Love Letter

di scarletredeyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1

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DEAR FRIEND,

SO THIS IS HOW IT ALL BEGAN

 

Vi è mai capitato di imbattervi in sentimenti sinceri, semplici e profondi, descritti su carta con una passione tale da lasciarvi incantati? Vi è mai capitato di innamorarvi di semplici parole, innamorandovi poi anche un po' inconsciamente di chi le ha scritte? Vi è mai capitato di ricevere una lettera d'amore talmente bella da lasciarvi senza parole? E se un giorno, per caso, trovaste tutto questo nel vostro armadietto a scuola, ma leggendo attentamente vi accorgeste che in realtà il vero destinatario di tanta premura non siete voi? Cosa fareste?

 

 

 

"Vai Hayden! Questa è la tua occasione d'oro e non c'è anima viva intorno!"

Preso coraggio il ragazzino fece forza sulle gambe alzandosi dalle scale su cui si era appollaiato e si diresse poi a passo spedito verso gli armadietti di quelli del quinto anno deciso ad imbucare la sua lettera d'amore.

Non era propriamente una lettera d'amore però quella che teneva stretta fra le mani, quanto piuttosto una confidenza libera e spontanea che aveva sentito il bisogno di mettere in ordine per iscritto e che aveva sentito la necessità di recapitare all'oggetto delle sue attenzioni. Non si aspettava una possibilità dal destinatario del biglietto, né che potesse nascere alcun tipo di rapporto. Voleva solo che la persona a cui era indirizzato quel sentimento ne venisse a conoscenza. Era solo un modo piuttosto sicuro di confessarsi visto che non avrebbe mai avuto il coraggio di dichiararsi faccia a faccia. Dopotutto il ragazzo a cui aveva deciso di scrivere era solo il più popolare dell'istituto.

Brandon Raynolds aveva fatto breccia nel suo cuore già un anno e mezzo prima compromettendo per sempre la sua intera esistenza e anche la sua già scarsissima autostima. Era successo tutto per puro caso a dire la verità e mai prima di allora Hayden era stato così grato al destino. Un suo compagno di classe lo aveva invitato ad assistere ad una partita di hockey, lo sport ufficiale della scuola, supplicandolo per giorni fino a sfiancarlo. Lui alla fine aveva accettato del tutto controvoglia aspettandosi solo una rottura di scatole di alta qualità. Alla pausa di metà tempo però si era dovuto ricredere quando da sotto un elmetto era spuntata una chioma riccia e bionda che lo aveva letteralmente sconvolto. Il viso incorniciato da quei raggi di sole era così delicato, perfetto, ma al contempo mascolino e deciso che era rimasto imbambolato almeno dieci minuti con lo sguardo fisso sulla sua figura, tanto da sembrare quasi un maniaco psicopatico. Perché non si era mai accorto che esistesse un angelo del genere nella sua scuola? Lo aveva sentito parlare ai compagni con una voce profonda e appassionata che gli aveva fatto correre un brivido lungo la schiena e aveva sentito la sua anima dannarsi per sempre non appena lo aveva visto sorridere. Da allora aveva fatto di tutto anche solo per riuscire a vederlo da lontano cinque minuti al giorno apparendo dall'esterno sul serio un depravato, ma a lui non importava nulla.

Era venuto a conoscenza del suo nome solo pochi giorni dopo apprendendo soprattutto che per il diretto interessato non faceva molta differenza se a chiedergli di uscire fosse stata una ragazza o un ragazzo. Avrebbe dovuto rallegrarsi di questa scoperta, però al contrario invece che esultare, Hayden si era sentito ancora più depresso al solo pensiero di non potersi avvicinare in alcun modo a qualcuno di così popolare. Era volato via più di un anno senza che lui se ne accorgesse e senza che i suoi sentimenti fossero mutati minimamente, non era riuscito ad approcciarlo nemmeno mezza volta, ma nonostante tutto alla fine Hayden aveva deciso: gli avrebbe fatto ad ogni costo sapere che nel mezzo della marmaglia di studenti in quella scuola, c'era qualcuno che nutriva quel tipo di sentimento per lui.

Così con il cuore in gola e l'ansia di essere scoperto, voltò la testa a destra e a sinistra come minimo una quindicina di volte prima di prendere un bel respiro e decidersi a compiere l'opera che stava tentando da tempo immemore.

Le mani tremavano talmente tanto da sembrare possedute e per l'ennesima volta si ritrovò a pensare che anche questa volta l'emozione lo avrebbe fatto fallire!

"No Hayden, calma! Ce la devi fare! Sono settimane che compri ogni giorno una rosa nuova... devi porre fine a tutto questo, sennò a finire sarà la tua paghetta! Ok... lo faccio."

Prese un altro bel respiro e avvicinò la mano allo sportello. La sottilissima carta decorata aveva appena fatto in tempo a sfiorare il freddo metallo grigio, quando dei passi provenienti dal fondo del corridoio distrassero il giovane dal suo compito facendolo sussultare.

«Amico, quella deve essere davvero tosta, insomma... Megan!? Andiamo. Troppo anche per te.» diceva uno dei tre ragazzi che si stavano avvicinando pericolosamente troppo verso di lui.

"Oddio e ora che faccio!?" si chiese ormai nel pallone "Imbucala e scappa!" ordinò perentorio a sé stesso. Non poteva permettersi di rimandare di nuovo!

«Secondo me invece riesco a farmi dire di sì e anche a farmela!» rispose la voce di un altro ragazzo, sempre più vicino, ridendo sguaiatamente.

Con gesti frenetici e frettolosi, Hayden fece scivolare il foglietto nell'armadietto attraverso le piccole aperture e vi incastrò in mezzo la rosa rossa infilata in una piccola ampolla per fioristi. Poi, senza guardare indietro, schizzò via come se avesse il diavolo alle calcagna evitando per un soffio la comitiva che aveva appena svoltato l'angolo.

Una volta fuori nel cortile, tirò un profondo respiro di sollievo pensando al fatto che finalmente aveva compiuto la missione impossibile. Era riuscito a mettere i suoi sentimenti su carta, a comprare un bellissimo fiore per sottolineare l'importanza di quello che sentiva e aveva messo il tutto nell'armadietto di Brandon con successo. Un sorriso felice comparve sul suo viso e vittorioso si apprestò ad uscire dal cancello della Hamilton High School con il cuore più leggero.

Ripercorse quegli istanti passo passo nella sua mente, ancora sotto l'effetto dell'adrenalina. Non credeva ne sarebbe mai stato capace e invece sorprendendo sé stesso era davvero riuscito a imbucarla con successo. Camminando camminando stava già immaginando la faccia di Brandon mentre apriva il suo armadietto per trovare...

"Oh no!" urlarono terrorizzati i suoi pensieri facendolo bloccare sul posto come una statua di ghiaccio.

Il sorrisino man mano si trasformò in una smorfia preoccupata e giurò di poter sentire almeno una ventina di sirene d'allarme suonare nella sua testa, mentre lo stomaco si contorceva dall'ansia. "Vi prego, ditemi che non l'ho fatto sul serio!" pensò spaventato "Ho davvero sbagliato armadietto!" constatò sentendo una fitta d'ansia allo stomaco. Il guaio di cui si accorse effettivamente troppo tardi era che aveva posto il tutto nell'anta più a destra attaccata al muro, invece che in quella immediatamente a sinistra! Tutto perché era stato preso dalla foga!

"Uno sfigato, ecco cosa sono! Un emerito incapace!" imprecava mentre decideva sul da farsi.

Poteva sempre tornare dentro, ma anche bene l'avesse fatto ormai non c'era modo di poter recuperare la pagina. L'unica alternativa sarebbe stata quella di scassinare il mobiletto, ma non poteva certo permettersi di fare una cosa del genere! Se lo avessero beccato lo avrebbero espulso a pedate nel didietro. Ma il peggio doveva, in ogni caso, ancora venire perché - con tutte le persone all'interno della scuola - lui aveva appena finito per recapitare il suo più intimo pensiero al migliore amico della sua cotta, alias all'essere meno raccomandabile che esistesse.

"Dean Collins. Ho confessato il mio amore a Dean Collins!", pensò in tilt, mentre si portava le mani a coprirsi il volto desiderando di sparire all'istante. "No, ho comunque scritto il nome di Brandon... credo, ormai non sono più sicuro di niente!" osservò confuso.

Poteva solo immaginare quello che Dean avrebbe fatto una volta letta la lettera: lo avrebbero preso in giro a vita, se non anche peggio. Poco, ma sicuro. O almeno questo era quello che qualcuno come lui avrebbe pensato di fare. Poteva già vedere le fotocopie della sua confessione - con in allegato la sua foto - a tappezzare le pareti di tutta la scuola e forse anche degli immediati dintorni. Dean sarebbe stato capace di rendergli la vita un inferno e alla fine ci avrebbe rimediato una pessima figura anche con Brandon!

Rimase bloccato nella stessa posizione per almeno dieci minuti pensandole tutte, ma non trovando comunque una soluzione al suo problema. Si apprestava ad arrivare davvero un anno scolastico indimenticabile.

"Sei un idiota, Hayden. Davvero un idiota."

 

 

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Fermo davanti al suo armadietto Dean continuava a rigirarsi fra le mani quella lettera sentendo crescere dentro una specie di prurito fastidioso tale da lasciarlo per un attimo interdetto.

Fra tutte le melense, superficiali, mal scritte e vomitevoli confessioni d'amore che aveva ricevuto, quella era particolare. Forse addirittura unica nel suo genere. In breve, gli piaceva.

L'aggiunta del fiore poi era come se avesse avuto il potere di accentuare ancora di più quei sentimenti così ben scritti in quelle poche righe e non risultava affatto banale. Era più una poesia che una confessione, tanto le parole si mischiavano e si legavano fra loro unite con una grande maestria e precisione, tali da riuscire persino a colpirlo. La carta dalla grammatura pesante, la grafia leggera e svolazzante, il profumo di fiori che emanava il biglietto... tutto sembrava essere stato studiato fin nei minimi dettagli, con così tanta cura e amorevolezza da risultare quasi stomachevole. Era un vero peccato però che il destinatario di tanta premura non fosse lui, sarebbe stato bello potersi vantare di una cosa del genere... ma in fondo pensandoci bene alla fine per lui non sarebbe cambiato granché.

Dean Collins odiava le persone.

Odiava tutto dello stare in compagnia con qualcun altro e forse odiava ancora di più il fatto che grazie, o per colpa, del suo migliore amico fosse diventato un'altra specie di "idolo" a cui rompere le palle continuamente. Voleva bene a Brandon con tutto sé stesso, da quando forse avevano imparato a camminare ed era probabilmente l'unica persona che riusciva a tollerare, ma non sopportava neanche lontanamente tutta l'orda di sbavanti individui che si trascinava dappertutto e che finiva inevitabilmente per stare col fiato sul collo anche a lui.

Lui in effetti, al contrario del biondo, era il ritratto dell'esuberanza e della voglia di sbandierare tutto il suo essere nei più svariati modi rimanendo però ben distante dal resto della massa. Era spaccone, a tratti volutamente sgarbato e forse più di tutto il resto, estremamente antipatico. Brandon invece era davvero più modesto, solare e socievole, si accontentava e non si dava per niente tutte quelle arie da divo al contrario suo. Eppure nonostante non fosse comunque così estroverso, espansivo ed esibizionista, riusciva lo stesso ad attirare una grandissima quantità di ragazze e ragazzi attorno a lui che puntualmente cadevano ai suoi piedi quasi storditi.

Quello che al contrario attirava di Dean non era esattamente la simpatia. A lui non ci si avvicinava per fare conoscenza o per stringere amicizia, ma solo ed esclusivamente perché folgorati da tutto quel carisma. E praticamente nessuno poteva vantare di essere riuscito ad entrare nelle sue grazie. Amava dare sfoggio di sé, amava stare al centro dell'attenzione, ma non amava la popolarità, anzi, lui odiava proprio il contatto con le altre persone. Era legato all'idea di poter decantare le sue capacità e suscitare ammirazione negli altri, ma odiava l'attaccamento morboso nei suoi confronti.

Si definiva molto antisociale, eppure nonostante il pessimo caratteraccio, che secondo lui non era un problema suo e il suo continuo ostentare la propria superiorità, era sempre circondato da un agglomerato di individui che cercavano approvazione in tutto e per tutto. Non riusciva in nessun modo a scrollarsi di dosso quel ruolo che non gli apparteneva perdendo per sempre la possibilità di starsene tranquillo e beato per i cavoli suoi.

In effetti Dean amava la solitudine e molto raramente si interessava di quello che accadeva intorno a lui. Essere circondato da gente falsa che - nella maggior parte dei casi - non aveva nemmeno intenzione di conoscerlo sul serio non gli faceva né caldo né freddo e avere amici gli interessava ancor meno. Lui usava e sapeva di essere usato, nulla di più. Era sempre stato così, almeno da quando aveva capito come girava il mondo e aveva fatto dell'indifferenza e della diffidenza le sue armi più importanti. Niente era in grado di smuoverlo, se non quello che gravitava direttamente attorno a lui stesso, come il peggiore dei narcisisti.

Quella lettera appena trovata, invece, lo stava irritando profondamente e inspiegabilmente oltre misura. Probabilmente era stata solo la sua inattaccabile autostima a risentirne, dato che non capitava tutti i giorni di ricevere confessioni destinate ad altri e per giunta così particolari!

Prese a giocherellare col foglietto rileggendo le ultime righe e quella firma anonima che lo stava davvero facendo innervosire. Perché doveva firmarsi come "H."!? Perché una stupida iniziale!?

"O vuoi far sapere chi sei, oppure no!" pensò ancora più infastidito.

Brandon di sicuro avrebbe tenuto lo stesso quel biglietto ringraziando con lo spirito o altre stronzate del genere chiunque ci fosse dietro. Lui invece era così impermeabile e menefreghista nei confronti del resto della popolazione mondiale che lo avrebbe stracciato e gettato nella pattumiera nel giro di due millesimi di secondo accompagnando il tutto con l'imitazione di un conato di vomito - come faceva del resto ogni volta che trovava della disgustosa carta rosa nel suo armadietto -. Eppure, mai prima di allora si era sentito così combattuto.

Più guardava quella lettera e più sentiva il fastidio crescere dentro fino quasi a vibrare.

Con uno scatto secco chiuse l'anta di metallo, quasi con stizza. Guardò di nuovo il foglio pensando per una frazione di secondo di imbucarlo al posto giusto, pensando che Brandon dovesse venire a conoscenza di quella piccola perla. D'altro canto il vero destinatario era lui.

"Ma chi me lo fa fare!?" si ritrovò poi a pensare allontanandosi a grandi passi dal corridoio, dirigendosi verso l'uscita. Non avrebbe mai dato quel biglietto a Brandon, qualcosa nella sua testa gli diceva di non farlo.

Si fermò di nuovo al centro del pianerottolo guardando ancora quella firma assurda. Era estremamente curioso di capire di chi si trattasse, bruciava dentro per la prima volta la necessità di guardare in faccia l'individuo che si nascondeva dietro quelle parole, dietro quel sentimento. Era una voglia che non aveva mai sentito nemmeno per le confessioni a lui indirizzate. Però non poteva fare a meno di sentirsi in conflitto con sé stesso. Non riusciva a capire perché gliene importasse così tanto se nemmeno riguardava lui direttamente... e forse era questo il problema! O almeno credeva.

Sentì di nuovo la stizza affiorare e in quel momento decise che doveva trovare a tutti i costi il mittente e sfogare tutta la sua stronzaggine su quel poveretto che aveva appena finito per commettere l'errore più grande della sua intera esistenza.

Non era solo semplice voglia di umiliare e prendere in giro chiunque avesse deciso di compiere una mossa così azzardata fallendo miseramente come un povero scemo, c'era dell'altro e questo altro era forse ancora più terrificante.

Ci avrebbe guadagnato un bel passatempo con quella storia, ne era sicuro, dopotutto chicche del genere non capitavano mica tutti i giorni!

Il problema però restava il capire chi diavolo si nascondesse dietro quella firma, di per sé decisamente ambigua. Conosceva fin troppe persone con quell'iniziale e non era neppure sicuro che si riferisse ad un nome e non a un cognome. Probabilmente sarebbe comunque bastato fare due domande in giro per avere la risposta che cercava e una volta trovato il colpevole, avrebbe avuto inizio il vero divertimento.

Prima di uscire definitivamente dall'istituto, nascose il foglietto nella tasca della giacca piegandolo precisamente in quattro parti stando attento a non rovinarlo, guardando il fiore che teneva ancora in una mano decidendo di tenerlo. Lo avrebbe tenuto solo ed esclusivamente come pegno, come un risarcimento.

Sorrise infine soddisfatto, sicuro di aver appena trovato qualcosa di interessante con cui intrattenersi nei giorni a seguire.

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Capitolo 2
*** 2 ***


2

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DEAR FRIEND,

THEN I MET THE WEIRDEST PERSON I'VE EVER KNOWN



Hayden non è che avesse paura di rimettere piede dentro l'edificio dopo quel disastroso incidente... stava solo tremando dalla fifa! Era sicuro che la notizia di un fallito tentativo di dichiarazione avesse già fatto il giro della scuola. D'altronde questo era il tipo di notizia che correva più veloce della luce e che serviva a rovinare per sempre la vita tranquilla di un normalissimo studente qualsiasi.

