Corvi di Carbone

di Esarcan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Duca ***
Capitolo 2: *** Peggio dei Venditori Porta a Porta ***
Capitolo 3: *** L'Imperatore ***



Capitolo 1
*** Il Duca ***


“Il ticchettio della pioggia sul cilindro inamidato continuava imperterrito mentre Charles si accucciava dietro il comignolo nero di fuliggine. Il lungo mantello di piume nere lo appesantiva non poco, zuppo com’era. Sicuramente si sarebbe rovinato sotto quell’acquazzone. Pensandoci si riempì di rabbia e tirò un pugno ai duri mattoni, un tempo rossi, per sfogarsi. “Piuttosto doloroso.” Pensò mentre si stringeva la mano. “Spero di non averla rotta, di nuovo.” Ma Charles non era lì per testare la robustezza delle infrastrutture. Dal suo nascondiglio, uno dei numerosi tetti di Coalport, aveva una visuale perfetta dei vicoli laterali al Cigno Nero. Ora doveva solo aspettare che il suo bersaglio uscisse dal locale. Non avrebbe avuto con sé molte guardie, cercava di nascondere il più possibile le sue visite al club, probabilmente per l’ambigua reputazione di quest’ultimo. In ogni caso il cliente di Charles gli aveva fornito molte informazioni e, considerando la portata di questo particolare contratto, gli sarebbero servite tutte. In fondo, non tutti i giorni si riceveva la richiesta di assassinare l’erede al più grande impero del mondo.
Passò qualche ora, quando finalmente una porta sì aprì nel vicolo sotto di lui. Dapprima ne uscì solo uno spiraglio di luce “gialla, accompagnata dai cori di nobili ubriachi. Poi due uomini fecero capolino da dietro la pesante porta nera, entrambi piuttosto barcollanti. Charles si scosse di dosso il torpore causato dalla lunga immobilità e inconsciamente accarezzò la lama della sua spada pneumatica. Per qualche istante il bagliore carminio del suo Tizzone sembrò rinfocolarsi, quasi volesse esprimere la propria sete di sangue. Gli occhi di Charles esaminarono i due sventurati. Uno indossava una divisa da guardia mezza sbottonata, con qualche chiazza di vino sparsa qua e là quasi a richiamare un’esotica fantasia violacea; nel fodero della cintura riposava una pistola adornata da un fioco Tizzone azzurro. L’altro uomo, rivestito di merletti, broccati, velluti e qualsiasi altro tessuto variopinto doveva trovarsi nella bottega del suo sarto, doveva essere il suo bersaglio: il Duca di Pallham, primogenito dell’Imperatore e possessore di parecchi altri titoli nobiliari ben poco pratici.
Charles si mise cautamente in posizione sul bordo del tetto di rame verde e prese la mira con la spada pneumatica. « Colpisci! » Comandò all’arma. Il Tizzone baluginò sanguigno e la lama partì verso la tempia del duca, trapassandola come un coltello nel burro caldo. Il proiettile letale, circonfuso della stessa luce del Tizzone, cambiò innaturalmente “la propria traiettoria a mezz’aria: si girò su se stesso e colpì alla nuca l’ignara guardia, che solo in quel momento aveva realizzato l’accaduto. Charles sospirò, deluso dalla facilità di questa parte della missione. 
Con grazia scese dal tetto, usando vari davanzali come appigli. Velocemente staccò il Tizzone della guardia dalla pistola, prima che si estinguesse completamente a causa della morte del suo padrone. La piccola pietra grigio azzurra era ancora tiepida al tatto, però la sua luce si stava affievolendo rapidamente. Con una certa riverenza Charles aprì il cilindro metallico traforato che formava la parte finale della spada pneumatica; una luce scarlatta inondò il vicolo. Lasciò cadere il Tizzone all’interno del contenitore e subito si levò uno strano rumore, come di un piccolo incendio. «Fuoco che divora fuoco.» Aveva commentato molti anni prima il mastro carbonaio che aveva istruito Charles.
Si chinò per raccogliere la lama e la ripulì nella divisa della guardia, per poi riagganciarla all’elsa con un leggero sibilo metallico. “Ora la parte complessa del piano.” Con uno sbuffo, attutito dalla maschera corvina che indossava, si caricò in spalla il corpo del duca. Come tutti i nobili, la forma fisica non era tra le sue prioritá “purtroppo per Charles, che cominciò ad arrancare verso il vicolo dove aveva lasciato la propria carrozza. Non era la prima volta che doveva trasportare un cadavere,  ne sarebbe stata l’ultima probabilmente, cionondiméno  la sua ernia non amava la situazione attuale e glielo faceva notare costantemente. Questi avvisi prendevano principalmente la forma di ondate di dolore e, quasi mai, telegrammi.
Se qualcuno lo avesse visto in quel momento, invece della troneggiante e terrificante figura in nero dal lungo becco, messo in ombra dall’elegante cilindro, si sarebbe trovato davanti un esile personaggio, schiacciato da un ben più massiccio cadavere, che palesemente si prendeva gioco di lui anche dall’aldilà.
Finalmente, una volta raggiunta la sua carrozza nera, poté liberarsi della zavorra, buttandola nella cabina senza tante cerimonie. Charles prese le redini e inserì il suo Tizzone nel cavallo meccanico che trainava la vettura, questo si ridestò dal proprio torpore emettendo grandi nuvole di vapore dalle froge. Con un certo tramestio gli ingranaggi si misero in moto e in poco tempo la carrozza si unì al perenne traffico delle strade cittadine. 
Mantenendo una velocità alquanto sostenuta, Charles non impiego molto per raggiungere le mura di Voxton, la capitale imperiale. La semplice bandiera rossa “e bianca sventolava, sopra l’ampio arco che  formava l’entrata nella città. Sopra di essa il vessillo imperiale garriva al vento e, ancora più in alto, una flotta di dirigibili si muoveva in tutte le direzioni, il loro spento beige, a contrasto con l’arancione del tramonto, li rendeva ancora più minacciosi. Come gli aveva detto il suo cliente, le guardie non lo degnarono neanche di un’occhiata e, indisturbato, entrò in città col suo carico tutt’altro che legale.
Le ampie strade cittadine gli erano ben famigliari, come il puzzo causato dalla marea di gente che viveva nella capitale. Gli zoccoli di bronzo del cavallo sollevavano schizzi di melma nerastra ogni volta che toccavano terra, purtroppo a dispetto delle migliori intenzioni di chiunque fosse a capo della pulizia delle strade, ancora troppa gente non aveva abbracciato le meraviglie dell’acqua corrente e rovesciava i propri vasi da notte nelle strade. Per fortuna Charles non avrebbe dovuto trattenersi a lungo e una volta scaricato il corpo sarebbe potuto tornare in una delle città limitrofe, in cui la qualità della vita era ben superiore a quello dell’affollata metropoli. 

