Shameless

di Giulietta beccaccina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** THE STRANGEST START ***
Capitolo 3: *** HOLD ME DOWN ***
Capitolo 4: *** HOMECOMING ***
Capitolo 5: *** ALONE AGAIN ***
Capitolo 6: *** BABY, COME HOME ***
Capitolo 7: *** I NEED A HERO ***
Capitolo 8: *** WHAT'S GOING ON? ***
Capitolo 9: *** TIME IS RUNNING OUT ***
Capitolo 10: *** KISS ME ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Un'altra vittoria. Un'altra causa vinta. Un altro ricco imprenditore accusato (colpevole)  di frode fiscale libero di tornare nel proprio attico dell'Upper East Side da uomo libero. 
 
D'altra parte non c'era da meravigliarsi, Jeri Hogarth era un mastino addestrato dalla vita. 
Nata e cresciuta da una modesta famiglia conservatrice, la piccola Jeri aveva sempre saputo ciò che voleva e se lo aveva sempre preso: la bambola di porcellana vista al Toys 'R' Us? Ricevuta come regalo per il suo ottavo compleanno. La bionda e sexy capo cheerleader del suo liceo? Baciata al prom scolastico dopo l'incoronazione del re e della reginetta del ballo. La laurea in legge tanto desiderata? Raggiunta con lode. 
Da semplice ragazza della porta accanto, Jeri Hogarth era diventata uno dei soci senior del più importante studio legale di New York. 
 
Era stata una fortuna per lei riuscire a diventare un suo associato. 
Quando Jules Leighton si era diretta nell'ufficio del procuratore, come faceva ogni mattina da mesi per via dello stage vinto all'università, non si sarebbe mai aspettata di trovarsi davanti il "mastino di New York": Jeri "mastino" Hogarth, soprannominata così perché non mollava mai (mai!) il suo obbiettivo, era entrata nello studio del procuratore avvolta in un elegantissimo, e sicuramente costosissimo, tailleur blu scuso e scarpe altissime, abbinate alla borsa Céline appesa al braccio. La piega appena fatta incorniciava un volto maturo dai lineamenti duri, ma nel complesso armoniosi. 
Si era fermata davanti la sua scrivania, le braccia incrociate sotto al seno e lo sguardo di chi non aveva tempo da perdere. 
Ma appena il "mastino" aveva fiutato il senso di soggezione che provava di fronte a lei, aveva ammorbidito l'espressione dura del volto, trasformando la linea dritta delle labbra in un sorriso strafottente. Jules sapeva che la Hogarth era sposata, ed anche con una bella donna! Eppure in quel momento sembrava che lei fosse diventata il suo unico interesse in quella stanza: gli occhi decisi ed attenti dell'avvocato studiavano il suo viso tondo e dolce, scivolavano ad osservare il seno prosperoso nascosto con pudore dietro alla camicetta di seta color avorio, fino a ritornare a puntarsi nei suoi occhi verdi. 
La giovane stagista allora si trovò a sistemarsi dietro l'orecchio una ciocca scura sfuggita all'acconciatura ed a schiarirsi la voce in un moto di imbarazzo... Fortunatamente, in quel momento fece il suo ingresso il vice procuratore, con il quale la signora Hogarth aveva appuntamento. 
Ma prima di andarsene, Jeri non perse l'occasione di lasciarle sotto il naso il proprio biglietto da visita, invitandola a chiamarla per un colloquio.
 
Jules non pensava sul serio che, dopo poco più di un anno, la Hogarth si sarebbe ricordata di lei.
Eppure, quando l'aveva chiamata per sapere se avesse bisogno di un assistente, sembrava che si fossero viste proprio il giorno prima. 
Jeri non aveva tempo da perdere in quel periodo: sua moglie (quasi ex moglie) era morta, la sua segretaria (ex amante) era accusata del suo omicidio e la difesa di Hope Shlottman caduta a pezzi aveva pericolosamente messo in bilico il suo posto da neo socio titolare dello studio. 
Tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento era un assistente con le palle, un braccio destro pronto a tutto pur di vincere, quello di cui Jeri Hogarth aveva bisogno era qualcuno di cui potersi fidare qualora si fosse trovata nella posizione di dover oltrepassare (ancora) la linea dettata dalla legge, e Jules sapeva di essere la persona giusta. 
 
Così quella mattina, la giovane neo avvocatesca Jules Leighton si trovava ad uscire dal tribunale dopo l'ennesima causa di frode vinta, per dirigersi a passo di marcia verso il suo primo importante incarico: ricevere nell'ufficio del suo capo il "caso" che avrebbe fatto la storia, il "caso" che avrebbe nuovamente consolidato la posizione di Jeri Hogarth all'interno dello studio. 
Jules Leighton si stava preparando a ricevere nell'ufficio dell'avvocato Hogarth il Soldato d'Inverno

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Capitolo 2
*** THE STRANGEST START ***


THE STRANGEST START

 

“And the hardest part

Was waiting for that bell to ring

It was the strangest start”

COLDPLAY

 

Eccolo lì. Seduto su una sofisticata sedia in pelle nera, i gomiti appoggiati sulla scrivania di vetro e le mani che stringevano convulsamente la tazza di caffè fumante, gentilmente offertaglidalla segretaria per allietare l’attesa.

La mano sinistra era nascosta da un guanto scuro, forse per passare inosservato.

 

O forse perché lui stesso non voleva avere in continuazione sotto gli occhi la protesi meccanica.

 

Jules si fermò sulla soglia dell’ufficio, osservandolo mentre si sistemava sulla sedia, senza trovare davvero una posizione comoda, e guardandosi attorno con fare guardingo.

Poi, gli occhi grigi dell’uomo di fronte a lei puntarono la sua figura. La prima impressione fu quella di un randagio. Un cane randagio ferito e sospettoso, incapace di fidarsi di chi aveva intorno.

Ma come dargli torto?

 

La vita non era forse già stata abbastanza beffarda con il Serg. Barnes?

 

La giovane donna prese un respiro profondo e avanzò verso l’altra sedia, per sistemarsi al posto dall’altro lato della scrivania. Il ritmico rumore dei tacchi alti era l’unico suono all’interno della stanza.

Accavallò  le gambe in un gesto di finta sicurezza e si schiarì la gola, rivolgendo al suo nuovo cliente lo sguardo più sicuro e tranquillo del suo repertorio.

 

Come se difendere da un’infinita lista di reati penali e crimini internazionali uno dei veterani più famosi della Seconda Guerra Mondiale fosse un fatto di ordinaria amministrazione. Jeri l’avrebbe pagata  per questo.

 

James Barnes posò la tazza ancora piena di liquido scuro da un lato, alzando il mento e incrociando le braccia sul petto in un motodi stizza. Gli occhi, adesso stretti in due fessure, mostravano senza alcun problema tutto il suo disappunto.

“Mi aspettavo di vedere la signorina Hogarth. O almeno era cosìche eravamo rimasti d’accordo durante il nostro primo incontro.”

Jules si accigliò alle parole del suo ospite. Ma fece finta di non notare il disappunto celato dietro i suoi gesti decidendo di presentarsi: “Piacere di conoscerla Sergente Barnes, il mio nome e` Jules Leighton e sono l’assistente dell’avvocato Hogarth. Il mio capo dovrebbe averle già accennato qualcosa su di me. Sarò io a prepararla in vista del proces-“

“Assistente? Davvero?”

Un altro respiro profondo. Eccome se Jeri l’avrebbe pagata. 

“Sì signor Barnes. Come le stav-“

“Quindi lei è un avvocato?”

A quella seconda interruzione Jules non poté evitare di alzare gli occhi dai documenti che stava distrattamente sfogliando e di tornare a prestare attenzione al suo interlocutore.

Barnes aveva le sopracciglia aggrottate e l’espressione interrogativa di chi capiva fischi per fiaschi. 

 

Cos’era tutta quella perplessità? 

 

“Mi scusi signorina…”

“Leighton. Jules Leighton.”

“Leighton. È che sembra molto… troppo giovane per avere l’esperienza necessaria a gestire- Beh, per gestire questa situazione.”

La troppo giovane donna davanti a lui chiuse stancamente gli occhi stringendosi la base del naso con le dita. 

 

Troppo giovane?

 

Va bene, era innegabile che il viso rotondo e dolce della ragazza potesse trarre in inganno. Ma al massimo di un paio di anni!

 

“Signor Barnes, mi ascolti con attenzione. A lei non deve interessare la mia età o la mia qualificazione. I suoi amici hanno portato all’attenzione della Hogarth il suo caso e non poteva capitare in mani migliori, perché lei non sbaglia un colpo. Quindi,se io sono stata mandata qui per accompagnarla durante questo –speriamo il meno- lungo percorso giudiziario, lei stia pur certo che c’è un motivo valido.”

La voce ferma e risoluta della Leighton non ammetteva repliche ela donna si sentì molto soddisfatta ad aver lasciato il signor Barnes privo di obiezioni.

Ma tutta la sicurezza appena ostentata vacillò nell’esatto momento in cui Barnes appoggiò i palmi delle mani sulla superficie immacolata del ripiano e si sporse in avanti, i loro visi a pochi centimetri di distanza.

“Il carattere non le manca signorina Leighton. Credo che andremod’accordo noi due.”

 

Cara. Carissima. Jeri Hogarth avrebbe pagata caro prezzo il fatto di aver consegnato nelle mani di un pluri imputato psicologicamente instabile la sua giovane ed indifesa associata. Parola di Jules Leighton.

 

 

 

 

La mattinata era stata lunga ed interminabile. Aveva evitato dapoco un infarto quando una bellissima donna dalla chioma scarlatta e un tizio di colore ben piazzato si erano presentati nel suo ufficio, asserendo di essere giunti fin lì per prelevare il Sergente e condurlo al suo prossimo appuntamento.

 

Con i sotto intesi significati di prelevare” ed appuntamento, che rispettivamente significavano “controllare a vista” e “visita dallo strizza cervelli”.

 

Non avrebbe neanche fatto in tempo a pranzare se voleva arrivare in tempo all’ufficio del vice procuratore e consegnargli la documentazione per il caso Rand previsto per la settimana successiva.

Stava aspettando il suo caffè da portar via –non aveva voglia di svenire proprio sul lurido pavimento della metro per mancanza di zuccheri- quando un pungente odore di whiskey scadente le arrivòal naso accompagnato da una camminata pesante a trascinata.

 

Scarponi rumorosi e puzza di alcool da quattro soldi mischiato ad un alone di malsano malessere.

Poteva trattarsi di sole due persone. Ma quella Jessica aveva giàricevuto un incarico, quindi le balenò in mente l’altra opzione.Opzione purtroppo confermata dal fischio di approvazione e larisata sarcastica che ne seguì. 

“Juli! E` sempre un piacere la vista del tuo didietro! Questi pantaloni poi… lo fasciano alla perfezione!”

Eccoci. Di nuovo.

Il nuovo arrivato le si fece più vicino, abbastanza da avvertire ilsuo petto sfiorarle la schiena e da accostare le labbra al suo orecchio destro: “Non sai che ti farei, bambina…”

Barney Barton piaceva mettere le persone a disagio. 

Più si dimostravano riservate e impenetrabili e più quel nullafacente provava piacere a innervosirle.

“Buongiorno anche a te Barney. Lieta di vedere che anche oggi il tuo fegato regge e non sembra dare segni di cedimento.” Gli rispose Jules, spostandosi di lato per pagare il suo ordine e volatilizzarsi il prima possibile.

Barney sorrise sornione e si appoggiò con il braccio al bancone, ignorando il tono infastidito della ragazza.

“Il mastino non risponde alle mie chiamate… sai per caso, oh gentile mia pulzella, se ha qualche lavoro da offrirmi? Sai, le bollette non si pagano da sole e dopo il problemino Shlottman le persone non chiedono più tanto volentieri aiuto agli investigatori privati…”

“Ti va male Barton. L’ultimo lavoro l’ha affidato proprio un paio di giorni fa a Jones. Sai, potreste mettervi in affari… ma sono convinta che vi uccidereste a vicenda in poco tempo per l’ultimo goccio di alcool presente in ufficio.”

“Oh! Ma così mi ferisci amor mio!” rispose l’uomo accanto a leiportandosi una mano sul cuore con fare teatrale e attirando l’attenzione delle persone vicino a loro.

 

Amava anche dare spettacolo, lo stronzetto.

 

“Senti Barton, non e` giornata oggi. Ho già dovuto sopportare un cliente molto… molto particolare –per così dire.”

“Parli del Soldato d’Inverno?”

L’espressione di Barney cambiò in pochi secondi. Le labbra si serrarono e gli occhi saettarono da un lato all’altro della caffetteria. Quel repentino cambio d’umore non era normale. Barney non era normale. Ma di solito era talmente poco normale che trovandosi in una brutta situazione avrebbe riso davanti al pericolo.

“Tranquillo cowboy, se n’è già andato. E in ogni caso è tenuto sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro da agenti altamentequalificati. Prima che possa arrivare a romperti l’osso del collo sarebbe abbattuto da un proiettile o da una freccia.”

E per qualche strano motiva che non sapeva spiegarsi, al nominare la parola freccia gli occhi di Barney si sgranarono e la sua schiena ebbe un fremito. Aveva la faccia di un bambino a cui avevano appena parlato dell’uomo nero.

Jules restò un attimo interdetta per quella reazione. Aveva sempre visto Barney allegro e scanzonato sino a sembrare (essere) fuori luogo, di quell’allegria ostentata fino all’esagerazione. Perciò, vederlo tanto serio quanto preoccupato la destabilizzò non poco.

Ma la perplessità della ragazza non durò a lungo, perché Barney Barton si dileguò in tutta fretta dopo pochi secondi biascicando una serie di scuse poco comprensibili.

L’avvocato restò un attimo ad osservarlo con la fronte aggrottatamentre si allontanava mescolandosi tra la folla. Cosa mai aveva detto per far scappare come un ladro Barney-nonstomaizitto-Barton?

Ma non ebbe molto tempo per rimuginarci sopra che il cellulare le vibrò in tasca. Il vice procuratore. Accidenti! Era in ritardo!

 

Quella non era decisamente la sua giornata.

 

 

 

 

 

| SPAZIO DELL’AUTORE |

Salve a tutti! Alla fine del prologo non ho lasciato alcun commento, perché bene o male non c`era bisogno di molte spiegazioni. Ma in questo capitolo iniziano ad essere presenti i primi riferimenti a fatti e persone diverse dal contesto di Captain America, quindi sarà bene chiarire alcuni punti.

Prima di tutto la storia e` ambientata dopo la Civil War: visto che il film non è ancora uscito nelle sale italiane (ma manca poco! Yuppieeeee!) mi sto tenendo sul vago per il momento riguardo alcune situazione e personaggi. Che fine farà Rogers? Come saranno i rapporti tra gli eroi alla fine del conflitto? Tutte domande che nel MCU non si sanno ancora. Però, essendo una fan anche dei comics, ho deciso di sfruttare la cosa a mio favore. Infatti cercherò di fondere al meglio delle mie capacità il MCU con quelle parti dei comics che a mio avviso rendono la storyline fumettistica tanto bella ed emozionante. E cercherò anche di dare maggiore spazio a personaggi che probabilmente il grande pubblico non conosce o non conosce bene. Una tattica utile, visto che riguardo il futuro dei protagonisti nello specifico non sappiamo nulla. 

Tornando al capitolo, so che è breve e per ora le cose stanno andando con calma. Ma abbiate pazienza, devo trovare il modo giusto di introdurre almeno in parte i vari nuovi personaggi.

Per godersi al meglio la lettura vi consiglio di dare un’occhiata a qualche opera targata Marvel: iniziate dalla serie Jessica Jones. La storia seguirà in parte le basi del legal drama, perciò e utile avere qualche nozione su Jeri Hogarth. Inoltre ho fatto accenno al casoRand: bene, cercate qualcosa anche su Iron Fist. Lui e Hogarth nei fumetti hanno spesso a che fare. E, avendo nominato Jessica Jones e Iron Fist, non posso che consigliarvi di informarvi anche sui Difensori.

Sono solo consigli, anche perché cercherò sempre di mantenere i caratteri dei personaggi inalterati e di dare le informazione strettamente necessarie perché possiate apprezzarli anche solo conoscendoli n queste poche righe.

Oggi abbiamo introdotto un Serge in via di recupero e un Barney Barton visto da un punto di vista ancora superficiale, spero che l’andamento dei fatti sia chiaro e comprensibile.

È da molto che non scrivo qualcosa, quindi spero di ricevere presto qualche recensione o commento utile, così da capire dove sbaglio e come posso migliorare. Ma se mi fate sapere anche solo se la storia vi piace o meno sono contenta lo stesso!

Penso di avervi tediato abbastanza per questo capitolo, quindi mi limito a ringraziare Eclisse Lunare per aver inserito la storia tra le seguite e anche chi si prende un attimo per leggere ciò che scrivo.

Al prossimo capitolo… che sarà più lungo! Ciao a tutti!

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** HOLD ME DOWN ***


HOLD ME DOWN

 

 

Selfish, taking what I want and  call it mine

I'm helpless, clinging to a little bit of spine

They rush me, telling me I'm running out of time

They shush me, walking me across a fragile line

HALSEY

 

 

“Ha un ragazzo signorina Leighton?”

Poteva passare per una domanda del tutto innocua, una di quelle fatte durante una conversazione di circostanza o per conoscere qualcuno di nuovo mentre si sorseggia un delizioso frappuccino sulla 5th Avenue.

Ma la signorina Leighton quel pomeriggio non aveva conosciuto nessuno di nuovo. E non si trovava nemmeno ad un appuntamento di piacere. Al contrario, si trovava nell’ufficio del suo capo con il Serg. Barnes che la guardava dall’alto in basso aspettando una risposta.

Erano passate alcune settimane del loro primo incontro e non erano più stati da soli più del dovuto. Di solito si incontravano in presenza di Jeri, con le guardie del corpo del soldato che attendevano la fine dei colloqui in sala conferenza bevendo caffè e sfogliando riviste. 

D’altra parte il segreto professionale valeva anche per i super ricercati. 

Durante quegli incontri era Jules ad intrattenere Serge, mentre la Hogarth studiava i documenti probatori, le prove circostanziali, la credibilità dei teste, le tattiche giudiziarie più convenienti e le contromosse legali da usare in caso di necessità. Non si potevanolasciare niente al caso. 

Il problema prioritario al momento era che nessuno aveva ancora saputo dirgli come si sarebbe svolto il processo. Giuria popolare? Commissione speciale? Corte di giustizia?

Senza tale informazione di base era impossibile costruire una difesa effettivamente efficace. 

Nel mentre, loro cercavano di sfruttare la situazione a loro vantaggio, anche grazie agli inseparabili amici di Barnes.

Natasha Romanoff e Sam Wilson si stavano prodigando giorno e notte per trovare periti in campo di psicanalisi, medici specializzati ed esperti nel settore del disturbo post-traumatico da stress abbastanza qualificati e influenti nel settore della ricerca da portare testimonianze di spessore al processo.

Nel caso della commissione, avrebbero portato ricerche scientifiche inconfutabili come prova della mancata volontà del loro cliente nel porre in essere i crimini di cui ere accusato. Nel caso, più agevole per loro, di una giuria popolare, la testimonianza di questi teste avrebbe ricordato ai giurati le inumane condizionifisiche e mentali a cui un prigioniero di guerra poteva essere sottoposto.

 

Li avrebbero commossi

 

Li  avrebbero manipolati.

 

Sarebbe stato sufficiente conquistare un solo giurato per arrivaread annullare il processo per incapacità di trovare un verdetto unanime e quindi per far cadere le accuse. 

 

non si poteva essere incriminati due volte per uno stesso crimine.

 

Ma. C’era un “ma”. E quel “ma” era Serge.

Jeri lo voleva al banco dei testimoni. Ma Natasha Romanoff era completamente avversa a questa ipotesi. E non aveva tutti torti.

 

Come avrebbe reagito Barnes sotto le pressioni fatte dall’accusa? 

 

Era questo il vero problema. Avevano davanti un uomo che aveva materialmente commesso quei reati. Un uomo che non negava di aver commesso quei fatti.

Il loro compito era per questo ancora più difficile, perché  avrebbero dovuto convincere un’intera giuria che il Serg. Barnes era colpevole ma non imputabile.

 

Facile come scalare l’Everest in costume da bagno ed infradito.

 

E adesso eccoli lì. Lei e Serge l’uno davanti all’altra come al loro primo incontro, mentre Jeri e Romanoff si trovavano fuori dall’ufficio e discutevano sul da farsi.

Far testimoniare James Barnes era un azzardo.

 

Un azzardo che avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte.

 

Ebbene sì, qualora fosse stato giudicato colpevole la soluzione sarebbe stata sicuramente la pena capitale. Dopo la scoperta del doppio gioco di Pierce e di tutti quegli uomini di potere, pensaredi detenere il Soldato d’Inverno in una struttura penitenziaria era un’utopia: quanto tempo ci sarebbe voluto prima che qualcun altro provasse a riprogrammare il più grande assassino della storia? 

Per il governo il Serg. Barnes poteva essere una carta vincente, ma anche e soprattutto un pericolo di portata catastrofica. 

Jules credeva in Jeri, sapeva che c’era un perché dietro ogni sua decisione e, in questo caso specifico, non poteva permettersi errori.

 

Si stava giocando tutto. All in.

 

Se solo avesse potuto sapere cosa si stavano dicendo quelle due! Maledette pareti insonorizzate!

La ragazza stava proprio fissando, oltre la spalla di Serge, la parete in doppio vetro antiproiettile per cercare di leggere il labiale quando si sentì fare quella domanda.

 

Ha un ragazzo signorina Leighton?

 

Ebbe un sussulto, più che per la domanda in se perché non si aspettava un’interruzione dei suoi pensieri così improvvisa.

 

Che razza di domanda era?

 

Aveva già notato l’instabilità emotiva di Serge: per ogni situazione esterna lui reagiva in un certo modo ed era capace di cambiare umore tanto velocemente quanto spaventosamente. 

Quando si sentiva sotto pressione, come in quel momento, tirava fuori un’armatura di sfacciataggine per far sembrare che nulla lo preoccupasse, un modo di fare scanzonato e strafottente.

Quell’espressione furba e le labbra arricciate in una posamaliziosa le ricordavano le foto viste allo Smithsonian, le ricordavano il Bucky dei libri di storia, quel ragazzo irriverente e coraggioso tanto amato dagli americani.

Jules si domandò dove trovasse tutto quel coraggio… Aveva le conoscenze e le capacità per poter sparire e cambiare vita, magari fuggire in qualche paese senza estradizione, trovarsi un lavoretto e lasciarsi tutto alle spalle. Invece, dopo tanto dolore, era lì pronto ad essere messo alla gogna da persone a cui della verità non importava niente di niente. 

 

Non era… stanco?

 

“Perché?”

“Volevo fare conversaz-”

“No, non il perché della domanda. Perché sta facendo tutto questo?”

L’uomo davanti a lei socchiuse leggermente gli occhi chiari e schiuse un poco le labbra inclinando il capo di lato, lo sguardo disorientato a quel quesito. Era evidente che non si aspettasse quella domanda. Non in quel momento. Non così direttamente.

Si prese un attimo per pensare e trovare le parole giuste per esprimere quello che aveva nella testa. Era un po' che si trovava ad interagire con altre persone, ma il lungo tempo trascorso come arma da guerra alcune volte tornava a galla e gli sembrava così- così difficile farsi capire.

“Non sono abituato a scappare. Non l’ho mai fatto e non inizierò adesso, non dopo tutti i sacrifici che sono stati fatti per me, per darmi fiducia. Comunque vada potrò dire che ho combattuto.” Le rispose con determinazione, gli occhi puntati nei suoi.

 

Eccolo. Ecco il guerriero che veniva fuori. Il soldato che non sarebbe mai stato schiavo, che avrebbe lottato per la libertà.

 

Si sporse in avanti e gli strinse la mano –quella sana, quella che non teneva nascosta sotto il tavolo- con assoluta naturalezza.

Lotteremo, allora.” Aggiunse solo la ragazza.

James ricambiò la stretta, all’inizio un po' incerto, e il volto gli si ammorbidì in un leggero sorriso.

Quella ragazzina lo stupiva ogni volta che apriva bocca. Forse aveva fatto bene a seguire i consigli di Natalia e affidarsi a quello studio.

Si ricomposero quando videro che le due donne stavano per rientrare, una più indispettita dell’altra.

 

Chissà chi l’aveva avuta vinta.

 

“Comunque no.”

“Come?”

“Non sono fidanzata.”

 

 

 

 

L’incontro era andato tutto sommato bene. Lei aveva trovato un punto di connessione con Serge e Jeri era riuscita a convincere la Romanoff a prendere in considerazione l’eventualità di far testimoniate James.

Nonostante ciò, Jeri aveva un diavolo per capello: lo poteva notare dal modo stizzito con cui si massaggiava i lati della fronte e serrava le labbra sottili. 

Senza pensarci troppo, Jules afferrò la caraffa dell’acqua posta all’estremità della scrivania e riempì il bicchiere in vetro soffiato poggiato lì accanto, porgendolo al grande boss insieme ad una aspirina.

 

Mai uscire di casa senza almeno un’aspirina, un antiinfiammatorio e un antidolorifico.

 

Jeri alzò lentamente il capo e si prese un attimo per pensare. Doveva trovare qualcosa di sconveniente su quel Meachum e alla svelta anche…. Il processo per il caso Rand era stato rinviato e questo poteva giocare a loro favore.

“Dov’è andato a finire Barton?” chiese senza troppi giri di parolementre mandava giù la piccola pillola bianca.

“Non ne ho idea. È un tuo collaboratore, se non lo sai tu…”

“È strano, siamo alla fine del mese e a meno che non abbia deciso di percorrere la strada del clochard dovrà pur cercare di pagarsi l’affitto. Senza contare che per lui ogni occasione è buona per cercarti.”

La sua assistente per poco non fece cadere le pratiche che aveva tra le mani al suono di quella celata insinuazione. 

 

Jeri non apriva bocca a caso. Mai.

 

“Cos-“

“Ma per favore!” la interruppe la donna più grande: “Quel disgraziato si getterebbe da una finestra pur di attirare la tua attenzione. Non puoi permetterti di essere così ingenua in questo lavoro.”

La ragazza continuava a guardare il suo superiore con la bocca aperta a formare una “o” perfetta e l’espressione sempre più sbigottita.

