Round-trip from Hell

di DreamerGiada_emip
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La melodia, prima tranquilla, si trasforma in un requiem straziante che sembra raggiungere l’anima e ridurla a brandelli con artigli affilati. Dal pianoforte ora non escono più allegria e sorrisi, ora escono urla disperate di sofferenza e un senso di terrore. Non riesco a smettere di suonare, è un bisogno. Riapro gli occhi al culmine della sinfonia ed in quell’attimo accade inspiegabile: un cerchio di fuoco si traccia sul pavimento rinchiudendomi all’interno di esso. Le fiamme si alzano e coprono i visi sconvolti dei sei vampiri, l’ultima cosa che vedo solo gli occhi di Subaru, urla il mio nome, ma io sono già circondata dal buio più totale. Non vedo nulla, mi sento come in un buco nero, fluttuante nel vuoto. Finché una luce mi abbaglia, i miei occhi si chiudono di riflesso, il mio corpo viene a contatto con il pavimento freddo. Cerco di abituarmi alla nuova luminosità.
 
«Cosa…?» sussurro guardandomi intorno e sbattendo ripetutamente le palpebre. Non sono più nella sala degli strumenti dei Sakamaki, il luogo in cui mi trovo è un grande salone smisuratamente ampio. Fiaccole di fuoco illuminano l’ambiente.
 
«Benvenuta Lilith, figlia mia»
 
Mi volto verso la provenienza di quella voce così profonda e calda. Il mio sguardo si posa su un signore di mezza età e credo non ci siano parole per descrivere quanto sia incredibilmente imbarazzante la sua bellezza e la sua assoluta perfezione. Siede tranquillamente su uno sfarzoso trono che sovrasta la sala, il suo corpo è fasciato da un elegante abito nero e tiene le gambe accavallate. Alla sua destra un bastone anch’esso nero il cui pomello raffigura la testa di un serpente d’argento con gli occhi di smeraldo. Concentro i miei occhi sui suoi e mi irrigidisco: il suo guardo è magnetico, penetrante, pericoloso, così intenso da perforare la carne. Appena dietro il trono, in piedi, vi è un uomo.
 
«Prego? Figlia? Non so di cosa stia parlando» mi alzo in piedi e liscio la gonna bianca per metterla a posto e togliere la polvere, anche se, lanciando un’occhiata in giro, noto che sul pavimento mi ci posso quasi specchiare. Mi rivolge un sorriso e sento un brivido percorrermi tutta la spina dorsale. Insomma, Lilith concentrati! Inoltre avrà quaranta anni, non ti puoi emozionare perché un uomo ti ha sorriso.
 
«Giustamente, ma capirai, giovane Lilith» non distoglie il suo sguardo dal mio, mi ispeziona attentamente come a voler memorizzare ogni singola parte di me. Io dal mio canto faccio altrettanto, incantandomi nello scoprire che sembra non avere imperfezioni.
 
«Lei sembra conoscere perfettamente il mio nome, ma non mi ha ancora rivelato con chi ho il piacere di parlare» poso una mano sul fianco e faccio qualche passo verso di lui. L’uomo si alza in piedi e avanza nella mia direzione, le sue movenze sono aggraziate e sicure, fa dondolare il bastone a ritmo con suoi passi. Si ferma di fronte a me.
 
«E vedo che sei anche piuttosto educata, bene» mi rivolge un altro sorriso che mi provoca lo stesso effetto di prima. «Per quanto riguarda me, gli umani mi hanno erroneamente affibbiato svariati nomi e molteplici aspetti nel corso dei secoli, diaciamo pure millenni… io sono Belzebù, Asmodeo, Moloch, Belial, sono colui che è stato chiamato Maligno, Accusatore, Tentatore; insomma… in poche parole, bambina, io sono il Diavolo, sono Satana, ma tu chiamami pure Lucifero, perché è questo il mio vero nome,  benvenuto nel mio e nel tuo regno» allarga le braccia con un fare teatrale. Io non so cosa dire, non rimasta totalmente paralizzata da questa rivelazione sconcertante. Poi mi torna alla mente la frase con cui mi ha accolta qui. Io la figlia del diavolo… io sarei…
 
«Non è possibile…» l’uomo che sostiene di essere Satana in persona mi sorregge per un braccio. La mia testa è affollata da una moltitudine di pensieri che vorticano come impazziti. Vengo accompagnata verso i troni e fatta sedere su quello più piccolo e meno sfarzoso, ma non per questo meno bello. Il mio respiro è spezzato.
 
«È possibile ed è realtà» insiste con voce tranquilla lui di fianco a me. Appoggio la mano sulla fronte sostenendo la testa che sembra essersi appesantita per le troppe preoccupazioni che la affollano. Mi concentro sull’uomo che tiene i suoi occhi su di me. Quest’uomo di cui non so niente, ma che lui sostiene di essere il padre che non ho mai avuto e, ancora più inconcepibile, sostiene di essere il sovrano incontrastato degli Inferi. I miei occhi scavano nei suoi alla dispotica ricerca della verità, purtroppo per me non trovo menzogna o tentennamenti, trovo però astuzia, saggezza e tanti, tantissimi anni di vita.
 
«Potresti provare di essere veramente chi dici di essere?» cerco di nuovo nel suo sguardo una traccia di esitazione che mi dia la prova che tutto ciò è una farsa. Il sorriso che aveva scompare velocemente, mentre si allontana da me. Si pone al centro dell’enorme stanza.
 
«Stai attenta ai desideri che esprimi» dice chiudendo gli occhi. Mi concentro sulla sua figura. Un vento caldo inizia a vorticargli intorno in velocità crescente. Mi accorgo che dai suoi capelli iniziano a spuntare delle protuberanza nere che crescono a vista d’occhio, sono corna a spirale. Le mie labbra si schiudono davanti a quello spettacolo così soprannaturale. Apre gli occhi e sono rossi, fiammeggianti, come se lì dentro si fosse concentrato tutto l’Inferno, la pupilla è verticale simile a quella dei gatti oppure, ancora meglio, a quella di un serpente velenoso. Il vento si solleva verticalmente spingendo i suoi capelli in verticale, in un’esplosione di piume nere dalle sue spalle escono un paio di possenti e maestose ali nere simili alla tenebra. I miei occhi si concentrano subito su quelle meravigliose ali. È una calamita per gli occhi, tanto splendida quanto pericolosa.
 
«Lucifero…» dopo aver visto questo spettacolo, quella parola ha tutt’altro sapore. È vero e la cosa non mi piace per niente. I suoi occhi mi fissano e incutono un certo timore nel mio cuore accompagnato da un senso di rispetto. Distolgo il mio sguardo dal suo.
 
«Ora ci credi?» la sua voce è potente e autoritaria, noto con la coda dell’occhio l’uomo poco dietro i troni inginocchiarsi di fronte a Lucifero. Sbatto un paio di volte le palpebre. Mi accorgo che tra le sue labbra si vedono degli acuminati canini, simili a quelli dei sei vampiri. Annuisco lentamente e subito una domanda sorge spontanea nella mia mente, se io sono sua figlia, posso trasformarmi in questo modo anch’io? La risposta sembrerebbe ovvia, in tutta la sua trasformazione, quelle ali mi hanno rapito completamente. Avere la possibilità di volare con quelle andrebbe oltre ogni mia immaginazione. Decido comunque di chiederglielo.
 
«Anch’io ho le ali?» le osservo intensamente, così grandi che gli fanno quasi da strascico. Lui segue il mio sguardo e, con un mezzo sorriso, spalanca le ali alle sue spalle che sembrano diventare ancora più immense. Semplicemente meravigliose. Lucifero inizia a ritornare normale annullando la sua trasformazione: le corna rientrano, i canini tornano normali, gli occhi ridiventano di un azzurro chiaro, le ali tornano a scomparire nella sua schiena.
 
«Certo, le hai anche in questo momento, le custodisci in te, ma dovrai estrarle» spiega passandosi velocemente una mano tra i capelli. Mi quadra un’altra volta. «Se ti andassi a cambiare mi faresti un favore, quel vestito bianco non è adatto a questo luogo, non posso presentarti al popolo vestita come un qualsiasi pennuto» l’ultima frase la dice con disprezzo e disgusto. Guardo il mio vestito, poi lo osservo spaesata.
 
«Cos’ha di male il mio vestito? Chi sarebbero i pennuti? E perché dovresti presentarmi al popolo?» chiedo contando quelle dita le domande e alzandomi finalmente dal trono. Si avvicina nuovamente a me, Lucifero mi sfiora una guancia con due dita.
 
«Il bianco viene solitamente indossato dai pennuti, cioè gli angeli, dunque non posso presentarti al nostro popolo vestita come uno di loro, sei mia figlia Lilith, tutti i demoni dovranno conoscere, temere e rispettare il tuo nome» risponde a tutte le mie domande. Dunque ci sono anche gli angeli, sovrani del paradiso. Demoni e angeli. I due contrapposti e io sono dalla parte del buio. Sto per dire qualcos’altro, ma lui mi precede.
 
«Aragorn, accompagnala nella sua stanza, io devo iniziare i preparativi per la cerimonia, resta di fronte alla sua porta» ordina senza distogliere lo sguardo da me, il ragazzo esce dall’ombra e si avvicina.
 
«Certo Sire» fa un lieve inchino nella nostra direzione. Lucifero mi fa un cenno con la testa nella sua direzione.
 
«Per qualsiasi cosa, chiedi ad Aragorn, è la mia guardia del corpo e il mio alleato più fidato, sarà più che felice di accontentarti» appoggia la mano sulla mia schiena e mi sospinge verso di lui per invitarmi ad andare. «Ci vediamo dopo» mi fa un sorriso e si allontana a passo veloce uscendo dalla sala.
 
«Venite, principessa» Aragorn mi invita a seguirlo con un cenno, cosa che faccio dopo un attimo di esitazione. Superiamo la grande tenda rossa posta a qualche metro dietro i troni, in fondo a un corridoio un grande portone in ebano e sul muro a destra di esso una porta più piccola. Aragorn mi apre quest’ultima porgendomi la chiave prima di farmi entrare. Ne rimasi piacevolmente stupita. E’ una grande e splendida camera da letto, riesce a battere anche quella dei Sakamaki. Mi rabbuio al pensiero dei sei vampiri. Nemmeno mio padre ha il diritto di trasportarmi dove gli pare e piace, nemmeno se di tratta del Signore dell’Inferno. Li considero la cosa più vicina a una famiglia che ho. Lucifero non si è fatto vedere per 16 anni, 16 maledetti anni in cui avrebbe potuto darmi un segno, un avvertimento. Ha il potere di trascinarmi direttamente all’infero, non poteva mandarmi un messaggio? A quanto pare no. Decido che gli avrei dovuto parlare di questo argomento il prima possibile. Temo che io e “mio padre” non andremo d’amore e d’accordo, voglio tornare a casa, nella mia vera casa, e non sarà di certo lui a fermarmi. Aragorn è ancora sulla porta, mi volto lentamente verso di lui.
 
«Voglio parlare con Lucifero, non credo abbia il diritto di trascinarmi qui contro la mia volontà, pretendo di tornare a casa mia» lo osservo attentamente, non si scompone minimamente. Casa mia… pronunciare quelle parole ad alta voce è incredibile. Un sorriso nasce sulle mie labbra prima che io me ne renda conto.
 
«Questa è casa vostra, mia Signora» pronuncia queste parole con una solennità disarmante. Inarcai un sopracciglio.
 
«Questa? Ci ho passato pressoché una ventina di minuti e dovrai considerarla casa? Anche se Lucifero si definisce mio padre, io non lo considero affatto tale, l’unica famiglia che ho è quella a cui mi avete strappato» cerco di controllare la rabbia crescente, prima eclissata dalla sorpresa e dallo stupore. «Non può comparire quando più gli fa comodo e reclamarmi come figlia, non lo accetto, portami da lui»
 
«Vostro padre è molto impegnato e…»
 
«Non sarà necessario» una voce profonda lo interrompe prima che possa finire la frase e la figura di Lucifero compare sulla porta. Ci scambiamo un lungo sguardo.
 
«Vorrei tornare a casa mia» annuncio senza mezzi termini, senza cercare di rendergli il colpo meno duro. Lui mi osserva scavandomi nell’anima con quei gelidi occhi. Poi inaspettatamente mi sorride.
 
«E puoi farlo, ma ti chiedo solo il favore di darmi la possibilità di conoscerti, di stare un po’ insieme, potresti passare parte della settimana da loro e parte qui all’inferno» mi fa una proposta equa, nonostante nelle sue parole ci sia la possibilità di scelta, il suo sguardo mi mette stranamente all’erta. Mi avvicina a me con passo fluido, quasi felino, in totale silenzio.
 
«D’accordo»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Subaru’s P.O.V.
 
«Possibile che sia sparita nel nulla? È inconcepibile!» siamo tutti insieme nello studio di Reiji, lui è concentrato su uno di quei suoi vecchi e polverosi libri che io ho sempre considerato inutili, ora ne ho la conferma.
 
«Stiamo facendo il possibile, Subaru, vedi di calmarti» mi rimprovera severamente Shu. Gli rivolgo subito un’occhiata di fuoco. Stringo i denti.
 
«Non stiamo facendo abbastanza! Dovremmo essere là fuori a cercarla e non qui a leggere stupidi libri, non ci daranno nessuna risposta» d’istinto il mio pugno serrato va ad abbattersi con rabbia contro la parete dietro di me creando un profondo solco.
 
«Credi di essere l’unico a cui manca la sgualdrina?» Raito parla da appoggiato al muro con gli occhi coperti dal cappello, ha perso il suo sorriso malizioso. Aggrotto la fronte, irritato dal soprannome con cui si ostina a chiamarla. Non è una sgualdrina, è una ragazza, una splendida ragazza dagli occhi di ghiaccio e dalle labbra morbide. Chiudo gli occhi per scacciare le scene di poco fa, in camera sua, che si riaffacciano ostinate alla mia mente.
 
«Una preda non dovrebbe poter andare dove le pare…» si lamenta Kanato abbracciando il suo orsetto. Gli scocco solo un’occhiata veloce, senza il minimo interesse per le sue parole. Sono concentrato sul lavoro di Reiji.
 
«Non se n’è andata di sua iniziativa, non avrebbe nemmeno potuto fare una cosa simile, qualcun altro ha agito per trasportarla dove voleva… adesso il problema è scovare il colpevole, capire quanto è disposto a rischiare per tenersela e come affrontarlo» controbatte leggendo velocemente le pagine consumate del suo tomo. Chiunque l’abbia portata via è nei guai fino al collo!
 
«Lo ucciderò per aver portato via la preda del Grande Me, la mia preda» ringhia Ayato pronto per uno scontro. Il mio corpo scatta istantaneamente andando ad afferrare la camicia di Ayato con entrambe le mani. Lo spingo indietro con una velocità che solo un vampiro può avere, finché la sua schiena non sbatte violentemente contro il muro.
 
«Lei non è tua» quelle parole piene di gelosia scivolarono fuori dalla mia bocca prima che io possa trattenerle. Ayato stringe i miei polsi finché non lo lascio andare e mi guarda interrogativo.
 
«Che ti prende, Subaru? Sei più irritato del solito» dice il vampiro di fronte a me scrutandomi attentamente. Indietreggio di un passo, ho gli sguardi di tutti puntati addosso.
 
«Voglio solo riaverla qua, dove deve stare, come tutti voi» controbatto in maniera sbrigativa senza incrociare lo sguardo di nessuno. Esco dallo studio sbattendomi la porta alle spalle e subito mi trasporto nel giardino di rose. Quel profumo mi ricorda tantissimo lei. In un impeto di rabbia e frustrazione, infilo le mani tra quei fiori graffiandomi con le spine e ne strappo via una manciata. I petali mi volano intorno, alcuni macchiati dal mio sangue, uscito dai sottili e brucianti graffi sulle mie braccia, che si confonde con il rosso scarlatto delle rose. Vorrei estirparle tutte, ma a lei dispiacerebbe, le piacciono queste rose, lo vedevo da come ci girava in mezzo guardandole con un sorriso accennato. Se ora le distruggessi, quando lei tornerà, mi rimprovererebbe con quello sguardo accusatore e corrucciato. E dico “quando” perché sono certo che lei tornerà, io riuscirò a riportarla a casa, non importa come. Schiudo i pugni che ho tenuto serrati fino ad adesso e rivolgo lo sguardo al cielo.
 
«Dove sei? Torna indietro, piccola indisciplinata Lilith…» sussurro al vento, nella folle speranza che possa portare quelle parole a lei. Mi chino sulle ginocchia per raccogliere una manciata di quei petali profumati, li osservo sul palmo della mia mano. Una folata di vento li porta via e in un attimo, nell’osservare come quei fiori volteggiano nell’aria, mi ritorna in mente quando l’ho tenuta sulle mie spalle per regalarle la sensazione del volo. Non so nemmeno oggi cosa mi sia preso in quel momento, cosa mi sia passato per la testa, ma lo volevo fare e non ne capisco il motivo. Quel sorriso che mi ha fatto subito dopo accompagnato da quel casto bacio. È stato solo un attimo, ma mi sono sentito sereno come non accadeva da centinaia di anni. Non avevo mai fatto una cosa simile per le precedenti spose sacrificali, le ho sempre trattate con sufficienza e odio, come delle semplici prede, inutili contenitori di sangue. Ho pensato fosse per il suo sangue dolce che provo quest’attrazione, ma ultimamente non ne sono più tanto sicuro. Apro le braccia ripensando a lei mettendomi controvento e chiudendo gli occhi, per qualche secondo resto così.
 
«Ma che diavolo sto facendo?» chiedo a me stesso scuotendo vigorosamente la testa nel riportare le braccia lungo i fianchi. Vado nella sua stanza per sentire di nuovo il suo odore di cui sono totalmente assuefatto, è ovunque, il suo profumo è sparso dappertutto. Sento la gola bruciare, stringo i denti per cercare di annullare la sete che mi attanaglia. La rivoglio qui. Voglio poter di nuovo assaporare il suo dolce sangue, come fosse un nettare raro e prezioso. Voglio poter di nuovo entrare nella sua stanza quando dorme e restare a guardarla. Voglio poterla tornare a stuzzicare. Voglio poter di nuovo ricevere le sue frecciatine e i suoi sorrisetti. Voglio poter di nuovo sentire il calore della sua pelle, quella sensazione di tepore che lei riesce a regalarmi. Voglio poterla di nuovo guardare da lontano senza che lei se ne accorga. Rivoglio lei, la cui presenza ha riportato vita in questa villa rimasta nella freddezza dell’immortalità per secoli. Raggiungo la sala degli strumenti annusando l’aria attentamente. Si sente ancora la puzza di legno bruciato che le fiamme hanno lasciato al loro passaggio, insieme a un cerchio nero sul pavimento in legno intorno al pianoforte.
 
«La melodia che stava suonando è cambiata drasticamente ad un certo punto, quasi nello stesso momento si è tracciato il cerchio» sollevo lo sguardo verso lo strumento cercando di ricordare le note di quella sinfonia così tormentata e straziante da lei suonata. Forse non avrà senso, ma vorrei provare a riprodurre la stessa musica, chissà che non succeda qualcosa. Roteo gli occhi quasi completamente convinto che non accadrà niente, ma in ogni caso mi siedo sullo sgabello in pelle e appoggio le dita sui tasti. Da quanto tempo non suono il pianoforte? Da quando ho ucciso mia madre. Lei adorava questo strumento, insieme al flauto traverso. Mi era capitato di produrre musica tramite quei tasti bianchi e neri, ma non credo sarei all’altezza di Lilith. Ricordo all’improvviso le parole di mia madre, quando stava di fianco a me nel guardarmi suonare. Quando cercavo di non fare errori per farle piacere.
 
“Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Sei tu che sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace, in questo posso vivere.”
 
Ricordo quelle parole come fosse ancora qui a dirmele accarezzando lo strumento con dolcezza. Lei esprimeva emozioni tramite la sua musica, stessa cosa che fa la giovane Lilith. Mia madre faceva in modo di far scivolar via tutta la tristezza che provava, Lilith fa lo stesso con le sue emozioni. Provo qualche nota in libertà, tanto per provare a ricordare qualcosa. La sinfonia che lei ha suonato è impossibile da dimenticare, lascia un segno indelebile a chiunque l’ascolti. Provo a riprodurla chiudendo gli occhi, ma non riesco a trovare le note esatte. Quando penso di essere sulla strada giusta sento una nota stonata. Stringo i denti e sbatto entrambe le mani violentemente sui tasti facendo vibrare nell’aria un forte rumore.
 
«Perché la ami?» mi volto di scatto trovando alle mie spalle Shu che mi osserva con gli occhi socchiusi. Mi alzo in piedi velocemente dallo sgabello e lo allontano da me, lo strisciare sul pavimento produce un fastidioso rumore.
 
«Come scusa? Credo di non aver capito bene» ringhio innervosito con il mio sguardo ardente su di lui. Invece ho capito benissimo, voglio solo vedere se ha il coraggio di ripetersi.
 
«Hai sentito benissimo, Subaru, non fare l’idiota» controbatte mio fratello con un tono annoiato. Mi volto completamente verso di lui e lo raggiungo con lunghe falcate, fino a ritrovarmi faccia a faccia con quegli occhi blu. La sua aria indifferente mi fa innervosire ancora di più.
 
«Non dire stronzate, Shu… in me non troverai mai amore, ma solo odio e rabbia! E se mai proverò un sentimento verso quella mocciosa sarà la possessione e la fame» sputo fuori con rabbia. Sento le mani formicolare, avrei voglia di togliergli quell’espressione atona dalla faccia. Vorrei colpirlo.
 
«Ti illudi, sei più legato a quella ragazza di quanto non vuoi ammette» si stacca dal muro grazie a una lieve spinta, così da essere leggermente più alto di me. Sto per controbattere, ma lui mi precede. «Hai solo paura, non è vero? Paura di perdere anche lei e ora questa paura è aumentata non avendola più al tuo fianco» mette in mostra un sorrisetto sfacciato. In un attimo scaglio un pugno che si va ad abbattere contro il muro alle sue spalle a un soffio dalla sua testa. Vedo la crepa espandersi sotto il miei occhi. Shu non si è spostato di un millimetro osservandomi impassibile.
 
«Ciò che dici non ha senso» ringhio sommessamente allontanando il pugno ancora chiuso dal muro. Le nocche sono scorticate, ma non ci bado, è un dolore quasi inesistente per me. Mi volto a osservare il pianoforte per un attimo, per poi fare qualche passo indietro mettendo distanza tra di noi. Non è vero, io non amo nessuno. Non provo paura o timore. Solo rabbia e odio verso tutto e tutti, il mio cuore formo da tempo ne è ricolmo. Cammino deciso verso la porta. Non voglio più ascoltare nemmeno una parola su questo stupido argomento.
 