“Quando giunse al Ponte degli Impiccati cominciò a farsi un po’ nervoso, non tanto per i corpi che ancora penzolavano dalle esecuzioni mattiniere, piuttosto per il manipolo di guardie che l’occupavano. Anche in questo caso l’accordo era che il suo cliente si occupasse di tutto, ma serviva un’influenza vastissima per dare un ordine alle guardie dei ponti interni. Dato che questi erano l’unico accesso a Voxton Vecchia, il quartiere nobiliare che ospitava il palazzo imperiale e la sede del parlamento, i soldati a guardia erano estremamente selezionati e praticamente incorruttibili, come Charles aveva scoperto a sue spese. Però, ancora una volta, il suo cliente sembrava aver mantenuto la sua parola e con un certo stupore la carrozza attraversò il ponte senza venire ispezionata. L’assassino si sentiva quasi preso in giro dalla facilità di tutto la missione. Aveva ucciso una delle più importanti figure dell’impero e a nessuno sembrava importare un fico secco! Non che si aspettasse di essere accolto dall’intero esercito, ma almeno un gruppo di esperte guardie del corpo. Si sarebbe anche accontentato di un cane rabbioso in mancanza d’altro. Invece, nella più assoluta tranquillità, raggiunse la Cattedrale delle Ceneri: un edificio alto e grigio con più guglie “e statue che mattoni. La semplice pianta ottogonale dell’edifico tentava di dare un qualche ordine all’ammasso di decorazioni, che rappresentavano l’intero repertorio di leggende che la Via della Cenere propinava ai propri fedeli ogni otto giorni. 
Charles non aveva mai prestato molto orecchio a certe baggianate, ma si rendeva conto che era stato cresciuto dall’essere più cinico che il mondo aveva mai conosciuto: Alambert Khan, Mastro Carbonaio e capo dell’ordine dei Corvi di Carbone. Come tutti i bambini che dimostravano di possedere il Talento Charles era stato affidato alle cure dei Mastri Carbonai, in modo che potesse creare il proprio Tizzone e rendersi utile alla società alimentando i più svariati macchinari. Però si diceva che il colore del Tizzone derivasse dalla personalità del suo creatore, e quello di Charles era di un rosso tanto scuro da sembrar nero. Perciò gli fu data un’educazione un tantino diversa. Quell’educazione però non lo stava aiutando molto al momento, mentre veniva schiacciato ancora una volta dal peso del dannato pachiderma imperiale. «Duca degli arrosti! Principe dei suini! Questi sì che sarebbero titoli meritati!» Sibilò fra i denti, trascinando il cadavere per una scalinata di servizio. Gli ci volle più di un’ora a raggiungere “ la cima e quando finalmente spalancò la porta che dava sul tetto, lasciata aperta dal suo misterioso cliente, crollò esausto per terra. Gli ci vollero cinque minuti per riprendersi e più di dieci a trascinare il cadavere al bordo del tetto, districandosi nella foresta si sculture. Lì lo attendeva una semplice croce di legno, un martello, tre chiodi e una spessa corda metallica, evidentemente il cliente era a conoscenza del peso del duca. Come da istruzioni fece indossare al corpo il lungo mantello di piume di corvo e ne inchiodò gli estremi insieme alle mani e piedi del duca, in modo che rassomigliasse a delle ali. Poi con una certa cautela, e parecchia fatica, calò la croce dal tetto fino a che non raggiunse metà dell’altezza dell’edificio e fosse in linea con l’entrata principale. Quando fu di nuovo sulla carrozza era già notte e i fari della Cattedrale si erano appena accesi. Charles sentì le prime urla e poco dopo i passi affrettati di passanti e soldati. Passarono pochi minuti e la piazza su cui si affacciava il luogo di culto era piena fino all’orlo. L’assassino decise che aveva pienamente adempiuto al contratto e lasciò la capitale.

