cominciare con lui, di riceverli prima uno e poi l’altro, per
decidere chi dei due era il più adatto a riportarla a casa. Non avrebbe potuto
privarsi di entrambi, e dentro di sé sperava con tutta l’anima di non dover mandare
proprio Fersen.
Però…
C’era un però, che quasi non riusciva a spiegarsi.
Tutti
gli avvenimenti che avevano legato loro tre, lei, Oscar e Fersen, a partire dal
loro incontro al ballo in maschera, a quando Oscar aveva danzato con lei per
evitare che l’intera Corte continuasse a mormorare su di loro, a quando una
carrozza era stata attaccata a Parigi, vicino all’Operà… E Fersen si era
offerto di andare.
«Sì.
Non so come dirvelo… Oscar si è macchiata di tradimento.»
Spingere
il cavallo a tutta velocità era qualcosa che la faceva sentire viva.
Oscar
si chiese come avrebbe fatto a cavalcare vestita come una donna… Come avrebbe
potuto impugnare una spada, prendere a pugni un uomo, inseguire un criminale.
No,
André non poteva averle chiesto davvero quello.
Sì, invece, si disse. André vuole solo proteggermi. Ma io non posso… Ho giurato a me stessa
di vivere come un uomo, di cavarmela da sola. Di non aver più bisogno di lui.
Sentì
il suo purosangue fremere sotto di lei, mentre lo spronava a continuare la sua
corsa.
Il
vento nei capelli, quello stesso vento che le sferzava il viso, era lo stesso
che avrebbe attraversato Parigi e raggiunto Versailles.
Magari
sarebbe stato lui a sussurrare del suo ritorno, magari avrebbe avvertito suo
padre di affilare la spada…
Smise
di incitare il cavallo quando vide un carro sulla strada.
Sembravano
contadini, un uomo e una donna, intenti a spingere il mezzo. Ma non avevano
animali a tirare, e Oscar vide una ruota affogata nel fango.
Trottò
fino a loro, poi tirò le redini e si fermò.
Come
aveva fatto a essere così stupido?
Era
logico che Oscar fuggisse, al solo sentir parlare di abiti da donna. Erano
nella stalla quando lei gli aveva detto di voler vivere come un uomo, di voler
affrontare i campi di battaglia, imbracciare un fucile, allontanarsi dalla
Regina…
Se fuggire fosse la soluzione,
io sarei fuggito da te tanto tempo fa, Oscar.
Pregò
il cielo di raggiungerla in tempo, prima che incontrasse i soldati, prima che
capisse che il modo più sicuro per raggiungere Parigi senza di lui era entrare
nel bosco.
Non
avrebbe potuto raggiungerla lì.
Sei fuggita da Fersen, sei
fuggita dalla Regina, e ora sei fuggita anche da me. Come ho fatto, Oscar? Come
ho fatto a essere così stupido?
Nella
penombra della sua camera da letto, Oscar gli aveva detto di non aver più
bisogno di lui.
Ora,
ora che cominciava a capire cosa doveva aver provato, André la rivide voltata
di spalle, mentre appoggiava la tazza sul tavolino. Mentre entrava nel buio.
André
pianse, ripensando a quando l’aveva presa con la forza.
In
qualunque momento, in qualunque momento avrebbe potuto farla sua. In qualunque
momento avrebbe potuto bloccarle i polsi, proprio come quella sera…
Ma
non voleva più farlo.
I
suoi pensieri, ora, dovevano essere rivolti a lei e solo a lei.
Al
modo in cui i suoi capelli risplendevano nel sole, al…
Lo
capì solo allora: anche vestita da donna, Oscar restava facilmente
riconoscibile.
C’era
una sola cosa da fare, e ciò che gli serviva era della pece.
«Sedete,
Capitano.»
La
Regina lasciò che Girodel sedesse dove, fino a poco prima, si era sistemato
Fersen.
«Vostra
Maestà.»
Girodel
fece un inchino, e i bei capelli ondulati gli finirono tutti in volto.
«Ho
risposto al vostro richiamo, Maestà.»
Maria
Antonietta giunse le mani e fece cenno di sì con la testa. Girodel era la sua
seconda scelta, la dimostrazione che la nobiltà francese sapeva essere galante
e raffinata, il prezzo che era disposta a pagare pur di riavere Oscar con sé.
Forse
stava commettendo un errore, forse non era davvero da lei fare ogni cosa in suo
potere pur di salvare la sua amica.
Ma
da quando aveva perso Louis Joseph si sentiva sola, tremendamente sola.
E
se c’era qualcosa che poteva fare per Oscar, decise, l’avrebbe fatta.
«Avrei
dovuto ucciderli» disse il Generale ad alta voce.
La
vergogna di cui l’aveva macchiato Oscar era qualcosa che lo feriva davvero.
«Avrei
dovuto ucciderli entrambi. E poi seguirli…»
Prendere
a pugni l’aria non era più qualcosa che serviva a farlo sentire meglio. Rendeva
reale la loro mancanza, le parole che avevano detto, il suo cuore spezzato.
Decise
di mettere fine a quelle domande quando il Colonnello D’Arcois entrò nella
stanza.
Il
Generale raddrizzò la schiena, sistemò meglio la casacca, e lo affrontò con uno
sguardo austero.
D’Arcois
lo salutò, rimettendosi ai suoi ordini.
Era
giovane e, forse, se Oscar non fosse fuggita, il Generale gli avrebbe proposto
di sposarla. Era un nobile, aveva due lunghi baffi neri che seguivano la linea
delle labbra, e doveva essere alto quanto suo figlio.
«Mi
avete fatto chiamare, Generale?»
«Colonnello,
ho bisogno di un favore.»
«Ditemi,
Generale.»
«Si
tratta di mio figlio Oscar.»
La
trovò ferma a parlare con due contadini e rallentò il passo, dando modo al baio
di riprendere fiato.
«Posso
fare qualcosa per voi?» chiese André, smontando da cavallo.
Si
sentì pronto a rimontare in sella se Oscar avesse dato segno di voler scappare.
Non poteva permettere che tornasse da suo padre. Proprio non poteva.
