ACAB: fixed-term contract

di Machaira
(/viewuser.php?uid=1001313)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Premessa: prima di lasciarvi al capitolo vero e proprio sono costretta a fare un appunto. Durante la vita di tutti i giorni parlo spesso per citazioni (ormai penso stia diventando patologico), quindi ho voluto inserire questo particolare anche nella storia: nel corso dei capitoli vi imbatterete in frasi tratte da film, serie tv, canzoni ecc. Ovviamente saranno debitamente segnalate e le ritroverete tutte alla fine del capitolo, nell'angolo dell'autrice. Nel caso me ne scappasse qualcuna scrivetemi pure e la aggiungerò subito! Detto questo, buona lettura!
 
 

  
A panda e ramo.



Capitolo 1
  
 
Non appena entrò nel bar, il profumo dolciastro dell’alcool e quello rustico del legno gli inebriarono le narici. Gli piaceva quel posto; con le grandi vetrate che davano sulla strada, i tavoli in legno e le sedie di paglia. A chiunque sarebbe sembrato di entrare in una locanda del vecchio west visto l’arredamento, non fosse che il tutto era reso più moderno dai piccoli lampadari che pendevano dal soffitto e illuminavano la stanza con la loro luce calda.
 
Dopo essersi richiuso la porta a vetri alle spalle, si diresse come al solito verso il bancone, ricambiando il saluto di qualcuno che conosceva. Posò il giubbotto di pelle sullo sgabello accanto a sé e si sedette. Da lì aveva la visuale completa dell'intera sala.
 
Nell'angolo vicino alla vetrina c'erano i soliti quattro scommettitori che, carte alla mano e bicchiere di rosso affianco, erano pronti a tentare la sorte. Qualche passo più in là una bella donna era piegata su un tavolo da biliardo, con la stecca tra le dita sottili e delicate. Si rialzò solo dopo che la palla andò in buca, con un sorrisino provocante tutto dedicato all'uomo di fronte a lei. La porta del bagno, alla sinistra dell'entrata, si apriva più o meno regolarmente per accogliere una coppietta in cerca di un po' di privacy o per dare rifugio all'ubriaco di turno. Vicino all'altra vetrata erano stati uniti quattro o cinque tavolini in modo da poter ospitare tutti e dieci gli uomini che si ritrovavano ogni martedì sera, puntali come un orologio svizzero per discutere dei loro... affari. 
 
E Rick si trovava lì proprio per loro. Era stato sotto copertura per sei mesi in modo da controllarli, per sapere i loro movimenti, quando e dove si incontravano. In generale cercava sempre di aguzzare sguardo e udito per carpire qualche informazione extra e dopo tanto, troppo tempo e molte serate passate in quel bar, finalmente quello era il giorno in cui tutto si sarebbe concluso. 
 
“Ehi Terry! Come andiamo stasera? Che ti porto? Birra chiara, scura, rossa. Oppure un bicchiere di vino!Abbiamo la cantina migliore della zona, lo sai. O un drink! Gin tonic, scotch, rum-” 
 
“Una birra. Chiara.” gli disse Rick sorridendo. Conosceva il barista da molto tempo prima che iniziasse a lavorare in quel bar. Jesus, così si chiamava, era un ragazzo da poco entrato nella polizia ma la sua giovane età non lo aveva mai fermato. Era sempre stato il primo della classe, uscito con il massimo dei voti dall'Accademia e lodato da tutti quelli che lo conoscevano. Infatti, nonostante lavorassero insieme da poco più di due anni, poteva affermare che le voci su di lui erano vere; più volte si era dimostrato un elemento prezioso per la squadra. In realtà il suo vero nome era Paul, ma la barba e i capelli lunghi - esageratamente lunghi per un poliziotto, come il capo teneva sempre a sottolineare - ricordavano l'aspetto del Messia e gli erano valsi il soprannome di 'Jesus'. Non che si offendesse, anzi era proprio lui ad insistere che gli amici lo chiamassero così. 
 
Invece Rick odiava che lo chiamassero con un nome diverso dal suo, e doveva ancora scovare il disgraziato che aveva scelto il nome di copertura per quella missione. Terry.
 
“Ecco qui! Che faccia che hai stasera Terry. Qualcosa non va?” chiese con il solito sorriso gentile che riservava ai clienti. Ma, sotto sotto, Rick poteva riconoscere quella luce che gli illuminava gli occhi quando lo prendeva per il culo.
 
Lo fulminò con lo sguardo ma cercò di rispondere più normalmente possibile. “Solito.” disse infine alzando le spalle.
 
Jesus finse uno sbuffo e andò a servire il tavolo dei giocatori di carte per l'ennesima volta. Quando tornò, il vassoio che reggeva tra le mani era colmo di bicchieri sporchi che mise subito a lavare. Stava asciugando un boccale quando il tintinnio della campanella sulla porta li avvertì dell'arrivo di un nuovo cliente. Rick rimase fermo, con la sua birra media tra le mani, mentre Jesus sollevò lo sguardo e dopo un momento sul suo volto si aprì un grande sorriso.
 
“Ehi Daryl!” esclamò alzando la mano che teneva il canovaccio.
 
Rick sentì dei passi lenti e pesanti incedere sul pavimento di parquet, finché con la coda dell'occhio vide la sagoma scura di un uomo alto e spallato sedersi accanto al suo giubbotto.
 
“Jesus.” lo sentì mormorare mo di saluto al barista, con un cenno del capo.
 
“Come va? Come mai qui da solo?” chiese l'altro con la solita allegria che lo contraddistingueva.
 
L'uomo, quel Daryl, alzò gli occhi verso di lui e dopo una breve pausa disse “E i cazzi tuoi, Rovia?”
 
“Uhh... sempre il solito caratterino...” borbottò come se non volesse farsi sentire, ma ridendo sotto i baffi.
 
“Non rompere i coglioni e dammi un whiskey.” ribatté l'altro ignorandolo totalmente.
 
“"Dammi un whiskey", e l'educazione? Non sai come si dice?” disse Jesus.
 
“Certo!” esclamò con un sorriso chiaramente finto “Dammi un whiskey.” concluse serio.
 
“Stronzo.” berciò seccato il barista, mettendogli di fronte il suo bicchiere pieno di liquido ambrato.
 
