La scelta del Destino

di Lione94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I giorni lontani ***
Capitolo 2: *** La verità ***
Capitolo 3: *** Il magico mondo di Danases ***
Capitolo 4: *** Il Grande Saggio ***
Capitolo 5: *** Il Mare Infinito ***
Capitolo 6: *** Il racconto dei draghi ***
Capitolo 7: *** La città della Terra ***
Capitolo 8: *** Il sogno ***
Capitolo 9: *** In memoria e nel ricordo ***
Capitolo 10: *** Eventi imprevedibili ***
Capitolo 11: *** La fuga ***
Capitolo 12: *** Aingel ***
Capitolo 13: *** Promesse ***
Capitolo 14: *** Ililea ***
Capitolo 15: *** Il mondo in fiamme ***
Capitolo 16: *** La scelta ***
Capitolo 17: *** La battaglia ***
Capitolo 18: *** Il nostro cuore ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I giorni lontani ***


1. I giorni lontani



Era una notte dove la luna piena brillava al suo massimo splendore e le numerose stelle diffondevano luce argentea nel cielo infinito. La stella più splendente, però, quella notte non c’era, nascosta da una piccola nube grigia.
L’aria non si muoveva. Nemmeno un soffio di vento, quando un improvviso bagliore dorato scosse l’immobile aria fresca, facendola diventare umida e calda.
L’elfa camminava per il piccolo sentiero della foresta, accanto a una fata che volava sbattendo le ali dorate, rapidamente. L’elfa, a giudicare dal viso, doveva essere molto giovane e aveva la pelle rosea, i capelli dorati, lisci e lunghi, legati in una semplice coda di cavallo, e gli occhi azzurri che sembrava avessero perduto quasi tutta la loro luce. Indossava un lungo vestito azzurro con strani ricami dorati, bruciato in varie parti, e infine portava a tracolla, sulla spalla sinistra, una sacca nera con dentro qualcosa di speciale, invece tra le braccia teneva una piccola bambina di circa cinque anni dalla pelle rosea – come la madre – con le orecchie a punta, che dormiva tranquilla con la testa ciondolante, ignara di tutto quello che stava accadendo.
La fata, come tutte le fate, era piccola come il palmo di una mano e aveva una faccia senza età. Era fatta di luce dorata e portava un ampio vestitino. Gli occhi erano azzurri e dal taglio obliquo, aveva lunghi capelli di soffio di fata con, in mezzo, bellissimi fiori magici, raccolti chissà dove, e infine due piccole antennine sulla testa e due piccole ali che le spuntavano dalla schiena.
Avanzavano velocemente, con il vento che passava tra i loro capelli, e ascoltavano il dolce respiro della piccola che la giovane elfa teneva tra le braccia. Sembrava che sapessero esattamente dove fossero dirette, anche se, ogni passo, si guardavano furtivamente alle spalle.
Quando il sentiero si fermò bruscamente in un punto, ostacolato da un enorme salice dalle foglie fruscianti, le due figure si arrestarono e l’elfa esitò.
« Lo so che è doloroso, Raene, ma devi farlo » la blandì la fata con la sua voce dolce e musicale « È per il suo bene e per il bene di Danases ».
Allora l’elfa depose ai piedi del Salice la figlia, baciandola teneramente, sapendo che quella volta sarebbe stata l’ultima che l’avrebbe rivista, e posò anche la grande sacca nera; bussò piano al grande fusto dell’albero e poi si allontanò di alcuni passi insieme alla fata, quando, all’improvviso, si sentì un rumore di zoccoli e da dietro l’albero comparvero due centauri dall’aria regale.
Uno era un maschio, dall’aspetto apparentemente feroce, con il corpo di cavallo, dal pelo grigio; mentre l’altro era una femmina, dai lunghi capelli neri, come il suo corpo, e dagli occhi acuti e perspicaci.
L’elfa e il centauro più anziano si guardarono, e sembrarono scambiarsi un’occhiata d’intesa. 
« Prenditi cura di loro, Duril » disse l’elfa con la sua voce cristallina, che ricordava il canto di un usignolo. 
« Raene, cosa sta succedendo? » chiese Duril.
« Danases è nel caos… sta per scoppiare una guerra… Elvisier è scomparso, Klopius ha preso il suo posto e… loro ci stanno cercando ».
L’elfa cercò di trattenere le lacrime mentre il centauro femmina prese tra le braccia la piccola creatura, che tremava dal freddo, e poi si mise sul dorso la sacca nera. All’improvviso la piccola elfa sospirò tra le forti braccia del centauro che, a un improvviso fruscio, sussultò piano.

Raene distolse a fatica gli occhi pieni di lacrime dalla figlia, e si guardò alle spalle: due enormi figure venivano verso di lei.
« Stanno arrivando! » bisbigliò disperata la fata, e il suo sussurro parve un refolo d’aria.

Raene, a quel punto, alzò le braccia al cielo sussurrando qualcosa in una lingua sconosciuta, e lei e la fata scomparvero, lasciando scintille dorate e rossastre che si deposero delicatamente per terra, per poi sparire senza lasciare alcuna traccia.
I due centauri rimasero immobili, osservando due enormi figure che si muovevano tra i fitti alberi della foresta, sibilando parole senza significato.
« L’oscurità è calata su Danases, compagna Cadea » disse Duril, incamminandosi verso i recessi più profondi della foresta. Cadea seguì l’anziano centauro, guardando assorta la piccola elfa e pensando al momento in cui, crescendo, avrebbe dovuto sapere tutta la verità.



Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Sono molto emozionata di pubblicare questa storia perché, sebbene ne abbia postate già molte altre qui su efp, questa è la primissima che io abbia mai scritto. E' rimasta da parte per molto tempo perché ero piccolina quando l'ho scritta e dopo averla condivisa con i miei "amici" del tempo ed aver ricevuto dei pareri negativi sul fatto che fosse una stupida storia fantasy mi ero molto avvilita. Quindi l'ho messa da parte ma dopo tanto tempo ho deciso di darle una possibilità e di metterla sul sito.

Sono una vera appassionata di questo genere quindi vi avverto subito che molte cose della mia storia sono citazioni di diverse storie fantasy... spero di non urtare nessuno se troverete qualche elemento simile a una qualche vostra storia preferita.
Insomma questo era il prologo, spero vi abbia interessato e che siate decisi a seguirmi in questa nuova avventura! :)
Chiara





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Capitolo 2
*** La verità ***


2. La verità



Mi svegliai pallida e sudaticcia. Alzai gli occhi e vidi che le stelle danzavano ancora nel cielo. Mi ero svegliata in piena notte.
Ancora.
Non era la prima volta che facevo quel sogno, in cui tutto sembrava un lontano ricordo degli anni passati.
Rimasi per un po' ad osservare le fronde degli alberi sopra di me e mentre rimurgivano, il sonno iniziò a farsi largo tra i pensieri e tutto si fece confuso. Richiusi gli occhi, lasciando che la mia mente esplorasse ancora il mondo dei sogni.
La mattina successiva mi svegliai sola.
Mi alzai e mi stiracchiai. Un muscolo protestò.
Ecco cosa succede quando sono troppo pigra per prepararmi un giaciglio di morbide foglie!
Mi diressi verso il fiume e socchiusi gli occhi infastidita dal raggio di luce che illuminava l'acqua. Videndo nella foresta ero molto più abituata all'oscurità. Mi affacciai oltre la riva e guardai la mia immagine riflessa nell’acqua. La pelle rosea, le sopracciglia oblique, gli zigomi delicati, la curva delle morbide labbra e infine, nascoste dai lunghi e mossi capelli dorati, le piccole orecchie a punta.
Mi osservai con aria critica gli occhi: uno azzurro come il colore del mare e uno verde intenso come gli alberi della foresta. Erano quegli occhi e quelle orecchie, così poco a punta, che mi rendevano differente dagli altri Elfi.
Inoltre erano un tantino anti estetici... ma per fortuna la foresta era abbastanza oscura da non farli notare troppo.
Un sottile rumore interruppe i miei pensieri. 
« Abiremil » dissi mentre mi spruzzavo l’acqua sul viso, convinta che fosse il mio amico « Notizie dal mondo? ». 
« Elien, perché vuoi sapere cosa succede a Danases? » domandò una voce profonda.
Ohi, ohi!
La voce familiare mi sorprese alle spalle, trasalii e mi voltai di scatto, trovandomi davanti un centauro femmina dal manto e dai lunghi capelli neri. Il suo volto era aggrottato e le folte sopracciglia unite in una linea continua, i suoi occhi scuri dal taglio obliquo indagarono il mio viso.
Non era molto contenta che mi informassi del mondo "esterno".
Ormai erano quasi undici anni che vivevo nei più profondi luoghi della foresta di Elwyn insieme agli animali selvaggi e a un piccolo gruppo di antichi centauri perché i miei genitori erano morti.
Di loro avevo pochi ricordi, che fluttuavano nella mia mente, come animali che hanno perso il sentiero, e di reale mi restava solo una pietra rossa, a forma ovale e abbastanza grossa.
A volte, quando cercavo di riunire i ricordi dei miei genitori, mi appariva davanti agli occhi una sfocata figura di un volto che non conoscevo. Più cercavo di pensarci e più non riuscivo a capire che cosa significasse.
« Cadea, io… »  mormorai, ma subito Cadea m’interruppe: « Il tuo amico è qui ».
Un piccolo scoiattolo grigio scese dal dorso del centauro e sgranocchiò velocemente una noce, con fare agitato.
Abiremil fece guizzare la folta coda guardando Cadea con i suoi piccoli occhietti, marroni come la noce che aveva tra le piccole zampette rosee. Non era molto contento di essere stato scoperto.
« Parla, Abiremil » lo incitò il centauro.
« Elien » disse lo scoiattolo con voce sottile, assumendo un’aria cospiratrice « I pesci del lago Iris mi hanno riferito che i lucci del lago Dolciacque hanno sentito dalle trote del lago Lortis… » Cadea roteò gli occhi, sbuffando irritata, e lui interruppe il suo elenco di fonti di attendibili notizie tagliando corto: « Che gli Elfi della Terra hanno subito altri attacchi da parte dei Draghi, come anche gli Elfi dell’Acqua e dell’Aria ».
« Oh » feci, cercando di riconoscere tutti i nomi nominati da Abiremil, il che, essendo cresciuta in mezzo una foresta, non era molto semplice.
I nomi dei popoli degli Elfi, invece, erano i più semplici da riconoscere.
Come Cadea mi aveva insegnato, il mondo di Danases era diviso in tre popoli: gli Elfi della Terra controllavano da molti anni, se non da secoli, la magia della terra, gli Elfi dell’Aria quella del cielo e gli Elfi dell’Acqua quella degli oceani e dei mari.
« Che cosa ne pensi Cadea? Ci sarà una guerra? » domandai frustrata.
Era da più di vent’anni, prima della mia nascita, che tra gli Elfi e i Draghi c’erano delle forti tensioni. E dalle notizie riportate da Abiremil sembrava stessero iniziando a fare sul serio.
« Solo gli astri sanno la risposa! » affermò Cadea « I sogni dei centauri non sono un’arte precisa, ma… » il centauro s’interruppe, i suoi occhi si velarono e il suo respiro si fece più lento, fino quasi a fermarsi, poi, d’un tratto, esclamò facendomi sobbalzare: « Duril ci sta aspettando! ».
Ogni volta mi spaventavano le sue divinazioni improvvise ma era così che i centauri comunicavano tra di loro quando si trovavano a distanza.
Lo so... un po' inquietante.
Duril era il centauro più anziano tra il gruppo, e anche il più saggio. Erano più di due anni che non si faceva vedere perché abitava nei recessi più profondi e oscuri della foresta, dove passava il suo tempo a interrogare i sogni. Alla fine pensavo si fosse perso (Cadea mi avrebbe riproverato molto se avesse saputo del mio scetticismo) ma evidemente era tornato per riferirci ciò che aveva divinato.
« Andiamo » ordinò Cadea.
Seguii, piena di pensieri, il centauro e lo scoiattolo, verso la vicina radura, senza accorgermi che qualcuno, dalle oscurità della foresta, mi stava osservando.

« Grande Saggio, siete sicuro che è lei? » domandò una voce.
« Sicurissimo! ».
« Non può essere… » la prima ombra si mosse a disagio « È solo una… ragazzina ». 
La seconda ombra ridacchiò: « Non farti ingannare dalle apparenze. C'è un grande potere in lei ».
« Sì, ma perché non lei, Grande Saggio? » chiese la prima ombra « Lei saprebbe già come fare ».
« No. Il trono è suo e, anche se non lo desidera, scoprirà di riuscire a governare bene ».
La prima ombra aprì bocca per ribattere, ma la seconda la interruppe con un’occhiataccia: « Il viaggio sarà pieno di pericoli, per questo voglio che tu la accompagni ». 
« Siete sicuro Grande Saggio? Non credo… ».
« Oh, andrai benissimo
» disse la seconda ombra « Adesso è ora di andare »

Forse mi ero solo immaginata quei mormorii, perché quando mi voltai non c’era più nessuno.

Duril era circondato dagli altri centauri, i quali, quando mi avvicinai, mi lanciarono uno sguardo strano (cattivo segno, di solito erano inespressivi) e si aprirono, lasciandomi intravedere il vecchio centauro dal manto grigio.
« Elien » salutò il centauro con voce apparentemente feroce.
« Duril… »  dissi avvicinandomi a lui, con Cadea e Abiremil al mio fianco « Finalmente sei tornato! ».
Mi trattenni dal chiedergli se davvero si gosse perso.
Duril sospirò e sul suo volto umano passò un guizzo di stanchezza, poi rispose: « Purtroppo per riferire brutte notizie ».
Ah, fantastico.
I centauri intorno a noi si agitarono e Abiremil (l'impavido!) si nascose su di un albero per la paura. Cadea non mosse un muscolo, però notai una certa rigidità nella sua compostezza.
« Che cosa succede, anziano Duril? » domandò Raquad, il centauro dal manto marrone che mi aveva insegnato come pescare i pesci nel fiume.
Il silenzio scese nella radura, mentre Duril rimaneva zitto e pensoso, osservandomi con uno sguardo indecifrabile.
« Elien… » il silenzio, finalmente, si ruppe: « Deve partire ».
Ci misi diversi secondi per decifrare le sue parole. Spalancai gli occhi e le gambe quasi cedettero.
« Volete mandarmi via? Perché? » il respiro diventò veloce, mentre mi facevo prendere dalla paura « Sì, lo ammetto sono stata io a dare fuoco al boschetto delle noci, ma non l'ho fatto apposta!
»
Sentii gli scogliattoli sugli alberi protestare
. Forse non era stata una buona idea confessare i misfatti della mia goffaggine...
« Prometto che starò attentissima! Io lì fuori non posso farcela… sono un mezz'elfo! Sono diversa… ». 
« Elien, calmati! » Cadea mi interruppe « Ascolta le parole di Duril ». 
« Non vogliamo mandarti via » disse Duril con estrema lentezza e soppesando ogni parola « Il Grande Saggio ti ha mandato a cercare: vuole vederti ». 
Il Grande Saggio? L’elfo che guidava il popolo dell’Aria, voleva vedere me?
« Il Grande Saggio? » chiesi stupita, scuotendo la testa « Perché? » 
« Lo sai, Elien… » s’intromise ancora una volta Cadea, interrompendo i miei più oscuri pensieri, e asserendo d’un fiato: « Tu sei la figlia della Regina elfica Raene e del Re umano Elvisier ».
Il mio cuore, per un momento, smise di battere.
Ovviamente sapevo chifossero i miei genitori, ma cercavo di dimenticarlo da quasi undici anni.
Ricordarlo in quel modo brusco mi fece rabbrividire.
Sapevo benissimo che ero in quella foresta perché i miei genitori, prima di morire, sapevano che sarebbe stato il posto più sicuro per me.
Per quello che avevo commesso…
« Non andrai da sola… »  il tono di Duril si fece ancor più cauto « Qualcuno ti accompagnerà ».
Pensai subito all’Orso Marrone. Lui era l’unico animale che fosse mai uscito dalla foresta oltre ad Abiremil che però era troppo fifone per accompagnarmi.
Invece dalla foresta non comparì l’Orso Marrone, bensì una sottile figura, che veniva verso di me con passo fluido e aggraziato. Stupita, osservai la sagoma avvicinarsi: quello era un Elfo, un vero Elfo dell’Aria!
Per tutti i centauri della foresta!
Mi coprii subito un occhio con la mano: non volevo che vedesse i miei occhi diversi. Rimasi impietrita, mentre quell’elfo chinava il capo, in segno di saluto. Mi sentii un po' stupida a starmene con quella mano sull'occhio.
Questa giornata sembrava infinita...
Avevo già visto altri elfi, oltre ai miei ricordi sbiaditi, ed era stato quella volta che Cadea mi aveva mostrato il suo sogno sugli Elfi dell’Aria.
Eppure quest’elfo mi toglieva il respiro.
Era diverso da tutti quelli che ricordavo nella mia mente.
Indossava una maglia verde con le maniche molto lunghe, ma erano rigirate, mostrando i muscoli delle braccia, abituate a maneggiare una sottile e lunga spada che aveva attaccata alla cintura dei pantaloni neri, ai piedi calzava degli alti stivali marroni. A tracolla portava una sacca di pelle marrone e sulla schiena aveva una faretra con un arco e delle frecce dalle piume argentate.
Era alto, così tanto che per guardarlo in volto dovetti reclinare il mio verso l’alto, anche se intuii che la sua altezza dovesse essere normale per un elfo, ero io che ero più bassa per via del mio lato umano.
Dei mossi capelli castani gli incorniciavano il viso dalla carnagione rosea ma più scura della mia... al contrario di me doveva aver passato molto tempo sotto la luce del sole. Aveva gli occhi di un profondo verde scuro e sopra sopracciglia oblique. La morbida linea delle labbra sottili si curvò in un sorriso, quando mi vide.
« Il mio nome è Menfys » si presentò l’elfo con una voce musicale, molto diversa dalle aspre voci dei centauri.
Lo guardai per un attimo incantata e cercai di ritrovare la voce che però sembrava scomparsa. Indietreggiai verso Cadea.
Insomma Elien, un po' di contegno!
Ero indecisa se essere affascinata dall'elfo o terrorizzata da tutto quello che mi stava accadendo. Il mio cervello era animato da troppe emozioni!
« Non voglio partire » cercai di parlare, ma la voce uscì così flebile che la udì solo Cadea, la quale però mi spinse verso l’elfo.
« Sono qui per te, Elien » disse lui.
A quella frase il terrore s'impadronì di me.
« Tu sai che cosa succede a Danases? Il Grande Saggio vuole offrirmi come sacrificio per placare la furia dei Draghi… » mi nascosi dietro il centauro, isterica.
Perfetto, stavo reaggendo molto bene.
Sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato, ma mai mi sarei immaginata il mio esaurimento nervoso...
L’elfo di nome Menfys mi osservava perplesso e, anche se adesso le sue sopracciglia erano corrugate, il suo volto rimaneva perfetto. 
« Il Grande Saggio di Tedrasys desidera vederti. Sono qui per te, per portarti da lui » ripeté facendo un passo avanti con la sua aggraziata andatura, poi continuò: « Sono venuto qui, perché tu sei l’unica che può aiutare gli Elfi e i draghi ».
La paura a questo punto cedette il posto alla rabbia. Tutti cercavano di farmi ricordare ciò che non volevo ricordare. Finalmente mi levai la mano dal volto e gli urlai contro: « Guardami, sono un mezzo elfo! ». 
Incontrai il suo sguardo, indecifrabile.  
« Non posso fare niente per questa guerra, è già troppo che sia ancora viva! » esclamai. 
« Tu sei la figlia della Regina Raene e di Re Elvisier » disse calmo Menfys.
Distolsi lo sguardo e mormorai stanca: « Lo so
».
Ogni volta era una pugnalata al cuore. Sì, i miei genitori erano i sovrani di Danases... bello ero la principessa orfana mezz'elfa del regno. Tutti sapeva che i mezz'elfi non erano fatti per Danases, il mondo degli umani sarebbe stato meglio. Quanto avrei desiderato essere qualcun altro. Solo un'elfa e con genitori che non erano dei sovrani ma almeno vivi.
Ma purtroppo ero quella che ero.
« Ho altra scelta?». 
« Certo, c’è sempre un’altra scelta… » rispose lui « Ma se non accetterai di incontrare il Grande Saggio… forse avremmo perso la nostra unica speranza ».
Guardai attorno a me la foresta familiare.
Avrei voluto rimanere lì per sempre?
Forse quello che avevo fatto poteva essere riscattato.
Il destino mi stava finalmente offrendo un’occasione.
Non era più il momento di nascordersi.
« Verrò con te ».
Menfys fece un altro passo avanti e mi sfiorò la fronte con una mano affusolata, mormorando parole incomprensibili.
Non riuscii a capire cosa stesse facendo.
All’improvviso fui risucchiata in un turbine di suoni e colori, chiusi gli occhi quando esplose un accecante bagliore.
L’ultima cosa che sentii erano le voci soffuse di qualcuno che parlava e poi tutto si fece buio.




Angolo autrice:
Eccoci qui con il secondo aggiornamento. E' ancora un capitolo di passaggio, dal prossimo inizierà la "vera" storia :) Entrano in scena nuovi personaggi... chi sarà mai questo Menfys? E che cos'ha commesso di così terribile la nostra Elien per essere stata costretta a nascondersi undici anni nella foresta di Elwyn? Continuate a seguitemi in questa avventura e piano piano tutto sarà rivelato ;)
Alla prossima!
Chiara

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Capitolo 3
*** Il magico mondo di Danases ***


3. Il magico mondo di Danases



Era appena scesa la sera quando aprii finalmente gli occhi.
Notai che mi trovavo al limite di una foresta. Dall’altra parte si estendeva una verde pianura che, all’orizzonte, era delimitata da un fiume. Riuscivo a scorgerlo grazie al luccichio delle sue limpide acque.
Cercai di pensare a ciò che era successo, mettendomi seduta, quando all’improvviso qualcosa mi costrinse di nuovo a sdraiarmi.
« Ferma ».
Misi a fuoco il volto di Menfys e sentii formicolarmi le guance.
Oh, andiamo Elien!
« Come ti senti? » domandò Menfys, ignaro dello strano effetto che mi faceva, continuando a tenermi ferma con una mano poggiata sulla mia fronte « Ti gira la testa? ». 
« No, sto bene » risposi, distogliendo lo sguardo, poi gli chiesi: « Si può sapere che cosa hai fatto? E... quanto ho dormito? ».
Menfys mi lasciò, sospirando: « Hai dormito per quasi un giorno, diciamo che non rientrava nei piani che svenissi ai miei piedi ».
« Do… Dove sono? » sbadigliai, sedendomi e guardandomi intorno con occhi assonnati.
« Siamo ai margini della foresta di Elwyn » mentre parlava sentivo il suo sguardo su di me « A sud c’è il fiume Rusk e a ovest, nella foresta, c’è il fiume Feralas ».
Ecco perché gli alberi mi erano familiari. Quella era la foresta dove, fino al giorno precedente, avevo vissuto. Il debole luccichio era prodotto dal fiume Rusk, il fiume con le acque più limpide di tutta Danases.
« Quando andremo dal Grande Saggio? »
« Ci aspetta nella sua dimora a Tedrasys. È una città » aggiunse Menfys, vedendo la mia espressione confusa.
Ricordai quel nome e annuii. Alzai gli occhi al cielo e mi accorsi che brillavano tre lune. Menfys si accorse del mio sguardo e rispose alla mia muta meraviglia.
« Nel cielo di Danases ci sono tre lune: Frias, Arasis e Aladi ».
« Sono bellissime! » esclamai, incantata « Non le avevo mai viste ». 
Nella foresta gli alberi coprivano quasi completamente il cielo meraviglioso di Danases e non ero mai riuscita a scorgere per intero le tre lune. All’improvviso sentii una strana sensazione. Tutto quello che stavo guardando mi sembrava familiare. Questo era il mio vero mondo, non solo la foresta dove mi ero nascosta tutti questi anni, e avrei cercato di proteggerlo, anche se ero una mezza elfa.
Anche se forse non ce l’avrei fatta.
Menfys mi guardò, come intuendo i miei pensieri (leggeva forse nella mente?!), e sorrise mostrando una chiostra di denti bianchissimi e perfetti.
« Vorrei presentarti Ogard » indicò da una parte nella radura.
Girai la testa di scatto e vidi un drago.

« Un drago? Ma… » le parole mi morirono in bocca.
Guardai il drago che era apparso misteriosamente al margine della radura e dormiva beatamente. Aveva le squame dalle sfumature blu e sul dorso c’erano delle punte che andavano dalla coda fino alla testa. La membrana che formava le ali era azzurra come le squame che si trovavano sulla sua pancia. Sopra le palpebre chiuse aveva un ciuffo argentato, che faceva contrasto con il suo colore blu splendente.

Era la creatura più bella che avessi mai visto.
Mentre lo guardavo affascinata e allo stesso tempo impaurita, il drago aprì un occhio, era di un azzurro intenso come il cielo.
« Io sono Ogard » la sua voce risuonò nella mia mente, come se fosse un mio pensiero.
Per tutti i centauri della foresta! Che cos'era?!
Esterrefatta arretrai verso l’elfo e mi portai le mani alla testa, dove continuavano a risuonare quelle estranee parole.

« Lui è un amico » disse tranquillo Menfys, poggiando una mano su una delle punte del drago.
...Fermi tutti!
« Cosa?! » farfugliai, confusa « Ma… Ma gli elfi, non erano in guerra contro i draghi? ». 
« Sì, ma per Ogard è diverso » rispose Menfys « Un giorno trovai un uovo di drago, lo raccolsi con il pensiero di portarlo dal Grande Saggio, invece quell’uovo si è schiuso per me. Guarda » Menfys si avvicinò e si scoprì la spalla destra, su cui c’era un piccolo tatuaggio blu a forma di drago, poi continuò: « Quando l’ho toccato è apparso questo segno ». 
Inarcai un sopracciglio: « Non è una cosa che succede tutti i giorni, vero? ».  
Menfys si risistemò la maglietta e si voltò a guardarmi: « No. In tutti i secoli di Danases, ho sentito che solo tre elfi si sono legati con un drago ».
Ecco perché la prima volta che l’avevo visto mi era sembrato diverso da ogni altro elfo. Non che ne avessi visti tanti nella mia vita, ma dalle immagini che mi mostravano Cadea e Duril, non erano così... l'aspetto di Menfys ricordava sfuggevolmente quello di un drago, era meno aggraziato degli altri elfi, la sua era una bellezza diversa, più animalesca... e il sorriso ferino era esattamente quello del suo drago.
« Per questo sei così? » riflettei, guardando attentamente i suoi tratti. Guardai anche Ogard, che mi ammiccò.
Menfys distolse lo sguardo, come se si vergognasse di qualcosa, e rispose: « Sì ».
« Perché non siamo comparsi nella dimora del Grande Saggio? » domandai, cercando di alleggerire il suo umore, all’improvviso inquieto « Ci avrebbe risparmiato la fatica di arrivare da lui ». 
Le labbra sottili di Menfys si aprirono e sorrise di nuovo, un sorrisetto colpevole.
« Ecco vedi... era quello che ho tentato di fare l'altro giorno. Ma qualcosa è andato storto
»
Gli lanciai un'occhiataccia.
Il suo compito era portarmi dal Grande Saggio e la prima cosa che faceva era tentare di ammazzarmi? Ero capitata in buone mani...
« E quindi adesso?
» domandai.
« Partiremo domani mattina. Adesso riposati. Sarà un bel viaggio
» enfatizzò molto l'ultima frase.
Fantastico!


Nel cuore della notte una luce ci svegliò all'improvviso. Era stato un piccolo bagliore dorato. Il tempo di svegliarci del tutto e riapparve sempre più intenso. Impaurita mi avvicinai a Menfys e a Ogard e proprio in quel momento, al centro della radura, apparve una pietra con una lettera:

Cara Elien,
Abbine cura come hai fatto in tutti questi anni.
Cadea e Duril.

Mi avvicinai alla pietra e scoprii, con stupore, che era la mia amata pietra rossa, il ricordo dei miei genitori.
Guardai Menfys che annuì e mi avvicinai per prendere la pietra. 
All’improvviso comparve una crepa, e un’altra, e un’altra ancora.
Affascinata, ma anche intimorita, la posai a terra e cominciarono ad apparire altre crepe e dall’interno si sprigionò una luce. All’improvviso la pietra si ruppe e sbucò una piccola lucertola rossa, che con una piccola ala si copriva il musetto con gli occhietti chiusi.
« Un drago! ». 
Ero sempre più stupita. Passarono degli istanti però il drago non si mosse, finche arrivò un soffio di vento che lo fece rabbrividire, allora tirò via la piccola ala e aprì i suoi occhi. Rimasi spiazzata dal suo profondo sguardo arancione. Sembrava come se mi chiamasse. Mi avvicinai a lui e lo presi tra le braccia. Il drago si agitò e con il musetto andò a toccare la mia spalla destra, da dove comparve un debole bagliore, posai subito la piccola lucertola a terra ed esclamai: « Non avrei mai creduto che la pietra fosse un uovo! ». 
« Questo complicherà le cose » borbottò Menfys.
Intanto Ogard si era avvicinato ad annusare il draghetto che dondolava la testa, incantato dalle braci ardenti rimaste dopo il fuoco che Menfys aveva acceso mentre dormivo.
« Scopriti la spalla » disse Menfys
« Perc… ».
Ogard m’interruppe: « Fai come dice ».
Ancora una volta rabbrividii, sentendo quel pensiero estraneo nella mia mente confusa.
Scoprii la spalla. Lì dove prima mi aveva toccata con il muso la piccola lucertola, c’era un piccolo tatuaggio rosso che ricordava la forma di drago. Era come quello di Menfys.
« Questo drago si è legato a te, Elien » disse Ogard, sorpreso.
Notai che Menfys mi guardava affascinato la spalla con il tatuaggio. Arrossii e la coprii con un movimento brusco.
« Perché? ».

« Non lo so… » ammise Menfys, sbattendo lentamente le palpebre « Come hai fatto ad avere un uovo di drago? ». 
« Ce l’ho da quando sono piccola. I centauri dicono che era dei miei genitori ».
A un tratto lo sguardo di Menfys si fece velato e poi sbadigliò in modo vistoso esattamente come un drago. 

« Va bene. Adesso però mettiamoci a dormire. Ho sonno. Domani ci sveglieremo presto ».
Lo guardai per un po’, mentre il suo respiro si faceva sempre più lento e regolare. Ogard si avvicinò a lui e si addormentò.
Proprio quando pensavo di rimanere sveglia per il resto della notte sentii di la stanchezza invadermi e mi sdraiai a terra. Il drago rosso mi si avvicinò. Rimasi ad accarezzare le sue dure e ancora piccole squame finché gli occhi non si chiusero e mi addormentai.



Mi svegliai all’alba, di scatto, mentre all’orizzonte sorgevano i due soli. Mi alzai e vidi Menfys che gironzolava vicino la foresta in cerca di qualcosa e Ogard che lo osservava muovendo la coda, divertito.
Il mio drago, invece, dormiva ancora accoccolato vicino a me.
« Che cosa stai… » chiesi, ma fui interrotta da Menfys, che mi mise in mano qualche radice.   
« Grazie » dissi un po’ contrariata, mentre sguainava la sua spada e ne prendeva un’altra molto più piccola dalla sua sacca. 
« Cosa ci fai con quelle spade? » domandai. 
« Prima mangia e poi te lo spiego » rispose, con fare misterioso, e si sedette a terra.
« Non partiamo?
»
« No, prima dobbiamo fare una cosa
».
Mentre mangiavo, il draghetto rosso si svegliò, annusò l’aria e si avvicinò a me. Lo presi tra le mani e lo rigirai verso l’alto, per vedere la sua pancia, ma non lo apprezzò. Emise dei squittii di protesta e di rimprovero. Preoccupata lo posai subito a terra.  Il drago, indignato, trotterellò verso Ogard. Quando finii di mangiare, Menfys mi tirò una spada, quella più grande. La presi al volo per non farla cadere a terra.
« In guardia! » esclamò Menfys, alzandosi in piedi con un balzo e mettendosi in posizione d’attacco.
Lo guardai stupita e anche un po’ spaventata: « Perché vuoi combattere? ». 
«Per vedere cosa sai fare!» replicò Menfys, sorridendo incoraggiante « Forza alzati! ».
Docile, mi alzai e impugnai l’elsa della spada nella mano sinistra. Menfys si lanciò in avanti e io, spaventata, feci un salto indietro, evitando la lama.
Credevo scherzasse... invece faceva sul serio!
Menfys continuò ad attaccare, lasciando che parassi semplicemente tutti i suoi colpi.

Per fortuna Cadea mi aveva insegnato ad usare la spada. Ricordai tutte le sue lezioni.
Mentre cercavo di evitare la lama che cercava di colpirmi, notai che i movimenti dell’elfo erano molto più fluidi e veloci dei miei; se avesse voluto, mi avrebbe potuta sconfiggere con facilità. Stremata, mi fermai e osservai i muscoli del suo braccio che guizzavano mentre muoveva la spada, la quale lasciò cadere prima che si avvicinasse alla mia gola.
Mi sedei, esausta, guardando Menfys che non sembrava per niente stupito o perplesso.
« Se sapevi che i centauri mi hanno insegnato la loro arte » dissi inarcando un sopracciglio e porgendogli la sua spada « potevi evitare di farmi combattere ». 
« Volevo solo vedere quanto eri forte » ribatté Menfys calmo, facendomi irritare.
Presi in braccio il draghetto rosso, che mi guardò con i suoi intensi occhi arancioni, lo grattai sotto il collo e lui sbuffò fumo dal naso, compiaciuto.
« Non credere che abbiamo finito » disse Menfys, prendendo l’arco, poggiato sulla faretra dietro la schiena, e delle frecce « Voglio vedere come usi l’arco ».
Menfys incoccò l’arco e lasciò che la freccia s’incastrasse nel tronco di un albero. Osservai la saetta che sibilava ancora nel legno. Posai il drago a terra e mi avvicinai di malavoglia a Menfys, che mi mise in mano l’arco e una freccia.
« Avanti » m’incitò, indicando l’albero ai margini della foresta.
« Credi che non ne sia capace? » domandai ancora seccata, guardando la sua espressione divertita. 

« Non ho detto questo ».
Con un movimento irritato, incoccai la freccia nell’arco e tirai la coda, fino ad avvicinarla alle labbra, poi scoccai. La stoccata attraversò l'aria sibilando fino ad arrivare a spezzare in due quella dell’elfo. I centauri mi avevano insegnato anche questo. Soddisfatta guardai Menfys, che però non sembrava per niente impressionato.
« Bene » approvò, compiaciuto, andando a prendere la freccia che vibrava nel legno.
« Sapevi anche questo? ». 
Lui annuì, prese l’arco e lo rimise al suo posto insieme alle frecce. Fece tutto con estrema ma calcolata lentezza. Infine, si girò verso me, guardandomi intensamente. Ancora una volta provai disagio, per il suo sguardo così profondo.
« Forse » iniziò Menfys « Potresti farmi vedere un incantesimo ».
Nella mia mente si fece largo, tra i molti pensieri, l’unico e doloroso ricordo. Quello che era la causa di tutto. Quello che aveva distrutto la mia vita.
« Io… »  mormorai, con gli occhi velati « No, non posso ».
Alzai lo sguardo e vidi il volto perfetto di Menfys, che aveva assunto un’espressione indecifrabile. Ogard, che fino a quel momento, accoccolato per terra, aveva tenuto gli occhi chiusi, alzò la testa di scatto e il drago rosso sbuffò del fumo dalle narici. Sapevo che quella era una grossa bugia, ma avevo fatto una promessa, aveva giurato a me stessa, che non avrei mai più usato la magia, fin da quel maledetto giorno di undici anni fa, in cui usandola , per errore, uccisi un cucciolo di drago.
Fu quello che scatenò i draghi, anche se era già da molto tempo che tra gli Elfi e i Draghi c’era tensione. La frustrazione e la rabbia mi assalirono. Era solo colpa mia. Mi asciugai una lacrima solitaria, mentre Menfys distoglieva lo sguardo e si chinava silenzioso ad accendere il fuoco.




Dopo un pranzo frugale Menfys aveva deciso di concedermi un po' di riposo. Lui e Orgard si erano inoltrati nella foresta per raccogliere del cibo per il viaggio. Cercai il draghetto rosso con gli occhi e lo trovai su una roccia che guardava i due soli sorgere. Mi misi vicino a lui e lo osservai bene: aveva le squame di un rosso acceso, gli occhi di un intenso arancione e sopra di essi un ciuffo dorato. Sulla schiena aveva delle piccole punte sporgenti e la pancia era ricoperta di morbide squame di colore arancione spento mentre la membrana delle piccole ali era dorata come la luce dell’alba. Lo osservai incantata (ancora non mi sembrava vero che una creatura così meravigliosa e speciale si fosse legata a me!) quando, all’improvviso, il drago si girò verso di me, guardandomi intensamente negli occhi.
« Elien! » una voce irruppe nella mia mente, come succedeva ogni volta che Ogard mi parlava.
Mi guardai attorno: « Ogard? Sei tu? ».
Ma non c'era traccia del drago blu.
« Elien! »
Mi girai di scatto e capii che la voce veniva dal drago accanto a me. La sua chiamata sottile rimase vagante nella mia testa. Era una stranissima sensazione.

Provai a pensare anch’io: « Ehm... Drago? ».
« Io non sono un drago! » le parole uscirono tutte unite tra loro. Impiegai qualche secondo per capirle.
« No? » riflettei sulla frase « Ma certo! Tu non sei un lui. Sei una lei! ».
« Sì! » annuì la dragonessa, compiaciuta.
« Allora bisogna darti un nome femminile… » e cercai qualche nome nella mia mente « Pimu? Lalina? No? Mmh… Daelyshia? Ti Piace? » chiesi di getto.
La dragonessa annuì: « Daelyshia ».
Proprio in quel momento qualcosa oscurò il sole e sentii una voce allarmata: « Scappa Elien! Scappa! Quello è un drago! ». 
Tutto accadde così in fretta.
Menfys si dirigeva verso di me, mentre Ogard ringhiava per allontanare il drago. Non ne avevo mai visto uno così grande. Volevo restare a guardarlo, ma Menfys mi spinse via. L’enorme bestia viola sputò fuoco. Vidi la fiammata dirigersi verso di me e impaurita non riuscii a muovermi, però Daelyshia mi spostò buttandosi su di me e facendomi cadere da un lato.  Sentii un forte dolore al fianco sul quale ero caduta. Menfys mi prese per un braccio e, trascinandomi, si mise a correre verso la foresta con Ogard alle costole. Mi sentivo stordita e il fianco pulsava dolorosamente. Mi poggiai a terra ma Menfys mi mise lo stesso in piedi, anche se non ce la facevo più.

« Elien, devi correre! ». 
Il drago viola sputò un’altra fiammata dal cielo, allora Menfys e Ogard ripresero a correre velocemente, troppo velocemente per me. Inciampai su un ramoscello e caddi con la fronte su di un grosso sasso. Sentii la testa scoppiare dal dolore prima che il buio mi circondasse.





Angolo autrice:
Salve a tutti! Vado un po' a rilento con gli aggiornamenti, perdonatemi :(
Allora eccoci qui al terzo capitolo. Che ne pensate? Lo so, Elien è un po' sfortunata da quando ha lasciato i centauri... prima Menfys che sbaglia l'incantesimo di trasporto (non temete c'è un perché che verrà rivelato più avanti) e poi l'attacco del drago... ma non era la protagonista se non veniva un po' torturata dall'autrice :P
Ovviamente il legame speciale tra i due elfi e i due draghi è una citazione di una delle mie più adorate opere, Eragon. Ma non preoccupatevi, qui i Cavalieri dei Draghi non c'entrano niente. Mi piaceva l'idea che chi lottava contro la guerra tra gli Elfi e i Draghi erano proprio due di entrambe le specie accomunati da un profondo legame :)
Non mancate al prossimo aggiornamento, il viaggio attraverso la terra di Danases avrà inizio!
Chiara

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Capitolo 4
*** Il Grande Saggio ***


4. Il Grande Saggio




« Elien! ». 
« Non urlare! » borbottai aprendo prima un occhio e poi l’altro e trovandomi davanti l’immagine sfocata del volto di Menfys « Ho un terribile mal di testa ». 
« Per fortuna stai bene! Mi sono molto spaventato quando sei caduta e non ti sei più alzata » Menfys si rabbuiò al pensiero. 
« Dov’è il drago viola? » chiesi schiarendomi la voce.
Avevo ancora la vista annebbiata e mi portai le mani alla testa che pulsava terribilmente. Per fortuna non c’era nemmeno un taglio.

« È andato via ». 
« Dove sono Daelyshia e Ogard? » domandai preoccupata, non vedendoli « Come mai sulla mia testa non c’è nemmeno un taglietto? ».
Menfys mi guardò, senza vedermi, concentrato sui suoi pensieri: « Non ti preoccupare, sono qui intorno a cercare qualcosa da mangiare ».
Non rispose alla seconda domanda.
Sapevo che non voleva ammettere di avere usato la magia su di me.

« Dove siamo? E perché è cosi buio? ».
« Siamo dentro la foresta di Elwyn, non so come faremo a uscire da qui, ci siamo inoltrati troppo per scappare dal drago, comunque dopo mangiato ci metteremo in cammino ».
Mi guardai intorno, ribattendo: «Sono molti anni che vivo in questa foresta, conosco i suoi luoghi più profondi, riusciremo a uscire ». 
« Buongiorno! »
Erano Daelyshia e Ogard, che avevano in bocca un giovane cervo. I due draghi si accoccolarono a terra e iniziarono a mangiare indisturbati. Li osservai per un po’ mentre masticavano rumorosamente quel povero animale, stupendomi della forza delle loro zanne affilate.

« Spero lo sia davvero! » disse Menfys, ancora di umore cupo, mormorando fra sé.


Dopo che i due draghi ebbero finito di mangiare ci mettemmo in viaggio verso ovest, perché, se da quella parte eravamo entrati, ne saremmo anche usciti.
Dopo qualche ora di cammino arrivammo a un fiume.
«Questo fiume deve essere il Feralas, che poi esce dalla foresta, la costeggia e va a finire nell’Iris» ipotizzò Menfys, guardandomi interrogativo.
Rimasi un po’ in silenzio a pensare. Dovevo ammettere che non ero mai stata da questa parte della foresta, ma non ne ebbi il coraggio. Menfys, chissà per quale motivo, era ancora di pessimo umore. Se gli avessi rivelato che forse ci eravamo persi, non avrebbe esitato a strozzarmi.
Guardai il margine del fiume e notai che c’era un albero, pieno di frutti arancioni. Il mio stomaco brontolò: avevo fame.
Mi avvicinai per raccoglierne uno.
« No! Elien non ti avvicinare! » sentii esclamare, però era già tardi. Ormai mi ero troppo vicina.
Menfys corse verso di me e mi spinse via. L’albero fu scosso da un vento inesistente e lo afferrò con uno dei suoi rami, poi all’improvviso spalancò un’enorme bocca dentata, apparsa misteriosamente sul suo tronco. Daelyshia si avvicino per aiutare Menfys ma fu presa anche lei. Ogard guardava impotente la scena: non poteva fare niente, altrimenti avrebbe potuto colpire i suoi due amici.
Che stupida che ero! Non avevo riconosciuto che quello era un Hopital, uno albero posseduto da uno spiritello malvagio. Eppure Cadea mi aveva istruito bene sui pericoli della foresta! Che fare?
Mi guardai intorno disperata, tendando di farmi venire un'idea su come aiutare i miei amici che tardava ad arrivare.
D’un tratto, sentii una strana sensazione per tutto il corpo, un brivido di pura energia lungo la schiena. Allora, automaticamente, come se ci fosse qualcuno che me lo indicasse, alzai le mani al vento e urlai con tutte le mie forze qualcosa di cui neanche io sapevo il significato. Dalle mie mani si sprigiono una luce argentata, che andò a colpire l’albero e lo circondò facendolo sparire e lasciando cadere a terra Menfys e Daelyshia. Mi guardai le mani, stupita.

Che cosa avevo fatto?
Non riuscivo a pensare.

Mi sedetti a terra, stremata, e senza energie mi abbandonai a un sonno agitato, senza sogni.


Confusa, mi ritrovai a guardare il cielo azzurro.
Sentivo il vento sul viso.
A quanto pare, finalmente, mi trovavo fuori della foresta!
Sentii una voce familiare mormorare e poi dei passi che si allontanavano.

Allora realizzai: Oh no, ero di nuovo svenuta!

Mi alzai a sedere di scatto.

Quel periodo sembrava non riuscissi a fare altro, per tutte le lune di Danases!
Menfys era vicino a me, solo.

I passi che prima avevo sentito erano di Daelyshia e Ogard. 
« Menfys, che cos’ho fatto? » chiesi, ricordandomi all’improvviso che cosa era successo. Mi massaggiai le tempie, cercando di rimettere in ordine i pensieri nella mia mente: « Mi sono sentita senza aria, come se stessi per… per… » non continuai la frase e trattenni il respiro; avevo finalmente capito: « Ho usato la magia » sussurrai, coprendomi la bocca con le mani.
« Non avere paura, guarda… ».
Menfys si chinò e prese la legna; mormorò qualcosa e dalla sua mano scaturì una scintilla, che andò nella legna e un bel caloroso fuoco si accese.

« Non avrei dovuto usare la magia! » esclamai orripilata « Io… ». 
« Adesso non ci pensare » m’interruppe Menfys, inchiodandomi con il suo scuro sguardo.
La mia mente si svuotò da ogni pensiero. Mi stava forse incantando per tranquillizzarmi? 

« Tieni » disse, mettendomi tra le mani una grossa radice rossa.
Imbambolata ancora dal suo sguardo, iniziai a mangiare.
Menfys attese con pazienza finché non finii,  poi distolse lo sguardo e annunciò:  « Riposati. Tra circa due giorni arriveremo a Tedrasys, in città. Appena ti sveglierai riprenderemo a camminare ».


Il giorno successivo ci mettemmo in viaggio, abbandonando il fiume Feralas, che curvava dolcemente verso destra per poi finire nel lago Iris, e proseguimmo dritti verso sud per raggiungere velocemente Tedrasys.
Passarono ancora due giorni prima di arrivare in vista della città, che appariva come un puntino in mezzo alla pianura.
Notai lo sguardo di Menfys farsi sempre più ansioso.
« Dovrete nascondervi » Menfys avvertì i due draghi, quando la città si fece vicina « Non dovrete farvi vedere da nessuno ».
« Cosa!? » esclamai sorpresa « Non verranno con noi? ». 
« In una città piena di elfi? » la voce di Menfys era velata da sarcasmo.
Sapevo cosa intendeva Menfys. I rapporti tra le due razze non erano idilliaci, gli elfi non avrebbero accolto a braccia aperta i nostri due draghi. Eppure ero così preoccupata di staccarmi da Daelyshia

« Cosa mangeremo? » chiese la mia dragonessa.
In tre giorni era cresciuta tantissimo. Adesso mi arrivava al ginocchio, e aveva sempre molta fame.  A volte credevo sarebbe riuscita a mangiare me e Menfys in un boccone. Ogard diceva che era un periodo, quando la sua crescita si sarebbe fermata si sarebbe stabilizzata anche la sua fame.

« Quello che riuscirete a trovate. Ma non cacciate qui vicino, gli elfi potrebbe insospettirsi. Adesso… vedete quella collinetta lontano dalla strada? ». 
I due draghi annuirono.
« Nascondetevi lì. Noi prenderemo la strada principale ed entreremo in città » continuò Menfys e ripeté, ammonendoli: « Non cacciate qui vicino ».
« Quanto starete via? » chiese Ogard, preoccupato.
« Massimo tre giorni ».
« Stai attenta » dissi ansiosa a Daelyshia.
« Anche tu fai attenzione » replicò la dragonessa, leccandomi il volto mentre l'abbracciavo.
Daelyshia e Ogard si girarono, cominciarono ad avviarsi verso la collinetta e dopo un po’ scomparvero alla vista. Sentii il legame tra la mia mente e quella di Daelyshia farsi sempre più debole, fino a scomparire. Menfys estrasse dalla sacca due mantelli, uno marrone e uno nero, che mi porse bruscamente.
« Indossalo e tieni giù il cappuccio. Seguimi! » detto questo, indossò il mantello e tirò giù il cappuccio, io lo imitai.
Sulla strada principale c’era molta gente che andava e veniva dalla città, fummo rallentati dai carri degli elfi mercanti che trasportavano merce da vendere. Stupita, osservai gli elfi che si trovavano per la strada. Erano tutti di alta statura e aggraziati come dei cervi. Mi sentii goffa e diversa in mezzo a quelle voci musicali.
Un’estranea.

Eppure nessun elfo era bello quanto Menfys che, in confronto a loro, aveva i lineamenti perfetti, anche se il volto meno affusolato, gli occhi allungati, capaci di incantarti, pure il suo passo aveva qualcosa di diverso da quello lento e cadenzato degli altri elfi. Già l'avevo notato al nostro primo incontro ma più lo osservavo e più mi rendevo conto di come la troppa vicinanza con un drago lo avesse cambiato.
Guardandomi intorno, notai che c’erano elfi dal colorito della pelle diverso. Alcuni avevano la pelle azzurra e altri marrone come la corteccia di un albero: Elfi dell’Acqua e della Terra.

Poi, finalmente, entrammo in città.
Era grandissima e fortificata, a causa della guerra con i draghi, c’erano elfi armati di spade e archi che pattugliavano sul davanti le grandi mura. Sulla parte più alta c’era uno splendente castello. Era così alto in confronto di tutte le case degli elfi che erano di un solo piano con delle porte di legno e luminose finestre. Tra alcune abitazioni c’erano delle piccole botteghe, dove lavoravano gli elfi che non facevano parte delle guardie delle fortificazioni. Nella parte orientale della città c’era anche un grande mercato, udii le voci e annusai i forti odori della merce commestibile che vendevano. Mi venne l'acquolina in bocca.

Menfys mi guidò per la via principale ma, subito dopo, girò per una stradina laterale. A un tratto  si fermò di colpo ed io, senza rendermene conto, perché presa dalla confusione della città, andai a sbattergli addosso.
« Attenta! » mi sgridò con un gemito di dolore.
« Scusa » borbottai. 
Camminammo per alcuni passi, poi ci fermammo davanti a una porticina. Menfys bussò tre volte, si fermò, poi ribussò tre volte e la porta si aprì. Sulla soglia comparve un elfo con la pelle marrone scuro e gli occhi d’argento, indossava solo una tunica color porpora che gli arrivava alle caviglie, con ricamato il simbolo di un’aquila. L’Elfo della Terra fece un rapido cenno di capo.
« Veniamo da lontano e dobbiamo parlare con Dun Morongh, il Grande Saggio, ditegli… ». 
L’Elfo della Terra alzò una mano per farlo tacere: « Il Grande Saggio non è al castello ». 
« Non è al castello? » gli fece eco Menfys, confuso.
« Sì! » l’elfo parve irritato dalla ripetizione « Ritornerà tra qualche giorno ».
La porta si chiuse con un tonfo secco.
« Oh, che maleducato! » esclamai irritata, alla porta chiusa del castello.
« Non importa. Vieni con me ».
Menfys mi prese per un braccio, per impedirmi di tirare un calcio alla porta, e iniziò a trascinarmi. Sentire la sua stretta, sicura e decisa, mi fece pizzicare il braccio. Mi liberai dalla sua mano.
Andiamo Elieeen!