Tirò su il cappuccio della felpa leggera cercando riparo in quel misero pezzo di stoffa, sperando di passare inosservato al resto dei più come al solito. Non era difficile per lui risultare invisibile.

In effetti lui era un vero disastro quando si trattava di rapportarsi con gli altri e si poteva dire tranquillamente che non avesse praticamente nessun amico in senso stretto. Per lui erano tutte conoscenze, persone con le quali passare qualche ora in compagnia il sabato sera o con cui uscire al pomeriggio e con le quali scambiare qualche confidenza neanche troppo intima. Hayden non si fidava del prossimo e forse non avrebbe mai imparato a farlo.

Era sempre stato così da quando era più piccolo, da quando scoprì che i suoi compagni lo prendevano in giro alle spalle per le orecchie leggermente a sventola, gli occhiali più grandi del suo viso e i denti un po' storti. Odiava quella falsità e quell'ipocrisia che serviva solo ad illudere e aveva imparato col tempo a fare a meno degli altri. Aveva iniziato a dipendere solo ed esclusivamente da sé stesso diventando autonomo e schietto, forse anche troppo maturo per la sua età, ma almeno così aveva evitato di sperimentare altre delusioni e di sentirsi nuovamente tradito. Questa aura distaccata e diffidente che portava in giro era solo servita a isolarlo ancora di più scoraggiando molti dei suoi coetanei, inizialmente intenzionati a tendere una mano verso di lui, dal conoscerlo meglio.

Hayden in fin dei conti non si definiva neppure una così rara bellezza capace di far passare in secondo piano quel carattere un po' difficile e anzi, in effetti il suo aspetto molto piatto e nella norma non godeva di nessun segno di particolare rilievo. I capelli scuri erano sempre stati della stessa lunghezza da che mondo era mondo: corti con un ciuffo leggermente più lungo, tanto da poterci tranquillamente passare in mezzo le dita. Gli occhi cioccolato erano sempre stati celati da un paio di lenti quadrate grandi come dei fanali e da una montatura forse ancora più grossa che si adagiava pesante sulle suddette orecchie leggermente a sventola. Il nasino piccolo e dritto poi spariva quasi completamente ingoiato dagli occhiali che finivano per essere tirati su ogni cinque secondi mentre la bocca sottile nascondeva in realtà un apparecchio odontoiatrico impossibile da non notare.

Se a tutto quello poi si sommava l'aspetto gracilino e fin troppo intellettuale, non lo si poteva nemmeno biasimare troppo se si sentiva più sfigato di quanto in realtà non fosse.

In poche parole non è che spiccasse poi molto in mezzo alla massa e, se ben coperto, forse nemmeno i professori si sarebbero accorti della sua presenza in aula durante la lezione.

Non gli piaceva parlare troppo e nemmeno mettere in mostra le sue doti intellettive e tutto questo non per snobismo verso gli altri, ma solo per una profonda insicurezza e per una grandissima paura di venire costantemente giudicato. A conti fatti era cresciuto con la convinzione che le cose stessero così. Ciò non vuol dire che non fosse socievole, ma preferiva mantenere le conoscenze come tali e non attaccarsi troppo a nessuno. Prediligeva starsene in disparte, un po' per conto suo, magari a leggere le pagine di un buon libro. Quella era la cosa che più amava fare. Amava perdersi nelle parole, impararne di nuove e scoprire come termini banali possano - se ben accostati - costruire un castello meraviglioso dove smarrirsi era davvero solo questione di un attimo e, sebbene non parlasse mai, Hayden aveva un eloquio fluido, ricco e mai banale, ma questo dettaglio preferiva tenerlo nascosto agli altri.

Non era strano quindi per lui essere tremendamente in apprensione in quel momento. Da idiota qual'era si era appena scavato la fossa da solo, aveva commesso un errore, una sciocchezza, una svista che di sicuro avrebbe cambiato completamente la sua vita per sempre.

Addio invisibilità, addio giorni tranquilli e benvenute prese in giro e umiliazioni.

Entrò nel cortile a passo svelto, quasi stesse scappando, svoltò per entrare dalla porta sul retro sempre aperta e si infilò veloce nel corridoio, mentre tutti gli altri studenti aspettavano ancora fuori il suono della seconda ed ultima campanella. Per sicurezza decise di andare a sbirciare gli armadietti sperando di essere stato graziato. Alla fine Dean poteva essere rimasto a casa o poteva semplicemente non aver fatto caso alla lettera e al fiore. "Certo, come no! È risaputo che io e la fortuna siamo amici per la pelle!" pensò constatando che effettivamente le "prove del delitto" non erano più dove le aveva lasciate. Infranta anche l'ultima remota speranza di salvezza si avviò verso il laboratorio di chimica al secondo piano con le spalle incurvate.

Non aveva immaginato che le cose potessero prendere una piega del genere e se c'era qualcuno da incolpare quello era solo lui stesso. Aveva aspettato troppo tempo per decidersi, aveva sprecato una miriade di buone occasioni e alla fine aveva fallito nel più stupido dei modi.

Pensandoci e ripensandoci però se voleva rimediare a quello sbaglio madornale - o quantomeno cercare di rimediare - c'era una sola cosa da fare e l'idea non lo entusiasmava per niente. Sarebbe stato forse anche più umiliante di lasciare che la vicenda prendesse il suo corso, ma doveva rischiare, doveva per una volta sola nella sua vita tornare a fidarsi di qualcuno e sperare almeno un pochino nel buonsenso di questo qualcuno.

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Durante la pausa pranzo c'era sempre fin troppo via vai in mensa per i gusti di Dean. Non che fosse un problema: lui il posto assicurato lo aveva sempre. Era matematico.

Lui, Brandon, Megan e tutti gli altri ragazzi di contorno si erano impossessati già dall'anno precedente del tavolino in fondo a destra, quello con la vista sul giardino e le sedie più grandi. Nessuno ci si avvicinava a meno che non cercasse guai gratuiti o non fosse stato esplicitamente invitato. Era peggio di una zona rossa. A Dean in realtà - a differenza degli altri - non fregava niente di tutte quelle chiacchiere inutili, a lui bastava una sedia dove poggiare il culo, un tavolo dove mettere il vassoio e nessun rompicoglioni nelle immediate vicinanze. Tutto qui.

Quello che gli piaceva era solo la comodità di avere l'uscita a portata di mano per poter andare a fumare, senza doversi scomodare troppo. La verità era che usava questa scusa per eclissarsi il più delle volte e per non essere costretto a sorbirsi i discorsi delle ragazze su qualunque cosa si muovesse o respirasse. "Guarda i capelli di questo/questa!"; "Guarda che vestiti!"; "Guarda che gambe storte!" tutte cose che gli facevano solo venire i cinque minuti e il voltastomaco, il suo pranzo voleva goderselo in santa pace e che cazzo!

Così anche quella volta si era isolato, si era appoggiato alla ringhiera delle scale che scendevano sul prato e si era completamente immerso nei suoi pensieri.

Pensieri che ruotavano ancora attorno al misterioso mittente di quella lettera d'amore della quale lui non aveva fatto menzione a nessuno. Era assurdamente insensato come non fosse stato capace di scacciare dalla mente quel misero pezzo di carta che non era nemmeno indirizzato a lui. Si stava arrovellando il cervello per un qualcosa di cui non doveva importargliene assolutamente niente e della quale, tecnicamente, non avrebbe dovuto pure sapere niente. Eppure era lì, da solo, mentre continuava a ripetere nella sua mente quelle parole, quasi imparate a memoria ormai sentendo ogni volta qualcosa rimescolarsi dentro. Aveva anche pensato più volte alla sua iniziale voglia di tormentare quel poveretto, non riuscendo a decidersi. Forse avrebbe fatto meglio a cestinare in via definitiva tutto e dimenticarsi di quella storia ridicola. Alla fine non aveva nemmeno la voglia di impegnarsi troppo nella ricerca. Il compito infatti si era rivelato più arduo del previsto. Altre volte invece sentiva così prepotente la voglia di sapere almeno che faccia avesse chiunque fosse stato in grado di stuzzicargli così tanto la curiosità, da fargli cambiare idea di nuovo su tutto.

Sbuffò annoiato scendendo le scale andando a sedersi sul muretto che delimitava la fine del cortile estraendo il cellulare, perdendo gli ultimi dieci minuti di pausa a smanettare svogliatamente con quell'aggeggio, giusto per passare del tempo. Sbloccò il dispositivo decidendo con quale applicazione iniziare, ma qualcosa che andò a piazzarsi proprio di fronte a lui, schermandolo dal sole, gli fece alzare lo sguardo.

Incontrò in ordine, nella sua salita verso il viso dello sconosciuto, un paio di jeans sdruciti e consumati in più punti tenuti stretti ai fianchi da una orrenda cintura in cuoio infilata con cura in ogni singolo passante; una felpa leggera color terra con due tascone enormi e i lacci del cappuccio che pendevano impari sul petto; un collo esile e spigoloso da cui sporgeva prominente il pomo d'Adamo e, infine, una faccia a tratti imbronciata e determinata. O almeno era questa l'espressione che Dean aveva desunto, dato che con quegli occhiali che si ritrovava sul naso era quasi impossibile scorgere qualche tratto particolare di quel volto.

Il ragazzino appena arrivato incrociò le braccia al petto, come se stesse cercando di proteggere sé stesso, poi con tono fortemente deciso si fece avanti decidendosi a parlargli. «Non starò qui a fare giri di parole inutili. So che nel tuo armadietto hai trovato una lettera...» sentenziò senza perdere tempo «... la rivoglio.»

Dean sfarfallò le palpebre confuso, scioccato e destabilizzato puntando le sue iridi carbone su quella figurina minuta e sgraziata.

«E tu chi cazzo saresti?!» sbottò senza nemmeno riflettere.

L'altro non sembrò scomporsi più di tanto mantenendo la corazza da duro che aveva faticato per mettere su appositamente per quell'incontro. Fece solo una leggera ed impercettibile smorfia di disapprovazione al suono di quella parolaccia e riprese impassibile. «Non importa chi sono, io rivoglio la mia lettera. So che ce l'hai tu perché... beh, perché ho sbagliato armadietto. Non sei tu il destinatario, quindi ti prego di restituirmela e di dimenticare l'accaduto.» asserì Hayden rimanendo serio e deciso.

Dean non ci poteva credere. 

C'erano troppe cose che gli avevano dato fastidio in soli cinque secondi di conversazione e due scambi di battute. Primo: come accidenti si permetteva quello di andare lì da lui e dargli ordini!? Secondo: ma che razza di lingua parlava? "Dimenticare l'accaduto"? Che cos'era un dizionario ambulante!? Terzo: come non importava chi era? Importava eccome invece! Era solo il tizio che stava cercando da quando aveva letto il biglietto! Quarto: perché diavolo doveva essere un lui e pure sfigato cronico!?

«Ero pronto ad aspettarmi di tutto, tranne che fossi un ragazzo.» brontolò deluso e forse anche annoiato «E poi, semplicemente, non credevo che il mittente fosse così stupido da presentarsi addirittura di persona dopo aver fatto una figura di merda così eclatante.» sputò sincero cercando in tutti i modi di metterlo in difficoltà, giocando con lui come avrebbe voluto fare fin dall'inizio.

«Era l'unico modo che avevo per recuperare quello che mi appartiene. Saresti così gentile da ridarmela?» ribadì Hayden stanco di dover ripetere la stessa frase.

Dean sogghignò beffardo. Lui gentile? Ma dove viveva quell'esserino!? «Ti correggo: non ti appartiene più da quando hai deciso di consegnarmela.» In un attimo aveva visto la voglia di sfotterlo e torturarlo accendersi. E come poteva essere altrimenti se ora non solo sapeva chi effettivamente fosse l'autore del biglietto, ma avesse appurato anche che era il soggetto che meglio si prestava a queste cose!?

«Non te l'ho consegnata! È stato un incidente!» si alterò il moretto «Ti sto chiedendo per favore di restituirmela, v-visto che non dovrebbe neanche importartene granché... n-non è per te.» precisò sentendo la determinazione scemare a mano a mano sotto le occhiatacce del suo interlocutore.

Dean si alzò in piedi avvicinandoglisi di qualche passo con un'espressione oltremodo seccata stampata in viso. Quelle ultime parole gli avevano dato ancora più fastidio di tutto il resto.

«Fossi stato in te, io me ne sarei stato zitto e buono negando fino alla morte di avere qualcosa a che vedere con tutto questo. Ma visto che sono curioso, ho solo una domanda: perché ci tieni così tanto a riaverla?» si era dimenticato per un secondo della stizza e del fatto che stava dando udienza ad un moccioso qualunque.

«Perché é personale e intima.» spiegò con semplicità Hayden. «Quelle parole sono per una persona speciale e non mi piace l'idea che sia finita nelle mani di qualcuno che finirà solo per riderci su.»

Dean inarcò un sopracciglio puntando un indice contro sé stesso. «Quel qualcuno sarei io?»

Hayden roteò gli occhi alterato. «Mi pare ovvio!»

«Beh, se ti fa stare meglio io non ci ho riso su, anzi.» replicò spiazzando completamente il più piccolo.

«Allora l'hai davvero letta...» constatò l'altro rammaricato, avvampando il secondo dopo. «Quindi me la restituirai?» viste le premesse sperava ancora in una risposta affermativa.

«Ma sei veramente scemo!?» rise sardonico «Perché dovrei farlo, quando ho la possibilità di divulgare quel bel pensierino con in allegato una tua foto e divertirmi a sfotterti tutto l'anno?»

Hayden si bloccò sul posto come congelato. Aveva creduto sul serio di poter fare due chiacchiere civili proprio con Dean? Aveva sul serio pensato che avrebbe desistito dal prenderlo in giro per il suo bene? Che gli aveva suggerito il cervello!?

«Per favore non farlo.» lo supplicò con un filo di voce. «Posso accettare di tutto: prese in giro; offese; quello che vuoi, ma non questo. Per favore non rendere pubblica la lettera.» aggiunse sentendo gli occhi farsi umidi.

Dean lo guardò insistentemente per degli interi secondi, decidendo cosa fare sentendosi ora di nuovo inspiegabilmente incerto.

«Se questo foglio significa così tanto per te, mi spieghi come accidenti hai fatto a consegnarlo alla persona sbagliata!? Voglio dire... azzeccare un armadietto non mi sembra un'impresa così impossibile.» lo sfotté di nuovo.

Hayden prese a torturarsi entrambe le mani strofinandole fra loro, sentendosi effettivamente un incapace. «In realtà... sono giorni che ci provo.» ammise «Non ho mai trovato il coraggio perché...»

«Perché sai perfettamente che conciato così non hai nemmeno una mezza remota possibilità di poter combinare qualcosa con Brandon.» concluse Dean al posto suo con fare ovvio.

«Potresti anche essere un po' più delicato!» lo ammonì l'altro offeso.

Dean fece spallucce. «E perché dovrei, è la verità.» rispose di nuovo arcigno.

Hayden si sentì precipitare. Era stato davvero stupido da parte sua farsi avanti, farsi vedere in volto e sperare nella compassione di un essere che probabilmente un cuore non l'aveva nemmeno. E ora si apprestava a pagarne le conseguenze, ormai indietro non si poteva andare.

Si sforzò di ignorare anche quell'offesa gratuita tornando a fronteggiare il ragazzo, convinto a non andarsene prima di aver ottenuto quello che voleva.

«D'accordo, senti... sono disposto a fare qualsiasi cosa, ma ti prego: ridammi quel foglio.»

Dean avvertì di nuovo uno strano e fastidioso prurito spandersi nelle vene.

Non riusciva a concepire nemmeno come ci fosse arrivato a quel punto. Il Dean di sempre se ne sarebbe sbattuto fin dall'inizio liquidando la questione con un'offesa umiliante che avrebbe fatto scappare chiunque a gambe levate, anzi, non l'avrebbe nemmeno fatto iniziare a parlare. Eppure quel ragazzino doveva essere davvero disperato per aver deciso di provare a sostenere un confronto faccia a faccia con lui sperando di uscirne vittorioso. Non capiva davvero perché lo stesse facendo, non poteva sul serio essere tutta colpa di quella lettera.

«Ok allora. Se proprio ci tieni così tanto a riavere questo foglietto...» sentenziò estraendolo dal portafoglio con una faccia non molto rassicurante «Beh, credo proprio che dovrai sudartelo...» concluse battendosi un indice sulle labbra pensieroso.

Hayden chiuse gli occhi inspirando allargando poi le braccia come a dire che non ci poteva fare niente. «Ok, v-va bene. Qualsiasi cosa.» ripeté stentando a credere di essere riuscito a venire a patti col diavolo, sentendo inevitabilmente la sua sicurezza iniziale vacillare.

Dean sorrise di nuovo. «Qualsiasi cosa?» domandò a conferma.

L'altro annuì soltanto stringendo fra le mani i lembi della felpa troppo larga.