“Il cliente ha sempre ragione.” ghignò soddisfatto Daryl alzando il calice in direzione dell'altro per poi trangugiare in un sorso il contenuto. “Un altro.” disse sbattendo il bicchiere sul bancone.
 
“Ma si può sapere che avete tutti quanti, oggi?” chiese Jesus allargando leggermente le braccia come per includere anche il poliziotto nel suo discorso.
 
Rick, che aveva assistito in silenzio al teatrino tra i due, si trovò gli occhi azzurri e affilati di Daryl addosso. Rimase lì a guardarlo per un po'. Non lo aveva mai visto prima, ma non sembrava passarsela bene. Chissà quali erano le sue preoccupazioni. Lui ne aveva abbondantemente a sua volta, ma quegli occhi lo guardavano intensamente, come se stessero cercando di scrutarlo nel profondo. Forse era solo una sensazione e poi, come si suol dire, can che abbaia non morde. O così sperava. Perciò fece l'unica cosa che gli venne in mente; tese una mano verso di lui e si presentò. “Piacere, Terry.”
 
Daryl arretrò impercettibilmente, come se quella mano fosse un petardo pronto ad esplodere. Rick ebbe la sensazione di avere a che fare con un gatto randagio, uno di quelli che per far avvicinare devi stare calmo, non fare gesti bruschi e dargli tempo di abituarsi a te. L'altro, ancora con le sopracciglia aggrottate, arricciò il naso e disse: “Non stringo la mano agli sbirri.”
 
Rick per un momento si allarmò e ritrasse di poco la mano. Si costrinse a non guardarsi intorno o sarebbe valso come un'ammissione di colpa . Era una fortuna che nel locale ci fosse sempre un gran chiasso e poi soprattutto che al capo di Jesus piacesse tenere sempre un po' di buona musica in sottofondo. Nessuno aveva sentito niente, anche perché era abbastanza sicuro che se non fosse stato così, a quel punto, nel pub avrebbe regnato tutt'altra atmosfera. Per spezzare lo stato di shock in cui era caduto, esplose una risata che, grazie a Dio, non era sembrata forzata e chiese con il sorriso ancora sulle labbra: “Cosa mi fa sembrare uno sbirro?”
 
L'altro sollevò le spalle e con gli occhi ancora puntati addosso a Rick, rispose: “Sento la puzza.”
 
Lo salvò Jesus che intervenne provvidenzialmente: “In effetti Terry, una doccia ti servirebbe proprio; si può sapere dove sei stato oggi? E comunque, dato che sei uno sbirro, mi sento in obbligo di ricordarti quelle quattro o cinque bevute arretrate che mi devi.” sorrise strizzandogli l'occhio. “A proposito, il capo è di là e ha bisogno.”
 
Rick si alzò dallo sgabello come un pupazzo a molla, prese il giubbotto e lasciò lì Daryl che ancora lo osservava con sguardo indagatore. Sapeva di essere un libro aperto, odiava questa cosa di sé, ma sperava di essere ancora capace di riuscire a portare a termine una missione sotto copertura senza farsi beccare come un bambino con le mani nella marmellata. Forse stava invecchiando. Quando si ritrovò nel piccolo disimpegno, imboccò la prima porta a sinistra e pochi istanti dopo sentì Jesus richiudersela alle spalle. A quel punto si voltò di scatto e gli si avvicinò, finché a separarli non furono che pochi centimetri. “Chiamami ancora Terry e il nome-”
 
“...non sarà l'unica cosa che avrai in comune con Gesù Cristo.” recitò a memoria. “Quante volte lo avrai già detto?”
 
“Circa una al giorno, da quando ti conosco.” rispose allontanandosi e portandosi una mano a massaggiarsi il collo.
 
“E quante volte ha funzionato?” chiese sogghignando. Rick alzò lo sguardo offeso ma non disse nulla. “Mai, appunto. E non prendertela con me se Daryl ti ha scoperto in meno di due secondi.”
 
“A proposito, chi è? Come ci è riuscito?” domandò ancora troppo sconvolto che un estraneo lo avesse smascherato in un battito di ciglia.
 
“Daryl riuscirebbe a riconoscere un poliziotto anche ad occhi chiusi. Lui e suo fratello hanno avuto una vita piuttosto difficile. A quanto ne so sono sempre stati loro due. Furti, risse, guida in stato di ebbrezza, arresto per possesso di droga. Fino ai vent'anni ne ha combinate di tutti i colori.”
 
Quindi non si era sbagliato, pensò Rick. Ecco cosa nascondevano quegli occhi.
 
“Poi un giorno suo fratello Merle è stato arrestato per qualcosa di grosso.” riprese Jesus “E da quel momento Daryl è cambiato. Ha lasciato perdere l'alcool, la droga, ogni cosa. Ora lavora per una ditta di consegne. Le uniche volte che lo vedo è quando Merle è troppo sbronzo per tornare a casa da solo, e passa a prenderlo.”
 
Rick annuì. “Anche se mi ha scoperto...” disse riluttante “Ti puoi fidare? O manderà a monte l'operazione?”
 
“No, hai sentito che tipo è. Tranquillo, probabilmente tra poco se ne andrà.” rispose rilassato.
 
“Va bene. Torniamo di là, non diamo nell'occhio proprio stasera.”
 
Con quella battuta chiuse la conversazione e si affrettò a tornare in sala. Tutto era rimasto come prima. Gli scommettitori stavano ancora giocando, al tavolo da biliardo c'era già un'altra coppietta e dall'altra parte c'erano ancora i dieci uomini che discutevano dei loro affari. Mentre tornava al suo posto si accorse che Daryl non c'era più e tirò un sospiro di sollievo. Aveva la sensazione che se fosse rimasto lo avrebbe messo ancora di più in difficoltà. Si risedette al suo posto, appoggiando di nuovo il giubbotto accanto a sé. Osservò la sala con sguardo annoiato; se fosse esplosa una bomba lì dentro avrebbe potuto riarredarlo esattamente com'era. Lo conosceva a memoria a furia di passare lì quasi tutte le sere.
 