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Capitolo 2
*** Peggio dei Venditori Porta a Porta ***


 

Peggio dei Venditori Porta a Porta



Il bussare alla porta si era fatto piuttosto insistente e Charles sapeva di non poterlo più ignorare. Aveva commesso l’errore di scostare leggermente le tendine di pizzo della finestra vicino alla porta d’ingresso ed era sicuro che il molestatore delle quiete pubblica, che aveva il coraggio di tormentarlo a quell’ora della notte, avesse notato il movimento. Perciò si apprestò ad aprire la porta, già pronto ad urlare “Non compro nulla!” e sbatterla stizzito. Ma la voce gli morì in gola, poiché appena aprì la porta l’ignoto visitatore gli sventolò sotto il muso un semplice pezzo di carta con impresso un sigillo che Charles conosceva bene: una semplice rosa nera stilizzata che piangeva gocce scarlatte. Era lo stesso che il suo ultimo cliente aveva utilizzato sugli ordini per assassinare il Duca. Ma tutte quelle missive gli erano state inviate in luoghi sicuri, appositamente scelti perché nessuno potesse mai risalire a lui, né, tantomeno, al suo piccolo, amabile e deliziosamente arredato cottage di campagna, scelto per la posizione strategicamente isolata, ma non troppo lontana da un centro abitato con un decente negozio di alimentari. Un idilliaco ed elegante ritiro dalla frenetica vita di città, per farla breve. E ora tutte quelle giornate perse tra le dolci collinette del Wickedbottom alla ricerca dell’abitazione perfetta erano stati rovinati dalla semplice ed esacerbante presenza dell’essere che, al momento, se ne stava composto sotto la pioggia torrenziale sull’uscio di Charles. 

«Ceneri Ardenti!» Senza tanti complimenti l’assassino prese l’intruso per la spalla e lo tirò verso di se, per poi girarsi e spingerlo dentro la casa, chiudendosi la porta alle spalle. Il tutto accadde troppo velocemente perché l’individuo si rendesse conto di ciò che gli stava accadendo, scivolò su un tappeto e sbatté la fronte sul corrimano di legno intagliato della scala che conduceva al secondo piano. Charles non perse tempo, lo prese per la collottola, lo raddrizzò e gli tirò uno schiaffo.

«Questo è per aver sgocciolato sul mio parquet appena incerato!» lo colpì una seconda volta «E questo per esserti presentato, senza invito, ad un orario simile!»

Già che c’era avrebbe almeno fatto il tentativo d’inculcare delle buone maniere nell’idiota, anche se l’espressione confusa e timorosa sulla faccia dell’allievo gli diceva che sarebbe stato tutto tempo sprecato.

«Ora andrò a prepararti una tazza di tè. No, non m’interessa se non vuoi del tè. Sì, probabilmente ci sputerò dentro. Puoi andare a sederti in salotto mentre mi aspetti, ma prima lascia vicino alla porta l’impermeabile; se ci sarà una singola goccia d’acqua su un qualsiasi componente dell’arredamento ti taglierò ogni singolo dito.» A quelle parole l’uomo sembrò volere controbattere qualcosa, ma ad un’occhiata di Charles si zittì e cominciò a togliersi l’impermeabile, massaggiandosi con una mano la zona arrossata dov’era stato schiaffeggiato.