«Ottimo. Allora direi che il mio silenzio e la tua sopravvivenza dipendono solo da te a questo punto. Per il prossimo periodo non precisato di tempo mi aspetto la tua totale e completa disponibilità nei miei confronti... per qualsiasi cosa.» sottolineò scandendo a dovere sillaba dopo sillaba.

Hayden non disse niente. Restò muto con i denti affondati nelle labbra che stava torturando da quando quella conversazione si era trasformata in un teatrino dell'assurdo.

Lui rivoleva solo indietro quello che gli apparteneva e rimediare alla stupidaggine che aveva commesso, niente di più! Come ci era finito a negoziare con Dean Collins non lo sapeva nemmeno lui. Era forse una trappola? Poteva fidarsi sul serio? Ma soprattutto, perché nonostante avesse avuto tutto il tempo per farlo, Dean non aveva spifferato ai quattro venti di quella - come la aveva definita lui - figura di merda eclatante?

«Se non ti sta bene quello che ti offro, puoi sempre andartene... ma non garantisco che saprò tenere tutto questo per me.» si premurò di aggiungere Dean non sentendo arrivare nessuna risposta.

Hayden alzò il capo guardandolo negli occhi scuri «D'accordo, d'accordo. Accetto.» sbuffò esasperato sentendosi come un animale appena messo in gabbia.

«Benissimo, allora siamo a posto. Ah, e giusto per cominciare... tirati immediatamente via quella felpa, non riesco nemmeno a guardarti. Sei così anonimo che anche i piccioni si rifiuterebbero di cagarti addosso e già che ci sei... ricordami come ti chiami.»

Hayden sospirò affranto domandandosi cosa lo avesse realmente spinto ad accettare quell'accordo assurdo e se ne valesse sul serio la pena. Vero era che non avrebbe avuto probabilmente nessun'altra occasione per impedire a Dean di rovinargli l'esistenza.

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Capitolo 3
*** 3 ***


3

+¨++¨++¨+

DEAR FRIEND,

WELCOME TO THE GAME OF MASTER AND SERVANT



Dean se ne stava seduto al tavolo della sua caffetteria preferita con la faccia, tremendamente annoiata, poggiata sui palmi delle mani, mentre aspettava di vedere Hayden, o come diavolo si chiamava, arrivare. Lo aveva telefonato solo poco prima per dargli appuntamento ed essendo solamente le nove di domenica mattina, non poteva nemmeno biasimarlo troppo per quel ritardo mostruoso. Non capiva ancora fino in fondo cosa lo avesse spinto ad accettare quel compromesso che lui, in partenza, non aveva alcuna intenzione di rispettare, costringendo sé stesso – tra l'altro controvoglia – a dover avere a che fare con un altro essere umano.

Forse lì per lì aveva pensato che fosse una buona idea ricattare quel disastro con le gambe per farlo diventare il suo schiavetto personale, un modo alternativo alle umiliazioni pubbliche, ma altrettanto divertente; un passatempo meschino di quelli che piacevano a lui, però la verità era che non aveva la più pallida idea di come quel marmocchio potesse anche solo lontanamente rendersi utile ai suoi scopi. Forse invece era stata semplicemente la determinazione che Hayden aveva dimostrato ad incuriosirlo o, forse, ancora vibrava la necessità di scoprire qualcosa in più sull'autore di quella lettera che continuava a martellargli il cervello. Per la prima volta in vita sua, pensava di provare seriamente un insensato interesse per qualcuno che non fosse lui stesso. Fatto stava che ormai si era trascinato da solo in quel ballo e, seppure gli costava parecchio ammetterlo, voleva vedere fin dove sarebbe arrivato e cosa ne sarebbe venuto fuori.

Dovette comunque aspettare altri dieci minuti buoni prima di sentire la campanella del locale tintinnare e osservare quello spaventapasseri affacciarsi nel locale muovendo la testa a destra e a manca per cercarlo. Dean inarcò entrambe le sopracciglia sbuffando, coprendosi contemporaneamente il volto con una mano, mentre in faccia gli si dipingeva un'espressione che urlava “perché proprio a me!?”. Aveva quasi vergogna di fargli segno affinché si avvicinasse al tavolo. Più lo guardava e più non riusciva a concepire come certa gente fosse del tutto carente di quello che si definisce senso estetico. Hayden oltre a essere decisamente troppo magro per i suoi gusti, aveva sempre una certa aura troppo... imbranata ad aleggiargli intorno, il che serviva solo a mettere di più in risalto tutto ciò che proprio non andava. Non capiva sul serio come facesse ad andare in giro con quei vestiti così indescrivibili e scialbi, accozzati insieme senza un minimo di logica. Nemmeno se avessero chiesto a qualcuno di bendarsi e pescare abiti a caso dall'armadio questo sarebbe riuscito a replicare quel miscuglio informe e abbondante di almeno tre taglie! Poi quegli occhiali così ingombranti e quei capelli che non andavano di moda nemmeno negli anni di sperimentazione più feroce erano quello che lui amava definire un pugno in un occhio. Ultimo, ma non da meno, la parlata era un disastro. Troppo aulica, forbita e intelligente. Chi mai gli si sarebbe avvicinato se metà della popolazione manco capiva quello che diceva? Figuriamoci farci un discorso e Dean poteva già sentire il mal di testa aumentare di intensità.

Violentando sé stesso agitò una mano attirando l'attenzione del ragazzino, vedendolo avvicinarsi con fare quasi scocciato... quando teoricamente quello scocciato doveva essere lui! Lo vide sederglisi proprio di fronte con faccia interrogativa e l'aria di chi doveva ancora svegliarsi del tutto.

«Ciao.» biascicò Hayden ancora assonnato, afflosciandosi letteralmente sulla seduta.

«Buongiorno!» rispose energico l'altro, ridacchiando leggermente soddisfatto di vederlo ridotto in quello stato.

Dopo un breve momento di silenzio imbarazzante, il più piccolo alzò gli occhi in quelli di Dean, sbadigliando e decidendosi finalmente a chiedere il motivo per il quale era stato tirato giù dal letto all'alba di quella che doveva essere una tranquillissima domenica mattina. «Ok... beh, ti dispiacerebbe illuminarmi sul perché siamo qui?»

«Innanzitutto perché tu mi offra la colazione.» asserì il castano tranquillo, facendo sgranare gli occhi di Hayden «secondo, perché dobbiamo andare ad allenarci.» espose con un sorrisino per nulla amichevole.

«A-allenarci?» ripeté l'altro frastornato, accantonando momentaneamente il discorso colazione. «P-perché devo venire anche io ad allenarmi con te!?» sbottò non capendo che utilità potesse mai avere lui.

«Sai, per essere un cervellone fai domande davvero stupide...» osservò Dean, attirando poi l'attenzione di una cameriera per ordinare.

Hayden storse il naso infastidito. «Beh, scusami se non capisco cosa potrei fare io su una pista ghiacciata! E poi, chi ti ha detto che sono un cervellone!?»

«Ti sei visto?» replicò l'altro squadrandolo dall'alto in basso.

«Ti stai basando su uno stereotipo.» precisò offeso.

«Non è colpa mia se tu incarni uno stereotipo.» gli fece il verso, distraendosi poi per dare udienza alla cameriera. «E comunque...» riprese «vedrai da solo come renderti utile.»

Hayden curvò le spalle sospirando, maledicendo già il giorno in cui si era cacciato in tutto quel pasticcio. Non pensava minimamente che Dean potesse prendere così seriamente quella sottospecie di patto che avevano stipulato... o meglio, che lui non aveva avuto altra scelta se non accettare.

«Ah, tra l'altro, riflettendoci non hai ancora risposto come si deve alla mia domanda...» se ne uscì Dean mescolando la sua tazza di caffè appena servita «per quale assurdo motivo non hai lasciato perdere la faccenda, nascondendoti dietro l'anonimato della lettera invece di venire a farti vedere in faccia da me?» Sicuro non era stata una mossa furba da parte sua.

«B-beh...» balbettò l'altro colpito dalla durezza e dall'acume di quella domanda che non si aspettava potesse essere riproposta «In realtà me lo chiedo anche io...» ammise. «Il fatto è che credevo, anzi, speravo fossi una persona comprensiva e umana in fondo e che capissi che si era trattato di un incidente e che quindi lasciassi perdere?»

«Me lo stai chiedendo o è un'affermazione la tua!?» lo sfotté da dietro la sua tazza, sorridendo per quel cambio di verbo.

«Probabilmente entrambi. In ogni caso non ci ho visto poi così male, anche se mi stai ricattando, mi hai comunque dato la tua parola che non avresti detto a nessuno della vicenda.»

Dean represse un'ennesima risatina di scherno che nacque spontanea. Come poteva essere così ingenuo quel ragazzino? Sul serio credeva che si sarebbe tenuto quella chicca per sé? Stava solo aspettando di godersi un po' quel periodo di sfruttamento gratuito e una volta che si fosse rotto le palle di averlo accanto lo avrebbe cacciato a pedate nel culo e spifferato a tutto il mondo della sua sfigataggine innata.

«Non ti sfiora nemmeno lontanamente l'idea che potrei anche avere altri piani? Non so... per esempio che ti stia ingannando?» domandò facendosi serio.

Hayden sospirò di nuovo facendo spallucce. «Certo che sì.» replicò. «Non sono stupido, almeno non fino a questo punto...»

«Ma?» lo esortò Dean, sapendo che c'era un ma.

«Ma per ora spero ancora che tu possa cambiare idea e... in realtà non è che abbia molte altre alternative al momento.» spiegò lucidamente.

Dean annuì un paio di volte distogliendo lo sguardo, sorpreso da tutta la fiducia che quel ragazzino stava continuando a riporre in lui. «Vero anche questo.» concordò alla fine chiudendo la faccenda.

 

Il palaghiaccio dove Dean aveva trascinato Hayden era praticamente vuoto. Non c'era anima viva fatta eccezione per il custode e, adesso, loro. Non era la solita struttura che la squadra usava per gli allenamenti di routine e per le partite, quella era almeno quattro volte più grande e distava coerentemente quattro volte di più. Quel palazzetto ospitava invece la pista vecchia, usata parecchi anni addietro e che aveva resistito offrendo corsi di pattinaggio sia per giovanissimi che per adolescenti a prezzi decisamente più abbordabili. A quanto aveva capito Hayden però, Dean ci andava ogni santissimo fine settimana per fare pratica, tanto che il custode era parecchio tentato dall'idea di lasciargli una copia di chiavi, visto che oramai si conoscevano da anni.

«Wow!» esclamò il più piccolo appena ebbe messo piede nella sala che ospitava il terreno ghiacciato «Non ero mai entrato qui dentro.» lui e lo sport non avevano poi un così bel rapporto.

«Hai una pista praticamente sotto casa e non sei mai venuto a fare un giro?» domandò l'altro incredulo. Il ragazzino si strinse nelle spalle scuotendo il capo, vedendo Dean armeggiare con qualche cono e qualche asta che intendeva usare come ostacoli. «Non ho mai avuto dei buoni motivi per farlo.»

«Oh, invece ce l'avresti avuto, credimi!» rise l'altro «Con me di solito viene sempre anche Brandon... ti sei perso parecchie occasioni per guardarlo da vicino... intendo oltre a tutte le partite a cui venivi.»

Hayden si accese di imbarazzo, guardandolo malissimo, realizzando in un attimo che effettivamente Dean Collins aveva sul serio letto la sua lettera. «B-beh, pazienza!» sbottò «E poi scusa, ma come fai a sapere che venivo a vedere tutte le partite?» sviò.

«Ogni tanto capita anche a noi giocatori di darci un'occhiata intorno.»

Il ragazzino aggrottò le sopracciglia. «E ti ricordi sul serio di me!?»

Dean mascherò il principio di una risata con un fintissimo colpo di tosse. «Sai, non è facile dimenticarsi di qualcuno così...» avrebbe voluto aggiungere – con termini più rozzi e volgari – qualcosa di simile a “dall'aspetto-estremamente-particolare”, ma il broncio di Hayden lo convinse che il messaggio era stato comunque recepito.

«Sfoggi sempre questa sensibilità e questo tatto da gentiluomo con tutti?» lo rimbeccò il moretto, sistemandosi la maglia senza neanche pensarci.

Dean si limitò a fare spallucce, prima di appioppare tutto l'occorrente per preparare la pista fra le braccia di Hayden che rimase sorpreso e spaventato allo stesso tempo.

«Non avrai sul serio intenzione di farmi mettere piede lì dentro vero?» domandò quest'ultimo preoccupato indicando la pista ghiacciata, ricevendo in risposta solo uno sguardo serio che non ammetteva obiezioni.

 


 

 




Una settimana.

Una settimana era passata da quell'assurdo pomeriggio in cui Hayden aveva partorito l'idea più stupida e inutile che il cervello avesse potuto propinargli e che lo aveva spinto ad accettare di venire bistrattato da un dittatore senza cuore che non perdeva nemmeno mezza occasione per farlo correre a destra e a sinistra anche per la più stupida delle questioni. E in tutto questo ancora si chiedeva come avesse fatto a essere così idiota da arrivare a combinare tutto quello.

Dopo la mattinata passata a farsi massacrare, Hayden aveva pienamente confermato che Dean Collins fosse effettivamente l'incarnazione del demonio e lui solo una povera vittima sacrificale. Era tornato a casa ammaccato peggio di una lattina di coca-cola finita e con la voglia di non muovere più nemmeno un muscolo. Incurante del fatto che non sapesse nemmeno stare in piedi sul ghiaccio, Dean lo aveva comunque fatto trottolare avanti e indietro per il campo usandolo ora come raccatta-puck, ora come ostacolo umano e ora come schiavetto pronto a spostare coni, aste e quant'altro ad ogni suo schiocco di dita. Era caduto più di venti volte contate e ad ogni occasione in cui le sue ginocchia o il suo povero fondo schiena avevano salutato da vicino la superficie liscia, Dean se la rideva incurante e nemmeno si scomodava per andare ad aiutarlo. Eppure se Hayden già era arrivato al limite di sopportazione, l'altro invece aveva appena cominciato a prenderci gusto, scoprendo quanto in fondo la sua non fosse stata poi una così pessima trovata.

Ogni tanto il ragazzino pensava seriamente di mandare Dean a farsi benedire, ma poi soppesava le torture alle quali veniva sottoposto adesso e quelle a cui sarebbe stato sottoposto una volta rivelata la stupidaggine che aveva avuto idea di realizzare e giungeva sempre alla conclusione che era meglio non fare altri danni e che era sempre più saggio scegliere il male minore.

In fin dei conti, almeno a scuola, poteva godersi un po' di santa pace visto che Dean sembrava non considerarlo nemmeno – a parte qualche sporadico episodio in cui di nascosto quest'ultimo scaricava su Hayden le incombenze che non aveva voglia di svolgere – e a conti fatti la cosa gli faceva solo che piacere. Nessuno doveva venire a sapere di quella macchinazione e Dean certo non ci avrebbe guadagnato niente a farsi vedere in giro con lui. In più almeno per il momento il segreto sembrava essere ancora tale e Hayden era assolutamente intenzionato a non fare nulla di stupido per il quale quel pazzo lunatico con la mania di dare ordini potesse rivelarlo.

Per questo, anche quel pomeriggio, si era ritrovato rinchiuso in camera del suo aguzzino con il viso affondato fra le pagine del libro di algebra, preparandosi a dover spiegare a quel ragazzo con la voglia di imparare più bassa che si fosse mai vista, quel minimo qualcosa di indispensabile per fargli passare il compito.

«Partiamo dal presupposto che non so nemmeno cosa voglia dire la parola “funzione algebrica”...» sottolineò Dean, giocherellando con la matita che aveva in mano, non riuscendo a trovare neanche un briciolo di forza per concentrarsi.

Hayden sbuffò di nuovo, tirando su gli occhiali, facendo appello a tutta la sua pazienza. «Intanto sono due parole e non una e poi, se mi stessi ad ascoltare, lo sapresti già visto che lo sto ripetendo da almeno dieci minuti!» brontolò, strappando di mano la matita all'altro ragazzo.

«Ehi!» lo riprese quest'ultimo, come un bambino a cui tolgono il giocattolo preferito «Ti correggo: stai blaterando cose senza senso da dieci minuti, per questo non ti ascolto. Credevo che da cervellone quale sei fossi un bravo insegnante, ma evidentemente mi sbagliavo!»

«Non sono cose senza senso è la definizione che fornisce il libro, ovvero quella che dovresti sforzarti di comprendere e imparare a memoria, asino! E comunque, non sono un cattivo insegnante, sei tu ad essere un pessimo studente!» replicò stizzito il ragazzino, tornando a puntare il dito nello stesso punto della stessa pagina.

«Sbaglio o mi hai dato dell'asino?» insistette l'altro, facendo spazientire ancora di più il più piccolo.

«No, non sbagli.» replicò tranquillamente sostenendone lo sguardo.

«Dovresti stare più attento a quello che dici...» osservò Dean alla mo' di monito.

«E tu dovresti smetterla di divagare e prestare un po' più di attenzione a quello che stiamo facendo!»