 

Barton. Barney Barton. Era forse giunto il giorno in cui Jeri Hogarth aveva perso la ragione?

 

“Non fare quella faccia, bambina. Pensi che non lo veda? Pensi che non veda come ti cerca quando entra in una stanza? Come gli si accende di interesse lo sguardo quando ti vede? Le persone possono credere che io non abbia sentimenti, ma ciò non significa che non li sappia riconoscere quando ne vedo.”

“Barney si diverte solo a mettermi a disagio, per lui è un passatempo divertente. Tutto qua.”

“Ha un interesse, Jules. E quando qualcuno ha un interesse verso di te, tu hai potere su quel qualcuno. Sei una donna, comportati come tale e manipolalo.”

Jeri guardava la sua associata come se le avesse appena detto la cosa più ovvia del mondo.

 

Si era dimenticata di quanta ingenuità ci fosse in gioventù

 

“Avanti, prendi i fascicoli che ti ho consegnato stamani e portali a Barton. La segretaria ti darà l’indirizzo del suo ultimo recapito.”

L’assistente si ricompose immediatamente e leggermente confusa dalla quella conversazione si diresse verso la porta. Proprio mentre stava per chiudersela alle spalle, sentì di nuovo la voce volutamente bassa e calma della Hogarth: “Ah, bambina? Ricorda: sii donna.”

 

 

 

 

Naturalmente Barton non poteva abitare in una di quelle viette alberate, con le case tutte curate fornite di giardino e staccionata bianca che si vedevano nei film. No. Lui viveva ad Harlem. Uno dei quartieri con il più alto tasso di criminalità di tutto lo stato di New York. 

Almeno aveva avuto l’occhio di affittare un appartamento in un palazzo che dava sulla via principale. 

 

Più gente per strada e meno vicoli da percorrere.

 

Il complesso era fatiscente, quasi sul punto di essere chiuso per rischio di crollo improvviso (o di malattie infettive), e naturalmente l’ascensore era guasto.

Dopo un’infinita rampa di scale era finalmente giunta al numero indicato sul post-it datole dalla segretaria qualche ora prima.

La donna prese un respiro profondo, nella mente le parole di Jeri, e bussò.

Niente. Provò di nuovo. L’unico rumore era lo scricchiolare del pavimento sotto il suo peso.

“Ma guarda guarda… Cosa ci fa una visione celestiale come te in un luogo così poco raccomandabile come questo?”

Tutto si aspettava tranne di essere sorpresa alle spalle! Con un verso di puro spavento, Jules si girò di scatto, facendo cadere i fascicoli che aveva in mano.

Barney la guardava divertito, con un ghigno stampato in viso e un- un cane?

L’uomo di fronte a lei teneva al guinzaglio un cane (un bel cane!) che la stava osservando con la lingua penzoloni e la coda in movimento.

Era una bestiola ben piazzata: il pelo leggermente lungo era liscio e di un biondo scuro, gli occhi vivaci la guardavano con curiosità. Le ricordava un Golden, ma solo un po' più grande… Forse si trattava di un incrocio.

Nonostante le dimensione, l’animale sembrava molto più educato e dolce del padrone, il quale invece continuava a fissarlaaspettando che dicesse qualcosa.

Resasi conto di essere rimasta impalata come uno stoccafisso anche per troppo tempo, l’avvocato si chinò a raccoglierevelocemente i fogli sparsi per terra e a porgerli all’investigatore senza emettere un suono.

Barney guardò prima la mano tesa davanti a lui e poi il viso della ragazza e senza degnare di uno sguardo in più i fascicoli che gli stava porgendo, la oltrepassò infilando le chiavi nella toppa e aprendo l’uscio di casa.

“Vieni, accomodati. Ti offro qualcosa.”

 

Donna. Cosa avrebbe fatto una donna in quella situazione?

 

Beh, una donna normale avrebbe girato i tacchi e gli avrebbe lasciato i documenti nella cassetta della posta situata nell’atrio. Ma cosa avrebbe fatto una donna come la intendeva il mastino?

Chiuse gli occhi e, dopo aver preso un altro profondo respiro,oltrepassò il padrone di casa e si inoltrò nella tana del lupo.

 

L’appartamento era sommerso dal caos. I vestiti puliti si confondevano con quelli usati sul pavimento e in parte sui (pochi) mobili che arredavano il soggiorno. Sulla destra c’era un piccolo cucinotto, il cui lavello era occupato da piatti e bicchieri sporchi. Nessuna pentola fuori posto. 

 

Probabilmente mangiava spesso da asporto.

 

Sulla sinistra invece si trovava un’anticamera e si potevano notare due porte –probabilmente il bagno e la camera da letto. I colori pastello dell’arredamento andavano sui toni del viola e del blu, dando al monolocale un’atmosfera di calma e rilassatezza in completo contrasto con il disordine che vi regnava.

 

Non c’erano fotografie. Né appese alle pareti, né nei sui vari ripiani. 

 

L’unico oggetto che dava una parvenza di personalità era il grande bersaglio attaccato al muro accanto all’anticamera, appoggiati in un angolo una feretra e un arco –gli unici oggetti davvero ben tenuti.

 

Senza aspettare un invito, si diresse a passo sicuro verso il divano posto al centro del salotto.

Con calma calcolata si sedette accavallando le gambe ed appoggiando la borsa accanto a sé.

A quel punto alzò il viso in direzione di Barney, sorprendendolo mentre fissava attentamente ogni suo movimento mordendosi il labbro inferiore. 

 

Forse aveva ragione Jeri. Forse, anche se lei si sentiva ancora piccola, gli altri la vedevano donna.

 

Il loro contatto visivo fu interrotto dal cucciolone, che sembrava avesse fretta di essere slegato. 

“Buono Lucky, adesso ti libero.”

Come se avesse compreso ogni parola, Lucky si mise seduto e attese di essere slegato per poi avvicinarsi alla loro ospite annusandola da capo a piedi. Era un bravo cagnone in cerca di coccole. Così Jules lo accontentò lasciandogli delicati grattini dietro l’orecchio.

“Gli piaci. Sai, non è da tutti piacere a Lucky. Anche se all’inizio può sembrare un venduto.”

“Cosa posso offrirti? Caffè? Acqua? Scotch?” continuò Barney dirigendosi verso il piano cottura e lanciandole uno sguardo divertito.

Avere la bimba in casa sua lo divertiva parecchio. Sembrava una tipa schizzinosa con la sua borsa firmata e le scarpe altissime, invece non aveva battuto ciglio vedendo la sua modesta dimora.

 

Oh, se era divertito.

 

“Il caffè andrà benissimo, grazie.” 

Barney allora svuotò la caraffa del caffè in una tazza, prese ilrecipiente dello zucchero e una birra fresca di frigo per sé, poi posò il tutto sul tavolino da fumo e indicò a Lucky la cuccia dall’altro lato della stanza.

Senza protestare il cucciolo si allontanò da Jules per dirigersi dove indicatogli dal padrone ed iniziò a sonnecchiare.

“È ubbidiente” constatò l’ospite.

“È un bravo coinquilino. Senza contare che non mi dà mai torto.” 

“Un santo più che un buon coinquilino, allora…” gli rispose Jules.

Barney rise. Rise in modo leggero e smaliziato e Jules si sorprese: di solito i modi dell’uomo era irriverenti e al limite della maleducazione, ma in quel momento si stava comportando decisamente bene per i suoi standard.

Era strano trovarsi lì, con lui, senza litigare o sentirsi esasperata. Ma dopo le tipiche frasi di circostanza non aveva idea di come rompere il ghiaccio… Fortunatamente fu lui a interrompere quel silenzio imbarazzante: “Potevi lasciare tutto nella cassetta della posta.” 

 

Come avrebbe fatto una persona normale, pensò Jules. 

 

Ma doveva garantire la priorità e l’assoluta discrezione per questo caso, era di massima importanza.

“Era tanto che non ti facevi vivo allo studio, quindi ho pensato di venire a vedere se eri morto per coma etilico oppure se eri ancora vivo.”

“Eri preoccupata, bimba?”

“Sentivo la tua mancanza. Strano, vero?”

La sua voce suonò fin troppo calma e profonda per far passare quell’uscita come una frecciatina, tanto che lo stesso Barney rischiò quasi di strozzarsi con un sorso di birra sentendo quella risposta.

 

Cosa aveva in mente la sua bambina?

 

La guardò storto, arricciando le labbra ed osservandola di sottecchi.

Quella situazione stava diventando troppo imbarazzante per lei. Sì, era una donna, ma Barton aveva almeno il doppio dei suoi anni e quindi il doppio della sua esperienza. 

 

Come avrebbe mai potuto gestire un uomo così tanto più grande di lei e che oltretutto non era neanche uno sprovveduto?

 

Doveva girare i tacchi e congedarsi prima di fare una figuraccia. 

Posò la tazza di caffè ancora semi piena sul tavolinetto e si alzò di colpo affermando la borsa in un gesto veloce.

Barney dal canto suo era sempre più perplesso, ma decise di far finta di nulla per non creare ulteriori disagi. Posò anch’egli la sua birra sul tavolo e si avvicinò alla ragazza, che si trovava giàdavanti alla porta.

Stava per uscire quando la voce di Barney la bloccò. Si voltò per guardarlo in faccia e si sarebbe aspettata di tutto, tranne quellafaccia. Barney aveva le palpebre leggermente abbassate mente la guardava dall’alto della sua statura e le labbra erano increspate da un sorriso –comprensivo?

 

Ecco fatto. Colta in fallo.

 

Barney fece per allungare una mano e la giovane donna pensò che stesse per sfiorarle il viso. Invece la mano di lui si appoggiò allo stipite della porta e le si avvicinò di un poco.

“Non farlo più”

“Cos-“

“Non fare più finta di essere ciò che non sei, bambina. Ogni volta che vieni meno alla tua natura, perdi una parte di te. E a me piacicosì, per quel che vale.”

Bluffare a quel punto sarebbe servito a poco. 

Quindi Jules alzò il mento e recuperando un po' del suo coraggio decise di rispondergli dicendo la verità: “Lo studio è una noia mortale senza di te, per quel che vale.”

 

Uscì finalmente da quell’appartamento, sentendo lo sguardo di Barney bruciarle addosso.

 

Colta in fallo o meno, avrebbe sempre avuto lei l’ultima parola. Sempre.

 

 

 

 

| SPAZIO DELL' AUTORE |

Salve a tutti! Il capitolo era già pronto ed ho deciso di sfruttare un po' del mio tempo libero per aggiornare la storia. Cercherò di pubblicare questi primi capitoli di introduzione nel minor tempo possibile.

In questo capitolo buttiamo uno sguardo più attento sia sul James post Civile Dar che su Barney… Vi piacciono? Barney vi sta antipatico? Trovate James fuori personaggio? Per Barnes sto cercando di seguire il carattere che ha nei comics, quindi se tra i lettori c’è qualche appassionato della serie a fumetti mi faccia sapere che ne pensa! 

Vorrei anche ringraziare Eclisse Lunare GioTanner per aver inserito la storia tra le seguite.

Ed un ringraziamento speciale va alla grandissima Slytherin_Eveper sopportare i miei scleri e soprattutto per avermi fatto tornare la voglia di mettermi in gioco con la scrittura! Se avete occasione non perdetevi la sua storia Skyfall… Ben scritta e avvincente, viinnamorerete di ogni suo personaggio!

Vi saluto e grazie anche solo a chi legge, a presto! 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** HOMECOMING ***


HOMECOMING

 

 

Are you stuck inside a world you hate?

Are you sick of everyone around?

With the big fake smiles and stupid  lies

But deep inside you're bleeding

No, you don't know what it's like

When nothing feels alright

You don’t know what it’s like to be like me

SIMPLE PLAN

 

 

Non aveva più rivisto Barney dal quel pomeriggio a casa sua. 

Sapeva però che presto o tardi si sarebbe fatto vivo. Erano passati una decina di giorni da quando gli aveva personalmenteconsegnato l'incarico, perciò avrebbe dovuto aggiornate il capo sugli ultimi sviluppi. 

Il problema che si poneva adesso Jules era come si sarebbe dovuta comportare nei suoi confronti d'ora in avanti. 

Non era mai stata molto brava in fatto di uomini, anche se si reputava una ragazza carina non aveva mai avuto delle vere e proprie storie.

Le sue -poche- amiche le dicevano che era strana. 

Non era normale -secondo loro- che a ventitré anni non avesse ancora fatto sesso con nessuno.

Ma lei era fatta così. Se non scattava la scintilla a livello mentale non provava nessuno interesse... Per questo prendeva sempre sbandate per uomini più maturi.

Il suo ex professore di diritto penale, ad esempio. Lui sì che si portava bene i suoi anni. Era sexy. E sposato

 

No. Non era mai stata molto fortunata con gli uomini.

 

Per questo non sapeva come gestire la situazione con Barton. 

Lui aveva capito cosa stava cercando di fare quella volta. Ed era stato al gioco sino alla fine. 

Ma adesso?

 

Lui avrebbe continuato a giocare?

 

Troppi problemi a cui non poteva trovare dritte su un manuale o un codice. Ecco perché le piaceva il diritto, ti dava degli indirizzi da seguire, giocavi con le parole, aggiravi gli ostacoli. 

Ma con le persone non era così. Con i sentimenti non potevi giocare a rimpiattino sempre e comunque. 

Con i sentimenti dovevi scoprirti e rischiare tutto, senza scappatoie o ricorsi. 

 

I sentimenti erano dannatamente difficili da gestire.

 

Per un attimo si chiese come doveva essere vivere senza di essi. Agire senza occuparsi delle ripercussioni sugli altri.

 

Come doveva essere stato vivere nel modo in cui aveva vissuto per decenni il Soldato.

 

Serge ci stava lavorando. Lavorava su se stesso ogni giorno, con ogni gesto, con tutto se stesso per recuperare i suoi sentimenti.

C'erano dei momenti in cui osava di più, momenti nei quali le loro conversazioni andavano cautamente sul personale e lui cercava di leggerle negli occhi tutto ciò che poteva. Le studiava il volto, le espressioni, le diverse sfumature del tono di voce. 

Ma c'erano anche momenti nei quali faceva un passo indietro: l'espressione del viso diventava immobile come una maschera di marmo, gli occhi si svuotavano di ogni emozione e la mente era proiettata chissà dove. 

Era una sofferenza vederlo in quello stato. 

 

Forse senza sentimenti non si viveva. Forse senza sentimenti si sopravviveva a malapena. 

 

Sospirò Jules a quei pensieri, nell'ultimo anno aveva dovuto mettere spesso in discussione ciò in cui credeva. 

 

Quando ti trovavi nella situazione di fare la differenza nella vita delle persone, mettevi sempre in discussione te stesso.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

Il respiro era sempre più corto e irregolare a causa dei singhiozzi.

Di nuovo quelle viscide mani addosso.

Di nuovo quell’orribile puzza di alcol misto a sudore che gli faceva salire i conati di vomito su per la gola.

Di nuovo il rumore della cintura che veniva sfilata via dai pantaloni.

 

Basta. Basta. Basta. Basta. Basta. Basta.

 

Scalciava. Tirava pugni e morsi. Graffiava.

Si dimenava come poteva, ma quel corpo era troppo grosso e pesante per toglierselo di dosso.

 

Basta. Basta. Basta. Basta. Basta. Basta.

 

Il suo corpicino, invece, era ancora piccolo –troppo acerbo- per riuscire a ribellarsi come avrebbe voluto la mente.

Un altro conato. I lividi sulle braccia e sulle gambe magre. Il pianto sommesso di chi non ha vie di uscita.

 

Basta. Ti prego. Basta. Ti prego. Basta. Ti prego.

 

Poi rieccole. Ecco di nuovo le botte. Sempre più violente.

 

Basta. Basta. Ti prego. Adesso basta. Basta. Perché? Perché?

 

Ed ecco di nuovo anche il doloreQuel dolore lancinante che lo dilaniava dall’interno, che lo spezzava a metà senza più alcun pudore.

 

Basta. Basta. Ti prego. Adesso basta. Smettila. Ti prego. Basta. Basta.

 

 

Gli occhi si aprono di scatto e sembra accorgersi solo in quel momento dell’urlo agghiacciante che gli perforava la gola. Le coperte attorcigliate intorno alle gambe lo imprigionavano in una morsa asfissiante.

 

Acqua. Aveva bisogno a di buttarsi sotto l’acqua fredda della doccia. Subito.

 

Si libera con gesti veloci e convulsi, non agevolati senz’altro dalle mani tremanti e dal dolore al petto, che in poco tempo gli stringe il cuore in una stretta ferrea e dolorosa.

Una volta fuori dal letto, corre in bagno e si lancia nella doccia con i boxer ancora addosso.

Il getto d’acqua gelata gli colpisce la pelle bollente, donandogli un sospiro di sollievo e portandosi via gli spasmi di paura.

 

Stupidi incubi.

 

Con calma Barney tornò a respirare in modo regolare. 

Appoggiò la fronte contro le mattonelle fredde, prese un respiro profondo e scacciò i ricordi di quell’incubo senza fine.

 

Doveva darsi un contegno. Era un uomo adesso. Nessuno lo avrebbe più sfiorato senza il suo permesso.

 

Dopo un momento interminabile, uscì dal bagno con un asciugamano legato in vita e si diresse verso la cucina. 

Lucky era ritto in mezzo al salotto, il musetto inclinato di lato e le orecchie basse. Doveva averlo sentito urlare nel sonno, ma la porta della camera da letto era chiusa e non sapeva come aiutare il suo amico

Gli si avvicinò cercando contatto e rassicurazione, voleva essere certo che andasse tutto bene. Barney gli accarezzò il capo con dolcezza, un sorriso forzato sul viso segnato dalla stanchezza. 

 

Almeno c’era qualcuno che si preoccupava per lui.

 

Era ora di iniziare la giornata. L’orologio in cucina segnava le undici e trenta del mattino e, se voleva portare fuori Lucky prima di andare a lavoro, doveva darsi una mossa.

 

Non poteva permettersi di perdere tempo con il passato.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

Tic tac

Quella maledetta lancetta sembrava rallentare ad ogni nuova seduta.

 

Tic tac.

 

Che poi parlavano sempre delle stesse cose.

 

Tic tac.

 

Come potevano pretendere che stesse calmo e rilassato quando luiera chissà dove da solo nel mondo, mentre loro lo costringevano a questi inutili incontri terapeutici.

 

Tic tac.

 

Cosa c'era di terapeutico, poi, a stare seduto davanti ad un tizio di mezza età, che lo fissava con un bloc-notes in mano aspettando che aprisse bocca. 

 

Tic tac

 

Volevano che stesse bravo e buono?

 

Tic tac.

 

Avrebbero dovuto farlo allenare. O mandarlo in missione. Così sì che si sarebbe sfogato. 

 

Tic tac.

 

Invece doveva sopportare tutti quegli estranei che lo fissavano. 

 

Tic tac.

 

Tutti quegli occhi che lo giudicavano.

 

Tic tac.

 

Se li poteva immaginare.

 

Tic tac.

 

Non aspettavano altro che allungare la mano e girare il pollice verso il basso.

 

Tic tac.

 

Il processo era tutta una falsa. 

 

Tic tac.

 

Lo avevano già condannato.

 

Tic tac.

 

Allora perché? Perché continuare?

 

Tic tac.

 

Perché glielo aveva promesso.

 

Tic tac.

 

Lui aveva sacrificato tutto per dargli questa occasione.

 

Tic tac.

 

Non ce ne sarebbe stata un'altra.

 

Tic tac.

 

Doveva farlo per lui.

 

Tic tac.

 

Non avrebbe reso il sacrificio di suo fratello invano.

 

Tic tac. Finita. Erano scoccate le quattro del pomeriggio, ciò significava che la seduta era conclusa e che poteva lasciare quella stanza soffocante.

Quel dottor Fennhoff non gli piaceva affatto, con quegli occhietti piccoli ed invadenti e la barba canuta che gli nascondeva parte del volto. 

No, al Soldato non piaceva. E se Bucky poteva anche sbagliarsi, il Soldato non sbagliava mai. Mai.

 

"Gli accompagnatori del Signor Barnes sono qua fuori che lo attendono, credo abbiano fretta dottore." 

Ad interrompere il faccia a faccia tra i due uomini fu la segretaria del medico, che con non poco imbarazzo cercava di non far cadere lo sguardo sul braccio sinistro del paziente, reso ancora più scintillante dal riflesso del prezioso lampadario d'epoca appeso al soffitto della stanza. 

"Bene James, abbiamo finito per oggi. La mia segretaria le darà un appuntamento per il nostro prossimo incontro, sperando che sia più produttivo..." Disse il dottore con una leggera nota di ironia a colorargli la voce.

Avrebbe chiesto a Natasha di trovare un altro specialista, uno che non gli desse la perenne sensazione di essere –di nuovo- intrappola. Ne avrebbero parlato in auto, durante il tragitto verso lo studio legale.

 

Lo studioLei.

 

L'avrebbe rivista. La signorina Leighton. Dopo la loro ultima chiacchierata, il sentimento di curiosità che era nato nei sui confronti al loro primo incontro era mutato in vero e proprio interesse

 

Era interessante, la signorina.

 

Gli aveva stretto la mano, lo aveva ascoltato e lo aveva incoraggiato. Eppure si conoscevano da davvero troppo pocotempo e le uniche cose che sapeva di lui erano tutte cose orribili

Ma lo aveva visto, aveva visto il fuoco nei suoi occhi verdi. Il fuoco di chi è pronto ad alzare la testa, di chi era pronto a lottare anche sapendo di essere l'unico a farlo, di chi non si ferma soloperché si tratta di una causa persa in partenza

 

Un fuoco che aveva sempre visto anche in quegli occhi azzurri.

 

Era giovane la signorina Leighton. E come tutti i giovani camminava a testa alta e petto in fuori, pronta a conquistare il mondo. 

Gli piaceva perché il fuoco di quegli occhi verdi gli ricordavano un paio di chi azzurri a lui tanto -troppo- cari. 

 

"Bucky. Il mio nome è Bucky."

 

Disse solo il sergente prima di congedarsi ed uscire da quella stanza. 

Si diresse alla macchina accompagnato da Nat e Sam, pensando al paragone che aveva appena fatto. 

 

lui Jules sarebbe piaciuta.

 

Doveva andare da lei. Voleva andare da lei. 

 

Sapeva che erano due persone diverse, che non sarebbe mai statala stessa cosa, ma parlare con lei lo tranquillizzava. Lo faceva sentire normale

 

Sì, quella ragazza aveva davvero colto il suo interesse.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

Si massaggiò le tempie emettendo un sospiro frustrato. 

Il costume era danneggiato all'altezza degli occhi e questo era un bel problema

Non poteva nemmeno chiamarlo per farsi dare una mano ad aggiustarlo... Non dopo quello che si erano urlati contro l'ultima volta. 

Ed anche se non avessero litigato così pesantemente, non sarebbe andato comunque a chiedergli una mano. 

 

Lui gli aveva confidato ogni cosa, si era fidato, lo aveva ascoltato e seguito in ogni decisione.

E cosa aveva ottenuto in cambio?

 

Menzogne. Solo menzogne.

 

Gli aveva fatto credere di essere speciale.

 

Gli aveva detto che era una persona importante per lui. 

 

Gli aveva detto che lo considerava come un figlio.

 

Un figlio, cazzo.

 

Ma adesso non poteva più dargli fiducia. Da quel momento in poi avrebbe dovuto contare solo su se stesso. Niente più gadget tecnologici o loghi sgargianti. 

Solo lui, il suo costume e le sue capacità in una cameretta piena di apparecchi datati ripescati tra i rifiuti

 

Si tornava alle origini.

 

Si tornava a casa.

 

 

 

 

 

 

 

| SPAZIO DELL' AUTORE |

Eccoci qua gente! Tutto bene?

Allora, finalmente è uscito Civil War!!! 🎉🎉🎉

A me è piaciuto tantissimo, e a voi? In ogni caso, per chi l’ha già visto, non passeranno inosservate alcune citazioni… 😏😏😏

Per quanto riguarda il capitolo, abbiamo una Jules meno avvocato e più ragazzaincomincia a farsi domande interessanti ed a inoltrarsi nel labirinto dei sentimenti. Ma… sentimento ed attrazione sono due cose diverse… riuscirà a fare chiarezza?

Comunque qua è un pochino moscia, lo so. Però c’è un suo perché: volevo dare più spazio a Bucky. Ci avevo preso alla fine, il Bucky presentato in Civil War è molto simile al personaggio fumettistico e questo mi ha fatto impazzire! 😍😍😍

Spero vi siano piaciute le sue riflessioni su se stesso e su chi lo circonda 😊

Nel mezzo troviamo Barney: la descrizione del sogno non è delle più leggere, ma non volevo esagerare. Le tematiche trattate sono molto delicate e non credo si possano neanche trattare nello specifico sul sito… Meglio così, perché  non so se avrei lo stomaco per scendere nel dettaglio.

Si è visto uno squarcio del suo passato, che un po' spiega il suo modo di essere. Ma sappiate che si tratta solo della punta dell’iceberg!

Ed infine abbiamo un personaggio sconosciuto. Ma ci sono un sacco di tracce per capire di chi si tratta, quindi diciamo che non sarà poi così difficile individuarlo 😉

Ultima cosa: si fa sempre riferimento ad un lui. Bene, il lui di James non è lo stesso lui del personaggio-incognita. Sono persone –molto- importanti, che però appariranno più in là.

Il film mi ha dato un sacco di spunti, quindi preparatevi al peggio! Muhahahahahah!!!

Ringrazio come sempre tutti coloro che seguono e leggono la mia storia, in particolare la mia fantastica Slytherin_Eve, che mi supporta e sopporta praticamente sempre! E vi ricordo di passare a leggere la sua emozionante long Skyfallassolutamente da non perdere 👌👌👌

Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate della storia, se vi piace, se non vi piace, cosa posso migliorare, etc. Non aspetto altro che fare due chiacchiere con voi 😉😉😉

Per ora vi saluto, ci sentiamo al prossimo capitolo! 😘😘😘

P.s. scusate eventuali errori di ortografia, prima o poi li correggerò tutti!

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Capitolo 5
*** ALONE AGAIN ***


ALONE AGAIN

 

 

Another day has gone

I'm still all alone

How could this be

You’re not here with me

You never said goodbye

Someone tell me why

Did you have to go

And leave my world so cold

MICHAEL JACKSON

 

 

 

Occhi.