«Non potrai nasconderti per sempre» mi fermo a pochi passi dall’uscita della sala. «Non serve rifugiarsi nei ricordi e dimenticarsi di vivere» questa ultima frase mi lascia interdetto, ma non lo do a vedere.
 
«I vampiri non possono amare, il loro cuore è atrofizzato e l’animo è nero come una notte senza stelle, nessuno potrà cambiare questa realtà» esco dalla stanza chiudendo la porta alle mie spalle. I vampiri non possono amare e nessuno potrà mai amare un vampiro.

Spazio autrice:
Ok, questo capitolo è un po' corto, ma volevo mettere in luce ciò che prova Subaru.
Ci vediamo prestissimo con il Point Of View di Lilith!
Un abbraccio, Giada

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
Lilith’s P.O.V.
 
Lucifero mi ha lasciato da sola in questa enorme stanza con la precisa raccomandazione di rendermi elegante per la cerimonia di oggi. Ho cercato di fargli qualche domanda al riguardo, ma se n’è andato di fretta congedandosi da me. Aragorn mi ha fatto un elegante inchino per poi chiedersi la porta alle spalle. Ho sentito Lucifero ordinargli di restare davanti alla mia porta per qualsiasi evenienza, la cosa non mi fa saltare di gioia. Aspetto un paio di minuti poi mi affaccio alla porta.
 
«Tutto a posto, Principessa?» chiede subito Aragorn. Non ho la più pallida idea di cosa io debba indossare, non conoscendo l’occasione. Forse lui sa qualcosa.
 
«Non capisco di che cerimonia parli» confesso sospirando una volta uscita completamente dalla stanza. Lui mi fa un lieve sorriso.
 
«Vostro padre dovrà presentarvi al popolo come sua figlia, dimostrerete questo fatto tramite il rito d’iniziazione nella Stanza Bianca» spiega a grandi linee la guardia. Sbatto un paio di volte le palpebre cercando di raccapezzarmi in tutto ciò. Rito d’iniziazione? Stanza Bianca?
 
«In cosa consiste il rito?» chiedo mentre mordicchio nervosamente l’unghia del pollice.
 
«Non sono io che dovrei parlarvene, lo vedrete con i vostri occhi, sarà semplicemente la prova tangente che voi siete la figlia di Lucifero» risponde tranquillo. Ho l’atroce presentimento che mi stia nascondendo qualcosa, qualcosa di importante o forse pericoloso.
 
«Consigli su cosa indossare?» mi passo una mano sul retro del collo. Non credo gli scucirò altre informazioni. Lui mi squadra da capo a piedi.
 
«Lui preferisce il nero e, se accettate un consiglio, uno scollo sulla schiena potrebbe rivelarsi una bella scelta» dice velocemente senza abbandonare il suo atteggiamento ”sull’attenti”. Gli mostro un sorriso di ringraziamento, poi torno dentro. Non c’è un armadio nella stanza e la cosa mi fa aggrottare la fronte per lo stupore. Dove pensano dovrei prendere i vestiti? Noto una porticina poco lontana dal letto, mi avvio verso di essa e la spalanco. Sgrano immediatamente gli occhi. Chiamarla cabina armadio sarebbe una blasfemia, lì dentro c’è un intero negozio di vestiti super fornito, completo di scarpe e accessori di ogni genere e tipo. Sono disposti ordinatamente in base alle varie occasioni che si possono presentare: cocktail, cena, da sera, da cerimonia e altri ancora. Una cosa mi disorienta, nessuno specchio. Sono così certi mi stiano bene da non darmi nemmeno la possibilità di vedermi? Esco da quel paradiso che ogni donna sogno e mi guardo intorno. Nella stanza c’è anche uno splendido pianoforte posizionato su un rialzo di tre gradini. Sorrido contenta di poter suonare anche qui in totale libertà. Mi accorgo di un’altra porta, avanzo senza esitare verso di essa e la apro. Uno splendido bagno mi si para di fronte agli occhi.
 
«Santo cielo, questo posto è ancora più ricco e sfarzoso della villa dei Sakamaki!» esclamo sbalordita contemplando la stanza. In fondo una grande vasca idromassaggio nella quale ci possono stare tranquillamente cinque persone con accanto un camino nel muro, sulla destra una doccia due metri per due. Non appena muovo qualche passo nella stanza mi accorgo del pavimento tridimensionale che rappresenta il fondo del mare con stelle marine, piccoli pesci colorati e alghe. Una meraviglia. Apro i tanti rubinetti e la grande vasca ci mette relativamente poco viste le sue dimensioni. Prendo dei petali di rosa posti dentro cinque piccole ciotole sul bordo della vasca. I petali sono rosa, rossi, neri, bianchi e blu, semplicemente splendidi. Attivo l’idromassaggio e verso nell’acqua un’abbondante quantità di shampoo così che in pochi attimi la superfice è piena di schiuma. Mi tolgo velocemente l’abito bianco posandolo su uno dei divanetti di pelle poco distante, per poi immergermi nell’acqua calda. Un sospiro di relax scivola fuori dalle mie labbra, osservo il soffitto fatto di lapislazzuli a mosaico. Potrei restare così per il resto dei miei giorni. Osservo i tasti per l’idromassaggio e mi accorgo che ce n’è uno con una nota musicale incisa sopra. Lo premo e una soave musica classica si sparge nell’aria, mi fa pensare al mare, alla schiuma delle onde. Il delirio dei sensi.
 
«Altro che Inferno… questo è il Paradiso…» sussurro con gli occhi socchiusi troppo presa da tutto quel relax. Inizio a massaggiarmi la pelle con la spugna che somiglia più a una nuvola, lavo anche i capelli con uno shampoo rigenerante adatto a loro. Quando esco, la mia pelle profuma di rosa e i miei capelli di ciliegia. Avvolgo il mio corpo in un morbido telo nero e strofino un po’ i miei capelli con un asciugamano dello stesso colore, tanto per non sgocciolare in giro. Ritorno nell’enorme cabina armadio e inizio a scansionare l’area degli abiti da sera neri. Decido di seguire i consigli di Aragorn e tiro fuori alcuni abiti con profondi scolli sulla schiena trovandone uno particolarmente interessante. Lo indosso e inizio a ispezionare l’ambiente alla ricerca di uno specchio, l’unico sembra essere appeso alla porta. La chiudo e in un attimo tutti gli armadi girano su se stessi di 180° circondandomi di specchi. La mia immagine viene moltiplicata all’infinito in essi. Riesco a vedermi da ogni angolatura. Il vestito mi fascia perfettamente il busto valorizzando i fianchi e il sedere, per poi scendere morbido fino ai piedi. L’abito mi stringe la vita ed è sostenuto da un lembo di stoffa intorno al collo così da lasciare la schiena totalmente scoperta, lo spacco della gonna mette in mostra la mia gambe destra fino a metà coscia. Infino i sandali neri con il tacco che avevo già scelto. Piroetto per la stanza di specchi osservando la mia immagine. Mi piace, mi piace davvero tanto. Non appena apro la porta, tutto torna normale, al posto degli specchi tornano gli armadi ricolmi di vestiti. Non appena apro la porta, tutto torna normale, al posto degli specchi ritornano i grossi armadi ricolmi di vestiti. Mi dirigo in bagno accompagnata dal ticchettio dei miei tacchi sul pavimento. Mi metto davanti al grande specchio sopra il lavandino e apro i cassetti. Con mio grande stupore, oltre a spazzolini, filo interdentale, spazzole, nastri, trucchi e altri oggetti classici del bagno, trovo anche svariati gioielli protetti da lastre di vetro. Faccio scorrere le lastre di vetro e resto incantata dal luccicare di quelle pietre, sono convinta siano tutte vere, nessuna esclusa, comprese alcune davvero enormi.
 
«D’accordo che tecnicamente il Diavolo dovrebbe portarti alla tentazione in tutti i modi, compresa l’avarizia, ma tutto ciò mi sembra eccessivo» esclamo osservando quelle pietre e quei metalli preziosi. Non voglio nemmeno sapere il prezzo di accessori simili. Lascio aperti i cassetti con i gioielli e inizio ad acconciarmi in capelli facendo uno chignon apparentemente disordinato con alcuni ciuffi di capelli che mi accarezzano dolcemente la schiena. Riporto lo sguardo sui preziosi e mi accorgo di un piccolo anello. Credo sia fatto d’oro bianco. Il cerchio centrale, sul quale è incastonato un diamante nero, si snoda in due bracci laterali sulla cui punta vi sono due piccoli diamanti bianchi. Davvero meraviglioso e luminoso. Lo sfilo dal suo sostegno delicatamente e me lo infilo all’anulare ammirandolo estasiata. Osservo anche tra le collane e prendo tra le mani con estrema attenzione una catenella d’argento con un pendente di zaffiro tagliato a goccia e adornato da dei diamanti. Appoggio il pendente al mio petto e mi guardo allo specchio prima di infilarlo. Il blu intenso dello zaffiro riporta immediatamente all’azzurro gelido dei miei occhi. Sorrido prima di mettere al collo la collana. Basta così Lilith, ti sei agghindata anche troppo. Chiudo i cassetti ed esco pronta dal bagno. Non passano nemmeno dieci minuti che sento bussare alla porta.
 
«Avanti» esclamo subito alzandomi dalla poltrona di velluto nero sulla quale mi ero adagiata per pensare un po’. Dalla porta compare il viso di Lucifero che mi osserva attentamente per poi farmi un sorriso. Mi si avvicina e mi prende una mano per poi baciarne il dorso.
 
«Adoro le donne in nero» dice semplicemente osservandomi con quello sguardo furbo. Faccio un mezzo sorriso. «E vedo che hai anche trovato i gioielli, mi fa piacere che i miei piccoli doni di benvenuto ti piacciano»
 
«Piccoli?» sollevo un sopracciglio con un mezzo sorriso divertito. Se per lui questi sono piccoli doni, ho paura a immaginare cosa possa regalare quando pensa in grande.
 
«Non sono niente di esagerato e ti stanno anche molto bene» osserva la mia collana per qualche secondo. «Però vorrei che per stasera tu indossasti questa» mi mostra un cofanetto di velluto blu scuro, non mi ero accorta ce l’avesse in mano quando è entrato. Quando lo apre per poco non vengo abbagliata dal gioiello al suo interno. È un rubino davvero grande incastonato nell’oro bianco che lo sostiene, il tutto con l’aggiunta di svariati diamanti luminosi. Davvero incantevole. La luce sembra girare all’interno della pietra come intrappolata in essa.
 
«È splendido» cerco di riscuotermi sbattendo più volte le palpebre. «Nel mio mondo, per un gioiello simile, potrebbero tranquillamente staccarmi la testa» sollevo le spalle con un sorrisetto. Lucifero appoggia il cofanetto sul tavolino di vetro di fronte ai divanetti e solleva la collana.
 
«Tu sei mia figlia, quando avrai sviluppato il potere che è dentro di te, nessuno oserà anche solo pensare una cosa simile, sarai amata e temuta da tutti» spiega tranquillamente facendomi cenno con la testa di girarmi. Lo assecondo e gli porgo la schiena.
 
«Perché proprio un rubino? Lo zaffiro non ti piaceva?» chiedo quando vedo la pietra passarmi davanti agli occhi e posarsi delicatamente sul mio petto. È fredda. In totale contrasto con le mani bollenti di Lucifero. Mi sfiorano appena, finché non sento soltanto la catenella. Così mi giro.
 
«Il rubino è la mia pietra preferita, inoltre ti rappresenta perfettamente: bellissima, passionale, preziosa, di stirpe reale» dice con una punta di orgoglio. Mi fa un sorriso al quale qualsiasi donna avrebbe reagito saltandogli addosso e strappandogli via i vestiti. Sorrido a mia volta e scappo in bagno per vedermi allo specchio. Non appena il mio sguardo si posa sulla pietra rosso accesso, la mia mente va a prendere un doloroso ricordo. Degli occhi rossi. Luminosi quanto questo rubino. Subaru. In un attimo tutta la sua mancanza mi piomba addosso. Il mio sorriso si spegne e sfioro la pietra con un dito. Mi pensi anche tu, Subaru? Sei preoccupato per me? Forse no, dopotutto mi considera solo la sua preda, probabilmente mi avrà già sostituito… chissà se ha almeno provato a ritrovarmi…
 
«Sei splendida» la voce calda di Lucifero mi riscuote da questi pensieri. Mi sforzo di fargli un sorriso. Esco dal bagno e Lucifero mi porge il braccio, sul quale appoggio delicatamente il mio. Ci avviamo fuori dalla mia stanza, non appena usciamo, Aragorn si accoda a noi come un’ombra. Seguiamo svariati corridoi, a cui dovrò sicuramente abituarmi, sono intrigati come labirinti. Ci fermiamo davanti a un grande portone.
 
«Fuori di qui ci sono angeli e demoni, dobbiamo presentarti a loro» mi osserva con serietà disarmante. «Sei pronta?» chiede dopo svariati secondi durante i quali mi osserva in silenzio. Ci rifletto attentamente. Sono pronta a essere riconosciuta ufficialmente come la figlia di Lucifero, come la Principessa degli Inferi? Fino a non molte ore fa mi credevo orfana e ora sto per diventare la futura Regina di un Regno. Mi sento pronta?
 
«Sì»

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Subaru’s P.O.V.
 
 Mi siedo sul divanetto accanto alla finestre e osservo fuori in silenzio. Fra poco sorgerà l’alba. In un attimo un’idea mi folgora la mente. Recupero un foglio di carta e una matita, per poi tornare nella sala degli strumenti. Fortunatamente Shu se n’è già andato. Sposto il pianoforte con estrema attenzione per vedere perfettamente il simbolo sul pavimento. All’interno del cerchio si vede uno strano simbolo appena accennato. Non ci avevo fatto troppo caso prima, ma ora forse potrebbe darmi una risposta esauriente. Lo scarabocchio al meglio sul fogli e poi mi avvio fulmineo fuori dalla stanza, senza nemmeno rimettere a posto il pianoforte. Arrivo in giardino in pochissimo e, senza dire niente a nessuno, salgo sulla limousine.
 
«A scuola, immediatamente» ordino al famiglio con tono impaziente. Lui non risponde e parte subito con una sgommata. Appoggio il gomito sullo schienale del sedile e osservo fuori. Vogli arrivare il prima possibile, forse lui potrà darmi una risposta. Il professore di rune antiche, materia a cui non mi sono mai particolarmente interessato, ma che forse in questo caso potrà essermi utile. Osservo attentamente il simbolo scarabocchiato malamente sul foglio, non credo di averlo nemmeno mai visto ed è molto diverso da tutti quelli che conosco. Arriviamo in meno tempo del solito, grazie alla guida un po’ spericolata. Scendo dalla macchina fulmineo e attraverso il giardino quasi di corsa prendendomi delle occhiate incuriosite da tutti. Per i corridoi urto altre persone, ma non ci bado e continuo con la mia marcia. Finché non vengo afferrato per un braccio e bloccato di colpo.
 
«Ehy Sakamaki, dove vai così di fretta?» mi volto di scatto fulminando con lo sguardo il gruppetto di licantropi che mi sta osservando divertito. Sento la presa sul mio braccio serrarsi ulteriormente.
 
«Non sono certo affari vostri» ringhio in risposta strattonando il braccio fino a liberarlo. Sto per ripartire ignorandoli completamente, ma uno di loro mi sbarra la strada.
 
«Ci hai urtato, dovresti scusarti» un ghigno gli incornicia il volto. Stringo i denti.
 
«Non mi scuso con le bestie» controbatto irritato. Mi stanno facendo perdere tempo e io non ho la pazienza per sopportarli. Ora men che meno. Cerco di aggirarlo, ma lui mi si pianta nuovamente davanti. Carico un destro pronto a smontargli quella faccia da sberle. Ma uno dei suoi compagni mi stringe il polso in una morsa dolorosa, prima ch’io possa scagliare il colpo.
 
«Non dovresti essere così scontroso, vista soprattutto la tua situazione svantaggiosa» afferma il tizio che mi trattiene. Gli ringhio contro con rabbia. Li osservo uno a uno, sono cinque ragazzi dalla pelle abbronzata e i muscoli fin troppo esagerati. Mi libero dalla presa del licantropo. Carico di nuovo il destro che viene bloccato, ma con un calcio lo allontano di circa cinque metri facendolo atterrare sulla schiena. Poi mi trasporto a una ventina di metri di distanza continuando a camminare per trovare il professore. Non sono interessato a una rissa, almeno finché non avrò ottenuto ciò che voglio, poi dopo posso fracassarli di botte quanto vogliono. Lo trovo nel suo studio, da solo, quasi completamente al buio, chino su un enorme tomo. Sembra non sentirmi nemmeno entrare, ma io so che è perfettamente consapevole della mia presenta.
 
«Subaru Sakamaki, cosa ci fai qui? Che problema ti spinge a presentarti qui da me?» chiede con quel suo tono così cavernoso. Solleva lo sguardo di scatto su di me. È il professore più misterioso della scuola e forse quello che incute più soggezione e angoscia. Forse tutto ciò dipende dal fatto che il suo volto resti sempre in penombra, nascosto dal cappuccio di quel mantello che lo avvolge. Di lui si vedono solo quegli occhi viola accesso che ti scavano nell’anima per mettere alla luce i tuoi segreti nascosti e le tue paure più indicibili. Ogni tanto si scorge un sorriso folle e storpiato da quel cappuccio.
 
«Vorrei che tu mi dicessi cosa significa questo simbolo» vado dritto al punto tirando fuori il foglietto di carta. In un attimo la creatura scatta verso di me fino ad arrivarmi di fronte. Mi strappa di mano il foglietto e lo esamina da vicino. Si volta di nuovo verso di me fissandomi intensamente, i suoi movimenti vanno a scatti.
 
«Perché lo vuoi sapere?» la sua voce grottesca sembra il rombo di un tuono. Sposta di nuovo il suo sguardo sul foglietto ispezionandolo nuovamente.
 
«Dimmi cosa significa prima, poi te lo dirò» controbatto facendo un passo verso di lui impaziente. Lui scatta verso di me ponendo il suo viso a un soffio dal mio, la mia visuale è completamente bloccata da quegli occhi magnetici. Non mi muovo di un millimetro contrastandolo fieramente.
 
«Giocare con questi sigilli ti porterà solo guai, giovane vampiro» mi alita sul viso dicendo quelle parole. Faccio una smorfia di disgusto. Il mio olfatto sopraffino non gradisce granché questa vicinanza.
 
«Non è un gioco e non sono io ad adoperarli» affermo sempre più innervosito. I giri di parole sono solo una perdita di tempo, ma non posso spronarlo eccessivamente, dopotutto è un professore.
 
«Questo simbolo è presente soltanto in un libro, di cui ne esiste un’unica copia, non si sa chi sia lo scrittore, quindi considerando l’impossibilità per te di leggerlo sommata alla tua indifferenza per l’argomento, mi chiedo come tu possa conoscere questo sigillo» si allontana di un passo da me, cosa di cui gliene sono grato. Sospiro e per un attimo stringo i pugni per trattenermi dal fare qualcosa di sconsiderato.
 
«La nostra preda è scomparsa sotto i nostri occhi all’interno di un cerchio di fuoco, inciso sul pavimento all’interno del cerchio di legno bruciato vi è questo simbolo» spiego sbrigativamente ormai convinto che non mi avrebbe mai svelato nulla se prima io non gli avessi rivelato il motivo della mia richiesta. «Io voglio ritrovarla e credo che questo simbolo possa ricondurmi a lei»
 
«Forse si… e forse no…» dondola leggermente la testa a destra e sinistra. Mi scruta attentamente, incatenando i suoi occhi ai miei. «Rappresenta Satana, la sua ribellione, tutto ciò che lo ha portato ad essere Principe della Menzogna, Maestro di Errore e Signore delle Tenebre» spiega con voce grave e sguardo adombrato. Sbatto le palpebre un paio di volte senza dire nulla.
 
«Stronzate…» sussurro con gli occhi fissi nei suoi alla ricerca di un qualcosa che possa smentire ciò che ho appena sentito. «Vorresti dire che Lilith è stata presa da Satana?»
 
«Non mi sento di escludere questa possibilità» inizia a camminare per il suo studio facendo frusciare il suo mantello nero. Lo seguo con gli occhi, senza perderlo di vista nemmeno un attimo.
 
«Parla chiaro» taglio corto ormai stufo dal suo parlare per enigmi. Se sta dicendo la verità non ho tempo da perdere. Ci sarà pur un modo per ritrovarla e riportarla a casa. Che sia stato Satana o chiunque altro non mi importa, nessuno mi impedirà di riprendermi ciò che è mio. E lei mi appartiene. Nonostante la sua ostinazione a dire che lei non è di nessuno. Non è vero, lei è mia e mia soltanto. Stringo i pugni.
 
«Se ciò che mi hai detto è vero, potrebbe essere, ma la vera domanda da porre è: perché?» mi porge nuovamente il foglietto, poi torna sul suo libro. Lo sfoglia lentamente studiando con attenzione ogni pagina. Osservo le sue mani, ha le unghie appuntite e nere. Si muove con una lentezza snervante, non so quanti attimi passano prima che lui prende nuovamente la parola. «Forse ha venduto la sua anima al diavolo, oppure lui può volere qualcosa da lei...» si blocca nuovamente. Sbuffo esasperato.
 
«C’è una terza ipotesi, non è vero?» muovo un passo verso di lui, il fatto che gli piaccia tenermi sulle spine mi fa innervosire. Intravedo un ghigno subdolo nell’ombra del cappuccio.
 
«Spera e prega che l’ultima ipotesi non sia vera…» sussurra in maniera misteriosa. Sto per chiedergli ulteriori spiegazioni, ma lui mi fa segno di tacere con un gesto sbrigativo della mano. Stringo i denti. Odio la gente che mi da ordini, eppure da quanto ne so nemmeno lui ama essere contraddetto, quindi decido di lasciare perdere. Le informazioni che voglio ottenere sono più importanti. Con un balzo si avvicina a una grande libreria e inizia a picchiettare con l’unghia sui libri, uno dopo l’altro. Li osserva tutti con attenzione, alla ricerca di chissà che cosa. Dopo qualche attimo inizia a canticchiare un motivetto inquietante di cui non capisco le parole, a causa della lingua sconosciuta. La voce è troppo cavernosa. Per me che sono abituato alla voce soave di Lilith, questo ringhio gutturale è una sottospecie di tortura. A lui però non sembra importargli, continua imperterrito a gorgogliare questa litania insopportabile.
 
«In cosa consiste l’ultima ipotesi?» chiedo per farlo tornare a parlare, tutto pur di far tacere questo maledetto canto. Si ferma per un attimo con l’unghia nera su un libro, ma poi riprende a percorrerli uno ad uno. Passa un tempo interminabile.
 