L'altro alzò gli occhi al cielo, tornando a recuperare la sua matita sequestrata, sforzandosi davvero tanto per cercare di seguire anche solo mezza frase di quello che il suo insegnante stava spiegando.

Solo che se per miracolo era arrivato a capire come determinare il dominio di una funzione, per tutto il resto a seguire il suo cervello si era categoricamente rifiutato di andare in suo soccorso, con il solo risultato di farlo alterare.

«È inutile, la matematica e io viaggiamo su due binari completamente diversi!» sbottò chiudendo il libro sotto al naso di Hayden e buttandosi all'indietro sullo schienale, reclinando la testa.

Dopo un primo attimo in cui la voglia di prenderlo a schiaffi vinceva su tutto, il più piccolo con calma riaprì il libro alla pagina su cui si stavano concentrando, non credendo al fatto che avesse sul serio così tanta voglia di aiutarlo. «È solo che stai pensando a tutto, tranne che a quello che hai davanti agli occhi.» lo blandì con voce tranquilla.

L'altro aprì un occhio per guardarlo, alzando un sopracciglio confuso. «Sei gentile a volermi tirare su il morale a tutti i costi, ma credo che sia solo una inutile perdita di tempo.» asserì tornando a guardare il soffitto.

«Perché allora mi hai chiesto... pardon, obbligato ad aiutarti se poi getti la spugna così presto?»

«Non è gettare la spugna, è solo che so di non avere speranze per...» si bloccò.

«Per?» insistette l'altro.

Dean indugiò un secondo, valutando se fosse una buona idea o meno rivelargli le sue motivazioni. Probabilmente avrebbe finito col farsi ridere dietro, come era già accaduto quando ne aveva parlato con la sua famiglia, però Hayden non gli sembrava il tipo a cui piaceva ridicolizzare le scelte altrui e, più che altro, nemmeno lui era nella posizione giusta per poter ridere degli altri.

«Per ottenere la borsa di studio.» confessò quindi, quasi in un mormorio.

Hayden sgranò leggermente gli occhi sorpreso, non aspettandosi una simile uscita proprio da Dean. Effettivamente gli era sembrato ancora più strano che qualcuno come lui lo avesse obbligato a dargli ripetizioni praticamente ogni pomeriggio che aveva libero dagli allenamenti, su qualsiasi cosa non gli fosse chiara. Dean non rientrava esattamente nel prototipo di ragazzo diligente che Hayden aveva in mente. «Oh.» rispose infine, dopo un attimo di silenzio.

«Già, oh. Non avresti mai detto che uno come me si interessa di queste cose...» constatò amaramente.

Hayden tacque, non potendo negare.

«Se voglio avere qualche speranza di entrare al college e iniziare a giocare da professionista devo assolutamente riuscire a guadagnarmene una e per farlo dovrei come minimo avere una buona media in tutte le materie, cosa che attualmente mi è impossibile.» spiegò, tornando a far scorrere la matita fra le dita, in un movimento quasi ipnotico.

«Credevo che gli sportivi avessero altri vantaggi.»

«Magari tempo fa. Le società sportive hanno iniziato ad essere più selettive e a premiare solo gli studenti veramente meritevoli. Il college per cui ho intenzione di fare domanda ha una concorrenza davvero tosta e... al momento forse arriverei a piazzarmi fra i primi venti.» puntualizzò.

«E senza borsa di studio non potresti...»

«No. Non voglio gravare sulla mia famiglia per questo, non voglio sentirmelo rinfacciare un domani.» lo stroncò brusco, non avendo la minima intenzione di affrontare l'argomento.

«Capisco.» sospirò l'altro, tornando per l'ennesima volta a strappare la matita da mano a Dean che rimase a fissarlo interdetto. «Bene, allora smettila di continuare a pensare che vorresti essere da tutt'altra parte e inizia a starmi a sentire seriamente. Non ti permetterò più di prendere nemmeno una singola insufficienza da oggi in poi chiaro?! Ne va anche del mio orgoglio di insegnante improvvisato.»

Dean ridacchiò scuotendo il capo. «Mi stai sul serio dando ordini? Ancora?»

«Certo che sì. E già che ci sei, cerca di velocizzare i tempi di apprendimento... per le sei devo essere a casa.» aggiunse quasi in imbarazzo.

«Hai il coprifuoco!?» lo sfotté l'altro allibito.

«N-no! È solo che... che ho altre cose da fare!» dissimulò mentendo malamente.

Dean scoppiò a ridere definitivamente, divertito almeno questa volta. «Oh, certo... naturale!»

«Smettila subito.» si impose l'altro ormai color ciliegia.

«Sei un tipo strano Hayden, davvero davvero strano.»

 

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4

+¨++¨++¨+

DEAR FRIEND,

IS THAT WHAT THEY CALL 'BEING CLOSE TO SOMEONE'?



Altre due settimane, sommate alla precedente, erano passate senza che Dean concedesse la minima tregua a Hayden il quale, soprattutto nell'ultimo periodo, rischiava un crollo emotivo ed una crisi di nervi da fare invidia.

Evidentemente a quel demonio in terra non bastava solo il tenerlo in pugno ricordandogli del loro "contratto" ogni tre secondi, o il semplice fatto che lui lo stesse aiutando ad alzare la sua media scolastica senza retribuzione, o anche che ultimamente fosse diventato il suo pupazzetto-da-tartassare-sulla-pista-da-hockey preferito e schiavetto a tempo indeterminato, ma doveva – ovviamente – anche pretendere che Hayden assecondasse tutti i suoi capricci più folli.

Ad esempio, il moretto non capiva assolutamente per quale stranissimo e assurdo motivo dovesse accompagnarlo proprio lui a comprare un paio di jeans al centro commerciale! Dean gli aveva fatto capire in tutte le salse che non approvava il suo gusto nel vestire e sinceramente non capiva cosa se ne facesse di portarselo appresso. Riflettendoci meglio invece era arrivato alla conclusione che probabilmente voleva solo rompergli le scatole e impedirgli di godersi un sabato pomeriggio all'insegna del relax. In fin dei conti Hayden non ricordava nemmeno più quando fosse stata l'ultima volta in cui era riuscito a dedicarsi un po' ai suoi hobby invece di dover fare da balia a quello squinternato.

Sospirò angosciato leggendo il messaggio che Dean gli aveva appena mandato in cui lo informava di essere arrivato sotto casa sua; si guardò un'ultima volta allo specchio aggiustando gli occhiali sul nasino poi, sospirando di nuovo, decise di lasciar perdere e si avviò giù dalle scale con l'aria più sconsolata che avesse mai potuto mettere su.

Aprì la portiera dell'auto e si sedette al posto del passeggero avvilito guardando Dean osservarlo con un sopracciglio inarcato. «Non si saluta nemmeno più?» domandò quest'ultimo prima di partire.

Hayden non aprì bocca. Sventolò stancamente la mano avanti e indietro alla mo' di saluto facendo poi ricadere l'arto inerme sulla coscia.

«Ti hanno tagliato la lingua nel sonno? Non che mi dispiaccia, sia chiaro.» lo apostrofò il più grande lanciandogli un'occhiata di sottecchi.

«Sul serio, perché devo venire anche io?» sbottò invece Hayden guardando la strada davanti a sé ignorando il fatto che per la prima volta il castano si stesse dimostrando più amichevole del solito.

«La fai sembrare una marcia al patibolo.» replicò divertito. «Sto contravvenendo a tutti i miei principi etici e ti sto portando a fare un giro, semmai dovresti essermi profondamente riconoscente.» asserì con tono di finta superiorità stuzzicandolo.

Hayden si girò di fianco per guardarne il profilo con una faccia che urlava "ma sei serio?", mentre l'altro si distraeva giusto due secondi per interpretare quella smorfia che trovò solo molto spassosa. «Non guardarmi così. Se non esci mai di casa finirai per ammuffirti.» continuò a sfotterlo ignorando tutti gli istinti omicidi che il passeggero stava esternando.

«Davvero!?» sbottò l'altro «Se vuoi fingo di essere scemo e di conseguenza di credere a questo tuo sfogo di bontà, altrimenti passo a spiegarti quello che penso davvero e cioè che tu voglia solo qualcuno a cui appioppare le buste, sempre che tu non voglia anche farmi provare tutto il negozio solo per puro divertimento!» si sfogò infervorandosi più del necessario, tanto che l'altro dopo un paio di secondi in cui provò a restare serio, scoppiò a ridergli in faccia fino quasi a lacrimare.

«Oddio... s-sei... esilarante!» biascicò Dean fra una risata e l'altra, mentre Hayden poggiava un gomito sulla portiera tenendosi la testa con la mano arrossendo violentemente. «Devo ammettere che l'idea non mi aveva sfiorato neanche lontanamente, ma grazie per esserti proposto allora!» esclamò continuando a ridere.

Hayden emise una specie di ringhio frustrato acquietandosi sul sedile constatando che non era proprio in grado di non tirarsi la zappa sui piedi almeno una volta.

 

Almeno su una cosa però, stranamente, Dean aveva ragione: uscire un po' di casa per svagarsi era davvero quello che serviva a Hayden. Negli ultimi giorni lo aveva visto più sottotono rispetto al solito e si era convinto di dover fare qualcosa a riguardo perché un Hayden poco vispo e reattivo, a detta sua, non era divertente da tormentare e prendere in giro. E poi quella, sempre a detta sua, non si poteva nemmeno considerare un'uscita fra amici, anche perché lui e quel piccoletto erano tutto tranne che in confidenza! Tra l'altro non riusciva ancora a capire dove avesse trovato il coraggio di portarselo dietro conciato a quel modo, solo che almeno in quest'occasione aveva desistito dal commentare con una cattiveria gratuita che avrebbe solo rovinato lo scopo di quella faticata. Non poteva sul serio creder che si stesse seriamente occupando della felicità di un altro individuo.

Prese un'altra maglia dallo scaffale e la gettò, senza particolare garbo, fra le braccia di Hayden già coperte da un altro cambio di vestiti. Poi si girò a guardarlo ammiccando sorridente. «Allora... sei pronto a sfilare?»

L'altro lo guardò quasi implorante scuotendo il capo più volte, pregandolo implicitamente di desistere, ma tanto fu tutto inutile. Si ritrovò praticamente spinto dentro un camerino con il primo abbinamento fra le braccia e la tendina già tirata. Rassegnato ormai come sempre, iniziò a spogliarsi lentamente piegando con cura i suoi vestiti e iniziando ad armeggiare con i nuovi, guardandone l'etichetta rimanendo confuso.

«Sei a conoscenza vero che non abbiamo la stessa taglia?» domandò indossando i capi ugualmente.

«Certo che lo so.» replicò Dean da fuori stando poggiato con le spalle al muro, spiando curioso all'interno della stanzetta da una fessura.

«E allora mi chiedo: se sei tu a doverti comprare da vestire, perché hai preso tutto a mia misura?»

«Perché mi stufo di cambiarmi di continuo... è snervante.» rispose in modo ovvio «E poi tanto se stanno bene a te vuol dire che di sicuro staranno benissimo anche a me!» aggiunse sornione.

«Questa era davvero cattiva!» lo rimbrottò l'altro infilando la maglia imbronciato.

«Sì, sì... avanti, muovi il culo e vieni fuori. Non ho tutto il pomeriggio.»

Hayden allacciò il bottone dei jeans tirando su la zip. «Ah no? Io sì invece!» replicò piccato facendo roteare gli occhi al più grande. «Meglio così visto che la tua presenza è richiesta anche dove dobbiamo andare dopo.»

Hayden blaterò qualcosa di incomprensibile a risposta e titubante scostò la tendina muovendo un passo fuori. «Ti prego... è imbarazzante!» si lamentò poi pentendosi ancora una volta di aver parlato a vanvera.

«Oh no, figurati... ho visto di peggio!» continuò a sfottere Dean incurante squadrando il ragazzino da capo a piedi.

Hayden aprì la bocca per lanciargli contro un'offesa, ma la richiuse sentendosi incredibilmente e improvvisamente a disagio. Osservò la sua immagine riflessa nello specchio alle spalle di Dean e istintivamente incrociò di nuovo le braccia al petto, come a volersi coprire. Non era abituato a portare maglie che non gli ricadessero addosso abbondanti, figuriamoci se si trattava di pantaloni!

«C'è solo una cosa che non mi convince.» asserì Dean riportandolo alla realtà, arricciando il naso. Poi, con una strana espressione, si staccò dal muro andando incontro a Hayden allungando le mani verso il suo viso. Prima gli sfilò gli occhiali in un movimento fluido che lasciò l'altro un po' perplesso e spaesato per poi arruffargli i capelli sistemandoli sparpagliati sulla fronte.

«Ecco, ora sì che fatico a riconoscerti!» esclamò poi sorpreso da quanto effettivamente fosse bastato così poco per renderlo completamente diverso e, se non fosse stato che per sua indole non si sarebbe mai complimentato con qualcun altro, avrebbe anche ammesso che in fondo era pure abbastanza decente.

Hayden avvampò nel giro di due secondi facendo cautamente mezzo passo in dietro, mentre Dean continuava a fissarlo in silenzio.

«Bene, direi che dopo essermi tolto questo mio sfizio personale possiamo passare alle questioni serie.» aggiunse alla fine il più grande sgretolando l'atmosfera serena e tranquilla in miliardi di pezzettini.

Hayden lo incenerì con lo sguardo, che senza occhiali non sapeva nemmeno dove puntare con precisione, tornando a risistemare i capelli com'erano prima. «S-sei un cretino! Lo sapevo che non dovevo fidarmi di te e ridammi gli occhiali!» sbottò allungando le mani davanti a sé alla cieca nel tentativo di prenderli.

 

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Per tutto il viaggio in macchina verso la misteriosa destinazione che Dean non aveva voluto rivelargli, Hayden aveva continuato a guardare la bustina poggiata sulle sue gambe proveniente dal negozio dal quale erano usciti poco prima. Già, perché lì dentro, oltre ai vestiti del ragazzo, c'era anche il completo che lui aveva provato poco prima e che si era visto regalare così inaspettatamente.

"Almeno adesso avrai qualcosa di umano addosso. Ero veramente stufo di portarti appresso conciato a quel modo!" gli aveva detto il più grande. Eppure, nonostante i modi scortesi Hayden non aveva potuto che sorprendersi di quel gesto e forse, molto in fondo, era arrivato ad apprezzare un po' di più la stravaganza di quell'individuo.

Nel corso degli anni si era costruito un'immagine ben precisa di Dean basata unicamente su quello che Dean stesso dava a vedere agli altri. Lo credeva solo un arrogante pallone gonfiato, rozzo, sgarbato, antipatico, megalomane e decisamente troppo conscio del fatto di essere un – purtroppo – bellissimo ragazzo, quando in realtà – oltre a tutte queste cose che comunque aveva avuto il piacere di vedere confermate – c'era fortunatamente anche dell'altro. A partire da quello spirito così combattivo che dimostrava nel voler a tutti i costi raggiungere il suo obiettivo, fino ad arrivare a quello sfogo sporadico di gratitudine che aveva appena esternato. Forse alla fine, sotto quei chilometri di sgarbataggine e sgradevolezza si nascondeva sul serio una persona come tutte le altre. E, sempre forse, alla fine la sua compagnia poteva anche risultare leggermente piacevole.

Quando però dal finestrino Hayden riuscì a scorgere una struttura fin troppo familiare, sgranò gli occhi quasi fino a farli uscire dalle orbite sentendo il cuore fermarsi per un istante. Guardò il profilo di Dean concentrato a mettere la freccia per girare e parcheggiare sperando si trattasse solo di un bruttissimo scherzo.

«È seriamente questo il posto dove hai intenzione di farmi buttare tutto il pomeriggio!?» sbottò indicando con l'indice il palaghiaccio, stracolmo di macchine e di gente, dove di solito si allenava la squadra di hockey. «No, ho guidato fin qui giusto per sprecare benzina.» sorrise lui sarcastico spegnendo il motore scendendo poi dalla vettura.

Hayden slacciò la cintura seguendolo. «D-devi allenarti ancora?» domandò timoroso.

«No, non oggi.» rispose tranquillo l'altro avviandosi verso l'entrata.

«E allora che ci facciamo qui di preciso?»

Dean sospirò. «Non è ovvio!? Ti insegno a pattinare. Sono stufo di vederti fare capitomboli ogni volta che sali in pista. Mi serve un aiutante reattivo, non un sacco di patate!»

Il moretto puntò i piedi a terra fermandosi. «Credo che passerò allora, grazie!» esclamò.

«Oh, oh, oh...» lo richiamò Dean fermandosi a sua volta e girandosi per guardarlo in faccia. «Non dirmi che te la fai sotto, cervellone.» lo provocò.

«Punto primo, ti ho detto di smetterla di chiamarmi così. Punto secondo... n-non ho paura, è solo che c'è troppa gente qui...» mormorò.

«Tranquillo, ormai a figure di merda sei messo benissimo, specialmente con me. Non è un problema.» se ne uscì l'altro, sempre con il suo solito tatto tranquillo e disarmante.

«Quando fai così giuro che mi fai salire alle stelle la voglia di prenderti a ceffoni!»

«Provaci, cervellone

«Smettilaaa!» cantilenò Hayden stufo seguendolo comunque fin dentro.

