The Bling Ring 2.3 - Come what may

di Light2015
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arresto ***
Capitolo 2: *** C'è posta per me ***
Capitolo 3: *** Deal. With the Devil. ***
Capitolo 4: *** I mille volti di Paris ***
Capitolo 5: *** Il passato che bussa alla porta ***
Capitolo 6: *** Sposami ***
Capitolo 7: *** Self-control ***
Capitolo 8: *** Something about Mark ***
Capitolo 9: *** Una sfortunata coincidenza ***
Capitolo 10: *** Puzzle ***
Capitolo 11: *** Una nottata... stupefacente ***
Capitolo 12: *** So wake me up when it's all over ***
Capitolo 13: *** Big Bro ***
Capitolo 14: *** Una vecchia conoscenza ***
Capitolo 15: *** Il sogno nel cassetto ***
Capitolo 16: *** All about loving you ***
Capitolo 17: *** Nel nome del padre ***
Capitolo 18: *** Last time (parte 1) - In ricchezza e in povertà ***
Capitolo 19: *** Last time (parte 2) - Ritardi e puntualità ***
Capitolo 20: *** Wedding ***



Capitolo 1
*** L'arresto ***


Capitolo 1
L'arresto


Era trascorso poco più di un mese da quando io e Nicki ci eravamo trasferiti nella villa sulla collina a Malibu. Il trasloco non fu facile perchè dovemmo trasportare tutto noi in macchina in più e più viaggi, dopotutto erano tutti capi e oggetti rubati, non potevamo affidare a nessun'altro un compito simile.
Io finalmente mi sentivo al centro del mondo, avevo tutto. Avevo iniziato anche il Master all'università perchè non riuscivo a stare senza fare niente, soprattutto considerando che Nicki aveva ancora qualche esame da sostenere prima della laurea. Comunque il movimento in casa non ci mancava da quando avevamo Paco, il cucciolo di terranova che mi aveva regalato lei. Onde evitare disastri gli insegnammo a rimanere in giardino nella sua casetta salvo brutte situazioni metereologiche.
Nonostante ci fossimo trasferiti li da più settimane non avevamo ancora chiamato né la mia famiglia, né la madre di Nicki a vedere la casa. Quel giorno ci era sembrato perfetto, eravamo entrambi liberi da impegni, la villa era in ordine ed era una giornata limpidissima il che rendeva la vista sul mare uno spettacolo. Si presentarono i miei genitori e mia sorella maggiore Emily. Ero un po' teso. Sapevo che mio padre non avrebbe mancato di indicare anche il minimo difetto della casa. O mio. Quando arrivarono rimasero invece stupiti dall'enorme open space al piano terra con la vetrata altissima che raggiungeva anche il piano di sopra e dava sul giardino sull'oceano. Mi sentii dannatamente orgoglioso di quella vetrata. Mostrammo loro anche tutto il piano superiore comprendente tre camere da letto, due bagni e uno studio. Erano stupiti e perplessi. Rispiegai loro per la centesima volta la questione dell'omicidio e dell'agenzia immobiliare che non riusciva a vendere. Mi scocciava rispiegarlo ogni volta perchè mi scocciava mentirgli ogni volta sulla questione dei soldi. Non c'era stato nessun mutuo, avevamo pagato in contanti, rubati, ma non potevo certo dirgli quello. L'unica che sapeva la verità era Emily.
Li facemmo accomodare su divano e poltrone davanti alla vetrata.
- “Beh si, devo ammettere che avete fatto un affare” disse mio padre con tono piatto guardandosi intorno. Mia mamma era decisamente più entusiasta: “Sono felice per voi ragazzi, e tu tesoro sei sempre più bella” disse rivolgendosi a Nicki. Loro due andavano molto d'accordo, non era esattamente il tipo di rapporto che ci si aspettava tra fidanzata e 'suocera'.
- “Grazie, sono felice che siate potuti venire finalmente. Abbiamo dovuto sistemare molte cose”
Emily ghignò con uno sguardo complice: “Immagino”. Nicki le sorrise, si erano intese. Anche tra di loro i rapporti erano molto buoni, soprattutto da quando regalavamo a mia sorella borse di Jimmy Choo originali ad ogni compleanno e natale.
Mia mamma non si accorse di niente e iniziò cone le domande scomode.
- “Allora Nicki dimmi, com'è vivere con Alex? Quanti disastri combina al giorno?”
- “Mamma...”
- “Un po'” rise, poi vedendomi semi offeso aggiunse “No è un ottimo casalingo, cucina anche molto bene, prepara delle cene fantastiche”
- “A casa da noi non ha mai messo mano ai fornelli. Nemmeno si faceva il letto”
- “Qui ci prova, ma gli viene sempre male”
- “Scommetto che ci vuole pazienza a viverci insieme” disse mio padre, sapevo che voleva farmi innervosire.
- “No è... divertente” Nicki mi guardò e sorrise. Il 'divertente' era un riferimento a quel giochino con la benda che facevamo ogni tanto. Fermi, fermi! Quando dico 'giochino con la benda' non mi riferisco a qualcosa di sconcio stile 'Cinquanta sfumature di grigio' ma a quella sfida che lei aveva lanciato dopo due giorni che vivevamo li. Io dovevo bendarmi e lei mi faceva girare su me stesso prima di aggrapparsi alla mia schiena, dopodichè iniziava a darmi indicazioni su come arrivare in camera o da un'altra parte, oppure io dovevo indovinare dove mi aveva portato. Diceva che era una cosa che si basava sulla fiducia quindi non potei rifiutare o l'avrebbe presa male. Il problema fu che al primo tentativo, Nicki si distrasse rispondendo ad un messaggio sul telefono e andammo a sbattere contro lo stipite della porta. Anzi, andai a sbattere. Quella prima volta la serata terminò con un sacchettino di ghiaccio sul naso. Per i tentativi successivi la obbligai a lasciare il telefono sul tavolo. Non fu facile nemmeno così perchè veniva da ridere ad entrambi continuamente.
Mia madre si accorse che ci eravamo bloccati a guardarci sorridendo: “Poi vivere qui deve aver migliorato anche i vostri rapporti... voglio dire, in camera da letto.”
Mia sorella ed io urlammo all'unisono: “Mamma!”
Mio papà alzo gli occhi al cielo, Nicki rise.
- “Che c'è? E' normale, siete giovani... e lei è bellissima, è normale”
Suonarono alla porta.
- “Perchè suonano alla porta? Non l'avete chiuso il cancello?” chiesi irritato. Volevo fosse tutto chiuso, sempre.
- “Ah no, forse lo abbiamo solo socchiuso”
Mi alzai svogliato e andai ad aprire. Mi ritrovai davanti quattro agenti di polizia.
- “Lei è Alexander William McHale?”
- “Si...” risposi titubante “Che... che succede?”
- “Lei è in arresto”
- “Cosa?”
- “Per favore ci faccia entrare”. Ma erano già dentro casa, io ero semplicemente bloccato.
Sentii i miei genitori allarmarsi alla vista della polizia. “Che succede?”
- “Nicki!” urlai. Lei arrivò di corsa: “Voglio vedere il mandato”. Un agente tirò fuori un foglio e glielo porse, lei lesse con sguardo scioccato. Mi afferrarono, sentii le manette ai polsi.
- “No, no, c'è un errore!”
- “Signor McHale lei ha diritto a rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà o farà, potrà e sarà usata contro di lei in tribunale...”
- “Oh mio Dio...” mia mamma andò nel panico.
- “Ha diritto ad un avvocato. Se non potrà permettersi un avvocato gliene sarà consegnato uno d'ufficio. Ha compreso questi diritti?”
- “Si ma...”
- “Andiamo, venga con noi”. Mi strattonarono per portarmi fuori.
- “No! Nicki! Nicki!”
- “Alex!” la sentii urlare da dietro.
- “Signorina per favore stia indietro”
- “Nicki! Chiama un avvocato! Chiama un avvocato!”
Vidi le due auto della polizia sul vialetto. Mi costrinsero a salire, tenendomi la testa abbassata e mi chiusero dentro. Guardai la mia famiglia fuori dal finestrino, non sapevo che diavolo fare. Com'era successo? L'auto partì con la sirena accesa e a velocità sostenuta.
Mi portarono al Penitenziario di Los Angeles poco fuori città. Da li si vedevano i grattacieli del centro ma la struttura era vicino all'autostrada in una zona desertica. Guardai i palazzi di vetro stagliarsi contro il cielo azzurro, la città degli angeli. Il paradiso in cui vivevo era un sogno infranto. Arrivai negli uffici scortato dagli agenti. Faceva caldo. Mi spiegarono che avrei dovuto lasciare tutto quello che avevo nelle tasche li da loro e che l'indomani avrei potuto vedere un avvocato. Rimasi in silenzio cercando di capire come fosse successo e cosa potevo fare. Mi condussero in un lungo corridoio dove pensai tenessero persone soggette a custodia cautelare, cioè non un vero carcere. Ma non ne sapevo molto, piuttosto ci speravo.
- “Ecco tu sei qui”
L'agente aprì la cella facendo scorrere l'entrata a sbarre. Entrai lentamente, mi chiuse dentro e se ne andò. Era di pochi metri quadrati. Guardai bene quello spazio, era meno della metà del bagno più piccolo che avevo a casa. Notai la brandina squallida, sentii il cigolio quando mi ci sedetti. Faceva caldo, ero sudato. Ripensai a quell'ultimo mese alla villa. Il giardino sul mare, la piscina, l'aria, il divano comodo, il bagno di marmo, la camera da letto. Ripensai a lei. Mi coprii il volto con le mani, mi veniva da piangere ma ero talmente frustrato e preoccupato da non riuscirci. Stavo perdendo tutto.

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Capitolo 2
*** C'è posta per me ***


Capitolo 2
C'è posta per me


Ero in un ampio salone. Il pavimento era in marmo bianco. Avanzavo titubante. C'erano i miei genitori, mia sorella, gli ex colleghi di università, persino vecchi amici di infanzia che non vedevo da almeno dieci anni. Ai lati notai persone che nemmeno conoscevo, non ne distinguavo i volti ma c'erano. Procedetti lentamente. Avevano tutti lo stesso sguardo duro. Di disapprovazione. Mi sentivo minacciato dal peso dei loro giudizi. Lo sapevano. Raggiunsi il fondo della sala, c'era una cassaforte piuttosto grande, ci sarei potuto entrare in piedi senza problemi. Lo sportello era socchiuso. Allungai la mano per aprirlo ma dentro non c'era niente. Ero terrorizzato. Mi voltai verso quella folla immobile e inquietante che ancora mi osservava. Lo sapevano. Nicki dov'era? “Dov'è lei?” ma nessuno rispose. Ero agitato, faceva caldo. Il terrore si impadronì di me. “Non ho fatto niente!” Si avvicinarono a me. “Non ho fatto niente!”
Mi svegliai di soprassalto. La brandina cigolò quando mi issai sui gomiti. Ero sudato. Mi misi a sedere. Osservai le sbarre e quei quattro metri di spazio che temevo sarebbero diventati la mia dimora per chissà quanto. Cercai di calmarmi e di dormire per le ore mancanti ma non riuscii più a chiudere occhio. La fredda luce del giorno arrivò accompagnata da suoni e rumori che mi erano sconosciuti. Verso le otto e mezza fece capolino un'ombra fuori dalla mia cella. Era un agente, diverso da quello del giorno prima.
- “Vieni, il procuratore ti vuole vedere”
Lo segui malinconicamente fino agli uffici del penitenziario. Avrei dovuto inventarmi qualcosa? No, aspetta. Potevo non rispondere se non avessi avuto prima un avvocato. L'agente mi invitò ad entrare in una saletta illuminata solo da una lampada al neon sul soffitto. Da li non si capiva nemmeno se fuori fosse giorno o notte. Al centro c'era un tavolo al qualche era appoggiato quello che doveva essere il procuratore. Sfogliava un fascicolo.
- “Alexander William McHale? Venga”
Entrai, mi invitò a sedermi. Lui rimase in piedi. 'Niente avvocato, niente risposte' continuavo a ripetermi nella testa.
- “Allora, lei sarebbe accusato di violazione di proprietà privata e furto”. Mi sentii gelare il sangue. Lo sapevano.
- “C'è un errore.” Mi lasciai sfuggire.
- “Infatti”
Ecco... aspetta, cosa?!
- “Anche se questa foto non mente” Mi mostrò un'immagine presa da una telecamera ad infrarossi all'interno di una villa. Non capivo quale però. Il procuratore notando il mio sguardo confuso aggiunse: “La denuncia è stata ritirata questa mattina, probabilmente chi l'ha accusata ho solo voluto farle uno scherzo... tra amici.” Aveva lo sguardo di chi non crede minimamente a quello che sta dicendo. “Sono solo perplesso nel vedere chi è stato a fare una cosa simile”
- “Perchè chi è stato?”. Capivo sempre meno.
- “Non sono qui per entrare nel merito della questione, McHale. Avevo solo il compito di informarla di quanto accaduto e di consegnarle il suo fascicolo. Deve passare a ritirare i suoi averi che le sono stati sequestrati ieri sera e mettere qualche firma. Jones l'accompagnerà per la pratica, dopodichè è libero di tornare a casa.”
Incredulo uscii dall'ufficio e seguì l'agente, Jones, che era venuto a prelevarmi dalla cella per portare a termine la noiosa faccenda burocratica. Riuscii anche, e per fortuna, a chiamare Nicki. La tranquillizzai senza dirle nei dettagli cosa fosse successo e le chiesi di venirmi a prendere. Nell'attesa decisi di aspettarla fuori dalla struttura così cominciai a passeggiare del piazzale deserto da cui ero transitato la sera prima in macchina. Quando ero ancora ammanettato. Volevo sapere chi diavolo era stato a farmi questo brutto “scherzo”. Era qualcuno che ovviamente sapeva la verità. Aprii la cartellina che conteneva quattro fogli. Il primo era la dichiarazione dei miei oggetti sequestrati e restituiti, il secondo una copia del rilascio da me firmata quella mattina. Venni al terzo, la denuncia. Scorsi lo sguardo cercando solo un nome. Lo trovai e non credetti ai miei occhi. Nel quarto, il ritiro delle accuse portava lo stesso nome.
- “Non è possibile...” balbettai tra me e me.
Nicki arrivò dopo quaranta minuti ma a me ne sembravano passati solo cinque in quanto ero totalmente immerso nel tentativo di fare luce su quanto accaduto. Parcheggiò malamente il Suv e mi venne incontro seguita da Sam.
- “Stai bene?” mi abbracciò.
- “Si tranquilla...”
- “Ma che è successo?” chiese Sam.
Sospirai. “Qualcuno mi ha denunciato per furto, allegando anche questa bellissima fotografia” estrassi l'immagine a infrarossi poi continuai “Questa mattina la stessa persona ha ritirato tutto facendo probabilmente credere agli agenti che è stato solo uno scherzo. Una bravata”
- “E chi diavolo è stato?”
- “E qui viene il bello”. Porsi il foglio a Nicki che spalancò gli occhi.
- “Paris Whitney Hilton?!”
- “Già... ora io vorrei capire perchè diavolo ha fatto una cosa del genere. A questo punto sa che sono colpevole, ha le prove. Perchè ritirare la denuncia?”
Sam mi prese dalle mani la cartellina e analizzò tutti i fogli scuotendo la testa, frustrata dal non riuscire a trovare una risposta. Nicki prese in mano la situazione “Per prima cosa torniamo a casa, poi diamo una controllata su internet e vediamo di capirci qualcosa”
Tornare a Malibù risultò piuttosto frustrante, il traffico in centro città a quell'ora era invivibile. Eravamo bloccati in coda e Sam continuava a riguardare quei fogli.
- “Ormai li sai a memoria” le dissi voltandomi. “Non penso nemmeno troverai una risposta”
- “Hai ragione... ma è assurdo”
- “E vai avanti!” Nicki, che era alla guida, cominciò a inveire contro la macchina che ci precedeva che però non si mosse. Sbuffò e si arrese appoggiandosi alla portiera.
- “Cloe ha chiesto se ti siamo venute a prendere, le rispondo” mi disse Sam che controllava il cellulare, io annuii. “Scrivo anche a Mark?”
- “No...” rispose Nicki.
- “Glielo hai detto cosa è successo?”
- “Si, ho dovuto...” Il suo tono si fece malinconico. “Si è innervosito parecchio ieri, soprattutto con me. Alex magari scrivigli che stasera lo chiami, almeno si calma”
Tirai fuori il mio telefono. “Come mai l'ha presa così male?”
Nicki fece spallucce. “E' un po' strano ultimamente...”. L'auto davanti finalmente avanzò e noi la seguimmo. Portammo a casa Sam e poi tornammo a Malibù. Erano passate quasi tre ore da quando ero uscito dal carcere, avevo dormito poco e male ed ero abbastanza stravolto.
- “Aaahh, casa dolce casa!” esclamai una volta nell'ingresso. Paco arrivò abbaiando, mi abbassai per accarezzarlo. “Hei! Sono qui! Sono qui! Come sei cresciuto!”
Nicki rise “Sono passate meno di ventiquattrore! Ah, ieri ha dormito con me”
- “Seee, l'hai fatto entrare in camera?”
- “Ci mancavi... ma da stasera torna nella sua cuccia fuori”
- “Anche perchè altrimenti divento geloso”
Andai in bagno, mi guardai allo specchio. Avevo un aspetto veramente orrendo. Ed ero stato là dentro solo una notte, non so come ne sarei uscito se avessi dovuto rimanerci qualche anno. Quando tornai al piano di sotto Nicki era nell'area cucina, stava in piedi appoggiata al tavolo e controllava il cellulare. Aveva davanti a sé della posta che non era ancora stata aperta. La afferrai da dientro avvolgendole le braccia intorno ai fianchi e appoggiando la testa sulla sua spalla.
- “Hai telefonato ai tuoi?”
- “Non ancora”
- “Lo immaginavo, infatti ho appena mandato un messaggio a Emily per dirle che sei a casa e che più tardi li chiami”
- “Sei un'ottima segretaria. Sei anche vestita un po' da segretaria in effetti” Aveva una camicia bianca e una gonna nera piuttosto corta.
- “Ero pronta per andare dall'avvocato stamattina prima che telefonassi”
Le scostai i capelli e la baciai sul collo. Adoravo il fatto che si fosse data così tanto da fare in così poco tempo per me. Sapevo di potermi fidare ciecamente di lei. Lasciò scivolare il telefono sul tavolo. La abbracciai più forte. Sentii le sue mani sulle mie. La strinsi a me e lei si appoggiò al mio petto.
- “Non sono riuscito a dormire ieri notte”
- “Nemmeno io. Ho cenato con i tuoi ma quando se ne sono andati mi ha fatto un po' impressione rimanere da sola. C'era troppo silenzio, non sono più abituata a stare senza di te...”
- “Come sei sentimentale... Dov'è finita la Nicki cazzuta che quando dico...”
- “Vaffanculo!”. Si staccò dal mio pettò senza riuscire a nascondere un sorriso e afferrò la posta sul tavolo. Risi anche io pentendomi però di aver rovinato quel momento.
- “Vado a farmi una doccia”. Ma dopo pochi passi mi dovetti fermare.
- “Torna qua!” Mi voltai e vidi che reggeva in mano una busta color rosa chiaro. “Chi è che ti scrive con una bustina del genere, con tanto di profumo e inchiostro glitterato?!”
- “Non lo so” Tornai indietro e gliela tolsi dalle mani. Lei si appoggiò con una mano al bancone della cucina mentre l'altra la teneva sul fianco guardandomi con disappunto.
- “Guarda che sta tornando la Nicki cazzuta”
- “Non lo so chi è che l'ha mandata!” ripetei provando ad aprirla. “Magari è Alexis che ci invita ad una delle sue serate da VIP, sei tu che non ci sei mai voluta andare...”. Aprii la dannatissima busta, c'era solo un foglio di stessa grandezza e colore (e profumo). Lessi ad alta voce:


“Domani sera alle 10,00 pm alla villa. Venite tutti e cinque. Paris”

Ecco, diciamo che dalla faccia di Nicki capì che avrebbe preferito fosse Alexis. E anche io.
- “Chiamo le ragazze”
- “E io Mark”
Si ricominciava. Anche questa volta, senza sapere però come, eravamo di nuovo nei casini.

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Capitolo 3
*** Deal. With the Devil. ***


Capitolo 3
Deal. With the Devil.