«La considero troppo inverosimile anche solo per spiegartela» dice con estrema calda e semplicità. Sospiro frustrato. Non ho scoperto nulla di davvero interessante. Non credo che Lilith sia così stupida da vendere l’anima al diavolo e non credo nemmeno che il Diavolo possa volere qualcosa da lei. La terza ipotesi è, a quanto pare, impossibile. Che altro posso fare per scoprire qualcosa in più di quel che le è successo?
 
«D’accordo, grazie» suona molto più ironico di quanto non volessi farlo sembrare. Gli volto le spalle e sto per uscire, ma lui mi fa fermare.
 
«Subaru» mi chiama. Io mi volto di profilo per dargli almeno la parvenza di star ascoltando. «Nel remoto caso l’ultima ipotesi si avverasse, prega che lei non vi consideri suoi nemici, perché in quel caso vi ritrovereste in abominevoli guai» sento una sfumatura di divertimento nella sua voce, ma non ci bado. Esco dal suo studio. Ora ne ho l’assoluta conferma. È pazzo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Lilith’s P.O.V.
 
«Quando uscirai di qui dovrai immediatamente raggiungere il gazebo, è oscurato rispetto alla festa, ma tu potrai comunque vederlo, il buio non è un ostacolo per i demoni» spiega sfiorando con la punta delle dita il ciondolo di rubino. Sul suo volto aleggia un sorriso orgoglioso mentre ammira sua figlia. «Non ti noteranno, saranno troppo occupati a chiacchierare, quando sarai lì io darò l’annuncio e farò in modo di illuminarti, a te basterà seguire il sentiero e venire da me» finisce di spiegare e allontana la mano dal mio petto riportandola lungo il fianco. Gli mostro un piccolo sorriso.
 
«D’accordo» rispondo sollevando la testa. Sono emozionata, mi piace stare al centro dell’attenzione, non ho alcun timore ad ammetterlo. Sono forse un po’ troppo esibizionista, chissà se anche questa è una prerogativa dei demoni o, meglio, della figlia di Lucifero.
 
«Sarai una splendida regina» afferma con sicurezza il Diavolo. Lo osservo negli occhi con attenzione, quei laghi ghiacciati così simili ai miei, eppure così diversi. Hanno visto milioni di cose, hanno vissuto miliardi di anni. Per un attimo mi sembra di vederlo sollevare la mano per sfiorarmi nuovamente, ma poi si blocca e la lascia dov’è. Si volta di spalle ed esce dall’enorme portone lasciandolo socchiuso per me. Prendo un respiro profondo per rilassarmi, poi esco anch’io. Vedo Lucifero avvicinarsi all’unico spazio illuminato in tutta la radura, non troppo lontano dall’entrata degli Inferi.
 
«Calma» sussurro a me stessa per poi ispezionare tutto lo spazio circostante con lo sguardo. Lucifero aveva ragione: individuo subito il gazebo poco lontano. Inizio a camminare decisa a fare un giro lungo per essere certa di non essere vista. L’erbetta morbida attutisce il rumore dei miei passi riducendolo a un fruscio impercettibile. Tengo sempre d’occhio lo spazio illuminato. Mi attraversa una strana sensazione mentre osservo quell’ammasso di persone vestite in bianco e nero, come una scarica di potere, mi tiene inspiegabilmente allerta. Raggiungo il gazebo e da lì governo meravigliosamente la scena dall’alto, mentre l’oscurità nasconde la mia figura ai loro occhi. Vedo da lontano Lucifero che raggiunge i troni e solleva le braccia al cielo attirando l’attenzione generale.
 
«Finalmente siamo giunti al culmine della serata» annuncia ad alta voce per farsi sentire da tutti. Cala il silenzio. Nelle mie orecchie rimbomba il battito frenetico del mio cuore. Prendo un respiro profondo, raddrizzo le spalle e sollevo la testa con orgoglio, come si addice a cuna Principessa degli Inferi. «Demoni… Angeli… ho il piacere e l’onore di presentarvi colei che sarà la futura Sovrana degli Inferi, colei che reggerà il regno quando io deciderò di abbandonare il trono in suo favore, mia figlia Lilith» rivolge il suo sguardo nella mia direzione e immediatamente intorno a me si accendono una serie di fuochi che circondano il gazebo e illuminano un sentiero di piastrelle di marmo che scende verso la festa. Tengo il mio sguardo fisso davanti a me, ma con la coda dell’occhio vedo che il gazebo è decorato con rose nere e rosse. Tutti gli sguardi si puntano nella mia direzione, ma io mi impongo di non reagire, di non mostrare l’emozione folle che mi sta assalendo. Inizio a scendere lungo il sentiro, passo dopo passo con sicurezza, senza fretta. Il vestito fruscia sulle mie gambe, l’unico rumore che mi accompagna nella mia discesa. Quando arrivo di fronte alla folla, essa si divide in due lasciando un passaggio in fondo al quale c’è Lucifero che mi osserva con un sorriso orgoglioso. Passo in mezzo a loro e inizio a sentire i bisbigli.
 
«È stupenda…»
 
«È evidente sia sua figlia, guarda che occhi… e il portamento… da vera reale»
 
«Eppure non l’ha mai mostrata in tutti questi anni, come mai ora sì?»
 
«Tsk, è solo un ragazzina, non è degna di diventare la sovrana degli Inferi, non ha nemmeno mai vissuto alla reggia»
 
Ovviamente ci sono anche commenti negativi. Me li sarei dovuti aspettare, ma non me la prendo, dopotutto la voce era femminile e di invidiose ne è pieno il mondo. Faccio saettare il mio sguardo più gelido che mai per la folla. La differenza tra angeli e demoni è oltremodo evidente, non solo dal vestiario, ma anche dai visi totalmente opposti. Gli angeli sono biondi con gli occhi azzurri e mi osservano con stupore, nei loro sguardi leggo però anche un’infinita dolcezza. Al contrario dei demoni, capelli e occhi scuri con sguardi maligni. Non faccio caso alle occhiatacce e mi dirigo senza esitare da Lucifero. Quando mi ritrovo al suo cospetto, lui mi porge la mano con eleganza. Io poso delicatamente la mia sulla sua. Mi sorride e io ricambio. Si volta e mi conduce sui gradini fino a raggiungere il trono. Sento il cuore battermi all’impazzata. Mi fa inginocchiare davanti a lui ed io eseguo.
 
«Principessa Lilith, giurate di fare del vostro meglio per difendere e far prosperare il regno?» chiede estraendo dal suo bastone da passeggio a forma di serpente una sottile lama nera. La appoggia sulla mia spalla destra.
 
«Lo giuro» rispondo di riflesso. Tengo la testa chinata e gli occhi chiusi, ma comunque percepisco lo sguardo ardente di Lucifero su di me.
 
«Giurate di dare un nuovo erede al regno degli Inferi e accudirlo fin quando non sarà adulto?» domanda nuovamente. Mi irrigidisco a quella promessa che devo fare. Non avevo mai pensato di avere un figlio, ma forse tra parecchi anni potrà accadere.
 
«Lo giuro» esclamo con un mezzo sorriso sulle labbra. Sento lo sguardo di fuoco di Lucifero perforarmi la carne.
 
«Giurate di continuare l’opera che io, Lucifero ho iniziato e di mandare avanti i miei ideali?» dice nuovamente con voce decisa e ferma, senza la minima traccia di esitazione. Per un attimo un fremito mi percorre tutto il corpo.
 
«Lo giuro» annuncio per l’ennesima volta. Lucifero allora allontana la spada da me e la conficca nel terreno. Riapro gli occhi e lo osservo tra le ciglia, mentre lui prende tra le mani una piccola corona. Sento il rimbombare del mio cuore nel petto. Sta accadendo veramente?
 
«Io, Lucifero, Re degli Inferi e Signore del Male, ti nomino mia succeditrice e futura sovrana del Regno degli Inferi» conclude posando il diadema sul mio capo. Mi alzo in piedi incontrando lo sguardo gelido di Lucifero. Mi giro verso il gruppo di angeli e demoni per poi sedermi sul trono. Tengo la schiena dritta e gli occhi fissi davanti a me. Vedo lucifero inchinarsi a me e, un attimo dopo, gli angeli e i demoni sono in ginocchio al mio cospetto. Tutti, tranne due angeli che hanno imitato Lucifero in un elegante inchino. Li osservo attentamente. Uno di loro mi osserva di sottecchi con un sorriso radioso sul volto. Ci metto un po’ a capire, ma poi lo riconosco. Per un secondo ho la tentazione di andare da lui, ma Lucifero mi ucciderebbe. Cosa diamine ci fa Mihael qui?
 
«Raggiungiamo il tempio dove si svolgerà la Cerimonia di Iniziazione» annuncia per l’ennesima volta Lucifero facendomi sobbalzare. La visione di Mihael qui mi ha destabilizzato. Lucifero mi fa alzare dal trono porgendomi il braccio, su cui io appoggio il mio. La folla si divide in due al nostro passaggio. Continuiamo ad avanzare per la radura, finché non scorgo un tempio poco lontano. Ci stiamo dirigendo proprio là. Quando raggiungiamo le porte del tempio, il gruppo alle nostre spalle si ferma poco lontano, solo un angelo si dirige verso di noi. Lo stesso che è rimasto in piedi poco fa. Affianca Lucifero e mi rivolge un sorriso radioso. Vederli uno accanto all’altro mi fa per un attimo socchiudere le labbra. Sono uno l’opposto dell’altro. I capelli biondissimo dell’angelo ricordano tanto il grano maturo, il viso ha tratti marcati, ma dolci, le labbra rosee sono sottili. Quando incontro i suoi occhi ne resto per un attimo ammaliata. Quel blu oceano mi trasmette un tale serenità da riscaldarmi il cuore. In tutto ciò il mio corpo viene percosso da scariche elettriche, la sua vicinanza mi mette in allerta.
 
«Lui è Michele, il Sovrano dei Cieli e Capo degli Angeli, sarò l’unico oltre a me ad assistere al rito» spiega pacatamente Lucifero dandogli una rapida occhiata per poi tornare su di me. Ora capisco come mai  non si è inginocchiato come gli altri. È ancor più potente di me, un sovrano.
 
«È un piacere conoscerti, Principessa» sembra cercare di capire cosa io sia in grado di fare. Non mi giudica con quello sguardo, al contrario di tutti gli altri, è solo curioso di scoprire qualcosa di più in me. Gli faccio un lieve inchino abbassando il capo. Il potere che lo circonda è davvero incredibile. Lucifero mi appoggia delicatamente una mano sulla base della schiena sospingendomi in avanti per farmi entrare nel tempio. L’interno è circolare il cui perimetro è delineato da una serie di colonne candide. Al centro, inciso sul pavimento, vi è un simbolo particolarmente affusolato. Fa stranamente freddo lì dentro, fuori è più caldo, nonostante la frizzante aria notturna.
 
«All’interno di quel sigillo, la natura di noi demoni viene rivelata, quindi sarà la prova tangente del fatto che tu sei sangue del mio sangue» mi spiega il Diavolo senza degne di uno sguardo Michele che è rimasto in disparte a osservare la scena attentamente. Gli rivolgo soltanto un’occhiata veloce, per poi immergere il mio sguardo negli occhi gelidi di Lucifero.
 
«Vuoi dire che non appena entrerò in quel sigillo diventerò come te, come mi hai mostrato al nostro primo incontro?» chiedo dubbiosa, ma nonostante tutto emozionata.
 
«Esattamente, non ti piacerebbe avere le ali?» fa leva su ciò per cui avevo perso la testa. Quel paio d’ali. Sono un desiderio represso che ho sempre covato ed ora quell’uomo, quel demone di dava l’occasione di viverlo, sommato anche a poteri che vanno oltre la mia immaginazione. Mi volto verso il sigilli e lo raggiungo con un paio di passi. Osservo quelle linee sottili di un azzurro chiaro che si intrecciano in un complicato disegno. Prendo un respiro profondo e faccio l’ultimo passo entrando nel sigillo, al centro. Per qualche attimo non sento nulla, poi una scarica mi percorre dalla testa ai piedi facendomi appannare la vista e accasciare a terra. Inizio a respirare affannosamente, mentre una morsa mi stritola il petto. Sento il mio corpo andare a fuoco. Nella mia bocca inizia a crescere qualcosa di ingombrante e appuntito, lo sfioro con la lingua: i miei canini si sono allungati e affilati all’inverosimile. Ogni fibra del mio corpo si tende e muta. Le mie mani si aprono e chiudono frenetiche. I miei capelli si spostano per lasciare libero il passaggio a due protuberanza appuntite. Fa male, un dolore forte e acuto che percorre tutto il mio essere senza fermarsi. Senza nemmeno rendermene conto inizio ad urlare. Dalla mia schiena, qualcosa spinge per uscire, si ingrandisce e la mia pelle si tira. Continuo a gridare con gli occhi serrati. La pelle si lacera procurandomi un’ulteriore fitta. Inarco la schiena e mi accascio a terra. Il dolore persiste, ma minore di prima.
 
«Ce l’hai fatta, Lilith» sento dire in modo ovattato. Cerco di rialzarmi e sento il mio corpo più pesante. Le gambe tremano impedendomi di stare in piedi. Mi inginocchio di nuovo a terra. Mi sento diversa, ma non riesco a capire cosa è cambiato. Lucifero mi porge una mano che accetto volentieri per aiutarmi a sollevarmi. Mi fa uscire dal sigillo, mentre mi circonda la vita con un braccio per sostenermi. Ho ancora il respiro spezzato, ma sto meglio di prima. La schiena fa ancora male. Sollevo lo sguardo e vedo Michele appoggiare una mano sulla parete bianca, in un attimo una lastra sottile di ghiaccio la ricopre. Lucifero mi conduce lì. Mi osservo nel riflesso creato dal ghiaccio e a stento riesco a riconoscermi. I miei occhi sono fuoco e fiamme con la pupilla verticale, sulla mia testa sono attaccate un paio di corna nere a spirale, simili a pietra lavica, dalle mie labbra rosse spuntano un paio di canini affilati, ma la cosa più stupefacente sono le due ali che mi fanno da mantello. Mi stacco da Lucifero e cammino totalmente in trance verso la lastra di ghiaccio appoggiandoci una mano sopra. Al mio contatto il ghiaccio si fonde in poco meno di tre secondi. Sbatto un paio di volte le palpebre alternando il mio sguardo dalla mia mano alla pozza d’acqua rimasta per terra.
 
«Non ti preoccupare, è un dettaglio di voi demoni, avete il corpo che può raggiungere temperature inverosimili» mi spiega con un sorriso Michele. Io gli rivolgo un’occhiata spaesata, ma poi sorriso anch’io per ricambiare al suo. Anche se non deve essere stato molto rassicurante il mio gesto. Un sorriso con quei lunghi canini credo appaia abbastanza inquietante.
 
«Lilith» mi richiama all’attenzione Lucifero. Mi volto verso di lui e vedo che mi osserva con occhi pieni illuminati dalla soddisfazione, tra le mani tiene la mia corona. Deve essermi caduta durante la trasformazione. «È ora di mostrare a tutti chi sei veramente, figlia mia».

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Subaru’s P.O.V.
 
Cammino per i corridoi della scuola pensando alla discussione avuta con il professore. Tutte le informazioni ottenute riguardanti il sigillo mi offrono delle ipotesi che non mi piacciono per niente. Cosa può volere il Diavolo da Lilith? Non mi sembra una ragazza che si metterebbe a fare strani rituali per ottenere un patto con lui. Allora cosa? Non ha niente che potrebbe interessargli, a meno che non stia cercando una donna con una bellezza sconvolgente, una voce angelica e un’innata bravura nel suonare il pianoforte. Una ragazza che potrebbe far perdere la testa a qualunque uomo. Mi riscuoto da quei pensieri assolutamente inaccettabili. Svolto un angolo e mi ritrovo di fronte il gruppo di licantropi che mi hanno aggredito poco tempo fa.
 
«Ma guarda chi si rincontra» mi ringhia contro furioso. Sbuffo sonoramente e sollevo gli occhi al cielo. Non hanno niente da fare questi? Sempre a infastidire chi non dovrebbero?
 
«Senti, se proprio vuoi essere malmenato chiedi a qualcun altro, ora io ho altro a cui pensare» mi sposto di lato e lo aggiro.
 
«L’ho sempre detto che i vampiri sono dei codardi» gli sento dire. Mi blocco sul posto. La mia mascella si serra istantaneamente. Con la mia velocità sovrannaturale, mi pongo di fronte a lui e gli sferro un potente destro sulla mascella. Sento le sue ossa scricchiolare contro le mie nocche, un attimo prima che il suo corpo cada pesantemente a terra. Mostro un sorrisetto soddisfatto.
 
«Avresti ancora il coraggio di chiamarci codardi, lupacchiotto?» domando guardandolo dall’alto al basso con aria di superiorità. I suoi compagni lo aiutano ad alzarsi.
 
«Maledetto succhiasangue» ringhia infuriato, mentre si pulisce il rivolo di sangue che gli è sceso dall’angolo della bocca. Gli lancio un’ultima occhiata poi riprendo a camminare. Sento una forte presa sulla spalla, dita che mi affondano nella carne, mi costringe a voltarmi. È uno del suo gruppo.
 
«Non così in fretta» mi guarda con occhi colmi di rabbia. I licantropi sono molto istintivi, è facile farli infuriare. Con un movimento veloce del braccio mi libero dalla sua presa, poi prendo la sua testa tra le mani e gli assesto una poderosa ginocchiata sul viso. Sono certo di avergli rotto il naso. Con uno scatto repentino mi trasporto vicino a una porta d’uscita e li sfido uno a uno con lo sguardo, per poi uscire ad attenderli. Non sono certo tipo da scappare di fronte alle sfide e inoltre sarà un ottimo modo per alleviare la tensione, mi distrarrà dalla ricerca di Lilith. Quando escono hanno già assunto la loro forma di lupo. Sono in quattro. Mi preparo a un duello abbastanza duro. Li tengo tutti sott’occhio mentre mi circondano. Non voglio lasciare loro la prima mossa, quindi mi scaglio verso il lupo di fronte a me e lo allontano con un calcio sul muso ben assestato. Un suo compagno mi allontana da lui con una zampata lacerandomi la maglietta e la pelle. Ringhio istintivamente nella sua direzione non appena mi ristabilizzo sulle gambe. Mettono in atto un attacco incrociato. Quando sono a pochi metri da me, spicco un salto verso l’alto schivandoli, per poi dare un calcio alla schiena di uno di loro sfruttando la caduta. Lo sento guaire sotto di me.
 
«Tutto qui? È tutto qui quello che sapete fare? È ben misera cosa!» li schernisco balzando via dal lupo appena atterrato. Uno di loro ulula alla luna argentea per poi tornare a osservarmi con occhi spietati. Riprendiamo a combattere. È difficile. Devo sempre tenere d’occhio tutti e quattro e stare attento a non farmi cogliere di sorpresa. Uno di loro riesce ad azzannarmi dolorosamente il braccio sinistro. Le zanne penetrano nella carne lacerando il muscolo e facendo sgorgare il mio sangue. La fitta provocatami da quella ferita mi fa perdere per un secondo la concentrazione. Un’altra delle bestie, approfittando della mia momentanea distrazione, cerca di azzannarmi alla gola. Lo vedo spalancare le fauci a un soffio da me. L’istinto prevale sulla ragione facendomi reagire di riflesso. Con un calcio laterale devio la sua traiettoria, mentre un’irresistibile desiderio di sangue inizia a farmi bruciare la gola. Da troppo non bevo del sangue fresco, da troppo i miei canini non affondano nella carne della mia preda. La battaglia non migliora la situazione.
 
Lo scontro diventa sempre più furioso man mano che il tempo passa. Le forze mi iniziano a mancare e la velocità diminuisce vistosamente, ma non solo la mia. Uno dei lupi riesce ad atterrarmi, mi blocca le braccia al suolo con il suo peso. Le sue zanne sono a un soffio dal mio viso, impregnate del mio sangue. La sua zampa che preme sul profondo morso che mi è stato inferto in precedenza mi fa chiudere gli occhi per il dolore. Lo sento ringhiare di soddisfazione. Riapro gli occhi per incatenarli ai suoi ambrati da lupo.
 
«Cosa stai aspettando? Se devi mordermi fallo subito» ringhio dopo aver ritentato di liberarmi, senza successo. Non starò certo a chiedergli pietà.
 
«Subaru, possibile che tu non riesca a non cacciarti nei guai?» sento dire da una voce familiare, prima che il lupo venga scaraventato via da me violentemente. Salto immediatamente in piedi e accanto a me trovo Ayato.
 
«Non avevo certo bisogno del tuo aiuto» scrollo le spalle sbuffando. Lui solleva gli occhi al cielo, per poi mostrarmi uno dei suoi ghigni sfacciati.
 
«Orgoglioso come sempre» anche Raito si unisce alla mischia. Gli rivolgo un’occhiata veloce, ma vengo interrotto prima che possa controbattere, i lupi ci ringhiano contro minacciosi. Raito mi viene di fianco osservando attentamente i miei avversari.
 
«Vedete di concludere la faccenda in fretta, Subaru ha già dato abbastanza spettacolo» a quanto pare anche Reiji ci ha raggiunti qui. Mi volto a cercarlo e lo trovo accanto a un’altra limousine uguale a quella con cui sono venuto io. Lo fulmino con un’occhiata fiammeggiante. Attacchiamo i quattro lupi con una velocità sorprendente. L’intervento dei miei fratelli mi ha dato il tempo di recuperare le forze. Siamo perfettamente sincronizzati, anni di allenamento insieme hanno dato i loro frutti, riusciamo quindi ad abbattere i quattro lupi, già affaticati per la lotta condotta con me, in pochi minuti. Blocco l’ultimo lupo sotto di me con un piede appoggiato alla sua gola, mentre quello ansima.
 
«Patetico…» sussurro pulendomi il viso dalle macchie del mio e del loro sangue. Mi allontano dai loro corpi tremanti a terra che stanno tornando in forma umana ed arrivo di fronte a Reiji fissando il mio sguardo nel suo. Iniziamo una sfida silenziosa fatto di fulmini e saette sprizzati dagli occhi. È perfettamente consapevole del fatto che io non sopporti i rimproveri, ma io so altrettanto bene che lui non può farne a meno. Dopo svariati secondi, distolgo lo sguardo ed entro in macchina sedendomi a braccia conserte e con gli occhi chiusi. Sento che anche gli altri entrano in auto per poi partire. Il silenzio è smorzato solamente dl motore della limousine, almeno finché Reiji non decide che è giunta l’ora della ramanzina.
 