Bevve la sua birra lentamente e si intrattenne a parlare con Jesus nei rari momenti in cui stava fermo dietro il bancone, finché non sentì la porta tintinnare per l'ennesima volta e capì subito che il loro uomo era arrivato. Si iniziava.
 
“Sciao amisci!” disse Abraham barcollando sull'entrata “Alora. Sciete qui perrr la mia fesssta?” chiese con voce acuta e strascicata almeno tanto quanto i suoi passi. “Buonaserrra bellessa! Poi ti porto in un posssto spesciale” fece l'occhiolino a una delle ragazze vicino al tavolo degli scommettitori. Sembrava dirigersi verso il bancone quando all'improvviso cambiò rotta e puntò verso il tavolo più affollato.
 
“Sssalve scignori!” esclamò diretto proprio all'uomo a capotavola, il loro obiettivo. “Che cosa tiene lì?” disse ancora masticando le lettere tra loro. Nel frattempo, sulla sala era calato un silenzio innaturale; tutti sapevano cosa accadeva a quel tavolo e nessuno si avvicinava mai. “È il mio regalo di compleanno?” chiese sorridendo e allungando la mano verso quelle del capo.
 
Un uomo lo fermò mettendogli una mano sulla spalla. “Gira al largo amico.”
 
“Ma il scignore ha il mio regalo!” ribatté in modo lamentoso, e con un movimento rapido prese quella bustina di polvere bianca che l'uomo seduto stava tentando di nascondere.
 
“Hai rotto il cazzo, coglione.” l'uomo nerboruto portò il pugno all'indietro e caricò un destro che non andò mai a segno. Senza sapere bene come, si trovò steso a terra con la mascella dolorante e "l'ubriacone" che lo guardava dall'alto.
 
“Provaci di nuovo. Coglione.” disse Abraham avventandosi verso l'uomo affianco al boss e dando il via all'azione.
 
Rick e Jesus si diressero verso il tavolo, in soccorso del loro collega. In meno di mezzo minuto il  pub esplose in un turbinio di tavoli, pugni, calci, sedie, il tutto corollato da urla di spavento e di dolore. Rick si avventò sull'uomo che stava per prendere Abraham alle spalle. Questo gli diede una gomitata sul naso e sentì il sangue colargli sulle labbra, giù per il mento. Si abbassò leggermente, caricando un pugno diretto al suo stomaco e lo mise a tappeto.
 
Si girò per vedere se Jesus avesse tutto sotto controllo, ma prima ancora che potesse individuarlo in mezzo a quel marasma un altro bastardo lo centrò nel petto e lo fece volare all'indietro. Le spalle e la testa urtarono una parete, che si mosse lentamente sotto di lui. Una porta.
 
“Ma che cazzo...?” non ebbe il tempo di riconoscere la voce alle sue spalle; un braccio gli passò attorno alla vita, si sentì tirare indietro leggermente e la sua schiena si appoggiò a un torace ampio. Un braccio passò oltre la sua spalla e stese uno degli uomini di Bighi, che era tornato alla carica.
 
Ancora frastornato Rick si liberò della stretta e si rigettò nella mischia, menando calci e pugni a chiunque gli passasse a tiro. Con la coda dell'occhio intravide alle sue spalle la sagoma scura che da quando era uscita dal bagno non l'aveva mollato. Se la cavava bene, sembrava esserci abituato, ma chissà chi era. Si era appena ripreso dal disorientamento che lo aveva colto poco prima, quando tutto sembrò fermarsi e si sentirono in lontananza le sirene della polizia. Tutti si tesero e rimasero immobili ancora per un momento, poi il rumore esplose nel piccolo locale ancora più forte di prima. Finalmente i rinforzi stavano arrivando! Se l'erano presa con comodo!
 
Girando su se stesso notò che l'uomo alle sue spalle era in pericolo. Non sapeva chi fosse, ma lo stava aiutando, e combattendo con l'uomo di fronte a sé non si era accorto che un altro alle sue spalle si stava avvicinando lentamente. Senza pensarci due volte Rick gli fu addosso; se lo strinse al petto bloccandogli le braccia e lo tirò all'indietro, in modo da allontanarlo il più possibile. Non aveva tenuto conto, purtroppo, che anche l'altro avrebbe potuto fare una qualsiasi mossa e infatti l'uomo tra le sue braccia si gettò a terra con un colpo di reni.
 
Quando si trovò schiacciato a terra dall'uomo di minimo cento chili gli si mozzò il fiato, ma almeno era riuscito a metterlo fuori gioco con un colpo alla nuca. L'unico problema consisteva nel fatto che non riusciva a rialzarsi a causa del corpo abbandonato su di sé a peso morto. 
 
Dopo essersi liberato dell'ultimo uomo che gli era andato addosso, Daryl si diresse verso la porta. Sentiva le sirene della polizia sempre più vicine. Doveva andarsene di lì. Se l'avessero preso... non voleva nemmeno pensarci. Aveva già visto troppe volte il mondo da dietro le sbarre di una cella e non voleva più rogne nella sua vita. Arrivò sulla porta ma con la coda dell'occhio notò un uomo a terra che si divincolava. Osservando meglio si rese conto che era quello del bancone.
 
Ma di che cazzo si preoccupava esattamente? Quel tizio gli puzzava davvero, e non voleva mettersi nei casini. D'altra parte però lo aveva aiutato, nonostante non lo conoscesse. E in più non poteva essere sicuro che fosse davvero uno sbirro! Raramente si sbagliava, ma gli sembrava un tipo a posto. "Al diavolo!" pensò. Aveva già la mano sulla maniglia quando mise a tacere l'istinto che gli diceva di mettere quanti più metri tra lui e quel locale, tornò indietro, si piegò sulle ginocchia e levò di dosso dal tizio il corpo dell'uomo che lo stava schiacciando. Lo prese sotto le ascelle e lo rimise in piedi, poi senza pensarci gli afferrò il polso e lo trascinò fuori dal locale, per la strada fredda e buia.
 
Man mano che quella serata proseguiva Rick si sentiva sempre più stordito, forse stava davvero invecchiando. Ma complice l'aria fredda che gli sferzava la faccia e la corsa a cui era costretto, si riprese velocemente e riconobbe la sagoma misteriosa che lo tirava per il polso lungo la via. Dopo qualche secondo riuscì a orientarsi e senza preavviso spinse Daryl nella direzione opposta rispetto a quella in cui era diretto.
 