 

Doveva assolutamente guardarla negli occhi.

 

Non la scollatura. Gli occhi.

 

Gli occhi della signorina Leighton erano molto belli. Al limite della cornea erano di una tonalità di marrone molto chiara, che assumeva i toni del verde mano a mano che che si avvicinava alla pupilla scura. 

Era un bel verde. 

 

Anche i suoi occhi azzurri avevano una sbavatura di verde. Che belle le imperfezioni…

 

Eh, sì. Proprio dei begli occhi. 

 

Ma anche il suo seno era molto bello.

 

No. No, doveva concentrarsi sugli occhi. 

Non poteva fare certe figuracce, non era un animale. Lui era un signore e la sua educazione d’altri tempi gli imponeva di mantenere un certo contegno davanti ad una signorina.

 

Ma, cazzo. 

 

Ogni volta che sospirava il petto le si alzava troppo. Era impossibile non farci caso.

Fortunatamente stava iniziando a leggere la documentazione di un caso, altrimenti lo avrebbe beccato in flagrante mentre la fissava.

Si trovavano nell’area relax dello studio legale. Si trattava di un salottino confortevole –nonostante l’impersonalità dell’ambiente- con allegato spazio ristoro: dal lato opposto ai divanetti su cui sedevano, c’era un ripiano con una caffettiera, una macchina per cappuccini, tazze di diverse dimensioni, ciambelle e un po' di frutta. Accanto si trovava un frigorifero, in cui probabilmente gli impiegati lasciavano il pranzo che si portavano da casa. La prima volta che avevano fatto visita allo studio, Samuel gli aveva spiegato che, rispetto ai suoi tempi, era frequente trovare un’area relax o una spazio ristoro per i dipendenti. Spesso le persone venivano a lavoro da molto lontano, quindi le aziende cercavano di favorire la cosa mettendo a disposizione dei propri dipendenti ambienti idonei. 

James, comunque, pensava che non tutte le attività si potessero permettere tanto lusso. Nella stanza dove si trovavano adesso lui e Jules non mancavano mai il caffè o diversi tipi di tè, senza contare che la frutta era sempre di stagione e fresca. L’ambiente era arredato con cura, tanto che più che un luogo di lavoro sembrava uno di quegli showroom che si vedevano spesso sulle riviste di design: il grande tavolo in vetro si abbinava perfettamente alle sedie dallo stile moderno e ricercato, mentre le poltrone in pelle bianca si accostavsno ai bellissimi tappeti persiani che ornavano il pavimento.

Lui si sentiva a disagio già solo a metterci piede lì dentro, temeva di rovesciare la sua tazza di caffè o di rovinare in qualche modo la tappezzeria. Figuriamoci poi aggiungendo la presenza della signorina, che quel giorno aveva tutta l’aria di dover attirare l’attenzione di qualcuno.

Era sempre ben vestita, Jules. Ma quel giorno la camicetta color cipria le fasciava perfettamente le linee morbide del corpo, lasciando la curva del seno scoperta da uno scollo molto profondo.

Era difficile non farci caso.

 

Dannatamente difficile.

 

“Tutto bene Serge? Oggi mi sembra particolarmente taciturno.” Interruppe il silenzio l’avvocato.

James si ridestò dai suoi pensieri, alzando lo sguardo verso la sua interlocutrice. La ragazza aveva una ruga di preoccupazione in mezzo alle folte sopracciglia scure, le labbra tese e gli occhi vigili in attesa di una risposta. 

Aveva già notato la sua attenzione per i particolari. A primo impatto sembrava una tipa con la testa fra le nuvole, invece Jules avvertiva ogni cambiamento che le accadeva intorno. 

Era strano, perché non era una persona particolarmente invadente, infatti spesso rispettava i suoi silenzi con muta cortesia. Ma sembrava percepire quando quei silenzi erano dettati dalla riflessione e quando, al contrario, dalla ingombrante presenza del Soldato

Anche in quel momento se la ritrovava di fronte con aria preoccupata, ma non sapeva come –e se- spiegarle che in quel momento la sua preoccupazione non proveniva dal Soldato, bensì dalla sua –bellissima- troppo poco pudica scollatura. 

 

Sì. Era una situazione fin troppo imbarazzante.

 

Ma quando lo sguardo di Barnes cadde sulle labbra piene, ed adesso leggermente schiuse, della giovane, Bucky tornò a galla prendendo in mano la situazione.

“Mi scusi Miss. Mi ero solo fermato a contemplare la sua mise di oggi.” Rispose l’uomo avvicinandosi con il busto verso Jules emandando al diavolo il bon ton.

La bocca della ragazza si aprì in un moto di incredulità e senza perdere tempo sfilò dalla borsa ai suoi piedi uno scialle di seta, avvolgendosi in esso. Il rossore che imporporava le sue guance arrivò a colorirle anche la punta delle orecchie.  

Era vero. Quel giorno aveva osato un po' di più, perché sapeva che Barton doveva incontrare Jeri e, senza alcuna motivazione logica, aveva avuto il desiderio di farsi notare da lui.

Ora però, si sentiva in estremo imbarazzo a causa della sua infantilità: era sul posto di lavoro, con un cliente –il cliente- che aveva chiaramente compreso il suo intento. 

 

Come poteva essere stata così… Così… Così volubile!

 

“Mi spiace, non volevo metterla in imbarazzo. Okay, forse un pochino lo volevo, ma non fino a metterla a disagio.” Ridacchiò Barnes.

“Volevo solo dire che oggi è particolarmente bella…” concluse con un leggero sorriso di scuse.

“Lei è sempre particolarmente bella.”

Quella voce. 

 

Oh. Santo. Cielo.

 

Barney era sulla soglia della porta, una spalla appoggiata allo stipite e le braccia incrociate al petto, un’espressione indispettita sul volto.

Gli occhi erano cerchiati da profonde occhiaie e, i capelli arruffati e l’abbigliamento fin troppo casual, stonavano con la formalità dell’ambiente circostante.

 

Almeno quel giorno non puzzava come appena uscito da una distilleria.

 

Se fino a pochi minuti prima si sentiva in imbarazzo, adesso poteva anche cercare di diventare un tutt’uno con l’arredamento.

 

Incomprensibilmente, poi. Lei non aveva fatto nulla di male, in fondo.

 

Ma qualcosa in quella situazione le fece contorcere lo stomaco.

Serge osservava interrogativo il nuovo arrivato, squadrandolo da capo a piedi senza nascondere la propria curiosità.

Dal canto suo, Barney sembrava già aver etichettato negativamente l’uomo che stava –troppo- vicino alla sua bimba. 

Quando finalmente Barney si mosse verso di loro, James si alzò dal suo posto ed allungò la mano destra pronto per presentarsi.

“Il mio nome è-“

“So chi sei.” 

La risposta così scortese dell’investigatore fu un campanello di allarme per Jules, che senza alcun preavviso schizzò in piedi con un fintissimo sorriso a trentadue denti stampato in faccia.

“Lui è Bernard Barton, uno degli investigatori privati che collabora con il nostro studio. Non faccia caso ai suoi modi poco delicati, Sergente Barnes, lui fa così con tutti.

Mentre pronunciava quelle parole, la giovane donna lanciò uno sguardo di rimprovero a Bernard.

 

Cosa gli saltava in mente?

 

Barton sembrò non averla neanche sentita e continuò a mantenere gli occhi puntati in quelli del loro ospite.

 

Era una pessima situazione. Assolutamente pessima.

 

Ma, contro ogni sua aspettativa, il volto di Serge si aprì in un sorriso impertinente.

“Non si preoccupi Jules, il signor Barton ha tutte le ragioni per essere indispettito. In fin dei conti le ho mancato di rispetto… Lei è bella ogni giornoTutte le volte che ci siamo visti ho pensato che fosse bella.

 

Cosa diavolo stava facendo? Serge non la chiamava mai per nome. Cosa avev- Oh. 

Voleva giocare.

 

“Berta! Berta, Barton ha un appuntamento con la signorina Hogarth! Accompagnalo al suo ufficio per favore. Adesso.” Si ritrovò a dire, con voce più acuta del dovuto.

Berta, una signora distinta di mezza età e la segretaria più longeva dello studio, si affacciò nella stanza sistemandosi sul naso gli occhiali da vista dalla montatura un po' vintage e fulminando con cipiglio severo Barney.

Non scorreva buon sangue tra quei due, lei troppo severa e riservata e lui troppo rozzo ed invadente.

 

Ma, d’altra parte, non scorreva buon sangue nemmeno tra Barney e il resto del mondo.

 

Jules credeva di aver salvato il salvabile, se non fosse stato per Serge, il quale, proprio mentre Barney lanciava loro un’ultima occhiata prima di essere scortato fuori da Berta, le cinse il fianco con il braccio sano salutando l'affabile signore in procinto di andarsene.

“È stato un piacere conoscerla. E non si preoccupi, la signorina Jules è in ottime mani.”

E a Jules non poté sfuggire lo sguardo contrito e combattuto di Barney, prima che sparisse oltre la porta.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Era divertente quando provavano a scappare. Eppure sapevano chi era, e nonostante ciò ci provavano lo stesso.

 

Come se potessero seminarlo, mpf.

 

Dal quinto piano di quel palazzo aveva un’ottima visuale, poteva vedere i suoi obbiettivi dividersi tra i vicoli stretti e sporchi, che,diramandosi in una contorta rete di vicoli ciechi e incroci, formavano il quartiere nel quale era appena stata effettuata la rapina.

Erano cinque in tutto e si stavano muovendo a piedi, dopo aver abbandonato l’auto in seguito all’inseguimento con la polizia. Individuò subito i due che portavano le borse colme di banconote e senza indugi si staccò dalla superficie liscia dell’edificio, buttandosi nel vuoto.

Sentiva il proprio corpo fendere l’aria e l’adrenalina prendere il possesso delle sue azioni.

Dopo pochi secondi, cominciò a sparare ragnatele da una parte all’altra del suo percorso, usandole come mezzo per spostarsi tra un grattacielo e l’altro. Arrivato in prossimità del primo bersaglio, sparò un colpo con un movimento fluido del polso, immobilizzandolo in un attimo.

Nel mentre, usando una delle tante insegne pubblicitarie che ornavano la città, si diede la spinta per saltare ed atterrare davanti all’altro fuggitivo con il borsone. Questi, preso dal panico, estrasse un coltello dalla tasca del giaccone e lo glielo puntò contro.

Santo cielo! Un coltello! Un coltello!! Oh mio Dio, il mio punto debole! Come hai fatto a scoprirlo??”

Il tono teatrale e sarcastico con cui vennero pronunciate quelle parole misero ancora più in confusione il malvivente, il quale, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò in una frazione di secondo avvolto in uno stretto ed appiccicoso bozzolo bianco.

“Non prendertela amico. Gente molto più sveglia di te ha provato a prendermi a calci nel culo senza successo, ma ehi, bel tentativo.” Continuò il ragazzo mascherato, alzando un pollice verso l’alto in segno di incoraggiamento.

In meno di due minuti raggiunse anche gli altri tre complici, consegnandoli impacchettati alla forze dell’ordine che nel frattempo lo avevano raggiunto.

Pensava sarebbe andata peggio, invece anche senza l’aiuto di Tony riusciva a cavarsela bene. In fondo aveva avuto il suo supporto morale –oltre che tecnico- fin quasi dagli inizi della sua doppia vita, e ormai non credeva di ricordarsi nemmeno più cosa significasse lavorare da soli, senza qualcuno che ti copriva le spalle o a cui confidare le proprie incertezze.

 

Non credeva più di ricordare come ci si sentisse ad essere soli.

 

Eppure ci stava riuscendo. Con amarezza rammarico, certo. Ma ci stava riuscendo.

 

“Tranquilli agenti, qua è tutto sotto controllo! Il vostro Spider-Man di quartiere è al vostro servizio!”

Disse solo, prima di lanciare un’altra ragnatela verso l’altro ed allontanandosi per raggiungere il suo prossimo appuntamento, lasciando gli agenti di polizia sbigottiti ma sicuramente con meno preoccupazioni. 

 

Dopo tanto tempo, ancora non avevano fatto l’abitudine a quel ragnetto in calzamaglia blu e rossa che gli salvava il culo.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

“Cosa diavolo avevi in mente? Non ti avevo già spiegato che nessuno, tranne me e la Leighton, si può avvicinare al signor Barnes? Spera solo che la rossa non venga a chiedermi spiegazioni per quanto accaduto, altrimenti giuro che questa è l’ultima volta che metti piedi qua dentro.”

Jeri Hogarth era arrabbiata. Molto arrabbiata.

Quello stupido idiota di Barton era arrivato con mezz’ora di anticipo –cosa impensabile per uno come Barton- e si era anche preso la libertà di ficcare il naso nel suo caso. 

 

Inaccettabile.

 

“Non ho idea di cosa stia succedendo tra te e la mia associata, ma di qualsiasi cosa si tratti, non devi assolutamente metterci ibastoni tra le ruote mentre facciamo il nostro lavoro.” Proseguì il mastino.

Barton la ascoltava mal volentieri: stravaccato sul divanetto dell’ufficio, le gambe aperte in una posa scomposta e il broncio di un bambino sgridato dalla mamma dipinto sul viso. 

 

Non era colpa sua. Non del tutto, almeno.

 

Era arrivato un po' prima per vedere Jules –che cosa stupida, pensandoci poi- e mentre la cercava aveva trovato quel tizio mentre la passava ai raggi X. 

 

Cazzo voleva quello?

 

Sapeva che non erano affari suoi, che Jules era libera e poteva parlare –flirtare- con chi voleva, che non avrebbe dovuto avvicinarsi al Soldato, altrimenti avrebbe rischiato di incontrare l’ultima persona che voleva vedere in quel momento della sua vita. Ma era stato più forte di lui. Doveva intervenire per mettere fine a quella conversazione. 

 

E cosa ci aveva guadagnato?

 

La Hogarth era glaciale, Jules sicuramente ce l’avrebbe avuta con lui e aveva messo a rischio il suo lavoro, per cosa poi?

 

Lui si stava beccando la ramanzina mentre il bellimbusto col sorriso sfacciato era ancora in compagnia della bambina. Eh che cazzo!

 

“Mi spiace, non credevo fosse quella persona. Era da solo con Leighton, senza scorta o alcuna supervisione, non immaginavo fosse lui…”

 

Bugia.

 

“A proposito, non dovrebbe essere sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro? Perché lui può girovagare liberamente per lo studio mentre io ho bisogno di essere scortato da quella rompicazzo di Berta?”

Jeri si passò stancamente una mano tra i corti capelli neri, riavviandosi l’acconciatura e lasciandosi sfuggire uno sbuffo.

 

Odiava dare troppe spiegazioni. 

 

“Il signor Barnes non è più causa di pericolo imminente, per se stesso o altri, stando alle cartelle cliniche ed ai documenti forniteci. I suoi accompagnatori sono qui più per una questione formale, non vogliono che qualche pezzo grosso si lamenti del fatto che il Soldato d’inverno giri a piede libero senza alcuna legittimazione. Ergo, non c’è alcun motivo rilevante per far venire meno la riservatezza del rapporto avvocato-cliente.”

 

Stronzate, pensò Barton.

 

Ma preferì chiudere lì l’argomento Barnes per non peggiorare la sua già precaria situazione. 

“Allora, sei venuto fin qui per farmi perdere tempo o hai qualcosa da darmi?”

La donna compostamente seduta alla scrivania andò subito al sodo.

Il caso Barnes era delicato e le prendeva quasi tutte le energie, ma non avrebbe dato nessun profitto economico allo studio, per questo motivo aveva accettato anche il caso RandEra un caso da diversi milioni di dollari, se –quando- lo avesse vinto avrebbe messo a tacere gli altri soci per un po' di tempo.

Ma per vincere doveva trovare qualcosa di scomodo su HaroldMeachum, il co-fondatore ed amministratore delegato della Rand Corporation. !

A quanto pareva il signor Meachum aveva estromesso il figlio del deceduto ex socio, Wendell Rand, da qualsiasi potere decisionale relativo alla società. Per questo motivo, il neo maggiorenneDaniel Rand aveva chiesto aiuto alla vecchia amica di famiglia Jeri Hogarth per riappropriarsi della sua parte di azienda.

Ma nel suo lavoro niente era mai semplice. Harold Meachum era un uomo sveglio e con diversi anni di esperienza: aveva amici ovunque e non si fidava mai di nessuno.

Per questo aveva bisogno di un piccolo aiuto.

“In città il nostro caro amico Harold è ben voluto da tutti, complici anche le numerose donazioni e raccolte di beneficenza promosse a nome dell’azienda. Ma si sa, c’è una buona correlazione tra beneficenza e coscienza sporca, per questo ho scavato un po' nel suo passato.”

“E.. Cosa hai scoperto?’

“Per ora ho solo delle piste, nulla di concreto. Però ho saputo chel'ex moglie di Meachum se ne andò di casa senza lasciare traccia poco prima della morte dei coniugi Rand. Sono già sulle sue tracce.”

La Hogarth ascoltava in silenzio con la mani congiunte sotto il mento. Il materiale su cui lavorare non era molto, ma sempre meglio di niente…

“Anche sapesse dirci qualcosa di compromettente, non potremmo usare le sue informazioni in aula. Qualsiasi cosa si siano detti o abbia sentito è protetto dal rapporto coniugale.”

“Qualsiasi cosa si siano detti o abbia sentito durante il rapporto coniugale, ma non dopo. L’atto di divorzio è stato firmato una settimana prima della tragica scomparsa di Rand senior, in quell’arco di tempo può essere accaduta qualsiasi cosa che può esserci d’aiuto. Senza contare che l’ex signora Meachum ha deciso di volatirizzarsi senza chiedere un dollaro al marito… Quella donna aveva fretta di cambiare aria, sono sicuro ci sia qualcosa di grosso sotto.”

Effettivamente, le informazioni che avevano erano poche ma interessanti. 

Aveva fatto bene ad affidare questo incarico a Barton, era sicuramente più discreto e pratico di Jessica, anche se non altrettanto veloce.

“Bene. Appena hai novità fatti vivo.”

Il tono dell’avvocato non ammetteva repliche. Senza farselo ripetere due volte, Barney fece per andarsene, ma si bloccò non appena sentì l’ultimo commento di Jeri.

“Sta attento. Sembra una bambina, ma lei quando vuole qualcosa lo ottiene sempre. Nel bene o nel male. Quindi non abbassare la guardia, altrimenti sarai tu quello a restare scottato.”

 

Lo sguardo beffardo che accompagnò quelle parole spiazzò ancora di più l’investigatore, il quale esitò un attimo di troppo prima di uscire da quell’ufficio e chiudersi la porta alle spalle.

 

Jeri sapeva che quei due l’avrebbero fatta divertire. Eccome se si sarebbe divertita.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

I lunghi capelli scarlatti occupavano il cuscino come tante linguedi fuoco, mentre le labbra carnose, arrossate e gonfie a causa dei baci, si schiudevano lasciandosi sfuggire gemiti sommessi e incontrollati.

James affondava tra le sue cosce con spinte vigorose, tenendole con forza mal contenuta i fianchi morbidi ed ora segnati dalla presa poco gentile di lui.

Non c’era niente di tenero in quell’amplesso. Non c’erano carezze o parole dolci sussurrate a fil di voce. C’erano solo unghie che graffiavano la pelle, morsi e baci affamati, il rumore delle carniche sbattevano violentemente tra loro in movimenti meccanici.

Erano due persone soleche si erano trovate e cercavano contattocalore umano l’uno nella braccia dell’altra. 

Natasha questo lo sapeva. Ma con James poteva permettersi di aprire gli occhi ogni tanto, e di puntarli nei suoi. Ma ogni volta, puntualmente, se ne pentiva. 

 

Gli occhi di James non erano dello stesso colore di quelli che cercava lei. Gli occhi di James non erano abbastanza azzurri.

 

Così, puntava lo sguardo oltre la spalla di lui fingendo che quel pensiero non avesse mai sfiorato la sua mente.

Sapevano entrambi che prendersi in quel modo non significava amarsi. Ma era più semplice in quel modo.

Tasha sapeva che Barnes sarebbe stato discreto nel loro rapporto, che non doveva preoccuparsi di eventuali ripercussioni nella suafin troppo incasinata sfera sentimentale.

Ed anche per James le cose erano più facili, così. Era più semplice andare a letto con qualcuno che già conosceva e che non voleva niente di più da lui: poteva cercare piacere senza dover dare spiegazioni riguardo alla sua protesi, poteva unirsi a qualcuno senza implicazioni amorose, con Natasha poteva anche permettersi di addormentarsi accanto a lei senza doversi preoccupare di restare vigile nel sonno.

Erano due persone non più abituate a stare sole, James e Natasha. 

Due persone che, senza di lui –senza Steve-, si sentivano di nuovo come se non avessero nessuno al mondo e cercavano conforto nel sesso, quando il silenzio della notte era dilaniato dai ricordi del passato.

James venne con un’ultima spinta decisa, scivolando subito dopo fuori da lei. Le si sistemò accanto in silenzio, come se non volesse spezzare l’intimità di quel momento: avevano entrambi il fiato corto e i corpi coperti di sudore. L’odore del sesso impregnava la stanza ed ogni centimetro di pelle.

 

Se lo avesse saputo Stevie, sarebbe rimasto senza parole.

 

Nat si issò sui gomito quanto bastava per afferrare il lembo del lenzuolo e coprire entrambi, poi si sdraiò su un fianco verso l’uomo con cui divideva il letto. 

“Domani mattina dobbiamo tornare dal dottore.”

James, che fino a quel momento non si era mosso dalla sua posizione, contrasse il viso in un’espressione corrucciata.

“Non hai trovato nessun altro medico che potrebbe farmi terapia?”

“Ne abbiamo già parlato. Il dottor Fennhoff ha un ottimo curriculum, senza contare che ha lavorato non so quanti anni per Fury. È la scelta migliore. E ho promesso a Steven che avrei preso solo le decisioni migliori per te.”

Barnes sbuffò scocciato.

 

Lo tirava sempre in ballo per farlo sentire in colpa e metterlo alle strette.

 

“So che preferiresti andare direttamente dall'avvocato, ma devi portare pazienza.” Proseguì Natasha con un sorrisetto divertito ad ammorbidirle la bocca e lo sguardo di chi la sapeva lunga.

“Cosa stai insin-”

“Ho visto come la guardi. È carina. E gentile. E ti piace.”

“Questo non cambia le cose. Anche se avessi una simpatia per lei, cosa dovrei fare? Non posso mica invitarla ad uscire!”

“Perché no, scusa? Puoi invitarla a prendere un caffè, oppure a vedere un film. Io e Sam saremmo molto discreti.”

Immagino.” Rispose con ironia il sergente.

“Ascoltami, Buck. Sono gli ultimi mesi nei quali puoi togliertiqualche soddisfazione. Tutti noi speriamo che il processo termini con una sentenza positiva, ma fingere che in un futuro prossimo tu abbia ancora assicurata la possibilità di portare fuori una ragazza o anche solo di passeggiare all’aria aperta è da illusi. Voglio solo che tu ti senta vivo, finché puoi.”

Non rispose subito alle parole di Tasha. Si prese qualche minuto per soppesarle, per convincersi che sì, forse poteva concedersiancora qualcosa di bello finché ne aveva la possibilità. 

Ma c’era un bel problema tra il dire e il fare. E quel problema era Bucky.

Il Bucky di Brooklyn era ancora lì, da qualche parte, e in qualche modo James era convinto che quel se stesso del passato sarebbe capitolato ai piedi di una donna come Jules.

 

E il nuovo se stesso? Il prodotto uscito fuori da Bucky e dal Soldato sarebbe capitolato?

 

Non sapeva dirlo. Era certo, però, che anche la banale scelta di invitare fuori una ragazza sarebbe stata semplice se avesse avuto accanto suo fratello a cui chiedere consiglio.

Ma lui non c’era adesso. Lo aveva affidato a Natasha, perché sapeva che lei avrebbe fatto il possibile –e l’impossibile- per essere una degna sostituta in sua assenza.

 

Il fatto che poi erano finiti a letto insieme era solo un particolare.

 

“Sai, è strano parlare di donne e appuntamenti dopo che abbiamo fatto sesso.” Le disse solo, senza dare voce a ciò a cui stava pensando davvero.

“Beh, tra scopa amici funziona così. Senza contare che prima di essere la donna che di sbatti sono tua amica, perciò…”

“Perciò…?”

“Se non glielo chiedi tu, lo farò io a tuo nome.”

“Mpf… Meno male che dovevi essere discreta.

Natasha si lasciò sfuggire una risata leggera contro la sua spalla, contagiando anche lui con la leggerezza di quelle piccole confessioni.

Non credeva che sarebbe mai tornato a sentirsi così normale. Aveva subito talmente tanti traumi nel corso della vita, che si stupiva di saper ancora sorridere. 

Eppure in quegli anni aveva assaggiato di nuovo un po' di serenitàNat e Sam non lo avevano lasciato un secondo e, anche se a volte la mancanza di Steve sembrava incolmabile, sapeva che adesso poteva fare affidamento su degli amici, che in parte condividevano i suoi stessi sentimenti. 

Finalmente, da quando aveva ripreso in mano le redini della propria vita, aveva trovato una famiglia, una famiglia che suo fratello sembrava aver formato proprio affinché non potessero più sentirsi soli o fuori posto. 

 

Ed a proposito di famiglia…

 

“Senti Nat… Sai per caso se Clinton ha un fratello?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

| ANGOLO DELL'AUTORE |

Ben ritrovati! 😁

Come potete notare, aggiornamento dopo aggiornamento, cerco di allungare un po' il capitolo. Non so perché, ma quando scrivo mi sembra sempre di fare dei capitoli abbastanza lunghi, invece andandoli a rileggere scopro che sono brevissimi! 😂

Coooooomunque! Qua troviamo un primo incontro-scontro tra Barney e Bucky: il primo particolarmente infastidito, il secondo un po' più sfacciato. 

Spero che la differenza tra Bucky James si capisca senza troppi problemi… Dopo tutto quello che gli è successo, Barnes è il risultato di una via di mezzo tra il ragazzino che era prima della guerra e il soldato addestrato dall'Hydra, e adesso sta cercando il suo spazio.