«André»
Oscar si voltò a guardarlo con il sorriso sul viso. Qualcosa che lo scaldò
dentro. «Vieni, aiutami. Dobbiamo tirar fuori la ruota da lì.»
Oscar
gliela indicò: un cumulo di mota che raggiungeva il corpo del carro. André vide
le mani dei contadini sporche di terra e fece un cenno con la testa.
Capì
che non sarebbe fuggita, capì che non aveva davvero intenzione di tornare
indietro.
Altrimenti
a cosa sarebbe servito quel grazie?
Quello che Oscar gli aveva sussurrato piano, schiena contro petto, in groppa al
suo baio?
Forse
voleva finalmente essere salvata. Forse poteva fare qualcosa per lei.
Ridarle
una parvenza di vita.
Anche
senza vestire da donna…
«Arrivo,
Oscar. Eccomi.»
Piantò
gli stivali in quel pantano, facendo forza sulle gambe per sollevare la ruota.
Oscar e l’uomo fecero lo stesso.
«Grazie,
grazie!» gridò la donna, appoggiandosi al carro. «Ci avete salvato.»
André
notò i suoi occhi azzurri e pensò a quelli di Oscar.
Solo
allora si diede pena di guardare cosa stavano trasportando: grano, grano
battuto.
«Dove
lo portate?» chiese Oscar, accarezzandolo con la mano. Era chiaro come i suoi
capelli…
«A
Vincennes. Dicono che ci sono mercanti pronti a pagare bene.»
André
pensò al castello e ai pericoli che avrebbero corso seguendo quei due.
Però
era anche vero che se era stato dato l’allarme, cosa ancora improbabile, le
guardie avrebbero controllato tutti. E quale sospetto ci sarebbe stato in un
gruppo di contadini?
Gli
occhi di Oscar si posarono sull’uomo che aveva accanto.
«Vi
ringrazio, signore» disse il contadino, rivolto a lei. «Dobbiamo riprendere la
strada ora…»
André
la vide scostarsi per lasciargli riprendere posto accanto alla moglie, alla
testa del carro.
«Ma
certo» mormorò Oscar, fissando il grano, e lui non poté fare a meno di
chiedersi a cosa stesse pensando. «Aspettate. Possiamo aiutarvi a entrare a
Vincennes.»
Fu
la moglie del contadino a fare una smorfia.
«Con
quei cavalli? Devono valere una fortuna» mormorò, scambiando un’occhiata con il
marito. «Ma non sono animali da tiro quelli.»
André
approfittò di quell’occasione per farsi avanti. Allargò le braccia e sorrise
con fare innocente.
«Lasciate
che vi aiutiamo. Se potete tirarlo voi, possono farlo anche loro.»
«Li
rovinerete» disse l’uomo, studiando i cavalli. «Non abbiamo soldi per pagare…»
Oscar
si avvicinò dal lato opposto, costringendo i due a voltare le spalle a André
per poterla guardare. Sembravano a disagio.
«Non
dovrete pagarci» aggiunse André. «Vi aiutiamo volentieri.»
Ma
riconobbe la paura sui loro volti e li osservò scambiarsi l’ennesima occhiata.
«Siete
molto gentile, signore…» sussurrò la donna, stringendosi nelle spalle. «Ma non
abbiamo bisogno, davvero.»
André
la vide sorridere in modo innaturale mentre chinava la schiena per tirare il
carro.
«Speriamo
di rivedervi in città. E ricambiare la cortesia.»
Oscar
li guardò andare via sentendosi in errore.
Forse,
se avessero giocato meglio le loro carte, si sarebbero trovati insieme ai
contadini in quel momento, e André avrebbe abbandonato quell’assurda idea di
farla vestire da donna.
«Oscar…»
la chiamò, mentre il sole si alzava alto nel cielo. «Non fuggire più, Oscar.»
Era
vero…
Aveva
preso il suo cavallo e si era spinta al galoppo, convinta di voler tornare a
casa. Ma non aveva più una casa, ora. Non aveva più nulla.
Le
rimaneva solo André.
Non
rispose e raggiunse l’animale, che pascolava lì vicino. La strada era ricoperta
di fanghiglia, e lei si riempì gli stivali per avvicinarlo.
«Non
ti farò vestire da donna» continuò, spingendola a voltarsi. «Non ancora.»
Passò
la mano sul manto candido del cavallo, ne aspirò il profumo, quello che a
Versailles era considerato puzzo di
cavallo. Ma a lei piaceva, le era sempre piaciuto.
Le
ricordava le cavalcate, il suo ruolo a Corte, la libertà. Le ricordava i
pomeriggi passati ad allenarsi alla scherma, i tiri al bersaglio che
miglioravano la sua mira giorno dopo giorno. Le ricordava il sapore del vino e
il tepore del fuoco, al rientro da un giro a cavallo…
Le
ricordava la sua camicia bianca, quella che restava semiaperta quando si
addormentava davanti al camino, quando aspettava il rientro di André.
E
le ricordava anche Arrais, la sua costa dorata, le onde del mare che la
portavano via. E gli zoccoli che affondavano nella sabbia, il sapore del sale
sulle labbra…
E,
più di tutto, le ricordava André.
«E
cosa vorresti fare?» chiese, intrecciando le dita nei crini. «Abbiamo le divise
da soldati, lo hai detto tu. Non possiamo entrare in città.»
«Ma
non possiamo nemmeno morire di fame.»
Oscar
fece cenno di sì con la testa, ma non si voltò a guardarlo.
Tutto
sembrava andare in pezzi. La sera prima le cose le erano apparse diverse, per
qualche ora si era illusa che tutto sarebbe andato bene, che André l’avrebbe
portata in salvo.
Ma
ora, ora si rendeva conto…
Se
voleva vivere come un uomo non poteva, proprio non poteva aspettarsi che fosse
André a risolvere ogni problema. Non poteva restare ferma, zitta, ad attendere
le sue idee.
Doveva
fare qualcosa. Doveva aiutarlo.
Eppure…
Il sogno di quel bacio, quello che André stava per darle mentre attendevano la
liberazione dei soldati di Parigi, la torturava ancora, confondendola.
Ma
se non poteva essere uomo, se non voleva essere una donna, cos’era Oscar?