“Di qua! Ho l'auto!” gridò.
 
Daryl si sentiva il cuore in gola. Quella serata stava peggiorando sempre di più. Man mano che andava avanti si rivelava sempre di più una merda. Corse più veloce, col suono delle sirene nelle orecchie e il freddo che gli gelava le mani e il naso.
 
Erano in una viuzza oscurata, senza lampioni; nemmeno la luce della Luna rischiarava un po' il percorso, ma il poliziotto sembrava sapere esattamente dove andare. Si fermarono pochi secondi dopo quando raggiunsero una grossa jeep scura. Salirono entrambi velocemente, richiudendosi gli sportelli alle spalle. Rick mise in moto e come una scheggia si portò sulla strada principale.
 
“Metti la cintura.” disse a Daryl; quello si girò di scatto verso di lui con un sopracciglio alzato.
 
“Scherzi?” chiese con un cipiglio beffardo.
 
Per tutta risposta Rick prese velocità e Daryl fu costretto a tenersi alla maniglia della portiera per non sbattere la testa contro il cruscotto. “Stronzo.” mormorò sotto voce. L'abitacolo rimase nel silenzio per un paio di minuti, però poi Daryl si rese conto che qualcosa non andava.
 
“Ehi, coglione. Che ti prende? Le senti le sirene? Dove cazzo stiamo andando?!” domandò guardandosi alle spalle.
 
“Sai” disse l'altro come se non lo avesse nemmeno sentito, cercando di rimanere serio senza troppo successo “Hai un buon fiuto dopotutto.”
 
Daryl rimase spiazzato, ma di che cazzo parlava? Il colpo alla testa era stato più forte del previsto? “Come?”
 
Rick si voltò verso di lui con un sorriso divertito in viso. “Sono uno sbirro.”



 
Angolo autrice:
Eccoci arrivati a fine capitolo! Come avete visto, in questo non c'erano citazioni (...spero di non averne mancata nessuna), ma mi rifarò nei prossimi! Credo che aggiornerò una volta a settimana, probabilmente sempre di martedì. Fatemi sapere cosa ne pensate, ogni recensione mi sarà sicuramente d'aiuto :) Non so che altro dire, sono una frana in questi momenti "a tu per tu" con il lettore, ma apprezzate lo sforzo :P Allora a settimana prossima e spero che questo primo capitolo introduttivo vi sia piaciuto^^
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Erano quattro fottutissime ore che Daryl si trovava su quella maledettissima sedia, nell'ufficio di chissà chi, in quella centrale di polizia di merda. Lo sapeva! Il suo istinto non si sbagliava mai! Che cazzo gli era saltato in testa di non dar retta ai suoi stessi sospetti? Ormai, dopo trentadue anni, avrebbe dovuto conoscersi. E avrebbe dovuto sapere che non si sbagliava. Mai. Ubriaco o sobrio, tranquillo o agitato. Il suo istinto non falliva; se lo sentiva nella pancia quando qualcosa non andava. E per un momento di debolezza (l'unico in tanti anni) si era ritrovato con il culo incollato a una sedia pieghevole e lo sguardo fisso verso il muro bianco di fronte a sé.
 
L'avevano fatto "accomodare" in ufficio e gli avevano messo sotto il naso circa una ventina di foto segnaletiche. A quel punto gli avevano chiesto di riconoscere chi aveva visto quella sera. Il tutto si era svolto nel giro di una decina di minuti e poi lo avevano lasciato solo. Ogni tanto qualcuno passava a controllare che andasse tutto bene, chiedendogli se desiderasse qualcosa; doveva essere passata più di mezz'ora dall'ultima volta che gli avevano parlato. Stava meditando tra sé e sé che se non fosse arrivato nessuno nel giro di cinque minuti si sarebbe alzato e avrebbe levato le tende. Ma la porta si aprì giusto pochi istanti dopo.
 
“...prendi le impronte digitali e le coordinate da inserire nel database. Ah, e comincia a verbalizzare le varie confessioni. Dì ad Abe di andarci piano, soprattutto con il tipo che gli ha dato del coglione. Qui me ne occupo io.” dopodiché la porta si richiuse con un leggero colpetto.
 
A quanto pare quel “qui” era proprio la stanza dove si trovava Daryl. In che cazzo di casino si era cacciato. Quella sera non poteva restarsene a casa? Lo diceva sempre: quando una giornata è storta rimani in giro il meno possibile. Torna a casa, beviti una birra in lattina schifosa e dormi. Infondo, se non seguiva i suoi stessi consigli la colpa era solo sua.
 
“Allora, Daryl” cominciò l'uomo sedendosi di fronte a lui. “Vuoi qualcosa da bere?”
 
La cortesia e quel sorriso gentile non lo smossero nemmeno di un millimetro. “Prima di tutto mi piacerebbe proprio sapere come cazzo ti chiami. Perché mi ci gioco le palle che Terry non è il tuo vero nome.”
 
“Rick. Mi chiamo Rick Grimes.” disse guardandolo negli occhi senza apparente timore, come invece capitava alla maggior parte delle persone che incontrava. “Vuoi sapere altro?” domandò disponibile, rilassato contro lo schienale della poltrona.
 
“Sì! Che cazzo ci faccio qui? Mi hanno rinchiuso in questo sgabuzzino senza nessuna spiegazione. Si può sapere cosa volete da me?” sbottò. “Cosa vuoi da me?” chiese infine abbassando la voce tagliente.
 
“Ti ho portato qui perché ci serviva qualcuno che potesse garantire che quei signori e compagnia bella fossero davvero dove li abbiamo trovati questa sera.” ribatté tranquillamente Rick.
 
“E perché proprio io?! Ti sei innamorato, agente? Vuoi fare coppia fissa?” lo provocò. Era sempre stato così, la sua miglior arma di difesa era l'attacco. Lo era sempre stato, ma non si biasimava del tutto. Non dopo aver vissuto nell'ambiente in cui era stato costretto a crescere. Certo, il suo carattere non aiutava.
 
