Dark Angel

di DreamerGiada_emip
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** CONTINUO STORIA PUBBLICATO! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


«Quella bambina ha qualcosa di stranamente misterioso e inquietante: non ha fatto amicizia con nessuno, sta sempre da sola, inoltre… quegli occhi… non avevo mai visto uno sguardo così freddo e distaccato in una bambina, mi paralizzo ogni volta che incrocio quelle lame di ghiaccio»
 
«Ha dei gusti, diciamo, macabri. Avete visto cosa ha disegnato sul suo block notes? Nonostante l’età, è evidente il suo talento nel disegno, si distingueva perfettamente una colomba bianca in caduta libera con una freccia nera infiammata conficcata nel petto, intorno corvi neri dagli occhi rosso sangue la osservavano cadere, davvero inquietante»
 
«Anche quando viene un temporale, tutti gli altri bambini si lamentano di avere paura e di vedere strane ombre nella luce dei lampi, lei invece no. Resta alla finestra, con il suo block notes e osserva affascinata fuori, quando un fulmine squarcia il cielo i suoi occhi si illuminano e un sorrisetto le compare sul viso»
 
È questo che dicono di lei. Quella bambina, seduta ai piedi di un albero spoglio con il suo inseparabile block notes pieno di disegni, è protagonista di tutte le malelingue dell’orfanatrofio. Conosce perfettamente le voci che sono in giro su di lei, eppure non sembra importarle, continua imperterrita a disegnare. Il suo sguardo perso diretto verso il foglio, non sembra nemmeno cosciente, eppure la sua mano si muove decisa sulla carta tracciando linee su linee, finché il disegno non è concluso. I suoi occhi riprendono lucentezza e osserva la sua opera: un tunnel tenebroso senza una singola piccola luce con sopra scritto “Wonderland”.
 
Rialza gli occhi verso il cielo grigio, mentre una folata di vento le porta i capelli davanti al viso. Lei, così diversa da tutti gli altri, così solitaria e distaccata. Innamorata della notte e delle cose da cui gli altri bambini sono spaventati, sembra sempre in un mondo differente. Lei, i cui sguardi gelano e paralizzano, sguardi che non dovrebbero appartenere a una bambina di quella giovane età.
 
Osserva silenziosa il gruppetto di donne che sta parlottando indicandola ogni tanto e lanciandole occhiate veloci. Un’altra donna si avvicina di corsa a loro, è uscita dall’edificio e, a giudicare dalla sua espressione, ha una notizia che di sicuro farà ricominciare i pettegolezzi.
 
«Ho appena ricevuto una telefonata, Lilith è stata adottata, la famiglia si chiama Sakamaki» versi di stupore dilagano nel gruppo.
 
«Dicono che la verranno a prendere al compimento del suo sedicesimo compleanno, ora è troppo giovane»
 
«Troppo giovane? Per un’adozione sarebbe un po’ troppo grande anche adesso, dopotutto ha già 11 anni, dovremo dunque aspettare altri cinque anni?»
 
«Santo cielo, quella ragazza porterà sventure su questo posto! Non possiamo tenerla qui per tutto quel tempo» una di loro è superstiziosa, il comportamento anomalo della bambina la inquieta parecchio, stringe tra le mani la croce che porta al collo.
 
«Non abbiamo altra scelta resterà con noi fino ai 16 anni» tutte le donne si voltano verso di lei. La bambina è in piedi sotto l’albero senza foglie, i cui rami si tendono verso il cielo come dita scheletriche. In quel preciso istante, un fulmine squarcia il cielo e lei viene illuminata come una macabra figura vestita di nero e dagli occhi d’argento.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


L’autista mi scarica nel bel mezzo di un enorme giardino. Di fronte ai miei occhi una grande fontana alla cui sommità un demone con grandi ali di pipistrello e il becco d’aquila sembra osservarmi minaccioso. La facciata della villa è molto ampia e in parte ricoperta da rampicanti, le dà un particolare aspetto antico.
 
Canticchio a ritmo della musica che mi trapana i timpani a causa dell’alto volume, non mi da fastidio, mi isola dal mondo ed è quello che voglio. Cammino senza fretta fino al grande portone d’ingresso, mi tolgo un auricolare prima di bussare. Nessuna risposta. Riprovo e nuovamente non ottengo alcun risultato. Sbuffo sonoramente.
 
«E io dovrei stare qui fuori ad aspettare che i padroni di casa ritornino?» chiedo a me stessa, infilo la cuffia dentro lo scollo della mia maglietta e, proprio in quel momento, la porta si socchiude. Sollevo un sopracciglio e afferro la valigia per poi entrare.
 
«Cavolo, a questi piace vivere bene» mi guardo intorno. Un tappeto rosso conduce su una grande scalinata, il pavimento e le pareti sono in marmo bianco e sopra la mia testa un enorme lampadario a cristalli illumina l’ingresso. Noto subito che non ci sono lampadine, ma candele.
 
«Bene, villa di lusso, ma all’antica, come minimo non c’è nemmeno elettricità» mi rendo conto solo dopo qualche secondo che non c’è nessuno con me in questa sala, chi diavolo mi ha aperto la porta?
 
Una villa fantasma? Le buone notizie della giornata. Mi siedo sui gradini della scalinata sbuffando nuovamente, prendo il cellulare e controllo di aver letto bene l’indirizzo.
 
«Dunque questo profumo sei tu» una voce profonda maschile, sollevo immediatamente lo sguardo e inizio a guardarmi intorno per individuare qualcuno. I miei occhi percorrono tutto l’ingresso, finché non si bloccano puntati verso un angolo lontano su due occhi di fuoco luminosi nell’oscurità. È poco lontano dalla porta, il suo viso è in penombra, non riesco a distinguerne i lineamenti, soltanto quegli occhi rossi che sembrano risplendere di luce propria.
 
«Allora c’è qualcuno in casa» mi alzo in piedi e faccio qualche passo verso di lui, non si muove restando immobile a fissarmi nel buio. Lo guardo e sollevo un sopracciglio. «Guarda che non ti mordo mica, puoi avvicinarti» appoggio una mano sul fianco, mi sembra di intravedere un leggero sorrisetto divertito.
 
Si volta e comincia a camminare tranquillamente per un corridoietto laterale. Osservo il suo abbigliamento di spalle, indossa una giacca nera con le maniche arrotolate fino ai gomiti, pantaloni dello stesso colore, un paio di stivaletti chiari, noto che la maglietta sotto la giacca è lacerata.
 
Roteo gli occhi. Cominciamo bene, di poche parole il signorino. Afferro la valigia e lo seguo senza staccare la musica. Arriviamo in un ampio salotto con un divano di velluto blu e due poltrone delle stesso morbido velluto al centro della sala. Anche qui la luce è fornita da un grande lampadario con tante candele. Infondo, appoggiato al muro, un altro divanetto con sdraiato un ragazzo. Ha gli occhi chiusi e le cuffie nelle orecchie, i capelli hanno un particolare colore arancio, la pelle pallidissima, il suo vestiario è un po’ più ordinato del precedente tizio. Mi chiedo che musica stia ascoltando, ma a prescindere dal genere questo ragazzo mi piace già.
 
Alla luce posso finalmente osservare il viso di chi mi ha portato qui. I lineamenti sono decisi e i capelli di un rosa molto chiaro che sfocia anche nel bianco, un ciuffo gli copre un occhio, ma l’altro mi fissa minaccioso, ha uno sguardo affilato e l’espressione corrucciata. Al collo porta una chiave e la maglietta è davvero tutta stracciata e consumata al bordo.
 
«Sei arrivata finalmente» il ragazzo sdraiato sul divanetto parla senza aprire gli occhi. Rivolgo il mio sguardo a lui, ma prima che possa dire qualcosa il signorino occhi-di-fuoco mi precede.
 
«Shu, dunque tu sapevi che oggi sarebbe arrivata lei?» lo dice in un ringhio e dal suo tono suona più come un’accusa che una domanda.
 
«Sono cinque anni che sappiamo sarebbe arrivata oggi» un’altra voce alle mie spalle, mi volto immediatamente e incrocio uno sguardo severo e indagatore dietro un paio di occhiali rettangolari. Ha i capelli viola ed è vestito in modo molto più elegante e curato degli altri, addirittura indossa un paio di guanti. Questo qui è un maniaco dell’ordine.
 
«Tu e Shu dovreste smetterla di tenerci nascosto l’arrivo di una così splendida umana» in cima alle scale un altro ragazzo. Ma quanti diamine sono? Occhi verdi, con una strana luce di malizia e perversione, dal cappello che porta escono alcuni ciuffi di capelli arancioni, il cappuccio della giacca appoggiato sulle sue spalle è adornato da una morbida pelliccia. In un attimo mi sento stringere la vita da dietro, il mio corpo aderisce ad un altro.
 
«Sembri deliziosa…» un respiro freddo sul mio collo mi fa scattare. Mi divincolo da quella presa e mi allontano con un balzo, alle mie spalle il ragazzo che fino a pochi attimi fa era in cima alla scalinata. Gli dedico uno dei miei più freddi e taglienti sguardi che lui ricambia con un sorrisetto lascivo.
 
«Non osare mai più mettermi le mani addosso» ringhio in una minaccia.
 
«Ma che bel peperino» prima che possa individuare il proprietario della nuova voce, una mano mi afferra il mento facendomi voltare il viso e sollevare lo sguardo. Incontro un paio di occhi verdi magnetici incorniciati da ciuffi di capelli rossi, un sorriso maligno completa il suo viso. La sua pelle è freddissima. Tolgo la sua mano dal mio viso con uno schiaffo e mi allontano.
 
«Raito, Ayato, non credete sia un atteggiamento quantomeno scortese nei confronti di una signorina appena conosciuta?» il maniaco dell’ordine li fulmina entrambi con lo sguardo. Direi che lui è l’unico con cui si può parlare. Li guardo uno ad uno.
 
«Siete tutti oppure devo aspettarmi qualcun altro?» tengo sotto controllo i due ragazzi che mi hanno toccata.
 
«Perché preferiresti che io non ci fossi? Preferiresti la mia morte?» un ragazzino si accosta al tizio con il cappello. Stringe tra le braccia un orso di stoffa, ha delle grandi occhiaie e sia occhi che capelli viola. «Visto Teddy? Nessuno ci vuole, nessuno ci apprezza» aggiunge con voce flebile. Cosa diavolo sta farneticando? Decido ci lasciare perdere, tanto qui dentro non sembra che alberghi tanta normalità.
 
«Posso almeno sapere i vostri nomi?» chiedo facendo correre lo sguardo da un ragazzo all’altro. È il maniaco dell’ordine a parlare, indicando uno a uno.
 
«Shu, il fratello maggiore» indica con un cenno il ragazzo sdraiato con gli auricolari. Non mi ha nemmeno rivolto un’occhiata da quando sono entrata, sembra disinteressato a tutto ciò che lo circonda.
 
«Io sono Reiji, il secondo figlio» mi guarda severamente. Reiji eh? Preferisco “maniaco dell’ordine”.
 
«Ayato, il terzo»
 
«Qualche tempo con noi e questo carattere focoso lo perderai» il ragazzo dai capelli rossi mi mostra un sorrisetto maligno. Lo fulmino con lo sguardo, ma poi gli mostro anch’io un sorrisetto di scherno abbinato a un’occhiata di sfida che lo spiazzano.
 
«Kanato»
 
«Sarai tu a morire» mi rivolge un sorriso inquietante con gli occhi sbarrati, da pazzo. Questo qui ha perso qualche rotella.
 
«Raito»
 
«Piacere, sgualdrina» mi fa l’occhiolino,  lo osservo inviperita. Come osa? Non mi conosce e pensa di affibbiarmi simili nomignoli? Ed io dovrei passare il resto della mia vita con questi maleducati egocentrici mocciosi? Nemmeno per sogno.
 
«E l’ultimo figlio, Subaru» sento appena il nome dell’ultimo dei ragazzi presenti. Sono ancora ferma con il mio sguardo di ghiaccio su Raito, mentre lui non smonta quel sorrisetto così dannatamente irritante. Alla fine, sposto lo sguardo su Subaru, il primo che ho conosciuto.
 
Dunque, questa è la famiglia Sakamaki, la famiglia con cui dovrò vivere. Ci sarà molto da fare e parecchi caratteri da rimettere in riga. Vedremo alla fine chi abbandonerà il proprio temperamento

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Sono nella stanza che mi è appena stata mostrata da Reiji. È abbastanza spaziosa, un letto matrimoniale a baldacchino appoggiato al muro, il bagno privato, un enorme armadio e una splendida porta-finestra che si apre su un balcone. Anche il panorama è da mozzare il fiato: un giardino con un labirinto fatto di cespugli di rose bianche, rosse e nere al cui centro vi è una grande fontana.
 
Mi lancio sul letto e chiudo gli occhi. Troppa gente tutta insieme, e poi hanno qualcosa di strano. I loro occhi mi balenano nella mente come un flash, quante cose ho trovato in quegli sguardi: malizia, pazzia, orgoglio, freddezza, rabbia, noia. Apro gli occhi. Sembrano le mie emozioni, come se quei ragazzi fossero i miei sentimenti personificati. Come dovrei comportarmi con loro?
 
Mi alzo dal letto e guardo l’ora: 18.20. Ci ho messo più tempo del previsto ad arrivare qui. Osservo l’armadio che copre buona parte del muro accanto alla porta del bagno, mi alzo e vado ad aprire le ante. Tantissimi abiti, ma lo stile non è il mio genere. Li sposto lateralmente e recupero la mia valigia, per poi aprirla sul letto, prendo i miei vestiti.
 
«Che stai facendo?» lascio cadere disordinatamente i vestiti dentro la valigia per la sorpresa. Sollevo lo sguardo e seduto sul letto trovo il ragazzo dai capelli rossi. Come si chiamava? Ah si, è quello che pensa di potermi plasmare, Ayato, povero illuso. Ma come diavolo ha fatto a entrare senza che io lo sentissi?
 
«Sei stato molto silenzioso a entrare, non so come tu sia abituato, ma ti pregherei di bussare la prossima volta che vuoi entrare nella mia stanza» dico cominciando a sistemare i vestiti ordinatamente sul letto. «Comunque, inizio a mettere in ordine la mia roba»
 
Lo tengo sotto controllo con la coda dell’occhio, infatti lo vedo allungare una mano e prendere una mia maglietta. La osserva per qualche secondo, poi chiude gli occhi e se la porta sul viso inspirando profondamente. Ma che cazz…?
 
«Che diavolo stai facendo?» sbotto afferrando la maglietta e cercando di togliergliela dalle mani, ma lui la tiene in pugno saldamente. Prima che io possa reagire, dà uno strattone tirandomi verso di sé. In pochi secondi mi ritrovo sopra di lui, mi osserva con un sorrisetto e in una mossa repentina capovolge la situazione bloccandomi con il suo corpo.
 
«Levati di dosso!» sto per sferrargli un ceffone in pieno viso, ma lui mi blocca i polsi sul materasso. Osservo i suoi occhi che brillano di una luce inquietante, quasi famelica.
 
«Il tuo profumo…» sussurra chiudendo gli occhi. Abbassa il viso lentamente verso di me e lo strofina sul mio collo, io non reagisco per qualche secondo, curiosa di questo comportamento. «Potrebbe farmi perdere la testa» ritorna a puntare il suo sguardo nel mio e questa volta vedo chiaramente nel suo ghigno i canini troppo lunghi e affilati per un essere umano. Spalanco gli occhi. Lui mi guarda come fossi il suo dolce preferito, continua a tenermi saldamente per i polsi, mentre si abbassa di nuovo sul mio collo aprendo la bocca.
 
Il mio corpo scatta, gli tiro una forte ginocchiata all’altezza dello stomaco e mi divincolo dalla sua presa allentatasi per il dolore. Mi allontano da lui.
 
«Tu che cosa sei? Nessun essere umano può avere dei canini simili…» mi sposto verso la porta, pronta a uscire al minimo movimento sospetto. Ayato si riprende in fretta e mio osserva con un sorriso maligno muovendosi con passo felpato verso di me.
 
«Non osare avvicinarti!» urlo fulminandolo con uno sguardo di ghiaccio. Lui non si ferma, sembra sordo alle mie parole.
 
«Non avresti dovuto farlo, adesso sarò costretto a farti male» risponde non curante delle mie parole.
 
«Non ti avvicinare ho detto!» ripeto sempre a voce alta, mentre continuo a indietreggiare verso la porta. In uno scatto fulmineo me lo ritrovo davanti, quasi come se si fosse teletrasportato.
 
«Credi davvero di essere nella posizione per poter dare ordini?» mi sussurra guardandomi dall’alto in basso. «Hai ragione, non sono umano, vediamo se ci arrivi da sola…» mi prende nuovamente i polsi immobilizzandoli dietro la schiena, nonostante io cerchi di allontanarmi da lui che non me lo permette, mi stringe invece contro di sé facendo aderire i nostri corpi.
 
«Scollati se non vuoi che questa volta la ginocchiata arrivi più in basso rispetto allo stomaco!» lo minaccio in un ringhio, di nuovo non mi ascolta e questa volta mi rendo perfettamente conto di come io non possa muovere le gambe liberamente, il mio bacino è attaccato al suo. Sento il suo fiato sul mio collo, e in quel momento capisco, lo sento desiderare il mio sangue. Un vampiro… ma dove cazzo sono capitata? Mi lecca il collo lentamente, dall’incavo della spalla fino a sotto la mandibola.
 
«Ayato, stiamo aspettando voi» il vampiro si blocca sentendosi chiamare. Guardo anch’io verso la provenienza della voce, Reiji è in piedi a pochi passi da noi. Sempre composto e ordinato.  Dubito fortemente che solo il rosso sia un vampiro, probabilmente anche tutti gli altri… me ne devo andare da questo posto.
 
«Reiji… sei un guastafeste, potevi unirti» borbotta seccato Ayato. Non appena mi lascia libera, mi allontano da loro e ributto tutto dentro la valigia alla rinfusa, per poi chiuderla velocemente. Noto immediatamente sul letto una divisa che non mi appartiene.
 
«Cambiati ragazzina, anche tu devi venire a scuola» blocco i miei movimenti quando sento questa frase e mi volto con lentezza. Osservo con i miei occhi di ghiaccio il viso serissimo di Reiji.
 
«Siete tutti dei vampiri qui dentro, non è vero? E tu pensi che io resterò qui dentro a farmi dare ordini e farvi da riserva di sangue? Sei fuori strada, caro il mio vampirello maniaco di ordine ed etichetta» afferro la valigia e mi incammino verso la porta proprio in mezzo ai due. Il braccio di Reiji mi blocca la strada, lo fulmino nuovamente.
 
«Permesso»
 
«Dove pensi di andare?» chiede lui con voce cupa senza spostarsi o scomporsi. Faccio un sorrisetto di scherno. Davvero non ci arrivi? Eppure pensavo avessi un minimo di intelligenza, ma a quanto pare mi sono sbagliata.
 
«Allora fammi pensare…» porto un dito vicino al labbro picchiettando un paio di volte fingendo di pensarci. «Ah si, fuori di qui» riafferro la valigia e sposto il suo braccio dalla mia strada.
 
«Prima che tu vada ti devo avvertire» mi fermo e alzo gli occhi al cielo. Calma Lilith, non ti agitare, stallo a sentire ancora per poco poi vattene e fregatene. Prendo un respiro profondo che mi trattiene la voglia di rispondergli con velenosa ironia, per poi voltarmi in ascolto.
 
«Se uscirai da questa casa ti verremo a riprendere e riceverai una punizione» incrocia le braccia, la serietà che straborda dai suoi occhi. Sollevo un sopracciglio e scoppio in una subdola risata di scherno.
 
«E cosa vorresti fare, damerino? Sculacciarmi?» mi pongo, con una mano sul fianco e aria di sfida, proprio di fronte a lui che mi guarda senza cambiare di una virgola la sua espressione. Mi alzo sulle punte per arrivare a far quasi sfiorare i nostri visi e sussurro: «Tu non hai alcun potere su di me»
 
Mi allontano, riprendo la valigia per l’ennesima volta, ed esco sbattendo forte la porta. Che provino pure a trattenermi qui, non ci riusciranno!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Mi incammino svelta e silenziosa per i lunghi e bui corridoi della villa, tutti i miei sensi sono all’erta, pronti a captare qualsiasi rumore o movimento intorno a me. Arrivo nel grande salone dove li ho conosciuti tutti, Shu è ancora lì sdraiato con la musica, lo ignoro e continuo con la mia marcia.
 
«Non ci sottovalutare» non mi fermo nemmeno quando lo sento parlare. Non mi importa più nulla, voglio solo uscire di qui.
 
«E voi non sottovalutate me» sussurro certa del fatto che lui mi abbia sentito perfettamente. Apro il grande portone d’uscita ed esco esponendomi al vento freddo. Chiudo gli occhi godendomi il gelo invernale, il gelo del giorno del mio compleanno, lo stesso gelo che spesso alberga nel mio cuore e che dilaga tramite i miei sguardi. Non ho tempo da perdere.
 
Attraverso il giardino con decisione ed esco dal cancelletto laterale, di fianco al grande cancello d’entrata per le macchine. Inspiro l’aria della libertà, mi volto per un attimo a guardare la grande villa.
 
«Adios, branco di pazzi squilibrati» sussurro portando due dita alla fronte e allontanandole in un cenno di saluto simile a quello militare. Mi incammino per strada decisa a non tornare indietro.
 
∞∞∞
 
Bastano una ventina di minuti per raggiungere un po’ di civiltà, non ho molti soldi con me, quindi l’unica soluzione per sopravvivere è trovarsi un lavoro. Mi guardo intorno, ormai è già buio, ma le strade brulicano ancora di gente. Cammino ancora per la strada senza una meta, forse potrei tornare all’orfanatrofio. Ci ho passato 16 anni della mia vita e dovrei tornarci? Non ci posso credere…
 
«Ti è piaciuto il tuo momento di libertà?» riconosco immediatamente la voce. Mi volto alla sua ricerca e lo trovo a pochi metri da me appoggiato a un muro. Stringo i denti.
 
«Come hai fatto a trovarmi?» ringhio fermandomi e togliendomi dal bel mezzo del marciapiede. Subaru si stacca dal muro e mi viene incontro ponendosi proprio di fronte a me, mi osserva con quei suoi occhi di fiamme ancor più inquietanti a causa della rabbia palpabile che lo circonda.
 
«Il tuo sangue, ha un profumo invitante e unico, come fosse estratto di rose rosse… di una qualità palesemente superiore rispetto a qualsiasi altro» dice lui con ovvietà quasi infastidito dalla mia domanda.
 
«Ora ti riporto a casa» conclude avvicinandosi ulteriormente. Bella battuta.
 
«Tu non mi porti proprio da nessuna parte» dico con la massima tranquillità e un sorrisetto stampato in viso. Lui mi guarda, bloccandomi con quello sguardo infuocato carico di rabbia, mi blocco osservandolo, così opposto al mio.
 
«Ti spiego come funziona la catena di comando: noi diciamo cosa devi fare e tu lo fai. Fine della catena» ringhia assottigliando lo sguardo.
 
«Ti spiego come funziona la mia vita: io faccio quel cazzo che mi pare e voi ne restare fuori» controbatto acida. Sto per voltarmi per andarmene quando lui mi prende un braccio facendomi girare con uno strattone. Afferra il mio viso mettendolo a pochi centimetri dal suo così che io possa annegare in quell’Inferno che c’è nei suoi occhi ed proprio quello che faccio, restandone incantata.
 
«Questo tuo gioco di botta e risposta mi intriga parecchio… ma ti metterai nei guai, anzi ci sei già, nessuno di noi ha preso bene la tua fuga» sussurra con voce grave, io non riesco a distogliere lo sguardo dal suo e dopo pochi attimi tutto intorno a me si appanna. Come fossi in un dipinto su cui è stata rovesciata dell’acqua, è tutto sbiadito e non riesco più a distinguere i lineamenti del viso di Subaru. Sento le forze che mi abbandonano e le gambe che cedono, ma non l’impatto col suolo, un paio di braccia forti fermano la mia caduta. Buio.
 
∞∞∞
 
Sento un sobbalzo, come se il terreno sotto di me stesse tremando. Esito ad aprire gli occhi, ancora piuttosto stordita, mi muovo lentamente per far riprendere i miei arti indolenziti. Socchiudo gli occhi sbattendo le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco ciò che mi circonda.
 
«Era ora che ti svegliassi» di fronte a me trovo Reiji che mi guarda con la sua solita serietà. Spalanco gli occhi e guardo in giro, ci sono tutti, siamo dentro una macchina a giudicare dal paesaggio che scorre fuori dai vetri. Cosa ci faccio di nuovo qui, con loro? Il mio sguardo finisce sulla figura di Subaru a braccia conserte e occhi chiusi appoggiato allo schienale del sedile.
 
«Tu, maledetto vampiro che il Diavolo ti porti! Come hai osato riportarmi in mezzo a voi?!» mi alzo di scatto andando a sbattere con la testa sul tetto dell’auto. Sento le risatine di Ayato e Raito, gli dedico una semplice occhiata infuriata, per poi tornare su Subaru ed anche lui ha un sorrisetto divertito sul viso.
 
«E tu ridi…» lo guardo spaesata per un secondo restando un po’ chinata per non sbattere la testa nuovamente, poi la rabbia mi travolge. «Ma io ti ammazzo!» gli vado incontro come una furia e lo afferro per il bavero della maglietta sollevando un pugno, pronta a indirizzarglielo dritto in faccia. Lui non si degna nemmeno di aprire gli occhi e questo mi fa infuriare ancora di più, stringo i denti e scaglio il colpo con tutta la forza che ho in corpo. Lui socchiude gli occhi e in un lampo stringe la mia mano nella sua a un soffio dal suo viso.
 
«Pensavi davvero che saresti riuscita a colpirmi con un pugno così fiacco?» dice lui tranquillo. Irrigidisco la mascella, quando un pensiero mi balena della mente. Libero la mia mano dalla sua stretta e mi tasto il collo in cerca di morsi. Non trovo nulla. Meglio per loro, devo trovare comunque un modo per andarmene.
 
«Siediti ragazzina, non causarci altri problemi, a causa tua siamo in ritardo per la scuola» Reiji si aggiusta gli occhiali sul naso rimproverandomi come fossi una bambina. Lo guardo attentamente, è tranquillo e non sembra importargli minimamente della mia opinione.
 
«Oh beh, se mi avessi lasciato andare, saresti in perfetto orario sulla tua tabella di marcia» rispondo subito.
 
«I tuoi modi sono deplorevoli, devi imparare a ubbidire senza rispondere e devi impararlo in fretta» accavalla elegantemente le gambe e mi squadra con sguardo freddo. Mi siedo accanto a Raito dove prima ero sdraiata priva di sensi, solo in quel momento mi accorgo di indossare la divisa che avevo visto adagiata sul letto di quella camera. Non ci posso credere… mi hanno cambiato loro! Sento la rabbia dilagare nuovamente nel mio corpo facendolo fremere, ma faccio un respiro profondo e cerco di non pensarci. Accavallo le gambe anch’io e osservo Reiji imitando la sua posizione.
 
«Sarò molto chiara: l’ubbidienza non è tra le mie caratteristiche, sfortunatamente per voi, e la sottomissione a qualcuno è contro la mia natura, il mio nome ne è un’ulteriore conferma» continuo a sfidarlo con lo sguardo, poi faccio un sorrisetto di scherno. «Oppure l’ignoranza dilaga e non sapete nemmeno l’origine del mio nome?»
 
«Due religioni parlano di Lilith, quella mesopotamica e l’Ebraismo. Nella religione mesopotamica Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte. La figura di Lilith appare inizialmente in un insieme di demoni e spiriti legati al vento e alla tempesta. Per gli antichi ebrei Lilith era la prima moglie di Adamo, quindi precedente ad Eva, che fu ripudiata e cacciata via dall’Eden, il Paradiso terreste, perché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla specie sessualmente, inoltre compare nell’insieme di credenze dell’Ebraismo come un demone notturno» racconta senza battere ciglio Reiji e per qualche attimo mi stupisce facendomi perdere il sorriso. Maniaco dell’ordine, dell’etichetta e pure dello studio, ma bene. Mi riprendo immediatamente non dandogliela vinta.
 
«Oh ma che bravo, e ovviamente anche tutti gli altri fratellini avrebbero saputo dirmelo, giusto?» rivolgo il mio sguardo a ognuno di loro. Ayato fa una smorfia.
 
«Cosa vuoi che ce ne freghi dell’origine del tuo nome?» dice con noncuranza e facendo un gesto della mano, come per scacciare l’argomento.
 
«Giusto, sgualdrina, a noi non importa del tuo nome, a noi importa del tuo dolce sangue» continua Raito scivolando verso di me sul sedile. Avvicina il viso al mio petto con un sorriso malizioso, mi prende un fianco per farmi voltare verso di lui. Lo faccio avvicinare fino a quando non sento il suo fiato sulla mia pelle, poi gli prendo il viso sollevandolo all’altezza del mio.
 
«Come si dice… molto alla lontana» lo guardo negli occhi soffiando sulle sue labbra. Lo allontano spingendolo nuovamente al suo posto, lui continua a guardarmi con un’espressione stranamente seria rispetto al suo solito.
 
«Siamo arrivati» afferma Reiji dopo attimi di completo silenzio, mentre l’auto comincia a rallentare per poi fermarsi. Scendiamo tutti e davanti ai miei occhi vedo un enorme edifico a forma di U. I sei vampiri sono dietro di me. Per adesso non posso tentare una fuga, ma presto riuscirò ad andarmene, più presto di quanto loro credono.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Una volta dentro l’edifico, Reiji indica la mia classe che dovrebbe essere la stessa di Raito. Osservo tutta la gente che gira qui dentro, non sono solo vampiri, ma anche altre creature di cui non sono interessata a conoscere la natura. Mi stupisco nel vedere anche qualche umano, molti sono facili da riconoscere, tengono lo sguardo basso e seguono senza fiatare uno o due di quegli esseri che solitamente si trovano solo nei libri e nei film.
 
Anch’io seguo Raito che mi conduce verso la nostra classe, la differenza tra me e gli altri umani è che io gli cammino di fianco e il mio sguardo è puntato dritto davanti a me. Chissà se qualcuno era come me prima di incontrare questi tizi… Lilith, non pensare cose strane, non ti farai sottomettere, punto e fine della storia.
 
Raito lancia un’occhiata alle nostre spalle, ma Reiji e gli altri fratelli non ci sono già più. Lo vedo fare un’espressione che non mi piace per niente, Infatti mi afferra un braccio e mi tira dietro un angolo.
 
«Ti va di divertirti?» mi domanda con una strana luce negli occhi e il suo immancabile sorrisetto malizioso. Lo guardo scettica.
 
«Dipende da cosa intendi tu per “divertimento”?» incrocio le braccia osservandolo attentamente.
 
«Beh, io non ho alcuna intenzione di entrare in classe, oggi non ne ho proprio voglia, inoltre siamo troppo in ritardo» solleva le spalle. Scansafatiche. «Io vado a farmi un giro, se vuoi vieni con me, a meno che tu non preferisci restare qui con il pericolo di incontrare gente che molto probabilmente non esiterà un secondo ad attaccarti per farti chissà cosa, a te la scelta» conclude cominciando a camminare tranquillamente con le mani nelle tasche della giacca.
 
Lo guardo per qualche secondo. La scelta sembrerebbe facile, poiché se mi attaccassero in gruppo avrei poche possibilità di uscirne illesa, con lui potrei riuscire a difendermi. Non mi fido per niente, potrei anche andare in classe, ma sono curiosa di vedere dove mi porterebbe.
 
Maledico la mia curiosità, mentre gli vado dietro. «Aspetta» dico e subito lui si ferma voltandosi con un sorriso soddisfatto.
 
«Si?» dice assottigliando lo sguardo, come se già sapesse che l’avrei fermato.
 
«Vengo con te» lo raggiungo affiancandolo, lui non distoglie lo sguardo da me continuando a guardarmi con la coda dell’occhio anche mentre camminiamo fianco a fianco per i corridoi della scuola. Usciamo sul tetto della scuola.
 
«Wow…» sussurro osservando la splendida luna piena circondata di stelle luminose, mi appoggio alla ringhiera. Amo la notte, è così serena, anche se fredda. Raito è poco distante da me, ha gli occhi chiusi e il viso rivolto al cielo.
 
«Luna adesso sei madre,
ma chi fece di te una donna non c’è…»
 
Senza nemmeno accorgermene inizio a intonare una vecchia canzone che ho sentito tanti anni fa, non ricordo neppure chi fosse a cantarmela, eppure di fronte a questa notte mi è ritornata improvvisamente in mente. Percepisco lo sguardo di Raito su di me e i suoi passi avvicinarsi, mi affianca restando in silenzio.
 
«Dimmi luna d’argento,
come lo cullerai se le braccia non hai?
Figlio della luna..»
 
Finisco il ritornello della canzone e mi volto verso il vampiro al mio fianco che è rimasto ad osservarmi ed ascoltarmi in silenzio.
 
«Che cos’era?» domanda di punto in bianco.
 
«Una canzone che ho sentito da bambina e che questa notte stellata ha riportato alla luce. Racconta di una giovane gitana che prega la luna per riavere indietro l’uomo di cui è innamorata, essa accetterà di riportarglielo solo se il suo primo figlio andrà a stare con lei» spiego girandomi e appoggiandomi con la schiena alla ringhiera. Lo sento semplicemente mugugnare, mi volto verso di lui nuovamente, ma questa volta trovo il suo viso a pochi centimetri dal mio. Cerco immediatamente di spostarmi, ma lui mi trattiene per un braccio bloccandomi tra il suo corpo e la ringhiera con la sua gamba destra tra le mie. Mi blocca i polsi dietro la schiena stringendomeli fino a farmi male, eppure io continuo a divincolarmi per sfuggire dalla sua presa.
 
«Io non mi agiterei così tanto se fossi in te, alle tue spalle c’è un salto di almeno dieci metri» si piega in avanti obbligando così me a inarcare la schiena, vedo con la coda dell’occhio l’altezza dell’edificio. Cadere di qui equivale a una gamba rotta assicurata, vigliacco!
 
«Era questo che volevi, non è vero? Bere il mio sangue senza che qualcuno ti interrompa! Beh, mi dispiace per te, ma non ti renderò l’impresa facile» sbotto innervosita, lui sta già annusando la mia pelle, con la mano libera mi stringe un fianco, il che mi da abbastanza fastidio.
 
«Mi chiedo come farai a impedirmelo, sgualdrina» chiude gli occhi inspirando profondamente e serrando ancora di più la presa sui miei polsi, facendomi stringere i denti per il dolore.
 
«Così» esclamo decisa prima di dargli una forte testata. Allenta la presa immediatamente sui miei polsi e indietreggia di qualche passo preso di sorpresa, io colgo l’occasione senza esitare e lo spingo lontano da me, per poi iniziare a correre verso la scala da cui siamo saliti. Purtroppo non faccio molta strada, Raito si para di fronte a me ad una velocità tale che non riesco a fermarmi in tempo e gli vado a sbattere contro, finendo per terra.
 
«Eh no, sgualdrina, non ci penso proprio a lasciarti scappare» si mette a carponi su di me bloccandomi le braccia al suolo. «Sai, forse è per la luna piena, ma mi sto eccitando un po’» dice in un gemito. Fa in modo di bloccarmi le braccia sopra la testa con solo una mano, con l’altra apre due bottoni della divisa. Sto per rifilargli un “non oserai andare oltre”, ma mi mordo la lingua, sono certa che la prenderebbe come una sfida. Mi rendo conto in fretta che non posso fare più nulla per impedirgli di bere il mio sangue.
 
«Hai finito di agitarti? Incredibile» mi guarda subdolamente, non gli rispondo. Mi lecca lentamente l’incavo del collo, tiene gli occhi chiusi mentre si gusta il mio sapore e il mio essere così indifesa ai suoi occhi.
 
«Sarà un piacere imprimere sulla tua candida pelle vergine il primo morso, essere il primo a farti provare tali emozioni» ansima nel mio orecchio. Mi guarda per un’ultima volta per poi senza esitazione affondare i suoi canini nel mio collo. Sento un dolore acuto, diverso dagli altri, è una sensazione orribile, come se ti stessero risucchiando via le energie e la vita. Attraverso il suo morso avverto le sue amozioni: eccitazione, soddisfazione, desiderio. Chiudo semplicemente gli occhi non emettendo un singolo suono. Non ti darò questa soddisfazione, non ti mostrerò il mio dolore, è questo che ti eccita non è vero? L’idea di vedermi sofferente sotto i tuoi canini, ma non accadrà!
 
«Il tuo sangue… è il più dolce che abbia mai sentito, dà una tale energia» afferma per poi tornare sul mio collo.
 
«Hai perso la voce, sgualdrina?» sussurra sulla mia pelle e morde di nuovo. Stringo i denti in un’espressione di dolore, ma subito torno a mostrare solamente la mia facciata più fredda, quando lui si stacca per osservarmi. Per un attimo perde il sorriso malizioso che lo caratterizza. Una goccia di sangue scivola giù dalle sue labbra rigandogli il mento e cadendo sul mio viso inespressivo.
 
«Che c’è? Ti aspettavi che mi disperassi per il dolore e ti pregassi di smetterla? Spiacente, hai sbagliato preda» dico sorridendo perfida. Lui non si scompone e ritorna con i canini affilati su di me, li affonda più in profondità, più forte, incredibilmente vicino al seno. Dolore, altro dolore, ancora più acuto. Lilith, resisti, devi solo pensare ad altro. Mi concentro dunque sulle stelle sopra di noi, finché non inizia a girarmi la testa e la vista comincia ad appannarsi.
 
«Ora smettila, Raito, lasciala andare» mi volto verso la provenienza della voce, nonostante i miei occhi vogliano chiudersi, lotto ancora per tenerli aperti.  Incontro il suo sguardo, tra tutti era l’ultimo che pensavo sarebbe venuto ad aiutarmi. Quegli occhi, quel viso e quell’espressione mi fanno quasi scordare del vampiro che è sopra di me.

Alla fine chiudo gli occhi. Una cosa mi stupisce incredibilmente: ora il buio ha i suoi occhi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Riapro gli occhi lentamente e davanti al mio sguardo trovo solo il soffitto, riconosco i grandi affreschi che ci sono disegnati. Mi sollevo di scatto, ma subito un giramento di testa mi fa riaccasciare sul letto. Dannazione, di nuovo qui.
 
«Bevi questo» trovo Reiji seduto sul letto accanto a me. Mi porge un succo di frutta ai mirtilli, io lo osservo dubbiosa.
 
«Cos’è? Avvelenato? Ci hai diluito dentro una droga per impedirmi di ribellarmi ai vostri morsi?» mi tasto il collo e stringo i denti leggermente quando sfioro le ferite lasciate dai canini di Raito.
 
«Ti aiuterà con l’anemia» taglia corto poggiandolo sul comodino. «Dovrai berne uno al giorno» conclude alzandosi dal mio letto. Si avvia verso la porta e sta per uscire, quando lo fermo.
 
«Perché io?» mi metto seduta dove poco prima c’era lui e lo osservo attentamente. Mentre mi tolgo le coperte di dosso, noto di indossare la mia camicia da notte di pizza nero, sbuffo sonoramente. Frugano pure nella mia borsa? Dobbiamo accordarci io e questi ficcanaso senza ritegno.
 
«Perché tu, cosa?» chiede voltandosi verso di me. Mi copro nuovamente le gambe nude con le coperte, sono consapevole che ci sia la possibilità che mi abbia cambiato proprio lui, però non posso farne a meno.
 
«Vorrei sapere perché avete scelto proprio me» spiego più chiaramente. È una domanda che mi assilla da parecchio, anche se ho paura di ricevere una risposta che non voglio sentire.
 
«Solitamente la sposa ci viene offerta o mandata dai genitori stessi, eppure questa volta non è successo, quindi siamo andati all’orfanatrofio e il tuo sangue ci ha attratto come api al miele, ma eri troppo giovane, forse non te ne ricordi nemmeno» mi chiede conferma con lo sguardo ed io annuisco. «Abbiamo chiamato e richiesto la tua adozione, tu eri destinata a noi, destinata ad appartenerci e il tuo sangue di qualità ne è una prova»
 
Stringo le lenzuola nei miei pugni facendomi quasi male per la forza che metto in quella stretta. Destinata a loro, ad appartenere a loro? Stronzate!
 
«Io appartengo a me stessa» sibilo a bassa voce con i nervi a fior di pelle. «Inoltre, vi dispiacerebbe smetterla di cambiarmi voi? Sono capace di farlo da sola» aggiungo indicando la mia vestaglia.
 