Mentre l’acqua nella teiera raggiungeva il bollore, Charles, ancora in camicia da notte e vestaglia, contemplava il vasto assortimento di coltelli che aveva collezionato negli anni. Ognuno di essi era affilato quanto bastava per affettare un foglio di carta semplicemente passandolo sul filo della lama e tutti erano abbastanza resistenti da tagliare ossa senza scheggiarsi, alcuni di essi erano stati forgiati proprio con quello scopo in mente. Ma per quanto gli andasse di fantasticare quante pugnalate l’ospite nell’altra stanza avrebbe potuto sostenere prima di accasciarsi al suolo, soffocando nel suo stesso sangue, non poteva ignorare la minaccia che il suo padrone poneva. Chiunque fosse questo misterioso burattinaio era riuscito in un’impresa non semplice: rintracciarlo. Charles avrebbe potuto giurare che chiunque l’avesse conosciuto prima che indossasse le vesti dei Corvi di Carbone fosse tornato alle Ceneri da molto tempo e si fossero portati dietro ogni prova della sua esistenza, era questo che comportava entrare in quella ristretta confraternita. Era impossibile che l’avessero seguito fin lì: da quando aveva accettato il contratto fino al suo adempimento aveva soggiornato a Coalport e aveva fatto ritorno a Wickedbottom dopo due giorni dall’assassinio. La zona era troppo aperta e priva di nascondigli perché lo avessero pedinato senza che se ne accorgesse, ed era sempre scrupoloso nello scrutare i dintorni proprio per evitare avvenimenti simili. L’uomo aveva anche visto il suo volto scoperto ora, il che lo metteva in una posizione difficile: da una parte il suo istinto gli urla di disfarsi di un tale punto debole, d’altro canto aveva bisogno del messaggio che sicuramente il suo ospite era lì per recapitare. Charles era pronto a scommettere che si trattasse di un nuovo incarico e nella sua linea di lavoro tristemente spesso la data di scadenza di un assassino coincideva con quella del completamento del lavoro. Però, se avesse accettato il lavoro, avrebbe potuto guadagnare una considerevole quantità di tempo per sfuggire alla spiacevole situazione. Avrebbe comunque dovuto eliminare il messaggero una volta che avesse consegnato la risposta di Charles al suo cliente, aveva decisamente visto troppo. Sarebbe dovuto sembrare un incidente, non poteva permette che il padrone del suo ospite s’insospettisse troppo, ma avrebbe pensato ai dettagli in un secondo momento. 

Il fischio della teiera riportò la sua mente in cucina, annunciando che l’acqua aveva raggiunto il bollore. La tolse immediatamente dalla piastra ardente: avrebbe dovuto concentrarsi di più, non voleva che l’acqua bollisse del tutto poiché rischiava di rovinare l’aroma delle foglie di tè. Poco male, l’ospite, per quanto tale, non meritava un gran trattamento in questa particolare istanza. Raccolse da una latta di rame una manciata di una delle miscele meno costose e la gettò nella teiera. Ponderò, nei pochi minuti che gli rimanevano prima che il galateo lo costringesse a ricongiungersi con l’uomo nel salotto, che tipo di urlo sarebbe scaturito dalla bocca dell’ospite se gli avesse versato in testa il tè caldo. Si crogiolò in quest’idea mentre ciabattava nel breve corridoio che sbucava proprio dietro la coppia di poltrone di velluto rosso, strategicamente poste di fronte al caminetto per il massimo della comodità. L’uomo era proprio in mezzo a queste, leggermente inclinato verso il fuoco scoppiettante in un tentativo di asciugarsi. Charles passò oltre e appoggiò sul tavolo rotondo, che occupava l’altra parte della stanza, il vassoio d’argento: con cui aveva trasportato due tazze di porcellana, la teiera, una zuccheriera di cristallo stracolma di zollette arcobaleno e un piccola brocca di latte. Versò l’infuso di un perfetto color rosso bruno nelle tazze, in cui due filtri d’argento finemente traforati accolsero le foglie di tè che avevano ormai esaurito il loro scopo. Poggiò i filtri nelle loro apposite ciotole e con estrema calma si girò verso il messaggero, ancora intento nell’inutile impresa di rendersi un po’ meno zuppo.

«Lei prende il tè con uno o due sputi?» 

La domanda fece sussultare l’uomo, che però sembrò riacquistare immediatamente la calma quando individuò Charles: evidentemente non l’aveva sentito entrare, erano cose che succedevano spesso con gli assassini.

«Preferirei evitare gli sputi, grazie. Sà il dottore mi ha detto che dovrei stare più attento alla linea.» Tentò di controbattere in una maniera che lui sicuramente considerava divertente.

«Sciocchezze! Vedrà che non avrà nulla da ridire se gli spiega le circostanze.» Charles sputò rumorosamente nella tazza, il suo sguardo fisso sulle impronte bagnate che l’uomo aveva lasciato dall’ingresso. Aggiunse due zollette di zucchero e porse il tutto al messaggero che, titubante, allungò una mano.

«Coraggio, beva.» Gli occhi dell’assassino non lasciarono scampo all’uomo, che si ritrovò con la tazza alla bocca prima ancora di accorgersene.