Il lungomare di Santa Monica al mattino era uno dei miei luoghi preferiti di sempre. Quando io e Nicki raggiungemmo il “Sunset”, c'erano già Mark e le ragazze ad aspettarci. Lui mi abbracciò, un po' come se non mi vedesse da tanto. In realtà erano state meno di due settimane, in più ci eravamo sentiti quasi ogni giorno. A parte la sera del carcere. Ci sedemmo nei divanetti fuori dal locale e ordinammo da mangiare. Solitamente mi piaceva fare colazione fuori ma da quando abitavo a Malibù avevo iniziato ad apprezzarla di più anche a casa.
- “Ho fatto un po' di ricerche ieri sera su internet e non ho trovato niente di strano riguardo a Paris” Disse Sam. “Quindi vuol dire che è proprio una cosa tra noi e lei, non ne ha fatto parola con nessuno. Altrimenti l'avrebbe saputo chiunque su internet”
Cloe fece una faccia poco convinta “Sempre che sia davvero lei...”
- “Beh ci sono le sue generalità sulla mia denuncia alla polizia” dissi.
- “Chissà cosa vuole”
- “Non lo so ma è veramente una rottura di coglioni. Non si può mai stare tranquilli”
Arrivò da mangiare.
- “Avrà anche denunciato Alex, ma sa che siamo coinvolti tutti. Ha scritto “Venite tutti e cinque”. Cristo chissà quante immagini nostre avrà.”
- “Saprà anche tutto quello che le abbiamo rubato”
- “Si ma perchè non ci ha mai denunciati tutti prima se sapeva?”
- “Se avesse voluto l'avrebbe fatto... c'è sicuramente dell'altro”
Mentre noi dibattevamo sui come, i ma e i perchè, notai che Nicki non aveva ancora aperto bocca. Guardai alla mia sinistra e la vidi concentrata a fissare un punto lungo la passeggiata.
- “Nicki? Va tutto bene?”
- “Si... si...”
Si voltò verso di me con un sorriso malinconico. Le avvolsi un braccio intorno alle spalle rivolgendo frettolosamente lo sguardo nello stesso punto dove stava guardando lei ma non notai niente di strano.
- “Mi sembrava di aver visto una persona che conoscevo ma mi sono sbagliata. Allora...” disse tornando a rivolgersi a tutti. “Stasera andiamo con due macchine, ci possiamo vedere direttamente la, tanto la strada la sappiamo. Anzi, stavolta abbiamo anche l'invito”

 

***


L'ingresso principale della villa della Hilton riportò alla mente parecchi ricordi. Soprattutto uno: quella sera quando pensai che quel pezzo di asfalto sarebbe stato l'ultima cosa che avrei visto.
- “Forse era meglio se non venivi” mi disse Mark notando quel mio attimo di riflessione.
- “Naaa, figurati. Piuttosto, immagino che qualcuno debba suonare il campanello”
C'era effettivamente una sorta di citofono sulla destra della cancellata e Cloe si propose come volontaria. Entusiasta all'idea di citofonare a Paris Hilton.
- “Cosa dico?”
- “'Siamo noi, quelli che ti hanno derubata'” risposi.
Premette il bottoncino e il cancello si aprì con uno scatto senza che ci venisse posta alcuna domanda. Entrammo in po' titubanti nonostante conoscessimo benissimo la proprietà. Arrivati al portone notammo che era semiaperto anche quello. Cloe vi appoggiò una mano e prima di spingere si voltò a guardarci. Nicki annuì. Io feci spallucce. Non è che avessimo molta altra scelta. L'interno era ben illuminato, lucente, lussuoso oltre ogni immaginazione. Soprattutto l'imponente scalinata principale in marmo che protava al piano superiore. Quando eravamo venuti per i nostri furti eravamo sempre rimasti più o meno in penombra, non avremmo mai acceso così tante luci. All'improvviso fece capolino una ragazza bionda, di bell'aspetto anche se troppo magra. Pensai fosse una modella. Ci sorrise.
- “Paris vi aspetta di là, seguitemi”
Mi infilai le mani nelle tasche della giacca e mi avviai seguito da Mark e le ragazze. Il pavimento era talmente limpido da potercisi specchiare e la gomma della suola delle mie scarpe scricchiolava fastidiosamente ad ogni passo. Rimanemmo al piano terra e una volta in fondo al corridoio ci fermammo davanti ad una porta chiusa.
- “Prego” Disse la ragazza bionda.
Visto che ero davanti io mi occupai di aprire. L'immagine che mi si presentò aveva un che di surreale. La stanza era spaziosa ma arredata con colori tendenzialmente rosa. Dai tappeti, alle pareti, alle sedie. E al centro c'era lei. Paris. Seduta su una ingombrante poltrona fucsia. Come una regina sul suo trono all'interno della sua reggia. Sorrise vedendomi, ma sembrò di più un ghigno.
- “Entrate, avanti... non siate timidi. So che non lo siete”
Avanzai lasciando che entrassero anche gli altri. Una volta dentro, la ragazza bionda chiuse la porta alle nostre spalle lasciandoci soli con lei. Paris continuava a sorridere ma nessuno se la sentì di dire una sola parola.
- “Bellini che siete.” disse spostando lo sguardo dall'uno all'altra. “Non sapete quanto vorrei vedervi dietro le sbarre”
- “Cosa sai?” chiese Sam. Lei rise.
- “So che siete entrati almeno tre volte in casa mia portando via vestiti, gioielli, soldi e chissà cos'altro” Almeno tre. Saranno state anche sette o otto se contiamo quando io non facevo ancora parte del gruppo e le visite di Alexis e dei suoi ragazzi. Pensai di informarla di quest'ultima cosa.
- “Non siamo sempre stati noi. C'è anche un altro gruppo che...”
- “Oh lo so bene. Lo so bene. Alexis Neiers si è costruita una carriera grazie alla mia fortuna, o sfortuna. Voi invece siete stati molto più discreti.” Soffermò il suo sguardo su di me. “Tu sei Alex vero? Il ragazzo che un anno e mezzo fa circa è stato quasi ucciso da due agenti qui davanti per difendere la sua fidanzata...” Guardò Nicki che era al mio fianco. “E tu sei la fidanzata, immagino”
- “Cosa vuoi da noi?” Chiese lei.
- “Vorrei indietro tutto quello che mi avete rubato fino all'ultimo centesimo e come ho detto prima, vedervi in cella ma...” Alzò l'indice, come per avvertici, era molto teatrale. “Ma ho deciso che rinuncerò a tutto questo se svolgerete qualche lavoretto per me”
- “Che tipo di lavoretto?”
- “Avete esperienza ad entrare nelle ville, siete organizzati e affiatati. Ci sono delle persone nello show business che mi hanno fatto qualche torto. Voglio che entriate nelle loro case e le mettiate a soqquadro. Letteralmente. Se trovate qualcosa di valore potete anche tenerlo, non mi interessa. In cambio non vi denuncerò e amici come prima. Che dite? A parte che non mi sembra che siate nella posizione di poter contrattare”
Aveva ragione, non avevamo scelta. Era un ricatto bello e buono ma era l'unica via per non rovinarci.
- “Cosa intendi per mettere a soqquadro?”
- “Per cominciare pensavo che potreste appiccicare questi per tutta la casa di Kenye West” Tirò fuori da un tavolinetto dietro la poltrona una manciata di volantini, fogli A4 con il suo primo piano stampato sopra. “Si c'è la mia faccia ma nessuno potrà provare che l'idea venga da me, sarà visto solo come uno scherzo da qualche fanatico”
- “E se qualcuno dovesse vederci?”
- “Non accadrà, mi assicurerò che possiate entrare indisturbati e se dovreste mai finire nei guai vi tirerò fuori io”
- “Quante volte dovremmo farlo?”
- “Sette. Ma saranno tutte idee diverse. Come le sette piaghe d'Egitto, le sette piaghe della Valley.”
Mi sembrò assolutamente folle e, di nuovo, teatrale. Ma non avevamo altra scelta. In più l'idea di poter comunque tenerci oggetti di valore mi allettava.
- “Per me va bene...” dissi.
- “Meraviglioso”
- “Quindi, vediamo se ho capito bene” Nicki fece qualche passo avanti “Paris Whitney Hilton, tu ci assicuri che se noi entreremo in sette ville facendo ciò che dici tu alla fine ci lascerai stare?”
- “Si”
- “E che se finiremo nei casini ti preoccuperai di aiutarci?”
- “Esatto”
- “Anche perchè... se cadremo, ti porteremo giù con noi”. In quel momento Nicki fu il ritratto della minaccia e per la prima volta vidi Paris cancellare il sorriso dal suo volto.
- “Affare fatto”. Si strinserò la mano. Patto col diavolo, ma non ero sicuro di sapere chi delle due lo fosse.
- “Allora, quando cominciamo?” chiese Sam.
- “Vi manderò nei prossimi giorni tutto l'occorente, compreso un van. Almeno girerete più comodi e senza dover usare le vostre auto”. Paris si portò una mano sotto al mento e il suo sguardo, questa volta, si fermò proprio su Sam. “Quel coprispalle è mio per caso?”
- “Oh, questo? Eh... beh, può essere, si...”
Mark alzò gli occhi al cielo, Cloe rise. “Cazzo Sam... hai scelto proprio la serata giusta per indossarlo”
- “Potrebbe esserlo come no! Chi se lo ricorda dove l'ho preso! Paris guarda, potrebbe essere anche di Megan Fox a quanto ne so”
Uscimmo dalla villa e tra di noi c'era parecchia eccitazione. Ci fermammo davanti alle nostre auto, io e Nicki dovevamo tornare a casa a Malibù ma io ero un fiume in piena.
- “Guardando il lato positivo ci potremmo arricchire ulteriormente e con una sicurezza in più. Cazzo chissà cosa troviamo da Kanye! Poi dai, sono solo sette... secondo me è un'occasione. Certo è pur sempre un ricatto ma...”
- “Se non è soddisfatta di qualcosa può sempre incastrarci” riflettè Cloe. “Non dovremmo fare cazzate perchè ha le prove e ci può rovinare”
- “Oh ma ragazzi...” Nicki sorrise, si appoggiò alla mia auto. Aveva gli occhi che brillavano. Tirò fuorì il cellulare che spuntava dalla tasca dei cortissimi jeans che indossava. L'audio si sentì chiaramente:
- “Quante volte dovremmo farlo?”
- “Sette. Ma saranno tutte idee diverse. Come le sette piaghe d'Egitto, le sette piaghe della Valley.”


Allargai le braccia incredulo. Lei mandò avanti la registrazione.

“Paris Whitney Hilton, tu ci assicuri che se noi entreremo in sette ville facendo ciò che dici tu alla fine ci lascerai stare?”
- “Si”
- “E che se finiremo nei casini ti preoccuperai di tirarci fuori?”
- “Esatto”


Dopotutto, il diavolo veste Prada.

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Capitolo 4
*** I mille volti di Paris ***


Capitolo 4
I mille volti di Paris

Un van Mercedes nero con vetri oscurati era parcheggiato davanti a casa, le chiavi erano in una busta nella cassetta della posta. Paris ci aveva procurato quello ed altro per il primo compito che ci aveva affidato. Per non dire costretti a portare a termine. Quando aprii il retro nel van trovai una enorme quantità di stampe formato A4 con retro autoadesivo rappresentanti un primo piano ammiccante di Paris (sfondo rigorosamente rosa). Avrei avuto incubi per settimane se mi fossi trovato la casa tappezzata di quella roba. Ma era quello che lei aveva voluto per Kenye West. Più ci pensavo e più realizzavo quanto questa storia fosse ridicola, ma pur di non trascorrere il resto della mia gioventù in carcere ero disposto a questo e altro. Quella sera era anche il compleanno di Cloe per cui cenammo a Santa Monica e passammo il resto del tempo ordinando drink (per me rigorosamente alla frutta) fino all'ora prestabilita per andare a Hidden Hills. La villa di Kanye era più grande di quello che mi aspettavo. Paris ci aveva procurato ogni possibile marchingegno per entrare. Il più utile? Le chiavi di casa. Non sapevamo come fosse riuscita ad averne una copia, ne lo volevamo sapere, il problema era un altro.

- “Spiegatemi una cosa" dissi appena sceso dall'auto e raggiunto l'ingresso "Come diavolo facciamo a riempirla tutta questa casa?! Quei volantini sono fogli A4, ci vorrà una vita!"

- “Penso basti invadere per bene gli spazi principali" disse Sam.

Entrammo. Già a vedere l'estensione di sala e cucina mi venne voglia di andarmene. Nicki mi riprese.

- “Non iniziare a fare problemi!" e mi mise in mano un pacco da almeno 200 fogli. Io e Mark iniziammo ad appiccicare quella roba in sala. Avrei voluto fare almeno un po' di conversazione ma lui non sembrava averne voglia, mi rispondeva quasi a monosillabi. Dopo circa venti minuti arrivò Cloe che doveva essersi occupata del corridoio al piano terra.

- "Come siete precisini"

Guardai il muro, erano file di facce di Paris perfettamente orizzontali e misurate

- "Basta che ne mettete un po' ovunque, non serve tale precisione maniacale!"

Aveva ragione, mi sentii vagamente idiota. Sbuffai attacandone un altro sul tavolino di vetro davanti alla tv.

- "Dov'è Nicki?" Chiesi.

- "L'ho vista salire di sopra prima"

Feci finta di attaccare un volantino alla schiena di Mark che ridendo si ribellò tirandomi una spinta e mi diressi verso l'open space dove c'erano le scale per salire al piano superiore. Non c'era un foglio attaccato a quelle pareti. Continuai ad avanzare in penombra finché non trovai Nicki in una stanza dalla luce tiepida di una lampada da scrivania. Stava frugando nei cassetti di quello che sembrava appunto essere uno studio. Era una stanza molto diversa dal resto della casa, i colori erano scuri e quasi tutti i mobili erano in legno massiccio.

- "Che stai facendo?" notai il pacco di fogli ancora alto sulla scrivania "Non ne hai attaccato nemmeno uno!"

- "Si... di sotto... qualcuno..." rispose distrattamente mentre continuava a rovistare nei cassetti.

- "Guarda che è più faticoso del previsto, dovresti darci una mano"

Sollevò lo sguardo, mi sorrise. Aveva quella luce negli occhi. Si mosse lentamente e raggiunse il lato della scrivania dove c'erano ancora tutti i volantini, vicino c'era una valigetta scura che non avevo notato. Il suo sorriso era sempre più compiaciuto. Appoggiai i miei fogli sulla sedia più vicina. Ora che aveva la mia completa attenzione apri la valigetta. Contanti. Era stracolma di contanti. Non potevo minimamente immaginare quanti fossero ma mi bastò il suo sguardo per capire. Mi diressi verso di lei e la baciai, le sue braccia mi avvolsero. La spinsi fino a farle toccare le ante di un imponente armadio in fondo alla stanza. Le sue mani scesero e le sentii prima stringere e poi allentare la cintura dei pantaloni. Le scostai il vestito, gia corto e le accarezzai una gamba. Non sapevo fin dove potevo spingermi, non era ne il luogo ne il momento adatto

- "Forse dovremmo aspett..."

- "Zitto e continua"

Solitamente era lei che mi fermava nei momenti sbagliati ma in questo caso non me lo feci ripetere due volte. Le afferrai le gambe in modo che le avvolgesse intorno alla mia vita. La baciai e cominciai a muovermi. Come suo solito affondo le dita tra i miei capelli stringendoli delicatamente. Mi concentrai su ogni suo respiro, su ogni suo movimento. La volevo così tanto, ma non solo in quel momento, la volevo in assoluto. Era un desiderio diverso dal solito. La sentii contrarsi, tendersi e gemere. Inarcò leggermente la schiena e mostrò il suo collo sensuale ora completamente vulnerabile, lo baciai. Ero invaso dal suo profumo, dal suo calore, dalla sua voce. I miei movimenti si fecero più intensi, lei si aggrappo con forza alla mia camicia affondando le unghie sulle spalle. Trattenne un urlo soffocato e la sentii venire contro di me. Io la raggiunsi subito dopo. Rimanemmo avvinghiati contro quell'armadio e riprendere fiato per qualche instante, poi la lasciai. Spostai i voltantini e mi sedetti sulla sedia. La guardai in piedi davanti a me mentre si sistemava il vestito e mi sorrideva dolcemente. Provavo qualcosa di più profondo nell'osservarla. Era come se definirla "la mia ragazza" sminuiva il tutto, era qualcosa di più.

- "A cosa pensi?"

- "A te"

- "Un inguaribile romantico" allungò una mano per farmi andare da lei. La assecondai. Mi sistemò il colletto della camicia e cerco di ordinarmi i capelli spettinati.

- "Che dici, attacchiamo un po' di quelli?" Chiesi riferendomi al blocco di fogli con la faccia di Paris ancora sulla scrivania.

Riempimmo il corridoio e tutte le stanze del piano. Infine tornammo al piano di sotto. Cloe, Mark e Sam erano in cucina a bere della birra trovata in frigorifero. Il loro malloppo di volantini era decisamente diminuito. Anzi, quasi finito. Ad occhio notai che erano rimasti trenta fogli o poco più.

- "Dove vi eravate imbucati?" Chiese Sam.

- "Abbiamo fatto il piano di sopra" dissi lasciandomi però tradire da un sorriso imbarazzato. Nicki nemmeno si prese la briga di rispondere e lanciò sul tavolo la valigetta (piuttosto grande a dire il vero, non una semplice ventiquattr'ore) che atterrò con un tonfo. Le ragazze esultarono alla vista del contenuto, Mark non trattenne un sorriso ma risultò molto più contenuto.

- "Ma questi?" Indicai i fogli mancanti "Finiamo?"

- "Se trovi posto..."

Mi guardai intorno, anche la cucina era tappezzata con facce di Paris. Andammo in sala. "Wow..." non ci eravamo resi conto di quanto facesse effetto tale visione. Decine e decine di sguardi ammiccanti della Hilton riempivano la villa. Considerando anche il fatto che erano terribilmente appiccicosi sul retro potevamo effettivamente constatare che a Kanye West avevamo appena rovinato la casa. Tirai fuori il telefono e scattai una foto panoramica da fare vedere a Paris. Quella vera.

- "Poi ricordati di cancellarla" Nicki era un po' contrariata.

- "Cazzo, abbiamo fatto un lavorone. Sono ovunque" disse Cloe portandosi le mani ai fianchi. Mi venne in mente un posto dove mancavano, la ciliegina sulla torta. Presi i fogli mancanti e costrinsi gli altri a seguirmi al piano superiore. Entrai nella camera da letto padronale, dove io e Nicki avevamo già appiccicato una enorme quantità ci volantini.

- "Che vuoi fare?" Mi chiese lei.

Sorrisi, salii in piedi sul letto. Il soffitto era alto poco più di tre metri da terra per cui con un balzo lo avrei potuto raggiungere. Staccai l'ennessima faccia di paris dalla pellicola adesiva, saltai e lo feci velocemente aderire al soffitto nella parte esattamente sopra i cuscini. Cloe rise.

- "Così appena si sveglia la vede... non sono facili da togliere"

- "Come ti è venuto in mente?!" Chiese Sam "Avrà gli incubi per settimane"

 

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Capitolo 5
*** Il passato che bussa alla porta ***


Capitolo 5
Il passato che bussa alla porta

Ero sdraiato sul divano, leggevo la biografia di Stephen Hawking. Nonostante non avessi mai studiato fisica certi argomenti mi avevano sempre affascinato. La ritenevo conoscenza pura. Erano trascorse poco piu di due settimane dalla serata alla villa di West, Paris era rimasta entusiasta del lavoro che avevamo svolto. Le avevo mostrato la foto scattata con il mio telefono prima di cancellarla e quell'immagine la divertì non poco, inoltre la notizia della casa infestata dai suoi primi piani era rimbalzata sulla maggior parte dei tg locali e siti di gossip.
- "Voglio andare in spiaggia" Nicki apparve all'improvviso, era a sistemare vestiti al piano di sopra e non l'avevo sentita nemmeno scendere le scale.
- "Oggi forse riesci anche a fare il bagno" dissi senza staccare lo sguardo dalla pagina. Poteva sembrare assurdo, solitamente chi pensa alla California pensa al caldo e al mare ma la realtà è ben diversa: le onde del pacifico sono fredde e incessanti soprattutto su questa parte di costa, il che rende poco scontata l'idea di farsi un bagno tranquillo.
- "Era un modo per dire 'andiamo in spiaggia'"
- "Che?! No dai, io sto bene qui" sfogliai pagina.
- "Non essere pigro, avanti!" Si avvicinò e fece per strapparmi il libro dalle mani.
- "No dai, Nicki!" Riuscì a divincolarmi e a tenere il libro, lei sembrò rassegnarsi.
- "E va bene... vorrà dire che farò due chiacchiere con qualche surfista"
Dannazione, conosceva i miei punti deboli e riusciva sempre ad averla vinta. Chiusi il libro e mi alzai. "Va bene, vengo..." notai il suo sorriso compiaciuto. Mi diede un bacio sulla guancia e si diresse verso le scale per il piano superiore.
- "Vado a prendere la roba, tu intanto cambiati". No choice. Feci il giro del divano e mi diressi verso l'area cucina per prendere da bere quando suonarono alla porta. "Quel cazzo di cancello..." bofonchiai tra me e me. Se c'era una cosa che mi irritava della casa era il cancello all'ingresso della proprietà che a volte rimaneva semi aperto facendo si che chiunque potesse arrivare fino al portone. Guardai lo schermo attaccato al muro sopra i comandi di apertura e vidi un uomo di mezza età piuttosto anonimo ma ben vestito. Sbuffai e aprii la porta.
- "Salve..."
- "È qui che abita Nicki Moore?"
Ero titubante "Si, lei è...?!"
- "Posso entrare? Sono venuto a trovarla"
- "Se mi dice chi è lei fors..."
- "Che ci fai qui?" Mi voltai, Nicki era poco dietro di me, il suo sguardo era un misto tra il sorpreso e l'arrabbiato.
- "Nicki!" L'uomo, entusiasta, entrò come se io non esistessi. Ci ritrovammo tutti e tre in piedi in sala. Io continuavo a non capire.
- "Chi è?" le chiesi. Ma rispose lui.
- "Sono suo padre"
- "Io non ho nessun padre. E vorrei continuare cosi"
- "Volevo rivederti, sono passati cosi tanti anni..."
Lei si portò le mani ai fianchi e si mosse in maniera insofferente.
- "So che mi hai visto qualche settimana fa a Santa Monica, avresti dovuto aspettarti una visita"
Ma certo, mi tornò in mente quel momento. Nicki sembrò ancora più in difficoltà, così decisi di intervenire.
- "Come ha saputo che era qui?"
Il volto dell'uomo si induri improvvisamente quando volse il suo sguardo su di me.
- "Ho i miei metodi" Ma certo. Tale padre, tale figlia. Era una frase che anche lei pronunciava spesso.
- "Vattene" disse lei autoritaria.
- "Forse è meglio se ci lascia ora..."
Ma fu come se non mi avesse sentito.
- "Sono qui per te, per recuperare il tempo perso. Lo sappiamo entrambi che aspettavi questo momento da tutta la vita"
Non era più l'uomo anonimo che avevo fatto entrare. Aveva gli stessi occhi di Nicki, stesso portamento. Era acuto, intelligente. Dava l'impressione di sapere sempre qualcosa in piu. Come lei.
- "Sono passati più di vent'anni, hai lasciato me e la mamma così... come se non contassimo niente"
- "So che non deve essere stato facile..."
Nicki sorrise amaramente "Non è stato facile, dici. Vediamo: ho dovuto sopportare la depressione della mamma sin da piccola, la sua storia con Mike, la nascita di Gabi e badare a lei rinunciando agli studi. Perché anche Mike, come tutti i padri, aveva altro da fare e mamma lavorava. E menomale che lavorava perché da te è arrivato ben poco! Non ti sei mai fatto sentire, qualche volta da piccola mi hai mandato gli auguri di compleanno. Accidenti che padre amorevole! E ora vieni qui dopo più di vent'anni... cosa ti immaginavi? Che ti buttassi le braccia al collo dicendo 'che bello, papà è tornato!'"
- "Ovviamente no, ma sei pur sempre mia figlia e da qualche parte dobbiamo ricominciare... mio Dio Nicki, sei diventata una donna così bella"
Calò un imbarazzante silenzio per qualche istante. Non avevo mai considerato la diffidenza di Nicki verso gli uomini. Prima suo padre, poi Mike, il compagno di sua madre, e infine il suo ex che mi risultava essere, dai brevi racconti di Sam, un bastardo.
L'uomo si guardò intorno.
- "Sembra che ora che le cose ti vadano meglio. Non fraintendere, sono contento per te"
- "Ho trovato qualcuno di cui fidarmi alla fine"
Lui mi guardò, come se mi avesse notato solo ora. Poi tornò a rivolgersi a lei.
- "Tua madre mi ha dato il numero. Ti chiamo in settimana per cenare insieme... anche con lei"Nicki non disse una parola, lo guardò voltarsi e andarsene.