Dean allora gli posò una mano sulla spalla guardandolo con le labbra incurvate in un sorriso di sfida. «Facciamo così: se riesci a fare un giro di pista completo da solo, entro la fine della giornata, potrai darmi uno schiaffo.»

«Ma ti sei bevuto il cervello?!» sbottò Hayden allibito.

«Perché, non ti attira l'idea o hai pura di fallire?» continuò a provocarlo il maggiore sostenendone lo sguardo. Hayden assottigliò gli occhi in due fessure taglienti facendosi avanti. 

«D'accordo, accetto! Però quando ti brucerà la guancia non lamentarti!» lo ammonì severo deciso a fare di tutto pur di riuscire a stampare cinque belle dita sulla guancia di quel buffone.

Per tutta risposta Dean scoppiò a ridere avvicinandosi al bancone trascinando alla fine nell'euforia anche il più piccolo.

 

«Fammi capire bene, è così che avevi intenzione di conquistare Brandon?» sfotté Dean tenendo Hayden ben stretto alle braccia per non farlo cadere, mentre lo guidava pattinando all'indietro.

«Taci!» esclamò l'altro in risposta iniziando a diventare scarlatto.

«Sei sempre così suscettibile quando si parla di lui..» gli fece notare. Ogni volta che si nominava per sbaglio il biondo, Hayden iniziava a dare i numeri e Dean – ogni volta – si accigliava.

«Certo che sono suscettibile! E non vedo perché non dovrei visto che ogni volta che si inizia il discorso mi torna mente non solo il fatto che ho finito per fare la figuraccia più enorme che un individuo possa mai fare in tutta la sua vita, ma anche soprattutto che tu hai letto la mia lettera! E ogni volta che ci penso mi sento malissimo e, per di più, guarda anche a cosa mi ha portato tutto questo!» esternò tutto d'un fiato, senza pause, abbassando il capo in forte imbarazzo.

Dean rimase sinceramente spiazzato da quella risposta. Effettivamente in tutto quel tempo non aveva mai pensato che Hayden potesse sentirsi così in imbarazzo per il fatto che lui avesse letto la sua confessione, per il fatto che avesse profanato qualcosa di estremamente intimo. Credeva che tutto fosse solo dovuto solo alla paura che quella faccenda, compreso lo svelare chi fosse la sua cotta, diventasse di dominio pubblico. Comprendeva perché allora fosse sempre a disagio nel parlarne e, soprattutto, che non necessariamente c'entrasse per forza Brandon.

«Ok... hai ragione.» mormorò dopo qualche secondo di silenzio «scusa.» aggiunse.

Hayden alzò gli occhi cioccolato sul viso di Dean, dove alcuni ciuffi castani ricadevano danzando a destra e a sinistra, spinti dalla corrente che stavano alzando pattinando. «Non credo di aver sentito bene...» sussurrò quasi scioccato. Doveva per forza aver sentito male. In quella frase c'erano ben due cose che non andavano assolutamente: la prima era "hai ragione" e la seconda "scusa".

«Hai sentito benissimo invece e se credi che lo ripeterò stai fresco.» disse l'altro scocciato mollando la presa sulle sue braccia, allontanandosi di qualche metro.

Ormai nemmeno più lui riusciva a comprendere cosa gli passasse per la testa e cosa continuasse a spingerlo a cambiare atteggiamenti. Da quando in qua si comportava così? Da quando in qua si preoccupava per quello che poteva pensare o provare qualcun altro? Non era proprio da lui. Ultimamente si stava facendo influenzare troppo da Hayden e dalla sua dannatissima mania di essere sempre gentile con tutti finendo addirittura per chiedere scusa!

Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni scivolando noncurante sui pattini facendo slalom fra le troppe persone che saturavano la pista, guardando fisso il pavimento con la mente troppo occupata.

Si stava rincretinendo troppo appresso a quell'esserino e il fatto che ormai passasse praticamente quasi tutto il suo tempo a stretto contatto con lui non lo aiutava per niente. Eppure non trovava la forza di sbarazzarsene e di porre fine a quell'accordo. E, per la verità, era veramente troppo confuso perché non riusciva a spiegarsene il motivo nonostante volesse a tutti i costi autoconvincersi che si trattasse di pura e semplice comodità. Solo di una cosa si era reso conto con suo grande stupore: al pensiero di rispettare il suo piano iniziale e quindi di ridicolizzare Hayden spifferando della lettera, era arrivato persino a sentirsi un verme. E quella era un'altra cosa di cui non riusciva proprio a capacitarsi. Che diavolo gliene doveva importare a lui se avessero preso per il culo cervellone fino all'anno del suo diploma? Eppure era arrivato persino ad incazzarsi con sé stesso per il pensiero che lo aveva sfiorato. Stava davvero impazzendo e tutto per colpa di un ragazzino dal sorriso corredato di apparecchio e la mania per le felpone anti fascino.

Si riscosse dal torpore facendo dietro front giusto in tempo per vedere Hayden schiantarsi al suolo atterrando di sedere. Soffocò una risatina scuotendo il capo avvicinandosi e allungando una mano per aiutarlo a rialzarsi, ma l'altro lo guardò bieco, girando la testa di lato intenzionato a non accettare aiuti.

«Andiamo, non fare il bambino.» lo apostrofò accovacciandoglisi di fronte.

«Fra me e te non saprei chi è più infantile.»

Dean alzò gli occhi al cielo rimettendosi in piedi. «D'accordo, allora se ti fa piacere rimanere seduto qui io torno a fare un altro giretto...» lo provocò.

Hayden emise una specie di ringhio di stizza afferrandogli brusco una mano facendosi letteralmente tirare su di peso. «Se mi molli di nuovo senza preavviso, giuro che ti prendo a sberle sul serio!» lo minacciò.

«Ti ricordo che abbiamo una scommessa in ballo per questo e da quello che vedo non credo riuscirai a vincerla.» lo sfotté prendendolo stavolta per le mani aiutandolo ad avanzare.

Hayden fece una smorfia tornando a fissare i suoi piedi chiusi nei pattini a noleggio.

«Non è difficile, devi solo smetterla di fissare in basso, tenere il peso del corpo in avanti e muovere un piede alla volta.» lo istruì Dean.

«Hai già detto troppe cose... parli facile tu che lo fai da una vita.»

«Naah... è solo che sei tu ad essere una frana.»

«Lo stai facendo apposta vero?»

Dean fece il finto tonto. «Fare cosa?»

«Provocarmi. Perché credimi, ci stai riuscendo benissimo.»

«Non credi di essere un po' troppo egocentrico ora?»

«Vedrai quanto sarò egocentrico quando vincerò la scommessa!»

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Capitolo 5
*** 5 ***


5

+¨++¨++¨+

DEAR FRIEND,

AND THEN THAT HAPPENED...



Sei settimane.

Proprio quel giorno si contavano sei settimane da quando quella follia era iniziata e, come ormai di consuetudine, Hayden se ne stava seduto a gambe incrociate sul pavimento in camera di Dean guardando fuori dalla finestra, mentre aspettava che questo finisse di svolgere gli esercizi che gli aveva assegnato.

Sinceramente non poteva ancora arrivare a concepire di essere durato così tanto, anche se doveva ammetterlo: le cose si erano addolcite e tranquillizzate negli ultimi tempi. Forse perché Dean aveva iniziato a darsi una calmata... o forse perché si era semplicemente e finalmente stufato di comandarlo a bacchetta. Ultimamente, infatti, doveva dire che il suo "padrone" aveva smesso di ricordargli puntualmente del loro accordo e che al contrario aveva imparato come chiedere le cose anche con un minimo di tatto e gentilezza. E nonostante Hayden non si sentisse più né minacciato, né costretto, continuava comunque ad assecondarlo imperterrito senza sapersi dare una motivazione valida.

La verità era che stare a contatto con Dean era un qualcosa di assolutamente nuovo per lui.

Hayden non l'aveva previsto, non l'aveva chiesto né tanto meno lo aveva desiderato, ma suo malgrado si era accorto di aver cominciato a provare tutta una serie di sentimenti estremamente contrastanti fra loro nei confronti di quell'individuo praticamente indescrivibile.

Era da un lato arrabbiato, frustrato e stanco di dovergli correre dietro, ma dall'altro era altrettanto vero che quando stava in sua compagnia – e non importava quanto questo potesse punzecchiarlo e prenderlo in giro – lui stava bene, era sereno e felice. Era come se non aspettasse altro che vederselo piombare davanti pronto a dare ordini, pronto a chiedergli di seguirlo in qualsiasi strambo posto avesse in mente, pronto a chiedergli di aiutarlo a fare una qualsiasi cosa avesse voglia fare. Tutto purché fossero insieme. E allora la rabbia e la costrizione diventavano solo una maschera per celare le sue vere intenzioni, la scusa perfetta per continuare tutto quello.

Forse era dovuto al modo in cui era iniziata la loro frequentazione e alle clausole che ci stavano dietro, ma si era aperto con lui come non aveva fatto praticamente con nessun altro e la cosa gli era risultata anche abbastanza piacevole. Era stato in effetti costretto a raccontarsi, a farlo entrare nei suoi spazi, nella sua vita, a passarci più tempo di quanto non avesse mai dedicato a qualcun altro e soprattutto a doverlo sopportare nei momenti peggiori imparando anche come conviverci. E si poteva tranquillamente dire che anche lui avesse dimostrato al più grande i suoi lati peggiori, specialmente all'inizio, ma nonostante questo entrambi avevano resistito per un mese e mezzo facendosi andare bene uno gli aspetti negativi dell'altro. E Hayden in tutto quel tempo passato a stretto contatto con lui aveva imparato a capirlo, a saperlo prendere per il verso giusto, a non averne paura e ad apprezzare quello che nonostante tutto cercava di offrire. Perché, seppure a modo suo, Dean sapeva essere anche estremamente gentile e a tratti persino premuroso.

E questo lo aveva capito fin da subito, fin dalla prima volta in cui lo aveva visto acconsentire alle sue richieste e rinunciare a umiliarlo pubblicamente. Dean era così. Era inaspettato, faceva sempre la prima cosa che il cervello gli suggeriva e puntualmente era capace di sorprenderlo.

Lo aveva sorpreso non solo al loro primo incontro, ma anche quando gli aveva permesso di entrare nella sua vita a trecentosessanta gradi, proprio a lui che ai suoi occhi non doveva apparire altro se non un perfetto sconosciuto. Poi quando gli aveva rivelato dei suoi progetti per il futuro, o quando gli aveva regalato quel completo che non aveva ancora avuto il coraggio di indossare, quando lo aveva portato a pattinare, quando lo aveva tenuto al telefono per quasi due ore con la scusa di volere un po' di compagnia e quando ormai per qualsiasi cosa si era accorto di come cercasse sempre il suo parere.

Tuttavia Hayden francamente non sapeva per quale motivo Dean continuasse a cercarlo e a contare su di lui se praticamente non c'era niente che glielo imponesse, a differenza sua.

Aveva sempre pensato che sarebbe arrivato il momento in cui il castano lo avrebbe sputtanato davanti a tutti per quello che aveva fatto licenziandolo dal suo ruolo di servo una volta sfinito. Eppure niente di tutto questo era successo, non ancora per lo meno, ma aveva la netta sensazione che quel momento non sarebbe mai arrivato.

Non sapeva spiegarsi come mai, ma sentiva di potersi fidare di Dean. Dopotutto Dean era troppo schietto, troppo diretto, menefreghista e arrogante per mentirgli a quei livelli, non era proprio il tipo che finge di essere ciò che non è o che finge di compiacere gli altri per i suoi scopi, ormai lo conosceva piuttosto bene. Se un giorno si fosse stancato di averlo attorno, lui sarebbe sicuramente stato il primo a saperlo e ad accorgersene.

Hayden era tornato per la prima volta dopo tanto tempo a fidarsi di qualcuno, di un qualcuno tanto stronzo da sapersi approfittare sempre troppo della sua generosità e al quale lui, per colpa di tutte le considerazioni in cui si era perso, non avrebbe mai saputo dire di no.

 

«Ho finito!» esclamò Dean sollevato stiracchiandosi aspettando che cervellone desse il proprio benestare al suo operato.

Hayden però sembrava non averlo minimamente sentito. Se ne stava ancora con la faccia poggiata sul palmo aperto, con lo sguardo perso apparentemente nel vuoto a rimuginare su troppe cose contemporaneamente estraniandosi totalmente da tutto il resto.

Dean si accigliò schiarendosi la gola per attirarne l'attenzione, ma nulla.

«Pronto!?» lo chiamò allora insistendo, non ottenendo comunque alcun risultato. Perplesso inarcò un sopracciglio sporgendosi sul tavolino verso il moro, sedutogli di fronte, guardandolo insistentemente a due millimetri dal viso sperando che si accorgesse della sua presenza. Eppure neanche in questo modo Hayden sembrò ritornare dal mondo delle nuvole.

Stufo di sentirsi ignorato, con noncuranza Dean gli spostò una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio tornando poi a chiamarlo quasi urlandogli nell'orecchio, tanto che l'altro fece un salto dal pavimento di almeno mezzo metro.

«Ma sei impazzito!?» gli urlò a sua volta contro il ragazzino spaventato.

«Ti ho chiamato con le buone un milione di volte. Stavi dormendo a occhi aperti.» gli fece notare.

«Sì, scusa... sono stanco.» si giustificò lui prendendo subito a visionare il quaderno del compagno.

«Se vuoi mentire almeno impara a farlo per cortesia!» lo riprese questo strappandogli il blocco da sotto al naso, accantonandolo per un momento. «Avanti, cos'è che ti disturba?» chiese poi assumendo un'improbabile posa di ascolto.

«N-niente.» biascicò l'altro sorpreso. Dean versione "gruppo di ascolto" non si poteva proprio vedere.

«Partendo dal fatto che, come sai, queste stronzate da amichetti non sono il mio forte... potresti apprezzare il mio sforzo e dirmi che ti passa per la testa, così ti sfoghi e poi torni il solito rompicoglioni di sempre?» insistette l'altro non smentendosi mai.

«Sono quasi commosso da questo tuo gesto di infinita bontà, ma non c'è niente che non va! E non sono un rompi scatole!» precisò.

«Intanto ho detto rompicoglioni e non rompi scatole, la differenza è tanta. Secondo, invece ti conosco troppo bene per sapere che in quella testolina si sta agitando qualcosa. Fai sempre una faccia da rimbambito quando ti incanti a pensare, la stessa che avevi ora, ergo... se vuoi ti prometto che fingerò di interessarmi per trovare una soluzione ai tuoi problemi.» sentenziò rimanendo in attesa.

Hayden lo guardò negli occhi per qualche secondo, per poi scuotere il capo ridacchiando, mentre Dean tornava ad accigliarsi guardandolo ridere. «Soffri di schizofrenia o di disturbi di bipolarità per caso?» gli chiese preoccupato.

«No!» rispose l'altro ancora col sorriso sulle labbra «È solo che stranamente hai detto una cosa molto carina.»

«Cosa di preciso? Che hai l'aria di un rimbambito quando pensi o che posso sforzarmi di farmene fregare qualcosa dei tuoi problemi?»

Hayden scosse il capo alzando gli occhi al cielo, senza però smettere di sorridere. «Lascia stare!» esclamò infine passandoci sopra.

 

-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-

Dean se ne stava stravaccato sul divano con la faccia annoiata, il telecomando in una mano, il cellulare nell'altra e la televisione in sottofondo che parlava per i muri. Tanto non stava minimamente prestando attenzione né al programma in onda né alla pagina che stava scorrendo sul telefono. La sua mente da un po' di tempo sembrava aver acquisito una propria fisicità indipendente iniziando a operare per i cavoli suoi, senza che a volte lui se ne rendesse conto. Non poteva che essere così altrimenti non si spiegava come mai, arrivato a una certa ora del giorno, iniziasse a pensare a Hayden e a che scuse usare per infastidirlo, per vederlo.

A parte Brandon, si era reso conto che Hayden era stato l'unico individuo al quale aveva permesso di avere accesso a quella parte di lui che invece era ben nascosta ai più. L'unica persona, a parte Brandon, la cui presenza non era un peso o un fastidio e probabilmente l'unica che riusciva a sopportare nonostante gli facesse friggere le palle ogni volta che apriva bocca.

Sì, perché in quei quasi due mesi di frequentazione che erano letteralmente volati, Dean aveva capito molte cose di Hayden che di primo approccio non avrebbe mai pensato.

Primo, aveva appurato il suo essere un genio in qualsiasi cosa e quanto questa caratteristica gli stesse enormemente sulle palle; secondo, aveva però anche constatato che quando si trattava di agire di corpo era un completo disastro: scoordinato, goffo, maldestro e sgraziato oltre il consentito. Poi aveva scoperto che nonostante l'apparenza così timida e impaurita, quando perdeva le staffe o si impuntava su qualcosa non c'erano Santi a tenerlo. Si trasformava letteralmente e sebbene lui vantasse il primato in stronzaggine e testardaggine Hayden in quei frangenti lo batteva senza nemmeno sforzarsi troppo. Aveva una lingua davvero tagliente che a volte era capace di spiazzare completamente persino Dean. Altre volte invece – quando lo si prendeva per il verso giusto o si chiacchierava di cose che gli interessavano particolarmente – si trasformava di nuovo tirando fuori una passione che riusciva quasi a coinvolgerlo. A riposo invece si poteva dire generalmente che probabilmente fosse la persona più gentile, disponibile e caparbia che lui avesse mai conosciuto.