«Molto bene. Ora può dirmi per cosa ha osato disturbarmi nel mezzo della notte e, come se non fosse sufficiente, a casa mia.» Prese un sorso per dissimulare la rabbia crescente.

«C’è anche qualche biscotto?» Chiese l’uomo ignorando completamente la domanda.

«No.» Ringhiò Charles, arginando la furia assassina.

«Peccato.»

«Già.»

«Comunque...» l’uomo si schiarì la gola «sono qui per conto di un nostro comune amico, come sicuramente avrà capito dal sigillo.»

«Il fatto che io l’abbia riconosciuto è l’unica ragione per cui è ancora in vita, perciò le consiglio di soppesare le prossime parole con una certa cautela.»

«Certo, certo. Però devo avvertirla che le minacce non la porteranno molto lontano; il nostro anonimo benefattore odierebbe non ricevere un messaggio di risposta entro il tempo stabilito e pestargli i piedi avrebbe un pessimo risultato, anche per un... artista ben noto come lei.»

«Il suo errore è pensare che io tenga in così alta stima la mia vita da non metterla in pericolo per il gusto di eliminare feccia come voi, caro.» Nonostante quest’asserzione Charles era stato preso in contropiede dall’improvvisa arroganza del messaggero e si ritrovò a sperare che non si accorgesse della sua falsa boria, ma l’improvviso tremito che lo scosse quietò l’apprensione dell’assassino. 

«Veniamo subito al dunque allora, dato che non sembra amare la compagnia.»

«Lei si sbaglia: io amo la compagnia, ma non la sua.» Balle. Se Charles avesse potuto vivere ancora più isolato, senza rinunciare alle comodità della civiltà, probabilmente avrebbe trovato il modo di spostare il suo cottage sul cocuzzolo più alto dei Monti Neri.

«Beh, comunque sia sono qui per... proporle un nuovo lavoretto.» Era chiaro ad entrambi che quell’incontro era ben lungi da una proposta, bensì si approcciava molto di più alla natura di un ordine.

«E chi, di grazia, sarebbe il nuovo obbiettivo?»

In tutta risposta il messaggero gli porse una lettera sigillata, sulla ceralacca nera la stessa rosa minimalista aspettava, in bella mostra, di essere rotta. Charles gli strappò la lettera di mano e, con un pugnale fatto comparire da una delle tante tasche della vestaglia, l’aprì in un unico, fluido gesto. Ne estrasse una spessa pergamena di lunghezza considerevole, completamente ricoperta di minuscoli caratteri e, sul fondo del testo dove normalmente vi sarebbe stata la firma del cliente, l’ennesimo sigillo occhieggiava misterioso. Charles fece passare velocemente tutti i termini e clausole del contratto alla ricerca del nome della vittima, quando lo trovò fu percosso da un brivido d’eccitazione: Percival Arcturus Peppertwinkle, l’unico ed inimitabilmente corrottissimo Primo Ministro. Sarebbe stata una gioia porre fine alla sua vita, molto più soddisfacente che eliminare l’intera classe nobiliare dell’Impero, perché, al contrario di questi ultimi, quell’uomo aveva tradito la vera natura della propria carica e, con essa, tutta la gente comune che aveva contribuito alla sua elezione. Per quanto fosse una carica quasi onoraria, l’Imperatore di certo non era noto per dispensare poteri decisionali, l’influenza che Percival possedeva all’interno del governo era a dir poco invidiabile e con certezza avrebbe potuto usarla per rendere la vita del popolo molto più godibile. Ma egli aveva scelto la strada dell’avidità, riempiendo l’assassino di disgusto. Era una strana contraddizione quella che Charles sperimentava ogni volta che la sua mente si volgeva alla politica: da una parte anelava alla totale solitudine e al disinteresse assoluto nelle vite della gente, dall’altra provava il viscerale desiderio d’innalzare la loro situazione al di fuori della fogna in cui l’attuale governo li aveva schiacciati.

Senza dubbio era quello il motivo che aveva spinto il suo cliente a rivolgersi a lui già per l’omicidio precedente; per quanto la maggior parte dei Corvi di Carbone fosse di origini imperiali e fossero fortemente patriottici, Charles poteva essere considerato un’eccezione: rifiutava sempre contratti i cui bersagli fossero personaggi di spicco dei moti rivoluzionari che di tanto in tanto scuotevano il paese, era un noto assassino di agenti governativi, politici e nobili influenti, e sicuramente la recente uccisione del figlio dell’Imperatore stesso aveva solo fortificato questa sua nomea.