***

Robert. Si chiamava Robert Vaughan. Nicki aveva tenuto il cognome di sua madre, Moore, dopo che lui le lasciò per trasferirsi a Chicago, dove già trascorreva molto tempo per lavoro, per ricostruirsi una vita con un'altra donna. Troppo infastidito dalla villetta con giardino uguale a tutte le altre del quartiere, dalla moglie elegante ma un po' svampita, da una bambina piccola di tre anni piuttosto lagnosa, dalla monotonia che riempiva ogni suo giorno. I periodi che trascorreva a Chicago erano aria fresca. Un'altra chance per un'altra vita. Occasione colta al volo. Poco importava lasciare la famiglia perché lui dopotutto non si riteneva né un buon marito né un buon padre. Sarebbe stata un'occasione per tutti. Nessun ripensamento, nemmeno per quella figlia che cresceva tremendamente matura e dannatamente intelligente.
Nicki mi raccontò attimi della sua vita che non conoscevo e che erano rimasti sepolti fino a quel momento. Ricevette gli auguri di compleanno da Robert fino agli otto anni, quindi per quattro volte. Ebbe l'impressione che suo padre si stufo di lei anche a chilometri di distanza. Ci provò Mike a costruire una famiglia ma tutto quello che rimase fu Gabi. Pensai a me, in quegli anni. Nel Maryland. Con genitori, sorella, nonni, zii, cugini, amici. Nicki non aveva avuto niente di tutto questo, solo un paio di tentativi finiti male. Un'illusione. L'illusione di qualcosa che per altre persone era assolutamente normale. Ci ripensai più volte mentre cucinavo la cena. Ancora e ancora. Lei era sul divano, lo sguardo fisso nel buio oltre la vetrata. Guardava ma sapevo che non vedeva. Pensava solamente. Un cd di Lana del Rey nello stereo. Le piaceva Lana del Rey.
- "Ci vorrebbe qualcosa di un po' più... allegro" dissi. Lei rispose dopo parecchi secondi.
- "Mi rilassa"
Finì di tagliare gli zucchini e li feci scivolare nella padella sul fuoco. Usavo zucchini ovunque. Le erano bastati dieci minuti di conversazione con suo padre per finire vittima di una completa malinconia. Robert aveva certamente una grande influenza su di lei anche se era stato assente per praticamente tutta la sua vita. E questo mi infastidiva. Era iniziato un nuovo brano di Lana.
"You say that you wanna go
To a land that's far away"

Andai da lei.
"That's not what this bitch wants,"
Not what I want at all"

Sorrisi ascoltando il testo. Le porsi una mano, lei la prese e si alzò. Appoggiai la mia fronte alla sua.
"I want money, power and glory,
I want money and all your power, all your glory"

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Capitolo 6
*** Sposami ***


Capitolo 6
Sposami


Un paio di volte in due settimane. Fu la frequenza con cui Nicki andò a cena con i suoi genitori. Da famiglia finalmente riunita. Quando mi raccontava di quelle serate capivo quanto ne fosse felice anche se di quell'entusiasmo ne nascondeva quasi ogni traccia. Troppo orgogliosa. Ma intravedevo quanto ci teneva. Io d'altro canto, in quelle due occasioni, rimasi a casa con Paco che ormai aveva raddoppiato la sua stazza da quando l'avevamo preso. Ultimamente avevamo visto poco Mark e le ragazze dopo la serata da West ma ormai il gruppo stava per riunirsi: Paris ci aveva convocato alla villa per la seconda volta senza anticiparci niente. E per un buon motivo. Iniziai a pensare che le piacesse osservare le nostre espressioni quando ci proponeva le sue idee. Questa volta toccava a Scott Storch.
- “Chi?” chiesi non avendo mai sentito quel nome.
- “E' stato il mio produttore... sai, per l'album”
- “Ah, certo...” Mi ero dimenticato che avesse inciso un album.
Scott era famoso, oltre che per la sua casa di produzione discografica, per esibire diamanti, occhiali da sole e cocaina. A quanto pare aveva fatto passare qualche guaio anche a Paris, che voleva vendicarsi. Non ci disse altro, manteneva sempre un minimo di riservatezza sulle sue vittime e i motivi di sopruso. Il problema era che questa volta l'impresa era piuttosto fisica. Dovevamo svuotare lo studio di registrazione a casa sua. Svuotare nel vero senso della parola, portando via mobili, attrezzature, cimeli e qualsiasi altra cosa. Dovevano rimanere quattro parenti bianche. Reagimmo come dei bambini ai quali fossero stati dati troppi compiti per le vacanze estive.
- “E come dovremmo riuscirci?” chiese Cloe.
- “Vi metto a disposizione un furgone!”
- “Non è tanto per la guida Paris, quanto per il portare fuori via quella roba... sono mobili!”
- “Siete giovani e in forze”
- “Ma andiamo...” sbuffò Nicki.
- “Avrete tutto il tempo del mondo. Scott è in Canada adesso”
Tutto il tempo del mondo, cioè fino all'alba... ai lavori forzati.

Quel giorno, quando uscii di casa per prendere la posta, trovai un vero e proprio camioncino davanti alla cancellata. Nella cassetta delle lettere c'erano le chiavi sia del mezzo che della villa e le istruzioni per quello che sembrava un incrocio tra un trascolo ed un furto. Dovevamo lasciare completamente svuotato lo studio di registrazione di Storch. I mobili e tutto il resto dovevano essere caricati sul furgone e questo parcheggiato in un box noleggiato da Paris poco vicino al centro città. Il destino degli oggetti rubati non era un problema nostro.
Guidai io fino alla villa con Nicki e Sam a fianco, mentre Mark e Cloe rimasero nella stiva del camion. Essendo io, purtroppo, anche leggermente bastardo dentro, mi divertì a prendere qualche dosso a velocità sostenuta per farli sobbalzare.

- “Che cazzo fai?” sentì urlare dal retro.
- “Scusa! Un dosso... non l'ho visto”
Nicki e Sam ridevano. Cloe meno.
- “Alex vaffanculo! Quando scendo me la paghi”
Quando arrivammo, parcheggiai il furgone sul retro e, come c'era scritto nel foglio lasciato nella cassetta delle letttere, in retromarcia vicino ad una delle entrate della villa. Tirammo giù la rampa e una piattaforma con ruote e cavi per caricare i mobili. Nessuno di noi era molto abile con i lavori manuali dovevo ammetterlo, ma fin li non sorsero problemi. La cosa che più ci preoccupava era la stanza da svuotare: quanto era grande? Quanto era piena? Le nostre domande trovarono risposta pochi istanti dopo.
- “Ah... beh... pensavo peggio”
Lo studio di registrazione non era più ampio della nostra camera da letto a Malibu, l'unico problema erano i cavi. Metri di cavi si stagliavano dietro ad ogni attrezzatura intorno a tutta la stanza.
- “Dobbiamo dividerci i compiti...” disse Sam. “Tu e Mark prendete i mobili e li portate fuori...”
- “Ecco lo sapevo” risposti, lei mi guardò male e ripetè la frase scandendo meglio le parole.
- “Tu e Mark... prendete i mobili... e li portate fuori... io e Nicki li carichiamo sul camion e Cloe, tu vai in giro per casa a carcare soldi e quant'altro, ok?”
Il mio “pensavo peggio” dovetti rimangiarmelo in fretta. Era già peggio. Nonostante lo studio non fosse enorme, ogni attrezzatura era collegata ad altre ed estremamente pesante. Io e Mark andammo avanti e indietro per più di un'ora, le ragazze fuori se la cavavano bene e Cloe aveva raccimolato un lauto bottino.
- “Beh almeno abbiamo una ricompensa per lo sforzo” dissi sedendomi per terra. Ormai mancavano due piccoli mobiletti con cassetti semivuoti e qualche cavo. Arrivò Sam.
- “Allora? Che fate? Fuori abbiamo finito, stiamo aspettando voi”
- “Non ce la faccio più... aspetta un attimo”
- “Va be dai, lascia stare... questi li portiamo io e Cloe, tanto sono piccoli”
Non me lo feci ripetere due volte, la ringraziai ed uscii per andare da Nicki. Quando arrivai da lei capii che Sam mi aveva imbrogliato. Non avevano finito di caricare, c'erano ancora una tastiera, una vetrinetta e dei cavi fuori dal furgone.
- “Ma nooo... Sam mi ha detto che avevate finito”
- “Non ne aveva più voglia, è riuscita ad incastrarti... dai su, dammi una mano”
Aiutai Nicki caricare l'ennesima tastiera sul furgone.
- “Ho sottovalutato la portata dell'impresa” le dissi esausto quando Sam e Cloe portarono i due mobili rimanenti.
- “Dov'è Mark?” chiesi.
- “E' in giro per casa, ora lo raggiungiamo, vediamo se troviamo qualcos'altro di interessante mentre voi finite qui”
- “Ok, ma sbrigatevi... dieci minuti”. Questa volta fui io ad impormi su Sam. Rimasi solo con Nicki.
- “Spero che Paris non ci dia altri compiti del genere”
- “Lascia, faccio io” disse quando mi avvicinai per caricare l'ultimo piccolo mobile rimasto. Mi appoggiai al furgone esausto.
- “Mi piace quando lo fai” mi disse Nicki mentre legava il mobile sulla piattaforma.
- “Cosa?”
- “Questo” inclinò leggermente la testa da un lato. Vedendomi perplesso aggiunse “Lo fai spesso e nemmeno te ne accorgi, è come se ti mettessi in stand-by o qualcosa del genere”
- “Quante altre belle cose hai notato di me vivendo insieme?”
- “Guarda che non sei perfetto...”
- “Sentiamo”
- “Lasci i fazzoletti in giro per casa, non usi mai il sottobicchiere sul tavolo di vetro in sala, pieghi male le magliette...”
Rimasi un po' spiazzato lo ammetto.
- “Senza parlare dello specchio in bagno! E' sempre imbrattato di dentifricio... con quel tuo spazzolino elettrico lo mandi da tutte le parti”
Sorrisi, in un misto tra imbarazzo e orgoglio.
- “C'è altro?”
- “Se fosse pulito non sarebbe la stessa cosa, mancheresti tu...”
Tornò in me quel sentimento strano, era come se lei non fosse più “la mia ragazza” già da un po', eravamo oltre, era... di più.
- “Quindi” continuò lasciandosi andare a sua volta in un sorriso “non sai come mi rende felice alzarmi e vedere ogni giorno quello specchio sporco di dentifricio” Le sue labbra erano a pochi centimetri dalle mie.
- “Sposami”

Fu spontaneo. E liberatorio. Era quello che volevo, finalmente avevo capito.
- “Cosa?”. Lei si ritrasse, fece un passo indietro. Improvvisamente sembrò quasi offesa, preoccupata... come se avessi detto qualcosa di totalmente inimmaginabile. Ero confuso.
- “Ho detto spo...”
- “No...”
- “Cosa?” Fu come una pugnalata allo stomaco, allo stesso tempo avevo la bocca asciutta. Ero paralizzato.
- “Non ora, Alex...” Dietro di me sentii le voci entusiaste di Sam, Mark e Cloe avvicinarsi.
- “Ragazzi! Abbiamo raccimolato ancora qualche soldo! Questo bastardo di Storch aveva un ripiano segreto dentro a... che succede?”
Incrociai le braccia, mi sentivo morire dentro.
- “Niente” si affrettò a rispondere Nicki.

Niente. Si era quello che provava lei davanti alla mia proposta. Il niente. Mi voltai e me ne andai per risalire sul furgone. Presi Mark da una parte e gli misi in mano le chiavi.
- “Guida tu”
Il ritorno fu coperto da un imbarazzante silenzio. Sui sedili anteriori con noi c'era Cloe. Nicki e Sam rimasero nella vano posteriore con i mobili. Mark guidava piano, sentivo il suo sguardo su di me di tanto in tanto, ma non non avevo la minima intenzione di dire niente. Mi sentivo distrutto, come se mi avesse procurato un vero dolore fisico.
Lasciammo il furgone nel box indicato da Paris e tornammo con la macchina che Cloe aveva parcheggiato nella zona prima che la venissimo a prendere. Avrei preferito dormire nel bagagliaio di quell'auto piuttosto che scendere a Malibu e dover aver a che fare con Nicki. Sarebbe stato un problema anche solo guardarla negli occhi. Quando entrammo in casa sperai solo che Paco ci venisse incontro in modo da creare un diversivo, ma ciò non accadde: rimase nella sua cuccia in giardino a sbadigliare.
- “Gran cane da guardia...” dissi quasi tra me e me. Lei non attese nemmeno un secondo.
- “Ne vuoi parlare?”
- “No, voglio solo andare a letto”
- “Dovremmo parlarne...”
- “Non c'è niente da dire! Hai già fatto abbastanza” Non sapevo se ero più frustrato, deluso o rassegnato.
- “Vorrei solo che...”
- “Nicki! Per favore... guardami.” La fissai negli occhi. “Per favore lascia stare. Non... non peggiorare le cose, non parliamone più”
- “Ok...” si rassegnò. O meglio, cercò di assecondarmi.

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Capitolo 7
*** Self-control ***



Capitolo 7
Self-control

Era uguale ma diverso. Lei rispettava la mia richiesta di non parlarne più e io facevo finta che quel momento non fosse mai accaduto. E andava bene. Anche se non sapevo per quanto quella finzione sarebbe durata. Nelle settimane successive portammo a termine un altro folle compito studiato da Paris: riempire completamente di polistirolo le camere da letto ed i bagni della villa di Nicole Richie, in modo che quando aprisse le rispettive porte ne venisse sommersa. Fu un'altra impresa sfiancante ma decisamente più divertente dell'ultima. E poi trovammo un vero e proprio capitale. Non so dire con precisione di quanto ci arricchimmo quella sera ma andammo via con borsoni pieni di gioelli, soldi e... occhiali da sole. Intere collezioni di occhiali da sole. Troppi anche per noi. Fu per questo che tornammo, dopo mesi, nello sgabuzzino sotto terra di Ricky.
- “Cazzo, guarda qua... Tom Ford, Gucci, Chanel... ragazzi riuscite sempre a farmi rimanere senza parole, come fate io non lo so”
- “E non lo saprai mai” sghignazzò Cloe orgogliosa. Eravamo io, lei e Mark quel giorno.
- “Vi posso lasciare settemila oggi”
- “Cosa? No dai... siamo in cinque Ricky”
- “Usate una calcolatrice ragazzi”
- “Vaffanculo... li rivendi minimo a duecento dollari l'uno” si lamentò Mark.
- “Si e io cosa ci guadagno? Settemila e cinquecento e chiudo.”
Dovemmo accettare. Ricky, per quanto collaboratore fidato, era pur sempre un ottimo commerciante e sapeva calcolare bene i suoi incassi. Cloe rimase con lui nello squallido scantinato, ero certo che ne sarebbe uscita con altri cinquecento. Io e Mark andammo per negozi a Rodeo Drive, lui riusciva a comprare in quasi ogni negozio entrasse.
- “Provati questo”
- “No dai, non ne ho voglia” dissi svogliato.
- “Non hai più voglia di fare niente ultimamente... sai che ti dico? Che dovremmo andare un week end fuori città”
- “Nicki ha un esame tra un po' e non penso che...”
- “Intendevo noi due”
- “Ah beh si...” Non ne ero molto intenzionato, stavo bene a casa. Come aveva detto lui: non avevo voglia di fare niente. Seguivo solo le lezioni del Master alla UCLA, due pomeriggi a settimana e mi bastava. Terminato lo shopping, accompagnai Mark a casa e tornai a Malibu. Lei non c'era, aveva un corso all'università che finiva tardi così controllai sull'Ipad qualche ricetta con cui dilettarmi per la cena. Mi piaceva cucinare ma ultimamente mi ero impigrito anche in quello, con il risultato che quando Nicki cenava con i suoi genitori, io ordinavo pizza o cibo cinese. E non lo dico per passare da fighetto di film americani dove il protagonista ordina cibo cinese, lo dico perchè adoro davvero il cibo cinese. E per consolarmi del fatto di mangiare da solo ogni tanto. Nicki cenava con suo padre almeno una volta a settimana e spesso era presente anche sua madre. Io ero felice di rimanere assente, adoravo la signora Moore ma il problema era un altro. Lo stesso problema che bussò alla porta quel pomeriggio.
- “Lei non c'è” dissi appena lo vidi. Indossava sempre dei completi eleganti e per la prima volta mi venne in mente l'attore a cui assomigliava: Christoph Walz.
- “Veramente sono venuto per parlare con te”
Sospirai, volevo che il padre di Nicki notasse quanto mi infastidiva. Ma non mi rimase altra scelta che farlo entrare. Una volta in sala lo invitai a sedersi ma rifiutò cortesemente.
- “Verrò subito al sodo...”
- “Prego”
- “So che le hai fatto la proposta”
- “E scommetto che lei non è qui per dare il suo benestare”
- “Infatti. Anche perchè mi risulta abbia detto no”
Che bastardo.
- “Quindi? Cosa vuole, Robert?”
- “Ho sentito che ne parlava con la mia ex moglie”. Ahh che padre amorevole, origlia dietro le porte. E non si preoccupa di negarlo. “Alex... lei non è fatta per quella vita...”
- “Che ne sa? Lei è sparito per vent'anni, che ne sa?”
- “Tu ce la vedi Nicki che fa la mogliettina? Che ti prepara il pranzo? Con dei bambini urlanti attorno?”
- “Ok, questo è ridicolo”
- “Nicki è felice che io sia qui, che mi interessi a lei e a sua madre... e non ha nessuna intenzione di sposarsi”
Mi voltai dandogli le spalle e mi appoggiai alla vetrata. Paco fuori giocava con la sua pallina di gomma.
- “Mia figlia è intelligente, ha una carriera davanti, ha bisogno di più tempo”
Faceva male ascoltare quelle parole, perchè forse erano vere.
- “Siete troppo giovani, non la sposerai”
- “Abbiamo venticinque anni...”
- “Non m'importa... lei ha bisogno di un uomo nella sua vita è vero, ma è un padre non un marito”
Paco aveva buttato la palla in piscina e adesso girava intorno al bordo per recuperarla senza tuffarsi.
- “Le chiederò di tornare a stare a casa con sua madre”
Mi voltai. “Cosa?”
- “Mi hai sentito. Lei tornerà a casa. Con la sua famiglia... e poi si sa che dopo una proposta di matrimonio andata male c'è poco da dirsi in una coppia...” disse con fare sbrigativo.
- “Ok, ora basta” mi avvicinai a lui “Se ne vada, per piacere”
- “Lo vedi? Quando si cerca di parlare da adulti tu reagisci come un ragazzino...”
- “Se ne vada! La voglio fuori di qui entro dieci secon...”
- “Che succede?”
Nicki era sulla porta, non l'avevamo sentita entrare. O forse io non l'avevo sentita entrare. Aveva in mano un sacco della spesa e lo zaino, chiuse la porta e venne avanti.
- “Che succede?” ripetè appoggiando il carico sul tavolo in cucina.
- “Il tuo ragazzo mi stava invitando ad uscire non troppo gentilmente, come hai visto”
Ero furioso ma rimasi in silenzio per non complicare le cose. Lei si avvicinò ma io mi voltai me ne andai, salii le scale e una volta al piano di sopra mi appoggiai al muro nel corridoio che portava nello studio. Ero in penombra e li mi fermai, fissandomi i piedi. Li ascoltai parlare tenuamente ma non distinguevo le parole. Dio, lo avrei preso a pugni e fatto sbranare da Paco. Mi passai una mano tra i capelli nervosamente. Feci qualche passo verso il parapetto che dava sulla sala da cui ero letteralmente scappato.
- “...è solo quello che ho detto”
- “Papà, per favore...”
Non l'avevo mai sentita pronunciare quella parola.
- “Guarda come reagisce! E' infantile... e aggressivo”
- “Lascialo stare... non complicare ulteriormente le cose”
- “Vuoi dire che sono già complicate...?!”
- “Non ho detto questo!”
- “Si invece”
- “Senti, ora basta... è meglio se vai”
Avevo ascoltato abbastanza. Andai in camera da letto. Presi il cellualare, volevo quasi scrivere qualcosa a Mark. Dopotutto quell'idea del week end fuori città non sembrava così male. Sentì la porta d'ingresso chiudersi e Paco abbaiare dal giardino. Attesi in silenzio. Dopo pochi istanti, Nicki apparve sulla porta della stanza. Sospirò e venne a sedersi vicino a me.
- “Vuole portarti via da me” sussurrai guardandola negli occhi.
Lei sollevò una mano e mi accarezzò i ciuffi di capelli biondi che proabilmente avevo spettinato.
- “Non vado da nessuna parte”
- “Insisterà”
- “E io a mia volta”
Sospirai, un po' più tranquillo.

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Capitolo 8
*** Something about Mark ***


Capitolo 8
Something about Mark


Uscivo spesso con Mark prima che andassi ad abitare a Malibu. Quel giorno, in onore dei bei vecchi tempi, andammo a Rodeo Drive a fare shopping. Eravamo nella boutique di Alexander McQueen. Io, a differenza di Mark, non ero in vena di fare acquisti.
- “Reagisci! Come sei passivo!” mi riprese lui “Mi ha sempre affascinato Alexander McQueen, usa dei tessuti molto particolari... e si chiama quasi come te”
Sfiorai con la mano una giacca su un manichino. Niente di che. O forse ero io che non apprezzavo.
- “Quanto costa?” chiesi alla commessa che passò velocemente vicino a noi per andare a servire un altro cliente.
- “Millenovecentonovanta. Se vuole provarla le mando subito la mia collega”
- “No grazie...”
Una volta di nuovo soli Mark mi sussurrò ironico:
- “Perchè il tuo problema sono i soldi...”
- “Non è questo, ma duemila dollari sono sprecati per quella cosa... Certo, se ne trovassi una a costo zero nell'armadio di qualcun altro forse la terrei”
Uscimmo dal negozio, Mark si era comprato un paio di scarpe semplicissime, total white, da quattrocento dollari. Nemmeno troppo.
- “Come vanno le cose con Nicki?”
Feci spallucce. “Lo sai... mi ha detto no” Non mi andava di pronunciare certe parole, sperai che quella frase bastasse. “E poi c'è suo padre. Ha provato a convincerla a tornare a casa sua”
- “Questo non lo sapevo. E lei?”
- “Niente” feci spallucce di nuovo. “Resta con me...” Forse gli sembrai poco convinto, così continuai. “E' tutta questa situazione che mi infastidisce. E' frustrante”
- “Te l'ho detto che dovremmo andare via per qualche giorno. E dai cazzo, ci sono cittadine lungo la costa andando a nord che scommetto non hai mai visto...”
- “Non lo so...” temporeggiai “E' solo che...” Mi interruppi non appena passammo davanti alla vetrina di unna gioielleria, mi avvicinai.
- “Pensavo che di orologi ne avessi abbastanza...”
Ma fu come non sentirlo. C'erano in esposizione anelli di fidanzamento molto belli, alcuni più pacchiani, altri più fini ed eleganti.
- “No dai” Mi disse Mark quando capì “Hai appena detto che non ti vuole sposare”
- “Non ho... non ho detto questo... non è quello che lei ha... oh senti, lasciamo stare. E' inutile parlare con te di queste cose”
Riprendemmo a camminare lungo la via.
- “Dico solo che dovresti lasciar stare per adesso... forse suo padre ha ragione, dovreste prendervi un po' di tempo”
Non gli risposi, mi stavo innervosendo. Procedemmo in silenzio e dopo pochi minuti arrivammo alla mia auto. Quando accompagnai a casa Mark lui continuò ad insistere con la proposta del week end fuori città.
- “Vediamo, ti faccio sapere”. Non ne avevo voglia, però avrei potuto davvero pensarci dopotutto.
Quando arrivai a casa Paco mi venne incontro, non potevo più prenderlo in braccio, stava diventando troppo grosso e pensante. Nicki era sdraiata sul divano, spense la tv.
- “Com'è andato il pomeriggio soli uomini?”
- “Bene... ma non ho comprato niente”
- “Tutto qui? Che ti ha detto Mark?”
- “Niente... ha solo commentato ogni capo di ogni negozio, comprato delle scarpe inutili da quattrocento dollari e insisito più volte per farmi andare con lui fuori città qualche giorno”
Lei non sembrò entusiasta da quest'ultima affermazione.
- “Ah... come mai?”
- “Sulle scarpe perchè ama spendere e sul week end non lo so. Penso voglia solo passare un po' di tempo insieme come facevamo prima che abitassi qui”
Nicki non disse niente. Mi sedetti anche io sul divano e notai, vicino ai suoi libri, una busta rosa.
- “Paris?” chiesi indicandola con un cenno del capo.
- “Si... vuole vederci la prossima settimana alla villa. Credo abbia pianificato qualcos'altro.