Non scherzava affatto quando si era ripromesso di aiutarlo nella sua impresa di voler vincere la borsa di studio e a costo di litigarci ogni secondo lo aveva bacchettato per bene fino a fargli, finalmente, entrare un briciolo di conoscenza in più in quella testa bacata.

E Dean si era accorto che non lo stava affatto facendo per la storia del ricatto, anche perché il più delle volte lui lo avrebbe rispedito volentieri a casa sua piuttosto che impegnarsi tutti i pomeriggi con materie diverse e una valanga di compiti da fare. Eppure il cervellone si presentava ugualmente, sempre puntuale, pronto a rompergli i coglioni fino allo sfinimento. A detta sua Hayden era davvero l'essere più strano che avesse mai incontrato. Per non parlare poi del fatto che già il solo riuscire a sopportare lui e il suo caratteraccio fosse un qualcosa di estremamente degno di nota.

Quasi inconsciamente estrasse dalla tasca il portafoglio prendendo il biglietto che aveva piegato in quattro con precisione e infilato in uno scompartimento, aprendolo e rileggendolo per l'ennesima volta. Era una cosa che faceva spesso ormai e che si era reso conto fosse diventata una sorta di ossessione quasi morbosa, specie da quando aveva avuto occasione di conoscerne meglio l'autore.

Sapeva perfettamente, nonostante non avrebbe mai trovato il coraggio di ammetterlo neanche a sé stesso, come e perché era nato tutto. Tutto il suo interesse, la sua voglia di tenere segreta quella lettera, la sua voglia di conoscere Hayden e anche quella di tormentarlo.

Tutto era nato da una pura, semplice e violenta invidia nei confronti di quelle parole scritte su una carta scelta appositamente.

Aveva trovato tremendamente ingiusto il fatto che il destino avesse voluto giocare così con lui facendogli trovare per sbaglio nel suo armadietto quel qualcosa che lui desiderava forse da sempre, ma che comunque non avrebbe mai avuto, perché – come fosse stato il più brutto degli scherzi – non gli apparteneva.

Più leggeva e più, parola dopo parola, sentiva il petto stringere; più leggeva e più sentiva crescere l'astio verso quel pezzo di carta che doveva fare la felicità di qualcun altro e non la sua. Più lo leggeva e più si rendeva conto di essere estremamente geloso di quel tipo di sentimento, perché era assolutamente conscio del fatto che probabilmente mai nessuno sarebbe arrivato a fare tanto per lui, a provare qualcosa di simile nei suoi confronti. Nei confronti di una persona così cattiva, altera, arrogante, antipatica e menefreghista. Si era sentito come se gli avessero fatto provare l'ebbrezza di aver vinto il primo premio per poi vederselo sottrarre e farsi piazzare in mano la coppa di consolazione. Tutto per colpa di uno sbaglio.

Forse era insensato, però il contenuto di quel foglio era così bello e sincero che non ce l'aveva fatta a rimanerne impassibile e poi, sapere che lo aveva scritto Hayden per qualcun altro, faceva ancora più male di tutto il resto. Forse, pensava, se al posto del nome Brandon ci fosse stato scritto Dean fin dall'inizio, sarebbe stato tutto decisamente molto più semplice da gestire.

 

-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-¨-

«Com'è che ultimamente non ti facevi più vedere in giro?» domandò Brandon a Dean stando comodamente spaparanzato sul tappeto a casa del suo amico. «È più di un mese che mi rifili scuse...» brontolò.

L'altro fece spallucce prendendo una patatina dalla ciotola posta sul basso tavolino alla sua sinistra iniziando a premere a intermittenza tutti i tasti del telecomando. «Ero impegnato.» rispose secco.

«Ok... se non me lo vuoi dire non fa niente.» insistette il biondo sperando di smuoverlo a compassione, ottenendo però solo un'occhiata scocciata. Dean odiava quando l'amico faceva così.

«Non è niente di importante.» replicò comunque mentendo «Non avevo molta voglia di fingere che il mondo non mi stesse sulle palle.» borbottò tornando a riempirsi la bocca di snack.

Brandon scoppiò a ridere inarcando un sopracciglio. «Certo che non cambi mai, eh!» lo sfotté scuotendo il capo. Dean sollevò leggermente gli angoli delle labbra senza farsi notare.

Ovvio era che non poteva dirgli che ultimamente la sua vita era stata quasi monopolizzata da un occhialuto cervellone piombato nella sua quotidianità nel più impensabile dei modi. Sarebbe stato costretto a vuotare il sacco su tutta la vicenda e la promessa che aveva fatto a Hayden non era l'unico ostacolo che gli impediva di aprire bocca. Brandon era sul serio l'ultima persona a cui avrebbe voluto far conoscere l'intera situazione e forse anche uno dei tanti altri motivi che lo avevano spinto, ancora agli inizi, a tenere segreto l'intero incidente. Cosa avrebbe fatto lui se, leggendo la lettera, Brandon avesse deciso di cercare il mittente? E se poi lo avesse trovato? Cosa ne sarebbe stato di lui se, alla fine, avesse voluto approfondire la conoscenza con Hayden?

«Comunque sono serio.» riprese il biondo spostando lo sguardo sullo schermo del televisore. «Se c'è qualcosa che non va sai che puoi parlarmene. Ti vedo molto perso ultimamente.» gli fece notare.

Dean per tutta risposta gli lanciò un salatino che andò ad incastrarsi perfettamente in uno dei ricci dorati dell'altro ridacchiando. «Sei diventato anche psicologo ora, Raynolds

Brandon trattenne una risata sfilando il cibo dai capelli. «Vuoi la guerra, Collins

«Figurati! E se poi ti si spezza un'unghia?!» lo provocò tirandogli un'altra patatina, mentre l'altro si alzava dal pavimento andandogli addosso. Riempì anche lui la mano della prima cosa che trovò a disposizione iniziando a "lottare" per cercare di svuotarne il contenuto nella maglia del suo avversario.

«Stai sprecando cibo!» lo riprese Dean difendendosi.

«Ricordami chi è che ha iniziato!»

Dopo cinque minuti di rotolamento sul tappeto Brandon riuscì, con molta fortuna, a inchiodare l'amico al pavimento portando a termine la sua opera, alzandosi in piedi esultando come se avesse appena vinto la Coppa del Mondo.

«Sei veramente uno stronzo!» lo insultò Dean ridendo tirandosi a sedere sul pavimento e scrollando la maglia per liberarsi dalle briciole.

«Che c'è? Brucia la sconfitta?» continuò a sfotterlo l'altro mentre da fuori qualcuno suonava il campanello.

«Pizza!» urlarono entrambi guardandosi in faccia quasi in contemporanea, euforici e affamati.

Dean recuperò il portafogli caduto a terra durante lo "scontro" e si avviò verso la porta per pagare la consegna e ritirare il cibo, mentre invece l'attenzione di Brandon veniva catturata da uno spesso rettangolo di carta ambrata caduto dal portamonete dell'amico.

 

«Sono dodici e quarantotto centesimi.» disse svogliatamente il ragazzo delle consegne esibendo lo scontrino e allungando le confezioni chiuse. Dean pagò quanto richiesto afferrando i tre cartoni extra large e una bustina di plastica con le lattine di coca ringraziando poi anche lui svogliatamente. Chiuse la porta e girò i tacchi per tornare in salotto, bloccandosi sull'uscio quando vide Brandon seduto a terra intento a leggere l'ultima cosa di cui avrebbe dovuto conoscere l'esistenza.

Entrò nella stanza adagiando la consegna sul tavolo restando poi in piedi a scrutare il volto concentrato dell'amico, abbandonando le braccia prive di forze lungo i fianchi.

Si sentì proprio raggelare, bloccare, quasi morire. Il cuore nel petto iniziò a pulsare all'impazzata, totalmente fuori controllo, mentre la salivazione si azzerava del tutto. Non aveva neanche il coraggio di tirare un respiro e fare rumore.

Stava accadendo tutto quello che si era ben premunito di non far succedere in quei quasi due mesi. Che accidenti doveva fare ora? Era sicuro che Hayden lo avrebbe ucciso, se non peggio. Gli aveva dato la sua parola che non avrebbe mai fatto leggere la sua lettera a nessuno, men che meno al destinatario e ora non era riuscito a mantenere la promessa fatta. Un brivido gelido gli corse lungo la schiena. E ora che tutto era venuto alla luce, che ne sarebbe stato del suo rapporto con Hayden? Non avrebbe più potuto ricattarlo, no, non avrebbe più avuto una scusa per obbligarlo a stare con lui. E se lui lo avesse abbandonato una volta libero da quella specie di accordo? O peggio, se non avesse più voluto avere niente a che fare con lui perché non era stato in grado di rispettare i patti? O, peggio di tutti gli scenari che poteva immaginare, se Brandon avesse deciso di portarglielo via? Dopotutto sarebbe stato facile per lui. Hayden ne era innamorato.

Quell'ultimo pensiero lo lasciò completamente scombussolato, quasi frastornato. Perché si stava preoccupando così tanto per Hayden?

Continuava inevitabilmente a fissare Brandon sentendo l'ansia crescere ad ogni secondo che passava.

Niente. Non poteva fare più niente oramai. Non ne aveva il diritto.

Anche se avrebbe voluto strappargli di mano il foglio, non avrebbe potuto. Non era suo, ma al contrario adesso, per la prima volta, si trovava fra le mani del giusto destinatario.

Non poté fare altro che osservare fino alla fine il suo migliore amico divorare quelle parole, così come aveva fatto lui ormai un triliardo di volte restando in disparte.

Brandon abbassò il foglio alzando entrambe le sopracciglia rimanendo per un attimo spiazzato, senza parole. «Wow.» soffiò poi non sapendo come altro definire quanto appena letto. «Cos-... Chi!?» domandò poi al vuoto dando voce alla prima domanda che aveva tormentato per giorni anche Dean.

«Scusami» aggiunse poi guardando l'amico in viso «ma ti dispiacerebbe spiegarmi come mai questa era nel tuo portafoglio?» domandò incredulo, quasi seccato.

Dean abbassò lo sguardo mordendosi l'interno di una guancia. Doveva mentire.

Doveva cercare a tutti i costi di riparare al danno, di aggiustare la situazione.

Doveva proteggere Hayden. Non poteva fare altrimenti.

«Ah sì, me ne ero dimenticato!» sbottò cercando di risultare il più credibile possibile. «L'ho trovata nel mio armadietto, qualcuno deve essersi confuso, sai... il mio e il tuo sono attaccati.» iniziò a blaterare sotto pressione. «L'ho aperta e poi... volevo dartela, ma fra una cosa e l'altra me ne sono completamente dimenticato!» ridacchiò.

«Quando?» domandò il biondo.

«Quando... cosa?»

«Quando l'hai trovata.»

Dean strinse la mascella fingendo di cercare di ricordarsene. «Beh... la settimana scorsa, credo.» mentì. Non poteva certo dire che la conservava da quasi due mesi ormai, anche se da come la carta era usurata a forza di venire dispiegata e ripiegata, non era poi così credibile.

«Capisco.» replicò Brandon meditando.

Seguirono degli attimi di silenzio che Dean non seppe proprio come interpretare. Voleva, per la prima volta, entrare prepotentemente nella testa del suo migliore amico e sapere cosa vi vorticasse dentro. Voleva sapere cosa provasse, cosa avesse intenzione di fare, cosa significasse per lui quel biglietto e se gli aveva dato la stessa importanza che gli aveva dato lui.

«Beh, parecchio sfigato questo tipo... insomma, sbagliare armadietto...» cercò di sdrammatizzare ottenendo però l'effetto contrario.

«Dean! Come puoi dire una cosa così brutta!?» lo accusò l'altro scattando in piedi. «Capisco che possa non fregartene niente, ma almeno abbi un po' di tatto!» poi prese a rigirarsi il foglio fra le mani. «C'era solo questo nell'armadietto?» domandò infine addolcendo leggermente il tono.

«Sì.» annuì Dean mentendo di nuovo.

«Caspita!» imprecò l'altro. «E ora come faccio a sapere chi la manda?» gli domandò aspettandosi seriamente una risposta.

Dean si strinse nelle spalle scuotendo il capo. «Significa davvero così tanto per te?» gli chiese sentendo la gola ostruirsi dolorosamente.

«Sono solo curioso. Cioè... voglio dire... voglio sapere almeno che faccia ha e ringraziarla... o ringraziarlo del pensiero. Insomma, non capita tutti i giorni di ricevere cose così

E Dean lo sapeva bene.

Anche troppo bene.

Quella era stata la sua identica reazione, solo che poi si era aggiunta la delusione, l'incazzatura e tutta una serie di altre cose che lo avevano portato ad incasinare completamente la sua vita.

«Cosa... cosa hai intenzione di fare?» domandò con un filo di voce vedendo il suo migliore amico, piegare di nuovo il foglio riponendolo al sicuro nella tasca dei suoi jeans, portandoglielo via per sempre spedendogli una pugnalata dritta al cuore.

«Qualcosa mi verrà in mente.» sentenziò. «Ora mangiamo però perché sto per morire di fame!» esclamò con un bel sorriso stampato in viso.

Un sorriso che Dean, anche volendosi sforzare, non poteva in alcun modo replicare.

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Capitolo 6
*** 6 ***


6

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DEAR FRIEND,

I FINALLY ADMITTED I WAS IN LOVE, BUT IT TRULY HURT LIKE HELL



Dean era seduto al suo solito posto in mensa con l'espressione più nera che avesse mai indossato. Quella mattina si era convinto di dover andare a parlare con Hayden e avvertirlo del guaio che era successo, ma poi ci aveva ripensato e aveva desistito. Non ne aveva avuto il coraggio.

Non sapeva ancora quali fossero le intenzioni di Brandon e aveva deciso quindi di aspettare di venirne a conoscenza per poi agire di conseguenza, anche perché al momento non avrebbe proprio saputo cosa dire al più piccolo e con che faccia presentarglisi davanti.

Si era comportato come al solito mantenendo il distacco per non creare sospetti, anche se dentro di lui regnava il caos più totale. Eppure da quando era entrato in mensa e aveva adocchiato il cervellone assieme ai suoi amici non era stato capace di togliergli gli occhi di dosso per un solo istante. Non gli era mai fregato un cazzo di nessuno. Veramente di nessuno. Ma il solo pensiero che qualcosa di spiacevole potesse colpire quel ragazzino tanto innocente e buono gli faceva perdere totalmente la ragione. Gli importava per la miseria! E come avrebbe potuto essere altrimenti se quella creatura era riuscita a dimostrare simpatia e generosità per lui, che non aveva fatto niente di speciale per meritarseli e che anzi, lo aveva sempre trattato uno schifo completo? Come poteva non importargli niente di quel ragazzino così speciale col quale aveva condiviso qualsiasi cosa nell'ultimo periodo della sua vita? Come poteva non importargliene se ogni volta che lo guardava, pensava sempre che, anche se ci fosse un apparecchio di mezzo, il suo rimanesse comunque il sorriso più bello che avesse mai visto?

Si era accorto, ancora parecchio tempo addietro, di essersi affezionato inconsciamente e di provare una sorta di strana simpatia per lui, una specie di affetto che non sapeva spiegarsi. Tutto perché Hayden era in fondo un po' come Brandon: totalmente sincero. Non gli si era avvicinato per comodità, anzi, all'inizio neppure voleva essere suo amico o volerci avere qualcosa a che fare! Eppure poi avevano riso e condiviso cose personali, arrivando a dimenticarsi completamente del ricatto, trascendendo pure il patto che avevano stabilito. Hayden con quel suo essere così fuori dagli schemi era stato davvero una ventata d'aria fresca, un raggio di sole entrato a far parte della sua vita sempre fredda e inconsistente. E ora, per colpa di un altro brutto scherzo del destino, si ritrovava punto e da capo lacerato dalla paura di perdere tutto quello che gli era stato regalato. Non voleva ritornare il Dean di sempre; il Dean di due mesi prima, quello sempre incazzato con tutti, sempre arcigno, sempre stronzo e diffidente che non sapeva quanto fosse bello avere accanto qualcuno in grado di comprenderti e accettarti per come sei. Non voleva perdere l'unica persona che era stata in grado di fargli aprire gli occhi, di contagiarlo col suo ottimismo e con la sua allegria, perché questo era Hayden. Non voleva perdere la prima persona alla quale si era legato per sua scelta; la prima persona la cui sola compagnia bastava a farlo stare bene; la prima persona che ancora prima di incontrare faccia a faccia gli aveva fatto battere il cuore.

Si accorse di essersi imbambolato a fissarlo quando Hayden, sentendosi osservato, si era girato a guardarlo e gli aveva sorriso. Lui, invece, si era sentito un traditore, un incapace e aveva abbassato lo sguardo non riuscendo a sostenere il confronto con quegli occhioni gentili sentendo di non meritarsi quel sorriso così spontaneo, non accorgendosi dell'espressione delusa che si era dipinta sul viso del più piccolo.