« Dove andiamo? ». 
« Dovremmo pur alloggiare in qualche posto, no? » rispose Menfys, lanciandomi un’occhiata ironica.
Mi condusse per le vie della città, nuovamente attraverso i mercati e la confusione. Alla fine ci fermammo davanti a una piccola casetta di mattoni grigi, che si trovava alla fine di una piccola strada silenziosa. Menfys bussò più e più volte.
« Arrivo arrivo » rispose una vocetta da dietro la porta « Quanta fretta! ».
La porta si aprì e comparve un’elfa con i lunghi capelli bianchi e gli occhi verdi, dello stesso identico taglio di quelli di Menfys. Era un po’ incurvata dall’età, ma il suo volto non aveva nemmeno un segno che tradisse i suoi anni. Il suo sguardo attento saettò sotto i nostri cappucci. All’improvviso si gettò su Menfys: « Menfys! Sei tornato! Ma dove sei stato? Chi è lei? ».  
Menfys si districò ridendo dall’abbraccio dell’elfa, che si risistemò i tanti scialli che aveva sulle spalle.
« Ah, questi giovani d'oggi scapestrati! » borbottò l’elfa « Ma dove sono finite le mie buone maniere… avanti, avanti, entrate! ». 
La casa era calda e accogliente, anche se aveva solo tre stanze: il bagno, dove c’era una vasca di legno, piena d’acqua calda; la stanza per dormire, dove c’erano due letti, fatti di uno strano legno verde; e infine il salone, dove era acceso un piccolo fuoco con dei rametti secchi. Un buon profumo di lavanda era sparso in tutta la casa. Menfys, continuando a ridacchiare, si sfilò il mantello di dosso ed io lo imitai.
« Elien » ci presentò Menfys con un sorriso « Questa è mia nonna Unia, nonna questa è Elien ». 
« Nonna? » chiesi stupita.
Menfys annuì.

« Gialien, che nome singolare » borbottò la vecchietta. 
« No, mi chiamo Elien » ripetei, alzando la voce e trattenendo un risolino. 
Menfys mi ammiccò con i suoi splendidi occhi verdi, che mi faceva confusione vedere replicati sul volto di Unia. 
« Non farci caso, è un po’ sorda » mi mormorò sorridendo ancora, poi alzò la voce: « Nonna, noi vorremo farci un bagno ». 
« Prego cari, fate pure! » rispose Unia, avvicinandosi al fuocherello « Io intanto preparerò qualcosa da mangiare. Siete così patiti! » e ci lanciò un’occhiata contrariata.
« Ti dispiace se mi lavo prima io? » chiesi a Menfys.
Finalmente un bel bagno!
Non vedevo l’ora di lavarmi, dopo tutto il cammino che avevamo fatto.
Menfys annuì.

« Quel legno non si romperà? » dissi indicando la vasca di legno nell’altra stanza. 
« No, è magico! » ribatté Menfys, senza nemmeno guardare « Ti porterò dei nuovi vestiti, i tuoi sono rovinati ». 
Entrai nella stanza e chiusi la porta, mi spogliai ed entrai velocemente nella vasca, allora l’aria si riempì di caldo vapore e chiusi gli occhi, rilassandomi.
Erano successe tante cose da quando avevo lasciato i centauri. Sentii nostalgia di Cadea. Poi i miei pensieri si soffermarono su Menfys. Perché stava facendo tutto questo per me? No, non per me, ma per il Popolo degli Elfi che aveva bisogno di me… Aprii gli occhi e sospirai, afflitta.
Non ero in grado di farlo.
Io... volevo solo riscattarmi per quello che avevo commesso.
Ma la magia che avevo dentro di me era potente e incontrollabile.
Rabbrividii.
Decisi che non avrei più permesso che sfuggisse al mio controllo, ancora una volta.

« Ecco i vestiti! » disse Menfys dall’altra stanza.
Gli abiti comparirono all’improvviso, al posto dei miei indumenti logori e consumati. Controvoglia, uscii dalla vasca, mi asciugai con un panno, presi i miei nuovi capi e li indossai: erano una maglietta beige a maniche lunghe che terminavano molto larghe, dei pantaloni stretti e infine degli stivali marroni che arrivavano sotto il ginocchio, fasciandomi il polpaccio. Saggiai il tessuto degli stivali. Entrai nella stanza e Menfys mi guardò.
Feci un giro su me stessa e sorrisi:
« Grazie dei vestiti. Sono molto comodi ».
« Non mi devi ringraziare… comunque non c’è di che » anche lui sorrise.
« La cena » annunciò Unia, porgendoci un piatto di frutta e carne, dal sapore squisito.


La mattina, dopo aver fatto la colazione, che aveva preparato Unia, mi avvicinai a Menfys, sicura.
Ormai avevo deciso.
« Insegnami la magia ». 

Menfys, allarmato, guardò Unia, che apparentemente sembrava non aver sentito e continuava a lavare i suoi scialli nella vasca del bagno.
L’elfo si protese verso di me: « Perché? » sussurrò cercando di non farsi sentire dall’anziana elfa.
« Perché non sfugga più al mio controllo » risposi.
« D’accordo » assentì Menfys senza esitare « Lo farò solo se mi ascolterai e non farai sciocchezze. Prometti? ».
« Prometto » dissi portando una mano al petto, poi chiesi: « Per le sciocchezze, intendi come quello che è successo nella foresta? ». 
« No. Tu hai molta magia dentro di te e senza volerlo l’hai evocata; per sciocchezze intendo dire che non ne devi abusare… ma adesso ascoltami… » Menfys s’interruppe, per pensare a come iniziare, dopo un po’ riprese: « La magia scorre nel corpo degli elfi, nel nostro sangue, però, poiché sei mezza umana, per te, evocarla sarà più difficile e al principio anche faticoso. Quindi comincerò a insegnarti alcune magie insignificanti e piccoli incantesimi di guarigione». Detto ciò mi guardò, poi continuò: « Per evocare la magia devi concentranti. Devi pensare intensamente alla cosa che vuoi fare, ad esempio se vuoi evocare il fuoco devi pensare intensamente al fuoco. A quel punto devi pronunciare l’incantesimo… » si fermò, titubante « Capito? ».
« Sì ». 
« Ricordarti che con la magia non puoi né cambiare o fermare il tempo, né riportare in vita persone che non ci sono più… la pena sarebbe diventare come loro ». 
Rabbrividii, capendo quello che voleva dire Menfys.
« Adesso prova a far alzare questo stivale » si sfilò la scarpa e me la mise tra le mani.
Lo guardai confusa. 

« Prova! L’incantesimo è: Levit Corpo ». 
« Levit Corpo » ripetei piano.
« Esatto ».
Guardai intensamente lo stivale che tenevo tra le mani e ripetei l’incantesimo. Lo stivale non si mosse. Avevo gli occhi pieni di lacrime, a forza di guardarlo intensamente. Sentii Menfys che tratteneva il respiro.
Stava forse ridendo di me?
Sospirai e tornai con i pensieri sullo stivale, all’improvviso nella mente sentii qualcosa d’intenso. Era come un sottile pensiero, ma non il mio: era la magia. Mi concentrai con più forza: « Levit Corpo! ». 

Lo stivale tremò e si sollevò di pochi centimetri dalla mia mano. Sentii mancare le forze.
Menfys mi trattenne, guardandomi ansioso: « Stai bene? ». 
« Sì » sussurrai, ansimando « Sto bene ». 
« Sei stata brava » un sorriso comparì sul volto di Menfys, mentre si rinfilava lo stivale.
« Non capisco… » feci un grande sospiro per ritrovare l’aria che sentivo mancare « Come mai sono rimasta senza forze per usare così poco potere? » chiesi, respirando rumorosamente.  Menfys mi trattenne di nuovo, mentre rischiavo di cadere in avanti.
« È per quello che ti ho spiegato prima. La tua parte umana rende tutto più difficile, ma imparerai presto ». 
« Eppure nella foresta non ho sentito niente. È venuto… spontaneo ». 
« Come tu hai detto, nella foresta è venuto spontaneo. La magia è esplosa da sola e non sei riuscita a controllarla. A volte succede negli elfi bambini quando scoprono il loro potere » sorrise incoraggiante « Non preoccuparti, quando sarai abbastanza forte non sentirai più la fatica e potrai fare anche gli incantesimi più difficili, senza stancarti ».
Sperai che quel momento arrivasse al più presto.
Quando le forze tornarono, mi liberai dalla presa di Menfys: « Grazie ». 
« Cosa… ». 
Non seppi che cosa Menfys volesse dirmi, perché Unia comparì nella stanza, e lui s’interruppe guardando la nonna con sguardo innocente.
Unia reclinò la testa:
« Non so di che cosa state borbottando, ma questo non mi piace ». 
« Non ti preoccupare nonna. Va tutto bene » Menfys continuava ad avere quello sguardo innocente.
Unia annuì, e poi si rivolse a me: « Da dove vieni, cara? ».
Guardai Menfys, incerta sulla domanda; però mi restituì uno sguardo confuso.

« Sono di Danases, Unia. Perché? ». 
« Perché è strano che tu sia un mezzo elfo. Sono anni che non si vedono umani, e l’ultimo che ha messo piede a Danases è stato il re Elvisier, circa sedici anni fa, per firmare il trattato… ».  
Guardai di nuovo Menfys, in cerca di aiuto.
Lui intuì il mio sguardo e mentì prontamente, senza esitazione, tanto che credei anch’io a quello che stava dicendo:
« La sua bisnonna era umana, e lei ha ereditato il colore della sua pelle ». 
Unia aggrottò gli obliqui sopraccigli, ma non disse niente.
« Quale trattato? » domandai gentilmente a Unia, ricordandomi delle sue parole.
« No grazie, cara » replicò Unia « Ho già fatto il bucato » e agitò la cesta che aveva sottobraccio.
« Quale trattato firmò mio pa… il Re!? » esclamai, paziente, alzando la voce.
Unia fece segno di aver capito: « La mia memoria fa un po’ cilecca. Credo, però, che sia stato il trattato per l’esilio dei draghi… ». 
« Cosa? » domandai stupita.
Sapevo che i Draghi avevano causato non pochi problemi agli Elfi, tuttavia Danases era anche la loro terra. Menfys si strinse le spalle, al mio sguardo indagatore. 

« E dove sarebbero andati i draghi? » continuai a chiedere. 
« Non lo so, mia cara... sicuramente lontano da qui, lontano da Danases… » Unia s’interruppe, osservandomi « Mia cara! Sei completamene bianca. Siediti sulla sedia, mentre io vado fuori » disse tranquilla, e uscì dalla casa per stendere al sole il bucato appena fatto.
« Non è possibile… » commentai, sedendomi su una sedia di legno « Non è possibile! ». 
« Elien… » esordì Menfys, che sembrava perplesso delle parole di sua nonna « Forse non aveva scelta… ». 
« No, Menfys. Non è possibile che mio padre abbia cercato di esiliare i draghi. Non possono vivere in altri posti, se non a Danases… ». 
« Hai ragione »  assentì lui « Forse mia nonna si è confusa. Nella biblioteca del Palazzo non ho mai visto questo trattato ».
Sollevata, balzai in piedi, rovesciando la sedia su cui ero seduta. Corsi alla porta e l’aprii. Notai, però, che Menfys non si era mosso. 

« Andiamo! » lo esortai.
« Dove? » fece, guardandomi incerto.
« Andiamo Menfys! Andiamo alla biblioteca! ». 
Menfys trasalì, corse alla porta e la chiuse di scatto. 
« Anche se io ci sono stato, Elien, solo il Grande Saggio ci può entrare. Alcuni non sanno nemmeno che esiste » aggiunse dopo poco, mormorando.
« Ma io lo devo sapere… capisci, Menfys? ».
Guardai il suo splendido volto mestamente, cercando di convincerlo. Menfys cercò di distogliere lo sguardo, ma io lo inchiodai con il mio, come avevo fatto lui quando aveva cercato di ingannarmi. Con una soddisfatta gioia, notai che stava combattendo una penosa lotta interiore. Esattamente non so cosa stavo facendo, se incantandolo o solo semplicemente fargli gli occhi dolci... ma qualunque cosa fosse, funzionò.
« Oh… e va bene! » sbottò infine, furioso con se stesso. Poi abbassò la voce: « Questa sera ». 

« Grazie, Menfys » lo ringraziai, sincera.
Dovevo assolutamente sapere di quel trattato.

« Il Grande Saggio mi ucciderà… Oh, se mi ucciderà » borbottò Menfys tra sé, pentito.

 

Il pomeriggio passava lentamente mentre aspettavamo la sera.
Saremmo entrati nel palazzo a notte fonda.
Scese l’oscurità e, finalmente, un ululato di un lupo lontano annunciò la mezzanotte. Uscimmo da casa attenti a non svegliare Unia e ci avviammo per le strade deserte della città. Entrammo nel castello attraverso la porta posteriore, che era stranamente incustodita.
Alla faccia della sicurezza!
Menfys la spalancò con un incantesimo e mi guidò attraverso un intricato percorso di corridoi oscuri, finché non si fermò e aprì una porta. Sentii una zaffata di polvere sul volto: eravamo nella biblioteca. Menfys accese con la magia una fiaccola che stava attaccata alla parete. 

« Di qua » indicò un sudicio scaffale alla nostra destra.
Notai che era pieno di pergamene polverose, che sembravano così antiche da sbriciolarsi, da un momento all’altro.
« Cerca qui. Mi raccomando, fai attenzione » mi ammonì Menfys.
Silenziosa, iniziai a cercare, alla flebile luce della fiaccola, aprendo alcune pergamene. Spaventata osservai tutti quei segni. Era da tanto che non leggevo qualcosa e non ricordavo tutte le lezioni di Cadea.
« Menfys, che cosa significa questo segno? ». 
Menfys, confuso, alzò lo sguardo su di me, sbirciò la pergamena che avevo in mano e poi rispose: « È una T ». 
Leggendo lentamente, decifrando il significato dei segni, mi balzarono agli occhi parole come: re, regina, pace, alleanza, draghi, Elien…
Contemplai stupita la pergamena. Cosa ci faceva il mio nome lì? Guardai Menfys che si affaccendava con un foglio sporco e nero; poi abbassai di nuovo lo sguardo su quello che avevo in mano e iniziai a leggere. 

Io, Raene Shamira Rugiada, regina di Danases, detto qui di seguito le mie ultime volontà, sperando che saranno rispettate quando il mio corpo diventerà spirito.
A mia figlia, Elien Raene Rugiada, com’è giusto che sia, lascio in eredità il regno di Danases, che confido, regnerà con lealtà, amore e lungimiranza.
Al Grande Saggio Dun Morongh, mio leale amico, dono tutti i miei libri sulle scienze naturali e la magia; gli lascio anche, in custodia, Castello Argento in modo che lo conservi fino a quando mia figlia non diventi regina.
Al Grande Saggio della Terra lascio il mio baule dei Regni Lontani e tutto il suo contenuto; al Grande Saggio dell’Acqua lascio i miei fogli con le mie ricerche e il mio magico barometro, so che ne farà buon uso. Infine, come mio ultimo desiderio, vorrei che Menfylius Wiliam Stoker Dalinus…

Una parte della pergamena era rovinata, e alla fine riuscivo a leggere solo la firma di mia madre e di mio padre.
Il foglio portava la data di sedici anni fa.
Allora era quello.

Era il trattato che mio padre doveva firmare, e non l’esilio dei draghi.
Sospirai, sollevata.

« Menfylius Wiliam Stoker Dalinus » sussurrai.
Il nome mi ricordava qualcuno, ma non riuscivo a capire chi fosse.

Si senti un sordo tonfo.
« Come? » esclamò Menfys. Aveva fatto cadere alcune pergamene e con un grugnito le rimise al loro posto. Poi su voltò verso di me, guardandomi confuso e… imbarazzato, mi domandò: « Come fai a saperlo? ». 
Gli restituii uno sguardo confuso più del suo: « Cosa? ».
« Il mio vero nome. Come fai a saperlo? ».
Lo guardai stupita. Che cosa ci faceva Menfys nel testamento di mia madre? Gli feci vedere la pergamena. 
« Conoscevi mia madre? » gli domandai, dopo che la lesse. 
Menfys non rispose, continuò a contemplare la pergamena, in un silenzio quasi solenne.
Menfylius Wiliam Stoker Dalinus.
Mi misi una mano davanti alla bocca per resistere alla tentazione. Menfys mi lanciò un’occhiata sospettosa, però non ce la feci più. Scoppiai a ridere così forte da sbattere i pugni per terra. L’eco delle mie risate echeggiava per tutta la biblioteca. 
« Non è colpa mia se ho un nome così » sbottò Menfys sulla difensiva, mentre ululavo dalle risate tenendomi la pancia dolorante. Mi guardò risentito: « Basta! adesso andiamo via, abbiamo trovato quello che stavi cercando».
Senza smettere di ridacchiare, aiutai Menfys a mettere a posto tutti i documenti che avevamo preso dallo scaffale. Quando l’elfo uscì, io esitai, poi decisi di lasciare lì, nella biblioteca, il testamento di mia madre.


Il terzo giorno che ci trovavamo a Tedrasys, Menfys si preoccupò che il Grande Saggio non ci avesse ancora ricevuti.
« Deve essere tornato » disse all’improvviso, mentre mangiava con piacere la colazione di pane con la marmellata di prugne, fatta dalla nonna, e latte.
Capii a chi si riferiva. 

« Vado a trovarlo » asserì.
« Fe no ti ascolfa? » domandai, preoccupata, con la bocca piena di pane. 
« Mi ascolterà. Adesso vado. Tu aspetta qui ».
Il boccone mi andò di traverso quando udii le sue parole e tossii.
Deglutii, agitata: « Io vengo con te! ». 

« No ».
« Sì! » esclamai. Non volevo restare da sola. E poi, il Grande Saggio voleva vedere me, no? « Vengo anch’io ».
« No »
« Sì! »
« Va bene! » accettò, esasperato « Verrai con me ».
Menfys guardò Unia, che ci occhieggiava dall’altra camera.
« Nonna, noi andiamo dal Grande Saggio, non so se ci rivedremo ». 
Unia si avvicinò e strinse Menfys in un abbraccio, dicendo: « Mi raccomando: state attenti » e poi abbracciò anche me, chiedendomi di tenere d’occhio suo nipote.
Ridacchiai e Menfys alzò gli occhi al cielo.

Proprio quando stavamo per uscire dall’alloggio, venne verso di noi un Elfo della Terra. Lo stesso che, quando eravamo appena arrivati, ci aveva detto che il Grande Saggio non era in città.
« Il Grande Saggio vi sta aspettando nella stanza argentata ».
Ci fece cenno di seguirlo, poi iniziò a camminare.
Io e Menfys lo seguimmo per la città, fino al castello.
Questa volta, al contrario della prima, continuammo a camminare lungo la strada più grande, senza svoltare in piccole vie, ed entrammo dalla porta principale che l’elfo aprì con un semplice battito di mani.
Un’esclamazione meravigliata uscì dalle mie labbra, quando ci ritrovammo all’interno, facendo sorridere Menfys. Mi guardai intorno accecata, tutto il palazzo risplendeva di luce propria. Le lampade argentate appese ad ogni porta, insieme alle enormi e luminose finestre, rischiaravano i larghi corridoi dove numerosi elfi correvano da una stanza all’altra.
Nessuno ci rivolse uno sguardo, perché erano tutti presi dalle loro faccende. Meglio così.

Il palazzo si ergeva su tre piani, collegati fra loro tramite una grande scala argentata che s’innalzava a spirale; sui suoi alti scalini risuonavano i nostri passi, mentre la salivamo. Finalmente, dopo aver passato un’infinità di stanze, dalle porte chiuse, ci fermammo davanti a una del terzo piano dai contorni argentati.
Quella era la stanza del Grande Saggio.
L’Elfo della Terra se ne andò, silenzioso, lasciandoci soli, e io sentii crescere l’agitazione davanti all’ingresso chiuso. All’improvviso la porta si aprì lentamente, e da sola, verso l’interno. Menfys, dopo avermi lanciato un’occhiata di sottecchi, mi fece segno ed entrammo nella stanza. Sul muro alla nostra destra c’era una grandissima libreria, con molti volumi dai titoli dorati. Invece sulle altre pareti c’era un’enorme finestra da cui, affacciandosi, si riusciva a vedere una parte della città di Tedrasys. Infine al centro della stanza era posizionato un tavolo e seduto su una sedia di legno, dando le spalle alla bellissima veduta della città, c’era un elfo.

Il Grande Saggio aveva una lunga barba, che ricadeva sul tavolo come sottile pioggia, era argentata come i lunghi capelli che teneva legati in una coda. Indossava una lunga tunica scarlatta dai ricami dorati, che rendeva ancor più esile la sua magra e bassa figura. Gli occhi castani, profondi e sapienti, circondati da una ragnatela di rughe, s’illuminarono insieme al suo volto quando si posarono su di me. Tutto il suo aspetto mostrava una grande saggezza ed esperienza. Mi chiesi come all’inizio avessi fatto a dubitare di lui, poiché continuava a guardarmi con un’espressione dolce, come se avesse rincontrato una figlia che non vedeva da tempo.
« Benvenuti Menfys ed Elien » disse, sorridendo e mostrando dei piccoli denti splendenti « Io sono Dun Morongh, chiamato semplicemente il Grande Saggio » disse rivolgendosi a me. 
Menfys chinò il capo, invece io mi fermai incerta, reclinando un po’ la testa a mo’ di saluto.
« Ho saputo che avete avuto… uhm… dei contrattempi per arrivare qua » proferì il Grande Saggio, unendo i polpastrelli e lanciandomi un’occhiata al di sopra delle sue mani. Si stava riferendo ai draghi. Guardai l’anziano elfo, e mormorai piano, per non disturbare lo strano silenzio che aleggiava tra noi: « Credo che lei sappia il perché ». 
Il Grande Saggio annuì e cominciò a raccontare: «Tua madre Raene aveva rubato l’uovo ai draghi… no, lasciami continuare Elien… » aggiunse, notando che volevo dire qualcosa. Chiusi la bocca di scatto e lui continuò: « Rubando l’uovo, Raene sapeva che forse si poteva schiudere e legare a sua figlia, così che quando fosse tornata a Danases avesse dalla sua parte un drago che la potesse aiutare ». 
« Come faceva mia madre a sapere che l’uovo si fosse schiuso per me? ».
« Non lo sapeva, lo sperava » ammise Dun Morongh « E di solito le sue supposizioni erano sempre vere » sospirò, osservandomi « Vedere te è come se lei fosse ancora viva: le assomigli moltissimo ».
Il silenzio riscese tra noi.
« Che cosa vuole da me? » chiesi infine.
« Lascia che ti narri una storia, Elien » disse il Grande Saggio, poi iniziò: « Molti secoli e secoli fa, Danases non era come adesso è conosciuto, ma era un mondo enorme, senza confini. Un solo sovrano non poteva occuparsi di un territorio così grande, perciò il mondo venne diviso in due: Danases, il regno degli Elfi, ed Astrakan, il regno degli Umani. Tuo padre era il re di Astrakan e tua madre era la regina di Danases. Il loro fu un matrimonio di convenienza, anche se pieno di amore. Dopo che si sposarono, per anni, regnò la pace, fino a quando, a Danases, successe un terribile errore. Un elfo, per sbaglio, uccise un cucciolo di drago…». 
A quelle parole, sentii il cuore fermarsi.
No, no, no…

« Quell’elfo ero io! » esclamai, accucciandomi a terra e prendendomi la testa fra le mani, continuando a urlare « Sono stata io! Io ho ucciso quel cucciolo di drago! » chiusi gli occhi, sentendo le lacrime rigarmi il viso « Lui era lì, davanti a me, e all’improvviso la magia è uscita fuori senza controllo, e un momento dopo, il drago non c’era più… ». 
Anche se erano passati undici anni, rividi la scena davanti ai miei occhi. Udii il gemito del piccolo drago, come se fosse ancora davanti a me e mi sentii un mostro.
La mia voce s’incrinò e si affievolì. Cercai di riprendere il controllo.
« Sono stata io! » ammetterlo, così esplicitamente, a qualcuno mi fece sentire meglio. Lanciai un’occhiata a Menfys, appena in tempo per vederlo guardarmi stupito e poi nascondere le sue emozioni dietro uno sguardo indecifrabile. Alzai gli occhi e guardai il Grande Saggio con sfida. 
« Sono un mostro e voi volete che trovi una soluzione alla guerra che ho causato io stessa? ». 
« Da quel giorno in poi » finì Dun Morongh, pacato, come se io non lo avessi mai interrotto « I draghi hanno dichiarato guerra agli Elfi; invece Astrakan era in subbuglio, mentre s’instaurava un nuovo governo dopo la morte di tuo padre ».
« Non è esatto » lo corressi mentre nuove lacrime iniziavano a uscire.
L’anziano elfo sospirò nuovamente, poi affermò: « Già, tuo padre fu ucciso da Klopius, un umano avido di potere, che voleva impossessarsi del suo regno ».

Menfys mi porse una mano per aiutare ad alzarmi. Lo spinsi via. Il Grande Saggio mi guardò mentre mi alzavo lentamente da terra, asciugandomi il volto con una mano tremante.
« Elien tu non sei un mostro. Ti trovavi semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato ».
Soffocai la mia frustrazione: « Bella consolazione! ». 
« Il destino è stato infausto con te, ma un modo c’è per rimediare ».
« Che cosa possiamo fare, Grande Saggio? » domandò Menfys.
Lo guardai stupita. Possiamo? Perché parlava al plurale?  
« Domanda adeguata, mio caro Menfys! » ribatté il Grande Saggio « Per diventare regina del mondo di Danases, bisogna possedere la Corona Argentata con le tre Pietre Elemento » si alzò dalla sedia e si avvicino alla grande libreria, da dove, con un agile movimento, tirò fuori una grande pergamena arrotolata, la poggiò sul tavolo e l’aprì.
« Questa è la mappa di Danases » asserì Dun Morongh e fece un vago gesto verso la mappa « Le Pietre Elemento sono in diversi luoghi di Danases » mi sorrise « Le pietre elemento controllano tutti gli elfi… Gli elfi della Terra, gli elfi dell’Acqua e gli Elfi dell’Aria… Sono gli Elementi allo stato puro ».
« Non capisco » dissi con voce tremula.
« Devi sapere che tantissimi secoli e secoli addietro gli elfi della Terra, dell’Aria e dell’Acqua erano un solo popolo, tutti e tre gli elementi in mano ad un popolo. Il potere era troppo in mano agli elfi e li avrebbe consumati tutti, così si decise di dividere il potere. Gli elfi plasmarono le tre Pietre Elemento e visto che i tre popoli non potevano governarsi da soli, decisero che l’unico elfo che poteva comandarli tutti e tre, cioè diventare Re o Regina, doveva essere abbastanza forte da controllare i tre elementi, così si forgiarono la Corona d’Argento dove incastonarono le tre Pietre Elemento. Da quando tua madre è morta, abbiamo deciso di nascondere le tre pietre elemento in posti diversi, in modo che nessuno se ne potesse impossessare, altrimenti usata da un elfo qualunque, la pietra lo distruggerebbe ».
« Dove si trova la corona d’Argento? » domandò Menfys.
« È qui con me ».
Il palmo del Grande Saggio s’illuminò e sulla sua mano comparve una corona opaca con tre fori, dove, pensai, andavano collocate le tre pietre. Alzai lo sguardo sul volto di Dun Morongh e notai che mi stava osservando, come in attesa.
« Ancora volete che io aiuti i Draghi e gli Elfi? ». 
« Per riscattare l’errore che il destino ti ha voluto far compiere ». 
Sospirai: « Dove si trovano le Pietre Elemento? ». 
Gli occhi del Grande Saggio ebbero un guizzo e si avvicinò: « Metti le mani sulla corona e concentrati su di lei. Credo che non sarà molto piacevole ».
Anche se un po’ impaurita, feci come mi era stato detto.
« È fredda » mormorai.
All’improvviso la corona s’illuminò e sentii un forte pizzicore alle mani, dove la corona stava lentamente sprofondando.
Ci fu un bagliore e poi più nulla. La corona era scomparsa dentro di me. Mi guardai le mani, impietrita e sbalordita.
« È stato… » non riuscivo a trovare le parole.
« Non devi dare spiegazioni » m’interruppe il Grande Saggio, guardandomi con tenerezza. Poi chiamò qualcuno: «Mavina!».
Nella stanza apparve un’elfa dalla carnagione azzurra.

« Sì, Grande Saggio? ». 
« Accompagnaresti Elien nella mia stanza? » le chiese con gentilezza e quella annuì.
Dun Morongh si rivolse nuovamente a me: « Ora segui Mavina. Dove si trovano le pietre lo spiegherò a Menfys. Ti rivedrò quando avrai portato a termine il tuo compito e sarai diventata Regina ».
Mmm, era ottimista!

Mavina mi fece un segno e la seguii. Menfys rimase immobile a guardarmi.
Mi trovavo già sulla soglia della porta, quando l’anziano elfo mi richiamò.

« Naturalmente questa cosa deve restare tra noi ». 
« Sì » feci per uscire ma poi mi ricordai di una cosa. Esitai: « Grande Saggio? ». 
« Dimmi, ragazza mia ». 
« Quindi Menfys continuerà il viaggio con me? ». 
Menfys mi guardò intensamente, e poi sorrise: « Certo, Elien ».
Arrossii imbarazzata, quando mi resi conto di quanto mi avessero resa felice le sue parole. Non sarei stata sola. Da quanto avevo lasciato i centauri Menfys era sempre stato con me, non avrei saputo immaginare questa avventura senza di lui. Ringraziai, salutai il Grande Saggio e infine uscii dalla porta dove mi attendeva l’Elfa dell’Acqua.


Tenevo la corona tra le mani, sentendo il freddo percorrermi tutto il corpo. La guardavo, aspettando Menfys. Era già da un po’ di tempo che si trovava dal Grande Saggio.
La corona era fredda e la sua energia si stava spegnendo, come quella del mondo di Danases.
« Elien » finalmente, da quando ci eravamo separate, sentivo il pensiero familiare di Daelyshia entrare nella mia testa.
« Daelyshia, dove sei? » nella mia mente balenarono delle immagini di una collinetta, appena fuori di Tedrasys.
« Daelyshia ti devo raccontare cosa è accaduto… » e iniziai a narrarle quello che mi era successo nella stanza con il Grande Saggio. Quando terminai le domandai: « Allora che ne pensi? ».
« Penso che sarà un’avventura magnifica ».
« Tu lo sapevi. Vero? » le chiesi, timorosa della sua risposta « Del cucciolo di drago… ».
Per alcuni secondi Daelyshia rimase in silenzio.
« » rispose infine « Lo sapevo fin da quando mi sono legata a te, ma non l’avrei fatto, se non avessi creduto in te… ».
All’improvviso la porta si aprì e il mio contatto con Daelyshia si affievolì. Menfys entrò nella stanza con una mappa in mano. Riassorbii la corona dentro di me e gli andai vicino.
« Menfys, cosa ti ha detto il Saggio? ».
« Ti dirò tutto domani, insieme a Ogard e Daelyshia, dovranno esserci anche loro ».




Angolo autrice:
Buonasera a tutti! Si è fatto attendere ma questo capitolo è bello lungo :)
Finalmente Elien è arrivata a Tedrasys e ha parlato con il Grande Saggio. Adesso avete scoperto qual è stato il crimine di Elien, ma vedremo se saprà rimediare. Diciamo che da adesso inizia la vera grande avventura. E non sarà per niente facile! ...Ma non fatemi spoilerare niente :P
Alla prossima!
Chiara

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Capitolo 5
*** Il Mare Infinito ***


5. Il Mare Infinito




Uscimmo all’alba dalla città di Tedrasys e andammo dove, quattro giorni prima, avevamo lasciato i nostri due draghi.
« Daelyshia! Ogard! » li chiamai preoccupata perché non si trovavano dietro la collinetta.
« Arriviamo! » rispose Daelyshia, mandandomi un’immagine sfocata in cui si stavano avvicinando.
Dopo qualche minuto arrivarono. Ogard era cresciuto, adesso arrivava all’altezza della mia testa, invece della spalla, e anche Daelyshia era cresciuta moltissimo nei giorni in cui non era stata con lei, prima mi arrivava al ginocchio, adesso all’altezza del gomito.
Mentre Menfys abbracciava il corpo squamoso di Ogard, Daelyshia mi leccò il volto con la sua lingua ruvida, solleticando la guancia.
« Mi sei mancata ».
« Anche tu, Daelyshia ».
Menfys si allontanò da Ogard e i due si guardarono silenziosamente. Capii che Menfys gli stava raccontato ciò che era successo. Ogard mi lanciò uno sguardo veloce, infine Menfys si rivolse a me e Daelyshia: « Vi dirò dove si trovano le tre Pietre Elemento » il suo sguardo saettò da me a Daelyshia, e poi si posò nuovamente su di me « Le prime due, Terra e Acqua, si trovano rispettivamente nella città degli Elfi della Terra e nella città degli Elfi dell’Acqua. La terza, invece… ». 
« Cosa? » chiese Daelyshia, interrompendolo ansiosa.
« Il Grande Saggio pensa che la terza pietra, ovvero quella dell’Aria, si trova ad Astrakan ». 
Trasalii. Astrakan era il mondo degli umani. Che cosa ci faceva lì la nostra magia?
« Come faremo ad arrivarci? » domandai agitata, torcendomi le mani.
« Adesso non preoccupiamoci di questo… » disse Menfys, apparentemente tranquillo « La nostra prima tappa è Raducis, la città degli Elfi dell’Acqua! » esclamò fiducioso, con un sorriso obliquo. Sorrideva così tanto che sembrava l’avesse colpito una paralisi facciale.
Ogard fece guizzare la coda: « Non so il perché, ma quel sorriso non mi piace ».
«Non so il perché ma sono d’accordo con lui» confidai a Daelyshia che ridacchiò.
 

Ci mettemmo in viaggio. Procedevamo con un’andatura regolare. Camminammo per qualche ora, fin quando i due soli non furono alti a illuminare tutta la pianura di Abbarak, che si estendeva finché i suoi confini non si confondevano con l’orizzonte, facendomi sentire troppo piccola per un luogo così immenso e aperto. Ci fermammo per il pranzo ai margini di un piccolo boschetto, l’unico che si vedeva in tutta la grande pianura. Menfys raccolse della legna e accese il fuoco con un semplice incantesimo. Ogard e Daelyshia andarono a cacciare della selvaggina per mangiare e Menfys rimase a guardare, con occhi velati, il fuoco, che danzava scoppiettando davanti ai suoi occhi, grazie alla magia.
All’improvviso si sentì un fruscio tra gli alberi.
Menfys s’irrigidì e occhieggiò il boschetto.
« Che c’è? » chiesi, preoccupata dalla sua reazione.
« C’è qualcuno tra gli alberi » mormorò.
Allora i passi si sentirono più vicini, intravidi un’ombra tra gli alberi e i cespugli davanti a noi si aprirono. Comparì una figura dalla carnagione azzurrina: un’Elfa dell’Acqua. Indossava una lunga tunica marrone che le arrivava sino alle ginocchia e le copriva le spalle, ma lasciava scoperte le braccia sode. Portava degli stivali che, come i miei, le fasciavano i polpacci e sul collo aveva legata una sciarpa azzurra come la sua pelle, che le copriva le piccole branchie, che hanno tutti gli Elfi dell’Acqua. I suoi occhi erano castani, grandi e ornati da folte e lunghe ciglia, e i capelli marroni, dello stesso colore del suo sguardo, erano un po’ più corti dei miei e ricadevano con dei morbidi boccoli fino alle sue spalle, dandogli un’aria da bambina. Una folta frangetta di capelli ribelli le nascondeva la fronte e le sottili sopracciglia oblique. Non era alta, anzi, in confronto a Menfys, sembrava addirittura molto bassa, cosa che evidenziava le sue forme morbide e pronunciate. Il suo viso tondo m’ispirava fiducia e simpatia… aveva qualcosa di familiare…
« Chi sei? » domandai confusa, poi la riconobbi: quella era l’elfa che avevo visto dal Grande Saggio e che mi aveva accompagnato nella stanza silenziosamente, osservandomi curiosa.
«Il mio nome è Mavina» rispose l’elfa dell’Acqua.
La sua voce era sottile e morbida, come il suo corpo; era molto musicale, mi ricordava il canto degli uccellini che risuonava nelle foreste all’alba. 
« Mi manda il Grande Saggio » tossì quando, tirando indietro la piccola sciarpa che si stava sciogliendo, quasi si strozzò.
« Va tutto bene? » le chiese Menfys, trattenendo una risata.
Mavina avvampò e tossicchiò ancora, si sistemò la sciarpa in modo che respirasse, infine annuì: «Sono stata mandata per aiutarvi, vi servirà un'Elfa dell'Acqua per entrare a Raducis… per me questo è un grande onore, vostra altezza » esordì, chinando il capo nella mia direzione. I boccoli castani le rimbalzarono sulle spalle e quando la frangia le oscurò la vista, sbuffò e si rialzò, scostandosi i capelli dagli occhi; poi le sue labbra carnose si schiusero in un ampio sorriso, facendo formare due fossette sulle guancie. Capii che il Grande Saggio le aveva raccontato tutto. Il suo aspetto così dolce e rassicurante non mi fece dubitare sul perché l’avesse fatto.
« Ehm… chiamami Elien » le dissi in imbarazzo « E, per favore, non inchinarti più » non mi piaceva che qualcuno si inchinasse in quel modo.
Dopo tutto non ero solo che una mezz'elfa.
« Va bene » disse Menfys « Se il Grande Saggio si è fidato di te, ci fideremo anche noi ».
Dopo un po’ di tempo arrivarono Daelyshia e Ogard.
Menfys raccontò tutto a Ogard, mentre Daelyshia si rivolgeva all’elfa: « Come hai fatto a trovarci? ».
« Questa è l’unica strada per Raducis, quindi dovevate per forza essere qui » squittì Mavina, improvvisamente spaventata che la voce di un drago le entrasse nella mente.
Capendo il suo disagio la rassicurai: « Ti ci abituerai ». 
« Quanto manca per Raducis? » le chiese Menfys, all’improvviso. 
Mavina rifletté per un attimo: « Se ci mettiamo da adesso in marcia, arriveremo tra dieci giorni ».
Quando finimmo di mangiare riprendemmo il cammino verso Raducis. Il sentiero battuto che percorrevamo era poco calpestato, segno che in quel periodo era poco praticato dagli Elfi, ma Mavina camminava agile sul terreno e pensai che dovesse conoscere molto bene la strada. Anche se era molto più bassa di un elfo normale, si muoveva con la stessa grazia felina di Menfys, cosa che le invidiavo molto, al confronto della mia andatura veloce e goffamente poco graziosa. Il viaggio proseguì senza ostacoli, fino alla sera del sesto giorno, quando arrivammo all’entrata di una palude dall’aria malsana.    
« La palude Zoram… » esalò Menfys, con aria circospetta « È meglio se per questa sera ci accampiamo qui fuori » decise, guardando sospettoso quel posto acquitrinoso e umido davanti a lui chiamato palude.
« Ma se entriamo adesso in poche ore saremo fuori » obbiettò Mavina.
« Di notte non si viaggia nella palude Zoram! » insisté Menfys, caparbio « Non hai sentito delle voci che circolano in città? »  chiese a Mavina, che scosse il capo.
Allora Menfys disse: « Si dice che nella palude sia ritornato » e dalla voce che aveva assunto, capii che doveva essere qualcosa di pericolo.
« Ma quella era una vecchia storia per spaventare i bambini » ribatté Mavina, perplessa.
« Lo so » ribadì Menfys « Ma molti elfi sono scomparsi lì dentro. Quindi entreremo domani mattina ».
Dopo aver acceso il fuoco e aver mangiato la cena, composta da un po’ di carne arrostita, mi avvicinai a Menfys. Se proprio dovevo aiutare gli elfi, valeva la pena imparare altri incantesimi.
« M’insegni nuove magie? ». 
Menfys mi osservò. Per un momento temei che avrebbe rifiutato, dopo aver sentito quello che avevo raccontato dal Grande Saggio, però lui sorrise: « D’accordo ».
Mi fece esercitare con piccoli esercizi, che per lui non costavano nessuna fatica: far levitare altri oggetti, come pietre o bastoni, oppure piccoli incantesimi di guarigione. Ogni volta che sentivo il pensiero luminoso nella mia mente e lo usavo mi sentivo sempre più stanca, finché iniziai ad ansimare e Menfys mi fece smettere.
« Ti senti meglio? » mi chiese, dopo avermi fatto riposare.
« Sì grazie» risposi, riprendendo il mio colorito.
« Non devi preoccuparti. Stai andando molto bene » mi rassicurò.
« Lo spero ».
Il giorno seguente entrammo nella palude legati in vita con una corda per non perderci, con a capo Mavina, al centro i due draghi, poi Menfys e infine me. La palude sembrava ancor più terrificante della sera prima: aleggiava un’aria sinistra con tanto di nebbia impenetrabile, e le liane grigiastre che scendevano dagli alberi sembravano dei serpenti velenosi, pronti a catturare la preda, con i loro denti affilati. C’erano anche molte ragnatele, alcune erano così grandi che al centro si erano sfilacciate per il loro stesso peso. Una strana libellula, dalle ali viola, rimase imprigionata in una grossa ragnatela e fu subito ingogliata da un gonfio ragno a otto zampe. Repressi un brivido di disgusto. Seguimmo per tutto il tempo il corso del fiume Okaya, sicuri che ci avrebbe portato all’uscita perché sfociava nel lago Baab, situato appena fuori della palude. Il fiume in un punto si allargava e fummo costretti a avvicinarci all’acqua malsana. Camminavo silenziosa, vicino a Menfys, quando all'improvviso sentii qualcosa di viscido afferrarmi la caviglia.
« Qualcosa mi sta tirando giù! » urlai cadendo e cercando con le mani qualcosa per non essere trascinata nell’acqua, che già mi stava bagnato le gambe. La corda che legava tutto il gruppo si tese e cominciò a sfilacciarsi. Quando la  fune tra me e Menfys si ruppe, mi aggrappai alla sua mano, però la mia era troppo sudata a causa dell’agitazione per garantirmi una presa sicura. Dall’acqua emerse un mostro con tanti tentacoli pieni di bolle pulsanti di verde veleno e una testa viscida senza occhi. Alzò i tentacoli e spalancò una bocca piena di denti affilati. Senza volerlo un urlo di terrore uscì dalle mie labbra. Era la creatura più orrida e ripugnate che avessi mai visto.
Mavina strillò orripilata: « Allora esiste veramente! ». 
« Stai calma Elien! » esclamò Menfys, quando la mia mano scivolò dalla sua « Ti salveremo! ».
Con la spada liberò gli altri dalla corda, poi prese l’arco dalla faretra e cominciò a tirare delle frecce argentate contro l’orrida creatura. Intanto il mostro delle paludi stava avvinghiando le mie gambe con alcuni tentacoli, cercando di trascinarmi verso la sua bocca. Ansimai un gemito e sentii le gambe intorpidirsi, a causa della presa troppo forte.
« La sta soffocando! » disse Ogard, che cominciò a tirare dei sassi con la coda, colpendo una bolla verde e pulsante che la bestia aveva sui tentacoli, da dove iniziò a uscire un liquido verde e puzzolente.
« Resisti Elien! ».
Menfys unì le mani e dalle dita davanti a sé, in direzione del mostro, si diresse un fascio di luce bluastra, che colpì la bocca del mostro ed esplose. La creatura urlò di dolore e mi lasciò cadere. Sentii la pressione nelle orecchie quando colpii la superficie dell’acqua bruscamente e annaspai cercando l’aria. Vidi Mavina che nuotava veloce per riuscire a prendermi, mentre stavo lentamente andando verso il fondo, sentendo la testa girarmi. Quando mi raggiunse, sentii le sue mani sicure spingermi fuori dell’acqua per farmi respirare. Mi trascinò a terra, dove mi lasciai cadere, esausta. Sentivo i polmoni bruciarmi e tossii, sputando dell’acqua. Daelyshia e Ogard presero delle liane resistenti e, con una veloce mossa, le legarono ai tentacoli dell’enorme mostro e tirarono: quello cadde all’indietro e affondò nel fiume. Per alcuni secondi nessuno si mosse, ma il mostro non riemerse dall’acqua. Menfys si avvicinò a me: « Elien, mi senti? ».
Avevo chiuso gli occhi, facendo grossi respiri. Cercai di dire qualcosa, però ero troppo stanca per rispondere, ma non per sentire Menfys prendermi tra le sue braccia e, insieme al gruppo, uscire dalla palude quasi correndo, per evitare altri inconvenienti.
Di questo passo non so se sarei arrivata viva alla fine di questo viaggio.