Vernice. Questa volta Paris voleva che rovinassimo con vernici colorate ogni parete della villa di Rick Salomon.
- “Dio, diventa sempre più faticoso” brontolò Cloe mentre scaricavamo i barili di pittura. Sam ci aveva anche dato buca quella sera perchè era il compleanno di Jordi, quindi eravamo solo in quattro. E la villa era enorme. Nemmeno il tempo di entrare che stavo già pianificando un modo per ridurre il lavoro al minimo. L'unico problema era che Paris seguiva i telegiornali nei giorni successivi per accertarsi che avessimo svolto il lavoro come da sue indicazioni. Non so cosa aveva intenzione di fare se fosse stata insoddisfatta... e non avevo voglia di scoprirlo, per cui mi misi l'anima in pace sapendo di dover trascorrere la nottata a imbrattare casa del suo ex. Uno, dei suoi ex.
Ci dividemmo le stanze, io e Mark ci occupammo dell'enorme sala e open space, Cloe dei bagni e Nicki delle camere da letto. Del resto (cucina, salotto, studio e corridoi) ce ne saremmo occupati insieme più tardi.
Dopo un'ora buona di pennellate mi dispiaque quasi lasciare li la mia opera, avrebbero certamente ridipinto tutto di bianco così decisi di fare una foto ricordo. Mark aveva finito da poco la sua zona ed era salito al piano superiore. Quando feci per raggiungerlo vidi Cloe scendere le scale in maniera frenetica.
- “Telecamere! Telecamere!”
- “Cosa?”
- “Ci sono delle telecamere in casa! Cazzo... dov'è Mark? Lui ci sa fare con questa cose”
- “Perchè Paris non ce l'ha detto?”
- “Si vede che non lo sa! Dov'è Mark?” ripetè.
- “Di sopra, vado io”
- “Digli di trovare il sistema centrale e cancellare i video di questa sera, cazzo! Io intanto chiamo Paris”
Solo mentre salivo al piano di sopra mi resi conto della gravità della situazione. Se non avessimo trovato la centralina saremmo stati veramente nei casini. Ogni stanza della villa era danneggiata dalla vernice, avevamo quasi finito. Dovevamo solo cancellare i video che ci riprendevano. Il piano superiore sembrava desolato, poi finalmente sentii delle voci. O forse erano urla. Mi fermai nella penombra del corridoio.
- “Sei un'ipocrita Nicki! Non te ne frega un cazzo!”
- “Io sarei ipocrita? Guarda... ma... pensi l'abbia voluta questa situazione?”
Non avevo mai visto, o in questo caso sentito, Mark e Nicki litigare così.
- “Pensavo mi aiutassi! E invece riesci solo a farmi incazzare... pensavo mi lasciassi più spazio!”
- “Mi sono comportata da amica, non ho detto niente cercando di darti l'occasione perchè facessi da solo, per darti più tempo”
- “Ah si... cazzo ti sei sprecata... e dimmi, queste cose le pensavi anche mentre te lo scopavi contro un muro a casa di Kenye West?!”
Calò il silenzio. Io mi accorsi di avere la bocca semi aperta.
- “Eravate spariti quella sera” continuò Mark molto più calmo “così sono salito a vedere dove eravate finiti... la porta era socchiusa. Avresti potuto evitare, sapendo...”
- “Mi dispiace” Dalla voce sembrava che Nicki fosse veramente mortificata. “Mi dispiace”
- “Non ne sono così sicuro sai?! Secondo me ti è piaciuta l'idea... dopotutto, perchè no?”
- “Smettila!”
La situazione sembrò essersi calmata e feci qualche passo avanti per entrare nella stanza anche se non sapevo cosa avrei potuto dire.
- “Eppure sei così senza scrupoli, sei perfida. Forse nemmeno lo sai. Ti importa solo di te stessa...”
Non resistetti più e feci capolino all'ingresso della stanza. Mi irritava che Mark le parlasse così, anche se non sapevo le motivazioni. Io, invece, di Nicki mi fidavo.
- “Mark...”
Si voltarono entrambi. Lui sembrò terrorizzato.
- “Ci sono delle telecamere in casa” lo guardai minaccioso, volevo che capisse che lo avevo sentito. “Cloe vuole che trovi la centralina e cancelli i video” dissi lentamente senza distogliere lo sguardo.
“Ora.” Lui non disse una parola, deglutii e lasciò la stanza. Attesi finchè non lo vidi scomparire lungo il corridoio.
- ”Lascialo stare, non voleva...”
- “Perchè ora lo difendi? Di cosa stavate parlando? C'è... c'è qualcosa tra voi due che...”
- “Ma figurati!” Nicki sospirò. “Però devi parlargli. Non è niente di grave ma è meglio se ne parli con lui. Fidati”
Mi appoggiai al muro.
- “E' frustrante... quello sta succedendo. Tra noi due.”
- “E' colpa mia, per tutto. Ma ti prometto che risolverò... Parla con Mark prima, e cerca di non essere arrabbiato con lui, vedrai che capirai”
Sembrava molto saggia, forse la era. E' sempre stata più intelligente, sapeva le cose in anticipo, semplicemente ci arrivava prima, deduceva e capiva. Io, invece, dovevo parlare con Mark.

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Capitolo 9
*** Una sfortunata coincidenza ***


Capitolo 9
Una sfortunata coincidenza


Tornai a casa verso le sei di sera, avevo trovato molto traffico. Ero abbastanza certo che avessi trascorso più tempo in auto che a Rodeo Drive. Per fortuna la gioielleria era aperta. Avevo in mente solo l'anello che avevo visto in vetrina quel giorno con Mark ma la commessa me ne mostrò molti altri simili. La scelta si rivelò più ardua del previsto ma uscii dal negozio comunque soddisfatto. Non sapevo perchè avevo sentito questa necessità impellente di comprare un anello di fidanzamento, soprattutto considerando quanto accaduto quella notte nel giardino di Scott Storch. Quel “no” mi avrebbe proabilmente perseguitato per sempre ma forse una proposta più romantica avrebbe condotto ad un risultato divero. O ad un definitivo addio. Ma non volevo pensarla così. Forse non glielo avrei mai dato, avremmo continuato ad amarci e convivere come avevamo fatto ad ora. Fatto sta che avevo un anello degno di una proposta seria. Giusto in caso. Arrivato a casa riuscii subito a nascondere la scatolina nel mio cassetto del comodino, Nicki non avrebbe mai frugato tra la mia roba.
- “Dove eri finito?” chiese lei appena mi vide riscendere le scale. Aveva proabilmente trascorso il pomeriggio a prendere il sole a bordo piscina.
- “Ho fatto un giro... in centro”
- “Con Mark?”
- “No, niente Mark. Gli ho scritto ieri sera ma non mi ha risposto”
- “Devi chiamarlo”
- “Non ne ho voglia, non dopo quello che ti ha detto. Dovrebbe essere lui a chiamare per chiedere scusa”
- “Ti ho detto di non essere arrabbiato con lui. Quando vi parlerete vedrai che capirai...”
- “Ancora non capisco perchè non me lo dici tu e la facciamo finita” dissi scocciato aprendo il frigo.
- “Si arrabbierebbe ancora di più...”
Bevvi un sorso d'acqua e rimisi la bottiglietta al suo posto.
- “Va bene va bene, mi impegnerò di più e lo chiamerò, contenta?”
- “Molto. E c'è un'altra cosa” continuò “Poco fa ha chiam...”
La baciai a sorpresa.
- “...chiamato Paris e ha detto che...”
La baciai ancora.
- “...dobbiamo, dobbiamo...”
Continuai a baciarla.
- “Oh smettila!” disse infine sorridendo. “Dicevo... ha chiamato Paris e vuole vederci stasera, penso voglia sapere di quelle telecamere e darci un altro incarico”
- “Ma stasera c'è la Formula1!”
- “Lo so, infatti ho chiesto a Sam di venire. Mark è fuori discussione e Cloe deve vedere un tipo al locale”
A Nicki non piaceva la Formula1. Anzi, non seguiva lo sport in generale, era solo fissata con le serie tv quindi quella sera era ben felice di uscire con Sam per andare da Paris.
- “Penso andremo prima a bere qualcosa, Paris ci aspetta per mezzanotte. Non aspettarmi se hai sonno” mi disse prima di uscire. Io ero già sdraiato sul divano a seguire la diretta pre gara. Le riprese nei box, le interviste ai meccanici e gli sguardi dei piloti prima della partenza erano quasi più interessanti della gara stessa. Questo dovevo ammetterlo.
- “Vediamo, tanto la gara inizia alle dieci e dura due ore... passa Sam?”
- “Si ormai dovrebbe essere qui”. Venne a sedersi a fianco a me sul divano e iniziò ad accarezzarmi i capelli. Ci mancava Paris, dannazione. Era una bella serata. Il cielo era nitido e luna si rifletteva sul Pacifico. La piscina era illuminata e gli irrigatori rinfrescavano il giardino. E l'anello era chiuso nel cassetto. Sbuffai. Lei sorrise.
- “Che hai?”
Non feci in tempo a rispondere che il suo telefono squillò. Sam era fuori che la aspettava in macchina. Mi baciò velocemente e usci. Sentii il cane abbaiare, non gli piaceva quando uno dei due lasciava la casa.
- “Paco! Basta!”.Ulrai. Calò il silenzio, sorrisi soddifatto. Era un bel traguardo riuscire a farlo smettere di abbaiare.

***

La sveglia. Mi mossi con gli occhi chiusi per prendere prendere il telefono. Sentivo delle voci, era la tv accesa. Mi accorsi di essere sul divano, era ancora notte e non era la sveglia che suonava ma una telefonata in arrivo.
- “Cazzo...” mi allungai, presi il cellulare e, ancora addormentato, risposi senza nemmeno controllare chi fosse. “Pronto...”
- “Alex, sono io... devi venirmi a prendere”
- “Nicki? Dove... dove sei?”
Controllai l'orologio che avevo al polso, erano le quasi le due.
- “Sono in ospedale, con Sam. Non ti agitare, non è successo niente, solo uno stupido incidente con la macchina”
- “Cosa?! Ma stai bene?”
- “Si sto bene” disse con tono un po' scocciato “Altrimenti non penso sarei stata in grado di telefonarti di persona. Ok, scusa... è stata una serataccia, Sam ha qualche lieve contusione, poi ti racconto”
- “Ok... allora, siete all'ospedale in centro o...?”
- “Si quello in centro”
- “Arrivo”
Non ero esattamente sveglissimo nemmeno quando mi misi alla guida ma cercai di rimanere concentrato onde evitare un ulteriore incidente. Arrivai circa mezz'ora dopo in ospedale e persi un quarto d'ora solo per raggiungere il reparto, quando entrai nella stanza di Nicki la vidi seduta sul lettino con una coperta addosso e un'infermiera che le porgeva dei fogli da firmare.
- “Stai bene?” la abbracciai e notai il suo sguardo stanco. “Che è successo?”
- “Avevamo appena lasciato casa di... beh lo sai” Annui, era meglio non fare nomi. “E Sam non ha rispettato un stop, ci è venuto ad addosso un tizio... sta bene anche lui, solo che non ci voleva”
- “Sam?”
- “E' un po' più dolorante di me, dovrebbe essere nella stanza a fianco. Vieni, io intanto ho finito qui” Mi prese per mano e andammo nella camera subito a destra lungo il corridoio. Sam era in camice sul letto, sotto le lenzuola. Aveva un ematoma visibile sul volto e un graffio vicino alla tempia sinistra. Quella visione non mi impietosì, anzi mi sentii furente.
- “Come cazzo hai fatto?” le chiesi.
- “Cosa? Non ti è mai capitato di fare un incidente in macchina?” rispose lei di rimando.
- “No. Scommetto che hai anche bevuto...”
Nicki mi tirò un colpetto sul braccio.
- “Poco! Che problema hai? Stiamo bene!”
- “Almeno quando hai un passeggero cerca di essere un pochino più coscienziosa”
- “Quanto sei paranoico!”
- “Sarò anche paranoico ma almeno io sono venuto subito, Jordi dov'è?”
- “Sta arrivando... stronzo” Si sfilò un cuscino da dietro la schiena e me lo tirò con violenza.
- “Ok adesso basta!” intervenne Nicki raccogliendolo. “Alex, perchè non vai a prendere qualcosa da bere intanto che aspettiamo Jordi?! Poi noi andremo a casa...”
- “Si è meglio” disse Sam continuando a guardarmi male. Io non dissi una parola e lasciai la stanza. Notai un distributore automatico al piano di sotto e scesi le scale facendo attenzione a quale rampa avrei dovuto prendere per risalire. Non ci voleva Paris, non ci voleva Sam e nemmeno la gara di Formula1 quella sera. Infilai le monetine nella fessura. Ci voleva solo una cena romantica e un attimo di pace per fare una vera e propria proposta. Digitai il codice per la CocaCola. Se le fosse successo qualcosa...
- “Hei! Mi ricordo di lei”
Mi voltai, il volto era sicuramente familiare ma nell'immediato non riuscii a dargli un nome.
- “Sono il Procuratore Kenneth. Lei è McHale se non ricordo male”
Bene. Ci mancava questa. Kenneth aveva il mio fascicolo. Ricordai il suo volto dubbioso quando uscii dal carcere perchè la Hilton ritirò le accuse ventiquattr'ore dopo l'arresto. Tirai fuori le due lattine dal distributore.
- “Si mi ricordo.” dissi sorridendo e porgendogli la mano libera.
- “Cosa la porta qui, se posso chiedere?”
Non mi andava di dirgli la verità, sapevo che lui aveva delle idee su di me per cui andai sul vago.
- “Oh un amico, si è fatto male... giocando a baseball...”. Grande cazzata, questa mi è venuta male.
- “Alle due di notte? Chi gioca a baseball alle due di notte?”
- “Infatti si è fatto male. E lei, che fa qui?”
- “Un agente del mio distretto è rimasto ferito in una sparatoria giù a Vermont Park”
- “Mi dispiace” Un attimo di silenzio.
- “Sai McHale, riguardavo il tuo fascicolo qualche settimana fa”
Eccolo.
- “E' tutto così strano, ci sono dei ragazzi che rubano nelle ville delle celebrità, tra cui Paris Hilton” iniziò il suo riassunto fissando il pavimento. “Poi tu rimani coinvolto in una colluttazione proprio davanti a casa sua...” Bene, sapeva anche questo, aveva fatto parecchie ricerche negli ultimi tempi. “Vengono arrestati dei ragazzi ma tu non fai parte del gruppo, però qualche mese fa arriva sulla mia scrivania una tua foto a infrarossi in casa della Hilton con tanto di denuncia. Denuncia che viene ritirata il giorno successivo...”
Ci guardammo negli occhi e feci spallucce.
- “E Dulcis in fundo da quel giorno iniziano a verificarsi strane razzie e danneggiamenti in case di persone collegate in qualche modo alla nostra bionda e ricca ereditiera...”
- “Coincidenze suppongo”. Ci guardammo negli occhi molto intensamente per un istante.
- “Certamente... ma se ti venisse voglia di dirmi qualcosa” si infilò la mano all'interno della giacca ed estrasse un biglietto da visita. “Questo è il mio contatto”
- “Grazie, faccia gli auguri al suo agente”
- “E lei al suo... amico”
Risalii le scale con la mente che vagava tra le più variegate situazioni. Kenneth avrebbe continuato ad indagare? Cosa avrei potuto dire a mia difesa? Avremmo dovuto dire a Paris del rischio di essere scoperti? Quando arrivai nella stanza di Sam, consegnai a lei e Nicki le lattine di CocaCola.
- “Abbiamo un problema” dissi. “Ho appena finito di chiacchierare con il procuratore Kenneth, quello che ha il mio fascicolo... l'avevo conosciuto quando ho passato la notte la”. Quando dovevo riferirmi al carcere cercavo sempre di non usare quella parola o i suoi sinonimi. Era stata un'esperienza orribile e “la” bastava per farmi capire.
- “Che ti ha detto?” chiese Nicki preoccupata.
- “Mi ha fatto chiaramente capire che sta indagando su di me. Per quanto possa farlo. Non ha nessuna prova ma immagina collegamenti tra i furti, il gruppo della Neiers, la mia rissa con gli agenti di due anni fa e tutta questa strana faccenda intorno a Paris Hilton.”
Sam, iniziò a bere dalla lattina “Non posso crederci...”
- “Sa solo di me, pensa sia coinvolto con Alexis e gli altri. Non sa di voi”
- “Beh questo non mi tranquillizza comunque” disse Nicki.
Le ragazze mi raccontarono dell'incidente e del prossimo piano di Paris. Sempre più folle. Più tardi lasciammo Sam con Jordi, che era arrivato intorno alle tre e mezza con tutta calma e noi due tornammo a Malibu. Trascorremmo gran parte del tragitto in silenzio, lasciandoci cullare dalle curve delle colline californiane. L'abitacolo buio, solo le luci sull'asfalto. Mi tornò in mente il verso di una canzone di Moulin Rouge:
- “Come what may... I will love you until my dyin' day”
Nicki si voltò a guardarmi, mi afferrò dolcemente l'avambraccio e appoggiò la testa sulla mia spalla.

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Capitolo 10
*** Puzzle ***


Capitolo 10
Puzzle


Il “devi parlare con Mark” era ormai diventato il tormentone di Nicki: me lo ripeteva da quando mi alzavo al mattino a quando andavo a letto alla sera. Non ne avevo voglia, sono nato pigro. Ma sentivo il bisogno di sbloccare la situazione, così lo invitai a casa un pomeriggio.
- “Finalmente...” esclamò Nicki, più tra se e se. “Io esco con Sam così potrete rimanere soli”

 

***


Mi ero messo a sistemare la mia parte di cabina armadio, c'erano giacche e camice mai indossate, alcune avevano anche le iniziali del vero proprietario. Avrei dovuto eliminarle. Suonò il citofono al piano di sotto, estrassi il telefono che era collegato alle telecamere e al portone. Era Mark.
- “Sono di sopra!” gli urlai quando lo sentii entrare.
- “Per la cronaca, quel tuo cane da guardia non fa la guardia...” Entrò nella cabina armadio togliendosi il giubbotto.
- “Lo so, abbaia solo quando le persone escono e non quando entrano. Deve aver capito male quella parte di addestramento”. Sbuffai ributtando una maglietta nella pila di quelle non-ancora-indossate-ma-utilizzabili.
- “Quanta cazzo di roba hai?”
- “Troppa... e Nicki ne ha almeno il doppio”. Notai il suo sguardo incupirsi quando pronunciai il suo nome. “Li ci sono cose che non mi metterò mai, dai un'occhiata e se ti interessa qualcosa prendila pure”
-”Ok...” Si mise a controllare le camice con le iniziali.
Discutemmo del più e del meno, qualche battuta, qualche gossip dalle Hills, ma niente di più. Mark non disse nulla di quello che volevo sapere: perchè aveva litigato con Nicki quella notte nella villa di Salomon? Erano quasi le sette di sera, la cabina armadio era a posto, liberata da due sacchi di indumenti inutili.
- “Dove pensi di metterla quella roba?” chiese divertito.
- “Non lo so... pensavo di darla a qualche ente benefico, ma dovrò farlo sotto anonimato”
- “Se vuoi do un'occhiata su Internet...”
Mi strofinai la faccia con le mani, ero stanco.
- “Mark perchè hai detto quelle cose a Nicki?”
Lui sembrò sorpreso da quella domanda, ma non troppo. Fece qualche passo nervoso e si rimise a sistemare magliette già piegate.
- “Ascolta...” sospirai “io non ci sto capendo più niente... lei ha detto che devo parlare con te. Ed è come se, improvvisamente, tu la odiassi...”
- “Non la odio...” Sembrò piuttosto adirato. “Sei solo tu che non ti sei mai accorto di niente”
Ragionai in fretta ma era ancora tutto confuso. Mark si avvicinò, era ad un passo da me. Lo guardai negli occhi cercando una dannata soluzione. Sentii la sua mano sul mio fianco. Ero totalmente bloccato. Qualcuno saliva le scale. Non riuscivo a muovermi e lui era vicinissimo alla mia faccia. Improvvisamente lui tolse la mano e d'istinto ci voltammo. Nicki era sullo stipite della porta della cabina armadio. Nessuno dei tre riuscì a dire una sola parola, Mark se ne andò velocemente. Io non mi ero ancora mosso di un centimetro. Sentii poi la porta chiudersi al piano di sotto e Paco, come suo solito, abbaiare. Nicki venne davanti a me, portò la sua mano sul mio fianco esattamente come aveva fatto Mark poco prima. Il suo volto si avvicinò al mio e mi baciò. Completò quello che Mark non aveva finito, lasciando che finalmente capissi.
- “Da quanto lo sai?” le chiesi quando entrammo in camera.
- “L'ho sempre sospettato ma ho avuto la conferma quando ti hanno arrestato mesi fa... era furioso. Ha dato tutta la colpa a me, mi ha sempre ritenuta responsabile di ogni cosa ti fosse successa...”
Mi sedetti sul letto, emotivamente scombussolato. “Potevi dirmelo...”
- “Era giusto lo facesse lui, Alex...”
Mettevo mentalmente insieme tutti i pezzetti del puzzle.
- “Quando noi ci siamo messi insieme e lui è andato a Las Vegas...”
- “L'ha fatto probabilmente per dimenticare, per non vederci”
Scossi la testa ancora incredulo.
- “Ma io non sono gay...”
Nicki rise “Si questo l'ho notato”
- “Hai detto che lo sospettavi, cosa te l'ha fatto pensare? Perchè io non mi sono accorto di niente?”
Il suo sguardo si fece comprensivo e si sedette al mio fianco.
- “Il modo in cui ti guardava... era lo stesso che avevo io. Quello di chi vuole la tua attenzione e considerazione ad ogni costo, anche solo per un secondo. E poi sorride se ti vede sorridere”
- “E tu? Provi questo?”
- “Sempre... sai, quando ho capito quello che Mark provava per te ho cercato in tutti i modi di non farlo soffrire... di non starti appiccicata o baciarti davanti a lui...”
Un altro pezzettino di puzzle. “Però quando ci ha visti insieme da West...”
- “...ha iniziato a odiarmi ogni giorno un po' di più”
- “Non ti odia Nicki, me l'ha detto... è solo geloso, penso” Mi alzai, mi diressi verso la porta.
- “Alex... quando ti ho detto 'no' alla tua proposta... l'ho fatto anche perchè c'era Mark e non vole...”
- “Lascia stare... non ti devi giustificare”
- “Lo so ma dovremmo parlare anche di questo”
- “Non stasera”
Avrei voluto cambiarmi ma non volevo restare ancora li con lei a parlare della proposta di matrimonio andata male. 'L'ho fatto anche perchè c'era Mark'. Anche. Quindi c'erano altre motivazioni per non sposarmi. E in ogni caso, Mark o non Mark, se avesse voluto sposarmi avrebbe detto subito di si senza troppi ragionamenti. Il puzzle aveva preso forma ma non era ancora completato.