«Nel nome dei Corvi di Carbone accetto questo contratto.» Annunciò Charles solenne. Sfilò il famigliare cilindro di metallo dalla vestaglia e una sinistra luce rossa inondò la stanza. Lo appose delicatamente al foglio, vicino al sigillo del cliente e sussurrò dolcemente al suo Tizzone: «Marchia.»                                                  Un sottile filo di fumo si alzò dal contratto e quando rimosse il piccolo contenitore rimase un convoluto marchio che raffigurava un corvo banchettante sui resti di un cadavere. Restituì la pergamena al messaggero.                                «Molto bene. Riceverete ulteriori istruzioni nei prossimi giorni, nei soliti posti.» Disse dopo un attimo di pausa che tradiva qualche rimasuglio d’insicurezza, probabilmente causata dall’inquietante bagliore del Tizzone. Quella pietra sembrava saper sempre come incutere timore quando ve n’era bisogno e rendersi quasi invisibile all’evenienza, quasi fosse viva e in effetti ciò non era molto lontano dalla verità.    «Lasciate che vi accompagni alla porta, allora. Non vorrei mai vi perdeste nella mia vasta magione.» Posandogli una mano sulla spalla cominciò a guidarlo, o meglio trascinarlo, verso l’ingresso.

Quando furono sulla soglia l’uomo si girò a fronteggiare lo sguardo di Charles un’ultima volta.                                                            «Devo avvertirvi che se proverete a seguirmi sono stato autorizzato a ritenere il contratto violato e ne soffrirete le conseguenze.» Deglutì rumorosamente.            «Non temete, le tigri non danno la caccia ai gatti.» E gli sbatté la porta in faccia.

Quando fu sicuro che l’uomo se ne fosse andato, Charles estrasse ancora una volta il suo Tizzone e comandò: «Trova.» La luce della pietra di concentrò in un unico raggio sottile, che andava affievolendosi fino a scomparire completamente a venti centimetri dal cilindro. L’eterea lancia rossa pulsava debolmente, ma Charles sapeva che la sua luminosità sarebbe aumentata più si fosse avvicinato al messaggero. Ovunque muovesse il Tizzone il raggio avrebbe sempre puntato nella stessa direzione, quella dell’uomo, come l’ago di bussola. Era un incantesimo estremamente utile che aveva sottratto ad uno dei Tizzoni delle sue vittime: questo in particolare apparteneva ad un capitano d’aeronave, che lo usava per sapere dove fosse la sua amata quando partiva per lunghe spedizioni. Purtroppo la preparazione necessaria al suo utilizzo lo rendeva poco pratico nella professione di Charles, poiché la persona che si voleva tracciare doveva ingerire la saliva dell’utilizzatore volontariamente, non molto difficile tra amanti, ma non esattamente comune tra assassino e vittima. Charles si sedette su una delle poltrone davanti al fuoco osservando la sottile linea rossa che andava spegnendosi, ponderando ancora una volta quale tra le miriadi di dolorosi metodi d’assassinio avrebbe scelto.

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Capitolo 3
*** L'Imperatore ***


L’imperatore

 

Charles adorava la festa delle Prime Nevi: per qualche giorno sembrava che il mondo fosse più vivo e luminoso. Tutto ciò era piuttosto contraddittorio per un assassino, ma gli piaceva comunque poter fingere di essere una persona normale in quei frangenti, solo per potersi immergere nella gioia generale. Per questo non accettava mai contratti in quel periodo dell’anno. Stavolta, purtroppo, si era visto costretto a fare un’eccezione: quel lavoro era troppo importante e la reputazione dei Corvi non ne sarebbe uscita bene se qualcuno di meno esperto avesse fallito. Il cliente era lo stesso del Duca e, apparentemente, lo stesso dietro alla scomparsa del  Primo Ministro un mese dopo. Chiunque fosse, questo misterioso burattinaio era stato in grado di gettare l’intero impero nella confusione più totale: Voxton era talmente colma di posti di blocco e pattuglie che sembrava di essere in tempi di guerra, tre dirigibili della Flotta Imperiale scandagliavano le vicinanze del Palazzo e Charles era sicuro che l’Imperatore era ad un passo da attivare l’Armata degli Ingranaggi.

L’assassino sperava che Theophilus, secondo del suo nome, sovrano di tutto l’Impero, ecc. ecc. evitasse di ricorrere a misure tanto drastiche, o gli avrebbe reso il lavoro molto più complesso di quello che già era.

La parte più difficile del piano era raggiungere il palazzo: il suo cliente aveva messo in chiaro che le guardie non si sarebbero dimostrate facilmente malleabili come in passato. Difatti, invece di un semplice giro in carrozza Charles era stato costretto al molto meno piacevole passaggio per la rete fognaria della città. Se pensava che le strade fossero luride si dovette ricredere mentre arrancava, immerso fino al ginocchio in liquami, dei quali non aveva alcun interesse ad indagare l’origine. 