Poi vediamo un po' più di Jeri –sempre cazzutissima lei- e iniziamo a delineare i contorni del caso Rand (The Defenders  are coming!).

Ho voluto anche movimentare il capitolo con dell’azione e chi meglio di Spidey per questo? 😏😏😏

Presto capiremo anche che cosa c’entra Peter con tutta questa storia, non temete! 

Infine, ci voleva qualcosa di un piccante 💏💏💏

Amo la WinterWidow dei fumetti, ma nel MCU la storia è un’altra quindi mi sono dovuta adattare… Senza contare che per James ho altri programmi eheheheh 😜😜😜

Per questo capitolo non ho altro da aggiungere, quindi passo subito ai ringraziamenti:

A DreamerDESTROYA_DESTROYA e winterlover97 grazie per aver inserito la storia tra le preferite! 💓💓💓

ChausikuEclisse LunareGioTanner ancora winterlover97 per aver aggiunto la storia nelle seguite 💖💗💕

Grazie anche solo a chi legge 💞💞💞

E come sempre un ringraziamento speciale va alla splendida Slytherin_Eve, che non manca mai di darmi una mano e supporto in pieno stile fangirl, nonostante i suoi tanti impegni 💟💟💟💟💟

Ci tengo sempre a suggerirci la sua storia Skyfall, da non perdere! 😉😉😉

Come sempre ci invito a farmi sapere cosa ne pensate del mio lavoretto: la trama scorre bene? Cambiereste qualcosa? Quale personaggio vi piace di più? Avete una ship che vorreste vedere in questa storia? Le scena d’azione e quella intima erano okey? 

Non siate timidi! 

Io vi saluto, speriamo di sentirci a breve (esami permettendo!) kiss kiss 😘😘😘

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** BABY, COME HOME ***


BABY, COME HOME 

 

 

 

I'm the last one that you'll ever remember

And I'm trying to find my peace of mind

Behind these two-way highway lines

When the city goes silent

The ringing in my ears gets violent

She's in a long black coat tonight

Waiting for me in the downpour outside

She's singing, “Baby, come home” in a melody of tears

While the rhythm of the rain keeps time

FALL OUT BOY

 

 

 

Non sarebbe dovuto essere lì quella mattina. 

Andare allo studio legale senza che ce ne fosse alcun motivo non faceva che aumentare le possibilità di incontrarlo. E non se la sentiva proprio.

 

Codardo.

 

Ma, da quello che aveva carpito da Berta il giorno prima, Occhio di Falco non si era mai presentato al seguito del Soldato d’Inverno, il quale era sempre accompagnato dalla Vedova Nera e dal tizio col costume da uccello.

 

Corporatura atletica. Spalle squadrate. Portamento militare. Vista l’attrezzatura, prediligeva il combattimento a distanza, ma doveva essere stato addestrato per forza di cose anche per gli scontri ravvicinati.

 

Il Soldato era comunque scortato da due agenti ben qualificati, ma la domanda era una sola: erano lì per proteggere Barnes oppure per proteggere gli altri da lui?

A prima impressione non sembrava ostile. Era rimasto qualche minuto ad osservarlo interagire con la bimba, prima di decidere di entrare e porre fine a quel patetico tentativo di abbordaggio.

Nonostante la sua gentilezza, l'ex ricercato numero uno al mondo non aveva avuto reazioni particolarmente strane. Anzi, si era prestato ai giochi.

 

Figlio di puttana.

 

Era intervenuto con tutte le migliori intenzioni, alla fine voleva solo assicurarsi che fosse una decisione consona lasciare un pluriomicida da solo nella stessa stanza con una ragazzina indifesa. 

Ma l’atteggiamento di Jules e la ramanzina della Hogarth gli avevano fatto intendere che forse aveva osato troppo.

 

Forse, eh.

 

Per questo aveva deciso di aspettare la ragazza fuori dalla studio: sapeva che la giovane associata arrivava sempre con circa un’ora e mezza di anticipo, così come sapeva che alcune volte si fermava un paio d’ore nel suo ufficio dopo l’orario di lavoro. Usava quel tempo per studiare i casi più ostici, fare ricerche approfondite su sentenze precedenti o scovare anche il più piccolo cavillo per scavalcare le dichiarazioni dell’accusa.

Qualche volta, quando doveva consegnare del materiale non propriamente legale al mastino, ce l’aveva trovata con qualche cartone di pizza d’asporto vuoto o gigantesche tazze di caffè fumante.

E così, quel giorno aveva deciso di aspettarla per farsi perdonare.

Ed eccola apparire puntualmente dall’uscita della metropolitana, avvolta in un lungo cappotto beige e una capiente borsa in perfetto abbinamento con le scarpe alte. 

Si arrestò a pochi metri da lui., accorgendosi della sua presenza: non sembrava particolarmente infastidita, ma piuttosto sorpresa. Dopo un attimo di incertezza, gli si avvicino con passo lento e cadenzato, come se avesse tutto sotto controllo.

 

Bel tentativo, bambina.

 

“Cosa ci fai qua? Oggi non hai appuntamento con il capo.”

“Infatti sono qui per te.” Le disse semplicemente, senza troppi giri di parole.

La vide sobbalzare, le guance imporporate leggermente dall’imbarazzo e lo sguardo poco convinto.

“No-non credo sia il caso…”

Per favore. Vorrei solo offrirti la colazione… Come segno di scuse per ieri.”

Jules sapeva essere davvero testarda quando ci si metteva, ma aveva avvertito una scintilla di insicurezza nelle sue parole e non si sarebbe fatto sfuggire quell’occasione.

“Mi comporterò bene, promesso.” Proseguì lui, sorridendo appena per incoraggiarla.

La ragazza rimase in silenzio qualche secondo, chiaramente disorientata da quell’imboscata di prima mattina. Ma, inaspettatamente, dopo aver dato un’occhiata di sfuggita all’orologio che aveva al polso, rispose al suo sorriso e annuì,leggermente più convinta.

“Va bene. Ma non posso fare troppo tardi.”

“Non ti farò perdere tempo prezioso, te lo posso assicurare.”

 

No, non si sarebbe fatto scivolare via dalle mani quella preziosa occasione. Assolutamente no.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Breaking Bad!”

Doctor Who!” 

“Breaking Bad!”

Doctor Who!”

Breaki-”

“Adesso basta!”

Natasha si alzò talmente velocemente da rischiare di far cadere all’indietro la sedia su cui stava comodamente seduta a  gustarsi la sua dose giornaliera di caffeina, le mani poggiate sul tavolo e un’espressione tutt’altro che rassicurante in volto.

 

Come potevano essere così dannatamente fastidiosi quei due?

 

Sam e James si girarono nella sua direzione, rivolgendole sguardi interrogativi da oltre lo schienale del divano. 

Il momento della colazione era sacro. E, decidere quale programma televisivo avrebbe accompagnato il loro rito mattutino, causava ogni volta un patetico scenario come quello che le si stava palesando davanti agli occhi. 

Due uomini grandi e grossi, con capacità fuori dal comune e una lunga lista di atti eroici da far invidia al più amato super eroe dei fumetti, erano di fronte a lei, avvolti in discutibili pigiami di pile e pronti a scatenare una seconda guerra civile per ottenere il possesso del telecomando.

 

Insopportabili.

 

“Non è giusto. Ieri sera ha scelto lui cosa guardare in tv!”

“Se mi perdo anche una sola puntata di Doctor Who non capirò più un cavolo della trama!” esclamò Sam incrociando le braccia al petto con fare irremovibile.

A volte sembravano dei bambini. Insieme potevano riuscire a sgominare un’intera organizzazione criminale utilizzando solo un coltello da marmellata e lo scopettino del bagno, e litigare subito dopo per chi dovesse sedersi in auto al posto del passeggero accanto al guidatore.

La storia della televisione sembrava irrilevante rispetto alle tragedie che potevano riuscire a tirare su per il più futile motivo.

 

Che poi chissà quali problemi potevano avere con i posti auto lo sapevano solo loro. Bah.

 

Fatto stava che le avevano procurato un terribile mal di testa ed ora era proprio il caso di farla finita con tutte quelle cazzate. 

Aveva assicurato a Steve che avrebbe convinto il bimbo-ragno a mettersi in contatto con loro, e, se voleva intercettarlo prima che andasse a lavoro, dovevano alzare il culo e darsi una mossa per accompagnare James dal dottore.

“Avete dieci minuti. Finite la colazione, lavatevi ed fatevi trovarepronti alla macchina. Dieci, non un minuto di più.”

“Ma-” Provarono a protestare all’unisono i due uomini.

“Dieci. Minuti.” 

Natasha non diede loro l’occasione di controbattere che si voltò verso le scale per raggiungere la sua stanza. 

 

Doveva allontanarsi da lì, altrimenti avrebbe commesso un duplice omicidio ed era l’ultima cosa di cui avevano bisogno in quel momento.

 

Ma non le sfuggì un “Ecco, accesso sarai contento!” prima di chiudersi la porta della camera da letto alle spalle con un grugnito infastidito.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

Quella mattinata era iniziata peggio del solito.

Era dovuto uscire di soppiatto dalla finestra del suo nuovo appartamento, perché il padrone del palazzo lo stava tampinando da qualche giorno per farsi pagare l’affitto. Per fortuna, quello era giorno di paga al Daily Bugle e, con le ultime foto scattate a Spider-Man, J. Jonah Jameson non avrebbe –quasi- sicuramente potuto lamentarsi. 

Il salario non era molto sostanzioso, ma, grazie alla borsa di studio, almeno la retta universitaria, i libri, l’attrezzatura e i materiali per i progetti scolastici non rientravano tra le spese extra. 

Fatto stava che si trattava sempre di un piccolo gruzzolo, sufficiente a pagarsi quel buco che aveva trovato ad Harlem e a non avere il frigo completamente vuoto.

 

Tanto il tempo libero era completamente occupato dal suo alter ego, perciò non ci faceva molto con le entrate extra.

 

Ed eccolo lì, Peter Parker mentre scendeva le scale antincendio del condominio, con una fetta di pane tostato in bocca, lo zaino rosso in spalla e la cartellina con le foto sottobraccio. 

Alla fine la vita avrebbe potuto essere anche più crudele con lui. 

Per essere stato abbandonato dai suoi genitori da piccolo, Peter non aveva mai avuto modo di soffrire la solitudine: gli zii lo avevano trattato come un figlio, Tony gli aveva fatto da mentore e poi… Gwen.

 

Non doveva pensarci. 

 

Erano passati mesi dalla sua morte.

Eppure gli sembrava di poter sentire ancora la sua pelle sotto le dita, il suo profumo nell’aria o il suono della sua voce mentre lo chiamava.

Spesso si girava a guardarsi le spalle, sperando di vederla affrettare il passo verso di lui per raggiungerlo, con il sorriso sulle labbra piene, prendergli la mano e accompagnarlo fino a lezione.

 

Ma questo era impossibile. 

Non poteva più succedere. 

Harry era andato fuori di testa.

Tony aveva taciuto. 

E lui non l’aveva salvata. 

 

Basta. 

Quei ricordi erano troppo dolorosi. 

Il ragazzo scosse la testa con energia per scacciare quei brutti pensieri, ma, quando alzò di nuovo lo sguardo sulla strada davanti a sé, si ritrovò di fronte lei.

La Romanoff non era una donna che passava inosservata, questo era sicuro. Se poi la trovavi in mezzo ad un quartiere tutt’altro che raccomandabile, appoggiata ad una costosissima auto sportiva, la sua vista diventava un pugno in un occhio.

Eppure sembrava completamente indifferente a ciò che la circondava. Non prestava attenzione alle occhiate insistenti dei passanti, oppure ai fischi di approvazione dei teppisti. 

Il suo viso era una maschera di pura e semplice indifferenza. 

 

Almeno fino a quando non lo aveva visto arrivare.

 

“Sali ragazzino. Ti do un passaggio.” Se ne uscì semplicemente, con un ghigno divertito in faccia.

 

Se fino a quel momento aveva pensato che la giornata fosse iniziata male, non poteva di certo aspettarsi che sarebbecontinuata meglio.

 

Sospirò arrendevole e, raggiunta la vettura, prese posto accanto al guidatore.

Natasha si mise al volante e con una sgommata partì senza neanche il bisogno che le dicesse quale direzione prendere.

 

Chissà da quanto lo pedinava.

 

“Puoi anche dire a Tony che, di qualsiasi cosa si tratti, non sono interessato.”

“Bugiardo.”

Peter voltò il capo nella sua direzione con un’espressione offesa.

“Sul serio, non voglio vederlo né sentirlo. Non sono ancora pronto.”

“Ascoltami bene. Tutto quello che è successo non è colpa di Tony, ma del tuo amico fuori di testa che si è iniettato un farmaco ancora in fase di sperimentazione e che ha rapito la tua amica-”

“Sì, ma lui sapeva! Poteva dirmelo, rendermi partecipe, invece mi ha guardato negli occhi mentendomi e preferendo l’aiuto di una persona che l’ultima volta che si sono visti gli ha quasi staccato la testa!”

“Bada a come parli.” Lo ammonì spazientita la donna. 

Rallentò fino a fermarsi ad uno stop, poi rimise la prima e continuò il tragitto verso l’editoriale.

“Pensi di conoscere Stark perché è stato gentile con te in un paio di occasioni? O di conoscere Cap per qualcosa che hai distrattamente letto sui libri di storia a scuola? Tu non sai un bel niente di loro.”

Parker indurì lo sguardo a quelle parole. Si sentì uno stupido di fronte ad una verità così grande sputatagli in faccia con tanta durezza. 

Ma non gliela avrebbe data vinta. Potevano anche non considerarlo un vero eroe, potevano crederlo anche un semplice vigilante di quartiere, ma ciò non toglieva che un’altra persona che amava era morta e potevano evitarlo, se solo fossero stati sinceri con lui.

Il rombo del motore si quietò proprio davanti al palazzo in cui lavorava. Rimasero entrambi in silenzio qualche istante, Nat per calmarsi un po' e lui per dare spazio ai suoi pensieri.

“Non puoi ancora capire. Il rapporto che tu hai con Tony non sarà mai lo stesso che lui ha con Steven. Discuteranno, si picchieranno, si feriranno sin nel profondo, fino a farsi a pezzi ed a odiarsi. Ma si cercheranno sempre, alla fine. Perché, nonostante gli insulti gridati a denti stretti e le incomprensioni, si vogliono bene, sono amici. E sanno di potersi fidare l’uno dell’altro anche dopo anni di silenzio. Ora ti sembreranno tutte cose banali queste, tutte caratteristiche di una bella amicizia. Ma non sono cose poi così scontate tra due persone diverse come loro. Solo quando ti troverai nella loro stesa posizione potrai capire fino in fondo tutto questo.”

La vena d’accusa con cui Natasha aveva iniziato a parlare era svanita mano a mano che giungeva al termine del suo discorso, lasciando spazio solo alla comprensione per quel ragazzo che pensava già di sapere come funzionasse quel mondo, ma che in realtà si trovava ancora all’inizio del suo cammino.

Peter lascio spazio ad un’espressione rammaricata. Lui non voleva giudicare. Non avrebbe mai giudicato due persone che avevano sacrificato tutto per un bene più grande.

“Non ho mai messo in dubbio il loro legame. Solo quello che avevo costruito io con Tony. Non riesco a smettere di pensare che, se solo mi avesse preso davvero sul serio e non mi avesse considerato come un ragazzino che si diverte ad imitare i grandi, forse le cose sarebbero andate in modo diverso.”

“Sono stati anni difficili per lui, Peter. La perdita del bambino, la rottura con Pepper e la ricaduta nell’alcol… Sono tutti problemi che non dovrebbero pesare sulle spalle di un a ragazzo. E lui non voleva che pesassero sulle tue. So che li hai sempre visti come delle leggende irraggiungibili, eroi infallibili. Ed accettare, invece, che sono solo degli uomini che cercano di fare del loro meglio non è facile. Ma è così, anche loro sbagliano.”

Era tutto vero. 

Li aveva messi su un piedistallo troppo alto e, adesso che si trovava a fare i conti con la realtà, cadere da quell’altezza aveva fatto troppo male. 

Peter non rispose. Sospirò solamente e fece per scendere dall’auto.

“Chiamalo. Hai già perso abbastanza, non perdere anche lui.” Aggiunse infine la sua accompagnatrice, prima di chiudere il finestrino e partire in quarta, lasciando il segno delle gomme sull’asfalto.

 

Perdere anche lui Non era forse già successo? 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Un avvoltoio. Il dottor Fennhoff sembrava un avvoltoio pronto a calarsi su una carcassa in putrefazione. Planava giro giro sul suo obbiettivo, aspettando il momento propizio per accanirsi sui pochi resti lasciati dai predatori oramai sazi. 

Si sentiva proprio così Barnes, come la carcassa di una bestia sventrata e martoriata con ferocia.

Avevano giocato con la sua paura e le sue carni, lasciandolo steso al suolo dopo aver preso da lui tutto quello di cui avevano bisogno. E, quando ormai pensava di potersi lasciare alle spalle le torture e le sevizie, di essere lasciato finalmente in pace, ecco che, quel rapace senza abbastanza spina dorsale da trovarsi una vittima tutta sua, arrivava puntuale come la morte a prendersi ciò che rimaneva della sua persona.

Più che aiutarlo a superare i suoi traumi –così li chiamavano- sembrava divertirsi mentre si accaniva su quelle ferite ancora aperte nel suo animo e nella sua mente. 

 

E meno male che era la scelta migliore, eh.

 

“James, oggi vorrei che mi-”

“Bucky. Le ho già detto che il mio nome è Bucky.” Lo interruppe incolore il paziente.

Fennhoff non fece una piega, continuando a sostenere lo sguardo dell’uomo seduto rigidamente davanti a sé.

“Va bene. Vorrei, gentilmente, che lei mi parlasse del Capitano Rogers, Bucky.”

Se prima Buck si sentiva completamente a disagio, adesso tutti i suoi sensi si misero sulla difensiva.

“Cosa vuole sapere?”

“Faccia lei. Può partire dall’inizio, raccontarmi della vostra infanzia. Oppure di quello che ha provato quando finalmente si è ricordato di lui. Come preferisce.”

Tutta quella finta accondiscendenza lo irritava parecchio. 

Cosa voleva che gli dicesse? Quanto ammirava il suo migliore amico? Quanto lo amava?

Prese un respiro profondo e contò mentalmente fino a dieci nel tentativo di calmarsi, prima di prendere la parola.

“Mi è mancato. Sempre. È-è difficile da spiegare… È stata una mancanza improvvisa, provata subito dopo averlo visto la prima volta dopo tanto tempo.”

L’uomo sul ponte gli aveva causa una sensazione strana all’altezza del petto. Prima di quella missione a Washington D.C., l’unico pensiero del Soldato era portare a termine l’incarico, obbedire. 

Ma dopo… Dopo averlo incontrato su quel ponte, l’unica cosa che voleva era pensare. Pensare a quell’uomo con lo scudo e ricordare. 

Quella neonata volontà, però, durò troppo poco, strappata via dalle scosse elettriche che gli torturavano incessantemente il cervello lasciandolo senza aria nei polmoni.

 

Ogni volta che riacquistava qualcosa di solo suo, glielo portavano via.

 

E ogni volta era sempre più doloroso. Perché, ogni dannata volta, al dolore fisico si aggiungeva la paura di dimenticare di nuovo.

 

Per questo adesso scriveva tutto. 

Nella sua nuova –ennesima- stanza custodiva dozzine e dozzine di quaderni, sui quali appuntava tutto ciò che piano piano tornava faticosamente a galla nella sua memoria.

Come un malato di Alzheimer, il Sergente Barnes prendeva appunti sul suo passato, per paura di poter cadere di nuovo nel vuoto della dimenticanza.

 

Lui voleva ricordare tutto. Lui voleva ricordare tutti.

 

“Non è mai stato arrabbiato con lui?”

Come scusi?”

La rabbia per quella domanda gli strinse lo stomaco e gli infiammò gli occhi chiari.

“Quello che voglio dire è che… Quanto è rimasto in quel crepaccio al freddo e moribondo, Sergente?”

“Io-io non saprei.” Rispose preso in contropiede Barnes.

“Quante volte, sforzandosi di rimanere vigile, di non lasciarsi cullare dalla dolce nenia della morte, ha sperato –pregato!- che Rogers venisse a prenderla, a trarla in salvo da quell’inferno di neve e sangue?”

“Io-io…”

“Non l’ha mai odiato? Non ha mai odiato suo fratello per non esserla mai andato a cercare? Per non aver nemmeno provato a riportare il suo corpo a casa?”

“N-no… No…” Il petto di James si alzava e si abbassava sempre più velocemente, preso dall’angoscia di quei ricordi.

Non ha mai odiato suo fratello per non essere mai saltato da quel treno subito dopo di lei, Bucky?”

“Basta!”

A James mancava l’aria. Annaspava in cerca di ossigeno, gli occhi sgranati per l’orrore di quell’insinuazione. 

 

Odiare Steve? Il suo Stevie? Lo aveva fatto?

 

No, non era possibile. Non poteva aver mai odiato Steve.

 

Non poteva, perché anche mentre stava realizzando cheprobabilmente sarebbe morto quel giorno, cadendo dal quel treno in corsa, nella sua testa c’era un unico pensiero. 

 

‘Grazie Dio. Grazie che sia toccato a me e non a lui.”

 

Sarebbe, dunque, mai riuscito a odiarlo?

 

Ma forse… Forse era già successosolo non lo ricordava.

 

Forse, durante l’ennesima tortura o umiliazione, si era chiesto perché Steve –il suo Steve- non fosse tornato a prenderlo, perché lo avesse abbandonato.

 

Forse lo aveva odiato.

 

Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse. Forse.

 

No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. No. 

 

“NO!” Tuonò James talmente prepotentemente da sentire la gola bruciare e i denti digrignare tra loro per lo sforzo di controllarsi, senza successo.

Si sentiva morire dentro a causa di quei pensieri, per aver dubitato di Steve anche solo per un istante.

D’altra parte, il dottor Fennhoff sembrava imperturbabile: irremovibile nella sua compostezza e senza un cenno di preoccupazione in viso, osservava –studiava- la figura di Bucky Barnes, ora deturpata dalla paura e dai sensi di colpa.

“Direi che ha molto su cui riflettere, signor Barnes.”

“Invece io dico che la seduta finisce qui.”

James si alzò frettolosamente in piedi e, senza degnare di uno sguardo il medico, raggiunse la porta dello studio a grandi falcate, cercando di riacquistare la poca calma che aveva ritrovato dopo il suo risveglio.

 

Doveva uscire da lì. Doveva chiamare Steve. Doveva parlarci. Doveva sentire la sua voce. 

 

Doveva convincersi che andava tutto bene.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

“Puoi iniziare.”

“Cosa?”

“A scusarti. Puoi iniziare, ti ascolto.”

Una risata improvvisa scosse il petto di Barney, rischiando di fargli andare a traverso il caffè nero che stava bevendo.

Jules lo guardava oltre il bordo della tazza da cui stava gustando il suo cappuccino, in attesa che parlasse.

Alla fine erano andati al bar dall’altra parte della strada, quello piccolo ed accogliente, con i tavolini tondi e le sedie imbottite. Avevano dato la loro ordinazione ad una cameriera molto carina, che occhieggiava un po' troppo Barney.

Ma lui ed non l’aveva degnata nemmeno di uno sguardo.

 

Aveva promesso di comportarsi bene, dopotutto.

 

E così adesso, si ritrovavano seduti l’uno di fronte all'altra, come una qualsiasi coppietta che si trovava a prendere un caffè insieme prima di salutarsi per andare a lavoro.

 

Ma loro non erano una coppietta.

 

“Okey. Ieri sono stato fin troppo invadente. Ma non puoi lanciare l’amo e pretendere che nessuno abbocchi.” 

Jules abbassò lo sguardo e sorrise imbarazzata.

“Non sono molto abituata ad attirare l’attenzione degli uomini…Credo si sia notato.”

Oh, sì. Fortunatamente c’è Berta-santa protettrice delle vergini, che è sempre nei paraggi al momento giusto.”

A quell’affermazione la ragazza si ammutolì improvvisamente, senza sapere cosa rispondere. 

Quando si iniziavano certe tematiche personali, veniva presa completamente alla sprovvista e la sua naturale parlantina andava a farsi benedire.

 

Non erano di certo campi in cui aveva esperienza.

 

Ma non aprire bocca e lasciar cadere il discorso in quel modo non fu una bella idea, in quanto Barney sembrò disorientato da quell’improvviso silenzio. 

 

Aveva detto qualcosa di così strano?

 

Poi, osservando bene Jules mentre torturava il suo tovagliolo e tornava a colorirsi di rosso, gli sorse un dubbio.

“Sei imbarazzata a parlarne perc- perché sei vergine?”

L’avvocato sobbalzò sul posto, guardandolo come se le avesse appena chiesto di salire sul tavolo ed iniziare uno spogliarello. 

“Che c’è? Eravamo in argomento e ho chiesto.” Le disse Barney stringendosi nelle spalle.

“Queste cose mi mettono a disagio… I-io non sono molto… Pratica, ecco.”

 

Bingo.

 

Gli occhi dell’investigatore si accesero subito a quella confessione.

 

Inesperta. Una vera bimba.

 

Vederla agitarsi sulla sedia, mentre cercava di dissimulare l’imbarazzo, la rendeva ancora più adorabile.

Aveva davanti a sé una giovane bella donna, intraprendente ed intelligente, senza alcuna dimestichezza in campo sentimentale, che cerva le sue attenzioni.

 

Questo sì che lo eccitava.

 

Ma non poteva metterla alle strette, non adesso. Aveva promesso di fare il bravo e non sarebbe venuto meno ad una promessa.

“Non fare quella faccia, dai! Adesso siamo pari, no?”

“Perché? Cosa ti avrei fatto io?”

“Mi hai chiamato Bernard, ieri. Non è stato abbastanza imbarazzante?” sdrammatizzò l’uomo, per alleggerire la situazione.

“E che male ci sarebbe? È il tuo nome in fondo…”

Ma, quel goffo tentativo di alleggerire la tensione tra loro, crollò alla domanda fin troppo diretta della ragazza.

“Sì, è vero. Ma vedi, Bernard mi ci chiamava solo mio padre.”

Non sapeva esattamente perché –forse fu il sorriso tirato che rovinò il volto di Barney, oppure il tono amaro con cui pronunciòquelle parole- ma Jules sentì che doveva fare un passo indietro, che non era il caso di approfondire l’argomento famiglia.