«Prenderò
dei vestiti, Oscar. Prima della città ci sono le case dei contadini. Non ci
sono guardie a proteggerli, li prenderò io.»
«Avevo
ragione, André! Tu vuoi rubare!» lo gridò andandogli incontro e fermandosi a
due passi da lui. «No, Andrè. Non te lo permetterò!»
Sollevò
una mano per colpirlo, ma André la intercettò, bloccandole il polso.
E,
ancora, il ricordo di quella sera tornò prepotente a farle visita.
«Che
cosa fai, André?»
Si
specchiò nei suoi occhi, osservò la sua mano, la mano della spada, ricoperta di
calli, stringere la sua pelle, il braccio ancora sollevato. E sperò, sperò che
stavolta nessun grido arrivasse, sperò di non farsi prendere dal panico.
Sperò
in quel bacio.
«Niente.
Non faccio niente, Oscar» disse André, lasciandola libera. «Volevo solo
impedirti di colpirmi.»
Lei
si massaggiò il polso, sentendolo rovente.
Sentì
le guance arrossarsi mentre si rendeva conto di quanto aveva desiderato.
«Ti
prego di ascoltarmi, Oscar» riprese, deglutendo. «Lascerò qualcosa se vuoi,
nelle bisacce ho delle monete. Poche cose… Ma ti prego, ascoltami. Dobbiamo
cambiarci. E dobbiamo fare qualcosa anche per i tuoi capelli.»
Oscar
strinse le palpebre, confusa.
«I
miei capelli?»
«Sì,
Oscar» André annuì, sollevando poi una mano a indicare il suo cavallo bianco.
«E anche per lui. Siete troppo riconoscibili.»
Scosse
la testa e fece alcuni passi indietro, come se l’idea di André fosse assurda.
«Useremo
la pece, per te e per lui.»
Nonostante
l’estate, Oscar sentì un brivido a pensare di tingersi i capelli con la pece.
«E
dove pensi di trovarla, André? No, no, io…»
Si
guardò attorno: l’aria sferzava gli alberi, trasportando gli odori del
sottobosco. E l’umido, l’umido della terra, dell’erba, del fango, le arrivò
dritto alle narici.
Sapeva
cosa fare.
«André»
disse, voltando il capo dietro di sé. «Non useremo la pece.»
«Come,
Oscar? Ascolta…»
Sollevò
una mano per interromperlo, e lo guardò severa, come faceva quando era ancora
il suo attendente. Per un momento, un breve momento, si sentì di nuovo sicura.
«Useremo
il fango.»
Note dell’autrice:
Arrivo
in ritardo, anche peggio del ritardo, ma come vi ho detto prima ho avuto dei
motivi. Io spero, anzi prego, come
André, di non far passare più tanto tempo per un aggiornamento. Perché prima di
prendere in mano questa storia mi sento quasi spaventata, temo di rovinarla, di
non essere all’altezza, ma quando comincio a scrivere tutto passa e vorrei solo
continuare e continuare, facendola durare all’infinito.
Spero
che mi perdonerete e che mi farete sapere cosa pensate del capitolo.
Tengo
a questa storia, ma forse dirlo è scontato: se non ci tenessi non la scriverei.
Come
sempre, potete trovarmi nel link che lascio nella firma, come ha fatto
Katia, sempre pronta e disponibile per invogliarmi a continuare
quest’avventura. Insieme!
Celtica
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Catene 6
Un anno.
Un anno fa ho iniziato questa storia.
L’ho interrotta, messa da parte, lasciata in pausa.
Avevo paura. Sì, avevo paura.
Non so di cosa, non so perché. Ma mi dispiace.
E non so nemmeno cosa dire, a ripresentarmi qui, così,
dopo tanto tempo.
Solo: scusate.
PRIMA PARTE
apitolo VI
A Katia
Fango.
Camminavano sopra il fango, ne erano
circondati. Intorno a loro la terra era umida e scura.
Perché non era stato lui a pensarci?
“André,
non useremo la pece”, aveva appena detto lei, voltandosi e
interrompendolo con una mano sollevata. “Useremo
il fango.”
Spostò lo sguardo sui suoi capelli –
oro liquido che brillava al sole – e rivide Oscar marciare davanti a lui, alla
testa dei suoi uomini.
Le mancava? Versailles, il comando, casa, erano dentro di lei, almeno quanto
erano dentro André?
Lui li sentiva scoppiare dentro.
Sentiva i borbottii dei nobili, i pettegolezzi delle signore. Gli scherzi e le
risa dei suoi compagni, la presenza – mancanza
– di sua nonna.
Non l’avrebbe più rivista.
Né lei, né Alain, né la Corte. Non
avrebbe saputo quando stava male, non avrebbe udito la sua voce invocare il suo
nome – supplicarlo, maledirlo – né le
sarebbe stato vicino nei suoi ultimi giorni.
Era finita.
«André?»
Era ancora voltato verso di lei, e
gli occhi corsero a cercare i boccoli biondi che scendevano sul petto.
Qualcuno avrebbe colto l’inganno?
L’avrebbero riconosciuta?
«Sì, Oscar?»
«Non hai detto una parola.»
Lui annuì. «Scusami. Sì, penso che il
fango andrà bene.»
Non ne era sicuro, ma l’unica scelta
era provare. Camminò al suo fianco, finché non la vide piegarsi su se stessa.
La imitò, riempiendosi le mani di terra umida.
Sembrò dirgli “solo un tentativo”, e anche lui la pensava così.
Prima di procurarsi gli abiti, era
meglio essere sicuri che potesse funzionare.
Oscar strinse i capelli alle radici,
passò le dita sporche tra le ciocche, ma non era sufficiente.
Non poteva esserlo.
Serviva lui.
André le fu vicino in un attimo, ma
non sollevò le mani, non prese a toccarla, a inzupparle i capelli di fango.
Attese qualcosa – qualsiasi cosa – un cenno, uno sguardo, un segno che dicesse
“sì, puoi farlo”.
Avrebbe voluto che fosse Oscar a
chiederglielo.
Riconobbe l’esitazione sul suo viso,
come se volesse, senza avere il
coraggio di parlare.
Vide le mani di lei fermarsi,
riprendere la discesa lentamente – troppo lentamente – come se fosse stata
incerta dei suoi gesti.