«Dovevi proprio venire qui ad attaccare briga?»  chiede con voce scocciata. Non gli rispondo, ho la testa altrove e le sue domande mi infastidiscono solamente. Ci sarà un modo per raggiungere quella ragazza all’inferno e riportarla in casa, magari con lo stesso simbolo lasciato in casa nostra. Chissà se Lucifero farà resistenza. «Subaru, è maleducazione non rispondere a una domanda, ti pregherei di guardarmi negli occhi e darmi una risposta» Reiji insiste. Sbuffo sonoramente e apro gli occhi fulminandolo con un’occhiata bruciante. Possibile che non riesca mai a smettere di blaterare?
 
«Non sono venuto qui per attaccare briga, quel gruppetto di cani rognosi aveva solo voglia di essere malmenato un po’, sono venuto qui in cerca di informazioni» rispondo alterato fissando il mio sguardo nel suo per accontentarlo finalmente.
 
«E quello che hai scoperto vale la cattiva luce che hai gettato addosso al nome Sakamaki?» esclama mettendosi a posto gli occhiali sul naso. Sbuffo.
 
«Non ho messo in cattiva luce nessuno, abbiamo solo ribadito il nostro comando» rispondo con non curanza. Scaccio l’argomento con un gesto della mano. «Inoltre, non sono affari tuoi quello che faccio» ringhio iniziando a stufarmi del suo insopportabile comportamento da damerino.
 
«Sono affari miei e di tutti noi» controbatte a sua volta. Concentro i miei occhi nei suoi. Sarò anche il più giovane, ma non mi faccio comandare a bacchetta da mio fratello maggiore. La mia mano si chiude a pugno esponendo la mia irritazione. In questo momento lei si sarebbe messa in mezzo per bloccarci ed evitarci le solite litigate furiose.
 
«Il simbolo lasciato sul pavimento rappresenta il Diavolo» dico cambiando totalmente argomento. Vedo ognuno di loro osservarmi con curiosità. Reiji aggrotta la fronte dubbioso.
 
«Come fai a saperlo?» mi chiede accavallando le gambe con la sua solita ostentata compostezza.
 
«Il professore di rune antiche è finalmente servito a qualcosa» dico con una smorfia di disgusto. A nessuno è mai interessata veramente la sua folle materia, per di più è una creatura troppo misteriosa e sconosciuta da ispirare fiducia. Reiji ignora il mio insulto.
 
«Quindi, la mia preda sarebbe all’Inferno in questo momento?» Ayato prende la parola. Gli rivolgo un’occhiata bruciante e serro la mascella. Ancora si ostina a definirla sua?
 
«Secondo quello che mi è stato detto, sì» confermo decidendo di cercare di ignorare quella sgradevole sensazione che mi opprime il petto dall’attimo in cui l’ha definita sua.
 
«Molto bene, almeno abbiamo un primo indizio, meglio di niente» Raito solleva le spalle con quel suo solito sorrisetto irritante. Ignoro le sue parole e mi concentro su Reiji che si è portato due dita vicino al mento riflettendo. Tiene lo sguardo puntato chissà dove.
 
«Cosa pensi di fare?» gli chiedo dopo qualche attimo di completo silenzio. Lui non mi risponde. Lo lascio pensare e mi concentro sul mio braccio ferito. Il morso di un licantropo rallenta abbondantemente il processo di guarigione di noi vampiri. La ferita gronda ancora sangue e mi provoca una fitta ogni tanto, ma è sopportabile.
 
«È ovvio che dobbiamo riportare l’umana sotto il nostro controllo» se ne esce a un certo punto Reiji con questa frase. Il mio corpo scatta in automatico.
 
«Ha un nome!» gli urlo contro con furia. Tutti gli sguardi si concentrano su di me stupiti. I miei occhi lanciano lampi di rabbia. Che mi salta in testa? Sento la macchina fermarsi, in un attimo esco dalla limousine e mi fiondo in casa con la mia velocità sovrannaturale. Arrivo in camera mia sbattendomi la porta alle spalle. Mi appoggio con la schiena alla porta. Devo calmarmi. L’astinenza del suo sangue mi sta dando alla testa. Scivolo contro il legno della porta e mi siedo per terra appoggiando la testa indietro. Chiudo gli occhi. In quell’attimo, una miriade di immagini e ricordi mi affollano la mente. La sensazione della sua pelle morbida contro le mie labbra si ripercuote su di me. I suoi occhi che mi osservano curiosi. I suoi sorrisi di malizia, ironia e scherno. La sua risata. Il battito forte e ritmico del suo cuore ancora pieno di vita. Appoggio una mano sul mio petto risentendo ancora una volta il tenebroso silenzio della morte. Siamo così diversi. Troppo diversi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Lilith’s P.O.V.
 
Vengo scortata fuori da Lucifero alla mia destra e Michele alla mia sinistra. Ho di nuovo la mia corona sulla testa. Usciamo dal tempietto bianco e ci ritroviamo di fronte alla folla. Mi osservano tutti estasiati e, dopo qualche attimo di silenzio, si alza un grido.
 
«Lunga vita a Re Lucifero! Lunga vita alla principessa Lilith!» subito viene seguito da tutti gli altri demoni. Io spalanco le ali esibendole in tutta la loro grandezza ed eleganza, poi come se l’avessi sempre saputo fare, mi alzo in volo. Sollevo il viso al cielo mentre fendo l’aria. È meglio di un sogno. Sento l’aria sferzarmi il viso gentilmente e tendersi i muscoli delle mie ali. Punto verso l’alto, sempre di più, cavalcando il vento. Mi sembra di poter raggiungere la luna e accarezzarne la superficie. Finché non mi fermo a mezzaria, le mie ali si muovono da sole per tenermi sospesa. Contemplo le stelle, per poi tornare a guardare giù, verso tutti i demoni e gli angeli. Ci vedo benissimo nonostante il buio, i miei sensi sono al massimo delle loro capacità. Mi lancio giù in picchiata avvicinando le ali al corpo per guadagnare sempre più velocità. Quando sono a un soffio la loro riprendo quota a poco meno di un metro dalle loro teste sorvolandoli tutti. Mi fermo sospesa sopra il tempio per farmi vedere da tutti, in quell’attimo tutti i demoni intonano un inno.
 
«Gloria a te, Lucifero.
Signore dell'oscurità.
Dinnanzi a te qualsiasi essere cade in tentazione.
Per te soffiano i venti della sera.
Il buio e la notte ti ubbidiscono.
Per te si aprono gli eterni cancelli dell'aldilà...
Tutti i demoni a te si inchinano.
E la tua dimora è terra di peccato.
In ogni terra sei conosciuto,
I popoli temono il tuo nome sopra ogni altro!»
 
Mentre loro parlano, io scendo lentamente fino a toccare terra al fianco di Lucifero.
 
«Annulla la trasformazione, Lilith, non puoi stare in mezzo agli angeli così» mi dice facendo qualche passo nella mia direzione senza timore. «Chiudi gli occhi e cerca di individuare l’aura i potere che ti circonda, falla rifluire nel tuo corpo e ritorna nella tua forma umana» mi sussurra quando siamo uno di fronte all’altra. Io faccio come mi è stato detto: chiudo gli occhi e respiro piano. È come un fuoco che mi circonda e mi venera, lo vedo dietro le mie palpebre chiuse. Cerco di richiamarlo, controllarlo e lui risponde. Si muove velocemente intorno a me chiudendomi in un vortice di calore. Gradualmente si stringe intorno a me fino ad essere come risucchiato dal mio corpo. Riparo gli occhi e sento di nuovo le spalle leggere: le ali sono rientrate sotto pelle. Mi passo una mano tra i capelli tanto per essere sicura e mi accorgo che anche le corna sono scomparse.
 
«La festa può riprendere» sorride radioso Michele sollevando le braccia al cielo. Io faccio un lieve sorriso a Lucifero e scendo tra la folla a caccia di una persona in particolare. Ogni demone o angelo con cui mi scontro mi da il bentornato e si mostra rispetto. Lo cerco tra la folla, zigzagando tra le persone, finché non vengo afferrata per un braccio e trascinata fuori dalla calca. Mi volto verso chi mi sta tirando via. Davanti a me mi compaiono un paio di occhi color del cielo e un sorriso dolce.
 
«Da orfanella spregiudicata a futura sovrana di un grande regno… gran cambiamento eh» ride lasciando il mio braccio. Rido anch’io.
 
«Poi mi dovrai spiegare che diavolo ci fai qui» esclamo, poi d’istinto gli incrocio le braccia intorno al collo e lo abbraccio di slancio. Una scarica elettrica colpisce entrambi, come se tutto ciò fosse sbagliato. Lo sento irrigidirsi tra le mie mani.
 
«Lilith, non dovremmo stare così qui…» sussurra con voce preoccupata. Mi allontano da lui guardandolo interrogativa. Non gli era mai dispiaciuto abbracciarmi, anzi solitamente era lui quello a dare il primo imput.
 
«Che stai dicendo?» chiedo sollevando un sopracciglio e poggiando una mano sul mio fianco destro. Lui, prima lancia un’occhiata nei dintorni, poi rivolge il mio sguardo a me passandosi una mano tra i capelli imbarazzato.
 
«Tu sei un demone, e non un demone qualsiasi, ma la figlia del Re dei Demoni, Lucifero» mi squadra da capo a piedi nel mio abito color delle tenebre. «Ed io sono un angelo» conclude come se il resto fosse ovvio.
 
«Ma non un angelo qualsiasi» la mia è più un’affermazione che una domanda. «Se l’unico, oltre Michele, a non esserti inginocchiato quando Lucifero mi ha presentata al popolo come futura Sovrana, ciò mi fa dedurre che anche tu hai una certa importanza in tutta questa storia» sentenzio convinta delle mie parole. Lo vedo sospirare frustrato.
 
«Sono il figlio di Michele e futuro Sovrano del Regno dei Cieli» distoglie lo sguardo dal mio. Ora il mio cervello collega tutto. I loro due nomi simili, la somiglianza spaventosa. Lui è sul mio stesso livello.
 
«Tu lo sapevi?» domando dopo attimi interminabili di silenzio. Mi osserva non capendo. «Tu sapevi che io ero la figlia del Diavolo?» ripropongo la domanda più esplicitamente. Concentro i miei occhi nei suoi. Così simili nel colore, ma così diversi per le emozioni che trasmettono.
 
«Lilith… io…» si blocca non sapendo come continuare. Questa è già una risposta sufficiente per me. Le mie labbra si serrano in una linea sottile.
 
«Perché non me l’hai detto?» gli chiedo sentendo il demone dentro di me iniziare a risvegliarsi. Lo vedo in difficoltà.
 
«Non mi avresti creduto e inoltre non potevo, mio padre mi aveva vietato di dirti alcunché, dopotutto non eravamo certi Lucifero ti avrebbe riportato qui» spiega dopo poco aspettando una qualche mia reazione. Lo guardo negli occhi. È sincero, il suo sguardo è limpido e seriamente dispiaciuto. Sospiro e roteo gli occhi. Probabilmente ha ragione. Gli rivolgo un sorriso, poi lo prendo per mano riavvertendo quelle scosse così strane.
 
«Vieni con me» sussurro ignorando le scariche di avvertimento che avvolgono le nostre mani unite. Mi volto e inizio a correre tirandomelo dietro per allontanarci dal gruppo di demoni e angeli.
 
«Aspetta, Lilith! Noi non dovremmo…» non oppone molta resistenza nonostante le sue parole.
 
«Smettila di essere così rigido» rido continuando a correre sempre più veloce. Distanziamo il gruppo in poco tempo, fino a raggiungere un boschetto poco lontano non illuminato dalle luci della festa. «Ha capito che dovremmo essere nemici e odiarci a morte, ma i ruoli prescritti non mi vanno a genio, decido io di chi essere amica» lo precedo prima che ribadisca la storia dei due regni opposti e avversari. Mi fermo lasciando che lui mi venga di fianco, non dice più nulla. Sollevo lo sguardo verso il cielo e ammiro la candida luna in compagnia delle stelle. Osservo quel manto blu estasiata. È di notte che si percepisce meglio il frastuono del cuore, il ticchettio dell’ansia, il brusio dell’impossibile e il silenzio del mondo. Forse noi sbagliamo a vivere di giorno e dormire di notte, forse i vampiri hanno ragione. Perché sprecare la notte a dormire? Di notte le anime iniziano a danzare. Mi siedo per terra, seguita da lui, e mi tolgo i fastidiosi tacchi.
 
Restiamo così per non so quanto tempo, nel più totale silenzio, per non disturbare la quiete che questa note regala senza chiedere nulla in cambio. Finché Mihael non si alza in piedi venendo di fronte a me e porgendomi le mani.
 
«Dobbiamo tornare, ormai la festa sta per finire, si staranno chiedendo dove siamo» mi sorride nel buio. Io afferro le sue mani tranquillamente facendomi tirare su. Torniamo insieme alla festa fianco a fianco. Quando siamo a una decina di metri dal chiacchiericcio, Mihael si congeda da me con un elegante baciamano e un sorriso. Lo vedo allontanarsi e scomparire tra la folla, ormai diminuita rispetto all’inizio. Io cerco di individuare Lucifero, ma è lui a trovare me. Mi viene incontro con passo deciso e uno sguardo gelido, il sorriso d’orgoglio è scomparso. Mi raggiunge guardandomi dall’alto in basso con freddezza e severità disarmante, quello sguardo mi perfora la cerne provocandomi un dolore quasi fisico. Mi fa sentire inferiore e indifesa.
 
«È ora che inizi a capire come funziona qui» sibila con voce tagliente. D’istinto abbasso lo sguardo a terra per non dover più essere costretta a guardare quelle lame di ghiaccio. «La principessa Lilith ha bisogno di riposo, la accompagno nelle sue stanze, voi continuate pure a festeggiare» annuncia ad alta voce sicuramente in direzione della folla. Io lo osservo tra le ciglia. Lucifero subito dopo quelle parole si gira verso di me e mi fa cenno di seguirlo, cosa che faccio senza protestare. Perché non riesco a non ubbidirgli? Sarà il suo potere a farmi questo schifoso effetto? Raggiungiamo l’entrata degli Inferi e ci avviamo per i corridoi senza dirci una sola parola, io cammino dietro di lui guardando il pavimento, finché non giungiamo alla porta della mia stanza.
 
«Cosa ho fatto di sbagliato?» domando titubante non appena entriamo nella stanza, nonostante io sappia perfettamente la risposta. Lucifero mi guarda con severità.
 
«E me lo chiedi anche? Come ti è saltato in mente di allontanarti con il figlio di Michele? Possibile che tu non ti renda conto dell’azione sconsiderata che hai commesso? Mi hai insultato e oltraggiato oltre ogni limite» mi rimprovera con voce cupa. Resto in silenzio cercando di non abbassare nuovamente lo sguardo. Voglio guardarlo negli occhi e non lascerò che il suo potere mi intimorisca ancora una volta. «Mia figlia che si allontana con uno dei miei peggiori nemici… la tua immagine e la mia verranno ampiamente compromesse per questa tua stupida leggerezza» continua avvicinandosi pericolosamente a me. Sono costretta a sollevare la testa per continuare a guardarlo in viso.
 
«Il fatto che siamo nati in due fazioni diverse e contrapposte non significa che non possiamo conoscerci e frequentarci» faccio un passo indietro. Vedo per un secondo un bagliore rossastro nei suoi occhi, come stessero per trasformarsi in quei tizzoni rossi che ho visto durante la sua trasformazione.
 
«Tu sei mia figlia, Lilith, e la futura Regina degli Inferi… non potrà mai esserci una relazione tra te e Mihael, mai» afferma con tono pacato. Mi volta le spalle e si avvia verso la porta con quel suo passo fluido, quasi felino.
 
«Stasera pensavo di tornare indietro in casa Sakamaki» gli dico per cambiare argomento. «Almeno li metto al corrente su dove mi trovo e prendo le mie cose per quando tornerò» concludo senza distogliere il mio sguardo da lui. Per qualche attimo non mi risponde, poi si volta di nuovo verso di me e inizia a camminare raggiungendo il centro della stanza. Lo osservo incuriosita e vedo i suoi occhi tramutarsi in fuoco e fiamme. Osserva con insistenza il pavimento. Sposto anch’io il mio sguardo seguendo la traiettoria del suo e, davanti ai miei occhi, una sottile linea di fuoco inizia a tracciare il legno lucido. Socchiudo le labbra per lo stupore. Sul pavimento si inizia a tracciare uno strano simbolo all’interno di un cerchio. Solo quando il fuoco si spegne, Lucifero punta di nuovo i suoi occhi su di me, già ritornati gelido ghiaccio.
 
«Mettiti al centro» ordina semplicemente. Mi avvicino a lui sempre più curiosa e mi metto al centro, come quando sono entrata dentro il sigillo per farmi trasformare. Lo osservo aspettando istruzioni. «Devi visualizzare nella mente il luogo dov’eri quando io ti ho trasportato qui» dice semplicemente. Annuisco e chiudo gli occhi pensando alla stanza della musica. Il pianoforte, gli strumenti, la grande finestra. Cerco di ricordare ogni minimo dettaglio, poi riapro gli occhi. Dalle sottili line sul pavimento iniziano ad alzarsi alte fiamme che mi avvolgono. Il fuoco mi scoppietta intorno avvolgendomi dolcemente. Non mi brucia, ma mi sfiora e mi venera.
 
«Arrivederci, figlia mia»

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Subaru’s P.O.V.
 
Mi trasporto nella sua stanza. Il suo profumo è dappertutto, ogni cosa ne è già impregnata. Inspiro profondamente a occhi chiusi, di conseguenza la gola si secca immediatamente. Mi siedo sul letto e infilo una mano sotto il cuscino alla ricerca del mio pugnale. Il metallo è freddo. Lo tiro fuori da lì sotto e risento il gelo che spariva dopo che lei l’aveva tenuto in mano. Lo rigiro tra le mani facendolo roteare abilmente tra le dita. Mi sdraio sul letto continuando a inspirare quest’aria così profumata che alberga in questa stanza. Resto immobile nel più completo silenzio. Di questo è fatta l’esistenza di un immortale: un incolmabile ed eterno silenzio. Improvvisamente la mia tranquillità viene interrotta bruscamente da un odore sconosciuto. Apro gli occhi di scatto e mi sollevo con il busto. Un odore nuovo si è infiltrato qui dentro, un odore di umana. Mi trasporto immediatamente in salotto seguendo attentamente quest’odore. Un odore che non avrebbe mai dovuto intaccare quello di Lilith. Mai. Seduti sui divani ci sono i miei fratelli e, in piedi al centro della stanza, una ragazzina tiene lo sguardo fisso al suolo tremando.
 
«Cosa ci fa quest’umana qui?» chiedo cercando con lo sguardo Reiji. Incontro i suoi occhi.
 
«Dobbiamo nutrirci» dice semplicemente. Aggrotto le sopracciglia. Lancio una rapida occhiata alla mocciosa e cammino verso di lei con decisione. La vedo stringersi nelle spalle incassando la testa, come volesse scomparire. Mi abbasso ad annusarle il collo. Il suo sangue è di pessima qualità, si sente già dall’odore che emana. Faccio una smorfia. «Finché non ritroveremo Lilith, lei starà con noi per farci da contenitore di sangue» continua Reiji notando la mia espressione.
 
«Non la stai cercando, tu la stai aspettando» ringhio contrariato da questa iniziativa superflua.  Shu si alza dal divano su cui era sdraiato.
 
«Reiji ha ragione, abbiamo comunque bisogno di sangue e non sappiamo quando avremo ancora lei a disposizione» gli da man forte. I miei pugni si serrano stringendo fino a sbiancare le nocche. “Avremo lei a disposizione” questa frase mi fa sentire per un attimo in modo orribile.
 
«Subaru, capisco che tu ti sia abituato al sapore e all’odore del suo sangue di buona qualità» avanza nuovamente Reiji. «Ma anche un sangue di bassa qualità fornisce energie, di cui abbiamo bisogno»  vedo con la coda dell’occhio la ragazzina che si tortura le mani a disagio. Le parole di mio fratello devono averla fatta vergognare. Mi passo la lingua tra le labbra. È vero, senza bere del sangue, le nostre energie vanno esaurendosi.
 
«Allora recuperiamole» Raito si pone di fronte alla mocciosa. Con due dita le solleva il viso per osservarla, il viso incorniciato da un sorriso languido e malizioso. «Mh… non sei provocante come la piccola Lilith, ma ce ne faremo una ragione… giusto, passerotto sperduto?»  si abbassa su dei lei tenendo il suo viso ben saldo tra le mani.  Osservo attentamente ogni suo movimento. La ragazzina non si muove, si limita a fissare impaurita i canini affilati di Raito. Per un attimo vedo la figura di Lilith al posto di lei, ma chiudo immediatamente gli occhi distogliendo lo sguardo.
 
«Mandatela nella mia stanza, quando avrete finito con lei» chiedo avviandomi su per le scale. Non sento risposta, ma solo un sonore gemito femminile.
 
«È arrivato l’atteso momento delle urla, da quanto non ne sentivo più» sento la voce di Ayato. Un mezzo sorriso divertito nesce spontaneo sulle mie labbra. Lilith non ci ha mai dato la soddisfazione di mostrarci il suo dolore. Un lieve urlo riempie la casa. Passo di fronte alla stanza della musica, la porta è aperta ed io ci lancio una rapida occhiata all’interno per poi continuare a camminare. Sorpasso anche la mia camera e raggiungo le scale che conducono al tetto. Mi fermo per un attimo sul primo gradino, ma decido subito di svuotare la testa dai pensieri e raggiungere l’esterno. L’aria fresca mi investe la pelle. È una notte scura. L’ultimo spicchio di luna non riesce a illuminare questo buio. Mi siedo sulla ringhiera con le gambe a penzoloni nel vuoto. Qui il profumo del sangue di quell’umana non si sente quasi più. Dover dar ragione a quei due mi da non poco fastidio, si sentono il dovere di scegliere per tutti noi solo perché sono i maggiori. Ma dopotutto non possiamo affrontare chiunque l’abbia presa se siamo deboli e vulnerabili per il poco nutrimento. Osservo di sotto trovando il giardino di rose. Resto immobile a contemplare i colori di quei petali, poi, appoggiandomi con le mani, mi slancio di sotto. Atterro agile e silenzioso davanti all’entrata del labirinto di rose e subito mi ci addentro, sicuro di essere solo, gli altri staranno accerchiando la ragazza. Seguo il percorso che ormai conosco a menadito per raggiungere il centro con la grande fontana. Mentre cammino facendomi ammaliare dal profumo delle rose inizio a chiedermi il motivo per cui sono venuto qui. Volevo svuotare la testa dai pensieri, invece ho raggiunto questo posto maledetto che mi annebbia la mente di ricordi. Inoltre… ispiro profondamente. Il profumo di rose rosse è talmente simile a quello del suo sangue. Passionale, lussurioso e inequivocabilmente tentatore. Il mio sguardo incontra un bocciolo di rosa, in ritardo rispetto alla fioritura. Mi accuccio a terra e lo prendo in una mano senza strapparlo, con il pollice ne accarezzo i petali esterni testandone la morbidezza e la superficie vellutata. Mi allontano dal cespuglio con uno scatto repentino, poi scuoto vigorosamente la testa e mi trasporto nella mia stanza. Sbuffo. In un attimo aggrotto le sopracciglia, sento l’odore del sangue di quella ragazzina. A passo deciso ma silenzioso, mi avvicino alla porta e la spalanco.
 