Sembrava che la conversazione avesse preso la piega sbagliata, e doveva fare qualcosa per distogliere l’attenzione dal loro ultimo scambio di battute.

 

Non voleva rovinare quel momento.

 

Allora, gli prese le mani tra le sue, accarezzandogliele con premura, e cercò il suo sguardo sorridendogli dolcemente.

“Sono contenta di averti trovato ad aspettarmi, stamattina. Sei la prima cosa bella che mi è successa ultimamente.”

 

La prima cosa bella.

 

Il tenero gesto di Jules, però, non servì a distrarre Barney dal turbinio di pensieri in cui era caduto. 

Lui non aveva niente di bello. Lui non aveva niente di bello daoffrirle.

 

Doveva finire quella storia prima che fosse stato troppo tardi. Prima che rovinasse anche la sua di vita. 

Lui rovinava sempre tutto. 

Lui rovinava sempre tutti.

 

Mi spiace. Lasciamo perdere, finché siamo in tempo.”

E la lasciò lì. 

La lasciò lì seduta da sola confusa, le mani ancora schiuse nel punto in cui poco prima stringevano quelle di lui, e dove adesso erano appoggiati i soldi per la colazione.

 

Era meglio così. Non poteva rovinare anche lei. Non se lo meritava.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

“Ha chiamato?”

“No. Credo abbia cambiato anche numero di telefono.”

Si avvicinò all’uomo stancamente seduto alla scrivania, il quale aveva lo sguardo perso oltre la vetrata della sua villa e una sigaretta mezza consumate tra le dita.

A Tony non era mai particolarmente piaciuto fumare, ma non potendo più bere non gli restava altro da fare.

“Si farà vivo, vedrai. Ha solo bisogno di rimettere ordine nella sua vita. Dagli tempo.”

“Rovino sempre tutto. Prima la squadra, poi la vita di Pepper ed adesso quella di Peter. Se non si facesse più vivo, ne avrebbe tutte le ragioni.”

Steve sospirò. 

Non tirava una bella aria alla villa di Malibù. Tony stava passando uno dei suoi periodi più bui, e lui non aveva idea di come poterloaiutare.

Visione, quando lo aveva accolto al suo ritorno alcuni mesi fa, gli aveva assicurato che, da quando aveva risposto alla sua chiamata, Tony stava molto meglio. 

Secondo l’androide, il suo creatore sembrava aver ripreso un po' di vita dopo aver parlato al telefono con lui, e, da quando Steven aveva deciso di aiutarlo, aveva addirittura smesso di bere.

Dopo l’incidente che aveva causato la dipartita di Ross dalla scena politica, i Vendicatori Segreti avevano cercato un riconciliamento con la vecchia famiglia.

Ma non tutti erano d’accordo.

Wanda si era dimostrata restia dal tornare a casa. Non si fidava di Tony, non più. L’aveva valutata alla stregua di un’arma i distruzione di massa, dimenticandosi che stesse parlando di una persona e calpestando i suoi sentimenti. 

Non era ancora pronta a lasciarsi tutto alle spalle, a perdonare. 

Così aveva deciso di restare in Wakanda, rimanendo comunque in costante contatto col Capitano, per fargli capire che, qualora avesse avuto bisogno, lei sarebbe corsa in suo aiuto in qualsiasi momento.

Ora, Steve si trovava in un a pessima situazione: senza più Ross a sostenere gli Accordi di Sokovia, gli altri centosedici stati, che avevano a suo tempo partecipato a quell’atto di tutela, non sapevano più come imporre la propria autorità ai vigilanti.

Con Ross, anche il dipartimento della difesa da lui riorganizzato e diretto era crollato come un castello di carte, e il nuovo S.H.I.E.L.D. era ancora ben lontano dal tornare alla sua originaria posizione di stabilità e legittimazione.

 

Legittimazione.

 

Avevano bisogno di una legittimazione. E l’unico volto su cui potevano contare era quello di Tony. 

Ma in quelle condizioni poteva passare più per un disgraziato che per un eroe su cui fare affidamento.

Steve si sentiva in colpa per tutto questo. 

Lo aveva abbandonato, pensando che fosse il più forte, l’unico capace di restare ancora in piedi e di reggere il peso di quel titolo –del nome di Vendicatore-. 

Invece gli eventi erano stati tutt’altro che favorevoli con Iron-Man, tanto che, proprio quando si era quasi quasi convinto di nonaver più niente a che vedere con i suoi vecchi compagni, era andato a cercare quel maledetto cellulare, componendo l’unico numero in rubrica e cercando il consiglio dell’unica persona che gli avrebbe sicuramente detto la verità, anche se avrebbe fatto male.

Ma adesso erano di nuovo insieme, e dovevano trovare una soluzione a tutti i loro problemi prima che il governo si riprendesse e decidesse di intervenire nuovamente contro i superumani.

“Invece chiamerà. Lo farà perché ti vuole ancora bene.” Disse Rogers, avvicinandosi al miliardario ed appoggiandosi alla scrivania col bacino.

Allungò poi una mano e prese dalle sue dita la sigaretta ormai quasi completamente consumata, spegnendola nel posacenere di marmo nero poggiato vicino al computer, e guadagnandosi, così, la completa attenzione di Tony.

 

Poteva credere che Peter sarebbe tornato, se alla fine anche Steve l’aveva fatto.

 

Steven era tornato. 

Rischiava l’arresto, un processo davanti alla Corte Marziale e addirittura la neutralizzazione –morte- ma era tornato.

Non poteva rovinare tutto di nuovo, non avrebbe avuto altre chance.

“Steven, mi dispiace. Io-”

“No, Tony. Dispiace a me, per come sono andate le cose, per come le ho gestite… E per aver aspettato tutto questo tempo. È che- è solo che è così difficile mettere da parte tutto quello che è successo tra noi.”

Tony restò un attimo a guardare Steve mentre abbassava lo sguardo e si grattava la nuca a disagio. 

 

Era difficile aprirsi dopo tutto quel tempo passato lontani.

 

“Quando ti guardo, Steven, tutto quello che vedo sono i miei errori.”

Tony-”

“Tutte quelle cos- tutte quelle cose che ho detto e fatto… Mi-mi dispiace. So che non è abbastanza, ma spero che mi darai la possibilità di riconquistare la tua amicizia. Non credo di meritarmela… Ma lasciami dimostrare che posso farcela.”

Tony si interruppe cercando di calmarsi. 

Era una persona dannatamente orgogliosa e ammettere tutto quello che stava ammettendo era complicato per lui.

“Sento di non valere nemmeno la metà di ciò che sono quando mi trovo accanto a te, questa è la verità.” 

Steve non aveva smesso un secondo di guardarlo in faccia mentre diceva tutte quelle cose. Parola dopo parola il suo sguardo si addolcì, sollevato dal fatto che Tony non ce l’avesse più con lui.

Preso dal momento, Steve gli poggiò una una mano sulla spalla stringendogliela leggermente in un gesto d’affetto.

“Non hai mai perso la mia amicizia, Tony. Quello che dobbiamo fare adesso è riunire la nostra famiglia.”

Tony ricambiò la stretta e, sentendosi rassicurato, si aprì in un sorriso sicuro.

“Facciamo vedere al mondo che i Vendicatori sono tornatiallora.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

| ANGOLO DELL'AUTORE |

Eccomi qua! 😄😄😄

Allora, questo capitolo non mi convince molto… Non so dire il perché, ma più lo rileggo e più non mi piace! 

Spero che a voi succeda il contrario, però 😁😁😁  

Nel capitolo i punti forti sono naturalmente le parti dedicate alla Stucky e alla Stony 😊

Il dialogo tra Steve e Tony, anche se sembra troppo smielato, in realtà è tratto, in parte, direttamente dei fumetti à Stony is the way 💜💜💜

Vi invito come sempre a darmi i vostri pareri, sono sempre utilidelle critiche costruttive!

E adesso, vorrei ringraziare ancora tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite, anche i nuovi arrivati: AllisonHermioneEverdeen shaya73 💕 grazie!

Spero davvero che qualcuno si faccia vivo, non aspetto altro 😂

Per ora vi saluto, al prossimo aggiornamento! Kiss kiss 😘😘😘

P.s. mi hanno gentilmente fatto notare degli errori di battitura nel testo: ci tengo a precisare che molto probabilmente sono problemi dell’editor, perché quando vado a rileggere i capitoli sul pc non ci sono e appaiono solo dopo aver pubblicato. Per altri eventuali errori, cercherò di correggerli il prima possibile! 😉

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** I NEED A HERO ***


I NEED A HERO

 

 

 

I need a hero

I'm holding out for a hero ‘til the end of the night

He's gotta be strong

And he's gotta be fast

And he’s gotta be fresh from the fight

I need a hero

I'm holding out for a hero ‘til the morning light

He’s gotta be sure

And it’s gonna be soon

And he’s gonna be larger than life

Larger than life

BONNY TYLER

 

 

 

Erano passate tre settimane dall’ultima volta in cui aveva visto Barney.

 

Tre settimane di merda.

 

Non si era più fatto vivo da quella mattina. E nemmeno Sergeaveva dato più sue notizie.

La signorina Romanoff aveva chiamato poco prima del loro appuntamento per rimandare l’incontro a data da stabilire. Diceva che Barnes era indispostoE così era stato per tutto quel tempo.

Ma lo avrebbe incontrato quel giorno stesso per renderlo partecipe degli ultimi sviluppi, e ne avrebbe approfittato per chiedergli come stesse.

Nonostante tutta la sua buona volontà, però, Jules non riusciva a concentrarsi sul suo lavoro, troppo presa a pensare a Barton.

Da quella colazione non c’era stata più una visita, non una chiamata.

 

Il nulla.

 

Si ripeteva che doveva stare tranquilla, che era un comportamento alla Barton sparire nel nulla. Probabilmente stava lavorando e presto si sarebbe presentato allo studio senza nessun preavviso,annunciando qualche buona notizia, come sempre.

Eppure quella brutta sensazione che le stringeva lo stomaco non decideva a lasciarla in pace. 

La reazione spropositata che aveva avuto Barney l’aveva messa in agitazione e, a distanza di giorni, non riusciva a togliersi dalla testa l’idea di aver detto qualcosa di molto sbagliato. Solo non capiva cosa.

Jeri le aveva accennato qualcosa sul suo passato, sul ragazzaccio di strada deluso dalla vita che spacciava e si prostituiva, e che si era trovata a difendere in tribunale agli inizi della sua carriera, quando nessuno sapeva ancora chi fosse Jeri Hogarth. 

Quello che non sapeva, però, era cosa fosse successo prima che le strade dell’investigatore e dell’avvocato più famoso di New York si incrociassero. 

Questa ignoranza di base era la fonte della sua preoccupazione: non conosceva Barney poi così bene, per quel che ne sapeva poteva essersi cacciato nei guai e nessuno sarebbe andato a dargli una mano.

Sarebbe dovuta andarlo a trovare, accertarsi che stesse bene.

 

Per quanto bene potesse stare uno come Barney Barton.

 

“Signorina Leighton?”

 

Sì, subito dopo l’appuntamento di lavoro sarebbe andata ad Harlem a cercare Barney.

 

“Signorina?”

 

L’avrebbe affrontato e non se ne sarebbe andata senz-

 

Jules?”

 

La ragazza sobbalzò sulla sedia cacciando indietro un verso di sorpresa, con gli occhi sgranati per lo spavento.

James Barnes era sulla soglia del suo ufficio, le mani calate pigramente nelle tasche dei jeans scuri e un’espressione perplessa sul volto tirato dalla stanchezza. Dietro di lui, Natasha Romanoff gesticolava bisbigliando qualcosa ad una Jeri tutt’altro che bendispostamentre Samuel Wilson ascoltava lo scambio di battute tra le due donne con le braccia incrociate sul petto e un’espressione imperscrutabile in viso.

Jules si portò una mano sul petto e prese un respiro profondo, cercando di ritrovare un po' di contegno dopo quella reazione troppo poco professionale.

 

Serge… Da quanto è lì in piedi? Venga, si accomodi.”

 

James esitò un momento sulla porta, incerto sul da farsi, per poi accettare l’invito ad entrare, dopo aver buttato un’occhiata veloce alla discussione che si stava svolgendo alle sue spalle. 

 

“Ti prego, diamoci del tu. Ormai sei la persona che vedo più spesso dopo Natasha e Sam.” Disse l’uomo sistemandosi sulla sedia senza staccarle gli occhi di dosso nemmeno un secondo.

Ad uno sguardo più attento, Jules notò le profonde occhiaie che circondavano gli occhi chiari di Serge e il leggero velo di barba che gli copriva la mascella squadrata. 

 

Stanco. Sembrava molto stanco.

 

“Non hai una bella cera, Serge.”

 

A quella constatazione James sospirò pesantemente mentre con una mano andò a coprirsi il volto.

La visita dallo strizza-cervelli lo aveva provato più del previsto, e nemmeno la voce calma e dolce di Steven era riuscita a confortarlo come sperava. Gli incubi erano tornati a tormentarlo appena chiudeva gli occhi, portandolo di nuovo indietro nel tempo a quella maledetta base in Siberia. 

 

“Non sono… Molto riposato, diciamo.”

 

La ragazza inarcò un sopracciglio per nulla soddisfatta dalla quella misera risposta. Più che poco riposato, Barnes sembrava tormentato, e questo le stringeva il cuore.

 

Stomaco sottosopra per Barton, cuore in gola per Barnes… Sarebbe potuta andare peggio di così?

 

James… Se vuoi parlare… Beh, ecco...Puoi farlo con me. Parlare, intendo.” Buttò lì Jules leggermente imbarazzata.

Consolare le persone non era il suo forte, ma poteva almeno provarci.

James scostò leggermente la mano dal viso, abbastanza per puntare gli occhi in quelli di lei. 

Potevano sembrare un mare in tempesta da quanto erano liquidi e profondi quegli occhi, tanto che la giovane si trovò a trattenere il respiro colpita da tanta intensità. Credeva che il cuore le sarebbe uscito dal petto a causa di quegli occhi, ma cercò comunque di non essere la prima a distogliere lo sguardo, anche a costo di arrossire come una bambina alla sua prima cotta.

Dopo un tempo che le parve interminabile, James addolcì il viso, tirando su un angolo della bocca in un piccolo sorriso forzato. 

Non voleva far gravare sulle spalle di altri il peso di colpe solo sue, ma apprezzava quel goffo tentativo di empatia. La signorina Leighton cercava sempre di farlo sentire a posto –normale- e l’avrebbe ringraziata prima o poi per questo.

 

Sei una bella persona, Jules.”

 

Se era riuscita a dissimulare l’imbarazzo fino a quel momento, adesso Jules non trovò altro da fare che abbassare lo sguardo e stringersi nelle spalle. 

Non credeva di aver detto o fatto qualcosa di così speciale, aveva detto solo quello che sentiva. Eppure sembrava che avesse appena donato a James il gesto più bello del mondo.

 

O almeno era così che la faceva sentire lui.

 

“Credo sia tu, tra noi due, la brava persona… Ecco perché tutti vogliono aiutarti. Prima o poi te ne renderai conto anche tu.” 

James schiuse leggermente le labbra, continuando a guardarla come se gli avesse detto chissà cosa di impossibile. 

Ma non poté aggiungere altro che Sam si annunciò colpendo leggermente la porta con le nocche della mano, e dicendo che li stavano aspettando nell’ufficio della Hogarth.

Entrambi si destarono da quello scambio silenzioso di sguardi e, sicuramente più tranquillo di come era era arrivato, seguì Jules fuori dalla stanza con un sorriso trattenuto a stento sul viso. 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

La riunione era stata più lunga del previsto.

Jeri era stata molto scontenta di tutto quel tempo perso, così erano rimasti tutti chiusi in ufficio fino a sera inoltrata.

Aveva passato tutto il tempo vicino a Serge, rassicurandolo e stringendogli la mano sinistra di tanto in tanto cercando di infondergli un po' di coraggio. Dal canto suo, lui ricambiava la stretta con delicatezza, come a volerle comunicare quanto apprezzasse il suo sostegno. 

Ed effettivamente, James se ne andò più tranquillo di quanto potesse immaginare.

Ora che sapeva che Serge stava meglio, Jules poteva pensare al problema più grande: trovare Barney e parlargli a quattrocchi.

Così, prese la metro più vicina e si diresse ad Harlem con una buona dose di coraggio. 

Avrebbe dovuto però sapere che quel quartiere non era il posto più adatto per una bella e sola ragazza, poco avvezza alla vita da strada. 

Harlem era famosa per gli scontri tra bande rivali, una specie di paradiso per quei piccoli delinquenti cresciuti con i testi di Sean Combs nelle orecchie e la voglia di conquistare la strada a colpi di pistola e coca. I più fortunati finivano a spacciare erba nei bagni della scuola, ma per molti quei lavoretti da poco non erano abbastanza: speravano nel colpo grosso, di farsi marchiare sulla pelle le proprie imprese e vivere come in uno di quei video clip visti su Mtv, coperti da catene d’oro e pellicce vistose e circondati da tanti soldi e ragazza bellissime. 

In quel mondo una come lei era una preda facile. Troppo facile. 

Ma, nonostante fosse ormai buio, pensava che raggiungere il palazzo in cui viveva il suo amico non sarebbe stato un grosso problema. Appunto a causa della forte ondata di criminalità che caratterizzava il quartiere, le strade di Harlem erano battute quasi ogni giorno da poliziotti in borghese, che cercavano di mettere dentro i componimenti delle gang più violente. 

Doveva armarsi di ottimismo e cercare di andare a dritto senza guardarsi troppo intorno. 

Con un respiro profondo uscì dalla metropolitana a passo svelto, con lo sguardo puntato in avanti. 

Lungo il ciglio della strada c’erano delle prostitute accompagnate dai loro papponi in attesa di qualche cliente. Nulla di ingestibile quindi. 

 

O almeno così sembrava.

 

“Ehi bellezza! Cosa ci fa una bambolina come te in un quartiere come questo?”

 

Jules tentennò un secondo, mentre con la coda dell’occhio vide uno dei protettori fare un passo nella sua direzione. Portava un lungo cappotto di pelle dal quale spuntavano un paio di scarpe bianche immacolate, in perfetto contrasto con la carnagione scura dell’uomo. Tra le dita coperte di anelli, teneva un sigaro appena iniziato.

La stava squadrando dalla testa ai piedi, con un sorrisetto beffardo ad increspargli le labbra.

Nonostante il momento di incertezza, Jules non smise di camminare, sperando che il signore, vedendo il suo disinteresse, lalasciasse proseguire senza troppe storie. Ma proprio mentre stava per svoltare l’angolo e trovarsi davanti al palazzo in cui viveva Barney, si sentì strattonare per un braccio.

 

“Sto parlando con te, bambolina.”

 

A Jules gelò il sangue nelle vene trovandosi faccia a faccia con quell’uomo. 

Senza aver bisogno di neanche troppa forza, la mise con le spalle al muro, sovrastando con la sua altezza.

Il cuore della ragazza cominciò a pompare furiosamente nel petto, non aiutandola di certo a mantenere la poca calma di cui disponeva in quel preciso istante.

Guardandosi attorno, notò che le poche persone che avevano d’intorno non facevano minimamente caso a ciò che stava succedendo e ciò non fe che aumentare l’agitazione che aveva in corpo.

 

Lì era tutto normale?

 

“Mi scusi… Mi stanno aspettando e sono in ritardo.” Cercò di inventarsi Jules.

Forse, se faceva intendere che qualcuno sarebbe andato a cercarla preoccupato dalla sua assenza, non avrebbe perso troppo tempo con lei.

“Beh, chiunque ti stia aspettando non prova molto intere per te, bambolina, se ti fa percorre queste brutte vie tutta da sola…” Esalò l’uomo aspirando un tiro e buttandole tutto il fumo in faccia.

La donna strizzò gli occhi per colpa della nuvoletta di fumo che la circondò. Tutta quella situazione era preoccupante. 

 

Decisamente preoccupante.

 

Il tizio le stava a pochi centimetri di distanza e la studiava minuziosamente con sguardo languido. Sembrava non vedesse una donna da anni, quando invece ne accompagnava a decine per le strade ogni notte. 

 

“Sul serio, devo andare. Non ho temp-”

“Sai, sei proprio un bocconcino di alta qualità… Saranno anni che non vedo donne –dico donne vere- in giro per queste strade…” La interruppe il suo interlocutore, stringendole un fianco con la mano.

 

Un brivido di paura e disgusto la colse in pieno, facendole spalancare gli occhi e balzare il cuore in gola. 

 

Decisamente troppo preoccupante

 

Quell’ultima battuta la allarmò più di quanto già non fosse. Quello schifoso non sembrava minimamente interessato al fatto che qualcuno la potesse venire a cercare, o che fossero nel bel mezzo di una strada principale. 

Anzi. Sembrava del tutto a proprio agio, come se si trovasse nel salotto di casa propria.

Jules cercò di non farsi sopraffare dal panico che le aveva attanagliato lo stomaco, e, con un gesto deciso, scacciò via quella lurida mano e si spostò di lato per sfuggire alle grinfie di quel tale.

 

“Non si azzardi più a toccarmi, altrimenti le farò passare guai molto seri.”

 

Quello che successe subito dopo fu troppo veloce perché potesse anche solo pensare a come reagire. 

Lo schiaffo al viso le arrivò con tanta violenza da farle perdere l’equilibrio e cadere a terra con un tonfo sordo. 

Jules si portò una mano sulla parte lesa, annaspando in cerca d’aria. Ma il tempo di tornare a respirare, che si sentì trascinare per una caviglia in un vicolo stretto e buio.

 

“Nessuno può permettersi di parlarmi così davanti alle mie ragazze!” 

 

Il tono di voce dell’uomo era innaturalmente basso e freddo, e le arrivò alle orecchie come una stilettata al petto. 

 

Ora  che si trovava nei guai.

 

Era da sola, in balia di un criminale e nessuno sapeva dove si fosse diretta quella sera. Nessuno poteva immaginare il casino in cui si era cacciata. Nessuno sarebbe venuta a salvarla.

E proprio come aveva temuto fin da quando era stata bloccata con le spalle al muro, l’uomo le saltò addosso.

Le afferrò il collo in una presa ferrea, lasciandola quasi senza fiato, mentre con l’altra mano le apriva con forza le gambe. 

La ragazza cercava di toglierselo di dosso, lo graffiava con le unghie e scalciava come un’ossessa nel vano tentativo di colpirlo. Ma nulla di ciò che faceva sembrava smuoverlo di un millimetro.

 

“Ora ti mostro cosa succede alle cattive ragazze che fanno arrabbiare Big Daddy.” Le sussurrò divertito in un orecchio. 

La mano con cui si era fatto spazio tra le sue cosce, si insinuò sotto la gonna e, spostandole le mutande, la penetrò con le dita.

Jules cominciò a piangere senza controllo, mentre Big Daddy simuoveva brutalmente dentro di lei. 

Era terrorizzata. Il dolore le mozzava il respiro e la mano che le stringeva il collo non le permetteva di urlare. 

 

Ed anche fosse riuscita a chiedere aiuto, sarebbe arrivato qualcuno?

 

Tremava come una foglia, umiliata e sopraffatta da tutta quella situazione, mentre il corpo massiccio del suo aggressore la schiacciava e sentiva la sua eccitazione strusciarsi su di lei senza nessun pudore.

La stavano violando. E non riusciva a pensare ad altro che al terrore che le attanagliava le ossa e ad un terribile dubbio che le balenò in mente: sarebbe uscita viva da quel vicolo?

 

Poi arrivò il momento. Quel mostro che stava abusando di lei si aprì la patta dei pantaloni sistemandosi meglio sopra di lei. 

 

Eccoci. Stava per succedere. 

 

Jules stringe gli occhi arrossati dalle lacrime preparandosi all’ormai inevitabile violenza.

Violenza che non arrivò.

 

D’un tratto il peso che la teneva inchiodata a terra sparì, così come il fetore di sudore misto a tabacco che la stava nauseando.

Ci mise qualche minuto prima di mettere a fuoco la scena che aveva davanti agli occhi: la mancanza di ossigeno e la paura l’avevano intontita abbastanza da disorientarla.

Appena riuscì a tirarsi su, vide il suo aggressore essere colpito in pieno da- Spider-Man?

 

Spider-Man. Quello era Spider-Man.

 

Il vigilante mascherato adesso stava tra lei e Big Daddy, attendendo la prossima mossa dell’avversario.

 

“Oltre ad approfittarti delle tue signorine, adesso te la prendi anche con le ragazze di passaggio, eh Big-D?”

Brutto pezzo di merda… Questa me la pagherai, razza di scherzo della natura!” Ringhiò a denti stretti Big Daddy, prima di di darsela a gambe ferito nell’orgoglio.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Stava tornando al suo appartamento dopo aver cenato da zia May, quando aveva visto quella scena: Big-D, il pappone che gestiva gli affari in quella via, stava trascinando una donna lontano da occhi indiscreti.

 

Spaccio, traffico della prostituzione, pizzi, rapine a mano armata. Ed ora anche stupro. Un bel curriculum, non c’era che dire.

 

Senza pensarci troppo, Peter aveva imboccato il vicolo parallelo a quello preso dall’uomo e, tirata fuori la maschera dallo zaino, era intervenuto.

Big-D se l’era filata, ma non aveva tempo per corrergli dietro. Doveva assicurarsi che quella donna stesse bene.

 

“Tutto a posto signora? Vuole che l’accompagni in ospedale?”

 

Non ricevendo risposta, Spidey le si avvicinò con cautela. L’ultima cosa che voleva era spaventarla ulteriormente. 

Arrivatole di fronte, si rese conto che probabilmente quella ragazza aveva più o meno la sua stessa età, e sembrava parecchio sotto shock.

Era vestita davvero troppo bene per essere una che viveva da quelle parti, e ciò spiegava perché  fosse saltata all’occhio di certi brutti ceffi.

La aiutò a mettersi seduta sorregendola delicatamente per le spalle e ripetendo ripetendole di fare profondi respiri.

“Va tutto bene, signorina. Ora è al sicuro.” Continuava a dirle con calma, tentando di rassicurarla.