D’istinto, André le afferrò le dita e
se le portò sul petto.
«Faccio io, Oscar.»
Lei annuì senza protestare. «Va bene,
André.»
Con altro fango tra le mani, lasciò
scorrere le ciocche tra le dita, la vide chiudere gli occhi, lasciarsi
macchiare il viso, tremare appena. Quando schiuse le labbra, provò l’impulso di
baciarla.
Hai
promesso, ricorda.
Aveva cambiato odore. La terra era in
lei, e le stava benissimo.
André deglutì più volte mentre
seguiva i boccoli ribelli lungo il suo petto, sulla sua schiena, stringendoli
forte per poi lasciarli andare.
Era un po’ la stessa cosa successa
con Oscar. Averla accanto per tutta la vita, amarla, stringerla contro la sua volontà per poi lasciarla andare.
Una storia già vista.
Le
cose cambieranno, pensò. Saremo lontani da Parigi, dove non ci cercherà nessuno.
Vivremo
insieme, solo io e lei. Soli agli occhi del mondo.
E
forse, allora, le cose cambieranno.
La sua vita, ora, dipendeva da quel
forse.
«André.»
«Sì, Oscar?»
«Pensi che riusciranno a trovarmi?»
Le mani si bloccarono all’altezza
delle spalle. Respirò a fondo – per l’agitazione, per la fuga, per lei – e le toccò un braccio, sporcandole
la divisa.
«Non glielo permetteremo.»
«Se dovessero prenderti… Sei ancora
in tempo, André. Puoi ancora tornare indietro.»
No, il Generale sapeva, il Generale
non l’avrebbe mai perdonato.
André se lo immaginava con la spada
sulle ginocchia, in attesa del loro ritorno. Le finestre che davano sul cortile
davanti agli occhi, e il desiderio – assurdo,
disperato – di rivederla.
Di rivederli.
«Ti ho portato io qui, Oscar. Non ti
lascerò andare.» Non di nuovo, non con il
Generale pronto a ucciderti.
Un sospiro, la mano di lei sulla sua.
«Grazie, André.»
Nel cortile di Versailles, si lasciò
aiutare da un servitore a salire in sella.
Piegò il ginocchio, afferrò redini e
agnellino e montò a cavallo. Aveva solo due uomini con sé, per poter viaggiare
in fretta e non attirare l’attenzione.
Fu certo che lei fosse lì, da qualche
parte, a guardarlo partire.
Fece un cenno agli altri, affondò i
talloni nei fianchi del suo animale grigio e aspettò che il cancello dorato
venisse aperto.
«Da dove cominciamo?» chiese una
delle guardie, affiancandolo.
Uscirono dalla cittadina, e lui
indicò lontano, un punto appena definito a est di Parigi.
«Vincennes.»
«C’è il castello, là. Non è dove è
stato rinchiuso De Sade?»
«Quel…» Lui si trattenne dal
commentare.
Non provava nessuna forma di rispetto
per il Marchese. Nessuna. E forse, se fosse stato al posto del Re, non avrebbe
firmato una lettre de cachet per rinchiuderlo.
Forse, al suo posto, dopo ciò che
aveva subito qualcuno a lui caro, avrebbe preferito l’esilio.
«Ora è alla Bastiglia» continuò la
guardia, incitando il cavallo al trotto.
Che
ci rimanga.
Gli chiese di non partire.
Restò appoggiata al tronco di un
albero con i capelli pieni di fango, a guardarlo andar via.
«Mi sto fidando di te, Oscar» disse,
legando il cavallo bianco dietro al suo. «Non deludermi.»
«Non mi sembra» ribatté lei. André
sentì i suoi occhi addosso. «Ti porti via il mio cavallo. Dove potrei andare, Andrè?»
Spero
da nessuna parte.
Non lo disse, ma pregò intensamente
che lei restasse esattamente dov’era.
Fece un cenno per salutarla e montò
in sella. Percorse un tratto di bosco, trovò un sentiero e lo seguì. Dovevano
esserci delle case vicino: il terreno e gli alberi erano puliti, senza rovi,
brughi, tele o rami troppo bassi, come se ci passasse abitualmente qualcuno.
Gli zoccoli dei cavalli affondarono
nella terra morbida, lasciando un segno del loro passaggio.
Oscar
potrebbe seguirmi.
Ma non lo avrebbe fatto. No, André le
aveva chiesto di aspettarlo. Perché non avrebbe dovuto ascoltarlo?
Proseguì ancora e ancora, finché, tra
le fronde, non riconobbe un gruppo di case.
Tornò indietro, legò gli animali per
nasconderli e restò acquattato a osservare le abitazioni.
Non c’era nessuno.
Si avvicinò cauto, puntando gli occhi
su due ramoscelli usati a mo’ di stendino. André avanzò con la schiena piegata,
guardandosi furtivamente intorno. Gli abiti stesi, a dieci passi da lui, gli
sembrarono lontanissimi.
Una risata. Lui che, senza guardare,
strappava la biancheria più vicina, stringendola sotto l’ascella.
Due bambini che si rincorrevano,
piccoli, sporchi, coperti con vestiti logori. Sparirono nei campi vicini.
André pensò a Oscar e deglutì. Vide
un masso piatto sul retro di una casa e lo raggiunse, lasciando cadere tutte le
monete che aveva in tasca.
Meglio
a voi che a me.
«Generale Jarjayes.»
Il Colonnello D’Arcois pronunciò quel
nome con la massima serietà. Era uscito dal palazzo e tornato in fretta. Forse troppo in fretta.
Oscar,
figlio mio, non sai in che posizione mi stai mettendo.
«Accomodatevi, Colonnello.»
Un secondo uomo entrò dietro
D’Arcois, alto, magro, dal volto lungo e sottile. Spostò gli occhi alla volta
decorata, fermandosi a osservare la statua dell’aquila.
Il Generale seguì il suo sguardo,
finché D’Arcois non mosse i piedi con un moto di nervosismo.
«Generale, lasciate che vi presenti Philippe
Barthélemy, l’uomo che potrebbe… risolvere
il vostro piccolo problema.»
«Benvenuto, signore. Il vostro titolo
e il vostro grado?»