«Tu forse dormi con la divisa per la scuola?» chiede dubbioso.
 
«Beh no, ma… non intendevo questo» affermo sollevando le braccia frustata e roteando gli occhi.
 
«Considerando il fatto che tu eri svenuta abbiamo provveduto a cambiarti noi»
 
«Oh grazie ma come siete gentili, schifosi ficcanaso maniaci» sussurro schifata tra i denti.
 
«Prego?» dice lui guardandomi severamente. Oh magnifico, pure il superudito hanno questi. Faccio finta di niente e rispondo.
 
«Non è questo il punto, posso tranquillamente cambiarmi da sola una volta sveglia» lo fulmino con lo sguardo, mentre lui non batte ciglio. «Vorrei anche precisare che è colpa del tuo caro fratellino Raito se io sono svenuta»
 
Solamente rammentando quella scena mi torna in mente chi mi ha aiutato. Abbasso lo sguardo pensandoci. Dovrei ringraziarlo? Sarebbe giusto, se non fosse arrivato lui probabilmente Raito avrebbe continuato. Torno a guardare dove poco prima c’era Reiji, ma lui è già scomparso senza lasciare traccia.
 
Mi alzo dal letto e mi metto un paio di leggins e la maglietta con la scritta “Music is life”, al posto della vestaglia. Non ci penso proprio ad andare in giro per questa casa indossando una cosa simile con quei dannati vampiri maniaci che girano. Infilo i miei amati stivaletti neri di pelle ed esco dalla stanza, per poi guardarmi intorno ed avviarmi per i corridoi a passo spedito. Raggiungo la porta della sua stanza in poco tempo e mi ci fermo davanti.
 
«Coraggio, lo sai che è la cosa giusta da fare» sussurro a me stessa, mentre prendo un respiro profondo. Sento il mio subconscio che mi suggerisce di fregarmene di ciò che è giusto o meno e andarmene subito nella mia stanza. Non appena sollevo la mano per bassare, la serratura scatta e la porta si apre mettendomi faccia a faccia con lui.
 
«Cosa vuoi?» lascia la porta aperta mentre ritorna dentro la stanza voltandomi le spalle. Ma questo non sorride mai? Per carità, non spero che diventi come Raito che ha quell’irritante sorrisetto malizioso tutto il giorno, ma un minimo… lui e Reiji anche.
 
«Volevo solo ringraziarti per prima, Subaru» resto sulla soglia appoggiandomi allo stipite della porta. Lo vedo sedersi accanto alla finestra e guardare fuori disinteressato.
 
«Non fraintendere il mio gesto, non ero certo che Raito ti avrebbe lasciata andare tanto presto e questo probabilmente avrebbe impedito a tutti noi di nutrirci di te per un tempo indeterminato, visto che ti saresti dovuta riprendere o avresti rischiato la morte. Volevo solo evitare questa situazione, non mi importa assolutamente niente di te» spiega menefreghista. Roteo gli occhi irritata. Già mi aspettavo una risposta simile, cos’altro avrebbe potuto dirmi? “L’ho fatto per te, perché ho provato pietà per una povera ragazza tra le grinfie di un pazzo pervertito”?. Meglio così però, l‘ultima cosa che voglio è che qualcuno provi pietà per me. Sorrido tra me e me scuotendo la testa.
 
«Al contrario di voi vampiri, io ho un codice morale, non importa il motivo per cui mi hai aiutata, ho un debito con te e questa cosa non mi piace per niente» mi passo una mano tra i capelli e li scompiglio. Subaru si volta verso di me squadrandomi attentamente.
 
«Cos’è quel sorrisetto?» chiede improvvisamente dopo attimi di silenzio che passiamo a osservarci a vicenda. Sollevo le spalle.
 
«Niente, pensieri» rispondo vaga scacciando l’argomento con un gesto della mano. Lui si volta verso di me del tutto, appoggiandosi con le mani al divanetto posto appena sotto la finestra.
 
«Che genere di pensieri?» assottiglia lo sguardo. Lo guardo con un sopracciglio alzato facendo scomparire il sorriso dal mio viso.
 
«Qui dentro avete tutti un udito sopraffino, sentite i miei sussurri a una distanza da cui un normale essere umano non vedrebbe nemmeno il movimento delle labbra, frugate tra le mie cose e mi cambiate quando vi pare e piace… i pensieri sono l’unica cosa che posso tenere davvero per me e tu pensi che te li venga a dire?» dico ovvia, poi mi stacco dallo stipite e mi liscio la maglietta accartocciata in certi punti per la posizione. «Comunque, quel che dovevo fare l’ho fatto, ora se vuoi scusarmi»
 
Esco completamente dalla sua stanza e chiudo la porta, continuo a vedere i suoi occhi fissi su di me finché la porta non è completamente chiusa. Prendo un respiro profondo e ritorno nella mia stanza. Ho bisogno di una doccia… sperando che non entrino mentre mi lavo, altrimenti stavolta per davvero cavo gli occhi a tutti, letteralmente!
 
Entro dentro il bagno e mi lavo velocemente. L’acqua calda mi rilassa tutti i muscoli in tensione e fa scorrere via per qualche tempo le preoccupazioni. Esco dal box della doccia e dopo essermi asciugata velocemente mi metto la mia vestaglia per la notte, torno in camera mentre mi strofino i capelli con un asciugamano.
 
Subaru è sdraiato sul mio letto tranquillamente, mi blocco non appena lo vedo. Spalanco gli occhi. Devono imparare delle cazzo di buone maniere questi, santo dio!
 
«Cosa c’è?» chiedo stringendo l’asciugamano tra le dita. Lui apre gli occhi e si solleva con il busto, lo vedo aprire leggermente di più gli occhi non appena il suo sguardo raggiunge la mia figura.
 
Non ho nemmeno il tempo di un respiro che subito mi trovo schiacciata contro la parete, con le sue mani sulle spalle e il suo viso a pochi centimetri dal mio. Respira velocemente, mentre mi osserva con voracità.
 
«Lasciami andare, Subaru!» gli tolgo le mani dalle mie spalle con una mossa veloce, ma subito lui mi fa girare di schiena spingendomi nuovamente contro il muro freddo. I miei polsi sono bloccati dalle sue mani, il suo corpo aderisce al mio impedendomi qualsiasi movimento.
 
«Hai detto di essere in debito con me, giusto? Bene, ora lo salderai» non aspetta un secondo dopo quella frase, affonda immediatamente i canini nella carne del mio collo. Di nuovo quella sgradevolissima sensazione della vita che abbandona il mio corpo.
 
«Sei un vigliacco!» affermo con i denti stretti per il dolore, lui stringe la presa sulla mia vena principale. Serro i pugni per trattenere qualsiasi suono che spinge per uscire dalla mia bocca e dargli la soddisfazioni di vedere il mio dolore.
 
«Sono un vampiro, è la mia natura» sussurra lasciandomi per un attimo, per poi ritornare a bere mordendo all’altezza della spalla. Socchiudo gli occhi quando comincio ad avvertire le sue emozioni nella mia testa: rabbia, violenza, ma, con mio grande stupore, sento anche un’immensa tristezza e solitudine. Cerco di liberarmi strattonando le braccia, ma così il mio dolore aumenta solamente, così mi immobilizzo e lo osservo con la coda dell’occhio. Ne resto sconvolta, quando intravedo sul suo viso una traccia di sofferenza.
 
«Più ti agiti, più farà male» dice senza staccarsi, ignoro quella frase e schiudo i pugni cercando di rilassarmi.
 
«La natura può essere cambiata» dico seria, in quell’istante sento la stretta sul mio collo e sui miei polsi affievolirsi e con essa anche il dolore. In un attimo mi libero dalla sua presa sfuggendogli, mi allontano di qualche passo, ma le mie gambe non mi reggono e sono costretta ad appoggiarmi al muro con la testa che gira vorticosamente. Lo osservo, è rimasto dov’era prima, mi ha solo seguita con lo sguardo. Una goccia di sangue gli macchia il mento e qualche chiazza sulla maglietta. Mi piego sulle ginocchia finendo per terra, mentre il mio respiro si sta facendo pesante. Lo intravedo fare qualche passo verso di me.
 
«Non ti avvicinare, ho ripagato il mio debito così, vattene immediatamente» ringhio guardandolo con disprezzo. Sembra bloccarsi notando la freddezza del mio sguardo. Cerco di alzarmi per andare a letto, ma le gambe cedono nuovamente facendomi cadere. Non raggiungo terra, un braccio di Subaru mi sostiene per la vita.
 
«Ti ho detto di starmi lontano, ce la faccio da sola, non ho bisogno del tuo aiuto né dell’aiuto di nessuno» cerco di scostarmi dalla sua presa, ma lui mi prende anche le gambe sollevandomi completamente. Sto per controbattere nuovamente, ma lui mi precede.
 
«Taci, non raggiungerai nemmeno il letto così» smette di guardarmi in viso e punta il suo sguarda davanti a sé cominciando a camminare. Non rispondo più, non ne ho nemmeno la forza né la voglia.
 
Mi appoggia al letto e mi compre, io continuo a tenere gli occhi chiusi eppure il mio respiro non accenna a tornare normale. Resto immobile e nel più completo silenzio, dev’essersene andato. Era ora, non ce la faccio più, voglio solo dormire.
 
Un paio di labbra morbide ma fredde entrano in contatto con le mie. Spalanco immediatamente gli occhi e trovo uno sguardo di fuoco e fiamme di fronte al mio. Muovo leggermente la testa, ma lui mi trattiene con una mano sul mento obbligandomi a schiudere le labbra. In quel momento, un liquido fresco scorre nella mia bocca tramite la sua, sono costretta a ingoiare se non voglio soffocare. Non appena l’ho mandato giù, lui si scolla immediatamente. Sto per dire qualcosa, ma lui scompare senza lasciare traccia. Lasciandomi sola frastornata, senza sapere cosa pensare.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Mi sveglio con il brontolio della mia pancia che implora qualcosa da mangiare. Sono ancora stordita e addormentata, mi guardo intorno sbattendo più volte le palpebre. Sul comodino trovo il succo di mirtilli che Reiji mi ha lasciato il giorno prima, è aperto e in parte vuoto. Come un flashback mi tornano in mente gli avvenimenti accaduti poco prima che mi addormentassi. Subaru che beve il mio sangue, Subaru che mi prende in braccio quando sono crollata per terra, Subaru che mi porta a letto coprendomi, Subaru che mi bacia… mi prendo la testa tra le mani scuotendola vigorosamente. No, no, no. Lo ha fatto per farmi bere quel maledetto succo di mirtilli, si è approfittato della situazione.
 
«Dannazione…» sussurro, afferro il succo di frutta e lo bevo in pochi sorsi. Mi alzo dal letto e vado verso la finestra per poi spalancare le tende. Socchiudo le labbra per lo stupore e mi blocco a osservare il tramonto, la mescolanza di colori rapisce il mio sguardo. Afferro la coperta del letto per poi avvolgermici e uscire in balcone. Inspiro profondamente l’aria gelida che entra nei miei polmoni regalandomi un brivido, mi stringo la coperta calda sulle spalle e intorno al collo, non mi va proprio di beccarmi un raffreddore. Osservo il tramonto per qualche altro secondo e torno dentro richiudendo la porta-finestra.
 
Frugo nella mia valigia e in una tasca cucita appositamente per quello trovo il mio block notes e le mie matite, osservo attentamente i colori, poi li lascio nella valigia prendendo solo la matita e le varie sfumature di nero. Mi siedo per terra avvolta nella coperta e, dopo aver osservato per qualche minuto il mix di colori, la mia mano inizia a muoversi incontrollata. Traccia linee, sfuma, calca, sfiora, cambia matita e riprende. È come se io non fossi nemmeno lì, non mi sembra di vedere il disegno, la mia testa è occupata interamente da quel tramonto.
 
Una voce lontana si insinua nella mia testa, non distinguo le parole, come fosse un sussurro in una giornata tempestosa, viene portato via dal vento. Una mano mi stringe la spalla scuotendola leggermente, il mio mondo si spezza nemmeno fosse una lastra di cristallo gettata sul pavimento. Sbatto gli occhi ripetutamente e la mia mano sul foglio si ferma immediatamente. Mi giro disorientata.
 
«Cosa…? Cosa è successo?» dico in un sussurro non rendendomi completamente conto di dove fossi, ancora in bilico tra il mio stato di trance e la realtà.
 
«Cosa stavi facendo? Non hai reagito alla mia chiamata, come se la tua mente non fosse nemmeno qui» volto la testa indietro e nella mia visuale entra il viso di Reiji. Lo guardo per qualche secondo, poi riporto i miei occhi sul disegno. Il tramonto in bianco e nero è tra le fauci di una grande e spettacolare pianta carnivora, pronta a divorare chiunque osi avvicinarsi troppo, la parte bassa della pianta è incompleta.
 
«Io stavo…» non concludo la frase fissandomi sul foglio, poi chiudo il block notes in uno scatto. «Niente, guardavo il tramonto» taglio corto alzandomi e notando che il sole è già scomparso lasciando spazio alla candida luna
 
«Cosa ti ha attratto del tramonto? È semplicemente la scomparsa del sole sotto la linea dell’orizzonte» osserva anche lui fuori. Lo guardo frastornata. Come può dare ai tramonti una definizione così fredda e scientifica? Come può essere lui così freddo e scientifico?
 
«Non è così» dico in un sussurro alzandomi e mettendomi di fianco a lui.
 
«Scusa? La definizione di “tramonto” è questa» controbatte scettico, portando il suo sguardo su di me che continuo a guardare fuori.
 
«Sai, è geniale questa cosa che i giorni finiscono. È un sistema geniale. I giorni e poi le notti. E di nuovo i giorni. Sembra scontato, ma c’è del genio. E là dove la natura decide di collocare i propri limiti, esplode lo spettacolo. I tramonti. Per qualche ragione il tramonto mi ha sempre riempito di una sensazione che non sono mai riuscita a spiegarmi o a capire, come di una perdita allo stesso tempo imminente e già avvenuta, e irrimediabile» racconto con un sorriso, Reiji tace e mi osserva stupito. Sorpresa dal silenzio mi volto verso di lui incontrando la sua espressione stupita, gli sorrido di nuovo. Lui sembra riprendersi dopo qualche secondo, si schiarisce la voce e si aggiusta gli occhiali sul naso.
 
«Ti stiamo aspettando per colazione, sbrigati a scendere» si volta avviandosi verso la porta. Colazione? Ah si, sono in una casa di vampiri, è ovvio che si dorme di giorno e si stia svegli di notte. Sorrido scuotendo la testa guardandolo andarsene sempre composto e ordinato.
 
«Sai perché amo il tramonto? Perché sembra che il cielo stia piangendo, nuvole come lacrime e cielo come occhi arrossati. Per questo amo quando il cielo piange, provo a imparare. Restando lì incantata a guardare» aggiungo prima che esca, sento la porta aprirsi e nello stesso momento abbasso lo sguardo sul mio disegno incompleto. «Il cielo, al tramonto, sembra un fiore carnivoro» la porta si chiude.
 
∞∞∞
 
Impiego pochi minuti a prepararmi e in un attimo sto entrando nella sala dove tutti i fratelli vampiri sono già seduti a tavola. Reiji si alza in piedi e mi fa cenno di accomodarmi nell’ultimo posto libero, tra Ayato e Kanato e di fronte a Subaru. Ayato e Raito mi osservano per qualche secondo con un sorrisetto rispettivamente maligno e malizioso mentre mi siedo. Osservo cosa c’è da mangiare: molti dolci. La mia pancia a sentire il profumo delle croissant e dei bignè brontola rumorosamente facendomi ricordare di quanta fame avessi appena sveglia. Comincio a mangiare in silenzio, l’unico suono nella sala viene da Kanato al mio fianco che parla al suo orsacchiotto Teddy.
 
«Sai, piuttosto che tutti questi dolci sarei più incline a qualche goccia del tuo sangue» sussurra Ayato al mio orecchio accarezzandomi la curva del collo con due dita. Poso sul piatto il croissant appena preso e mi volto verso di lui con un sorriso suadente sul viso. Gli accarezzo la guancia con un dito senza distogliere il mio sguardo più dolce dal suo.
 
«Bel viso, begli occhi e bel fisico, peccato che non basti per me» dico in un sussurro a un soffio dalle sue labbra. In un attimo il mio sguardo ritorna gelido ghiaccio, il sorriso ritorna affilato. Gli stringo le guance facendolo restare immobile di fronte a me. «Stammi lontano, vampiro» lo spingo via. Mi guarda stupito per pochi attimi, poi ritorna ad avvicinarsi.
 
«Sei davvero provocante, dolcezza» questa volta non cerca il mio collo, cerca il mio sguardo e il mio viso. Io gli dedico una semplice occhiata.
 
«Non a tavola, Ayato» Reiji lo guarda severamente, il rosso sbuffa e ritorna a sedersi composto. Subaru si alza di scatto, sollevo il mio sguardo verso di lui per la prima volta da quando sono entrata nella sala. Lancia il tovagliolo sul tavolo.
 
«Che scocciatura!» dice a bassa voce andandosene. Per un attimo mi sembra che abbia lanciato una veloce occhiata nella mia direzione, ma subito scaccio quel pensiero come una mosca fastidiosa. Anche Shu si alza e senza dire una parola si allontana con le mani in tasca e la sua inseparabile musica nelle orecchie.
 
«Che maleducazione» sussurra Reiji irritato. Quando anche noi abbiamo finito di mangiare, ci alziamo quasi simultaneamente da tavola, ognuno se ne va per i fatti suoi e anch’io sto per fare lo stesso, ma Reiji mi blocca.
 
«Vieni nel mio studio, devo parlarti» non faccio nemmeno in tempo a chiedergli spiegazioni che è già scomparso. Sospiro annoiata. Tanto se non ci andassi mi verrebbe a prendere lui, giusto? Giusto.
 
Mi avvio su per le scale per raggiungere il suo studio e busso aspettando il suo consenso per entrare che arriva in pochi attimi. Entro e due profumi mi accolgono: the nero e libri. Mi guardo intorno, Reiji è di fronte a una scrivania con un grande libro aperto davanti e svariate provette, poco lontano da lui due poltrone una di fronte all’altra con in mezzo un basso tavolino di vetro, tutto il resto dello spazio è occupato da grandi librerie. Anche se lo spazio non è molto, il posto resta accogliente.
 
«Arrivo subito, puoi accomodarti» continua ad armeggiare con provette che tintinnano e quel libro che sembra molto antico. Guardo le poltrone, ma i miei occhi vengo subito attratti dalle grandi librerie.
 
«Ti dispiace se do un’occhiata ai tuoi libri?» chiedo avanzando tranquillamente. Il mix di profumi è davvero gradevole e rilassante.
 
«Non toccare niente» dice lui senza guardarmi, non è un consenso vero e proprio, ma non me l’ha nemmeno vietato. Mi avvicino ai libri osservando i titoli, sono tutti di scienza, occulto, paranormale, esperimenti, oserei dire anche magia. Dopo qualche minuto in cui osservo attentamente parte delle librerie capisco il metodo di disposizione: ordine alfabetico in base agli autori, divisi nelle librerie in base al genere anch’esso per ordine alfabetico. Una precisione spaventosa, quasi maniacale, non un solo libro fuori posto e c’è uno stacco tra lettera e lettera. Ora capisco l’ordine di non toccare niente.
 
«Finito» sento sussurrare da Reiji, ritorno verso di lui lasciando quella precisione che mi stava praticamente soffocando. Lo trovo seduto sulla poltrona con la testa appoggiata all’indietro e gli occhi chiusi, mi siedo anch’io sulla poltrona di fronte alla sua accavallando le gambe in attesa che lui inizi a parlare.
 
«Ti ho forse detto che puoi sederti?» chiede freddo, sorrido divertita.
 
«Mi fai venire qui, nel tuo studio senza una motivazione precisa e io non mi posso nemmeno sedere? Forse è meglio che esca e torni nella mia stanza» sto per alzarmi, ma lui mi ferma con un gesto della mano.
 
«Ho detto che devo parlarti» afferma raddrizzandosi sulla poltrona, prende l’unica tazza di the posta sul tavolino e la osserva per qualche istante, poi si alza. «Sai, solitamente non condivido il mio the con altre persone, ma oggi farò un’eccezione» mi porge la tazzina fumante. Io la prendo e subito il calore mi riscalda le mani, mi rilasso godendomi quel piacevole tepore. La annuso per un attimo lasciando che il suo profumo mi intorpidisca i sensi dolcemente. La porto alle labbra, mentre lancio un’occhiata a Reiji, non appena le mie labbra sfiorano il caldo liquido una luce sospetta attraversa lo sguardo di Reiji. Allontano la tazzina.
 
«Non lo voglio, grazie» appoggio la tazzina sul tavolino. Vedo chiaramente Reiji stringere i denti con rabbia. Cosa c’è, signor precisione? Non ti aspettavi che rifiutassi, mi dispiace, ma non mi farai fessa così facilmente.
 
«Cos’ha che non va?» chiede ritentando, si avvicina a me. Gli rivolgo un sorriso sornione e uno sguardo astuto.
 
«Mi credi forse stupida? So capire quando c’è qualcosa che non va, non appena ho portato la tazzina alle labbra un lampo di soddisfazione ha attraversato i tuoi occhi, l’ulteriore conferma me l’hai data quando hai chiesto il motivo del mio rifiuto»
 
«Molto brava ragazzina, non ti facevo così sveglia» dice prendendo la tazzina e appoggiandola sulla scrivania dove poco prima stava lavorando. «La cosa che non hai calcolato è…» in uno scatto me lo ritrovo addosso sulla poltrona. «Che non ho bisogno di droghe per punirti per la tua fuga» completa chinandosi su di me.
 
«Sbagliato!» urlo allontanandolo con un calcio in pancia, cade sul tavolino di vetro che per l’urto finisce in frantumi. Mi alzo sulla poltrona e, poggiando una mano sullo schienale, la scavalco agilmente.
 
«Non sono nemmeno così stupida da abbassare la guardia quando mi inviti nel tuo studio» Reiji si rialza lentamente ancora leggermente stordito, prima che possa rimettersi in piedi do una forte pedata alla poltrona facendola scivolare sul pavimento e ribaltare su di lui. Sorrido soddisfatta di averlo messo fuori gioco. «Che c’è, damerino? Hai finito di fare il gradasso?»
 
Avanzo velocemente verso la porta d’uscita, ma non faccio molta strada, poiché un forte rumore mi fa voltare: Reiji è in piedi in mezzo alla stanza e la poltrona è stata scaraventata contro il muro. Ha un taglio sulla guancia, probabilmente causato da uno dei vetri del tavolino.
 
In pochi attimi mi ritrovo buttata sul pavimento, l’urto mi toglie il respiro. Reiji mi afferra un braccio e i capelli ritirandomi su e sbattendomi contro il muro, prima che mi possa rendere conto di qualcosa lui mi ha già azzannato il collo con una forza tale da farmi liberare un urlo di sorpresa e dolore atroce. Beve velocemente senza allentare la presa, poi si stacca.
 
«Questo è per essere fuggita» ringhia furioso strattonandomi i capelli. Stringo i denti e gli occhi per il dolore che mi è rimasto sul collo. «Questo invece è per il mio studio» si porta il mio polso alle labbra e subito morde alche lì. Dolore, altro dolore indescrivibile. Urlo di nuovo senza possibilità di trattenermi. Cerco di concentrarmi e non pensare al dolore, ma la mia mente non riesce ad estraniarsi dal corpo come le altre volte, sento la sua cieca rabbia che attraversa il mio corpo partendo dal suo morso. Solo quando sono allo stremo lascia andare il mio polso gettandomi a terra e guardandomi con quella sua aria di nuovo seria e severa.
 
«Te l’avevo detto che saresti stata punita, ora vattene dal mio studio e non farmi arrabbiare più di quanto io non sia già» mi dice freddo. Io rinchiudo tutto il mio dolore in un angolo della mia mente e lo guardo senza emozioni.
 
«Voi non avete cuore ne anima, siete schiavi del vostro stesso desiderio di sangue, non vi fate pena da soli? Se tu non mi avessi attaccata io non sarei stata costretta a rovinare il tuo studio. Potrete anche farmi a brandelli, ma io non mi sottometterò mai a esseri come voi» mi alzo lentamente dicendo tutto questo ed esco dal suo studio, rinchiudendo emozioni e dolore come ho sempre fatto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Ritorno in stanza e mi siedo sul letto con sguardo spento. Non sono stanca e al limite delle mie forze al contrario delle altre volte con gli altri fratellini che mi hanno morso. Non ha bevuto tanto. È questa la cosa che mi fa infuriare terribilmente, non mi ha morso per bere il mio sangue e nutrirsi, mi ha morso unicamente per procurarmi dolore.
 
Urlo di rabbia e, fuori controllo, mi alzo scagliando un forte pugno contro il muro. Sento lo scricchiolio della mia mano e il dolore che si espande, ma non mi importa, in questo momento nulla mi potrebbe importare. Afferro il comodino e lo sollevo scaraventandolo per terra con forza, vedo che si spezza in alcuni punti e le gambe si spezzano lanciando schegge in giro. Mi siedo di nuovo sul letto con il respiro ancora affannoso, prendo la mia testa tra le mani cercando di calmarmi.
 
«Potrei scappare di nuovo, adesso nessuno mi vedrebbe, eppure mi verrebbero a prendere in ogni caso… che cazzo ho fatto di male per finire qui?» mi alzo in piedi di scatto ed esco dalla mia stanza. Devo trovare qualcosa da fare, e se qualcuno di quegli schifosi mi capita davanti si becca un pugno in faccia a prescindere da chi sia. Mi avvio per i corridoi a passo di marcia, apro alcune porte che ancora non conosco, trovo una grande piscina, una biblioteca immensa che sicuramente sarà molto frequentata da me d’ora in poi, la cucina, un’armeria, una stanza chiusa ermeticamente da catene e un grosso lucchetto. Quando apro l’ennesima porta mi blocco osservando l’interno: uno splendido pianoforte a coda lucido è al centro della sala sopra un piccolo rialzo, il resto della sala è completo di tanti altri strumenti musicali.
 
«Ci vivrei qui dentro» sussurro avanzando nella stanza e fermandomi di fronte al pianoforte, sollevo cauta la copertura dei tasti e li accarezzo delicatamente. Mi siedo e chiudo gli occhi, in un attimo le mie dita cominciano a muoversi veloci e decise sui tasti. La sinfonia riempie la sala, prima calma e rilassante, poi avanzando diventa sempre più aggressiva e furiosa. Le mie dita premono violentemente sui tasti. Poi torna di nuovo tranquilla, ma non come all’inizio, un tranquillità triste e malinconica, quasi solitaria. Concludo il brano riaprendo gli occhi, la mia rabbia è sbollita, allontanata grazie a quel magico strumento. Sollevo lo sguardo e poggiato al muro trovo Raito che mi osserva attentamente.
 
«Dove hai imparato a suonare così?» mi volto e alle mie spalle, appoggiato alla finestra, vedo Reiji, il mio sguardo si incupisce nuovamente.
 
«Non sono affari che ti riguardano» rispondo inviperita, ci sono tutti. Shu è seduto per terra appoggiato al muro e per la prima volta vedo che ha gli auricolari in mano, Ayato è seduto sugli scalini del rialzo su cui è posto il pianoforte, Kanato mi osserva stringendo tra le braccia Teddy e Subaru è appoggiato al pianoforte guardandomi con la coda dell’occhio.
 
«Cosa ci fate tutti qui? Riunione di famiglia? Oppure, molto più probabilmente, volete ancora il mio sangue? Ma prego accomodatemi, fatemi il piacere uccidetemi» comincio a innervosirmi nuovamente soprattutto guardando Reiji.
 
«Siamo qui perché abbiamo sentito la tua sinfonia, così carica di sentimenti» dice Shu pigramente rimettendosi gli auricolari.
 
«E tu ti saresti tolto i tuoi adoratissimi auricolari per ascoltare un brano al pianoforte? Ma quale onore» dico facendo un ironico inchino, poi faccio un sorrisetto maligno. «Mi chiedo soprattutto cosa ne sappiate voi, vampiri, di una cosa elegante e raffinata come la musica di pianoforte» li schernisco subdolamente, premo alcuni tasti in sequenza facendo risuonare qualche nota nell’aria.
 
«Lingua biforcuta» sento sussurrare da Ayato, gli sorrido orgogliosa.
 
«Grazie» dico tranquilla. «In ogni caso, ora vorrei suonare, pensate di restare a osservarmi oppure, con molta gentilezza e cortesia, vi levate dalle palle?» poso nuovamente le dita sui tasti e li osservo uno ad uno. Shu si toglie di nuovo gli auricolari e vedo gli altri restare immobili. Roteo gli occhi, a me non cambia e dopotutto non posso obbligarli ad andarsene.
 
Chiudo gli occhi e inizio una melodia serena, ma malinconica. Dopo qualche minuto di sola sinfonia, inizio a cantare a bassa voce.
 
«I’m caught up in your expectations,
you try to make me live your dreams,
but i’m causing you so much frustation
and you only want the best for me»
 
Avverto i loro sguardi su di me e sento che qualcuno si è seduto al mio fianco sul grande sgabello morbido di fronte al pianoforte. Io continuo senza davvero farci caso.
 
«You’re wanting me to show more interest,
to always keep a big bright smile,
be that pinky little perfect princess,
but i’m not that type of girl»
 
Intensifico la sinfonia che accompagna il mio canto.
 
«And the stormi is rising inside of me.
Don’t you feel that our worlds collide?
Its getting harder to breathe,
it hurts deep inside»
 
La sinfonia raggiunge il culmine, ci riverso dentro tutte le emozioni che ho provato in sedici anni di vita, tutta la rabbia e la paura che nulla può esprimere se non la musica.
 
«Just let me be
who i am!
It’s what you really need to understand
And i hope so hard for the pain to go away.
 
And it’s torturing me,
but i can’t break free.
So i cry and cry, but just won’t get it out
The silent scream.
 
Tell me why you’re putting pressure on me
And every day you cause me harm,
thet’s the reason why i feel so lonely,
even though you hold me in your arms.
 
Wanna put me in a box of glitter,
but i’m just trying to get right out
and now you’re feeling so so bitter,
because i’ve let you down.
 
And the stormi is rising inside of me.
Don’t you feel that our worlds collide?
Its getting harder to breathe,
it hurts deep inside.
 
Just let me be
who i am!
It’s what you really need to understand
And i hope so hard for the pain to go away.
 
And it’s torturing me,
but i can’t break free.
So i cry and cry, but just won’t get it out
The silent scream»
 
Rallento di nuovo con la musica, tornando malinconica. Io abbasso il viso aprendo gli occhi verso le mie dita e concludo la canzone.
 
«Can’t you see
how i cry for help?
‘Cuz you should love me
just for being myself.
 
I’ll drown in an ocean
of pain and emoticon,
if you don’t save me right away.
 
Just let me be
who i am!
It’s what you really need to understand
And i hope so hard for the pain to go away.
 
And it’s torturing me,
but i can’t break free.
So i cry and cry, but just won’t get it out
The silent scream»
 
Faccio le ultime note, simili al ticchettio di un carillon.
 
«My silent scream» sussurro alla fine sollevando le mani dal pianoforte. Alzo lo sguardo e vedo tutti gli occhi puntati su di me, si sono spostati tutti vicino al pianoforte, quindi di fronte a me. Persino Kanato si è avvicinato lasciando il suo inseparabile orsetto per terra, seduto accanto a me trovo Ayato. Non dicono una parola, stanno solo fermi a osservarmi, mi mettono quasi in soggezione.
 
«Ehy, ragazzi, sveglia» schiocco un paio di volte le dita all’altezza dei loro visi e in quel momento sembrano riprendersi. Kanato corre a riprendere il suo orsetto.
 
«Scusa Teddy, quella strega mi ha fatto un incantesimo obbligandomi a lasciarti cadere» gli parla all’orecchio mentre fulmina me con lo sguardo. Io una strega?
 
«Strega? Incantesimo? Io non ho fatto proprio nulla» controbatto ovvia. Reiji si schiarisce la voce rimettendosi a posto gli occhiali.
 
«È evidente il tuo talento per il pianoforte e… anche il canto direi» mi guarda con un mix di curiosità e scetticismo. Anche tutti gli altri si ricompongono e distolgono lo sguardo da me, tutti tranne Subaru e Ayato. Mi alzo dallo sgabello intenta a uscire dalla stanza degli strumenti, ma Ayato mi blocca tenendomi una mano. Mi volto a osservarlo.
 
«Ti va oggi di uscire un po’?» mi chiede e subito i miei occhi si illuminano, ma cerco di trattenermi dal darmi alla pazza gioia. Potrebbe essere semplicemente un trucco per bere il mio sangue, anzi lo è sicuramente, ma in questa casa mi sento già in prigione.
 
«Per andare dove?» chiedo guardandolo interessata, lui ci pensa un attimo. Ok, è evidentemente un tranello per mordermi. Poi sembra illuminarsi.
 
«Cosa ne pensi di una festa? Si sta avvicinando natale e ci sono svariate fiere e feste serali» mi osserva in attesa di una mia risposta. Ci penso un attimo. Saremo in mezzo alle persone, non potrà fare mosse troppo avventate. Sto per rispondergli, quando Subaru avanza verso di noi precedendomi.
 
«Aspetta un attimo, le stai in pratica chiedendo un appuntamento» dice ad alta voce irritato ponendosi di fronte ad Ayato. Il rosso si alza perdendo il sorriso che aveva parlando con me, si sfidano con lo sguardo.
 
«E anche se fosse?» prima che Subaru possa rispondere io mi metto tra di loro poggiando le mani sui loro petti e allontanandoli.
 
«Subaru, non sono affari tuoi se Ayato mi invita a passare una serata con lui» lo guardo storto, lui abbassa il suo sguardo di fuoco su di me osservandomi in silenzio, per poi tornare a fulminare Ayato per qualche secondo. La tensione tra i due si potrebbe tagliare col coltello, nonostante ci sia io in mezzo, sembrano volersi saltare addosso da un momento all’altro, alla fine Subaru se ne va sbattendo la porta.
 
«Bene dolcezza, ora che quello scocciatore si è convinto, vatti a fare bella per il sottoscritto, voglio vederti splendente stasera» mi fa voltare verso di se circondandomi la vita con un braccio. «Sai, dovresti essere orgogliosa che il Grande Me ti abbia invitato fuori» aggiunge pavoneggiandosi. Mi allontano da lui spingendolo leggermente.
 
«Se non vuoi che al “Grande Te” rotoli via la testa dal collo, faresti meglio a non toccarmi» gli faccio un sorrisetto ed esco anch’io dalla stanza. Inconsciamente mi guardo intorno, come in cerca di qualcosa, o di qualcuno.

Nota autrice:
Ok, questo capitolo non è fondamentale per la storia, ma serviva per far capire qualcosa di più su Lilith, su come si sentisse.
La canzone ovviamente non è mia, se qualcuno volesse ascoltarla e leggerne la traduzione il titolo è "Silent Scream" di Anna Blue, guardate l'official, lì c'è anche la traduzione.
Detto questo, tanti saluti, spero che la storia continui a piacervi!
Giada

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Non ci siamo dati un’ora, ma comunque devo farmi una doccia. Entro subito in bagno aprendo l’acqua per farla riscaldare. Mi guardo allo specchio attentamente. Che mi è saltato in mente? Accettare un’uscita con uno di quelli… devo essere impazzita a causa di tutto quel sangue che mi hanno preso. Quel che è detto è detto, magari passerò davvero una bella serata fuori di qui.
 
Come un flash mi torna in mente la reazione di Subaru quando Ayato mi ha invitata, il modo in cui l’ha guardato. Non sono affari suoi cosa faccio. Meglio iniziare a prepararsi.
 
Mi spoglio in un lampo e mi infilo in doccia, un sospiro di relax lascia le mie labbra. Punto il viso contro il getto chiudendo gli occhi per dimenticarmi di dove mi trovo e con chi. Per una mezz’ora abbondante le preoccupazioni svaniscono tra schiuma e vapore.
 
Esco dal bagno avvolgendo il mio corpo e i miei capelli in un asciugamano. Guardo tra le mie cose. Cosa diavolo potrei indossare per uscire con Ayato? Insomma, non conosco per niente i suoi gusti… va beh, penserò ai miei, per le uscite serali mi piace vestirmi elegante, quindi una via di mezzo tra elegante e casual visto che siamo a una festa. Osservo attentamente il mio vestiario e mi illumino osservandone uno in particolare. Lo prendo fuori: ha il corpetto argentato senza spalline coperto da un sottile strato di pizzo trasparente appoggiato sulle spalle a copertura del seno, una gonna larga di raso e tulle nera con calze nere pesanti sotto. Roteo su me stessa di fronte allo specchio, guardandomi da tutte le angolazioni, e sorridendo.
 
«Mi piace tantissimo!» esclamo a un certo punto, torno in bagno acconciandomi i capelli facendo in modo che i boccoli neri cadano sulla spalla destra lasciando la schiena nuda. Canticchio tranquillamente mentre mi preparo, finché non sento la voce di Ayato chiamarmi dall’altra stanza.
 
«Arrivo» gli rispondo dandomi un’ultima spazzolata, poi ci ripenso. «Non osare entrare in bagno!» aggiungo intuendo il fatto che si stesse già avviando di qua. Lui ride senza rispondere, ma non entra. Mi guardo un’ultima volta, poi esco.
 
«Allora come sto?» giro su me stessa in punta di piedi e mi fermo di spalle lanciandogli un’occhiata oltre la spalla. È sdraiato sul mio letto, non appena mi sente uscire si solleva con il suo solito sorrisetto.  Spalanca gli occhi e il sorrisetto scompare, le sue labbra si schiudono leggermente, non mi toglie gli occhi di dosso. Sorrido orgogliosa di aver fatto un buon lavoro, mi siedo sul letto poco distante da lui e mi infilo i miei stivaletti di pelle.
 
«Sai, ci starebbero meglio un paio di sandali col tacco» mi dice, osservando le mie mani che mettono a posto le calze.
 
«Può essere, ma ci sono 0 gradi là fuori e poi… dopo ti supero in altezza, verresti umiliato dalla tua accompagnatrice» sorrido furbetta dandomi delle arie. Mi alzo picchiettando per terra un paio di volte con la punta dello stivale. Lo vedo alzarsi con la coda dell’occhio.
 
«Pensi che mi supereresti?» si mette di fronte e me incredibilmente vicino costringendomi a sollevare il viso per guardarlo negli occhi. Sorride mentre mi guarda dall’alto in basso mostrandomi l’evidente distacco in altezza che c’è tra noi due, roteo gli occhi.
 
«È così che deve essere, rosso, altrimenti saresti un tappetto» gli arruffo i capelli, poi mi concentro sul suo abbigliamento, è vestito al solito modo: la camicia aperta fino agli addominali lascia scoperto il petto, la cravatta penzola legata malamente al suo collo, il mega risvoltino sulla sua gamba destra mi fa rabbrividire . Mi allontano da lui squadrandolo completamente, poi mi concentro sul suo viso, sospiro e lo guardo severa.
 
«Non penserai di uscire con me così conciato?» mi metto le mani sui fianchi sollevando un sopracciglio. Lui mi osserva disorientato.
 
«Che ho che non va?» lo guardo come se gli fosse spuntata una seconda testa. Roteo gli occhi e scuoto la testa divertita.
 
«Lascia fare a me, non ti chiedo giacca e cravatta, ma almeno un minimo» mi avvicino a lui e inizio ad abbottonargli la camicia lasciando un paio di bottoni aperti, gli prendo la cravatta e la tolgo da intorno al suo collo lanciandola sul letto, infine mi chino a levargli quell’orrendo risvoltino. Mi sollevo e lo guardo negli occhi.
 
«Molto meglio, la cravatta lasciamola qui, stai meglio senza» gli sorrido, anche lui ricambia e si avvicina a me circondandomi i fianchi con un braccio, mi attira contro il suo petto.
 
«Avrei preferito che, anziché vestirmi, mi spogliassi, sai dolcezza?» sussurra a un palmo dal mio naso, resto interdetta per qualche secondo, poi mi riprendo e spingo una mano sul suo petto allontanandolo da me.
 
«Immagino… Raito 2.0, la vendetta» sorrido prendendolo in giro, poi, dopo aver preso la mia grande pelliccia, mi avvio per la stanza e apro la porta. «Allora andiamo?» chiedo apprestandomi ad uscire.
 
 
∞∞∞
 
Con la macchina ci mettiamo pochi minuti a giungere in città, il viaggio lo abbiamo passato a punzecchiarci con frecciatine con doppi sensi e non. Quando raggiungiamo la festa io resto estasiata dalle luci e dalle decorazioni, sorrido come una bambina e avanzo velocemente tra la gente. Mi fermo di fronte a una bancarella piena di roba da mangiare dall’aria squisita, la guardo con l’acquolina in bocca.
 