Guardai la mappa che Menfys aveva in mano e che stava consultando con attenzione.
« Dove si trova la Pietra dell’Acqua? » chiesi, e Menfys indicò un punto a ovest della mappa, dove c’era nel mare una piccola scritta con un inchiostro nero: Raducis.
« E la Pietra della Terra? » continuai curiosa, e Menfys indicò un punto a nord-est della mappa, nel mezzo di una grande foresta.  
« Quanto sono lontani » commentò Daelyshia, mentre continuavo a guardare il puntino, affascinata.
La mappa del mondo di Danases non era una mappa qualsiasi: riproduceva tutti i particolari e i suoi contorni si muovevano a seconda di come soffiava il vento, facendo ondeggiare gli alberi e le onde increspare il mare. Seguendo il movimento della mappa, che segnava il nostro percorso, impiegammo dieci giorni per vedere il terreno cambiare sotto i nostri piedi e diventare sabbia dorata, l’aria farsi umida. Però riuscimmo a scorgere il mare solo il giorno dopo, quando ci accampammo su una spiaggia riparata dal vento, che rendeva il mare agitato. 
« Dobbiamo entrare là dentro? » chiesi intimorita, guardando un’onda che s’infranse contro uno scoglio con grande violenza provocando un violento fragore.
« Temo di sì » rispose Menfys, accendendo un piccolo fuocherello con la magia.
Mavina sorrise vedendomi angosciata: « Non avere paura. Il vento cesserà la mattina… È sempre così ».
E la mattina, come aveva predetto Mavina, il vento cessò, il mare tornò calmo e gli uccelli si avvistarono all’orizzonte. L’aria piena di salsedine rendeva gli occhi cisposi e le mani sudate a tutti, tranne che all’Elfa dell’Acqua che sembrava essere perfettamente nel suo elemento. Anche se la sera precedente mi era sembrato un luogo spaventoso, adesso non riuscivo a staccare gli occhi dalla luce dei soli che si specchiava nell’acqua, increspata lievemente da un refolo di vento.
Il rumore continuo delle piccole onde m’incantava.
« Come faremo a entrare? » chiese Ogard, guardando Daelyshia, che scosse la testa dubbiosa.
« Come faremo noi a entrare! » lo corresse Menfys, indicando se stesso, me e Mavina « È fuori discussione che voi entriate con noi ». 
« Certo » concordai, anche se un po’ titubante perché non volevo separarmi da Daelyshia « Non potete venire con noi ».
Daelyshia contestò con furia, frustando la coda: « Non possiamo sempre nasconderci! ».
« È per il vostro bene! » insisté Menfys, impuntandosi « C’è una guerra tra i draghi e gli elfi! ».
« Lo sappiamo benissimo! » ribatté Ogard, acido.  
« Ogard, Daelyshia » intervenì Mavina « Cosa pensate che farebbero gli Elfi dell’Acqua se vedessero arrivare dei draghi? Sicuramente li attaccherebbero senza lasciargli via di scampo ».
I due draghi provarono di nuovo a contestare però Menfys li zittì, così esclamarono rattristati: « D’accordo, ci nasconderemo ».
Mavina annuì e si rivolse a Menfys: « Dovremo aspettare il segnale per entrare » disse, guardando il mare e poi sospirò « Da quando c’è la guerra, le misure di sicurezza sono aumentate così tanto che dovremo stare attenti a non ritrovarci con le guardie alle calcagna, perché ci credano draghi mascherati ». 
All’improvviso sentii una grande tristezza. La mia faccia doveva essere così afflitta, tanto che Menfys mi chiese cosa succedeva.
« È triste. Non è vero? » domandai mestamente « È triste vivere costantemente nella paura di perdere la propria vita ». 
« Sì, ma noi siamo qui per questo, no? »  sorrise, quando lo guardai confusa, e continuò: « Per riportare la pace ».
All’improvviso dall’acqua provenne uno schizzo e così ci avvicinammo al mare, mentre i due draghi si avviarono velocemente verso le pianure per cercare un nascondiglio. Dall’acqua emerse un grosso pesce rosso, con due occhiali poggiati vicino agli occhi e un fiocco su quello che doveva essere il suo collo squamoso. Ridacchiai alla sua vista.
« Non è educato ridere in faccia alle persone » mi riprese parlando e sbarrai gli occhi, sorpresa.
« Ma tu sei un pesce » ribatté Menfys, pacato. A volte sapeva essere davvero fastidioso.
Mavina cercò di recuperare la situazione e chiese con garbo al pesce che guardava offeso Menfys: « Possiamo entrare a Raducis? ».
« L’ingresso è aperto, ma se volete entrare dovete sbrigarvi, non lo sarà ancora per molto » detto questo il pesce sparì sott’acqua con un guizzo di coda.
Mavina guardò Menfys: « Per arrivare a Raducis, tu ed Elien dovete usare l’Incanto dell’Aria… quando arriveremo alla città potrete respirare liberamente ». 
« Che cos’è… » cominciai, ma fui zittita da Menfys che fece uno strano movimento con le mani ed esclamò: « Acquarium! ». 
Qualcosa si mosse davanti a me.
Aprii gli occhi e misi a fuoco Menfys con la testa dentro una bolla d’aria e con le mani palmate come le rane. Mi guardai le mani e vidi che anche le mie erano diventate palmate, allora mi toccai la testa e sentì una bolla d’aria avvolgerla.
« La magia è riuscita benissimo » affermò Mavina che non aveva nessun incantesimo, ma si era tolta la sciarpa azzurra per respirare con le sue piccole branchie.
Agitò una mano: « Andiamo? » e iniziò a nuotare verso il basso.
Nuotammo per circa un’ora, immersi completamente nel buio, fino a che un’intensa luce, accecante, si parò davanti a noi, e quando riuscii ad aprire nuovamente gli occhi lacrimanti vidi un’enorme città, poggiata sul fondo marino, che risplendeva di una luce argentata: Raducis.
« Siamo arrivati! » esclamò Mavina, continuando a nuotare verso la meta.
Ci avvicinammo e sentii un improvviso calore. L’Incanto dell’Aria svanì, lasciandomi respirare normalmente, come se al posto dell’acqua ci fosse l’aria, solo che ogni respiro emesso creava delle piccole bollicine. Entrammo in città, e notai che gli Elfi dell’Acqua camminavano normalmente, con i piedi poggiati per terra, come aveva iniziato a fare Mavina, dopo essersi posata al suolo. Come facessero, era un mistero. Quando anche Menfys ed io ci poggiammo al suolo, iniziammo a camminare. A Raducis vivevano anche molte Sirene e Tritoni che però, al contrario degli elfi, si muovevano nuotando nell’acqua, agitando le loro eleganti code.
Gli edifici della città erano, per la maggior parte, circolari con davanti delle colonne con delle incisioni. Tutte le costruzioni, osservai, erano fatte con materiale simile al corallo del mare aperto, brilluccicante, e nel centro sorgeva un edificio ovale che continuava in altezza, girando su se stesso come una spirale.
« Quella è la casa del Grande Saggio dell’Acqua » spiegò Mavina, indicando l’edificio ovale.
Camminammo, finché non arrivammo al magnifico portone dell’edificio, con due altissime colonne intagliate con splendide immagini di elfi e sirene. Mavina bussò e sulla porta il suono si amplificò, fino a diventare come il ruggito di un drago.
Rimasi a bocca aperta, quando l’ingresso si aprì e comparve una sirena, dalla lunga coda dorata e dalle mani palmate, che ci guardò altezzosa e, scuotendo i lunghi capelli violetti, cantando disse: « Dichiarate il vostro intento ».
Menfys balbettò qualcosa, mentre guardava la sirena, affascinato. Sembrava non ne avesse mai vista una da vicino. Ecco perché si diceva che le sirene avevano il potere di incantare: erano così belle. Ma su di me l’incantesimo non aveva effetto e così diedi una gomitata a Menfys.
« Patetico » mormorai e lui mi guardò offeso.
In un angolo remoto della mente, sentii Daelyshia ridacchiare, divertita.
« Dobbiamo vedere il Grande Saggio » annunciò Mavina, allora la sirena annuì e fece segno di seguirla con una piccola mano palmata.
Come a Tedrasys, il palazzo del Grande Saggio era in piena attività, con Elfi dell’Acqua e sirene che andavano e venivano da un piano all’altro del palazzo. I rumori dei passi si confondevano con il suono delle voci cristalline.
« Non credo sia conveniente continuare gli esperimenti con le meduse » esclamò un tritone. L’elfo che gli camminava al fianco era immerso nella lettura di un libro. Lessi il titolo, divertita: "Meduse e Polpi: i bisbetici rapporti marini".
« Hai ragione Alean » concordò l’altro, alzando lo sguardo verso il tritone « Sono diventate troppo bisbetiche ». 
Seguimmo la sirena che continuava a scuotere i capelli, irritandomi. Salimmo una splendida scala, dal corrimano fatto di rossi coralli. Dopo tre piani, quando arrivammo all’ultimo scalino, notai che c’era una calma piatta, e che le porte erano intagliate con eleganti ghirigori, i muri pieni di dipinti e le mattonelle del pavimento formavano maestosi disegni argentati. Ci fermammo davanti a una porta, la sirena ci fece un piccolo saluto e, con mio grande sollievo se ne andò, lasciandoci soli.
Mavina entrò, aprendo la porta di scatto. All’improvviso sembrava ansiosa di entrare. Io e poi Menfys la imitammo, varcando la soglia e chiudendoci la porta alle spalle.
Il Grande Saggio era seduto su una sedia di coralli gialli che era incastonata nel pavimento dello stesso colore, era come se fossero fusi insieme. Era voltato e, dandoci la schiena, osservava con espressione assorta il muro di marmo, splendente davanti a lui, dove mi accorsi, meravigliata, c’era un dipinto, fatto con i coralli, che ritraeva il volto di una giovane elfa, dallo sguardo dolce e limpido. Il colore del corallo che formava il suo volto era azzurro e quello dei capelli, che le ricadevano morbidi oltre le spalle, era marrone chiaro. Osservando bene il ritratto notai che quell’elfa somigliava molto a Mavina. Il resto della stanza era spoglio, ad eccezione di una piccola finestra da cui filtrava la luce, illuminando l’ambiente, insieme a una lampada rossa vicino alla porta da cui eravamo entrati. Sembrava che l’essenza della stanza fosse racchiusa nel dipinto sulla parete marmorea, o almeno così sembrava a me…
Mavina si fermò dietro il Grande Saggio e sospirando lo fece voltare. Notai che aveva il colore della pelle più scuro degli altri elfi dell’Acqua. Aveva i capelli corti e una corta barba grigia. Il volto era segnato dagli anni e il suo sguardo era nero, scurissimo, la pupilla e l’iride formavano un tutt’uno dandogli un’aria profonda. Indossava una tunica verde smeraldo, con dei ricami dorati uguali a quelli del Grande Saggio a Tedrasys, che frusciò quando si alzò.
« Benvenuta mia sovrana, benvenuto Menfylius di Tedrasys »  disse il Grande Saggio, facendo un profondo inchino e arrivando a toccare le ginocchia con la fronte.
Rimasi stupita da quando fosse flessibile il suo corpo, che doveva avere un bel po’ di anni. Lanciai un’occhiata a Menfys, e dalla sua espressione capii che non aveva molto gradito di essere chiamato con quel nome. Rimasi ancor più sorpresa quando l’anziano elfo abbracciò Mavina, dicendole: « Bentornata a casa, figlia mia ».
« Figlia? » sussurrai sorpresa a Menfys, che scrollò le spalle, confuso. 
« Io sono Dun Grubbed, il Grande Saggio che diede origine al popolo degli elfi dell’Acqua, per servirvi » annunciò il Grande Saggio, staccandosi dall’abbraccio di Mavina e rivolgendosi a me, inchinandosi nuovamente.
Tutti quegli inchini iniziavano a mettermi in imbarazzo e anche a irritarmi.
« Il Grande Saggio Dun Morongh mi ha detto perché siete qui… ora però non è il momento di parlare di questo, dovete riposare. Mavina vi accompagnerà nelle vostre stanze… » disse il Saggio.
« Ma… non possiamo, dobbiamo sbrigarci! » lo interruppe Menfys. 
« Mio caro ragazzo, questa faccenda è molto seria! » esclamò Dun Grubbed con un’espressione solenne in volto, ed ebbi l’impressione che fosse un elfo con poca pazienza « Anche se è ancora mattina, dovete riposare dopo un lungo viaggio da Tedrasys a qui. Sento la vostra energia molto debole e per affrontare il futuro vi serviranno tutte le vostre forze. Ora seguite Mavina » ci sorrise e un lampo di stanchezza attraversò i suoi occhi « Vi aspetterò domani mattina all’alba ». « Padre… io volevo? » Mavina lanciò uno sguardo esitante al Saggio. 
« Certo, figliola, vai pure » rispose Dun Grubbed « Si trova nella sua stanza ».
Io e Menfys ci scambiammo uno sguardo confuso.
Uscimmo dalla stanza e Mavina ci guidò attraverso il castello, fino a portarci davanti a una porta di legno. Mavina la spalancò: dentro c’era un letto, dove stava seduta un’elfa dell’Acqua con un piccolo bambino che dormiva. Lei aveva un lungo vestito e con piccoli movimenti, per cullare il bambino, faceva ondeggiare i lunghi capelli, marroni come quelli del piccolo elfo. Si fermò di scatto e spalancò gli occhi neri quando il suo sguardo guizzò sui nostri volti.
« Mavina? » l’elfa balzò in piedi, facendo attenzione al piccolo elfo « Mavina! ». 
« Aishia! » Mavina abbracciò l’elfa, facendo sempre attenzione al piccolo, che dormiva, ignaro della confusione.
Mavina si staccò dall’abbraccio dell’elfa sconosciuta e disse: « Elien, Menfys, questa è mia sorella Aishia, e… » un piccolo rumore interruppe Mavina.
Il piccolo elfo si era svegliato e si agitava, scalciando e spingendosi verso Mavina: « Mam… mà ».
« … Questo è mio figlio Cearly » terminò Mavina, prendendolo in braccio.
Un po’ sorpresa mi avvicinai al bambino e gli scompigliai i capelli castani. Cearly mi fece una smorfia. Non credevo che Mavina avesse un figlio, invece quel piccolo elfo lo era veramente; i loro occhi erano uguali, come i loro volti rotondi. Eppure Mavina sembrava così giovane…
« Quanti anni hai, Mavina? » chiese Menfys, dando voce al mio pensiero.
« Sono nata dopo la Caduta ». 
Non avevo idea di quale Caduta parlasse Mavina, invece Menfys aveva capito.
Tradusse per me: « Duecento anni fa ».
Rimasi immobile per qualche secondo a causa della sorpresa. Duecento anni! Anche se per gli elfi era un’età normale, poiché vivevano per circa cinquecento anni, mi sentii smarrita. Era evidente che avrei dovuto riconsiderare i miei canoni di età. Guardai Menfys: la prima volta che l’avevo visto mi era sembrato molto giovane, anche se nel viaggio aveva dimostrato di avere molta più esperienza dei pochi anni che gli avevo attribuito. Una domanda mi premeva sulle labbra… Quanti anni aveva lui?
Il mio sguardo era diverso, perché essendo mezza umana io non avrei avuto una vita lunga come la loro. Cercai di guardare con gli occhi di un elfo e osservando bene la figura di Menfys gli attribuii più di cinquant’anni. Rabbrividii io, quando e se ci fossi arrivata, non sarei stata certo giovane come lui… poi mi ricordai che non ero una semplice mezz’elfa. Ero legata con un drago e quindi il mio tempo si era allungato, ma continuava a rimanere quello di un umano.  
« Tu sei davvero la figlia del Grande Saggio? » sentii la voce curiosa di Menfys domandare a Mavina. Mi riscossi dai miei pensieri. Mi promisi di non ripensarci finché tutta quella faccenda dei cambiamenti e dei legami con i draghi non si fosse chiarita.
« È una storia lunga, ma cercherò di essere breve » Mavina sorrise « Mia madre, quand’era giovane, trovò lavoro qui al castello: controllava la Grande Biblioteca. E quando conobbe il Grande Saggio gli donò il suo cuore. Nacque Aishia » indicò la sorella, che la stava ascoltando attenta « Poi mia madre morì, dandomi alla luce » il suo sguardo si fece velato « Ancora adesso, dopo tutto questo tempo, vedo mio padre soffrire quando si ricorda di lei… » sospirò « Era quell’elfa che è ritratta nella sua stanza ».
Io e Menfys ci scambiammo un’occhiata malinconica e Aishia tirò su col naso.
« Dov’è papà? » chiesi poi al piccolo Cearly, scompigliandogli di nuovo i capelli e facendogli la linguaccia. Rise, divertito.
« È ad Ayulin, nell’isola di Avly » rispose Mavina « E poiché il mio compito è aiutare il Grande Saggio a Tedrasys, mia sorella si è presa cura di Cearly ». 
« Ma adesso che sei tornata » la interruppe Aishia « Potrai passare molto tempo con lui ». 
« No, mamma non si ferma » disse Mavina a suo figlio; i suoi occhi erano accesi di una dolce luce, mentre lo stringeva tra le braccia « Mamma deve aiutare i suoi amici ». 
Stranamente, notai che sua sorella non contestò, ma rassegnata prese tra le braccia Cearly che mi fece un’altra smorfia e rise nuovamente. Dovevo piacergli molto.
« Non sei costretta a venire con noi » affermò subito Menfys ed io annuii « Tuo figlio è più importante ». 
« Non posso abbandonarvi adesso » ribatté Mavina « E poi servire gli elfi dell’Acqua è un onore » ci guardò con intensità « Lo faccio anche per Cearly, perché possa crescere in un futuro migliore ».
Ammirai il suo coraggio e la sua lealtà, ma dissi: « Noi ce la caveremo ».
« Senza di me? » l’Elfa dell’Acqua rise « Non penso proprio ».


Il mattino successivo, l’alba ci sorprese nella stanza di Dun Grubbed.
« La pietra si trova nelle viscere di questa città, nei sotterranei più segreti del mio palazzo, che conoscono solo in pochi – tra cui, di quei pochi, sono rimasto solo io – però, a guardia della pietra c’è qualcosa di mostruoso… qualcosa che creò la pietra nei tempi Antichi di Danases per difendersi ».
« Perché difendersi? » chiesi « Da chi? ». 
« Per non essere presa con facilità dagli elfi » rispose il Grande Saggio « La pietra possiede un grande potere, immaginate che cosa potrebbe succedere se cadesse in mani sbagliate ».  
« Allora come faremo a prenderla? » domandai ancora, visibilmente preoccupata, mentre nella mia mente si formava l’immagine di un mostro ripugnante, a forma di ragno, con sette occhi lattiginosi, che addentava con gusto un pezzo di Menfys. Trasalii, al ricordo di quello che avevo visto nella palude di Zoram.
« Ce la farete, dovrete sconfiggere il guardiano… la pietra riconoscerà se le vostre intenzioni sono buone » il Grande Saggio mi sorrise, poi annunciò: « È ora di andare… vi accompagno ».
« Vi accompagno? Ce la farete? » ripeté Menfys confuso, preso alla sprovvista, guardando l’anziano elfo « Ma, allora, non ci aiuta a prendere la pietra! ». 
« Ovviamente! » esclamò Dun Grubbed « Dovete farcela da soli » spiegò con calma.
Il Grande Saggio uscì dalla stanza e ci guidò attraverso i piani inferiori del palazzo. Ogni elfo o sirena o tritone che lo vedeva faceva una profonda reverenza, per poi tornare al suo dovere. Al piano terra, il Grande Saggio si diresse verso una sudicia porta, incrostata dalla ruggine, nascosta in una nicchia sotto la scala principale. Percorremmo un antico corridoio, illuminato da delle torce, su cui ardevano delle piccole fiammelle azzurre, che proiettavano le loro ombre sui muri, rendendole mostruose. Vidi l’ombra di un piccolo pesce nuotare verso di noi e poi sorpassarci di corsa.
« Che brutto posto » sussurrai, rabbrividendo.  
« È da molto tempo che questi passaggi non vengono percorsi » disse Dun Grubbed sfiorando con le dita il freddo muro  « Risalgono all’Era Antica di Danases ».
« Non sapevo della loro esistenza » mormorò Mavina.
Il padre ridacchiò: « Mantengo bene i segreti ».
Continuammo a camminare per un po’ di tempo, quando il tunnel curvò e il Grande Saggio, improvvisamente serio, si fermò e ci fece segno di proseguire.
« Per uscire dovrete ripercorrere questo corridoio all’inverso » sussurrò, guardandoci a uno a uno « E mi aspetto di rivedervi tutti nella mia stanza ».
L’anziano elfo abbracciò Mavina, si girò e ripercorse il tunnel al contrario. Riprendemmo a camminare, quando l’eco dei suoi passi si affievolì fino a sparire.
All’improvviso il tunnel si allargò e ci ritrovammo in un’immensa sala circolare.
« Guardate! » esclamò Menfys indicando un punto.
Al centro c’era una deca con dentro una pietra azzurra: la Pietra Elemento.
« Attenta! » sentii mormorare Daelyshia da lontano, in una parte remota della mia mente.
Facemmo cautamente un passo avanti. All’improvviso un forte bagliore ci accecò e allora apparve il mostro: era alto più di tre metri, fatto interamente di ghiaccio, che sulla sua schiena formava punte acuminate dall'aria molto pericolosa. Urlai spaventata e Menfys mi tappò la bocca con una mano.
« Ehi… uhmf » dissi con la voce soffocata dalla mano di Menfys « … Lacciami! ».
« Shh… zitta » sussurrò Menfys lasciandomi « Guarda, è cieco! Cerchiamo di prendere la pietra senza farci sentire e andrà tutto bene » detto ciò si appiattì al muro e iniziò a strisciare verso la pietra. Io e Mavina lo seguimmo.
Il Guardiano dell’Acqua, non avendo gli occhi, restò immobile, cercando di avvertire i nostri movimenti.
Mentre camminavo, lanciavo continue occhiate nervose al guardiano. Inciampai in una vecchia pietra nel pavimento e caddi a terra storcendomi una caviglia. Gemetti, ansante, stringendola. Accidenti! Il mostro, avvertendo il rumore, si girò verso di noi e ci attaccò, tirando dei grandi ghiacci, appunti e taglienti come rasoi, dalla sua schiena.
« Menfys, aiuto! » urlò Mavina, afferrandomi e trascinandomi via dalla traiettoria dei ghiacci.
Cercai di seguirla zoppicando, ma la caviglia dolorante cedette e Mavina non riuscì più a trascinarmi. Strisciai verso il muro e mi coprii la testa tra le mani. Non era un gesto molto coraggioso ma non ero di molto aiuto agli altri se non riuscivo a camminare. Menfys, con uno scatto repentino, afferrò il suo arco dietro alla schiena, e scagliò delle frecce contro il mostro, però quelle rimbalzarono contro il duro ghiaccio, senza nemmeno scalfirlo. Allora l’elfo si mise a correre, pestando rumorosamente i piedi a terra. Si diresse verso l’altra parte della stanza, allontanando il Guardiano da me e Mavina, che cercò di nuovo di mettermi in piedi.
« Menfys! » tentò di chiamarlo.
« Sono un po’ impegnato, al momento! » ululò lui, provocando un’altra raffica di ghiacci appuntiti, che evitò facendo un salto contro il muro, dove si ficcarono quelli, sibilando.
Allora Mavina usò la magia, urlando l’incantesimo. Spedì una grossa pietra contro la schiena del guardiano, che ringhiò furioso e con un grosso pezzo di ghiaccio colpì alla testa l’elfa dell’Acqua, che cadde a terra svenuta. Guardai la scena, impotente, stringendomi la caviglia. Mi voltai, presi un frammento di ghiaccio che si era incastrato nel pavimento sibilando e, senza riflettere, lo poggiai sulla caviglia cercando un po’ di sollievo dal dolore. Il ghiaccio scomparve al contatto con il calore del mio corpo e all’improvviso capii.
« Menfys! » urlai, mettendomi in piedi, in bilico sulla caviglia sana « Fuoco! Devi utilizzare l’incantesimo del Fuoco! ».
« Fuocaius! » esclamò Menfys e sulle sue mani comparvero delle fiammelle dorate. Le diresse verso il Guardiano che lanciò un urlo di dolore, poi gridò: « Elien, prendi la pietra! ».
Iniziai a zoppicare verso il centro della stanza ma ad ogni passo non riuscivo a trattenere un gemito. Il mostro mi sentì e attaccò. Percepii il sibilo dei ghiacci. Cercai di allontanarmi ma ero troppo lenta.
« No! ». 
Uno scudo argentato mi comparì davanti. Continuai a zoppicare mentre Menfys, con enorme sforzo, cercava di mantenere lo scudo e di lanciare del fuoco contro il Guardiano. Ero vicina alla pietra quando lo scudo di protezione evocato svanì, seguito da un tonfo. Vidi Menfys scivolare a terra, ansimante, quando il mostro di ghiaccio lo colpì.
Mi guardai intorno, disperata, e come al richiamo della mia silenziosa richiesta di aiuto, sentii una scarica di energia lungo la schiena. La stanchezza era sparita. Mi sentivo forte, abbastanza forte da lanciare un incantesimo. Puntai le mani verso il mostro e urlai. Nella stanza si sprigionò una luce immensa, che centrò in pieno il mostro. Si sgretolò e diventò polvere ghiacciata. 
Caddi a terra e anche se stremata, lottai per restare sveglia e resistere all’improvviso sonno. Strisciai verso la teca, la aprii e presi la Pietra. In quel momento cedetti e tutto divenne buio.




Angolo autrice:
Aggiornamento lampo! Chiedo scusa se c'è qualche errore ma vado di corsa, però dato che avevo un po' di tempo ne ho approfittato per mettere un nuovo capitolo! :)


 

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Capitolo 6
*** Il racconto dei draghi ***


6. Il racconto dei draghi



Mi svegliai in mezzo una radura dalla quale si riusciva a vedere ancora la spiaggia dorata e il Mare Infinito, dove vivevano gli elfi dell’Acqua, anche se il rumore delle onde era impercettibile e l’aria colma di salsedine era scomparsa.
Qualcosa di caldo poggiava sulla mia fronte. Allontanai la mano di Menfys.

« Come ti senti? » mi chiese aggrottando la fronte, le sopracciglia alzate.
« Bene » mentii.
Mi sentivo ancora stanca e la testa mi doleva un po’.
Menfys mi lanciò un'occhiata scettica ma non insistette.  

« Quanto ho dormito? » gli domandai. 
« Quasi tre giorni ».
All’improvviso Daelyshia entrò nei miei pensieri e intuii che mi stava nascondendo qualcosa. 
« Dove siete stati durante la nostra permanenza a Raducis? ».
Daelyshia rabbrividì, spaventata, e mi mostrò il suo ricordo. Dall’espressione di Menfys sopra di me, capii che Ogard stava facendo lo stesso. Vidi attraverso i loro occhi che si erano imbattuti in un gruppo molto numeroso di draghi. Rabbrividii anch’io alla vista dei loro sguardi infuocati.
« Sono tutti presi dal potere, Elien » disse Daelyshia, scuotendo il capo « Nathif è morto ».
Un ricordo scattò nella mia mente, quel nome era dolorosamente familiare. Sentii invadermi dalla tristezza.
Il capo dei draghi si era finalmente riunito alla sua famiglia e a suo figlio che lo stava aspettando da troppo tempo nell’arcobaleno degli spiriti per colpa mia.
« Adesso i draghi stanno lottando fra loro per conquistare la posizione di Capo Supremo rimasta vuota… » continuò Daelyshia ed io trasalii all’orribile notizia « Nei miei remoti ricordi, tramandati grazie al fuoco dei draghi, non li ho mai visti così, simili a creature effimere come umani e adesso elfi » la sua veemenza mi meravigliò.
Io e Menfys ci scambiammo uno sguardo preoccupato.
Daelyshia continuò: « Questa guerra sta segnando il declino della nostra razza, Elien, e anche della vostra. Gli animi si sono oscurati, il male ha preso il sopravvento. Nessuno sa più quali sono le sue origini, non ricorda gli errori del passato e così le grida delle guerre sono tornate a echeggiare a Danases, le spade si sono nuovamente incrociate ».

I pensieri di Daelyshia si erano fatti così intensi che, senza rendermene conto, li avevo ripetuti ad alta voce.
« Le tue parole sono intrise di verità » disse una voce sconosciuta.
Mi misi a sedere di scatto, e incontrai uno sguardo argentato, che mi osservava curioso. Seduto vicino a Ogard e Daelyshia c’era un elfo della Terra con in braccio un piccolo drago verde.
Menfys seguì il mio sguardo e capì il perché della mia espressione perplessa. Indicò l’elfo sconosciuto e il drago:  « Loro sono l’elfo della Terra, Tanasir, e il suo drago Wisp… li abbiamo trovati vicino la spiaggia. Tanasir si nasconde da quando Wisp si è legato a lui » Menfys si grattò in naso e disse, quasi tra sé: « È molto strano, non si sono mai verificati tre casi, nello stesso secolo, in cui tre draghi hanno legato il proprio destino a degli elfi… ». 
Decisi di ignorare Menfys, che continuava con il suo mormorio incomprensibile, e salutai i nuovi venuti con un cenno al quale Tanasir rispose cordiale.
Wisp era addormentato. Aveva le squame verdi scure, era lungo quanto tutto il mio braccio e sull’ala destra aveva una piccola macchia argentata. Tanasir, anche se era seduto, doveva essere molto alto, poiché la sua figura era magra e slanciata; le sue mani erano affusolate e sottili, come sottile era tutto il suo corpo e sembrava essere così fragile ma sapevo che era solo l’apparenza perché dalle sue braccia, appena flesse, vedevo i muscoli affiorare tonici.
Come tutti gli elfi della Terra, la sua carnagione era marrone come la corteccia di un albero, e i suoi capelli neri, anche se corti, erano legati dietro la nuca in una piccola coda, accentuando le sue orecchie a punta. Il suo sguardo era profondo e limpido, come un fiume in cui la sua acqua riflette ogni cosa, e i suoi occhi erano grigi quasi argentati, chiarissimi. Indossava dei pantaloni con una grossa cintura dov’era attaccata una piccola spada, una maglietta verde con delle maniche corte e infine calzava degli stivali neri.
Aveva un’aria riflessiva e tranquilla, sembrava che niente potesse turbarlo, anche se la sua espressione era leggermente velata da un filo di tristezza. Compresi la sua sofferenza: vivere lontano dagli altri elfi doveva essere molto difficile, anche se il legame con un drago era più potente. Cercai di immaginarmi senza il legame con Daelyshia e rabbrividii, terrorizzata al solo pensiero. Da quando era entrata nella mia vita il mondo era diventato meno solitario, con lei mi sentivo completa.

« Sono contento di conoscere la persona che metterà fine a questa guerra » affermò Tanasir con un’espressione tranquillizzante, le labbra sottili tese in un sorriso. Sembrava che la sua voce profonda vibrasse.
Mi vennero in mente le sue parole appena pronunciate e guardai per un attimo Menfys.
Non era forse un segreto la mia vera identità?
Scrollai le spalle.
Se gli altri si erano fidati mi sarei fidata anch’io.

« Ehm… grazie » dissi incerta su come rispondere « Come hai trovato il tuo drago? » chiesi, indicando il piccolo drago tra sue le braccia, che dormiva emettendo ogni tanto piccoli sbuffi di fumo grigio dalle narici.
« Come ho trovato Wisp? » ripeté guardando pensieroso la piccola creatura che aveva tra le braccia, mentre rifletteva sulla domanda « Ho trovato il suo uovo alle Rovine del Drago » rispose, alzando lentamente lo sguardo su noi.
Daelyshia e Ogard, alla pronuncia di quel nome, rabbrividirono, ringhiando. Nella mia mente apparvero immagini di un luogo desolato e privo di vita. Erano i ricordi di Ogard.
« Dove si trovano? » domandai confusa.
« A nord » rispose Menfys, prendendo la Mappa di Danases; la aprì e la srotolò, mostrandomela « Vicino alla Catena Nordica » e indicò delle montagne a Nord, vicino al Mare Infinito, poi disse « Prima le Rovine del Drago erano un luogo dove i draghi si riunivano per i Grandi Consigli ».
« E poi? Cos’è successo? » domandai ancora.
Dell’espressione cupa che assunse Menfys intuii la risposta, prima che Mavina potesse rispondere, in tono grave:
« Gli elfi l’hanno distrutta durante un attacco ».
« Quel giorno sono morti così tanti draghi che quel luogo è considerato maledetto… Gli elfi distrussero anche tutte le uova che riuscirono a trovare » continuò Ogard e mentre parlava, nella mia mente, vidi immagini di uova infrante.
« Che cosa ci facevi, in quel luogo? » domandò all’improvviso Mavina a Tanasir.
Lui sospirò, tornando a guardare nuovamente Wisp, poi replicò: « Io ero là, quella sera d’inverno, quando gli elfi attaccarono le rovine ».
La mappa di Danases cadde a terra e Menfys trasalì, portandosi un braccio al petto come se si fosse scottato: Ogard aveva sbattuto la coda a terra, furioso.
« Quante uova hai distrutto, traditore? » .
A quel feroce grido mentale, la testa iniziò a pulsarmi orribilmente. Portai le mani alle tempie. Sobbalzai quando gli occhi di Wisp si aprirono, rivelando un’iride verde brillante. Sentivo la rabbia emanare da Ogard, a ondate. Era davvero furioso.
Wisp si liberò dalle mani di Tanasir, poggiandosi a terra con grazia, poi ringhiò contro Ogard: « Sarebbe immensamente stupito unire il proprio destino a un traditore, non trovi? ».
Pigiai forte sulle tempie. Sentivo la testa scoppiare a causa di tutte quelle grida mentali. Daelyshia ringhiò piano il suo disappunto contro Tanasir. 
« Smettetela… » mormorai. 
Menfys e Tanasir furono contagiati dalla rabbia dei loro draghi e balzarono in piedi, guardandosi in cagnesco. Mavina si ritrasse verso di me, spaventata.
« Adesso basta! » urlai furiosa e un silenzio gelido scese tra noi « State litigando per una cosa che è successa molto tempo fa! Smettila! » e lanciai un’occhiataccia a Ogard, che cercava di interrompermi, sgridandolo: « Wisp ha ragione, Ogard, e proprio tu, che ti sei legato a un elfo, dovresti saperlo! » sorpresa, vidi Menfys annuire e continuai: « Quello che è stato è stato, non serve rinfacciare a Tanasir il passato ».
« Parli in modo molto saggio » osservò Tanasir, guardandomi intensamente, poi all’improvviso i suoi occhi si fecero velati e divenne nuovamente pensieroso.
Chissà quali remoti ricordi animavano i suoi pensieri.
Cercai di alzarmi, ma sentii la testa girare per un attimo e impallidii dal dolore. Daelyshia sibilò piano, infastidita. La fronte di Menfys si aggrottò nuovamente, formando un solco.
« Sto bene » mentii ancora. Non mi piaceva continuare a fingere però non volevo che gli altri si preoccupassero troppo. Cercai di assumere un’espressione meno sofferente, tuttavia mi dovetti sedere.
« Dovresti riposare, Elien. Partiremo domani » mi disse Daelyshia.
Scossi la testa, ribattendo: « Non possiamo perdere altro tempo ».
Daelyshia roteò gli occhi ed io digrignai i denti.
Mavina si accostò a me, lanciando un profondo sguardo a Menfys, che annuì. Non feci in tempo a chiedere cosa avessero in mente che un lento mormorio entrò nelle mie orecchie, e la mia mente si svuotò. Scivolai a terra, sdraiandomi, e non feci resistenza contro le palpebre pesanti. Chiusi gli occhi, scivolando nel sonno, accompagnata dalla dolce nenia mormorata da Mavina.
Al mio risveglio mi sentivo piena di energia, senza neanche l’ombra della stanchezza.
Era mattina inoltrata.
Non capii il motivo di un’impulsiva rabbia che montava fino a quando non lessi i pensieri di Daelyshia.
Avevo dormito un giorno?
Avevamo perso un altro giorno di viaggio?
Il pensiero di una lenta melodia mi fece ricordare.
Mi girai furiosa verso gli altri che mi stavano aspettando, seduti a terra, confabulando tra loro. Ringhiai un avvertimento e Daelyshia ridacchiò tra i denti. Menfys alzò lo sguardo e io lo guardai, infuriata, incrociando le braccia al petto e sporgendo in fuori il labbro inferiore. 

« Mi avete fatto un incantesimo! » esclamai indignata.
Daelyshia ridacchiò più forte.
« Eri così stanca che neanche ti saresti accorta del ruggito di un drago ». 
Imbronciata, scossi la testa e Menfys sorrise. Probabilmente, ai suoi occhi, sembravo una bambina capricciosa, ma continuai contrariata: « Sono abbastanza forte. Non ce n’era bisogno ». Tanasir mi osservava silenzioso. Non m’importava cosa stesse pensando di me.
Irritata, mi sporsi verso Menfys: « Non farlo mai più! ». 
Mavina rise. 
«Sei così testarda» replicò Menfys. 

Non mi ascoltavano. Non capivano che così avevamo solo perso tempo. Però, riflettei, in quelle condizioni, non sarei stata capace di viaggiare.
« Va bene… » sospirai, arrendendomi « Ma non fatelo più! » ripetei, anche se sapevo che non avrebbero mantenuto la parola.

 

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Capitolo 7
*** La città della Terra ***


7. La città della Terra






Viaggiammo verso nord-est, allontanandoci dal Mare Infinito che ben presto diventò la sottile linea che segnava l’orizzonte.
Ormai erano diverse settimane che eravamo in cammino per raggiungere gli elfi della Terra e il paesaggio era cambiato nuovamente: dalla dorata spiaggia era diventato desolato, brullo e pieno di bruciature. Non incontrammo più nessun elfo e il sentiero si perse nel terreno pietroso.

Il cielo si mantenne limpido e soleggiato finché, mentre camminavamo nella landa solitaria che ci separava da Aessina, la città della Terra, si oscurò di nuvole nere e piovve per più di cinque giorni. Il cielo nero era illuminato solo dai lampi e per tutto il paesaggio rimbombavano i tuoni.
Menfys m’insegnò a creare uno scudo d’aria per ripararmi dalla fredda pioggia ma a volte non ero abbastanza concentrata e mi ritrovavo zuppa dalla testa a piedi. Daelyshia e gli altri due draghi non avevano problemi: la pioggia scivolava sulle loro squame impermeabili.
Mentre camminavo a testa bassa, cercando di tenere alto lo scudo, un improvviso scintillio attirò la mia attenzione. Strizzai gli occhi, cercando di vedere oltre la cortina di pioggia che rendeva sfocato tutto quello che avevo attorno.  
« Guardate là! » avvertii gli altri.  
Ogard, preoccupato, seguì il mio sguardo e poi sospirò, guardando quello strano scintillio: « È solamente Castello Argento ».
Sentii un tuffo al cuore mentre guardavo quel puntino lontano attraverso la pioggia.
Castello Argento è dove, per secoli, avevano vissuto re e regine di Danases.
Quella era la mia casa. Quella in cui avevo vissuto insieme a mia madre, prima dell’incidente. Sospirai e l’incantesimo svanì.
Per tutte le lune di Danases! Avevo perso la concentrazione ancora una volta.
Sentii la poggia sbattere contro il mio viso, come una frusta. Era gelata. Sentii il freddo penetrarmi nelle ossa. Iniziai a battere i denti e Daelyshia, quando avvertì il mio disagio, guardò Menfys, che mi lanciò un’occhiata allarmata e mi fece entrare all'interno del suo scudo.
Tanasir mi fece un incantesimo per asciugare i vestiti congelati ma non riuscivo più a togliermi di dosso quella sensazione di gelo.
La sera smise di piovere però il forte vento continuò a spirare forte da nord. Non riuscivo a smettere di battere i denti. Quando ci accampammo per la notte vicino una duna che ci riparava in parte dalla tramontana, Daelyshia mi fece sdraiare accanto a lei per riscaldarmi con il caldo ventre, ma tutto ciò servì a poco: continuavo a tremare.
« Non riesco a scaldarla » disse Daelyshia, preoccupata.
« Ci penso io » mormorò una voce.
Non mi accorsi di Menfys, finché non lo sentii accanto a me. Si era sdraiato vicino e cercava di scaldarmi. Sentii un forte calore emanare dal suo corpo, troppo forte per un elfo.
« Ch-che co-cosa hai f-f-fatto? ».
Non riuscivo neanche a parlare. Cercai di non mordermi la lingua con tutto quel tremore. Non avevo mai sentito così freddo in tutta la mia vita. Nemmeno quell’inverno, quando ero ancora piccola e, per sbaglio, ero caduta nel fiume ghiacciato della foresta di Elwyn.  
« È un incantesimo » rispose Menfys.
Mi sentivo così male che anche il mio cuore sembrava essersi congelato. Quella vicinanza avrebbe dovuto mettermi in imbarazzo, invece poggiai le mani fredde sul suo petto caldo e mi rannicchiai contro di lui. Lo sentii rabbrividire quando il mio respiro tagliente lo sfiorò.
« Va meglio? » chiese.  
«G-gra-grazie» mormorai, cercando di non tremare e di lottare contro il sonno « No-non so-sono an-ancora m-m-molto brava c-co-con la ma-magia».  
Menfys rabbrividì ancora.
« Era un incantesimo difficile »
« S-s-scu-scusa » sbadigliai.
« Non importa » rispose « Adesso dormi ».  
Seguii il suo consiglio. Mi sentivo meglio nel suo abbraccio infuocato. Chiusi gli occhi e lasciai che il suo respiro caldo mi cullasse nel sonno.  



Dopo due giorni la tempesta finì e il vento scacciò verso Nord le ultime nuvole che oscuravano il cielo. I due soli asciugarono la terra con il loro calore e il fango in cui affondavano i nostri stivali, squittendo e rallentandoci il passo, sparì. I morbidi prati verdeggianti, bagnati dalla rugiada del mattino, sostituirono il terreno brullo. Mentre proseguivamo il viaggio, l’erba dei prati cresceva fino ad arrivarci alle ginocchia. I lunghi steli d’erba, che ondeggiavano al vento, producevano un leggero fruscio e spargevano nell’aria il loro dolce profumo, inebriante.
Tanasir diceva che era un buon segno, significava che ci stavamo avvicinando alla foresta dove vivevano gli elfi della Terra.
Incontrammo il fiume Rusck che, andando verso ovest, si divideva nel fiume Feralas, che attraversava la foresta di Elwyn, la mia foresta. Lo guardai curvare pigramente, scorrendo via insieme alla mia nostalgia. Noi, invece, lo seguimmo nella direzione inversa, dove sfociava nel lago Dolciacque. Dall’altra parte del lago si univa al fiume Vreej, che entrava nella foresta Nastia, dove eravamo diretti.

Al tramonto ci accampammo ai margini della foresta per prepararci alla notte. Wisp e Ogard catturarono un cervo e Mavina arrostì la sua carne sul fuoco. Dopo mangiato Tanasir e Menfys si sfidarono a combattere con le spade.
Li guardai, mentre si muovevano sinuosi, facendo roteare le spade. Ancora una volta pensai che non sarei mai riuscita a eguagliare la loro grazia. Il mio corpo mezzo umano rendeva i miei movimenti più lenti, quasi goffi, in confronto pure ad una semplice camminata elfica. Tutti i miei sensi erano meno sensibili, in confronto a quelli degli elfi.
Era davvero ingiusto essere così… mediocre.

Daelyshia mi lanciò un’occhiataccia e Mavina osservò la mia espressione.
« È così brutto? » chiese, avvicinandosi e sedendosi accanto a me.
« Cosa? » domandai confusa, senza voltarmi a guardarla.
« Essere se stessi » precisò, sentivo i suoi intensi occhi castani su di me. Continuai a guardare Tanasir e Menfys. Avevano rallentato impercettibilmente i loro fluidi movimenti e mi stavano ascoltando con le loro sensibili orecchie. Annuii.
« Sei molto simile a noi » osservò Mavina.
Sapevo che con “noi” intendeva gli Elfi.

« Sono molto diversa da voi » precisai invece.
Menfys si girò a guardarmi di scatto, facendosi disarmare da Tanasir e Ogard ridacchiò. Lanciò un'occhiataccia al suo drago e poi incontrò nuovamente i miei occhi, pensieroso.  

« Diversa » ripetei, ricambiando il suo sguardo.
« Speciale » ribatté Mavina.
« Non unica? » domandò curiosa Daelyshia nella mia mente ed io mi girai finalmente a guardare Mavina.
Il suo volto era illuminato dalla fiamma del fuoco e i suoi capelli castani alla fioca luce sembravano essere ramati.
« Pensavo dicessi unica » dissi, facendo eco al pensiero di Daelyshia.
Menfys e Tanasir si sedettero accanto a noi, silenziosi.
Mavina ridacchiò alle mie parole e scosse la testa, con i boccoli che le rimbalzarono attorno al volto: « No, non unica ».  
« Vuoi dire che c’è stato qualcun altro come me? » domandai sorpresa. Non sapevo che esistessero altri mezzi elfi.
« Sì » rispose Mavina « Ci sono stati altri tre mezz’elfi nella storia di Danases» rimase silenziosa per un attimo, i suoi occhi velati, poi tornò a guardarmi e sfoderò un sorrisetto: « Ma nessuno legato ad un drago, quindi sei speciale » concluse, soddisfatta di avere ragione.
« Certo, io l’ho sempre saputo che era speciale! » affermò accorata Daelyshia e mi sentii arrossire alle sue parole.
« E che fine fecero gli altri mezz’elfi? Restarono a vivere a Danases? ».  
Menfys e Ogard si scambiarono uno sguardo veloce.  
« No » disse Menfys, piano.
« E…? » insistetti.  
« Due trovarono il loro posto tra gli umani » rispose Mavina « Solo uno rimase a vivere a Danases, senza trovare un compagno ».  
« Mi stai dicendo che se vivrò a Danases, resterò… sola? »  domandai, indagando le sue parole.
Daelyshia ringhiò, indignata, ed entrò a forza nei miei pensieri, escludendo gli altri.
« Tu non sarai mai sola. Io sarò con te, sempre! ».
Le sorrisi, abbracciandola e carezzandole il collo facendo attenzione alle punte acuminate.
« Lo so » le mormorai.

Wisp e Tanasir si scambiarono un’occhiata, Menfys mosse di scatto la testa, come per scacciare un pensiero molesto, e Mavina dilatò gli occhi, confusa e stupita.
« Non volevo dire questo… » mormorò, dispiaciuta.
Il brusco movimento di Ogard interruppe il suo bisbiglio. Menfys si portò le mani al petto, con una smorfia di dolore, e il drago fece scattare la coda e balzò in piedi. Si portò le zampe sul muso.
« Ogard, che cosa...? » cercò di domandare Menfys, ma fu interrotto da un portentoso starnuto.
I draghi starnutivano?
Guardai, stupita, Daelyshia, che a sua volta guardava Ogard, affascinata.

Ogard continuò a starnutire, sotto lo sguardo stupefatto di tutti, finché dalle sue narici cominciò a uscire un filo di fumo nero. Menfys si accorse dello sguardo di Daelyshia e capì.
« Per tutti i draghi di Danases! » esclamò all’improvviso, chinandosi a terra « State giù! ».
Tutti seguirono il suo consiglio, appena in tempo per evitare una poderosa fiammata di fuoco azzurro, che eruttò dalle fauci di Ogard.
Per poco non colpì Mavina, che indignata e spaventata urlò:
« Per tutte le magiche lune… Ogard! Fa più attenzione! ».   
Scoppiai a ridere, vedendo l’espressione dell’elfa.
Ogard, dispiaciuto, cercava di scusarsi con una Mavina, furiosa, dai capelli ancora fumanti.
Tanasir e Wisp risero insieme a me.
« Finalmente ce l’hai fatta! » esclamò Menfys, dando una pacca al suo drago.
« Come facevi a sapere che avrebbe eruttato del fuoco? » domandai, curiosa.
« I draghi non starnutiscono mai, solo nel giorno della Fiammata, quando per la prima volta sputano fuoco » spiegò Ogard, rispondendo al posto di Menfys.
« È una cosa innata, prima o poi ogni drago deve farlo. Il colore della fiammata può variare, dipende dal drago e dalla colorazione delle sue squame » aggiunse Daelyshia, e intuii che doveva averglielo spiegato Ogard.
Ecco il motivo della sua espressione affascinata agli starnuti di Ogard. Sentii i suoi pensieri rabbiosi, perché avrebbe dovuto aspettare ancora prima di sputare fuoco anche lei e ridacchiai.



La mattina successiva, quando il sole batteva già alto nel cielo, c’inoltrammo nella foresta incantata di Nastia, seguendo Tanasir che sapeva perfettamente la strada per arrivare alla città degli elfi della Terra. La sua città.
Il vento sussurrava tra gli alberi millenari della foresta, che avevano dalle chiome molto fitte, da cui filtrava poca luce, e man mano il sentiero che seguivamo si oscurò sempre di più. Quando sembrò che il giorno fosse diventato notte, gli alberi cominciarono a diradarsi e la foresta iniziò ad aprirsi consentendo alla luce di illuminare un’enorme radura.
Tanasir si fermò, all’improvviso, e si girò verso i tre draghi: « Ogard, Daelyshia prendetevi cura di Wisp… andando verso Nord troverete una piccola radura, dove potrete aspettarci » spiegò indicando loro la direzione, poi disse: « Presa la Pietra della Terra, verremo a riprendervi ».  
Come ogni volta, Daelyshia e Ogard non partirono rassegnati e questa volta furono accompagnati dalle ovazioni di Wisp.
« State attenti! » mi raccomandai, come al solito, quando, finalmente, i draghi partirono alla volta della piccola radura indicata da Tanasir.

Riprendemmo il cammino, senza i draghi, fino a quando un improvviso fruscio ci fece fermare. Mi guardai intorno, preoccupata: dalla natura selvaggia, affianco al sentiero quasi cancellato, provenivano dei rapidi movimenti.
Un improvviso scalpitare di zoccoli fece sussultare tutti quanti e davanti a noi comparirono creature magnifiche, dalle lunghe barbe che ondeggiavano sul torso di uomo. Non avevo mai visto un fauno in carne ed ossa, ma erano esattamente come me li ero immaginati dai racconti dei Centauri. Sentii una piccola fitta di nostalgia al pensiero di Cadea.

Tanasir emise un sospiro di sollievo.  
« Buona sera Fabjl, come va? ».
Un fauno, con la barba bianca e con in mano un arco, si avvicinò per stringere la mano all’elfo.
« Buonasera, Tanasir, è da tanto che non ti si vede da queste parti… » rispose Fabjl con voce profonda « Amici tuoi? » domandò indicandoci con un dito affusolato.
Mavina indietreggiò di un passo, come se avesse paura. Forse essendo un’elfa dell’Acqua non era molto affine a quelle creature, così vicine alla terra.
« Oh, sì… ti presento Menfys, Mavina e questa… è Elien » disse Tanasir, poi rivolto a noi: « Questo è Fabjl. È un Fauno » aggiunse, come se ce ne fosse bisogno.

«Piacere» fece Menfys, nervoso, stringendo la mano a Fabjl.
Tanasir mi fece un cenno d’incitamento e intimorita, osservai il fauno prima di chinare il capo in segno di saluto.
« Una mezz’elfa » notò Fabjl, per niente sorpreso « Sapevo che ti avremmo incontrato, i centauri ci hanno parlato di te ».
« Oh! » esclamai, presa alla sprovvista.
Chissà cosa gli avevano raccontato di me, Cadea e Duril.

Fabjl continuò a guardarmi: « Il tuo ritorno qui, dovrebbe preannunciare finalmente l’armonia ».
Più che una domanda sembrava un'affermazione.

La mia risposta più intelligente fu di rimanere a bocca aperta.
Non ebbi nemmeno il tempo di dire qualcosa che i fauni partirono al trotto e sparirono nel buio della foresta, lasciandomi confusa.

Tanasir disse, sorridendo: « Lasciate perdere, i fauni, come i centauri, avranno anche un’intelligenza superiore alla nostra, ma per me sono tutti un po’ suonati ».
L’eco della risata di Wisp entrò nelle nostre menti e si spense. Tanasir ridacchiò.  
« Quanti fauni ci sono nella foresta? » chiese Menfys.
« Mmm… e chi lo sa! Ce ne sono parecchi… Sono tipi solitari, raramente s’incontrano e non vengono quasi mai vicino alle nostre città ».   
All’improvviso sentii delle voci concitate alzarsi sopra di noi. Guardai in alto e vidi due scoiattoli.
« Ralei, dove hai nascosto la ghianda? » inveì arrabbiato lo scoiattolo dalla coda con la punta nera.
« Non ricordo, davvero! » rispose l’altro, contrito, mentre teneva una ghianda dietro la schiena.
Pensai subito al mio amico scogliattolo che avevo lasciato nella foresta di Elwyn.
Forse loro conoscevano Abiremil, e avrebbero potuto portare mie notizie a lui e ai centauri.
« Ehi, voi due! » feci avvicinandomi al loro ramo.
Sentii gli sguardi curiosi degli altri su di me.

I due scoiattoli si voltarono verso di me e quello con la ghianda in mano la lasciò cadere. La presi al volo e lo scoiattolo dalla coda nera diede uno scappellotto all’altro.
« E cosi non sapevi dov’era la ghianda, vero Ralei? ».
Ridacchiai e glila diedi facendola volare fino al ramo con la magia, poi domandai: « Conoscete per caso uno scoiattolo di nome Abiremil, che vive nella foresta di Elwyn?».
Ralei s’illuminò: « Sì, io lo conosco! ».
« Potresti portargli delle notizie? ».  
Annuì e poi chiese: « Che genere di notizie? ».
« Digli che Elien si trova vicino ad Aessina, e di riferire tutto ai centauri ».  
I due scoiattoli chinarono il loro piccolo capo e si dileguarono fra le foglie degli alberi.


Quando, dopo ore di cammino – che mi sembrarono infinite – la foresta si allargò nuovamente, i due soli stavano tramontando all’orizzonte e una luce rosata illuminava la città degli elfi della Terra, che si estendeva davanti a noi.
« Benvenuti ad Aessina! » esclamò Tanasir, felice di essere tornato nel suo paese natale.
Osservai, meravigliata, che ogni casa di Aessina non era semplicemente appoggiata agli alberi, ma era incastonata tra due o più alberi, come un loro ramo che li congiunge insieme, e a ognuna era appesa, vicino alla porta, una lanterna con delle fiammelle rosse. Le strade che percorrevano la città erano tracciate da pedali di rose bianche, rosse e rosa, oppure da candide piume di cigno, che osservai con orrore.
« Non è stato ucciso nessun animale » mi tranquillizzò Tanasir, quando contestai di animali uccisi e torturati « Sono le piume che hanno perso gli animali nella foresta… le abbiamo semplicemente raccolte da terra ».
C’inoltrammo nel centro della città e io osservai tristemente un gruppo di piccoli elfi che giocavano felici, inconsapevoli della guerra, mentre i genitori li controllavano preoccupati.
Tanasir ci guidò ai confini, dove c’era una casalbero gigantesca, che sovrastava tutte le altre.
« Ecco il palazzo del Grande Saggio » disse quando ci trovammo nell’ombra dell’enorme portone di quercia, che si aprì lentamente, scricchiolando.
Varcammo la soglia e notai, ancora una volta, che il palazzo – come quello di Tedrasys e Raducis – era pieno di elfi della Terra che correvano dalla stanza all’altra. Erano tutti indaffarati a portare notizie sulla guerra contro i draghi, o a discutere alleanze e confini della foresta.
Distratta dalla bellezza del castello, feci un passo avanti e fui travolta da un gruppo di elfi che parlavano dell’intervento dei fauni nella guerra contro i draghi.
« Come se ci dessero ascolto! Adesso avremmo già trovato un accordo! » esclamò un giovane elfo che inciampò su di me che, prima che Menfys mi trascinasse via, gli urlai contro: « Oh, ma che modi! ».
Tanasir ci guidò verso una porta del primo piano, dal legno dorato, e bussò una volta, poi due, poi tre: l’ingresso si aprì.
Entrammo in una stanza a semicerchio con il soffitto ricoperto di piante rampicanti, che in alcune parti scendevano fino a terra, come liane, queste però erano piene di allegri, piccoli fiori gialli che spargevano il loro dolce profumo. La luce entrava da un’unica finestra, molto grande, dove filtravano i rosati raggi dei soli al tramonto, che andavano a finire sul pavimento di legno chiaro, facendolo risplendere.
Vicino alla finestra, che copriva una parte del muro legnoso, c’era un’enorme libreria, piena di testi antichi e impolverati, che assomigliava a quella del Grande Saggio a Tedrasys. In un angolo della stanza ardeva un magico fuoco azzurro, da cui usciva un fumo dall’odore dolciastro, che doveva piacere molto ai fiori piantati nel legno accanto al fuocherello, perché danzavano felici. Erano davvero strani. L’aria era molto calda, per Mavina (che, da come avevamo intuito, non era molto affine ai poteri della Terra) forse anche troppo, perché aveva iniziato a sudare e si faceva aria con la sua piccola sciarpa azzurra per asciugare le goccioline che le rigavano la fronte. La sentii sbuffare.

Le liane si mossero e comparve il Grande Saggio.
Era un elfo della Terra molto anziano, dagli occhi del tutto argentati e i lunghi capelli bianchi. Non aveva la barba come gli altri saggi bensì dei lunghi baffi dello stesso candido colore dei capelli. Era molto alto, così che la stanza sembrava rimpicciolire sotto la sua saggia aura. Indossava una tunica: era blu scuro come il colore dello zaffiro.

« Tanasir bentornato! » tuonò una voce, cadenzata da una R rantolata.
Il Saggio andò verso l’elfo, lo abbracciò, poi si girò verso di me, Menfys e Mavina, facendo un inchino così profondo che i lunghi baffi toccarono il pavimento.  

« Benvenuta altezza, benvenuto Menfys e benvenuta elfa dell’Acqua, io mi chiamo Dun Tarien e sono il primo degli elfi della Terra… » all’improvviso un rumore invase la stanza, come un potente trillo.
Il volto del Grande Saggio si oscurò. Cattivo segno.
« Ora non possiamo parlare, io sono impegnato altrove, e voi dovete riposare. Tanasir, accompagnali nelle casalberi vicino al palazzo ».
Uscimmo di fretta dalla stanza, spinti dal Grande Saggio che si precipitò fuori dal palazzo e con una velocità che non avrei mai attribuito alla sua anziana figura, scomparve correndo tra le vie della città.
« Che c’è? » domandò ansiosa Mavina, mentre gli elfi della Terra, all’ascolto del forte trillo che risuonava tra le abitazioni, presero i bambini e si chiusero nelle loro case, sbarrando le finestre.
Tanasir scrollò le spalle, confuso, e ci condusse dietro il palazzalbero, dove c’erano tanti altri bassi alberi e, incastonate fra i loro rami, delle piccole casette. Mi avvicinai alla prima casalbero e mentre stavo entrando, il trillo finì e vidi Tanasir sfrecciare via, borbottando qualcosa che non capii a Menfys.
L’interno della casa era in penombra e scorsi un giaciglio di foglie morbide. Esausta, feci per sdraiarmi sul letto (finalmente uno vero, dopo tanto tempo!), quando un improvviso rumore, fortissimo, fece tremare la terra e battere i miei denti. Mi raggomitolai, spaventata, e nella mia mente intuii che la mia grande paura l’aveva percepita anche Daelyshia. Ci fu un altro scoppio e senza volerlo urlai terrorizzata.
Che cosa stava succedendo?   
« Elien! » Menfys mi chiamò.  
La porta si spalancò e una figura entrò nella casalbero. Ci fu un altro scoppio e la terra tremò di nuovo. Menfys si avvicinò, incespicando e inciampando, fino al letto.
« Ti ho sentito urlare. Stai bene? ».
« Menfys, che cosa sta succedendo!? » esclamai, portando le mani alle orecchie, per coprire lo spaventoso rumore.
« I draghi stanno attaccando la città » urlò Menfys, sovrastando il rumore. Si sedette vicino a me, dicendo: « Il Grande Saggio voleva il nostro aiuto, e gli ho dovuto dire la verità ».  
« Quale verità? » chiesi confusa, mentre la terra iniziava nuovamente a tremare.
« Che ci siamo legati a dei draghi e che non potevamo combattere contro la loro stessa razza » poi aggrottò le sopracciglia, continuando: « Adesso Tanasir è con lui… ».  
Uno scoppio più forte degli altri sovrastò le sue parole e urlai di nuovo, spaventata: « Che cosa stanno facendo? ».  
« Non lo so, ma qui siamo al sicuro » mi rassicurò Menfys, passandomi un braccio attorno alle spalle per tranquillizzarmi « Il Grande Saggio ha imposto personalmente degli incantesimi di protezione ».
Restammo in silenzio ad ascoltare gli scoppi, che facevano tremare la città. Speravo che gli elfi non facessero del male ai Draghi, e che Daelyshia, Ogard e Wisp fossero al sicuro…
« Menfys? » dissi, ricordandomi all’improvviso della mia curiosità. Cercavo di distrarmi, non volevo pensare che a Daelyshia fosse successo qualcosa.
« Sì? ».  
« Quanti anni hai? ».
Non rispondeva. Alzai lo sguardo e notai che mi guardava, un filo di frustrazione velava i suoi occhi. Forse si vergognava a rivelare la sua verità, però attesi curiosa.  
« Abbastanza… » rispose infine, vago.
« Abbastanza? » lo esortai, indiscreta.
Distolse lo sguardo: « Abbastanza da crescere insieme a tua madre e vederti nascere ».  
Sgranai gli occhi.
Mi aveva vista nascere?  