Gli occhi dell’uomo guizzarono su di
lui. «Non sono importanti ora…»
Il Generale si risentì, ma rimase in
silenzio.
«Raccontate anche a lui ciò che avete
detto a me, Generale» lo invitò D’Arcois.
Ma lui non era più così sicuro di
volerlo fare… quello sguardo da faina, quel sorriso famelico, non promettevano
niente di buono.
«Mio figlio Oscar, lui…»
«Lo conosco» lo interruppe Philippe,
con un gesto secco della mano. «Non conosce me, ma io conosco vostra figlia,
Generale. Grande è la sua fama… così vicina alla Regina, agli intrighi di
Corte, e d’improvviso così lontana. Cosa posso fare per voi?»
Il Generale gli diede le spalle,
piegò un braccio dietro la schiena e prese a guardare la finestra.
«Mio figlio» disse, marcando bene la parola
“figlio”. «Si è macchiato di tradimento. Mi ha disobbedito. E nonostante il
perdono del Re, nonostante la promessa di tornare, è scomparso.»
Quando si voltò, anche nello sguardo
di D’Arcois riconobbe una strana luce. Come se non aspettasse altro che
sentirlo continuare…
«Ora, se anche tornasse, tutti
saprebbero di quali colpe si è macchiato» Fece una pausa, socchiuse gli occhi e
si sforzò di continuare. «La vergogna sul nome della nostra famiglia è un’onta
che non possiamo permetterci, signore.»
Philippe si leccò le labbra, facendo
un passo avanti. Parlò più lentamente di prima. «Cosa volete che faccia
esattamente?»
Dire o non dire?
Era l’ultima possibilità per tornare
indietro.
Ne era davvero convinto?
Parlò senza riflettere, in modo
meccanico. Ripetendo ciò che D’Arcois aveva già sentito.
«Voglio che mettiate fine al
disonore.»
La trovò sdraiata all’ombra di un
albero, proprio dove l’aveva lasciata.
Sembrava essersi assopita, ma quando
André spezzò un ramoscello sotto i piedi, avvicinandosi, Oscar aprì di colpo
gli occhi.
Passò dal suo viso alla stoffa
appallottolata che teneva sotto il braccio. Strinse le palpebre, come se si
rifiutasse di vedere, e rimase a terra, le mani dietro la testa, a guardare il
cielo.
«Tieni, Oscar.»
Le lanciò alcuni abiti senza nemmeno
guardarli.
Tra le mani una casacca grigia con un
tricolore, una camicia logora e dei pantaloni larghi. André si guardò intorno
per cercare un po’ di intimità – o di lasciarla a lei… - quando la sentì
alzarsi in piedi.
«André!»
Non si voltò in tempo, trovandosi con
il capo coperto dai vestiti che aveva rubato.
«Mettili tu se ci tieni tanto.»
Quando liberò il viso, vide cosa
stava stringendo tra le mani.
Abiti
da donna.
Sorrise. Era chiara la sua reazione,
era giustificata. Non c’era nulla da temere. Non stava fuggendo, non lo stava
lasciando.
«C’erano dei bambini» disse André,
guardando gli abiti che gli restavano tra le mani. «Ho preso senza guardare.»
«Non vestirò da donna.»
Lui annuì, lasciando cadere la gonna
lunga. Aveva preso alla rinfusa, ma c’erano diversi capi appesi fuori dalle
case. Era certo di aver visto altri abiti maschili, nascosto dietro le fronde.
Lasciò cadere un corpetto, poi le
lanciò una redingote e un paio di pantaloni grigi. Allungò nella direzione di
Oscar anche un bavero rosso, ma lei non lo prese.
«Indossa almeno questo» insisté
André, dandole un berretto. «Per nascondere i capelli.»
Si allontanò per cambiarsi,
indossando pantaloni, camicia lunga, casacca – e larga, troppo larga, tanto che dovette legarla in vita – e al collo il
bavero rosso.
Come
Alain. Da rivoluzionario.
Pensare a ciò che avevano perso
faceva male. Non lo avrebbe più rivisto, né lui né nessun altro.
Sistemò la stoffa larga sopra agli
stivali, in modo che fossero poco riconoscibili.
«Posso venire, Oscar?»
«Sì, André. Vieni pure.»
Non sembrava un contadino. Non
sembrava nemmeno un uomo.
Prese gli abiti rimanenti e si fermò
accanto a un salice. Scavò in fretta – la terra sotto le unghie era un
particolare fondamentale per il suo travestimento – avvolse gli abiti e le
divise nella gonna bianca e li schiacciò in quella specie di buca.
Non era profonda, qualche animale avrebbe
potuto trovarli, ma André li coprì senza preoccuparsene.
«In caso di bisogno?» chiese Oscar,
aiutandolo a buttare terra sopra il fagotto.
«Sì. Se dovesse succedere qualcosa
potrebbero sempre tornarci utili. E in questo modo nasconderemo le casacche.»
Lei fece cenno di sì con la testa.
«Hai fatto bene, André.»
Era ora di dirglielo.
Non voleva metterla in pericolo, e Vincennes
era vicina. Guardie, il castello, la gente. Tutto poteva mettersi contro di
loro.
«Ascoltami, Oscar.»
Fece un passo verso di lei, pulendosi
le mani sui pantaloni. Guardò i capelli infangati, legati in una coda bassa
sotto il berretto, e poi il suo viso.
Avrebbe capito? O si sarebbe
rifiutata di lasciarlo andare? Di nuovo?
«A Vincennes potrebbe mettersi male.
Voglio dare uno sguardo al paese prima di entrare.»
Lei annuì. «Andiamo.»
«No» Sollevò una mano per fermarla.
«Tu resti qui, Oscar. Solo uno sguardo veloce, e sarò subito di ritorno.
Nemmeno ti accorgerai che mi sono allontanato.»
Oscar scosse la testa, ma non disse
niente. Era inutile discutere ormai.
André si allontanò lasciandosi lei e
i cavalli alle spalle.
Seguì le tracce lasciate dagli
zoccoli e ritrovò le case; le aggirò, trovò una strada e la percorse seguendola
dal bosco. Non c’era nessuno, ma più si avvicinava a Vincennes, più i rumori
della vita si facevano forti.