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Capitolo 11
*** Una nottata... stupefacente ***


Capitolo 11
Una nottata... stupefacente


La vittima della quinta delle sette piaghe della Valley ideate da Paris era un famoso chirurgo plastico di celebrità. Non sapevamo come scegliesse le sue vittime ma era ovvio si trattasse sempre di persone che le avevano recato un torto. E la polizia che indagava sugli strani eventi nelle ville doveva ormai averlo capito, mancavano solo le prove e i nomi dei colpevoli materiali, cioè noi. Paris ci aveva spiegato che Hobs, il chirurgo, era dipendente dalla cocaina. Ne nascondeva chili in casa (a quanto pare sotto il divano nel suo studio), la nostra missione era semplicemente prenderla e consegnarla a Paris. Non ci disse cosa avesse intenzione di farci, se prenderla lei o venderla, quello che era certo era il suo desiderio di causare ad Hobs una perdita inestimabile. Non solo avrebbe dovuto ricomprare la stessa ingente dose, spendendo un capitale, ma avrebbe anche sofferto, nel frattempo, di crisi di astinenza. Di tutte le assurde richieste di Paris, questa era quella che mi spaventava di più. Un cocainomane senza cocaina è più pericoloso di un serial killer. Ad ogni modo, Hobs avrebbe trascorso una settimana alle Hawaii per il suo compleanno con la compagna.
- “Vorrei vedere la sua faccia quando torna e non trova le sue scorte!”. A Paris brillavano gli occhi all'idea. “Mi raccomando... il divano nello studio, ragazzi”

 

***


Ero dentro la cabina armadio a scegliere la felpa da indossare quella sera. Ne volevo una leggera ma di colore scuro e con il cappuccio. Ne estrassi una dalla pila delle felpe. Nicki apparve sulla porta.
- “Questa secondo te va bene?” le chiesi. “È abbastanza scura?”
- “Si può andare bene...”
Tesi le braccia in avanti e guardai un po' la felpa, chissà a chi l'avevo rubata.
- “Ascolta, stasera non penso di venire”
Sapevo che non era una bella serata per Nicki, mi aveva più volte detto che aveva da ripassare per l'esame del giorno dopo.
- “Ok non fa niente, andiamo noi...”
- “Vedo anche papà”
- “Ah” ripiegai la felpa e uscii dalla cabina armadio oltrepassandola. Lei mi seguì in camera.
- “Lo faccio venire qui a cena, ma va via presto comunque, gli ho detto che ho da studiare”
Annuii. Non era mai successo che Nicki saltasse uno dei nostri impegni serali per suo padre, oltre agli esami. Mi infastidiva il modo con cui quell'uomo si insinuava nella nostra vita, era stato solo un problema dal primo giorno in cui l'avevo visto.
- “Vorrei che restassi qui anche tu. Sarebbe carino passare una serata con voi due insieme... potreste conoscervi un po' megl...”
- “Ah carinissimo... no scordatelo” dissi brusco, staccando il carica batterie del cellulare dalla presa sul muro vicino al comodino. Avrei rubato cocaina per tutta la vita pur di non cenare in compagnia di Robert Vaughn. Lei si voltò scocciata e senza dire una parola scese al piano di sotto. Mi resi subito conto della bastardaggine con cui avevo risposto e la seguii. La raggiunsi in giardino e la afferrai per un polso.
- “Vieni qui un attimo”
- “No...” Ecco lo sapevo. Un muro.
- “Un secondo...” la tirai un po' verso di me.
- “Mi da fastidio quando mi rispondi così”
- “Infatti sono qui per chiederti scusa” Mi spostai dietro di lei e le avvolsi un braccio intorno alla vita e l'altro al petto, poco sotto il collo. Rimase tesa. “Scusa” le sussurrai dietro l'orecchio. Restammo li, in quella posizione, qualche istante a ciondolare guardando il mare scurirsi sotto il crepuscolo, poi finalmente lei si arrese, si appoggiò al mio petto e iniziò ad accarezzarmi dolcemente il braccio con cui la tenevo in vita.
- “Non so come comportarmi con Mark” le confessai.
- “Comportati da amico... come hai sempre fatto”
- “Mmh... comunque dovevano già essere qui”. Quella sera saremmo andati con la macchina di Cloe.
- “Dove andate a mangiare?”
- “Denny's”
Intravidi un suo sorriso “Chissà come è contenta Sam”
- “Tre contro uno...” A Sam le catene di fast food non piacevano, o ristoranti costosi o niente. “Quando ci sarà il suo compleanno le facciamo uno scherzo? Le diciamo che organizziamo noi una serata in qualche locale figo a Manhattan Beach e poi la portiamo da Subway... magari un Subway in qualche posto squallido, uno di quelli dentro alla stazione della metro”
Nicki rise “Basta che non fai una cosa del genere per il mio di compleanno”
- “Naaah... io ti porto in tutti i ristoranti che vuoi”
- “Come quando ci siamo trasferiti qui e in preda al delirio hai detto che avremmo fatto l'amore in ogni stanza di questa casa”
- “Perchè, non sono stato di parola?”
- “Manca l'ingresso”
- “Non lo considero una stanza ma se proprio ci tieni rimedieremo... e ringrazia che non abbiamo preso un monolocale!”
Rise ancora poi si voltò per baciarmi. Contemporaneamente sentii il cellulare suonare dalla tasca dei pantaoloni, Cloe era arrivata.
La casa di Hobes era una villetta a nord di Beverly Hills, elegante si, ma non possente o maestosa come quelle in cui eravamo già stati. Aveva dei vicini il cui stile di vita era più o meno lo stesso. Villetta con piscina. Pensai che proabilmente ero sistemato meglio io a Malibu. Entrammo con le chiavi che ci aveva dato Paris, nonostante fosse la 5? volta che agivamo per sui conto, ancora non avevamo capito come facesse a procurarsi le chiavi di tutte le abitazioni.
- “Però... carina” disse Sam appena entrammo. Era effettivamente molto accogliente. Cloe si mise a toccare tutti i sopramobili che vedeva in giro per la sala.
- “Forza andiamo nel suo studio” dissi. Mark mi seguì per primo. Non avevamo più parlato di quello che era successo a casa ma la situazione tra noi sembrava comunque più rilassata di prima. Lui sapeva che io sapevo. E questo per ora bastava.
Lo studio di Hobes era il salotto in miniatura. Stessi colori, stessa tapezzeria, stesse luci. Notammo subito il divano a righe vicino alla libreria.
- “Chi va?”
- “Faccio io” disse Mark.
Si accucciò per terra e iniziò a rovistare con la mano sotto il divanetto.
- “Non c'è niente qui sotto...”
Continuò ancora qualche istante, poi scossse il capo e si rialzò.
Sam spostò il divano di un metro, non c'era niente sotto.
- “Ma porca puttana...” bisbigliai. Portai le mani ai fianchi non sapendo cosa fare, l'unica opzione era controllare tutti i divani della casa o chiamare subito Paris. Gli altri mi guardavano aspettando che decidessi qualcosa, se ci fosse stata Nicki lei avrebbe risolto in metà del tempo.
- “Hei guardate questo!” Cloe sollevò dalla scrivania una statuetta con rappresentante una figura umana che reggeva un ripiano con sopra degli oggetti. “È abbastanza pacchiano, troppo grosso”
- “Cazzo Cloe non è il momento!” la riprese Mark.
Guardai quel sopramobile, lo fissai qualche secondo ed ebbi l'illuminazione. Più che illuminazione mi sentii piuttosto stupido a non averci pensato prima. Afferrai un bracciolo del divano e spinsi per ribaltarlo. “Forza Sam, aiutami”. Appoggiammo lo schienale del divano sul pavimento in modo da osservarne il fondo. Incollati sotto vi erano tre sacchetti, abbastanza capienti, pieni di polvere bianca.
Era un nascondiglio banale ma efficace. Iniziammo a staccarli delicatamente, erano fissati con un antipaticissimo scotch biadesivo.
- “Oh oh... ragazzi...” Mi voltai e notai che Cloe ne aveva rotto uno.
- “Cazzo...” la cocaina stava uscendo e sporcando tutta la moquette sottostante.
- “Sam prendi quei due intanto”. Riuscimmo a staccare l'ultimo sacchetto danneggiato rovesciando altro contenuto. E la moquette non perdona. Una nuvoletta di cocaina si sollevò da terra. Io starnutii.
- “Ma non respirarla! Aspetta...” eravamo tutti e quattro riversi sulla chiazza di polvere bianca.
- “Faccio io!”
- “No così peggiori solo le cose”
- “Cloe non sniffartela!”
Mark si allontanò per cercare qualcosa con cui pulire del tutto. Io iniziai a sentirmi decisamente attivo. Le ragazze iniziarono a ridere e quando Mark tornò, dopo pochi istanti, eravamo assolutamente euforici.
- “Cos'è quella roba?” chiesi ridendo.
- “È un'aspirapolvere... per computer”
Era davvero una mini aspirapolvere, solitamente si collegano con il cavo usb al computer e ci si pulisce la tastiera. Poi c'eravamo noi... che la collegammo al cellulare di Mark e iniziò ad aspirare tutta la cocaina infiltrata nella moquette. Per quella che avevamo inalato ormai non c'era più niente da fare. Quello che ne seguì fu semplicemente un disastro. L'accogliente villetta del dottor Hobs rimase vittima del nostro massacrante vandalismo. Il lampadario della sala finì in piscina. Il divano lo lanciammo in giardino e non vi rimase più un cassetto aperto. Frugammo ovunque. Io continuavo a pensare la stessa cosa: sono in stato di grazia. Stato di grazia. Assolutamente invincibile. Una volta rovinato, distrutto e rubato tutto quello che ci era capitato a tiro, uscimmo dalla villa e immediatamente le sentimmo. Sirene della polizia. Come avevo notato, ma non tenuto a mente, Hobs aveva dei vicini.
- “Dai dai andiamo!” io e Mark iniziammo a correre lungo la tranquilla strada del quartiere, avevo il cappuccio della felpa a coprirmi e un fagotto sotto il braccio. Non sapevo nemmeno cosa stavo portando via. Mark rideva, io anche. Rallentammo per ripendere fiato e notammo una macchina che si avvicinava ad alta velocità. Niente sirene, quelle erano in lontananza. La portiera posteriore si spalancò.
- “Salite!” Erano Sam e Cloe con l'auto. Non mi ricordavo nemmeno che eravamo venuti in auto. Se non era per loro avrei continuato a correre, per dove non lo so, ma avrei corso ridendo per chilometri. Una volta in macchina iniziammo a urlare come dei pazzi.
- “Siii li abbiamo fottutiii!”
- “Cosa cazzo hai li?”
- “Non lo so! Ma vai!”
Cloe ci guidò fuori dal quartiere, non sapevo dove fosse diretta. Forse non lo sapeva nemmeno lei.
- "Doveva venire anche Nicki" disse Sam tirando giù il finestrino.
- "È con suo padre..." Pronunciai quelle parole senza nascondere un certo risentimento.
Sam sorrise. "Dillo che sei geloso... avanti!" iniziò a provocarmi, ad essere insistente come solo lei sapeva fare. Ancor più se sotto l'effetto di stupefacenti. "Dai ammettilo!"
- "È suo padre, io non son..."
- "Si invece!" Anche Cloe iniziò a ridere, convicendomi ad ammettere.
Non avevo scampo e la cocaina di Hobs agevolò i miei ragionamenti. "E va bene!" ammisi sprezzante ormai di ogni conseguenza. "Sono geloso! Lo sono da impazzire! Quel bastardo mi odia... le porta via sempre più tempo che potrebbe passare con me! Certo che sono geloso, cazzo!"
Mark era semiaddormentato, Sam e Cloe ridevano. "Finalmente ti lasci un po' andare!"
Girammo in auto per Los Angeles per almeno un'ora. Ero anche convinto che fossimo passati dallo stesso punto più di una volta. Quando l'effetto iniziò a scemare, il delirio di onnipotenza si affievolì. Cominciarono a fare capolino la confusione e la pesantezza. Solo allora chiesi di portarmi a casa.

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Capitolo 12
*** So wake me up when it's all over ***


Capitolo 12
So wake me up when it's all over


Il mio cellullare continuava a suonare. Lo faceva anche prima ma poi aveva smesso. Ce l'avevo in tasca, lo tirai fuori e risposi.
- “Finalmente! Dove sei?”
- “Nicki...” Mi sentivo distrutto, come se mi avesse investito un camion. Mi girava la testa. “Sono a casa...”
- “E dove?”
- “Sono...” ero sul morbido, avevo un cuscino dietro la testa. “Sono a letto”
- “No io sono a letto e credimi, tu non sei qui”
Cazzo. Mi issai sui gomiti con uno sforzo che mi sembrò sovrumano e mi guardai intorno.
- “Sono a casa mia, cioè dei miei... a letto”
- “E che ci fai li?”
Che ci facevo li? Sentii Nicki sbuffare dall'altra parte. “Loro lo sanno?”
Davanti a me notai la portafinestra del balconcino della mia camera aperta e un borsone nero abbandonato vicino alla scrivania.
- “No, non penso proprio”
- “Ok arrivo”
Rimasi a letto perchè non sapevo che conseguenze ci sarebbero state se mi fossi alzato. Cercai di ricordare qualcosa della notte precedente ma non mi venne in mente niente. Solo immagini confuse. I miei genitori non c'erano. Avevo bevuto? Mal di testa. Indossavo la felpa. Paris. Ancora mal di testa. Mi ero quasi riaddormentato quando sentii le sue mani che mi avvolgevano.
- “Sei qui?” mi voltai. Era li. Bellissima.
- “Che è successo ieri? Ho provato a chiamare gli altri ma non mi risponde nessuno” disse sottovoce.
- “Non lo so... che ore sono? Sei entrata dalla finestra anche tu?”
Sorrise “Sono le otto e mezza del mattino, i tuoi genitori e tua sorella devono essere andati a lavorare. E no, niente finestra, ho usato il tuo mazzo di chiavi”
- “Ah già...” mi passai una mano sulla faccia. “Non mi ricordo niente di ieri... ma tu oggi hai l'esame?!”
- “Si è alle dieci”
- “Ok... hai detto che gli altri non rispondono”
- “Esatto... che è successo?”
Sospirai, scuotendo la testa. La avvolsi con un braccio la strinsi contro di me.
- “Sei venuta fin qui da Malibu a quest'ora...”
- “Mi sono svegliata e tu non c'eri...”
Ebbi poi il tempo di farmi una doccia e indossare una mia vecchia maglietta lasciata nell'armadio prima di riprendere il borsone (pieno di gioielli, sopramobili e cd... si, cd) e andare con Nicki alla sede della UCLA per il suo esame. Continuava a girarmi la testa ma con il passare del tempo la situazione migliorava, inoltre cominciavo a ricordarmi della casa di Hobs e della cocaina. Assistetti all'esame rimanendo seduto nei posti in alto, in fondo all'aula. Era bravissima, tutto le riusciva con facilità, nessuna domanda sembrava darle problemi. La osservai orgoglioso per venti minuti, svolta la pratica riprendemmo l'auto per tornare a Malibu. Improvvisamente, durante il tragitto, arrivò una telefonata di Mark.
- “Hei! Dove cazzo siete? Io mi sono svegliato in camera a casa dei miei!”
- “Hai chiesto tu ieri di portati a casa... comunque abbiam...”
- “Si ma a casa dove abito ora! Non a Woodland Hills!”
- “Si ok, comunque abbiamo trascorso il resto della nottata da Paris!”
- “Che?”
- “Si è stato uno sballo assurdo... mi sto ricordando solo ora. Le abbiamo portato la cocaina di Hobs e ce ne siamo fatti un po'... sai il sacchetto che si era rotto?! Quello! Ma non tutto se no altro che overdose”
- “Menomale che mi avete portato a casa allora”
Nicki mi guardò con sguardo interrogativo.
- “Ieri comunque abbiamo fatto del gran casino in quella casa... ho visto le notizie al telegiornale, abbiamo svegliato tutto il quartiere, c'era la polizia”
- “Cazzo... hanno immagini?”
- “No no, solo testimonianze su due tizi incappucciati che correvano... chissà chi erano?!” lo sentii sghignazzare.
- “Fai poco lo spiritoso”. Gli buttai giù il telefono. Ora si che eravamo nei guai. Raccontai tutto a Nicki che non mancò di rivolgermi sguardi di disappunto. Mi aveva avvertito, sapevamo del rischio e noi eravamo riusciti a fare un disastro. L'unica nota positiva era che Paris era soddisfatta del lavoro.
Arrivati alla villa a Malibu il cielo si era ricoperto di nubi scure. Trovammo un'auto parcheggiata fuori dal cancello e poco più distante...
- “Kenneth! Il procuratore che ha seguito il mio caso...”
Parcheggiammo nel nostro box e nonostante la tremenda tentazione di entrare immediatamente in casa, ci avvicinammo al cancello. Per fortuna ebbi la lucidità di lasciare la felpa in auto sotto il sedile. Era l'unica cosa riconoscibile dalla sera prima.
- “Buongiorno, a cosa devo la visita?” chiesi tornando verso il cancello e cercando di risultare pimpante ed entusiasta.
- “McHale, passavo di qui... da dove arriva? Buongiorno” salutò anche Nicki.
- “Eravamo all'università”
- “Ah certo... e ieri sera dove si trovava?”
Sapevo che avevo facoltà di non rispondere, in ogni caso avevo diritto ad un avvocato. Nonostante questo decisi di mia spontanea volontà di collaborare, Kenneth non era il tipo da far insospettire ulteriormente.
- “Qui a casa, perchè?”
- “Curiosità... C'è qualcuno che può testimoniare oltre alla sua ragazza?”
Continuai a guardarlo sorridendo, ci fu un attimo di gelo. Non avevo testimoni.
- “Mio padre” intervenne Nicki. “Abbiamo cenato con lui ieri sera. E comunque non capisco il senso di queste domande. Se ha motivo di ritenere Alex responsabile per qualcosa si faccia dare un mandato, chiamiamo un avvocato e svolgiamo un interrogatorio formale alla stazione di polizia. Fare domande in giardino per curiosità, come ha detto lei, non mi sembra il caso”
- “Ha ragione... farò così. Buona giornata” Ci salutò con un cenno del capo e lo guardammo risalire in macchina. Avrebbe davvero fatto in modo di interrogarmi? E se avesse fatto domande al padre di Nicki?
- “Non accadrà niente” mi disse lei sicura. “Abbiamo cenato insieme, siamo andati a dormire e stamattina mi hai accompagnato a fare l'esame”
Forse aveva ragione, non c'erano prove su niente... dovevo solo liberarmi di quella scomoda refurtiva presa dal dottor Hobs. Ma fino ad allora...
- “Sei stata fantastica”
- “Beh studio legge o no?”
Entrammo in casa e la afferrai per un polso tirandola indietro. Ci baciammo, ci spogliammo e lo facemmo li all'ingresso. All'ingresso di casa nostra.

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Capitolo 13
*** Big Bro ***


Capitolo 13
Big Bro


Ero in piscina, in una splendida giornata di sole californiano. Una delle rare giornate con poco vento sulla nostra collina sul mare a Malibu. Mi appoggiai a bordo piscina e guardai Nicki sulla sdraio che prendeva il sole ad occhi chiusi.
- “Secondo te quanto è lontana Truckee da Los Angeles?”
- “Più di seicento chilometri penso” rispose restando ad occhi chiusi “Perchè?”
- “Devo liberarmi della roba che ho preso da Hobs... prima che Kenneth venga a cercarla a casa nostra”
- “Ok ma non c'è bisogno di andare fino a Truckee...”
- “Lo so ma c'è un lago... ed è abbastanza lontano. Potrei andare con Mark e...”
Finalmente si issò sul lettino e iniziò a guardarmi dubbiosa.
- “Seicento chilometri per buttare un sacco in un lago? Alex, siamo circondati da deserti. Trova una località qui vicino e vai a seppellire il bottino”
Inclinai la testa da un lato. “Forse hai ragione”
- “Togli il 'forse'”
- “È che non mi va di scavare nella polvere, sotto il sole...”
Nicki tornò ad appoggiarsi allo schienale. “Infatti non è consigliato seppellire tesori di giorno... una di queste sere vai con Mark, vi liberate della roba e tornate a casa”
Mi scocciava dirle che aveva ragione di nuovo quindi mi limitai ad annuire. Presi fiato e mi immersi.

***


Dopo cena passai a prendere Mark a casa sua. Aveva detto ai suoi genitori che saremmo andati a bere qualcosa lungomare perchè 'andare-nel-deserto-a-nascodere-oggetti-rubati-sotto-l'effetto-di-cocaina-e-su-ordine-di-Paris-Hilton' sarebbe risultato leggermente bizzarro e spiacevole. Il fatto di non vivere più con i miei genitori era liberatorio anche sotto questo punto di vista. Omettere fatti non significa mentire.
- “Cazzo è quello il borsone?” chiese Mark appena salì in macchina notando la refurtiva sui sedili posteriori.
- “Si... perchè, te lo ricordavi più leggero?”
- “Quella sera tutto mi sembrava più leggero...”
Mi misi a ridere guidando l'auto fuori dal vialetto.
Impiegammo circa un'ora per raggiungere il posto. Ed era un posto a caso nel deserto fuori città. Avevo controllato con Google maps, non c'erano abitazioni, edifici o aree di sosta. Niente. Entrai con l'auto nello sterrato, lentamente, lasciandoci alle spalle la statale illuminata dai lampioni. Procedetti per poco più di un chilometro facendo attenzione a non prendere eccessive buche o sassi, infine mi fermai. Scavare era più difficile del previsto, non si trattava di sabbia ma terra dura e compatta.
- “Ricordami perchè lo stiamo facendo” disse Mark indaffarato a ingrandire il perimetro della fossa.
- “Perchè Kenneth potrebbe entrare in casa mia o vostra anche domani con un mandato a cercare esattamente questa roba”
Nonostante la pigrizia e la fatica riuscimmo a scavare una buca sufficientemente larga e profonda che contenesse con margine il borsone.
- “A te l'onore” gli dissi. Mark seppellì la refurtiva e ricoprimmo la conca di terriccio. Parlavamo poco io e lui da quando avevo preso coscienza dei suoi sentimenti ma sulla via del ritorno non riuscii ad approfittare del fatto che fossimo soli per fargli qualche domanda. Forse scomoda.
- “Mi chiedevo... come... come è possibile che io non mi sia mai accorto di niente?! Voglio dire siamo sempre usciti insieme...”
- “Perchè all'inizio non ne ero certo nemmeno io. Vedevo quello che c'era tra te e Nicki e mi andava bene... finchè non vi siete messi effettivamente insieme. Ha iniziato a darmi fastidio”
- “Ok ma non devi avercela con lei... se mai con me”
L'abitacolo dell'auto era buio e la strada perennemente dritta, notai che fece spallucce.
- “Non ce l'ho con lei... io... io non so cosa mi prenda. Penso sia solo un po' di invidia”
Rimasi in silenzio, lui continuò “Voglio dire, le porti la colazione a letto? Guardate la tv insieme? Decidete in accordo cosa mangiare a pranzo? Sono... sono cose che gliele invidio. È fortunata ad averti”
Non sapevo cosa rispondere. Sinceramente. Lasciai che i secondi scorressero.
- “Mark io ci sarò sempre per te... da amico, ma ci sarò sempre. E potrai contare anche su Nicki, ricordatelo.”
- “Lo so”
- “E mi dispiace se non l'ho capito prima”
- “Non fa niente”
- “E comunque quando troverai qualcuno che si innamorerà follemente di te, perchè succederà, sappi che dovrà avere la mia approvazione”
Mark rise “Devo chiedere la tua benedizione?!”
- “Si esatto, big-bro-Alex valuterà ogni ragazzo con cui uscirai e porrà veto ove necessario”
Riuscii a fargli tornare il buon umore, per un attimo mi sembrò di essere tornato indietro nel tempo di un anno. Era il Mark di sempre. Scherzammo per tutto il resto del tragitto, era importante che capisse che tra noi le cose non sarebbero cambiate. Quando arrivammo davanti a casa sua esitò un attimo prima di scendere.
- “La sposerai?”
- “Non lo so... ci sono giorni in cui vorrei solo inginocchiarmi davanti a lei e farle la proposta, ce ne sono altri in cui penso che forse tutto sommato stiamo bene così, senza...” feci spallucce “senza complicare le cose ecco. Poi quel 'no' mi perseguita...”
- “Secondo me dovresti farlo”
- “Dici?”
- “Ti sto dando la mia benedizione big-bro-Alex!”
Quando tornai a casa, dopo aver parcheggiato, scendendo dall'auto udii voci e risa provenire dal retro. Feci il giro della villa senza passare dall'interno e poco prima di svoltare l'angolo vidi Nicki con i nostri vicini seduti in giardino, a bordo piscina, a parlare serenamente e bere quello che sembrava tanto il mio analcolico alla frutta. Stavo per farmi avanti e salutare quando vidi la figlia dei vicini, una adorabile bambina di circa cinque anni, avvicinarsi a Nicki. Dio, le si illuminarono gli occhi. Rimasi nel mio angolo buio a guardarla ridere, scherzare e prenderla in braccio. Mi appoggiai al muro e incrociai le braccia. La bambina iniziò a fare apprezzamenti sui suoi capelli, Nicki rise e le rispose che anche a lei piacevano i suoi. “Sei come il mio ragazzo Alex, anche lui ha i capelli biondi... l'hai visto vero?”. La figlioletta dei vicini annuii e puntualizzò che però i miei erano un po' più scuri ma che in ogni caso le sembravo una sorta di principe azzurro uscito da un libro di favole. “A volte credo lo sia davvero... anche se ha un cane nero invece di un cavallo bianco” disse Nicki. Si misero tutti a ridere e continuarono a conversare. Io d'altro canto non riuscii a farmi avanti e restai altri dieci minuti a guardarla mentre teneva in braccio la bambina. Era semplicemente radiosa, mi accorsi che stavo sorridendo da quando l'avevo vista.