E sembrò funzionare. La giovane riuscì a regolarizzare il respiro, anche se qualche sussulto continuava a scuoterle il petto. Con mano tremante indicò al suo salvatore la borsetta abbandonata a un paio di metri di distanza, dalla quale, una volta avuta tra le mani, tirò fuori un piccolo puff che si porto alle labbra. 

Quell'aggeggio sembrò aiutarla a placare i singulti e, dopo qualche altro minuto, riprese contatto con la realtà.

 

“Gr- grazie… I-io…”

“È tutto okey. Ce la fa ad alzarsi?”

 

Con estrema premura, il ragazzo mascherato la aiutò a mettersi in piedi, senza però lasciare la presa sulle sue spalle, per paura che potesse cadere nuovamente a terra.

 

“Vuole che la porti al pronto soccorso?”

“N-no… Vor-vorrei… I-io dev-”

“Signorina, lei è ancora sotto shock… C’è qualcuno da cui posso portarla?”

 

Jules si perse un attimo nei dettagli di quella strana maschera, provando a ricollegare quello che le era appena stato detto.

 

“S-sì… P-poco più avanti vive un mio… Amico.”

“Bene, qual è l’indirizzo?”

 

Jules cercava di mettere a fuoco i pensieri nella sua testa, ma anche quelle semplici domande la stavano mandando in confusione. Conosceva l’indirizzo di Barney, ma in quel momento le parve un’impresa impossibile mettere insieme tutte le informazione necessarie.

 

“Il palazzo ac-accanto al Gost Rider's Pub… appartamento 3C…”

 

Quella risposta spiazzò non poco Peter. Quella ragazza era diretta nello stesso palazzo in cui momentaneamente viveva lui. 

Era una coincidenza bella e buona, ma almeno non avrebbe dovuto allungare la strada verso casa.

Senza aggiungere altro, strinse un braccio intorno alla vita della donna e si issò di scatto su una delle sue ragnatele. 

Presa alla sprovvista, Jules si aggrappò con tutta la forza che le era rimasta in corpo a Spider-Man, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte sulla sua spalla per non dover vedere a quanti metri da terra si trovavano. 

Avvertiva chiaramente la sensazione di vuoto di quando si staccavano da una ragnatela, e il seguente contraccolpo ogni volta che che si ritrovavano appesi ad un’altra. 

Fortunatamente, dovettero sorvolare poche decine di metri prima che atterrassero sulla scala antincendio dell’edificio, proprio davanti alla finestra di quello che doveva essere l’appartamento di Barton. 

Nella più assoluta tranquillità, il supereroe in rosso e blu aprì la finestra –come fosse normale spalancare le finestre di casa altrui- e con gesto teatrale le indicò l’entrata dell’appartamento. 

Jules guardò prima la finestra aperta e poi lui, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

 

“Grazie… So che te l’ho già detto, ma… T-tu mi hai salvata e-”

“Non serve ringraziare, signorina. Vado in giro con un discutibile costume colorato per questo motivo. Per aiutare le persone. Quindi stia tranquilla.”

“Ma io vorrei sdebitarmi, in qualche modo…”

“Non serve. Solo cerchi di stare più attenta d’ora in avanti.” Concluse l’uomo ragno, strizzandole un occhio per poi saltare giù dalla scala in ferro e sparire nel buio.

 

Avrebbe voluto ringraziarlo meglio, Jules. Aveva impedito il peggio ed era riuscita solo a balbettare un grazie stentato… Chissà se avrebbe avuto modo di sdebitarsi, un giorno.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Ci mancava solo il ladruncolo di turno che cerva di entrargli in casa per terminare quella giornata di merda.

Che poi cosa credevano di trovarci in una delle peggiori topaie di New York?

Certo che potevano almeno essere un po' più originali.

 

La scala antincendio era un classico.

 

Barney si alzò dalla sua scrivania, sulla quale stava mettendo insieme gli ultimi spostamenti bancari dell'ex signora Meachum, e prese dal ripostiglio la mazza da baseball dirigendosi verso il suo microscopico bagno.

 

Questa volta avrebbe spaccato la testa a chiunq-

 

“Bimba?”

 

Barney era dir poco interdetto.

L’ultima persona che credeva di trovare nel suo bagno a quell’ora di notte era Jules Leighton.

E non una normale Jules Leighton. La ragazza aveva i capelli scompigliati e la guancia sinistra e il collo violacei. Gli occhi, bagnati dalle lacrime, erano rossi e gonfi e lo fissavano completamente disorientati.

“Bimba, cosa è successo? Perché sei entrata dalla finestra? E cos’è quella fac-”

Barney, che aveva posato la mazza a terra e le si stava avvicinando con una mano tesa in un gesto d’aiuto, dovette arrestarsi di colpo. 

Jules, a quello scatto repentino, aveva sbarrato gli occhi ed era indietreggiata fino alla finestra, lasciandosi poi scivolare sul pavimento con la schiena appoggiata al davanzale e coprendosi il volto con le mani per nascondere –inutilmente- un altro pianto.

Barney, rimasto in un primo momento allibito per quella reazione, si accorse solo dopo della gonna spiegazzata e dei lividi che segnavano le gambe. 

Collegare tutti i tasselli lo pietrificò sul posto. 

 

Santo cielo… 

 

Jules… Jules, cosa è successo?” Ritentò l’uomo, questa volta avvicinandosi lentamente e appoggiandole con delicatezza le mani sulle spalle tremanti. 

“I-io… Io stavo venend-do qui e-e…” Jules si fermò per prendere un respiro profondo.

“Un uomo mi h-ha assalito e… Oddio… I-io ho provato a-a togliermelo di dosso, m-ma era così pesante e…”

Jules dovette fermare nuovamente il suo racconto, incapace di frenare il pianto incontrollato che la stava travolgendo.

“Jules… ti ha… ti ha violentata?”

“NO! Cioè… n-no… I-io non lo so… Lui ha-a infilato la sua mano sotto la mia gonna e-e… La sua mano e-era d-dentro di me…”

 

Barney si sentiva morire. 

Uno schifoso bastardo si era approfittato della sua Jules

La rabbia, la frustrazione e il dolore gli stavano scavando una voragine nel petto con così tanta irruenza da farlo impazzire. 

Ma doveva mantenere la calma, per il momento. Jules era ancora sotto shock e doveva calmarla ed occuparsi di lei ora.

“Piccola, se il… Se il rapporto è stato completo… In quel caso dovremmo andare in ospedale, sai… Per far-”

“N-no… Quando quel tizio si è t-tirato g-giù i pantaloni… Spider-Man è a-arrivato e-e l-lo ha messo in fuga e…”

“Come?”

Barney la stava guardando con la fronte aggrottata, sorpreso da quella inaspettata notizia. 

L’aggressione spiegava lo stato di shock in cui versava la ragazza, ma una violenza completa avrebbe aperto scenari ben peggiori.

 

“Spider-Man… Lui è arrivato a-appena in tempo e ha m-messo in fuga quel… Quella bestia. Voleva portarmi in ospedale, m-ma n-non volevo… M-mi sono fatta portare qui, perché… I-io… Tu…”

Barney non la lasciò terminare, stringendola a sé e accarezzandole la schiena con gesti lenti e circolari per aiutarla a calmarsi.

 

“Hai fatto bene. Adesso mi occupo io di te.” Le sussurrò con dolcezza.

Si scostò appena da lei per far scorrere l’acqua nella vasca ed aiutarla a spogliarsi.

La donna seguì senza obbiezioni ogni movimento di Barton, aiutandolo a sfilarle gli abiti, seppur con un certo imbarazzo. Ma Barney non distolse nemmeno per un secondo gli occhi dai suoi,nemmeno quando l’aiutò ad entrare nella vasca o quando rimase con lei, lasciandole leggere carezze sui capelli che ricadevano oltre il bordo di ceramica.

Rimasero così per molto tempo, finché l’acqua non diventò fredda e Barney, accertatosi che riuscisse a stare in piedi senza il suo sostegno, non la lasciò da sola nel bagno con un asciugamano e un cambio d’abito per andarle a preparare qualcosa di caldo.

Jules si mise i pantaloni di una tuta fin troppo grande per la sua statura, tanto da doverli arrotolare più volte all’altezza della vita, e una maglietta bianca, anch’essa molto grande. 

Si vestì velocemente e stando attenta a non far cadere l’occhio sullo specchio, adesso reso opaco dal vapore acqueo. 

L’ultima cosa che voleva in quel momento era vedere la sua immagine riflessa. Non dopo tutto quello che era successo. 

Uscita dal bagno raggiunse il cucinotto nel quale Barney eraintento ad armeggiare con un pentolino e delle tazze, attirando subito la sua attenzione.

Barton era talmente arrabbiato che non riusciva nemmeno a preparare una tisana senza rompere tutto a causa delle mani tremanti. Vedere la sua bimba così spaventata, con la testa incassata nelle spalle, mentre si faceva piccola piccola in una tuta due volte più grande di lei, la faceva sembrare terribilmente più giovane e indifesa.

La vide strofinarsi le braccia con le mani, probabilmente a causa della differenza di temperatura tra il bagno e il resto dell’appartamento –o forse per il terrore che ancore le gelava le ossa- così, presa la tazza fumante in una mano, la condusse nella camera da letto, invitandola a stendersi.

Jules non fece minimamente caso all’ambiente circostante, tutta la sua concentrazione era rivolta all’uomo seduto sul bordo del grande letto mezzo sfatto. Lo guardava in silenzio, come se lui avesse tutte le risposte. 

 

Ma Barney non aveva ancora trovato risposte ai suoi di problemi, figuriamoci a quelli di altri.

 

Non vedendola particolarmente propensa a bere la sua tisana, le fece appoggiare la tazza sul comodino di fianco al letto, così che potesse coricarsi e riposare.

Un’esperienza così drammatica doveva averla stremata parecchio. 

“Ora chiudi gli occhi e riposa. Penseremo a tutto domani.” Le sussurrò Barney, baciandola sulla fronte.

“Resta. Stai con me, stanotte. Ti prego.” 

Jules bisbigliò quelle parole talmente piano, che Barney dovette prestare tutta l’attenzione possibile per comprenderle. 

Non sapeva se era il caso di accettare. Non voleva che il mattino seguente, con la mente più lucida, la ragazza lo accusasse diessersi approfittato della situazione. Ciononostante, nemmeno lasciarla sola, in una stanza non sua e dopo un’aggressione così violenta, sarebbe stata una buona idea.

Così, si alzò in piedi per togliersi le scarpe e i pantaloni, ma la reazione di Jules lo turbò non poco: al rumore della zip che si abbassava, la donna sgranò allarmata gli occhi, tornando a tremare come una foglia.

 

Chiunque le avesse fatto questo l’avrebbe pagata. Se ne sarebbe pentito, amaramente.

 

Rimasto in boxer e t-shirt, si infilò sotto le coperte, abbracciandola. Le prese il viso tra le mani grandi e ruvide per lasciarle baci leggeri ovunque.

 

Fronte. Naso. Guancia. Mento. L’altra guancia. Di nuovo la fronte.

 

Catturò una lacrima solitaria a fior di labbra sulla curva dello zigomo, e infine le fece appoggiare la fronte sul suo petto, respirando il profumo dei suoi capelli.

Non l’avrebbe lasciata per un solo istante, si sarebbe preso cura di lei, proteggendola ad ogni costo.

 

Si addormentarono così, stretti l’una all’altro, al sicuro nel loropiccolo mondolontano da tutto e tutti, almeno per quella notte. 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

“Ancora lui?”

 

Il tono di Tony era distaccato e incolore. 

Non voleva far trapelare il suo turbamento mentre parlava di quella persona con Steve. Evitare l’argomento sarebbe stato sciocco, perciò aveva dovuto imparare a mascherare bene le sue emozioni per non far preoccupare troppo il suo amico.

In fin dei conti, il Soldato d’inverno era il primo problema da risolvere prima di iniziare a sciogliere la matassa di ostacoli che stavano cercando di superare.

Momentaneamente, James Barnes era ospite della nuova struttura dell'Avengers Facility.

 

Accompagnato da un ingente numero di nuovi amici.

 

L’idea del processo era stata messa in atto per guadagnare tempo prezioso, al fine di trovare una soluzione più concreta ai loro piccoli problemi legali.

Ma, mentre lui e Steve cercavano una scappatoia da tutta quella trappola burocratica, non potevano permettersi altri polveroni. Così, era stato deciso che Barnes alloggiasse in una struttura protetta, assieme alla Romanoff, Falcon, Visione e ad un modesto numero di agenti scelti.

Il soldato usciva solo due volte al giorno, una per andare allo studio legale e l’altra per proseguire la sua terapia psichiatrica. Di solito la scorta era in borghese e lo teneva d’occhio da una giusta distanza, lasciando che fossero gli Avengers ad interagire direttamente con lui o con chi vi entrava a stretto contatto.

Era assolutamente necessario che Barnes non apparisse come un pericoloper questo davano molto peso alle uscite pubbliche, così che potessero diventare un biglietto da visita per indicare il notevole miglioramento dell'ex assassino.

Ma le sue recenti crisi notturne non aiutavano di certo ad aumentare la fiducia degli agenti nei suoi confronti. Per molti il Sergente Barnes era ancora parecchio instabile, ed ogni volta che se lo trovavano a distanza troppo ravvicinata si comportavano come se quelli fissare i loro ultimi istanti di vita. 

In quelle ultime settimane nemmeno le chiacchierate telefoniche con Steve nel cuore della notte avevano aiutato Barnes con i suoi incubi. Ecco perché Steven stava preparando uno zaino con lo stretto indispensabile per il tragitto verso New York. 

Sapeva che sarebbe stato via solo pochi giorni, ma vederlo prendere le sue cose –di nuovo- ed andarsene da lui –di nuovo- non faceva altro che fargli tornare alla mente la conclusione del loro diverbio in Siberia. 

 

Se ne stava andando di nuovo. Ancora per colpa di sua. Del suo Bucky.

 

Tony scosse la testa per scacciare quei brutti pensieri, tornando a prestare attenzione al capitano.

“Ha qualcosa che non va. Non posso lasciarlo crogiolare nel dolore sapendo che la mia presenza farebbe la differenza.” Disse solo il biondo.

Tony sospirò frustrato da tutta quella situazione. Appena facevano un passo avanti finivano inevitalmente col farne altri tre indietro.

“Vengo anche io. Devo parlare faccia a faccia con la Hogarth… Forse ho trovato un espediente grazie al quale non arriveremo nemmeno in aula.”

“Come?”

“Diciamo solo che forse gli Accordi non sono stati poi così inutili…”

Rogers sollevò un sopracciglio interdetto da quella rivelazione. Se fossero davvero riusciti ad evitare il processo, allora ci sarebbe stata ancora qualche speranza per Buck.

Si sedette sul suo letto, ormai sommerso dagli abiti che doveva portarsi dietro per quella visita a New York, chiudendo gli occhi e massaggiandosi stancamente la base del naso con due dita sotto lo sguardo concentrato di Tony.

Quella convivenza forzata a Malibu aveva portato a galla tutte le cose non dette tra loro, a volte nel bene ed altre…

Stark sapeva che non era colpa di Barnes, lo aveva sempre saputo. Ma, il rapporto conflittuale con i suoi genitori prima e la loro scomparsa dopo, avevano segnato irrimediabilmente tutta la sua vita. 

 

E poi quel maledetto filmato…

 

Forse se non avesse visto con i suoi occhi quello che successe in quella notte di dicembre, allora forse avrebbe accettato meglio l’ingombrante presenza di Barnes nelle loro vite.

Ormai il soldato era diventato un compagno e un amico per molti di loro, e Tony era consapevole che il primo passo che avrebbe dovuto fare per riunire la loro strana e mal assortita famiglia era trovare un modo perché la persona che affollava i suoi più tristiincubi venisse riscattata agli occhi del mondo.

Ma anche se aveva sempre saputo che, in realtà, Bucky Barnes non era mai stato consapevole di ciò che aveva compiuto come Soldato d'Inverno, una piccola parte di sé, quella più fragile e pericolosamente instabile, continuava a collegare all’immagine del sergente il volto di sua madre morente.

 

No, no, no! Non doveva pensarci, non doveva caderci di nuovo.

 

“Tony?”

La voce incerta di Cap fece rinsavire Tony, appena in tempo prima che ricadesse nel vortice del dolore.

“Tony…Grazie, per quello che stai facendo… So quanto sia difficile per te aiutare Bucky, e credimi, lui vorrebbe tanto ringraziarti di persona e-”

“No. Non ancora. Non sono ancora pronto.

Steven annuì consapevole. Sapeva di non poter forzare le cose tra loro, che Tony era un gran uomo, ma non un masochista. 

Qualche volta si chiedeva come sarebbero state le cose una volta chiuso anche questo capitolo delle loro vite, se sarebbero mai più tornati ad essere una squadra, se sarebbero più tornati ad essere una famiglia.

 

Un passo alla volta. Avrebbero superato tutto un passo alla volta.

 

“Avanti, finiamo i bagagli e raggiungiamo gli altri.” Disse Tony con fare deciso. 

Non avevano tempo da perdere, dovevano arrivare a New York il prima possibile.

 

Dovevano fare qualcosa. Dovevano farlo, perché quando si avevala capacità di fare le cose che sapevano fare loro e decidevi di non muovere un dito, e succedevano cose brutte, quelle succedevano a causa tua.

E Tony Stark non avrebbe permesso che quelle cose brutte accadessero alla sua nuova famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

| ANGOLO DELL'AUTORE |

Eccomi bella gente! 

Finalmente ho aggiornato 🎉🎉🎉🎉

Ci ho messo un po', ma abbiate pazienza… Come avrete letto, ci sono tematiche delicate in questo capitolo, e ci ho messo del tempo ad elaborare i vari avvenimenti. 

Il difficile di questa storia è che devono combinarsi tra loro le avventure di eroi diciamo “internazionali”, come Iron-Man e Cap, ed eroi “di quartiere” come Spidey e Barney… 

Per il momento qua vediamo la vita da strada: gang, prostitute, papponi, etc.

E c’è un indovinello per voi 😁😁😁 Chi sa chi è Sean Combs? Beh, è un personaggio molto famoso, e se e quando andrete a cercare chi è e chi sono i suoi amici, allora capirete anche il perché del nome Big Daddy 👍

E poi c’è un altro nome interessante… Chissà chi lo noterà 😏😏😏

Come potete notare piano piano tutti i dubbi vengono risolti, ma per avere un quadro più chiaro della situazione dovrete aspettare ancora un bel po'!

Per oggi non aggiungo altro, invece di parlare io vorrei tanto leggere cosa ne pensate voi! 

Ringrazio sempre tutti quelli che mi seguono e recensiscono!

Vi auguro una buona domenica! Al prossimo aggiornamento! 😘😘😘

P.s. come sempre avevo fretta di aggiornare, quindi per eventuali errori chiedo venia 😜

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** WHAT'S GOING ON? ***


 
     
     
     
 
   
     
     
 
WHAT’S GOING ON?
 
 
 
I realized quickly when I knew I should
 
That the world was made up of this brotherhod of man
 
For whatever that means
 
And so I cry sometimes
 
When I'm lying in bed
 
Just to get it all out
 
What's in my head
 
And I, I am feeling a little peculiar
 
And so I wake in the morning
 
And I step outside
 
And I take a deep breath and I get real high
 
And I scream from the top of my lungs
 
What's going on?
 
4 NON BLONDES
 
 
 
Era già passato qualche minuto da quando si era svegliata, ma Jules non aveva la forza -né il desiderio- di sciogliere l'abbraccio con il quale Barney la stringeva a sé. 
Con il capo poggiato sul suo petto poteva ascoltare i battiti regolari del suo cuore e le sue grandi mani la stringevano in una morsa decisa ma gentile, che la faceva sentire al sicuro, come se gli eventi della sera prima fossero stati attimi sfocati di un brutto sogno. 
 
Le sembrava tutto così inverosimile.
 
Fino al giorno prima lei e Barney erano due colleghi -quasi amici- che occasionalmente flirtavano, tra gli sguardi maliziosi di lui e quelli più furtivi ed ingenui di lei. 
 
Ora invece si ritrovava nel suo letto, in cerca del suo tocco, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 
 
L'aggressione del giorno prima aveva sicuramente contribuito ad accelerare i tempi.
 
Ma poi accelerare cosa, esattamente?
 
Jules non era sicura che sarebbe mai potuto succedere davvero qualcosa tra loro due. Sì, le attenzioni di Barney la lusingavano: quando non aveva in corpo una birra di troppo e non si comportava in modo eccessivamente volgare, Barney si dimostrava una persona eccezionalmente attenta e premurosa. Nascondeva una feroce sensibilità dietro a spesse mura costruite calcio dopo calcio e delusione dopo delusione.
Però...
 
Però non c'era mai stato effettivamente nulla tra loro. 
 
Quel giorno al bar si era quasi creato un contatto e, quando se ne era reso conto, Barney aveva battuto in ritirata come se ne andasse della sua stessa vita. 
 
O di quella di Jules...
 
Ma, a parte quel singolo episodio, non avevano mai condiviso nulla.
E come avrebbero potuto d'altra parte?
Il suo principale obiettivo era fare carriera, affermarsi, per poter lasciare il segno e fare la differenza. Mentre Barney lavorava occasionalmente e solo perché strettamente necessario, il più delle volte passava il suo tempo libero al Ghost Rider's e non sembrava affatto il tipo che pensava a sistemarsi. 
 
Che poi lei non era neanche sicura di volersi sistemare. 
 
Fortunatamente ci pensò la mano di Barney a fermare il flusso dei suoi nevrotici  e sconclusionati pensieri. Con delicatezza le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, puntando gli occhi ancora assonnati nei suoi. 
Un sorriso involontario gli increspò le labbra quando incontrò lo sguardo incerto della ragazza tra le sua braccia. 
Pensò che Jules fosse incredibilmente carina anche appena sveglia, con le guance rosse come frutti maturi e le labbra appena screpolate, perché sì, aveva notato che la ragazza dormiva con le labbra schiuse e si era crogiolato tutta la notte al pensiero di assaggiarne la morbidezza. 
Rimasero così per un bel po', in silenzio, senza preoccuparsi di nulla, finché un incessante bussare alla porta non costrinse Barney ad alzarsi sbuffando ed a lasciare contro voglia il corpo caldo di Jules. 
 
Le voci infantili che sopraggiunsero in seguito incuriosirono non poco la ragazza, che furtivamente raggiunse la soglia della porta buttando un’occhiata alla stanza adiacente. 
Due ragazzini di colore -un bambino di non più di dieci anni ed uno appena adolescente- chiacchieravano allegramente con Barney mentre coccolavano Lucky.
 
Lucky!
 
Dove diavolo era Lucky ieri sera?
 
Eppure Lucky si sarebbe dovuto accorgere della sua presenza... 
 
Oppure era lei che non si era accorta della presenza del cane? 
 
Possibile fosse talmente tanto sconvolta da no-
 
Persa nei suoi pensieri Jules non si accorse subito del silenzio che era calato nella stanza, se non fosse stato per la coda di Lucky, che batteva ritmicamente contro il tavolino da fumo mentre scodinzolava.
 
Il padrone di casa e i due ragazzini la stavano fissando la ragazza ancora semi nascosta dalla porta della camera da letto, mentre cercava di origliare la conversazione in modo tutt'altro che furtivo...
 
Che figura di merda. 
 
Adesso avrebbero pensato che fosse una delle tante tizie che Barney si portava a casa per soddisfare i suoi bisogni.
 
Correzione. Una gigantesca figura di merda.
 
"Ragazzi, lei è Jules."
"La tua ragazza?" chiese immediatamente il più piccolo, senza lasciare a Barney il tempo di proseguire.
"Sta zitto Liam, non vedi che la metti in imbarazzo?" lo riprese quello che doveva essere il fratello maggiore, in un vano tentativo di apparire più grande e autorevole di quanto in realtà fosse.
Barney, sorridendo divertito da quello scambio di battute, riprese le presentazioni: "Bimba, loro sono Liam -il nanetto impertinente- e Simone Marshall. Vivono con la madre nell'appartamento accanto."
Mentre parlava Barney sembrava molto tranquillo, sereno quasi. Ed anche i suoi vicini apparivano a loro agio mentre chiacchieravano allegramente. 
Jules non fece però in tempo ad aprire bocca che una signora -probabilmente la madre dei ragazzi- fece capolino dall'ingresso interrompendo quello strano siparietto.
Doveva avere non più di quarant'anni, vestita in modo semplice con jeans chiari e un dolcevita scuro. L'unica nota di colore era lo sgargiante foulard sui toni del verde che le teneva ferma la matassa di ricci scuri, i quali altrimenti le sarebbero ricaduti sul viso. 
La nuova arrivata si prese un attimo per sondare la situazione, mentre appoggiava ai suoi piedi due zaini per la scuola.
"Quante volte vi ho detto che non potete piombare a casa di Barton come e quando volete? Non vedete che ha ospiti?" 
La signora si rivolse poi a lei ed a Barney: "Scusateci per il disturbo. I ragazzi hanno visto la tua auto ancora in garage e hanno pensato che non fossi ancora m partito, così sono venuti a farti salutare Lucky..."
 
"Non ti preoccupare Maureen, per me è sempre un piacere fare due chiacchiere con i ragazzi. Mi ricordano molto me e mio fratello alla loro età..."
Barney fece cadere il discorso, un velo di malinconia a sfumagli gli occhi chiari, già abbastanza lucidi di suo per via del risveglio movimentato.
 
Nel frattempo Jules non aveva ancora spiccicato parola. Era ancora in piedi nel bel mezzo della stanza, osservando quello che stava succedendo e rimettendo insieme le i formazioni.
 
Barney sarebbe dovuto partire. Ed invece era dovuto rimanere a casa per colpa sua.
 
In quel momento si sentì una vera stupida. Era piombata a casa sua senza nemmeno avvisare e gli aveva fatto rimandare addirittura un viaggio. 
 
Ma a cosa pensava?
 
Notando lo stato di disagio in cui versava la ragazza, Maureen si scusò nuovamente per il disturbo e portò via i figli per accompagnarli a scuola, regalando un sorriso gentile a Jules in segno di saluto. 
 
Una volta congedati i Marshall, Barney seguì con lo sguardo Lucky mentre si avvicinava a Jules per darle il bentornato.
Andò subito a cercare la mando della ragazza, spingendo il muso contro di lei per farsi accarezzare.
Senza farselo ripetere due volte la donna si abbassò sulle ginocchia e prese ad accarezzare energicamente il collo del cucciolone, sotto lo sguardo leggermente preoccupato del padrone.
Anche lui, come Maureen, aveva notato l'espressione fin troppo imbarazzata della bambina ed ora non sapeva proprio come sdrammatizzare la situazione. 
 