Mercato, lavoro, castello.
Suoni che lo attiravano e
spaventavano al tempo stesso.
Quando si trovò sotto le mura, decise
di aggirarle, di cercare un punto da cui guardare all’interno. Ma era
difficile… era in alto, André ricordava di averlo visto da Versailles.
Grattò la pelle sotto al bavero,
sentendo il collo irritato, e si inginocchiò per spiare il ponte sul fossato
intorno al castello.
Aspettò, senza sapere nemmeno lui che
cosa.
Era sicuro per Oscar?
Sarebbe stato sicuro per loro,
all’interno? Avrebbero dovuto lavorare, rubare, o fare cosa?
Di cosa avrebbero vissuto?
Gli bastò ricordare le parole del
Generale per convincersi che era la scelta giusta. In ogni caso, il primo passo
lontano da Parigi, lontano dalla fine di Oscar.
Poi sentì qualcosa pungergli la
testa, scivolare sul collo e fermarsi.
«In piedi.»
Un calcio alle gambe, André si rovesciò
su un fianco, poi sollevò le mani.
Uno,
due, tre. Tre guardie, tre fucili puntati alla testa.
Ci
hanno già trovati?
«Alzati, disgraziato!»
Un uomo lo afferrò per il gomito,
issandolo in piedi. Cosa avrebbe dovuto dire? Quale parola avrebbe potuto salvarlo?
Tenere Oscar al sicuro…
«Finalmente ti abbiamo preso.»
«Come mi avete trovato?» borbottò
André, mentre gli legavano le mani.
E
Oscar? Avete preso anche lei? Dov’è?
«Una donna ti ha visto uscire da
Vincennes questa mattina» spiegò una guardia. Poi gli strappò il bavero rosso.
«Eravamo diretti alle case dei contadini quando ti abbiamo visto aggirarti qui
intorno.»
Uscire
da Vincennes? André incespicò sul sentiero mentre lo
spingevano avanti. Non sono io,
pensò. Avete preso l’uomo sbagliato.
Non lo disse.
Parlare avrebbe compromesso Oscar,
avrebbe attirato l’attenzione su di lui.
«Perché gli parli?» chiese un’altra
guardia, premendo il calcio del fucile sulla sua schiena.
«Non si sprecano parole con un
morto.»
Note
dell’autrice:
Vorrei dimostrare quanto sia felice
di essere di nuovo qui. Ed è così, giuro, scrivere di André e Oscar, tornare a
Catene è stato bello, molto. Ma dirlo, o fare chiacchiere inutili, mi sembra
una presa in giro.
Perché sono sparita.
Perché sono tornata.
Posso citare Harry Potter? “Silente
sapeva che me ne sarei andato.”
“Silente sapeva che saresti voluto
tornare.”
Vale lo stesso per me (e nel mio caso
Silente porta il nome di Katia). Scusate ancora.
Celtica
P.S.: non tiratemi pomodori! Solo
verdura di stagione…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
Catene cap 7
PRIMA
PARTE
ap.
VII
Era
quasi buio.
Un
passo dopo l’altro, Oscar seguì il
sentiero percorso da André. Aggirò le case dei
contadini, raggiunse la strada,
riconobbe le mura di Vincennes. Che fosse entrato senza di lei?
Che
qualcuno li avesse trovati?
No,
si disse. O ci sarebbero guardie nel
bosco, pronte a cercarmi.
Ci
sarebbe qualche Colonnello… come sono stata io, pronto a
ispezionare la zona
palmo a palmo.
Guardò
in alto, vide uccelli alzarsi
in volo, sentì la calura estiva bagnarle la fronte. O era
solo preoccupazione?
Era
solo per André, perché non era
tornato, perché poteva essere stato catturato.
O
forse ha capito tutto… Forse ha preferito lasciarmi.
Chiuse
la mano a pugno, raggiunse
l’ombra cupa di un albero e si abbandonò contro il
tronco nodoso.
Non
sapeva dove fosse, non sapeva
cosa fosse accaduto. Doveva entrare a Vincennes per scoprirlo?
Con
il buio, per essere scambiata per
un criminale? Di certo essere catturata non avrebbe aiutato
André.
Oscar
ripercorse la strada
all’inverso, per tornare dai cavalli. Fu quando si
trovò sul sentiero che ci
pensò. Gli abiti che indossava… Strinse un lembo
tra le dita, voltò il capo di
scatto e prese a fissare le case dei contadini.
Forse
era con loro.
Forse
loro sapevano che fine avesse
fatto.
Ma
presentarsi con i loro abiti
sarebbe stato saggio? No, per niente.
Avrebbero
potuto sopraffarla,
aspettare il giorno e chiamare le guardie. Farla arrestare.
Oscar
prese a correre. Raggiunse il
punto in cui aveva legato gli animali, il punto dove la terra smossa
indicava
divise e abiti sepolti.
Prese
a scavare.
Non
era un compito che il Generale
Jarjayes avrebbe approvato.
Dopo
il sole del pomeriggio le zolle
si erano indurite e asciugate, e arrivare alla gonna bianca non fu
semplice. Ma
quando la raggiunse, quando la riconobbe al tatto, Oscar fece un lungo
sospiro
e si sentì più vicina a André.
Prese
la divisa, la indossò, spinse
il sacco a fondo nella buca e cercò di ricoprirlo.
Cosa
avrebbero detto? Sarebbero stati
d’aiuto?
Non
lo sapeva, ma non aveva altra
scelta se non andare da loro.
Lanciò
solo un’ultima occhiata ai
cavalli prima di allontanarsi. Tornò sul sentiero, raggiunse
le case dei
contadini, allungò il collo per guardare una donna seduta su
una roccia,
intenta a pulire della verdura. Una bambina la stava aiutando.
Oscar
fece un passo avanti, pronta a
chiamarla.
Sentì
un fruscio alle sue spalle,
l’istinto la fece voltare di scatto, ma inutilmente. Il
bastone si abbatté su
di lei, mandandola a terra. E poi fu subito notte.
All’interno
della sua cella, con gli
altri prigionieri, André prese a fissare la luce che
arrivava dalla finestrella
in alto, segnata da sbarre larghe quanto il pugno di un uomo.