«Gli umani fanno sempre un gran bordello» borbotta Ayato guardandosi intorno e sbuffando. Io afferro un takoyaki e glielo metto in bocca.
 
«Taci, brontolone che non sei altro» rido mentre lui mastica lentamente guardandomi male.
 
«Come sono?» chiedo curiosa, lui cambia espressione tranquillizzandosi e assaporandone il gusto.
 
«Buono, buonissimo» risponde dopo qualche secondo, tende una mano alle mie spalle e porge anche a me uno dei takoyaki. «Assaggia»
 
Tendo la mano per prendere lo stuzzicadente su cui è infilzato, ma lui la allontana facendomi “no” con il dito.
 
«Eh no, lo devi mangiare non afferrare» mi rimprovera malizioso, mi prende per le spalle allontanandomi dalla bancarella per impedirmi di prenderne uno da lì. Roteo gli occhi irritata e prendo tra i denti lo snack per poi allontanarmi da lui come niente fosse. Lo mastico senza guardarlo, a poi mi sciolgo sentendone il sapore.
 
«Brava bambina» dice incamminandosi tra le persone, io lo guardo per poi sorridere furbetta.
 
«Oh non sai quanto» sussurro tra me e me per poi seguirlo. Camminiamo per la festa tranquilli, uno di fianco all’altro, osservando le bancarelle e gli spettacoli proposti. Ci fermiamo a cenare poco fuori dalla festa, per continuare a sentire la musica ma per uscire dal casino, in mezzo a un parco deserto.
 
«Caldo» sorrido facendomi vento con la pelliccia. «Lì in mezzo sembra pieno ferragosto» affermo appoggiando il vassoio con la mia cena per terra, per sdraiarmi sul prato. Ayato si siede di fianco a me senza rispondere. Mi rilasso per qualche secondo ad occhi chiusi godendomi la freschezza dell’erba sulle mie mani. Quando riapro gli occhi annego in due brillanti abissi verdi, mi agito sotto di lui.
 
«Ora che ti ho fatta uscire e ti ho portato a una bella festa, mi serve il pagamento, dolcezza» sussurra davanti al mio viso. Perdo immediatamente il sorriso, sapevo sarebbe finita così, eppure ho accettato. Cosa ho per la testa?
 
«Anche con Raito mi sono trovata in una situazione simile, e sai cosa gli è successo?» non gli do il tempo per rispondere, stringo i denti e scaglio una forte testata anche a lui. Cerco di allontanarmi, ma lui mi afferra una caviglia trascinandomi di nuovo sotto di lui, libero un urletto di sorpresa che lui subito blocca con una mano sulla mia bocca.
 
«Sapevo che avresti reagito in qualche modo ed ero preparato, sei davvero sfuggevole e ribelle come il vento» mi dice con quel suo sorriso maligno, i miei occhi sprizzano scintille per quanta rabbia sto esprimendo tramite essi. Le sue mani bloccano, come al solito, i miei polsi sopra la mia testa. È completamente appoggiato su di me.
 
«Non sai da quanto ho aspettato questo momento» sussurra chinandosi su di me. «Tranquilla, non ti sporcherò il tuo bel vestito» ghigna subdolo spostando il velo di pizzo dal mio collo. Morde appena sotto il mento, io stringo gli occhi, ma posso dire ormai di essermi abituata e dopo il morso di Reiji, questi non fanno più tanto male. Quasi immediatamente sento scorrere le sue emozioni in me: eccitazione, soddisfazione, divertimento. Se non mi tenesse la sua mano sulla bocca, proverei a urlare con tutto il fiato che ho in gola, magari qualcuno mi sentirebbe e verrebbe a togliermelo di dosso. Ma non accadrà, non potrò fare altro che attendere che lui sia sazio. Eppure, nonostante questa consapevolezza, continuo ad agitarmi.
 
«È dolce… delizioso» osserva il mio collo con uno sguardo sadico. «Mai sentita una cosa simile, mi piaci» morde ancora appena sopra il corpetto. Dopo altri interminabili minuti di sussurri e grossi sorsi del mio sangue mi libera i polsi, io un attimo sfuggo dalla sua presa e mi alzo leggermente stordita. Anche lui si alza con me e quando il suo sorriso soddisfatto entra nel mio campo visivo il mio corpo scatta, sollevo un pugno e veloce come un fulmine lo scaglio sul suo viso con rabbia, per poi voltarmi e correre svelta in mezzo alle persone.
 
 
Continuo a correre evitando la gente che si accalca intorno a me, non so esattamente la mia meta, forse solo il più lontano possibile da lui. Corro, finché una mano mi afferra un polso facendomi fermare. Strattono il braccio freneticamente, ma lui stringe la presa leggermente, senza farmi male.
 
«Lasciami andare!» urlo a quel punto cercando di riprendere la mia corsa. Lui non dice niente, ma semplicemente mi tira indietro facendomi scontrare con il suo petto e abbracciandomi.
 
«Calmati, piccola» sussurra tenendomi stretta a sé. Sollevo lo sguardo furiosa, ma non appena incontro i suoi occhi la mia rabbia svanisce in un attimo, come se non fosse mai esistita. Schiudo le labbra esterrefatta.
 
«Tu…» dico semplicemente in un sussurro quasi inudibile. Lui mi osserva con quel suo solito sguardo indimenticabile.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


La mia mente inizia a tornare indietro nel tempo velocemente scavando nella mia memoria per riportare alla luce il suo ricordo. Quando mi sorride, non ho più alcun dubbio.
 
«Mihael!» esclamo felice riprendendomi improvvisamente dal fissarlo, gli salto al collo abbracciandolo. Lui mi stringe a sé facendomi fare due giri in aria, affondo il viso nel suo collo. Gelsomino, proprio come ricordavo. Mi poggia di nuovo con i piedi per terra.
 
«Ma cosa ci fai qui?» chiedo senza lasciarlo andare. Lui mi guarda negli occhi facendomi annegare in quell’oceano blu cobalto.
 
«È una festa e tu sai quanto io ami festeggiare» risponde sorridente con un’alzata di spalle, poi il suo sorriso si addolcisce diventando comprensivo. «Cos’è successo? Perché stavi correndo via così?» chiede poggiandomi una mano sulla guancia gentilmente e spostandomi dietro l’orecchio qualche ciocca di capelli. Io abbasso lo sguardo.
 
«Colpa di un mio coinquilino» taglio corto rabbuiandomi. Si irrigidisce tra le mie braccia.
 
«I Sakamaki? Cosa ti hanno fatto?» chiede aggrottando la fronte e poggiando le mani sulle mie spalle. Risollevo lo sguardo verso di lui perplessa.
 
«Come fai a sapere che sono stata adottata proprio da loro?» chiedo osservandolo, lui mi sorride di nuovo.
 
«Cosa credi, che non ti sia venuto a cercare in orfanatrofio? Là mi hanno detto da chi eri stata adottata» spiega pazientemente Mihael.
 
«Va bene, dai vieni, è una festa, divertiamoci» gli prendo la mano facendo intrecciare le nostre dita e mi incammino tra le persone, finché non giungiamo in uno spiazzo dove si balla, intorno gente che batte le mani a ritmo. Vedo svariate coppiette ballare appiccicate guardandosi negli occhi.
 
«Ci buttiamo?» mi chiede chinandosi su di me per parlarmi all’orecchio. Mi giro per osservarlo incredula.
 
«Sai ballare?»
 
«Me la cavo» solleva le spalle e, senza preavviso, mi fa fare una piroetta, facendomi fermare di fronte a lui. Mi tiene la mano destra nella sua e con la sinistra mi circonda la vita attirandomi dolcemente contro di sé. Dopo i giorni passati con i vampiri, la delicatezza e i sorrisi che mi rivolge mi sembrano d’un altro mondo. Ci muoviamo veloci sulla pista seguendo la musica, mi lascio guidare da lui.
 
«Sei stupenda stasera, Lilith» dice a bassa voce dopo avermi fatto fare l’ennesima piroetta, gli sorrido in risposta. Mihael mi fa improvvisamente fare un casque al termine della canzone, facendomi aggrappare alle sue braccia come stessi per cadere, lui ride di gusto vedendo la mia reazione ed io lo seguo a ruota. Quando mi solleva, gli do un leggera spinta scherzosa sul petto.
 
«Non mi buttare giù così all’improvviso! Mi hai fatto prende un colpo!» esclamo ridendo. Improvvisamente un brivido freddo mi attraversa la schiena e inizio a guardarmi intorno con la sensazione che qualcuno ci stia guardando. Alla fine li vedo, ci sono tutti, il modo in cui ci fissano mi fa rabbrividire, hanno la rabbia che straborda dagli occhi. Per la prima volta sento di avere per davvero timore di fronte a quegli sguardi, ma non ho paura per cosa potrebbero fare a me, ho paura di cosa potrebbero fare a Mihael.
 
«Mi accompagni a casa? Sono molto stanca» chiedo ritornando con lo sguardo sul biondo ancora di fronte a me.
 
«Tutto a posto?» mi osserva preoccupato, io mi sforzo di fargli un sorriso.
 
«Certo»
 
«Guarda che so riconoscere i sorrisi tirati, qualunque cosa ci sia che non va puoi dirmelo, non temere» mi accarezza il viso con due dita. Io lo lascio fare per qualche secondo poi gli prendo la mano allontanandola gentilmente da me.
 
«Davvero, sono solo stanca, è stata una lunga giornata» ripeto cercando di essere convincente. Lui non risponde e mi prende di nuovo la mano per portarmi fuori dalla ressa di persone. Subito dopo chiama un taxi, mentre aspettiamo lo vedo osservarmi attentamente.
 
«Suoni ancora il piano?» mi chiede a un certo punto.
 
«Si, sai che non posso farne a meno, stessa cosa per il disegno»
 
«E canti ancora? Se non ricordo male da bambina avevi una vocetta stridula insopportabile, chissà se canti ancora così» mi prende in giro sorridendo, lo guardo facendo la finta offesa.
 
«Io non avevo una vocetta stridula» controbatto e solevo il mento in segno di protesta.
 
«Certo… come no» scuote la testa passandosi una mano tra i capelli. Io mi volto verso di lui con aria di sfida
 
«Wake me up inside,
call my name and save me from the dark…
bit my blood to run,
before i come undone.
Save me from the nothing i’ve become»
 
Intono la prima canzone che mi passa per la testa: Bring Me To Life, Evanescence. Mihael resta piacevolmente stupito ascoltandomi, poi sorride.
 
«Ok, lo ammetto sei migliorata» si passa una mano sul retro del collo imbarazzato. Il taxi arriva dopo qualche attimo di silenzio, Mihael mi apre la portiera come un vero gentiluomo, ma mentre salgo di nuovo vengo colpita da quella strana sensazione di gelo. Ci stanno osservando e la cosa non mi piace, per niente.
 
Mihael dice l’indirizzo al conducente, mentre io sono impegnata a guardarmi intorno agitata. Guardo nuovamente stupita il ragazzo seduto accanto a me.
 
«Hai chiesto anche l’indirizzo in orfanatrofio?» chiedo incrociando le braccia sotto il seno. Lui mi guarda e per un attimo arrossisce leggermente.
 
«Ok, lo ammetto, sono anche venuto a trovarti, ma mi ha aperto un ragazzo dicendomi, una volta che dormivi, la seconda che non volevi vedermi» mi guarda con la coda dell’occhio. Io aggrotto la fronte.
 
«Non mi hanno mai detto che mi sei venuto a trovare…» dico più a me stessa che a lui.
 
«Perché avrebbero dovuto riferirmi ciò altrimenti se non fossi stata tu a dirglielo?» chiede a quel punto Mihael abbastanza confuso. Io porto due dita sotto il mento pensandoci un attimo.
 
«Per evitare che potessi raccontare qualcosa a qualcuno…» sussurro a un certo punto.
 
«Di che diavolo stai parlando?» chiede cominciando ad agitarsi, fortunatamente la macchina si ferma proprio in quell’istante. Apro la portiera con l’intento di scendere il più velocemente possibile.
 
«Allora ciao, grazie per la splendida serata» gli lascio un veloce bacio sulla guancia per poi uscire.
 
«Aspetta, ti accompagno alla porta» afferma aprendo lo sportello. Ma io lo fermo immediatamente, forse con troppa foga.
 
«No, non serve grazie, fatti accompagnare a casa» lascio una banconota sul sedile e corro in casa. Non appena entro le candele del grande lampadario all’ingresso si accendono una dopo l’altra illuminando i volti seri di ciascuno dei sei vampiri.
 
Mi blocco sull’entrata. E qui dentro sembra esserci più gelo che fuori.
 
«Non ti sembra un po’ tardi per rientrare? Senza accompagnatore per di più» afferma Reiji guardandomi attentamente. Io mi tolgo la pelliccia lentamente, muovendomi con estrema cautela come se questo potesse far diminuire la loro arrabbiatura. Loro sanno. Sanno perfettamente che sono tornata con un ragazzo.
 
«Non ero sola… un amico mi ha accompagnato» rispondo calcando leggermente la parola “amico”.
 
«Da come ti abbracciava dolcemente durante quel ballo, si capisce in fretta che per lui tu sei qualcosa di più, sgualdrinella» Raito mi si avvicina alle spalle e mi accarezza i fianchi, delineandone le curve. Mi scosto dal suo tocco.
 
«Cantare persino per lui» continua Ayato anche lui avanzando. Li osservo uno ad uno circospetta e sto per rispondere, quando Kanato mi interrompe.
 
«Dovremmo essere gli unici e i soli per te» dice macabro nascondendo parte del viso dietro l’orsetto che sembra guardarmi anch’esso con sguardo accusatore.
 
«Non credo che la mia adozione includa rinunciare all’unico vero amico che io abbia mai avuto» sbotto a quel punto innervosita. «Inoltre la mia vita privata non è affar vostro!» concludo fulminandoli uno ad uno con gli occhi.
 
 
«Sai, non possiamo uccidere te, perché sei la nostra preziosa umana che ci procura il sangue, ma lui… lui non ha alcuna utilità per noi, può morire tranquillamente» afferma a quel punto Shu. Spalanco gli occhi a quella affermazione. No no no!
 
«Cosa? Non potete farlo!» esclamo sconvolta, stringo i pugni. Vorrei poter impedirglielo. In un attimo rivivo gli unici momenti felici della mia infanzia, tutti con Mihael, mi sapeva far ridere, accettava quel mio amore per il buio e par le cosa che gli altri definiscono macabri, mi aiutava nelle mie folli avventure sostenendomi, senza mai giudicarmi.
 
«Devi capire che tu sei nostra, mocciosa, e se questo è l’unico modo per convincerti non ci faremo scrupoli a metterlo in atto» si avvicina anche Reiji e leggo nel loro sguardo che non stanno scherzando, sarebbero davvero capaci di farlo.
 
Sono tutti intorno a me, tranne Subaru, lui è rimasto in un angolo a osservarci. Incrocio il suo sguardo e intravedo una sfumatura di tristezza nei suoi occhi oggi stranamente spenti. Lo continuo a guardare mentre gli altri mi accerchiano, lui ricambia i miei sguardi, poi si volta e si allontana come se tutto ciò che sta succedendo non lo riguardasse.


Nota autrice:
Ok, folle capitolo creato dalla mia mente contorta!
Mihael io lo immagino così, capelli biondi e occhi blu oceano.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


«Allora, zuccherino, cosa ci rispondi? Saremo costretti ad ucciderlo?» Raito prende una ciocca dei miei neri capelli e la sfrega tra le dita, la annusa ad occhi chiusi, per poi posarci le labbra sopra baciandola con quel suo solito irritante sorrisetto malizioso. Lo osservo senza muovermi, le braccia sono bloccate lungo i miei fianchi, sembrano diventate improvvisamente pesantissime.
 
«Non lo farete… vi esporreste troppo, no, non potete farlo» balbetto fissando il mio sguardo su Reiji, il più ragionevole dei fratelli.
 
«Non mettermi alla prova, ragazzina» risponde lui serio e questa tranquillità mi terrorizza, parlano di una vita umana come non fosse più di un capriccio. Ora li vedo, i vampiri, i mostri che solitamente nascondono. Ucciderebbero pur di avermi per loro.
 
«Siete esseri abominevoli!» urlo a metà tra la furia più cieca e la disperazione totale.
 
«Siamo possessivi con ciò che è nostro, e tu ci appartieni, non ti permetteremo di legarti a chicchesia» dice subdolo Ayato accarezzandomi dalla guancia al collo. Mi allontano quasi schifata.
 
«Attenta, potremmo compiere l’omicidio anche ora» il rosso si avvia verso la porta con il preciso intento di uscire e andare a cercare Mihael. Gli afferro un braccio urlando un “no” e trattenendolo.
 
«Possiamo metterci d’accordo, noi lasceremo in pace il bell’imbusto, tu in cambio…» in un secondo Ayato mi torce un braccio dietro la schiena spingendomi a terra, Raito lo aiuta facendomi inginocchiare sul duro pavimento con la forza. Reiji si china di fronte a me e mi afferra il mento facendomi sollevare il viso verso il suo. «Tu in cambio ti sottometterai completamente a noi, ubbidendoci e lasciandoci bere il tuo sangue, senza ribellarti, ogni volta che vogliamo» detta le condizioni dell’unica mia possibilità di salvare Mihael. Mi agito nella stretta dei tre vampiri, riuscendo soltanto a togliere il mio viso dalle mani di Reiji. Per un attimo il mio folle temperamento e orgoglio prendono la meglio.
 
«Non mi sottometterò mai a bestie come voi…» sibilo tra i denti inviperita. Gli dedico uno dei miei sguardi glaciali.
 
«D’accordo» si solleva guardando i suoi fratelli che mi lasciano immediatamente. «Troviamolo, voglio un lavoro pulito»
 
Mi si blocca il respiro, una morsa mi stringe lo stomaco. Mi alzo e corro verso la porta superando i vampiri, mi fermo davanti all’uscita.
 
«Accetto…» sussurro a viso basso. Immagino già i ghigni sui loro visi.
 
«Prego? Non abbiamo sentito» stringo i denti e sollevo lo sguardo cercando di contenere la rabbia e la frustrazione. Hanno sentito, vogliono solo farmelo ripetere per confermare la mia condanna.
 
«Ho detto che accetto, ma solo fino a quando non potrò difenderlo da sola, voi dovrete darmi la possibilità di mettermi alla prova contro di voi» ripeto mettendo almeno una condizione a mio favore. I loro sorrisetti subdolamente divertiti fanno intuire che non mi considerano affatto in grado di fronteggiarli.
 
«Affare fatto» quelle due parole, che possono segnare una vittoria o una condanna, da ora mi legano indissolubilmente a sei vampiri dalla dubbia moralità. Ho rinunciato alla mia libertà per salvare la vita di un amico.
 
«Cosa mi garantisce che manterrete la parola?» chiedo ricordando come mi hanno raggirata, prendendomi in giro, per rimanere da soli con me e bere il mio sangue.
 
«Sono un uomo di parola» il damerino incrocia le braccia al petto interdetto dalla mia domanda che ha incrinato il suo orgoglio. Lo guardo negli occhi sfidandolo, gelo contro gelo, non vi leggo emozioni.
 
«Uomo… tsk, non credo proprio» sibilo velenosa, mentre mi incammino per il corridoio laterale.
 
«Dove stai andando?» roteo gli occhi annoiata, ma continuo ad avanzare.
 
«Fuori all’aria aperta» mi fermo e ci penso un attimo, poi mi volto verso di loro. «A meno che, sua imminenza, non abbia già da farmi fare qualcosa» gli faccio un inchino che è una presa in giro più che altro.
 
«Devi abbassare la cresta, dolcezza» è Ayato a parlare questa volta, mi volto verso di lui e lo osservo per qualche secondo.
 
«Mi dispiace, rosso, ma nel nostro accordo non è compreso un cambiamento nel mio modo di rivolgermi a voi» mi volto mentre concludo la frase e riprendo a camminare disinvolta. Esco in giardino e subito l’aria fredda mi sferza il viso, mi avvio per i roseti, danno un senso di pace. Mi fermo ad annusare qualche rosa rossa. “Il tuo sangue, ha un profumo invitante e unico, come fosse estratto di rose rosse…” sobbalzo mentre quella frase risuona nella mia testa. Proprio ora mi dovevano tornare in mente le parole del vampiro dagli occhi di fiamma?
 
Estraggo il mio block notes, la matita e i colori da delle tasche interne cucite appositamente per loro nella mia pelliccia. Mi siedo per terra a gambe incrociate e, non appena appoggio la matita sul foglio, entro nel mio piccolo mondo personale. I miei occhi sono puntati sul cespuglio di rose, ma non vedono i fiori in sé, li vedono diversi, come se il colore scarlatto fosse dato dal sangue. Continuo a disegnare imperterrita, sento un lieve dolore alla mano a causa dei movimenti troppo veloci e frenetici, ma lo ignoro e continuo. Prendo i colori e inizio a dare vita a un’immagine più realistica fin quando non mi risveglio concludendo il disegno.
 
Lo osservo curiosa. Rappresenta una fanciulla dai lunghi capelli neri vestita di bianco, lo stelo di una rosa conficcato nel suo petto all’altezza del cuore, la rosa da bianca sta diventando rosso cremisi assorbendo il sangue della ragazza, sullo sfondo un paio di occhi rossi come il sangue. Chiudo il block notes di colpo.
 
«Maledizione…» sussurro mentre rimetto matita e colori al loro posto, tenendo in mano solo il block notes, e riprendo a camminare.
 
Raggiungo in poco tempo il centro del labirinto dove si trova la grande fontana, mi siedo sul bordo di essa osservando la me stessa riflessa nell’acqua cristallina, sopra di me il cielo comincia lentamente a schiarire, l’alba è in arrivo. Apro di nuovo il mio block notes osservando attentamente il disegno per qualche attimo.
 
«Hai talento nel disegno» per poco non finisco dentro la fontana per la sorpresa, ma lascio cadere in ogni caso il block notes. Volto lo sguardo fulminea alla mia destra e mi ritrovo davanti Subaru che mi osserva vagamente divertito, si china a raccogliere il blocchetto e lo apre osservando i disegni dal più vecchio che ho fatto. Mi alzo in piedi e cerco di toglierglielo dalle mani, lui lo solleva in aria costringendomi a fare piccoli saltelli nel tentativo di riprendermelo.
 
«Oh insomma, smettila di giocare e ridammelo!» sbotto innervosita a un certo punto, lui mi dedica una singola occhiata e continua sfogliare i miei disegni accarezzando le linee di ognuno, finché non giunge all’ultimo fatto. Osserva con attenzione la ragazza con gli occhi chiusi sdraiata sul nulla con la rosa conficcata nel petto.
 
«Sei tu?» indica il disegno alternando lo sguardo da me al foglio. «Gli occhi dietro…»
 
«Non mi sembra che i miei disegni ti riguardino, quindi ti pregherei di ridarmi il mio block notes» lo interrompo seria, mentre tendo la mano verso di lui in attesa.
Chiude il blocchetto e me lo porge, io glielo strappo dalle mani rimettendolo dentro la tasca interna. Subaru solleva lo sguardo oltre la mia figura.
 
«Ma guarda, hai anche tu fame della pollastrella, Subaru?» mi volto di scatto trovando alle mie spalle Raito e Ayato, sospiro frustata. Di già? Conoscono il significato della frase “un attimo di pace”? A quanto pare dovrò già cedere il mio sangue. Sento una stretta intorno alla vita e vengo tirata indietro, sbatto contro il corpo di Subaru che mi tiene stretta a sé.
 
«Stanotte lei è mia» ringhia minaccioso verso gli altri due Sakamaki che lo guardano stupiti. Ayato assottiglia lo sguardo.
 
«Lei appartiene al Sommo Me» sibila alterato facendo qualche passo verso di noi. Subaru aumenta la stretta leggermente, volto la testa verso di lui e vedo il suo viso in una espressione terribilmente seria e minacciosa, la mascella è serrata e lo sguardo è rabbioso.
 
«Sei insopportabile quando ti rivolgi a te stesso chiamandoti “il Sommo Me”» controbatte come se stesse parlando con un bambino capriccioso. Ayato ringhia in risposta.
 
«Sei egoista, Subaru» si lagna Raito. «Potremmo condividerla: lei agonizzante tra noi tre che beviamo il suo sangue» geme chiudendo gli occhi e immaginandosi probabilmente la scena, lo osservo disgustata.
 
«Fuori dai piedi» ringhia l’ultima frase come una vera e proprio minaccia. Con una mano mi prende il mento e mi fa inclinare un po’ la testa lateralmente, sposta il velo di lino e mi morde tra il collo e la spalla. Faccio una smorfia di dolore, chiudendo gli occhi, e il mio primo  impulso è quello di liberarmi dalla sua presa, ma mi trattengo, ho un patto da rispettare. La presa del suo morso si allenta gradualmente, allontanando il dolore quasi completamente, è solo un po’ fastidioso. Riapro gli occhi stupita. Beve lentamente a piccoli sorsi, le sue emozioni sono strane: possesso, gelosia, ma anche protezione. Lo sguardo di Subaru è fisso sui due qui di fronte con aria di sfida, loro fanno per avvicinarsi, ma lui si sposta indietro portandomi con sé in chiaro segno di diniego.
 
«Fanculo» sussurra Ayato per poi sparire seguito subito da Raito, in quel preciso istante Subaru mi lascia andare. Mi volto verso di lui stranita.
 
«A che gioco stai giocando?» lo guardo indagatrice, il suo sguardo non lancia più fiammate di rabbia, è stranamente tranquillo.
 
«Non so di cosa tu stia parlando» si volta cominciando a camminare con l’intenzione di andarsene. Lo guardo per qualche secondo. Cosa prova questo ragazzo veramente? Lo rincorro prendendogli un polso e facendolo fermare, lui non si volta.
 
«Perché te ne sei andato in quel modo quando ti ho guardato, mentre gli altri mi erano intorno?» chiedo senza lasciarlo andare, si volta verso di me osservandomi attentamente.
 
«Perché non mi importa della sorte tua o di quel tizio che ti ha accompagnata» risponde gelido fissandomi negli occhi. Gli faccio un sorriso e lui rimane interdetto da questa mia reazione.
 
«Se così fosse perché hai usato una tale delicatezza nel mordermi pochi attimi fa? E inoltre, perché dopo che Raito e Ayato se ne sono andati mi hai subito lasciata andare?» domando sicura che non saprà rispondere. Mi osserva spaesato aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte come se volesse dire qualcosa, ma le parole non escono. Continuiamo a guardarci per un tempo che mi sembra interminabile. Finché lui non porta la mano libera dietro la schiena e prende qualcosa, si libera il polso dalla mia stretta e mi prende la mano ponendoci sopra un piccolo pugnale argenteo. Osservo l’arma che brilla alla leggera luce che precede l’alba vera e propria.
 
«Può uccidere i vampiri» dice semplicemente come spiegazione, mentre mi chiude la mano intorno all’elsa. Lo osservo semi-sconvolta.
 
«Spiegami il senso, mi stai dando un’arma che può uccidere te e i tuoi fratelli» dico confusa, in un attimo mi ritrovo stretta tra le sue forti braccia, rimango senza fiato. Resto immobile sbalordita da quell’abbraccio improvviso.
 
«Vattene da qui Lilith, scappa e non tornare, fai in modo di non farti più trovare» sussurra al mio orecchio, sento le sue labbra fredde sfiorare appena la mia pelle dandomi un brivido lungo la schiena. Sollevo le braccia titubante e ricambio l’abbraccio accarezzandogli delicatamente la schiena. Lo sento irrigidirsi, il che mi fa sorridere inconsciamente.
 
«Non posso scappare, gli altri ucciderebbero Mihael ed io non posso permetterlo» rispondo con voce leggermente malinconica, sento le sue mani chiudersi a pugno contro la mia schiena, poi lui si stacca.
 
«Fai ciò che credi giusto, coraggiosa Lilith»

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


«Grazie per il pugnale, ma sai, non credo lo userò davvero, se non per difesa» osservo la lama ben affilata dell’oggetto. Sollevo lo sguardo al cielo. «È l’alba»
 
«Non siete vulnerabili alla luce del sole voi vampiri?» chiedo notando che non batte ciglio mentre la luce del sole avanza inesorabile. Lui scuote la testa.
 
«Gli umani hanno ideato dei sistemi per scacciarci, tra cui il sole, i crocifissi, l’acqua santa e l’aglio, per non cedere alla paura, in realtà nessuno di essi ha effetto su di noi» spiega noncurante Subaru.
 
«Capisco»
 
Mi volto verso est, il sole inizia a vedersi oltre gli alberi che circondano la villa dei Sakamaki, ho sempre preferito il tramonto, quando la luna è già alta nel cielo e il sole resta ad osservarla come se volesse darle un ultimo addio. Sento il sole che mi colpisce il viso con un leggero tepore. Mi volto verso Subaru, la sua pelle esposta ai raggi di luce sembra ancora più pallida del solito e gli occhi ancor più luminosi. Una folata di vento mi travolge facendomi arrivare i capelli in faccia, chiudo gli occhi e apro le braccia simulando un volo. Quando riapro gli occhi, il ragazzo mi sta fissando curioso con un sopracciglio alzato.
 
«Quando c’è vento immagino di avere un grande paio d’ali per volare su in alto nel cielo, tra le stelle cavalcando le correnti e sfrecciando verso l’orizzonte, ho sempre sognato di poter volare» spiego stringendomi tra le spalle e sorridendo leggermente.
 
«È tardi, dovresti rientrare» dice lui in tutta risposta. Annuisco e mi avvio per i corridoi fatti di cespugli di rose.
 
«Vorresti provare la sensazione del volo?» chiede lui a un certo punto facendomi bloccare sul posto e voltare. Lo guardo sorpresa, ma comunque incuriosita.
 
«Che intendi? Come potrei provare la sensazione del volo?» chiedo curiosa, lui non risponde ma avanza verso di me mettendosi di fronte a me e girandosi di spalle, per poi piegarsi sulle ginocchia. Gira il viso verso di me facendomi segno di salire sulle sue spalle, lo osservo spaesata.
 
«Dai sali, non mi hai detto di aver sempre voluto volare? Ti sto offrendo la possibilità di provarne la sensazione» insiste osservandomi e restando in quella posizione. Io sollevo un sopracciglio.
 
«I vampiri sanno volare?» chiedo dubbiosa, lui mi guarda per qualche secondo, poi scoppia a ridere ed io mi incanto. Non lo avevo mai visto ridere, a dir la verità nemmeno sorridere, però è così serena la sua risata, come se in questo momento tutta la tristezza, la rabbia e la sofferenza che leggo sempre nel suo sguardo fossero sparite in un battito di ciglia.
 
«Non sappiamo volare, che c’è hai paura? Eh fifona?» mi prende in giro allora guardandomi attentamente, a quel punto gli faccio una linguaccia e per fargli cambiare idea salgo sulle sue spalle tenendomi a lui. Subaru mi tiene le gambe e si alza in piedi senza fatica, come se pesassi poco più di una piuma.
 
«Tieniti forte» dice prima di fare una breve corsetta e spiccare un salto mostruoso verso un albero poco lontano. Ci si appoggia con i piedi dandosi nuovamente una spinta ancora più forte di prima riuscendo a salire ancora, mi aggrappo forte alle sue spalle, ma aveva ragione: sembra di volare. Si appoggia all’ennesimo albero e in quel momento sento tutti i muscoli del suo corpo tendersi a contatto con il mio, l’ultimo slancio incredibilmente potente. Vedo che però questa volta non ci sono più alberi su cui appoggiarsi, c’è solo la casa di fronte a noi ed è troppo lontana per raggiungerla.
 
«Non ce la faremo mai!» mi stringo contro la sua schiena eppure la mia ansia dura solo qualche attimo, perché in quel momento sento come se davvero possa spiccare il volo. Sollevo il viso e l’aria lo raggiunge senza problemi, sorrido come una bambina di fronte a un’enorme torta. Sento l’adrenalina scorrere nelle mie vene. Sto volando. Sembra davvero di star volando. Dio, quanto vorrei restare così per sempre.
 
Purtroppo il volo finisce in fretta, atterriamo sul davanzale della mia stanza. Ho il fiatone per l’adrenalina e uno stupido sorriso stampato in faccia. Subaru mi fa scendere dalle sue spalle.
 
«È stato fantastico! Santo cielo, meraviglioso! Ma come diavolo hai fatto a spiccare un salto del genere? Con me in braccio per giunta» esclamo guardandolo ancora emozionata.
 
«Sono un vampiro, così mi offendi» controbatte orgoglioso. Mi avvicino a lui.
 
«Grazie» mi alzo sulle punte e, poggiando le mani sulle sue spalle, gli stampo un soffice bacio sulla guancia. Lui resta spiazzato, lo vedo dai suoi occhi spalancati, mi allontano facendogli un sorriso ed entro in camera. «Passa da camera mia per raggiungere la tua, farai prima» aggiungo lasciando la porta-finestra aperta.
 
Mi lancio sul letto stiracchiandomi, sento il rumore di chiusura della porta-finestra. Mi giro sul fianco guardando Subaru, mentre lui fa lo stesso. In un attimo vedo i suoi occhi illuminarsi, lui inspira profondamente col naso annusando l’aria, senza staccare gli occhi da me.
 
«Tu desideri il mio sangue…» sussurro mettendomi lentamente seduta e non perdendolo di vista, lui non smette di fissarmi, finché non si mette ad avanzare lentamente verso di me. Io resto immobile lasciandolo avvicinare più di quanto non dovrei. Quando è di fronte a me ci scambiamo sguardi intensi per qualche secondo, poi lui si siede sul letto e mi prende i fianchi tirandomi delicatamente verso di sé. Non oppongo resistenza. Perché mi sento così abbandonata? Perché gli sto lasciando il controllo della situazione che dovrei avere sempre in mano io? È per il patto, non ci possono essere altre risposte. Chiudo gli occhi e dopo poco sento il viso di Subaru sprofondare tra i miei capelli e strofinare il naso leggermente contro il mio collo. Prende lunghi respiri profondi dal naso. Una sua mano afferra la mia, con la quale tengo il pugnale.
 
«Non ti farò male» sussurra, mentre scende con le labbra verso il polso facendole scorrere su tutto il braccio, vengo attraversata da brividi freddi. Continuo a tenere il pugnale in mano mentre lui morde delicato sulla vena. Sento scorrere via il sangue, ma nessun dolore. Non beve molto, si stacca infatti subito dopo leccando via i rivoli di sangue che macchiano il mio braccio. Torna a salire verso il mio collo e mi toglie il velo di pizzo che mi copre le spalle, morde anche sul collo. È quasi una sensazione piacevole, sospiro lentamente sentendo improvvisamente la temperatura salire e il mio cuore aumentare i battiti. Sembra accorgersene quasi immediatamente.
 
«Se non ti calmi non riuscirò più a trattenermi» sussurra al mio orecchio, cerco di fare dei respiri profondi per rilassarmi e far smettere il mio cuore di battere all’impazzata. Subaru mi spinge verso il basso per farmi sdraiare ed io mi lascio guidare da lui. Mi bacia il collo più volte prima di mordere di nuovo, di nuovo niente dolore, ma una strana sensazione di piacere. Sollevo una mano portandola tra i suoi capelli e accarezzandoli gentilmente.
 
«Potrei divorarti…» ringhia sul mio collo osservando le piccole ferite che mi ha lasciato. «Il tuo sangue… è come fosse diventato ancora più dolce, dissetante e incredibilmente irresistibile» aggiunge circondandomi la vita con un braccio, costringendomi in questo modo ad inarcare la schiena e offrirgli il petto. Mi morde poco sopra il seno, questa volta più forte, io stringo leggermente i denti ma lo lascio fare continuando ad accarezzargli i capelli. A un certo punto, quando la testa inizia leggermente a girarmi, gli appoggio una mano sulla spalla facendogli capire che è il momento di smettere. Subaru intuisce e immediatamente si stacca restando però con il viso nascosto nel mio collo e appoggiato sopra di me.
 
«Sta ferma, resta così ancora per qualche minuto» dice lentamente, quando io cerco di spostarmi da quella posizione più che equivoca. Mi immobilizzo continuando a guardare gli affreschi sul soffitto, ripenso a ciò che abbiamo fatto fin ora, al piacere che mi ha provocato il suo divorarmi. Dannazione, cosa ho fatto? Ho lasciato che bevesse il mio sangue, e tutto ciò mi è pure piaciuto! Sto per scostarmi bruscamente da quella posizione, ma quando abbasso il viso su di lui, vedo che si è addormentato con ancora il viso sul mio collo, un suo braccio stringe la mia vita. Non posso fare a meno di sorridere leggermente quando lo vedo.
 
Gli prendo delicatamente il viso e lo appoggio sul cuscino, quindi mi metto seduta cercando di alzarmi, ma la presa sui miei fianchi aumenta e lui si avvicina a me. Lo osservo, sta ancora dormendo, è come se il suo corpo non volesse allontanarsi dal mio. Mi sdraio al suo fianco osservando il suo viso, adesso esattamente di fronte al mio. I suoi lineamenti, solitamente sempre contratti in un’espressione dura e arrabbiata, ora sono rilassati e tranquilli, forse è la prima e l’ultima volta che lo vedrò così sereno. Chiudo gli occhi anch’io stanca e mi addormento tranquillamente accanto a lui.
 
∞∞∞
 
Mi muovo ancora mezza addormentata rendendomi contro in fretta che la mia possibilità di movimento è limitata. Socchiudo gli occhi e trovo il viso di Subaru davanti al mio, incredibilmente vicino, i nostri nasi si sfiorano. Resto imbambolata a fissarlo per qualche secondo, poi una mia mano si muove incontrollata e si avvicina al suo viso, con l’irresistibile tentazione di accarezzarlo. Quando arrivo a pochi centimetri dal suo viso, mi riprendo e la appoggio sul materasso tra di noi. Improvvisamente lui apre gli occhi e prende la mia mano portandola spontaneamente sul viso, poi chiude di nuovo gli occhi. Trattengo il respiro e non mi muovo, la mano immobile sopra la sua guancia fredda, fin quando non mi rilasso e lentamente inizio a seguire i suoi lineamenti con le dita. Passo le dita sulla sua mascella per poi risalire e seguire le sopracciglia passando subito dopo alla tempia, finché non sfioro le sue labbra con il pollice, accarezzo il labbro inferiore e mi tornano in mente le scene di ieri sera, quando quelle labbra erano su di me bramose del mio sangue.
 
Sono così incantata a fissare le sue labbra che nemmeno mi accorgo che lui ha aperto gli occhi e mi sta osservando. Punto i miei occhi nei suoi e, incontrando il suo sguardo, sento le guance scaldarsi. Arrossisco anche ora? In che casino mi sto cacciando? Osservo il suo braccio ancora intorno alla mia vita.
 
«Ora puoi anche lasciarmi» dico a bassa voce. Lui continua a osservarmi serio, ma non accenna a muoversi.
 
«Perché dovrei?» chiede dopo attimi di silenzio riempiti solo dai miei respiri e dal battito del mio cuore che sembra rimbombarmi nelle orecchie.
 
«Perché forse dovremmo alzarci, no? Il damerino dell’etichetta e signore di “un ritardo non è assolutamente ammesso, pena la morte” ci verrà a cercare» cerco di convincerlo, ma lui in tutta risposta mi da un semplice “mmh”. «E magari io dovrei mettermi dei vestiti normali e togliermi questo, è troppo elegante per stare in casa» aggiungo indicando il mio vestito. Mi guarda facendo un mezzo sorriso.
 
«Beh, potrei anche decidere di lasciarti andare, se la ricompensa è vederti cambiare qui davanti a me» controbatte inchiodandomi con quello sguardo di fuoco. Gli do un colpo leggero sul petto.
 
«Scordatelo, pervertito che non sei altro» sorrido divertita, prendo uno dei tanti cuscini sparsi per il letto e glielo tiro in faccia per poi alzarmi dal letto e allontanarmi. Sento il cuscino colpirmi la schiena violentemente. Mi giro, ma lui non è più sul letto, in uno scatto mi sento tirare su e Subaru mi mette sopra la propria spalla tenendomi strette le gambe.
 
«Brutto idiota, mettimi giù subito!» gli tiro pugni sulla schiena e scalcio, ma in tutto questo ho un sorriso stampato in faccia. Lui per farmi stare ferma mi tira una pacca sul sedere, sobbalzo.
 
«Questo non dovevi farlo…» ringhio nonostante il fatto che la mia arrabbiatura non sia affatto reale. Gli tiro un forte coppino. Lui in tutta risposta mi lancia sul letto salendo su di me a carponi.
 