«Entra» ordino secco spostandomi di lato. Lei entra senza emettere un fiato con quel suo atteggiamento totalmente accondiscendente. La seguo con lo sguardo. Ha i vestiti sgualciti e in parte strappati. È uguale a tutte le altre prede mandate qui: accondiscendete, sottomessa, senza spina dorsale. Non le ho mai sopportare, per questo non mi importa di farle male o meno. Mi prendo ciò che voglio e basta. Si ferma e si volta nella mia direzione senza sollevare il viso. Digrigno i denti e mi slancio verso di lei afferrandole violentemente la mascella per voltarle il viso di lato. Concentro il mio sguardo sulla sua pelle pallida, sono ancora evidenti i morsi degli altri. Shu e Ayato se non erro. Affondo i canini con violenza e subito il sangue inizia a sgorgare a fiotti inondandomi la bocca. È eccessivamente ferroso, davvero pessimo. Si irrigidisce tra le mie mani. Sento di nuovo una rabbia atroce travolgermi come un fuoco distruttore. Inizio a stringere la presa sempre di più, con la precisa intenzione di farla soffrire. Sfogare su altri la mia frustrazione mi è sempre riuscito bene e l’ho sempre fatto, senza preoccuparmi delle conseguenze. L’ho fatto anche con Lilith. Bevo velocemente, implacabile. La faccio urlare, urlare sempre più forte finché la sua voce copre quelle che ora mi affollano la testa. Le faccio esaurire la voce. Non mollo la presa finché non sento che il suo corpo inizia ad abbandonarsi a me, privo di energie, e la sua pelle non inizia a raffreddarsi. Mentre le sue forze si disperdono, sento le mie aumentare gradualmente. Tolgo i canini dalla sua giovane carne e la lascio cadere a terra svenuta. Osservo il suo corpo abbandonato sul pavimento, il respiro è lieve e quasi impercettibile, ma è viva. Qualche goccia di sangue mi scivola giù dall’angolo della bocca fino al mento, la asciugo con il dorso della mano indifferente. Non mi prendo la briga di sollevarla e portarla in qualche stanza della casa, non mi interessa affatto. La lascio lì, sdraiata scompostamente, e mi accomodo sul divanetto sistemato sotto la finestra. Guardo fuori affidandomi alla serenità delle ultime ore notturne, già qualche luce inizia a spuntare. Resto immobile senza nemmeno imitare la respirazione, non mi accorgo nemmeno dei minuti che passano lenti. Finché non sento qualcosa che mi fa riprendere da quello stato di apatia e trance. Mi alzo in piedi guardandomi intorno spaesato. Inspiro profondamente. Sembra un miraggio, non voglio crederci. Probabilmente è solo il frutto della mia mente che mi condiziona a immaginarlo. Nonostante abbia appena quasi dissanguato un’umana, la mia gola si fa arida come un deserto. È flebile, ma lo sento… il suo profumo. Ogni tanto scompare, poi ritorna lieve e delicato come un alito di vento estivo. Abbasso lo sguardo sulla ragazza svenuta a terra. Il tanfo del suo pessimo sangue copre il profumo di rose rosse. Subito esco dalla stanza e chiudo la porta alle mie spalle. Inizio a muovermi frenetico per i corridoi, alla ricerca della fonte di quel profumo così familiare. Individuo quasi subito il luogo: la stanza della musica. Sorrido. Avrei dovuto arrivarci subito. Mi ci trasporto immediatamente. Non appena sono lì, i miei occhi si posano sulla figura formosa e aggraziata di Lilith. Seduta comodamente a gambe accavallate sullo sgabello di pelle del pianoforte che si guarda intorno con un sorriso. La stanza è impregnata del suo profumo e subito ne vengo investito. Riesce quasi a stordirmi. Ci sono anche gli altri qui, al mio fianco, che la guardano stralunati, nemmeno fosse un fantasma. È così bella… oh no! Tieni i tuoi pensieri a bada, Subaru! Scuoto leggermente la testa sbattendo le palpebre più e più volte. Indossa uno splendido abito nero che le risalta quel corpo favoloso. Sposta i suoi occhi d’argento liquido su di noi. Sento un brivido percorrermi tutto il corpo accompagnato da una scarica elettrica nuova. I suoi occhi sono diversi, sono ghiaccio e fiamme, sono passione e freddezza, il mix perfetto di un contrasto impossibile. Qualcosa in lei è cambiato ma non riesco a capire cosa. Il suo nome mi rimbalza in mente come una litania folle, deciso a farmi impazzire. Lei è tornata, ma non è la ragazza che ho conosciuta. L’aspetto è lo stesso, eppure sento qualcosa di nuovo e pericoloso che circonda la sua figura. Qualcosa che mi fa tornare alla mente la terza ipotesi sconosciuta del professore di rune antiche. Improvvisamente, mi rendo conto di aver fatto un terribile errore non chiedendo di che si trattasse.

Spazio Autrice:
Scusate per il capitolo corto, ma immedesimarmi nel personaggio di Subaru mi sembra un'impresa complica e inoltre la scuola è un dannato cancro!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Lilith’s P.O.V.
 
Li osservo uno ad uno. Nessuno di noi parla, siamo tutti troppo concentrati a studiarci a vicenda. Intorno a ognuno di loro noto una strana aura di potere che aleggia loro intorno e, inoltre, fanno un buon profumo. I loro odori sono simili tra loro, ma ci sono sottili differenze che li contraddistinguono. Inspiro un po’ quel profumo nuovo e invitante che mi giunge ai sensi ora più sviluppati.
 
«Dove sei stata?» la voce di Reiji spezza quell’incantesimo in cui mi sono persa. Lo guardo con attenzione invertendo le gambe accavallate, poi i miei occhi si spostano al mio fianco dove non trovo il pianoforte che è stato spostato più in là. Inclino la testa di lato contrariata. Mi alzo in piedi e aggiro velocemente il pianoforte per spingerlo nuovamente al suo solito posto. Sento i muscoli contrarsi e sulle braccia spuntano i fasci muscolari tesi per tenere saldamente lo strumento. A quanto pare, l’essere divenuta demone non mi ha regalato soltanto un paio d’ali, le zanne, degli occhi di fiamme e poteri oltre ogni immaginazione, ma anche una forza maggiore nella mia forma umana. Forse un filo troppa. Appena rilasso le braccia, ritornano snelle e sottili come sempre, i muscoli da patita di palestra scompaiono sotto la pelle più scurita rispetto a prima. Ritorno davanti al piano, di fronte a loro, sottoposta ai loro sguardi severi. Forse è meglio spiegare con calma cosa è successo, anziché ribaltare loro addosso tutta la verità come un secchio d’acqua gelata. Sto per rispondere, ma vengo anticipata.
 
«A dopo i convenevoli» ringhia Ayato prima di scattare verso di me con la sua velocità di vampiro. Ora lo vedo. Vedo perfettamente il suo spostamento. La sua mano si tende verso di me, ma io con uno scatto lesto la blocco afferrandogli il polso. Sorrido elettrizzata. Mai prima d’ora ero riuscita a vedere, ne tantomeno fermare, un loro movimento.
 
«Suvvia Ayato, è scortese da parte tua non chiedermi nemmeno che fine avessi fatto» lo prendo in giro osservando attentamente la sua reazione e quella degli altri. Mi fissano tutti sbalorditi. I loro occhi sono il riflesso dell’incredulità. Da quando ho sviluppato la mia forma completa di demone, tutti i miei sensi e le mie capacità si sono sviluppati, non è stato poi così difficile distinguere lo spostamento fulmineo di Ayato e bloccarlo con facilità.
 
«Che diamine ti è successo laggiù? Come hai fatto a bloccare il mio braccio?» chiede esterrefatto il rosso di fronte a me, prima  di strattonare via il polso dalla mia presa. Sollevo le spalle e gli sorrido sbarazzina. Mi siedo nuovamente sullo sgabello di pelle nera di fronte al pianoforte appoggiando una mano sui tasti senza premerli.
 
«Laggiù? Sapete dove sono stata?» chiedo fissando i miei occhi su Reiji che ricambia immobile come una statua di gesso. Anche gli altri mi osservano con ancora quella punta di stupore nello sguardo, sono tornati i diffidenti e gelidi vampiri che ho conosciuto al primo incontro. Come se tutti i progressi fatti nel tempo trascorso insieme fossero svaniti in un soffio di vento.
 
«Il sigillo lasciato inciso sul pavimento sotto i tuoi piedi è stato un indizio sufficiente, perché Lucifero ti ha presa all’Inferno?» mi da questo come semplice risposta Reiji. Gli altri non dicono una parola, perfino Reito e Ayato hanno perso i loro consueti ghigni. Kanato tiene il suo orsetto per una zampa a penzoloni. Shu è più sveglio del solito e mi fissa inespressivo. Infine, Subaru è lì che mi osserva con gli occhi ridotti a due luminose fessure rosse, ha una benda candida sul braccio. Lo osservo con attenzione. L’aura che lo circonda è agitata e si muove frenetica intorno a lui come ci fosse qualcosa che lo infastidisce o lo altera.
 
«Perché sono sua figlia» sputo fuori tutto d’un fiato. È inutile girarci molto intorno, creare soltanto fastidio in loro. Non vedo alcuna reazione nei sei vampiri, almeno apparentemente restano impassibili alla notizia.
 
«Che ne dici, Teddy? Secondo te, è impazzita?» bisbiglia Kanato stringendo il suo orsetto tra le braccia e avvicinando le labbra all’orecchio del peluche, ma senza mai staccare gli occhi da me. Concentro il mio sguardo su di lui.
 
«Secondo voi, come ho fatto a bloccare Ayato? Dopotutto finora non ero mai riuscita nemmeno a vedere i vostri spostamenti» chiedo sollevando un sopracciglio, continuo a guardare Kanato che mi ha appena dato della pazza.
 
«È evidente che ti sia successo qualcosa» avanza il rosso con decisioni, gli rivolgo uno sguardo veloce e sospiro preparandomi a raccontare. Dopotutto hanno il diritto di sapere.
 
«Quando le fiamme si abbassarono, mi ritrovai in un’enorme stanza sconosciuta e davanti ai miei occhi vi era lui, Lucifero… mi raccontò di essere mio padre e mi mostrò la sua natura demoniaca»
 
«Riassumi, la storia di tutto ciò che hai fatto all’inferno non mi interessa minimamente» mi blocca Reiji insensibile. Gli rivolgo una delle mie più gelide occhiate.
 
«Durante una cerimonia mi ha presentata ad angeli e demoni e anch’io ho fatto uscire la mia parte demoniaca… ah giusto, ho anche passato una splendida serata in compagnia di Mihael» dico agitando i capelli spumeggianti tranquillamente, consapevole che il fatto lo infastidisca e non poco. Vedo infatti un lampo attraversargli gli occhi e l’energia che lo circonda destabilizzarsi iniziando ad agitarsi in maniera scomposta. Ora le loro emozioni sono molto più visibili ai miei occhi, è davvero interessante questo mia nuova capacità. Vengo attirata da una scarica elettrica che mi attraversa tutta la spina dorsale facendomi tendere come una corda di violino. Rivolgo il mio sguardo a Subaru che mi sta fissando con occhi di brace. Se un’occhiata potesse uccidere, io in questo momento sarei sicuramente morta.
 
«Non ti avevamo detto che non potevi più vederlo? Ci costringi a un’azione estrema, giovane Lilith» Ayato fa qualche passo nella mia direzione riassumendo quella sua solita aria da sbruffone. Mi alzo in piedi nel sentire quelle parole.
 
«Mi dispiace, Ayato, ma ora non sarete più in grado nemmeno di sfiorarlo» sorrido con aria di sfida. Vedo Reiji aggrottare le sopracciglia.
 
«Cosa intendi?» chiede subito dopo. Lo squadro da capo a piedi.
 
«Davvero non ci arrivi? Credevo fosse abbastanza ovvio che, diventando la futura sovrana degli Inferi, io abbia acquisito dei poteri…» passo una mano sul tessuto del vestito aderente ai miei fianchi facendo finta di lisciare alcune pieghe. Li continuo a guardare tra le lunghe ciglia nere. «Inoltre, anche lui a quanto pare può tranquillamente difendersi essendo il futuro Sovrano dei Cieli» continuo tranquillamente sollevando di nuovo la testa per sfidare con lo sguardo il vampiro dai capelli rossi.
 
«E voi due ragazzini credete davvero di poter tenere testa a noi sei?» Raito fa appena in tempo a finire la frase che io in uno scatto veloce, comparabile con i loro, mi pongo a un soffio dal suo viso. Gli sorrido con quel mio fare malizioso.
 
«Mettimi alla prova» dico con studiata voce bassa e leggermente provocante. Sono avvolta dalla sua aura che va a stuzzicare il mio corpo sfiorandolo ardentemente. Vedo un lampo di eccitazione attraversargli gli occhi e lo sento sulla pelle. È sempre il solito. Faccio un passo indietro. «Allora, accettate la sfida? Voi sei contro di me»
 
«Cosa ci guadagneremo quando vinceremo?» avanza subito Ayato già elettrizzato dall’idea. La sua sicurezza è irritante.
 
«Cosa ti fa credere che vincerete?» chiedo legando i miei occhi gelidi ai suoi smeraldi.
 
«Il semplice fatto, dolcezza, che noi combattiamo da 300 anni e usiamo i nostri poteri da all’incirca lo stesso tempo, mentre tu hai i tuoi da non più di qualche ora» mi schernisce con un sorrisetto maligno. Fingo di restarne stupita, ma in realtà avevo già calcolato questo inconveniente a mio sfavore. Non credo di vincere, ma comunque saranno costretti a utilizzare tutto il loro potere per fronteggiare il mio, almeno avrò una visione chiara di quello che sono in grado di fare veramente.
 
«Ormai vi ho sfidato» faccio spallucce. «E io non mi tiro mai indietro di fronte a una sfida» concludo mentre un piccolo ghigno che non riesco a trattenere si forma sulle mie labbra. Raito fa un cenno con il capo per intimarci a raggiungere la palestra.
 
«Non credo sia una buona idea» mi intrometto io mentre loro si stanno già avviando. Mi ritrovo i loro sguardi addosso subito.
 
«Cosa intendi?» chiede Reiji sospettoso. Credo abbia intuito che non sono rimasta sorpresa dalla giusta visione dei fatti di Ayato, ma non ha detto niente al riguardo.
 
«Credete sia intelligente stare in un posto chiuso a scatenare i nostri poteri?» domando con ovvietà scocciata. La loro perspicacia certe volte mi sorprende... davvero! «E inoltre io mi devo cambiare» aggiungo revisionando con un’occhiata il mio vestiario.
 
«Fra venti minuti nel giardino d’ingresso» decreta Shu, quando si accorge che Reiji mi sta fissando senza dire una parola. Io gli annuisco ed esco dalla stanza della musica per raggiungere la mia. Ormai conosco questo corridoio a menadito. La mia stanza è rimasta uguale, intoccata, anche il letto non è stato rifatto. Noto sul letto il pugnale d’argento di Subaru. Non l’avevo lasciato sotto il cuscino? Faccio spallucce e decido di prepararmi. Mi cambio alla svelta mettendomi qualcosa di comodo e sportivo. Osservo le mie magliette, poi ne prendo una larga. Recupero il pugnale sul letto e con precisione squarcio la maglietta sul retro, così che abbia due aperture per le mie amate ali nere. Indosso anche quella e mi osservo allo specchio. Chiudo gli occhi. Scavo dentro di me per cercare quella fonte di potere che sento ardere nel mio corpo, una fiamma inestinguibile. Seguo quel flusso di energia mentalmente che si fa sempre più intenso. Poi la vedo, splendente e bellissima, una rosa di fiamme che arde nel buio. Tendo le mani verso di essa e la stringo al petto. Brucia, ma un calore piacevole che sembra regalarmi forza, energia e potere sempre maggiore. Quando riapro gli occhi, il mio sguardo si concentra su quei tizzoni ardenti che sostituiscono i pozzi di ghiaccio. Un sorriso affilato adorna il mio viso con qui canini che lo rendono meravigliosamente inquietante.
 
«La figlia del Diavolo è qua… porterò l’inferno sul palco e sarò l’orgoglio di mio padre»

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Subaru’s P.O.V.
 
La figlia di Lucifero… queste poche parole rimbalzano nella mia mente come impazzite. Le sento vorticare follemente stordendomi. Lui è venuto a prenderla per farla diventare la futura regina degli Inferi. Non è più Lilith, la giovane umana ribelle che è venuta qui da noi per farci da riserva di sangue, ora è una principessa. La Principessa del più tetro e oscuro regno esistente. Mi siedo sul bordo della fontana al centro del giardino, anche Raito, Kanato e Ayato sono già qui. Shu e Reiji ci raggiungono poco dopo. Di Lilith ancora niente. Ripenso a quando ha accennato alla serata passata con quel biondino. Mi sono sentito ribollire il sangue nelle vene. Se quel bastardo l’ha anche solo sfiorata, giuro che io… la vedo comparire sulla soglia d’entrata. Ha l’incredibile capacità di calamitare tutti gli sguardi su di lei, eppure non sembra metterla a disagio. La scannerizzo da testa a piedi analizzando le gambe lunghe e toniche, avvolte in stretti leggins blu notte, che mi muovono decise per avvicinare la sua figura a noi, i fianchi larghi, la vita sottile da vespa e il seno formoso le danno un’aria da donna assolutamente più grande di quel che in realtà è lei. Con lo sguardo raggiungo il suo viso: marmo di Carrara scolpito dalle mani del più abile degli artisti; gli occhi glaciali, cristallini e limpidi come il ghiaccio paralizzano chiunque all’istante come il più dolce dei veleni, messi ancora più in risalto dalla sua carnagione leggermente più scura del solito, come costantemente baciata dal sole. L’espressione fiera, orgogliosa, sicura di sé e quasi maligna è contornata da spumeggianti boccoli ebano. Mi concentro per un secondo di troppo sulle sue labbra rosse carnose leggermente socchiuse. Si ferma in mezzo a noi.
 
«Vogliamo iniziare?» chiede serena perforandoci la carne con il suo sguardo tagliente. Mi alzo di nuovo in piedi. Non vorrei combattere contro di lei, ma sembra convinta della sua decisione e sono più che consapevole che non riusciremo a farle cambiare idea. Quella ragazza è troppo cocciuta.
 
«Saremo gentiluomini, ti lasciamo la prima mossa» Reiji incrocia le braccia severo. Non distolgo lo sguardo da lui, vedo i movimenti dei miei fratelli solo con la coda dell’occhio. «Mostraci di cosa sei capace, ragazzina»
 
«Smetterai di blaterare, Reiji, ti mostrerò il colore della paura» controbatte scuotendo la lunga chioma di capelli. La vedo divaricare la gambe e chiudere gli occhi, un ghigno maligno le storpia lo splendido viso. Aggrotto la fronte non appena vedo un vortice d’aria calda avvolgerla. La circonda proteggendola come uno scudo invalicabile. Tutti noi possiamo percepire perfettamente il potere che la circonda, la forza che aumenta nel suo giovane corpo. Non mentiva affermando di essere divenuta più forte. Anche il suo profumo aumenta a dismisura, dilagando intorno a lei come una tela di ragno. Mi cattura, mi attira inesorabilmente. Mi cresce immediatamente l’acquolina in bocca e la gola si secca. Devo concentrarmi, non ho tempo di pensare al suo dolce sangue. Il confronto a questa fragranza afrodisiaca, il sangue della mocciosetta svenuta in camera mia è assolutamente spazzatura. Dai suoi capelli spuntano delle protuberanze nere a spirale. Appuntite corna le spuntano dal capo, non riesco a capire di che materiale siano fatte, forse pietra lavica. Anche a questa distanza sento la temperatura del suo corpo aumentare drasticamente. All’improvviso riapre gli occhi e all’interno di essi vi trovo fuoco e fiamme. Non più il gelido argento che le appartiene. Solo Inferno. Il vento caldo si dirige verso l’alto in un impeto sollevandole i capelli verso il cielo. Quando tutto si placa abbiamo di fronte a noi una creatura nuova, dai grandi poteri. Rendendomi conto in quell’attimo che non sarà facile per noi batterla, mi preparo a combattere. Lei non aspetta un secondo e scatta verso Reiji con una velocità e una precisione sorprendenti. Non pensavo sarebbe partita subito con un attacco diretto. Scaglia un pugno al viso del secondogenito, il quale riesce a schivarlo per un soffio, tentando un gancio destro. Lei schiva prontamente. Ayato la attacca alle spalle. Le arriva vicino, molto vicino, all’ultimo secondo lei gira su se stessa colpendolo in pieno volto con un calcio circolare. Ayato viene scagliato di almeno cinque metri indietro. Raito e Shu le si gettano addosso, ma lei riesce a tenere a bada tutti con mosse precise e scattanti, mi ricorda tanto una serpe velenosa da come si muove sinuosa.
 
«Siete in sei contro una, cosa succede? Devo forse pensare che voi vampiri siate così infinitamente più deboli rispetto alla sottoscritta?» il tono con cui lo dice e la sfacciataggine che dimostra verso di noi sono una tentazione irresistibile per dimostrarle il contrario. Sento la forza del mio potere scorrere nel mio corpo riempiendomi di adrenalina. Mi avvicino a lei serenamente lasciando che il mio potere di vampiro mi riempia senza ostacoli. È così elettrizzante. Lilith posa il suo sguardo su di me, soppesando ogni mio movimento. Quando sono a pochi metri da le, spicco un salto deciso ad attaccarla dall’alto. Lei mi segue con lo sguardo, poi si slancia verso l’alto imitandomi. Ci scontriamo a mezzaria. Nessuno dei nostri attacchi va a segno in modo soddisfacente, ci provochiamo solo qualche piccolo taglio indolore. Prima di toccare terra, mi giro per non darle le spalle. La vedo atterrare silenziosa e aggraziata sulla statua di pietra al culmine della fontana. C’è una particolare tensione nell’aria, nessuno perde di vista il proprio avversario nemmeno per un secondo, ognuno di noi è teso, pronto, preparato a scattare. Ormai non è più solo Lilith che vedo, grazie alla visione che il mio potere mi regala riesco a percepire tutto di lei, compresi la forza vitale e il potere che le aleggia intorno. Sento anche la forza dei miei fratelli accrescersi e rivelarsi, ciò significa che hanno deciso di fare sul serio.
 