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Capitolo 14
*** Una vecchia conoscenza ***


Capitolo 14
Una vecchia conoscenza


- "Devono essere sette!"
Eravamo da Paris, volevamo convincerla a non farci più andare nelle ville a commettere atti vandalici e furti. Sapeva di Kenneth, delle telecamere, dei vicini di Hobs e di tutti i rischi che stavamo correndo. Ma niente la smosse dal rinunciare agli ultimi due colpi. Nicki aveva ancora la registrazione con cui avremmo potuto incastrarla o, almeno, trascinarla all'inferno con noi se ci avesse tradito. Quello però non ci sembrava ancora il momento di usarla.
-"Ok ma siamo noi che ci mettiamo la faccia". Sam, quella sera era particolarmente aggressiva.
- "Nessuno ha prove contro di voi...e in ogni caso pagherei la cauzione"
- "Sai che sollievo..."commentò sarcastica Nicki.
Sbuffai, anche Mark era nervoso. Restammo qualche istante in silenzio. Con Paris o contro Paris?
-"Per la cronaca" continuò lei "la prossima vittima è una vostra vecchia conoscenza"
- "Di chi parli?"
Attimo di suspence teatrale.
- "Alexis Neiers"
Oh. Mio. Dio.
-"Quella troietta mi ha portato via un capitale! Le mie borse! Tutte le ha rubate! Se voi avete preso il 20% del mio armadio, lei si è presa il restante 70!"
- "80..." la corressi.
- "È uguale! Rivoglio la mia roba! Voi potete anche tenervela visto il lavoro che state facendo... non dovete fare altro che riprendere quello che mi ha portato via"
- "E come facciamo a sapere cosa riport..."
- "Ecco la lista!" Paris porse a Cloe due fogli legati con un punto di spillatrice. Aveva fatto un elenco.
"Sono le cose che le ho visto rubarmi dalle telecamere di sicurezza"spiegò notando i nostri sguardi interrogativi.
Nicki sorrise, I miei timori erano fondati: odiava Alexis e avrebbe fatto qualsiasi cosa per...
- "Affare fatto!"
Ecco, appunto. Con Paris .

***

Alexis si era trasferita in una villetta poco distante da dove abitava prima coi i suoi genitori. Non trovai altra motivazione se non quella di avere più spazio per i suoi abiti (eborse, le dannatissime borse). Incassava anche un ottimo stipendio dalla CBS in quanto il network le aveva concesso, in seconda serata, un programma tutto suo. Una specie di reality molto trash in cui cercava ragazze interessate alla moda con cui portare avanti il suo fashion blog. Quella sera, guarda caso, risultava essere impegnata nella registrazione di un nuovo episodio.
- "Io faccio il palo" Eravamo con il solito van nero che Paris ci concedeva per le 'occasioni speciali', ma io non avevo voglia di mettermi a frugare e cercare vestiti, soprattutto perchè non sapevo distinguerli. Avrei potuto riportare a Paris un capo da mercatino invece che un vestito di Demarchelier. Rimasi seduto in giardino vicino ai cespugli per non farmi notare da eventuali passanti. Mark ele ragazze facevano velocemente avanti e indietro, con borse piene di roba , dal piano superiore al van parcheggiato sul retro usando la portafinestra del giardino posteriore.
Fare il palo si rivela un'esperienza intrensicamente noiosa. Trascorsi la maggior parte del tempo a guardare il cielo scuro, ascoltando il lontano rumore degli aerei che atterravano al LAX.
Fu quando Nicki mi scrisse che avevano quasi finito che vidi un'auto appostarsi sulla via davanti all'abitazione. Mi nascosi dietro al cespuglio col quale, ormai,avevo fatto amicizia e vidi proprio Alexis scendere e dirigersi verso casa... dovevo distrarla in modo da lasciare che gli altri finisse di portare fuori la roba. Era ormai un anno che non ci vedevamo e non avevo la minima scusa da rifilarle, né sul mancato contatto, né sulla ragione per cui mi trovavo, in piena notte, in un cespuglio del suo giardino. Sbucai fuori all'improvviso mentre lei cercava lechiavi di casa.
- "Alexis!"
- "Oh! Alex! Che ci fai qua?"
- "Sorpresa!". Mi ricordai che aveva una cittadella per me all'epoca, ragione per cui tra lei e Nicki non scorreva buonsangue, per cui decisi di giocarmela così.
- "Sono venuto a trovarti... ti pensavo e volevo vederti"
Lei fece la sua solita faccia ammiccante. Quella del 'capisco' e 'non voglio perdermi l'occasione'.
- "Entriamo in casa"
- "No!"sussultai.
- "Perchè? Non avrai paura di fermarti un attimo..."
- "No è che..." ma lei infilò le chiavi nella serratura. "è che non ho molto tempo, sai vado di fretta" la porta scattò e lei aprii leggermente. "e poi si sta cosi bene qui fuori , il cielo è nitido e si vedon..."
- "Come mi piaci quando fa il romantico!" spalancò la porta ed entrò in casa, accese la luce ed ero pronto al peggio. Peggio che... non avvenne. Non c'era nessuno. "Che fai? Entra."
- "O-ok, si..."deglutii. Estrassi il telefono dalla tasca, c'era un messaggio di Nicki di un minuto prima.
"cerca di distrarla. abbiamo ancora due borse da portare giù"
- "Avanti siediti " disse quasi ordinandomelo. Mi accomodai sul divano con lo sguardo rivolto alle scale che portavano al piano superiore. Lei si sedette davanti a me quindi, per fortuna, vi dava la schiena.
-"Allora, come hai saputo che abito qua?"
- "Oh sai...internet... ti ho vista sulla CBS tempo fa e mi sono tornati in mentei bei vecchi tempi"
Solo in quel momento mi accorsi che era la versione aggiornata. Alexis 2,0. Più truccata, vestiti più costosi,più corti e, se possibile, ancora più sicura di se.
- "Tu sei sempre più bello, potrei trovarti un lavoro da modello... sai il blog va bene, case di moda e riviste lo tengono d'occhio... Ma scommetto che tu stia sempre con la perfettina-so-tutto-io"
Proprio in quel momento la 'perfettina-so-tutto-io' fece capolino in cima alla scala, seguita dagli altri, con la refurtiva, scendevano lentamente in silenzio e, per fortuna, ci avevano visti.
- "Eh si..." sospirai.
- "Oh Alex, mi sembri così giù di corda..."mi appoggiò una mano sulla gamba. "Perchè non ti fermi qui stasera?!"
- "Eh?! Beh io..."
-"Andiamo, potrei farti cose che la tua Nicki non oserebbe nemmeno pronunciare "
Ho seriamente pensato che Nicki in quel momento sene sarebbe fregata di ogni cosa, avesse sceso le scale e le avrebbe scaraventato contro ogni oggetto avesse avuto a portata di mano. Ma non accadde, semplicemente si trattenne dal causare un omicidio limitandosi a tirarle un'occhiata che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Io intanto non sapevo cosa dire. Appoggiai un braccio sullo schienale del divano e le feci segno di scendere.
- "Sai Alexis... ti trovo bene, sei molto bella stasera"
- "Davvero?" pendeva dalle mie labbra. Grazie al cielo.
- "Si... scommetto che sarai piena di ammiratori". Gli altri continuavano a scendere.
- "Ma nessuno merita quanto te..."
Ad un certo punto a Mark cadde qualcosa e, dannazione, si sentì un lieve tonfo. Alexis fece per girarsi, non avevo scelta, la afferrai e la baciai. Lei non ebbe alcun timore reverenziale e iniziò a baciarmi intensamente. Gli altri scesero le scale velocemente e si diressero sul retro. Solo Nicki tentennò guardandoci con una faccia schifata, le feci segno di andare ma ci volle Sam per trascinare via. Al termine di quel bacio piuttosto disgustoso e squallido, le mani di Alexis stavano già provando a tirarmi via la maglietta.
-"No, no... hei... no..."
- "Perchè? Pensavo volessi..."
-"No hai frainteso, è stato un errore..."
- "Questa è una frase che non andrebbe mai detta ad una ragazza"
- "Lo so, mi dispiace ma vedi, è veramente tardi, devo scappare..." mi alzai e mi diressi verso la porta.
Mi afferrò per la maglia strattonandomi e mi tirò a sé e mi sussurrò con voce sensuale "Quando vuoi sono qui". Quando richiuse la porta sfilai il telefono dai jeans, altro messaggio di Nicki.
"Siamo in fondo alla via. vedi di tornare con tutti i vestiti addosso"
Raggiunsi il van nero ad un centinaio di metri di distanza. La portierà sfilo' e sali a bordo.
- "Allora? Furbone, che mossa da professionista" Cloe rideva divertita. Nicki aveva le braccia conserte ma intravidi un sorriso.
- "È stato orrendo, ci ho rimesso la mia dignità "Risero tutti. "Non è divertente!" Avvolsi un braccio intorno alle spalle di Nicki "Mi dispiace per quella scena..."
-"Vedrò di superare la cosa, dopotutto ci hai tirato fuori da un bel casino" Si voltò e mi baciò dolcemente. Tutta un'altra cosa rispetto ad Alexis.
- "Allora" continuai "avete preso tutto?"
- "Tutto... e pensa, ha talmente tanta roba che non penso se ne accorgerà mai" disse Mark divertito.
Riportammo la referutiva da Paris che ci accolse entusiasta. Mancava ancora un colpo alla fine e poi... libertà.



 

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Capitolo 15
*** Il sogno nel cassetto ***


Capitolo 15
Il sogno nel cassetto


Era da un paio di mesi che non mi fermavo a cena dai miei genitori e quella sera non sarei tornato a casa da solo. Per la prima volta avremmo cenato a Woodland Hills con Nicki e i suoi genitori, tutti insieme da grande e felice famiglia. Suo padre continuava ad essere (insopportabilmente) presente, alloggiava in un motel ma si fermava spesso a casa Moore tentando vari tentativi di riconciliazione con l'ex moglie e con Nicki. Non sapevo se lavorava, se si era trasferito o aveva un congedo, niente. Non avevo nemmeno mai avuto il coraggio di chiederlo a Nicki, non volevo indagare o mostrarmi sospettoso nei confronti di suo padre che, dopotutto, lei era ormai entusiasta di frequentare.
Mia madre a cena fu l'unica a porre domande a Robert circa lavoro che svolgeva ma poco ottenne. Lui si limitò a parlare del suo ruolo nella società di investimenti a Chicago apparendo come un uomo brillante e di successo, tornato per riallacciare i rapporti con la figlia. Amorevole ipocrita. Io lo vedevo solo come una fastidiosa e costante minaccia alla mia relazione con Nicki. Aveva già provato a convincerla a non vivere più con me a Malibu ma il suo tentativo non era andato a buon fine, sapevo però che era soddisfatto per il fallimento della mia proposta di matrimonio. Fu per questi motivi che trovai sinceramente falso e meschino il fattodi accettare una cena a casa dei miei genitori quando sperava solo di liberarsi di me, ultimo ostacolo ad una sua totale riconciliazione con Nicki. Ovviamente, intelligentemente, si rese amabile per tutti i presenti . Tranne me, a cui riservò occhiate e velate battute sull'inutilità del mio Master e sul mio mancante impiego lavorativo.
Dopo cena mamma ebbe la splendida idea di tirare fuori un paio di album di famiglia per mostrare le foto della nostra vecchia casa nel Meryland e di me da piccolo. Robert e mio padre si recarono in giardino a bere qualche liquore della sua amata collezione mentre noi altri ci sedemmo sul divano in sala. Mia madre mostrò a Nicki le mie foto da piccolo, biondissimo e imbronciato,mentre tenevo per mano mia sorella, decisamente più sorridente.
-"Erano adorabili... fino ai 5-6 anni, poi hanno iniziato a litigare per ogni cosa"
Guardai Emily che alzò gli occhi al cielo.
- "Devi farle vedere proprio tutte mamma?" chiese.
- "Qui era Capodanno" continuò come se non avesse sentito. "È stato un inverno da record per la neve, ad Alex arrivava quasi ai fianchi, faceva fatica a camminare"
Volevo chiedere a Nicki di andare ma quando mi voltai la notai seriamente interessata alle foto.
- "E questa?" chiese.
- "Il primo giorno di scuola di Emily, con i nonni"
Voltarono pagina. Una foto di me che piangevo mentre mio cugino più grande mi prendeva un giocattolo. Nicki rise.
- "Oddio com'eri carino..."
- "Sono sempre stato bullizzato come vedi"
- "Ma smettila" mi riprese mia madre. "Eri sempre a piangere o arrabbiato per tutto... lo chiamavamo 'il piccolo principe' perchè se non otteneva quello che voleva erano guai"
Mio padre e Robert rientrarono in casa,quest'ultimo era deciso ad andare. Mi alzai, ben felice di scordarlo alla porta ma Nicki mi fermò.
- "Amore aspetta, guarda questa!"
Mi bloccai, non mi aveva mai chiamato così. "Guarda" insistè indicandomi un'altra foto. Mi risedetti a fianco a lei. Era il giorno dell gita al lago, avevo cinque anni, ero seduto al tavolo da picnic e giocavo con dei Lego.
- "È bellissima questa foto, eri concentratissimo"
- "Si... si, mi sono sempre piaciuti i Lego ... e papà è buon fotografo"
Robert ci interruppe di nuovo per salutare tutti, non mancando di chiedere a Nicki se voleva venire via con lui, lei gentilmente rifutò e lo salutò con un abbraccio.Una volta che se ne fu andato lei e mia mamma iniziarono a sfogliare il secondo album. Ripensai al suono della sua voce quando aveva pronunciato la parola 'amore', era una delle cose più belle che avessi mai sentito.
- "Qui era al ballo di primavera a scuola" spiegò mia mamma. Quelle foto me le ricordavo bene, erano di sei anni prima.
- "Questa era la sua ex... a proposito Alex, l'hai più sentita?"
- "No e sto bene così"
- "Beh hai trovato di meglio" disse lei.
Nicki rise e non approfondì  l'argomento 'ex', un paio di pagine dopo apparvero le foto della mia festa di laurea dell'anno scorso. Li in giardino. Io e lei.
-"Oooh ci sono anche queste!" Sorrise a vederci.
Forse quelle foto sarebbero state solo le prime di una lunga serie di noi insieme. Ebbi l'impressione che non fui il solo a pensarlo, seguivano pagine bianche.
- "Ne ho molte altre di lui da piccolo" disse mia mamma, quasi delusa dal fatto che avevamo finito. "La prossima volta vedrai anche quelle Nicki"
- "Certo, sono bellissime...le mie dove le hai messe?" disse rivolgendosi alla signora Moore.
-"A parte quelle incorniciate ho un album in camera, però tuo padre deve averne qualcuna in più"
Era tardi e aveva iniziato a diluviare . Salutammo i miei e non potei fare a meno di notare che l'abbraccio tra mia mamma e Nicki fu un po' più prolungato rispetto agli altri. Accompagnammo a Sherman Oaks la signora Moore e poi tornammo a Malibù sotto il diluvio. Guidavo piano, la strada che risaliva la collina sembrava un fiume in piena. Quando parcheggiati all'interno della proprietà mi resi conto di quanto fosse scomodo il posto auto: per raggiungere l'ingresso avremmo dovuto attraversare parte del giardino ed inzupparci.
- "Facciamo così, copriti con questa" diedi a Nicki la mia giacca "Vado ad aprire e quando ho fatto vieni dentro"
- "Ma no aspetta!"
Non la lasciai replicare, uscii e una volta fuori dal posto auto lasciai che la pioggia mi centrasse. Quando arrivai all'ingresso ero bagnato fino al midollo , non era una doccia ma una vera a propria secchiata d'acqua, una volta aperto mi voltai per vedere dove fosse Nicki e la vidi in mezzo al giardino. Ferma, sotto l'acqua, senza giacca. Venne verso dime, ormai completamente fradicia.
- "Che fai?"
Mi prese una mano e mi tirò sotto l'acqua con lei per poi baciarmi appassionatamente. Un tuono in sottofondo e il rumore incessante della pioggia.
Fu difficile. Fu difficile entrare in casa e togliersi le scarpe all'ingresso, fu difficile convincere Paco a tornare nella cuccia dall'altra parte della casa, fu difficile attraversare l'ampio open space tra sala e cucina senza fermarsi contro il tavolo o il divano e fu difficile fare le scale illuminate solo dalla luce emanata dai lampi fuori dalla vetrata. Ogni cosa che la riguardava mi era indispensabile. Le sue mani calde che mi sfilavano la camicia bagnata, il suo bacio sulla mandibola seguito da un morso, il sorriso minaccioso che mi regalò quando per poco non le strappai una spallina dell'abito di Dior da migliaia di dollari che indossava. La camera da letto fu finalmente mia complice. Mi sedetti sul bordo del letto e lei si mise a cavalcioni su di me, le tolsi il reggiseno continuando a baciarla e lasciando che le sue mani mi stringessero i capelli ancora umidi. Portai una mano verso il basso e la accarezzai dolcemente, lei gemette nella mia bocca, tra le mie labbra. Adoravo quando lo faceva. Mi voltai, la lasciai ricadere sul letto e mi sdraiai su di lei. Fuori il vento faceva schiantare la pioggia contro i vetri. Quando iniziai a muovermi sentii le sue gambe contro i miei fianchi e le sue unghie graffiarmi dolcemente la schiena. Ma non ero soddisfatto. Le presi le mani e le portai ai lati del suo viso, intrecciai le mie dita alle sue.
- "Ripetimi come mi hai chiamato stasera" le dissi. Sapevo che si ricordava. Sorrise e sollevò un po' la testa per baciarmi.
- "Amore"
Lo sussurrò, lo gemette, lo urlò.

IL temporale sembrava essersi calmato, i tuoni erano ormai lontani, la pioggia ridotta a poche gocce. Avevo acceso l'abat-jour la cui tiepida luce illuminava la stanza. Lei era appoggiata contro il mio petto, il mio braccio l'avvolgeva, le sue gambe sotto le lenzuola erano avvinghiate alle mie. Mi accarezzò dolcemente l'addome.
-"Io non capisco come diavolo fai" disse.
- "A fare cosa?"
-"Ad avere un fisico così... come fai ad avere questi addominali se ti vedo sempre sul divano a mangiare schifezze?"
- "Innanzitutto sono barrette ai cereali e a volte, quando non ci sei, vado a fare qualche esercizio in spiaggia"
- "Circondato da biondone rifatte che ti sbavano dietro"
- "Non è vero... e poi sento un pizzico di gelosia nella tua voce"
Lei rise "Sai che la sono..."
- "E io cosa dovrei dire? La gente ti guarda sempre e ovunque... non solo in spiaggia"
- "Mmh... hai mai letto 'Meno di zero'?"
- "Il libro di Bret Easton Ellis?"
- "Si... non sembriamo un po' Clay e Blair?"
'Meno di zero' era un romanzo su un gruppo di ragazzini borghesi di Beverly Hills che conducevano una vita di eccessi: alcol, sesso, droga, prostituzione. Noi non eravamo esagerati come loro. Ma un po' di familiarità con Clay, il protagonista, e Blair, la sua ragazza, effettivamente ce l'avevamo seppur minima.
- "Forse..."
Attimo di silenzio. Iniziai ad accarezzarle la spalla con il dito medio disegnando immaginari cerchietti sulla sua pelle.
- "Tu ce l'hai una canzone per noi due?" chiese.
- "Quante domande stasera..."
-"Dai, una canzone... che dedicheresti a noi..."
Ci pensai su. Poi apparve chiara. Quasi ovvia.
- "Faccio lo sdolcinato e dico 'Come what may'"
-"Giusto, avrei dovuto saperlo..."
- "E tu?"
-"Nessuna"
- "Ma comeee?! Che domande fai allora? Dai avanti ora la dici..."
- "E va bene... 'All about loving you' di  Bon Jovi"
- "Ah cazzo, bella... è quella dove nel video c'è un tipo che si butta dal grattacielo, la fidanzata pensa si voglia suicidare e poi lui apre il paracadute?"
- "Che ricostruzione romantica... comunque non me lo ricordo"
- "Non puoi non ricordartelo!" Mi sporsi dal letto per cercare i pantalonie prendere il cellulare. "Ora te lo faccio vedere... sono sicuro sia quella". Una volta col telefono in mano notai che era quasi scarico, la spia in alto lampeggiava di rosso. "Mi passi il caricabatterie?! È dentro al mio cassetto"
Lei si allungò per arrivare al comodino e nel mentre controllai i messaggi suWhatsApp.
- "Alex questo cos'è?"
Aveva in mano la scatolina bianca contenente l'anello di fidanzamento. Sapeva cos'era, si capiva. Io mi sentii avvampare in viso e glielo tolsi bruscamente dalla mano.
- "Niente" mi affrettai a dire. Presi i pantaloni e infilai la scatolina nella tasca in cui prima c'era il cellulare. Lei sospirò un po' scocciata.
- "Ne vuoi parlare?" Me lo stava chiedendo per l'ennesima volta e io per l'ennesima volta...
-"No"
- "Non capisco quale sia il problema"
- "Non lo so, lo hai creato tu il problema..." bofonchiai sdraiandomi voltato dall'altro lato per non doverla guardare in faccia. La sentii sdraiarsi nervosamente, con un gesto di stizza.
- "A volte penso che semplicemente tu non voglia" disse infine. Percepii dal suotono di voce quanto le fosse costato dire quella frase. Allungai la mano e
spensi la luce.