«Qui comando io» mi dice avvicinandosi pericolosamente al mio viso. Con un movimento veloce rotolo su di lui bloccandogli i polsi sotto di me.
 
«Questo è da vedere, occhietti rossi» sorrido provocante soffiando sulle sue labbra senza staccare i miei occhi dai suoi. Mi mostra un sorrisetto, per poi costringermi nuovamente a finire sotto di lui immobilizzandomi definitivamente. Strattono i polsi. «Maledetti vampiri, voi e la vostra dannata forza innaturale!» strillo esasperata di trovarmi sempre immobilizzata. Lui sorride divertito.
 
«Non mi sembra che tu abbia disprezzato i miei occhi appena sveglia» mi schernisce intensificando il suo sguardo. Mi imbambolo nuovamente per qualche attimo, poi scuoto la testa per riprendermi.
 
«Questa te la concedo» sbuffo sonoramente, lui continua osservarmi e inizia ad abbassarsi lentamente su di me. Arriva di fronte al mio viso facendo sfiorare i nostri nasi, trattengo il respiro e chiudo gli occhi.
 
Un schiarirsi di voce assolutamente volontario lo fa bloccare. Si volta e io alzo la testa per vedere chi è entrato. Reiji ci guarda severo.
 
«Ho interrotto qualcosa?» chiede fulminandoci con lo sguardo. Dannata brutta copia di un cameriere, proprio ora dovevi venire a rompere? Mi riscuoto da questi pensieri più che inopportuni dandomi della stupida. Noto immediatamente, mentre mi libera, l’espressione, prima rilassata di Subaru, indurirsi e rabbuiarsi, tornando il solito Subaru incazzato di sempre.
 
«Stiamo aspettando entrambi per la colazione» afferma composto e deciso. Poi si volta verso di me puntandomi con lo sguardo. «E tu, devi iniziare ad essere più puntuale, mi sto iniziando a stancare di venirti a prendere»
 
«Immagino che fatica…» sussurro congelandolo con un gelido sguardo. Cerco Subaru con lo sguardo, ma lui se n’è già andato. Perché quando è comparso Reiji è ritornato ad essere il Subaru infuriato con il mondo che ho conosciuto? Perché invece con me ha cambiato improvvisamente atteggiamento, diventando tranquillo? Proprio a me doveva capitare un lunatico?! Che stress!

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Mi osservo attentamente allo specchio, sfiorando con le dita le piccole ferite che mi ha lasciato Subaru il giorno prima. Subaru… come mi ha convinto a lasciarmi andare in questo modo? Eppure, stavo così bene tra le sue braccia, mi faceva sentire tranquilla. Quando inoltre mi ha morsa con tale trasporto, passione e delicatezza mi ha fatto perdere la ragione, non credevo che potessero donare piacere tramite i morsi.
 
«Non fare stronzate, Lilith» mi rimprovero da sola osservando i miei occhi tramite lo specchio. «Ciò che è successo ieri non si ripeterà, oggi inoltre sarai occupata ad allenarti nel combattimento per proteggere Mihael, non avrai il tempo di vederlo» mi sciacquo il viso velocemente e lavo via i resti di sangue sulla mia pelle intorno ai morsi. Mi cambio in fretta togliendomi l’abito e mettendolo di nuovo dentro l’armadio, indosso un look casual e un po’ dark. Leggins di pelle neri con una spessa cintura borchiata e una catena pendente sul fianco, la mia maglietta larga e abbastanza corta da lasciare scoperta leggermente la pancia se alzo le braccia con la scritta “Born to be Wild”. Infilo la giacca di pelle anch’essa borchiata e gli stivaletti neri, metto il pugnale di Subaru a lato dello stivale destro stando attenta a non tagliarmi.
 
Tengo le mani in tasca e scendo in sala, Reiji come al solito si alza educatamente aspettando che anch’io mi sieda per rimettersi seduto. Mangiamo nuovamente in silenzio, guardo tra le ciglia Subaru di fronte a me. Non mi rivolge nemmeno un’occhiata, mangia tranquillo con la sua solita espressione corrucciata, senza fare caso a me. Perché fa così? Fino a pochi minuti fa stavamo scherzando e provocandoci in camera mia, ma ora…
 
«Oggi ho intenzione di allenarmi, avrei bisogno di qualcuno di voi come avversario e insegnante» affermo spezzando il silenzio tombale che c’è a tavola, passo lo sguardo su tutti loro attendendo una risposta.
 
«Oh sgualdrinella, ti insegnerò quando vorrai… qualunque cosa tu voglia e in qualsiasi ambito» mi rivolge uno sguardo lascivo Raito. Roteo gli occhi intuendo perfettamente il doppio senso.
 
«Raito, prima o poi ti taglierò quella lingua, così non potrai più dire cavolate o chiamarmi in quel modo… né nient’altro» faccio un sorrisetto tra il malizioso e il perfido. Raito si lecca le labbra continuando a fissarmi.
 
«Ragazzi, non dovreste parlare di queste cose a tavola, è maleducazione» ci rimprovera Reiji, come al solito sempre troppo ferreo.
 
«Bene, pervertito, muoviti» faccio un cenno a Raito e mi alzo dalla tavola dirigendomi verso il corridoio dove ricordo ci sia l’armeria e la palestra. Sento i passi di Raito dietro di me. Speriamo sia davvero in grado di addestrarmi.
 Raggiungo la porta giusta ed entro guardandomi intorno. Armi di ogni genere e tipo: da spade ad archi, da pugnali a fruste, da lance a spade gemelle, da tridenti a bracciali artigliati. Sorrido osservandole.
 
«Da che vuoi iniziare, zuccherino?» Raito mi affianca osservando dove il mio sguardo si sofferma maggiormente. «Ti avviso, tutte queste armi possono ferirci, ma non ucciderci»
 
«Vorrei non dover arrivare a uccidervi» rispondo cominciando a camminare verso i pugnali. Ce ne sono di tanti tipi e modelli, come fosse una collezione vera e propria. Uno in particolare mi attira: le forme sinuose e la lama molto affilata e allungata creano questo connubio tanto elegante quanto letale. Sul filo sono stilizzate delle fiamme argentee, che richiamano la presenza di un drago sull’impugnatura. Sento una risatina alle mie spalle.
 
«Parti in quarta, zuccherino, questo si chiama “Fiamma D’Argento Puro”, fatto in puro argento appunto, assolutamente letale nelle mani di chi lo sa usare» spiega tranquillo mentre io ancora osservo la lama affascinata. Lo prendo in mano, togliendolo dal suo sostegno, e in quel momento una scarica attraversa il mio corpo come se la mia mano riconoscesse l’arma. Nella mia mente compaiono immagini come un flashback, ho in mano un lungo pugnale e alla cintura tantissimi altri, li lancio contro sagome che si illuminano in ordine sparso. I pugnali si conficcano precisi al centro della testa o del petto se le sagome sono più lontane da me, la precisione è impressionante.
 
Sbatto un paio di volte le palpebre e mi riprendo, mi guardo intorno spaesata accorgendomi di essere ancora nell’armeria dei Sakamaki. Stringo ancora il pugnale tra le mani.
 
«Allora? Vogliamo cominciare?» chiede Raito mettendosi al centro dell’enorme palestra, lo seguo a ruota ancora scossa da quella visione.
 
Passiamo la seguente ora ad allenarci, lui mi spiega come impugnare l’arma, quando, come e dove colpire, a vedere i segni di stanchezza dell’avversario, mi indica i punti mortali. Io lo ascolto attentamente, mi allena senza un attimo di pausa, prendendomi in giro per la mia inettitudine sull’argomento.
 
«Basta non ce la faccio più» esclamo a un certo punto sedendomi per terra sfinita. Tutti i muscoli sono allo stremo e sto tremando come una foglia, mentre il mio respiro e il mio battito cardiaco non accennano a rallentare.
 
«D’accordo, facciamo così, ti lascio un quarto d’ora per riposarti, dopo mi affronterai e dovrai resistere per almeno dieci minuti contro di me senza essere immobilizzata o disarmata, se non ci riuscirai…» si avvicina a me in uno scatto mettendosi in ginocchio al mio fianco e prendendomi il viso per avvicinarlo al suo. «Sarai mia per questa notte» sussurra a un soffio dal mio viso senza staccare i suoi maliziosi occhi verdi dai miei. Mi divincolo subito dalla sua presa.
 
«E dimmi un po’, maestro, perché mai dovrei accettare?» enfatizzo in una presa in giro la parola “maestro”. Lui mi squadra attentamente da capo a piedi soffermandosi su gambe e petto.
 
«Perché ho imparato a conoscerti in questo periodo, tu non sai rifiutare una sfida, mia bella e provocante Lilith» afferma con la massima sicurezza. Ed ha ragione, non so rifiutare una sfida. Mi metto in ginocchio davanti a lui, così siamo faccia a faccia. Faccio un sorriso malizioso e mi avvicino a lui, appoggio le mani sul suo petto facendole salire sulle spalle e dietro il collo per accarezzare la pelliccia del suo cappuccio. Avvicino il mio viso al suo.
 
«È vero, non so rifiutare una sfida» sussurro avvicinandomi al suo orecchio facendo in modo che le nostre guance si sfiorino. Gli tolgo il cappello e gli metto una mano tra i capelli. «Cosa succederebbe se fossi io a vincere?» chiedo suadente con le labbra vicino al suo orecchio.
 
«Non ti morderò per tre giorni» risponde dopo qualche attimo Raito, la sua voce è stranamente roca. Ritorno a guardarlo negli occhi, il suo sorrisetto è spento mi osserva senza muovere un muscolo, quando riprendo a parlare il suo sguardo si concentra sulle mie labbra.
 
«Facciamo così, nessun morso per tre giorni e mi lascerai uscire per vedere Mihael» contratto addolcendo il mio sguardo ancora di più per convincerlo. «Ci stai?»
 
«Affare fatto» mi prende il retro del collo e mi attira ancora più vicino a sé avvicinando il suo viso al mio con l’intento di baciarmi.
 
«Bene» ho già perso il tono dolce e ammaliante di prima, in uno scatto pongo il suo cappello tra i nostri visi per poi spingerlo verso di lui e allontanarlo da me. Sorrido soddisfatta della mia persuasione.
 
«A volte mi chiedo seriamente quale sia la tua vera natura: se di demone peccaminoso e provocante o angelo ribelle e solitario» Raito si rimette il cappello in testa e mi guarda come se volesse scoprire solo dai miei occhi chi sono veramente. Gli rivolgo un’occhiata veloce mentre mi alzo da terra per andare a guardare tutte le altre armi presenti, lui non si muove, ma sento costantemente il suo sguardo addosso. Prendo in mano due spade gemelle dall’elsa nera e la lama brillante più larga nella parte finale, due ametisti sono incastonati nell’elsa. Di nuovo una visione, come con i pugnali. Una decina di persone si accalcano su una soltanto, quella al centro della massa sono io, mi muovo veloce e agile roteando abilmente le spade, schivando, parando e contrattaccando, finché non resto solo io in piedi e gli altri non sono tutti stesi a terra ansimanti e disarmati. Mi riprendo. Che diavolo sta succedendo? Chissà se con tutte le armi ho questa reazione…
 
MI dirigo verso gli archi e prendo, come prima, quello che mi attira maggiormente. Sfioro con due dita l’impugnatura dell’arco, ma solo quando lo stringo nella mano la visione si attiva: sono a cavallo in un bosco, galoppo veloce con una freccia incoccata, intravedo tra gli alberi un bersaglio e in un battito di ciglia ho teso l’arco e scagliato la freccia che precisa si va a conficcare perfettamente al centro. Mi riprendo, ma mi sembra di sentire ancora il vento tiepido sul viso e i rumori della foresta.
 
«Per caso queste armi hanno qualche magia, incantesimo o maledizione?» chiedo dubbiosa a Raito. È una domanda stupida, ma nella mia vita non ho mai utilizzato armi, quindi non possono essere ricordi.
 
«Anche se qualcuna ha un leggenda e un’origine molto antica, nessuna ha magia al suo interno, perché lo chiedi?» mi affianca, mentre io resto in silenzio, e osserva cosa tengo tra le mani. «Sai, hai davvero un buon occhio, finora hai preso le armi più rare e preziose che possediamo e dire che non sono le più stravaganti, mi stupisci» gli faccio un mezzo sorriso in risposta.
 
«Intuito» dico subito dopo rimettendo l’arco a posto. Riprendo la coppia di pugnali consapevole del fatto che ormai la pausa sia finita. Mi metto al centro della palestra e impugno le armi pronta a combattere. Raito mi fa un sorriso tra la malizia e la soddisfazione, sembra che già si pregusti il suo premio per la vittoria.
 
«Zuccherino, non sai quanto mi piacerà averti mia per oggi»si lecca le labbra socchiudendo gli occhi, la sua voce è un gemito d’estasi.
 
«Questo lo vedremo» controbatto mettendomi in posizione di combattimento. Lo vedo porsi di fronte a me con le mani in tasca. «Pensi di prendere qualcosa per difenderti oppure aspetti che io ti batta per farlo?» chiedo superba mentre guardo la sua dubbia posizione per un duello.
 
«Non ti preoccupare per me, se ne avrò bisogno, cosa di cui dubito, prenderò qualcosa per difendermi» mi fa cenno di attaccare senza paura. Peggio per lui, non mi farò certo scrupoli.
 
Parto all’attacco in uno scatto, tenendo saldamente i pugnali puntati verso di lui. Il ragazzo si sposta con una risatina veloce come un lampo.
 
«Prevedibile, troppo prevedibile, i muscoli delle tue gambe si sono tesi troppo presto» mi rimprovera giocando con me. Mi giro su me stessa mirando all’altezza del collo, ma falciando solo l’aria, si è spostato di nuovo. Ringhio inviperita. Tiro un calcio puntando alle sue gambe per farlo cadere a terra, ma con un salto mi schiva, a quel punto istintivamente riparto all’attacco. Schiva di nuovo.
 
«Sei lenta, zuccherino» mi schernisce spostandosi dietro di me. Mi giro e tento un affondo che para bloccando il mio braccio con il suo a un soffio dal suo viso. Siamo faccia a faccia, sembra davvero che lui mi stia solo prendendo in giro e che si diverta nel farlo. Tiro un altro colpo al fianco, ma lui blocca anche quello.
 
«Ti arrendi?» chiede a poca distanza da me. Stringo ancora di più i pugnali facendo sbiancare le nocche. Mi allontano e con un calcio in pancia lo allontano da me, per un attimo lo spiazzo, quindi non perdo tempo e lo attacco di nuovo. Scaglio una veloce falciata in diagonale che lo colpisce al viso facendogli un profonda taglio sulla guancia dallo zigomo fino al mento.
 
«Direi di no» rispondo svelta osservano il risultato del mio contrattacco, non mi soddisfa veramente, ma meglio di niente. Raito tocca con un dito il taglio e osserva il sangue sulla sua mano, sorride vagamente quando sposta lo sguardo su di me.
 
«Fai sul serio allora» questa volta è lui ad attaccarmi, si avvicina a me velocemente puntando ad afferrarmi. Tengo un pugnale vicino al mio corpo per difesa mentre l’altro lo punto direttamente verso di lui, tenendolo lontano con dei rapidi colpi in sequenza. La miglior difesa è l’attacco, me l’hai insegnato proprio tu, caro il mio Raito. Salto di lato e cerco nuovamente di colpirlo, questa volta però non si limita a parare o schivare, con un serie di mosse bel congegnate mi toglie un pugnale dalle mani. Stringo i denti e tento un altro attacco con l’unico rimasto.
 
«Ok, finiamola» afferma Raito afferrandomi il braccio e torcendomelo dietro la schiena. Chiudo gli occhi in una smorfia di dolore, ma mi riprendo e faccio roteare il pugnale nella mia mano facendo il modo che la lama punti contro di lui. Sorrido maligna e mi spingo contro di lui, sento la lama affondare leggermente nella sua carne.
 
In quel momento vedo tutto il mondo come se stesse rallentando. Il mio corpo scatta istintivamente, senza che la mia mente controlli i miei movimenti, come quando disegno. Mi volto e sollevo il pugnale come in un colpo di grazia pronta a piantarlo nel collo del vampiro di fronte a me. Lui mi vede e all’ultimo secondo riesce a bloccare il colpo. Lo osservo con occhi vitrei, privi di qualsiasi emozione. Sento che mi chiama, ma la sua voce è lontana e attutita.
 
Riparto immediatamente all’attacco cercando di colpirlo alla gola senza la minima esitazione. Lui riesce a schivare con difficoltà i miei attacchi e sento che continua a chiamarmi. Cerco di fermarmi, di rallentare, ma il mio corpo non mi ascolta più, come se nemmeno mi appartenesse. Raito afferra una spada e para l’ennesima falciata, mi prende il polso e mi toglie il pugnale dalla mano. Solo allora riprendo controllo su me stessa. Lo guardo stralunata, come se mi fossi appena svegliata di soprassalto.
 
«Che diavolo ti è successo?» chiede osservandomi tra l’incuriosito e lo scettico. «I tuoi occhi erano…» non completa la frase lasciandola in sospeso e lasciando me con uno sguardo interrogativo.
 
«Non lo so, quando ti ho ferito mi sono sentita come se qualcun altro guidasse il mio corpo» abbasso lo sguardo sulla macchia di sangue che si allarga sulla sua giacca strappata. Ritorno sul suo viso. «Cosa avevano i miei occhi?» lui non risponde, si limita a fissarmi come se lo potessi attaccare da un momento all’altro. Va a rimettere a posto i pugnali e la spada.
 
«Non pensiamoci più, dunque…» ritorna da me accarezzandomi i capelli e guardandomi con lussuria e desiderio. «Da ora sei mia»

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


«Vieni da me tra 20 minuti, ci divertiremo» i suoi occhi fanno intendere immediatamente cosa ha in mente di fare. Faccio una smorfia. Chissà chi di noi due si divertirà…
 
«Bene» rispondo secca dandogli le spalle per avviarmi a passo veloce verso la porta della palestra.
 
«Non tardare» aggiunge prima che io sia uscita completamente. Sbuffo sonoramente e lancio un’occhiata alla porta. Odioso pervertito senza cervello! Per lo meno mi ha insegnato qualcosa.
 
Vado velocemente in camera mia e in pochi minuti sono sotto la doccia per togliermi di dosso tutto quel sudore viscido. Perché sono così maledettamente idiota e amante delle sfide? Riesco a mettermi in situazioni incredibilmente svantaggiose. Lilith, dove hai la testa? Scuoto la testa facendo schizzare l’acqua sulle mattonelle della grande doccia, poi alzo il viso facendomi colpire dal getto d’acqua. Che potrà mai fare di così terribile quel ragazzo?
 
«Che rottura…» quando esco e, dopo essermi asciugata, mi rivesto con qualcosa di meno appariscente e provocante del completo in pelle, ma tengo comunque la cintura borchiata anche se su un altro genere di pantaloni. Quando sono pronta prendo il cellulare e mi infilo le cuffie per passare quegli ultimi cinque minuti prima di andare da Raito come stabilito.
 
Mi metto a danzare piroettando in giro per la stanza, ridendo ogni tanto. Cammino in punta di piedi e mi appoggio a una delle colonne del letto che sostengono le grandi tende per fare un casque sorridendo. Fingo un accompagnatore immaginario, oppure ballo da sola ad occhi chiusi.
 
Finché non sento una risatina che spezza la mia tranquillità, allora riapro gli occhi osservando la stanza in cerca di uno dei sei. Raito è comodamente sdraiato sul mio letto sostenendosi la testa con una mano, mi osserva interessato.
 
«C’era bisogno di venire qui?» gli chiedo togliendomi mio malgrado gli auricolari. Prima o poi dovrò trovare un modo per imporre a tutti quanti di bussare, mi sta urtando i nervi questo fatto. Scuoto i miei capelli ancora umidi.
 
«Tardavi» osservo l’orologio e roteo gli occhi annoiata. Incrocio le braccia e sollevo un sopracciglio.
 
«Di due minuti, stavo per arrivare» puntualizzo con un cenno della mano. Passo di fianco al letto sotto il suo sguardo attento per mettere cuffie e cellulare dentro il cassetto del comodino, ricomparso misteriosamente nuovo dopo che io l’ho fracassato qualche tempo fa.
 
«Non sono stati mal spesi comunque» controbatte in ogni caso facendomi intuire che lo spettacolo di danza che gli ho offerto poco fa non gli è dispiaciuto. Mi volto a guardarlo aspettando una sua battuta perversa, ma non arriva. Ricambia i miei sguardi e dopo qualche attimo batte la mano sul materasso un paio di volte.
 
«Diciamo subito una cosa, non farò sesso con te» metto in chiaro immediatamente mentre mi siedo sul bordo del letto il più lontano possibile da lui. Raito risolve il problema gattonando verso di me e cominciando ad annusarmi i capelli.
 
«Non ti voglio costringere, sarai tu a chiedermelo, quando sentirai cosa posso farti provare» risponde con voce flebile mentre un sospiro abbandona le sua labbra. Sento il suo respiro sul collo. Le sue mani si appoggiano sulle mie spalle accarezzandomi con le dita fredde.
 
«Ne dubito fortemente» rispondo in un sibilo irritato. Serro i pugni tanto da far sbiancare le nocche, il mio istinto naturale sarebbe quello di scaraventagli contro una gomitata, eppure non posso ho un patto da onorare e una penitenza da subire. Le sue mani si spostano giù sulle braccia provocandomi centinaia di brividi che mi fanno irrigidire visibilmente.
 
«Piccola Lilith, non sai che il filo che divide il dolore dal piacere è molto sottile? Ti potrei fare raggiungere l’universo, dove faremo l’amore tra le stelle» sussurra al mio orecchio per poi leccarmi il collo subito dopo. Mentre stringe la presa sul mio braccio sinistro, una sua mano scende a sfiorarmi la coscia. Mi tira sopra il letto salendo a cavalcioni su di me.
 
«Io e te non faremo mai sesso, ne tanto meno l’amore» lo guardo annoiata, ma comunque lascio che lui annusi il mio collo per tutta la sua lunghezza. Sorride con quella traccia di malizia che caratterizza la sua espressione, solleva lo sguardo per osservarmi in viso. I suoi occhi sono molto più luminosi del solito.
 
«Lo vedremo…» si avvicina al mio viso e cerca di unire le nostre labbra, ma io volto il viso di lato impedendogli di baciarmi. Non sembra stupito, scende sul mio collo e morde. Io stringo i denti, come ogni volta fa male, sento il solito dolore acuto e unico. Si diverte e l’eccitazione delle sue emozioni si dirada incontrastata nel mio corpo. Chiudo gli occhi cercando di non pensarci, ma nel buio le immagini che si affacciano alla mia mente hanno me e Subaru come protagonisti. Quando lui mi ha morso, il dolore non c’era, solo quella nuova sensazione di piacere. Mi concentro su quei ricordi e il morso di Raito diventa solo un dolore lontano, quasi inesistente.
 
«La tua espressione ti tradisce, sgualdrinella» sento la voce colma di malizia di Raito e i miei occhi si aprono distruggendo quel momento di pace. Lo osservo interrogativa. «Stavi sorridendo»
 
«E tu pensi che stessi sorridendo per il tuo morso?» gli chiedo osservandolo con ovvietà. Lui sembra convinto della sua idea, roteo gli occhi e sbuffo. «Scordatelo, quando il tuo morso mi farà stare bene ti farò un fischio»
 
«Per cosa sorridevi allora?» mi accarezza i capelli, mentre con l’altra mano inizia ad accarezzarmi la coscia lascivo. Mi fa piegare la gamba in modo che sia anche appoggiata al suo fianco, la sua mano scorre sul retro della mia gamba finché non raggiunge il ginocchio. In quel momento la mia gambe si chiude completamente bloccando la sua mano tra la coscia e il polpaccio, una risatina scappa dalle mie labbra.
 
«Mi fai il solletico» esclamo ancora sorridendo e lasciando libera la sua mano. Lui appoggia la mano sul mio ginocchio e si solleva dal mio corpo osservandomi.
 
«Non sapevo che soffrissi il solletico» l’espressione con cui mi guarda non promette nulla di buono. Prima che possa sfuggirgli porta le mani sui miei fianchi e inizia a farmi il solletico con un ghigno in faccia. Scoppio a ridere incontrollata in preda a contrazioni involontarie del mio corpo.
 
«Fermo… smettila!» dico tra le risate, le mie mani cercano di togliere le sue dai miei fianchi, le gambe si agitano, ho paura di tirargli un calcio. Mi manca il respiro, ma lui non sembra intenzionato a smettere. Lo osservo socchiudendo appena gli occhi, il ghigno ha lasciato il posto a un sorriso vero e proprio.
 
«Non la smetto, ammetti che alla fine non ti dispiace stare qui con noi sei?» chiede mentre cerca di bloccare i movimenti frenetici delle mie gambe con un braccio, fatica inutile. Mi chiudo a riccio cercando di impedire alle sue mani di raggiungermi, ma niente, tiene salda la presa sui miei fianchi mentre io quasi muoio soffocata. Mi lascia dopo qualche attimo, osservandomi mentre cerco di ristabilizzare la respirazione. «Allora lo ammetti?»
 
«Nemmeno per sogno» ribatto prendendogli i polsi prima che possa accanirsi nuovamente su di me. Ci osserviamo per dei secondi, quel sorriso non ha abbandonato il suo viso anche se meno accentuato di prima.
 
«Hai firmato la tua condanna, piccola Lilith» con una mossa veloce si libera i polsi e, mettendosi a cavalcioni su di me, riprende la sua “tortura”. Io esplodo nuovamente ordinandogli di smetterla, glielo ordino, glielo chiedo, lo imploro, ma niente. «Devi ammettere che tutto sommato qui non è così male, altrimenti non ti lascio più prendere fiato»
 
«D’accordo» strillo a un certo punto al limite umano di sopportazione, mi fanno male gli addominali da quanto ho riso e ho le lacrime agli occhi. Mi lascia respirare. «D’accordo, lo ammetto, qui non è così male» porto una mano sul mio petto sentendo il battito accelerato all’inverosimile.  L’ho detto davvero? O meglio, credo davvero in quello che ho detto?
 
«Brava piccola» di nuovo quel sorriso alberga sulle sue labbra, è così strano vederlo sorridere davvero. «Comunque non hai risposto alla mia domanda, per cosa sorridevi?» mi torna in mente la scena prima del solletico, devio il mio sguardo dai suoi occhi. Stavo pensando a me e Subaru, ma non posso dirglielo di certo.
 
«Evito il dolore pensando a dei bei ricordi» rispondo vaga continuando a evitare il suo sguardo, temo possa leggere la risposta nei miei occhi.
 
«Che genere di ricordi?» chiede malizioso, prende nuovamente la mia gamba e scende ad annusarla accarezzandola. Mi irrigidisco non perdendo di vista i suoi movimenti, mi viene la pelle d’oca non appena il suo naso sfiora leggermente la coscia, è freddo.
 
«Di sicuro non ti riguardano» rispondo lentamente, mentre la sua lingua assaggia la mia pelle.
 
«A chi pensavi? A quel biondino occhi azzurri… oppure a Subaru?» chiede mentre affonda i denti nella carne della mia coscia. Io spalanco gli occhi più per la sorpresa che per il dolore. Lui sa.
 
«Non pensavo a nessuno dei due» rispondo tranquilla, ma comunque a denti stretti, per sembrare il più convincente possibile. Comincia a bere e subito vengo colta da quella pessima sensazione della vita che scorre via. Sembra che la sensibilità della mia pelle sia raddoppiata da quanto sono tesa.
 
«Sai, ultimamente il nostro caro fratellino musone è diventato più tranquillo, la cosa divertente è che tutto ciò è iniziato circa al tuo arrivo, sapresti spiegarmi il perché?» lecca ingordo il sangue scivolato via dalle sue labbra, ne assapora ogni singola goccia come fosse la sua dipendenza.
 
«Non sembrate molto uniti voi sei fratelli e poi siete così diversi l’uno dall’altro» dico dopo attimi di silenzio occupati solo dai sospiri di Raito. Sentendo quelle parole, lui si stacca e mi osserva. Si mette seduto al mio fianco.
 
«Sei una ragazza curiosa, Lilith» mi dice poggiandosi sulle ginocchia con i gomiti. Sollevo le spalle e mi metto di fianco a lui. «Davvero vuoi sapere qualcosa su di noi?» chiede come se non gli fosse mai capitato di dover raccontare di sé. Pianto anch’io i gomiti sulle ginocchia e appoggio il mento sulle mani intrecciate in ascolto. Lui fa una risatina.
 
«Probabilmente sai già qualcosa di nostro padre, è un politico molto famoso e influente» comincia ed io annuisco. Il nome di Togo Sakamaki è conosciuto un po’ da tutti.
 
«Abbiamo tutti lo stesso padre, ma tre madri diverse, le tre mogli del capo famiglia Sakamaki, cioè Cordelia, Betrix e Christa» socchiudo le labbra, non l’avrei mai immaginato. Accidenti, il signor Sakamaki si sarà divertito alla stragrande con addirittura tre mogli.
 
«Tu sei figlio di…?» chiedo interessandomi per davvero, il fatto di scoprire qualcosa di più sulla famiglia con cui dovrò vivere mi fa piacere.
 
«Cordelia, insieme ad Ayato e Kanato, Shu e Reiji invece sono figli di Beatrix e infine Subaru di Christa» la mia mente inizia a lavorare per fare una specie di mappa mentale su tutta la famiglia Sakamaki.
 
«Dove sono le vostre madri? Vostro padre immagino sia costantemente lontano per lavoro, ma loro?» chiedo quando sono finalmente riuscita ad organizzare tutte le nuove informazioni nella mia testa. Lui mi osserva inespressivo.
 
«Sono tutte morte, le abbiamo uccise noi, i loro stessi figli» risponde attendendo la mia reazione. I miei occhi si spalancano e subito raddrizzo la schiena osservandolo mezza sconvolta.
 
«Uccise? Le vostre stesse madri, perché?» chiedo frenetica. Perché avrebbero dovuto? Perché uccidere le loro stesse madri? Non credo ci sia una motivazione abbastanza giusta.
 
«Cordelia era una donna infida, vanitosa e maligna. Sfruttava chiunque e seminava zizzania e discordia nella famiglia per puro divertimento. Inoltre, tradiva nostro padre con Richter, nostro zio e fratello di Togo, probabilmente sfruttando anche lui, usandolo per i suoi loschi scopi» alza la voce come per dare più peso alla sua giustificazione. «Ti basta come motivazione? Siamo dei vampiri, non dei santi che tutto perdonano» ci penso un attimo, essere cresciuti con una donna simile non dev’essere stato facile. Crescere senza il giusto affetto può portare a non provarne nemmeno in futuro e a dubitare di quello che si riceve credendo che ci sia comunque un doppio fine. Lo vedo serrare un pugno, lo guardo un attimo esitando, ma poi appoggio una mano sul suo braccio.
 
«E le altre due donne?» chiedo cercando di tornare tranquilla. Lui osserva la mia mano posata sul suo avambraccio che lo stringe leggermente, come se non avesse mai ricevuto un gesto di consolazione. Gli sorrido notando il suo attimo di smarrimento e imbarazzo.
 
«Non ho idea del motivo per cui le uccisero, dovresti chiedere ai diretti interessati» dice rilassando lentamente la mano sotto il mio tocco, finché non la appoggia stesa sulla gamba io continuo a tenergli la mia sul braccio. Ritorno a portare la mano vicino a me, ma lui mi blocca a metà strada prendendo la mia mano nella sua, la riporta vicino a sé e comincia a giocare con le mie dita. Lo lascio fare con un mezzo sorrisetto. «Ayato è cresciuto nutrendo un profondo odio per la madre che, decisa a fare di lui il futuro successore dei Sakamaki, lo puniva con pesanti punizioni corporali, facendogli rischiare quasi l'annegamento»
 
«È crudele!» esclamo a quel punto aggrottando la fronte indignata. «È orribile, trattare così Ayato, suo figlio, per di più per un fine tanto stupido!»
 
«Direi che anche lui era d’accordo con questa idea, Cordelia mi fece credere per anni di essere il suo “prediletto”» fece le virgolette con le mani disgustato. «Dopo aver scoperto la menzogna, ho ucciso la donna in comune accordo con Kanato e Ayato»
 
«E vostro padre si era innamorato di una donna simile? Mi sembra incredibile» guardo la mia mano nelle sue mentre lui gioca con le mie dita.
 
«Dunque, credi ancora che siamo in torto noi per averla uccisa?» chiede di punto in bianco fermando il movimento delle sue mani lasciandomi andare. Mi porto l’unghia dell’indice tra i denti mordicchiandola.
 
«Beh, sotto questo punto di vista credo che non avete tutti i torti… avete davvero passato un’infanzia terribile, quella che avrebbe dovuto regalarvi amore, vi ha portato solo dolore» dico osservandolo comprensiva, per qualche attimo mi guarda negli occhi poi le sue guance si colorano di un leggero rosso e lui abbassa gli occhi. Sorrido divertita. È passato dalla provocazione all’arrossire. «Mi chiedo se sia a causa sua che non sembri saper distinguere l’amore dal sesso»
 
«Cosa?» esclama tornando subito a guardarmi. Sollevo un sopracciglio con un sorrisetto.
 
«Vorresti dirmi che sai dividerli?» gli chiedo sicura della risposta, appoggio il viso su una mano osservandolo indagatrice.
 
«Beh…» inizia a disagio e senza trovare le parole. «Oh insomma, lo so e basta» esclama deciso, ma imbarazzatissimo alzandosi dal letto di scatto. Io nascondo una risatina coprendomi le labbra con una mano.
 
«Certo come no» rispondo senza crederci minimamente, lo vedo passarsi una mano sul collo e guardarmi con la coda dell’occhio, fa un sorrisetto anche lui. Si riprende in fretta dall’imbarazzo e si volta nuovamente verso di me, si toglie il cappello portandoselo al petto e inchinandosi.
 
«Grazie dalla splendida giornata, sgualdrinella, spero potremo rifarla prima o poi» mi fa un occhiolino e scompare. Io roteo gli occhi. Non cambierà proprio mai.


Angolo Autrice:
Scusate per il ritardo nel pubblicare, ma la scuola stressa parecchio. Chiedo venia!
Spero comunque che il capitolo sia di vostro gradimento!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Dopo che Raito è uscito, io sono rimasta ferma sdraiata sul letto a rilassarmi e a pensare a quello che ho scoperto oggi. Raito se n’è andato prima di quanto pensassi, credevo sarebbe rimasto a bere il mio sangue per tutto il resto della notte, ma a quanto pare ha altri programmi. Dopo una manciata di minuti decido di alzarmi. Mi metto velocemente il costume sotto i vestiti, prendo un grande asciugamano ed esco dalla mia stanza con un sorriso. Ricordo di aver visto una grande piscina, non vedo l’ora di farci un tuffo. Scendo le scale veloce come un lampo e cammino svelta per i corridoi, rallento quando riconosco il posto.
 
«Dovrebbe essere… questa» apro la porta e subito vengo investita da una sensazione di calore, questa stanza è sempre riscaldata per permettere i bagni anche invernali, come in questo caso. Entro e chiudo la porta appoggiandomici e osservando entusiasta la piscina, non vedo l’ora di tuffarmi. Cammino svelta verso un divanetto poco distante e comincio a togliermi i vestiti velocemente restando con il costume. Mi osservo negli specchi che circondano la sala, il costume nero intero fascia il mio corpo lasciando un solco tra i seni fino ad appena sotto. Corro verso la piscina e mi tuffo di testa andando sott’acqua e cominciando a nuotare. Dopo pochi attimi ritorno in superficie, lanciando i capelli all’indietro, e riprendo fiato.
 
«Che relax… potrei restare così per sempre» galleggio sulla schiena e osservo il soffitto. Torno sotto facendo una capriola in acqua, nuoto al massimo della mia velocità fino ad arrivare alla parete della piscina, girare e ripartire dandomi una forte spinta con i piedi.
 
Nuoto per una buona mezz’ora, fino a quando non provo l’irritante sensazione di essere osservata. Mi appoggio con le braccia al bordo della piscina e inizio a ispezionare attentamente la stanza. I miei occhi ricadono sul divanetto dove ho lasciato i miei vestiti, ci è sdraiato Shu con un braccio sotto la testa come cuscino, tiene nella mano la mia maglietta e la annusa lentamente. Mi osserva con la coda dell’occhio, ecco da cosa era provocata quella sensazione. Roteo gli occhi ed esco dalla piscina.
 
«Ti dispiacerebbe smettere di annusare la mia roba?» dico avanzando verso di lui. Sento i capelli inzuppati appiccicati alla schiena e alcuni ciuffi al viso, li stringo tra le mani facendo cadere l’acqua per terra.
 
«Hanno il tuo profumo… è buono» parla lentamente come se fosse sul punto di addormentarsi oppure come se fosse costantemente annoiato. Mi fermo a circa un metro da lui e appoggio una mano sul fianco.
 
«Sì, me lo dicono anche i tuoi fratelli» rispondo senza pensarci, mi ritornano in mente le parole di Raito, riguardo alla madre di Shu. È stata uccisa da lui e da Reiji, oppure da uno solo dei due, potrei chiederglielo. «Senti, ti andrebbe di parlarmi di Beatrix?» domando vagamente titubante. Lui allontana la maglietta dal suo viso e apre completamente gli occhi, di un bel blu oceano.
 
«Come conosci quel nome?» la sua voce si è incupita improvvisamente ed è diventata più profonda. Non mi sembra un argomento di cui gradisce parlare, però io vorrei davvero sapere.
 
«Me ne ha parlato Raito, di lei, Cordelia e Christa» spiego aspettando che lui riprenda il discorso, dicendomi qualcosa di più su sua madre.
 
«Cosa ti ha detto di Beatrix?» lui continua con le sue domande, mentre appoggia la mia maglia sopra gli altri vestiti.
 
«Solamente che era la madre tua e di Reiji e che… l’avete uccisa» gli rispondo lentamente, come se da un momento all’altro potesse avere un attacco d’isteria.  Resta in silenzio per un tempo che a me sembra interminabile, sto quasi per stufarmi e tornare a nuotare, quando finalmente lui riprende a parlare.
 
«Reiji» dice soltanto. Sollevo un sopracciglio.
 
«Reiji?» ripeto in una domanda, lui si volta a guardarmi restando comunque sdraiato.
 
«Reiji ha ucciso Beatrix, era geloso delle attenzioni che nostra madre rivolgeva a me. In punto di morte, la donna disse a Reiji che era soddisfatta del suo gesto e morì con il sorriso sulle labbra, questo mio fratello non l’ha mai accettato, non avrebbe voluto darle una morte serena» lo osservo sbalordita da questa rivelazione. Non so cosa dire, in fondo io non so niente di cosa si prova nel sentirsi la seconda scelta della propria madre, nemmeno la prima a dire la verità. Davvero la loro madre si meritava di essere uccisa?
 
«Beatrix e Cordelia erano davvero così crudeli come me le avete raccontate?» chiedo abbassando leggermente lo sguardo verso le gocce d’acqua che circondano i miei piedi. Continuo a osservare Shu tra le ciglia.
 
«Cordelia sicuramente» non accenna a Beatrix ed io decido di non indagare oltre, meglio non infierire, nonostante la curiosità mi divori.
 
«D’accordo, io torno a farmi una nuotata, se per favore eviti di annusare i miei vestiti mentre sono in acqua mi faresti un favore» mi volto e ritorno a tuffarmi in acqua, quando ritorno in superficie sento uno spostamento d’acqua alle mie spalle, mi giro. Shu è in acqua ancora vestito poco lontano da me, lo guardo con una sopracciglio alzato.
 
«Non credo che il tuo mp3 sarà contento se gli fai il bagno» muovo le mani e le gambe per restare a galla a ritmo con lui. Con un paio di lunghe e potenti bracciate lui si avvicina a me, io istintivamente indietreggio finché non raggiungo la fredda parete della piscina dove la mia schiena si appoggia.
 
«Visto che non devo annusare i tuoi vestiti, vorrà dire che assaporerò direttamente il tuo sangue» dice lentamente senza cambiare di una virgola la sua espressione. Appoggia le mani sul bordo della piscina e si attacca al mio corpo, il suo viso sprofonda tra la mia spalla e il collo. «È un peccato che il tuo profumo così ammaliante, sia mitigato dall’acqua»
 
«Un vero peccato…» sibilo voltandomi dalla parte opposta. Mi tiene schiacciata contro le piastrelle, non ho nemmeno bisogno di nuotare per restare a galla, ci pensa lui. Le sue gambe sbattono leggermente contro le mie.
 