«Finalmente…» la sento sussurrare, nonostante la distanza che ci divide. Tendo i muscoli. La vedo raggomitolarsi su sé stessa, ma restando comunque in equilibrio sulla fontana. Dopo qualche secondo, all’improvviso, lei si rialza in piedi inarcando la schiena violentemente. Un’esplosione di penne nere e un paio d’ali oscure sono attaccate alla sua schiena. La sua schiena si china di nuovo. La osservo sbalordito. Ali… lei ha le ali. In un flash mi ritorna alla mente l’episodio durante il quale mi ha detto di desiderarle, che era il suo sogno. Ora il suo sogno è realtà. Una risata interrompe il flusso dei miei pensieri, una risatina lieve e subdola. Quasi maligna. Sollevo di nuovo gli occhi su di lei. Lilith sta ridendo, nonostante sia girata di spalle rispetto a noi, lo capisco dai lievi spasmi che travolgono il suo giovane corpo. Sento il suo potere aumentare ancora, a dismisura, in maniera esponenziale. Quelle ali sono una fonte ulteriore di forza per lei. Non credevo che potesse raggiungere questi livelli. Si alza alta in volo con un singolo battito d’ali verso l’alba ormai prossima. Ci osserva con sguardo infuocato, così diverso da quello che conosco, non solo nel colore, ma anche nell’espressione. Non avevo mai visto uno sguardo così. Si dirige verso di noi e in un battito di ciglia una scarica di energia ci colpisce violentemente. Vengo attraversato da un dolore perforante che mi appanna a vista per qualche attimo. Rintraccio immediatamente la sua figura cercando di ignorare le scariche elettriche che mi percorrono. Gli altri miei cinque fratelli la attaccano contemporaneamente, mi proietto anch’io verso di lei. Con velocità ci evita tutti, è incredibile la precisione e la scaltrezza con cui si muove. Le provochiamo solo lievi ferite. Ha tracce di sangue sparse un po’ ovunque sul corpo, ma noto immediatamente che le sue ferite sono già rimarginate. Ci allontaniamo a lei. La vedo scuotere le ali per togliere il sangue da esse, nostro o suo che sia. I suoi occhi rossi si concentrano su di me per una frazione di secondo, poi, prima che chiunque possa fare qualcosa, compie un mezzo giro in volo colpendo ognuno dei miei fratelli. Si accasciano a terra con ferite più o meno gravi, ma comunque travolti dal dolore. Arriva dietro di me. La percepisco.
 
«Il tuo profumo…» la sento sussurrare. Il suo fiato bollente sul mio collo. Mi volto di scatto per colpirla con una gomitata al viso, ma lei mi blocca afferrandomi saldamente il braccio e appoggiando una mano sul mio viso. L’odore del sangue sulle sue braccia mia travolge, così dolce e afrodisiaco. Ne prendo profondi respiri. «Sai, non aveva mai percepito quanto fosse invitante il tuo sangue, prima di divenire una demone» parla a voce bassa con le labbra a pochi millimetri dal mio collo. Con un paio di abili mosse riesco a liberarmi. Mi volto verso di lei.
 
«Tu senti l’odore del mio sangue?» chiedo dubbioso. Non può, non è un vampiro. Lilith inclina la testa di lato e mi mostra un ghigno affilato, dal quale un paio di acuminati canini spuntano sulle sue labbra. Mi avvicina a me velocemente. Paro i suoi attacchi con non poca fatica.
 
«Sento il tuo profumo, sì… e devo ammettere che mi attira incredibilmente» si passa la lingua tra le labbra. Vedo Ayato aggirarla per attaccarla alle spalle.
 
«Ayato, aspetta» urlo senza distogliere lo sguardo da lei. Non devo perderla di vista, sarebbe un errore madornale.
 
«Pensi di poterla fronteggiare da solo? Quella donna non è più umana, razza di imbecille!» inveisce Ayato scagliandosi contro di lei. Lilith si volta di scatto sollevandosi in volo per evitarlo. Gli atterra alle spalle dopo aver fatto una capriola in volo e lo afferra per la gola.
 
«Non metterti sulla mia strada, ragazzino» sibila inviperita. Vedo la pelle sul collo di Ayato iniziare a fumare e sfrigolare. Il vampiro dagli occhi verdi grida di dolore dimenandosi scompostamente. La vedo stringere gradualmente la presa. Shu e Kanato mettono in atto un attacco incrociato costringendola a lasciare la presa per allontanarsi. Mi trasporto immediatamente su di lei riuscendo a colpirla in viso. Lei accusa il colpo e ringhia di dolore, ma riesce ad afferrare il mio braccio per trascinarmi con lei. Il mio polso, sotto la sua presa, brucia come l’inferno. La sua pelle sembra fatta di carboni ardenti. Stringo i denti per resistere e mi libero torcendole il braccio. Anche i miei fratelli si accaniscono nuovamente su di lei. In sei contro una, eppure riesce a fronteggiarci abbastanza a lungo. In pochi attimi siamo ricoperti di ferite, le nostre forze vanno scemando. Kanato non riesce nemmeno più a reggersi in piedi, Raito è allo stremo con un buco nello stomaco sanguinante.
 
«Ora basta Lilith!» Reiji tenta per l’ennesima volta di farla calmare, ma non ascolta. È nel suo mondo e questa volta non sembra intenzionata a fermarsi. La vedo togliersi di dosso con un ringhio feroce Ayato e Shu, poi con un battito d’ali si dirige nella mia direzione. Gli occhi iniettati di sangue sono puntati su di me con ferocia. Abbassa la testa per trafiggermi con le corna appuntite, io balzo verso l’alto, ma vengo subito bloccato da una sua mano che stringe la mia caviglia. Mi scaglia contro il suolo e, nel tentativo di attenuare il colpo, mi spezzo il braccio destro. Nuovo dolore, indicibile e intenso, abbastanza da distrarmi per quella manciata di secondi che consente alla ragazza di arrivarmi sopra.
 
«Addio, Subaru» sussurra prima di abbassare il viso con un sorriso verso il mio collo. I canini che luccicano alla luce del sole del mattino. Sto per colpirla con la mano sinistra, ma lei si blocca prima di sfiorarmi. Lo sguardo perso nel vuoto. I suoi occhi tornano di nuovo argento liquido e lei si accascia su di me. La osservo stupito, poi mi accorgo che, dietro di lei, Reiji ha la mano conficcata nella sua schiena. Fino al polso. All’altezza del suo cuore.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Lilith's P.O.V.

Continuo a fissare il soffitto cercando disperatamente di mettere in ordine questi pezzi di memorie che mi si agitano in testa: mi sono svegliata da poco nel mio vecchio letto, e della battaglia del giorno prima, ricordo solo fino all’estrazione delle ali. Dopo è tutto una massa informe di filamenti di memoria. Ricordo un soave profumo, dolore atroce, il viso di Subaru, una sensazione di morte paralizzante. Appoggio gli avambracci sul materasso e cerco di tirarmi su con il busto. Vedo nero. Una scarica di dolore mi percorre tutto il corpo paralizzandomi. Apro la bocca per urlare, ma dalle mie labbra esce solo un gemito strozzato. Le mie braccia cedono e la mia schiena sbatte sul letto. E questa volta un grido pieno di dolore si libera dalla mia gola. Ansimo violentemente a occhi sbarrati. Mi tolgo le coperte di dosso e osservo il mio corpo. Il mio seno è fasciato stretto da bende candide e pulite. L’idea che mi abbiano visto nuda mi infastidisce, ma il pudore è offuscato e sopraffatto dal dolore proveniente dalla schiena. Mi alzo con estrema lentezza e cautela. Nonostante faccia male, mi obbligo a camminare fino allo specchio attaccato all’anta dell’armadio. Mi volto di spalle e giro la testa per osservarmi. Anche questo semplice movimento mi provoca acute fitte che cerco di ignorare. Le bende sulla mia schiena sono macchiate di rosso scarlatto. Stringo i denti e inizio a togliere le fasce delicatamente, una dopo l’altra, fino a restare completamente nuda dalla vita in su. Socchiudo le labbra per lo stupore. Sulla schiena è rimasta un grossa cicatrice nella parte sinistra, sul cuore. All’improvviso, mi ritorna alla mente tutto lo scontro, le ferite inferte ai vampiri, una mano che sfonda la mia gabbia toracica fino a sfiorare il cuore pulsante, la sensazione del volo, il desiderio maniacale, quasi doloroso, per il sangue di Subaru. Mi si secca la gola. Porto una mano sul collo massaggiandolo leggermente. Lucifero mi deve parecchie spiegazioni. E farò in modo di riceverle non appena tornerò all’Inferno. Mi bendo di nuovo le ferite malamente. Avverto una presenza improvvisamente. Mi volto di scatto e Reiji appare davanti a me un attimo dopo. Ha tra le mani un altro fascio di bende, d’istinto mi copro il seno con quelle che io stringo tra le mani. Lo guardo storto. Se fossi stata ancora umana non l’avrei nemmeno sentito arrivare in tempo per coprirmi.
 
«Devi mettere queste pulite» dice serio avvicinandosi a me. Stringo le braccia intorno al mio corpo nudo. Noto solo dopo qualche attimo che non porta la giacca, sulle braccia ha anche lui delle bende bianche.
 
«Faccio da sola, grazie» rispondo osservando con la fronte aggrottata le fasciature. A quanto pare anche lui non è messo molto meglio di me.
 
«No, non riesci a bendarti adeguatamente quella ferita da sola» insiste il vampiro senza spostare lo sguardo dai miei occhi. Non sembra che la mia nudità lo turbi o attiri. Ci penso un attimo, poi avanzo verso di lui e gli sfilo dalle mani le bende. Lui mi segue con lo sguardo. Sto voltata verso il muro e mi tolgo le bende sporche di sangue coprendo il seno con quelle nuove.
 
«Ok» dico semplicemente. Sento i suoi passi avvicinarsi a me. L’idea di avere un contatto così intimo con lui non mi mette proprio a mio agio, eppure sono consapevole che abbia ragione. Sento che prende le bende restando dietro di me. Inizia a fasciarmi la ferita, io sto attenta a non lasciare andare le bende. «Come mai le tue ferite non sono ancora guarite?» chiedo a bruciapelo. Mi volto verso di lui per osservare la sua espressione che non cambia di una virgola.
 
«Solo quelle che mi hai inflitto grazie alle tue corna non sono guarite, a quanto pare esse rallentano il nostro processo di guarigione» risponde tranquillo. Stringe lievemente di più le bende facendomi stringere i denti per il dolore. Probabilmente per ripicca.
 
«Capisco» sussurro chiudendo gli occhi. Non sento più le mani di Reiji sulla mia schiena così mi volto. «Cosa è successo esattamente?» chiedo abbassando per un attimo lo sguardo. Mi sento in colpa. Il controllo sui miei poteri mi è sfuggito di mano e ho lasciato che il demone e l’istinto di sopravvivenza mi sopraffacessero dominandomi liberamente. Per di più non ricordo nemmeno cosa ho fatto esattamente.
 
«Hai più forza di quanto pensassi nel tuo corpo, non ti avevamo preso sul serio, solo alla fine ci siamo resi contro di ciò che tu sei diventata veramente» risponde scannerizzandomi dalla testa ai piedi. Incrocia le braccia e mi accorgo che accarezza leggermente le bende con la punta delle dita.
 
«Chi mi ha procurato questa ferita?» chiedo quando un’altra fitta mi fa irrigidire visibilmente. Reiji mi fissa negli occhi senza cambiare espressione.
 
«Sono stato io» non si sente in colpa o altro, lo vedo. Probabilmente l’ha fatto solo per difendersi. Non me la prendo per la sua freddezza ormai ci ho fatto l’abitudine.
 
«Vorresti dirmi il motivo? Per curiosità» continuo a osservarlo negli occhi inespressivi. Questa volta sono io dalla parte del torto, li ho feriti e probabilmente anche in modo grave e loro si stanno comunque occupando di me, anziché buttarmi fuori di casa. Questa cosa mi destabilizza, e non poco.
 
«Per evitare che tu mordessi Subaru» risponde semplicemente, per poi voltarsi e iniziare a camminare raggiungendo la porta. «E ora sdraiati, non fare movimenti bruschi o quella ferita si riaprirà per l’ennesima volta» ordina con voce grave. Io annuisco semplicemente. Lo vedo aprire la porta.
 
«Reiji» lo chiamo prima che esca. Il vampiro si volta mostrandomi il profilo del suo viso. «Come stanno gli altri?» domando sedendomi sul letto attentamente. Schiude le labbra come per voler dire qualcosa, ma poi le unisce nuovamente.
 
«Se ti interessa davvero, vai direttamente da loro a chiedere» risponde uscendo e chiudendosi la porta alle spalle. Prima mi dice di restare a letto, poi mi consiglia di andare da loro? La coerenza è un optional. Sospiro. Decido che forse è meglio andare a controllare, inoltre… voglio verificare di persona che lui stia bene, che non gli abbia fatto del male, che non abbia perso a tal punto il controllo da ferirlo gravemente. Infilo la prima maglietta che mi capita sotto mano dall’armadio e lancio un’ultima occhiata al resto del vestiario, i pantaloncini di tuta morbida mi coprono fino alle ginocchia. Esco dalla stanza a piedi scalzi, tengo la schiena lievemente piegata in avanti per il dolore che continua ad assillarmi. Raggiungo per prima la stanza di Ayato, quella più vicina alla mia. Busso ed entro soltanto quando lui mi da il permesso. Dopotutto i maleducati sono loro, non io.
 
«Ma guarda chi si vede» mi sorride maligno restando seduto scompostamente su una delle poltrone della sua stanza. «La giovane combattente che ha messo su una bella tecnica senza nemmeno un buon allenamento alle spalle» dal modo in cui lo dice sembra più un’accusa che altro. Roteo gli occhi.
 
«Sei davvero un ragazzino» sospiro camminando nella sua direzione. Lui solleva un sopracciglio e mi mostra tre dita della mano destra per ricordarmi i suoi trecento anni di vita. «Gli anni di vita non corrispondono necessariamente agli anni che il tuo cervello dimostra di avere» gli faccio l’occhiolino prendendolo in giro.
 
«Sempre velenosa…» constata lui con una smorfia. Mi avvicino e mi fermo in piedi di fronte a lui, scannerizzo con lo sguardo tutto il suo corpo individuando alcune bende sulle braccia e un profondo taglio orizzontale sul petto. Allungai una mano per scostare la camicia e osservare quella ferita. Sfioro con un dito la ferita e lui sussulta sotto il mio tocco chiudendo gli occhi in una smorfia.
 
«Scusa» dico lanciando un’occhiata veloce al suo viso. Lascio andare i lembi della sua camicia e mi allontano. Sto per fare un passo indietro, quando lui mi afferra un polso tirandomi in avanti verso di lui. Un urletto di dolore esce incontrollato dalle mie labbra, stringo occhi e denti. Il movimento improvviso ha strattonato la ferita sulla schiena. Ayato strofina il viso contro l’incavo del mio collo.
 
«Sai, tesoro, ci hai fatto perdere molto sangue durante il combattimento, quindi mi sento piuttosto assetato in questo momento… non ti conviene starci troppo vicino» prende tra le labbra un lembo di pelle e succhia leggermente. Mi scosto da lui con uno strattone provocandomi un’altra fitta che mi fa barcollare.
 
«Sta lì buono, torno subito» esco dalla sua stanza per raggiungere nuovamente la mia e recuperare dai cassetti del bagno una pomata per le ferite da taglio davvero miracolosa. Ritorno dal rosso.
 
«Già di ritorno? Pensavo fossi scappata via» dondola avanti e indietro la gamba a penzoloni dalla poltrona. Roteo gli occhi. La sua sfacciataggine è senza fine, ma in questo ci assomigliamo. Sorrido e prendo un po’ di crema sulle dita.
 
«Sta zitto, rosso, e vedi di non fare troppe storie» mi siedo sul bracciolo della sua poltrona e sposto di lato la camicia per mettere in mostra il suo petto. Lui mi guarda con un ghigno tra il malefico e il malizioso. Ignoro i suoi occhi puntati su di me appoggiando la crema fresca sulla ferita arrossata. Sento il suo corpo irrigidirsi al mio tocco. «Ma come? Un vampiro di trecento anni come te che soffre per una feritina come questa?» lo schernisco ridacchiando. Spalmo attentamente il medicinale sul taglio stando attenta a non fargli davvero male. Apre la bocca per rispondere.
 
«Guarda che così ci farai ingelosire, anche noi vogliamo le tue attenzioni, sgualdrinella» non mi volto nemmeno a sentire la sua voce. So perfettamente dell’arrivo di Raito e Kanato, forse attirati dal profumo della mia ferita ancora parzialmente aperta. Finisco di medicare il taglio di Ayato e mi volto verso di loro.
 
«Non mi chiamare “sgualdrina”, Raito, quante volte te lo devo ripetere?» lo guardo male. Li squadro entrambi da capo a piedi, non sembrano riportare gravi ferite. «Avanti, fatemi vedere le vostre ferite, vedrò se posso fare qualcosa anche per voi»
 
«Ti preoccupi per noi? O ti preoccupi per noi per paura di ricevere una punizione per quello che hai fatto?» chiede Kanato cupo con il suo immancabile orsetto tra le braccia. Gli mostro un lieve sorriso.
 
«No, Kanato, mi sembra giusto che io ripari dove ho fatto un danno» rispondo tranquilla. Mezza verità. «Inoltre, non ho affatto paura delle vostre punizioni, dovreste saperlo ormai» continuo sollevando un sopracciglio. Verità assoluta.
 
«Coraggiosa la nostra bambina» sussurra malizioso Raito con gli occhi socchiusi. Due fessure verde smeraldo. Mi avvicino a lui.
 
«Non fare il bambino e lascia che ti aiuti con le ferite» sbuffo stufa dei suoi giochetti infantili. Finalmente lasciarono entrambi che io curassi le loro ferite senza fare troppe storie. Passiamo una decina di minuti tra cure e provocazioni. Non appena finito, mi avviso per uscire.
 
«Ehy, Lilith, mi spieghi perché tiri sempre frecciatine?» mi chiede Kanato con una voce lagnosa da bambino. Prendo la maniglia e la abbasso, per poi voltarmi verso di lui a osservarlo con la coda dell’occhio.
 
«Perché se tiro i coltelli mi mandano in carcere» rispondo sorridendo divertita. Esco dalla stanza di Ayato a passo svelto. Finalmente è il suo turno. Quando mi ritrovo a pochi metri dalla porta della sua stanza, vedo che si apre. Trattengo il fiato. Ma non è la sua figura a spuntare, dalla sua camera esce una ragazzina magrolina e dai capelli biondi. Traballa e la sua pelle è spaventosamente pallida. Mi blocco di punto in bianco e la fisso senza espressione, solo con gli occhi sbarrati. Ha i vestiti sporchi di sangue scarlatto. Lei mi guarda per un attimo stupita, poi mi fa un lieve inchino e cammina velocemente lontano da me. La seguo con lo sguardo. Chi è? Quando è arrivata? È sicuramente un’umana, non c’è alcun dubbio, ma perché è qui? E soprattutto, cosa ci faceva lei nella sua stanza?

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Subaru’s P.O.V.
 
La ragazza esce dalla mia stanza e lascia la porta socchiusa. Sento già il profumo di Lilith, è poco lontana dall’entrata della mia camera. Da quando è tornata dall’Inferno, i suoi passi si sono fatti lievi e silenziosi, non riesco a capire esattamente se si sta avvicinano o meno. Rivolgo il mio sguardo alla sottile linea di luce che passa dallo spiraglio lasciato. Pochi attimi dopo, sento bussare. È lei.
 
«Entra, Lilith» dico osservando la porta spalancarsi e la luce inondare la stanza. Fa qualche passo avanti e si chiude la porta alle spalle. La stanza piomba nell’oscurità. Nonostante il buio, grazie alla mia natura di vampiro, riesco a vederla avanzare nella mia direzione nel più completo silenzio.
 
«Le tue ferite» dice semplicemente a un certo punto. Mi fissa inespressiva. Attendo che continui mantenendo lo sguardo fisso nel suo. Solleva un sopracciglio. «Non resterò qua ad aspettarti tutta la notte, se vuoi essere curato bene, altrimenti posso tranquillamente tornarmene in stanza» sento il suo tono gelido e tagliente perforarmi con violenza. Non è lei quella a dover essere scazzata. Lei ha perso il controllo, lei ci ha quasi ucciso, lei ha cercato di bere il mio sangue. «Bene» esclama dopo qualche minuto di silenzio da parte di entrambi. Si volta decisa e cammina svelta e silenziosa per raggiungere la porta. Sta per afferrare la maniglia quando io mi sposto fulmineo davanti all’uscita bloccandole la strada. Il suo profumo di rose rosse mi investe violentemente ed io cerco di mantenermi lucido nonostante la sua vicinanza. Incrocia i miei occhi con i suoi.
 
«Ti sei svegliata con la luna storta?» chiedo avanzando verso di lei. Lilith fa un passo indietro, probabilmente per mantenere la distanza tra noi due. La sua mascella si serra con un guizzo, mi squadra da capo a piedi.
 
«Togliti d mezzo» sibila irritata. Aggrotto le sopracciglia e cerco di leggere nei suoi occhi il motivo della sua rabbia. Cerca di aggirarmi, ma mi sposto di nuovo di fronte a lei. Ritenta e ancora le impedisco di passare. Sogghigno divertito. «Smettila di giocare, hai già perso la tua occasione per essere curato dalla sottoscritta» appoggia la sua mano sulla mia spalla e stringe spingendomi di lato. Non mi muovo nemmeno di un millimetro.
 
«Cosa ti è preso?» chiedo fissandola dall’alto. Mi fulmina con un’occhiata tra le ciglia lunghe e nere. Nell’oscurità dalla stanza i suoi occhi hanno assunto un colore grigio tempesta che rispecchia meravigliosamente il suo stato d’animo attuale.
 
«Non credevo di essere così facilmente sostituibile» il tono con cui pronuncia queste parole è pieno di risentimento e velenose allusioni. Sbatto un paio di volte le palpebre non capendo a cosa si riferisce. Sostituibile? «Cosa c’è? Oseresti negare di aver bevuto il sangue di quella ragazzina appena uscita dalla tua stanza? Probabilmente non ti sei nemmeno limitato a quello» mi sputa addosso queste accuse con disprezzo. Schiudo le labbra per controbattere, ma poi mi limito a sogghignare vedendo nei suoi occhi una cosa che conosco bene.
 
«Tu sei gelosa di me» sussurro iniziando ad avanzare verso di lei. La vedo spalancare gli occhi stupita, ma ci vuole solo un attimo perché riassuma la sua aria strafottente e irritante. Si allontana da me con uno scatto indietro.
 