E Hayden dal canto suo continuava a chiedersi se avesse mai fatto qualcosa di sbagliato per ricevere quella reazione. Non aveva ricevuto nessun messaggio di Dean che solitamente pensava bene di infastidirlo fin dal mattino – ogni singola mattina – nel quale gli veniva richiesto alcunché e neppure lo aveva incrociato per sbaglio fra i corridoi. Aveva l'impressione che lo stesse evitando, perché – nonostante avessero tacitamente pattuito di non farsi vedere assieme a scuola – Dean si presentava sempre e comunque a rompergli le scatole anche solo per cinque minuti. E ora non aveva nemmeno la forza di ricambiare un debole sorriso che si sarebbe perso nella confusione di quella sala mensa.

Forse era stato stupido da parte sua pensare che anche Dean avesse letto altro in quel rapporto strano e complicato che avevano sviluppato dal primo giorno in cui si erano parlati ed era stato ancora più stupido da parte sua cedere a quei sentimenti che sapeva in partenza non avrebbero portato a niente.

Come accidenti aveva fatto ad affezionarsi così tanto a quel ragazzo lunatico e complicato non lo sapeva nemmeno lui, però era certo che mai prima di allora si fosse lasciato trascinare da un sentimento in maniera così forte.

Credeva di essere innamorato di Brandon, perché ogni volta che lo vedeva il suo cuore accelerava impazzito, ma non si stringeva mai in una morsa fino a fare male come quando invece guardava Dean.

Credeva di essere innamorato di Brandon, perché anche se non ci aveva mai parlato, gli bastava sentire la sua voce per iniziare a fantasticare, ma non era mai arrivato al punto di non capire più niente come invece succedeva quando discuteva con Dean.

Credeva di essere innamorato di Brandon, perché apprezzava i suoi modi di fare così gentili, garbati ed educati. Poi invece pensava a Dean e a quanto questa descrizione non potesse essere più sbagliata! Eppure poi ogni tanto, il castano se ne usciva con certi gesti, con certe parole o con certe frasi pronunciate con un tono più particolare e allora lui si rincretiniva del tutto imparando a fare tesoro di quei momenti, aggrappandosi a questi con tutto sé stesso.

Alla fine era arrivato a non credere più di essere innamorato di Brandon, ma ad avere la certezza che non fosse così.

Tutto ciò che lo aveva spinto a scrivere quella lettera si era rivelato solo una piccola parte di quello che era arrivato a provare da quando aveva incontrato il suo tormento personale dall'aspetto di un bellissimo demone con gli occhi carbone e i capelli color bronzo.
 

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Anche per quel giorno le lezioni erano finalmente finite e Hayden non era mai stato così preso dalla voglia di tornare a casa per buttarsi a letto e staccare la spina approfittando del fatto che Dean avesse gli allenamenti in vista della sua prima partita di quella stagione. Aveva bisogno di prendersi una pausa, di riflettere, di fare una bella dormita e sperare che gli ultimi due mesi della sua vita si cancellassero come per magia, come se si fosse trattato solo di un brutto, ma a tratti anche splendido, incubo.

Scese le scale affiancato da alcuni compagni che continuavano a parlargli di cose che non gli interessavano minimamente e che lui non stava assolutamente ascoltando, perché troppo perso nel suo mondo. Ormai era diventato più distratto del solito, quasi assente e la sua testolina proprio non ne voleva sapere di smetterla di far girare gli ingranaggi a vuoto.

«Hayden!» gli urlò poi un suo compagno strattonandolo per un braccio. «Andiamo a vedere anche noi!» esclamò di nuovo indicando un capannello di ragazzi fermi in mezzo al corridoio proprio davanti agli armadietti.

Fra gli studenti lì raccolti serpeggiava un vociare assurdo e c'era addirittura chi spingeva o saltava per cercare di capire cosa stesse succedendo. Hayden invece credendo si trattasse o di qualche atto di bullismo non nuovo o di qualcuno che si stesse per picchiare in pubblica piazza, fece per girare i tacchi e allontanarsi, ma ci ripensò quando sentì distintamente una ragazza pronunciare tre semplici parole: "lettera d'amore".

Con uno strattone deciso si staccò dalla presa che il suo compagno continuava a stringere attorno al suo braccio facendosi malamente largo fra la calca.

Respirava a fatica.

Tremava.

La vista era offuscata da un velo di lacrime che stavano aspettando il momento giusto per uscire.

Il cuore batteva forte, veloce, senza controllo.

E quando finalmente la vide, si sentì letteralmente sbriciolare in mille pezzi.

Le braccia ricaddero lungo i fianchi, rigide, mentre fissava la sua confessione attaccata con del nastro adesivo all'anta dell'armadietto di Brandon esposta in bella vista di modo che tutti, passando, potessero leggerla.

«Si può sapere che ti prende!?» lo riprese il suo amico arrivandogli vicino, osservando anche lui quel misterioso qualcosa in grado di attirare una folla.

Hayden però restò muto. Era come se si fosse isolato in una bolla sentendo il resto del mondo come ovattato.

"Oh mio Dio, non posso crederci!" esclamava taluno; "Che perdente!" osservava talaltro; "È bellissima!" diceva ancora qualche sconosciuto, mentre qualcun altro ancora gli passava accanto del tutto disinteressato uscendo dalla porta principale.

Tuttavia Hayden non aveva nemmeno la forza di prendersela per quelle offese o sentirsi lusingato per quei complimenti, era come se si fosse svuotato di tutto.

Non poteva crederci. Semplicemente non poteva crederci.


 

«Che palle!» sbuffò Dean alterato vedendo una massa informe di persone ferma davanti agli armadietti, impedendogli di arrivare al suo. «Che cazzo ha da fare tutta questa gente inchiodata lì davanti!?» sbottò rivolto verso il suo migliore amico.

Questo per contro fece una faccia colpevole stringendosi nelle spalle. «Credo sia colpa mia...» biascicò.

«Che vuol dire che è colpa tua?» si accigliò il castano.

«Beh...» iniziò a spiegare l'altro «Volevo trovare un modo per contattare il mittente della lettera, ma non me ne è venuto in mente nessuno... quindi, ho pensato che se l'avessi attaccata al mio armadietto qualcuno si sarebbe fatto avanti.» asserì. «Mi sembrava una buona idea...» aggiunse flebilmente notando l'ira scattare negli occhi dell'amico che, senza perdere un secondo, si allontanò da lui a grandi passi correndo verso il mucchio, sperando di poter ancora fare qualcosa per salvare la situazione.

Spintonò a destra e a manca senza curarsi di niente e di nessuno, fin quando non fu costretto a bloccarsi arrivando giusto dietro le spalle di Hayden.

Vide le sue spalle tremare, quasi scuotersi. Stava piangendo, poteva giurarci.

Si avvicinò cauto sorprendendo la maggior parte degli studenti, fino a posare una mano sulla sua spalla, «Hayden...» lo chiamò con l'intento di farlo girare.

Hayden sussultò appena stringendo i denti inconsciamente e con un movimento secco si scrollò di dosso la mano di Dean girandosi a guardarlo con un cipiglio deluso, incazzato e ferito.

«Come hai potuto!?» gli domandò soltanto fra i singhiozzi che avevano cominciato a farsi più rumorosi.

Dean lo guardò mortificato sentendo avverarsi tutte le paure che aveva nutrito fino a quel momento. «Per favore, lascia che ti spighi, non...» iniziò con tono estremamente supplichevole avvicinandoglisi ancora fino ad afferrargli un braccio, venendo poi bruscamente interrotto.

«Non mi toccare!» urlò il più piccolo allontanandolo di nuovo. «Sei un mostro! Hai capito? Mi fai schifo!» gli sputò addosso con rabbia, con l'intendo di farlo sentire veramente un verme. «Non credevo arrivassi davvero a fare una cosa del genere, ma a quanto pare mi sono sbagliato! E ho preso un abbaglio anche su di te, sei veramente uno stronzo come dicono tutti!» continuò ad insultarlo incurante di stare dando spettacolo.

A Dean invece sembrò di essere appena stato ucciso da quelle ultime parole. Non poteva sopportare che Hayden gli dicesse quelle cose, non dopo tutto quello che avevano trascorso.

Fece un altro passo in avanti, cercando di avvicinarglisi ancora, cercando di farsi ascoltare, ma fu tutto inutile.

«Stammi lontano!» lo minacciò il più piccolo «Non voglio avere più niente a che fare con te!» urlò ancora prendendo il poco contegno che gli era rimasto, allontanandosi dal corridoio sotto le occhiate incredule e i mormorii curiosi di un mucchio di gente che osservava Dean rimanere imbambolato come un vero cretino senza fare niente.

Aveva appena preso forma sotto ai suoi occhi la più grande delle sue paure.
 

Con uno scatto quasi furioso Dean si avvicinò all'armadietto strappando con un colpo solo la pagina dall'anta, senza curarsi di aver rotto il foglio nei quattro angoli.

«Andate a farvi un giro!» sbraitò poi verso chi era rimasto ancora fermo nel corridoio per cercare di capire cosa stesse succedendo.

Alla spicciolata questi se ne andarono con espressioni interrogative gettando rapide occhiate sia a Dean che a Brandon, il quale, si stava avvicinando con calma e cautela al suo migliore amico per ottenere spiegazioni.

«Dean?» provò a richiamarlo incerto.

L'altro batté un pugno contro l'anta di metallo talmente forte da far persino sussultare il biondo, poi con stizza ripiegò il biglietto che aveva in mano stringendolo fra le dita guardando in basso.

«Ti spiacerebbe dirmi che diavolo sta succedendo!?» sbottò comunque Brandon non capendo il comportamento del compagno. Non lo aveva mai visto così prima di allora.

«Un casino.» mormorò l'altro. «Un vero casino.»

Brandon sospirò scivolando lungo il muro fino a sedersi per terra. «Dean ti dirò solo una cosa: sei un idiota.» lo blandì con voce morbida.

Dean lo imitò ritrovandosi con la testa poggiata contro la parete e lo sguardo rivolto verso l'alto, senza dire niente.

«È stato lui a scrivere la lettera, vero?» gli chiese facendo riferimento a Hayden «E scommetto anche che non l'hai trovata un paio di settimane fa, giusto?» aggiunse. «E scommetto anche che, in tutto questo tempo in cui mi hai solo rifilato scuse, in realtà...»

«Sì, ok, sì! È tutto giusto.» lo interruppe il castano passandosi una mano sul viso.

«Allora sei davvero un idiota.» lo rimbrottò ancora. «Perché mi hai mentito!? Che bisogno c'era?»

Dean strinse la mascella. «Ti ricordo che questa non è mia.» gli spiegò esibendo il quadrato di carta ambrata, ormai rovinata, che stringeva fra le dita.

Brandon ridacchiò. «È la prima volta che ti vedo così geloso di qualcosa.»

«Taci!»

«Devo tirare a indovinare o ti deciderai a spiegarmi un po' meglio la situazione?» gli domandò poi incrociando le gambe.

Dean lo guardò girando solo la testa di lato titubando leggermente. «Cosa vuoi che ti dica? Tanto ormai non ha più importanza.» borbottò cupo.

«E se invece ne avesse?»

Dean sbuffò lasciandosi convincere.

Spifferò tutto. Di aver trovato la lettera, di averla letta, di aver avuto in mente il peggior piano di sempre per ridicolizzarne il mittente – facendo accigliare Brandon – di essersi visto piombare davanti Hayden in tutta la sua determinazione e in tutto il suo scarso gusto estetico. Poi gli raccontò del loro accordo, dei pomeriggi passati assieme, di quello che lo aveva costretto a subire e di come gli avesse promesso di non far sapere mai niente a nessuno di tutta quella storia.

«Avevo paura... per questo non ti ho detto la verità quando ne avevo occasione.» confessò il castano.

«Paura di cosa esattamente?» insistette Brandon.

«Beh...»

«Beh? Avanti, dillo!» lo esortò quest'ultimo volendo a testimoni le proprie orecchie del momento in cui Dean si sarebbe mostrato leggermente più umano.

«Avevo paura che me lo portassi via, contento? Ora che l'ho detto che cambia! Lui è innamorato di te... pensavo che se tu fossi venuto a conoscenza del biglietto, avresti fatto come me e io non avrei potuto dirti niente!»

Il biondo inarcò un sopracciglio. «Tu sei veramente, ma veramente idiota.» lo redarguì.

«Sai, credo di aver afferrato il concetto!» sbottò l'altro sentendosi offendere per la quinta volta.

«Non sarei mai stato capace di portarti via come dici tu, qualcuno di cui sei innamorato. Siamo amici, per chi mi hai preso scusa!?»

Dean lo guardò facendo una smorfia. «Ah, questa è bella!» esclamò «Chi ha detto che sono innamorato!? Di quello poi? È assurdo!»

Brandon lo guardò con un'occhiata talmente bieca da far quasi tremare anche i muri e che Dean evitò con grande maestria.

Seguirono attimi di silenzio in cui nessuno dei due osò dire qualcosa. Dean continuava a rimuginare su quanto successo e sul fatto che fosse veramente un idiota, mentre Brandon ancora non poteva credere che il suo migliore amico avesse perso la testa per qualcuno. Non credeva sarebbe mai arrivato qualcuno in grado di riuscire a sopportare e tenere testa a quel caratteraccio complicato e a tratti intollerabile, qualcuno capace di capirlo un po' come faceva lui e che sarebbe riuscito a riservargli un po' d'amore nonostante tutto.

«Che devo fare?» chiese Dean in un sussurro distraendo l'amico dalle sue elucubrazioni.

«L'unica cosa che puoi fare: parlargli, spiegare e se necessario implorare perdono in ginocchio. Sono sicuro al cento per cento che ti darà ascolto. Sembra davvero un ragazzo adorabile e soprattutto, giusto per te.» ammiccò prima di alzarsi e tendere una mano verso Dean che l'afferrò al volo facendosi aiutare a rimettersi in piedi.

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Capitolo 7
*** 7 ***


7

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DEAR FRIEND,

THAT WAS THE STORY OF A LOVE LETTER I WAS SO LUCKY TO FIND.



La condizione in cui versava Dean da quasi tre settimane e mezza ormai faceva invidia alla disperazione più assoluta. Hayden per giorni non si era fatto vedere a scuola rompendo per la prima volta quel ciclo di presenza continua che lo contraddistingueva, arrivando a far preoccupare persino i suoi insegnanti che in quattro anni non avevano mai visto una sua giustificazione per assenza. E in tutto quel tempo Dean non aveva avuto la minima idea di cosa poter fare per contattarlo. Ogni volta che aveva provato a chiamarlo la telefonata veniva spenta senza nemmeno arrivare al secondo squillo e i messaggi venivano cestinati senza neanche essere letti. Ormai credeva che Hayden avesse bloccato in maniera definitiva il suo numero e non poteva dargli torto. Da quando invece era ritornato, il più piccolo faceva di tutto per evitarlo: cambiava strada, si impelagava in discussioni impossibili con i professori e a volte si nascondeva persino dove capitava. Tutto questo pur di evitarlo.

Hayden dopo quell'episodio aveva dovuto rispondere a un sacco di domande, anche imbarazzanti e convivere con sguardi incuriositi di persone che avevano assistito allo spettacolino giorni prima. Era davvero frustrante alle volte e mai prima di allora gli era davvero mancata la solitudine e l'invisibilità di cui godeva in precedenza. Era praticamente tornato a chiudersi in sé stesso, forse peggio di prima, riservando ad ogni frase e ad ogni risposta che rivolgeva a qualcuno sempre più diffidenza. Eppure non era questa la cosa che faceva più male, neanche lontanamente. Dopo tutti quei giorni non era ancora riuscito a metabolizzare come e quanto effettivamente Dean si fosse dimostrato un essere così viscido e insensibile.

Non ci credeva.

Ogni mattina si alzava con la convinzione che fosse tutto un sogno, un malinteso, un equivoco, ma poi la realtà dei fatti tornava a smentirlo ogni volta. Quello non era il Dean Collins che aveva conosciuto lui, forse era quello che gli altri temevano o osannavano, ma non di certo quello che aveva conosciuto lui. Che cos'era successo? Cosa lo aveva spinto a cambiare idea? Non poteva sul serio pensare che per quei due mesi passati assieme lui avesse finto certi atteggiamenti nei suoi confronti, non era logico. A che pro avrebbe fatto tutto quello? Per mascherare le sue vere intenzioni? No. Hayden si rifiutava di crederlo. Forse era troppo buono e di conseguenza anche troppo stupido, ma non lo riteneva possibile.