« Conoscevi mia madre? » chiesi sorpresa anche se già pensavo che Menfys avesse quasi un secolo.
« Sì » continuava a guardare il muro, evitando il mio sguardo.
« E questo ti disturba? ».  
Si girò a guardarmi sorpreso e sospettoso: « Cosa? ».  
« Aver conosciuto mia madre ».  
Mi guardò per un attimo e poi scoppiò a ridere, nuovamente rilassato, come sempre: « No! ».
Un altro scoppio illuminò il cielo oscuro e mi dimenticai di cosa stavamo parlando. L’ansia e la paura ripresero il sopravvento tra le mie emozioni. Strinsi la mano di Menfys – trovandola stranamente calda – e urlai per sovrastare un altro scoppio: « Grazie di essere qui ».
La terra tremò di nuovo. Mi strinsi al suo petto e rimanemmo immobili ad ascoltare i boati che scuotevano la città.





 

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Capitolo 8
*** Il sogno ***


8. Il sogno



Correvo in un prato di ginestre, bagnato dalla tenue luce delle tre lune. Il vento mi muoveva i capelli e faceva ondeggiare i fiori come se stessero danzando gioiosamente.
Il loro dolce profumo m’inebriava.
Era un posto bellissimo, non ne avevo mai visti di così meravigliosi in tutta la Danases che ricordavo.
Continuai a correre finché una figura non mi si parò davanti e osservai i suoi occhi verdi e il suo volto illuminato dalla luce argentata.
Menfys mi sorrise porgendomi una mano e allungai la mia cercando di raggiungerlo, ma una voce musicale mi chiamò per nome, fermandomi.
« Elien ».
Menfys e il prato frusciante scomparvero all’improvviso e mi ritrovai in un luogo nero come la pece. Cercai di uscire da lì, però non riuscii a muovermi.
« Elien ».
Una luce si muoveva verso di me chiamandomi e avvicinandosi, si fece sempre più intensa finché mi ritrovai davanti a un’elfa dall’elegante portamento che indossava un ampio vestito rosso dai ricami dorati. Aveva in mano una lampada che illuminava il buio circostante e notai che era circondata da piccole soffici nuvole bianche. Era quella la luce che avevo visto all’inizio.
« Madre? » sussurrai, scrutando il suo volto e i suoi occhi, che avevano lo stesso colore del mio occhio azzurro.
Il suo sguardo era dolce, come lo ricordavo.
Quello era l’unico ricordo che avevo di lei.
Il resto del corpo sembrava trasparente, come se stesse per sparire.
« Sì, Elien » rispose l’elfa con una voce musicale, poggiando una mano sulla mia.
« Siamo in un sogno? ». 
« Sì ». 
« Mi manchi tanto! » esclamai, abbracciandola, mentre mi accarezzava con il suo tocco leggero i capelli.
Riuscii a sentire il suo calore e il suo dolce profumo di fiori quando si mosse. Forse era per quello che prima avevo sognato le ginestre, mi ricordavano lei.
« È così la vita, Elien ». 
« Ma tu non dovevi morire » affermai, staccandomi da lei e guardando i suoi occhi. Era così bello osservare il suo viso, dopo tutto questo tempo, anche se era solo un sogno.
Da quando era morta non avevo fatto altro che pensare al piccolo drago che la mia magia aveva ucciso.
Abbassai lo sguardo e mormorai: « È stata colpa mia ». 
« No, Elien » mi posò la mano sulla guancia, costringendomi a guardare di nuovo il suo volto. 
« Tutti devono morire, è solo che non saprai mai come, quando e dove finché non sarà il momento » sospirò e si guardò intorno, facendo ondeggiare la strana lanterna che aveva in mano, poi mi disse: « Non ho molto tempo… adesso fai apparire la corona ».
Mi concentrai e la corona comparve sulle mie mani.
« Non so dove sia la Pietra dell’Acqua, solo adesso mi ricordo che l’avevo presa» farfugliai confusa, rovistando nella tasca dei pantaloni e trovando una piccola pietra rotonda del colore del mare.
La esaminai alla luce della lampada.
Mi ero dimenticata di averla, non avevo voluto ripensare al Guardiano.
« Ora inseriscila nel primo buco, a sinistra ». 
Feci come aveva detto Raene.
Chiusi gli occhi e introdussi la pietra nella corona: all’improvviso, nelle mie orecchie, esplose lo scrosciare di una cascata, per poi trasformarsi nel ticchettio della pioggia che scende dal cielo e bagna con dolcezza la verde terra di Danases, poi sentii il rumore delle onde del Mare Infinito che s’infrangono contro la spiaggia dorata e l’odore dell’acqua salata mi riempì le narici. Gli uccelli del mare stridettero…
Aprii gli occhi di scatto e vidi che la corona era tornata dentro di me, ma mia madre non c’era più e la luce della lanterna si stava allontanando.
« Madre! Aspetta! » cercai di seguirla però ancora una volta mi ritrovai immobilizzata.
« Segui la Kizara. Segui la fata della Natura » disse l’eco di una voce lontana « Svegliati ».


Mi svegliai ansante e mi sedetti di scatto sul letto.
Tutto era immobile e silenzioso.
Menfys era ancora accanto a me, e dormiva russando, senza accorgersi del mio scatto. Mugugnò, ma non si svegliò nemmeno quando sobbalzai, sorpresa. Davanti a me c’era un piccolo esserino verde, dalle ali rosa e dai contorni trasparenti: una Kizara.
Era davvero una strana creatura. Notai che richiamava a sé il potedre ella natura, la quale seguendola, aveva già iniziato a invadere la casalbero con rampicanti e fiori di ogni genere. Lo spiritello verde, appena mi vide sveglia, mi fece la linguaccia e mi tirò una ciocca di capelli per farmi alzare, poi mi fece segno di seguirla.
Diedi un’ultima occhiata a Menfys, prima di uscire, domandandomi perché l’avessi sognato. Mi strinsi le spalle: sicuro perchè si trovava accanto a me.
Quando la Kizara uscì dalla stanza le piante scomparvero e ci seguirono dentro la foresta, dove mi stava portando il piccolo spiritello sbattendo velocemente le ali rosa.
« Dove stiamo andando? » chiesi, però la fatina si girò e mi fece segno di stare zitta, poi mi fece un’altra linguaccia a cui, infastidita, risposi.
D’un tratto la foresta si diradò, e vidi decine, o forse centinaia, di Kizare che danzavano intorno a un enorme falò azzurro. Anche lo spiritello che mi accompagnava, con un battito di ali, si unì alle compagne, danzando aggraziata.
Per un attimo rimasi immobile e incerta, osservando l’ipnotica danza delle Kizare.
Perché mi avevano portato lì?
All’improvviso il fuoco azzurro si alzò fino al cielo e comparve una donna alta quanto me.
Era bellissima: aveva la pelle verde scuro, come la foresta; lineamenti affusolati e lunghi capelli, che sembravano fatti di erba, e poggiata sulla testa aveva una coroncina di piccoli fiori rosa. Portava un vestito che era fatto di fili d’erba e di piccole foglie arancioni. 
« Benvenuta Elien, figlia della discendenza di Rugiada ».
Mi stupii molto a sentirla parlare, perché quella bellissima creatura non aveva la bocca e neanche il naso. L’unica cosa che si vedeva sul suo viso erano gli occhi, grandi e lucenti, con lunghissime ciglia argentate.
« Io sono Madre Natura, lo spirito elementare che su questo mondo ha creato e protegge la natura, come ho potuto osservare…» 
« Osservare? » la interruppi curiosa.
« …Grazie alla mia magia. Guarda le mie mani ».
Madre Natura congiunse le mani, dalle lunghissime unghie violette, e poi le allargò. Tra le sue affusolate dita, comparve una strana nebbiolina bianca, dove iniziarono a succedersi delle immagini. Vidi Daelyshia, Ogard e Wisp che dormivano in una radura, poi l’immagine cambiò e apparve Tanasir che fissava il soffitto della sua casalbero, inquieto, senza riuscire a dormire. Capii che stava pensando a Wisp. Infine apparve Menfys che continuava a dormire, indisturbato. Senza volerlo sorrisi, quando sbuffò.
« Posso vedere il presente. Cose che stanno accadendo » Madre Natura s’interruppe pensierosa. Ricongiunse le mani e l’immagine di Menfys sparì senza lasciare traccia. Lo spirito riprese a parlare, come se non fosse stato mai interrotto: «Come ho potuto osservare, Madre Marea, lo Spirito Elementare che ha creato e protegge l’acqua non ti ha reso il suo aiuto » disse con voce un po’ malinconica.
« Perché? » chiesi, indispettita.
Forse ci avrebbe evitato l’incontro con il Guardiano dell’Acqua.
« Madre Marea crede che tu debba essere all’altezza del compito da sola, per dimostrare che sei veramente degna di diventare regina di Danases » poi Madre Natura tese una mano chiusa a pugno verso di me, dicendo: « Tieni, questo è per te ».
La mano si aprì e presi un piccolo oggetto. Lo rigirai tra le mani osservandolo: sembrava un piccolo sasso argentato.
« Che cos’è? ». 
« Ti aiuterà nel momento del bisogno… ».
Un urlo, improvvisamente, irruppe nella foresta: « Elien, dove sei? ». 
« I tuoi amici ti stanno cercando ». 
« Grazie, Madre Natura » la ringraziai, mettendo il piccolo sasso in tasca.
Madre Natura chinò il capo.
« Racconterò ai miei amici di questo incontro? ».
« Solo se tu lo vorrai » rispose lo spirito « I tuoi amici saranno qui a momenti. La prossima volta che ti vedrò, spero che sarà il giorno della tua incoronazione! » detto questo Madre Natura e le Kizare, che danzavano frenetiche, sparirono come se non ci fossero mai state, lasciandomi sola.
« Elien! ». 
« Sono qui! » esclamai, rispondendo alla voce tra gli alberi.
Ci furono dei passi affrettati e tra gli alberi comparvero tre ombre.
« Elien! Perché sei qui? » chiese Tanasir, comparendo nella radura, insieme a Mavina.
Menfys li seguiva pochi passi più dietro, con un’espressione ansiosa sul volto, quando mi vide disse: « Elien, mi sono svegliato e tu non c’eri più… ». 
Mi affrettai a rassicurarli e gli raccontai cos’era accaduto.
Mi ascoltarono in silenzio.
Sul volto di Tanasir balenò lo stupore: « Hai visto davvero Madre Natura? ». 
« Sì » risposi e presi il piccolo sasso dalla tasca « Mi ha dato questo sasso argentato ».
« A cosa serve? » domandò Mavina, guardandolo, curiosa.
« Non lo so » replicai confusa, rimettendolo nuovamente nella tasca dei pantaloni « Madre Natura ha detto che mi servirà quando ne avrò bisogno ».


Attendemmo con impazienza che i soli sorgessero, per tornare nella stanza del Grande Saggio, come ci aveva detto.
Quando entrammo ci salutò senza traccia di calore nella sua voce; notai che era pallido e che aveva delle occhiaie nere sotto gli occhi, in più si muoveva con aria stanca, come se gli costasse troppa fatica.
« Grande Saggio » esordì Menfys « Cos’è successo ieri sera? ». 
« I draghi hanno cercato di distruggere le nostre scorte per l’inverno ».  
Mavina si coprì la bocca con la mano, trasalendo: « E poi? ». 
« Abbiamo dovuto proteggerci con la magia ».
« Non avrete fatto del male ai draghi, vero? » domandai turbata.
Il Saggio mi lanciò un’occhiata e poi scosse la testa: « Gli Elfi rischiano di rimanere senza cibo e voi vi preoccupate se i draghi sono rimasti illesi dallo scontro » ridacchiò, perché sapeva quanto fossimo legati a loro.
« Non è loro la colpa » senza volerlo diedi voce ai pensieri di Daelyshia, che entrarono molesti nella mia testa. La zittii e chiusi la mente. Non pensavo che anche così distante Daelyshia potesse raggiungermi.
Il silenzio aleggiò nella stanza, finché il Grande Saggio non lo interruppe.
« Adesso ci sono cose più importanti: la pietra elemento » asserì, riportando all’attenzione i nostri pensieri lontani.
« Dove si trova? » chiese Menfys. 
« In una grotta non tanto lontana da qui » rispose Dun Tarien, poi si avvicinò alla libreria e prese un grosso libro rosso impolverato, intitolato "La foresta Nastia e i suoi segreti", lo aprì e tirò fuori un foglio ripiegato. Con molta cura lo aprì, lo poggiò sul tavolo e si chinò con i baffi che ricaddero sul foglio.
« Questa » disse « E' la mappa di tutta la foresta e questa… » poggiò l’indice su uno dei suoi lunghi baffi argentati. Mavina ridacchiò e il Grande Saggio spostò i suoi baffi, irritato, e indicò una radura sulla mappa: « Questa è la radura dove si trova la grotta ».
Tanasir si agitò, aprì la bocca per dire qualcosa ma poi ci ripensò, e il Grande Saggio, non accortosi dello strano comportamento dell’elfo, continuò: « Andate e recuperate la pietra ».
Ci congedammo dal Grande Saggio e, appena usciti dalla città, Tanasir, in grande agitazione, disse: « Quella radura… Dove si trova la Pietra Elemento… È dove sono andati i draghi, potrebbe essere pericoloso, nel caso scoprissero la grotta e volessero entrarvi! ». 
« Dobbiamo affrettarci! » esclamai agitata.
Quasi correndo, ci lasciammo Aessina alle spalle, per inoltrarci nella foresta.
Tanasir diceva che nel giro di mezz’ora saremmo arrivati alla radura. Nella mente, sentii la curiosità di Daelyshia e vidi l’immagine di una grotta. Preoccupata mi precipitai oltre Tanasir e uscii fuori della foresta, in una radura. Mi guardai intorno, mentre Mavina, Tanasir e Menfys si affannavano dietro di me, e vidi Wisp rimasto solo, con un’espressione visibilmente accigliata.
« Wisp! Dove sono Daelyshia e Ogard? » chiesi.
Il drago, per tutta risposa, sbuffò e girò la testa verso l’entrata buia della grotta, affianco ad un enorme albero secolare. Agitata, corsi ed entrai nella grotta.
« Aspetta! ».
Sentivo i leggeri passi degli altri che mi seguivano. Menfys, veloce, mi raggiunse e Wisp con un agile salto mi superò correndo con le sue piccole zampette, facendo ticchettare le sue unghie sul freddo pavimento. All’improvviso, il fondo della galleria s’illuminò e su di noi si stagliarono due grosse ombre.
« Chi c’è? »  fece Mavina con voce tremante.
Alla luce comparirono Ogard e Daelyshia. Tirammo tutti un sospiro di sollievo.
« Guardate là! » indicò emozionata Daelyshia.
Al centro di una grotta dalle mura coperte di edera e altri rampicanti, c’era la deca con dentro la Pietra Elemento della Terra.
« Questa volta con i draghi sarà più facile » sussurrò Mavina.
Menfys la contraddisse: « Non sottovalutare il potere del guardiano ».
Insieme ci avvicinammo alla deca, e proprio in quel momento comparì il Guardiano della Terra.
Era un albero gigantesco, che si muoveva grazie alle radici e poi sopra il tronco, dove aveva la bocca piena di denti appuntiti e due occhi rosso fuoco senza pupille, c’erano i rami con delle strane foglie rosa, gigantesche.
Con un brivido notai che assomigliava terribilmente all’albero della Palude Zoram, quello che aveva cercato di mangiare me e Menfys.
Il Guardiano s’immobilizzò, guardandoci con i suoi inquietanti occhi rossi. Feci un cenno a Mavina e sgusciai verso la deca, mentre gli altri confondevano la creatura mostruosa con degli incantesimi. La aprii, cercando di prendere la Pietra Elemento, ma un’enorme foglia rosa attraversò la stanza, sibilando, e colpì il vetro della deca, che andò in frantumi.
La Pietra Elemento sparì nel pavimento pieno di cristalli rotti.
« Dov’è? Dov’è la Pietra? » urlai agitata, spostando i cocci e ferendomi una mano con una scheggia. Macchiai il pavimento con delle gocce di sangue.
Menfys corse verso di me, pronunciando: « Levit Corpo! ».
Si tuffò sopra alla Pietra Elemento che levitava nell’aria, però il Guardiano lo colpì con un ramo e l’elfo atterrò con un tonfo a terra, svenuto, mentre la Pietra ricadde giù. Ogard ringhiò di dolore e trascinò via Menfys.
« Ehi, brutto bestione! Da questa parte! ». 
Mavina tirò un sasso al Guardiano, facendogli cadere una delle enormi foglie, che magicamente si diresse verso l’elfa dell’Acqua. Lei si buttò a terra per evitarla.
All’improvviso, sentii un forte calore vicino e vidi che sulle mani di Tanasir erano comparse due splendenti fiammelle di fuoco.
« No! » esclamai, spingendolo via. Cademmo a terra e le fiamme sparirono. Lasciai un’impronta insanguinata sui suoi vestiti.
« Che cosa...? » inveì Tanasir scattando in piedi, per evitare di essere colpito da una radice del Guardiano.
« Se lo farai brucerai tutti! » dissi indicando i muri « Guarda! Le pareti della caverna sono coperte di piante… se non riesci a colpire il Guardiano e colpisci le piante, prenderà fuoco tutto… Mavina, no! ». 
Mavina cadde a terra, vicino a Menfys svenuto, con un sommesso gemito, e poi non si mosse più: una foglia rosa era conficcata nella sua gamba.
Il Guardiano, allora, si lanciò verso Ogard e Daelyshia. Arrivai ai draghi prima di lui. 
« Luxem! » pronunciai l’incantesimo.  
Un’intensa luce accecò gli occhi rossi del guardiano, che ringhiando spedì delle liane alla ceca che quasi colpirono Wisp.
« Daelyshia spostati! ».
Mi buttai davanti a Daelyshia, ma fui colpita da una liana e, sollevata da terra, sbattei contro il muro. Un orrendo scricchiolio alla spalla e un intenso dolore, che mi mozzò il fiato, mi fecero capire che qualcosa si era rotto, la spalla e forse anche qualche costola. Il braccio mi ricadde inerte sul fianco.
« Ora basta! » decisi. 
Il dolore passò all’improvviso e al suo posto sentii una scarica nella spina dorsale, capii che non riuscivo più a controllare la magia dentro di me. Allora, senza cercare di fermarla, alzai il palmo del braccio non rotto, verso l’alto, e urlai: la magia si sprigionò dalle mie mani e colpì il guardiano che s’incenerì. Di lui restò solo un mucchietto di polvere.
Tanasir mi lanciò un'occhiata allibita, corse a prendere la Pietra Elemento e me la consegnò, in un silenzio quasi reverenziale; dopodiché corse da Mavina e, insieme a Ogard e a Wisp, cercò di fasciarle con delle bende (fatte apparire con la magia) la gamba insanguinata.
Evocai la Corona d’Argento e misi la Pietra Elemento della terra nel secondo buco. Chiusi gli occhi come la prima volta: sentii l’ululato del vento tra gli scricchiolii degli alberi, il fruscio dei rami, il profumo dei fiori e il cinguettio degli uccelli. Anche la natura adesso era dalla nostra parte.

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Capitolo 9
*** In memoria e nel ricordo ***


9. In memoria e nel ricordo








Un grido di una giovane donna mi esplose nella testa: era prigioniera e senza aiuto…
Mi alzai con un agile scatto, ma un dolore lancinante alla spalla e al costato mi lasciò boccheggiante. Mi accorsi che avevo il petto, le mani e la spalla fasciati.
Una figura dalla testa dalle enormi proporzioni entrò nella mia visuale.
« Menfys… » dissi guardando la testa fasciata di bende dell’elfo  « Come va la testa? ». 
« Credo che andasse meglio prima » sussurrò Menfys, muovendosi lentamente per non sentire dolore.
Preoccupata lo costrinsi a sedere quando diventò pallido.
« Sicuro di stare bene? » chiesi sedendomi accanto a lui, quando il corpo mi fece di nuovo male.
Menfys si strinse le spalle: « La tua spalla è soltanto contusa, e ho sistemato con la magia due costole rotte… cerca di non fare movimenti bruschi o si romperanno di nuovo. Le tue mani, invece, guariranno in un paio di giorni ». 
« Non avresti dovuto farlo Menfys, so quanta energia hai usato » lo guardai negli occhi verdi  « Grazie ».
Un improvviso gemito mi fece voltare.
Mavina era sdraiata non poco lontano da me e chinati su di lei c’erano Tanasir, Ogard, Wisp e Daelyshia.
« Che cos’ha Mavina? » chiesi, avvicinandomi insieme a Menfys che si reggeva la testa dolorante.
Daelyshia si girò verso di me e notai che aveva una zampa fasciata.
« La foglia del Guardiano che l’ha colpita era avvelenata » rispose.
Mavina lancio un urlo spaventoso e tutti sobbalzammo, spaventati e preoccupati. 

« Sta peggiorando! » esclamò Tanasir, sentendole il polso e la fronte « La magia non funziona con questo tipo di ferita… che cosa facciamo? ».
Wisp si guardò intorno e, come se rivelasse un temibile segreto, suggerì: « Potremo usare Nefasta ».
A quella parola Menfys e Ogard trasalirono, Daelyshia sgranò gli occhi e Tanasir esclamò: « Tu sei pazzo Wisp! ».  
« Che cos’è Nefasta? » chiesi e, nella mia mente esplose l’immagine di una piccola ghianda marrone, dalle enormi foglie violacee. Il ricordo di Wisp.
« Nefasta » rispose Menfys premendosi le mani sulle bende alla testa e diventando ancora più pallido « E' una pianta dalle proprietà curative che, però, non sempre funziona… a volte può portare persino alla morte ». 
« È una pianta illegale » continuò Tanasir « La Regina Raene la bandì dopo la morte della Principessa Kilia, sua sorella minore, che era gravemente malata, fu causata da Nefasta…». 
Ammutolii.
Menfys diede una gomitata nelle costole a Tanasir per farlo tacere.

« Io… » mormorai più a me stessa che agli altri « Non sapevo… ».
Menfys mi posò una mano sulla spalla:
« Era molto piccola la Principessa, Elien, e tua madre era molto giovane… ». 
Rimasi stupita del fatto e non fu dolore o tristezza che provai ma, compassione… compassione per mia madre, che aveva sofferto così tanto durante la sua breve vita…
« Lei non vorrebbe che tu pensassi questo di lei » mi disse Daelyshia.
« Lei è morta! » esclamai improvvisamente arrabbiata. Con un gesto improvviso e un debole bagliore, Nefasta apparve sulle mie mani.
« Adesso? » chiesi a bassa voce, mentre Tanasir mi guardava stupito. Menfys, invece, prese la foglia dalle mie mani e staccandola dalla ghianda marrone ne mise un piccolo pezzo nella bocca di Mavina, che si chiuse di scatto, e l’elfa si irrigidì.
« Perché l’hai fatto? » mi domandò Tanasir, improvvisamente aggressivo « E se non funziona? ».

« Valeva la pena tentare » risposi guardando Mavina, che lottava tra la vita e la morte.
Mentre evitavamo di guardarci negli occhi, per paura di tradire i nostri pensieri, le bende sulla gamba di Mavina scomparvero, lei gemette e si mise a sedere di scatto con le lacrime che le rigavano il viso, consapevole di aver rischiato la vita.
Mi avvicinai e l’abbracciai forte solo con il braccio che non mi doleva: « Va tutto bene Mavina » sussurrai felice « Sei viva ».
La notte scese sul paesaggio e passò velocemente.
L’alba spuntò all’improvviso, mentre dormivamo spossati per la fatica degli eventi passati. Quando ci svegliammo, era già mattina inoltrata. Tutti, anche i draghi, ai quali non piacevano molto i vegetali, facemmo colazione con le radici che c’erano nel territorio intorno e partimmo alla ricerca dell’ultima pietra, nel regno degli Umani: Astrakan.
« È molto lontana Astrakan? » chiese Mavina, che era tornata allegra come sempre, come se non fosse successo niente.
« Secondo la Mappa » rispose Tanasir (Menfys, avendo la testa fasciata, gli aveva affidato la preziosa carta) « Ci vogliono circa due settimane di cammino, se procediamo con questa andatura ». 
« Precisamente, dove si trova il Portale per Astrakan? » domandai.
« Vicino le Miniere del Dorond » disse Tanasir mostrandomi la Mappa.
Viaggiammo per due giorni attraverso la pianura di Abbarak, senza fermarci neanche la notte, per recuperare il tempo perduto, e la sera del terzo ci accampammo (anche se Menfys, per qualche ragione, non era molto entusiasta) nei pressi di Boschetto Argento, il piccolo bosco che costeggiava Castello Argento.
Dopo aver mangiato, Tanasir tolse le bende alla zampa di Daelyshia, perfettamente guarita, come la testa di Menfys che con la magia fece sparire la cicatrice dietro la nuca. Anch’io potei togliere la fasciatura, anche alle mani, che erano tornate come prima. Invece, la mia spalla non accennava a guarire e continuava a farmi male, così Tanasir, Menfys, Daelyshia e Ogard furono costretti a farmi un complicato incantesimo per sistemarla. Dopo aver spento il fuoco tutti ci coricammo, troppo stanchi anche per augurare la buonanotte.



Alzò gli occhi al cielo, gli alberi le impedivano di vederlo ma sapeva con certezza che era buio. Era stato inutile andare nella foresta Nastia, almeno era riuscita confonderli. Non sarebbero mai andati a cercare la piccola nella foresta di Elwyn. Nessuno sapeva che era lì…
Un rumore la fece voltare, il suo sguardo scivolò tra gli alberi familiari che quella sera avevano un aspetto cupo e minaccioso. Doveva uscire di lì. Chinò il capo e osservò la strada, mentre costeggiava il sentiero. Quando finalmente arrivò alla fine, uscì dalla foresta e la luce delle stelle l’accecò per un attimo, lasciandola confusa.
« Più veloce… ».
C’era qualcosa che non andava, tutto era tranquillo e non percepiva nessun movimento. Doveva sbrigarsi. Le tre lune stavano tramontando all’orizzonte e i due soli stavano prendendo il loro posto, oscurando con la loro luce le stelle. Costeggiando gli alberi di Boschetto Argento, rabbrividii notando che nessun uccello cantava annunciando l’alba. Un improvviso rumore la fece voltare e vide che tra gli alberi qualcosa si stava avvicinando.
« No! ».
Un’ombra la aggredì mandandola a terra in turbinio di polvere e artigli…
« NO! ».
Mi svegliai di soprassalto. Era ancora notte e tutti gli altri dormivano, ignari del mio urlo. Mi asciugai il sudore che m’imperlava la fronte. Avevo fatto un sogno... un incubo… ma sembrava tutto così reale. Avevo sognato mia madre, mentre l’aggredivano i draghi, in un punto vicino del luogo in cui ci eravamo accampati. Mi asciugai la fronte imperlata di sudore e il volto bagnato di lacrime.
Non sarei più riuscita a riaddormentarmi quella sera…
Uno strano luccichio, in lontananza, dalla parte di Castello Argento, attirò la mia attenzione.
Mi alzai, cercando di non fare rumore, e mi diressi nella piccola pianura che separava il bosco, dove eravamo accampati, dal Castello. Era una striscia di terra verdeggiante, dove il vento della sera faceva ondeggiare la morbida e bassa erba profumata.
Sgranai gli occhi: quello era il luogo che avevo sognato!
Mi avvicinai alla fonte del piccolo scintillio, nel centro della piccola pianura: era una statua.
« Aleo! » mormorai.
Una piccola luce azzurra comparì sul mio palmo e si levò all’altezza dei miei occhi. Vidi che la statua era coperta di una patina opaca e da muschio. Curiosa, iniziai a grattare via lo sporco. Quando sfregai via l’ultimo pezzo di muschio con la magia, l’arancione già s’intravedeva nel cielo: stava albeggiando. Osservai bene la statua alla fioca luce dei soli che si affacciavano per metà dalla linea dell’orizzonte e poi sgranai gli occhi, stupita.
Quella non era una comune statua!
Stupita, mi allontanai di un passo osservando la statua magica che si mosse impercettibilmente. Gli occhi di mia madre mi guardarono con estrema dolcezza e sulla sua spalla era adagiata una piccola creatura con le ali. I loro capelli e le gonne dei loro vestiti ondeggiavano al vento come se fossero veri. La piccola fata mi salutò con un gesto della piccola mano, quasi invisibile. Notai che, essendo una statua, le due figure erano incatenate al terreno e ai loro piedi c’era poggiata una piccola targa d’argento, con sopra incisa una frase con una svolazzante scrittura:



In memoria della regina di Danases, Raene Shamira Rugiada, e della coraggiosa fata della luce, Lucina di Siltrien.
Nel ricordo delle loro vite che si sacrificarono, per il popolo degli Elfi e per la luce di Danases, perché la speranza non smetta di scorrere nel sangue potente degli elfi e nella magica fiamma dei draghi.
Che il loro spirito danzi libero nel cielo e ci guidi nella giusta via.


Mi avvicinai, per sfiorare con la mano il volto di Raene e quando poggiai con dolcezza una mano sulla sua guancia lei mi sorrise e le palpebre dei suoi occhi si chiusero, solo per un attimo. Incontrai il suo sguardo.
Era come lo ricordavo, come lo avevo visto nel mio sogno.
Un singhiozzo involontario esplose dalla mia gola.

« Qui, è il punto in cui è morta tua madre » disse una voce dolce, facendomi sobbalzare mentre mi asciugavo le guance: Menfys mi osservava, con occhi comprensivi.
« Io… ». 
Si avvicinò, silenzioso.
« Chi è stato? » chiesi, alludendo alla statua.
« Il saggio Dun Morongh ».
« Chi era questa fata… Lucina? » domandai, rileggendo la scritta « Non ricordo di una fata… ».
« Lucina era una fata della luce, molto coraggiosa » rispose Menfys osservando il viso di Raene, che sorrise anche a lui « Aiutò tua madre a partorire e a salvarti dai draghi ».
« Che cosa fanno le fate della luce? ». 
« Le fate della luce, sono le assistenti dello spirito della Natura. Controllano le stagioni ». 
Contemplai ancora la statua (Lucina si era seduta sull’altra spalla di mia madre), poi mi voltai verso Menfys: « Chi erano i tuoi genitori? ». 
« I miei genitori… » ripeté lentamente, come se quelle parole potessero fargli del male « Mia madre era un'elfa molto giovane quando incontrò mio padre. Non mi raccontò mai di lui, so solo che ci ha abbandonato quando sono nato » si sedette a terra, ignorando lo scricchiolio di alcuni rametti calpestati.
Lo imitai, sedendomi accanto a lui e stringendogli la mano per infondergli un po' di calore. Anche Menfys non aveva avuto un'infazia felice. Mi sorrise mesto e ricambiò la stretta.
« Mia madre non aveva nessuno. Vagavamo di città in città a seconda di dove riusciva a trovare lavoro come sarta magica. Ricordo ancora i vestiti meravigliosi che era in grado di creare. Poi si ammalò... quei giorni ci trovavamo alla corte della regina Shamira perché mia madre si sarebbe dovuta occupare dei vestiti delle dame di compagnia. Raene, sebbene fosse molto più grande di me, perdeva tempo con un piccolo elfo come me. Mia madre morì... »
« Oh Menfys! »
Lo abbracciai di slancio. Restammo entrambi stupiti dal mio gesto, ma poi lo sentii sorridere e lo abbracciai più stretto. Rimanemmo così per un attimo, ad ascoltare ognuno il respiro dell'altro.
Lo sentii tremare e trattenni le lacrime. Dovevo essere forte. Quante volte mi aveva protetto? E adesso sembrava lui quello così fragile. Aveva bisogno del mio conforto non delle mie lacrime.
« Grazie » sussurrò Menfys, dopo un po', sciondendosi dal mio abbraccio.

« Ma tuo padre...? ». 
« Non so dove sia o se sia morto. Non l’ho mai conosciuto e non l’ho mai cercato » nei suoi occhi passò un guizzo di antico rancore « Non lo perdonerò mai per aver abbandonato mia madre e me… non capisco perché lei abbia voluto darmi il suo nome ». 
Mi sentii una stupida per aver riso del suo nome quel giorno nella biblioteca. 
« Mi dispiace… ».
« Non importa » m’interruppe sorridendo, capendo subito a cosa mi riferivo « Menfys è molto meglio » rise quando annuii e poi si alzò, seguito da me, dicendo: « Vieni… è ora di andare… ». 
Un’esplosione di luce sopra di noi interruppe le parole di Menfys, che alzò gli occhi, stupito.
« L’arcobaleno degli spiriti! ».
Nel cielo erano apparsi archi e brillanti raggi di luce che si estendevano sul mondo di Danases per centinaia di chilometri. Sembravano immobili, invece, con mio enorme stupore, i sottili archi di luce iniziarono a muoversi, come enormi serpenti dorati.
« È bellissimo! » esclamai, quando il colore della luce da dorato divenne rosso.
« Osserva gli spiriti… » esordì Menfys « Mia madre è lassù ».
Guardai con intensità quell’enorme esplosione di luce e, meravigliata, mi accorsi che le stelle sembrassero danzare in quell’oceano di magia.
« In cosa credono esattamente gli elfi? ». 
I centauri non mi avevano mai spiegato che cosa significasse l’arcobaleno degli spiriti.
Menfys mi guardò a lungo prima di rispondere: « Quando un Elfo, o un Drago, muore… il suo corpo si trasforma in uno spirito. Uno spirito guida, che diventa una stella… Gli spiriti fanno parte della grande magia che governa Danases ». 
« Ma perché proprio stelle? ». 
« Non lo so » disse Menfys « E' una magia molto antica… ». 
« Allora… anche mia madre è lassù? » mi sentii un po’ sciocca a chiederlo.
La pallida luce della luna illuminò il volto di Menfys, che mi guardò con una strana espressione: « Certo, Elien ».
« Sei fortunato ».
« Perché? » chiese confuso.
« Perché tu, almeno, ricordi tua madre… » mormorai « Io, eccetto quel giorno in cui la mia magia uccise il drago, non ricordo bene il mio passato. Non ricordo molto di mia madre… ho iniziato a dimenticarla e ho paura che non la ricorderò più ».
All’improvviso mi resi conto di quanto ci somigliassimo, io e Menfys. Entrambi senza una madre e senza mai aver conosciuto i nostri padri. Entrambi senza un passato felice.
Mi voltai a guardare il volto di Raene sulla statua e desiderai che fosse di nuovo con me. Ero stato facile dimenticare i pensieri più belli del passato e difficile non ricordare tutti quelli più dolorosi.
Menfys sospirò, pensoso: « Elien devo narrarti una storia ».
« Quale storia? » mi voltai a guardarlo.

« La vera storia. Quella dei miei genitori era solo una piccola parte » Menfys mi inchiodò con il suo sguardo intenso  « Quando mia madre morì, Elvisier e Shamira deciso di adottarmi. Diventai a tutti gli effetti un membro della famiglia reale. Mi amavano tutti. Io e Raene diventammo inseparabili. Fu il periodo più felice della mia vita. Qualche anno dopo nacque Kilia... nessuno sapeva che sarebbe morta. Aveva solo pochi anni di vita. Secondo la legge di Danases è il figlio minore che eredita il regno, quindi erano tutti sicuri che ce l’avrebbe fatta… troppo sicuri. Addolorata per la morte della figlia, la regina Shamira morì e il re decise di seguirla lassù » indicò l’arcobaleno degli spiriti nel cielo « In quel periodo le tensioni con i Draghi si stavano accumolando e tutti erano preoccupati che il regno rimanesse nelle mani di una guida inesperta. D'altronde non ero che un ragazzino...  ».
Rimasi a bocca aperta.
« Tu? Tu... re di Danases? » chiesi stordita.
« Sì, la legge dava il regno al minore, no? » sospirò Menfys « Ed io ero diventato a tutti gli effetti un figlio del re. Solo che mi sentivo un traditore. Pensavo che il trono era suo di diritto ».
« E poi? » domandai in un fiato.
« Poi tua madre incontrò finalmente tuo padre e capì che sarebbe stato l’amore della sua vita. Lui era il re di Astrakan, avrebbero unito le due corone. I Saggi deciso che sarebbe stato meglio modificare la legge e dare il regno al primogenito della corona. Io come reggente acconsentii e il regno passò a... mia sorella » pronunciò quelle due parole con voce tremante « Sollevato da un enorme peso partii dal castello e mi misi al servizio del Grande Saggio, Dun Morongh » il suo sorriso si spense « Il resto della storia già la conosci. Tra gli elfi e i draghi ci furono delle tensioni che tua madre non riuscì a placare e poi quella notte… accadde quello che accadde ». 
« Già, la conosco bene questa storia » dissi amareggiata.
Menfys fece un passo verso di me e questa volta fu il suo turno di circondarmi le braccia, stringendomi al suo petto. I nostri corpi  aderivano l'uno all'altro perfettamente e mi ritrovai a pensare che non ci fosse nessun altro posto a Danases dove riuscivo a sentirmi così tranquilla e al sicuro.
« Non devi preoccuparti. Ce la faremo » disse lasciandomi una carezza sui capelli. 
« Per questo il tuo nome si trovava sul testamento di mia madre? » gli domandai, ricordando.
« Sì ».
Alzai lo sguardo per guardarlo e sorridergli ma il suo volto, illuminato dalla luce cangiante dell'arcobaleno, era scuro.

« Menfys, che cosa c'è che non va? ». 
Rimase per un attimo in silenzio, pensoso. Il respiro spezzato.
« Non posso fare a meno di pensare che se avessi preso il posto di Raene, non sarebbe morta lei » mormorò.
« No! » esclamai districandomi dal suo abbraccio e prendendolo per le spalle.
Non potevo credere che Menfys portasse addosso quel peso, il mio peso. Dopottutto era stato il mio errore a far precipitare le cose e a portare allo scoppio della guerra.

« Non devi dirlo! » esclamai piantando il mio sguardo deciso nel suo « Non puoi pensare che sia stata colpa tua, come hai detto tu quello era compito di mia madre ».
Avrei voluto prenderlo a pugni in faccia.
« Il Destino è stato beffardo con noi, una nascosta per anni nella foresta e uno ramingo per il regno... entrambi oppressi dallo stesso senso di colpa. Non è ironico?
» disse con un sorriso obliquo.
« Decisamente. Ma ce la faremo insieme e risistemeremo le cose!
».
Melfys alzò una mano verso il mio viso e mi accarezzò dolcemente una mano con il dorso. Sentii il cuore aumentare i battiti e il viso arrossire. Poggiai la mia mano sulla sua.
« Ce la faremo
» ripeté piano. Poi tolse la mano dalla mia. « Adesso torniamo, prima che gli altri si sveglino e si spaventino per la nostra assenza! ».
Annuii e inziammo a camminare verso l'accampamento.
Un pensiero mi venne in mente e ridacchiai.
« Che c'è?
» mi chiede divertito.
« Ma allora saresti tipo... mio zio? »
Il suo sorriso scomparve. « No, tecnicamente no ».
Rimasi quasi delusa dalla sua risposta.
« Ma se tu vuoi che io lo sia...
» si riprese notando la mia espressione.
Scossi la testa: « Non importa. Tu sei Menfys ed è da quanto mi hai tirata fuori dalla foresta che non mi sento più sola. Chiunque tu sia, siamo una famiglia ».
Mi avvicinai a lui e gli diedi una spallata. Rise e ne fui contenta. Sì, ormai eravamo diventati una grande famiglia. Io, Daelyshia, Menfys, Ogard... e anche Mavina, Tanaris e Wisp.
La famiglia che non avevo mai avuto.
...E mentre osservavo l'elfo vicino a me ridere capii che di certo il sentimento che provavo per lui non era quello di una nipote.



Mentre viaggiavamo verso le Miniere del Dorond, che si trovavano al confine fra il regno di Danases e quello di Astrakan, un temporale ci colse di sorpresa. Il cielo si oscurò, coperto dalle nuvole nere che si riunirono sopra di noi, portate dal vento che ululava furioso. Il paesaggio si oscurò e si deformò sotto la luce bianca dei lampi, come le nostre ombre che si allungavano lungo il terreno bagnato dalla pioggia, ad ogni fulmine, spaventandomi più volte. Fu una tempesta tremenda, tuttavia durò solo poche ore e il viaggio continuò indisturbato.
« Guardate » disse improvvisamente Menfys, fermandosi e guardando la Mappa di Danases che aveva preso dallo zaino « Qui a destra c’è l’Acquitrino di Melg, invece a sinistra c’è il boschetto Argento. Io propongo di aggirare l’Acquitrino» spiegò indicando dei punti sulla mappa.
« Meglio così » assenti Tanasir « Girano strane leggende sull’Acquitrino di Melg ».
« Aggiriamo » ripeté Mavina con un’espressione insieme spaventata e scettica.
« Che leggende? » chiesi a Tanasir, curiosa.
« Si dice che l’Acquitrino di Melg sia la dimora di una potente strega » rispose Tanasir « Ma è solo una leggenda ».
« A volte le leggende si basano sulla verità » osservò Mavina. 
La notte passò con un’altra lieve tempesta; ci svegliammo solo all’alba, quando la piaggia si calmò e l’unica traccia d’acqua era la rugiada del mattino, rimasta sulle foglie rinsecchite dei piccoli cespugli di quel luogo, simile al deserto. Riprendemmo il cammino, inoltrandoci sempre di più nel territorio desertico.
I pochi cespugli scomparvero e la terra si fece sabbia rovente. I soli erano alti nel cielo e la temperatura era elevata.
Daelyshia ed io camminavano vicine, però separate da qualche metro dagli altri.
« Che brutto posto » le dissi mentalmente.
Sentivo le labbra secche e cercai di ripararmi gli occhi dal sole cocente con una mano per vedere le figure davanti a noi.

« Forse per te » rispose Daelyshia « Io mi sento bene sotto questa luce, così… viva ».
All’improvviso inciampai nei miei piedi e caddi a faccia in giù nel terreno sabbioso. Sentivo che non avevo più forze per camminare.
« Aiutami Daelyshia! » esclamai cercando di rialzarmi.
Daelyshia mi rimise in piedi ed io mi sostenni a lei, sfinita.
« Dove sono gli altri? » chiese Daelyshia.

Guardammo, confuse, il paesaggio desolato davanti a noi.



Ormai vagavamo da ore, sfinite, in quella landa desolata, cercando invano i compagni che avevamo perso di vista durante il percorso. Le grida mentali erano servite a nulla.
Forse avevamo girato in tondo su noi stesse per tutto il tempo perché il paesaggio era sempre uguale, una distesa di sabbia infinita, senza punti di riferimento. Tutte le dune che ci circondavano, sembravano avere la stessa forma e la sabbia rifletteva la luce dei soli, accecandoci. Daelyshia aveva ritirato le parole che aveva detto prima che ci separassimo dagli altri e camminava a fatica, lasciando una scia nella sabbia con la coda che trascinava a terra con stanchezza e lentamente, con la lingua di fuori, ansimando. Le sue squame erano bollenti e la sua sofferenza era la mia, ma triplicata perché il suo corpo era già caldo.
All’improvviso si alzò un vento leggero, che ci alleviò un po’ di sofferenza per il caldo, ma poi aumento d’intensità animando le dune e trasformando il paesaggio, confondendoci.
Della sabbia mi finì negli occhi, facendoli bruciare.
« Che cosa succede? » chiesi, mentre il vento mi frustava la faccia, facendomi muovere i capelli.
Daelyshia sgranò gli enormi occhi arancioni: « Una tempesta di sabbia! Davanti a noi! ».
Seguii il suo sguardo a occidente e la vidi, proprio davanti a noi. Il vento furioso muoveva la sabbia veloce verso la nostra direzione. Iniziammo a correre, però capimmo che non ce l’avremmo mai fatta.
« Presto, presto! Qui sotto! ».
Daelyshia aprì un’ala e mi fece segno. Mi nascose vicino il suo ventre caldo e richiuse l’ala. Osservai il soffitto rubino sopra di me e percepii la sabbia che passava addosso alla dragonessa, che ruggì per la potenza del vento.

Sentii ben presto l’aria mancare e svenni insieme a Daelyshia.
Mi risvegliai quando sentii qualcuno prendermi per le ascelle e sdraiarmi in terra. Aprii gli occhi e vidi che dei bambini mi stavano guardando... però non erano proprio bambini perché avevano lunghe barbe intrecciate che ricadevano sul loro ampio torace e braccia corte e tozze…
Nani!

Non c’era più vento e l’aria era immobile, sentii il sudore scivolarmi lungo il collo. Qualcuno emise un profondo grugnito e vidi Daelyshia legata a delle robuste corde e un nano dalla barba rossiccia che le puntava contro una spada.
« Levati di torno! » esclamai con voce roca al nano; mi faceva male la gola per la mancanza d'acqua.
Mi avvicinai a Daelyshia e le tolsi le corde.

La dragonessa ruggì la sua gratitudine, mentre i nani la guardavano confusi e stupiti.
« È un drago, Alaem » disse un nano con in testa un elmetto d’argento e dalla barba nera, che non avevo notato « Perché lo liberi? ». 
« Come mi hai chiamata? » domandai curiosa: non aveva mai sentito quella parola.
« Elfo. Alaem vuol dire elfo nella lingua dei nani » intervenne il nano che prima aveva puntato la spada contro Daelyshia e che adesso la puntava, minaccioso, contro di me « Adesso rispondi alla nostra domanda! ».
Altri nani annuirono, e notai che erano cinque; mi passai la lingua sulle labbra spaccate a causa del vento. Bruciavano.

« Lei è mia amica » dissi, cercando di spiegare il nostro legame « E' legata a me, capite? ».
Un nano aveva l’espressione confusa ma gli altri assentirono.
Mi guardai intorno e mi sentii persa. Decisi di rivolgermi a loro.
« Mi chiamo Elien… forse, voi potreste aiutarmi » dissi cauta « Devo raggiungere il portale per Astrakan. Sono sicura… spero che… sentite, i miei amici si trovano lì, mi sono separata da loro mentre camminavamo per il deserto ». 
I nani si guardarono.
« Abbiamo l’ordine di portare tutti gli stranieri dal nostro re. Specialmente quelli come elfi legati ad un drago, durante una guerra… » rispose un nano, riflessivo « Dopo, forse, potremo aiutarti ». 
Ero confusa: non avevo mai sentito parlare di un re. 
« Re? ». 
« Il nostro re, il Re dei Nani » aggiunse il nano con la barba nera, poi mi incitò: « Andiamo, Alaem? ».
Li guardai indecisa: non potevo perdere tempo ma non potevo far arrabbiare i nani, rifiutando di seguirli…
« Dobbiamo andare con loro » sussurrò Daelyshia nella mia mente.
« D’accordo » concordai, poi esclamai ai nani: « Andiamo! ».
Quelli sorrisero e parlottarono un po’ nella loro lingua, poi quello con la barba rossiccia mi fece segno: « Seguici… Ah, io sono Wick e quelli sono » indicò gli altri uno a uno « Arta, Shuna, Dortos e Onan ».
« Non chiamarmi in quel modo » disse scioccato Onan.
Vedendo l’espressione orripilata che passò sul volto del nano, scoppiai a ridere insieme a Daelyshia.
« Lo ripeti tutte le volte! » sbottò Wick, infuriato « Come ti devo chiamare, allora? ».
Onan non rispose e s’incupì.
Viaggiammo insieme ai cinque Nani per tutta la calda giornata e quando scese la sera ci fermammo presso una grotta, ai margini del deserto.
« Domani entreremo lì dentro » annunciò Shuna, alludendo alla caverna.
« Perché? » domandai.
« La nostra città si trova nelle gallerie » rispose Dortos, stupito e confuso che non lo sapessi.
« Ah già… » Daelyshia mi lanciò un’occhiata e mi zittii; per cambiare discorso domandai: « Perché vi trovavate nel deserto? ». 
« Eravamo in perlustrazione ».
« Per cosa? ».
Nessun nano rispose e decisi di lasciar perdere ogni discorso.
L’indomani c’inoltrammo nelle gallerie. Wick e i nani ci circondavano, tenendo alte le torce che avevamo trovato all’ingresso. Ovviamente loro, essendo nani, non ne avevano bisogno, ma i miei occhi e quelli di Daelyshia era abituati ai raggi dei soli e in quell’oscurità, senza un po’ di luce, ci sentivamo perdute. Seguivamo il percorso che passava proprio sotto le montagne del Dorond e dalle pareti scivolava dell’acqua che infiltrandosi tra le fessure delle viscide rocce formava stalattiti e stalagmiti che ci ostacolavano il cammino; a volte io e Daelyshia dovevamo curvarci perché il soffitto si abbassava all’altezza di quei piccoli uomini che ci stavano accompagnando.
Mentre camminavamo nell’opprimente oscurità, fiocamente illuminata, avevo la sensazione di essere un gigante in mezzo ai piccoli nani. Cosa che effettivamente era quasi vera.
All’improvviso un’enorme luce mi accecò e dovetti socchiudere gli occhi. Dopo che mi fui abituata a quell’immenso bagliore, uno spettacolo meraviglioso mi comparì davanti: eravamo arrivati nella splendente città dei nani.

« Benvenuta a Dorond » disse Arta, sorridendo alla mia espressione stupita.
La città prendeva lo stesso nome delle montagne in cui era nascosta e si alzava per diversi chilometri di gallerie. Risplendeva radiosa grazie alle gemme preziose con cui era costruita. Nel punto più alto si trovava un palazzo, con il tetto a cupola, intarsiato da migliaia di gemme. Ne riconobbi solo alcune: topazi, rubini, smeraldi, zaffiri, diamanti…
Seguii i nani per la città splendente; ogni casa aveva un rilievo scolpito con pietre preziose che formavano disegni armoniosi di fiori o animali. Non avevo mai visto le donne dei nani e le osservai con curiosità: erano di poco più basse degli uomini e dalla grande stazza, però avevano mani gentili e delicate con cui curavano i figli, piccoli nani. Come ornamento, portavano al collo piccoli ciondoli d’oro e delle graziose gemme tra i lunghi capelli intrecciati.
Finalmente arrivammo davanti al palazzo in cima alla città, ma due guardie ci sbarrarono la strada e parlarono rudemente con Wick, che notai, doveva essere il capo del nostro gruppo di nani. Quando ebbero finito di parlare nella lingua a me sconosciuta, le due guardie lanciarono un’occhiata sospettosa a Daelyshia e poi bussarono tre volte all’enorme portone di dura pietra che si spalancò con un cupo rombo.
L’entrata conduceva a un lungo e scuro corridoio con piccole porte laterali, che arrivava a un altro enorme portone di pietra protetto da altre due guardie.
Wick parlò con loro e una guardia, con passo silenzioso, entrò nella stanza oltre la porta, per poi uscirne con un cenno diniego: « Dovete aspettare » rispose nella lingua elfica.
Dalla porta si sentivano delle voci concitate. Intuii che si trattava di tre nani, uno aveva una voce nasale e faceva fatica a parlare.