«Già» sussurra e affonda i canini, chiudo gli occhi di riflesso. Una sua mano scorre sul mio fianco stringendomi appena. Mi rendo conto solo ora che ogni volta i morsi sono diversi, ognuno ha un proprio modo di prendere il mio sangue. Raito è lussurioso, Ayato è possessivo, Reiji violento, ma probabilmente perché quella volta voleva solo farmi male, e controllato, Subaru la prima volta che mi ha morso è stato rabbioso, ma la seconda è stata tutta un’altra cosa, non saprei nemmeno come descriverlo, mi ha lasciata di stucco. Osservo il mio riflesso nell’acqua, finché non sento scorrere dentro di me le emozioni di Shu: noia, menefreghismo.
 
«Mi mordi solo per noia o cosa?» chiedo a quel punto rivolgendogli un’occhiata. Lui si stacca e una goccia di sangue scivola giù dal suo mento, per poi cadere in acqua e dissolversi.
 
«Anche, ma il tuo sangue è davvero qualcosa di irresistibile, potrebbe creare dipendenza» i suoi occhi sono fissi sulle piccole ferite nate dai suoi canini, li accarezza con un dito. Improvvisamente mi porta una mano sul retro del collo obbligandomi a mettere il mio viso di fronte al suo. Lo fisso negli occhi per nulla intimorita.
 
«Dillo» esclama a un certo punto, io lo osservo non capendo.
 
«Potresti smettere di parlare a monosillabi? È irritante» roteo gli occhi mettendo i gomiti sul bordo e tirandomi leggermente più su per essere poco più in alto di lui.
 
«Dì che vuoi essere morsa da me» completa la frase senza staccare i suoi occhi dai miei. Hai fumato qualcosa di strano ultimamente, Shu?
 
«Nemmeno per sogno» lo guardo come se avesse appena detto di aver visto un unicorno rosa sopra la mia testa.
 
«Eppure non ti ribelli più ai nostri morsi»
 
«Pronto? Abbiamo fatto un patto, voi non sfiorate Mihael nemmeno con un dito e io vi lascio bere il mio sangue, sei un po’ giovane per avere l’alzheimer, no?» sorrido schioccando la lingua sul palato, prendendolo in giro. Lui non cambia espressione.
 
«Perché quel ragazzo è così importante per te?» chiede ignorando completamente la mia domanda ironica. L’apatia di questo ragazzo è incredibile.
 
«Mai sentito parlare di amicizia?» controbatto giocando con l’acqua. Lui non risponde, quindi sospiro e continuo: «È un mio caro amico d’infanzia, non voglio che voi lo feriate ne tanto meno uccidiate»
 
Shu guarda il vuoto, non più me, come fosse perso in chissà quali pensieri. Osservo i suoi occhi ora spenti.
 
«Ehy Shu» schiocco un paio di volte le dita di fronte ai suoi occhi. Shu si riprende e si guarda intorno, sembra si sia scordato persino dove si trova. «Insomma, sveglia!» strillo e lo schizzo sul viso.
 
«Che vuoi?» si strofina gli occhi lanciandomi un’occhiataccia.
 
«Non ti riprendevi, sei rimasto a fissare il vuoto» lo schizzo di nuovo, sorridendo, questa volta lui si copre con le braccia.
 
«Insomma, finiscila!» esclama innervosito passandosi le maniche bagnate sul viso e peggiorando la situazione. Roteo gli occhi ancora con un sorrisetto.
 
«Che noioso» gli faccio la linguaccia, faccio per tirarmi su e uscire dalla piscina, ma lui in uno scatto mi spinge sott’acqua. Riemergo tra lo stupita e uno sconvolgimento divertito, lui ha un sorrisetto soddisfatto dipinto sul viso, mentre osserva la mia faccia.
 
«Noioso eh»  non appena finisce la frase un’ondata lo colpisce in pieno viso. Questa volta ci sono andata giù pesante, non qualche semplice schizzetto da quattro soldi. Prima che lui possa reagire vado sott’acqua e nuoto fino a toccare il fondo. Ritorno su per spuntargli alle spalle e spingere giù lui questa volta con tutto il mio peso, purtroppo sembra averlo previsto, quindi mentre scende mi afferra un polso e mi porta giù con sé.
 
Ci scambiamo un paio di sguardi in acqua e lui mi attira a sé mordendomi in acqua. Stringo gli occhi e lascio andare senza volere il fiato che stavo trattenendo. Beve velocemente per attimi che a me sembrano ore senza prestarmi attenzione, fino a quando non stringo forte il suo braccio in carenza di ossigeno. Mi riporta in superficie ed io riprendo finalmente fiato.
 
«Capisco bere il mio sangue… ma evita di farmi annegare almeno» ansimo godendomi l’aria che entra nei polmoni. «Forse ora è meglio se usciamo dall’acqua» concludo staccandomi da lui. Nuoto verso il bordo con lui dietro di me ed usciamo insieme dalla piscina, afferro l’asciugamano un po’ infreddolita e mi ci avvolgo cominciando ad asciugarmi. Shu è inzuppato e i suoi vestiti sono fradici. Non ha freddo così conciato?
 
Quando sono finalmente asciutta inizio a rivestirmi, nonostante il costume ancora leggermente umido. Mentre mi dirigo verso la porta d’uscita vedo l’mp3 di Shu sul bordo della piscina. Mi dirigo verso di esso e mi chino a raccoglierlo, quando sto per prenderlo, una mano si appoggia sulla mia schiena e mi butta in acqua.
 
«Questo è per avermi detto di essere noioso» afferma Shu guardandomi dall’alto e raccogliendo il suo mp3. Lo guardo sconvolta e subito Shu, incrociando i miei occhi, si porta una mano davanti al viso per trattenere un sorriso. «Dovresti vedere la tua faccia ora» subito dopo questa frase scoppia a ridere, una risata sincera e di gusto. È la prima volta che lo vedo ridere e questo mi fa sbollire in fretta l’incazzatura, anche se resta un senso di nervosismo per avermi infradiciato i vestiti.
 
«Shu Sakamaki, questa me la pagherai cara stanne certo» ringhio uscendo dalla piscina e guardandomi dalla testa ai piedi, poi guardo lui. Siamo entrambi bagnati dalla testa ai piedi, vestiti compresi, lui continua a ridere guardandomi, fino a quando non si riprende restando però con un sorrisetto.
 
«Che paura che mi fai, piccola Lilith» ironizza, io sbuffo sonoramente e gli passo di fianco dandogli una spallata, ma comunque un sorriso spunta involontariamente sulle mie labbra. D’accordo, non posso fare paura a un vampiro, ma per lo meno… sono riuscita a far ridere Shu.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Osservo attentamente come sono conciata non appena esco dalla stanza. Dopo questa, ti lancio in un barile di acido Shu! Sbuffo sonoramente e cerco di asciugarmi al meglio per non gocciolare in giro, Reiji mi scuoierebbe viva in quel caso. Corro in camera mia, fortunatamente senza scrociare nessuno. La prima cosa che faccio è cambiarmi immediatamente mettendomi qualcosa di asciutto, fra poco probabilmente ceneremo. Bevo d’un fiato il succo di mirtilli che ogni giorno trovo sul mio comodino, oggi quando mi sono svegliata me ne sono completamente scordata. Osservo l’ora: 6.45, devo proprio scendere, prima che a Reiji venga la brillante idea di venirmi a recuperare. Corro giù per le scale e per poco non vado a sbattere contro Ayato.
 
«Ops, scusa» sorrido andando avanti scendiamo insieme e raggiungiamo la sala da pranzo dove già gli altri ci aspettano.
 
«Incredibile, sei in orario, stavo già per venirti a chiamare e farti un bel discorsetto sul concetto di “puntualità”, ragazzina» mi accoglie Reiji. Vado di fronte al mio posto e lo osservo alzando gli occhi al cielo.
 
«Sempre così simpatico, Reiji, sai dovresti provare qualche massaggio per rilassarti, così potresti diventare un po’ più accomodante» gli faccio un sorrisetto come scherzosa presa in giro e lui mi guarda male, solita routine. Ci sediamo tutti insieme e nel più completo silenzio iniziamo a mangiare, Kanato sta rompendo con la forchetta dei piccoli biscotti ridendo da pazzo e facendo un gran frastuono sbattendo il metallo sulla ceramica. Le cene sono sempre così, ci ritroviamo tutti qui, mangiamo in un silenzio tombale, poi ci alziamo e ce ne andiamo ognuno per i fatti suoi. Non vanno per niente d’accordo.
 
Subaru è il primo ad alzarsi e andarsene, seguito da Shu. Io come al solito aspetto tutti per fare un favore al maniaco dell’etichetta Reiji. Ce ne andiamo anche io e Reiji, quando gli altri sono usciti. Vorrei cambiare tutta questa monotonia, fare due chiacchiere a tavola, ma loro non sembrano per nulla d’accordo. Me ne vado nella mia stanza, decisa ad ascoltare un po’ di musica prima di andare a dormire. Infilo immediatamente le cuffie e subito vengo travolta dalla musica assordante. “Feel Invincible” degli Skillet mi attraversa la membra simile a una scosse elettrica.
 
«Ci voleva una canzone simile» dico prima di intonare insieme al cantante le parole della canzone. Inizio a ballare per la camera facendomi guidare interamente dalla sinfonia. Dà una carica pazzesca, non puoi fare a meno di sentirti esaltato ascoltando qualsiasi loro canzone. Spalanco la porta-finestra uscendo in terrazza senza smettere di cantare.
 
«Shot like a rocket up into the sky,
nothing could stop me tonight.
You make me feel invincible.
Earthquake, powerful.
Just like a tidal wave,
you make me brave…»
 
Il mio sguardo scende verso l’ampio giardino di rose e smetto di cantare non appena vedo Kanato che cammina tra di esse stringendo al petto il suo orsetto e nell’altra mano un mazzo di rose. Si avvia verso un’area del giardino che non ho ma visto, subito la curiosità mi cattura. Dove starà andando?
 
«Lilith, non fare l’impicciona» mi rimprovero a voce bassa, ma quando lo vedo scomparire in un corridoio di cespugli, inizio a camminare svelta fuori dalla porta della mia stanza. «Dannata curiosità» corro fuori di casa furtiva e silenziosa, mi sento una ladra. Quando esco in giardino faccio attenzione che non ci sia nessuno in giro e seguo Kanato per il corridoietto semi-nascosto. L’aria ghiacciata mi gela le braccia nude, le strofino forte cercando di riscaldarmi almeno un po’. Kanato è poco distante da me, fermo di fronte alla porta di una piccola struttura. Resto nascosta osservando l’ambiente da lontano. L’edificio è circondato da tante tombe, è abbastanza inquietante, ma Kanato sembra sentirsi a suo agio qui in mezzo.
 
Resta così per una manciata di secondi, poi spinge la porta ed entra lasciandola socchiusa, dentro la luce è davvero tenue. Aspetto qualche attimo per essere sicura che non torni fuori, poi mi avvicino veloce muovendomi con estrema cautela. Affaccio il viso alla porta, ma non lo vedo. La porta si apre improvvisamente scoprendomi e Kanato è poco distante da essa che mi osserva serio.
 
«Davvero credeva che non l’avremmo sentita arrivare? Eh Teddy?» si rivolge all’orsetto, io lo guardo un po’ imbarazzata.
 
«Scusa, è che ti ho visto allontanarti ed ero curiosa di sapere dove stessi andando» rispondo passandomi nervosa una mano tra i capelli, li tiro leggermente, mentre lui non toglie gli occhi da me.
 
«Entra, ti faccio vedere» mi invita ad avanzare con un gesto della mano. Entro guardandomi intorno, la struttura è un semplice corridoio, più avanziamo più la luce aumenta, fino a vederci perfettamente. Ai lati del corridoio sono esposte una serie di statue di cera su dei rialzi, come fossero vere e proprie opere d’arte. Sono tutte donne e tutte vestite da sposa bouquet stretto tra le mani compreso, tutte molto belle.
 
«Questi sono i miei tesori» mi spiega Kanato indicando le ragazze, lascia il mazzo di rose su un altare in fondo al corridoio. «Chissà che un giorno non sarai anche tu tra loro…» lo sento sussurrare e immediatamente i miei occhi saettano verso di lui allertati da quella frase.
 
«Cosa vuoi dire?» assottiglio lo sguardo, quando lui non risponde voltandosi verso di me con un sorriso sadico per spiegazione, io inizio a guardare ogni statua con più attenzione. Sono davvero molto dettagliate, persino i capelli sembrano poter svolazzare al minimo soffio di vento, in un attimo capisco: quelle statue, quelle statue che io credevo fatte di cera sono le ragazze arrivate in questa casa prima di me. Mi volto di nuovo verso Kanato, ma lui mi è già addosso buttandomi a terra.
 
«Siete pazzi!» gli urlo in faccia direttamente con rabbia. Lui mi tiene le braccia inchiodate al pavimento gelato. Si avvicina al mio viso con quel sorrisetto malato in faccia.
 
«Gli altri non c’entrano, ho fatto tutto io, ti piacciono le mie bamboline? Anche Teddy pensa che ci staresti benissimo anche te insieme a loro, ti tratterei bene, cercherei degli occhi di vetro dello stesso identico colore dei tuoi, resteresti per sempre giovane qui con me» lo guardo con quasi disgusto. La mascella serrata insieme ai pugni talmente forte che fanno male.
 
«Per sempre giovane sì, ma non più viva» sibilo, solo il patto mi trattiene dal liberarmi di lui con una ginocchiata. In fondo è solo un ragazzino. Ma non posso, devo sopportare.
 
«Perché non vuoi restare con me? Ti tratterei da regina» passa una mano tra i miei capelli tirando in su e districando alcuni nodi. «A tutte le ragazze piacciono queste cose, no?» chiede a quel punto inclinando la testa di lato.
 
«Io non sono “tutte”» rispondo in un ringhio inviperito. Sento la vena sulla tempia iniziare a pulsare per l’arrabbiatura che sta crescendo in me. Volto la testa di lato in uno scatto, mettendo in mostra la curva del collo.
 
«La ragazze non vogliono un bacio prima di essere accontentate?» chiede con una strana voce da bambini. Io gli lancio un’occhiata.
 
«Primo: non sono felice che tu mi morda quindi non è un “essere accontentata”… secondo: prova anche soltanto a sfiorare le mie labbra con le tue e ti giuro che non vivrai abbastanza per raccontarlo!» la mia voce è tagliente come la lama di un rasoio. La mia minaccia gli fa perdere il sorriso facendogli trasformare gli occhi in uno strano stato apatico.
 
«Non sei molto gentile» dice mentre la presa delle sue mani sulle mie braccia si stringe come una morsa. Lo guardo e rispondo a denti stretti.
 
«Quando riceverò gentilezza, donerò gentilezza, dare per ricevere, non te l’hanno mai insegnato?» lui non dice più niente e per secondi, forse minuti, restiamo a fissarci negli occhi nel più completo silenzio. Poi lui si abbassa fulmineo verso di me e morde con forza il mio collo, il mio corpo reagisce di conseguenza: i pugni si stringono, la mascella si serra e gli occhi si chiudono. La vita scorre fuori dal mio corpo talmente veloce che mi fa girare la testa, le sue emozioni si sovrappongono. Solitudine, follia, sadismo, ossessione. Di questo passo mi dissanguerà nel giro di pochi minuti.
 
«Kanato, anche se ho promesso di non ribellarmi ai vostri morsi, ciò non significa che lascerò che tu mi uccida» lo avverto pronta a tirargli una forte ginocchiata e a sfuggire dalla sua presa, nel caso ci fosse stato bisogno. Lui non risponde e continua a prendere grossi sorsi del mio sangue, sembra che non riesca più nemmeno a staccarsi. Dopo ancora qualche attimo di sofferenza si stacca, io ormai vedo sfocato e le palpebre pesano davvero tanto. Ma non voglio svenire qui, non con lui, non voglio sapere cosa potrebbe fare mentre io sono priva di sensi. Kanato non guarda più me, ma un punto distante lungo il corridoio. I miei occhi si chiudono.
 
∞∞∞
 
Ricorda chi sei. Non appartieni a questo mondo, Lilith. Ricorda. Ricorda tuo padre. Ricorda il tuo vero mondo. Ricorda la tua stirpe. Ricorda le tue origini. Lilith. Tu non appartieni a questo mondo. Lilith… Lilith… Lilith…
 
Mi sveglio di soprassalto. La fronte imperlata si sudore, gli occhi sbarrati e il respiro spezzato. Cos’erano quei sussurri? Appoggio una mano sul mio petto e sento il rimbombo del mio cuore. Cerco di mandare giù il groppo che mi si è formato in gola, ma niente. Sono nella mia stanza, prima di svenire ricordo lo sguardo di Kanato puntato verso l’ingresso di quello strano posto pieno di ragazze imbalsamate, da brivido. Incredibile che lui mi abbia riportata qui, mi aspettavo di risvegliarmi là dentro completamente sola. O nel peggiore dei casi non risvegliarmi affatto. Sento il sangue colato dalle ferite che si è seccato sulla mia pelle.
 
«Che scocciature, inizia a essere stressante stare dietro a questi sei vampiri, ogni giorno vengo ridotta al minimo» borbotto andando in bagno per togliermi dal collo le tracce di sangue lasciate da Kanato. Quando torno nella stanza, noto per terra vicino alla finestra un oggettino che luccica sotto i raggi lunari. Mi avvicino e lo raccolgo. È una chiave d’oro infilata in una sottile cordicella, mi è familiare. La rigiro tra le mani e mi accorgo che la cordicella è strappata, come fosse stata rotta con la forza. Mi viene in mente dopo pochi attimi in cui la osservo a chi appartiene. È di Subaru, la porta sempre al collo. Sfilo lo spago nero ormai strappato e vado a frugare tra le mie cianfrusaglie, trovo una catenella d’argento con appeso un mio vecchio cristallo blu che tenevo da bambina, tolgo il mio ciondolo e lo ripongo nel cofanetto, al suo posto infilo la chiave. Sto per mettermela in tasca appuntandomi mentalmente di restituirgliela non appena lo vedo, ma poi un’altra idea mi attraversa la mente. Mi infilo la collana al collo e mi guardo allo specchio.
 
«Cosa ci faceva la sua chiave in camera mia?» mi chiedo osservando i riflessi dell’oggetto in questione. Sorrido inconsciamente ed esco dalla mia stanza per scendere per la colazione, dopo aver bevuto il solito succo di mirtilli. Salto sulla ringhiera delle scale e scivolo giù come una bambina.
 
«Buongiorno a tutti» esclamo con un sorriso spalancando le porte della sala. Sei paia di occhi mi puntano immediatamente, sorpresi della mia entrata rumorosa. Mi accomodo al solito posto, tra Ayato e Kanato.
 
«Dopo colazione preparati, andiamo a scuola» dice immediatamente Reiji. Io annuisco e subito dopo lancio un’occhiata al collo di Subaru, non ha la collana. Mi chiedo quanto ci metterà ad accorgersene.
 
«Mi chiedo cosa si studia nella vostra scuola, la scorsa volta non sono riuscita a scoprirlo» lancio un’occhiata allusiva a Raito che risponde con un occhiolino e l’immancabile sorrisetto malizioso. «Insomma dubito che sia come quella umana» aggiungo guardandoli uno per uno. Stanno tutti zitti, tranne Reiji che mi risponde professionale.
 
«La maggior parte delle discipline sono alquanto differenti dalle vostre ovviamente, ma materie come filosofia, latino e poche altre sono le stesse» comincia a mangiare tranquillo. Mugugno frustrata.
 
«Latino? Dovrò davvero studiare latino? Oh no…» sollevo gli occhi al cielo in un chiaro segno di disperazione. Guardo gli altri, non sembrano interessati a mettere su una conversazione.
 
«E pretendo ottimi voti» dichiara Reiji irremovibile. Poi anche lui lancia un’occhiata di rimprovero verso i fratelli. «Al contrario di altri» aggiunge con irritazione nella voce. Cerco di spostare l’argomento su altro.
 
«Dopo la scuola, ho bisogno di un’altra lezione di combattimento» cambio discorso mordendo un muffin alla crema. Vedo Raito aprire la bocca per dire qualcosa, ma subito lo blocco. «Non da te, mi hai già addestrata abbastanza! Shu, Reiji, Subaru, Ayato, Kanato?» li chiamo tutti mentre Raito sbuffa. In quel momento vedo gli occhi di Subaru puntarsi sul mio collo.
 
«Quella è la mia chiave» esclama osservandomi con occhi di fuoco. Faccio un sorrisetto. Era ora Subaru, ce ne hai messo di tempo. Decido di fare la finta tonta.
 
«Ah davvero? Era per terra in camera mia, dunque è a te che appartiene» la rigiro tra le mani, lui subito tende una mano verso di me con il palmo verso l’alto.
 
«E vorrei riaverla indietro» dice con una voce cupa, i suoi occhi scrutano nei miei in cerca delle mie intenzioni. Gli sorrido e mi sfilo la collana.
 
«Te la ridò, sì» la avvicino facendo penzolare il ciondolo sopra il suo palmo, ma non appena lui chiude la mano per prenderla, io la allontano con uno scatto veloce. «Se tu mi farai da insegnate nel combattimento questa sera» lui ritira la mano e ci scambiamo sguardi elettrici. Nei suoi occhi leggo una certa curiosità per il mio modo di fare. Gli sorrido osservandolo tra le lunghe ciglia nere. Imparerai a conoscermi, Subaru. Che i giochi abbiano inizio.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Non appena finisco la colazione, volo su in camera per mettermi la divisa scolastica. Stavolta niente scappatelle con Raito o chiunque altro, Reiji non me lo perdonerebbe mai. Indosso i vestiti e mi specchio osservandomi attentamente. Aggrotto la fronte.
 
«Manca qualcosa…» mi guardo da diverse angolazioni, quel fiocco rosso è davvero orribile. Penserò una volta tornata a casa alla divisa, magari ne cucirò una io a mio piacimento. Sorrido al pensiero della faccia che farà Reiji vedendomi tagliare e riforgiare la divisa classica. Per oggi mi limito a togliere quell’orrendo fiocco rosso e ad abbottonare fino al penultimo bottone la camicetta. Mi rimetto la collana con la chiave di Subaru, intendo portarla sempre con me finché non dovrò restituirgliela. Scendo dalle scale e ritrovo già tutti gli altri davanti al portone d’ingresso.
 
«Ce ne hai messo di tempo» mi rimprovera Reiji, come al solito non si accontenta mai. Io appoggio il fianco sulla ringhiera delle scale e incrocio le braccia guardandolo dall’alto verso il basso.
 
«Ci ho messo il tempo di cui avevo bisogno» ribatto mentre salto sopra la ringhiera e mi lascio scivolare giù. Alla fine delle scale vengo presa per la vita da Shu che mi solleva per un attimo, per poi riappoggiarmi con i piedi per terra. «Grazie» gli sorrido e mi avvio verso l’uscita. Reiji scuote la testa.
 
«Andiamo» afferma il vampiro dai capelli viola e lo sguardo severo. Saliamo tutti in macchina e ci avviamo a scuola. «Inoltre, se evitassi di indossare la divisa a pezzi, sarebbe molto più decoroso» chiude gli occhi e incrocia le braccia appoggiandosi allo schienale. Io accavallo le gambe.
 
«Quel fiocco è davvero inguardabile, quindi o mi dai qualcosa di più carino da vedere o niente» sollevo le spalle ormai indifferente ai suoi continui rimproveri. Lui non risponde ed io smetto di tenere la mia attenzione su di lui, inizio a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorre.
 
Raggiungiamo la scuola in una ventina di minuti e, quando scendiamo dalla lussuosa limousine, io e Raito raggiungiamo la nostra classe.
 
«Sicura di non voler fare un giro come la scorsa volta?» si lecca le labbra in modo lascivo e provocante. Gli prendo il bordo del cappello e lo tiro verso il basso per coprirgli gli occhi, lui in tutta risposta mette il broncio. Gli faccio una linguaccia e entro in classe seguita da lui. Lo spazio è ampio e i banchi sono disposti in grandi gradoni per controllare perfettamente anche quelli dell’ultima fila. Oltre a noi due ci sono soltanto altre cinque persone, di cui un’umana. Lei mi osserva entrare e mi rivolge un debole sorriso che ricambio con uno molto più aperto ed esposto. Mi dirigo verso di lei e siedo al suo fianco, Raito mi segue con le mani in tasca.
 
«Ehy» la saluto gentilmente, lei tiene entrambe le mani sul suo grembo e la testa incavata tra le spalle. Di fianco a lei, una delle creature soprannaturali che avevo visto la scorsa volta dentro questa scuola sonnecchia sul banco annoiato. Lo ignoro. «Lilith, piacere»
 
«Sarah…» sussurra impacciata, lancia timorose e frequenti occhiate verso il ragazzo al suo fianco. Io alterno lo sguardo da lei a lui. Questa umana dev’essere la sua preda. Chissà se viene trattata diversamente da come trattavano me. Improvvisamente il ragazzo si solleva e punta il suo sguardo contro di me, i suoi occhi sono gialli e dalla pupilla verticale simili a quelli di serpente. Prende la ragazza per la gola e la trascina sopra di sé con la forza.
 
«Sakamaki dovresti addestrare per bene la tua schiava, anziché lasciare che importuni chi non dovrebbe» la sua voce ricorda un sibilo subdolo e malvagio. Lo fulmino con un’occhiata glaciale.
 
«Io non sono la schiava di nessuno, viscido serpente» sbatto un pugno sul tavolo e assottiglio il mio sguardo. Lui fa lo stesso ringhiandomi contro, sposta con la forza la ragazza da sé e la getta per terra. Si alza di scatto pronto ad attaccarmi. Raito mi prende un braccio tirandomi dietro di lui.
 
«Aspides, non è il caso di iniziare una battaglia tra le mura di scuola, non ti pare?» dice senza togliere il braccio che tiene accanto a me in segno di difesa. Il cosiddetto Aspides sibila fra i denti, sembra in tutto e per tutto figlio di una serpe.
 
«Dopo le lezioni, fuori» lo spintona in chiaro segno di sfida, ma Raito non si muove di un millimetro, mi lancia uno sguardo con la coda dell’occhio ed io scuoto subito la testa. Non mi va proprio una rissa, o per meglio dire un duello. Lui si volta nuovamente contro lo sfidante.
 
«D’accordo» rilassa la postura di allerta che aveva assunto, si volta verso di me e insieme ci allontaniamo, lui mi tiene un braccio intorno alla vita sfiorandomi appena. Ci sediamo lontani da loro e subito la porta si spalanca mostrando una figura alta e snella, il ticchettio ritmico dei tacchi accompagna la creatura appena entrata. È una donna, ha una lunga coda di volpe e due orecchie appartenenti allo stesso animale, sul naso un paio di eleganti occhiali ovali.
 
«Sei stato uno stupido ad accettare» rimprovero Raito sottovoce coprendomi le labbra con una mano. Raio mi mostra un sorrisetto.
 
«Sarei stato un vigliacco se avessi rifiutato, no?» risponde tranquillo, sto per dire qualcos’altro per cercare di farlo desistere, ma la voce della giovane professoressa mi precede.
 
«Aprite il libro a pagina 394 e leggete il terzo paragrafo, avete 10 minuti, non ci sarà bisogno di parlare» lancia un’occhiata di ammonimento a me e Raito, i suoi occhi sono sottili e scrutano attentamente tutti i presenti. Prendo il libro da sotto il mio banco, mentre Raito fa lo stesso, e inizio a leggere. Si parla di creature mitologiche e le loro caratteristiche, leggo svogliata con la testa altrove, infatti dopo aver finito non ricordo assolutamente niente di ciò che ho appena letto.
 
La professoressa, passati esattamente i dieci minuti concessi, inizia a spiegare e il silenzio che mi circonda è innaturale. Nessuno sembra molto interessato alla lezione, tranne forse l’umana che prende appunti diligentemente. Prendo il mio block notes e inizio a disegnare, come ogni volta la mia mente cancella tutto ciò che non sia il mio foglio e ciò che voglio ci venga rappresentato. Si inizia: la mano si muove veloce e decisa, le tracce che lascia sul foglio sono precise e sottili anche se ripassate più volte. Il mio sguardo è perso nei ricordi e nella mia immaginazione. Mi risveglio dopo non so quanto tempo.
 
«Che stai facendo?» chiede Raito a quel punto risvegliandomi completamente dal mio torpore. Osservo il mio disegno. Sullo sfondo due ali nerissime spiegate e macchiate di sangue scarlatto, tra di essere un serpente d’argento con gli occhi di smeraldo luminoso, infine sulla base del disegno il corpo esanime di un ragazzo. Gli unici punti di colore sono nel sangue sulle ali e nel verde degli occhi del serpente a fauci spalancate.
 
«Disegno, scarabocchi» rispondo senza farmi sentire ne vedere dalla professoressa dalle orecchie di volpe. Raito fa scivolare verso di sé il block notes e osserva attentamente il disegno sfiorando le ali come se si aspettasse di sentirne la morbidezza.
 
«Sei molto brava, ma chi è il ragazzo steso a terra?» la sua voce è così bassa che quasi non la sento. Sfioro anch’io la figura disegnata, ma non mi viene in mente niente, non gli ho fatto alcun tratto distintivo, sono consapevole solo che si tratta di qualcuno a cui tengo molto.
 
«Non lo so, la mia mano si è mossa da sola disegnando quel ragazzo, ma non ho in mente il nome» istintivamente vado a stringere la chiave che porto al collo, la sfioro con le dita, ci gioco. La lezione passa molto lentamente ed io non presto attenzione allo scrosciare di parole che escono dalle sottili labbra della professoressa, durante la quale noto ogni tanto gli occhi verdi di Raito su di me e quelli gialli di Aspides che mi fissano in un modo che non mi piace per nulla. Una volta finita però tiro un sospiro di sollievo e mi avvio insieme a Raito fuori dalla classe, quando usciamo dalla scuola il vampiro al mio fianco si blocca in cortile voltandosi verso l’uscita.
 
«Non starai davvero pensando di aspettare quell’abominio per sfidarlo?» mi metto di fronte a lui e gli appoggio le mani sulle spalle stringendo un po’. Lui mi osserva con quel sorrisetto. «Non mi guardare così e togliti quel maledetto ghigno, non c’è niente di divertente in tutto questo, quel tizio non è certo un essere carino e pacioccoso» lo scuoto leggermente.
 
«Non mi tiro indietro di fronte a una sfida, cosa che non faresti nemmeno te» mi mette una mano sulla testa e mi arruffa piano i capelli. «Cosa c’è? Sei in pena per me, piccola Lilith?» scende con la mano sulla mia guancia e mi solleva il viso verso il suo, per poi piegarsi in avanti e mettere il suo viso a un soffio dal mio.
 
«Non voglio che tu ti butti in un duello inutile» roteo gli occhi e sbuffo. Il suo sguardo si sposta da me e punta alle mie spalle. Mi volto e vedo Aspides con dietro la ragazza che cammina a testa bassa, si dirige verso di noi. Raito mi fa cenno con la testa di allontanarmi e vedo poco lontano da noi tutti gli altri fratelli che guardano nella nostra direzione. Reiji sembra davvero furioso. Guardo Raito per l’ultima volta prendendogli il viso in una mano. «Non fare cazzate, ok?» lo fisso negli occhi. Lui mi sorride e mi da un bacio sulla fronte. Una cosa incredibilmente dolce fatta da uno come Raito.
 
«Vai dagli altri, non voglio tu ti faccia male, faremo un po’ di casino» stringo leggermente il suo avambraccio e vado verso i Sakamaki a passo svelto.
 
«Pensavo saresti scappato, voi nobili siete solitamente dei vigliacchi, preferite far combattere altri al vostro posto» sibila velenoso Aspides un sorriso folle sul volto. Affianco Ayato e Subaru fissando il mio sguardo verso Raito.
 
«Cosa ha combinato Raito?» chiede Raiji guardandomi con una severità disarmante. Gli rivolgo una veloce occhiata per poi tornare a guardare i due.
 
«Ho cercato di parlare con la ragazza umana che a quanto pare è stata adottata da Aspides, questo non ha gradito e Raito ha accettato un duello per difendermi» sento un sottile tremito di preoccupazione che mi attraversa la spina dorsale. Dopo attimi di intensi sguardi, Aspides si scaglia verso Raito iniziando questa sfida senza senso. È una serie di botta e risposta, attacchi e parate, contrattacchi e schivate. Quando Aspides sferra un forte calcio a Raito facendolo cadere a terra, d’istinto la mia mano va ad afferrare il braccio di Ayato per stringerlo.
 
«Finirà per farsi male davvero» sussurro tra me e me, non distolgo lo sguardo dai due duellanti. Raito è a terra in un solco creato dall’impatto, ma si rialza e riparte all’attacco. Di nuovo, si affrontano sferrando pugni, calci, ginocchiate di una forza inaudita, più volte vengono scagliati indietro. Aspides a un certo punto si allontana e con un sorriso malvagio e subdolo guarda Raito. Noto che nelle sue mani iniziano a crescere lunghi e affilati artigli.
 
«Adesso iniziano i guai, finora hanno solo giocato» dice Ayato abbassandosi verso di me. Lo guardo mezza sconvolta.
 
«Scherzato? Hanno smontato il giardino e tu dici che finora hanno scherzato, cos’hanno un bomba a mano addosso per fare peggio?» stringo ancora di più il suo braccio, il vampiro abbassa lo sguardo sulla mia mano attaccata al suo avambraccio. Lo lascio immediatamente, mentre lui mi guarda ammiccante. Vedo gli occhi di Raito incredibilmente luminosi, verdissimi come smeraldi alla luce del sole. Ripartono e sono obbligata a dar ragione ad Ayato, i loro movimenti sono più veloci e i colpi che sferrano sono aumentati ulteriormente di forza. Raito viene graffiato sulla guancia, ma alla fine riesce a immobilizzare Aspides che si arrende.
 
«Grazie al cielo» esclamo e mi dirigo verso di lui in fretta e furia. «Non avresti dovuto accettare, guarda come ti sei conciato» tiro fuori un fazzoletto dalla tasca e glielo appoggio sulla guancia graffiata.
 
Non appena arriviamo a casa, ordino a Raito di andarsene in camera e sdraiarsi. Io vado a prendere qualcosa per alleviargli il dolore dei lividi e delle ferite che sono certa stia provando nonostante si ostini a negarlo.
 
«Incosciente e irresponsabile» borbotto mentre mi avvio in camera sua con tutto il necessario tra le mani. Entro spingendo la porta con la schiena, Raito è sdraiato a letto con il viso puntato verso la porta, mi siedo accanto a lui sul letto e inizio a disinfettargli i graffi sulla guancia e il labbro spaccato.
 
«Preferirei di gran lunga un altro tipo di attenzioni» la voce è un po’ diversa a causa del labbro inferiore spaccato, ma comunque riesce a metterci la solita malizia.
 
«Dovrai accontentarti di queste» roteo gli occhi e faccio pressione su livido che ha all’altezza degli addominali provocandogli dolore. Una smorfia sofferente compare sul suo viso, gli faccio un sorrisetto furbo. «Metti gli impacchi di ghiaccio sui lividi e massaggiali un po’ con questa crema, dovrebbe attenuare il dolore» gli passo il ghiaccio avvolto in un panno e la crema. Lui si solleva togliendosi la giacca e la maglietta. Mi lancia un’occhiata di malizia, io sollevo gli occhi al cielo con un sorriso. Prende il ghiaccio e lo appoggia su petto e stomaco.
 
«Dopo mi fai te il massaggio?» si passa la lingua sulle labbra arrossate, sollevo la mano minacciandolo di dargli una pacca sui lividi. Raito ridacchia e solleva le mani in segno di resa.
 
«Siete diventati molto intimi voi due» mi volto verso la porta e appoggiato allo stipite vedo Subaru che ci osserva con sguardo affilato. Raito lo osserva tranquillo e circonda la mia vita con un braccio poggiandomi la mano sulla coscia.
 
«Subaru» dice il ragazzo al mio fianco facendo un sorrisetto tra il malizioso e l’ammiccante. Subaru mi osserva senza cambiare espressione.
 
«Devi allenarti, muoviti» avanza verso di me e mi prende il braccio facendomi alzare. Raito mi lascia andare facendomi un occhiolino. Mentre Subaru mi trascina letteralmente fuori, Raito se ne esce con una delle sue battute. La prossima volta, se non viene ucciso nelle rissa, lo finisco io.
 
«Grazie del servizio, ci vediamo dopo, sgualdrinella»

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


«Ehy, hai intenzione di trascinarmi ancora per molto?» chiedo nervosamente standogli dietro a stento, la sua presa sul mio braccio è ferrea e lui non presta attenzione alle mie parole. Mi impunto con i piedi e lo faccio fermare.
 
«Cosa vuoi?» ringhia voltandosi leggermente e guardandomi con la coda dell’occhio. «Mi hai ricattato tu per addestrarti e ora ti tiri indietro? Spiacente, l’accordo è preso, quindi ora muoviti» il suo rabbioso tono di comando mi irrita e non poco. Assottiglio lo sguardo.
 
«Non ho intenzione di tirarmi indietro, ma posso camminare senza essere trainata» strattono il braccio e lui, dopo avermi dato un’ultima stretta, mi lascia libera. Sollevo la manica della divisa e trovo lo stampo rossastro delle sue dita, lo guardo male. «Non amo essere marchiata, sei consapevole di ciò?» ringhio posando una mano in corrispondenza del segno.
 
«Dipende dai punti di vista» fa un mezzo sorriso quando punta lo sguardo sullo stampo delle dita.
 
«Mi sta salendo l’irresistibile tentazione di prenderti a pugni su quel bel visino che ti ritrovi» sibilo tra i denti mentre tiro giù la manica coprendo il rossore. Si volta completamente verso di me e con un paio di passi si pone di fronte a me, molto più vicino di quanto una conversazione tale richieda. Sono costretta a sollevare il viso verso di lui a causa della differenza di altezza.
 
«Dunque pensi che io abbia un bel viso» sussurra incatenandomi con quello sguardo fatto di fuoco. Sono incantevoli. Oh no, incantevoli un accidente, resta concentrata Lilith! Chiudo gli occhi per un attimo e distolgo l’attenzione dai suoi occhi puntati su di me.
 
«Ho pensato anche che potrei togliertelo a suon di pugni, vuoi provare?» faccio un passo indietro, ma lui mi blocca riprendendomi il braccio, senza la stessa forza di prima, solo per impedirmi di spostarmi.
 
«Perché non provi a farlo durante l’addestramento? Vediamo se ne sarai davvero in grado» fa scorrere la mano sul mio braccio in una carezza. Lo continuo a guardare cercando di trovare nel suo sguardo le sue vere intenzioni, sguardo che non riesco a penetrare, come un muro di fiamme e sangue.
 
«Lo farò, ma dopo aver indossato qualcosa di più adatto ad allenarmi, non mi va proprio di sporcare la mia divisa con il tuo sangue» sogghigno allontanandomi, lui mi lascia andare senza distogliere lo sguardo da me, poi scompare. Corro in camera mia e tolgo immediatamente la divisa, nello specchio vedo il segno lasciato da Subaru sul mio braccio. Indosso qualcosa di sportivo e, prima di uscire per andare nell’armeria, strappo uno dei miei fazzoletti avvolgendolo intorno al segno. Quando finisco di prepararmi, vado verso l’armeria e lì fuori appoggiato al muro trovo Subaru ad aspettarmi.
 
«Abbiamo già perso abbastanza tempo» entra nella stanza e lascia la porta aperta per me, lo seguo sbuffando. «Decido io con quale arma allenarti, chiaro?» prende due spade e me ne passa una.
 
«Agli ordini» sussurro ironicamente prendendo tra le mani la spada sottile e affilata. Non succede niente, mi aspettavo una delle visioni, ma nulla. «Per lo meno posso scegliere io con quale spada combattere?» chiedo porgendogli nuovamente la spada. Lui osserva me e l’arma, poi annuisce lentamente. Mi dirigo senza esitazione verso le spade gemelle dall’elsa nera che avevo già adocchiato durante l’addestramento con Raito, le afferro e, come pensavo, la visione raggiunge la mia mente. Di nuovo mi vedo in un duello contro un uomo, entrambi dotati di una spada ci affrontiamo ferocemente, vedo che lui parla, ma non ne sento le parole. È bravo, abile e veloce, non riesco a tenere il confronto.
 
«Lilith!» l’urlo di Subaru che chiama il mio nome mi fa riprendere, sbatto le palpebre e lo guardo stralunata, ancora in parte persa in quella visione. «Che diamine stai facendo?» chiede alterato facendo roteare la spada nella mano.
 