Rick rise divertito e scuotendo la testa rispose: “In mezzo a tutte quelle persone mi sei sembrato il più... indicato. E poi devo ricordarti che sei stato tu a trascinarmi per strada?”
 
Daryl scoppiò in una risata amara. “Non ricordarmelo, avrei dovuto lasciarti lì schiacciato da quel tizio. Ma non potevi chiedere a qualcun altro? Chiunque altro! Persino Jesus-”
 
Fu interrotto dalla porta che si riapriva. Rick sollevò la testa e accennò un sorriso, mentre Daryl si chiedeva sempre di più che cazzo avesse da sorridere continuamente quel damerino, e si voltò osservando a sua volta l'uomo sulla porta.
 
“Li abbiamo sistemati, sono di sotto. Abe sta finendo con gli interrogatori. Comunque qui c'è il fascicolo che mi avevi chiesto, tieni.” In pochi passi l'agente raggiunse la scrivania e porse una cartellina al collega, mentre l'altro lo guardava attonito. “Oh, ciao Daryl.” aggiunse gioviale questo.
 
“Rovia?” sussurrò mentre gli occhi si liberavano dello stupore e si riempivano di rabbia. “Che cazzo ci fai qui?”
 
“Ci lavoro!” rispose quello allegro come sempre. “E a quanto ho sentito ci vedremo più spesso, in un modo o nell'altro. Vi lascio, buona fortuna capo.”
 
Rick fece un cenno con il capo e disse: “Jesus manda a casa Abraham presto, ne ha prese anche abbastanza per stasera.”
 
La porta si richiuse senza che nessuno aggiungesse nient'altro. Il silenziò calò nella stanza, come se l'agente avesse portato via con sé la più piccola forma di rumore. Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
 
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
 
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
 
“Lo vedo. Perché lo hai preso?” chiese ancora all'erta.
 
Rick non rispose immediatamente. Giunse alla fine di una delle ultime pagine e solo a quel punto risollevò lo sguardo dalle carte. “Perché uno dei miei agenti, appena ha sentito il tuo nome ha avuto un lampo di genio e ha pensato bene di procurarmi ogni informazione necessaria per questa nostra... chiacchierata.” disse enigmatico.
 
“Sputa il rospo.”
 
“Controllando, abbiamo notato che non hai riscattato tutti i tuoi precedenti crimini. Sei stato in riformatorio, hai scontato anche quattro mesi in prigione a diciannove anni, ma non si è mai parlato del tuo ultimo colpo. Anni fa, era stata prevista una pena riguardo quella rapina finita male, quella in cui tuo fratello ci è caduto dentro con tutte le scarpe. Non si sapeva nulla, sulle telecamere non c'era traccia di te, ma praticamente tutti eccetto tuo fratello ti hanno nominato in almeno un paio di occasioni. Poi si scoprì che il giudice che si era occupato del tuo caso e di altri minori era corrotto e non se ne fece più nulla. Ormai il processo era finito e così decisero di chiudere tutto senza indagare troppo.” spiegò.
 
“Adesso sono pulito, non faccio più certe cose.” rispose Daryl rimanendo sulle sue, ma tenendo gli occhi fissi su Rick.
 
“Lo sappiamo, ma se... qualcuno dovesse ficcare il naso in questo fascicolo potrebbe accorgersi che non tutto si è svolto nel modo più cristallino.” disse con un tono pieno di sottintesi.
 
“Sono passati dodici fottutissimi anni! Non potete farlo!” alzò la voce.
 
“Certo che possiamo. Non vorrei, ma posso.” lo guardò intensamente. Daryl capì esattamente dove voleva arrivare. C'era un "a meno che" grosso come una casa che aleggiava tra loro.
 
“Che cosa volete?” chiese secco.
 
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
 
Daryl quasi cadde dalla sedia. “Cosa?”
 
“Lavora per noi, aiutaci a risolvere un caso. Ci siamo dentro da quasi due anni e non sappiamo dove sbattere la testa. Riescono sempre a sfuggirci.” si giustificò.
 
“Te l'ho già detto. Non sono più nel giro.” ribatté asciutto.
 
“Non è una spia di cui abbiamo bisogno. Ci serve un consulente. Tu ci sei stato per molto tempo in quell'ambiente, sai come funziona, sai come pensano, sai come muoverti, anche Jesus me l'ha garantito.”
 
Ah, era stato Rovia a "candidarlo". Ora sì che avrebbe avuto un buon motivo per fargli fare la stessa fine dell'Altissimo. Appena gli sarebbe finito tra le mani...
 
“Lavora con noi come consulente e il tuo "debito" con la giustizia sarà completamente cancellato.” concluse Rick con voce chiara e decisa.
 
“Cosa ci guadagno?” domandò Daryl diffidente.
 
“Non ti basta non finire di nuovo in una cella o fare lo spazzino per i servizi sociali?” chiese seriamente curioso l'altro in tutta risposta.
 
“Se Jesus ha davvero indicato me come persona più adatta, saprai anche che non faccio niente per niente.”
 
“A quanto pare aveva ragione. Sono le parole esatte che ha previsto avresti detto.” mormorò con un sorrisino “Comunque percepirai lo stipendio di un collaboratore di giustizia. Formalmente, è come se noi non avessimo mai visto il tuo fascicolo. Ufficialmente sei solo un consulente e vieni retribuito come tale.”
 
Il silenzio cadde sull'ufficio. Per qualche minuto non parlarono, non si mossero. Rimasero immobili, ciascuno accomodato nella sua sedia, a fissarsi l'un l'altro.
 
Daryl trovava completamente assurda quella situazione. Per la prima parte della sua vita aveva evitato come la peste le persone della stessa pasta dell'agente di fronte a sé, e ora gli chiedevano addirittura di diventare un mezzo sbirro. Dovevano essere impazziti. D'altra parte non sarebbe mai tornato indietro. Aveva faticato per uscire da quella merda; aveva solo vent'anni quando aveva deciso che non poteva continuare così, non aveva nessuno e aveva già visto più schifo di quanto non ne avrebbe visto per tutto il resto della sua vita. Finire di nuovo in cella o lavorare per i servizi sociali avrebbe significato rendere del tutto inutile tutto quello che aveva fatto negli ultimi dodici anni. Sapeva che se avesse toccato quel mondo marcio anche solo con la punta delle dita, sarebbe stato risucchiato dentro di nuovo. E quella volta non avrebbe avuto via d'uscita. Non era uno stupido, sapeva distinguere cos'era giusto da cos'era sbagliato. E ricadere nel vortice che aveva occupato il suo passato era assolutamente sbagliato.
 