« Che cosa succede? » domandò Daelyshia e io ripetei la domanda a Wick, che aguzzò l’udito e replicò:
« Il re sta discutendo con due nani… uno è suo nipote Galimede, il comandante della guardia imperiale, e l’altro è una guardia imperiale… sembra che la guardia abbia abbandonato il suo posto senza avvertire e senza seguire gli ordini e che Galimede si sia infuriato ».
Dalla stanza si levò un lungo lamento.
« Ma cosa ha fatto Galimede alla guardia? » chiesi, timorosa di sentire la risposa. Wick accostò l’orecchio al portone, sotto lo sguardo un po’ contrariato della guardia.
« Galimede sta dicendo che il posto assegnato a quella guardia era di enorme rilevanza ».
« E poi? Cos’è successo? » continuai, ormai incuriosita.
Wick sghignazzò: « Gli ha tirato un pugno ».

Dortos scoppiò in una rauca risata, Arta e Onan scossero il capo divertiti, Shuna invece in segno di disapprovazione.
Mi sedetti a terra, intuendo che bisognasse aspettare molto. Guardai le guardie, che restituirono uno sguardo curioso a me e uno irritato a Daelyshia. Pensai che i nani non dovessero essere molto amichevoli con i draghi.
Il mio sguardo scivolò sulle venature scure del legno del portone che ci ostruiva la strada. Le osservai bene e mi accorsi che non erano semplici venature: formavano dei disegni che rappresentavano alcune scene della storia dei nani. C’era l’incoronazione di un nano, che intuii dovessere essere il primo re dei nani. Nel secondo disegno c’era la costruzione del palazzo che avevamo davanti e nel terzo i nani che intagliavano delle pietre preziose. Tutti i disegni erano così precisi che riuscivo anche a distinguere i più piccoli dettagli, come i diamanti nella corona del re o le tuniche dei nani intagliatori.
Con un fruscio Daelyshia si accoccolò vicino a me.

« Chissà dove si trovano gli altri » sospirò.
Mi ritrovai a pensare a Menfys e sentii montare la preoccupazione.
All’improvviso il portone si spalancò e ne uscirono due nani: uno era infuriato e l’altro teneva le mani sul naso e sulla bocca per cercare di fermare la fuoriuscita del sangue.
I due nani proseguirono e la guardia fece segno di entrare.
Insieme Daelyshia, seguendo Wick, avanzai titubante mentre gli altri restavano fuori, seduti a terra, in attesa. La sala era buia e austera, illuminata solo da una luce al centro e alla fine c’era uno scuro trono, con sopra un nano seduto con il volto nell’ombra. Wick s’inchinò e mi affrettai a imitarlo con i capelli che mi coprirono il volto, mentre Daelyshia rimase ferma.
Il nano si protese nel cono di luce per osservarci; di sottecchi notai che aveva in mano un bastone di legno lavorato con qualche diamante scintillante. Aveva una lunga e nera barba intrecciata, in testa portava un elmetto con inciso uno strano simbolo e sotto la tunica rossa, con cui era vestito, portava una tintinnante cotta di maglia.
« Benvenuti nel mio palazzo di pietra » disse il nano con voce profonda nella lingua degli elfi; aveva un accento aspro, si presentò: « Io sono Ongar Gaendel, della famiglia dei Dugerst… nani lavoratori di pietre preziose ».
Wick si rialzò ed io, lanciandogli un’occhiata, lo imitai nuovamente. Quando il re mi vide bene in volto, delle rughe sottili gli incresparono il viso dai tratti marcati e la mascella quadrata e si rivolse al nano nella sua dura lingua.
Wick, osservai, era palesemente confuso.
All’improvviso, mentre parlava, il re lo congedò con un cenno di mano.

Iniziai a irritarmi: non sopportavo di non capire cosa succedesse intorno a me.
« Capisco il tuo fastidio nobile Elien » affermò il re, come leggendo nei miei pensieri, quando Wick fu uscito dalla stanza dopo avermi lanciato uno sguardo confuso. Guardai stupita il re e il nano rispose alla mia domanda inespressa: « Wick mi ha detto il vostro nome. Mi dispiace avervi fatto perdere tempo… vostra altezza » pronunciò lentamente le due ultime parole.
« Io non… come sapete? ». 
« Conoscevo molto bene vostra madre e voi le assomigliate molto… » disse con un sorriso dolce, che non si addiceva per niente alla sua aspra voce « E il nome Elien non è molto popolare tra gli elfi, non molti portano il nome di uno dei due soli più luminosi del nostro mondo! » poi il nano si mosse sul trono e osservò con somma attenzione Daelyshia, che rispose con atteggiamento altezzoso al suo sguardo « Noto che vi siete legata a un drago, altrimenti non sarebbe qui, ma a distruggere vite innocenti » concluse e dal suo tono capii che il re non amasse molto i draghi.
Daelyshia rimase zitta e lanciò, con i suoi occhi arancioni, un’occhiataccia al re, che rise:  « I draghi non cambiano mai ».
Decisi di troncare il discorso:
« Nobile Ongar Gaendel, forse voi potreste aiutarci... Daelyshia ed io dobbiamo raggiungere il portale per Astrakan, i nostri compagni ci attendono lì ».
« Certo Elien, farò tutto il possibile per aiutarvi. Il portale di Astrakan non è molto lontano da qui, forse massimo tre giorni di cammino ».
Tre Giorni! pensai con disperazione.
« Accetterò volentieri il vostro aiuto. Però dobbiamo sbrigarci, il tempo è prezioso ».
Il re scese dal trono e con una velocità sorprendente, per le sue tozze gambette, raggiunse la porta: « Seguitemi ».
Quando uscimmo dal palazzo le guardie e la compagnia di nani che ci avevano trovato stavano parlottando animatamente ma, quando ci videro, ammutolirono e s’inchinarono. Galimede e il nano con il naso rotto non c’erano più.
« Wick, seguimi con la tua compagnia » ordinò il re nella lingua elfica, per far capire anche a me e Daelyshia.
Quando anche le guardie fecero per seguirci il nano disse loro: « No, non serve che mi accompagnate ».
« Mi dispiace sire, ma il capitano Galimede ci ha dato l’ordine di seguirvi, anche con il vostro disappunto » ribatté una guardia, impassibile, allora Ongar sorrise e fece segno di muoversi.
Percorremmo in fretta la città. Ogni nano che incontravamo s’inchinava al cospetto del re, che salutava tutti animosamente.

Capii che il popolo avesse molta stima di lui.  
« Wick, tu e la tua compagnia scorterete Elien al portale di Astrakan, assicurandovi che non le succeda niente e poi riprenderete il vostro compito » disse infine, fermandosi ai cancelli della città, poi si girò verso di me: « Vi accompagnerei anch’io, ma il dovere mi chiama » annunciò con tono teatrale e poi chinò il capo in segno di saluto, concludendo: « Spero di rivedervi presto, addio! ».
« Addio, re Ongar » lo salutai, inchinandomi a mia volta.
Il re rimase a guardarci con le due guardie imperiali al suo fianco, finché non fummo inghiottiti nuovamente dal buio delle gallerie.




Davanti a noi comparve un’oasi.
Mi misi a correre, seguita da Daelyshia e dai nani che avanzavano, barcollando.
Arrivata mi dissetai grazie a un piccolo laghetto.
Le provviste d’acqua erano finite da un giorno e sentivo la gola riarsa.
« Siamo finalmente arrivati » annunciò Onan, mentre anche gli altri nani si dissetavano.
Guardai il cielo, tinto del rosa del tramonto. 
« Passeremo qui la notte? » chiesi guardando Wick, che stava bevendo.
Quando il nano si accorse dello mio sguardo, si strizzò la barba bagnata e disse: « Sì, ci accampiamo qui. Domani riprenderemo il nostro viaggio ».
« Starai bene in compagnia del nano del Dorond » aggiunse Onan.
« Chi è? » domandai. 
« È il Guardiano del portale » rispose Shurna un po’ sorpreso della mia lacunosa conoscenza « Quest’oasi è la sua casa, e un rifugio per tutti i viaggiatori » il nano s’interruppe, guardandosi attorno attento.
Uno strano rumore risuonò nell’aria.

« Che cos’era quel rumore? » chiese Wick sospettoso. 
« Era il mio stomaco. Ho una fame da draghi! » esclamò Daelyshia e i nani scoppiarono a ridere.



La mattina dopo mi svegliai con dentro le orecchie un brusio di qualcuno che parlava. Mi misi a sedere e vidi che vicino a me c’era Daelyshia che grugniva nel sonno.
« Daelyshia » dissi, ma non ricevetti alcuna risposta. 
« Daelyshia! » provai ancora a voce alta ma la dragonessa si girò dall’altra parte mugugnando.
« Insomma, svegliati Daelyshia! » urlai allora nella mente della dragonessa che si rigirò dalla mia parte e aprì un occhio.

« Sono sveglia » mormorò con voce pastosa e assonnata.
Ci fu un attimo di silenzio: c’era veramente qualcuno che parlava. Io e Daelyshia, dopo esserci scambiate un’occhiata veloce, ci alzammo e ci avvicinammo ad un gigantesco albero, da dove provenivano delle voci; trovammo i nostri piccoli amici che parlavano con un altro nano sconosciuto, dagli occhi piccoli e una lunga barba intrecciata fino a terra. Era vestito con una tunica rossa con sul davanti aveva un disegno fatto di ricami dorati, infine sulla testa non si vedevano i capelli perché portava un capello a punta, dello stesso colore della tunica.
Il suo aspetto era molto buffo e quando lo vidi trattenni a stento una risata.
Wick ci guardò e annunciò: « Questo è Opak, il Guardiano del portale ».
Questi si avvicinò e strinse con vigore la mia mano nella sua, dura e callosa, dicendo: « Incantato di conoscervi… » mi tirò giù con forza per farmi chinare fino alla sua statura « Vostra Altezza » mormorò nel mio orecchio.
Mi ritirai di scatto e il nano mi sorrise. Anche lui, come Ongar mi aveva riconosciuto. La piccola compagnia di nani si alzò.
« Adesso, noi, dobbiamo tornare dal re » disse Wick e gli altri assentirono.
« Grazie per averci salvate dalla tempesta di sabbia e di averci aiutate »  ringraziai, aggiungendo:  « Sono in debito con voi ».
« Siamo entrambe in debito con voi » precisò Daelyshia.
I nani sorrisero e dopo aver chinato il capo ci voltarono le spalle e s’incamminandosi per il deserto. Li seguii con lo sguardo finché non sparirono tra le dune di sabbia.
« Mi sembra di aver capito che volete entrare nel mondo dei umani… » esordì il Nano del Dorond, girandosi a guardarci « Sarà molto difficile… » s’interruppe e si rivolse alla dragonessa  « Tu sai volare? »
« No. Non ho mai provato… no » tentennò lei.
« Male, molto male » disse il nano scuotendo la testa, con la barba che gli ribalzava sul petto.
« Perché? » domandai, confusa.
« Nel mondo degli Umani infuria una silenziosa battaglia e saper volare vi potrebbe aiutare » rispose Opak. 
« Va bene. Allora proverò! » esclamò decisa la dragonessa
« Che tipo di battaglia? » chiesi allarmata, cercando di ricordare la mia conversazione con il Grande Saggio Dun Morongh: non aveva detto niente di una battaglia.
« È complicato, ma te lo spiegherò velocemente: nel mondo degli umani c’è un gruppo che combatte contro il proprio re ». 
« Perché? Perché mai dovrebbero? » domandò Daelyshia, però questo lo ricordai perfettamente.
Mio padre era morto a causa di un uomo malvagio, che si era insediato al trono al suo posto. Le mostrai il mio ricordo.
« Perché in questo gruppo di ribelli si trova il vero erede al trono » spiegò enigmatico il nano.
« Che cosa? » esclamai meravigliata. Neanche questo sapevo .« Chi è? Un mio cugino!? ». 
Opak si strinse le spalle e sentii il nervoso montare.
Perché cercavano di tenermi sempre nascosto qualcosa?
« Ma gli umani… perché non si ribellano anche loro? » chiese la dragonessa.
« Perché hanno paura. Il potere del re è potentissimo » terminò Opak « Adesso andiamo, Daelyshia deve imparare a volare ».
Subito uscimmo dall’oasi allontanandoci di alcuni metri.
La dragonessa scavò la sabbia sotto di sé con gli artigli fino ad arrivare al terreno solido, si mise in posizione di volo, aprì le ali e saltò.
Preoccupata, la vidi ondeggiare e sbattere furiosamente le grandi ali, creando forti vortici di aria calda mentre saliva percorrendo una corrente al contrario. Sembrava un piccolo uccello che aveva lasciato per la prima volta il nido. Mosse il suo peso sull’ala sinistra, voltandosi e sfruttando l’aria che prima aveva contro. La vidi salire sempre più su e la sua mente s’illuminò. La sua felicità era così grande che i nostri pensieri e i nostri cuori si unirono. Osservai il mondo attraverso i suoi occhi da drago, molto più sviluppati dei miei da mezz’elfo, riuscendo a vedere anche i luoghi più lontani. Sentivo il vento correre lungo il mio corpo, scivolando lungo le squame che fendevano l’aria. Lasciai ferme le ali, sfruttando un’altra corrente ascensionale per planare con grandi spirali lungo il deserto, cercando i compagni perduti, ma tutto era immobile. Vedevo solo la distesa di sabbia.

« Attenta! Dietro di te! » urlò a squarciagola il nano del Dorond, sbracciandosi.
Distratte, le nostre menti si separarono e tornai nel mio corpo da mezz’elfo.
Al grido di Opak mi voltai e osservai il cielo con i miei occhi: un drago veniva verso di noi.

Preparai la magia e dalle mie mani uscì una striscia splendente di fuoco, che però non colpì il drago, poiché quello si scansò disastrosamente, e prese velocità.
Daelyshia scese a terra pronta a difendersi, ma rimase stupita quando il drago blu atterrò, malamente, davanti a lei.
« Ogard! » esclamammo all’unisono. 

 

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Capitolo 10
*** Eventi imprevedibili ***


10. Eventi imprevedibili



In contemporaneo a me e Daelyshia anche Menfys aveva imparato a Ogard a volare e così, finalmente riuniti, ci preparammo ed entrare nella terra degli umani: Astrakan.
Quando fummo pronti il nano del Dorond aprì il portale e davanti a noi comparve uno specchio che rifletteva la nostra immagine. Era la cosa più strana che avessi mai visto. Wisp lo toccò con la coda e quella entrò dentro il portale, dove si formarono delle increspature circolari, come in una superficie liquida.
« Avanti entrate... Buona fortuna! Speso di rivedervi uscire presto dal portale » ci incitò il nano delle miniere del Dorond.
« Addio! » dissi stringendogli la tozza mano.
« Questo non è un addio ma un arrivederci » ci salutò fiducioso Opak.
A uno a uno varcammo il portale, ed io entrai per ultima. Chiusi gli occhi e quando lo attraversai sentii un brivido percorrermi la schiena e poi un’ondata di caldo trapassarmi tutto il corpo. Quando aprii gli occhi, sgranandoli, mi trovai al centro di una verdeggiante pianura. Guardai gli altri: anche loro erano stupiti quanto me. Intanto il portale dietro di noi si era chiuso.
« Questa è Astrakan? » domandò Tanasir, incerto.
« Sì, sembra proprio di sì » rispose Mavina, aprendo e strabuzzando gli occhi.
« Ma… non c’era la guerra? ». 
Un bagliore proveniente dalla sacca di Menfys interruppe la mia domanda. Menfys ci guardò dentro e tirò fuori un foglio bianco, ripiegato. Quando lo aprì si sprigionò un bagliore fortissimo e sulla carta cominciarono ad apparire dei disegni, poi la luce sparì e i disegni finirono.
« È la mappa di Astrakan! » esclamò Tanasir « Ma come...?
».
All’improvviso un ruggito irruppe nella pianura. Menfys sobbalzò per lo spavento e la mappa gli cadde dalle mani. Un forte vento la fece volare via.
« Ah fantastico! 
» sbottò l'elfo, esasperato.
Mavina interruppe le sue imprecazioni con un grido. Spaventata indicò con un dito verso l’alto e tutti ci girammo.
Nel cielo, verso di noi, volava una bizzarra creatura con sopra un umano, il quale urlò delle parole che bloccarono le nostre gambe e le ali dei draghi, impedendo di farci scappare. Usai la magia, ma l’umano parò il colpo; intanto la creatura che cavalcava cominciò a planare, quando toccò terra l’umano scese con un agile salto. 
« Dei nuovi prigionieri » disse con una voce aspra che mi fece trasalire.
Era molto alto e d’esile corporatura, non aveva capelli e portava solo degli abiti logori con una cintura splendente dove, attaccata, c’era una grossa spada. Al suo fianco, la creatura chiuse le ali. Aveva la testa pelosa, da falco, e quattro possenti zampe, con poderosi artigli. Gli occhi di un giallo lattiginoso ci guardavano sprezzanti e la coda da leone si agitava furiosa.
Un Grifone!
« Chi sei? » si azzardò a chiedere Mavina.
« Bene » fece l’umano, ridendo con la sua voce tonante, allora Ogard cerco di sputare una fiammata, però l’enorme Grifone, intercettando la sua mossa, gli mise alla gola un poderoso artiglio.
Ogard emise un ringhio, scoprendo tutte le zanne.
« Come fa a usare la magia? » ci domandò stupito « Gli umani non possono usarla ».
« Ha rubato il segreto della magia » rispose Menfys in un sussurrò « Al re Elvisier. Solo i re conoscono il segreto » dal suo sguardo intuii che doveva aver riconosciuto quell’umano.
L’uomo fece un segno alla sua creatura, che lasciò Ogard e spiccò il volo, dalla direzione da dove prima erano apparsi lui e il suo compagno. Confusa, guardai gli altri, che ricambiarono lo sguardo, preoccupati, e allora mi girai guardare l’uomo e parlai: « Che cosa volete da noi? ».
« Non sapete chi sono? » chiese quello a metà tra l’ironico e il curioso, con ancora lo sguardo su dov’era scomparso il Grifone, poi si presentò: « Sono Klopius, re di Astrakan e voi… siete miei prigionieri ». 
Diventai pallida, ricordando quel nome familiare, e i pensieri nella mia mente iniziarono a vorticare veloci.
Klopius all’improvviso si voltò verso di me e i suoi occhi, per un attimo, balenarono furia.
« Tu! » esclamò indicandomi « Che cosa ci fai qui? Sei venuta a liberare lei? ». 
« Non so di che cosa stai parlando » replicai confusa e sincera.
Klopius fece per parlare, ma un battito d’ali lo interruppe e si girò verso il cielo: il Grifone era tornato.
La strana creatura atterrò e lasciò cadere delle museruole, delle catene di ferro e delle corde. Klopius prese tra le mani le museruole d’acciaio e delle catene. Daelyshia e Wisp si agitarono e Ogard emise nuovamente un ringhio spaventoso.
Klopius, con la magia, immobilizzò totalmente i poveri draghi, gli mise le museruole d’acciaio sulla bocca e poi le catene di ferro intorno al collo. Dopo che l’uomo ebbe finito, una ruga solcava la sua fronte per lo sforzo di aver mobilizzato a lungo i draghi.
« Cosa vuoi da noi? » domandò Mavina spaventata quando Klopius le lego le mani con le corde.
« Vi porterò nelle prigioni e poi vedremo » rispose lui, prendendo le corde e legando gli elfi in dorso ai draghi « Non è sicuro lasciarvi aggirare liberi per Astrakan ».
Menfys e Tanasir furono legati su Daelyshia e Wisp sul dorso del Grifone.
Quando fu il mio turno, mi ribellai: « Con quale diritto osi portarci in prigione? ».
« Siete macchiati di alto tradimento verso il re! » esclamò Klopius legandomi su Ogard insieme a Mavina impaurita.
Infuriata e per niente spaventata sferrai un calcio alla caviglia di Klopius, che gemette: « Stupida elfa, quando arriveremo in prigione, te la vedrai con me! » detto questo salì sul Grifone e prese le lunghe catene d’acciaio tra le mani, la creatura spiccò il volo costringendo Ogard e Daelyshia a fare uno enorme sforzo per volare.

« Avanti, camminate! » 
Scendemmo dai draghi e seguimmo Klopius, che ci teneva legati dietro di sé. Percorremmo per un lunghissimo corridoio, dove ai suoi lati erano situate numerose porte di ferro con una piccola gattaiola. A un certo punto il corridoio svoltava, sia a destra che a sinistra; Klopius, sicuro, ci condusse a sinistra e all’iniziò di un altro corridoio, lunghissimo, notai un cartello, sudicio e corroso dalla muffa, attaccato al muro sporco, dove era scritto in lettere grandi e rosse: TRADITORI.
Lo feci notare agli altri che si scambiarono occhiate turbate.
Klopius si fermò davanti a un muro, dove c’erano tre porte arrugginite con sopra delle altre scritte con lettere rosse, come il cartello: ELFI, DRAGHI, RIBELLI. 
Da quando essere Elfi o Draghi commetteva un reato così grave da finire nella più oscura prigione di Astrakan?
Klopius spinse Mavina, Tanasir, Menfys e me nella sala a destra, con la scritta ELFI, invece mise Ogard, Daelyshia e Wisp nella stanza a sinistra, con la scritta DRAGHI.  
« Siete a vostro agio? » chiese ironico Klopius « Starete tutti vicini, così guarderete uno la fine dell’altro » terminò crudele.
Mi spinse dentro con forza, facendomi cadere a terra, e dopo aver sbattuto malamente la porta della cella, se ne andò ridendo fra sé. Sentii il sangue rigarmi i palmi delle mani che si erano sfregate contro il duro pavimento di pietra fredda. Nel silenzio totale, Menfys si avvicinò, mi aiutò a rialzarmi e con un incantesimo mi guarì i palmi.
« Grazie ».
Mi fissò: « Stai bene? ». 
Lo guardai per un attimo in silenzio, riflettendo.
Perché ci stava accedendo tutto questo?
« No! » urlai a un tratto « Perché siamo venuti qui, Menfys? Sapevamo che non era sicuro e adesso siamo anche dei traditori! ».
« Quell’uomo è malvagio! » esclamò senza criterio Tanasir che, stralunato, stava seduto per terra e si guardava intorno, come per trovare una via di fuga al problema in cui ci trovavamo.
« Grazie Tanasir, ci sei di grande aiuto » sbottò Mavina, isterica « Non riesco a utilizzare la magia! Questa cella deve essere incantata in modo che la magia rimanga all’interno » constatò poi ancor più ansiosa.
« Shh… zitti… ascoltate! » sussurrò all'improvviso Daelyshia dall’altra cella.
Dal corridoio provenivano suoni di passi che si facevano sempre più vicini.
Tanasir si affacciò alla finestrella e sussurrò sorpreso: « Io credo di sapere che cosa vuole Klopius vuole da te Elien… ».
« Cosa? » feci, confusa.
Tanasir mi fece spaziò: « Vieni ».
Mi affacciai alla gattaiola, seguita da Menfys e Mavina, curiosi.
Nel corridoio camminavano alcuni soldati con delle armature rosse e grigie, e degli elmi neri con sopra un’insegna di un grifone. Due soldati molto robusti, che stavano nel centro del piccolo corteo, trascinavano una persona. Era una ragazza con i capelli che le ricadevano oltre le spalle e un lungo vestito che strusciava per terra.
Chissà perché si trovava in prigione…
Quando si mosse e i capelli le scoprirono il volto, la guardai e impallidii per la sorpresa: era uguale a me.

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Capitolo 11
*** La fuga ***


11. La fuga





Sentivo gli sguardi stupiti dei miei compagni di cella su di me.
Perfino Daelyshia mi mostrava la sua meraviglia.
Intanto i soldati con le armature nere e rosse aprirono la porta con la scritta RIBELLI e ci buttarono con malagrazia la ragazza che gemette quando atterrò a terra con un tonfo sordo.  
Scivolai a terra confusa, nascondendo la testa fra le mani.
Tutto era così complicato nella mia mente dove continuavano a girare pensieri confusi, ricordi sbiaditi.

« Elien, chi è quella? » domandò Mavina.
Alzai lo sguardo e vidi che mi stava osservando attentamente, come per come per valutare quanto fossi uguale all’altra ragazza.
« Non lo so  » mormorai « Menfys? ».  
Menfys mi guardò con quello sguardo combattuto, che conoscevo fin troppo bene. Lui sapeva, però non voleva dirmi il suo segreto. Mi lanciò uno sguardo incerto, prima di nascondere le sue emozioni dietro un’espressione indecifrabile.
Ero troppo stanca per estorcegli qualsiasi informazione.
Questo viaggio mi stava prosciugando ogni energia.



I giorni passarono lenti nella prigione, tutti uguali. Ogni dodici ore i soldati prelevavano dalla sua cella la ragazza e ogni volta la guardavo sforzandomi di ricordare chi fosse.
« Da quanti giorni siamo qui? » chiesi.
Menfys si sedette vicino a me: « Quindici ».
« C’è qualcosa che non mi va giù, più cerco di pensare e più mi rendo conto che la mia mente è annebbiata » dissi « Non riesco neanche a parlare bene con Daelyshia ».
Dall’altra cella, la ragazza gemette.
Io e Menfys ci alzammo e poggiammo le orecchie verso il muro che collegava la nostra stanza a quella adiacente.   
« Che cosa hai detto? » chiese Menfys, dall’altra cella si sentì un movimento e un altro gemito.
« L’acqua » si sentì un flebile sussurro.
« L’acqua? » ripetei.
Anche Tanasir e Mavina, incuriositi, avvicinarono al muro le loro orecchie a punta.
« L’acqua » gemette la ragazza « C’è una droga nell’acqua che annebbia la mente ».  
« Come fai ha saperlo? » domandò Tanasir.
« Me lo ha detto Klopius. Odorate l’acqua: sentirete che ha un sapore strano ».  
Mavina prese la brocca d’acqua e odorò, sgranò gli occhi e la fece odorare anche agli altri: aveva un odore strano.
« Perché Klopius te lo dovrebbe aver detto? » domandò Menfys, all’improvviso sospettoso.
« Perché Klopius mi ha parlato di voi ed io non la prendo per via del dolore, quando… » si zittì, e con flebili gemiti, sentii che si allontanava dalla parete.
Si sentì il rumore dei passi.
Mi affacciai alla finestrella e vidi delle guardie scortate da Klopius, che presero la ragazza.

La sentii singhiozzare: « Te la farò pagare, Klopius! Te la farò pagare amaramente! ».
« Zitta! » sbraitò l’uomo dandole un calcio, poi si rivolse alle guardie: « Questa volta doppia, per la sua sfacciataggine. Adesso andate, ma datemi le chiavi della cella degli elfi ».
Una guardia gli diede un mazzo di chiavi arrugginite e insieme agli altri soldati se ne andò, trascinando per l’ennesima volta la ragazza. Arretrai verso il muro, scambiando un’occhiata spaventata con Mavina. Klopius entrò nella cella e subito fummo bloccati dalla sua potente magia.

« Tu! » esclamò, indicandomi « Tu verrai con me! ».
« Che cosa vuoi da me? » domandai, mentre l’uomo mi portava fuori della cella.
Mi divincolai furiosamente dalla sua presa, ma Klopius mi trascinò con forza verso una porta dall’aria squallida, nel corridoio seguente. Quando entrammo mi legò con una corda le braccia e le gambe a una sedia.
Rischiai di cadere all’indietro quando cercai di divincolarmi dalle corde. Un improvviso lamento vicino mi fece sussultare. Girai la testa di scatto e vidi la ragazza identica a me, per terra, che cercava di alzarsi, anche se aveva i polsi legati.
« Che cosa… ».  
Feci per parlare quando un debole sussurro m’interruppe: « Qualunque cosa dica Klopius, tu non dirgli niente ».  
La ragazza riuscì ad allontanarsi di poco, appena in tempo per non farsi vedere da Klopius che chiuse la porta della stanza, sbattendola, e si avvicinò a noi.  
« Finalmente ti rincontro » disse Klopius « Qual è il tuo nome? ».  
Non risposi.
« Non vuoi parlare » osservò Klopius maligno « Allora potrai ascoltare » e indicò all’improvviso la ragazza « Sai chi è lei? » mi chiese scandendo lentamente le parole.
La guardai per un attimo, confusa, poi, accorgendomi che Klopius mi guardava con enorme interesse, assunsi un’espressione gelida.
« Ah… non lo sai » asserì, notando subito il mio sguardo « Io te lo dirò, se tu lo vorrai »
Ad un tratto era diventato gentile, troppo gentile.

« No » lo supplicò la voce vicino a me « Lei non c’entra niente ».  
« Allora, vuoi saperlo? ».  
Sapevo che non avrei dovuto fidarmi di lui ma ormai la mia curiosità era destata e annuii.
« Lei è il capo dei ribelli che combattono contro il mio regno » nella mia mente scattò qualcosa, come un campanello d’allarme, qualcosa che aveva a che fare con mio padre e con Klopius, però la droga mi annebbiava il cervello « Lei è la figlia di quell’impostore di Elvisier ».
Sgranai gli occhi e guardai la ragazza che ricambiò il mio sguardo, sincera.
Com'era possibile?

Non ebbi il tempo di riflettere su quello che avevo appena udito che nella mente Daelyshia ruggì così forte, che mi stupii che l’eco non rimbombasse nella stanza. All’improvviso sentii le parole del Grande Saggio, evocate dal ricordo di Daelyshia.
Lui ha ucciso tuo padre… Klopius… ”.
Lui!
Lui era l'usurpatore!

Klopius aveva ucciso mio padre!
Sentii una scarica di adrenalina percorrermi dolorosamente la spina dorsale. La rabbia era troppa e la magia fuori controllo.
Era questa l'emozione che si provava di fronte l'assassino di tuo padre?
Ansimai, come se qualcuno mi avesse sferrato un pugno nello stomaco. Le corde della sedia si sciolsero come cera e una forte luce spedì Klopius contro il muro che, infuriato, con un movimento della mano riuscì a bloccare la mia magia.
« Tu! Tu hai ucciso mio padre!».  
La ragazza sussultò e Klopius si avvicinò con un’espressione indecifrabile. Allora capii che lui sapeva chi ero fin dal primo momento in cui mi aveva vista.  
« Questa non è la verità… è stato tuo padre a darmi il regno e sto cercando solo di proteggerlo… ».
« Non toccarmi! ».
Gli sputai in faccia e Klopius ancora più infuriato mi diede uno schiaffo, facendomi cadere a terra.
« Non lo ascoltare, Elien » esclamò la ragazza.
Conosceva il mio nome?

Forse quello che avevo ascoltato da Klopius era la verità…
Mi rialzai in piedi guardandolo, gli occhi socchiusi, la guancia che pulsava.
« La mia pazienza ha un limite » disse Klopius, ignorandola « Io ti posso raccontare una storia diversa… ».  
« Perché dovrei crederti? » gridai, massaggiandomi la guancia.
« Hai tre giorni per decidere se morire o ascoltare la mia storia e… giurarmi fedeltà » Klopius ghignò « Adesso… Guardie! »  
Nella stanza entrarono dei soldati che mi presero insieme alla ragazza. Ci trascinarono per il corridoio e poi ci buttarono nelle nostre rispettive celle.
«Elien! Ti senti bene? » mi domandò subito Menfys.  
Non lo sentii nemmeno. Mi misi seduta, sputando sangue: mi ero morsa la lingua. Un pensiero mi assalì la mente… perché nessuno mi aveva detto che avevo una sorella? Perché mia madre non me l’aveva mai detto? E Menfys?
Osservai con rabbia l’elfo… ero sicura che lui ne sapesse qualcosa… era quello che mi aveva tenuto nascosto per tutti i giorni della prigionia.
Ma qual’era l’altra storia che Klopius aveva da raccontare?
Gli avrei giurato fedeltà, per salvarmi?
« Elien » ripeté Menfys, poggiandomi una mano sotto il mento e costringendomi a guardarlo negli occhi « E' successo qualcosa? Daelyshia non riesce ad entrare nella tua mente e io… ».  
Feci per parlare ma, finalmente, Daelyshia riuscì ad entrare nei miei pensieri.
« No, Elien, Menfys non lo sa… ho visto i suoi pensieri e lui non sa niente di tua sorella. Sapeva solo che non eri riuscita riconoscere l’assassino di tuo padre. Era quello che ti stava nascondendo ».
Sentii una lacrima rigarmi il volto.
Menfys l’asciugò con il pollice e mi guardò intensamente negli occhi:
« Vuoi parlarne? ».  
« È tutto così complicato » ripetei nascondendomi nell’abbraccio di Menfys, che mi accarezzo lentamente i capelli. Seppellii il volto nel suo petto, cercando di riflettere.
“E se giurerò fedeltà a Klopius, che cosa succederà dopo?” pensai.  
Tutto quello per cui aveva lottato mio padre sarebbe andato perduto…
« Dobbiamo andarcene di qui! » esclamai a un tratto, risoluta e decisa « Fra tre giorni Klopius tornerà a prendermi e noi dobbiamo scappare ».
« Ma… come facciamo? Mi sento il cervello annebbiato » disse Mavina barcollando vicino a Tanasir, che la prese al volo prima che cadesse.
« Non dobbiamo più bere, iniziando da adesso » risposi prendendo la brocca d’acqua e rovesciando il contenuto per terra.


Era notte e non riuscivo a dormire. Sentivo la bocca secca e la sete mi attanagliava le viscere. Deglutii cercando far spegnere il bruciore che m’irritava la gola, ma fu anche peggio e tossii. All’improvviso sentii un sussurro e davanti a me apparvero due grandi e splendenti occhi verdi.
In un primo momento pensai che fosse un’allucinazione dovuta alla sete, ma dopo aver strizzato più volte i miei occhi, quelli splendidi verdi che mi guardavano rimanevano sempre lì.
« Chi sei? ».  
« Sono Madre Aira ».
Ogni cosa intorno a me scomparve, diventando bianca, e comparve una figura fatta di aria, di cui si vedevano solo i due grandi occhi profondi.
Aveva le sembianze di una donna molto giovane.
« Sono qui per aiutarti ».  
« Sei uno Spirito Elementare? » chiesi, ricordando il sassolino che mi aveva dato Madre Natura.
« Sì » rispose Madre Aira « Ti aiuterò a fuggire di qui… non devi credere a Klopius, lui è il male ».  
« Lo so » feci, massaggiandomi le tempie per via del forte mal di testa che mi era venuto « Lo so, ma… ».  
Madre Aira mi circondò. Emanava pura felicità. Ciò mi fece riprendere la speranza ormai perduta.
« Non posso restare qui per molto tempo, devo tornare a Danases » disse Madre Aira « Quando avrai aiutato gli umani torna da me… » la sua voce diventò eco.
« Aspetta! » esclamai « Mi aiuterai con la Pietra Elemento? ».  
Madre Aira annuì e scomparve, facendomi tornare nel buio della cella, che aveva la porta spalancata sul corridoio.
Daelyshia entrò nella mia mente: « Elien, presto, dobbiamo andare! ».
Intuii che aveva seguito la conversazione con lo spirito.
« Va bene ».
Svegliai gli elfi addormentati, che uscirono stupiti dalla cella dove incontrammo i tre draghi.
« Come hai fatto? » chiese Tanasir, ma non lo stavo ascoltando.
Notai che anche la porta della ragazza era aperta, lei era svenuta, forse…
« Prendiamo anche lei » affermai, indicando la cella con la scritta RIBELLI.
Allora Menfys entrò nella cella e se la coricò sulle spalle.
Nervosi e sudati, proseguimmo per gli infiniti tunnel della prigione, cercando di non far rumore, però non fummo così silenziosi da evitare una pattuglia di soldati che sorvegliavano i corridoi.
« Prigionieri fuori dalle celle! » urlò una guardia dando l’allarme.
Iniziammo a correre all’impazzata per raggiungere l’uscita della prigione. Intanto, dietro di noi, i soldati lanciavano frecce nere come la notte che si confondevano nel buio dei corridoi. Sentii una sfiorarmi il braccio. Tanasir cercò di fermarle con la magia, ma un’altra mi colpì il polpaccio e gemetti per il dolore. Altri soldati comparvero improvvisamente nel corridoio davanti a noi. Una guardia si avventò su di me. Con uno scatto gli strappai la spada dalle mani e lo colpii al petto. Il soldato stramazzò a terra, gemendo.
Disgustata e confusa, mi fermai ansante. Allora, mentre altri soldati stavano per catturarmi, sentii il brivido camminarmi lungo la schiena. Era la magia. Non riuscivo più a controllarla dopo tutto quello che era successo. Senza che potessi fermarla, dalle mie mani si sprigionò una luce accecante. Vidi gli uomini cadere a terra. Poi sentì salirmi la nausea e crollai.


 

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Capitolo 12
*** Aingel ***


12. Aingel



Era notte fonda quando finalmente aprii gli occhi.
Menfys era seduto accanto a me, mentre tutti gli altri dormivano qualche metro più in là. Mi misi a sedere con uno scatto silenzioso e, sotto lo sguardo attento di Menfys, mi guardai intorno: eravamo in una pianura spoglia e desolata, in lontananza si vedeva una piccola luce.
La prigione era ormai lontana. 
Lo guardai per un momento e quando ripensai a quello che avevo fatto mi sentii un mostro. Avevo ucciso un uomo.
“Magari aveva una famiglia” pensai angosciata “Ed io l’ho ucciso”.
Un singhiozzo esplose dalla mia gola, quando Menfys mi strinse al suo petto. Scoppiai a piangere silenziosa, tremando tra le sue braccia.
Menfys mi accarezzò i capelli: « Shh… Non fare così… ». 
« Io non volevo… Non volevo… » singhiozzai, tormentata « Ma… ma… ». 
« Lo so ». 
« Prima il drago, e ora… » mi coprii il volto con le mani e la mia voce uscì soffocata: « Sono un mostro ».
« Non dire così Elien » Menfys mi costrinse a guardarlo negli occhi « Non devi fartene una colpa perché ci hai salvato. Se non fosse stato per te, adesso, saremo ancora in quella prigione ».
Mi asciugò con dolcezza le lacrime che mi rigavano il volto. Però io non riuscii a fermarmi e continuai a piangere e a singhiozzare sulla sua spalla, finché mi sentii prosciugata da ogni emozione.
All’improvviso qualcosa si mosse e un piccolo gemito uscì dalla bocca della ragazza che avevamo salvato.
Allora, mi alzai per andarle vicino, ma caddi per terra.
Menfys mi rialzò e sentii mancare il respiro quando un forte dolore mi strizzò il polpaccio.
« Ti ha colpito una freccia. Te l’abbiamo fasciata il meglio possibile… » disse l’elfo, aiutandomi ad avvicarmi alla ragazza che stava sotto una coperta « Devo farti vedere una cosa ».
« Cosa? ».
« Guarda ».
Menfys prese la ragazza in braccio delicatamente, come se fosse un fragile ramoscello, e poi imbarazzato le tirò su le maniche del vestito e spostò la gonna che le copriva le gambe. Furiosa, imprecai con tanta violenza che sentii lo sconcerto dell’elfo: le braccia e le gambe della giovane erano piene di lividi e cicatrici.
« Ecco cosa intendeva dire a proposito del dolore » spiegò Menfys, sospirando « Daelyshia le ha curato le ferite che aveva sulla schiena… » ricoprì la ragazza, poi mi guardò e aggiunse: « Cosa facciamo adesso? ». 
« Dormiamo, non c’è ragione di svegliare gli altri per ripartire adesso. Lasciamoli riposare » risposi, zoppicando e sdraiandomi a terra.
Chiusi gli occhi e rimasi sola con i miei pensieri.
Nella mente mi balenarono le immagini della prigione e le lacrime mi scesero ancora, calde, sulle guance. Mi coprii il viso con le mani ed emisi un singhiozzo. Riprovai la sensazione orribile infilare la spada nel petto di quell'uomo. La guerra era orribile… ci trasformava tutti in assassini. Chi eravamo per togliere una vita?
A un tratto sentii un fruscio vicino e vidi Menfys stringermi una mano. Cullata dal suo mormorio incantato mi abbandonai a un sonno senza sogni.

Poco prima dell’alba mi svegliai di soprassalto: vicino a me la ragazza si agitava. La tenni ferma, finché quella apri gli occhi e si sedette di scatto, come se fosse stata punta da qualcosa che le aveva fatto molto male.
« Chi sei? » le chiesi, lasciandola.
Lei mi fissò, sgranando i suoi occhi striati di verde e mormorò: « Lo sai chi sono ». 
Mi alzai di scatto e impallidii quando il polpaccio protestò, lanciandomi una fitta di dolore.
Era davvero mia sorella?
« Non è possibile! ». 
Alla mia esclamazione anche tutti gli altri si svegliarono e si guardarono intorno, confusi.
« Cosa succede? » chiese Menfys, assonnato.
« So che è difficile da credere… » disse la ragazza poggiando una mano sulla mia « Il mio nome è Aingel e sono tua sorella gemella ».
Sbattei le palpebre e la osservai: mi sembrava di guardare la mia immagine riflessa. Anche se i vestiti erano diversi, i capelli più scuri, quasi castani, e gli occhi erano tutte e due verde smeraldo. Notai che lei non aveva le orecchie a punta. Era solo un’umana, anche se mi somigliava molto. Non sapevo se crederle. Era difficile, dopo sedici anni, scoprire di avere una sorella, per di più gemella. Ormai gli altri si erano svegliati e osservavano con enorme interesse Aingel, che però li ignorava e continuava a guardarmi, ansiosa.
« Grazie di avermi salvato la vita ».
« Io… » ricordai le parole di madre Aira « Io sono qui per aiutarti ».
Il Destino aveva in serbo un disegno per noi se ci aveva fatto incontrare...
« Perché nessuno ha mai saputo di te?
» domandò Menfys.
Anche lui era turbato. D'altronde Raene era stata per lui come una sorella maggiore. Lo aveva cresciuto. Capito che non si aspettava che gli avesse nascosto un così grande segreto.
Tutti ci girammo a guardare Aingel.
Lei sospirò e iniziò a raccontare: « Sono nata qualche minuto prima di Elien. Già il destino aveva deciso per noi a chi sarebbe andata la metà umana e la metà elfica, d'altronde a Danases non è forse il secondogenito che eredita il regno? A dimostrarlo c'erano le mie orecchie non a punta. I nostri genitori decisero di separci subito e nostro padre mi portò ad Astrakarn per mettermi al sicuro dai draghi, ma non sapeva che tornando indietro ci sarebbe stato un pericolo ben maggiore ad attenderlo. Quel giorno
» strinse forte i pugni e digrignò i denti « Quel giorno in cui morì riuscirono a salvarmi e crescendo riuscii ad organizzare la resistenza contro l'usupartore, è da anni che siamo la sua spina nel fianco » un sorriso soddisfatto si aprì sul suo volto.
Metabolizzai le informazioni.
E così un altro tassello della mia vita era stato ricomposto. Ogni pezzo della storia della mia famiglia stava tornando al suo posto.
All’improvviso una voce volteggiò sull’accampamento.
« Aingel torna presto ».
Daelyshia, Ogard e Wisp si scambiarono un’occhiata.
« Un drago? » domandò Menfys, incredulo.
Aingel annuì.
« Qui siamo nelle pianure Daan, le pianure desolate, non siamo lontani dal nascondiglio » disse, ma Mavina la interruppe: « Come sappiamo se possiamo fidarci veramente di te? ».
Aingel la guardò confusa per un momento, poi si girò e si scoprì la spalla sinistra, mormorando alcune parole: dietro apparve un tatuaggio rosso a forma di drago.
Tutti rimasero senza parole, me compresa.

Una sottile pioggerella, filtrando dagli alberi, ci sorprese nella foresta, mentre la mia gemella, Aingel, ci guidava a Shelgrey Equilan, la città segreta dei ribelli, il gruppo guidato da lei per lottare contro Klopius, il tiranno che usurpava il suo trono come re degli umani.
« …Questa pioggia! » borbottai seccata, spostandomi dagli occhi i capelli bagnati.
Avevamo percorso molte leghe – io zoppicando – da quando eravamo scappati dalla prigione, e adesso ci trovavamo nell’enorme foresta di Shae.
Il polpaccio fasciato mi pizzicò, riscuotendomi dai miei pensieri.
Aingel parlava a perdifiato. Ascoltammo sbalorditi il suo racconto, di com’era stata catturata e portata alle prigioni. Klopius l’aveva sorpresa mentre tornava da Ililea – la capitale del regno – dopo aver spiato per un po’ di tempo le mosse del falso re. Stava progettando un attacco per interrompere gli approviggionamenti alle truppe di Klopius ma era stata tradita.
Osservai le sue braccia e notai che i lividi stavano scomparendo.
Quando finì di raccontare mi fissò: « Finalmente ci siamo ritrovate e adesso non ci lasceremo più » e detto ciò mi abbracciò di slancio.
Fui sorpresa di quell’intimità così… semplice. 
« È così difficile da credere » ripetei ancora ricambiando la sua stretta.
Avevo così tante domande che mi vorticavano nella testa.
All’improvviso Aingel si fece pensierosa: « Cosa ci facevate voi elfi nel mondo degli umani? ». 
« Il vero motivo per cui siamo qui è perché siamo in cerca della Pietra Elemento dell’aria » rispose Mavina.
« Ma… la Pietra Elemento fondamentale è quella del fuoco » ribatté Aingel, confusa.
« Quella degli umani. Noi elfi abbiamo Terra, Aria e Acqua, per questo gli elfi sono divisi in tre razze: gli Elfi dell’Acqua, della Terra e dell’Aria » spiegò Tanasir.
Camminammo molto, finché non scese la sera, e poi ci fermammo a riposare. Da Nord soffiava un vento molto freddo e così io, Menfys, e Aingel ci rifugiammo vicino a Daelyshia, che ci coprì con le ali; Ogard fece lo stesso con Tanasir, Mavina e Wisp che aveva le ali ancora troppo piccole, non coprivano nemmeno una persona.
La mattina all’alba riprendemmo il viaggio. I soli caldissimi e accecanti, sembravano splendere felici nel cielo senza nuvole. Eravamo ancora all’interno dell’enorme foresta di Shae, e seguivamo il tortuoso sentiero battuto, quando all’improvviso ci trovammo davanti a una biforcazione.
« Adesso, da che parte si va? » chiese Menfys ad Aingel.
Lei lo guardò perplessa: « Non ricordo di una biforcazione… ». 
« Splendido. Ci siamo persi! » borbottò Mavina tra i denti.
Sentii mancare le forze, barcollai e mi appoggiai ad un albero, mentre la ferita al polpaccio mi bruciava la pelle. Mi chiesi perché Daelyshia non sentisse il mio stesso dolore.
« Elien, va tutto bene? » domandò Tanasir.
Lo guardai con occhi smarriti, e poi tornai a guardare la biforcazione. Il sentiero a sinistra era stretto, sembrava che salisse, mentre quello a destra era largo e dritto. Quando lo guardai, avvertii qualcosa di strano, come una presenza maligna in agguato. Anche Daelyshia, attraverso i miei pensieri, avvertì la strana sensazione, e fece guizzare la coda, come se fosse pronta a scattare.
« Dobbiamo andare a sinistra » annunciai. 
« Cosa? » fece Aingel « Elien, non dobbiamo salire, dobbiamo andare dritti, e poi quel sentiero è… ». 
«Dobbiamo andare a sinistra, sento che c'è qualcosa che non va » sentenziai, stringendomi il polpaccio.
A Menfys il gesto non passò inosservato.
« La ferita… ti fa male? » chiese, notando qualcosa di scuro che si allargava sullo stivale, fece per avvicinarsi ma lo respinsi: « Sto bene! ».
Cercai di coprire il sangue, che usciva copioso dalla gamba e mi bagnava lo stivale. Se gli altri avessero visto che la ferita si era riaperta ci saremmo dovuti fermare.
Non dovevamo perdere altro tempo.
Scrutai nuovamente il sentiero. Aingel e gli altri mi guardarono perplessi, sicuri che il sentiero di destra fosse quello più sicuro. Mi lasciai convincere e anche se ancora incerta, mi misi in cammino, seguendoli.
Durante il percorso, il bruciore alla gamba e l’inquietante sensazione mi pesavano sempre di più... Così tanto che mi guardavo intorno agitata, come se un’oscura presenza potesse calare sul gruppo da un momento all’altro. Daelyshia, per via del nostro legame, condivideva la mia stessa agitazione, facendo guizzare gli occhi splendenti tra la foresta. Però non riusciva a sentire il mio stesso dolore pulsante, che mi faceva digrignare i denti ad ogni passo. All’improvviso, si sentì un battito d’ali e un’ombra oscura calò su di noi. Una strana creatura, con la testa da uccello e il corpo da leone, atterrò davanti a noi, bloccandoci la strada.
Il Grifone di Klopius ci guardò con i penetranti occhi gialli.
« Sssiete in mio potere » sibilò.
Aingel, con uno scatto fulmineo prese la spada dalla cintura di Menfys e la puntò contro la creatura, che ghignò: « Ssse opporrete resssistenza, vi ssschiaccerò come mossscerini ».
Ogard gli sputò contro del fuoco, mentre Tanasir lanciò un incantesimo, ma le magie non sfiorarono il Grifone.
« Le vossstre magie non possono toccarmi » stridé arrabbiato e iniziò una furiosa lotta per cercare di catturarci.
Io e Menfys ci rifuggiammo dietro un albero. Presi una freccia e l’arco di Menfys e lo puntai, con mani tremanti, verso il Grifone.
« Elien! Cosa stai facendo? Rischieresti di colpire qualcuno per sbaglio! » esclamò Menfys, mettendosi davanti all’arco e allargando le braccia « Da qui, non riuscirai neanche sfiorarlo, è troppo lontano ».
Non lo sentii e tesi l’arco tremando.
« Al mio segnale, fai spostare gli altri. Prenderemo di sorpresa il Grifone. È troppo forte per noi e la magia non lo può toccare. Abbi fiducia, sono sempre stata un'ottima arciere ».
Menfys sospirò, guardandomi: « Va bene ».
Presi la mira e tesi al massimo l’arco che protestò, scricchiolando pericolosamente.
« Ora! ».
Con un forte schianto, la freccia si librò nell’aria e l’arco – come temevo – si spezzò tra le mie mani, intanto Menfys con un incantesimo allontanava i compagni dalla traiettoria della freccia sibilante, che si conficcò in una delle possenti spalle del Grifone. La ferita iniziò a sanguinare copiosamente e la malvagia creatura lanciò un grido di dolore.
Mi guardò, furibondo: « Me la pagherete! Morirete, ssse sssarete così… sssfortunati da trovarvi ancora nelle mie grinfie ».
Spiccò il volo lanciando strida di dolore. E mentre spariva nel cielo, sentii le schegge di legno intorpidirmi le mani e la gamba esplose in un dolore lancinante.
Il buio mi circondò.