 
«Io… niente, arrivo» abbasso lo sguardo e scuoto la testa per tornare alla realtà, mi avvicino a lui al centro della grande palestra. Subaru mi mostra la posizione in cui è più facile parare e attaccare, mi gira intorno sollevandomi un po’ il gomito, spostandomi il piede, aggiustando i dettagli.
 
«Bene, cominciamo» esclama quando è soddisfatto di come sono messa. Il suo modo di insegnare è parecchio diverso da quello di Raito, si irrita facilmente e vorrebbe che facessi costantemente tutto come pare a lui. Mi addestra più che altro all’attacco anziché alla difesa, predilige gli attacchi diretti.
 
Le pause non sono contemplate nel suo programma? È un’ora e passa che mi tortura! Dopo l’ennesimo attacco di Subaru, perdo l’equilibrio per la stanchezza e crollo per terra, lui senza esitare punta la spada alla mia gola. Lo guardo con il fiatone.
 
«Sei consapevole che saresti morta almeno sei volte in questo duello?» mi rimprovera senza traccia di stanchezza, è perfettamente ordinato, senza un rivolo di sudore, senza il respiro accelerato. Possibile che non conoscano la stanchezza questi vampiri? Io sono a terra, la maglietta in parte strappata da un suo fendente, i capelli completamente allo sbaraglio.
 
«Considerando il fatto che non mi dai tregua da un’ora e mezza, ho anche il diritto di essere esausta» cerco di rimettermi in piedi, ma non appena mi alzo i muscoli mi abbandonano e collasso per terra per la seconda volta.
 
«Visto che a quanto pare non ce la fai più…» non conclude la frase che mi porge la mano. Cerco di afferrarla per tirarmi su, ma non appena avvicino la mia alla sua, lui la allontana. «Voglio la mia chiave» dice inespressivo. Io resto con una mano sospesa in aria a guardarlo sconvolta. Mi alzo in piedi con fatica.
 
«Si può sapere che hai? Ok, che sei stronzo di natura, ma oggi ti stai superando» gli rivolgo un’occhiata indagatrice.
 
«Rivoglio solo ciò che è mio» infila la punta affilata della spada dietro la catenella che regge la chiave, la allontana leggermente da mio petto. Scosto la sua spada da me con un colpo della mia e la punto contro di lui.
 
«Avanti, non abbiamo ancora finito noi due» lo sfido spavalda, nonostante i miei muscoli brucino e implorino pietà, li costringo ad assumere la posizione e ad attaccarlo. Lui schiva il fendente senza problemi.
 
«Prevedibile» giudica spostandosi di lato, ritento con una falciata orizzontale, ma lui mi para senza nemmeno guardare la spada, tiene gli occhi fissi su di me. Stringo i denti e provo un affondo, lui evita di nuovo e approfitta di essere dietro di me dandomi un colpetto sul sedere con la parte piatta della spada.
 
«Smettila di giocare!» urlo furiosa, lui mi mostra un sorrisetto bastardo. Fa roteare un paio di volta la spada passandola da una mano all’altra.
 
«Se facessi sul serio, tu ti faresti male, piccola e incapace Lilith» mi schernisce, riesco solo a stringere i denti e i pugni in risposta. Incrocio la mia lama con la sua.
 
«Smettila di giocare, ho detto, faresti sul serio se volessi uccidere Mihael, no? Quindi combatti come se dovessi ucciderlo per davvero e io stessi cercando di impedirtelo» un lampo attraversa i suoi occhi e subito scatta verso di me, velocissimo. A stento riesco a parare quei colpi che si susseguono instancabili, il fragore del metallo è assordante, abbastanza da frastornarmi. Ci mette poco più di trenta secondi a farmi un profondo taglio sulla coscia che mi fa inginocchiare a terra. Il dolore mi fa stringere gli occhi.
 
«Sei contenta adesso?» chiede guardandomi dall’alto in basso. E di nuovo accade come con Raito, il mondo sembra rallentare intorno a me e io inizio a vedere grigio. Mi alzo in piedi e scatto in avanti puntando al suo petto con la spada. Adesso vedo chiaramente la sua difficoltà nello schivare i miei fendenti sempre più veloci e letali.
 
«Si, ora sono molto più contenta» la mia voce è storpiata come venisse da lontano, simile a un ruggito. Con una falciata gli provoco un taglio orizzontale sul petto, il sangue gli macchia la maglietta bianca. Non mi fermo, veloce e precisa miro alla gola, Subaru non riesce a parare. Vedo la spada avvicinarsi inesorabilmente a lui. No, no! La mia coscienza ritorna e la lama si ferma a pochi millimetri dal suo collo. Subaru mi guarda mezzo sconvolto.
 
«Di nuovo…» sussurro con gli occhi sbarrati, lascio cadere la spada e indietreggio fino a trovare il muro, scivolo con la schiena su di esso e mi siedo a terra. Osservo le mie mani tremanti. Cosa stavo per fare?
 
«Devi spiegarmi cosa diavolo ti succede» si avvicina a me dopo aver abbandonato la spada a terra. Io lo osservo senza muovermi da quella posizione, le gambe strette al mio petto. Cosa mi sta succedendo? Vorrei saperlo anch’io.
 
«Non ti avvicinare, non so quando questa cosa scatta o cosa la faccia scattare» lui non si ferma e si accuccia di fronte a me. Sto tremando come una foglia. «Stavo per ucciderti» dico in un soffio, pronunciare quelle parole ad alta voce rende l’accaduto ancora più reale. Stringo le mie gambe tra le braccia.
 
«Non l’hai fatto» nonostante il tono sia menefreghista come suo solito, so perfettamente che è il suo modo di rassicurarmi. Abbasso gli occhi verso il pavimento, diventato improvvisamente molto interessante. Non riesco a reggere il suo sguardo. «Dovresti parlarne con qualcuno, quello che ti succede non è normale»
 
«Parli come se non fosse la prima volta che mi vedi in una situazione simile» lo guardo tra le ciglia, lui non cambia espressione.
 
«Non è la prima volta, ho assistito al duello contro Raito, ma anche quando disegni hai quell’espressione persa e assente» tende per un attimo la mano verso le mie, ma poi all’ultimo la ritira. Mi chiedo solo mentalmente come e perché ha assistito al duello di me e Raito.
 
«Non so cosa mi succede, sono come in uno stato di trance, vedo ciò che accade intorno a me a rallentatore, ma il mio corpo si muove indipendente dalla mente e non riesco a controllarmi» spiego ancora tremante, ho paura che tutto ciò ricominci da un momento all’altro.
 
«Ti capita solo quando duelli o disegni?» chiede osservando le reazioni del mio corpo al parlare di ciò. Io annuisco lentamente, poi chiudo gli occhi e in un attimo getto le braccia al collo di Subaru e mi stringo a lui che resta spiazzato e immobile.
 
«Ho avuto paura» ammetto con la guancia appoggiata sul suo petto. Spalanco gli occhi stupita quando solo per un attimo sento il battito del suo cuore. Subito dopo silenzio di nuovo. L’avrò immaginato? Subaru appoggia le mani sulle mie braccia e mi allontana da sé. Quando cerco di rialzarmi il taglio sulla mia coscia si fa nuovamente sentire, durante il mio stato di trance il dolore era scomparso completamente. Tolgo il fazzoletto che avevo avvolto sopra lo stampo della mano di Subaru e lo stringo forte intorno al taglio sanguinante.
 
«Va a riposarti» dice Subaru aiutandomi ad alzarmi. Zoppico leggermente e Subaru sembra notarlo, infatti mi guarda fare un paio di passi, poi mi prende in braccio.
 
«Non serve, davvero» affermo a bassa voce mentre lui esce dalla palestra. Come al solito non risponde ed io sbuffo. Percorriamo tutto il corridoio senza dirci nulla, io gioco con le mie dita, mentre mi lascio trasportare. Una volta arrivati Subaru mi adagia sul letto e fa per uscire.
 
«Aspetta» lo blocco e lui si volta a guardarmi. Mi tolgo la chiave da intorno al collo e gliela porgo. «Scusa se ho usato questa per obbligarti ad allenarmi» distolgo i miei occhi dai suoi, sento le guance scaldarsi. Lui prende la chiave e se ne va senza aggiungere altro. Davvero, io questo vampiro non lo capisco e credo che mai lo capirò.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Non riesco nemmeno a dormire, resto semplicemente a guardare il soffitto annoiata. Infilo la mano sotto il cuscino e prendo il pugnale argenteo, lo rigiro tra le mani facendo riflettere i miei occhi sulla lama. Che voglia di uscire da questa casa, mi sento in prigione, ma sono quasi certa che non mi farebbero uscire, non da sola almeno. Chiedere per uscire? Sarebbe un’umiliazione dannatamente insopportabile, ma cosa è più odioso? Chiedere il permesso oppure restare chiusa qui dentro? Facile decisione. Salto giù dal letto dopo aver nascosto nuovamente il pugnale sotto il cuscino.
 
«A chi dovrei chiedere? A Shu che è il maggiore, a Reiji, ad Ayato…» chiedo tra me e me, direi che Reiji è il più adatto, nonostante sia il più severo, magari troviamo un accordo. Cambio la maglietta strappata mettendomi una camicetta bianca, con lui l’eleganza e la perfezione sono d’obbligo, indosso anche una gonna nera semplice ed elegante. Rimetto in ordine i capelli e sospiro. Sto facendo tutto ciò per chiedere a quel pomposo damerino di uscire da questa prigione dorata, quindi sarà meglio che mi dia il permesso altrimenti potrei impazzire. Raggiungo il suo studio e busso, nessuna risposta e nemmeno al secondo tentativo. Allora socchiudo la porta e do un’occhiata dentro.
 
«Reiji?» sussurro, è addormentato sulla poltrona, gli occhiali sul tavolino di fronte a lui. Entro in punta di piedi e lo osservo con un sopracciglio alzato. Possibile che dorma quando ho bisogno di lui? Sto per uscire e andare a chiedere a qualcun altro.
 
«Cosa vuoi?» mi volto verso di lui che si sta rimettendo gli occhiali. Il suo guardo severo si posa su di me squadrandomi dalla testa ai piedi. Ho fatto bene a vestirmi più elegante del solito, lo capisco solo da come mi guarda.
 
«Volevo chiederti se c’è una possibilità che io possa uscire» dico senza mezzi termini, consapevole del fatto che lui non ami i giri di parole. Mi avvicino un po’ a lui con un sorriso a dir poco forzato. Si alza in piedi e va a dare un’occhiata a tutte le sue ampolle e robe varie sulla scrivania.
 
«Dove vorresti andare?» chiede dopo qualche attimo. Ci penso su e poi sollevo le spalle.
 
«Fuori, restare sempre nello stesso posto mi fa sentire rinchiusa» rispondo camminando verso di lui e mettendomi accanto alla scrivania appoggiata con la schiena al muro. Mi lancia un’occhiata poi torna con lo sguardo sul libro che sta sfogliando.
 
«Fuori per incontrare quel biondino? Non credo proprio» chiude il libro di scatto, io roteo gli occhi annoiata. Non hai capitolo proprio niente.
 
«Non voglio vedermi con Mihael, se volete potete venir anche voi per controllare, voglio solo uscire di qui» spiego incrociando le braccia sotto il seno. Lui finalmente mi dedica la sua attenzione. Mi metto di fronte a lui, in attesa di una sua risposta.
 
«Dopo cena, verrò io con te» risponde guardandomi dall’alto in basso. Io e Reiji, fuori da soli. Cristo, aiutami tu. Ma è l’unica mia possibilità per uscire. Mi volto verso la porta e mi avvio fuori.
 
«Affare fatto» mi volto facendogli un mezzo sorriso. Lui incrocia le braccia e annuisce leggermente. Apro la porta.
 
«Non tardare per la cena» sento dirgli prima di chiudermi la porta dello studio alle spalle. Me ne vado in camera e inizio l’opera che mi è balenata in mente poco fa. Prendo la matita, ma, anziché iniziare a disegnare su carta, faccio partire il disegno dal letto, è un peccato che io da sola non riesca a spostarlo, potrei fare iniziare il disegno da dietro. Osservo l’orologio, ho circa mezz’ora prima di scendere a cenare. Inizio con la matita a tracciare sottili linee guida, nuovamente la mia volontà si annulla facendomi cadere in trance. Giro intorno al letto e ci salgo sopra dando vita a ciò che la mia natura vuole creare, non riesco ad andare oltre un certo livello, la mia altezza non me lo permette, quindi mi risveglio. Osservo ciò che è l’inizio di uno spesso tronco che nasce dal letto. Lancio uno sguardo all’orologio, ancora dieci minuti, decido di lasciare perdere per oggi il disegno e prepararmi, è meglio mettermi subito in tiro per Reiji, visto che non ama aspettare.
 
«Un qualcosa di elegante, ma non troppo appariscente» frugo tra i miei abiti da sera, trovo un abito nero molto semplice a sirena con lo scollo a V.  Mi fascia il fisico alla perfezione poi si allarga verso le ginocchia coprendomi i piedi. Faccio un giro su me stessa e la parte non aderente del vestito svolazza leggermente. Sorrido al mio riflesso. Lo ammetto, mi piace vestirmi elegante. Vado in bagno e mi acconcio i capelli, dopo poco una lunga treccia apparentemente disordinata scende sulla mia spalla destra.
 
«Et voilà» sorrido accarezzandomi i capelli. Dopo aver indossato i sandali con il tacco, scendo fulminea giù per le scale e raggiungo la sala. Tutti gli sguardi si posano su di me, noto che l’unico posto libero questa volta è accanto a Reiji. Faccio un sorriso a tutti e mi avvio a fianco a lui, come sempre si alza e attende ch’io mi sia seduta per fare lo stesso. Nessun dice niente, mi sento i loro occhi addosso.
 
«Come mai così in tiro oggi?» chiede a un certo punto Ayato. Io lo osservo e sollevo le spalle con un sorrisetto.
 
«Non posso vestirmi elegante una volta ogni tanto» resto vaga osservando il piatto di oggi. Carne. Una delizia.
 
«Ho acconsentito che Lilith uscisse oggi, la accompagno per tenerla d’occhio» spiega Reiji senza mezzi termini. «Apprezzo il fatto che tu ti sia vestita elegantemente per uscire con me» mi versa il vino, lo ringrazio con un sorriso. Raito e Kanato fanno un’espressione dispiaciuta.
 
«Beh, visto che esci con lei solo per tenerla d’occhio non sarebbe meglio se fossimo in di più? Potremmo venire anche noi» afferma Ayato, mangiandomi con gli occhi. Reiji solleva subito lo sguardo puntandolo affilato su di lui. Io mangio tranquilla, a me non fa differenza.
 
«Non ce n’è affatto bisogno» controbatte severo Reiji, si aggiusta gli occhiali sul naso. Io faccio un mezzo sorriso divertito.
 
«Oh andiamo Reiji, tutti insieme ci divertiremo molto di più, inoltre è da tanto che non usciamo da queste quattro mura se non per andare a scuola» Raito dà man forte ad Ayato, mentre Kanato annuisce d’accordo. «E poi non vorrai tenerti la pollastrella tutta per te?» fa un sorriso malizioso rivolto a me.
 
«Ma insomma, vi sembro forse un trofeo da esibire?» esclamo a quel punto fissandoli tutti. Reiji sembra non essere d’accordo con il loro ragionamento, ma non trova una scusa per evitare che vengano.
 
«Chi tace acconsente, non è forse così Teddy?» lo dice con un sorrisetto sadico. Io roteo gli occhi e aspetto la reazione di Reiji. Lui lancia un’occhiataccia a tutti quanti, ma non dice nulla.
 
«Bene, è deciso, io, Raito e Kanato verremo» Ayato mi squadra velocemente soffermandosi sulla scollatura. «Shu, Subaru, voi venite?» chiede dopo vari secondi passati a squadrarmi attentamente il seno. Sposto il mio sguardo verso i due interpellati, Shu solleva le spalle, ma poi annuisce. Subaru sposta il suo sguardo fiammeggiante dal suo piatto ad Ayato, prima di rispondere mi lancia una veloce occhiata.
 
«Tanto per cambiare la solita routine» borbotta semplicemente continuando a mangiare. Mi blocco a osservarlo per qualche attimo, la chiave è tornata al suo collo, dove è sempre stata. Verrà anche lui…
 
«Comunque Ayato, vale lo stesso discorso della scorsa volta, così conciato non esci con me» controllo velocemente l’abbigliamento di ciascuno di loro. Come al solito ci sono alcuni dettagli che mi urtano il sistema nervoso, dettagli che dovranno scomparire se davvero vuole farsi vedere al mio fianco.
 
«Che stai dicendo?» chiede Raito guardandomi dubbioso. Sollevo un sopracciglio come se fosse ovvio ciò che intendo.
 
«Reiji è sempre elegante, quindi non posso dire niente su di lui, voi non siete eleganti però mi va bene, Ayato con quel risvoltino al ginocchio e la camicia quasi completamente sbottonata mi urta i nervi» spiego guardando il rosso che ha ripreso il suo solito abbigliamento da quando siamo usciti insieme.
 
«Mi metti a posto te come la scorsa volta?» chiede con un ghigno Ayato, io lo guardo e sospiro esasperata. Mi alzo in piedi e incrocio le braccia.
 
«Non ci riesci a farlo da solo?» chiedo con un sopracciglio sollevato, lui scuote la testa come fosse un bambino capriccioso. Alzo le braccia al cielo. «Ho a che fare con dei bambini, santo cielo» vado verso di lui e allontano la sua sedia dal tavolo con uno strattone, lui mi guarda con quel suo solito ghigno. Mi accuccio per terra e gli levo quel risvoltino, un pugno in un occhio è quell’affare, torno in piedi e, prima di abbottonargli la camicia, prendo la sua cravatta tirando il suo viso verso il mio.
 
«Penso ancora quello che ho detto tempo fa, preferirei di gran lunga che tu mi spogliassi» si lecca le labbra in un gesto ammiccante. Gli faccio un mezzo sorriso e ripeto il suo gesto.
 
«Non farti strane idee, rosso» mormoro a un soffio dal suo viso, restando in quella posizione, inizio ad abbottonargli la camicia con l’altra mano fino al penultimo bottone. Subaru si alza sbattendo con troppa violenza le posate sul tavolo, interrompendo così la nostra sfida di sguardi. Tolgo la cravatta da intorno al collo di Ayato e la appoggio sullo schienale della sua sedia, rivolgo il mio sguardo a Subaru che guarda altrove con la fronte aggrottata in una espressione di rabbia, la sua solita espressione.
 
«È ora di andare » dice a quel punto Reiji alzandosi anche lui in piedi. Annuisco d’accordo con lui. Tutti insieme ci avviamo verso l’uscita, Reiji mi porge il braccio in maniera cavalleresca, alterno lo sguardo da lui al suo braccio, poi lo prendo a braccetto con un sorriso. Con la coda dell’occhio, vedo Ayato e Raito dirsi qualcosa tra di loro, poi sorridere malignamente. Prevedo guai…
 
«Dove hai intenzione di portarci?» chiedo al ragazzo al mio fianco. Lui guarda dritto davanti a se e mi rivolge solo un’occhiata, intuisco immediatamente che non ha intenzione di dirmelo, oppure non lo sa nemmeno lui. Entriamo nella limousine che parte veloce portandoci fuori dalla villa, per le strade. Guardo fuori dal finestrino, concentrandomi esclusivamente sul paesaggio. Non conosco la nostra destinazione, ma stasera ne vedremo delle belle, anche se sono già in ansia per scoprire cosa i due vampiri dai capelli rossi stiano architettando.

Spazio autrice:
Questo capitolo è un po' corto, chiedo venia.
Ho notato una cosa, ci sono un sacco di visualizzazioni nella mia storia e questo mi fa felice, grazie a tutti!
Grazie soprattutto alla mia adorata ShikyoOotsutsuki che recensisce ogni singolo capitolo, facendomi ogni santa volta morire dal ridere.
Invito chiunque che segue la mia storia a recensire, mi fa piacere sentire i vostri pareri, anche consigli e critiche, purché siano costruttive.
Detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo, bella gente!
Un abbraccio, Giada

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


«Mi volete dire si o no dove stiamo andando?» chiedo a un certo punto. È più di venti minuti che siamo in macchina, inizio a chiedermi se non abbia deciso di tenermi in macchina per tutta la durata della mia “uscita”. Le gambe iniziano ad addormentarsi, strofino le mani sulle cosce.
 
«Nemmeno noi sappiamo la nostra destinazione, a quanto pare Reiji ci vuole tenere all'oscuro fino alla fine» risponde Raito sollevando il cappello che gli copriva gli occhi. Reiji non sembra ascoltarci, tiene gli occhi chiusi immobile con la schiena appoggiata al sedile. Sbuffo consapevole del fatto che non gli estorceremo nulla, è come chiedere spiegazioni a una statua di ghiaccio.
 
«Lo scopriremo all’arrivo» sospiro rivolta agli altri. Solo dopo un’altra decina di minuti la macchina si ferma, sento lo scricchiolare delle gomme in frenata e ciò mi fa distogliere dai miei pensieri. Mi rendo conto di come sono rimasta a fissare il viso o, per essere più precisi, le labbra di Subaru. Distolgo lo sguardo e scendo veloce dalla limousine con le guance leggermente arrossate. Lilith, vedi di riprenderti e concentrare lo sguardo su qualcos’altro.
 
«Wow…» riesco solo a sussurrare non appena i miei occhi ispezionano lo spazio circostante. Siamo all’inizio di un sentiero costeggiato da alberi spogli addobbati a festa con migliaia di luci colorate. Mi brillano gli occhi e un sorriso spontaneo nasce sul mio viso, è uno scenario quasi fiabesco. Reiji mi affianca e con un cenno della mano mi invita a percorrere il sentiero. Io gli mostro uno dei miei sorrisi più radiosi prendendolo a braccetto, lui osserva per qualche attimo poi si incammina insieme a me in mezzo a quelle luci.
 
«A quanto pare oggi è lui al centro della sua attenzione» sento il mormorio di Kanato, lo ignoro e proseguo osservando il cielo e i rami illuminati degli alberi che sembrano tendersi verso il blu per afferrare le stelle. Intravedo la fine, siamo su una collina, infatti quando raggiungiamo la cima, vedo alla base una grande pista di pattinaggio luminosa e completamente vuota. Una melodia si dirada nell’aria, viene da laggiù.
 
„Quella pista di pattinaggio appartiene alla famiglia Sakamaki, quindi ho fatto in modo che questa notte fosse solo per te» guarda dritto davanti a sé ed io penso di aver sentito male. Mi metto di fronte a lui.
 
«Mi stai dicendo che hai fatto tutto ciò per me?» sollevo un sopracciglio sbalordita, Reiji si limita a un occhiata gelida. Vorrei una risposta, caro il mio damerino.
 
«Pensavo ti sarebbe piaciuto, quindi vai a divertirti, è tutta tua» risponde semplicemente accennando alla pista con la testa.
 
«Non lo ammetterai mai, vero?» gli faccio un sorriso, ma non insisto e accelero il mio passo verso la base della collina, seguita dai sei vampiri. Raggiungo la pista e solo allora mi rendo conto di quanto è grande, illuminata da decine di luci colorate, l’atmosfera è completata dalla sinfonia di sottofondo.
 
«I pattini» Reiji indica l’entrata della pista dove c’è un paio di pattini azzurri, li prendo e mi appoggio alla parete. Tolgo i sandali velocemente e infilo i pattini, quando entro in pista mi devo aggrappare al bordo per non scivolare. Non ho mai pattinato, ma mi piace l’idea, quindi si tenta. I ragazzi si appoggiano al bordo per osservarmi.
 
«Abbiamo trovato qualcosa che non sai fare allora» Raito mi prende in giro con un sorrisetto. Gli faccio una linguaccia e li osservo.
 
«Voi non venite?»  chiedo avvicinandomi un po’ a loro cautamente, afferro la mano che Ayato mi porge e mi aiuta a tenermi su. Il mio abito non è il massimo della comodità per questo sport.
 
«Scommetto che sarà più divertente vederti fare tentativi di pattinaggio» sogghigna il rosso aiutandomi a stare su, gli faccio il verso.
 
«Avrà bisogno di una mano» Raito si avvia verso l’interno della biglietteria e quando torna fuori ha ai piedi un paio di pattini simili ai miei, non appena poggia piede sulla pista intuisco immediatamente che lui sa pattinare. Si avvicina a me tranquillamente e mi porge le mani.
 
«Non t’azzardare ad allungare le mani, altrimenti giuro che oggi ti mordo io» chiarisco subito il concetto quando gli prendo le mani. Lascio andare il mio unico appiglio e mi affido alle sue braccia, Raito mi fa allontanare dal bordo conducendomi al centro della pista. Rischio di finire con il culo per terra almeno cinque volte in due minuti, se non ci fosse Raito che mi sostiene per le braccia.
 
«Pronta? Prova da sola» mi lascia andare allontanandosi veloce. Sussulto per un attimo, ma tento ugualmente di avanzare senza finire per terra, Raito non smette di osservarmi con quel sorrisetto. Scivolo veloce sul ghiaccio per qualche metro, sorrido divertita come una bambina , ma per un attimo perdo l’equilibrio. Chiudo gli occhi aspettando l’impatto con il suolo, ma non arriva. Sbatto contro un corpo e un paio di braccia mi sostengono.
 
«Grazie» dico ancora prima di girarmi, voltandomi indietro mi stupisco nel trovare il giovane Kanato che mi tiene per le spalle. Non ha in braccio il suo orsetto come al solito, ma l’ha lasciato sul bordo della pista con il bottone che gli fa da occhio puntato verso di noi.
 
«Sembrava divertente, quindi mi sono incuriosito, Teddy non sa pattinare, così preferisce restarne fuori» mi aiuta a riprendere l’equilibrio. Anche Ayato è entrato in pista, Subaru, Shu e Reiji sono rimasti fuori. Shu è seduto a terra con gli occhi chiusi e la solita musica nelle orecchie, Reiji ci osserva sempre freddo e composto, Subaru è appoggiato al muro e ogni tanto ci lancia delle occhiate indagatrici.
 
«Dai pigroni venite anche voi» attentamente mi avvicino a loro e mi siedo sul bordo facendo dondolare le gambe in aria. Subaru fa una smorfia annoiata.
 
«Non ci penso proprio a venire a fare cavolate sul ghiaccio insieme a voi bambini» il ragazzo dagli occhi rossi appoggia la testa alla parete. Roteo gli occhi, ma poi un’idea mi balena nella mente, faccio avvicinare i tre vampiri che pattinano con me.
 
«Cos’hai in mente?» Ayato si appoggia di fianco a me, io faccio un sorrisetto furbo. Appoggio i gomiti sulle ginocchia e li guardo uno ad uno.
 
«Io distraggo Subaru, voi prendetelo e mettetelo in pista, ho la mezza idea che non sappia pattinare» Ayato e Raito sembrano subito d’accordo, Kanato si limita a un sorriso. Rimetto i capelli a posto e li appoggio sulla spalla.
 
«Credo che però sappia pattinare, mi chiedo piuttosto come lo distrarrai» il sorriso malizioso di Raito mi fa subito capire che ha già intuito cosa intendo fare. Metto in mostra una delle mie espressioni innocenti evidentemente falsa.
 
«State a vedere» pattino verso l’uscita sotto gli occhi dei tre. Prendo un respiro profondo , raddrizzo le spalle ed esco dalla pista togliendomi i pattini, infilo di nuovo i miei sandali. Mi avvicino con un sorriso a Subaru e mi appoggio sensuale al muro accanto a lui, non sembra farci caso.
 
«Mi farebbe piacere pattinare con te» sussurro attorcigliandomi sulle dita il ciuffo finale della treccia. Lo intravedo abbassare lo sguardo su di me. «Perché non vieni? Ci divertiremo, fallo per me» continuo ammiccando e appoggiando la testa sulla sua spalla, lo sento irrigidirsi, questo mi fa sorridere inconsciamente.
 
«L’ho già detto, non sono interessato» i suoi occhi accarezzano tutto il mio corpo soffermandosi ogni tanto sulla curva del collo. Prendo il suo braccio e lo porto intorno alle mie spalle ranicchiandomi accanto a lui, il freddo della sua pelle passa attraverso la maglietta per sfiorare la mia guancia. In quell’attimo mi accorgo che non sto più recitando, mi sento così stranamente bene accanto a lui, così protetta e al sicuro. Sento che cerca di ritrarsi e allontanarmi da sé, ma io appoggio una mano sul suo petto stringendo piano la sua maglietta.
 
«Lasciami restare così ancora un attimo, te ne prego» chiudo gli occhi nel pronunciare quelle parole, parole che non mi sarei mai aspettata di sentir uscire dalle mie labbra. Mi abbandono
, appoggiata e sorretta da lui, la serenità che sento nel mio cuore mi è nuova. Di nuovo lo sento, distinto e solitario, un battito, un singolo battito proveniente dal suo petto. Dopo quello anche il mio cuore inizia a palpitare, veloce e deciso, sembra voler uscire dal petto e appoggiarsi contro il suo petto per essere più vicino al suo.
 
«Lilith, spostati» ordina deciso non guardandomi più ed io, incredibilmente, eseguo la sua richiesta senza controbattere. Sento gli occhi di qualcuno addosso, mi volto e su noi sono posati gli sguardi di tutti i presenti. Ayato, Raito e Kanato sono scesi dal ghiaccio. Il rosso è appoggiato al bordo della pista con le mani su di esso, Kanato stringe tra le braccia il suo orsetto con espressione vacua e Raito ci osserva serio con le braccia incrociate. Sposto lo sguardo sui due fratelli maggiori, Shu si è alzato in piedi e ci osserva poco lontano da Reiji.
 
«Andiamo a casa» dice quest’ultimo rompendo il silenzio creatosi. Annuisco lentamente dopo una veloce occhiata al ragazzo accanto a me, ripercorriamo il sentiero di luci senza dirci una parola. Il battito del suo cuore seguito dall’accelerazione quasi istantanea del mio mi ha scombussolato le idee. Cos’è stato quel pulsare? Davvero il suo cuore si è riattivato per un attimo? Perché gli ho detto quelle cose? Volevo davvero restare abbracciata a lui in quel modo o è stato solo un momento? No no no, è stato solo un attimo, ne sono certa, che altro potrebbe essere? Non facciamoci strane idee.
 
Non mi accorgo nemmeno della mezz’ora che ci mettiamo per raggiungere la villa. Scendo dalla limousine e con passo felpato e veloce vado nella mia stanza senza esitare o rivolgere sguardi a nessuno. Una volta varcata la soglia mi tolgo velocemente il vestito e lo lancio sulla poltrona non badandoci troppo, infilo la vestaglia e mi butto sul letto a faccia in giù.         Il mio viso sprofonda nel cuscino morbido, un mal di testa atroce non mi permette di pensare.
 
«Dannazione dannazione dannazione…» sussurro come una litania mentre i ricordi di poco tempo fa si affacciando alla mia mente. Sono una stupida! Che mi è saltato in mente? Dovevo distrarlo, non farmi distrarre da lui. Strattono le lenzuola stringendone i lembi nei pugni serrati. Mi alzo di scatto e mi avvio quasi correndo verso la stanza degli strumenti musicali.
 
«Dove vai?» incrocio Shu durante la mia marcia, ma non gli rispondo nemmeno e continuo a camminare. Spalanco la porta e subito la visione del pianoforte mi rilassa i sensi, mi siedo sullo sgabello e appoggio le mani sui tasti chiudendo gli occhi. Inizia la sinfonia e con essa anch’io inizio il mio canto.
 
«I linger in the doorway
of alarm clock streaming.
Monsters calling my name.
Let me stay
where the wind will me whisper to me,
where the raindrops as they’re falling tell a story»
 
Già non sono più sola in questa stanza. Il mio intuito mi mette in guardia sulla presenza di altre due persone. Raito e Shu. Sono loro, ne ho quasi la certezza. Io continuo facendo aumentare l’intensità della melodia.
 
«In my field of paper flowers
and candy clouds of lullaby,
i lied inside myself for hours
and watch my purple sky fly over me.
Don’t say i’m out of touch,
with this rampant chaos – your reality.
I know well what lies beyond my sleeping refuge.
The nightmare i built my own world to escape»
 
Altre tre presenze. Le sento alle mie spalle. Se non erro sono Kanato, Ayato e Reiji. Nessuno fiata, nessuno osa pronunciare anche solo un sussurro.
 
« In my field of paper flowers
and candy clouds of lullaby,
i lied inside myself for hours
and watch my purple sky fly over me.
Swallowed up in the sound of my screaming,
cannot cease for the fear of silent nights.
Oh how i long for deep sleep dreaming,
the goddess of imaginary light.
In my field of paper flowers
and candy clouds of lullaby,
i lied inside myself for hours
and watch my purple sky fly over me»
 
E così si conclude la sinfonia, con una forza e un’energia disarmanti. Così travolgente che il mio stesso corpo è attraversato da brividi gelidi, come se decine di dita scheletriche mi stessero sfiorando la schiena. Riapro finalmente gli occhi.  Ci sono tutti, a parte il minore, Subaru non è comparso insieme agli altri. La cosa strana è che ciò mi rattrista.


Angolo autrice:
La canzone è "Imaginary" degli Evanescence.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima!

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


«È strano come la tua musica ci attiri» Reiji tiene una mano appoggiata al pianoforte, io sollevo semplicemente le spalle in risposta. Sfioro con un dito i tasti del pianoforte, le mie mani sembrano appartenere a quello strumento.
 
«Mai quanto il tuo sangue» controbatte Ayato sedendosi accanto a me sullo sgabello, mi mette un braccio intorno alle spalle e infila il viso tra i miei capelli. Lo sento prendere dei respiri profondi, il suo naso sfrega contro il mio collo. Inclino la testa ridendo leggermente per il solletico.
 
«Scollati, rosso» lo allontano dal mio collo premendo una mano sul suo petto, lui mi mostra un ghigno e le zanne vengono esposte. Vedo Shu rimettersi le cuffie che si era tolto in precedenza per ascoltare la mia sinfonia.
 
«Prima o poi dovrai dirci dove hai imparato» dice Kanato mentre accarezza la testa del suo orsetto, il mio sguardo si posa sul movimento della sua mano. Scuoto la testa e mi alzo, scavalco le gambe di Ayato, tanto per non fare il giro dello sgabello.
 
«Beh, io vado a letto, buonanotte ragazzi» varco la soglia dopo averli salutati con la mano. Mi guardo intorno con la strana sensazione che poco fa qualcuno sia stato qui, la ignoro e me ne vado nella mia stanza. Indosso già la vestaglia quindi non perdo tempo nel cambiarmi, mi concentro sulla grande finestra dalla quale trapela già una tenue luce arancio. Mi avvolgo nelle coperte e mi siedo di fronte all’alba, sono così rilassanti i colori rossastri che accompagnano il sorgere del sole. Una nuova nascita, l’avvento di un nuovo giorno. Le tende della finestra si chiudono di scatto.
 
«Ciao dolcezza» Ayato è appoggiato al muro a qualche metro da me con le braccia incrociate. Gli rivolgo il mio sguardo e lui si stacca avanzando nella mia direzione. «Sai, è da un po’ che non bevo nemmeno un sorso della tua dolce linfa» mi alzo in piedi a quelle parole, lo sguardo luminoso che avevo guardando l’alba viene rimpiazzato dal gelo.
 
«Immagino cosa tu voglia dire con questo» dico fredda immobilizzandomi sul posto. Ayato mi gira intorno, accarezza le mie spalle spostando i miei capelli dal collo. Stringo le cosce tra le mani in modo da trattenermi dal reagire.
 
«Ma che ragazza arguta» controbatte in un sussurro inquietante, quando arriva di fronte a me, affonda le dita nella carne della mia vita e mi spinge indietro verso il letto. Mi fa sdraiare e lui è subito sopra di me, con le ginocchia ai lati dei miei fianchi mi tiene inchiodata al materasso. Sospiro e lascio che lui faccia ciò che vuole, è come vedere le catene del patto che mi legano al letto impedendomi qualsiasi ribellione. Sento la sua lingua passare dall’incavo del collo fin sotto la mascella, tiene gli occhi chiusi.
 
«Sorvola sui preliminari, rosso» lo sprono sbrigativa, voglio finire in fretta tutto ciò e mettermi a dormire serenamente. Lui sogghigna contro la mia pelle, le sue mani mi accarezzano. Poi si ferma per un attimo e solleva lo sguardo oltre il mio viso.
 
«Ma guarda chi si vede» dice con una smorfia infastidita, volto la testa indietro e subito i miei occhi si posano sulla figura dal vampiro dagli occhi rossi. Un’espressione di stupore nasce sul mio volto. «Cosa c’è, Subaru? Vuoi venire anche tu?» accarezza con la punta delle dita la curva del mio collo. Parla di me come uno sfizioso banchetto. Subaru mi guarda attentamente e con freddezza, poi fa qualche passo verso il letto. Spalanco gli occhi. Non vorrà davvero farlo? Due morsi contemporaneamente, uno singolo è doloroso, ma due…
 
«Subaru, non…» sussurro intimorita, Ayato mi appoggia un dito sulla labbra per farmi tacere.
 
«Shh, abbiamo un patto, ricordi?» mi fa rammentare l’accordo, stringo i pugni istintivamente. Subaru si siede sul letto e mi prende un polso, Ayato preme le labbra sul mio collo. Serro gli occhi.
 
«Posso unirmi alla combriccola?» una terza voce, quella di Raito. Non apro gli occhi. Tre morsi. Il dolore non mi spaventa, ma credo che il mio fisico questa volta non lo reggerà. Anche il terzo vampiro si siede sul letto e gattona verso di me, Ayato sogghigna e si sposta per fare posto al nuovo arrivato mettendosi al mio fianco. Raito prende la mia coscia e avvicina il viso ad essa, la sua mano gelida mi provoca decine di brividi.
 
«Pronta, piccola Lilith? Sto per incidere sulla tua candida pelle il mio marchio» ghigna Ayato prima di affondare i denti nel mio collo. Questo dolore lo conosco, acuto e incisivo, la vita che scorre via. L’ho provato da ognuno di loro, è quello che arriverà fra poco che mi terrorizza, non avrei mai voluto provare un’esperienza simile, ma a quanto pare sarà inevitabile.
 
«Lascia che ti mostri il fascino di finire all’inferno» sussurra Raito e anche i suoi canini si conficcano nella carne della mia coscia, precisi dentro la vena. Stringo i denti mentre vengo travolta da una sensazione di dolore e impotenza, le mie mani vengono colte da spasmi di dolore che le costringono a chiudersi e aprirsi incontrollatamente. Non è solo un raddoppiarsi della sofferenza, è un aumento esponenziale.
 
«Lilith» Subaru si limita a dire il mio nome e incominciare a bere anche lui il mio sangue. Spalanco gli occhi, la mia vista inizia a macchiarsi di nero. Il dolore che provo è indescrivibile, il mio corpo tremante alla totale mercé di tre vampiri. Mi sento togliere tutte le forze con una velocità disarmante, la mia testa comincia a girare sia per l’anemia sia per il numero folle di emozioni che mi affollano la mente, le mie e le loro. I punti dove loro stanno mordendo e bevendo voraci bruciano alla follia. Resisto per pochi attimi a tutto questo, poi il buio mi avvolge.
 
∞∞∞
 
Sento la testa scoppiare, le palpebre pesanti e il corpo indolenzito. Cerco di aprire gli occhi, ma anche solo quel singolo gesto incrementa il mal di testa. Il mio respiro è quasi impercettibile. Non so se sono svenuta per il dolore o per la mancanza di sangue. Cerco di tirarmi su nonostante tutto. Una mano si posa sulla mia spalla.
 
«Non puoi ancora muoverti» riconosco la voce e il mio corpo non reagisce bene alla consapevolezza della sua vicinanza. Mi trascino via dal suo tocco e mi tiro su in uno scatto. Vedo nero, mi riaccascio sul letto chiudendomi a riccio. «Lilith» mi porto le mani sulle orecchie e serro gli occhi.
 
«Vattene! Non ti voglio vedere ne sentire!» la mia voce è bassa, ma non serve urlare, basta il tono a fargli capire il mio stato d’animo.
 
«Per favore ascoltami» ritenta, ma io premo ancora di più le mani sulle orecchie imperturbabile. Purtroppo non posso annullare il suono della sua voce, ma posso regalargli il silenzio, il silenzio molte volte fa più male di mille parole. «Lilith» sentire pronunciare il mio nome da lui è una tortura, resto in silenzio. Vattene, Subaru. «Bevi il succo di mirtilli» dice questo poi non sento più nulla per diversi minuti, allora apro gli occhi e abbandono la presa sulle mie orecchie. Lui non c’è più.
 