Aveva
trascorso la notte sdraiato sul
pavimento, ignorando gli altri, pensando a un modo per fuggire.
«Non
c’è» mormorò un ragazzo,
seduto
a gambe incrociate accanto a lui.
«Che
cosa?»
«Un
modo per uscire da qui» disse,
poi indicò la finestrella. «Se non la
forca.»
André
si portò una mano al collo,
torcendolo appena.
Non
era certo ciò che voleva. Non
poteva servire a Oscar, non poteva salvarla. Ma lui doveva
andarsene, doveva
ritrovarla, doveva vivere con lei
il
resto dei suoi giorni.
Cos’avrebbe
detto non vedendolo
tornare? Cos’avrebbe fatto?
Ebbe
una fugace visione di lei in
sella al suo cavallo bianco… pronta a tornare di corsa dal
padre.
«Soprattutto»
continuò l’altro. «Non
c’è per uno appena
arrivato.»
Gli
strizzò l’occhio, e André si
tirò
su a sedere. «Che significa?»
Il
ragazzo scrollò le spalle, si
guardò in giro, come se una guardia avesse potuto sentirlo.
Sembrava
sentirsi spiato.
«Niente»
sussurrò. «Niente significa.
Ma prega di restare qui, o sarà solo per quella strada che
te ne andrai»
ripeté, indicando ancora la finestra.
Lui
scosse forte il capo. «Devo
uscire da qui.»
«Per
andare dove? Ho sentito che i
posti più sicuri sono sulle montagne…
lì non vengono a cercarti.»
André
rimase in silenzio, si alzò e
raggiunse l’apertura. Ma era troppo in alto per lui.
Tornò
a sedere accanto al ragazzo.
«Parlami
di queste montagne.»
Si
era svegliata quasi subito.
Aveva
aperto gli occhi, cercato di
lottare, colpito l’uomo che la stava trasportando verso il
ruscello. E aveva
gridato, quando si era ritrovata a cadere nell’acqua, mentre
il suo sciabordio
sembrava coprire ogni suono intorno a lei.
Un
tonfo, il suo corpo premuto contro
il fondo, le mani che si dimenavano in cerca d’aria,
chiedendola, strappandola
al suo assalitore.
André!
Avrebbe voluto urlare. André,
aiuto!
Ma
lui non c’era; non c’era nessuno
che potesse salvarla, nessuno che potesse aiutarla respirare.
E
poi, quando le unghie incontrarono
la pelle, per poi abbattersi sulle pietre sotto di lei,
sembrò tutto finito.
Per poi ricominciare.
Oscar
sollevò la testa, si ritrovò
fradicia e tremante, in ginocchio tra l’erba e la riva.
Tossì, tossì forte, inspirò
più aria che poté, cercando di riprendere fiato.
L’uomo
la afferrò per la collottola e
la trascinò verso le case.
«Ci
sono i miei figli» disse, in un
ringhio rabbioso. «Ma dovrei ammazzarti.»
Oscar
sollevò appena la mano, con gli
occhi offuscati la vide sporca di sangue. Il suo
sangue.
Cosa
dirà André?
«Sta
zitto» riprese l’uomo. «Come mai
sei solo? Gli altri sono qui intorno? Mi aspettano? Come mi avete
trovato?»
Cominciò
a mettere a fuoco solo in
quel momento. In tutti i sensi.
La
divisa.
Era stata lei a tradirla. Chiunque fosse, il suo
assalitore doveva aver commesso qualche crimine, forse era un
ricercato, forse
le guardie erano lì intorno, pronte a catturarlo…
E
con lui, Oscar.
«Parla!»
Lui
la strattonò, la spinse a terra,
la riprese. Pensa in fretta.
Dire
la verità avrebbe aiutato? Le
avrebbe salvato la vita? Forse
André è
qui… E se lui l’avesse venduta? Se
l’uomo fosse stato pronto a chiamare le
guardie, sapendo di essere salvo?
«Se
non rispondi subito ti ammazzo.»
Aveva
il viso appiccicato al suo, gocce
di saliva sulla pelle, il suo odore pungente nel naso.
Chiuse
forte gli occhi, pensò a
André. Al compito che entrambi avevano svolto fino a qualche
giorno prima.
«Sì»
fu la sua risposta.
«Sì,
cosa?» sibilò. Le afferrò i
capelli, le torse il collo di lato, le ringhiò addosso.
«Cos’è questa roba?»
Fango,
pensò Oscar. Fango secco.
«Sono
caduto» disse. La sua idea non
aveva funzionato… Non era un travestimento, non serviva a
niente coprirsi i
capelli di fango.
«Scherzi?»
Quando tirò ancora le
ciocche verso il basso, Oscar represse un gemito di dolore.
«Sei un bastardo… e
stai mentendo.»
Non
aveva bisogno di guardarlo per
sapere. Sentì le dita stringersi intorno al collo, il suo
corpo che cedeva a
terra, l’uomo che sedeva a cavalcioni su di lei.
«No»
disse, cercando di ribellarsi.
Ma il suo viso era troppo lontano, le sue braccia troppo possenti, e
lei così
debole… «Uomini!» gridò,
ultimo tentativo di salvezza.
Lentamente,
dolcemente, lui allentò
la presa intorno alla sua gola. Oscar sentì pollice e indice
raggiungerle il
mento, stringerlo come in una morsa.
Dove
sei, André?
«Ci
sono i miei uomini qui intorno»
Cercò di riprendere fiato. «Hanno
l’ordine di attaccare se non mi vedono
tornare.»
Sentì
l’osso schiacciato sotto quelle
dita d’acciaio, pensò che fosse sbriciolato,
perso, distrutto, e che presto
tutto il suo corpo lo avrebbe seguito.
«Se
è vero, perché sei solo? Voi
bastardi girate sempre in branco.»
«Se
mi uccidi…» riprese Oscar,
cercando la forza di continuare. «Verranno qui, e
stermineranno tutti. Tutta la
tua famiglia, persino i tuoi figli…»
Pensò
che l’avrebbe colpita. Che le
avrebbe fatto sputare i denti a furia di pugni. Invece si
tirò indietro,
sgranando gli occhi.