Non vedevo più niente.
L’oscurità mi circondava, opprimendomi.
Ero sola.
Mi resi conto, spaventata, che non riuscivo a sentire Daelyshia nella mia testa. Percepivo soltanto il buio soffocante.
Cercai di muovermi e sentii qualcosa trascinarmi lentamente verso il basso, nell’oscurità più totale, come in un pozzo.
Chissà se aveva una fine. Mi chiesi quando ci sarei arrivata.
A un tratto, delle voci familiari, esplosero limpide nell’oscurità.
« Elien? ».
« Tanasir? » l’eco della mia voce si spense nel buio « Tanasir! ».
« Elien? Riesci a sentirmi? » domandò di nuovo la voce.
« Sì, ti sento » urlai, agitata.
Continuavo a scivolare sempre più giù.
« Tanasir, sono qui! ». 
La voce continuava a ripetere il mio nome, senza ascoltarmi.
« Sta peggiorando » mormorò una voce dolce: Aingel. 
Chi stava peggiorando?
Volevo uscire da quel luogo privo di luce.
Cercai di fermare la mia lenta discesa ma quella continuò imperturbabile.
« Guarirà? » chiese la voce ansiosa di Menfys.
La sua domanda echeggiò intorno a me, senza trovare risposta.
« Sta morendo ».
Finalmente capii.
Io stavo morendo.
Eppure non sentivo nessun dolore.
Era veramente così la morte? Oscura e solitaria?
Quando sarebbe arrivata la fine del pozzo, sarebbe arrivata anche la mia?
Cercai di ricordare il perché della mia morte, e nella mia mente sfocata rievocai il forte dolore al polpaccio, che avevo provato prima di scivolare nel nero luogo in cui mi trovavo. Era per quello che stavo morendo?
Cercai di muovere la gamba e mi accorsi che era diventata pesante, era proprio il suo peso che mi stava trascinando verso la fine.
La mia mente divenne vuota, senza pensieri, e il peso alla gamba aumentò facendomi scivolare più veloce. Ero quasi giunta.
Avrei potuto finalmente abbracciare Raene. Chiusi gli occhi.
All’improvviso sentii qualcuno piangere.
Daelyshia?
Mi ricordai di lei. Non potevo lasciarla. Aprii gli occhi cercando di restare sveglia, ma a causa del buio li richiusi nuovamente. Senza di me Daelyshia non ce la poteva fare.
La sentivo gemere.
La morte era così solitaria…
 

La sua lacrima mi bagnò la gamba, mi sentii leggera e presi a salire sempre più veloce verso l’alto.
La luce mi esplose attorno accecandomi, dietro le palpebre chiuse.
Aprii gli occhi e mi ritrovai in una grande stanza bianca con un’enorme finestra da dove entravano i raggi dei soli.
Nella luce accecante distinsi un volto. 
« Menfys, sei morto anche tu? ».
La sua voce esplose in una risata cristallina: « No, Elien. Sei tu che sei viva ».
Mi sentii circondare dall’abbraccio di tutti e Daelyshia, ruggendo di gioia, mi tirò su e mi strinse al suo ventre caldo, facendo attenzione a non ferirmi con gli artigli. Capii quando fosse importante la sua presenza nella mia vita.
« Ti voglio bene Daelyshia! ».
« Anch’io Elien! » rispose lei « Quando ho sentito il tuo cuore così debole credevo che sarei morta insieme a te, ma una lacrima è scesa dal mio occhio ed è caduta sulla tua ferita e finalmente ho sentito il tuo cuore battere più forte ».
« Non ti lascerò mai » le promisi.
Daelyshia roteò gli occhi e sbuffò un risolino: « Certo che non lo farai, non devi prometterlo ».
Sorrisi in quella confusione di risate cristalline.
Essere scappata alla morte mi fece capire quanto fossero davvero tutti importanti per me, compresa Aingel. Averla finalmente trovata aveva riempito una parte di me, che credevo perduta nei miei ricordi dimenticati. E poi anche Mavina, Wisp, Tanasir, Ogard… Mi feci largo e trovai Menfys ad aspettarmi.
Lo abbracciai, osservando il suo viso. Non l’avevo mai visto così bello. Mi sorrise, felice. Ci stringemmo forte. Gli lasciai un bacio sulla guancia di slancio e mi sorpresi a scoprire quando mi fosse piaciuto. Sentii il cuore iniziare a battermi più veloce e le guance arrossire. Anche lui rimase per un attimo sorpreso ma poi mi prese il volto tra le sue mani calde e rimanemmo a guardarci sorridenti.
All’improvviso un ragazzino entrò di corsa nella stanza bianca e vuota in cui ci trovavamo.
« Vostra altezza! » si fermo ansimando, cercò di riprendere fiato « Vostra altezza… ». 
Tutti smisero di abbracciarmi e Aingel si volse con un’espressione corrucciata.
« Che cosa c’è? » chiese.
« Vostra altezza, mi manda a chiamarvi il Saggio, dovete andare subito da lui, è una questione urgente ».
« Va bene, andremo subito da lui! Grazie… ». 
« Ipy ».
« Grazie Ipy ».

Camminavamo velocemente, quasi correndo. Sopra di noi volavano Ogard, Daelyshia e Naim, la dragonessa dalle scaglie rosso vivo di Aingel. Somigliava molto a Daelyshia, ma il ciuffo sopra i suoi occhi era nero e il suo sguardo, invece di essere arancione brillante era dorato, per il resto era uguale a Daelyshia, anche nella grandezza. Nostra madre era riuscita a donare ad entrambe un drago.
Mentre percorrevamo Shelgrey Equilan vidi che non era una vera e propria città, come ci aveva descritto Aingel, piuttosto un caldo rifugio di piccole case ai margini della foresta, e non molti avevano il coraggio di abitarvi per paura di essere scoperti, anche se Aingel era riuscita a nasconderla molto bene, coprendo le case con arbusti e confondendole con la vegetazione circostante. Somigliava molto ad Aessina, la città della Terra, infatti, la cosa stupiva molto Tanasir che si guardava intorno meravigliato.
Aingel ci guidò verso una casetta coperta da rampicanti, era nascosta così bene che se la mia gemella non l’avesse indicata non sarei riuscita a scorgerla. Quando arrivammo il Saggio Keltosh era lì, ad aspettarci.
Aingel mi aveva parlato di lui. Era il Grande Saggio che, durante il regno di nostro padre, vegliava sulla pietra del fuoco, e quando Elvisier era stato ucciso era stato lui a portare Aingel al sicuro da Klopius, a crescerla e a insegnarle alcuni incantesimi, anche se gli umani non potevano usarli (ad eccezione di Klopius, che aveva rubato il segreto della magia a mio padre). L’aveva aiutata a trovare il suo sangue elfico e a scoprire dentro di lei la magia. E quando Aingel aveva ritrovato la sua parte elfica il Saggio le aveva consegnato l’uovo di Naim, che aveva conservato per tanti anni, e che si era schiuso per lei. Vidi che nella sala Keltosh era seduto in una grande tavola, dove vicino c’erano altre persone. Appena Aingel entrò, tutti si alzarono e fecero un inchino per poi rimettersi a sedere.
« Che cosa succede? ». 
« Altezza » esordì un uomo dai capelli e dalla lunga barba, molto alto e robusto, vestito con armatura scintillante, per prendere la parola.
« Sì, capitano Wilby? ». 
« Altezza, le nostre spie ci hanno spedito un messaggio da Ililea! » esclamò il capitano Wilby, preoccupato.
« Che cosa dice? » chiese Aingel. 
« Klopius ha mandato messaggeri in tutto il regno » intervenne un ragazzo con i capelli neri e gli occhi grigi, anche lui portava un’armatura scintillante. Era il braccio destro del capitano Wilby: suo figlio Ghere « In tutte le città si odono i rumori d’armature e spade. Le truppe si stanno mobilitando ». 
Trasalimmo alla brutta notizia.
« Sì, vostra grazia, le truppe dell’usurpatore si stanno preparando alla battaglia » continuò il capitano Wilby « Siamo riusciti a recuperare un messaggio inviato che diceva che le truppe saranno pronte nel giro di un mese per poi attaccare i ribelli… ossia noi ».
« Che cosa possiamo fare? ». 
« Possiamo preparare le nostre truppe e attaccare per primi, ma sarebbe un’impresa impossibile ».
« Avete delle truppe?» chiesi io, dubbiosa.
« Diciamo che non sono vere truppe, altezza. Sono tutti gli uomini ribelli che sanno combattere » rispose Ghere « Però sono molto pochi ».
Nella sala discese il silenzio e tutti si misero a pensare ad una soluzione.
Mi guardai intorno e giurai di sentire la mente di Aingel – che stava al mio fianco – al lavoro. Guardai il suo volto sul quale si stava aprendo uno strano sorriso.
« È giunto il momento della vendetta! » esclamò Aingel sbattendo un pugno sul tavolo.
« Che cosa vuole dire? » chiese il capitano Wilby. 
Lo strano sorriso di Aingel si allargò ancora di più e Naim borbottò qualcosa d’incomprensibile.
« Andremo a Ililea, prenderemo Klopius di sorpresa. Lo sconfiggeremo! » dichiarò Aingel.
« Irrazionale! » sbottò Ghere, alzandosi in piedi « Non potete farlo! E' una missione suicida!
»
« Anche stando qui aspettando un esercito non è una buona soluzione
» tentò di convincerlo Aingel.
«Io credo che questa sia una buona idea. Ho fiducia in Aingel » disse calmo il Saggio, facendo segno di sedere al ragazzo « La magia degli elfi e dei draghi l'aiuterà. Se così non fosse e falliste... noi nel frattempo organizzeremo le truppe e le difese, non ci faremo trovare impreparati ».
« Non falliremo, Keltosh! » esclamò Aingel sicura di sé ed io annuii coraggiosa, seguita da Menfys e gli altri.
« Così sia, allora… ». 
All’improvviso sentii un forte dolore nel petto.
Ansimai sentendo la gola bruciare, sembrava che stesse per prendere fuoco. Mi girai e vidi del fumo nero uscire delle narici di Daelyshia, che interruppe Keltosh facendo uno strano rumore con la gola, poi tossi e starnutì.
« Per tutte le lune di Danases! » esclamai, agitata « State giù! » gridai mettendomi a terra.
All’improvviso Daelyshia aprì le fauci e dalla sua bocca uscì una violenta fiammata.
Aingel si tuffò sotto il tavolo per non essere colpita.
« Per tutti gli antenati di Astrakan! » sbraitò da sotto al tavolo « Che fiammata! ».
« Scusate » disse la dragonessa cercando di apparire dispiaciuta, anche se era palesemente soddisfatta di poter sputare finalmente fuoco.
« Partirete domani all’alba » disse Keltosh, chinando il capo.

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Capitolo 13
*** Promesse ***


13. Promesse



Prima di partire Keltosh ci aveva donato dei nuovi vestiti da indossare al posto dei nostri, stracciati e consumati.
Gli abiti degli umani erano molto più ruvidi e scomodi di quelli elfici, però ci coprivano meglio dal sole e dalla pioggia, anche se con la tempesta che imperversava da alcune settimane su Astrakan, erano diventati molto pesanti.
Menfys, Tanasir e Mavina, su consiglio del capitano Wilby, avevano modificato la loro camminata e iniziato a muoversi goffamente, comunque rimanevano sempre molto più aggraziati di me e Aingel.
Cercavamo di confonderci tra gli umani anche se, con i draghi al seguito, risultava molto difficile.
Finalmente, quella mattina, si aprì uno spiraglio e la luce dei soli oltrepassò le minacciose nuvole nere nel cielo.
Mi fermai e strizzai gli occhi per vedere lontano, attraverso la sottile pioggia: una strana figura si stagliava all’orizzonte.
« C’è una casa laggiù! » esclamai.
Nel tempo in cui arrivammo alla casa, che aveva due piani, la tempesta ricominciò a crescere d’intensità, così tanto che il vento mi spinse via, ma Daelyshia e Tanasir mi afferrarono.
« Grazie » urlai cercando di sovrastare l’ululato del vento.
Aingel bussò alla porta e quella si aprì. Comparve una donna di mezz’età con i capelli rossi striati di bianco e con indosso un lungo vestito grigio.
« Entrate prima di affogare! » urlò sopra il fragore della tempesta, spalancando la porta e facendosi da parte.
Ci precipitammo dentro, incespicando e cadendo. Quando mi rialzai mi trovai circondata da una banda di bambini dagli occhi sgranati che mi osservavano stupiti, ma, soprattutto, guardavano i tre draghi.
Anche la donna che ci aveva aperto ci osservava meravigliata, ma si ricompose: « Su, bambini… è maleducazione osservare così le persone. Adesso andate di sopra » ammonì i bimbi e indicò delle scale a chiocciola, dove si diressero tutti tranne una particolarmente piccola che continuava a osservarmi incantata con i piccoli occhi neri. La donna la prese in braccio e disse: « Benvenuti nel nostro orfanotrofio… io sono Nimes… prego, seguitemi ».
Ci condusse in un’altra stanza, riscaldata da un camino con dentro un bel fuoco scoppiettante. Davanti, con le mani tese per riscaldarsi, c’era un uomo robusto, dai baffi cespugliosi e la barba striati di grigio, come le sue scomposte ciocche di capelli. Doveva essere molto alto, anche se in quel momento era incurvato, per avvicinarsi al fuoco. Indossava dei vecchi pantaloni rattoppati e una maglia sgualcita.
Quando ci vide balzò in piedi e lanciò un’imprecazione: « Elfi e draghi! » esclamò scuotendo la testa « Sento puzza di guai! ».
« Zitto Lored! Vorresti negare ospitalità a delle povere persone che l’hanno chiesto? Guardali, sono tutti bagnati… Cari, andate a sedervi intorno al fuoco » aggiunse infine rivolgendosi a noi.
L’uomo continuava a guardarci contrariato, mentre la donna lo fulminava con delle occhiate. Mi sentivo a disagio, sapendo bene che potevamo essere fonte di guai per quelle due brave persone.
« Ci dispiace essere la causa di tanto disturbo » disse Aingel, come dando voce ai miei pensieri « Ma là fuori si gela e saremmo annegati sotto il torrente di pioggia se non ci aveste ospitati ».
« Non ci disturbate affatto, cari » ci rassicurò Nimes « Potete restare qui, finché non finisce la tempesta… Da dove venite? » si morse il labbro inferiore come se avesse parlato troppo a causa della sua curiosità.
« Da molto lontano » rispose Menfys levandosi uno stivale da dove uscì dell’acqua. Lo scrollò un po’, guardandolo affranto (non gli piacevano molto gli abiti umani), poi aggiunse: « Siamo elfi di Danases ». 
L’uomo, abbandonando il cipiglio contrariato, fece per aprire bocca, però Nimes lo intercettò e portandosi l’indice alla bocca gli indicò di stare zitto: « Tieni a freno la tua curiosità… È meglio ».
« È meglio » le fece eco Mavina, sorridendole.
La donna la ricambiò con un’occhiata gentile e poi continuò, rivolta all’uomo: « Lored aiutami a preparare la cena e le erbe per Maribel… Ci mancava anche la febbre » si lamentò, rivolta a nessuno in particolare, poi sorrise.
Un sorriso tirato che cercava di nascondere la sua preoccupazione.
Si rifugiò con il marito in cucina. 
Daelyshia, Naim e Ogard, poiché con la loro grande mole occupavano due terzi della stanza, si accucciarono in un angolo, imitati da Wisp, mentre io, Menfys, Mavina, Aingel e Tanasir ci sedemmo intorno al fuoco per asciugarci. I miei stivali erano pieni d’acqua, come quelli di Menfys e a ogni passo emettevano un fastidioso squittio.
Vicino a me creai una pozza d’acqua per via dei capelli, che essendo lunghi, ne avevano raccolta molta e adesso gocciolavano senza sosta. Decisi di asciugarli con un incantesimo.
Dall’altra stanza i mormorii dei due umani si confondevano con i crepitii del fuoco e l’odore del legno inondava l’aria intorno a noi, che si era fatta molto calda e ci aveva riscaldato i vestiti umidi.
Mi alzai in piedi e osservai le pareti della stanza, erano piene di disegni dei bambini che rappresentavano cosa vedevano dalle finestre della casa. Mi avvicinai (con gli stivali che continuavano a squittire) a un quadro appeso vicino un angolo pieno di giochi di legno e piccole bambole di stoffa. Guardai il ritratto di Nimes e Lored circondati da cinque bambini sorridenti. Nimes aveva il viso molto più giovane, i suoi capelli erano del tutto rossi e tra le braccia aveva una piccola bambina.
Sentii dei bisbigli, alzai gli occhi e vidi che dalla porta che dava sul corridoio da cui eravamo entrati due bambini ci osservavano. Dietro di loro era nascosta una bambina piuttosto piccola, con i capelli neri legati in una lunga treccia e le labbra rosse che rendevano la sua carnagione ancora più chiara di quanto non fosse già. Il suo sguardo curioso indagò prima i draghi e poi gli altri, fino a posarsi su di me. Mi sentii un po’ a disagio.
« Com’è bella » mormorò indicandomi e facendomi avvampare.
Daelyshia sbuffò del fumo e ridacchiò, facendo scappare i bambini.
« Ops, non volevo spaventarli! ».
Risi insieme a lei e quando mi accorsi che Menfys mi stava guardando intensamente mi sentii arrossire nuovamente. Indietreggiai e senza volerlo mi trovai sulla soglia della cucina dove Nimes, ora da sola, si affaccendava attorno a un mobile di legno, che intuii dovesse essere la dispensa. Sopra la gonna del vestito grigio aveva legato un piccolo grembiule macchiato. La cucina era una piccola stanza con al centro c’era un tavolo rettangolare con molte sedie intorno. Un piccolo fuoco scoppiettava allegramente in un angolo. Lei alzò lo sguardo e, vedendomi sulla soglia della porta, le feci segno di avvicinarsi.
Mi schiarii la voce: « Signora Nimes… ».
« Ti prego » m’interruppe « Chiamami solo Nimes ».
« Va bene, Nimes io volevo… anche gli altri... ringraziarla per la sua bontà. So cosa rischia ospitandoci ».
« Oh, non c’è di che… ».
« E, per ripagarla della sua generosità, vorremo aiutarla » disse Aingel, entrando nella piccola stanza con Tanasir, Mavina e Menfys.
Nimes sorrise: « Grazie… Non sapete quanto è difficile essere solo in due e prendersi cura di dieci bambini… ».
« La capisco » affermò Mavina perdendosi nei suoi pensieri e capii che stesse pensando a Cearly. Da quanto tempo era ormai che era lontana dal suo piccolo? Troppi giorni erano passati da quando eravamo stati a Raducis.
« Bene... Allora voi due mi aiuterete a cucinare » e indicò Aingel e Tanasir. Emisi un sospiro di sollievo: non era mai stata brava a cucinare, poi continuò: « Tu, aiuterai mio marito a prendersi cura dei bambini » si rivolse a Mavina « E voi due andrete nella piccola serra, nel retro della casa» disse infine a me e Menfys, che chiese: « Cosa dobbiamo prendere? ».
« Un po’ di funghi e di bacche. Farò la mia buonissima torta » aggiunse Nimes con orgoglio « Si trova in fondo al corridoio, dietro la porta con il vetro ». 
E così, lasciando la cucina, mi diressi insieme a Menfys nella serra nel retro della casa.
“Ancora esiste un po’ di amore in questo mondo impazzito” riflettei sollevata mentre seguivo l'elfo e pensavo alla bontà di Nimes.
« L’amore esiste da sempre e non svanirà mai » asserì Daelyshia entrando nei miei pensieri « Devi solo cercarlo, si cela in ogni cuore e ha molte forme ».
« In ogni cuore? E allora Klopius? » domandai scettica.
« Il cuore di Klopius è stato sopraffatto dall’avidità e dal potere. Ma non smettere di credere all’amore per uomini malvagi come lui, Elien. È l'amore che ti sta facendo andare avanti, è l’amore per Danases, per tutti gli Elfi che ti spinge in questo viaggio » s’interruppe per un attimo e poi aggiunse divertita: « È molto più vicino di quanto credi… ».
Le sue ultime parole mi echeggiarono in testa.
La tempesta infuriava ancora e il ticchettio insistente della pioggia sui vetri sembrava scandire il tempo veloce.
La serra era molto umida e piena di piante di diversi generi a me sconosciuti, piselli e fave. I funghi erano nascosti in un angolino buio della serra, invece gli arbusti con dei piccoli frutti rossi erano divisi in file. Presi il cestino che stava per terra, a fianco all’entrata e poi avvicinandomi, m’inginocchiai e iniziai a raccogliere le bacche, mentre Menfys si occupava dei funghi.
“Sembra che il tempo sfugga dal nostro controllo” pensai, osservando le gocce di pioggia che scivolavano veloci sui vetri della serra “Se riuscissimo a fermarlo potremo aiutare queste persone e gli elfi e Aingel…”
Daelyshia, ancora una volta, intervenne: « Non si può fermare il tempo ».
Mentre parlava ebbi la visione della dragonessa, Ogard e Wisp accucciati vicino al camino.
« È come cercare di afferrare l’aria con le mani. C’è, ma non si vede, è indispensabile ma non si può possedere ».
Sentii un sorriso affiorarmi sul volto mentre raccoglievo piccolo frutto rosso caduto. Menfys mi lanciò un’occhiata di sottecchi ma non disse nulla. Continuai il dialogo con la mia dragonessa.
« Sei cresciuta Daelyshia. E io che ti penso ancora come un piccolo drago indifeso ».
« Siamo tutti cresciuti durante questo viaggio, Elien, forse chi più, forse chi meno, ma sempre cresciuti. E tu lo sei? ».
Per un attimo rimasi sorpresa dalla sua domanda inaspettata.
« Io… non ne sono sicura ».
Finii di riempire la cesta e guardai Menfys: « Vado a portarla a Nimes! ».
Lui annuì in risposta.
Uscii dalla serra e mi avviai, per il corridoio, verso la cucina, quando, passando vicino la scala a chiocciola, sentii qualcuno tossire in modo molto brutto.
Preoccupata, salii lentamente la scala. Passai vicino ad una porta rumorosa, da dove provenivano le voci dei bambini, insieme a quelle di Lored e Mavina. Ma i piccoli colpi di tosse provenivano dal fondo del corridoio. Poggiai il cesto a terra ed aprii la porta da dove sentivo provenire quei secchi rumori.
Nella luce soffusa della stanza, c’era una piccola bambina dai capelli dorati e dagli occhi azzurri spalancati che mi osservò avvicinarmi al piccolo lettino.
La guardai e il passato riaffiorò nella mia mente.
Mi ricordava me stessa da piccola quando con gli stessi occhi curiosi osservando le meraviglie della foresta di Elwyn.
Mi sedetti vicino al suo letto mentre lei continuava a guardarmi.
« Ciao Maribel » la salutai, ricordandomi le parole di Nimes.
« Sei uno Spirito? » chiese la bambina con voce sottile.
Sorrisi: « No, sono una mezz'elfa. Il mio nome è Elien ».
« Sai la mia mamma è uno Spirito » disse Maribel con un colpetto di tosse, che la fece tremare.
Le poggiai una mano sulla fronte: scottava.
Lei continuò: « Ed io sono triste perché, anche se tra poco sarò di nuovo insieme a lei, non voglio lasciare Nimes ».
Sentii una lacrima rigarmi una guancia.
« Non essere triste » le sussurrai, stringendole una mano dolcemente.
« Ma anche tu lo sei ».
Veloce mi asciugai il volto e percepii una strana sensazione alla nuca, come di essere osservata. Mi voltai di scatto e vidi Menfys che mi guardava dalla porta.
« Entra » mormorai.
Silenzioso entrò nella stanza e si sedette accanto a me.
« Non avevo mai visto così tanti elfi… » Maribel tossì ancora.
« Shh » feci, non volevo che si sforzasse troppo.
« Anche le vostre mamme sono Spiriti? ».
« Sì. Ma tu non devi essere triste » ripetei, sussurrando ancora « Guarirai e resterai insieme a Nimes e Lored »
Maribel sospirò e rabbrividì.
« Te lo prometto ».
Le strinsi più forte la mano e quella s’illuminò, infondendo la bambina di un nuovo calore. Le sue piccole labbra diventarono rosee e la pelle riprese colore. La febbre e la tosse sparirono.
« Elien! » fece Menfys, stupito « Che cosa hai fatto? ».
« Non lo so. Le ho promesso che sarebbe guarita, Menfys » mi voltai a guardarlo e incrociai i suoi occhi.
Il suo sguardo era cambiato. Mi guardava con una luce calda negli occhi e un’espressione dolce.
Gli sorrisi e lui si riprese.
La meraviglia illuminò nuovamente il suo volto.
« Non ti senti stanca? ».
« Mmm… no » risposi, tornando a guardare Maribel, che si mise a sedere piena di energie, e dissi: « Ho solo tanta fame ».
« Incredibile! » mormorò Menfys stupito.
« Anch’io ho fame! » aggiunse la bambina, tendendo le sue mani.
La presi tra le mie braccia e le dissi: « Allora portiamo i lamponi a Nimes! Così dopo potremmo mangiare un pezzo della sua buonissima torta ».
Lei annuì tutta contenta.
Ci avviammo per il corridoio e Menfys mi sfiorò una spalla.
« Hai fatto una cosa bellissima, Elien! » esclamò sorridente «Ne valeva la pena imparare la magia».
Arrossii, ripensando all’inizio del nostro viaggio, quando non volevo praticare la magia, perché non sapevo come controllarla.
« È stato solo grazie al tuo aiuto se ho imparato ».
« Questo ripaga quello che è successo nella prigione » sussurrò la voce di Daelyshia nella mia testa.
Entrammo in cucina e sentii un'esclamazione meravigliata. Nimes si era accorta della buona salute di Maribel. Si precipitò verso di noi e prese la bambina fra le braccia.
« Maribel! Stai di nuovo bene! » le premette le labbra sulla fronte.
« È stata Elien a guarirmi » affermò Maribel con voce squillante « Mi aveva promesso che sarei rimasta con te ».
Tanasir e Aingel mi ammirarono, stupiti. Menfys sorrise nuovamente.
Nimes mi guardò con occhi luccicanti, gonfi di lacrime di gratitudine: « Non potrò mai ringraziarti abbastanza ».
« Non c’è bisogno che tu lo faccia » replicai, impacciata.
« Anche tu sei cresciuta Elien » mi disse Daelyshia.

La tempesta finì e dopo aver salutato Nimes, Lored e i bambini ripartimmo per la nostra strada.
La violenza del vento aveva provocato gravi danni in tutta la pianura: gli alberi erano stati sradicati e in alcune parti il terreno era bruciato per via dei forti fulmini che avevano toccato terra.
Viaggiammo per giorni e giorni in quella distesa arida e dimenticata, finché una notte avvistammo una luce luminosa.
Aingel strizzò gli occhi, cercando di vedere oltre il buio.
« Quella è Sonna » disse indicando delle lucine lontane che sembrava galleggiassero nel cielo immobile, poi aggiunse: « Abbiamo bisogno di provviste » e continuò « Dobbiamo entrare in città ».
« Cosa? » esclamò Tanasir « Ma siamo elfi! » precisò con semplicità.
« Già » intervenne Menfys « Non credi che noterebbero le nostre orecchie a punta? » fece ironico.
« Lo so, ma io ed Elien siamo quasi umane ».
« Tu hai una taglia sulla tua testa! » esclamò Naim.
Aingel iniziò a irritarsi: « Ci servono provviste! Non ci sono altre città dopo Sonna, e non possiamo continuare a vivere solo di radici ».
Nessuno parlò.
« Io vado! » esclamai spezzando il silenzio che aleggiava fra noi « Però sarebbe troppo sospetto se entriamo io e Aingel… » aggiunsi, incerta.
« Elien ha ragione. Non può andare insieme ad Aingel » m’interruppe Ogard - Daelyshia gli lanciò un’occhiataccia, contrariata che mi appoggiasse - e continuò: « Ma come facciamo per il colore dei suoi occhi? ».
« Faremo un incantesimo Cambia temporaneo sul viso » disse Tanasir, mentre Menfys cercava di interromperli: « Io… Non… Sì, però… ».
Lo osservai, confusa.
« È una buona idea! » esclamò Mavina.
Menfys prese un grosso respiro e, finalmente senza interruzioni, disse veloce: « Andrò anch’io con lei! ».

L’indomani, l’alba ci sorprese mentre c’incamminavamo silenziosi verso la città di Sonna.
« Mi sento così… » borbottò Menfys sfregandosi i palmi nascosti da un paio di guanti.
Il suo viso, magicamente trasformato per sembrare meno sottile, era l’unica cosa che si scorgeva; il resto era nascosto da un enorme mantello nero con il cappuccio.
« Andiamo Menfys, è solo per poche ore! » lo zittii.
Anch’io indossavo lo stesso mantello, che mi nascondeva con il cappuccio le orecchie a punta e i capelli dorati. I miei occhi erano tutti e due azzurri.
Non avevamo osato fare altri incatesimi per coprire le orecchie perché altrimenti ci avrebbero preso troppa energia.
Arrivammo a Sonna dopo poche ore, quando i contorni della città si tingevano di luce dorata, ci avvicinammo all’entrata, alle mura della città, silenziosi e tesi.
All’ingresso principale, c’erano due guardie – con lo stemma del grifone impresso sullo scudo e sulla tunica – dall’aria annoiata.
« Che facciamo? » bisbigliai confusa: nel piano, nessuno aveva detto di superare delle guardie.
« Non farti prendere dal panico o desteremo sospetti ».
Le due guardie ci sbarrarono la strada con le due enormi spade.
« Nome! » esclamò con fare annoiato la guardia dai lineamenti rozzi.
Menfys si schiarì la gola: « Io sono Neil » disse con voce profonda, pronunciando il primo nome che gli venne in mente.
« E questa? » chiese l’altra guardia più giovane, indicandomi, mentre Menfys, di nascosto, cercava di staccarmi dal suo braccio a cui stavo aggrappata.
Cercai di darmi un po’ di contegno.
« Lei è Merian ».
« Perché siete venuti a Sonna? ».
« Oh… » intervenni, ridacchiando falsamente « Io e Neil, ci siamo appena sposati » dissi con voce acuta e petulante  « Siamo venuti a trovare mia madre… la mia povera mamma… non è potuta venire al matrimonio, è molto malata ».
« Non vi ho mai visto da queste parti… » commentò una guardia.
« Così giovani e già sposati? » lo interruppe il suo compagno dai tratti rozzi, osservandoci con enorme interesse.
« Ci siamo resi conto che eravamo fatti l’uno per l’altra ».
Quando l'uomo si avvicinò per sbirciare sotto i capucci mi girai verso Menfys e feci la prima cosa che mi venne in mente: lo baciai.
Menfys s’irrigidì e rimase per un attimo meravigliato del mio gesto, ma poi sentii le sue labbra ricambiare il bacio. Erano così delicate sulle mie... Non avevo messo in conto che pure in una situazione scomoda come quella il cuore iniziasse a battere forte.
Per tutte le lune di Danases, stavo baciando Menfys!
E mi piaceva più del lecito.
Fu un bacio veloce. E quando ci separammo sentii il viso arrossire all'occhiata che Menfys mi lanciò. I suoi occhi erano un misto di emozioni: confusione, eccitazione...  Arrossii ma, per fortuna, nessuna delle due guardie se ne accorse grazie all’ombra del cappuccio. Ci stavano guardando piottosto scocciati.
« Non è vero, tesoro? Non è vero che siamo fatto l'uno per l'altra? » domandai a Menfys che sembrava essersi traformato in una statua per come si era irrigidito.  
« Sì cara » rispose lui schiarendosi la voce.
« Certo, certo! » grugnì la guardia annoiata « Potete passare ».
I due uomini si fecero da parte lasciandoci passare.
Non del tutto sicura aguzzai l’udito e li sentii borbottare.
« Questi giovani d’oggi… ».
« Uhm… Non mi hanno tanto convinto. C’è qualcosa di strano in quei due… ».
Dopo esserci lasciati l’ingresso alle spalle, ci rilassammo ma non osammo parlare per paura di essere uditi. L'episodio di prima sembra essere stato dimenticato. D'altronde avevano così più importanti a cui pensare. C’intrufolammo in un piccolo violetto tra due piccole case.
« Dobbiamo trovare un posto… » iniziò Menfys febbrile, sapevo che non si sentiva tranquillo.
« Menfys » feci, però l’elfo non mi sentì.
« Dove possiamo trovare delle provviste… ».
« Menfys! » ripetei impaziente.
« Mmm… Cosa? ».
« Menfys ho ascoltato quello che hanno detto le due guardie e una sospettava qualcosa… ».
Mi guardò agitato: « Un motivo in più per sbrigarci!» esclamò « Dividiamoci, così faremo prima » e indicò una costruzione davanti al vicolo « Ci rincontreremo in quella taverna, tra un’ora ».
Annuii e feci per andare, poi sentii una stretta al polso. Mi voltai e incontrai nuovamente lo sguardo di Menfys, adesso scuro e preoccupato.
« Prometti di fare attenzione? » mi chiese con uno strano tono di voce.
Mi persi per un attimo nei suoi occhi profondi.
Sentivo che quello che era successo prima aleggiava tra noi.
Poi annuii di nuovo, cercando di tranquillizzarlo.
Dopo che mi separai da Menfys, vagai inquieta vicino alla taverna: ogni volta che vedevo dei soldati con l’insegna del grifone, con un brivido pensavo alla prigione…
All’improvviso qualcosa o qualcuno sbatté contro di me e interruppe i miei pensieri. Per un soffio riuscii a rimettere a posto il cappuccio che mi stava scivolando indietro, scoprendomi le orecchie.
« Mi… mi perdoni » udii una flebile voce.
Davanti a me, c’erano due bambini spaventati. La femmina teneva per mano il maschio, che ora tremava dallo spavento. Doveva essere lui ad avermi intruppata.
M’inginocchiai per essere alla loro altezza: « Ciao bambini ».
I due bambini non risposero e fecero un passo indietro.
« No, no » dissi, preoccupata che indietreggiassero così spaventati « Non voglio farvi del male ».
« Che cosa volete? » chiese la femmina.
Notai che aveva gli occhi cerchiati, come se non dormisse da giorni.
« Dove posso comprare un po’ di carne e pane? ».
I due bambini mi guardarono stupiti e nello stesso tempo ancor più spaventati: « Non si può ».
« Cosa? ».
« Nessuno può vendere cibo, è proibito… » disse il maschio in un sussurro, guardandosi intorno « Il re l’ha proibito ».
Ero stupita: « Come fate a sopravvivere senza cibo? ».
« La sera passano i soldati a darci un po’ di pane e qualche tubero ».
« E l’acqua? ».
« Quella la prendiamo noi dai pozzi oppure possiamo comprarla alle taverne insieme ad altre bevande » la bambina si portò una mano alla pancia, che brontolava per la mancanza di cibo.
La rabbia esplose dentro di me: come poteva il re, lasciare morire di fame poveri innocenti? Era così che riusciva a tenere a bada il popolo: affamandolo! Quelle povere persone non avevano nemmeno la capacità di pensare senza forze...
“Ma lui non era il vero re” mi ricordai, furiosa “e noi gliela faremo pagare!”.
« Non posso fare molto per voi » dissi e mi guardai intorno, in quel momento, per la strada non c’erano soldati. Da terra presi un piccolo seme e lo trasformai in una mela. « Tenete ».
I due bambini mi guardarono stupita, poi presero la mela e fuggirono via. Mi guardai nuovamente intorno per timore che qualcuno, oltre i bambini, mi avesse visto, ma nella strada non c’era nessun altro. Dato che non potevo comprare del cibo e non volevo restare in strada ad aspettare Menfys, mi avvicinai alla taverna. Sopra la porta c’era una sbieca insegna sbiadita: La Taverna del Drago.
Entrai all’interno, pensando al suo nome singolare.
Il luogo ero deserto ad eccezione di un uomo dietro un bancone, che doveva essere il proprietario, e due anziani uomini che alzarono gli occhi alla mia entrata.
Il proprietario mi guardò interrogativo ma lo ignorai e mi sedetti a un tavolino da cui era possibile vedere l’entrata. Non dovetti aspettare molto che la porta si aprì e comparì una figura incappucciata che ordinò qualcosa all’oste e poi si accasciò con deliberata malagrazia nella sedia di fronte alla mia. La cosa non gli piaceva molto perché dava le spalle alla porta e si girava spesso per controllarla, come se avesse un tic nervoso.
Si muoveva lentamente senza più la sua solita leggiadria.
« Stai peggiorando » lo presi in giro.
« Grazie, lo prenderò come un complimento! » disse Menfys sorridendo, poi si fece cupo e il sorriso si spense.
« Cos’è successo? ».
« Credo che qualcuno mi abbia scoperto » annunciò lugubre.
« Cosa? » esclamai a voce alta per la sorpresa e i due vecchi mi guardarono di sbieco.
« Shh! Abbassa la voce! » mi ammonì Menfys guardandosi intorno, allarmato.
« Come hanno fatto a scoprirti? » domandai, sussurrando.
« Un uomo! » mugghiò lui, poi abbassò la voce e si protese sul tavolo: « Stavo cercando dove comprare provviste quando un vecchio uomo con la mantella mi è venuto addosso… ».
S’interruppe perché il proprietario venne verso di noi, portando due bicchieri pieni di un liquido rossastro. Menfys infilò la mano dentro il mantello e borbottò qualcosa. Intuii che stava usando la magia. L’oste ritornò al banco facendo tintinnare due false monete di rame che però attirarono lo sguardo cupido dei due vecchietti.
« Ah, succo di bacche! » Menfys seppellì il volto nel bicchiere e riprese a sussurrare: « Dopo che mi è venuto addosso mi è scivolato il cappuccio, di pochissimo, ma credo che quell’uomo abbia visto qualcosa ».
« Avresti dovuto promettere tu di fare attenzione! » dissi e gli strappai una risatina isterica, il suo volto era segnato dalla preoccupazione « È stato inutile venire qui » sospirai poi « Non ci sono posti dove poter comprare un po’ di cibo ».
Menfys mi guardò interrogativo e allora gli raccontai del mio incontro con i due bambini.
« Hai fatto una magia davanti a quei bambini? » era sbalordito.
Evitai di guardarlo negli occhi pieni di rimprovero e scrutai la taverna, accorgendomi che dall’altra parte della stanza, proprio di fronte l’ingresso, c’era un’altra uscita che forse dava a un’altra strada.
Poi mi soffermai a guardare le venature del legno del tavolo.
« Avete trovato qualcosa? » una voce entrò nella mia testa e in quella di Menfys.
« Daelyshia! Come hai fatto a contattarci? » domandò Menfys « Siamo troppo distanti ».
« Sono in volo sopra la città » rispose Daelyshia.
Trattenni bruscamente il respiro.
« È pericoloso! » esclamai preoccupata.
Per calmarmi bevvi un sorso del succo di bacche che, però, sputai subito: « È tremendo! » esclamai asciugandomi la bocca.
Il padrone mi guardò irritato e offeso, mentre i due vecchietti ridacchiarono al commento negativo.
« Sono invisibile » mi rassicurò Daelyshia.
« Torna da Aingel. Ti raccontiamo dopo! ».
« Va bene ma fate presto » la dragonessa chiuse il contatto.
Mi voltai verso Menfys e mi accorsi che i nostri volti erano vicini. Incontrai i suoi accesi occhi verdi e arrossii. Lo stomaco si contrasse, il respiro mi si bloccò in gola e il cuore ricominciò a battere veloce. Osservai il suo viso, il suo sguardo indecifrabile da cui non riuscivo a staccare il mio, le sue labbra così vicine. Per un attimo desiderai poterle di nuovo baciare…
All’improvviso si sentì un forte rumore. Un fascio improvviso di luce ci investì e l’incantesimo tra noi due si spezzò.
Delle urla ci fecero sobbalzare: « Eccoli! Sono loro! »
Sulla soglia dell’entrata della taverna c’era un manipolo di soldati con l’insegna del falcone e uno di loro ci stava indicando.
Trasalii spaventata: ci avevano scoperto!
Balzammo in piedi e nella foga rovesciammo il piccolo tavolo e le sedie su cui eravamo seduti.
« Catturateli! ».
I soldati sciamarono nel locale mentre io e Menfys raggiungevamo la porta dall’altra parte della taverna, che avevo intravisto prima, e uscivamo correndo.
Scappammo per la strada, cercando di arrivare al più presto al cancello per uscire da Sonna. Sentivo le grida dietro di noi. Spaventata, cercavo di ignorare gli sguardi sospettosi della gente, il battito accelerato del mio cuore e la pressione che sentivo nelle orecchie ad ogni passo. Guardai indietro e
, disperata, vidi che gli uomini che ci inseguivano avevano accorciato le distanze .
« Hetia! ».
Menfys usò la magia per rovesciare quello che incontravamo, cercando di fermarli. Due soldati restarono imprigionati sotto delle casse, invece gli altri continuarono a inseguirci. Continuammo a correre, finché non arrivarono all’ingresso della città, dove stavano chiudendo il cancello di legno massiccio.
« Finitum! ».
Prima che mi fermassi a riflettere su quello che stavo per fare, bloccai con un incantesimo la chiusura dei cancelli. Fremetti per l’enorme perdita di energia e i polmoni bruciarono.
La magia aveva sempre un prezzo.
E quel cancello era decisamente troppo pensante.
Boccheggiai per il forte dolore al petto e caddi in ginocchio.
La testa pulsava dolorosamente.
« Elien, cosa hai fatto?! » gridò Menfys tra la disperazione e la rabbia.
I soldati mi avevano quasi raggiunto. Cercai di alzarmi in piedi ma i muscoli protestarono dal dolore. Mi ritrovai a strisciare.
Per tutte le lune di Danases!
Menfys corse veloce verso di me e tramortì dei soldati che mi si erano avvicinati troppo. Mi sollevò e iniziare a correre insieme a lui. La magia e sostenere il mio peso lo sfiancavano. La paura mi scorreva nel corpo, solo grazie all'adrenalina riuscii a velocizzare il passo e mezzo correndo, mezzo zoppicando riuscimmo a superare i cancelli.
Appena qualche metro fuori le gambe di Menfys cedettero e cademmo rovinosamente a terra.
Riuscii a rialzarmi ma lui rimase a terra.
« Menfys, alzati! Alzati!
» gridai afferrandolo per un braccio.
« Non ce la faccio!
» mi urlò di rimando spingendomi via « Vai Elien, vai! ».
Eravamo spacciati. I soldati erano così vicini. Menfys a terra. Ero pietrificata.
« ELIEN VAI!
»
Un ruggito scosse la terra. Il cielo si oscurò e alzando gli occhi vidi Daelyshia che planava verso di noi. Lanciò una potente fiammata e i soldati si allontanarono strillando.
La dragonessa ci agguantò con le sue zampe, c’issammo sulla sua groppa e spiccammo il volo nel cielo azzurro.
Mi accasciai sul collo di Daelyshia facendo attenzione alle punte acuminate e chiusi gli occhi mentre l'aria mi sferzava il volto. Sentivo Menfys a peso morto contro la mia schiena. Il cuore mi pulsava nelle tempie e nelle orecchie, nemmeno riuscivo a sentire l'ululato del vento.
La dragonessa volava veloce al massimo delle sue forze. Quando ci trovammo sopra una foresta fu allora che iniziò a planare. Era stato un viaggio breve ma era stato abbastanza per ripredere un po' di forze e far passare i tremori ai muscoli.
Appena atterammo in una piccola radura ci lasciammo scivolare a terra con poca grazia, sbattendo la schiena. Per un attimo rimasi a terra, Menfys era accanto a me e respirava ansante.
« Appena in tempo
» mormorò Daelyshia accasciandosi, stremata per aver spinto al massimo le sue ali.
Gli altri ci circondarono. Ogard aiutò con il suo muso a far rimettere in piedi Menfys.
« Per tutti i lupi di Astrakan, che cos'é successo?
» domandò Aingel mentre Mavina mi aiutava a rialzarmi.
« Ci hanno scoperti
» risposi schiarendomi la voce.
Osservai la preoccupazione dipingersi sul volto dei nostri compagni.
Ogard guizzò la coda e lo sentimmo mormorare: « Menfys, no!
».
Mi girai e mi trovai a faccia a faccia con l'elfo.
Era furibondo.
« Ti avevo detto di andare via!
» mi urlò in faccia.
Sentìì la sua rabbia investirmi con una ondata.

Mi accigliai: « Cosa?! Bel ringraziamento dopo averti salvato la vita! »
«
C’è mancato così poco che ti prendessero! » esclamò portandosi le mani tra i capelli esasperato.
« Stavano per catturare anche te!
» ribattei alzando la voce e puntandogli il dito contro.
Che cosa ci stava succedendo? L'adrenalina scorreva a mille. Eravamo furiosi. Doveva essere una reazione traumatica allo stress che avevamo subito. Non vedevamo l'ora di scaricarci a vicenda la colpa di ciò che era successo.
Ogard e Daelyshia si allontanarono di qualche metro per evitare di essere contagiati dalla rabbia e creare qualche disastro.
« Hai quasi rischiato di morire per fermare quel cancello! Ma perché non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni?!
»
« Menfys era a te che hanno scoperto, tu ci hai cacciato in questa situazione! » gli ricordai, contrariata.
« Elien tu non capisci! La mia missione è farti arrivare viva alla fine di questo viaggio! Senza di te, tutto questo non ha senso! » m’interruppe secco « Se tu muori tutto quello che abbiamo fatto sarà stato vano! Danases può essere salvata solo da te. E tu invece fai tutto il contrario! Che cosa avremmo fatto se ti avessero catturata?! » questa volta fu lui a puntarmi il dito contro e mi spinse all'indietro con forza « Qui non è in gioco solo la tua vita! E' bene che te lo ricordi!
»
L
e sue parole mi colpirono come una secchiata di acqua ghiacciata e mi mozzarono il fiato. Era così... ingiusto!
« Per tutti gli Spiriti, Menfys! Ne siamo usciti vivi! Entrambi! Se non era per me saresti morto! » lo aggredii.
« Che cosa avrei fatto se ti avessero presa al posto mio?! COSA?!
»
« Ragazzi adesso basta... » cercò d'intromettersi Tanasir.
Le mie occhiate rabbiose e il "sta zitto!" di Menfys lo fecero indietreggiare a disagio.
« Sai che ti dico Menfys? Che qui se c'è un egoista sei proprio tu! Che cosa avrei fatto se ti avessero presa al mio posto? » il suo viso si storse in una smorfia quando feci il verso alle sue parole « Certo! La tua missione va male se muoio, no? Che cosa racconterai al Grande Saggio? Come ti potresti lavare altrimenti la coscienza di non aver protetto mia madre quand'era il momento se adesso non lo fai con me? ».
All’improvviso indietreggiai, spaventata.
Avevo superato il limite.
Il volto di Menfys, livido di rabbia, aveva perso tutti i suoi tratti elfici e assomigliava a quello di un drago. Arricciò il labbro superiore e mostrando i denti, mi ringhiò contro la sua furia. I suoi muscoli erano tesi: sembrava pronto ad attaccare.
Con un balzo Ogard e Daelyshia si misero in mezzo.
« Basta Elien, hai esagerato! » mi riprese Daelyshia.
Sapevamo entrambi che aver nominato mia madre non era stato giusto. Anche perché sapevo che quello che avevo detto non era la verità. Ma nella foga nella rabbia le parole mi era sfuggite senza che potessi controllarle.
Ogard stava dicendo qualcosa a Menfys. Vidi nel suo sguardo l’orrore per quello che aveva fatto. Si accorse che lo guardavo. Per un attimo i nostri sguardi s’incrociarono. Però lui troppo presto evitò i miei occhi e si voltò, portandosi le mani alla testa. Sentii gli occhi pizzicare e il labbro inferiore tremare.
« Menfys, io… » non riuscii a continuare. Non sapevo come continuare. Non riuscivo a trovare le parole per scusarmi ed ero ancora troppo spaventata dalla sua rabbia.
« Lascia stare, Elien!
» esclamò con amarezza.
A grandi falcate si diresse tra gli alberi e sparì dalla nostra vista.
« Eh no!
».
La voglia di piangere passò in un attimo e rimontò la rabbia. Non lo avrei lasciato andare così! Con
un balzò evitai la coda di Ogard che cercava di impedirmi di passare e lo inseguii.
Gli elfi sapevano correre davvero veloce quando volevano. Con tutte le mie forze cercai di stare al suo passo, ma era difficile seguirlo in mezzo agli alberi. La foresta si faceva sempre più fitta.
« Menfys! Fermati!
».
Dato che non mi ascoltava lo mandai a sbattere contro il ramo di un albero che avevo abbassato all'improvviso con la magia. Quando lo raggiunsi si voltò mezzo stupito mezzo esasperato
. Non si aspettava che avrei usato la magia proprio contro di lui.
« Che vuoi Elien ?» la sua voce era fredda, distaccata.
Per fortuna sembra aver perso tutta la furia di prima.
« Menfys, mi dispiace per quello che ti ho detto. Sono stata ingiusta. Non cosa dire per farmi perdonare. Sai che quelle parole non le pensavo davvero! ».
Le labbra di Menfys si tirarono in un sorriso forzato.
« Non sei tu quella che si deve scusare » disse amareggiato « Non avrei dovuto comportarmi in quel modo. Ho passato troppo tempo da solo con un drago… non volevo spaventarti ».
« Non mi hai spaventata » ci tenni a sottolineare, anche se non era del tutto vero.
Lui mi lanciò un’occhiata scocciata.
Non ne dicevo una giusta.
Incrociai le braccia e sbuffai: « Che c'è?
».
Stavo rischiando di fargli riperdere la pazienza. Ma non lo avrei lasciato andare via senza spiegazioni. E poi via... dove? Io e Menfys eravamo sempre stati insieme fin dall'inizio, non poteva escludermi adesso.
« Solo che tu non capisci! » esclamò all'improvviso avvicinandosi e afferrandomi per le spalle « Hai ragione tu quando dici che sono egoista. Non voglio che ti succeda niente perché altrimenti mi andrebbe in frantumi l'anima, Elien. E non perché sei l'erede al trono ma perché sei tu! ».
Finalmente capii il perché della sua rabbia.
Menfy era preoccupato per me.
Lui voleva me e solo me.
Prima che potesse aggiungere altro le mie labbra erano sulle sue. Era così sorpreso del mio gesto che cademmo a terra dopo che il mio peso lo fece sbilanciare, ma non mi lasciò. Mi strinse al suo corpo e ci baciammo in modo così passionale che sentii arrossirmi fino alla punta delle orecchie. Un forte calore mi invase il corpo...
La foresta stava forse andando a fuoco?
Ovviamente il cuore iniziò a correre impazzito e sentivo le mani tremare mentre gli accarezzavo il volto, il collo e scendevo a infilarle sotto sua maglia. Non sapevo cosa stavo facendo ma di certo non mi accontentavo solo di un bacio.
Aprii gli occhi che avevo chiuso involontariamente e mi ritrovai con il suo sguardo eccitato puntanto nel mio.
Quando capì anche lui che cosa animava i miei occhi, si ritirò di scatto.
« Non posso ».
Lo trattenni per il braccio mentre cercava di alzarzi. Rimase fermo, anche se era molto più forte di me e poteva liberarsi facilmente dalla mia presa.
Lo guardai preoccupata: « Perché? ».
« Perché ho più di mezzo secolo » rispose Menfys, sospirando. Ammetterlo lo faceva soffrire. « I miei ottant’anni sono tanti per te. Il tempo che ci divide è troppo lungo ».
« Il mio tempo non è uguale al tuo » dissi mentre lo costringevo a sedersi di nuovo accanto a me « Anche se legandomi con Daelyshia la mia vita si allungata, la mia età si calcola secondo quella degli umani e finché resto una mezz’elfa è come se avessi quasi la tua stessa età » riflettei.
Lui alzò un sopracciglio e ripeté divertito: « Quasi? ».
« Non ti conviene contraddire le mie parole!
» lo minacciai.
Menfys scoppiò a ridere alle mie parole.
« Hai ragione » ammise.
Dal suo sguardo capii che si era arreso.
Mi prese il viso tra le mani e lo portò vicino, così vicini che potevo osservare le pagliuzze verdi nei suoi occhi intensi e profondi. Sentii un brivido percorrermi la schiena e sentii il respiro mancare. Menfys esitò incerto per un attimo, poi ridacchiò e poggiò le sue labbra sulle mie, schiudendole con delicatezza. Mi aggrappai a lui attirandolo più vicino e passandogli le mani tra i capelli. Sentii il mio cuore accelerare per l'ennesima volta e mi strinsi più forte nel suo abbraccio, per impedire che scappasse dal petto. Solo quando si staccò, mi ricordai di riprendere fiato.
I nostri volti erano ancora vicini e sentivo il suo dolce profumo sfiorarmi. Riuscivo anche a sentire il suo respiro accelerato, il suo cuore contro il mio petto, il suo sospiro dentro il mio.
Menfys tentò di dire qualcosa ma lo interruppi.
« Shhh » sussurrai, osservando i suoi occhi ardenti.
Il nostro legame non aveva bisogno di definizioni o confini in quel momento.
Lo spinsi piano e ci sdragliammo a terra. La nostre lingue ripresero a danzare. Travolta dalla passione gli tolsi la maglia e potei ammirarlo a petto nudo. Era proprio vero che Menfys non era un elfo comune, la sua bellezza mi toglieva il fiato.
« Sei sicura?
» 
Roteai gli occhi sbuffando e per tutta risposta mi tolsi la maglietta. Menfys mi osservò  per un attimo stupito ma, quando il suo sguardo si accese di desiderio nel guardare le mie forme, mi sentii arrossire. Mi sorrise e mi attirò a sé dolcemente per potermi tornare a baciare ancora una volta. Lo sfregamento dei nostri petti ci fece letteralmanete impazzire e prima che potessimo accorgercene, le nostre mani avevano agito di proprio volontà.
Ci ritrovammo nudi.
Lui sopra di me.
Dentro di me.
I nostri corpi s'incastravano alla perfezione.
All'inizio provai un po' di dolore e Menfys si immobilizzò aspettando che mi abituassi alla sua presenza. Le emozioni mi squassavano il petto. L'aria pungente della foresta non mi toccava; sentii una goccia di sudore scivolarmi già per le scapole lungo la schiena. Gemetti quando scese a baciarmi il collo e nel frattempo mi accarezzava voluttuosamente il seni.
Il mio corpo fu scosso da brividi di piacere e strinsi le gambe intorno al suo bacino invitandolo a proseguire.
E mentre i nostri corpi si muovevavo all'unisono e i nostri sguardi erano intrecciati, perdendomi in quelle due pozze verdi pensavo che non c'era nessuno altro posto dove sarei voluta stare in quel momento se non tra le braccia di Menfys.