"Non porto così spesso gente a casa, i Marshall lo sanno quindi non devi preoccuparti che pensino male di te o-"
 
"Non è solo per quello." Lo interruppe prontamente Jules. 
"Avevi lasciato Lucky da loro perché avevi altri piani, e tra di essi sicuramente non rientrava fare da babysitter a me... Mi spiace."
 
L'uomo rimase interdetto da quelle parole. Di solito le persone non si preoccupava di non essergli di disturbo, quanto piuttosto che lui non fosse di disturbo a loro. 
L'ultima persona che aveva dimostrato un interesse del genere nei suoi confronti era suo fratello. Ma si stava parlando di molti anni prima, quando per Barney esisteva ancora la possibilità di meritarsi certe attenzioni. 
 
"Non ho fatto il babysitter." Barney si tirò su col busto, appoggiando i gomiti sulle gambe e cercando un contatto visivo. 
"Una persona a cui tengo aveva bisogno di una mano ed io gliel'ho data."
Capendo di aver colto l'attenzione di Jules continuò a parlare: "E poi non era nulla di urgente, stavo andando fuori città per seguire una pista, neanche tanto sicura tra l'altro. Partire un giorno più tardi non mi cambia nulla." Aggiunse rassicurandola.
 
"Ma visto che stiamo parlando di cose serie... Sapresti descrivermi il figlio di puttana che ti ha aggredito ieri sera?"
 
A quella domanda Jules si immobilizzò.
Avvertendo una certa tensione nell'aria, Lucky si diresse verso la sua cuccia, focalizzando le sue attenzioni su una vecchia scarpa mezza mangiucchiata e lasciando le persone ai loro problemi da persone. 
 
"Non occorre che lo cerchi, so chi è." Rispose semplicemente lei senza incontrare lo sguardo del suo interlocutore. 
"Ma non te ne devi preoccupare."
"Come sarebbe a dire? Non pensare che gliela lasci passare liscia a quel-"
"Ho detto che non te ne devi occupare." 
Il tono di Jules era fermo e deciso. Si rimise dritta e incrociò le braccia appena sotto il seno, in una posa così risoluta da renderla completamente irriconoscibile rispetto alla ragazza fragile e tremante che aveva trovato piangete nel suo bagno la sera prima. 
"So io come fargliela pagare." Aggiunse soltanto. 
Barney rimase non poco spiazzato da quella reazione.
 
Cosa pensava di fare la sua bimba?
 
Non riusciva proprio a comprendere le sue intenzioni, mentre con la coda dell'occhio la vedeva dirigersi pensierosa verso la camera da letto. 
Poco prima che vi entrasse si girò verso di lui osservandolo con il viso leggermente inclinato da un lato, facendo ricadere su una spalla i capelli scuri.
 
"So quello che faccio... Ora torna a letto. Il mio primo appuntamento è dopo pranzo, possiamo passare un altro po' di tempo insieme."




 
~






"Fino a qualche mese fa il Sergente Barnes sembrava aver fatto passi da gigante, signore: dormiva fino a sei ore consecutive, scaricava lo stress durante gli allenamenti alla Facility e anche le sue interazioni personali stavano migliorando. Ha addirittura fatto amicizia con uno dei suoi avvocati difensori!"
 
"Ma...?"
 
"Ma poi ha avuto una specie di crollo nervoso. Ha smesso di mangiare e sono tornati gli incubi... È addirittura arrivato alle mani con alcuni dei miei agenti..."
 
"Come stanno a proposito gli agenti May ed Hunter?"
 
"Bene signore, grazie per averlo chiesto. Fortunatamente l'agente Romanov è intervenuta prima che lo scontro diventasse troppo violento."
 
"Mi spiace Coulson per tutti i problemi che vi sto dando, il fatto è ch-"
 
"Non si preoccupi Capitano. Proteggere è il nostro mestiere. Senza contare che, dopo il piccolo incidente che ha coinvolto la precedente base del nuovo S.H.I.E.L.D., poter usufruire delle strutture gentilmente offerte da Stark ci è di grande aiuto."
 
Rogers prese un respiro profondo mentre stringeva tra le mani il suo caffè, ormai quasi freddo. 
Effettivamente non tutto il male che era successo in quel periodo era venuto per nuocere: ora che la squadra di Coulson non aveva più una base operativa si erano stabiliti momentaneamente alla Facility, contribuendo alla supervisione di Buck. Ma anche se sapeva che Coulson aveva ragione, che quello era il loro lavoro, Steve si sentiva ugualmente in colpa. 
 
Aveva lasciato Bucky alle cure di estranei.
 
Lui conosceva bene quelle persone. Si fidava di Nat, Sam e Coulson. 
Ma Buck no, non li conosceva poi così bene. Ed anche se si fidava del giudizio di Steve, quest'ultimo sapeva fin troppo bene quanto fosse estenuante dover apparire sempre affabile e tranquillo agli occhi di tutti, quando invece dentro di sé si stava cercando di sopravvivere ad un vero e proprio maremoto. 
 
Anche lui aveva finto a lungo. 
 
Aveva finto di poter andare avanti e lasciarsi il passato alle spalle come se nulla fosse.
 
Come se non sentisse ancora nelle orecchie la voce di Peggy spezzata dal pianto. 
 
Aveva iniziato a ridere e scherzare con Clint e Natasha, mentre bevevano una birra alla fine di una missione.
 
Le risate sguaiate e divertite degli Howling Commandos, che brindavano per festeggiare un'altra vittoria, un altro giorno da vivi.
 
Aveva ascoltato insieme a Banner le strambi ma affascinanti aneddoti di Thor su Asgard, sorridendo ed annuendo ogni qual volta il semi dio cercava di capire se stesse seguendo i suoi ragionamenti.
 
Nella testa ancora i racconti sulla Grande Guerra con cui il Colonnello Phillips intratteneva le sue reclute davanti al fuoco, al termine di una lunga giornata di allenamenti. 
 
Aveva chiacchierato a lungo con Tony mentre questo lavorava tranquillamente nel suo laboratorio.
Avevano parlato tanto e di tutto.
 
E più parlavano e più la sua voce era familiare. 
E più lo osservava lavorare e più gli sembravano le mani di Howard quelle che avvitavano saldavano e montavano. 
 
Aveva mentito a tutti.
 
Aveva fatto credere che potesse voltare pagina, che potesse nascondere la stanchezza che si portava dietro, la nostalgia che gli divorava l'anima.
Aveva nascosto le sue fughe alla casa di riposo, per parlare con Peggy, per non lasciare andare del tutto quel passato che non sarebbe più tornato. 
Aveva nascosto la tristezza. La tristezza causata dalla sua incapacità di tornare a casa
 
Aveva finto che andasse tutto bene quando invece bene non andava niente.
 
Quindi poteva capire benissimo quello che stava provando Bucky. 
 
"Sarei dovuto restare qui con lui."
 
"Si dovrebbero fare tante cose, signore. Non sempre però è semplice sapere a quale è meglio dare la precedenza. Dobbiamo limitarci a fare del nostro meglio."
Phil Coulson sapeva sempre cosa dire, non c'era dubbio. 
Steve Rogers fece appena in tempo a sorridere grato per quelle parole all'agente Coulson, che la porta dell'area ristoro si aprì di colpo attirando la loro attenzione.
Bucky Barnes se ne stava sulla soglia, con l'aria di uno che non dormiva da giorni e un'espressione accigliata che non prometteva nulla di buono.
 
"Perché sei tornato?"
 
No. Non andava bene niente.
 
 
 
 
 
~
 
 
 
 
 
 
Alla fine di quella mattinata Jules e Barney avevano lasciato Lucky nuovamente dai vicini, per poi dirigersi a casa della ragazza perché potesse cambiarsi e andare a lavoro. 
Avevano pranzato insieme, come una dolce coppietta.
 
Ma loro non erano dolci. Né una coppia. 
 
Ma Jules non voleva pensarci, non in quel momento.
Voleva solo pensare a quanto fosse buono il suo dessert, a quanto Barney fosse affascinante quando stava lontano dall'alcol ed a quanto fosse stato semplice parlare con lui. 
Voleva solo pensare a quanto fosse stato strano -ma bello- quando Barney si era abbassato abbastanza da lasciarle un bacio sul l'angolo della bocca. 
Voleva solo pensare alla sensazione pungente della sua barba sulla pelle sensibile del viso. 
Voleva solo pensare al suo stomaco sotto sopra quando Barney aveva indugiato più del dovuto in quel gesto, mandandole il cervello in tilt. 
Mentre entrava nello studio legale, Jules avrebbe voluto solo pensare a tutte queste cose. 
 
Ma la vita reale era in agguato dietro l'angolo e aspettava solo che lei abbassasse la guardia.
 
"Oh! Ecco qua la signorina Leighton, l'associata dell'avvocato Hogarth." Squittì con fin troppa enfasi Berta, vedendola arrivare. 
"Mentre aspetta il grande capo può cominciare a farsi illustrare il caso da lei, signor Stark..."
 
Jules si bloccò nel bel mezzo della hall, gli occhi appena sgranati, mentre fissava l'uomo finemente vestito difronte a sé sfilarsi i costosi occhiali da sole con un fare lento e calcolato, la sua miglior faccia da schiaffi messa su per l'occasione. 
 
"Oh Berta! Posso chiamarla Berta? Sarà un piacere passare del tempo con la fanciulla che ha rubato il cuore al nostro amato Manchurian Candidate. Un vero piacere."
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
| SPAZIO DELL' AUTORE |
 
Salve a tutti! 
Sì, sono ancora viva 😅
Sono terribilmente in ritardo con gli aggiornamenti, ma oltre al blocco dello scrittore(?) non ho altre scusanti. 
Quindi non posso fare altro che chiedere venia! 
 
Per quanto riguarda il capitolo: in parte si tratta di un capitolo di transizione, in parte invece si stanno scoprendo alcune carte.
Gli agenti in borghese che tengono sotto controllo Buck non sono altro che gli uomini di Coulson, e qua si aprono le porte per lo S.H.I.E.L.D. 
Buck sembra non essere molto contento di vedere Steve... Ma perché?? Eh eh eh 🤔
Jules e Barney si stanno avvicinando e la nostra protagonista si dimostra più risoluta che mai a voler risolvere i suoi problemi da sola... Ma Barney riuscirà davvero a farsi gli affari suoi? 
Ed infine... Chi meglio di Stark per un finale col botto? Eeeehhh 😆 
 
Non voglio aggiungere altro, perché vorrei sentire le vostre opinioni più che parlare a vanvera 😁 quindi fatevi vivi, mi piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorare la storia e i personaggi, o anche solo sapere cosa ne pensate. 
 
Per ultima cosa ringrazio tutti i lettori e soprattutto Slytherin_Eve, senza la quale forse avrei abbandonato questa avventura tempo fa... ❤
 
Non mi resta che augurarvi una buona lettura! Alla prossima!

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Capitolo 9
*** TIME IS RUNNING OUT ***


TIME IS RUNNING OUT
 
 
 
I wanted freedom
 
But I'm restricted
 
I tried to give you up
 
But I'm addicted
 
Now that you know I'm trapped
 
Sense of elation
 
You'll never dream of braking this fixation
 
You will squeeze the life out of me
 
MUSE
 
 
 
 
"Mentre aspetta il grande capo può cominciare a farsi illustrare il caso da lei, signor Stark..."
 
 
 
 
Tony Stark era decisamente un uomo molto affascinante. Di sicuro gli abiti confezionati su misura che gli calzavano a pennello e un innato senso dello stile aiutavano. Ma Tony Stark non era solo un orologio costoso o un paio di scarpe firmate. C'era qualcosa di ammaliante nel modo in cui muoveva le labbra mentre parlava: il pizzetto curato incorniciava perfettamente la bocca, esaltando ancora di più il sorriso furbo e splendente, da copertina. Gli occhi grandi e penetranti sembravano perforare l'anima, mettendo chiunque a disagio sotto il suo sguardo indagatore.
Le rughe d’espressione che li contornavano non intaccavano minimamente la bellezza dell'uomo, anzi. Gli donavano un tocco in più di charme.
 
Esperienza batte giovinezza, a quanto pare.
 
Senza dubbio Stark era il miglior biglietto da visita che i Vendicatori potessero desiderare. Tutto in lui era calcolato e in linea con il suo personaggio: Tony Stark, il cover man che ammalia le masse!
Abituato com'era ad avere i riflettori puntati addosso, il signor Stark sapeva come muoversi in pubblico e come piacere alle persone.
 
Un serpente sinuoso che ipnotizzava la sua preda.
 
Ed era questo che spaventava Jules più di ogni altra cosa: Stark era una facciata.
Era quasi un'ora che si trovavano nella sala conferenze, soli, senza orecchie indiscrete ad origliare. E nonostante sapesse quanto il tempo di Stark fosse prezioso, l'uomo seduto davanti a lei continuava a parlare di tutto tranne che del vero motivo per il quale si trovasse lì.
Era senz'altro un abile conversatore, non c'era che dire.
Ma lei era abituata a tutto questo. La maggior parte dei suoi clienti erano persone facoltose ed importanti, non avvezze a dire la verità per proteggere la propria immagine. E Tony Stark, per quanto fosse un eroe, restava pur sempre un uomo d'immagine.
 
“Signor Stark, finiamola con i convenevoli. Non è venuto fin qua da Malibu solo per vantarsi di tutti i gala di beneficienza che le Stark Industries hanno organizzato a favore della città.”
 
Stark non si aspettava di certo una tale presa di posizione.
Di solito fanciulle così giovani in luoghi così importanti servivano solo da ragazze immagine. Bei visetti sorridenti che intrattenevano gli ospiti mentre aspettavano l'arrivo del capo.
Anche lui ne aveva sul posto di lavoro: ragazze bellissime il cui unico vero compito era rispondere al telefono e far fare bella figura al loro capo.
Poche erano quelle che riuscivano poi a distinguersi nel tempo. Ormai non bastava più avere un bell'aspetto e una laurea appesa alla parete se ad accompagnarli non vi erano un carattere di ferro e un bel po' di arguzia.
Era grazie a queste doti che Pepper –la sua Pepper- aveva fatto strada senza compromessi o raccomandazioni. Era per questo che era rispettata e che nessuno riusciva a prendersi gioco di lei.
 
Era per questo che l'eccentrico inventore senza cuore era caduto ai suoi piedi.
 
E la ragazza con cui stava amabilmente conversando gli ricordava molto Pepper, quando era ancora agli inizi e cercava di capire su chi puntare e da chi invece era meglio guardarsi le spalle.
Però, se da un lato aveva avuto modo di conoscere così bene Pepper da sapere che poteva fidarsi di lei ciecamente, dall'altro non sapeva assolutamente nulla della signorina Leighton. E la faccia da poker che aveva assunto dall’esatto momento in cui si erano stretti la mano non lo aiutava per niente a capire con chi stesse parlando.
 
“Diretta e concisa. Doti che apprezzo molto.”
 
Tony assottigliò lo sguardo con fare inquisitorio, aggiustandosi un polsino della camicia, più per abitudine che per un reale bisogno.
 
“Sarò diretto anche io con lei, signorina: mi è giunta voce che le è venuta... Come dire? Ah sì! Che le è particolarmente venuta a cuore –per così dire- la sorte del Sergente.”
 
Jules strizzò leggermente gli occhi a quelle parole, la bocca serrata in una linea dritta.
 
Aveva fatto centro.
 

“Casa sa esattamente su quello che è successo tra noi?”
 
“So che tra lei e il Sergente Barnes non scorre buon sangue. So che l'unico legame che avete in comune è il Capitano Rogers. E so che a lei, signor Stark, serve tutto l'appoggio possibile per ottenere la legittimazione necessaria a riunire i Vendicatori.”
 
Sì. Aveva proprio fatto centro. La signorina era proprio scaltra.
 

Stark socchiude gli occhi e alzò il mento osservandola attentamente. Sul volto un ghigno divertito.
 
“Ottima analisi della situazione. Non serve quindi dirle quanto sia necessario per il nostro quieto vivere che Barnes esca pulito da questa brutta storia, giusto?”
 
“Assolutamente no, signor Stark. Qua prendiamo seriamente il nostro lavoro.”
 
Jules era non poco stizzita da quel comportamento. Con chi credeva di avere a che fare? Con dei dilettanti laureatesi online forse?
Con fatica cercò di ricomporsi, prendendo un profondo respiro e puntando poi i suoi occhi in quelli altrettanto diffidenti del loro cliente.
 
“Le posso garantire che non troverà nessuno in tutta New York che si prenderà cura degli interessi del signor Barnes –e dei suoi- meglio di noi.”
 
“Lo so per certo.”
 
“Allora perché è venuto di persona fin qua, rischiando di scatenare un vero e proprio conflitto d’interessi?”
 
Il sorriso compiaciuto di Tony scomparve immediatamente, lasciando posto ad un'espressione così seria da stonare completamente con l'immagine da playboy incallito che lo aveva accompagnato per anni sulle riviste di tutto il mondo.
 
Ecco che la maschera veniva messa da parte.
 

“Perché come futuro direttore dello S.H.I.E.L.D. devo essere sicuro di potermi fidare dei collaboratori che mi circondano.”
 

 
 
 
 
~
 
 
 
 
 
Quando si era svegliato quella mattina Peter non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in una posizione così scomoda.
Se avesse ignorato il messaggio del capitano, a quest’ora sarebbe a seguire una lezione del professor Lewin sulla meccanica classica, collassando sul posto a causa delle ore di sonno accumulate durante le notti passate a vigliare sulla città.
Invece ora si ritrovava alla Facility, con Coulson, impegnato in una conversazione telefonica in un angolo della sala ristoro, e Rogers e Barnes seduti uno al lato opposto dell'altro del grande tavolo rettangolare mentre si scrutavano in modo fin troppo serio.
 
Lui nel mezzo, naturalmente.
 
La tensione nell'aria stava mettendo Peter a disagio, tanto che si ritrovò presto a sperare in una qualsiasi catastrofe in modo da avere una scusa per dileguarsi all'istante.
Non c'era niente in quella situazione che promettesse qualcosa di buono.
Tutti sapevano quanto i due tenessero l'uno all'altro, legati da quella fratellanza che unisce i compagni di guerra al di là di ogni logica.
Ma in quel momento lo sguardo screziato di Barnes lasciava poco spazio a un pensiero tenero. Era fisso sulla figura del capitano, distaccato e lontano da ogni tipo di emozione che di solito riservava solo a Steve.
 
Sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato, naturalmente.
 

Lui voleva solo incontrare Tony.
Dall'incontro con la Romanov non aveva fatto altro che pensare alle sue parole, così, quando aveva letto il messaggio del capitano che lo informava del loro arrivo in città, si era fatto forza e si era diretto alla base.
Non pensava di risolvere molto. Gli sarebbe bastato guardare Tony in faccia, chiedergli come stesse, fargli capire che era pronto a fare un passo indietro ed ascoltare ciò che aveva da dirgli.
Ma Tony non era alla base. Ed in quel momento si chiese come potesse essere così sfigato da ritrovarsi nel mezzo a due super soldati incazzati neri, che di solito chiacchieravano con nostalgia dei bei vecchi tempi e che avevano scelto proprio il giorno della sua inaspettata visita per essere sul piede di guerra.
 
Fottuto posto sbagliato al fottuto momento sbagliato.
 

“Allora... Come va la riabilitazione Sergente?”
 
Lo sguardo penetrante del soldato slittò direttamente sul ragazzo, inchiodandolo sul posto. Peter si mosse impercettibilmente sulla sedia, deglutendo a fatica il groppo che gli stringeva la gola.
In quegli anni di attività Spider Man aveva affrontato molti nemici. Alcuni balordi pianta grane, altri sadici pazzoidi. Ma non aveva mai e poi mai visto due occhi così spietatamente inflessibili come quelli del Soldato d’Inverno.
 
Erano gli occhi della morte.
 

“Non bene come speravamo a quanto pare.”
 
La voce ferma e profonda di Steve fece concentrare l'attenzione del suo amico nuovamente su di sé.
 
“Al contrario sto benissimo... Non c'era bisogno che tu e Stark vi scomodaste per venirmi a controllare di persona.”
 
“Gli agenti di Coulson avrebbero da ridire a riguardo...”
 
Bucky storse la bocca, per nulla contento di quella frecciatina.
 
“Avevo detto che non volevo gente tra i piedi, ma Natasha ha insistito perché non me tornassi nella mia camera e-”
 
“Non incolpare gli altri adesso!”
 
La voce di Steve tuonò all'improvviso, mettendo in allarme sia Peter che Coulson, il quale buttò giù la chiamata in tutta fretta per concentrarsi su cosa stava succedendo.
Quello che successe dopo si verificò nell'arco di pochi secondi. Bucky scattò come una molla verso Steven, facendo cadere la sedia su cui era poc’anzi seduto e rovesciando il tavolo che li teneva separati. Nel frattempo Peter, messo in allarme dai sensi di ragno, era già balzato all'indietro evitando di essere travolto, mentre Coulson estrasse la pistola dal fodero trattenendo a stento le imprecazioni. Ambedue non sapevano come e, soprattutto, se intervenire. Il soldato stringeva il collo di Steve in una morsa ferrea, il viso a pochi centimetri da quello dell'altro.
 
“Già... Non incolpiamo altri quando alla fine è solo colpa tua.” Sputò fuori Bucky a denti stretti, i muscolo del corpo tesi e frementi.
 
Steve sbarrò gli occhi scioccato.
 
Era questo che pensava davvero?
 

Annaspò in cerca d'aria senza capacitarsi di quello che aveva appena sentito.
 
Buck –il suo Buck- lo stava incolpando.
 

Steven sapeva di essere in parte diretto responsabile di quello che gli era capitato. Non c'era stata notte da quando si era risvegliato in cui non avesse rivissuto quella missione sul treno. Nei suoi incubi era ancora vivida la mano di Bucky mentre si allungava verso di lui in cerca di salvezza, il volto del compagno congelato dal terrore e poi dalla consapevolezza di non avere via di scampo.
Sapeva che avrebbe potuto fare di meglio, che avrebbe potuto fare di più.
Ma un conto era saperlo e soffrirne, un altro era sentirlo da dire direttamente da lui e morirne.
 
Era solo colpa sua. E Buck lo sapeva.
 

D’improvviso Bucky lasciò la presa e indietreggiò bruscamente. Alternava lo sguardo, ora velato di terrore, dalle sue mani tremanti a Steve, piegato in due mentre cercava di prender aria.
Non poteva credere a quello che aveva appena fatto. Aveva aggredito Stevie, lo aveva fatto senza alcun condizionamento, e gli aveva detto quelle cose orribili.
 
Come era potuto accadere?
 
Disorientato da tutta quella situazione, Bucky non riusciva nemmeno a percepire le voci di Peter e Coulson che cercavano di richiamare la sua attenzione, di calmarlo. Continuava solo ad indietreggiare, ad allontanarsi il più possibile da Stevie per non potergli fare più del male.

Doveva allontanarsi. Doveva andare via di lì.
 

Sordo persino ai richiami di Steve, Bucky si voltò e corse inarrestabile verso una delle ampie finestre che davano sul cortile, sfondandola e fuggendo via senza guardarsi indietro.
 
 
 
 
 
~





“Cosa cazzo è successo?”
 
Jules sobbalzò sorpresa da dietro la scrivania.
Poco dopo la rivelazione scottante sui futuri piani di Stark, il cellulare di quest'ultimo aveva preso a vibrare incessantemente.
Dal tono di voce, alzatosi di qualche ottava, aveva subito capito che era successo qualcosa di grave.
Ma non poteva ancora immaginarsi quanto.
 
“Come sarebbe a dire che è sparito?! Sì sì, sto arrivando, voi non avvertite ancora nessuno!”
 
Visibilmente scosso, Stark prese la sua giacca e si voltò verso l'avvocato.
 
“Il suo capo mi scuserà se non posso trattenermi oltre, ma si è verificato... Un contrattempo.”
 
“Un contrattempo tipo?” Chiese allarmata la ragazza dopo quello che aveva sentito poco fa, nei suoi pensieri solo un nome.
 
“C'entra James?”
 
Tony si bloccò con la mano sulla maniglia della porta. Dopo un momento che le parve interminabile si voltò verso di lei serio come non mai in volto, confermando tutte le sue preoccupazioni.
 
“Barnes è scappato.”
 
Inaspettatamente Jules recuperò il suo cappotto e la borsa, affiancandosi a Stark visibilmente agitata.
“Vengo con lei.” Disse solo con un tono che non ammetteva repliche.
 
 
 
 
 
~
 
 
 
 
 
“Il gate numero 3 è pronto per l'imbarco. Si pregano i signori passeggeri di recarsi...”
 

Nemmeno l’altoparlante dell’aeroporto riuscì a distoglierlo dai suoi  pensieri.
Era arrivato lì con un'ora circa d'anticipo. Il suo volo aveva un ritardo mostruoso a causa di un guasto tecnico e adesso si ritrovava ad un bar a bersi uno schifoso caffè aspettando che iniziassero l'imbarco.
Prima partiva e prima sarebbe tornato a casa. Non che avesse molto di cui occuparsi, oltre a Lucky ovviamente.
Però quella mattinata passata in compagnia della sua bimba gli aveva messo una strana sensazione addosso.
Aveva fatto un’enorme cazzata.
 
L'aveva baciata.
 
Okay, non era stato un vero e proprio bacio. Però si era comunque emozionato come uno stupido ragazzino alla sua prima cotta.
 
E poi lei... Cristo!
 
Le sue gote erano diventate rosse come tizzoni ardenti e i suoi occhi... Oh i suoi occhi! Non si sarebbe mai scordato di quegli occhi. Erano diventati liquidi e scuri, così penetranti da avergli acceso un fuoco dentro.
 
Male. Malissimo.
 

Si era ripromesso di starle alla larga, di mantenere le distanze.
Per lei. E per se stesso.
Ed invece aveva proprio fatto un bel casino! 
Si sentiva un vero stupido Barney. Era un uomo adulto, avrebbe dovuto mettere dei paletti ed invece si era fatto travolgere dagli eventi, incapace di opporsi.
 
O forse non voleva opporsi.
 