Ora sperava solo che il suo lezzo non allarmasse le guardie del ponte sotto il quale era spuntato. L’assenza di corpi penzolanti o gabbie di prigionieri gli fece dedurre di trovarsi all’ombra gelida del Ponte delle Decapitazioni, deliziosamente adornato da ghigliottine e un ceppo per il boia di turno. “Per il Signore delle Braci, come abbia fatto a rimanere in piedi un regime così sanguinario è davvero incomprensibile!” Lamentò per l’ennesima volta. E, come sempre, la risposta giunse dal profondo della sua mente, con il solito tono rassegnato “Ah giusto... il Tizzone Imperiale.”. 

L’unico oggetto del suo genere abbastanza potente da alimentare l’Armata degli Ingranaggi e, convenientemente, utilizzabile dalla sola famiglia imperiale. Un’altra delle sue particolarità era il fatto che fosse ereditabile: questa proprietà unica contraddiceva il principio su cui si fondavano tutti gli altri Tizzoni, cioè il legame indissolubile col proprio creatore, quando uno periva l’altro lo seguiva subito dopo. Charles era sicuro che se avesse potuto studiarlo anche solo qualche ora sarebbe stato in grado di fare luce su alcuni dei misteri che circondavano il potente oggetto, ma dubitava che sarebbe riuscito a convincere la sua vittima a fargli un tour privato delle stanze più protette dell’impero.

Al momento, però, doveva ancora risolvere il problema di come raggiungere la sua vittima. Al contrario di Voxton Nuova, il quartiere da cui era entrato, le fogne di Voxton Vecchia erano strette e costellate di spesse grate d’acciaio che avrebbero reso il passaggio troppo laborioso. In più si rifiutava di navigare ancora fra dei liquami di dubbia provenienza. Fu in quel momento che sentì il chiaro rumore di zoccoli metallici sul marmo del ponte e tese l’orecchio, sperando di carpire le ragioni del visitatore.

«Ho delle missive per sua maestà!» Annunciò fieramente la voce di un giovane. Il suono di carte sparpagliate e la mancanza di lamentele da parte del postino, gli disse che l’ispezione era stata piuttosto superficiale “Effettivamente” rifletté Charles “a causa del blocco aereo adesso i postini non potevano più mandare lettere a palazzo sui dirigibili. Interessante.” Nella mente di Charles si formò un piano geniale, ma tremendamente complesso e poco comprensibile anche alla stessa mente che l’aveva ideato, perciò, nel caso decidesse mai di scrivere le sue memorie, optò per qualcosa di più semplice: sarebbe diventato un postino.

Trovare la divisa fu piuttosto semplice, nascondere il corpo del precedente proprietario fu un lavoraccio. Doveva davvero farsi dare un’occhiata alla schiena, in fondo era ancora troppo giovane per faticare così tanto a spostare cadaveri. Insieme alla divisa capitò fortuitamente anche in un pacco di lettere e un carro con tanto di cavallo. Quest’ultimo piuttosto vivo e molto poco meccanico, d’altronde nessuno si aspettava che un postino possedesse un proprio Tizzone. 

Quando arrivò al ponte la procedura fu esattamente come se l’era immaginata, eccetto l’espressione schifata della guardia, che si portò un fazzoletto al naso quando il fetore di fogne lo raggiunse. Escludendo l’imbarazzante alterco che ne seguì sull’utilizzo di profumi, dopobarba e la madre di chi puzzasse di cosa, Charles si lasciò alle spalle il ponte, diretto verso il palazzo.

Sopra la sua testa poteva vedere i dirigibili fare la spola fra le altissime torri alle quali attraccavano, in modo da non dover perdere quota ad ogni cambio d’equipaggio. “Sembra che la sete di sangue di un governo andasse di pari passo con la propria efficenza. Affascinante.” Rifletté Charles mentre procedeva per le vuote strade del distretto nobiliare. In pochi minuti, non avendo incontrato alcun posto di blocco, raggiunse il palazzo. Coi suoi tre piani, per quanto imponenti, si sarebbe potuta considerare un’abitazione alquanto modesta per l’Imperatore di un terzo del pianeta. Semplici colonne di marmo bianco ne adornavano la facciata, tra esse si aprivano finestre rettangolari adornate da tende di velluto rosso. Il secondo piano era leggermente più stretto del primo e lasciava il posto per un balcone, dove solitamente si tenevano discorsi ufficiali, appena sopra l’entrata principale. Appena più in alto, le statue in bronzo di quattro cavalli rampanti adornavano il terzo piano della facciata, sormontate da un timpano decorato con bassorilievi della Via della Cenere. In tutto e per tutto il palazzo era l’esempio perfetto dello stile imperiale che spopolava in quel periodo.

Poche persone passeggiavano di fronte alla struttura. Una donna vestita di rosso, che portava a passeggio il cane, catturò per un istante lo sguardo di Charles, forse perché era l’unica che vestiva un colore sgargiante che gli ricordò immediatamente la festa delle Prime Nevi, che quest’anno tardavano ad arrivare purtroppo.