«Ti piacerebbe, vampiro!» mette in mostra una smorfia non curante. Muovendomi con la mia velocità da vampiro, riesco a spingerla indietro finché non va a sbattere contro il muro con le mie mani appoggiate ai lati nella sua testa per intrappolarla. Vedo che spalanca gli occhi ed espira violentemente. Un gemito di dolore esce dalle sue belle labbra morbide e lei chiude gli occhi. Mi ero completamente scordato della ferita che le è stata inferta da Reiji. Attacco il mio corpo al suo con attenzione, senza pressare la sua schiena contro il muro evitando così di procurarle altro dolore.
 
«Non mi chiamare così, ora tu non sei meglio di me» avvicino il mio viso al suo, i nasi si sfiorano e le labbra sono a un respiro di distanza. Quando Lilith riapre gli occhi sono di uno splendido rosso fiamma. Mi immobilizzano subito. Stringe le sue dita sottili intorno ai miei polsi e li allontana violentemente per riuscire a scostarsi da quella posizione così scomoda per lei.
 
«Io non sono come voi, non sono schiava della mia stessa brama di sangue» ringhia inviperita in posizione di allerta. Dalle sue labbra spuntano le punte dei canini affilati. Vuoi combattere, piccola Lilith? Mi avvicino di nuovo a lei, ma la ragazza si sposta fulminea. Ci teniamo sotto controllo senza distogliere lo sguardo l’uno dall’altra. Le gambe pronte a scattare, le mani e le braccia in tensione per difesa. Si sposta abilmente al di là del letto frapponendolo tra noi due.
 
«Non sono stato certo io a tentare di azzannarti durante la battaglia» supero il letto con un salto, ma lei ruota su se stessa in una piroetta e mi allontana con un calcio all’altezza dello stomaco. Vengo scaraventato indietro.
 
«Tu tenti di azzannarmi ogni volta che ne hai la possibilità» controbatte inacidita ristabilizzandosi sulle due gambe. Mi rialzo dal pavimento. I suoi occhi iniettati di sangue brillano come tizzoni sul buio. Si scaglia verso di me e iniziamo a duellare distruggendo parte della camera. Le mie ferite si riaprono e, dal dolce profumo che dilaga nella mia stanza, direi che anche il suo sangue ha ripreso a scorrere. In un attimo di distrazione riesco a sollevarla per i fianchi e spingerla sul letto immobilizzandola sotto il mio corpo.
 
«Sei sexy quando ti arrabbi» sussurro al suo orecchio per provocarla. Sento che cerca di liberarsi dalla mia presa, ma io aumento la stretta liberando un po’ del mio potere. Vedo che stringe i denti in netto svantaggio, potrebbe anche lei aumentare la sua forza, ma non lo fa. Scalcia furiosamente sotto di me ed io, per evitare che si liberi con uno dei suoi calci, le stringo le cosce tra le ginocchia. «È inutile che ti agiti, se non liberi la tua parte demoniaca non riuscirai mai a sfuggimi» sposto i suoi polsi sopra la testa e li incrocio con la forza bloccandoli con la sinistra. Le accarezzo una guancia e lei volta il viso dalla parte opposta digrignando i denti.
 
«Non osare toccarmi» ringhia infuriata fulminandomi con lo sguardo. La sua pelle è calda, ma non c’è confronto rispetto a quando combatteva sul serio. Questa è la Lilith che ho conosciuto: scontrosa, orgogliosa, che non vuole farsi sfiorare da nessuno. «Rivolgiti a quella mocciosa per avere del sangue con cui dissetarti» sorrido nel sentire questa frase. Mi abbasso su di lei, fino a far unire i nostri respiri.
 
«E tu mi vorresti venire a far credere che non sei gelosa?» sussurro fissandola negli occhi rossi. Restiamo in silenzio per un tempo che mi sembra interminabile, a un certo punto lei chiude gli occhi e quando li riapre sono tornati di ghiaccio. Sembrano brillare nel buio, un azzurro così assurdo dovrebbe essere illegale.
 
«Non ti basta il mio sangue?» anche i canini sono tornati alla misura normale. Analizzo il suo viso con attenzione. Non sta cercando di provocarmi o farsi liberare, vuole solo sapere, glielo leggo nello sguardo. Allento la presa, ma non la lascio andare. Affondo il viso nel suo collo e inspiro il suo profumo.
 
«Se non te ne fossi andata, non avremmo avuto bisogno di prendere un’altra preda» dico a occhi chiusi. Le bacio una spalla, bramoso di affondare i denti in quella carne tenera e giovane. Mi trattengo ancora e sollevo il viso.
 
«Non è stata una mia scelta» inclina la testa di lato. Vorrei poter credere che l’abbia fatto per invitarmi a mordere, ma sono certo che non sia così. Lascio liberi i suoi polsi e appoggio la mano vicino alla sua spalla sostenendo il mio peso, con l’altra le percorro un fianco per riprendere confidenza con quel corpo. «L’hai morsa come hai fatto con me?» distoglie lo sguardo dal mio. Oh Lilith, se solo avessi sentito quanto l’ho fatta gridare di dolore… come puoi anche solo pensare che le abbia dedicato quella dolcezza che ho rivolto solo a te? Cerco di tenere a freno i miei pensieri. Resto in silenzio a osservarla negli occhi. «Ho capito» dice alla fine cercando di sottrarsi alla mia vicinanza. La trattengo stesa sul letto.
 
«No, non l’ho morsa come ho fatto con te» dico tutto d’un fiato prima di scendere su di lei velocemente e morderla appena sotto la mascella. Ci metto più furia di quanto avrei voluto, infatti la sento irrigidirsi tra le mie braccia. Una delle sue mani si sposta per afferrare il mio polso sinistro senza stringere. Non emette nemmeno un fiato. Si limita a restare immobile, senza le sue solite ribellioni, senza frecciatine di qualche genere. Allento gradualmente la stretta del morso bevendo lentamente, assaporando ogni singola goccia dolce. È così caldo. Mi scivola in gola senza difficoltà e mi scalda dall’interno. Una piacevole sensazione si dirada nel mio corpo. Il morso di un vampiro può essere estremamente doloroso oppure può donare un piacere inappagabile, paragonabile a quello sessuale. Mi sforzo di abbandonare la presa sulla sua carne, per fare ciò devo fare appello a tutto il mio autocontrollo. La guardo negli occhi e le ricambia inespressiva.
 
«Che ti succede? Continua» questo è ciò che la sua voce dice, ma nei suoi occhi non c’è traccia di quella passione che ho conosciuto. Il mio istinto mi spinge a morderla di nuovo per placare questa sete. Stringo i denti e mi sposto da quella posizione per farla alzare. Mi siedo sul letto al suo fianco.
 
«Cosa vorresti dirmi con questo tuo comportamento?» chiedo irritato. Odio quando fa l’apatica con me, quando si ostina a far finta che io non le faccia alcun effetto. Lo detesto con tutte le mie forze. Si solleva anche lei mettendosi seduta per bene. Solleva un piede e lo appoggia al bordo del letto. Il suo viso è puntato verso il pavimento.
 
«Tu che cosa vuoi da me? Il mio sangue, il mio corpo oppure cosa?» domanda direzionando il suo sguardo verso di me, ma senza voltarsi. Vedo i suoi occhi chiari tra sottili ciocche di capelli ebano. Cosa diavolo…? Il mio pugno si serra intorno alle lenzuola scure del mio letto. Sento che una parte di me vorrebbe provarle che non voglio niente di tutto ciò che ha elencato. Mostrarle che non è solo una questione di sangue o corpo. Eppure, mi limito a restare in silenzio, finché non decido di alzarmi.
 
«Pensa ciò che desideri, Lilith»

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Lilith’s P.O.V.
 
Pensare ciò che desidero. È come se non mi avesse dato risposta. Non capirò mai cosa vuole veramente da me, cosa desideri di me. Il mio sangue è per lui fonte di ossessione e desiderio, lo percepisco ad ogni suo morso. Lo osservo alzarsi dal letto, i suoi occhi sono su di me.
 
«Levati quella maglietta, devi curare per bene la tua ferita, mentre eri svenuta non ci hai permesso nemmeno di sfiorarti a causa del tuo istinto di difesa» si volta di spalle offrendomi la possibilità di spogliarmi senza essere guardata. Aggrotto le sopracciglia.
 
«Sto bene» controbatto consapevole del fatto che non sia affatto vero. Sento la ferita alla schiena pulsare terribilmente. Quando Subaru mi ha spinta contro il muro, il sangue della ferita riaperta è ripreso a scorrere sporcando le bende e la maglia. Mi alzo dal letto decisa a ignorare il dolore che si propaga inesorabile. Cammino in direzione della porta.
 
«No, non stai bene, hai bisogno di cure e…» lo interrompo con un gesto della mano mentre gli passo accanto. La sua preoccupazione è falsa. Non voglio sentire un’altra parola. Apro la porta.
 
«Quando vorrai essere sincero con me, sai dove trovarmi» mi chiudo la porta alle spalle e finalmente riprendo a respirare. Il suo profumo mi stava mandando fuori di testa. Frutti di sambuco e zucchero, ma non solo questo. Profumo di mare e pioggia, un gusto puro e selvaggio. Appena entrata, quell’aroma di mare mi ha riempito i polmoni al punto che ho avuto la sensazione di poterne sfiorare la schiuma. Mi avvio per il corridoio cercando di placare quella secchezza che arde nella mia gola. Un desiderio bruciante che non vuole abbandonare ne il mio corpo ne la mia mente. Nemmeno il dolore alla schiena mi fa scordare quella fragranza sublime. Raggiungo la stanza di Reiji, mettendo da parte il mio orgoglio, per chiedergli di darmi una mano con la ferita. Sento che è qui dentro dalla sua energia che mi mette all’erta. Credo di non essere mai entrata nella sua stanza. Busso educatamente e attendo il suo permesso per entrare.
 
«Reiji, mi si è riaperta la ferita e avrei bisogno di aiuto per bendarla nuovamente» dico sinceramente oltrepassando la soglia. Lo vedo di fronte alla sua libreria che osserva attentamente i suoi libri accarezzandosi con due dita il mento concentrato. Lo lascio fare ciò che sta facendo, certa che mi abbia sentito, e mi metto a osservare la sua stanza. È molto semplice ed estremamente ordinata, sui toni del nero e del grigio. Una parete è completamente coperte da librerie, di fronte a me c’è il letto sovrastato da un quadro rappresentante un paesaggio invernale. Osservo incuriosita la tela: un bosco in inverno, un cervo sull’angolo che osserva con occhi scuri l’osservatore, tra gli alberi una luna rossa risplende sinistra. Riprendo a far scorrere le sguardo per la stanza. Alla mia destra vi è una scrivania in legno cosparsa di fogli impilati e una porta chiusa.
 
«Perdona le maniere brutali di Subaru» mi dice il vampiro prestandomi finalmente attenzione. Scaccio l’argomento con un gesto svelto della mano.
 
«A proposito, non ti ho chiesto delle tue ferite» lo scannerizzo attentamente dalla testa ai piedi alla ricerca di qualche ferita. Le braccia, prima coperte di bende, ora sono scoperte lasciando i vista alcuni tagli.
 
«Nulla di grave, non sono certo un debole umano» cammina verso il letto e mi fa cenno di stendermi. «Togliti la maglia e sdraiati» continua ed io mi limito a eseguire ciò che dice. Non ho voglia di discutere e ho davvero bisogno di cure. Levo la maglia, il seno è coperto dalle bende bianche messe da lui poco tempo fa, quindi non mi preoccupo. Sotto il suo sguardo gelido, mi sdraio a pancia sotto sul letto con le braccia incrociate sotto il viso rivolto verso di lui. Reiji si siede accanto a me facendo inclinare il materasso. Inizia a sciogliere le bende che coprono la mia pelle e io subito mi irrigidisco a contatto con le sue mani fredde, così morte. Non sento nessuna vita in lui, è come essere sfiorata dalle mani di un cadavere. La stoffa si è attaccata alla pelle viva esposta nella ferita e Reiji è costretto a strattonare per allontanarle. Stritolo le lenzuola nei pugni ed emetto un ringhio gutturale stringendo gli occhi.
 
«Calmati, la tua pelle si sta scaldando» mi avverte la voce di Reiji. Cerco di respirare profondamente e rilassarmi. Mi concentro sul profumo che impregna questa stanza. È simile a quello di Subaru, ma allo stesso tempo completamente diverso. Fiori di sambuco anche qui, ma con una sfumatura differente che non riesco a identificare bene.
 
«Sei arrivato molto vicino a uccidermi eh» esclamo a un certo punto quando sento che tutte le bende sono state rimosse. Reiji sta osservando l’entità della ferita e non mi risponde. Dopo qualche secondo in silenzio, si alza e va da un’altra parte dove non lo vedo più. I suoi passi sul pavimento in legno quasi non si sentono. Chiudo gli occhi per riuscire finalmente a rilassarmi per davvero. Cerco di entrare in contatto con il mio potere, con il mio demone rappresentato da quella rosa infuocata in mezzo al buio. La sfioro mentalmente accarezzando i fili di energia che mi circondano avvolgendomi e proteggendomi. Ne resto incantata. Dei fili ondeggianti si diradano intorno a me simili a lingue di fiamme ma più sottili e delicati. Un contatto freddo con il mio corpo mi fa ritornare alla realtà bruscamente. Riapro gli occhi alla sensazione di sollievo che si espande dalla mia schiena in tutto il corpo. Reiji è di nuovo seduto al mio fianco e sta massaggiando la mia ferita con qualcosa di fresco e morbido. Il mio corpo si abbandona completamente al relax che questo movimento circolare provoca.
 
«Le tue ali squarciano la carne ogni volta che le estrai, le profonde ferite che lasciano sembrano non volersi richiudere» decreta osservando attentamente la mia schiena nuda segnata da ferite aperte. Non rispondo finché non sento le sue mani allontanarsi dalla mia pelle. Quella crema mi ha quasi annullato il dolore come coperto da una patina di protezione che funge da filtro. Incrocio le mani al petto per coprire la mia nudità e mi sollevo mettendomi seduta sul letto.
 
«Dammi le bende che le posiziono sul seno, dopo lascio fare a te» vedo il suo sguardo scendere dal mio viso alla curva del mio collo, raggiungere le braccia che mi coprono fino allo stomaco. Sollevo un sopracciglio. «Ti piace quel che vedi?» chiedo divertita con una punta di malizia nella voce. Immediatamente i suoi occhi ritornano nei miei.
 
«Semplicemente non capisco il tuo pudore nonostante tu sia consapevole che io ti abbia svestito diverse volte» si giustifica voltandosi e camminando verso la porta poco lontana dalla scrivania. Sollevo gli occhi al cielo, per poi tornare a posarli su di lui. Non può averlo detto veramente. Entra senza aggiungere altro lasciando aperta la porta. Lo tengo sotto controllo e vedo che fruga in alcuni cassetti per tirarne fuori delle bende nuove, subito dopo torna da me. Mi passa le bende ed io le afferro velocemente con una mano, mi volto dandogli la schiena e appoggio la benda sul seno coprendomi. Lui prende i lembi e inizia a fasciare attentamente il mio busto. Sentire le sue mani che mi accarezzano leggermente mi fa tendere come una corda di violino. Non ci mette molto a fasciare per bene la ferita.
 
«Cos’è questo profumo che vi sento addosso? C’è una base simile per tutti voi, eppure anche una sfumatura diversa vi caratterizza e distingue» chiedo a bruciapelo mentre lui fissa le bende. Le sue mani si bloccano per un attimo. Mi volto verso di lui.
 
«Profumo?» chiede incuriosito scrutandomi attentamente. Io ricambio i suoi sguardi.
 
«Fiori di sambuco e zucchero, in più piccole differenze» vedo nei suoi occhi una luce completamente diversa da prima. Un senso di rabbia e odio represso. È così difficile leggere dentro questi vampiri, sono tutti chiusi in loro stessi, in pensieri che mi sono  reclusi.
 
«Il profumo di nostro padre…» sussurra aggrottando le sopracciglia. È dunque per lui che prova tutto questo odio? «Dunque tu avverti la traccia che lui ha lasciato in ciascuno di noi» in un battito di palpebre quella luce scompare, sostituita di nuovo dalla severità. Annuisco decisa.
 
«Posso sentire il tuo profumo?» chiedo senza esitare. Devo farmi un quadro chiaro di tutta questa faccenda. Il mio olfatto sviluppato mi è nuovo e mi incuriosisce incredibilmente. Reiji per un attimo perde la sua solita scompostezza e schiude le labbra stupito. «Paura?» lo stuzzico divertita, mentre ritorno a sedermi con le gambe accavallate sul letto. Mi passo la lingua tra le labbra.
 
«Non dire sciocchezze» dice con una smorfia. Faccio un sorrisetto e picchietto con la mano aperta sul materasso al mio fianco invitandolo a sedersi. Reiji dopo aver sospirato ed essersi messo a posto gli occhiali sul naso si accomoda accanto a me. Lo guardo sfarfallando gli occhi per prenderlo un po’ in giro e mi sporgo sul suo collo. Chiudo gli occhi ed inspiro. Cedro coperto di ghiaccio, un profumo insolito, pieno di eleganza. Cerco di trovare altri dettagli in quell’aroma. Neve sciolta. Gelido come il suo carattere, non c’è che dire. Mi allontano da lui aprendo gli occhi e subito sobbalzo quando vedo i suoi illuminati di una luce sinistra.
 
«È il mio turno, bambina» afferra velocemente il mio polso sinistro e se lo porta al viso. Non distoglie gli occhi dai miei mentre appoggia l’interno del mio polso appena sotto il suo naso. Strofina il viso sulla mia pelle annusandone la fragranza. Tengo sotto controllo ogni suo minimo movimento. Non era forse lui che parlava di eleganza ed etichetta? Ora sta esplicitamente annusando il profumo del mio sangue. Sale lungo il mio braccio senza separare il contatto tra le nostre pelli, mi provoca un leggero solletico quando raggiunge l’incavo del gomito. Mi sembra di sentire dei leggeri e impercettibili baci sulla pelle lasciati da fredde labbra, ma forse è solo una sensazione. Rabbrividisco. Sembra di essere baciati dalle labbra della morte.
 
«Vedi di non espanderti, Reiji» dico a bassa voce continuando ad osservarlo. Le sue labbra si posano sul mio collo senza degnarmi di una risposta. La sua mano sinistra si appoggia sulla mia spalla e stringe leggermente.
 
«Così giovane…» lo sento sussurrare contro la mia pelle. «Ma con un potere così grande tra le mani, saprai gestirlo? Sarai in grado di dominare il fuoco e l’ombra, giovane e innocente Lilith?» si stacca dal mio collo e pone il suo viso di fronte al mio. Annego in quello splendore sinistro. Resto in silenzio per un tempo che mi pare interminabile.
 
«Dopotutto, il fuoco genera ombra e l’ombra è attirata dal fuoco, non vi potrà mai essere l’uno senza l’altro» rispondo finalmente con estrema sincerità. Chiudo gli occhi per vedere quella rosa in fiamme. «Ma vi sarà sempre una differenza essenziale: l’ombra raggiunge luoghi inaccessibili al fuoco».

Spazio Autrice:
Salve gente! Come va? Vi sta continuando a piacere la storia o c'è qualcosa che vorreste cambiare?
Comunque, stavo pensando, cosa ne dite se creassi un "libro" (esagerazione), legato agli originali (Dark Angel e Round-trip from Hell, per farci capire), in cui metterò tante piccole storie indipendenti in cui racconterò delle scene che ho omesso nel libro originale? Fatemi sapere cosa ne pensate, per me potrebbe essere un progetto carino da realizzare!
Scrivetemi nelle recensioni o nei messaggi privati.
Un abbraccio a tutti i miei lettori,
Giada

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Subaru’s P.O.V.
 
Se n’è andata, per l’ennesima volta. Come le altre volte sono riuscito a farla scappare. Averla sentita chiedere aiuto a Reiji dopo aver rifiutato il mio mi ha fatto innervosire. Mi sono sentito come se un ardente fuoco mi bruciasse dentro al petto e ancora ora non riesco a liberarmi da questa sgradevole sensazione. Li sento parlare. Lilith ha voluto sentire il suo profumo. Perché? Cosa voleva trovare e, soprattutto, perché ora è così interessata a lui? Non sento più alcun rumore per qualche minuto, finché il suono della porta della sua stanza che viene aperta mi fa tendere le orecchie.
 
«Stasera tornerò all’Inferno» decreta la voce di Lilith nel corridoio. Serro i pugni. La mia mascella si irrigidisce con un guizzo ed io mi alzo dal letto dove mi ero sdraiato poco fa. Non può, non le è permesso di andare e venire come desidera lei. Qui siamo noi a comandare.
 
«Perché vuoi tornare laggiù?» chiede Reiji. Cammino silenzioso attraverso la stanza per appoggiarmi con la schiena accanto alla porta.
 
«Perché voglio sapere di più su quello che sono diventata, su mio padre e su quella che sembra essere casa mia» ascoltando quelle parole, per un secondo ho l’istinto di aprire la porta e smentirla. Affermare che casa sua è qui, ma lei mi blocca. «Inoltre, vorrei imparare a controllare i miei poteri, hai visto anche tu cosa è successo quando ho manifestato la mia forma completa… ho perso totalmente il controllo sul mio corpo lasciando che i miei poteri si liberassero, ho persino rischiato di uccidervi» racconta abbassando impercettibilmente la voce. Mi sembra quasi di vedere i suoi occhi che si scuriscono come coperti da una nube tempestosa, un suo classico.
 
«Non ci saresti riuscita» controbatte Reiji orgoglioso. Il mio pensiero corre all’attimo in cui lei si è trovata sopra di me pronta a mordermi come noi avevamo fatto con lei per svariate volte. Ho sentito sulla mia pelle quel senso d’impotenza che probabilmente anche lei aveva provato con noi. Non mi ero mai trovato nella situazione di ricevere un eventuale morso. Quegli occhi mi distraevano drasticamente, per non parlare del suo profumo. Mi passo la lingua tra le labbra per riportare alla mente il suo sapore. Il sangue più dolce e raffinato che io abbia mai assaggiato.
 
«A dopo, Reiji» dopo aver detto ciò, sento i passi di Lilith allontanarsi e la porta della stanza di Reiji chiudersi. Credo di sapere dove sta andando. Con l’udito fine da vampiro riesco a sentirla salire le scale per raggiungere il tetto. Ne rimango stupito, pensavo andasse nella stanza della musica. Lei che, da quando la conosco, ha sempre sfogato ogni sua emozione nelle note di pianoforte. La sento camminare sul tetto, finché non si ferma.
 