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Capitolo 16
*** All about loving you ***


Capitolo 16
All about loving you


Quel mattino commisi la bastardata di uscire di casa quando lei ancora dormiva. Presi l'anello, il cellulare e mi infilai in bagno per una doccia veloce prima di indossare la tuta, con tanto di felpa, e uscire con Paco in spiaggia. C'era ancora vento, il cielo era grigio e il mare scuro con le onde incessanti che si infrangevano lungo tutta la costa, faceva quasi freddo. Presi un bastoncino e lo lanciai affinchè Paco corresse a prenderlo. Era semplice: le avevo chiesto di sposarmi e lei aveva detto no. Punto. Nonostante questo, secondo Nicki, ero io ad aver creato un problema. Paco riportò il bastoncino e lo lanciai più lontano con più forza. Non avevo voglia di tornare a casa, non avevo voglia di vederla e trovare un modo per giustificarmi. Lei aveva detto no. Non ero io quello che doveva dare delle spiegazioni. Trascorsi un paio d'ore in spiaggia a non fare niente, presi da mangiare al chiosco un chilometro più a sud, mi sedetti sulla sabbia umida e guardai Paco avvicinarsi all'acqua e scappare dalle onde abbaiando. Ormai doveva essersi svegliata, controllai il cellulare. Nessun messaggio. Mi tornò in mente la canzone di Bon Jovi che lei mi aveva citato la sera prima. Volevo farle vedere il video perchè non se lo ricordava. Ero certo che quel tizio avesse un paracadute. Andai su YouTube. 'All about loving you'. Infatti... lui sul grattacielo, lei sotto disperata, Bon Jovi che canta.
"Everytime I look at you, baby I see something new..."
Ecco che si butta, tanto apre quel dannato paracadute.
"I don't wanna sleep tonight, dreaming is just a waste of time"
Il paracadute si aprì eccome ma c'era un particolare che, io, non ricordavo.
- "Cazzo..."
Una volta aperto appariva la scritta "Mi vuoi sposare?". Mi accorsi di essere a bocca asciutta, salivazione azzerata. Nicki se lo ricordava benissimo quel video, aveva citato a posta la canzone per farmelo vedere. Per farmi capire. Per dirmelo senza usare le parole, visto che io non ne volevo parlare. Era come se mi stesse dicendo: voglio sposarti, chiedimelo ancora. Mi sdraiai sulla sabbia, le nuvole sopra di me erano sempre più minacciose. Mi portai una mano alla tasca dei pantaloni, avevo la scatolina con l'anello. Mi alzai di scatto e comminciai a correre verso casa, Paco mi seguì abbaiando.
Arrivai sotto la villa col fiatone, feci le scale arrancando e sbucai nel giardino sul retro, aprii la portafinestra che avevo lasciato semiaperta e cercai di riprendere fiato. Entrai e vidi Nicki sdraiata sul divano, quando la raggiunsi notai che aveva gli occhi arrossati.
- "Mi dispiace..." riuscii solo a dire.
- "Non fa niente" disse lei con tono piatto. Sembrava priva di emozione. "Lasciami stare adesso"
Non sembrava il momento di fare proposte di matrimonio, già la prima mi era venuta male. Guardai l'ora, era quasi l'una e mezza.
- "Stai bene?"
- "Si, non è niente..."
- "Ok... preparo qualcosa da mangiare intanto, poi dopo possiamo... parlare" feci un gesto stupido con le mani. Era strana, non diceva niente. Mi tolsi la felpa e mi misi ai fornelli, ogni tanto le tiravo qualche occhiata. Stava li sul divano, sembrava distrutta... in qualche modo. Paco andò da lei e le appoggiò il grosso muso in grembo, iniziò ad accarezzarlo. Stavo spegnendo i fuochi accesi sotto i fornelli quando improvvisamente la sentii singhiozzare. Mi voltai, non l'avevo mai vista piangere così.
- "Nicki..." andai da lei che si alzò e si buttò tra le mie braccia. "Che succede?" la sentii stringermi. Il suo respiro caldo contro il mio collo. "Tranquilla... che succede?". Dopo qualche secondo riuscì a riprendere fiato e provò a spiegarsi.
- "Papà... è andato via"
- "Come? Perchè? È stato qui?"
Annuì. Maledetto a me che l'avevo lasciata sola con quel bastardo. Si staccò dal mio petto, aveva il viso umido e riusciva solo trattenersi.
- "Ha detto che doveva andare via... ha voluto dei soldi... è andato via..."
- "Ok ok..."
- "Mi ha chiesto di andare con lui... ho detto di no, che volevo rimanere con te..." ricominciò a piangere. "Non lasciarmi anche tu" disse disperatamente ormai vittima di un profondo crollo emotivo.
- "No che non ti lascio! Sono qui! Guardami... sono qui. Non andrò mai via"
Aveva rinunciato a suo padre, tanto desiderato, per rimanere con me che, la sera prima, le avevo fatto erroneamente capire di non volerla sposare. Ci volle almeno un'ora perchè si calmasse, poi la situazione iniziò, piano piano, a farsi più chiara. Robert Vaughn voleva sua figlia e i suoi soldi. Non potè avere lei così riuscì a farsi dare cinquemila dollari in contanti. Nicki valeva cinquemila dollari per quell'uomo. Cinquemila per sparire per altri venti'anni, finchè non avesse avuto altri debiti da ripianare probabilmente. Sapendo quanto io fossi estremamente vendicativo, Nicki mi fece promettere di non cercarlo. Ma non capivo come facesse un padre ad abbandonare la figlia due volte.
- "Mi dispiace per i soldi..." Lei era a letto sotto le lenzuola, dopo pranzo l'avevo costretta a tornare di sopra a riposarsi. Avevo portato su anche Paco che le avrebbe fatto compagnia quando io sarei dovuto tornare di sotto a sistemare.
- "Non me ne frega niente di quei cinquemila dollari Nicki, poteva prenderne anche centomila... ma mi fa perdere la testa il modo in cui ti ha trattata. Cazzo... spero per lui che sia già lontano da qui"
Paco abbaiò "Si si, sei stato bravo" gli dissi per sdrammatizzare.
- "Si è preoccupato subito..." disse lei accarezzandolo. "Ha preso da te"
Ripensai alla sera prima, al video, alla spiaggia. "No io sono solo un idiota..."
- "Lo siamo stati un po' entrambi" Mi prese una mano "Ti amo"
- "Ti amo anch'io... e non farti venire strane idee, io non ti lascio. A parte ora che devo andare a lavare i piatti". Mi allungai verso di lei e la baciai sulla fronte, facendola sorridere per la prima volta dopo ore.

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Capitolo 17
*** Nel nome del padre ***


Capitolo 17
Nel nome del padre


Erano trascorsi un paio di giorni dal dramma e Nicki stava decisamente meglio. Nonostante questo le impedii di venire da Paris quella sera, la quale voleva illustrarci la settima ed ultima fatica da mettere a segno. Saremmo andati io, Mark, Cloe e Sam. Sapevo che Robert, probabilmente, non si sarebbe più fatto vivo ma non volevo che Nicki si innervosisse ancora ad ascoltare uno dei piani strampalati di Paris cui, quella sera, la convinsi a rimanere a casa con la sua sorellastra minore, Gabi.
- "Allora, i telefoni sono carichi, l'Ipad anche così puoi controllare il sistema di allarme e le telecamere..."
- "Ok ma stai tranquillo"
- "Lascio Paco fuori in giardino così se vede un intruso lo sbrana..."
- "Non farebbe del male a una mosca ma va bene..."
Eravamo in cucina e Gabi, diciassettenne con la quale non risparmiavo battute e risposte seccate, alzò gli occhi al cielo.
- Quanto sei paranoico..."
Decisi di ignorarla, lei dopotutto non sapeva cosa nascondevamo in quella casa, né tantomeno i dettagli di quello che era successo col padre di Nicki.
- "Ah non aspettarmi sveglia, chissà a che ora torno..."
- "Ok, e tu ricorda a Mark e alle ragazze che domani sono invitati a pranzo qui. Niente Subway mi raccomando" disse lei.
- "Sempre che il tuo fidanzato scemo gli consenta di mettere piede in casa"
Che ragazzina odiosa, non si risparmiava una risposta. Le rivolsi un'occhiataccia.
- "Gabi per favore". Nicki la riprendeva spesso ma con toni sempre piuttosto amabili, sospettavo che un po' le piacesse guardarci litigare e darci fastidio. Gabi, sempre con il telefono in mano h24, sbuffò.
- "Che poi non capisco dove devi andare a quest'ora, potevi andare via prima e tornare prima così al massimo io tornavo a casa così domani mattina..."
Bla bla bla, non volevo che Nicki restasse da sola e basta. La ragazzina odiosa me la sarei risparmiata.
- "Voglio dire, se non avessi potuto stasera?! È mia sorella e vengo volentieri ma di cambiare i miei orari per i tuoi impegni lo trovo sinceramente da..."
Oddio basta. Finalmente arrivò l'ora di uscire, dovevo passare a prendere tutti gli altri prima di andare da Paris. Prima però pensai a qualcosa di cattivo gusto per far tacere la piccola odiosa arpia che ancora si stava lamentando dei miei orari/personalità/banale romanticismo/taglio di capelli/modo di parlare/modo di pensare/sbuffare/mangiare/telefonare/camminare... Nicki era appoggiata al tavolo in cucina e stava controllando sfogliando una delle sue riviste di moda. La afferrai da dietro mettendole le mani sui fianchi e mimando un osceno atto sessuale.
- "Ooooh... ooohh siii!"
Gabi si zittì. Nicki si girò ridendo per darmi un lieve schiaffo sulla spalla.
- "Smettila!"
Mi staccai da lei e presi la giacca dalla sedia. "Non è quello che mi hai detto un paio d'ore fa". Lei sorrise scuotendo la testa. "Che scemo..."
- "Quand'è che te ne vai?!" chiese Gabi imbarazzata e irritata.
- "Ora... ciao" Baciai Nicki che ancora sorrideva e mi diressi verso la porta.
- "Ah Gabi... attenta a dove ti siedi sul divano"
- "Sei disgustoso!"
Il cielo si era coperto di nuovo, quelli che pensano alla costa californiana come perennemente serena si sbagliano di grosso. Salii in auto e una volta fuori dal parcheggio salutai dal finestrino il vicino di casa che metteva sotto la tettoia dei vasi, la figlioletta bionda si limitò a sorridere e salutarmi timidamente. Non avevo ancora fatto cento metri quando lo vidi. 'È lui!" pensai. 'Lo sapevo cazzo!". Accostai malamente l'auto sul marciapiede. Il padre di Nicki era appoggiato al muretto che confinava una villa piuttosto maestosa, una delle poche più grandi della nostra. Stava fumando una sigaretta. Io scesi dall'auto sbattendo la porta.
- "Sei ancora qui?" chiesi rabbioso. Mi venne spontaneo dargli del 'tu'.
- "Asp...". Non lo lasciai finire e lo presi per la giacca.
- "Non pensare di andare da lei!"
- "Volevo parlare con te! E lasciami!"
Fui costretto ad obbedire, più che altro per il timore che urlasse o attirasse l'attenzione degli abitanti della zona.
- "Mi stavi aspett... come facevi a sapere che sarei uscito?"
- "Non lo sapevo! Ci speravo"
- "Ok senti, te ne devi andare, hai chiuso con noi!"
- "Si lo so"
- "No non sai un cazzo tu! Hai abbandonato tua figlia due volte... come... chi mai lo farebbe? Hai idea di quanto ha sofferto e sta soffrendo? Cristo avresti dovuto vederla l'altro giorno..."
- "Ho dovuto..."
- "Cosa? Illuderla? Sei venuto qui a implorare il suo perdono, a prometterle un padre che Dio solo sa quanto desiderava e ora sparisci di nuovo? Chiedendole anche dei soldi per di più!"
- "Mi fai parlare?"
- "Vaffanculo! Hai avuto mesi per parlare"
Mi stavo davvero trattenendo dal tirargli un pugno. Volevo solo risalire in macchina e andarmene.
Robert sospirò. Sapeva che avevo ragione.
- "Volevo rivederla... e l'ho fatto da lontano quel giorno a Santa Monica"
Oh le chiacchere sdolcinate del padre pentito! Incrociai le braccia scocciato, volevo che capisse che non mi avrebbe intenerito. Continuò "Era bellissima, la mia bambina. Ci ho pensato e non ho saputo resistere, volevo parlarle e quando ho iniziato a frequentarla ho pensato di mandare tutto al diavolo e trasferimi qua"
- "Si... senza contare che io ero di troppo"
- "Non è esatto, solo non volevo che la sposassi"
'Solo'. Alzai gli occhi al cielo.
- "Ho problemi finanziari, un investimento andato male... per questo, vedendo lo stile di vita che avete, le ho chiesto aiuto. Ci sono delle persone che mi cercano a Chicago... devo tornare la a sistemare le cose"
- "E le hai chiesto di venire via con te?!" Dio, quest'uomo è fuori di testa.
- "Mi avrebbe raggiunto a faccenda sistemata"
Non trattenni una risatina isterica e scossi il capo.
- "Vi restituirò quei soldi"
- "Non me ne frega un cazzo dei soldi... puoi tenerli ma stai lontano da Nicki"
Mi voltai e mi avviai verso la macchina.
- "Ho detto che eri a cena con noi la sera del 13"
E fui costretto a fermarmi.
- "Cosa?"
- "Un procuratore, Kenneth... è venuto a farmi domande. Nicki mi aveva avvertito e ho seguito le sue istruzioni. Non so dove fossi tu ma a Kenneth ho detto che abbiamo cenato tutti e tre insieme qui a Malibu. Hai un'alibi... per qualsiasi cosa fosse..."
Tornai indietro facendo qualche passo verso di lui. Lo guardai negli occhi. Diceva la verità? Dovevo ringraziarlo? Fu sempre lui a rompere il silenzio e continuare.
- "Non so come tu e Nicki riuscite a permettervi questo stile di vita, né perchè quel procuratore mi abbia fatto certe domande su di te e, credimi, parte di me nemmeno lo vuole sapere... ma state attenti"
Proabilmente lo sapeva, o forse se lo immaginava.
- "Devo dirle che ci siamo visti?" chiesi.
- "È meglio di no"
- "Ok, allora buon rientro a Chicago"
Conoscevo i suoi problemi, i suoi sentimenti e l'aiuto che mi aveva dato ma nonostante questo non riuscivo a non rispondergli freddamente. Mi diressi verso l'auto.
- "E per quello che conta..." disse lui costringendomi a fermarmi di nuovo. "mi sta bene... che vi sposiate. So che del mio consenso non ti importa nulla e lo avresti fatto lo stesso ma... lei ti ama davvero. Lo so, l'ho visto. Non deluderla come ho fatto io"
Sospirai e annuii, un po' più comprensivo. Mi spinsi fino a salutarlo con un gesto della mano prima di aprire la portiera dall'auto e salire.
Quando con Cloe, Sam e Mark raggiunsi la villa della Hilton i vari pensieri della proposta di matrimonio, di Robert Vaughn e del procuratore svanirono dalla mia mente. Volevo solo sapere in cosa consisteva l'ultima richiesta di Paris, l'ultima. Perchè poi saremmo stati liberi.
- "Ragazzi! Ho dei cupcakes ottimi stasera, ne volete?"
- "No grazie" dissi bruscamente. "Andiamo al sodo". Avevo anche il dubbio che quei cupcakes avessero qualche ingrediente speciale. Tipo quello che le avevamo portato da casa del dottor Hobs.
- "Dov'è Nicki?"
Presi fiato per risponderle male ma Sam mi precedette.
- "A casa, avanti Paris non ne possiamo più di questa storia"
- "E va bene. Come da patto questa è l'ultima volta che mi servirò di voi... ed è anche una richiesta più clemente rispetto alle altre. Voglio che entriate a casa di Nick Carter"
Un altro ex, pensai.
- "...e che prendiate un pass come questo". Ci mostrò un cartellino con la scritta "PARIS" rosa scintillante e il logo della catena di alberghi Hilton. "È un lasciapassare per tutti gli Hilton Hotel del mondo. Gliela avevo regalata ma quando ci siamo lasciati e gli ho chiesto di ridarmela ha detto che l'aveva persa... si, come no! La usa eccome, risultano effettuati check-in a suo nome quasi ovunque! Suites ovunque! E non paga niente! Quel bastardello! La rivoglio indietro, Nick non metterà mai più piede in uno dei miei alberghi!"
Avrei voluto precisare che la catena apparteneva a suo nonno ma decisi di non intromettermi negli affari di famiglia. Dopotutto un giorno sarebbe stata l'erede. Forse.

 

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Capitolo 18
*** Last time (parte 1) - In ricchezza e in povertà ***


Capitolo 18
Last time (parte 1) - In ricchezza e in povertà

Avevo concluso il master. Frequentando almeno l'80% delle lezioni mi ero assicurato il diploma. Non sapevo che farmene di un altro titolo di studio oltre alla laurea in economia ma i miei genitori sembravano davvero entuasiasti e speranzosi nei confronti della mia futura carriera. La fine del master per me era solo un motivo di preoccupazione in più in quanto avrei dovuto cercare, o far finta di cercare, un lavoro per motivare lo stile di vita che io e Nicki stavamo conducendo. Anche lei, dopotutto, stava per concludere gli esami del corso di legge. Accantonato il diploma nel cassetto della scrivania nello studio, iniziai a prepararmi per la serata alla villa di Nick Carter. Dovevamo sottrargli quel dannato pass per gli Hilton Hotels.
Parcheggiai cento metri più distante dalla maestosa abitazione, sotto la curva che scendeva dalla collina arida. Non avevamo stabilito chi doveva entrare e chi restare in macchina così per i primi venti minuti dopo l'arrivo iniziammo a litigare.
- "Andiamo io e Sam! Abbiamo iniziato noi con questa storia dei furti e noi la finiamo!" disse Nicki cercando subito di imporsi.
- "No, se entri tu entro anche io" ribattei.
- "E io allora?" chiese Mark "ero con voi sin dall'inizio"
- "Bastano due persone!"
- "Tu stai con me, non con Sam!"
- "È meglio se rimani qui invece, l'auto è tua..."
- "Che c'entra?!"
Cloe iniziò a sbuffare "Io non ci penso nemmeno a entrare, faccio il palo come al solito. Scannatevi pure tra di voi"
- "Brava Cloe, quindi può rimanere anche Sam"
- "Perchè non vuoi che vada?"
- "Perchè se entra Nicki io..."
- "Non ti fidi? È questo... non ti fidi! Scommetto che è da dopo l'incidente in macchina"
- "Non è questo" cercai di trovare una scusa ma non ci riuscii. Era vero, non mi andava entrassero solo loro due, Sam aveva sempre la testa tra le nuvole ed io ero paranoico.
- "Basta voi due!" disse Nicki scocciata "E va bene andiamo io e Alex, tanto è una cosa veloce"
Sorrisi soddisfatto a Sam che mi mostrò il dito medio.
Paris non era riuscita a procurarci la chiave dell'ingresso principale ma quella del garage, garage che era collegato all'interno della villa. Seguimmo il sentiero secondo quanto visto da Google Street View, entrammo nel box e in due minuti sbucammo dalla taverna in giardino adiacente alla cucina e alla sala principale. Nicki, entrando dalla vetrata, accese la luce interna. Mi guardò facendo spallucce. 'Facile no?' Entrammo e una volta al piano di sopra attraversammo l'ampio e lungo corridoio che portava alla camera padronale. Paris ci aveva detto di cercare li sin da subito. Fu fin troppo falice, trovammo il pass nel cassetto del comodino con qualche migliaio di dollari in contanti. Camminavano tranquillamente in corridoio sulla via del ritorno quando sentimmo una voce maschile. Parlava al telefono e stava salendo le scale.
- "No no, lo so... ne parlo io a Michael..." era Nick Carter. Era in casa.
- "Cazzo" sussurrai. La voce si faceva sempre più vicina.
- "Di qua!" Nicki mi prese una mano e mi trascinò nella prima stanza che vide. Una volta dentro chiudemmo delicatamente la porta. Carter era in corridoio, sentimmo i suoi passi e la sua voce avvicinarsi per poi scemare in lontananza. Solo allora accendemmo la luce ed i faretti ci mostrarono una scomoda realtà: eravamo in una enorme cabina armadio. Niente finestre, niente vie di fuga: eravamo in trappola. Tirai fuori il telefono, niente rete ovviamente. Un bunker dotato, fortunatamente, di un sistema di circolazione dell'aria. Ma pur sempre un bunker.
- "Non ci posso credere..." dissi Nicki disperata.
- "Shanghai un cazzo... cosa ci fa ancora qui?"
- "Che importa adesso?! Come usciamo?! Non possiamo nemmeno avvertire gli altri"
Provammo ad origliare fuori dalla porta, Nick era sempre al piano. Parlava al telefono, camminava. Per quanto ne sapevamo poteva essere nella stanza di fronte alla nostra, non potevamo uscire. Sbuffai e, tenendomi al petto il pass di Paris, mi sedetti per terra al centro di quel santuario di vestiti, scarpe e giacche. Dopo qualche minuto anche Nicki si arrese dall'origliare alla porta e si sedette dietro di me, schiena contro schiena.
- "Che facciamo?"
- "Non lo so..."
Trascorremmo del tempo indefinito in silenzio, l'entusiasmo dell'ora prima era sparito.
- "Ho visto tuo padre" le dissi ad un certo punto. Non so perchè lo feci, ma tanto eravamo bloccati li.
- "Ah"
- "Quella sera che sei rimasta a casa con Gabi e io sono andato con gli altri da Paris..."
- "Mh, e che ti ha detto?"
- "Che a parlato con Kenneth, ha fatto il nostro gioco... mi ha fornito un alibi"
- "Mi pare il minimo"
Era un bastardo lo so, ma parte di me avrebbe voluto provare a difenderlo.
- "Ha detto che gli dispiace ma ha degli aff..."
- "Degli affari da sbrigare lo so" disse bruscamente.
Sospirai.
- "Se gli altri non ci vedono arrivare magari si inventano qualcosa" dissi cambiando argomento.
- "Per quanto ne sanno potremmo essere ancora a cercare il pass... e questi dannati telefoni non prendono... poi non so cosa potrebbero fare. Dovevi restare in macchina!"
- "Si così eri qui con Sam..."
- "Almeno avrei potuto commentare l'ultimo numero di Harper's Bazaar"
Mi misi a ridere, lei anche.
- "Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Facevo provini per modelle... sembra passata una vita"
- "Si... bel pomeriggio... stavo per perdere i sensi quel giorno, sono arrivato al bar per miracolo"
- "Mi ricordo che avevi un aspetto orribile"
- "E tu delle labbra perfette". Appoggiò la testa alla mia. L'anello. Non lo tenevo più nel cassetto del comodino da quando lei l'aveva trovato. Portai una mano nella tasca interna sinistra della giacca. Quel che era passato era andato. Mi staccai da lei e mi issai in piedi, le porsi una mano.
- "Che fai?" chiese alzandosi.
- "Una cosa che avrei dovuto fare tempo fa... forse addirittura proprio quel giorno al bar" dissi sorridendo. Tirai fuori dalla tasca la scatolina bianca.
- "Alex..."
Mi inginocchiai lentamente davanti a lei e aprii la scatolina lasciando che finalmente vedesse l'anello.
- "Nicki... sei tutto ciò che di più bello ho al mondo"
Aveva gli occhi lucidi. E forse anche io.
- "In ricchezza e in povertà..." dissi ridendo strappandole un sorriso bellissimo.
"Mi vuoi sposare?"
- "Si... oddio si... si... lo voglio!"
Le infilai delicatamente l'anello, misura perfetta.
- "Vieni qui, amore" mi sussurrò tirandomi a se per baciarmi.
Suddenly the world seems just a perfect place,
Suddenly it moves with such a perfect grace.
Suddenly my life doesn't seem such a waste
And all revolves around you
[...] Come what may
I will love you until my dyin' day.