«I
soldati non fanno queste cose.»
«Non
hai sentito di Parigi?» tentò
ancora. «Nobili e clero fanno ciò che vogliono.
Hanno tentato di escludere il terzo
Stato… lo stanno opprimendo. Chi pensi si
accorgerà di una famiglia di
contadini?»
«L’abate
Sieyès ha detto che il terzo
Stato è tutto…»
«Non
per la nobiltà, non per il clero»
lo interruppe. Si piegò sulle ginocchia. «Non
siamo qui per te, qualunque cosa
tu abbia fatto. Non siamo qui per prenderti. Stiamo cercando un
uomo.»
«Quale
uomo?»
Sembrava
un bambino. Sporco, rozzo,
diffidente, ma pur sempre un bambino.
Oscar
non ricordava di aver mai
mentito prima. No, non lo aveva mai fatto, se non con se stessa, se non
con i
sentimenti che nutriva per André…
Eppure,
ora, la sua prima menzogna le
aveva salvato la vita.
«Vestito
come un contadino, alto,
moro… con un bavero rosso al…»
«Un
bavero rosso?» Si piegò per
guardarla negli occhi. «Qualcuno ci ha derubati oggi. Anche
di un bavero rosso…
e di abiti da contadino.»
Oscar
strinse le palpebre, pregò che
non lo avessero preso. Che non lo avessero punito.
No,
André non è qui. Non può essere
qui…
«Perché
non lo avete denunciato alle
guardie?»
Un
sorriso. La risposta chiara
scritta in viso.
Quell’uomo
non avrebbe mai cercato le
guardie. Aveva fatto qualcosa, e qualunque cosa fosse, ora nei guai.
Oscar
pensò che, vagamente – molto
vagamente – qualcuno avrebbe potuto scambiarlo per
André.
Deglutì
prima di parlare. «Lo avete
preso?»
Di
nuovo, l’uomo le arrivò a un palmo
dal viso, le labbra stirate in un sorriso rabbioso.
Sembrava
non aspettare altro.
«Non
ancora.»
Non
ancora. Non ancora. André
non era lì.
«Ma»
continuò lui, strappando l’erba
sotto di sé. «Se indossa quegli abiti, se si
è avvicinato a Vincennes,
potrebbero averlo catturato.»
“Al
posto mio”
erano tre parole sottintese, che Oscar cercò di
leggergli negli occhi.
«Perché?»
chiese. Cosa hai fatto?
L’uomo
scrollò le spalle. «È meglio
se te ne vai, prima che cambi idea e decida di non crederti.»
Oscar
non se lo fece ripetere.
Prese
a camminare verso il bosco,
sentendo il suo sguardo sulla schiena. Poi si fermò,
parlando senza voltarsi.
«Ha
lasciato delle monete» disse, a
voce alta, stringendo forte i pugni. «L’uomo che
cerco. Ha lasciato delle
monete.»
Quando
si voltò, riconobbe
un’espressione più composta, come se un briciolo
di umanità fosse tornata in
lui.
Lo
vide annuire, e sparì nel fitto
degli alberi.
Li
sentì borbottare.
A
occhi chiusi, con la mente rivolta
a una donna che, forse, non avrebbe più rivisto.
Scostò
il braccio da sotto la testa,
si grattò il naso e rimase in ascolto. Poi riconobbe quella
parola, quella che
poteva cambiare tutto. Sorte, mondo, vita e morte.
«…
Fuga…»
Si
drizzò a sedere e cercò di mettere
a fuoco le figure che confabulavano in un angolo, accanto al catino.
Strinse
la mano intorno al ginocchio,
abbassò il capo e cercò di ascoltare la
conversazione. Ma parlavano fitto
fitto, e non riuscì a capire altro se non guardie.
A
carponi, cercò di avvicinarsi.
Finché
una mano non si posò sulla sua
spalla. Era il ragazzo con cui aveva parlato ore prima.
Lo
vide scuotere il capo, fargli
segno di rimettersi giù.
Ma
troppo tardi.
André
si sentì prendere per le
spalle, rivoltare come un calzino.
«Sei
tu la spia?»
Una
domanda, una voce che non
conosceva, uomini che avevano diviso la cella con lui, e che ora
sorridevano.
Spia
di chi?
Avrebbe voluto chiedere.
«Dev’essere
lui» intervenne un altro.
Il
primo pugno gli strappò il
respiro. Al secondo, André reagì colpendo a sua
volta. Ma erano tanti, troppi…
e colpivano forte, incassando botte meglio di lui.
«Lasciatelo!»
gridò il ragazzo. «Non
è lui! Non può essere lui! È appena
arrivato, è nuovo! Non c’entra niente!»
Udì
quelle parole sdraiato sul
pavimento lurido della cella, guancia a guancia con la pietra lercia
sotto di
lui. Gli occhi chiusi, il fetore degli uomini, il sapore del
sangue…
Lo
avevano colpito, come il giorno in
cui aveva creduto che Oscar si sarebbe sposata.
E
ora, come allora, si ritrovò a
piangere a terra, mentre le voci intorno a lui sembravano sfocare come
una
nebbia. Si allontanavano… o forse era lui ad allontanarsi?
Sentì
il sale delle lacrime scivolare
sul volto tumefatto, fino alle labbra spaccate. Bruciavano come fuoco,
ma a
fargli male, a fargli male davvero, era il pensiero di Oscar, di
ciò che aveva
o avrebbe fatto, non vedendolo tornare.
Ti
prego, Oscar…
invocò dentro di sé. Non
tornare dal Generale, non tornare da lui.
Note
dell’autrice:
E
siamo di nuovo in ritardo! Mi
dispiace, sono stata male e non sono riuscita ad aggiornare.
In ogni caso, se entro una settimana
non riuscissi a essere puntuale, aspettatemi. Che siano dieci giorni,
quindici
al massimo, io ci sarò.
Grazie, come sempre, a Katia, che
sopporta i miei vaneggiamenti! E a Soni, a Rita, a Fabio.
E grazie a chi legge, segue, commenta
o preferisce! Vi lascio il link a una storia di genere storico che ho
pubblicato poco tempo fa: Alba Cosacca. Leggetela, se volete!
A presto!
Celtica
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3362364
|