Quella sera, stranamente, si trovava al pub per sé e non per recuperare Merle. Non beveva da molto tempo. Era ancora capace di apprezzare una buona birra, ma non andava mai oltre. Quando aveva chiuso con quel mondo, aveva smesso con tutto, tranne le sigarette: quelle erano l'unico vizio che gli era rimasto. Ma aveva deciso di fare un'eccezione particolare quel giorno; dopo tanto tempo, si era detto che un bicchierino non avrebbe rovinato la sua vita. Ma a giudicare da dove si trovava doveva essersi sbagliato.
 
Era stato licenziato. Sapeva che non era colpa sua e nemmeno del suo datore di lavoro; con la crisi, la ditta aveva dovuto ricorrere a vari tagli. Il vecchio Hank aveva cercato di tenere più dipendenti possibili. Erano soltanto una decina, ma lavoravano insieme da talmente tanto tempo che erano la cosa più vicina a una famiglia che Daryl avesse mai trovato. Per quanto ci avesse provato però, alla fine Hank aveva dovuto prendere la decisione sofferta e quel giorno, dopo una birra tutti insieme tre fattorini, tra cui lui, erano usciti dalla ditta senza più un lavoro.
 
Non abitava in una reggia, il suo piccolo bilocale gli bastava, ma non poteva permettersi di non avere un'entrata e, per quanto assurdo e degradante sarebbe stato, quella che gli stavano offrendo era la proposta più allettante che avrebbe potuto ricevere nel giro di così poco tempo. Se lo avesse visto suo fratello, l'avrebbe preso per il culo fino alla morte. Dannazione.
 
“Accetto.”
 
§§§
 
Rick non poteva crederci. Dopo mesi aveva finalmente una libera uscita e dove si ritrovava? Esattamente dov'era stato nell'ultimo periodo, a causa del lavoro. Se n'era accorto solo quando aveva posato la mano sulla maniglia del pub; i suoi passi l'avevano portato automaticamente lì, senza che se ne rendesse conto. A quel punto decise che tanto valeva entrare; faceva freddo e non aveva voglia di tornare a vagare alla ricerca di un posto.
 
Negli ultimi mesi non aveva avuto molto tempo per sé; da quando era entrato in missione si concentrava sul lavoro e sui suoi figli. Più o meno, tutte le giornate si svolgevano l'una uguale all'altra; la mattina preparava la colazione per Carl e Judith, poi li portava rispettivamente a scuola e all'asilo e intorno alle nove cominciava il turno in centrale. Alle tre del pomeriggio passava a prenderli e andavano a casa. Il pomeriggio era il momento della giornata che preferiva: stavano attorno all'isola della cucina passando del tempo insieme; Carl faceva i compiti, Judith faceva i primi disegni, scarabocchiando su ogni foglio che le passasse a tiro e lui preparava la cena. Dopo aver sparecchiato, metteva Judith a letto e aspettava che arrivasse la babysitter, che sarebbe rimasta con i piccoli finché lui non fosse tornato a casa due o tre ore dopo. Tecnicamente. In realtà gli era capitato più di una volta di chiamarla e dirle di sistemarsi nella stanza degli ospiti perché lui era stato trattenuto. Per sua fortuna, Beth non aveva nessun problema: conosceva lei e la sua famiglia da tanto tempo, e i suoi figli la adoravano.
 
Anche adesso era con loro. E lui si era trovato di nuovo in quel dannato pub. Almeno non gli dispiaceva, ma si sentiva un pensionato vittima della solita routine. Si sedette al "suo" sgabello e rimase sorpreso per un momento quando non vide Jesus: davanti a lui c'era un ragazzino alto, sbarbato, con i capelli corti e scuri che lo guardava con sguardo gentile.
 
Quando si accorse di essersi imbambolato si riscosse e gli disse:” “Ehm... una birra chiara.”
 
Il ragazzo si voltò e pochi istanti dopo posò l'ordinazione di fronte al suo cliente. “Ecco a te.”
 
Rick ricambiò con un cenno, poi prese il bicchiere alto e bevve un lungo sorso che gli rinfrescò la gola. Con i gomiti sul bancone e la birra tra le mani lasciò vagare i pensieri.
 
Pensava sempre a quel giorno di tre anni prima quando Lori li aveva lasciati. Era successo tutto velocemente, ma era marchiato a fuoco nella sua mente. Ricordava le urla di paura di sua moglie, che gli aveva stretto un braccio per svegliarlo. Lui era saltato a sedere e aveva acceso la luce. Non avrebbe mai dimenticato quello che si era trovato davanti: le lenzuola leggere e candide erano inzuppate di sangue. Senza sapere nemmeno come, aveva preso Lori in braccio, l'aveva portata in garage, caricata in macchina e così com'era, in pantaloncini corti e infradito, l'aveva portata all'ospedale. Quella situazione li aveva completamente presi in contropiede; il termine era un mese dopo e la gravidanza era stata tranquilla fino a quel momento. Appena arrivati l'avevano portata subito in sala operatoria. Gli era sembrato di rimanere in quel corridoio asettico per giorni. E invece, solo cinque ore dopo un dottore gli si era avvicinato, gli aveva messo una mano sulla spalla e l'aveva fatto sedere su una delle seggioline scomode di fronte alla porta. Non si ricordava nulla di quello che gli aveva detto. Sapeva solo che i suoi occhi si erano riempiti di lacrime ed era scoppiato a piangere. Solo poi gli dissero che vi era rimasto tre ore su quella sedia. Ad un certo punto un'infermiera l'aveva portato al piano di sopra, e in quella scatola che gli sembrava davvero troppo grossa per essere un'incubatrice aveva visto la sua bambina. Era bellissima.
 
La prima settimana, tra il funerale di Lori, i continui pianti di Carl e quella piccola tutta sola all'ospedale, era stata la peggiore. Poi era successa la cosa che meno si sarebbe aspettato: la domenica sera prima di tornare a scuola Carl gli si era avvicinato cautamente.
 