Più che stupido era un vero e proprio egoista.
Voleva Jules, la voleva più di ogni altra cosa avesse mai desiderato ed anche se l'idea di doverla proteggere da se stesso lo aveva sfiorato, adesso, dopo quella maledetta mattina, non riusciva a non pensare a quanto desiderasse finire quello stupido incarico per tornare di nuovo da lei.
 
Maledetto bastardo egoista.
 
Eppure ci era sempre riuscito. Era sempre riuscito ad allontanare tutti, era riuscito anche stare lontano da suo fratello pur di vederlo felice.
 
Felice senza di lui.
 
E il fatto di avergli donato in questo modo un po' di serenità lo aveva sempre convinto che non permettere alle persone di affezionarsi a lui era la cosa giusta da fare. Non era capace di avere una vita normale, figuriamoci dei rapporti umani decenti.
Eppure adesso non riusciva a fare marcia indietro.
Forse era stanco, troppo stanco. Stanco della solitudine, stanco del senso di inadeguatezza che lo soffocava, stanco di non poter condividere con nessuno il suo malessere.
 
Ma era giusto far carico ad altri dei suoi problemi?
 

Suo fratello avrebbe voluto, una volta. Si era offerto per essere il suo sostegno, per essere la sua forza. Per questo lo aveva allontanato. Aveva dovuto deluderlo, ferirlo, perché capisse che non c'erano speranze per lui. L'unica cosa che voleva Barney era che il suo fratellino andasse avanti con la sua vita, anche a costo di perderlo.
Ma nonostante tutto questo, ora Barney non ce la faceva più.
Era stanco di opporsi, era stanco di scappare.
 
Era stanco della solitudine.
 
Sospirò rumorosamente, frustrato da tutti quei pensieri. Era a causa di questi se non era quasi mai lucido. Quando era ubriaco o strafatto non pensava alla sua vita di merda.
 
Diciamo che non pensava e basta.
 
Ma ora non poteva lasciarsi andare al dolce richiamo dell'alcol.
Aveva solo una pista e non poteva buttarla nel cesso.
Stanco ancor prima di partire, Barney si alzò e, zaino in spalla, si diresse verso un'edicola per recuperare qualcosa da leggere durante volo, quando si scontrò con qualcuno.
 
“Ehi! Guarda dove vai, idiota!” Berciò indispettito dal tipo che gli era finito addosso.
La gente era propria scema. Tutti fissi a guardare quei cazzo di telefoni senza più accorger-
 
Barney...?”
 
Al suono di quella voce l'uomo sgranò gli occhi.
 
Non poteva essere...
 
Clint?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
| ANGOLO DELL’ AUTORE |
Eccoci qua! Ben ritrovati! 😄
Vi porto un capitolo fresco fresco come segno di buona volontà, visti i mesi di silenzio in cui vi ho lasciato 😌
Come potete vedere inizia l'azione: Bucky si comporta in modo strano, Barney è fortemente combattuto con se stesso riguardo ciò che vuole e Jules si sta mettendo in guai molto seri...
Ma non vi dirò nulla di più per ora! 😆
Non lasciatemi troppo sulle spine, se avete ipotesi su cosa accadrà o dei suggerimenti fatevi vivi 😉
Per ora vi saluto, al prossimo aggiornamento! 😘
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** KISS ME ***


KISS ME
 
 
 
 
Your heart's against my chest
 
Lips pressed to my neck
 
I've fallen for your eyes
 
But they don't know me yet
 
ED SHEERAN
 
 
 
 
Barney...?”
 
Al suono di quella voce l'uomo sgranò gli occhi.
 
Non poteva essere...
 
Clint?”
 
 
 
 
Barney non poteva crederci. Aveva evitato di incontrare il suo fratellino durante tutti quei mesi nei quali lo studio era stato letteralmente invaso dai Vendicatori e dallo S.H.I.E.L.D., ed ora se lo ritrovava davanti in uno dei più grandi aeroporti del paese.
 
La solita cazzo di fortuna, Barney...
 
I due si guardavano sulla difensiva, quasi increduli di trovarsi in quella imbarazzante situazione, senza sapere cosa dirsi. O se dirsi qualcosa.
 
"Non dovresti essere insieme a Psyco? Avevo capito che i Vendicatori erano i suoi nuovi babysitter...”
 
Come ripresosi da uno stato di trans, Clint si riscosse improvvisamente.
 
“Dovevo tornare a-“
 
Occhio di falco si fermò un momento, spostando il peso da un piede all'altro in cerca delle parole giuste da usare. L'ultima cosa che desiderava era litigare con Barney in mezzo ad una folla di curiosi.
 
Tipico dei Barton dare spettacolo.
 
“Dovevo tornare a casa...”
 
Sì, casa. Casa suonava meglio di famiglia.
 
Sai fratellone, stavo tornando dalla mia famiglia, quella di cui tu non fai parte.
 
Sì. Casa suonava decisamente meglio.
 
Barney assottigliò gli occhi puntandoli in quelli incerti di Clint, sul viso un'espressione truce.
Sapeva che Clint aveva una famiglia. Ogni tanto gli mandava delle foto o dei disegni dei bambini. Gli arrivavano durante le festività o poco dopo i compleanni, con delle piccole note sul retro delle cartoline con su scritto i nomi dei ragazzi, la loro età, i risultati delle pagelle o qualche buffo aneddoto che avrebbe fatto sbuffare divertito un qualsiasi altro zio.
Ma lui non era uno zio. Lui non sbuffava divertito da quelle storielle, lui non incorniciava le foto, non appendeva al frigo i disegni stropicciati e colorati dei nipoti. No. Lui non era uno zio. Lui era Barney e nascondeva tutto ciò che gli ricordava Clint in una scatola infondo all'armadio e rispondeva agli auguri di buon compleanno solo per evitare che suo fratello piombasse a casa sua per verificare se fosse ancora vivo.
 
Lui era Barney e pensava solo a se stesso.
 
Clint distolse lo sguardo da quello di Barney come se ne fosse scottato. Sapeva cosa stava succedendo. Sapeva cosa le sue parole avevano scatenato dentro Barney. E si malediva per questo. Lui non avrebbe mai voluto far del male a suo fratello, eppure ogni volta che ci parlava gli sembrava di pugnalarlo a morte. Era una situazione estenuante. Quando erano solo dei bambini, Clint credeva che un giorno sarebbe andato tutto per il verso giusto. Era convinto che i pianti sommessi della madre sarebbero diventati un ricordo lontano e che le urla violente del padre avrebbero perso importanza, svanendo nel corso degli anni sino a finire nel dimenticatoio. Il piccolo Clint si era convinto che un giorno sarebbero stati abbastanza forti da lasciarsi il passato alle spalle e vivere felici e contenti. Ma la vita non è una fiaba. Nella realtà gli indifesi o periscono o prendono il posto dei loro mostri. E il piccolo Clint lo avrebbe scoperto presto. Si ricordava ancora la sera dell'incidente: ricordava la tremenda puzza di alcol nell'auto, sua madre che con voce flebile chiedeva ad Harold di rallentare. Ricordava anche il respiro trattenuto quando la macchina sbandò improvvisamente e si capovolse con un forte stridio che perforava i timpani. Si ricordava nitidamente le mani di Barney che gli prendevano la testa e se la stringeva al petto, in un disperato tentativo di proteggerlo.
 
Clint si ricordava orribilmente del rivolo di sangue scuro e grumoso che colava dalla tempia di Edith –di sua madre- e del suo capo riverso in una posa del tutto innaturale...
 
Quello che accadde dopo fu confuso e caotico: le sirene dell’ambulanza, i soccorritori che li estraevano dal quell’ammasso di rottami, gli assistenti sociali che li portavano via dall'ospedale mentre gli spiegavano quando sarebbero avvenuti i funerali dei genitori.
Era stato tutto un enorme caos. Ma andava bene lo stesso, perché era con Barney e Barney non lo avrebbe mai lasciato.
Il piccolo Clint era convinto di questo.
Eppure, a distanza di anni, eccoli lì i fratelli Barton. Due estranei in un aeroporto qualsiasi in un giorno qualunque.
 
Il piccolo Clint sapeva che suo fratello non lo avrebbe mai lasciato. Ed ora il Clint adulto si domandava chi davvero tra i due avesse fatto il primo passo per prendere le distanza dall'alto.
 
Stava per chiederglielo Clint. Stava per chiedere a quell'uomo chi fosse venuto meno alla loro promessa, chi avesse reciso il loro legame. Ma Barney lo precedette prima che potesse dire qualcosa di irreparabile.
 
“E perché dovevi?”
 
Ancora scombussolato Clint ci mise qualche istante di troppo prima di rispondere. Sapeva che avrebbe dovuto muoversi, che la squadra lo stava aspettando per cercare Barnes. Ma Barney era lì davanti a lui, in carne ed ossa, e gli stava parlando. E Clint avrebbe tanto voluto fermare il tempo e tornare ad essere di nuovo solo Clint e Barney per un momento.
 
"Problemi sul lavoro."
 
Barney rimase un attimo di sasso. Problemi sul lavoro significava problemi con Barnes. E problemi con Barnes poteva significare problemi per Jules.
 
“Che ha combinato il Soldato? Problemi allo studio legale?”
 
Clint, completamente esterrefatto, non fece in tempo a chiedere come facesse a sapere tutte quelle cose che il telefono cominciò a squillare ininterrottamente a ritmo di Welcome to the jungle. Rogers stava avendo un’altra crisi isterica probabilmente.
 
“Pronto Cap, sto arriv- Stark? Che cazzo ci fai con il cellulare di Rogers? E chi cazzo sta urlando?!”
 
Barney guardava sempre più confuso il fratello ad ogni nuova domanda.
Che cazzo stava succedendo?
 
“Leighton chi? Cazzo! Perché ti sei portato dietro la ragaz- Critso, sì! Arrivo.”
 
Clint mise giù la chiamata stizzito. Possibile che non potesse assentarsi meno di quarantotto ore che succedeva un casino?
Doveva muovere il culo ed anche subit-
 
“Muoviti, ho l’auto parcheggiata qua vicino.”
 
“Non è una buona idea Barney… è una situazione delicata ed io-“
 
Occhio di falco non riuscì a terminare la frase che Barney lo agguantò per il bavero della camicia, portandoselo a pochi centimetri dal viso.
 
“Devo assicurarmi che Jules stia bene, quindi basta cazzate e non stare a perdere tempo come un cretino!”
 
Clint si ritrovò così a sistemarsi le pieghe del colletto mentre seguiva velocemente Barney verso l’uscita dell’aereoporto, sapendo già che quella situazione non avrebbe portato a niente di buono.
 
 
 
 
 
-
 
 
 
 
 
Glielo diceva sempre suo padre.
 
Nella vita si raccoglie sempre quel che si semina, tesoro. Non puoi pretendere il lieto fine se provochi la tempesta.
 
Ed eccola lì, capelli arruffati e borsetta stretta tra le mani, mentre alternava lo sguardo da Captain America ad Ironman nel bel mezzo del nulla.
C’era solo un piccolo appunto che avrebbe dovuto fare a suo padre, qualora fosse uscita viva da quella situazione: una volta scatenata, la tempesta travolgeva anche chi non la aveva causata, incurante dei meriti e delle colpe.
Ed eccola perciò a chilometri di distanza da New York, alla ricerca di un cliente –amico- nel pieno di un esaurimento nervoso ed un gruppo di eroi con un diavolo per capello.
 
Altro che tempesta. Per i suoi standard quella era già l’apocalisse.
 
“Dove diavolo sono gli agenti di Coulson? Non avevi detto che avevano tutto sotto controllo?”
 
“Stanno controllando il perimetro, e fino a qualche ora fa era tutto a posto.”
 
“Ah! A posto! Talmente tanto a posto che adesso siamo a fare una bella scampagna nella natura. Ehi, Romanoff! Hai portato il cestino da pic-nic? Sai, Rogers aveva voglia di una bella gita di gruppo!” se ne uscì Stark, agitando platealmente il cellulare che aveva ancora tra le mani.
 
Natasha Romanoff sospirò pesantemente, insofferente a qualsivoglia lamentela. Erano in quella situazione di merda da ore oramai, e quei due non facevano altro che scannarsi come iene. L’insofferenza si sarebbe presto trasformata in furia omocida, senza dubbio.
 
Frastornata da tutte quelle urla, Jules si allontanò di qualche passo, superando alcuni alberi e fermandosi in una piccola radura. Tutto quello che le stava accadendo era inverosimile. Quando si era auto invitata a quella missione di recupero non aveva valutato le consequenze delle sue azioni. Cosa pensava di fare? Lei non era un eroe, né un’agente addestrato o una persona avvezza a gestire certe emergenze. Non era quello il suo ambiente. Rischiava di essere più di peso che di aiuto e questo pensiero non faceva che agitarla ulteriolmente. Goffamente appoggiò la schiena al tronco di un albero, lasciandosi scivolare a terra con gli occhi chiusi. Inspirò ed espirò più volte, immaginando di trovarsi da tutt’altra parte. Ci volle qualche minuto, ma poi ci riuscì. Sentì nelle narici l’odore del lucido per legno, nelle orecchie il martello che picchiava deciso richiamando all’ordine, nella testa era vivida la scritta alle spalle di un giudice senza volto. In God We Trust. Si figurava il posto nel quale si sentiva più a suo agio, nel quale poteva muoversi con maestria tra un’obbiezione e l’altra e finalmente il cuore tornò a battere ad un ritmo più umano, senza più la minaccia che potesse uscirgli all’improvviso dal petto.
Quello non era decisamente il suo posto, e per un attimo si chiese se anche James si fosse sentito così.
 
Fuori luogo.
 
Insicuro ad ogni passo.
 
Incerto ad ogni parola.
 
Era una sensazione soffocante, che ti costringeva a trovare un’uscita d’emergenza da quel vicolo cieco. E James l’aveva trovata, buttandosi da una finestra ed allontanandosi dalla fonte della sua ansia.
 
Ma a quale prezzo?
 
In quel momento si trovava da solo, senza una meta, lontano dalle persone che gli volevano bene e che volevano proteggerlo.
Non era nemmeno certa che avesse un pensiero a cui aggrapparsi per trovare sollievo, come aveva appena fatto lei.
Era un uomo confuso, James. Si sentiva fuori posto, ma non poteva fare niente per rimediare perché la realtà era che un posto giusto non lo aveva. Jules si domandò allora come avrebbe potuto aiutarlo se non ci erano riuscite nemmeno le persone più vicine al suo mondo. Quel maledetto vicolo cieco, visto da quel punto di vista, sembra davvero senza nessuna via d’uscita.
 
Ancora agitata Jules si rimise in piedi, scrollandosi via di dosso il terriccio che le era rimasto attaccato al cappotto. Si stava voltando verso la direzione dalla quale era giunta, quando un leggero bagliore colse la sua attenzione. Si voltò per capire quale fosse l’origine di quel lampo non aspettandosi di certo una tale svolta.
 
James Barnes era lì, a pochi metri da lei.
 
I tenui raggi del sole colpivano timidamente la protesi meccanica, riflettendosi ed infrangendosi in giochi di luce abbaglianti. Rimase immobile, il fiato mozzato sotto il peso di quegli occhi freddi e penetranti. Mai Serge la aveva guardata in quel modo, mai. Si trattava di uno sguardo vuoto ed incolore, privo di qualsiasi emozione. Era uno sguardo difficile da sopportare, quasi inaccettabile dopo aver saggiato sulla propria pelle di quante incredibili sfumature potevano tingersi gli occhi di quell’uomo.
Eppure, per quanto quello che aveva di fronte potesse sembrare Serge, per Jules fu difficile crederlo.
Come ipnotizzata, la giovane si avvicinò con innaturale calma alla figura che si stagliava di fronte a lei, cercando di capire passo dopo passo se si trattasse davvero di Barnes oppure se fosse un brutto scherzo della sua immaginazione.
 
Serge se ne stava lì a fissarla in religioso silenzio, senza alcuna apparente preoccupazione, mentre un’intera squadra di agenti addestrati lo stava cercando senza sosta.
 
L’espressione di James si fece più attenta, vigile nel tentativo di prevedere la prossima mossa della ragazza.
Sapeva chi era. Sapeva di provare un tenero sentimento nei suoi confronti. Ma in quel momento gli sembrava tutto troppo lontanto, come se non fosse più il padrone delle proprie emozioni o del proprio corpo e si trovasse ad assistere alla scena come uno spettatore inerme.
 
Cosa sarebbe accaduto alla dolce fanciulla? Chi aveva appena trovato nel bel mezzo del bosco? Un cavaliere dalla scintillante armatura, oppure un affamato lupo cattivo pronto a mangiarsela?
 
Serge sapeva che la fine di quella storia la avrebbe scritta lui, ma il problema è che non aveva idea di come farlo.
 
“Non- non dovresti essere qua…” ruppe il silenzio.
 
Quelle parole gli costarono molto. Erano ore che non apriva bocca, eppure gli sembrava di non parlare da una vita intera. La voce roca era talmente bassa che si stupì sentendola rispondere alla sua domanda.
 
“Nemmeno tu.”
 
Erano ormai a poco meno di mezzo metro l’una dall’altro, gli occhi fissi e in attesa di qualcosa che non sapevano nemmeno loro.
Jules alzò piano una mano, ragiungedo il viso di James. Con la punta delle dita gli sfiorò una guancia, partendo dalla tempia e percorrendo la madibola serrata. L’altra mano, una volta liberatasi dal peso della borsa, si aprì sul suo petto, all’altezza del cuore. Poteva sentirlo chiaramente infrangersi contro il suo palmo ad un ritmo incalzante, quasi all’inseguimento del suo.
Era una situazione davvero strana, per entrambi. James non aveva idea di come comportarsi. Si aspettava di trovare Steve, o un qualsiasi altro suo compagno pronto a ricondurlo alla base. Di certo non si sarebbe mai immaginato di trovarsi di fronte a Jules. Ed invece la aveva trovata seduta contro un albero, con un’espressione smarrita e l’aria di una persona che avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte. Era rimasto ad osservarla, senza emettere un fiato per non spaventarla. I suoi occhi si erano soffermati sui suoi abiti, poco adatti ad una passeggiata nel bosco. E poi aveva alzato lo sguardo sul suo viso ed aveva notato la piega di preoccupazione che le incurvava le spracciglia.
 
Aveva causato lui tutta quella preoccupazione?
 
La colpa si impossessò di lui: si era comportato male nei confronti di Coulson e dei suoi agenti, gli unici che si erano offerti di aiutarli in quel terno al lotto che loro si ostinavano a chiamare missione; aveva ferito Steve, accusandolo di colpe che non aveva; ed ora scopriva che aveva fatto preoccupare anche Jules, l’unica persona che lo aveva trattato come un essere umano e non come una bomba pronta ad esplodere al primo passo falso. Si era fatto trascinare dalla cofusione che aveva in testa, senza tenere conto di tutte le persone che lo circondavano e che stavano facendo di tutto per aiutarlo a voltare pagina, a ricominciare.
Eppure non si erano arresi. Al suo ennesimo cenno di cedimento si erano rimboccati le maniche e lo avevano seguito in quella folle corsa verso il nulla, pronti ancora una volta a raccoglirne i pezzi. Anche Jules era venuta a cercarlo, nonostante non fosse compito suo farlo.
 
Era lì, per lui.
 
Perso nei suoi pensieri James non si rese subito conto di quanto effettivamente fossero vicini. La mano della ragazza ora stringeva la sua maglia all’altezza del petto, come a impedirgli di fuggire da lei.
 
Se solo avesse saputo che l’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era allontanarsi da lei!
 
Cinse la vita di Jules con l’arto sano, per poi raggiungere con l’altra mano quella della ragazza ancora poggiata sul suo viso. La spostò delicatamente, premendosela sulle labbra screpolate e depositandole un bacio umido sul palmo, le palpebre abbassate per godersi meglio quel contatto. Le gote di Jules si imporporarono, imbarazzata da un gesto così intimo.
Quando James tornò a guardarla, perse un battito. L’uomo freddo e distante di pochi attimi prima se ne era andato, lasciando spazio al suo Serge. Le schegge di ghiaccio che la avevano trafitta al loro primo scambio di sguardi si erano sciolte, liberando un oceano in tempesta talmente profondo e travolgente da farle tremare le gambe, mentre la mano del soldato abbandonava la sua per andarle a sistemare una ciocca di capelli dietro un orecchio, indugiando più del dovuto sulla sua guancia. Erano chiusi nel loro mondo, lontani da tutto ciò che accadeva loro intorno ed incuranti del motivo che li aveva fatti giungere a quel punto. Si guardavano, Jules e James, occhi negli occhi non sapendo se osare di più oppure se rimanere così, immobili, per non rompere quell’attimo di pace. Fu lui a prendere l’iniziativa. Erano anni che non avvertiva più simili sensazioni, quel calore dentro che si irradiava in tutto il corpo facendolo sentire vivo. Voleva assaggiare le sue labbra, accarezzarle con gentilezza. Voleva sentire il suo sapore, lo voleva da tempo ormai e non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione proprio adesso. Si chinò su di lei circondandole il viso con le mani e le catturò le labbra con le sue. Jules trattenne il respiro completamente scombussolata da quel bacio. Anche a lei era passato per la mente di provarci, di alzarsi sulle punte dei piedi e di accorciare definitivamente la distanza che li separava. Il suo corpo fremeva a contatto con quello di James, sentiva il desiderio crescerle dentro con irruenza, come se avesse abbattuto con irruenza il muro che aveva eretto tra loro per non complicare ulteriormente le cose. Ma il pensiero di Barney la bloccava. Avrebbe voluto rispondere a quel bacio, lasciarsi andare ed affondare le dita tra i capelli di Serge senza preoccuparsi di niente e nessuno. Ma c’era Barney.
 
C’era Barney e quella tacita promessa di ritrovarsi un volta finito quel lavoro fuori città.
 
C’era Barney, ed anche se non stavano insieme, anche se non erano amanti, a Jules sembrò di fargli un torto enorme in quel momento.
Contro voglia si scostò leggermente, incerta nei movimenti. Non voleva ferire James, non se lo meritava. Stava semplicemente rispondendo ai segnali che gli aveva lanciato lei, stava appagando il desiderio che provavano l’uno per l’altra e che fino a quel momento era stato trattenuto. Ma non poteva fare diversamente. Provava dei sentimenti per due uomini diversi, e non voleva tradire la fiducia di nessuno dei due.
 
Peccato che fosse troppo tardi.
 
“Bene, bene, bene… ed io che pensavo di dover fare la parte del Principe Azzurro che salva la Principessa in pericolo!”
 
“Oppure di Mario Bros che va a salvare la Principessa Peach.”
 
“Ottima citazione, bimbo-ragno!”
 
Decisamente troppo tardi.
 
Jules e James si girarono improvvisamente, colti alla sprovvista da quell’inaspettato scambio di battute. Barney, Occhio di Falco e Spiderman erano lì di fronte a loro, ed uno dei tre sembrava decisamente contrariato da quella situazione.
 
“B-barney! Cosa ci fai qua?”
 
Jules non poteva credere ai suoi occhi. Barney li stava fissando con un’espressione contrita, i pugni serrati lungo i fianchi ed una maschera di rabbia a deturpargli il volto. Si era preoccupato. Aveva pensato che la sua bimba fosse nei guai, che avesse bisogno del suo aiuto e così si era fiondato come un pazzo per le strade della città per raggiungerla il prima possibile. Ed una volta raggiunta cosa trova? La sua bimba tra le braccia di quel fottutissimo pezzo di merda.
 
Cosa cazzo stava succedendo?
 
“Quale sarebbe il problema? Ho rovinato il momento con il tuo bel soldato?”
 
Era incazzato, Barney. Lo era sul serio. Era sempre stato un piantagrane, ma Clint aveva visto pochissime volte suo fratello così su di giri. Non aveva idea di cosa lo legasse a quella ragazza, ma di qualunque cosa si trattasse l’aveva fatta grossa. Davvero grossa. Se avesse anche solo immaginato una situazione del genere non avrebbe mai accettato di portarlo con sé. Ci mancava solo una scazzottata tra lui e Barnes, il quale lo scrutava con sguardo indecifrabile.
 
“Non è come sembra… stavamo cercando James e-“
 
“Non sono cose che ti riguardano.”
 
La voce di Barnes interruppe Jules. Suonò ferma e decisa, senza far trasparire nessun tipo di emozione. Si allontanò di qualche passo da lei, voltandosi verso i nuovi arrivati per riuscire a fronteggiare meglio il suo interlocutore. I due uomini si squadrarono senza proferire parola, mettendo in allarme sia Clint che Peter, i quali si scambiarono un’occhiata d’intesa. Jules, nel mezzo ai due, volgeva lo sguardo dall’uno all’altro, indecisa sul da farsi. Parlare con Barney in quel momento non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione: era troppo arrabbiato e non avrebbe prestato ascolto a ciò che aveva da dirgli. Nemmeno iniziare quel discorso con Serge sarebbe servito a molto. La verità era che non sapeva come comportarsi. Non era impegnata con nessuno dei due e non aveva idea di come affrontare quella conversazione. Fortunatamente a toglierla da quell’impiccio ci pensò l’uomo ragno.
 
“Forse è il caso di raggiungere gli altri… stanno ancora cercando il Sergente e saranno preoccupati…”
 
“Sì, sarà il caso…” aggiunse la donna sfiorando appena il braccio di James per incitarlo a seguirla, sotto lo sguardo contrariato di Barney.
 
Il gruppetto si incamminò verso il punto di ritrovo senza aprire bocca. La tensione era palpabile e nessuno sembrava intenzionato a rompere quel precario equilibrio composto da occhiate fugaci e parole non dette.
 
Un solo pensiero accomunava le loro menti. Speriamo che questa giornata finisca il prima possibile.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
| ANGOLO DELL’AUTORE |
Salve a tutti! Mi scuso per la mia assenza prolungata, scrivere questo capitolo è stato davvero frustrante: ero completamente bloccata ed a essere sincera non sono ancora totalmente soddisfatta. In ogni caso ho deciso di pubblicare ugualmente, in quanto credo di dover superare questo scoglio per poter proseguire con calma.
D’ora in avanti cercherò di pubblicare con più costanza, in modo da non farmi odiare troppo da chi segue la storia!
Vorrei ringraziarvi tutti e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, così da aiutarmi a migliorare e/o a rincuorarmi.
Al prossimo capitolo!

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