Il tempo che passo immobile in quella posizione mi è ignoto. Non mi accorgo del passare dei minuti. Le mie forze ritornano molto lentamente, sento quasi con grande sollievo il sangue che scorre nelle vene. Non voglio alzarmi. Non voglio uscire di qui e incontrarlo. Incontrare i suoi occhi. Quegli stessi occhi che solo il giorno prima mi guardavano con freddezza e insensibilità disarmante. Nascondo il viso sotto un braccio. Sul comodino c’è il solito succo di mirtilli, allungo un braccio e lo prendo mandandolo giù tutto d’un sorso.
 
«Se mi sentite, sappiate che oggi non voglio vedervi nemmeno, non vi voglio sentire nei dieci metri che mi circondano, statemi alla larga» parlo con voce graffiante, sono quasi certa possano sentirmi e sanno perfettamente a chi mi sto rivolgendo. Mi alzo traballante sulle gambe e vado a chiudere la porta a chiave, non so il motivo, sono consapevole del fatto che possano tranquillamente comparirmi in camera da un momento all’altro, ma mi fa sentire più sicura. Osservo attentamente il mio corpo e mai come ora mi sono sentita così sporca. Mi levo in fretta la vestaglia e mi catapulto sotto la doccia, sfrego forte e in modo frenetico con la spugna sulla pelle, ripasso più volte sui morsi, come a voler cancellare la loro presenza. Lavo bene anche i capelli dove le loro mani si sono infilate mentre bevevano ingordi il mio sangue, voglio cancellare via ogni loro traccia dal mio corpo. La pelle si arrossa a forza di passarci sopra la spugna energicamente.
 
Esco dalla doccia e mi avvolgo in un grande asciugamano, sfrego anche quello sulla pelle. La vestaglia la getto per terra calpestandola, ormai è solo un orrendo ricordo di quel momento. Prendo dall’armadio dei pantaloncini corti di tuta e una maglietta larga indossandoli. Mi metto di nuovo a letto e strattono il cuscino tra le mani. Il mio braccio sfiora un oggetto gelido. Lo afferro e mi rendo conto che è il pugnale di Subaru. Lo stringo forte nella mano, talmente tanto che le nocche sbiancano. In un impeto di rabbia scaravento il pugnale verso il muro accompagnato da un urlo di sfogo.
 
«Vaffanculo, Subaru! Vaffanculo a tutti quanti!» ringhio furiosa, le mie forze non sono ancora tornate del tutto quindi mi siedo sul letto per un giramento di testa. Il pugnale si è conficcato saldamente nello stipite di legno della porta del bagno. Mi alzo dal letto e stacco il pugnale dal legno, mi ci rifletto sopra. I miei occhi sono spenti, non li avevo mai visti così. Vado fuori sul balcone lasciando che il gelo invernale mi faccia rabbrividire. È una giornata di vento, un vento ghiacciato che quasi strappa via la pelle. Mi sale la voglia di scaraventare quel maledetto pugnale in mezzo alle rose per affidarlo a loro, per lasciare che se lo tengano tra le loro radici. Quando però abbasso o sguardo tra quei cespugli profumati, i miei occhi incontrano quelli che non avrebbero mai voluto vedere. Il ghiaccio incontra le fiamme, si fondono. Annego in quello sguardo. Restiamo così, immobili, non un solo cenno, non una sola parola, solo occhi negli occhi. Sollevo il pugnale e con precisione lo scaravento contro di lui. Si va a conficcare preciso nel terreno davanti ai suoi piedi, lui non abbassa nemmeno lo sguardo per osservare l’oggetto. Resta sui miei occhi, ma a quel punto sono io a distogliere i miei. Mi volto e ritorno dentro chiudendomi alle spalle la porta-finestra.
 
«Solo ora mi rendo conto di come il mio cuore abbia sbagliato ad accelerare per te, sei un vampiro, nulla può cambiare questo, la natura non può essere cambiata, ho sbagliato a crederlo» parlo con lui anche se non so se può sentirmi. Il pugnale può tenerselo, non voglio avere niente a che fare con qualcosa che lo riguardi.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Passa il tempo, io non mi prendo nemmeno la briga di tenere d’occhio l’orologio. Tengo costantemente la musica nelle orecchie cantando le canzoni ad alta voce. Ballo davanti al grande specchio della mia camera, poi esausta mi lancio sul letto con le mani dietro la testa.
 
«Non è produttivo passare tutto il tempo chiusi in stanza» sposto lo sguardo senza voltare la testa. È Reiji al centro della stanza, mi tolgo gli auricolari.
 
«Che altro potrei fare in questa casa?» chiedo arrotolando attentamente le cuffiette su una mano, incrocia le braccia in quel suo modo composto e autoritario.
 
«Ti potresti allenare nel combattimento» afferma serio, un ciuffo di capelli gli ricade sulla fronte e lui si affretta a rimetterlo a posto. Io sbuffo.
 
«A patto che non siano Subaru, Ayato o Raito ad allenarmi» faccio una capriola e atterro in piedi giù dal letto. Esibizionista? Si, tanto.
 
«Ti posso allenare io, mettiti qualcosa di più consono e presentati in palestra tra quindici minuti, non accetterò ritardi» mi da le spalle e sparisce, gli faccio il verso imitando la sua posizione impettita. Sorrido e con un paio di piroette raggiungo l’armadio per prendere una tuta aderente così che non diventi un intralcio durante l’allenamento. La musica risuona ancora nella mia testa, canticchio mentre mi cambio svelta. Non presto attenzione alla coda disordinata con cui tengo fermi i capelli, una folata di vento mi raggiunge facendomi aggrottare la fronte e uscire dal bagno. La porta-finestra è infatti aperta, nonostante io sia convinta di averla tenuta chiusa fino adesso. Mi ci avvicino e la chiudo dando un’occhiata attenta fuori, non c’è nessuno o meglio… nessuno che io veda. Osservo con circospezione anche la stanza, non sembra cambiato nulla, controllo camminando in giro. Poi sul letto noto un oggetto che brilla alla luce delle candele, assottiglio lo sguardo e velocissima prendo il pugnale argentato.
 
«Perché me lo hai riportato? Eh Subaru? Cosa c’è, il mio gesto ti ha offeso? Non voglio avere questo pugnale vicino a me» lo stringo forte nel pugno, la mano trema insieme alla voce e le nocche si sbiancano immediatamente. Stringo i denti, tanto da farmi male, e una vena pulsa sulla tempia. Non voglio ricordare quel giorno… quel giorno in cui lui si è mostrato così gentile e disponibile, così delicato nel mordermi. Lo getto sprezzante dentro il comodino. Non so che farne, potrei gettarlo via, ma credo che lui lo ritroverebbe.
 
«Voglio che tu lo tenga» mi irrigidisco riconoscendo la sua voce, riprendo fuori fulminea il pugnale e mi volto puntandoglielo contro. Mi avvicino a lui e la punta del pugnale è appoggiata al suo collo.
 
«Ho detto che non voglio più vedere ne te ne gli altri due» premo la lama abbastanza da provocargli una piccola ferita dalla quale esce un sottile rivolo di sangue. «Vattene» sussurro inviperita, mi mostra un mezzo sorriso.
 
«Avanti, fallo» solleva un po’ più la testa lasciandomi spazio per agire con il pugnale. Poi una sua mano prende la mia e mi fa abbassare il colpo all’altezza del petto e del cuore. «Conficcandomi questo pugnale nel cuore puoi uccidermi» i suoi occhi fiammeggianti si posano su di me, ormai so riconoscere quando nel suo sguardo alberga tristezza e rabbia oppure serenità. Ma questa volta sono più spenti del solito, come se non emanassero più quel calore bruciante. Mi ha già lasciato andare la mano, quel contatto stava distraendo sia me che lui. Stringo i denti e allontano la lama da lui.
 
«Esci di qui e non farti più vedere» gli metto in mano il pugnale e mi volto infilando gli stivaletti di pelle. Mancano solo cinque minuti per presentarmi in palestra da Reiji. Mi siedo sul letto per allacciare il cinturino a lato dello stivale. Mi sento prendere per la vita e sollevare a forza, non ho nemmeno il tempo per dire una parola che subito le mie labbra vengono sigillate dalle sue. Spalanco gli occhi più del solito, lui tiene le palpebre abbassate e la fronte aggrottata. Un suo braccio mi stringe la vita tenendomi appiccicata al suo corpo mentre l’altra mano è sulla mia nuca, tra i lunghi capelli ebano. Le sue labbra si muovono aggressive contro le mie. Mugugno muovendo le braccia. Quando sento la sua lingua sfiorare la mia, mi muovo quasi meccanicamente sferrandogli un pugno dritto in faccia. Riesco a farlo indietreggiare di qualche passo. Sto rimpiangendo di avergli dato il pugnale.
 
«Adesso ti è venuta la voglia di uccidermi?» lancia in aria il pugnale per poi riprenderlo per la lama, porgendo così a me l’elsa. Ho la tentazione di prenderglielo e farlo davvero, eppure qualcosa mi blocca. Lo guardo gelida.
 
«Parla chiaro, vampiro» il mio modo di chiamarlo gli fa passare una strana luce malinconica negli occhi. «Prima bevi il mio sangue insieme ad Ayato e Raito, consapevole del dolore che io avrei provato, e ora questo, cosa vuoi da me? Hai già il mio sangue, non ti basta?» la mia voce è tagliente e sputa parole pensanti come macigni. Subaru abbassa il braccio con il quale tiene il pugnale.
 
«Per scappare dovrai ucciderci, è meglio che ti metti in testa questa verità» risponde senza cambiare espressione, lancia il pugnale accanto a me sul letto. Gli lancio un’occhiata di ghiaccio solo per fargli intendere cosa penso del suo parere.
 
«È meglio per te che tu te ne vada, anche questa è una verità» controbatto acida, poi lo oltrepasso e apro la porta. «Ah e soprattutto, osa un’altra volta baciarmi in quel modo e ti prometto che renderò la tua vita un vero inferno» sbatto la porta alle mie spalle. Mentre cammino nel corridoio appoggio una mano sul petto, il battito è ancora a mille. Stringo la maglietta nel pugno e prendo qualche respiro profondo per far rallentare quel palpitare. Entro svelta dentro la palestra dirigendomi a passo spedito vero Reiji al centro di essa.
 
«Prendi una delle fruste» ordina osservando i miei movimenti, sembra studiare attentamente il mio fisico. Guardo la parete dove sono esposte e senza esitare prendo quella su cui il mio sguardo si sofferma maggiormente. È totalmente nera con l’impugnatura a spirale e una lama appuntita e affilata all’estremità.
 
«Basilisk, hai buon occhio ragazzina» dice Reiji quando si accorge della frusta su cui ho posato gli occhi. Non appena la mia mano stringe l’impugnatura vengo scaraventata violentemente dentro la visione. Sono tra gli alberi e di fronte a me un uomo inginocchiato, tengo un ginocchio contro la sua schiena, mentre lui tenta disperatamente di togliersi la lunga frusta da intorno al collo. L’omone che annaspa in cerca d’aria ai miei piedi è il doppio di me in corporatura, eppure è pieno di ferite sanguinanti al contrario di me che riporto solamente pochi graffi.
 
«Vorrei essere ascoltato quando parlo!» la voce scocciata e severa di Reiji mi riporta bruscamente alla realtà. Sbatto le palpebre più volte per poi voltarmi verso di lui.
 
«Scusa» arrotolo la frusta intorno alla mia mano, attenta a non tagliarmi con la lama., mentre mi avvicino a lui.
 
«Cominciamo» esclama quando l’ho affiancato. L’addestramento di Reiji è più simile a una tortura che ad altro. Vuole che ogni movimento sia perfetto senza nemmeno un piccolo errore, la sua freddezza è disarmante. Mi mostra ciò che devo fare solo se è strettamente necessario, in caso contrario preferisce spiegare a parole. Avrà ripetuto la parola “ancora” per almeno duecento volte, ogni volta che non gli piace ciò che faccio usa quel termine per ordinarmi di riprodurlo all’infinito. Nonostante sia solo un’ora il tempo reale in cui lui mi addestra, a me sembra un’eternità. Metto un piede in fallo e il mio corpo si accascia a terra stremato.
 
«Alzati, non cedere alla fatica, non cedere mai» mi dice mentre io cerco di ritirarmi su. Lo guardo male.
 
«Non sono un vampiro io, non ho i vostri poteri sovrannaturali» i muscoli implorano pietà, non riesco quasi più a tenermi in piedi. Lo vedo sospirare leggermente.
 
«Umani, voi e le vostre stupide debolezze, siete esseri così inferiori» si aggiusta gli occhiali sul naso. Io gli lancio un’occhiataccia. Mi costringo a rimettermi in piedi.
 
«Dammi il tempo di riprendere un po’ di forze e poi ti faccio vedere come sono inferiore» lo sfido facendo schioccare la frusta poco lontano da lui. Mi guarda con quell’aria di superiorità e sufficienza che detesto.
 
«Tu pensi di poter competere con me?» chiede quasi divertito, incrocio le braccia e sollevo il mento ostinata.
 
«Mettimi alla prova» faccio un sorrisetto e il mio sguardo si fa orgoglioso. Lui si avvicina a me.
 
«Se tu mi dirai cosa ti ha distratto per tutto il tempo dell’allenamento» chiede aspettando una mia reazione che non tarda ad arrivare. La mia mente corre al bacio improvviso di Subaru, porto il dito indice tra le labbra e ne mordicchio l’unghia. «Quando sei entrata ti muovevi frenetica e agitata, durante le mie spiegazioni e le prove la tua attenzione era altrove» insiste sull’argomento.
 
«Non sono obbligata a parlartene» mi riprendo in fretta e allontano la mano dal viso, ma solo dopo essermi sfiorata leggermente le labbra senza nemmeno rendermene conto. Mi osserva indagatore cercando di trovare la risposta dentro i miei occhi o nei miei movimenti.
 
«Sei entrata che avevi le labbra arrossate e il tuo battito era più veloce del normale, chi di loro ti ha baciata?»  a quelle parole il mio cuore riprende a palpitare. La mia testa urla talmente forte il nome di Subaru che mi viene il dubbio che possa sentirla anche lui. Possibile che lui sappia sempre tutto di tutti? Che abbia montato delle telecamere in giro per la casa? Cristo, non glielo posso dire, anche se probabilmente lo scoprirà da solo.
 
«Oh ma insomma, avevo altro per la testa, non penso io sia obbligata a dirti tutto ciò che faccio» controbatto scacciando l’argomento con un gesto veloce della mano.
 
«Conoscendoti, se non fosse stato vero, mi avresti riso in faccia» mi sembra di intravedere un mezzo sorriso sul viso di Reiji, ma forse mi sono sbagliata. Io non gli rispondo. «Comunque d’accordo, ti senti pronta per lo scontro, ragazzina? Non ti renderò la cosa più facile per la tua inesperienza»
 
«Ovviamente» il mio fisico si è ripreso in fretta e ora sono di nuovo pronta per duellare. Lui va a prendere una frusta tranquillamente e la fa schioccare in aria, la facilità con cui la maneggia mi fa irrigidire. Il suo sguardo cambia in una frazione di secondo non appena assumo la posizione di combattimento, diventa maligno, folle e crudele. Lascia che sia io a fare la prima mossa, lo cerco di colpire con la lama finale, ma lui schiva abilmente. Ritento un altro attacco, ma lui mi precede riuscendo a far attorcigliare l’estremità della sua frusta intorno alla mia caviglia, mi tira per terra.
 
«Allora? Non sai fare di meglio?» mi schernisce facendo in modo che la frusta crei delle circonferenze di fronte al mio viso. Mi alzo in piedi di nuovo e stringo i denti. Di nuovo, la mia volontà si annulla e inizio a vedere il mondo a rallentatore. Prendo la frusta e la tiro tra le mani più volte, come per testarne la resistenza. Sento dipingersi sul mio viso un ghigno subdolo. Con una mossa fulminea faccio roteare la frusta sopra di me e la scaglio contro di lui. Questa volta lo prendo alla sprovvista, non riesce ad allontanarsi abbastanza in fretta, la lama finale gli provoca un taglio sulla spalla.
 
«Si, ma se non ti basta…» la voce malvagia, non concludo la frase che lo attacco di nuovo. Questa volta la frusta si lega intorno al suo collo, mostro un sorriso tagliente. Lui riesce a liberarsi, con un paio di abili mosse, prima che io prenda l’altra estremità della frusta per strangolarlo come nella mia visione. «Giusto, non posso ucciderti per strangolamento, vorrà dire che ti taglierò direttamente la testa» mi passo una mano tra i capelli con una risatina maligna. Lo sento dire qualcosa, ma la sua voce sfiora soltanto la mia mente, non raggiunge la parte razionale. Continuiamo a duellare, gli provoco altre ferite in quel lasso di tempo e la mia coscienza non ritorna.
 
«Cosa c’è, damerino? Ti metto più in difficoltà del previsto? Vediamo di concludere questo scontro, fin ora ho solo giocato, ma ora basta» con veloci movimenti lo attacco più volte, finché non riesco a ritrovarmi dietro di lui. Scaglio la lama che si conficca precisa al centro della sua schiena, do uno strattone alla frusta e senza pietà estraggo la punta. Il sangue sgorga copioso dalla ferità macchiando la camicia e il pavimento. Sto per attaccarlo per offrirgli il colpo di grazia, quando la mia coscienza ritorna facendomi lasciare cadere immediatamente la frusta a terra. Mi lascio cadere a terra con lo sguardo fisso sulle ferite che io stessa ho provocato a Reiji. Lui mi guarda con un serietà che non avevo mai visto nemmeno in lui.
 
«La lezione è finita»

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Non so più cosa pensare. Ciò che faccio durante quello stato di trance lo vedo perfettamente, ma le mie azioni sono totalmente fuori controllo. Sento soltanto l’irresistibile desiderio di colpire a morte il mio avversario. La mia paura sta nel fatto che ci stia andando sempre più vicino, infatti Reiji l’ho colpito senza esitare. Dopo essere uscita dalla palestra, mi incammino, decisa a scoprire qualcosa di più su questo mio “problema”, verso la grande biblioteca.
 
«Ciao Shu» lo saluto notandolo sdraiato su uno dei divanetti sparsi in giro. Lui non mi risponde e continua a sonnecchiare sereno, scuoto la testa con un mezzo sorriso. Sempre il solito pigrone. Cerco di capire l’ordine in cui sono messi i tanti volumi nelle svariate librerie. Ci sono due ampie ali, una dedicata allo svago e l’altra allo studio, mi dirigo dunque verso quest’ultima. I libri sono disposti come nello studio di Reiji, avrei dovuto immaginare che è stato lui a pretendere quest’ordine maniacale. Cerco tra i libri e ne prendo un pila da svariati scaffali, trovo un metodo per ricordarmi dove ho preso ogni volume: appoggio i due libri tra cui deve stare in orizzontale, sul lato. Mi accomodo su uno dei divani di soffice velluto rosso posto sotto una grande finestra, l’effetto della luce di candela sulle pagine è davvero affascinante. La luna con il suo scintillio d’argento mi osserva, sembra anche lei accarezzare dolcemente la carta ingiallita dal tempo. Comincio la mia ricerca, voglio trovare qualcosa che mi aiuti nel risolvere questa situazione, ci sarà qualche informazione in questi vecchi libri polverosi.
 
«Cosa fai?» mi cade il libro dalle mani, la concentrazione mi ha fatto scordare di ciò che mi circonda. Shu si è spostato sul mio stesso divanetto senza che io me ne accorgessi. Raccolgo il libro.
 
«Cerco delle informazioni» resto vaga rintracciando nuovamente la pagina sulla quale sono stata interrotta. Shu si gira e appoggia la testa sulle mie cosce lasciando a penzoloni una gamba fuori dal divanetto. Lo osservo divertita, mentre con una mano tengo il libro stando attenta a non perdere nuovamente il segno. «Ma prego, accomodati pure» lo prendo in giro. Lui socchiude gli occhi e mi fa un sorrisetto.
 
«Grazie della disponibilità» sussurra dopo pochi attimi, per poi richiudere gli occhi. Sollevo lo sguardo al cielo e mi rimetto a leggere senza più badare al ragazzo. Lui resta in silenzio permettendomi di studiare senza distrazioni. Trovo svariate situazioni di “paura di perdere il controllo”, tutti fatti psicologici, ma nessun caso in cui accade veramente. Finisco in fretta la pila e sbuffo frustata. Sono da capo. Niente, niente che mi dia davvero una risposta.
 
«Libreria 5, quarto scaffale dal basso» abbasso lo sguardo su Shu. Pensavo si fosse addormentato.
 
«Cosa dovrei cercare?» chiedo spaesata. Lui rimane in silenzio per un tempo che mi sembra interminabile, sto per dargli uno scossone convinta che si sia davvero addormentato.
 
«Riconoscerai il libro, ne sono sicuro» sbadiglia senza più dirmi nulla. Lo osservo.
 
«Ma perché parlate tutti per enigmi?» sbotto a un certo punto sbattendomi una mano sulla fronte in preda alla frustrazione. «Mi dovrei alzare» gli tiro piano una ciocca di capelli, non reagisce. Scivolo di lato accompagnando delicata la sua testa sul divanetto. Si fa coccolare il signorino eh. Mi muovo svelta tra gli alti scaffali contando mentalmente. Scorro con le dita sui libri posati sullo scaffale indicatomi da Shu. Mi sembrano tutti uguali, vecchi e preziosi per Reiji. Mi soffermo con lo sguardo su un grosso tomo rosso senza titolo ne autore, ma solo uno strano marchio, eleganti rifiniture dorate decorano la copertina. Lo prendo tra le mani, pesa e quando lo apro una nuvoletta di polvere raggiunge il mio viso, tossisco muovendo facendo aria con la mano. Sono certa sia vecchio come tutti gli altri, se non di più, però è conservato bene, sembra anche che sia stato letto pochissime volte. Sulla prima pagina lo stesso stemma della copertina: una corona sormontata da un paio d’ali e avvolta da spire di serpente. Torno sul divanetto appoggiandomi semplicemente a un bracciolo.
 
Ci metto un tempo infinito, ma divoro quel libro senza riuscire a fermarmi. Anche l’elegante scrittura tondeggiante aumenta l’effetto ipnotico di quel testo. Non so se credere a ciò che ho appena letto, mi sembra più fantascienza che altro. Spiega come il corpo ricordi di determinati movimenti compiuti ripetutamente nella nostra vita precedente, la mente li ha cancellati, quei movimenti possono venire innescati da certe situazioni o azioni di varia natura, il fisico li compie in automatico, indipendentemente da ciò che la mente vuole. Come discorso è molto complesso e difficile da capire, spesso divaga in argomenti mitologici e campati sulle nuvole che dovrebbero fungere da prove. Beh, c’è da dire che fino a non troppo tempo fa non credevo nemmeno all’esistenza dei vampiri. Sposto lo sguardo su Shu, sta dormendo. È immobile come solo un mortale potrebbe fare. Solitamente simulano la respirazione per confondersi tra gli umani, quando dormono non lo possono fare.
 
«Dorme dappertutto questo ragazzo» mormoro in modo tale da non svegliarlo. Vado in camera mia per recuperare un plaid da uno dei grandi cassetti, torno in biblioteca e ci copro Shu con delicatezza. Sto diventando troppo affettuosa. Scuoto la testa rimproverandomi mentalmente. Lui non sembra nemmeno accorgersene. Sto per uscire definitivamente da quel mondo di libri, ma la sua voce mi fa bloccare.
 
«Perché lo fai?» mi volto verso di lui. Ha gli occhi aperti e mi sta guardando, ma non si è alzato. La luce lunare gli colpisce perfettamente il viso accentuando il pallore della sua pelle.
 
«Era un gentilezza, ma se ti da fastidio puoi toglierlo» sollevo le spalle, sono quasi certa che non si riferisse alla coperta, ma non voglio parlare di argomenti scottanti. «Per favore, Shu, non voglio parlarne» lo interrompo prima che possa farmi altre domande. Si mette lentamente a sedere sul divanetto, io lo osservo con una mano appoggiata al fianco.
 
«Va bene… non parliamo» compare davanti a me con una velocità sorprendente, faccio un balzo indietro di riflesso. Shu si avvicina di nuovo e appoggia le mani sulle mie braccia abbassando il tessuto della maglietta per scoprirmi una spalla. Sospiro e lo fisso negli occhi blu come i più profondi abissi marini. Costringo le braccia a rilassarsi lungo i fianchi. Il vampiro si avvicina pericolosamente al mio viso, fa sfiorare le nostre guance e inspira profondamente il profumo dei miei capelli. Faccio buon viso a cattivo gioco. La sua mano si sposta sul mio gomito, preme il pollice contro l’interno di esso.
 
«Uno… due… tre… quattro…» conta i miei battiti sussurrandomi all’orecchio scandendoli inoltre picchiettando un dito sulla mia pelle. «Il tuo battito cardiaco è stranamente calmo, al contrario di tutte le nostre prede precedenti»
 
«Non sono una preda, Shu» controbatto mentre infilo le mani in tasta, mi metto a giocare con un filo del tessuto.
 
«Tutte quelle che vengono qui sono prede, ma tua hai qualcosa di diverso e non parlo del tuo carattere ribelle, il tuo sangue crea una specie di dipendenza» la sua voce è bassa e profonda, strofina naso e labbra sulla pelle del mio collo. Sta assaporando il momento. Inizia a camminare costringendo quindi me ad indietreggiare. Vado a sbattere contro una della tante librerie da cui cadono alcuni libri aprendosi.
 
«Poi ci parli tu con Reiji dei suoi amati libri» lo schernisco per alleviare la tensione, in tutta risposta lui affonda con forza i canini nella mia carne. Stringo i denti in una smorfia di dolore che dura solo un paio di secondi, il tempo di abituarmi come al solito. Appoggio le mani a uno degli scaffali, schiacciata contro di essi dal corpo del vampiro. Mi sembra perfino di sentire la pressione del sangue calare. Sento le sue mani gelide infilarsi sotto la mia maglietta e conficcare le dita nei miei fianchi, un brivido freddo corre su per la mia schiena. Vorrei ribellarmi a quel contatto che crea un’intimità che non c’è in realtà. Mi concentro sulle sue emozioni e come pensavo c’è la solita noia, ma anche una certa dose di desiderio pungente. Parlava forse di questo quando mi ha detto della dipendenza che crea il mio sangue? Con un bacio toglie le ultime tracce di sangue sul mio collo. Appoggio le mani sulle sue spalle e, prendendolo alla sprovvista, lo spingo indietro per farlo andare a sbattere contro la libreria opposta. Lo fisso negli occhi.
 
«Ricorda una cosa, quando imparerò a combattere prendere il mio sangue per voi sarà sempre più difficile» sibilo fra i denti, sento una piccola goccia scivolare giù dalle ferite provocatemi da Shu. La raccolgo con il pollice e avvicino quella singola goccia di sangue al suo viso, lo vedo inspirare con il naso. Anche una quantità così piccola sembra abbastanza profumata da riaccendere la sete in lui. Non appena lo vedo sollevare la mano per afferrare il mio polso e bere quella goccia dal mio dito, prendo tra le labbra la punta insanguinata. Non distolgo lo sguardo dal suo mentre faccio ciò, i suoi occhi sono puntati sulle mie labbra. Mi allontano da lui prima che possa fare qualsiasi cosa.
 
«Quando saprai combattere probabilmente te ne andrai» lo sento sussurrare, un attimo dopo essermi girata. Mi volto solo per lanciargli un’occhiata fuggevole.
 
«Posso rimettere al suo posto il plaid oppure pensi di rimetterti a dormire?» lo vedo scomparire e ricomparire sul divanetto, sdraiato sopra il mio plaid. Sbuffo. «Se non vuoi coprirti lo riprendo» prima che io possa anche solo terminare la frase, lui si copre fino al petto. Mi passo una mano sul viso ed esco senza più voltarmi indietro. Provocare quei ragazzi mi viene quasi spontaneo, sarà perché mi diverto. Il fatto che io mi lascio provocare da uno di loro però non mi entusiasma affatto. Chiudo la porta della biblioteca alle mie spalle.
 
«Ciao» mi volto di soprassalto e alla mia destra trovo il viso di Kanato, l’orsetto Teddy appeso per una zampa alla sua mano. Lo guardo sbattendo le palpebre un paio di volte prima di fargli un cenno di saluto.
 
«Dimmi» dico a un certo punto quando vedo che resta in silenzio, immobile con lo sguardo vitreo fisso su di me. Mi accorgo che la presa della sua mano sull’orsetto di peluche sta aumentando gradualmente.
 
«Perché sei così gentile con Shu? Con noi non lo sei mai stata» la sua voce è tra il triste e l’accusatorio, per una volta non so cosa rispondere. Sbatto un paio di volte le palpebra spaesata.
 
«Il mio atteggiamento cambia in base a come vengo trattata» mi appoggio con la spalla destra al muro accanto a noi e incrocio braccia e caviglie. «E non mi sembra che tu sia stato molto gentile con me, soprattutto quando mi hai invitata a far parte della tua tetra collezione di imbalsamazioni» porto una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio. Lui continua a osservarmi.
 
«Dal mio punto di vista era una gentilezza, ti ho offerto una vita di eterna giovinezza… come quella delle mie spose e di Teddy» prende l’orsetto con due mani e lo avvicina a me, alterno il mio sguardo dal peluche al ragazzino. Sollevo un sopracciglio, poi sospiro rassegnata.
 
«Piuttosto, ti andrebbe di raccontarmi di tua madre?» chiedo per portare il discorso su qualcosa che mi potrebbe servire in futuro e di cui sono curiosa. Lo vedo irrigidirsi, mentre le sue braccia si abbassano lentamente, inclina la testa di lato. Poi mi da le spalle e inizia a camminare lentamente.
 
«Seguimi»

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


«Dove mi vuoi portare? Scordati che tornerò dentro quel museo a te tanto caro» mi stacco dal muro e concentro uno sguardo affilato sulla sua figura voltata di spalle.
 
«Andiamo a trovare mi madre» taglia corto riprendendo a camminare. Lo seguo rincuorata per un attimo, ma poi penso a cosa ha detto. Cordelia è morta, stiamo andando in un cimitero. Attraversiamo i corridoi e usciamo nel giardino di rose, mi fermo a raccogliere un mazzo di quei fiori profumati. Mi sembra un gesto cortese: un mazzo di rose da lasciare sulla tomba della loro madre, nonostante la sua crudeltà.
 
«Cosa stai facendo?» Kanato resta in piedi dietro di me, mentre io strappo attentamente lunghi steli accucciata a terra. Quando prendo tra le mani il mazzo, alcune spine mi si conficcano nel palmo e in un dito. Aggrotto la fronte per un attimo, nonostante me l’aspettassi. Kanato si avvicina a me e mi toglie di mano il mazzo spinoso, per poi prendere delicatamente la mano graffiata avvicinandosela al viso. Osserva le piccole goccioline scarlatte che scivolano giù dai graffi. Tengo il mio sguardo puntato su di lui, consapevole del fatto che il mio profumo lo attiri inesorabilmente. Lui incontra per un attimo i miei occhi, poi ritorna sulla mia mano. La avvicina alle sue labbra e sfiora il mio palmo con la punta della lingua leccando via le goccioline, tiene gli occhi chiusi per assaporare quel sapore. Fa scivolare la lingua si tutta la mia mano fino al arrivare al dito graffiato, lo prende tra le labbra. Sollevo un sopracciglio e faccio un mezzo sorrisetto divertita. Sta cercando di provocarmi? Purtroppo per lui, la provocatrice sono io. Non appena lascia andare il mio dito, gli mostro un sorrisetto malizioso e gli accarezzo le labbra con il polpastrello, lo sfioro delicata. Il ragazzo concentra i suoi occhi su di me e non si muove, quando vedo che schiude le labbra per azzannarmi il dito, mi ritraggo lasciandolo imbambolato.
 
«Allora, vogliamo andare?» lo stuzzico con un sorriso ammaliante. Lo vedo sbattere le palpebre velocemente per riprendersi, sembra arrossire, ma non posso dirlo per certo. Si volta e ricomincia a camminare con il mazzo di rose in mano portandolo al posto mio, evitandomi così altri eventuali tagli e di conseguenza un’altra situazione simile a quella di pochi attimi fa. Mi stupisco di quanti vicoletti laterali abbia questo splendido giardino, mi lascio guidare da lui, finché non raggiungiamo il cimitero, composto da solo tre tombe. Non mi sarei aspettata di trovare una tomba per ognuna delle loro madri. Dopotutto non erano oggetto dell’odio dei loro figli? Perché dedicargli anche un angolo del grande giardino unicamente per seppellirle? Ci fermiamo di fronte a una di quelle enormi lapidi di fredda pietra e Kanato mi porge il mazzo di rose per lasciare che sia io a posarlo sul terreno. Presto attenzione alle spine acuminate per evitare di pungermi di nuovo e appoggio le rosse bianche sulla sua tomba.
 
«Le piaceva sentirmi cantare» comincia a raccontare il ragazzo senza che io gli abbia chiesto nulla. Concentro il mio sguardo sul nome di Cordelia inciso sulla lapide aspettando che lui continui. «A me non dispiaceva cantare per lei, nonostante fossi consapevole che lei volesse far diventare Ayato il capofamiglia»
 
«Avresti preferito essere tu il ragazzo che lei torturava per farlo diventare più forte?» chiedo a quel punto ricordando le parole di Raito al riguardo, prima o poi dovrò chiedere anche al diretto interessato di tutta questa storia. Sento i passi del ragazzo che si avvicinano a me, finché non mi affianca. Sollevo lo sguardo verso di lui e la luce che trovo nei suoi occhi mi fa allarmare, in un attimo un sorriso folle si dipinge sul suo giovane viso. Mi alzo in piedi di scatto e in quel secondo, Kanato raccoglie il mazzo di rose e inizia a colpire ripetutamente la tomba ridendo. Mi lascia interdetta. Quella risata folle, la furia che usa nello scagliare i fiori contro la pietra, la sadica espressione dà i brividi. Ormai il bel mazzo di rose bianche è ridotto a steli spezzati e tutto intorno a noi ci sono petali sparsi per terra. Mi riscuoto dallo stupore.
 
«Kanato, fermo!» gli afferro il braccio con cui tiene il mazzo ormai distrutto. Mi rivolge un’occhiata furiosa e con uno strattone mi scaraventa sulla tomba di sua madre. Sbatto la testa e la schiena sulla dura roccia, un gemito di dolore abbandona le mie labbra. Serro gli occhi per il dolore che si espande tra i miei capelli. Sento il peso di Kanato arrivare su di me, mi prende i polsi con una sola mano stringendomeli all’inverosimile.
 
«Tu non puoi capire, nessuno potrebbe!» urla fuori controllo, strattono forte le braccia per liberarmi. I lampi che lanciano i suoi occhi non mi piacciono per niente. Agita ancora furiosamente il mazzo composto soltanto da spine dopo il trattamento subito. Lo scaglia senza esitare sul mio viso e io non posso coprirmi con le braccia immobilizzate da lui sopra la mia testa, sento le lunghe e acuminate spine conficcarsi nella mia guancia e incidere solchi sottili ma dolorosi.
 
«Lasciami andare!» urlo rabbiosa. Non lascerò che beva il mio sangue in questo stato. Sento i graffi iniziare a sanguinare, sono su buona parte del mio viso, ne sento un paio che bruciano come l’inferno sul labbro e sullo zigomo destro, dove si è abbattuto maggiormente il colpo. Comincio a scalciare nel tentativo di liberarmi, ma lui sembra sordo alle mie parole e indifferente alle mie ribellioni. Lancia via il mazzo e afferra il mio viso con la mano libera, stringe forte la mascella facendomi ancora più male di quanto già non provi.
 
«Sta zitta!» ringhia prima di unire violentemente le nostre labbra. Spalanco gli occhi sconvolta e in un attimo cerco la soluzione più plausibile. Mordo con forza il suo labbro inferiore, tanto fa fargli uscire sangue. Lui si stacca ancor più furioso di prima.
 
«Non osare farlo mai più» lo fulmino con uno sguardo carico d’odio e di disprezzo. Sento il mio sangue che esce dal taglio del labbro mescolarsi con il suo. Non saprei dire quale dei nostri sguardi sprigiona più rabbia, purtroppo lui è in una situazione di vantaggio. Kanato assottiglia lo sguardo.
 
«Non ho bisogno di essere gentile con te per avere il tuo sangue» scende fulmineo fino al mio collo prima che io possa reagire in qualsiasi modo. Morde con rabbia e violenza, una miscela assolutamente atroce per chi subisce. Sento i suoi canini raggiungere la vena e far iniziare a sgorgare il mio sangue. La velocità con cui beve mi dà un giramento di testa. Il senso di impotenza che mi avvolge è insopportabile quasi quanto il dolore. Odio non poter reagire, odio essere immobilizzata, odio la consapevolezza di essere debole e inerme. La sua rabbia si mescola alla mia, insieme a una minima parte di solitudine e malinconia, ma in questo momento non riesco a provare compassione per lui.
 
«Kanato, levati di dosso, è l’ultima volta che te lo ripeto» il tono con cui lo dico riesce ad essere deciso, nonostante il dolore. Stringo i denti come ogni volta, aiuta davvero a sentirlo meno. Non sembra aver intenzione di darmi retta, riesco a spostare le gambe in maniera da essere sotto di lui. Gli tiro una forte ginocchiata all’altezza dello stomaco, poi con un colpo di addominali rotolo sopra di lui. Nello spostamento veloce i suoi canini mi lasciano due profondi graffi anche nel collo, non ci faccio troppo caso, tanto uno più uno meno. Mi tengo sospesa con il ginocchio appoggiato su di lui, strattono i polsi e riesco finalmente a liberarmi. Mi alzo da lui sovrastandolo in altezza. Il mio sguardo non lascia traccia alla tenerezza o alla clemenza. Vorrei davvero sferrargli un pugno diretto in viso, ma mi trattengo, non è la mossa giusta.
 
«E poi tu vorresti che io fossi gentile con te? Hai sbagliato tattica, moccioso» mi volto e inizio a camminare veloce. Troppo veloce per tutto il sangue che è riuscito a togliermi in quei pochi attimi. Vedo nero e in quel momento metto un piede in fallo. Non sento l’impatto con il suolo. Un braccio stringe la mia vita sostenendomi in piedi. Sto per girarmi e tirare una gomitata a Kanato, ma quando abbasso lo sguardo sul braccio che mi circonda. Riconosco il bracciale. Schiudo le labbra e trattengo il fiato.
 
«Cosa ci fai tu qui?» sento la voce infastidita di Kanato come sottofondo. Possibile che devo sempre finire così? Sempre tra le sue braccia devo capitare? E poi perché il mio cuore batte così forte ora? Non sento una risposta. «Ti ho fatto una domanda, Subaru!» urla il ragazzino dagli occhi viola. Il suo nome rimbomba nella mia mente, risuona nella mia testa così bene, come una dolce sinfonia, nonostante sia detto con odio e disprezzo. Chiudo gli occhi a quella stretta, nonostante la sua pelle fredda, io la percepisco come un fuoco inestinguibile.
 
«Sta zitto, Kanato, e torna in casa» la sua voce è sempre la solita cupa e profonda, ma il tono è tranquillo. La sua voce. Mi suona così familiare e rassicurante, come la sua presa. Ho paura a girarmi, ho paura ad incontrare quegli occhi, ho paura che legga nei miei ciò che sto sentendo. Lui mi toglie qualsiasi dubbio facendomi girare verso di sé. Non punto nemmeno gli occhi sul mio viso, mi appoggio semplicemente con la guancia sul suo petto, protetta da lui.
 
«Ora puoi aprire gli occhi, Lilith» mi sento dire appena sopra la mia testa. Non voglio farlo. Mi lasceresti andare in quel caso vero? No, lasciami restare vicino a te ancora per qualche attimo. Non ammetterò mai di aver formulato un pensiero simile, ma non posso farne a meno. È la prima volta che mi sento così bene tra le braccia di qualcuno. Purtroppo in un attimo mi ritorna in mente la scena dei tre morsi contemporaneamente, del dolore indescrivibile che ho provato un quell’occasione. Spalanco gli occhi e lo spingo via.
 
«Perché sei venuto ad aiutarmi?» chiedo senza ancora guardarlo. Essere arrabbiata è molto più semplice che ammettere quell’assurdo sentimento che provo stando con lui. «Cosa c’è? All’improvviso ti importa di me?» cammino traballante verso il letto e mi ci siedo per evitare un altro giramento di testa. Sfioro con la punta delle dita i graffi lasciati dalle spine di rosa, aggrotto la fronte ogni volta che il polpastrello sposta un piccolo lembo di pelle.
 