 


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Capitolo 14
*** Ililea ***


14. Ililea




Camminare da invisibili per la città di Ililea non era affatto facile. Dovevamo stare attenti alle persone per non intrupparle, creare confusione e farci scoprire. Ogard ci rallentava molto perché camminava cautamente: per com’era cresciuto (superava di diversi palmi Menfys e due canini facevano capolino dal labbro superiore, dandogli un’aria più feroce) faceva molta fatica a passare tra la gente; invece Wisp, ancora piccolo, sgusciava tra la gente con rapidità sorprendente, seguendo Aingel come un’ombra.
Tanasir mi aveva spiegato, quando gli avevo domandato stupita perché Wisp non crescesse, che era una caratteristica dei draghi verdi. Il loro potere si sprigionava solo nelle situazioni più drammatiche e, per questo, non erano meno pericolosi degli altri draghi, anzi era davvero imprudente far infuriare uno della loro razza.
Ad ogni passo sentivo il cuore salirmi in gola. Eravamo finalmente giunti nella capitale e avremmo messo in atto il nostro piano: cogliere Klopius di sorpresa. Aingel era fiduciosa che, contro tutta la nostra magia, il tiranno non avrebbe potuto resistere. Ma sapevamo tutti che non sarebbe stato così facile: Klopius aveva rubato il segreto della magia a mio padre tanti anni fa, quindi aveva avuto molto tempo per esercitare il suo potere. 
Scacciai i cattivi pensieri scuotendo la testa e mi concentrai ad osservare dove mettevo i piedi. Schivai appena in tempo un uomo con un carretto.
Ililea aveva il perimetro triangolare circondato da spesse e compatte mura ed era fatta su diversi livelli.
Restai sconcertata: ai livelli più bassi c’era la più totale povertà, invece all’ultimo livello c’era il bellissimo Castello Dorato, usurpato da Klopius. Come faceva, quell’uomo malvagio, a vivere nel lusso quando, a pochi metri dal castello, c’era gente che moriva di fame?
Aingel si fermò all’improvviso, vicino un vicolo laterale della strada principale, piangendo lacrime di rabbia: « Come ha… come ha osato… » mormorò disgustata, poi ci guardò e si asciugò le guance « Scusate, ma vedere ogni volta come Klopius ha distrutto il regno di mio padre… di nostro padre è… orribile ».
« Dove dobbiamo andare Aingel? » chiesi mettendole una mano su una spalla per confortarla.
« Giù » rispose Aingel indicando un grosso tombino nel vicolo vicino a cui si era fermata.
Controllò se qualcuno stesse guardando, ma fortunatamente in quel momento passava solo una vecchia donna coperta di stracci che chiedeva l’elemosina. Aingel le fece cadere vicino alcune monete d’oro, evocate con la magia, per distrarla, e mentre la vecchia le raccoglieva con gioia, lei aprì velocemente il grosso tombino. Non voleva che qualcuno notasse oggetti che si spostavano da soli.
« Svelti entrate » disse agitata.
Entrai dopo Wisp, e dopo di me, per ultima, entrò Aingel che chiuse il tombino. Il buio invase il lungo tunnel dove ci eravamo addentrati.
« Fuocaius! ».
Una splendente fiammella arancione comparve sulla mano destra di Aingel – che era tornata visibile – illuminando completamente il tunnel. Cercai anch’io di diventare visibile, però non ci riuscii (ancora non padroneggiavo bene quel tipo di magia), così la mia gemella mi levò l’incantesimo e aiutò Menfys con i draghi. Anche gli altri erano diventati visibili.
Aingel fece segno di seguirla: « Venite, questo passaggio sotterraneo ci porterà direttamente nelle segrete del castello ».
Le gallerie sembravano interminabili, uguali e fredde.
Mi sentii all’improvviso sola in quell’inquietante buio sfocato e presi la mano di Menfys che si trovava davanti a me. Lui la strinse di rimando e sentii infondermi un po’ di coraggio.
In quel momento ripensai a quello che era successo pochi giorni prima. Ogard e Daelyshia, ovviamente, l’avevano saputo. Anche gli altri avevano capito che qualcosa tra di noi era cambiata. Non gli avevamo dato una definizione ma ero sicura che quello fosse amore. Ero innamorata di Menfys come lui lo era di me, e vedevo il suo amore in ogni gesto, ogni sorriso, ogni sguardo che mi rivolgeva. Era la mia forza…
E questa intensità del sentimento un po’ mi spaventava.
Io ero una mezz’elfa, lui un elfo, e una guerra si frapponeva tra noi… Che cosa ci riservava il futuro?
Camminammo per molto tempo nel buio. Avevamo perso la cognizione dello spazio e del tempo.
All’improvviso Aingel girò in un vicolo cieco e si fermò davanti una parete di mattoni.
« Cosa succede? Hai perso la strada? » chiese subito Mavina, preoccupata.
Odiava stare nella soffocante oscurità del tunnel.
« Shh! » la zittì Tanasir.
Aingel si avvicinò alla parete, con la mano sfiorò diversi mattoni e poi si allontanò. All’improvviso il muro si spalancò come una porta e Aingel ci spinse dentro prima che si richiudesse dietro di noi.
« Siamo arrivati » disse la mia gemella piano, la voce carica di nervosismo « Queste sono le stanze che si trovano al livello più basso, se saliremo riusciremo ad arrivare alla sala del trono ».
« Come sei certa di dove sia? » domandò Mavina.
« Ho passato anni a studiare le piante di questo castello » rispose Aingel « Keltosh riuscì a recuperarle prima che Klopius si insediasse ».
Ci trovavamo nelle Cantine Dimenticate, le più remote e antiche del castello d’Ililea. Si chiamavano così perché nessuno sapeva della loro esistenza, tranne i sovrani. Erano luoghi oscuri, i più antichi sotterranei su cui sorgeva il castello. Vi erano nascosti gli oggetti più vecchi e strani che avevano fatto parte del castello, mi sembrò anche di scorgere le lampade con dentro l’incantesimo della luce che illuminavano le città di Danases.
All’improvviso mi accorsi di uno strano movimento accanto a me e sobbalzai. Quella di cui mi ero spaventata ero solo la mia immagine riflessa. Mi inginocchiai vicino uno specchio ovale dal vetro rotto in diversi frammenti. Ero curiosa di guardarmici dentro. Era da molto tempo ormai che non vedevo il mio volto.
Un paio di occhi a me sconosciuti mi restituirono uno sguardo smarrito in più frammenti. Vidi una giovane mezz’elfa dai lunghi capelli schiariti così tanto dal sole che le punte erano diventate quasi bianche e dal volto perfetto che ricordava la remota bellezza dei draghi. Le sue orecchie erano molto più a punta e uno dei suoi occhi, che prima doveva essere verde, stava diventando azzurro. Ma adesso invece di essere del colore del mare, sembrava di quello dell’acqua limpida di un fiume quieto.
Mi fissai incredula.
Chi era quella?
Di certo non ero più io.
O almeno non ero più la Elien che aveva vissuto nella foresta di Elwyn.
Menfys si affiancò a me.
« Elien, cosa c’è? ». 
Lo guardai attraverso lo specchio. 
« Hai visto quanto sono cambiata? » gli domandai.
Lui, oltre Daelyshia e Ogard, era l’unico che mi aveva visto da quando ero un vero mezz’elfo.
Grazie alla magia che mi legava con la dragonessa il mio lato elfico stava prendendo il sopravvento su quello umano.
Non ero più una comune mezz’elfa, ma non ero nemmeno del tutto un’elfa.
Un ibrido a metà tra tre razze.
« Non perdiamo tempo, dobbiamo andare! » ci riprese Aingel, all’improvviso pallida.
Si rese nuovamente invisibile e la imitammo. Aprì una botola sul basso soffitto dove comparve una sottile scala arrugginita e cominciammo a salire. Finalmente uscimmo dai sotterranei.
Era diventato buoi e tutto sembrava addormentato.
Quanto tempo avevamo camminato lì sotto?
Il castello d’Ililea aveva perso quella che doveva essere il suo splendore antico ma rimaneva comunque bellissimo.
Enormi e sontuose scale argentate, con corrimani dorati, collegavano i diversi piani. Le stanze avevano soffitti altissimi che, spiegò Aingel sottovoce, in realtà erano solo un’illusione data dalla magia, in realtà erano molto bassi e i pavimenti erano mattonellati con splendidi disegni, che raccontavano la storia di Astrakan.
La mia gemella ci condusse al secondo piano. Percorremmo una scalinata che si affacciava su il portone più maestoso che avessi mai visto. Questo permetteva l’accesso ad un’enorme sala con grandi vetrate colorate e al centro un trono. Tutto sembrava come consumato dalla ruggine. Il castello stava morendo insieme al suo regno.
« Non capisco… » mormorò Aingel preoccupata.
« Che cosa…? » chiese Tanasir, ma s’interruppe perché una porta sbatté e, una voce sgradevolmente familiare, risuonò nell’aria: « Cercavate forse la corona, stupidi elfi? ». 
Klopius era entrato nella sala, da una porta secondaria, e guardava esattamente nel punto in cui ci trovavamo, anche se invisibili. Evidentemente aveva avvertito la nostra magia.
« È arrivato il momento della tua sconfitta Klopius! » urlò Aingel rendendosi visibile « La pagherai cara, per tutto quello che hai fatto! ».
« Il tuo potere è finito! » ringhiò Naim arrabbiata, ricomparendo grazie alla magia di Aingel.
All’improvviso un ruggito squarciò l’aria, l’enorme portone principale della sala del trono si aprì e apparve l’enorme Grifone che ci lanciò un’occhiata malvagia e sfoderò gli artigli da leone. 
« Siete solo degli insulsi stupidi elfi in confronto alla mia potenza, come sperate di battermi?! ». 
Mi resi (anche se con qualche difficoltà) visibile, seguita dagli altri e dai draghi: « La pagherai per aver ucciso mio padre! Siverl! » una luce accecante apparve sulle mie mani e la lanciai contro Klopius.
Quello allungò un braccio e, con mio enorme stupore, lo prese nella sua mano e me lo rilanciò contro. Lo schivai e quello colpì un’enorme vetrata della sala che s’infranse, spargendo i vetri colorati dappertutto.
Klopius, con un solo gesto della mano, fece alzare i pezzi da terra e ce li lanciò contro. Ci rifugiammo dietro all’enorme trono. Naim e Daelyshia, lanciarono del fuoco, che lo sfiorò, allora il grifone si lanciò su di loro, ma Ogard si mise in mezzo e lo scontro fece tremare le pareti.
Klopius lanciò un nuovo incantesimo, così forte che al suo passaggio sentii rizzare i capelli. Aingel, dal nulla, evocò uno scintillante scudo dorato dove la magia cozzò contro e s’infranse in mille scintille. Iniziarono a lanciarsi incantesimi contro sempre più veloci e sempre più potenti, tanto che Menfys dovette intervenire a sostenere Aingel con la sua magia.
Sentii dei passi pesanti alle mie spalle e vidi che dei soldati armati di tutto punto stavano salendo le scale in direzione della sala del trono.
Erano troppi per noi!
« Mavina aiutami! ».
Insieme bloccammo l’enorme portone con la magia, prima che quelli potessero entrare.
Mi girai appena in tempo per vedere il Grifone liberarsi dei draghi, avventarsi su Tanasir e ferirlo con un poderoso artiglio al fianco. L’elfo gemette e cadde a terra mentre vicino a lui il pavimento si colorava di rosso.
« Tanasir no! » sentii urlare Mavina accanto a me.
All’improvviso un ruggito di rabbia e un forte bagliore esplosero nella stanza e capii che provenivano da Wisp. Stava usando il suo potere. Quando la luce sparì il drago verde era enorme, perfino più grande di Ogard, con le punte acuminate e le zanne sporgenti dal labbro. La terra tremò quando sbatté la poderosa coda in terra. Wisp era pieno di rabbia che avessero toccato Tanasir. Fece un balzo e iniziò una furiosa lotta contro il Grifone.
« Elien corri a prendere la corona. Nessuno si accorgerà di te! » mi disse Wisp con un guizzo di pensiero.
Anche la sua mente era cambiata dopo la trasformazione. Le sue parole mi echeggiarono in testa con il fragore di una frana e per un attimo rimasi stordita.
« Ma dove posso andare? » chiesi scoraggiata.
Naim mi entrò di prepotenza nella testa e vidi un’immagine sfocata di una stanza.
« Era qui che i sovrani custodivano la corona molto tempo fa. E’ la nostra ultima speranza ».
Mi voltai verso Mavina. Entrambe stavamo tenendo il portone con la magia. Come avrei fatto?
« Elien va! Ce la faccio da sola! » rispose lei alla mio sguardo disperato.
Lasciai l’incantesimo solo nelle sue mani e corsi verso la porta laterale prima che qualcuno potesse vedermi.
Il castello che stranamente sembrava deserto. Tutte le forze si erano concentrate lì. Dovevo sbrigarmi altrimenti Mavina non avrebbe retto a lungo. Percorsi un corridoio laterale mentre cercavo la stanza che mi aveva fatto vedere Naim. Secondo la sua visione doveva trovarsi tre piani più in alto.
Salii le scale.
I rumori della battaglia come un eco lontano.
I corridoi erano spogli, anche se sui muri c’erano delle macchie rettangolari, segno che lì prima dovevano esserci dei quadri. Sentivo l’odore della muffa che impestava gli angoli dei soffitti. Quei muri, quei corridoi, tutto in quel castello trasudava morte.
Una strana luce violetta proveniente da una stanza attirò la mia attenzione.
Doveva essere quella!
Al centro della piccola sala, in una deca che emanava la luce violetta che avevo intravisto, c’era la corona di Aingel, la corona del regno. La osservai per un attimo incantata: era simile quella di Danases, solo che aveva un solo grande buco al centro invece di averne tre piccoli per le tre pietre.
Timorosa, mi avvicinai e battei sulla deca. Il suono cristallino si sparse attorno a me ma non riuscii nemmeno a scalfire il vetro.
Provai numerosi incantesimi minori e poi decisi che avrei usato quello della Freccia Argentata. Permetteva di creare una freccia con la magia che riusciva a trapassare qualsiasi cosa ma richiedeva un dispendio di energia enorme.
Decisi di provare e mi ritrovai ansante sul pavimento mentre la deca andava in frantumi. Passarono attimi in cui i polmoni mi andarono a fuoco. Quando riuscii a controllare gli spasmi ai muscoli presi la corona e corsi, per quello che potevo, verso la sala del trono.
Arrivai ansante nella sala, coprendomi le orecchie e chiudendo gli occhi nel momento in cui due incantesimi s’incontrarono e scoppiarono. Quando il fumo si diradò e finalmente riuscii a vedere, sentii il sangue defluire dal volto.
Menfys era a terra e Klopius si stava avvicinando a lui, con la spada alzata. Pietrificata, lo osservai puntare la spada alla gola dell’elfo.
La corona mi sfuggi dalle mani e cadde a terra tintinnando, per fortuna il caos che creavano Wisp e il Grifone mentre combattevano coprii il suono.
Sentii montare la rabbia.
Klopius mi aveva portato via mio padre, non avrei lasciato che facesse del male a Menfys.
Ebbi una scarica di adrenalina.
Corsi e mi gettai sulla schiena di Klopius colpendola con i pugni. Non m’importava se lui era più potente di me, o se avesse potuto usare la magia per mettermi subito fuori combattimento, in quel momento desideravo fargli solo più male possibile, più di quello che aveva fatto lui a me e Aingel, con le mie sole mani.
Klopius ringhiò e mi buttò accanto a Menfys, che senza forze cercava inutilmente di rialzarsi ma l’uomo l’aveva bloccato a terra.
Mi ritrovai con la spada puntata alla gola.
« Elien! » gridò Daelyshia, avvertendo la mia paura.
Tutti smisero di combattere, tranne Wisp che continuava ad attaccare incessantemente il Grifone.
Klopius rise spezzante.
Cercai di muovermi ma la spada spinse di più sul collo. Rantolai e sentii qualcosa di caldo scivolarmi lungo il corpo. Menfys rimase pietrificato quando vide il sangue inzupparmi la maglia.
« Vediamo… cosa mi ricorda questa scena? » si chiese Klopius, con falsa preoccupazione. Poi s’illuminò e ghignando disse: « Ah già! Vostro padre che supplica come un maiale un attimo prima della sua morte ».
« Bugiardo! ».
Aingel con la magia che schizzava fuori di lei per la rabbia fece un passo avanti, ma Klopius spinse ancora più a fondo la lama sulla gola.
Urlai di dolore sentendo il freddo metallo sulla pelle già ferita.
Il suono del mio grido si amplificò e risuono nella stanza insieme al ringhio di Daelyshia.
Sentii la mano di Menfys raggiungere la mia e stringerla.
Riuscivo a sentire il battito amplificato del suo cuore spaventato.
Strinsi di rimando la sua mano e il mio gesto non passò inosservato a Klopius che ghignò maligno e alzò la spada per colpirmi.
Chiusi gli occhi, spaventata.
Non volevo morire, non così.
Aspettai però il colpo non arrivò, invece sentii all’improvviso il respiro mancare.
Aprii gli occhi di scatto e vidi che Klopius stava usando la magia su di me.
Sentivo l’incantesimo stringermi la gola in una morsa.
Tossii e rantolai, cercando di respirare.
« Daelyshia, aiutami! » sussurrai.
Allora la dragonessa unì le sue forze alle mie per cercare di contrastare l’incantesimo, purtroppo fallimmo.
La testa iniziò a girarmi e quando incontrai lo sguardo di Menfys, nei suoi occhi spaventati vidi anche la mia paura.
« Basta! » esclamò Menfys, cercando di muoversi « Basta! Prendi me al suo posto! ». 
« Non farlo » rantolai ed esaurii la scorta d’ossigeno.
Chiusi gli occhi, quando la stanza iniziò distorcersi e dei puntini esplosero dietro le palpebre. La gola e i polmoni bruciavano, la testa pulsava e vorticava.
« È così ingiusto sentire il suo dolore senza provarlo veramente, non è vero? » sentii dire Klopius, sprezzante, a Menfys.
Improvvisamente si sentì un rombo: Wisp aveva colpito il Grifone al cuore, uccidendolo.
Aprii gli occhi e vidi Klopius ringhiare, rabbioso: « Ora basta! ».
L’incantesimo sparì e gemetti ansante, respirando a pieni polmoni. La stanza smise di girare e Klopius ci spinse da parte con la magia, atterrammo dall’altra parte della stanza, contro il muro. Le ossa mi esplosero in un dolore atroce.
Mentre lottavo contro il dolore per rimanere cosciente vidi Klopius infuriato sprigionare tutta la sua potenza: con un incantesimo colpì Wisp che cadde a terra e non si mosse. Tanasir impallidii e gemette, cadendo.
Mavina era ansante. Il portone tremava terribilmente sotto i colpi dei soldati, non sarebbe riuscita a durare molto.
Menfys si avvicinò zoppicando e poggiò una mano sul mio collo. Sentii un caldo prurito: il taglio si chiuse e il sangue sporco sparì.
« Menfys » mormorai in preda a un terribile dolore « La mia schiena… ti prego aiuta Aingel! ».
Lui mi guardò orripilato. La mia schiena si era rotta all’altezza dei fianchi e non sentivo più le gambe. Non ero più di nessun aiuto per nessuno.
« Non muoverti » mi sussurrò lui poggiando le mani sul mio fianco.
Capii cosa volesse fare ma non potevo fermalo.
« Menfys, no! Perderai troppa energia! ».
Ma non mi ascoltò. Sentii il corpo bruciare e le ossa scrocchiare mentre l’incantesimo agiva. Le gambe formicolavano. E quando tutto finì Menfys era accanto a me, svenuto.
Controllai che respirasse in preda al panico.
Era ancora vivo.
Mi alzai in piedi di scatto.
Non c’era più tempo.
Un forte rombo annunciò che l’incantesimo di Mavina aveva ceduto e i soldati iniziarono a sciamare all’interno della sala. Ogard, Daelyshia e Naim iniziaro a lanciare del fuoco per fermare la loro entrata e la stanza divenne rovente.
Corsi a prendere la corona dove l’avevo lasciata e poi mi diressi da Aingel. Le misi in mano il monile, guardando preoccupata Tanasir che, ormai all’estremo delle forze, era l’unico rimasto a lottare contro Klopius. 
« Non c’è la pietra! Dov’è? » mi urlò Aingel, guardando la corona che aveva in mano.
« Non lo so! » esclamai disperata.
All’improvviso la tasca del vestito di Aingel e la tasca del mio pantalone s’illuminarono e uscirono un piccolo sasso dorato e uno argentato.
« Il sasso di Madre Natura » mormorammo all’unisono.
I due sassi si unirono e dalla loro unione comparì una piccola e rotonda pietra rossa con inciso sopra uno strano simbolo.
« È la pietra del fuoco! » esclamò Aingel prendendola in mano e poi incastonandola nel suo buco.
Una forte luce si sprigionò dalla corona. La mia gemella mi spinse via e se la mise sulla testa.
« Elien allontanati! ».
Corsi verso Menfys e mi buttai sul suo corpo, creando uno scudo di protezione. I draghi si accucciarono sui corpi di Mavina e Tanasir potreggendoli con le loro ali.
« Questo è per nostro padre! » sentii urlare Aingel.
La luce fortissima investì i soldati. Il mio scudo vacillò e rischiò di incrinarsi per via di tutto quel potere. Fremetti dalla stanchezza. Poi l’incantesimo si diresse verso Klopius che provò a resistere ma lo sentii urlare, un grido disumano, e poi tutto si fece silenzioso.
In quel momento la lotta per Astrakan finì.
L’usurpatore era stato sconfitto.
Vidi Aingel cadere a carponi a terra e ansimare, la corona sulla sua testa che risplendeva.
Aiutai Menfys a rivenire e tutti ci alzammo piano.
Ma uno di noi era rimasto a terra.
Tanasir corse vero Wisp e, piangendo, inizio a colpirlo cercando di farlo di muovere: « Wisp Svegliati! Svegliati! No, no… NO! ». 
Lacrime calde iniziarono a rigarmi il viso.
Wisp era morto.
Si era sacrificato per noi.
Menfys e Ogard si scambiarono un’occhiata sconvolti e pallidi, invece Aingel aveva abbracciato Naim, come se avesse paura che anche lei se ne andasse.
Mavina si avvicinò a Tanasir per consolarlo.
« Non puoi fare nulla per lui, Tanasir » gli disse con voce dolce, rotta dal pianto « Adesso è uno Spirito».
All’improvviso, una luce avvolse il corpo dell’enorme drago verde e, un attimo dopo, il drago non c’era più.
Sentimmo la sua voce rimbombare nell’aria mentre nel cielo di Astrakan esplodeva un’aurora boreale che illuminò il castello di mille colori: « Non dimenticate, mai ».
Tanasir, impazzito dal dolore, urlò: « Non te ne andare! ».
Ma ormai il suo drago non c’era più.
 

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Capitolo 15
*** Il mondo in fiamme ***


15. Il mondo in fiamme



« Per tutte le lune e i soli di Danases! » esclamò il nano del Dorond mentre passavamo per l’entrata di Danases « Ce l’avete fatta! ». 
Daelyshia e Ogard si accasciarono a terra, ansanti.
« Siamo stanchissimi, è una settimana che voliamo senza fermarci! ».
Mi avvicinai ad accarezzare il collo squamoso della mia dragonessa. La capitale di Astrakan era lontana dal luogo del portale e per sbrigarci a tornare nel nostro mondo avevamo deciso di volare in groppa ai draghi ma eravamo due su ognuno e il peso raddoppiato li aveva sfiniti.
E non era ancora finita.
Adesso ci aspettava un viaggio attraverso Danases.
Il nano del Dorond ci guardò stupiti, poi domandò: « Avete trovato la pietra? ». 
« No » rispose Menfys affranto.
« Sono giunte notizie a Danases… allora è vero quello che si racconta? » domandò Opak con occhi scintillanti « La principessa è tornata? »
Annuii: « Tu sapevi, non è vero? ».
« Non si può nascondere nulla al guardiano del portale » rispose il nano con ovvietà « Seppi mantenere bene il segreto. Ma adesso ditemi cos’è successo! ».
Mentre Menfys raccontava le nostre avventure nel mondo degli umani mi ritrovai a pensare intensamente a mia sorella. Non avevamo potuto assistere alla sua incoronazione perché i preparativi erano più lunghi del previsto. L’esercito dei ribelli e Keltosh sarebbero arrivati solo due giorni più tardi e, purtroppo, noi non potevamo perdere altro tempo. Avevamo lasciato Aingel insieme alla Vecchia Guardia del castello, soldati fedeli ad Elvisier che per tanto tempo erano rimasti nascosti ad Ililea e che erano accorsi ad aiutare la loro legittima sovrana appena avevano ricevuto la notizia che l’usurpatore era stato sconfitto e la principessa era tornata.
Avevo ancora in mente la sua figura che si stagliava dalla torre del palazzo, un’ombra nel tramonto rosso, mentre ci osservava prendere il volo e allontanarci. Mi aveva fatto promettere che ci saremmo ricongiunte una volta che avremmo sistemato i regni che avevamo in eredità. Ma la mia mi sembrava una promessa così difficile da mantenere.  
Mi riscossi dai miei pensieri solo quando mi accorsi che Menfys aveva terminato il racconto e il silenzio era sceso tra noi.
« Ma dov’è il piccolo drago verde? » chiese in un sussurro Opak.
« Morto » rispose Tanasir con voce atona.
All’improvviso si alzò una leggera brezza, anormale per quel luogo al margine del deserto, e iniziai a provare delle emozioni così forti che mi squassarono il petto.
Era così strano.
Mi resi conto che non erano le mie ma riuscivo a sentire i sussurri degli elfi portati lontano dal vento.
Chiusi gli occhi per ascoltare cosa mi dicessero mentre il corpo era tutto un brivido
« Paura! » esclamai quando capii che cos’era l’emozione che stavo provando.
« Cosa? » chiese Mavina confusa.
« Nell’aria » chiarii « Sento la paura nell’aria. Sta succedendo qualcosa…».
Quando il leggero vento cessò, facendo sparire la tensione e la preoccupazione degli elfi, smisi di tremare e aprii gli occhi: notai che tutti mi guardavano stupiti. 
« Che… che cosa c’è? » chiesi. 
« Mia cara ragazza » fece il nano del Dorond emozionato « Tu stai leggendo l’Aria! ».
« Leggere l’Aria significa percepire le emozioni e i pensieri di altri elfi dell’Aria o dei draghi » spiegò Menfys guardandomi quasi con timore reverenziale « Non è un dono comune. Solo alcuni elfi, di grande potere, dopo anni di esercizio, riescono a farlo ».
Cercai di parlare ma si alzò di nuovo il vento e percepii ancora la paura e l’agitazione, questa volta sempre più forte. Quelli che prima erano sussurri erano diventati quasi dei gridi.
« Ma che cosa sta succedendo a Danases? » chiesi ad Opak agitata, il corpo in preda ai tremori.
Il nano che mi guardò preoccupato: « I draghi e gli elfi si sono dichiarati guerra apertamente » dichiarò con tono lugubre « Gli eserciti sono in cammino. Si incontreranno nella pianura di Abbarack e lì sarà battaglia, allora sarà il caos per Danases! ».
Tutti sobbalzammo sconvolti.
« Non è possibile! » singhiozzò Mavina portandosi le mani al volto, orripilata. 
« Sono tutti impazziti! » ruggì Ogard.
« Dobbiamo sbrigarci! Non abbiamo più tempo, Elien deve prendere la terza pietra, così tutta questa pazzia finirà, prima che consumi questa terra » esclamò all’improvviso Tanasir con tono deciso « Non dobbiamo arrenderci adesso, Wisp non lo avrebbe voluto! ». 
Lo guardai commossa e gli strinsi la mano. Ricambiò la stretta con forza.
« Ha ragione Tanasir! Non possiamo arrenderci! » asserì Daelyshia.
« Ma non sappiamo dove sia la terza pietra! » si disperò Mavina.
« L’unica soluzione è tornare dal Grande Saggio. Se l’esercito si è mobilitato sarà sicuramente partito da Tedrasys e lo troveremo a metà strada tra la città e le pianure » disse Menfys.
Tutti annuimmo.
Dun Morongh ci aveva fatto iniziare questo viaggio, era l’unico che forse avrebbe potuto aiutarci a finirlo.
Guardai Ogard e Daelyshia: « Ce la farete a resistere? ».
« Dobbiamo » rispose Ogard.
Salimmo sulle loro groppe con un balzo. Io e Mavina su Daelyshia, Menfys e Tanasir su Ogard.
Prima di partire ci girammo a guardare Opak che ci augurò buona fortuna: « Che gli spiriti siano con voi! ».
Quando Daelyshia spiccò il volo, il vento mi sferzò il viso, e sentii l’aria mancare.
« Non così stretta! » grugnii a Mavina, che impaurita mi stringeva forte la vita, mentre Daelyshia acquistava velocità sfruttando una corrente ascensionale.
« Scusa! » urlò Mavina, e la presa si allentò un poco.
L’aria non era decisamente il suo elemento.
Il nano del Dorond divenne ben presto un puntino e poi sparì, inghiottito dalla linea dell’orizzonte.
Mentre volavamo verso nord-est alla volta di Tedrasys, vidi, preoccupata, come il seme della follia sembrava essersi propagato per tutta la terra… come un parassita difficile da eliminare.
Danases non sembrava il mondo che conoscevamo e che avevamo lasciato alla nostra partenza per Astrakan.
Tutto era cambiato.
All’orizzonte, nella direzione dove sapevamo che si trovavano le città degli elfi, vedevamo del fumo nero salire lentamente a spirale nel cielo, segno che le case erano in fiamme. L’odore acre mi arrivava pungente fino alle narici, facendomi lacrimare gli occhi. Sembrava che il cielo si fosse oscurato a causa di tutto quel fumo.
Anche abbassando gli occhi sulla terra potevamo osservare il paesaggio che, come le città, era bruciato. Il terreno invece di essere verde e rigoglioso era nero e morta.
Tutto il mondo era in fiamme.
Guardai Menfys che ricambiò il mio sguardo spaventato.
Mentre Daelyshia e Ogard viravano verso destra, il lontananza avvistammo il lago Baab e con orrore notai che la sua acqua e quella dei fiumi era diventata nera.
Sembrava che solo il Mare Infinito fosse rimasto invariato, però mostrava la sua furia agitando l’acqua con dei grossi cavalloni, che si scontravano con forza sopra gli scogli, rombando.
Il cuore mi doleva a quella vista: la guerra stava distruggendo Danases.
Sorvolavamo alti le pianure argentate, quando un puntino viola, seguito da uno indaco, comparvero nel cielo, diretti verso di noi.
« Draghi selvaggi! » esclamò Daelyshia.
Ogard si fermò bruscamente, facendo sobbalzare Menfys e Tanasir sul suo dorso: « Cosa facciamo? ».
« Ormai ci hanno visti » urlò Tanasir e Menfys annuì « Lo scontro è inevitabile, non possiamo sfuggirli, quello viola è più grosso di Daelyshia e Ogard messi insieme » l’elfo della Terra indicò il drago di cui parlava, che ormai era così vicino da potergli distinguere gli intensi occhi lilla, accesi di una rabbia indescrivibile.
Noi eravamo i suoi nemici.
I draghi ruggirono e nel loro ruggito potei sentire la loro accusa rivolta verso Ogard e Daelyshia. Erano legati a degli elfi. Erano dei traditori della loro razza.
L’impatto dello scontro fu tremendo.
Mi tenni stretta al collo di Daelyshia, mentre i draghi si colpivano con spettacolari mosse di agile maestria e potenza. Sentii le mani iniziare a sanguinare a forza di sfregare contro le sue squame ma non osavo allentare la presa.
« In aria ci massacreranno » ringhiò la mia dragonessa mentre, per evitare una fiammata, faceva un giro della morte rischiando di farci cadere.
Il drago viola colpì con una zampata il muso di Ogard, lasciandogli un lungo graffio, Menfys ruggì di dolore e poi disse: « Ogard, Daelyshia, tornate a terra! ».
I due draghi planarono con ampie spirali verso terra, con le lingue a penzoloni e le code stanche. Quando arrivammo a terra scendemmo velocemente dal loro dorso.
I due draghi ostili atterrarono, ringhiando nella nostra direzione.
Mi affiancai a Menfys, stringendogli forte il braccio. 
«Cosa facciamo?» lo guardai disperata mentre Ogard e Daelyshia si lanciavano in avanti e i quattro draghi ricominciavano la lotta furiosa.
« Non possiamo fare niente. Gli incantesimi non hanno molto effetto sui draghi, essendo già creature intrise di magia e… »  gemette di dolore quando Ogard cadde a terra, sfinito, solo Daelyshia rimase a lottare, però anche lei non resistette a lungo e venne messa da parte dai draghi, che iniziarono ad avanzare verso di noi.
« Distraeteli. Io cercherò di curare Ogard e Daelyshia! » sussurrò Menfys a me, Mavina e Tanasir.
Ci muovemmo e poi non capii più cosa successe.
Tutto accadde così velocemente.
Un attimo prima Menfys era vicino a noi e quello dopo veniva sbalzato lontano da una zampata poderosa.
« Menfys!! »
L’enorme drago viola mi sovrastava, con le fauci spalancate.
Incespicai, caddi e urlai spaventata, cercando di scappare dalle grinfie del drago.
Per mia fortuna intervenne Tanasir, distraendolo. Si gettò contro il dorso del drago e quasi rischiò di ferirsi con le sue punte acuminate quando lo afferrò per il collo. Il drago iniziò a contorcersi per cercare di liberarsi dell'elfo, che nel frattempo aveva estratto la sua spada ed era riuscito a ferirgli una zampa.
Intanto il drago indaco marciava verso di Menfys, svenuto.
« No! » gridai.
L’aveva quasi raggiunto!
Puntai un dito contro una pietra lì per terra. Era abbastanza grande, mi avrebbe preso molte energie ma avrebbe colpito bene il drago.
« Hexia! ».
La pietra tremò, si sollevò e colpì il drago alla testa che cadde svenuto.
Il compagno ruggì furioso. Con un balzo si liberò di Tanasir, che cadde violentemente a terra, e si avventò su di me. Ansavo per la perdita di energia quindi non fui abbastanza veloce per schivarlo. Mi colpì il braccio con un artiglio. Sentii un dolore intenso mentre l’unghia strappava la carne e il sangue mi schizzava sui vestiti.
Anche se avevo messo fuori gioco un drago, quello viola era troppo forte di noi!
Mi guardai attorno: Menfys era ancora a terra, tramortito, come Ogard. Tanasir aveva numerosi tagli sul petto e giaceva a terra, ansimante. Daelyshia si stava alzando, gemendo di dolore. Solo Mavina era rimasta a combattere contro il drago viola.
Disperata notai che il drago indaco si stava riprendendo.
« Tanasir, sveglia Ogard e Menfys! Daelyshia, prendi Elien e andate via! » urlò Mavina con uno strano luccichio negli occhi.
Tanasir si alzò a fatica e si diresse verso i due. Borbottò qualcosa, chino su Menfys, che si risvegliò confuso, seguito da Ogard.
« Mavina, NO! » gridai, mentre Daelyshia mi sollevava e mi trascinava via. Il sangue che prima macchiava la terra, bagnò le sue squame.
Sentivo le forze venire meno, ma non potevo permettere che si realizzasse ciò che Mavina aveva in mente.
Un improvviso ruggito agghiacciante ci fece voltare tutte e due: dal cielo veniva un altro drago nero.
« Andate via… VIA! » urlò Mavina difendendosi con uno scudo incantato dalle fiammate dei draghi.
« Mavina non ti lasceremo! » esclamai mentre la dragonessa mi posava sulla sua schiena.
« Elien va! Salva il mondo! Salvalo per il mio piccolo Cearly! ».
Daelyshia spiccò il volo seguita da Ogard, che portava in groppa Tanasir e Menfys.
Guardai verso terra ma non riuscivo a vedere più Mavina. Ormai Daelyshia era troppo in alto e i miei occhi erano pieni di lacrime.
Lottai contro le tenebre per cercare di mantenermi lucida: stavo perdendo troppo sangue e rischiavo di svenire.
Mavina si era sacrificata per noi…
« Daelyshia, gira! Dobbiamo tornare! » gridai fuori di me, dando colpi sul fianco di Daelyshia che non si ribellava « Dobbiamo to-tornare! ».
Singhiozzai con la vista appannata, ormai senza forza.
Quasi senza sensi, mi sembrò di sentire un leggero tonfo e Menfys circondarmi da dietro. Lo sentii mormorare delle parole nel mio orecchio, però non le capii. Mi strinse il braccio ferito e lo sentii pizzicare quando mi rimarginò la ferita profonda.
Lottai per scendere e tornare indietro ma le sue braccia forti mi impedivano di muovermi. Mi lasciai andare a un pianto disperato sulla sua spalla che mi toglieva il respiro.
Quando Daelyshia atterrò avevamo volato tutto verso est e ci trovavamo sulla riva del lago Baab. Eravamo ormai abbastanza distanti. La dragonessa cadde a terra di botto e io e Menfys sbattemmo a terra malamente. Ogard riuscì ad atterrare meglio.
Appena mi rialzai Menfys cercò di abbracciarmi ma lo spinsi via e mi girai ad aggredire gli altri.
« Perché avete abbandonato Mavina? Dovevamo restare lì! Dovevamo combattere! » gli urlai addosso.
Menfys e Tanasir si scambiarono uno sguardo affranto.
« Non potevamo fare nient’altro Elien » intervenne Ogard « Mavina ha fatto la sua scelta e ha salvato tutti noi ».
All’improvviso nel cielo nero esplose per un attimo l’Arcobaleno degli Spiriti e capii per chi fosse arrivato. Lo guardai stravolta. Un’altra persona che si era sacrificata.
Per me.
Per permettermi di andare avanti.
Io ero l’unica che non poteva permettersi di morire.
Abbassai lo sguardo sui miei compagni e osservai i loro sguardi disperati e compassionevoli.
Non potevo sopportarlo. 
Scappai via, lontano da loro, lontano da tutti.
« Elien! ».
Menfys fece per seguirmi ma Daelyshia gli sbarrò la strada con la coda.
« No, lasciala andare. Ha bisogno di stare sola ».
Mentre correvo lungo la riva del lago con gli occhi appannati dalle lacrime, tutta la realtà mi si rovesciò addosso, come acqua ghiacciata.
Wisp e Mavina se n’erano andati e non sarebbero tornati: erano morti.
Erano morti per me.
Erano morti perché stavano pensando al futuro degli altri.
Erano morti a causa della follia che stava consumando il mondo.
Perché, allora, il mondo non si era fermato, ammutolito dalla sua stessa pazzia?
Quella pazzia che aveva ucciso Mavina e Wisp.
Perché nessuno aveva smesso di combattere?
Wisp… Wisp non avevamo nemmeno avuto il tempo per piangerlo.
Perché, perché…
Era tutta colpa mia.
Non ero riuscita a salvare Danases in tempo.
Corsi e corsi finché il lago non diventò fiume e il fiume non si buttò nel Mare Infinito.
Mi fermai e mi accasciai a terra, sull'orlo di una scogliera.
Il petto squassato dal dolore.
E il figlio Mavina… il piccolo Cearly non sarebbe mai cresciuto insieme a sua madre.
Ho tanto bisogno di aiuto…
Mi affacciai oltre il dirupo per osservare il Mare Infinito e la sua furia. Sospirai, guardando l’orizzonte di nuvole che si rispecchiava nell’acqua rendendola grigia. Una lacrima cadde nel mare e quello tutto ad un tratto si placò. Un’onda si avvicinò alla terra e si alzò fino ad arrivare all’altezza del promontorio dove mi trovavo.
In mezzo all’acqua scorsi i lineamenti di una donna.
« Chi sei tu, che osa chiamare Madre Marea, dalle profondità più remote del mare? ». 
Un po’ spaventata, mi alzai in piedi: « Il mio nome è Elien » mormorai con voce tremante mentre mi asciugavo con una mano il volto rigato dalle lacrime.
Vidi lo spirito avvicinarsi, l’acqua incresparsi e percepii il forte odore salmastro del mare.
« Tu sei la figlia di Raene »
Non era una domanda, ma una semplice constatazione.
Un lampo di curiosità balenò negli occhi Spirito, per poi sparire e lasciare il volto acquoso senza espressione. 
« E così, sei venuta a cercarmi anche se ti avevo negato il mio aiuto ».
« Non volevo disturbarti » dissi « Ho smarrito la mia via. Non riesco a trovarla e non so dove cercarla. Senza di essa mi sento persa ».
Lo Spirito Elementare, con la sua mano d’acqua mi sfiorò la fronte, da cui si sprigionò una fioca luce dorata. 
« C’è troppa confusione dentro di te, giovane elfa. Nubi nere si addensano nel tuo cuore, nascondendoti il tuo giusto cammino » Madre Marea sospirò e il suo sospiro si riversò nel mare come il fragore di una cascata « Devi cercare nel profondo. Le tante voci nella tua mente ti sussurrano, confondendoti. Cerca di ritrovare te stessa ». 
« Ignorare i pensieri nella mia mente è come togliere una parte di me stessa. Mi ricordano i miei errori, le persone che sono morte. Per questo mi sento perduta. Dimenticare chi sono è più facile che affrontarle ».
Le sottili sopracciglia dello Spirito Elementare si aggrottarono, increspando il suo volto d’acqua: « Il sacrificio di due persone a te care, per combattere per un mondo migliore, ha il prezzo così alto di farti dimenticare chi sei? ».
Un refolo di vento mi fece arrivare un’onda sul volto, come una frustata. Sobbalzai per il dolore e per l’acqua gelata che mi scivolò nei vestiti.
« E’ così che ripaghi il loro sacrificio? Nessuno aveva detto che sarebbe stato facile. Il mondo è in guerra! E se tu, che dovresti essere la nostra regina, smarrisci la strada come può il mondo seguirti? La sua strada è già stata smarrita! ».
Un altro refolo di vento fece tremare violentemente il corpo di Madre Marea. Evocai con un incantesimo una bolla d'aria che mi circondò per evitare di bagnarmi nuovamente. Madre Marea era furiosa.
« Tu non capisci! » le urlai contro « La pietra dell’Aria nel mondo degli umani non c’era. Non so dove cercarla! Siamo in un vicolo cieco e le persone continuano a morire e io non posso fare niente per salvarle, per fermare questa guerra! ».
Evocai la corona e gliela mostrai. Quasi rischiai di lanciargliela contro per come le sue insinuazioni mi avevano fatto arrabbiare.
« Lei è dentro di me, Danases è il mio popolo e io non posso fare niente! E allora a cosa sono serviti tutti i sacrifici?! »
Madre Marea mi guardò in silenzio con i suoi occhi acquosi, per un momento che mi sembrò interminabile. Il fragore dei tuoni in lontananza come sottofondo.
« Alla baia di Salaverosa » la sentii mormorare.
« Cosa? » domandai confusa.
« Alla Baia di Salaverosa troverai le tue risposte. Se l’Unicorno si mostrerà a te capirai se i sacrifici non sono stati vani. Solo ad un puro di cuore si mostra e allora dimostrerai se il tuo è davvero quello giusto per essere la nostra regina ».
Spalancai gli occhi, quando capii che cosa voleva dire Madre Marea.
L’Unicorno sapeva dov’era la pietra!
Lo Spirito Elementare mi fece un sorriso, che quasi era un ghigno: « Vai e compi il tuo destino, adesso dipende tutto da te! ». 

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Capitolo 16
*** La scelta ***