 

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Capitolo 19
*** Last time (parte 2) - Ritardi e puntualità ***


Capitolo 19
Last time (parte 2) - Ritardi e puntualità


- "È davvero bellissimo"
Ero seduto per terra con la schiena contro ad un'anta dell'enorme cabina armadio, Nicki era tra le mie gambe appoggiata al mio petto e si guardava la mano al quale ero finalmente riuscito a metterle l'anello di fidanzamento.
- "Viene da una boutique di Rodeo Drive"
- "Beh almeno non è rubato"
- "Ma figurati!"
Lei rise "Scherzo dai"
La avvolsi con le braccia. Mi stavo arrendendo all'idea che avremmo trascorso la notte li dentro.
- "Perchè mi hai detto 'no' l'altra volta?"
Finalmente trovai il coraggio e la voglia di chiederglielo.
- "È che c'era Mark li, poi mio padre era tornato e avevamo da fare con Paris... troppe cose a cui pensare. Era... inaspettato..."
- "Mh-mh"
- "E poi... se proprio vogliamo essere pignoli tu non me l'hai mai chiesto! Hai detto 'sposami'" mi fece il verso con un tono di voce un po' più mascolino. "Non era una domanda, quindi come potevi pretendere una risposta?!"
- "Ok ma si capiva lo stesso, e poi ci sono rimasto male"
Lei sospirò e iniziò ad accarezzarmi una mano "Lo so, mi dispiace"
- "Ormai gli altri dovrebbbero essersi accorti che c'è qualcosa che non va se non ci vedono tornare, no?!"
- "Lo spero..."
- "Anche se mi piace stare qui così con te"
Ciondolai un po' con lei tra le braccia.
- "Ho avuto un ritardo questo mese"
Mi fermai. "Quel tipo di ritardo?"
- "Si... ma è stato un falso allarme..."
- "Ah... e come... come stai?"
Che dovevo chiederle?
- "Sollevata e delusa al tempo stesso"
Restai in silenzio, era un argomento del quale non avevamo mai parlato. Lei continuò.
- "È che forse è troppo presto... per noi dico... però, non so... un giorno mi piacerebbe avere un piccolo te che gira per casa"
Sorridemmo entrambi.
- "Un piccolo me..."
- "Si, biondo con gli occhi azzurri come te quando eri bambino... un mini te"
- "Beh potrei fare lo stesso ragionamento, avere una piccola Nicki. Sai, in realtà ci ho pensato quando ti ho vista con la figlia dei vicini una sera... ero tornato prima e sono rimasto a guardarti come un idiota. Li ci ho pensato... a noi con dei bambini"
Lei si staccò da me, si voltò e mi baciò dolcemente.
Sentimmo ulteriori passi fuori dalla porta, sul corridoio, Nicki si alzò e andò ad origliare. Nick Carter era ancora al piano.
- "Parla di nuovo al telefono con qualcuno" disse lei. Io da dove ero seduto sentivo solo un lontano borbottio. "Ha l'aereo domani per Shanghai". Tornò verso di me, mi alzai.
- "Chissà perchè non è andato oggi come previsto, Paris non era a conoscenza del suo cambio di programma"
- "Non lo so. Comunque ho mandato un messaggio agli altri per dirgli cos'è successo ma non lo riceveranno mai"
- "Che facciamo? Se stiamo qui rischia di beccarci..." Cominciavo ad essere seriamente preoccupato.
- "Se deve ancora fare la valigia ci trova di sicuro, siamo in una cabina armadio... dannazione!"
Restammo a girovagare come anime in pena pensando ad una soluzione ma l'unica cosa che mi veniva in mente era provare ad uscire sperando che lui non ci vedesse e raggiungere l'uscita dal garage al piano di sotto. Ma era dannatamente rischioso.
- "Ho un'idea" mi disse Nicki. "È un po' che ci penso... ma non ti piacerà"
Quando diceva così sapevo che non mi sarebbe piaciuta per davvero.
- "Per favore..."
- "Io esco, vado da lui, creo un diversivo o gli dico la verità o qualcosa di simile e tu esci dal retro..."
- "Cosa?!"
- "Raggiungi gli altri e ve ne andate"
- "Pfff... si come no! Se vuoi fare una cosa del genere allora vado io da Carter e tu scappi"
- "Ascolta..." venne più vicina. "Hai dei precedenti e Kenneth già sospettava di te, se dovessi costituirti non faresti altro che dargli ragione, indagherebbe ancora più a fondo e rischierebbe di scoprire tutto! A partire dai primi furti quasi tre anni fa..."
- "Fa lo stess..."
- "Non fa lo stesso! E lo sai! Io studio legge, studentessa modello, fedina penale pulita... Mai sospettata o indagata! Si, sto con te ma non ci sono prove che sia coinvolta in qualcosa! Posso raccontargli qualsiasi cosa mi venga in mente..."
- "No"
- "Alex se ci trova qui tutti due ci fa arrestare entrambi, ci porteranno via la casa e tutto quello che c'è dentro! Lo vuoi capire?"
Aveva ragione anche stavolta. Lo sapevo. Il suo ragionamento non faceva una piega.
- "Non posso lasciartelo fare..."
- "Starò via poco... qualche giorno in custodia cautelare"
- "Sempre che non formalizzino le accuse... ascolta, sono stato una notte in custodia ed è stato orribile! Non puoi chiedermi di sopportare una cosa del genere"
Venne da me, mi prese le mani.
- "È il male minore... se prendessero te sarebbe la fine"
Rimasi in silenzio a pensare ad una crepa in quel ragionamento ma non ne trovai. Sospirai, sapendo che avrei dovuto dargliela vinta anche stavolta.
- "Chiamerò i migliori avvocati della città"
- "Ok..."
- "Non trascorrerai nemmeno una notte dentro. Ti prometto che ti tirerò fuori da questo casino subito, farò di tutto per riaverti a casa il prima possibile"
- "Lo so, lo so" Mi accarezzò il viso e mi baciò.
- "Che fai?" le chiesi notando che si stava sfilando l'anello di fidanzamento.
- "Non posso tenerlo o me lo sequestreranno" me lo pose. Mi sentii di nuovo morire dentro. "Me lo ridarai quando tornerò a casa"
Mi uscì una risatina isterica "Con tutto quello che ci ho messo a dartelo, l'hai tenuto al dito meno di un'ora"
- "Me lo rimetterai presto"
Fui costretto a riprendermi l'anello e infilarlo di nuovo in tasca.
- "Non posso credere che... di tutto quello che ho... alla fine debba lasciare andare te"
Lei mi baciò ancora. "Esci dal garage e vai dagli altri" mi disse prima di prendere le distanze e dirigersi verso la porta. Quando la aprii ci accorgemmo che Carter era tornato al piano di sotto. Dovevamo quindi scendere entrambi.
- "Se troviamo un'uscita scappiamo e basta... andiamo via insieme" le sussurrai.
Ci avviammo lungo le scale fino al piano di sotto. Le mie speranze erano di nuovo infrante in quanto lui si trovava nell'ampia sala davanti all'ingresso. Per poter lasciare la villa dovevo davvero aspettare che Nicki lo distraesse. Eravamo in penombra dietro ad un angolo del muro.
- "Ti prego non farlo, aspettiamo ancora un attimo" la implorai. "Ci sono altre stanze... possiamo, possiamo..."
- "Lo faccio per noi... esci da dove siamo venuti" mi ripetè ancora. "E porta il pass a Paris"
Annuii e feci la cosa più difficile del mondo: la lasciai andare.
Carter era girato di spalle e sistemava degli oggetti dentro a quello che doveva essere il bagaglio a mano, Nicki era uscita alla luce e si stava avvicinando. Se si fosse girato l'avrebbe vista immediatamente. Ero pronto a dirigermi verso la cucina, non appena lui l'avesse vista, quando improvvisamente suonarono alla porta. Lei si fermò a metà, a me mancò il respiro. Nick andò ad aprire.
- "P... Paris"
Rimasi a bocca aperta.
- "Nick, so che..."
Paris diede un'occhiata oltre la spalla del ragazzo e vide Nicki e me ad un passo dal disastro.
- "So che stai partendo"
- "Si vado a Shanghai domani, vuoi entrare un att..."
Stava per voltarsi ma lei lo boccò.
- "No! Però dovresti uscire un attimo... vedi volevo parlarti di una cosa". Paris iniziò a chiaccherare senza fermarsi e senza lasciare il tempo a Nick di scostare lo sguardo. Io avanzai di qualche passo in silenzio e afferrai Nicki, che era ancora immobile, per la manica del giubbotto di pelle tirandola delicatamente indietro. Solo quando mi raggiunse riuscimmo ad arrivare sl passaggio dal garage dal quale eravamo entrati. Fu tutto merito di Paris trattenne Carter in giardino e lo tenne occupato per i minuti necessari alla fuga.
Una volta fuori ci abbracciammo freneticamente cercando di non urlare.
- "Oddio..." sussurai.
- "C'è mancato tanto così"
Scendemmo verso la macchina. Mark, Cloe e Sam erano in piedi che guardavano verso l'ingresso.
- "Ragazzi!" Li raggiugemmo e scattò un altro abbraccio collettivo.
- "Cazzo... ce l'avete fatta!" disse Mark. "Ci è arrivato il messaggio di Nicki così abbiamo chiamato Paris in modo che facesse da diversivo... se non fosse arrivata saremmo andati noi anche se... beh ci avrebbe visti in faccia e..."
- "Dillo a lei! Stava per costituirsi praticamente!"
- "Che?!"
Raccontammo ai ragazzi tutta la vicenda che ci ascoltarono increduli, poi mandammo a Paris un messaggio per dirle che eravamo fuori e che avevamo il pass. Lei uscì e ci raggiunse in auto. Le consegnammo la refurtiva.
- "Avete fatto un ottimo lavoro ragazzi, anche se stasera c'è mancato poco... colpa mia d'altronde. Ho sbagliato giorno"
- "Si però ora basta" disse Cloe.
- "Non preoccupatevi, abbiamo chiuso. Però ho ancora parecchia roba del dottor Hobs, se una sera volete passare..."
- "Volentieri!" rispose Mark.
Io scossi la testa.
- "Bene, ci sentiamo ragazzi!" Sgommò via. Eravamo liberi.
Una volta in auto raggiungemmo Vermont/Sunset. Avevo una mia idea su dove andare. Risalimmo la collina e pochi minuti dopo ci ritrovammo su Mount Hollywood. Lasciai la macchina nel primo spiazzo. Mark e le ragazze erano entusiasti, continuavano a parlare della serata e tutte quelle che l'avevano preceduta.
- "Dai andiamo!" li intimai.
Seguimmo a piedi il percorso sterrato semi illuminato e poco dopo eravamo li. La scritta "Hollywood" si ergeva sotto di noi su una distesa di luci senza fine. Los Angeles era nostra quella notte. I ragazzi si misero a urlare. Presi Nicki da una parte ed estrassi l'anello di fidanzamento dal taschino della giacca. Sorridendo lei mi porse la mano e glielo infilai nuovamente.
- "E speriamo sia la volta buona" le dissi poco prima che mi baciasse.
Quando ci riavvicinammo agli altri Sam lo notò subito.
- "Aspetta, quello cos'è? Quello cos'è?" urlò.
- "È quello che pensi" rispose Nicki sollevando la mano.
- "Oh mio Dio! È... bellissimo! Quando è successo? Ora? Potevi dircelo! Non ci siamo accorti di nie..."
- "Veramente la proposta risale a..." si voltò a guardarmi "Dipende da quale proposta ci riferiamo"
Io risi. "Ce ne sono state un po'... comunque quella ufficiale risale all'armadio di Nick Carter"
- "Ah romantico"
- "Lo è stato davvero gallinaccia invidiosa" rispose Nicki.
- "Non sono invidiosa! Per niente! Sono solo sorpresa... non ci avrei scommesso un centesimo che ti saresti sposata prima di me!"
- "Ah ma sentila. Questa è invidia..."
- "Col cazzo, io con il tuo biondo semi palestrato mangiatore di cibo cinese non ci starei mai!
- "Ci mancherebbe altro!"
- "Cosa vorresti insinuare?"
- "Niente, hai iniziato tu"
Alzai gli occhi al cielo. Avrebbero continuato per ore. Mi infilai tra Cloe e Mark e appoggiai il mio braccio sinistro e il mio braccio destro sulle loro spalle rispettivamente. Guardammo la città illuminata con le urla in sottofondo delle ragazze.
- "Sai che sposare Nicki significa sposare anche Sam?" mi chiese Mark.
- "No, sposare Nicki significa sposarci tutti..." lo corresse Cloe. "Sarai poligamo Alex"
Dietro di noi sentivamo ancora le urla.
- "E comunque avrei anche io un anello al dito se solo avessi voluto!"
- "Certamente... con Jordi immagino"
- "Perchè no? Cos'ha Jordi che non va?"
- "È ritardato!"
- "Sai una cosa? Vedi di farmi fare la damigella d'onore al matrimonio o me la paghi"
- "E a chi lo dovrei chiedere scusa?"
Sbuffai divertito "Io domani vado a farmi fare un contratto prematrimoniale" bisbigliai facendo ridere Cloe e Mark.

[to be continued...]

 

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Capitolo 20
*** Wedding ***


Capitolo 20
Wedding


Attesa, cerimonia, foto con i parenti, foto con gli amici, foto da soli, pranzo, foto con parenti, foto con amici, foto da soli, aperitivo serale. Eravamo all'aperitivo serale. Nemmeno fosse un matrimonio reale, avevamo prenotato una terrazza con giardino a Malibù a pochi chilometri da casa nostra per la sera. Speranzosi che parte degli invitati, dopo la lunga giornata, decidesse di rincasare prima... ma ciò non avvennne. Volevano la torta e le bomboniere che, come era stato deciso dalla wedding planner, sarebbero state distribuite all'aperitivo serale. E allora eccoci. Il giardino terrazzato sul mare di Malibu al tramonto, i fiori, lo champagne, gli abiti eleganti e un perenne sorriso stampato in faccia nell'incrociare gli sguardi di amici e parenti mentre passeggiavo cercando lei. La ritrovai subito, era impossibile non vederla. Gli abiti classici da sposa non le erano piaciuti ("troppo treatrali e pacchiani" aveva detto), aveva quindi indossato un finissimo abito lungo di Dior bianco. I capelli raccolti, l'anello e la fede al dito, il sorriso, una linea invidiabile. Era l'eleganza fatta a persona. Era immersa in una lunga conversazione con due mie cugine del Meryland... o forse erano loro immerse in una lunga conversazione con lei. Ragion per cui decisi di andare a salvarla.
- "Posso portarvela via per un po'?"
- "Alex! La stavamo giusto riempiendo di chiacchere... potevi farcela conoscere prima del giorno delle nozze"
- "Davvero, non sapevo nemmeno avesse così tanti cugini" disse Nicki. È vero, non glielo avevo detto. L'avevo portata a conoscenza della mole di parenti solo al momento di conteggiare gli inviti al matrimonio. Riuscii a trascinarla via quasi subito e ad allontanarci un po' dalla folla al centro del giardino.
- "Ieri sera ero incazzato nero"
- "Non è una cosa carina da dire a tua moglie il giorno del matrimonio"
- "...perchè non c'eri. E alle nove non sapevo più cosa fare, una noia..."
- "Eri d'accordo sul fatto che avrei dormito da mia mamma la sera prima"
- "Lo so" dissi abbracciandola imbronciato come un bambino di cinque anni "ma è stato brutto comunque"
- "Non succederà più"
Tirai fuori una busta dalla tasca interna della giacca. Mi era stata recapitata per posta la mattina stessa.
- "Tieni"
- "Cos'è?"
Non risposi, lasciai che la aprisse. Sospirò nervosamente quando vide il contenuto.
- "Tu c'entri qualcosa?" mi chiese.
- "Ti assicuro di no, ha fatto tutto da solo..."
Era un assegno intestato a lei da diecimila dollari con un biglietto.
"Cinquemila dollari sono per il prestito che mi hai concesso, gli altri cinquemila accettali come regalo di nozze. Ti voglio bene, papà.
PS: un saluto ad Alexander"
Rinfilò biglietto e assegno nella busta con un sorriso.
- "Alexander... come hai fatto?"
- "Che vuoi che ti dica?! Ho i miei metodi!" risposi imitandola. "No scherzo, ripeto: ha fatto tutto da solo" Lei rise e mi baciò.
Tornammo verso la parte centrale del giardino e ci andammo a sedere sui divanetti dove si erano arenati anche Mark e le ragazze. Avevo trovato sinceramente commovente l'abbraccio tra lui e Nicki avvenuto prima della cerimonia. Le cose si erano sistemate tra loro ed erano tornati amici come prima... come prima che arrivassi io.
- "Il vestito di Dior regge" disse lui.
- "Con quello che ho mangiato domani non mi andrà più bene comunque"
Sam si alzò di scatto con il bicchiere in mano.
- "Devo fare un discorso!" urlò. L'ultimo di chissà quanti bicchieri. Il chiacchiericcio cessò e si voltarono tutti.
- "Dai venite qui! Non posso urlare"
- "Oddio Sam per favore" disse Cloe cercando di coprirsi la faccia.
La folla si unì intorno alla zona dove eravamo noi.
- "Ci siete tutti?"
Un "si" abbastanza convinto si levò dal giardino.
- "Nicki... come sai i tuoi gusti in fatto di uomini mi hanno sempre lasciata perplessa. E Alex... tu non sei un'eccezione"
Risate.
- "Detto questo... mi ricordo il giorno in cui si sono incontrati la prima volta. Non si sono detti una parola"
Risate moderate.
- "Ma si sono scambiati uno sguardo. Anzi... lo sguardo... quello che mi ha fatto capire che saremmo stati qui oggi"
La signora Moore si portò una mano al petto commossa.
- "Una sera mi ricordo che Nicki è venuta a dormire da me, era parecchio sbronza come al solito"
- "Sam!"
- "Vivace! Volevo dire vivace..."
Risate.
- "Erano le tre e mezza di notte, io volevo solo dormire ma lei ha iniziato un delirante monologo su quanto fosse bello, gentile e quant'altro... si erano conosciuti da poco ed era molto romantica al riguardo e ha continuato così per interminabili minuti. 'È un bravo ragazzo, ha gli occhi azzurri, studia, è divertente' e via così. Aveva chiaramente bevuto o certe cose non le avrebbe mai dette! Comunque... mi stavo addormentando con lei che parlava quando ad un certo punto le sento dire in modo rabbioso 'e quanto vorrei venire stringendogli quei dannatissimi capelli"
Risate. La signora Moore e i miei genitori sorrisero visibilmente imbarazzati.
- "Oh mio Dio..." Nicki si voltò verso di me e affondò il viso tra il mio collo e la mia spalla.
Ridevo anche io "Questa non la sapevo!"
- "E sono passati mesi prima che si mettessero insieme! Capite la frustrazione sessuale di questa ragazza?!"
Risate.
- "E Alex è un uomo anomalo... voglio dire, legge libri impegnati, non mangia carne al sangue e a quanto pare non si addormenta subito dopo aver fatto sesso!"
Altre risate.
- "Quindi si Nicki, un po' ti invidio... ma te lo meriti un ragazzo così... uno che ti porti la colazione a letto, un mazzo di rose rosse quando meno te lo aspetti, che sopporti me e Gabi ognivolta che facciamo irruzione in casa vostra e che abbia occhi solo per te. Lo sappiamo noi due... che non è sempre stato tutto così semplice e idilliaco... quindi ti auguro il meglio, davvero e... vi voglio bene ragazzi"
Scattò un sincero applauso e Nicki si alzò per andare ad abbracciare Sam la quale, prima che la gente si allonatasse di nuovo, aggiunse in modo da farsi sentire da tutti: "Allora stasera ci vediamo per quella cosa a tre di cui avevamo parlato?!"
- "E smettila!"
Risate.
Era ormai il crepuscolo e iniziavo a desiderare nel profondo di tornare a casa. Mi ero appena reso conto che la musica in sottofondo era cambiata quando Nicki mi prese per mano e mi trascinò al centro del giardino, costringendomi ad improvvisare un ballo lento.
"Tell me... I'm your baby
and you'll never leave me"
- "È Lana del Rey?" le chiesi.
- "Stavolta no" ["Tell me" by Johnny Jewel ft. Saoirse Ronan - NDR]
"Whisper... that you love me
That you'll never leave me"
- "Sei bellissima"
"Be mine for always
I'll be yours forever"
Le accarezzai una guancia e la baciai dolcemente. Restammo li in piedi a ciondolare sotto gli occhi di tutti sulle note di quella canzone... finchè questa non finì... lasciando spazio al suono disturbante delle sirene della polizia. Nessuno lo notò. Solo io e lei. Ci fermammo a guardarci. Mi sentii improvvisamente agitato. Il suo sguardo nervoso, la sua mano ancora nella mia. Bloccati, in un attimo di terrore. Guardammo Mark, Sam e Cloe. I loro sguardi erano tesi come i nostri. Il suono delle sirene andò scemando, si allontanavano. Tirammo un sospiro di sollievo. Non erano per noi. Non quel giorno. Forse non lo sarebbero mai state. Sapevo che i ladri di lusso non sarebbero mai stati presi. Che NOI non saremmo mai stati presi. Ma tutto quello che si potesse desiderare noi lo avevamo ottenuto con niente. Non guadagnato, non meritato... e per questo c'era un prezzo da pagare. Il dubbio. Il dubbio che un giorno quel mondo perfetto sarebbe potuto crollare. Avevo la possibilità concreta di vivere la vita che avevo sempre desiderato... se solo non fosse per quelle ombre. Quante volte avremmo udito il suono delle sirene della polizia? Quante volte ci saremmo guardati negli occhi pregando che non fosse il nostro giorno? Un dubbio col quale avremmo dovuto convivere. Un patto col diavolo. Una contropartita.
Ma eravamo pronti. Qualunque cosa accada. Come what may.

 

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