«Non li toccare, si infetteranno altrimenti» lo sento dire questo e subito dopo scompare. Sbatto le palpebre un paio di volte, poi sospiro. Mi sdraio sul letto, ho solo il tempo di chiudere gli occhi che sento un lato del materasso inclinarsi. Porto lo sguardo su quel punto e incontro i suoi occhi di fuoco. Ecco, come pensavo. Mi paralizzo a osservarli, sono così magnetici, brillano di luce propria in un mondo spento. La mia mano si chiude lentamente a pugno trattenendo il lenzuolo in essa. Sono così concentrata su quei laghi di fiamme che non mi accorgo nemmeno che sta avvicinando al mio viso un soffice panno bagnato, finché non lo appoggia delicatamente sulla guancia ferita. Sobbalzo riprendendomi e indietreggio spaesata da quell’avvicinamento non previsto.
 
«Non farlo, te ne prego» sussurro distogliendo il mio sguardo dal suo. Mi ranicchio su me stessa dandogli le spalle. «Non illudermi di valere qualcosa per te oggi, per poi domani tornare a trattarmi come fossi una sconosciuta o ancor peggio una semplice fonte di nutrimento» uso un tono malinconico che non pensavo nemmeno di avere. Tengo lo sguardo sulla porta della mia stanza, tanto per guardare qualcosa che non sia lui.
 
«Voltati» dice semplicemente, io non mi muovo. Così lui appoggia una mano sulla mia spalla e stringe leggermente facendomi sdraiare di schiena sul letto. «Non muoverti» appoggia il panno umido sul mio viso togliendo via il sangue e disinfettando i tagli sottili. Non incrocia i miei occhi, tiene lo sguardo puntato sulle ferite. Ogni sua mossa è lenta e misurata, come io fossi un animale ferito e lui non volesse spaventarmi. Quando raggiunge le mie labbra, un brivido attraversa tutto il mio corpo facendomi rizzare i peli sulle braccia. Mi sembra di intravedere un lampo di rabbia attraversare i suoi occhi, come se qualcosa lo avesse infastidito. Provo un’irresistibile tentazione di sfiorare anch’io lui, solo per accarezzare quel viso così dannatamente perfetto. Incrociamo un’altra volta i nostri sguardi e capisco in quell’attimo che vorrei restare così per sempre.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Fiamme. Ne sono circondata. Fiamme e voci. Non riesco a uscire da tutto ciò. Sono in trappola. Un topo in gabbia.
 
«La musica di un nuovo inizio segnerà il tuo ritorno» mi inginocchio a terra coprendomi con i palmi delle mani le orecchie. Non voglio sentire. Quella voce è spaventosa, storpiata e maligna. Le fiamme si avvicinano. Il cerchio in cui sono intrappolata si restringe inesorabilmente. Il fuoco inizia a carpire il mio corpo bruciandolo. Grido.
 
Mi sveglio di soprassalto in un bagno di sudore. Vedo sfocato. Non riesco a rendermi completamente conto di dove io mi trovi. Il mio sguardo incontra un viso familiare, anche se la mia mente non riesce a ricordarne il nome del proprietario. Un attimo dopo tutti i miei ricordi ritornano contemporaneamente, la mia mente ridiviene lucida insieme alla mia vista. Riconosco gli occhi verdi e i capelli rossi di Ayato.
 
«Cosa ci fai tu qui?» mi sfrego gli occhi per svegliarmi completamente. Ho addosso un paio di pantaloncini di tuta e una canottiera bianca, sono stata nuovamente cambiata da uno di loro.
 
«Ti ho sentito gridare, quando sono arrivato qui tu stavi dormendo e nonostante i miei tentativi, non riuscivo a svegliarti» i suoi occhi mi fanno capire che mi sta nascondendo qualcosa. Mi sollevo per mettermi seduta e appoggio la schiena al montante del letto.
 
«E…?» lo incito a continuare accompagnando le mie parole con un’occhiata interrogativa. Lui appoggia la mano sul mio avambraccio lasciandola lì per qualche attimo, poi la sposta riportandola sul materasso.
 
«La tua pelle… ustionava, bruciava come se sotto ci fosse un fuoco accesso, non riuscivo nemmeno a toccarti» cerca nei miei occhi la risposta a questa novità.
 
«Che stai dicendo? La mia pelle che bruciava?» lo osservo con un sopracciglio alzato, convinta che si tratti solo di un suo stupido scherzo. La mia convinzione va sgretolandosi vedendo che lui non accenna a smentirmi. «È impossibile, fuori da ogni logica» insisto a mia volta.
 
«Credi ti stia prendendo un giro?» dice a un certo punto dopo avermi scrutata attentamente. Non gli rispondo, sembra essere convinto di quel che dice.
 
«In ogni caso, perché sei qui? Non vi avevo forse detto di starmi lontano? Te, Raito e Subaru» mi scopro le gambe per mettermi a sedere sul bordo del letto. Ho bisogno di una doccia.
 
«La regola vale per tutti, quindi se hai permesso a Subaru di avvicinarsi a te perché noi no?» Raito compare in piedi poco lontano da me. Il suo tono è lagnoso. Anche Ayato mi guarda con occhi da cucciolo bastonato. Alterno lo sguardo da uno all’altro, poi scuoto la testa roteando gli occhi. Appoggio una mano sul viso e una sul petto di Ayato e lo spingo giù dal letto.
 
«Ehy!» mi guarda male il rosso. Gli faccio un sorriso innocente, mentre Raito scoppia a ridere.
 
«Cos’hai da ridere tu?» gli tiro un cuscino dritto in faccia, questa volta è il turno di Ayato per ridacchiare.
 
«Sgualdrinella, sei cattiva» si lamenta Raito riprendendo il cuscino e rilanciandolo sul letto. Gli faccio la linguaccia, poi ritorno seria.
 
«Io sarei la cattiva? E voi che mi mordete in tre contemporaneamente?» li fulmino entrambi con un’occhiata tagliente. Ayato sbuffa sonoramente.
 
«Siamo vampiri, cosa ti aspetti?» ritorna a sedersi a gambe incrociate sul letto, Raito lo segue a ruota nel gesto mettendosi al mio fianco.
 
«Un minimo di gentilezza per la povera ragazza che vi deve sopportare ogni santo giorno» tiro un coppino a entrambi.
 
«Eh no, ora basta» esclama Raito un attimo prima di lanciarsi su di me per accanirsi contro i mi fianchi facendomi il solletico. Io detesto questo ragazzo! Scoppio a ridere e mi lancio indietro sul letto finendo praticamente in braccio ad Ayato.
 
«Non sapevo soffrissi il solletico, dolcezza» apro a fatica gli occhi per osservarlo, ha un ghigno stampato in faccia che non promette nulla di buono. Lo intravedo avvicinare le mani a me e, nonostante le risate incontrollate, riesco ad afferrare un cuscino per tirargli un colpo. Sento il respiro iniziare a mancare. Con lo stesso cuscino con cui ho appena colpito Ayato tiro una cuscinata anche a Raito che smette di torturarmi. Sfuggo fulminea dalla sua presa saltando giù dal letto, sollevo il cuscino oltre la testa.
 
«Fatevi sotto» strillo ridendo, mi preparo a ricevere davvero tante cuscinate. Il solito sorriso malizioso di Raito compare subito sul suo viso. Quel sorriso malizioso che mi ha sempre irritato, ma che ho imparato ad accettare come un suo segno distintivo. Stessa cosa per quanto riguarda il ghigno di Ayato e il suo abbigliamento in uno stile tutto suo. Vedo Raito scomparire sotto i miei occhi e, nemmeno un secondo più tardi, mi sento prendere per i fianchi e sollevare. Schiudo le labbra per protestare, ma vengo lanciata sul letto prima che io possa proferir parola, l’impatto mi toglie il fiato per qualche secondo.
 
«Non ci dovresti sfidare» ridacchia Ayato lanciandomi addosso le coperte in cui sono già in parte avvinghiata, con il suo intervento ci resto completamente incastrata. Mi sollevo e mi tolgo le coperte di dosso.
 
«Ma sei fuori?» chiedo a Raito che se la sta ridendo tranquillamente in piedi al centro della stanza. Gli scaravento contro uno dei tanti cuscini per farlo tacere. Subito dopo mi volto verso Ayato, prendo un lembo del lenzuolo e gli salto addosso facendo in modo che il suo viso finisca sotto di esso. Lo sento borbottare il mio nome in protesta. Sono praticamente sopra di lui.
 
«Come? Non ti sento?» lo prendo un giro ridacchiando. Le sue mani escono dall’intrigo di lenzuola e coperte per andarsi a posare sui miei fianchi e riprendere il solletico in precedenza interrotto. Faccio un salto indietro, mentre un urletto di sorpresa misto a risata scappa dalla mia bocca.
 
«Possibile che dobbiate fare tutto questo casino anche a quest’ora?» riconosco il tono severo e autoritario di Reiji. Ayato mi lascia libera.
 
«Sempre serio e impettito, non è vero Reiji?» viene subito canzonato da Raito che raggiunge me e il rosso sul letto incasinato. Mi siedo a gambe incrociate. Il ragazzo li guarda con aria di sufficienza e non risponde.
 
«Lasciati andare almeno oggi» dice Ayato passandosi una mano tra i capelli. Faccio lo stesso per rimetterli un po’ in ordine dopo la piccola guerra. Rivolgo un’occhiata a tutti i presenti.
 
«Perché? Che succede oggi?» chiedo incuriosita dalla frase del vampiro al mio fianco. Vedo Raito aprire la bocca, ma viene preceduto.
 
«Oggi è l’ultimo dell’anno» mi volto verso la provenienza della voce trovando Shu comodamente sdraiato su uno dei divanetti di camera mia. Il ragazzo sbadiglia senza aprire gli occhi. L’ultimo dell’anno? Ho perso così tanto la cognizione del tempo stando qui, il dormire di giorno e star sveglia di notte mi ha parecchio scombussolata.
 
«Non solo, con oggi sono tre secoli esatti da quando abbiamo raggiunto la maturità e il nostro corpo ha smesso di crescere» aggiunge Kanato comparso dal nulla, anche oggi con il suo adorato Teddy stretto tra le braccia. Trecento anni.
 
«Maturità… che esagerazione» faccio un occhiolino e una linguaccia a ognuno di loro come una presa in giro non offensiva. Intravedo Reiji lanciarmi una gelida occhiata, ma lo ignoro bellamente.
 
«Noi abbiamo più di trecento anni, tu potresti dire lo stesso, giovane Lilith?» mi stuzzica abilmente Raito mentre un suo dito mi percorre la colonna vertebrale facendomi tendere come una corda di violino.
 
«Ovviamente no, è solo un’insulsa umana» Subaru compare appoggiato al muro a un paio di metri dal letto. Incrocio le braccia al petto e sollevo un sopracciglio.
 
«Insulsa umana? Sbaglio o il sangue di questa insulsa umana ti è praticamente indispensabile per sopravvivere?» lo guardo male. Possibile che quando ci sono i suoi fratelli debba sempre fare il menefreghista, stronzo e apatico? Poi improvvisamente mi rendo conto che siamo tutti insieme nella stessa stanza, nella mia stanza. «E poi, c’è una riunione di famiglia in camera mia per caso?»
 
«Volevamo proporti di festeggiare tutti insieme, sgualdrinella» Raito si sdraia senza preavviso sulle mie gambe e mi guarda dal basso. Gli do una spinta e lo sposto facendolo rotolare via dalle mie cosce. Salto giù dal letto e sorrido raggiante.
 
«Sono sempre pronta per festeggiare!» esclamo euforica. Apro le braccia in maniera teatrale e faccio una piroetta avanzando a passo di danza verso il mio armadio. «Andiamo da qualche parte?» chiedo per decidere cosa indossare.  Concentro il mio sguardo su Reiji, dopotutto è lui solitamente che organizza le varie uscite, almeno se ci sono anch’io.
 
«No, stiamo in casa, la notte di capodanno ci sono troppi umani in giro» spiega aggiustandosi gli occhiali sul naso. Lo fa spessissimo, sembra abbia costantemente paura di avere qualcosa in disordine. Apro le ante e osservo i miei vestiti. Una festa in casa. Mi volto verso di loro.
 
«Siete ancora qui? Devo cambiarmi, quindi…» faccio gesto con le mani di smammare dalla mia camera. Reiji e Kanato scompaiono dopo avermi dato un’occhiata veloce. Raito mi fa un sorriso malizioso accompagnato dall’occhiolino di Ayato per poi scomparire entrambi. Rivolgo il mio sguardo a Subaru che ricambia, poi anche lui se ne va. Osservo Shu che ancora non si decide a togliersi dalle scatole, continua sonnecchiare sul mio divano indisturbato.
 
«Shu… vale anche per te» picchietto il piede per terra in attesa della sua scomparsa. Lui sembra non ascoltarmi nemmeno. Mi avvicino svelta a lui, vado dietro al divano. «Se non vuoi che ti butti giù per davvero, esci di qui alla svelta» lo minaccio con le mani puntate sui fianchi.
 
«Noiosa…» borbotta per poi trasportarsi in tutt’altra stanza. Sospiro di sollievo, per poi tornare all’armadio con un sorriso. Frugo tra gli abiti di media lunghezza per trovarne uno comodo anche per muovermi e ballare. Ritrovo un vestito che ricordo mi sia stato regalato da Mihael, lo prendo fuori per osservarlo. Un tessuto candido e morbido fascia il seno e la vita, le spalline sono ricoperte di decorazioni in pizzo a forma di fiori, mentre la gonna è fatta interamente in pizzo con decorazioni anch’esse floreali.
 
«Lilith» mi volto di soprassalto stringendo al petto l’abito bianco. Subaru è alle mie spalle, tiene una mano dietro la schiena.
 
«Cosa c’è?» chiedo osservandolo attentamente in quegli occhi fiammeggianti. Lo vedo fare qualche passo verso di me, poi avvicina a me la mano che teneva nascosta. Mi porge tre rose bianche e una rossa.
 
«Mia madre adorava indossare le rose bianche sui suoi vestiti, mi farebbe piacere che le indossassi anche tu per stasera» dice distogliendo lo sguardo dal mio, sembra vergognarsi di quel che dice. Tolgo le rose dalla sua mano e mi accorgo che ha tagliato via tutte le spine dal gambo. Gli faccio un sorriso.
 
«Sarà un piacere» sento le mie guance scaldarsi improvvisamente quando le nostre mani si sfiorano. Lui mi lancia uno sguardo e un attimo dopo è già scomparso, sorrido di nuovo inconsciamente non appena riguardo le rose. Mi tolgo alla svelta canotta e shorts, per indossare quello splendido abitino corto. Vado in bagno e prendo un paio di orecchini fatti di argento e perle indossandoli. Mi osservo allo specchio. Ora tocca ai capelli, vorrei qualcosa di nuovo. Subito mi illumino prendendo le rose, inizio a modellare i capelli velocemente e usare i gambi delle rose e piccoli nastri per tenerli fermi. Quel che ne esce mi soddisfa parecchio. Ho lasciato da parte la rosa rossa, prendo delicatamente lo stelo e ne annuso il dolce profumo. Spezzo il gambo e la appunto sul corpetto del vestito, appena sopra la gonna.
 
In un attimo sto scendendo dalle scale più che orgogliosa del risultato ottenuto. Mi aspettano in salotto, sento le voci di Ayato e Raito presi in un’animata discussione come al solito. Prendo un respiro profondo e spalanco le grandi porte del salotto. Sei paia di occhi si posano sulla mia figura. Sono al centro dell’attenzione e mi rendo conto che gli sguardi che mi dedicano non mi dispiacciono affatto, poiché non sono affamati, solo stupiti. Come il mio quando raggiungo gli occhi del più giovane dei fratelli.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Faccio un sorriso radioso e avanzo di qualche metro nella stanza. Il battibecco tra Ayato e Raito è ridotto al silenzio, nessuno fiata più, la quiete che mi circonda è innaturale. Si può udire solo il frusciare dei vari strati di pizzo della mia gonna. Mi fermo in mezzo alla sala mostrando un sorriso furbetto.
 
«Avanti, fuori il colpevole, chi ha tagliato la lingua a tutti gli altri?» appoggio una mano sul fianco accanto alla rosa rossa donatami da Subaru, l’unico punto di colore in tutto il mio abito. I vampiri sembrano riprendersi all’improvviso sbattendo le palpebre. Ispeziono la stanza con un’occhiata.
 
«Niente musica? Una festa senza musica non esiste» esclamo indignata. Ci sarà un accidenti di stereo dentro questa maledetta villa da ricconi. Guardo Shu. «Avrai uno stereo con te, non ci credo che tieni solo e costantemente gli auricolari» gli faccio gli occhioni dolci da cucciolo. Lo vedo sbuffare annoiato, ma alla fine scompare, per poi riapparire pochi attimi dopo con uno stereo tra le mani.
 
«Tieni» borbotta con la sua solita voce tra l’annoiata e l’assonnata. Prendo lo stereo dalle sue mani e lo appoggio su un tavolino vicino al muro, ci collego il mio cellulare attivando la playlist.
 
«Non troppo alta» mi ammonisce subito Reiji. Ma la mia occhiata gli fa subito capire che questa sua postilla non verrà per niente rispettata. Metto il volume a un livello ragionevole, tanto per cominciare. Li vedo tutti fermi nelle stesse posizioni. Stanno aspettando un invito o cosa? Sbuffo sonoramente e inizio a piroettare per la stanza seguendo il ritmo della musica, un passo di danza dopo l’altro. La gonna segue perfettamente i miei movimenti in un susseguirsi continuo di onde, giri, fruscii. Tengo gli occhi chiusi, ma comunque sento i loro sguardi addosso, non mi perdono di vista nemmeno per un secondo. Decido che è ora di coinvolgerli almeno un po’. Prendo la mano di Ayato, il più vicino a me dei sei fratelli, e sollevo la mia mano sopra la mia testa facendo un piroetta. Mi fermo di fronte a lui con un sorrisetto.
 
«Siete dei pigroni, non venite a ballare?» inclino la testa di lato dicendo ciò. Vengo presa per i fianchi e fatta girare di 180°, davanti ai miei occhi compaiono gli occhi verdi e maliziosi di Raito. Sento un attimo di delusione trovando lui e non qualcun altro, ma mi distolgo subito da quel pensiero. Sento il suo braccio destro che mi stringe forte alla vita per avvicinarmi al suo corpo, i nostri bacini aderiscono e lo sguardo lascivo che mi dedica mi fa alzare gli occhi al cielo. Lui mi fa ballare in giro per la stanza, le sue mani mi sfiorano i fianchi e la schiena fino al limite. Non posso dire che non sappia ballare, mi conduce molto bene in piroette e movimenti sempre più veloci, fino alla conclusione della canzone durante la quale mi solleva in aria tenendomi per i fianchi. Mentre mi tiene sollevata, strofina il naso nella scollatura a cuore del mio vestito.
 
«Gran ballerina…» sussurra contro la mia pelle inspirandone contemporaneamente l’aroma per lui delizioso. Mi appoggia di nuovo con i piedi per terra, ma senza allontanare il viso dal mio petto, finché io non appoggio le mani sulle sue spalle e lo spingo via.
 
«Non ti espandere» lo ammonisco con uno sguardo severo. Con la coda dell’occhio vedo Reiji posare sul tavolo un vassoio con due bottiglie di pregiato vino rosso e sette eleganti calici di cristallo. Mi allontano da Raito e raggiungo il ragazzo dai capelli viola, mentre sta per versare il vino, mi vede avvicinarmi.
 
«Dammi una mano» ordina posando nuovamente la bottiglia sul vassoio. Lo guardo interrogativa, ma comunque avvicino una mano a lui, anche se un po’ titubante. Lui mi prende il polso con la poca delicatezza che ha e lo avvicina alle sue labbra.
 
«Sei certo di quel che fai? Non eri tu a dire che certe cose vanno fatte in camera» dico osservando ogni sua mossa molto attentamente. Lui non mi ascolta, mi punge la punta del dito con il suo canino affilato. Aggrotto per un attimo le sopracciglia, più per la sorpresa che per il dolore. Che diavolo sta facendo? Reiji si affretta a portare la piccola ferita sopra la bottiglia, da sottile taglio sul mio polpastrello cadono cinque o sei gocce dentro il vino.
 
«Splendida idea» gli dà man forte il rosso leccandosi le labbra e camminando verso di noi. Reiji mi lascia il polso, ma la sua presa viene subito sostituita da quella di Ayato che prende tra le labbra il dito ferito e toglie vie le ultime gocce di sangue che escono dal taglietto.
 
«Tu forse non ti accorgerai nemmeno della differenza, ma il vino è molto più buono con qualche goccia di sangue di ottima qualità» spiega tranquillamente Reiji, mentre inizia a versare il liquore. Prendo un calice imitata da tutti gli altri.
 
«Ai trecento anni» Reiji solleva il vino proponendo un brindisi.
 
«Alla nuova sposa sacrificale» Kanato mi osserva unendo il suo bicchiere a quello di Reiji. «Sperando che anche tu, un giorno, entrerai a far parte della mia collezione» sollevo un sopracciglio e scuoto la testa leggermente in evidente segno di diniego.
 
«Al sangue della miglior qualità che io abbia mai assaggiato» Ayato sogghigna in mia direzione.
 
«Al tuo sangue e…» Raito mi squadra da capo a piedi con uno sguardo malizioso. «Al tuo meraviglioso e provocante corpo profumato, sgualdrinella» sbuffo nel sentirmi chiamare ancora una volta così da lui. Anche il calice di Raito si unisce agli altri.
 
«Al nuovo secolo della nostra vita di vampiri» Shu distoglie l’argomento da me e dal mio sangue.
 
«Alla vita immortale che possa essere accompagnata dal dolce profumo di rose rosse» questa frase fa saettare il mio sguardo fino al viso di Subaru. Il profumo di rose rosse, il profumo del mio sangue, il mio profumo
 
«A una nuova vita» concludo io unendo il mio calice ai loro, do il via al classico tintinnio del cristallo, simile a campanelle. Mando giù il liquido rosso scuro che brucia piacevolmente la gola. Mi chiedo se loro distinguano così bene il sapore del mio sangue da quello aspro del vino. Facciamo un altro giro. Non sono abituata a bere, solo un paio di volte ho provato, ma il sapore frizzante è davvero piacevole. Ayato mi versa un altro bicchiere.
 
«Ci stai prendendo gusto eh» mi guarda con un’occhiata le labbra, per poi tornare sui miei occhi. Faccio roteare il vino nel bicchiere con aria ammiccante.
 
«Stai cercando di farmi ubriacare?» gli faccio un mezzo sorriso. Lui sogghigna e si abbassa su di me per avvicinare la sua bocca al mio orecchio. Resto ferma senza farmi impressionare o intimorire da questo suo comportamento. Alcuni dei suoi capelli rossi mi solleticano il collo.
 
«Se volessi farti ubriacare, non ti offrirei certo questo semplice vino» sussurra facendo in modo di soffiare sul mio collo. Le sue labbra sfiorano il mio lobo dell’orecchio. Poi si allontana. «Poi è una festa, senza alcol non ci si può divertire davvero».
 
«Ehy Ayato!» mi volto anch’io quando chiamano il rosso. «Non tenerti solo per te la pollastrella, anche noi vogliamo giocare con lei» Raito ci sta osservando insieme ai restanti fratelli Sakamaki. Finisco un’altra volta il vino, prima di appoggiare il calice accanto allo stereo e alzare ulteriormente il volume. Reiji mi guarda già male, gli mostro un sorriso sbarazzino in risposta. Osservo l’orologio: 22.35. Abbiamo ancora un’ora abbondante prima dei fuochi d’artificio della mezzanotte. Riprendo a ballare per la stanza senza badare agli sguardi di desiderio di Raito, a quelli maligni di Ayato, alle eventuali occhiate assonnate di Shu, ai sorrisetti di Kanato, ai borbottii di Reiji riguardo la musica troppo alta. Un qualche passo veloce mi avvicino a Subaru e, forse sarà il vino che inizia a fare effetto su un fisico non abituato all’alcol, gli circondo il collo con un braccio per fare un casque. D’istinto mi circonda la vita con un braccio e viene giù con me. Tengo gli occhi chiusi mentre sono ancora con la schiena inarcata, lentamente mi sento riportare in piedi. Riapro gli occhi. Non incontro il suo sguardo, tiene gli occhi fissi sulla vena del mio collo. Sospiro, almeno per stasera vorrei che il suo unico pensiero non fosse il mio sangue. Gli stringo le guance con una mano costringendolo a immergere il suo guardo nel mio, così che io possa bruciarmi con quel fuoco inestinguibile che sono i suoi occhi e lui possa annegare nell’argento liquido dei miei. Ci osserviamo.
 
«Pensa a me come persona per una volta, pensa a me come fossi una vampira come voi di cui non potete bere il sangue, smettila di guardarmi come fossi solo cibo» sibilo a un soffio dal suo viso pallido. Posso quasi vedere le mie parole scivolare via dalla mia lingua e raggiungerlo. Lo lascio libero seguendo con due dita in una soffice carezza la curva del suo mento. Mi allontano da lui. La sua vicinanza mi destabilizza e non poco. Poi quegli occhi… tolgono il fiato. Non mi fanno pensare ad altro, quando incontro il suo sguardo mi scordo di ciò che mi circonda. Non c’è bisogno di parole, occhi negli occhi, noi ci possiamo dire tutto.
 
Passiamo il tempo disponibile parlando, bevendo forse troppo, ballando, provocandoci a vicenda, discutendo. Finché non entriamo in un discorso spinoso. I vampiri, soprattutto Reiji, sono fermamente convinti di essere migliori degli esseri umani.
 
«Solo perché avete vita eterna non significa che voi possiate disporre della vita di qualsiasi umano» controbatto alle continue affermazioni del vampiro dai capelli viola.
 
«Voi umani morirete in ogni caso, non fa differenza come o quando, la morte è un’usanza che tutti, prima o poi, dovrete rispettare» accavalla elegantemente le gambe e mi paralizza con uno sguardo gelido. Appoggio le braccia sullo schienale del grande divano.
 
«È vero, tutti noi umani dovremo affrontare la morte, ma non è questo l’importante… la morte non è la fine del mondo, è solo una trasformazione» abbasso lo sguardo sulle mie gambe. «La vita è effimera, la morte eterna, eppure penso che ognuno di noi debba appunto per questo vivere al meglio ogni suo secondo, perché la vita è un brivido che vola via, è tutto in equilibrio sopra la follia» ritorno a guardare i ragazzi che sono comodamente seduti su divani e poltrone. Ci guardiamo negli occhi.
 
«L’uomo nasce soltanto per sprofondare nuovamente nell’oblio» la sua voce è un ringhio gutturale. Sembra odiarli, sembra provare un rancore profondo verso tutti gli esseri umani. Non capisco il perché.
 
«Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera che lo rende e lo tiene schiavo… l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo» sorrido assolutamente convinta delle mie parole. «Dopotutto, se puoi vivere in eterno, per cosa vivi davvero?» Reiji tace, anche gli altri non rispondo più. Controllo l’ora e sorrido leggermente, mancano meno di cinque minuti alla mezzanotte. Mi alzo in piedi e corro fuori sul grande balcone, appoggio le mani sulla ringhiera. Questa notte c’è un gran vento, mi solleva i capelli e riesce a far volare via le rose bianche che avevo incastrato tra di essi. Cerco di afferrarle, mentre volano via, mi sporgo sul balcone tendendo le mani verso di esse. Sono troppo lontane. Una mano supera la mia e riesce ad afferrare una delle rose bianche che stanno volando via. Mi volto alla mia destra e trovo il viso di Subaru incredibilmente vicino, lui mi osserva per un attimo, poi mi mostra la rosa.
 
«Grazie» sussurro quasi senza guardarla, troppo concentrata sul suo viso. Non mi risponde. Spezza a metà il gambo e con mosse lente lo incastra tra i miei capelli spostandomi il ciuffo che mi è ricaduto sull’occhio destro a causa del vento. Un’esplosione ci distrae da questo attimo di intimità. Rivolgo il mio sguardo al cielo e vedo le luci infuocate espandersi in contrasto col blu. Sorrido come una bambina di fronte a una grande torta di compleanno. I ragazzi mi raggiungono affiancandomi, alla mia destra Subaru, Ayato e Shu e alla mia sinistra Kanato, Reiji e Raito. Li osservo sorridendo, non pensavo che sarei arrivata a festeggiare con questi sei vampiri. Mi rendo conto solo ora di quanto in questi giorni mi sia affezionata a loro. A questi sei idioti che mi hanno costretta a donare loro il mio sangue, che mi hanno obbligata a restare chiusa qui dentro, ma che comunque sono riusciti a farmi sentire parte di una famiglia vera. Ritorno a osservare quello splendido spettacolo pirotecnico. La cosa più bella dei fuochi d’artificio è il silenzio irreale dopo il gran finale. Mi ricorda la vita.
 
«Buon anno»

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Un braccio mi circonda le spalle tirandomi verso un corpo. Vado a sbattere contro il petto di qualcuno, sollevo lo sguardo e annego nei miei fuochi preferiti. Mi osservano come io osservavo lo spettacolo in cielo pochi attimi fa: estasiati, rapiti e affascinati. Sorrido e arrossisco leggermente per quello sguardo infuocato, ringrazio mentalmente il buio che nasconde il rossore delle mie guance.
 
«Il buio non serve, sento l’odore del tuo sangue sul viso» si china su di me per strofinare il naso sulla mia guancia destra. Sbuffo e gli tiro un leggere colpetto sul petto per farlo allontanare, lui si stacca con un sorrisetto.
 
«Sta zitto, occhietti rossi» sussurro prima di afferrargli il bavero della maglietta e tirarlo verso di me. Premo in fretta le mie labbra sulle sue, prima che il mio buon senso riprenda il sopravvento. Forse è anche colpa del vino. Gli circondo il collo con un braccio e lascio andare la sua maglietta poggiando invece la mano sul suo petto. Lui non reagisce, i suoi occhi spalancati sono fissi nei miei. Fino a quando un battito spezza il silenzio del suo petto, seguito da un altro e un altro ancora. Mi distraggo dal palpitare del suo cuore, quando lui mi stringe forte la vita in un chiaro segno di possesso e gelosia, sollevandomi in punta di piedi, e ricambia il bacio con foga. Chiudo gli occhi tremando quasi tra le sue braccia.
 
«Lasciali stare, Ayato» sento dire dalla voce di Reiji. Le dita di Subaru stringono i miei fianchi talmente forte che probabilmente resteranno i segni. Mi continua a baciare come se le mie labbra fossero la sua unica salvezza. Ci separiamo solo quando il mio respiro viene a mancare. Ho un sorriso che non me lo leva più nessuno. Subaru non mi lascia la vita, restiamo a guardarci a un soffio di distanza.
 
«Andiamo» dice lui e in un attimo siamo nella mia stanza. Mi stringe di nuovo i fianchi e si accanisce sulla mia bocca, mi fa indietreggiare finché non cado sul letto con lui sopra. Ci baciamo passionali e instancabili, improvvisamente sento un lieve dolore al labbro inferiore: mi ha morso e continua a baciarmi, mentre beve il mio sangue. Mi sembra di raggiungere uno stato di estasi, gli passo ripetutamente le mani tra i capelli scompigliandoli. Sollvea il viso.
 
«Sei bellissima» sussurra strofinandosi contro l’incavo del mio collo. Bellissima? Gli prendo una spalla e lo allontano con un sopracciglio sollevato.
 
«Chi sei tu e cosa ne hai fatto del mio Subaru scorbutico e scontroso?» scherzo capovolgendo la situazione e mettendomi a cavalcioni su di lui. Lo bacio di nuovo, ancora e ancora. Lui passa le mani sulla mia schiena e sulle gambe. Mi prende le guance per farmi voltare la testa e affonda il viso nel mio collo mordendo. Schiudo le labbra sospirando.
 
«Quanto vorrei essere un vampiro e avere le zanne per morderti anch’io» mi lascio scappare travolta dalla sensazione di piacere. Lui si allontana subito.
 
«No! Non puoi diventare un vampiro!» esclama in un ringhio quasi infuriato, lo guardo stupita. Perché ora questa reazione?
 
«Perché dici così?» chiedo tirandomi su. Incrocio le gambe seduta di fronte a lui.
 
«Non lascerò che tu venga dannata per l’eternità» afferma risoluto ed estremamente serio. «E poi… la trasformazione in vampiro comporterebbe la distruzione della tua anima, quindi il tuo carattere muterebbe interamente» abbassa lo sguardo concentrandosi sulle sue mani. Sorrido e mi avvicino a lui a gattoni, gli prendo le mani tra le mie e mi avvicino al suo viso per dargli un soffice bacio sulle labbra. Le sue mani gelide nelle mie bollenti. Lui libera una mano dalla mia presa e la infila tra i miei capelli stringendo la mia con l’altra. Si lascia cadere all’indietro trascinando me con lui, così da trovarci sdraiati l’una sull’altro.
 
«Anche se il mio carattere dovesse cambiare…» gli bacio la guancia. «Anche se tutti i miei ricordi dovessero svanire…» gli bacio la punta del naso teneramente. «Resterei comunque follemente e stupidamente innamorata di te» bacio le sue morbide labbra nuovamente, tutto ciò senza smettere di fissarlo negli occhi. A quel punto vedo una striatura di rosso sulle sue guance pallide che mi fa sorridere.
 
«Sei mia, Lilith, non lascerò che altri ti abbiano e non lascerò nemmeno che tu cambi il tuo carattere» mi stringe forte i fianchi mentre affonda i canini nel mio collo. Lo abbraccio forte. Ogni volta il suo divorarmi mi fa uscire di senno, potrei morirci tra queste braccia e non avrei rimpianti. Il mio cuore inizia ad accelerare i suoi battiti, sembra quasi che stia tentando di uscirmi dal petto. Subaru stringe la presa sul mio collo, ma la colpa è mia, la mia emozione non è adatta a questa situazione.
 
«Lilith…» il suo respiro è affannoso, le sue mani sono accanto a me che stringo forte il lenzuolo, con così tanta furia da farle tremare. «Il tuo sangue scorre più velocemente se il tuo cuore accelera… il tuo profumo si espande ed è troppo intenso…» parla quasi dolorosamente, tiene il viso nascosto.
 
«Subaru, cos’hai?» è diverso dalle altre volte, mi diceva solo di calmarmi, ma non ha mai avuto una reazione simile. Si scaglia indietro finendo violentemente contro il muro di fronte al letto. Mi sollevo con il busto immediatamente.
 
«No! Sta ferma lì, non muoverti» si copre naso e bocca con il braccio, mi accorgo solo ora che i suoi occhi sono fiammeggianti e illuminati di una luce vorace e bestiale. Non è più il mio Subaru. Faccio un paio di respiri profondi per calmare il palpitio del mio cuore, impresa abbastanza ardua vista la situazione. Mi alzo cautamente dal letto, i miei movimenti sono lenti e misurati, inizio ad avanzare verso di lui.
 
«Non ti avvicinare!» urla furioso mentre stringe i pugni, sembra soffrirne di tutto ciò, però voglio farlo tornare, devo farlo tornare il Subaru che ho conosciuto. Un passo dopo l’atro accorcio la distanza che c’è tra noi.
 
«Calmati, va tutto bene, tu non mi farai del male, ok?» sussurro facendogli un dolce sorriso. Lo vedo chiudere gli occhi e appoggiare la testa al muro respirando con la bocca affannosamente. «Guardami, Subaru» dico quando ormai solo un paio di passi ci dividono. Lui solleva le palpebre fissando i suoi occhi di brace nei miei cristallini. Copro la distanza che ci divide e gli appoggio una mano sulla guancia.
 
«Lilith…» anche la sua voce sembra cambiare in un ringhio grottesco, Cerca di respirare con la bocca e non sentire il mio odore. Chiude nuovamente gli occhi.
 
«Resta con me, Subaru» sussurro a quel punto, gli accarezzo la guancia. Lui sgrana gli occhi e li incatena ai miei. «Resta con me» dico nuovamente  di fronte a quei laghi di fiamme. Lentamente sembra calmarsi, il respiro torna regolare e i pugni serrati si rilassano, anche lo sguardo torna ad essere quello di sempre.
 
«Perché non mi dai mai ascolto? Non so cosa avrei potuto farti, forse anche attaccarti e ucciderti prosciugando in pochi attimi il tuo sangue, non te ne rendi conto?» è furioso e il suo tono è di rimprovero, quando vedo che sta per riprendere a sbraitare lo precedo.
 
«Ma non lo hai fatto» gli prendo una ciocca di capelli e ci gioco sorridendogli. Lui sbuffa e in uno scatto mi stringe tra le sue braccia.
 
«Tu sarai la mia rovina cazzo» a quelle parole sorrido ancora di più, molto probabilmente anche lui sarà la mia. Mi sollevo in punta di piedi per avvicinarmi ancora di più a lui, la suo corpo.
 
«Ma come siete carini» mi separo di malavoglia da quella stretta così confortante e familiare per rivolgere il mio sguardo verso i cinque vampiri comparsi di punto in bianco nella mia stanza. Anche Subaru li osserva e mette in mostra il suo fastidio molto più di me. Gli do un leggera e impercettibile gomitata per fargli abbandonare quell’espressione corrucciata.
 
«Che succede?» chiedo ai ragazzi che ci stanno osservando. Kanato si avvicina.
 
«Vorremmo sentirti suonare, il pianoforte, per il primo giorno dell’anno» parla con voce flebile e in questo momento mi sembra davvero un bambino. Gli appoggio una mano sulla testa arruffandogli un po’ i capelli. Gli faccio un tenero sorriso di assenso. Ci dirigiamo tutti insieme verso la sala degli strumenti e una volta entrati chiudiamo la porta alle nostre spalle per lasciare qualsiasi altro eventuale rumore fuori.
 
«D’accordo…» sussurro sedendomi sul grande sgabello di velluto, mentre gli altri si dispongono intorno al pianoforte: chi seduto per terra, chi appoggiato allo strumento, chi semplicemente in piedi, ma comunque tutti con lo sguardo attento puntato su di me. Appoggio le dita sottili sui tasti e prendo un respiro profondo prima di iniziare una melodia serena e allegra, per riportare la serata di festa anche qui. Faccio un sorriso mentre le mie mani galoppano agili sui tasti e sulle note. Continuo a suonare chiudendo gli occhi dopo qualche minuto di musica. Mi perdo nuovamente nel mio stato di trance e semincoscienza, inizio a suonare senza più rendermi conto dei miei movimenti, sento solo la musica. La melodia, prima tranquilla, si trasforma in un requiem straziante che sembra raggiungere l’anima e ridurla a brandelli con artigli affilati. Dal pianoforte ora non escono più allegria e sorrisi, ora escono urla disperate di sofferenza e un senso di terrore. Non riesco a smettere di suonare, è un bisogno. Riapro gli occhi al culmine della sinfonia ed in quell’attimo accade inspiegabile: un cerchio di fuoco si traccia sul pavimento rinchiudendomi all’interno di esso. Le fiamme si alzano e coprono i visi sconvolti dei sei vampiri, l’ultima cosa che vedo solo gli occhi di Subaru, urla il mio nome, ma io sono già circondata dal buio più totale. Non vedo nulla, mi sento come in un buco nero, fluttuante nel vuoto. Finché una luce mi abbaglia, i miei occhi si chiudono di riflesso, il mio corpo viene a contatto con il pavimento freddo. Cerco di abituarmi alla nuova luminosità.
 
«Cosa…?» sussurro guardandomi intorno e sbattendo ripetutamente le palpebre. Non sono più nella sala degli strumenti dei Sakamaki, il luogo in cui mi trovo è un grande salone smisuratamente ampio. Fiaccole di fuoco illuminano l’ambiente.
 
«Benvenuta Lilith, figlia mia»

Nota Autrice:
Fermi! Non voglio essere pugnalata da nessuno! È vero, la storia è finita. MA ci sarà sicuramente il seguito. Vi spiego il motivo di questa scelta, nel prossimo "libro" (se così possiamo chiamarlo) la storia sarà raccontata da due P.O.V. (Point Of View, per chi non lo sapesse, anche se dubito ce ne siano XD) differenti, quindi ho deciso di concludere qui la prima parte di tutta la storia della giovane Lilith. Aspettatevi un continuo dunque!
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito fin qui, a tutti quelli che mi hanno fatto anche solo una recensione, spero che continuerete a seguirmi anche sulla prossima storia.
Un abbraccio, Giada.

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Capitolo 28
*** CONTINUO STORIA PUBBLICATO! ***


Ho appena pubblicato il primo capito del continuo di Dark Angel, il titolo del sequel è Round-trip from Hell! Chiunque sia curioso di vedere come andrà a finire questa storia vada sul mio profilo a leggerla.

Un bacio a tutti i miei amati lettori!

Giada

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