“Come la chiamiamo?”
 
“Non... non lo so. Io e la mamma non avevamo ancora deciso il nome prima che... ci lasciasse.”
 
“Papà...” disse a voce bassa ma tranquilla, stringendogli una mano “Non ci ha lasciati. Mamma è morta.”
 
Rick sollevò gli occhi su suo figlio e li trovò pieni di lacrime. Gli strinse le braccia attorno alle spalle e si sentì stringere in vita. In quel momento aveva capito che il suo ometto era davvero cresciuto. Da lì nessuno dei due aveva più pianto. Avevano sofferto, certo, ma avevano cercato di andare avanti sin da subito. E lui ci era riuscito solo grazie ai suoi tesori: i suoi figli. 
 
Con uno stipendio in meno aveva dovuto rimboccarsi le maniche, ma grazie all'aiuto degli amici che gli erano rimasti vicini e ai suoi colleghi, era riuscito a incastrare tutto nella sua vita.
 
Si trovò il bicchiere vuoto tra le mani. Infilò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e prese il portafogli. Allungò cinque dollari sul bancone e fece per sollevarsi quando sentì la testa girargli pericolosamente. Di fronte a sé vide il barista che lo guardava vagamente imbarazzato.
 
“In verità... sarebbero dodici dollari.”
 
Rick si guardò intorno e solo in quel momento notò accanto a sé tre bicchieri vuoti. Non si ricordava di avere ordinato altre birra ma era abbastanza evidente che lo avesse fatto, così allungò altri dieci dollari verso il ragazzo. “Tieni il resto.”
 
Sentì a malapena i ringraziamenti del barman; prese il giubbotto e uscì nel vento gelido di inizio settembre. Quell'anno l'inverno era arrivato in anticipo, e faceva freddo come non accadeva da anni.
 
Era decisamente troppo sbronzo per risalire subito in macchina; controllò l'ora e scoprì che erano solo le undici di sera. Avrebbe potuto fare una passeggiata e poi tornare a casa con tutta calma.
 
Si avviò quindi per la via deserta. Ormai sapeva girare quella zona a memoria, ma complice l'alcool arrivò in un punto in cui non era mai stato. E per un motivo ben preciso, tra l'altro. Sapeva esattamente dove si trovava: su quella via c'era il più grande giro di prostitute della zona.
 
"E dove potevo capitare sennò?" pensò tra sé e sé.
 
Stava per fare marcia indietro quando intravide qualcuno che gli sembrava familiare. Si avvicinò barcollando leggermente; perché si muoveva tutto? Da quando era salito su una nave? Sentiva anche un buco allo stomaco e un nodo alla gola. Aveva una strana sensazione...
 
Arrivato a due passi dalla ragazza si prese un momento per osservarla: aveva le gambe lunghe e toniche, risaltate da un paio di tacchi decisamente alti. Indossava un abitino corto blu acceso che evidenziava le curve dei fianchi e la vita stretta; aveva i dreadlocks raccolti in una coda alta che le ricadeva sulla schiena. Si accorse di essere rimasto un po' troppo a fissarle il sedere così si riscosse e le toccò una spalla. Questa si girò di scatto, dandogli una gomitata che centrò in pieno il suo naso, facendolo mugugnare di dolore.
 
Anche tra i fumi dell'alcool, ora era sicuro che si trattava proprio di chi sospettava.
 
“Michonne?” chiese ondeggiando un po' e tenendosi le mani sulla zona offesa.
 
“Rick?!” sussurrò lei allarmata.
 
“Certo!” rispose lui, allargando le braccia e sorridendole. Non era decisamente un bello spettacolo quello che si presentò agli occhi della donna: il suo collega aveva la camicia per metà fuori dai pantaloni, tutta stropicciata, i capelli scompigliati, gli occhi vacui e lucidi. Ma la cosa che balzava all'occhio in quel momento era il sorriso: a causa del colpo che gli aveva appena tirato, il sangue gli scorreva sulle labbra e sui denti offrendo uno spettacolo piuttosto grottesco.
 
“Abbassa la voce! Si può sapere che ci fai qui?!” chiese lei prendendolo a braccetto e allontanandosi un po' dalle altre ragazze, dissimulando meglio che poté.
 
“Già, me lo chiedo anche io..! Cosa ci fa un posto come me in un uomo come questo?*1” rise, sbilanciandosi e quasi tirandola con sé.
 
Michonne gli prese il viso tra le mani e lo guardò negli occhi. “Rick. Devi andartene. Subito.”
 
“Ma... tu che ci fai qui?” chiese gettando un'occhiata alle ragazze qualche metro più in là. “Michonne,” assunse uno sguardo serio e genuinamente stupito “che stai facendo?”
 
“Sono sotto copertura, maledizione! Vuoi il disegno?! Devi andartene subito. Non fare casino e vattene. Tra un po' il capo passerà a controllare che ci siamo tutte e non deve vederti!” rispose velocemente.
 
“E dai, non vuoi stare un po' in mia compagnia? Finché non arriva questo tuo "grande capo"!” ed ecco che urlava di nuovo.
 
Michonne vide un auto svoltare lentamente nella via e pensò che davvero peggio di così non sarebbe potuta andare. Abbassò leggermente la testa e sussurrò: “Rinforzi. Chiedo rinforzi. L'aquila è nel nido. Ma abbiamo un problema: intruso. Intervenite.” fece una pausa mentre ascoltava attentamente quello che le comunicavano. “Non direi un estraneo, non proprio.” rispose lanciando un'occhiata all'uomo accanto a lei.
 
Intanto l'auto li aveva raggiunti; dopo aver accostato sul ciglio della strada i fanali erano rimasti accesi e il finestrino posteriore si abbassò rivelando la figura di un uomo. Un armadio di un metro e novanta, pelato e con due baffoni scuri uscì dalla vettura sovrastando le ragazze di fronte a sé con la sua ombra.
 
“Shonda! Vieni, chi è quel tipo?” la richiamò con voce forte.
 
“Niente, Boris! Se ne sta andando!” urlò in direzione del capo, cercando di addolcire la voce come sempre quando lui era nei paraggi. “Rick. Shh! Vai via!” disse poi a bassa voce.
 