Per questo ogni volta che pensava ai suoi sentimenti per quel mostro si sentiva ancora peggio, tradito nel più infimo dei modi. Eppure nonostante tutto si accorgeva sempre di non riuscire ad odiarlo fino in fondo. Era arrabbiato, deluso, ferito, ma non lo odiava. Anche sforzandosi non ci sarebbe riuscito. In più, ogni volta che ripensava al pomeriggio in cui si era visto distruggere tutto sotto al naso, non poteva che soffermarsi sull'espressione seriamente in apprensione e sofferente di Dean. E allora tornava a riempirsi la testa di domande, di dubbi e di congetture che forse gli davano la speranza che si trattasse di un enorme e infinito malinteso. Solo che non se la sentiva proprio anche solo di vederlo da lontano, figurarsi di parlarci. Bruciava ancora troppo violentemente il torto subito e sapeva che se prima non fosse riuscito a sbollire un pochino la rabbia, non avrebbe mai potuto ascoltare quello che aveva da dire.

Tuttavia Dean non si sarebbe arreso. Se gli sarebbero occorsi dei mesi, degli anni o forse anche dei decenni per farsi perdonare, non avrebbe mai smesso un solo secondo di dimostrarsi sinceramente pentito, perché in fondo, la parte più grande di colpa rimaneva comunque la sua.

Era stato uno stupido a non combattere prima la paura nei confronti di quello che si era accorto di provare. Dean aveva sempre e solo avuto paura di cedere a quella che lui aveva sempre considerato una debolezza. Amare voleva dire dipendere – almeno emotivamente – da qualcuno, fidarsi di qualcuno, rinunciare a sé stessi per qualcuno, rimanere fedele a qualcuno e per lui queste erano sempre state cose inconcepibili. Non si poteva arrivare a provare un sentimento del genere per un altro individuo, per una persona che sicuramente avrebbe finito col tradire tutte queste cose.

Dean non era convinto che esistesse qualcuno di indole diversa, un essere in grado di rispettare tutti questi principi e invece alla fine aveva incontrato Hayden.

Hayden che gli aveva fatto capire che non necessariamente questi erano assunti negativi, ma che al contrario, erano le azioni più naturali e logiche che potevano sovvenire quando si amava veramente qualcuno.

Aveva scoperto che volere la felicità delle persone a cui si è affezionati è naturale e scontato e che è incredibilmente bello quando si riesce a far nascere sul loro viso un sorriso emozionato. Aveva capito che fidarsi di qualcuno e sapere di avere sempre a disposizione un posto sicuro dove ripararsi era meraviglioso e che regalava una sensazione di protezione impareggiabile. Aveva compreso che rinunciare a sé stessi non era un peso e nemmeno una costrizione, ma solo un atto per dimostrare il proprio affetto che andava a favore di entrambe le parti e, infine, aveva appreso che rimanervi fedele era solo una conseguenza al fatto di essere consapevoli che mai da nessun'altra parte si sarebbe potuto trovare qualcosa di lontanamente paragonabile.

Hayden gli aveva insegnato tutte queste cose con la sua infinita gentilezza e pazienza, con la sua voglia di aiutarlo e di stargli vicino anche nei momenti peggiori; col suo riprenderlo quando sbagliava, facendogli capire che le cose si possono ottenere identiche anche in altri modi; non allontanandolo quando esagerava, ma rimanendogli vicino per insegnargli a fare diversamente; non lasciandolo solo a sé stesso e allo sbando anche se sbagliava mille volte e non ne azzeccava una; continuando a preferire la sua compagnia, conscio del fatto che lui un giorno avrebbe potuto tradirlo.

E Dean si era convinto allora che amare fosse una cosa bella, forse la più bella.

 

Dopo averle sperimentate praticamente tutte Dean si era lasciato andare all'autocommiserazione pura. Cos'altro poteva fare per farsi ascoltare?

Non sapeva più da che parte sbattere la testa e nonostante Brandon lo stesse aiutando a non andare in crisi e a farsi venire in mente qualcosa per approcciare Hayden, lui continuava a ripetersi che ormai aveva bruciato la sua possibilità di essere felice.

Ripensò a come era nato tutto, a come era stato così fortunato a trovare quella confessione proprio nel suo armadietto. Se l'avesse trovata qualcun altro? Se Hayden non avesse sbagliato a imbucarla? E tutta una serie di altri "se" che lo convinsero del fatto che, probabilmente, se non fosse andato tutto esattamente come invece era accaduto, non avrebbe mai vissuto i mesi più belli della sua vita.

Si sbagliava: il destino non aveva deciso di prenderlo in giro, anzi, aveva deciso di regalargli la sua opportunità di avere dalla vita il meglio. Opportunità che lui era stato capace di sprecare, come il peggiore degli idioti.

In un lampo la sua mente si accese, come capitava raramente.

Una lettera.

Avrebbe potuto scrivere anche lui una lettera e imbucarla nell'armadietto di Hayden. Se non voleva né vederlo né ascoltarlo, avrebbe per lo meno letto le parole di un anonimo scrittore. Ci doveva provare, anche se non era fiducioso al massimo della sua trovata, doveva comunque provarci. Tanto peggio di così non poteva andare.

 

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Hayden era steso sul suo letto quel pomeriggio, pensando ancora alla lettera che aveva trovato quella mattina nel suo armadietto e che aveva avuto la brillante idea di stracciare – tra l'altro proprio sotto al naso del mittente – e gettare nella pattumiera senza nemmeno arrivare a leggere tutto fino in fondo. Anzi, senza andare oltre la seconda riga!

Perché lo aveva fatto?!

Era stato uno stupido. Alla fine avrebbe sempre potuto stracciarla dopo essere venuto a conoscenza del contenuto e ora si stava praticamente mangiando le mani dalla curiosità.

Si coprì gli occhi con un braccio rigirandosi poi su un fianco, portando le gambe al petto.

Sarebbe stato un bugiardo se non avesse ammesso che Dean gli mancava come l'aria. Le sue giornate erano tornate vuote, grigie e insapore senza la sua presenza vivace e colorita capace di trascinarlo letteralmente, ma non se l'era sentita in quel momento di perdersi in quelle parole consapevole di avere gli occhi del colpevole addosso e in più non voleva leggere delle scuse, voleva sentirle! Che era ben diverso. Ora però cominciava a riemergere la disperazione e la voglia di sbloccare quel contatto dalla "lista nera" e chiamarlo, solo che non sapeva se se la sentiva o meno. Per giorni questa tentazione aveva strisciato dentro di lui così forte che per poco non era arrivato a selezionare dalla rubrica il suo numero sul serio. Anche in quel caso si stava svolgendo una lotta dentro sé stesso e anche quella volta non sapeva come sarebbe finita.

Dopo più di un mese la rabbia era stata quasi interamente sostituita dalla voglia di ricevere delle spiegazioni e dalla voglia di fare chiarezza. Questo Dean glielo doveva senza ombra di dubbio e lui si sentiva finalmente pronto ad ascoltare almeno quello che aveva da dire.

"Se non lo faccio non starò mai in pace con me stesso. Tanto peggio di così non può andare" pensó.

Era inutile continuare a tenere in testa tutte quelle domande che da sole non avrebbero mai trovato risposta.

Sospirando si tirò a sedere afferrando con mano tremante il suo cellulare. Aprì la lista dei contatti bloccati e trovò subito il numero che cercava: era anche l'unico dopotutto.

Selezionò l'opzione per il ripristino e, sentendo l'ansia esplodergli nella pancia come un formicaio che si disperde in tutte le direzioni, tirò un ennesimo sospiro prima di pigiare il tastino verde di chiamata, aspettando e aspettando.

Aspettando tutti gli squilli di una telefonata prima di convincersi che evidentemente non era destino e reimpostare tutte le opzioni esattamente come erano prima.

 

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Dean corse forse come non aveva mai fatto in tutta la sua vita nemmeno sui pattini. Percorse quei pochi metri di vialetto che separavano la sua auto dalla porta di casa di Hayden come se avesse il diavolo alle calcagna. Trafelato suonò il campanello pregando di non aver fatto un viaggio a vuoto, mentre nella sua testa vorticavano tutte le parole che avrebbe dovuto dire, tutte le parole che aveva impostato in un discorso logico e coerente per far capire al suo cervellone quanto lui ne fosse assolutamente dipendente.

Respirava affannato un po' per lo sforzo un po' per l'agitazione e contava i secondi trascorsi su quella che sembrava una graticola ardente.

Sentì poi dei rumori provenire dall'interno e un mazzo di chiavi che veniva inserito nella serratura per poi farla scattare.

Una mandata e il suo cuore iniziò a pulsare impazzito.

Due mandate e la sua testa andò completamente in tilt.

Tre mandate e si dimenticò persino come si facevano funzionare laringe, faringe, corde vocali e lingua.

Quando poi vide la porta aprirsi per lui fu come tornare a respirare.

Vedere di nuovo quel viso, anche se imbronciato, leggermente arrossato, con gli occhi lucidi e le guance rigate era stato come ricevere una scossa dritta al cuore che si era poi propagata in tutto il corpo. Non ci dovette nemmeno pensare troppo prima di afferrare quel faccino a due mani chinandosi per unire le sue labbra con quelle tremanti del più piccolo, iniziando subito a diventare insistente, a lasciare il pudore da parte, a chiedere il permesso per avere sempre di più.

Hayden invece non si stava nemmeno rendendo conto di quello che stava accadendo. Continuava a pensare di stare avendo una specie di allucinazione, un'allucinazione che proiettava tutti i suoi desideri. Chiuse gli occhi d'istinto stringendo in una mano la stoffa del maglione di Dean all'altezza del braccio, mentre l'altra si alzava da sola per andare incontro al suo viso, dove vi si posò in una carezza incerta.

Dean doveva sul serio avere qualcosa che non andava perché anche provandoci, non era più in grado di riuscire a staccarsi da Hayden. Avrebbe voluto iniziare a spiegare e sentirsi dire che poteva essere perdonato, accettato ancora una volta per il grandissimo disastro che era, ma non ce la faceva.

Continuò a mordere, a lambire con dolcezza e poi di nuovo a stringere, succhiare e leccare quelle labbra senza neanche dare il tempo al ragazzino di prendere fiato. Era un bacio frenetico, urgente, scomposto e anche un po' impacciato, specialmente per Hayden che non vantava certo una grande esperienza alle sue spalle, ma che anzi, di precedenti simili in vita sua non ne aveva mai avuti.

E praticamente subito, quasi senza pensarci, Hayden dischiuse le labbra accogliendo la lingua di Dean sentendola scivolare e avvilupparsi alla sua con dolcezza e passione allo stesso tempo.

Dean spinse il ragazzino all'indietro delicatamente, fino ad entrare completamente in casa sua chiudendo il battente con un piede.

Spostò le mani dal suo viso ai suoi fianchi stringendoli deciso, accostandosi di più a lui, sospirando fra le sue labbra arrossate e morbide continuando quel bacio che stava diventando via via più profondo e delicato.

Hayden si lasciò maneggiare senza opporre la minima resistenza. Sentiva in qualche modo da quel bacio tutto quello di cui aveva bisogno, tutto quello che aveva sempre voluto.

Non fece un fiato nemmeno quando percepì Dean afferrarlo da sotto le cosce senza il minimo sforzo, portandoselo addosso iniziando a muoversi sicuro verso le scale in direzione della sua stanza nella quale c'era stato solo una volta, ma comunque sufficiente affinché si ricordasse la strada.

Hayden si aggrappò al suo corpo per non gravargli troppo addosso stringendo le gambe attorno alla sua vita e allacciandogli le braccia attorno al collo, facendosi trasportare fino al letto, dove caddero ancora avvinghiati.

Solo allora Dean si staccò con uno schiocco dalla sua bocca rimanendo con la fronte poggiata su quella dell'altro, prendendo fiato.

«Ti amo Hayden.» gli soffiò contro le labbra inturgidite. «E mi dispiace davvero tanto.» aggiunse affondando la testa fra il collo e la spalla del più piccolo, inspirando quell'odore che gli era mancato tremendamente lasciando anche qui un tenero bacio.

Hayden prese un bel respiro chiudendo gli occhi. Posò delicato una mano fra i capelli castani di Dean muovendola leggermente su e giù sentendo il suo naso percorrergli leggero il profilo fino a strofinarsi delicato contro il proprio.

Era felice. Dean Collins gli aveva appena detto di amarlo baciandolo fino a strappargli anche l'anima e l'unica cosa che riusciva a pensare era quanto fosse dannatamente felice.

«Ti prego di credermi.» iniziò poi di nuovo il maggiore tornando a stabilire un contatto con gli occhioni di Hayden. «È stato tutto un grosso incidente. Brandon ha trovato la tua lettera nel mio portafoglio e... l'ha letta. I-io non potevo fare niente per impedirglielo, dopotutto è sua.» biascicò.

«Gli è piaciuta e quando mi ha chiesto perché ce l'avessi io... beh... ho mentito. Gli ho detto di averla trovata solo poco prima, quando in realtà era trascorso un bel po' di tempo e di non sapere chi la mandasse.» spiegò. «Così lui ha pensato che se l'avesse attaccata al suo armadietto rendendola pubblica tu ti saresti fatto avanti e... non ho potuto fare niente per impedirlo, ma la colpa rimane comunque solo mia. E... e mi dispiace davvero così tanto!»

C'era così tanto nella voce e nel tono che Dean aveva usato, che Hayden non poté fare altro se non credergli. Voleva credergli perché non riusciva veramente a pensare che quanto accaduto fosse sul serio frutto di una sua voglia di prenderlo in giro, di umiliarlo. Il Dean che conosceva non l'avrebbe mai fatto, non a quel punto, non con quelle premesse. Se lo sentiva fin da subito che qualcosa non quadrava che sicuramente c'era dell'altro dietro e ora che ne aveva la certezza non poteva fare altro che appigliarsi a questa certezza. Dean comunque aveva ragione: se non avesse mentito non sarebbe successo niente di tutto quello, quindi in un certo sento la colpa era anche sua, ma perdonargli quella mancanza sarebbe stato tutto un altro paio di maniche.

«Perché?» domandò il moro dopo un attimo di riflessione posandogli una mano sulla guancia. «Perché gli hai mentito?»

Dean mandò giù il groppo che aveva alla gola. «Perché avevo paura che lui ti portasse via da me.» mormorò alzandosi dal letto continuando a guardare un Hayden estremamente sorpreso. «Pensavo che se lui avesse voluto conoscerti meglio tu avresti accettato senza pensarci due volte e mi avresti lasciato indietro. Dopotutto è di lui che sei innamorato.» confessò sentendosi malissimo a dover pronunciare quelle parole. A lui ormai interessava solo ricevere il perdono del suo cervellone e sperare di poter recuperare il rapporto con lui, di tutto il resto non gliene importava nulla. Non si aspettava nemmeno di poter essere corrisposto, anzi, non lo aveva messo in conto già in partenza. Però non si sarebbe arreso nemmeno in quel campo. Se necessario gli avrebbe dimostrato qualsiasi cosa, qualsiasi cosa pur di riuscire a tenerselo stretto per sempre.

Hayden non poté trattenere il sorriso che si formò praticamente da solo al suono di quelle parole. Dean era sempre stato geloso di lui e vederglielo confessare con quell'aria così smarrita e tenera non aveva prezzo. Lui che era sempre così cupo, distaccato e burbero, nascondeva sotto la scorza qualcosa di molto diverso e lui era stato davvero fortunato ad avervi accesso. Comprendeva la motivazione dietro le sue azioni e sebbene ormai il danno era stato fatto, ricominciare da zero, in modo diverso, consapevoli dei propri sentimenti e senza ricatti di mezzo non poteva che essere la soluzione migliore.

«Sì, forse tempo fa se mi avessero chiesto se ero innamorato avrei risposto con un nome ed un cognome.» gli disse alzandosi a sua volta. «Quando ho scritto quella lettera ero davvero convinto di quello che sentivo. Talmente tanto da riuscire a cacciarmi nel guaio più grosso della mia vita.»

Dean fece una smorfia scoraggiata. Un guaio. Aveva appena definito tutto il loro trascorso un guaio.

«Poi...» riprese «poi è successo un imprevisto, o un bel casino che tanto è la stessa cosa e allora ho aperto gli occhi.» sorrise. «Dean io non sono innamorato di Brandon, probabilmente non lo sono mai stato. Forse, semplicemente ero infatuato dell'idea che avevo di lui, sai, del fatto che fosse un bel ragazzo gentile e simpatico. In realtà mi sono accorto che queste cose non fanno proprio per me... altrimenti non mi spiego come io abbia potuto perdere la testa per qualcuno di così antipatico, indelicato e spocchioso come te.» ridacchiò andandogli in contro fermandosi a pochi millimetri dal suo corpo.

«P-puoi ripeterlo in maniera più chiara... perché sai che io queste cose n-non le capisco e...»

«Ti amo.» lo interruppe. «Ti amo e vai bene esattamente così come sei.» ripeté alzandosi in punta di piedi più che poté cercando di arrivare al suo viso.

Dean sentì qualcosa di piacevole e inusuale chiudergli lo stomaco e stringerlo all'altezza del petto, qualcosa di strano ma al contempo di estremamente bello.

Sorrise avvolgendo le braccia attorno alla vita di Hayden chinandosi leggermente per guardarlo, attraverso gli occhiali, dritto in quegli occhioni cioccolato che tanto amava. «Sul serio?» domandò «Non cambieresti proprio niente?»

L'altro scosse la testa. «Assolutamente niente.» confermò prima di lasciarsi coinvolgere in un altro bacio da togliere il respiro.

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