L’unico aiuto che il suo cliente gli aveva fornito stavolta era stato provvidenziale: una lista con le risposte in codice da dare alle guardie per poter entrare. Infatti, persino avendola letta quando un soldato gli chiese «Ami i gattini blu?» Charles si sentì fortemente imbarazzato, ma dopo aver ritrovato la calma rispose «Solo se sono al forno.». Senza ulteriori cerimonie gli fu permesso di entrare nel palazzo, ovviamente non dall’ingresso principale, ma da una piccola porta per la servitù.

Quando fu all’interno ebbe paradossalmente un pochino più di libertà, che sfruttò per passare in rassegna alcune delle tante stanze. Ebbe fortuna: trovò una guardia solitaria in un piccolo salotto blu. Le si avvicinò con fare innocente e sempre innocentemente le tagliò la gola con un unico movimento preciso, poi tamponò la ferita in modo tale che il sangue non sporcasse la divisa. Cambiò il proprio travestimento e, facendo uso del proprio Tizzone e le sue conoscenze di Magia delle Ceneri, incenerì il corpo all’istante non avendo tempo di nasconderlo. 

Si aggirò per il palazzo con molta più sicurezza una volta nei panni della guardia, che per coincidenza gli calzavano quasi a pennello. Riuscì a raggiungere gli appartamenti privati di “Sua Maestà”, ma davanti alle porte sostavano due guardie. Purtroppo aveva dovuto lasciare la sua spada pneumatica col cadavere del postino, quindi, prima che queste potessero accorgersi di nulla, utilizzò nuovamente un poco di magia. Rapidamente due nubi di fumo nero si formarono intorno alle teste dei due soldati, che caddero per terra e si dibatterono debolmente. Polverizzò anche questi due corpi ed entrò nelle stanze imperiali.

Sembrava che l’imperatore non amasse particolarmente lo sfarzo, ma piuttosto la storicità dell’arredamento. Busti, dipinti e mobili antichi adornavano le semplici sale bianche. Dopo un poco di girovagare Charles si trovò davanti ad una pesante porta blindata, fortunatamente socchiusa. Sbirciò all’intero e vide una scena molto interessante: una donna piuttosto anziana, dai capelli grigi raccolti sotto una rete di rubini, stava litigando con un vecchio uomo distinto in completo bianco. Sembrava che anche l’imperatore avesse problemi con le donne.

«È inutile che temporeggi Theophilus, l’impero è già praticamente nelle mie mani! Tu sei senza eredi, senza supporto politico, non hai più nulla capace di fermarmi!» Rise la vecchia. “Possibile che sia lei il mio cliente?” Ponderò Charles.

«Mi dispiace Gran Duchessa, ma non lascerò il trono così facilmente. Le tue macchinazioni finiscono qui! Guardie!» Chiamò l’imperatore.

Charles prese un lungo respiro ed entrò nella stanza. Ora che poteva vederla meglio aveva capito dove si trovava. I muri rivestiti di metallo, la porta blindata e, soprattutto, la sfera d’acciaio sospesa al centro della stanza: quello era il luogo dove veniva custodito il Tizzone Imperiale! 

«Arrestate questa pazza traditrice e portatela immediatamente lontano dalla mia vista! Voglio che sia giustiziata all’alba!»

«All’alba? Ma domani è festa, per il Signore delle Braci!» controbatté Charles.

Per un attimo l’imperatore rimase a bocca aperta. Poi si avvicinò minaccioso.

«Osi contraddirmi?! Hai idea di chi io sia?»

«Sì, lei è il bersaglio.» Replicò, conficcandogli il pugnale nel cuore.

L’imperatore cadde con un tonfo, la donna cominciò a ridere. Poi, calmatasi, raccolse una chiave dal collo del defunto regnate e aprì la sfera che conteneva il Tizzone Imperiale. La stanza si riempì di una calda luce gialla. La Gran Duchessa estrasse un piccolo sassolino che emetteva la stessa aura, ma in scala molto ridotta e lo inserì all’intero della sfera. Con espressione trionfante decretò «E ora sono io l’imperatrice!». Ma rapidamente la sua faccia si trasformò in una smorfia di dolore. «Non credo proprio.» Le sussurrò Charles mentre estraeva il pugnale dalla schiena della vecchia.

“Spero di aver capito come funziona questo aggeggio.” Pensò mentre inseriva il proprio Tizzone nella sfera. Immediatamente la luce del Tizzone Imperiale divenne divisa, in parte rossa e in parte gialla. Poi, con il solito rumore d’incendio, che però stavolta scosse l’intero edificio, il Tizzone di Charles abbe la meglio e la stanza fu immersa in un’aura sanguigna.

“Sarà una magnifica festa delle Prime Nevi!” Gongolò il nuovo imperatore.

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