«Maledizione!» sussurro furioso con me stesso, per poi trasportarmi dietro la vetrata che permette l’accesso al tetto. La vedo. È ferma a guardare il cielo con le mani appoggiate alla balaustra. Nuovamente mi rendo conto della sua bellezza senza pari. Quel corpo formoso potrebbe sfociare facilmente nel volgare, ma con lei no, la rende sensuale oltre ogni limite. Osservo il suo profilo accarezzandolo con gli occhi. Non so per quanto resto qui fermo ad osservarla, a contare i suoi respiri, a scandire il suo battito cardiaco. Finché lei non si volta verso di me seria.
 
«Per quanto ancora pensi di restare lì fermo a fissarmi?» dice certa che io possa sentirla. Non le rispondo, mi limito ad aprire la porta a vetri e dirigermi verso di lei a passo sicuro e silenzioso. Mi osserva per qualche attimo poi torna a rivolgere lo sguardo al cielo stellato. La affianco appoggiandomi di schiena alla ringhiera per poterla continuare a guardare in viso. «Cosa vuoi, Subaru? Non sono stata abbastanza chiara prima? Oppure vuoi davvero farmi giungere al limite di sopportazione umana?» mi domanda acida. Sorrido. Alla fine è sempre la stessa: scontrosa, ironica, orgogliosa, ribelle e anche un po’ stronza.
 
«È te che voglio» affermo senza permettere ai miei pensieri di infiltrarsi tra noi. Detto questo la costringo a girarsi di schiena alla ringhiera, prendendola per un fianco, e mi metto di fronte a lei. Solleva un sopracciglio, interdetta e scettica su qualsiasi cosa io voglia fare. «Sei mia, Lilith, non mi importa cosa pensi di me, non importa dove andrai o cosa farai, resterai sempre mia e io ucciderò chiunque provi anche solo ad avvicinarsi a te o ad allontanarti da me» infilo una mano sotto i suoi capelli, afferrandole il retro del collo e la attiro a me. Premo di prepotenza le mie labbra sulle sue. Sento che si ribella, stringe con forza le mie braccia conficcandoci le unghie. Ma non la lascio andare. Le circondo la vita con il braccio sinistro per far aderire i nostri corpi. La sua presa sulle mie braccia inizia lentamente ad affievolirsi. Non forzo il bacio, mi limito a tenere le sue labbra sulle mie, finché non è lei a schiuderle. Sento il suo respiro farsi mio. Le sue mani si appoggiano sul mio viso accarezzandomi, le affonda nei miei capelli. Ed è proprio lei ad approfondire quel bacio. La spingo contro la ringhiera appoggiandoci le mani così da intrappolarla lì con me. In questo momento sono certo che posso vivere centinaia di anni e visitare tutti i paesi del mondo, ma che niente potrebbe eguagliare l’intensità di questo istante
 
«Ti odio, Subaru» dice riprendendo fiato, giusto il tempo di un respiro, prima che io mi accanisca nuovamente su quelle labbra meravigliose. La faccio sedere sulla balaustra e lei per un secondo si distrae voltandosi indietro verso il vuoto sotto di sé. Con due dita riporto il suo viso verso di me.
 
«Sta tranquilla » sussurro guardandola dritto negli occhi. Lei mi rivolge uno sguardo nuovo che non avevo mai visto nei suoi occhi. Piena fiducia, consapevolezza di potersi affidare a me, totalmente. Le circondo la vita stringendola per darle prova delle mie parole. Mi sorride. Sono tra le sue gambe, ma questo non sembra minimamente impensierirla o alterarla.
 
«Sarai sempre lì a prendermi quando cado?» mi domanda a bruciapelo osservandomi tra quelle lunghe ciglia nere. Le mostro un mezzo sorriso. Le mie mani salgono lungo la sua schiena accarezzandola.
 
«Pensi davvero che ti lascerei cadere?» chiedo di rimando. Riprende a baciarmi dopo che una luce le ha attraversato gli occhi. Sento il suo cuore battere, le pulsazioni attraversano il suo petto fino a raggiungere il mio. La potrei divorare. Le mordo il labbro senza affondare i canini nella sua tenera carne giovane, un debole gemito sfugge al suo autocontrollo. Improvvisamente le sue ali squarciano la pelle e la maglia per mostrarsi in tutta la loro magnificenza. Mi allontano dal suo viso e, quando anche lei apre gli occhi, vedo che sono rossi come l’alba dietro di lei.
 
«Forse è meglio finirla qui» la sua voce è un ringhio basso e gutturale, ma non credo sia volontario. La fisso senza dire nulla per qualche secondo. Quello sguardo mi affascina, così famelico e bramoso, desideroso di assaggiarmi. È da poco che ha questi desideri, per questo non riesce a dominarli pienamente. Distoglie lo sguardo da me e si copre naso e bocca con una mano.
 
«Lilith» la richiamo all’attenzione. Scuote la testa rifiutandosi di guardarmi o di respirare il mio odore. «Non ti opporre a ciò che sei diventata, Lilith» continuo cercando di farla calmare. Si agita e cerca di allontanarmi da sé.
 
«Un paio d’ali non cambieranno ciò che sono» mi risponde aprendo gli occhi e osservandomi. Brillano di luce propria. Le appoggio una mano sulla guancia.
 
«No, eppure hai questo desiderio e opporti ad esso lo renderà solo più forte» spiego. Conosco alla perfezione quella sensazione. Le prime volte che avvertii il desiderio di bere il sangue di qualcuno mi sentivo come se qualcosa mi corrodesse da dentro. Solo con il tempo e con molta pazienza ed esercizio sono riuscito a placare l’istinto primordiale, riuscendo anche a controllare quella bramosia accecante. Anche se ancora adesso di fronte a del sangue di ottima qualità è difficile mantenere la mente lucida.
 
«Non voglio perdere il controllo» mormora iniziando ad ansimare. E invece è proprio quello che deve succedere. Osservo attentamente i suoi occhi fiammeggianti, poi le mostro un lieve sorriso. Con uno scatto affondo i canini nel mio polso destro facendo sgorgare un rivolo di sangue scarlatto. Il suo sguardo saetta fulmineo verso la ferita e mi sembra di vedere i suoi occhi illuminarsi di una luce famelica. In uno scatto paragonabile a quelli miei e dei miei fratelli, mi spinge contro la parete accanto alla porta vetrata. Il mio polso è stretto nella sua presa che diventa ogni secondo più calda. Vedo i suoi canini allungarsi fino a raggiungere la loro massima estensione. Reprimo il mio primo istinto di respingerla. La temperatura del suo corpo aumenta a dismisura, mi sento bruciare la pelle a contatto con la sua.
 
«Così Lilith, lascia che questa sete ti domini» le sussurro all’orecchio. Non sembra nemmeno riuscire a sentirmi. Inspira il mio profumo e sogghigna. In quel ghigno bestiale non c’è più nulla della giovane ragazza conosciuta. Chiude gli occhi e appoggia le labbra sul sangue fresco rimasto sul mio polso, la ferita ormai si è rimarginata. Sento la sua lingua appoggiarsi alla mia pelle e assaporare la mia linfa vitale. Percepisco il suo desiderio come fosse mio. Toglie tutto il sangue in un attimo e riapre gli occhi che diventano sempre più luminosi e famelici. Il suo sguardo si concentra sulla curva del mio collo. Per un istante, ho la tentazione di togliermela di dosso e impedirle di mordermi, ma in questo modo non riuscirà mai ad imparare a controllarsi. Apre leggermente la bocca facendoci passare la lingua in mezzo per leccarsi le labbra. Sento i suoi canini affondare dentro la mia carne, non l’ho nemmeno visita muoversi, mi rendo conto del suo morso solo da quella sgradevole e dolorosa sensazione. Ringhio in risposta e stringo forte i pugni contro il muro, non se ne accorge nemmeno. Beve talmente velocemente da farmi girare la testa in pochi secondi.
 
«Subaru, ti prego…» avverto il suo dolore. Ha paura. Forse è la prima volta che la avverto in lei. Ma questo sentimento viene soppresso da altre emozioni molto più piacevoli. Mi costringo a riprendere lucidità per appoggiare le mani sui suoi fianchi.
 
«Ti puoi fermare, Lilith… devi farlo da sola, se combattessi o mi ribellassi metterei all’erta la tua parte demoniaca e stringeresti ulteriormente la presa, la tua parte umana verrebbe totalmente annullata» spiego mentre sento le forze abbandonarmi. Non sono certo che un vampiro possa morire dissanguato, ma d'altronde non credo che alcun vampiro, soprattutto di sangue nobile, sia mai stato morso. Ora mi rendo conto di ciò che ha provato per tutto questo tempo, ciò che noi l’abbiamo costretta a sopportare con la violenza o con il ricatto. Sentire le sue zanne puntate alla mia gola mi lascia un’orribile sensazione di impotenza. Mi viene quasi da ridere, il predatore ucciso dalla preda.

Spazio Autrice:
Scusate il ritardo, ma visto che sta finendo la scuola ho dovuto recuperare alcune materie!
Ho notato che le recensioni stanno diminuendo e che gli ultimi capitoli non he hanno nemmeno una, la storia non vi piace più? C'è qualcosa che cambiereste? Fatemelo sapere, i pareri dei miei lettori sono davvero importanti per me.
Ho pubblicato una nuova storia qui su EFP intitolata "Figlia della Luna", non è una fanfiction ma una storia di mia totale invenzione, se viva passate a leggerla.
Detto questo vi saluto, come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Un abbraccio, Giada

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Lilith’s P.O.V.
 
È inebriante. La sua linfa è così fresca, così rafforzante, così rigenerante, così eccitante. Sento il mio potere aumentare a dismisura e ogni mia cellulare prendere letteralmente fuoco. Potrei fare qualsiasi cosa in questo momento, sposterei una montagna se solo lo volessi. Nulla mi ha mai dato una tale eccitazione. Lo sento scorrere nelle mie vene, mescolarsi con il mio sangue. La sua forza mi attraversa dalla testa ai piedi. Sono talmente rapita da quella sensazione nuova, quasi da non accorgermi che lui sta iniziando a crollare, il suo peso inizia a gravare su di me, anche se non è un grosso problema. Aumento la morsa. E Subaru stringe i miei fianchi in risposta. Vengo catapultata in un altro luogo, immagini sfuocate mi danzano davanti, finché il tutto si stabilizza. C’è un bambino di fronte a me, mi è familiare. Tiene gli occhi puntati verso l’alto, oltre la mia figura. Seguo il suo sguardo fino a giungere a una torre, più precisamente ad una finestra con sbarre di ferro dove una donna guarda fuori con occhi spenti. Anche da questa distanza mi accorgo della sua fredda e triste bellezza. I capelli sono candidi e raccolti su un lato della testa da una corona di rose rosse, gli bellissimi anche se malinconici e spenti, il viso dai lineamenti dolci trasmette un senso di abbandono. È vestita di bianco e rosso, un velo semi trasparente le copre le spalle. Anche lei mi ricorda qualcuno, ma la mia mente non riesce a collegare.
 
«Che sta succedendo?» chiedo al bambino. Non mi risponde e non si degna nemmeno di guardarmi. Lo osservo stranita. «Ehy, sto parlando con te» riprovo allungando una mano per toccargli una spalla. Lo trapasso. Ma che diamine…? Osservo la mia mano e poi lui con la fronte aggrottata. Vedo gli occhi del piccolo divenire lucidi, ma non una singola lacrima scivola giù sulle sue giovani guance. Il suo sguardo è ricolmo di una tale tristezza e solitudine da spezzarmi in due il cuore. Stringe tra le mani un oggetto che poco fa non avevo notato. Mi rendo conto che è il pugnale d’argento di Subaru. Lo analizzo velocemente dalla testa ai piedi. Gli occhi rossi, i capelli chiari, quelle labbra sottili. Spalanco gli occhi indietreggiando. È Subaru, non ho dubbi. Sotto i miei piedi scompare il pavimento e cado nel nulla. Il piccolo Subaru e la donna in bianco non si accorgono nemmeno del mio grido. In un attimo ritorno nel mio corpo. Mi spingo lontano da Subaru e vado a sbattere con la schiena contro la ringhiera. Sento gocce del suo sangue fresco che mi scivolano giù sul mento, non resisto e con la lingua le raccolgo assaporandole. Ho il fiato corto e gli occhi spalancati per la frenesia che mi attraversa il corpo. Ho i sensi talmente sviluppati da sentire le ultime gocce del suo sangue cadere per terra. Mi perdo nel bel mezzo dei rumori e dei profumi che mi assalgono. Sento il profumo del sangue di Subaru e più attenuato quello degli altri fratelli, avverto anche l’odore delle rose e delle piante del giardino sotto di noi. Anche i rumori mi travolgono stordendomi: rumore di fogli spostati con Reiji, una canzone malinconica di Kanato, il lieve russare di Shu, le poesie romantiche di Raito, i passi di Ayato per i corridoi, infine il rumore delle ultime gocce di sangue che cadono dalla ferita di Subaru. Chiudo gli occhi e cerco di calmare il fiatone, lentamente sento che la temperatura del mio corpo si abbassa, il fuoco che mi brucia nel petto si placa. Riapro gli occhi puntandoli verso di lui, seduto contro la parete.
 
«La donna in bianco nella torre… è Christa, tua madre, vero?» chiedo subito senza muovermi dalla mia posizione. Non sento più quella sete atroce, ma ancora non mi fido del mio lato demoniaco. Subaru mi osserva stranito.
 
«Come fai a sapere di mia madre?» domanda mettendosi in piedi lentamente, ma resta comunque appoggiato al muro con la schiena. Io resto dove sono, attenta, vigile ed esaltata grazie al suo sangue potente. Lo scruto dalla testa ai piedi.
 
«Raito mi ha parlato di tutte le vostre madri» rivelo stando attenta ad ogni sua mossa. Subaru rotea gli occhi e solleva un sopracciglio subito dopo. Non è convinto della mia risposta. Si stacca dal muro e viene da me osservandomi dall’alto al basso.
 
«E come fai a sapere che si vestiva di bianco e stava su una torre?» chiede nuovamente. I nostri sguardi si incontrano e si incatenano. Incontro questi occhi che sanno resistere ai miei. E comincia la sfida più bella che è a metà tra la voglia e la tortura. Mi piace scavare nel rosso dei suoi occhi, alla ricerca di qualcosa di sconosciuto, qualcosa che nessun altro ha mai visto. Sospiro.
 
«Mentre bevevo il tuo sangue» pronunciare queste parole le rende ancora più reali. «Ho avuto come una visione… ho visto tua madre da sola in cima a quella torre e ho visto te, Subaru» gli rivolgo il mio sguardo analizzando il suo viso. Non voglio spaventarlo o altro, voglio solo dirgli la verità. «Eri solo un bambino e stringevi tra le mani il tuo pugnale d’argento, i tuoi occhi… non ho mai visto uno sguardo così triste» scuoto la testa a occhi chiusi. Non voglio mai più vedere un’espressione simile nel viso di un bambino, soprattutto sul viso di Subaru. Anche se a pensarci, quell’espressione non è mai scomparsa del tutto, si è solo affievolita nel tempo, atrofizzata nei secoli trascorsi. Non mi risponde, il suo sguardo è puntato nella mia direzione ma non sembra vedermi.
 
«Il mio passato… madre…» continua a guardare il vuoto ed io inizio a preoccuparmi. Mi avvicino a lui lentamente, quasi con la paura che abbia una reazione inaspettata.
 
«Subaru?» gli appoggio delicatamente una mano sulla spalla. Prima che possa reagire in qualche modo, lui mi sta già stringendo convulsamente il polso guardandomi dritto negli occhi. Il suo sguardo è annebbiato da una patina di paura, odio e rabbia mischiati. Sento il mio istinto che mi dice di ribellarmi, attaccarlo e ucciderlo, il demone dentro di me si agita ringhiando per uscire allo scoperto. Scuoto la testa vigorosamente e resto immobile, mentre lui continua a stringere ringhiandomi contro. Sento che aumenta la presa. «Subaru, mi fai male…» abbasso lo sguardo sul mio polso. Lui ringhia scoprendo le zanne aguzze e mi osserva sempre più arrabbiato, mi guarda, ma non vede me. Appoggio la mia mano sulla sua gelida e stringo appena. I suoi occhi si spalancano di scatto e si scaglia contro di me con le zanne esposte. Cerco immediatamente di scappare, ma mi tiene saldamente stretto il mio polso per tenermi vicino a lui. Mi scaraventa violentemente contro il muro di fronte a lui. Mi si appanna la vista per la botta alla testa. Strizzo gli occhi e lo vedo avanzare verso di me con le zanne scoperte e uno sguardo omicida negli occhi, mi ricorda tanto una pantera nera con la propria preda. Sento il sangue macchiarmi i capelli, devo aver dato davvero una bella botta. Mi fa paura, questo non è lui, non è in sé. Il demone dentro di me combatte per uscire dall’oscurità, sento la mia pelle scaldarsi e le ali premere per venire sfoderate. Rispingo tutto nel profondo del mio animo, senza cedere all’istinto. So che non è il modo giusto per affrontarlo, lo spingerei solo ad attaccarmi ed io non voglio assolutamente combattere contro di lui. «Subaru! Sono io: Lilith! Quello che vedi non è reale!» Subaru si riprende improvvisamente e sbatte più volte le palpebre guardandomi come se avesse appena visto un fantasma. Io continuo a fissarlo con un braccio davanti a me per proteggermi.
 
«Che cosa è successo?» indietreggia immediatamente sbattendo più volte le palpebre. Mi squadra da capo a piedi, mentre io mi appoggio una mano sulla nuca per alleviare il dolore, la ferita si sta già rimarginando. Mi alzo in piedi e lo sguardo si Subaru scorge i lividi rossi sul mio polso lasciati dalla sua stretta e la mano insanguinata. Si blocca immediatamente e s’incupisce. I suoi occhi perdono luce. Mi guardo anch’io la mano insanguinata, poi guardo lui.
 
«No no, va tutto bene» mi avvicino a lui strofinando il palmo sui pantaloni per pulirmi. Non so cosa dire ne cosa fare. Cammino piano verso di lui. «Non è successo nulla» dico lentamente. Lui mi lancia un’occhiata.
 
«No, Lilith, non va tutto bene» controbatte serio lanciando un altro sguardo alla mia mano che io subito nascondo in fretta dietro la schiena. «Ti ho appena attaccato e senza motivazione apparente, a quanto pare» distoglie lo sguardo dal mio. «E non ricordo nulla, questo è forse quello che mi irrita di più… forse sarebbe meglio per te che te ne torni all’Inferno il prima possibile» si volta e si avvia velocemente per tornare in casa. Lo guardo sbalordita. Non si era mai abbattuto così prima d’ora per un attacco. Mi riscuoto e lo inseguo afferrandolo per un braccio e girandolo.
 
«Che cos’hai oggi? Prima mi baci, poi mi fai bere il tuo sangue, e ora questa scena, che succede?» chiedo guardandolo fisso negli occhi scarlatti. Lui mi fulmina con lo sguardo e strattona via il suo braccio dalla mia presa sovrastandomi dall’alto. Mi sono sempre sentita piccola davanti a lui. Sostengo il suo sguardo.
 
«Succede che ti stai impicciando di cose che non ti riguardano, come sempre dopotutto, Lilith» fa una smorfia infastidita, poi continua: «oltretutto, chi ti ha dato il permesso di sbirciare tra i miei ricordi?» ringhia sollevando un sopracciglio. Lo guardo stupita.
 
«Pensi che abbia volutamente ficcato il naso nel tuo passato? Non è stata una mia scelta» controbatto irritata guardandolo male. Mi ha appena dato dell’impicciona! Mi osservo come per dirmi che non ci crede nemmeno lontanamente. «Oh fantastico, dunque è questo ciò che pensi? Beh, ti dirò quello che penso io, penso che tu debba imparare a controllare i tuoi istinti animali perché qui altrimenti abbiamo un bel problema» gli punto l’indice sul petto e lo guardo con le sopracciglia aggrottate. Sento le guance accaldarsi per l’irritazione che inizia a salire.
 
«Perfetto, se non vuoi più essere aggredita di nuovo allora vattene, vai dal tuo diabolico paparino oppure dal biondino occhi blu che, sono certo, sarà felicissimo di servirti e bacarti i piedi come vorresti, principessina» serra forte i pugni fino a far sbiancare ulteriormente le nocche già molto pallide. Ringhio infuriata da queste sue ingiuste parole, ma poi cerco di rilassarmi e controllare la rabbia, senza però ottenere grandi successi. Parto a passo di marcia verso la porta a vetri per rientrare in casa e facendolo urto Subaru con una spallata. Entro e sbatto la porta facendo tremare i vetri in ogni pannello. Lancio un’ultima occhiata a Subaru, poi mi dirigo quasi correndo giù per le scale.
 
«Odioso pomposo damerino da due soldi… io volevo solo aiutarlo, ma no, il signorino non ha bisogno del mio aiuto» continuo a camminare velocemente per i corridoi per arrivare alla mia stanza. «Bene, se non gli importa che sto qui, me ne andrò» arrivo in camera e inizio a preparare le cose per la partenza lanciando tutto in valigia alla rinfusa. «”Principessina”… io sarei la principessina? È lui che deve scendere dal piedistallo, o al massimo se sta là sopra potrebbe rendersi utile, tipo pulendo il lampadario» chiudo con rabbia la valigia e la lancio per terra.
 
«Parli da sola?» mi volto di scatto verso la porta fulminando chiunque sia lì. Ayato mi osserva divertito appoggiato allo stipite della porta. Mi passo una mano tra i capelli, poi mi raddrizzo e schiarisco la voce. Prendo la borsa e mi avvio verso la porta.
 
«Beh sai, ogni tanto serve anche a me il parere di un esperto, no?» gli faccio l’occhiolino e lui scoppia a ridere. Sento ancora la rabbia ribollire dentro di me, ma sorrido anch’io. Lui si sposta e mi fa passare.
 
«Sei in partenza?» ritorna serio e mi guarda. Sospiro ripensando alla scena di poco fa con quell’idiota di Subaru, annuisco. «Sai che dovrei impedirtelo vero?» aggiunge con il suo solito sorrisetto.
 
«Sai che non ci riusciresti vero?» controbatto sorridendo a mia volta. Lui sbuffa, forse ricordandosi che non sono più una debole umana.. Lo saluto con la mano mentre mi avvio svelta verso la stanza della musica, dove il sigillo mi riporterà da mio padre, nel mio regno.

Angolo Autrice:
Scusate scusate scusate per l'interminabile attesa, ho avuto il blocco dello scrittore! Non che io sia una scrittrice ma ok... mi dispiace tantissimo care lettrici (e lettori, anche se dubito che ce ne siano). Ma ora sono tornata e spero di riuscire ad aggiornare più regolarmente.

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