16. La scelta



Nella Baia di Salaverosa, nel mezzo delle onde agitate del Mare Infinito, c’era un piccolo isolotto dalla terra brulla e dalla fitta vegetazione. Gli alberi e le siepi formavano un intricato labirinto che se osservato dall’alto sembrava non avere uscita.
Era proprio lì che si trovava la dimora dell’Unicorno.
Aveva creato quel labirinto affinché solo chi fosse stato degno di superarlo sarebbe potuto arrivare a lui.
Molti avevano tentato ma chi vi si era avventurato o si era perduto o vi aveva lasciato il senno.
Erano forse secoli che l’Unicorno non si mostrava più, tanto che ormai gli elfi più giovani credevano fosse una legenda e nulla di più. Infatti perfino Menfys e Tanasir sembravano scettici, ma d’altronde il consiglio di Madre Marea, in quel momento disperato, sembrava il più sensato da seguire; gli Spiriti Elementari non mentivano mai: l’Unicorno di sicuro sapeva.
Sorvolammo l’isola fino a quando non riuscimmo a trovare l’entrata del labirinto.
Quando fummo vicini notai che il labirinto aveva un aspetto ancor più sinistro e sospirai.
Perché niente doveva essere facile in questo viaggio?
Mi girai verso gli altri.
« Siete pronti? »
Menfys assunse un’espressione tormentata che mi fece stringere il cuore.
« No Elien, questa volta devi andare da sola. Solo Daelyshia potrà venire con te ».
Si avvicinò e mi prese le mani tra le sue. Le strinsi forte di rimando, le nostre dita intrecciate. Con la coda dell’occhio osservai Tanasir girarsi per lasciarci un po’ di riservatezza e poi lasciai che il mio sguardo si incatenasse a quello verde di Menfys.
« Ho paura » sussurrai.
Eravamo così vicini alla pietra, me lo sentivo.
Ma ancora una volta Danases mi metteva alla prova: Avrei avuto il cuore puro per essere la sua regina? E se non fosse stato così?
Menfys scosse piano la testa e mi accarezzò il volto con una mano.
« Andrà tutto bene ».
Osservai i miei occhi riflessi nei suoi. Chissà cosa leggeva nel mio sguardo.
Avevo paura, sì. Paura di fallire, ma soprattutto di perdermi.
Come potevo essere così egoista in un momento del genere?
Menfys avvicinò il suo viso al mio e ci baciammo. Un bacio struggente. Le sue labbra accarezzavano le mie in un modo… non era quello il sentimento che ci aveva animano qualche tempo fa quando avevamo fatto l’amore. Sentii battere ancora più forte il cuore mentre ripensavo a quel momento così unico.
I nostri sentimenti non avevano mai avuto spazio in questo tempo di guerra.
Gli lasciai un ultimo bacio, poi nascosi il volto tra la sua spalla e il collo ed inspirai il suo profumo mentre lo stringevo con forza.
« Torna da me » mi sussurrò.
Annuii e poi sciolsi l’abbraccio. Salutai Ogard con un bacio sul muso squamoso e Tanasir con un abbraccio.
« Ce la farai » mi incoraggiò.
Quando mi misi di fronte l’entrata Daelyshia si affiancò a me.
« Sei pronta? » mi domandò.
« Stammi vicina ».
Prima che entrassimo la voce di Menfys ci fermò: « Elien, io… ».
Una scarica elettrica mi oltrepassò il corpo quando capii che cosa volesse dirmi. Mi girai a guardarlo e vidi che esitava essendo circondati da tutti gli altri.
« Lo so » mormorai.
Lasciai che i nostri sguardi s’incrociassero un’ultima volta e che comunicassero tutto ciò che a parole non ci eravamo mai detti.
Poi distolsi lo sguardo ed entrammo nel labirinto.
Le siepi dietro di noi si chiusero, sentii Menfys che mi chiamava spaventato e poi più niente.
Adesso eravamo sole.
« Riesci a comunicare con Ogard? » chiesi a Daelyshia.
La dragonessa scosse la testa: « Non che mi aspettassi il contrario. Questo posto è denso di magia… è già qualcosa che non interferisca con il nostro legame ».
« Perché quello va oltre la magia » le ricordai « Sono i nostri cuori ».
Lei sorrise, mettendo in mostra le zanne.
Iniziammo a camminare e con stupore osservai che la vegetazione si apriva al nostro passaggio e in lontananza lasciava intravedere una luce.
Mi scambiai uno sguardo incerto con Daelyshia.
Era un buon segno oppure no?
Continuavamo ad avanzare e il silenzio aveva lasciato posto a dei mormorii indistinti. Non riuscivo a capire cosa stessero dicendo. Poi le voci divennero sempre più forti fino a diventare una unica, e sembrava anche molto vicina.
Aguzzai l’orecchio per capire da dove venisse.
Quando capii che si trovava alla nostra sinistra, cercai di allontanarmi da quelli che sembravano guai.
« Andiamo da questa parte » dissi a Daelyshia.
Qualcuno si parò improvvisamente davanti a noi.
« Dove credi di andare? »
Sobbalzai quando mi ritrovai davanti a me stessa. Sì, quella davanti a me ero esattamente io. E quella affianco a lei era l’esatta copia di Daelyshia. Quasi mi sarei confusa a capire chi fosse davvero reale, se le loro figure non fossero state un po’ offuscate come se fossero riflesse in uno specchio un po’ sporco.
Cercai di ignorare quella visione, sicuramente frutto della magia del labirinto, e cercai di avanzare ma quella iniziò a seguirmi.
« Il drago ti ha per caso mangiato la lingua? » mi sbeffeggiò impertinente.
Capii che non erano le siepi contorte che ostruivano la nostra via ma proprio quelle visioni.
« Temo che dovrai affrontarla, Elien » mi disse Daelyshia.
Annuii e sospirai.
Eccola la prova più grande.
E non era affrontare i guardiani, non era affrontare un tiranno usurpatore, un esercito di draghi, bensì me stessa.
« Sapresti dirmi dove trovare l’Unicorno? » domandai alla visione dopo essermi fermata ad osservarla.
« Ecco, per affrontarla non intendevo esattamente questo… » intervenne la mia dragonessa.
La falsa Elien mi guardò per un attimo stupita e poi atteggiò il volto in una smorfia infastidita: « Certo che lo so! ».
« Facci strada allora, per favore » continuai.
Di solito se mi trattavano con gentilezza aiutavo chiunque. E infatti la visione mi fece cenno e iniziammo a camminare.
Mi scambia un’occhiata trionfante con Daelyshia, ma lei continuava a rimanere perplessa.
« Davvero credi che una mezz’elfa come te sarebbe in grado di governare Danases? Ma guardati! Morirai presto e per gli elfi non sarai che stata un soffio nel vento ».
La falsa Elien ruppe il silenzio e le sue parole furono come una coltellata.
« Se avessi fatto il viaggio da sola non saresti durata più di un’ora nel tuo mondo! Tu non ci conosci, tu non sei un’elfa, tu non sei adatta! ».
Daelyshia si avvicinò e fece si che la mia mano posasse sul suo muso.
« Cerca di resistere Elien, sta solo dando voce alle tue paure ».
Annuii, confortata un poco dal suo calore, ma il cuore era stretto in una morsa. Sentirle ad alta voce faceva male. Sembravano reali.
« E invece di toglierti di mezzo tu, hai ucciso Wisp e Mavina! ».
Mi fermai e vidi il volto della falsa Elien era trasfigurato in una maschera di rabbia.
« No! » le urlai contro mentre le lacrime premevano per uscire.
« Sei un mostro! Hai ucciso quel povero cucciolo di drago e hai scatenato questa guerra! Assassina! ».
Le gambe cedettero e caddi a terra in ginocchio, mentre le lacrime mi rigavano il viso. Mi faceva male il cuore. Ogni parola era una stilettata velenosa. Era così che le persone impazzivano nel labirinto? Facendo i conti con la loro coscienza?
« Pensi che tutto quello che stai facendo ti possa redimere? Che l’amore di Menfys ti possa salvare? Ah l’amore… chi potrebbe amarti davvero? Menfys si stuferà di te vedrai! E succederà quando vedrà che invecchierai e lui rimarrà giovane e bello ».
Era per questo che io e Menfys non ci eravamo mai dichiarati il nostro amore?
Dire quelle parole ad alta voce l’avrebbe reso reale…
E la mia coscienza mi aggrediva per questo... 
Perché?
Perché aveva paura.
Era troppo spaventata da quell’amore.
Era spaventata dal Destino.
Da ciò che sarebbe successo e da ciò che era successo.
Elien non cercava la redenzione agli occhi di un mondo a lei ancora in parte sconosciuto ma la cercava presso sé stessa e non avrebbe mai avuto pace se non se la sarebbe concessa.
Quando quel pensiero mi attraversò la testa finalmente capii.
Mi asciugai le lacrime e mi alzai in piedi per fronteggiare la visione davanti a me.
« Elien, io ti perdono ».
Quelle parole mi diedero un senso di pace: la morsa che attanagliava il cuore non c’era più e i pensieri oscuri che mi vorticavano nella testa la lasciarono finalmente libera e vorticosa.
La rabbia scomparve dal volto della visione per lasciare posto ad un’estrema fragilità.
Mi guardò spaurita.
« Cosa? »
« Sì, Elien. Io ti perdono. Hai commesso degli errori, ma io li accetto. Fanno parte di me, di quello che sono e di chi diventerò. Il Destino ha in serbo per me una strada e io l’accetterò ovunque mi porti, con tutta me stessa. Con le parti buone e anche quelle oscure, con la rabbia, la paura, l’invidia, ma perdono me stessa per essere così e mi accetto per quella che sono. E se prenderò il posto di mia madre cercherò di fare del mio meglio, anche se avrò poco tempo a disposizione. L’Arcobaleno degli Spiriti non mi fa più paura ».
La visione davanti a me piangeva. Le lacrime le rigavano copiose il volto e forti singhiozzi le squassavano il petto. Mi avvicinai piano a lei e lasciai che piangesse sulla mia spalla tutto il suo dolore, tutto il mio dolore. Ci abbracciammo strette e una forte luce all’improvviso ci illuminò. Era così forte e crebbe ancora e ancora d’intensità che fui costretta a chiudere gli occhi.
Quando li riaprii mi ritrovai in una radura verdeggiante con Daelyshia al mio fianco e il labirinto ormai alle spalle.
Ce l’avevamo fatta!
Davanti a noi c’era un grosso salice, non avevo mai visto un albero così grande!
Ai suoi piedi c’era un laghetto e sulle sue rive l’Unicorno.
Era bellissimo!
Sul capo aveva un lungo corno dorato e una criniera color avorio. Il suo crine era bianchissimo e ad ogni sua mossa potevo osservare riflessi di arcobaleno specchiarvici dentro.
Intorno a lui avvertivo un’aura di saggezza che lo circondava, potente.
Si stava abbeverando, ma quando ci muovemmo verso di lui, si alzò e ci osservò con gli splendidi occhi azzurri come il cielo.
« Finalmente è giunto il momento del nostro incontro, Elien. Salute anche a te Figlia del Vento » parlò l’Unicorno.
La sua bocca non si muoveva ma la sua voce era chiara e forte come se stesse davvero parlando, ma sapevo che era un pensiero che echeggiava nell’aria. Era simile ai draghi che comunicavano con la mente, ma le parole dell’Unicorno non ti entravano direttamente nella testa ma risuonavano attorno a noi.
« Il mio nome è Alieus, che significa Stella del Cielo».
« La prova del labirinto… »
Mi interruppi. Non sapevo neanch’io bene descrivere cos’era successo. Ma l’Unicorno capì cosa volesse dire.
« Solo un cuore puro può accettare totalmente sé stesso. Chi cerca di reprimere alcune parti di sé smarrisce la via e si perde per sempre nel labirinto. Tu hai un grande potere Elien, e non è di magia che sto parlando. E’ qualcosa che viene dal cuore ».
Per un attimo il silenzio calò nella vallata, mentre metabolizzavo le sue parole. Non si sentivano che i cinguettii degli uccelli.
« Dove possiamo trovare la pietra dell’Aria? » domandò allora Daelyshia.
« La pietra si trova alla Torre Celeste, sopra l’Aurora. Solo i draghi ci possono arrivare ».
« Sopra l’Aurora? »
« Sì, seguite l’Arcobaleno degli Spiriti e alla sua fine troverete la Torre » spiegò l’Unicorno.
« Ma come faremo a trovarla? L’Arcobaleno degli Spiriti compare nel cielo solo quando qualcuno lascia Danases… » gli feci notare.
« Avvicinati » mi disse lui.
Mi avvicinai e lui mi incitò a toccare il suo corno. Quando lo sfiorai esplose una forte luce che mi costrinse a chiudere gli occhi. Sentii la dolce voce di mia madre e il suo tocco leggero sfiorarmi il petto, il punto esatto del mio cuore.
« Adesso tu sei la chiave » sentii pronunciare Alieus  « Va e segui l’Aurora! »
Quando riaprii gli occhi vidi che nel cielo c’era l’Arcobaleno degli spiriti. Si alzava dal punto esatto dov’era l’Unicorno e poi proseguiva nel cielo come un sentiero.
Salii su Daelyshia e iniziammo a seguirlo.
Era davvero strano che ciò che mi portasse verso la soluzione a quella guerra, fosse quello di cui avevo avuto sempre paura. Essendo una mezz'elfa il mio tempo era diverso da quello degli elfi e l'Arcobaleno mi avrebbe fatto presto visita.
Tra le luci di mille colori riuscivo ad intravedere le forme di qualsiasi animale. Magnifici uccelli, pesci, scogliattoli, cavalli, orsi...
Il cielo intorno a noi era scuro, illuminato solo da qualche stella.
Se guardavamo in basso la terra non si vedeva.
Dopo qualche tempo che salivano e il cielo si rischiarava sempre di più, come se si stessa facendo giorno, finalmente avvistammo la Torre Celeste. L’Arcobaleno si fermava proprio lì.
La Torre si trovava su un’enorme nuvola grigia che rimaneva immobile, anche se il vento che soffiava da nord avrebbe dovuto spostarla. Era era fatta di nuvole azzurre che andavano verso l'alto, formando una spirale. Non riuscivo a vedere dove terminasse perché finiva in altre nubi bianche, molto più in alto di noi, dove, da dietro, sbucava uno dei due soli, accecandoci.
Quando atterrammo e posai i piedi sulla nuvola grigia, notai che, anche se affondavano fino alle caviglie, sotto riuscivo a sentire qualcosa di duro come se fossimo sulla terra.
« Guarda qui » disse Daelyshia, indicando con il muso un enorme portone di nuvole rosa ai piedi della torre « L’entrata! ».
Mi avvicinai, poggiai una mano sulle nuvole e il portone si spalancò.
Ecco cosa intendeva Alieus con la parola "chiave": di sicuro non ci poteva andare chiunque in quel posto.
Quando fummo entrate la porta si richiuse alle nostre spalle con un soffice tonfo.
La Torre sembrava deserta. Intorno a noi vedevo solo nuvole che non avevano una fine.
« Non c’è nessuna pietra qui » dissi delusa.
Un ruggito squarciò l’aria e dal soffitto infinito vidi che scendeva una nuvola, però man mano che si avvicinava notai che aveva una forma particolare.
Era un drago!
Mentre atterrava notai che tra le nuvole bianche che componevano il suo corpo, s’intravedeva, al posto del cuore, una piccola pietra azzurra.
Eravamo pronte ad un suo attacco ma il drago, che sicuramente era il guardiano della pietra, si accoccolò vicino a me, poggiando la testa a terra e osservando i miei movimenti con i suoi occhi nuvolosi.
« Benvenute nel mio castello » esordì all’improvviso una voce.
« Madre Aira! » esclamai, osservando due occhi azzurri che erano comparsi da dietro il drago « La Torre Celeste è il tuo castello? »
Lei annuì: vidi l’aria tremare intorno a me.
« Perché mi trovo qui? » le domandai confusa.
Madre Aira mi scrutò in volto: « Per una scelta ».
« Con gli altri guardiani ho combattuto » osservai, anche se dentro di me sospirai lieta per lo scontro mancato.
« La pietra dell’aria è il tuo elemento, è da dove provieni, per questo è diverso. Se fosse stato un elfo dell’Acqua o della Terra, la scelta sarebbe avvenuta con il proprio elemento » spiegò Madre Aira.
« E se fosse stato un drago? ». 
« Avrebbe combattuto contro tutti e tre i guardiani. Perché un drago è un essere straordinario, essendo superiore a voi elfi, ma non a noi spiriti elementari, che avremmo potuto prendere la pietra senza scelta e senza lottare ». 
Pensai che se fossi stata uno spirito elementare, sarebbe stato tutto più semplice.
Sospirai e guardai Madre Aira: « Che scelta devo fare? ».
« È una scelta molto importante, che determinerà il tuo Destino » all’udire quel tono grave iniziai a preoccuparmi « Sta attenta, perché se sceglierai uno, non potrai avere l’altro… mai più! » ammonì lo Spirito Elementare e repressi un brivido.
Che cosa voleva da me?
Dopo qualche minuto di silenzio, lo Spirito si pronunciò: «Questa è la scelta: o la pietra » e la Madre indicò il drago « O l’amore » e indicò me: il punto esatto dove si trovava il mio cuore.
Rimasi immobile per registrare le parole e quando, finalmente capii, la guardai orripilata.
Sapevo a quale amore alludeva.
Era Menfys.
In quel momento capii che non avevo mancato lo scontro, la lotta era dentro di me.
Nella mia mente.
Di nuovo.
I miei pensieri vorticavano indicandomi due strade diverse, riuscivo quasi a vedere i due diversi finali.
E in ognuno di essi avrei perso un pezzo di me stessa.
Proprio adesso che il mio cuore aveva accettato ogni parte di me.
A cosa era servita la prova nel labirinto?!
Madre Aira si mosse e lentamente il drago iniziò a dissolversi.
« Fai presto » mormorò.
Disperata, osservai il drago dissiparsi.
Le mie origini, la mia lealtà, il mio compito contro il mio amore.
Capii che se avessi scelto la seconda possibilità, non avrei perso solo io, ma tutto il mondo di Danases avrebbe perduto la sua salvezza.
Ormai il drago stava svanendo e riuscivo a stento a vedere la pietra dentro il suo corpo. Mi lanciai verso di lui. Non avrei permesso che Danases, che il mio popolo, soffrisse ancora una volta per un mio errore.
« Scelgo la pietra! ».
Misi la mano nel suo cuore e presi la sua pietra. Quando la misi nella tasca, il drago sparì, poi lo Spirito Elementare fece un gesto con la mano e una luce rossa uscì dal mio petto.
Vidi con stupore un magnifico uccello con piume di fuoco volare nel cielo. Era il simbolo del mio amore.
« Hai fatto la scelta giusta » disse Madre Aira.
Asciugai una lacrima che mi rigava il volto e tentai un sorriso forzato.
« Le scelte giuste hanno sempre una ricompensa » lo Spirito ammiccò e scomparve.
Che cosa aveva voluto dire?
All’improvviso tutto scomparve, oscurandosi, e mi ritrovai a precipitare, sempre più giù. 
Sentii una voce dolce e una mano calda accarezzarmi il viso, poi più niente.
 

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Capitolo 17
*** La battaglia ***


17. La battaglia



Mi svegliai con un’ombra che mi sovrastava: Tanasir era inginocchiato al mio fianco.
« Elien! » bisbigliò sorpreso quando vide che ero sveglia.
« Tanasir? » cercai di mettermi a sedere, ancora un po’ intontita dal sonno « Perché bisbigli? ».
« Shhh! » fece l’elfo cercando di farmi risdraiare a terra, posandomi una mano sulla spalla « Non è colpa sua… ».
Mentre pronunciava quelle parole sembrava molto agitato e l’espressione sul suo volto mi fece svegliare una volta per tutte, mettendomi in allarme.  
« Tanasir cosa sta succedendo?! » esclamai preoccupata.
Lui fece per parlare ma una voce lo interruppe.
« Si è svegliata! ». 
Sentii dei passi e qualcuno, con forza, mi sollevò in piedi. Mi ritrovai faccia a faccia con Menfys. Mi teneva stretta per le spalle e quando incontrai i suoi occhi, rabbrividii. Solo una volta gli avevo visto quell’espressione sul viso ed era stata ad Astrakan, quando lo avevo fatto arrabbiare così tanto che il volto di elfo si era quasi trasfigurato in quello di un drago. 
« L’hai presa? » mi ringhiò contro.
« Co-cosa? » feci, spaventata da quello strano comportamento.
Distolsi il mio sguardo dal suo e mi accorsi che ci trovavamo di nuovo vicino al lago Baab.
Non avevo la più pallida idea di come ci eravamo arrivati perché l’ultimo ricordo che avevo era nella Torre Celeste, la mia mano che si stringeva intorno alla pietra, e poi tutto era buio.
« La pietra dell’Aria! So che l’hai presa! » esclamò Menfys strattonandomi « Dammela Elien! » sibilò, il volto livido.
Era impazzito!
« No! » esclamai, capendo cosa stesse succedendo.
A causa della magia delle tre pietre riunite, Menfys, e di conseguenza Ogard, pieni di bramosia, volevano impossessarsi della corona. Erano incantati, per via dell’aura troppo potente della magia di Danases.
Capii perché i Saggi avessero ritenuto prudente separare le tre pietre finché non ci fosse stato un nuovo sovrano.
Daelyshia ringhiò di rabbia quando Menfys mi diede uno schiaffo che mi fece inciampare nei miei stessi piedi e cadere a terra. Mi sbucciai le mani e sentii che la guancia pulsava orribilmente. Sputai un po’ di sangue perché mi ero morsa la lingua. 
« Che cosa ti prende! » gli urlai contro.
Menfys cercò di avvicinarsi ma strisciai per allotanarmi e impedirglielo. 
« Non mi toccare! »
Ero impotente.
Non osavo evocare la magia per non fargli del male.
Non era più sé stesso…
Ma se mi avesse toccato un’altra volta sapevo che Daelyshia non si sarebbe più trattenuta.
Poi, all’improvviso, apparve un lampo di luce rossa e Menfys fu schiantato per terra.
« Inerveum! » esclamò Tanasir.
Delle radici uscite dal terreno inchiodarono l’Elfo dell’Aria a terra, rendendolo incapace di muoversi.
Lo stesso era stato fatto a Ogard.
Daelyshia, Tanasir ed io ci guardammo per un momento, respirando affannosamente. Ringraziai l'elfo con lo sguardo: senza di lui non sapevo che cosa avrei fatto.
« Liberati dal male, Menfys. Ritornata te stesso » disse Tanasir a Menfys, che lo guardava con odio.
« Che succede? Perché sono imprigionato!? » chiese Ogard all’improvviso, come risvegliandosi da uno shock.
Daelyshia, con un’unghia affilata, tranciò le radici che inchiodavano Ogard, il quale si alzò confuso, risvegliatosi dallo strano effetto della potente magia.
Mi avvicinai a Menfys, che era ancora imprigionato.
« Menfys… Menfys, è questo che vuoi veramente? » chiesi dolcemente « Vuoi davvero tradire i tuoi amici? Tradire te stesso? È questo che vuoi? Guardami! ».
Menfys mi guardò negli occhi. Notai la sua espressione tormentata, come se stesse lontando con sé stesso.
« Io… io… » balbettò confuso.
« Ricordati chi sei ».
All’udire quelle parole, luce sinistra che brillava nei suoi occhi finalmente scomparve e allora lo liberai dalla prigione di radici.
La magia delle tre pietre era svanita.
« Io… mi dispiace! » mugghiò Menfys mentre si alzava in piedi « Non so cosa mi sia preso… io…». 
« Non serve scusarsi, eri sotto un incantesimo » disse Tanasir, interrompendolo.
Menfys si vergognava di sé stesso. Non l’avevo mai visto in quello stato.
« Elien… io… mi dispiace per prima! Non era me stesso, capisci?! Non volevo darti quello schiaffo… » mi poggiò una mano sulla guancia e istintivamente mi ritrassi a quel contatto.
Ci fu un minuto di silenzio teso.
« Va tutto bene? » chiese Menfys, osservandomi ancor più preoccupato.
« Credo di… sì » mentii.
La mia voce uscì strana, ovattata, quasi strozzata.
Menfys non capiva.
Pensava che fossi spaventata dal suo schiaffo ma non mi ero allontanata da lui perché avevo paura ma perché semplicemente non volevo che mi toccasse.
Con orrore realizzai che era davvero accaduto quello che aveva detto Madre Aira.
Non ci avevo creduto finché non avevo avuto la prova.
La fenice si era davvero portata via il mio amore.
« Dovresti dirglielo » Daelyshia entrò nella mia testa con un bisbiglio « Dovresti dirglielo, Elien, non puoi ingannarlo… capirà ».
« Non posso ».
« ».
Menfys ci guardava attento. Sapeva che io e Daelyshia stavamo comunicando ma non sapeva cosa perché avevamo escluso tutti dalle nostre menti.
« Gli spezzerò il cuore! ».
« Se verrà a saperlo da qualcun altro sarà peggio. Ogard ha già capito che qualcosa non va! Non riuscirai a nasconderglielo per molto ».
Quando avevo fatto la mia scelta non avevo pensato che avrei dovuto affrontare questo penoso momento.

« Credi che abbia fatto la scelta giusta? » chiesi mestamente a Daelyshia.
« Certo, ne sono sicura! » ribatté lei con foga « Lo so che hai fatto un gran sacrificio... Per tutti noi! Ma se non dirai la verità a Menfys gliela dirò io »
« Ma come posso fare? »
« Dovrai cavartela da sola »
« Ah, grazie dell’aiuto! ».
Daelyshia si chiuse nel silenzio, nascondendomi i suoi pensieri.
Sospirai e mi avvicinai a Menfys.
« Menfys, ascolta » gli presi la mano e la posai sul mio petto « Ascolta il mio cuore ». 
Menfys, anche se confuso, chiuse gli occhi e ascoltò. Dopo pochi istanti i suoi occhi si spalancarono di scatto. 
L’udito degli elfi era così fine che sapevo che, se Menfys si fosse concentrato bene, avrebbe potuto sentire il mio cuore che accellerava in sua presenza. Ma questa volta non udì nulla: il mio cuore era muto e freddo per lui.
Menfys impallidì di colpo.
« È uno scherzo, vero? ». 
« No » sussurrai « È come se il mio cuore abbia smesso di battere, vero? ». 
« Sì ». 
« Perché non ti amo più, Menfys ».    
Notai che Tanasir aveva la bocca spalancata dalla sorpresa e dall’orrore. Di certo non si aspettava questo risvolto. In realtà nemmeno io finché non ero stata costretta da Madre Aira a fare la scelta.
Menfys scattò: « Perché? » mi esclamò contro.
« Io… non posso Menfys, non posso più amarti perchè…». 
Menfys m’interruppe, senza lasciarmi spiegare. La sua espressione cambiò e il suo sguardo si riempì di disgusto e compassione.
Mi mossi all’indietro a disagio.
Cosa gli passava per la testa?
« Ho capito cosa vuoi dire. Una regina come te, non può amare certo un elfo come me, vero? »
« NO! Come puoi pensare questo?! » domandai sconvolta.
Ero indifferente al suo amore ma non alla sua sofferenza.
Come poteva pensare quello di me?
« Sapevo che un giorno non avrei più contato niente per te »  disse l’elfo con voce piatta.
« No! » esclamai ma non con tanta convizione quanta avrei voluto.
Anche Menfys se ne accorse ed assunse un’espressione scettica inarcando un sopracciglio.
Era un pensiero terribile il suo… eppure in questo momento era anche la verità.
Menfys non contava più niente per me ma non per il motivo che credeva lui.
« Io… ti prego Menfys, non complicarmi le cose. È già difficile per me ».
« E per me, allora? » replicò lui aspro. 
« No, Menfys! Tu potrai amare. Troverai un’altra elfa che ti… ». 
« Io non voglio un’altra elfa! » esclamò, sfregandosi il volto « Io… »
« Ti prego, Menfys, non dirlo… »
« Io amo te, Elien! ». 
Non avevamo mai espresso veramente i nostri sentimenti. Erano cresciuti silenziosi e quel giorno vicino Ililea erano esplosi come una tempesta. Ma poi non ne avevamo più parlato perché la guerra si era portata via anche il tempo.
« …ma io non posso amarti! » gli urlai contro con tutte le mie forze.
« Tu… Io… Noi… » balbettò lui con occhi sgranati.
« No, Menfys, noi non esiste più! ».
Fece un passo verso di me ma mi allontanai.
Menfys mi guardò come se l’avessi schiaffeggiato.
« Io… Menfys… mi dispiace! ».
Ci ero andata veramente pesante, ma solo così sembrava che le mie parole avessero sortito qualche effetto.
« Ti dispiace » ripeté amareggiato « Quand’è così, dispiace anche a me ma non posso più aiutarti. Arrivederci… altezza ».
L’ultima parola la sputò fuori con disprezzo, poi s’inchino e si avvicinò a Ogard.
« Menfys! » esclamai, inseguendolo.
Sapevo che era arrabbiato e nemmeno pretendevo che rimanesse al mio fianco. Gli avevo spezzato il cuore e non in uno, ma in mille pezzi. Però non volevo lasciarlo senza la verità.
Lui mi voltò le spalle e con un agile movimento salì in groppa al suo drago, chinò il capo e gli diede una pacca sul collo squamoso. Ogard si alzò in volo provocando una raffica d’aria.
« Menfys aspetta! » urlai ancora.
Menfys mi guardò impassibile dalla groppa di Ogard.
E il suo sguardo gelido mi fece esplodere: « Menfys, io mi sono messa in gioco. Ho rischiato tutto e, alla fine, non mi sono arresa e ho fatto tutto per Danases. Io ho perso l’amore. Tu non hai niente da perdere! » gli urlai contro.
« Sì, invece » sussurrò lui di rimando « Io ho perso te ».
Ero frustrata: perché non capiva l’importanza della mia scelta? Quanto soffrivo a vivere quella situazione! L’amore di Menfys era una delle cose più belle che mi era capitata nella mia breve e difficile vita. Ci avevo rinunciato e anch’io soffrivo. Ma sembrava che l’unica sofferenza fosse la sua.
Infuriata, esclamai:  « Tu non mi hai mai avuta! ».
Menfys sbiancò.
Mi portai le mani alla bocca e sgranai gli occhi, orripilata dalla bugia che avevo detto. Per un attimo, lui sembrò notare il mio gesto, eppure rimase impassibile.
« Addio… Elien » pronunciò a fatica il mio nome, distogliendo lo sguardo.
« Elien » disse Ogard « Il mondo è fatto di scelte, ed io ti rispetterò perché hai fatto la scelta che ti sembrava più giusta, anche se dolorosa ».
Lasciai che potesse leggermi nei ricordi mentre iniziava ad alzarsi da terra, sbattendo velocemente le ali che creavano forti vortici di aria.
« Gli spiegherai, Ogard? » gli domandai « Lo farai? ».
Mi guardò per un attimo e poi promise: « Lo farò ».
Il drago e il suo cavaliere si alzarono sempre più e si allontanarono fino a diventare un puntino nel cielo nero.
Mi girai e incrociai lo sguardo di Daelyshia e poi quello di Tanasir.
Della compagnia iniziale ormai eravano rimasti solo loro.
Mi sedei a terra, sopraffatta, e mi coprii il volto con le mani.
Mavina, Wisp… e adesso anche Ogard e Menfys.
Era stato orribile quello che avevo detto.
Ero riuscita a ferire Menfys, a prendere il suo cuore e a stringerlo tra le mie mani fino a farlo sanguinare.
Anche se Ogard gli avrebbe raccontato davvero come erano andate le cose ero sicura che non mi avrebbe mai perdonata.
« Elien! ».
Daelyshia mi mostrò la sua sorpresa.
Arrivava qualcuno!
Prima che potessi fare alcunché, una luce m’illuminò le palpebre e aprii gli occhi di scatto.
« Presto! Presto! » esclamò tintinnando una piccola creatura alata.
La riconobbi con stupore: quella era una Fata della Luce in carne ed ali!
Dietro di lei comparvero altre sue compagne, illuminate da una luce dorata che al loro passaggio brillava nell’aria come una magica polverina.
« Ehi! » feci, quando le dieci fatine mi passarono davanti senza neanche degnarmi di uno sguardo « Aspettate! Che cosa sta succedendo? ».
Una fatina si fermò e scosse la testa, spruzzando polverina dorata qua e là.
« Cosa non sta succedendo, vorrai dire, mia goccia di rugiada! Il mondo è impazzito e noi non riusciamo più a fare il nostro lavoro! ».
Anche le altre fate si fermarono, ansanti, sbattendo fiocamente le ali stanche. Alcune assentirono.
Mi ritornò in mente il ricordo di alcune parole: “Le fate della luce, sono le assistenti dello spirito della Natura. Controllano le stagioni”.
« Il vostro lavoro? » ripetei meravigliata « Quale stagione sta arrivando? ». 
« Mia cara, è questo il problema! » esclamò un’altra fata, sgranando gli occhi « Madre Natura non può controllare le stagioni senza la magia degli Elfi ». 
« E questo periodo gli Elfi non stanno certo controllando la loro magia » intervenne nuovamente la fata di prima, assai contrariata « Così noi cerchiamo di fare del nostro meglio… ».
Indicò l’orizzonte, prima a nord e poi a sud. Vidi che dalla prima parte nevicava, a causa delle basse temperature della stagione invernale, mentre nell’altra parte i soli splendevano più alti che mai, come durante la stagione estiva.
« La magia si sta concentrando tutta sulle pianure di Abbarak, vedete? » disse una terza fata, con aria grave, puntando un dito verso est « Dobbiamo andare lì a cercare di sistemare le cose prima che un uragano spazzi via tutta Danases! ».
Seguimmo con gli occhi la direzione da lei indicata e notammo che nel cielo nero le nuvole stavano correndo in quella direzione. Un lampo corse nel cielo e si scaricò a terra. Anche se ci trovavamo abbastanza lontani potemmo udire l’eco del tuono.
« Per tutti gli Spiriti! E’ dove avverrà la battaglia! » esclamai.
« Purtroppo temo che sia già iniziata » rispose la fata e poi si rivolse alle sue compagne: « Andiamo, presto! ».
Così detto, vidi le fatine volare via veloci seminando la polverina dorata nella loro scia. Diversi fiori sbocciarono nel terreno bruciato come se fosse primavera.
« Dobbiamo andare! » disse Daelyshia con urgenza.
Con un balzo io e Tanasir saltammo sulla sua groppa e spiccammo il volto.
Man mano che ci avvicinavamo alle pianure di Abbarak l’aria si faceva sempre più gelida e i tuoni rombavano intorno a noi. Più volte Daelyshia dovette cambiare direzione bruscamente per evitare che ci colpissero i fulmini.
Iniziò a piovere forte e fu come se ci colpisse un muro ghiacciato. Strizzai gli occhi più e più volte per cercare di vedere attraverso quella cortina d’acqua.
Il frastuono dei tuoni aumentava sempre di più.
Quando Daelyshia uscì da una nuvola ci rendemmo conto che quel rumore non era provocato solo dal temporale ma dal clangore armi che si scontravano.
Rimasi orripilata a vedere quella marea nera sotto di me.
Gli eserciti avevano dato inizio alla battaglia.
I draghi volavano nel cielo azzannando gli elfi.
Non ne avevo mai visti così tanti tutti insieme.
Erano un gruppo disordinato, senza una guida.
Provenivano da nord e le loro fiammate illuminavano il cielo.
Gli elfi erano ricoperti dalle loro armature e, al contrario dei draghi e che si gettavano nella battaglia senza uno schema, erano allineati a seconda di fanteria, cavalleria, arcieri.
Anche attraverso la pioggia riuscii a vedere che tra di loro si stagliavano gli stendardi delle tre razze. Tutti i Saggi avevano portato con sé i loro eserciti.
Quando Daelyshia iniziò a planare vidi che lo stendardo di Dun Morong si trovava nelle retrovie del grande esercito e lo riconobbi in sella al suo cavallo in mezzo agli altri cavalieri. Avevano appena dato la carica e si stavano inoltrando tra le fila.
« Attenta Daelyshia! » urlò Tanasir.
Un drago veniva verso di noi e la dragonessa fu costretta a planare a terra il più velocemente possibile.
Fu un atterraggio brusco.
Io e Tanasir fummo sbalzati per terra.
Un dolore lancinante esplose al polso sul quale ero caduta. Di sicuro si era rotto.
Mi alzai e mi ritrovai coperta di fango e sangue.
Tanasir e Dalelyshia lottavano contro il drago che ci aveva attaccati.
« Elien va! ».
Mi girai e mi misi a correre verso il Grande Saggio.
Dovevamo fermare quella guerra.
Dovevamo fermare quella pazzia, che avrebbe portato alla distruzione il magico mondo.
Il male era entrato nel cuore di tutti, e come un veleno aveva instaurato negli animi la sfiducia, la diversità, la pazzia.
Tutto sembrava perduto.
Nulla aveva più un senso.
Il clangore assordante delle spade contro le squame e gli artigli dei draghi mi stordiva mentre correvo, cercando di non farmi colpire.
Evocai uno scudo d'aria che si frapponesse fra me e le fiammate dei draghi. Nemmeno la pioggia forte riusciva a fermarle.
Più volte inciampai nei corpi di elfi e draghi senza vita.
C’era sangue dappertutto e l’odore di morte impregnava l’aria.
Un incantesimo e una fiammata cozzarono tra loro e mi esplosero vicino, facendomi saltare di alcuni metri per la loro potenza.
Ero sempre più stordita e rantolai a terra.
L’orecchio destro era danneggiato: non riuscivo a sentire più niente che non fosse un sordo ronzio.
« Elien! » una voce risuonò ovattata, come lontana.
Mi rialzai appena in tempo, con uno scatto che mi fece gemere dal dolore, prima che degli zoccoli mi calpestassero.
« Grande Saggio! ».
Quasi mi venne da piangere per il sollievo di averlo raggiunto. Ero stanca e dolorante, non avrei resistito ancora per molto.
Dun Morongh era ricoperto da un’armatura ammaccata e sporca di sangue. Scese veloce da cavallo e urlò: « Presto uomini! Intorno a me! ».
Gli elfi cercarono di formare un cerchio attorno a noi ma era quasi impossibile in quella bolgia di corpi e fuoco.
« Ce l’hai? » urlò l’anziano elfo sopra i ruggiti dei draghi.
« Eccole! ».
Evocai la corona che aveva già incastonate dentro di sé la Pietra dell’Acqua e della Terra. Non avevo ancora osato inserire la pietra dell’Aria perché sapevo che solo il Grande Saggio avrebbe potuto aiutarmi a controllare l’enorme potere che ne sarebbe derivato. Solo con le tre pietre riavvicinate il potere era così forte che Menfys e Ogard ne erano rimasti incantati e lì nella battaglia attirava gli sguardi di chiunque al mio passaggio, sia elfi, sia draghi, pieni di bramosia.
« Presto! »
Presi la Pietra dell’Aria con la mano rotta ma mi scivolò. Prima che potessi raccoglierla e metterla al suo posto, un lampo di luce mi accecò e sentii un forte bruciore alla schiena.
Daelyshia ruggì il nostro dolore.
Una fiammata mi aveva colpito.
Il mio corpo andava a fuoco e il dolore mi fece cadere la corona dalle mani. Chiusi gli occhi e dietro le palpebre vi esplosero le stelle.
La sofferenza era atroce.
Sentii che le ginocchia si piegavano e che mio corpo martoriato cadeva a terra, nel fango e nel sangue.
Sentii qualcuno urlare il mio nome e poi più niente.

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Capitolo 18
*** Il nostro cuore ***


18. Il nostro cuore


Aprii gli occhi.
Ero perfettamente sola nel mezzo di un luogo sconfinato, o almeno immaginavo che lo fosse perché ero immersa in una fitta nebbia che non lasciava intravedere dove mi trovassi.
Nessun rumore mi disturbava e la mia mente vagava libera, anche se a volte un debole fruscio proveniente da chissà dove interrompeva i miei pensieri e mi ricordava che la mia coscienza era ancora ancorata al mio corpo, sdraiato per terra.
Mi alzai in piedi, rendendomi conto che indossavo un lungo abito regale, dalle lunghe maniche, che aderiva al mio corpo, dal colore rosato e con degli strani ricami dorati che si disegnavano lungo tutta la gonna.
Mi toccai la testa e la corona d’argento era lì sopra. Quando mi accorsi di lei iniziò a rispendere, e la sua luce viva rischiarò la nebbia e mi ritrovai, non me lo sarei mai aspettato, nella radura della foresta di Elwyn dove avevo per tanti anni vissuto.
Che cosa ci facevo lì?
Ero in mezzo alla battaglia e poi... Forse ero davvero una regina e il mio viaggio era stato solo un brutto sogno...
Oppure ero...
Un piccolo suono musicale proveniente dall’alto attirò la mia attenzione. Notai che il mio orecchio destro era guarito, riuscivo nuovamente a sentire.
Alzai gli al cielo: non era più nero ma di un azzurro limpido.
Uno splendido uccello dalle piume d’oro e color fuoco volteggiava sopra di me, emettendo suoni bassi e musicali.
« Non trovi che sia un uccello meraviglioso, la fenice? » trillò una voce « Incarna i sentimenti degli elfi e degli umani ».
Mia madre veniva verso di me, trascinandosi dietro il lungo vestito che portava. Aveva una gonna ampissima, anch'essa ricamata con gli stessi disegni che correvano lungo il mio abito. Sospettavo fosse la moda dei regnanti di Danases dato che era già più volte che li vedevo. I suoi capelli erano legati all’indietro, in un’alta coda di cavallo, lasciando scoperto il volto dall’aria radiosa. I suoi occhi brillavano di uno strano luccichio. Tra le braccia portava un uovo rosso.
« Sei stata davvero coraggiosa, Elien. Sono veramente orgogliosa di te! ».  
Raene mi abbracciò, facendo attenzione a non fare cadere l’uovo. Gli abiti frusciarono al nostro movimento.
Ricambiai dubbiosa l’abbraccio di mia madre.
Non capivo davvero che cosa stava succedento..
« Tu sei morta » affermai sciogliendo la stretta e guardando negli occhi Raene.
Lei annuì, tranquilla.
Solo allora osai pronunciare il mio pensiero.
« Sono morta anch’io, madre? ».   
Raene mi guardò, sospirando: « Sì e no ».  
Sgranai gli occhi.
« Ma come posso essere sia viva… sia morta? » le domandai stupita.  
« Siamo in un ricordo, Elien. E nei ricordi nessuno esiste o è morto veramente ». 
Ero sempre più meravigliata.
« Un ricordo?
»
« Un ricordo » confermò Raene.
« Il ricordo di chi? ».
« Il tuo ricordo ».
« Allora la fenice è… ».  
« …il ricordo del tuo amore… sì ».
Guardai la bellissima fenice dalle piume color fuoco, che volteggiava sopra di noi. All’improvviso ci fu una fiammata e vidi che, ai miei piedi, c’era un mucchietto di cenere dove cinguettava sommessa una fenice neonata.
Allora guardai cosa teneva tra le braccia la madre.
« E l'uovo?».  
« Questo » spiegò Raene « E' il ricordo di Daelyshia ».  
« Chi è che mi ricorda così intensamente da tenermi in vita? »
« Lo sai già ».
Ed era vero.
Lo sapevo che era Menfys.
Guardai di nuovo l’uovo di Daelyshia e poi, una domanda mi affiorò sulle labbra, forse la più importante: « Madre, perché mi trovo qui? ».  
« Sei stata tu a venire » Raene s’inginocchiò e raccolse con una mano la fenice cinguettante da terra « Un drago ti ha colpita con una fiammata, e così tu stavi per andare… avanti… ma la corona ti ha portato qui per fare in un modo che ancora una speranza viva in te ».
« Avanti? ».  
« Sì, stavi per morire ».
Ripensai alla fiammata e al dolore intenso provato: una sofferenza atroce.
« Come può la corona avermi salvata ad un passo dalla morte?! » 
Se non fosse stato per quel diadema, adesso chissà dove potevo essere!
« Ascoltami Elien… La corona, quando ha le tre pietre incastonate dentro di sé, ha un potere inimmaginabile… »  Raene si alzò in piedi e lanciò in aria la fenice che, ritrasformandosi in un grande e splendente uccello, prese il volo « …così potente che può salvarti anche dalla morte ».
« Quindi chi la possiede... vive in eterno? ».  
« No, la corona sa quando è arrivato il… tramonto di una persona… ».  
« Allora non era ancora il mio momento » affermai.
Raene annuì.  
« E tu, madre? Era giunto il tuo momento? Perché? ».  
Lei sgranò gli occhi, stupita da quella domanda.  
« Se io non fossi andata avanti il tuo Destino non si sarebbe mai compiuto, così era stato scritto dai Grandi Spiriti
»
Sospirai e lei mi fece un sorriso triste.
«
E adesso? »
« Dato che non era il tuo momento la corona ti concede una scelta: vuoi venire avanti con me, o tornare su Danases?».  
« Se tornerò su Danases, dove andrà la fenice… il mio amore? ».  
« Ritornerà dentro di te » Raene sorrise « Anche Daelyshia ritornerà con te. Tutto tornerà com'era prima
».
Capii che il suo prima si riferiva a un momento ben preciso che era quando avevo ucciso quel sbaglio quel drago, dando il via a una serie di eventi che avevano portato Danases sull'orlo della distruzione. Finalmente sarebbe tornata la pace tra le razze e il mondo avrebbe prosperato.
All’improvviso mi ritrovai a pensare a Mavina e a Wisp.
Raene mi lanciò un'occhiata profonda, intuendo i miei pensieri.
« Mi dispiace Elien, ma i morti non tornano indietro. Però...
». 
Mosse una mano e i miei due amici comparvero improvvisamente davanti a me.
Wisp non era enorme come l’avevo visto l’ultima volta ma era di nuovo piccolo e mi saltò tra le braccia correndo. Lo strinsi stretto al mio petto, ridendo e piangendo insieme. Invece Mavina era come sempre, i suoi capelli ricci, i suoi occhi castani, il suo volto tondo… erano perfettamente come la ricordavo, anche la piccola sciarpa azzurra che portava attorno al collo.
« Elien » si avvicinò e poggiò una mano sulla mia guancia « Prenditi cura di Cearly ».
« Mavina mi dispiace… ».
Le lacrime chi mi rigavano copiose il volto bagnarono la sua mano.
« Elien, io sono viva qui » poggiò la mano sul mio cuore « E se tu non mi dimenticherai, sarò con te per sempre».
« Non lo farò! ».
I due scomparvero d'improvviso com'erano apparsi, le mie braccia che prima stringevano Wisp erano vuote.
Alzi gli occhi e incontrai lo sguardo dolce di mia madre.
Un terribile ma, reale pensiero, mi attraversò la mente.  
« Non ti rivedrò mai più, vero? ».  
« Purtroppo no, Elien… ma tu lo sai che io sarò sempre con te, ovunque tu vada ».
Raene segnò il mio petto, come aveva fatto poco prima Mavina.
Abbracciai mia madre mentre le lacrime continuavano a uscire.
« Non piangere Elien. Se di notte alzerai gli occhi al cielo non mi perderai » disse seria Raene, asciugandomi le guance e dandomi un bacio. Sentii il suo calore, il calore di una madre. « Sarò la stella più luminosa per te, il tuo spirito guida ».
Poi la nebbia calò nuovamente e mi ritrovai sola.
« Madre!
»
« Adesso svegliati » mormorò la sua voce, lontana « Danases aspetta ».



Non ricordo molto di quel giorno, ma molti elfi ancora oggi testimoniano, certi, di aver visto la fiammata del drago colpirmi alla schiena e, con occhi persi nel vuoto, cadere a terra, insieme a Daelyshia. E durante gli attimi del mio svenimento, giurano di aver visto l’Arcobaleno degli Spiriti esplodere nel cielo e la regina Raene comparire vicino a me.
Raccontano poi, ancora stupiti, che mentre si inginocchiavano a terra, la regina aveva raccolto la pietra dell'Aria e l'aveva inserita nella corona, dandole un nuovo bagliore e alla vita una nuova speranza.
Poi Raene, intonando la Canzone degli Spiriti,
sotto gli sguardi infuocati dei draghi e accompagnata dal mormorio di tutti gli elfi, aveva posato la corona d’argento sulla mia testa e poi aveva sfiorato Daelyshia con un leggero tocca.
Tutti coloro che erano presenti, infine, giurano, con ardore, di aver sentito una musica ultraterrena invadergli i cuori di tutti e di aver visto l’Arcobaleno degli Spiriti avvolgere me e Daelyshia, in un turbine di colori.
Quando si ritirò e scomparve, videro Raene sorridere e scomparire, mentre io ero in piedi e mi guardavo intorno per la prima volta con occhi nuovi: ero un'elfa e la regina di Danases.
Elien della stirpe dei Rugiada.
E così iniziò la mia nuova vita.




Nda: Ricordate quando all'inizio ho scritto che nella mia storia erano comprese citazioni delle mia saghe fantasy preferite? Ovviamente questo capitolo (ad esclusione dell'ultima parte) è una grandissima citazione ad una delle saghe che più amo in assoluto! <3 Riuscite a riconoscere qual é? :) 

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


19. Epilogo



In tutta la storia del mondo magico, nessun mezz’elfo era rimasto a Danases ed era diventato uno di loro, tranne un’eccezione: io.
Ed ero diventata addirittura la loro regina!
Ogni volta, quando dubitavo che tutto questo fosse accaduto, per ricordarmi che era veramente la realtà, osservavo il mio aspetto, negli enormi specchi dei corridoi di Castello Argento.
I lineamenti del mio volto erano più sottili e affusolati. Ero più alta e dal fisico più slaciato. Sotto i lunghi capelli biondi, schiariti dal sole, si nascondevano le orecchie, finalmente del tutto a punta. La mia camminata era più fluida e perfino la mia voce era cambiata, diventando musicale, come quella di tutti gli Elfi.
Anche gli occhi non erano più gli stessi. Finalmente il loro colore era uguale: azzurro scuro, come il colore del mare profondo.
Ero felice del mio cambiamento, anche se un po’ mi mancava il mio vecchio aspetto.
Però, non ero proprio uguale a tutti gli altri elfi perché i miei tratti ricordavano vagamente la forma di un drago, di cui Daelyshia ne rivendicava il merito, soddisfatta.
Ma non solo il mio aspetto era cambiato: come mi aveva detto mia madre, il mio cuore aveva ricominciato a battere, solo per lui.
Erano già settimane che mi trovavo a Castello Argento. Il Grande Saggio Dun Morongh si occupava delle questioni più importanti, come gli Accordi di pace tra gli Elfi e i Draghi, mentre io stavo lì a osservarlo, cercando di imparare alla svelta.
Molti Elfi chiedevano di vedermi e io li ricevevo, dando loro consigli e ascoltando i loro ringraziamenti per aver salvato il mondo.
Ero sempre così impegnata che le settimane si trasformarono in mesi, ma sentivo sempre di più la sua mancanza.
Così presi una decisione.
Quella sera di festeggiamenti (ricorreva un anno dalla mia incoronazione) nessuno avrebbe avuto bisogno del mio aiuto, così in groppa a Daelyshia volai verso Tedrasys.
La dragonessa mi lasciò all'entrata della città e mi fece l'occhiolino mentre tiravo su il capuccio del mantello per evitare di essere subito riconosciuta.
Vagavo tra le vie illuminate a festa, chiedendomi dove potesse essere, quando notai una casa familiare.
Bussai e venne ad aprirmi un’anziana elfa coperta di scialli.
« Sì? ».  
« Sapete dove posso trovarlo? ».  
Ricordavo fosse sorda quindi avevo urlato per farmi sentire bene.
« È alla taverna per i festeggiamenti ».
« Insieme al suo drago? ».  
« No, il drago Ogard è andato a caccia. Diceva che oggi era una buona giornata per Menfys per restare solo » Unia si accigliò « Ma voi chi siete? »
La sua domanda era rimasta senza risposta perché avevo già ripreso a camminare per la strada.
Osservai le case illuminate dalle lanterne, attaccate fuori dalle porte. Ascoltai le voci gioiose degli elfi per strada... c'era una tale confusione! Più mi avvicinavo verso il centro più era difficile camminare. C'era così tanta gente che nessuno faceva caso a me.
All'improvviso un incantesimo esplose nel cielo come un lampo e comparve una scritta: "Viva la regina Elien!".
Tutti lo urlarono abbracciandosi.
Sorrisi.
Sembrava che da qualche tempo quello era diventato il nuovo saluto degli elfi.
« Sapete dove si trova la taverna? » domandai all’elfo che aveva appena compiuto l’incantesimo.
« È lì » rispose lui, sorridendo e indicando una casa un po’ più grande rispetto a tutte le altre abitazioni, da dove proveniva un grande chiasso di voci animate.
Lo ringraziai e mi avviai verso la locanda. Quando entrai la confusione investì come un boato le mie sensibili orecchie elfiche, stordendomi.
La stanza era così affollata di elfi che non riuscivo neanche a vedere quanto fosse grande.
« Viva la regina Elien! » esclamarono alcuni elfi alla mia destra e sbatterono i loro bicchieri, brindando.
Altri applaudirono e una risata serpeggiò nella taverna.
Mi voltai cercandolo tra la confusione di volti e voci, e finalmente lo vidi.
Stava parlando con un elfo dell'Acqua e vicino a loro c’era un’elfa con in braccio un bambino della stessa razza.
Mi avvicinai per riuscire a sentire le loro parole e riconobbi l’elfa: era Aishia e aveva tra le braccia Cearly, il figlio di Mavina.
Intuii che l’elfo dovesse essere il padre del bambino.
« Grazie di avermi aiutato a trovarlo » stava dicendo Aishia, la voce commossa  « Senza di te non sarei mai potuta andare ad Ayulin ».
« Non devi ringraziarmi » si schernì Menfys.
« Invece siamo in debito con te » intervenne l’elfo « Quando verrai a Raducis sarai il benvenuto nella nostra dimora ».
Menfys sorrise: « Prendetevi cura di Cearly ».
« Lo faremo ».
Menfys si volse e quando i due elfi si allontanarono da lui, mi avvicinai a loro e mi chinai ad accarezzare i capelli a Cearly, che mi fece una linguaccia.
Gli sorrisi, mi alzai e incontrai lo sguardo meravigliato di Aishia.
« Vostra Altezza! » mormorò sorpresa.
« No, non fatelo! »
i due cercarono di inchinarsi ma li fermai appena in tempo, prima che li vedessero gli altri elfi e mi facessero scoprire « Tua sorella era una brava elfa, Aishia. Lei non è morta, è qui » mi poggiai una mano sul cuore « Ed io serberò il suo ricordo in me, per sempre ».
Aishia mi guardo con occhi luccicanti dalle lacrime.
« Grazie, Vostra Altezza. E' un grande onore ».
« Vi aspetterò a Castello Argento per una visita! ».
Gli impedii
nuovamente di fare l’inchino e li guardai uscire dalla Taverna.
Poi mi voltai e vidi che Menfys si era seduto al bancone vicino all’oste, non sorrideva più e sembrava essere insofferente alla confusione che facevano gli elfi.
Mi sedetti vicino a lui, e alla mia vicinanza, sentii di nuovo i nostri cuori battere all’unisono. Sospirai, felice che il suo cuore battesse ancora per me. Menfys si girò a guardarmi di scatto, appena si accorse di quello che era accaduto, nello stesso momento in cui l’oste mi rivolgeva un’occhiata interrogativa.
Dissi la prima cosa che mi venne in mente: « Succo di bacche, per favore » aggiunsi cortese.
Menfys fece una smorfia, quando l’oste mi portò il succo.
« Non ti piace il succo di bacche? » gli chiesi all’improvviso, senza dovermi preoccupare di camuffare la voce, poiché era molto diversa. Però, per sicurezza, tirai un po’ più giù il cappuccio che indossavo.
Menfys, mi guardò, spiazzato.
Non rispondeva, continuava ad ascoltare il mio cuore.
« Credi che non sia adatto per i festeggiamenti della regina… » insistetti.
Storse di nuovo la bocca, all’ultima parola, come se sentirla gli facesse male.  
« Io… no, non è questo il punto!» disse brusco.  
Si alzò e uscì, ma io non mi arresi. Lo seguii fuori, portando con me il bicchiere con il succo.
« Pensi che la nuova regina non sia adatta a governare? » gli domandai, mettendomi davanti a lui e costringendolo a fermarsi.
« Certo che no! » rispose, come esasperato « Che cosa vuoi da me? Vuoi sapere anche tu se ero io quell’elfo che l’aiutata nel suo viaggio? Ebbene sì! ».
Cercai di ignorare il suo commento sarcastico. Tanasir,
che era diventato il capo delle guardie di Castello Argento, mi aveva detto che per tutta Danases non si faceva che narrare le imprese del nostro viaggio; quindi non ero stupita che forse Menfys era stato per un po' al centro dell'attenzione.
« Poi cos’è successo? ».  
Menfys cercò di guardarmi il volto, sotto l’ombra del cappuccio.  
« Lei è… lei ha dovuto fare una scelta che l’ha portata lontano da me… ma l’ha fatta diventare regina ».
« È stato giusto quello che ha fatto? ».  
« Sì, ha salvato Danases. L’ha fatto per tutti noi… e anche se pensassi che non fosse giusto non può più cambiare… Ah! Non so nemmeno perché lo sto raccontando a te! » sbottò, irritato con se stesso.
Ero contenta di sapere che Ogard gli avesse raccontato tutto!
Mi aggirò e riprese a camminare, però io lo seguii, mentre del succo usciva fuori del bicchiere e mi macchiava il mantello.
« E se fosse cambiata? ».  
Si fermò e si avvicinò. Con gioia, mi accorsi che, quella vicinanza, mi faceva nuovamente venire i brividi lungo la schiena.  
« Chi sei? » domandò con voce profonda, gli occhi scuri « Perché il mio cuore sta battendo insieme al tuo, anche se continuo ad amare un’altra elfa? ».
Strinsi le spalle e, per prendere tempo (all'improvviso non ero più così coraggiosa come credevano tutti!), mi portai alle labbra il succo di bacche, ma appena sentii in bocca il suo sapore aspro, lo sputai con le lacrime agli occhi.  
« È disgusto! » esclamai, tossendo e lasciando cadere a terra il bicchiere, che si ruppe con un debole suono di cristallo, e sentii il cappuccio scivolare all’indietro.
I fuochi esplosero nel cielo e illuminarono la faccia stupita di Menfys.
Si avvicinò ancora.  
« Elien? » sussurrò osservando il mio volto cambiato.
Sentii un filo di delusione.  
« Forse… non mi riconosci? ».  
Menfys mi prese il volto fra le mani: « Come non potrei… » poi si accorse del suo gesto e si allontanò di nuovo « Scusa » mormorò, abbassando lo sguardo.
« Perché non sei venuto a trovarmi? ».  
« Avrei dovuto? » mi chiese, un po' triste.
« Sono cambiata » sussurrai di rimando « Non hai appena ascoltato il tuo cuore? ».  
Menfys mi guardò intensamente, prima di rispondere.
« Da quel giorno… » sospirò, e sapevo che intendeva il giorno in cui l’avevo lasciato « Da quel giorno non ho più ascoltato il mio cuore. Oggi non ero più abituato... » poi fece un passo avanti e mi abbracciò, stringendomi forte a lui « Ho fatto un errore. Potrai perdonarmi? ».
Lo strinsi anch’io di rimando e sospirai: « Sì, e tu? ».  
« Non hai niente da farti perdonare, Elien ».
Presi la sua mano e la portai sul mio cuore: « Mi sei mancato ».  
« E l’incantesimo? » domandò, ascoltando il mio battito.
« Non c’è più » alzai lo sguardo verso di lui.
Il cielo s’illuminò di nuovo di incantesimi e scintille e, alla luce, vidi le labbra di Menfys aprirsi in un bellissimo sorriso.
Mi sporsi verso il suo volto e gliele sfiorai.  
« Non lasciarmi » mormorai.  
Menfys mi restituì il bacio, le nostre mani si ritrovarono.
« Non commetterò lo stesso errore ».  
Sorrisi, perdendomi nei suoi occhi luccicanti.  
« È una decisione saggia » dissi scherzosa.
Sapeva quello che gli stavo chiedendo e avrebbe accettato il fardello: sarebbe diventato il sovrano di Danases.
Menfys mi sfiorò nuovamente le labbra.
« È la scelta del mio Destino ».


FINE

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