Rick non sembrò prenderla molto sul serio, la guardò, si portò un dito davanti alla bocca e rispose ridendo: “Shh... Muto come una tomba.”
 
A qualche metro da loro, Boris chiese dove fossero un paio di ragazze che non c'erano, per assicurarsi che stessero lavorando, poi come se fosse dotato di un raggio laser, Michonne sentì il suo sguardo posarsi sulla sua schiena.
 
“Shonda! Che succede lì?” Lei si girò dando le spalle al collega, appena in tempo per vedere l'energumeno avvicinarsi.
 
“Chi sei?” domandò quello, guardando dall'alto in basso l'uomo di fronte a sé. Rick, da parte sua, dovette alzare il viso di parecchio per guardarlo negli occhi.
 
“Ciao, ciao.” Sul suo volto si aprì un sorriso a trentadue denti e agitò la mano come un bambino che saluta la mamma.
 
“Mi prendi per il culo? Chi è questo?!” chiese alzando il tono pericolosamente; Michonne lo conosceva e sapeva che quando serrava in quel modo la mascella stava raggiungendo il limite.
 
“Niente, lui-”
 
“Piacere!” Rick si spostò davanti all'uomo e con il sorriso ancora insanguinato gli tese la mano. “Sono l'agente Rick Grimes! Lei è?” chiese cortese e allegro.
 
“Cosa?!” una volta riscosso dallo stupore, guardò Michonne e alzò velocemente una delle sue mani grosse e pesanti per poi calarla verso di lei. Ma il colpo non arrivò mai a segno perché Rick si mise in mezzo beccandosi il manrovescio in pieno viso.
 
Boris stava per dire qualcosa, ma il suono delle sirene e le luci delle volanti invasero la via. Si guardò attorno con gli occhi spalancati e corse verso la macchina. “Vlad! Metti in moto! Andiamocene subito da qui!”
 
L'automobile si accese con un rombo basso e ingranò la prima, cominciando ad avanzare nella via, ma Rick gli corse incontro e si lanciò sul cofano. L'autista sbandò prima a sinistra e poi a destra; quando vide le luci blu e rosse dell'auto davanti che gli tagliava la strada, fu costretto ad inchiodare.
 
“Muoviti idiota!” urlò Boris tirando un pugno di frustrazione sul sedile. Scese dalla vettura ma ormai era troppo tardi: era circondato. Prima che potesse fare qualsiasi mossa, un paio di agenti gli furono addosso bloccandogli le mani dietro la schiena con le manette, mentre altri gli puntavano le armi contro, per tenerlo sotto tiro. Un agente si occupò anche dell'autista della berlina che già era uscito dall'auto con le mani alzate.
 
Michonne corse verso Rick, che a causa della frenata improvvisa era rotolato a terra sul cemento senza più rialzarsi.
 
“Rick!” lo chiamò inginocchiandosi accanto a lui. Lo girò supino e vide che aveva gli occhi socchiusi, così lo chiamò. L'uomo scosse la testa e mormorò un “No...” piuttosto sommesso, chiudendo gli occhi. La sua pazienza raggiunse il limite e senza troppe cerimonie gli diede uno schiaffetto sulla guancia sana.
 
“Sì, sono sveglio! Quanta irruenza!” si lamentò lui tirandosi seduto lentamente.
 
“Bentornato. Alzati, dai.” gli tese una mano e lo aiutò.
 
Tutto attorno a lui si svolse velocemente; non capiva più niente. Era sicuro che avrebbe dovuto ricordarsi di qualcosa, ma gli sfuggiva. Un mare di gente gli passò sotto agli occhi, andando avanti e indietro più volte come se fossero impazziti. Chissà cos'avevano per essere così di fretta. Gli sembrò di riconoscere qualcuno, ma non ci avrebbe giurato. Tutto gli sembrava così confuso... Ad un certo punto si ritrovò seduto sul sedile posteriore di un'auto che partì veloce. Appoggiò per un momento il capo contro il poggiatesta e chiuse gli occhi stanchi.
 
§§§
 
Una melodia insistente e incalzante gli martellò nelle orecchie. Socchiuse gli occhi, tentando di abituarsi al raggio di sole che gli colpiva il volto, e cercò a tentoni la fonte di rumore: a terra accanto a sé trovò il proprio cellulare.
 
“Mmm...” mugugnò accettando la chiamata.
 
“EHI! Come stai?” urlò una voce dall'altra parte.
 
“Ma chi...?” Allontanò il telefono dall'orecchio e guardò il display. Jesus. “Che c'è?” Mentre parlava si guardò attorno, studiando l'ambiente circostante. Era sdraiato su un divano marrone piuttosto scomodo, in una stanzetta che non aveva mai visto e un mal di testa martellante gliela stava spaccando in due.
 
“Eugene ti vuole, fossi in te non lo farei aspettare.” rispose con voce sempre troppo alta.
 
“Ehm... potrebbe esserci un problema.” disse sedendosi “Non so dove sono.” mormorò.
 
“Certo che lo sai! Sei nella sala relax del terzo piano. Dai, scendi o il capo ti farà il culo a strisce!” La chiamata si chiuse senza altre spiegazioni.
 
Rick si rimise in piedi, cercò di darsi una sistemata e uscì dalla stanza. Percorse tre piani di scale ed arrivò all'ingresso, dove si trovava quello del capitano. Cazzo! Ecco cosa si era dimenticato!
 
“Maggie!” chiamò la ragazza, che al momento aveva la testa china su un fascicolo, e le si avvicinò a passo di marcia.
 
Lei alzò lo sguardo e gli rispose, nonostante lui non avesse chiesto ancora nulla: “Beth è stata con Carl e Judith tutta notte e poi li ha accompagnati a scuola. Sì, hai bevuto ed è per quello che hai una faccia che fa schifo e un mal di testa terribile. Ma non è nemmeno la cosa peggiore. E fossi in te andrei davvero dal capo.” detto questo dedicò di nuovo la sua attenzione alle carte posate sul bancone.
 
Ma perché non ricordava nulla? Cos'aveva fatto la sera prima?
 
Arrivò di fronte alla porta dell'ufficio. Una targhetta lucida recitava “Capitano Porter”.
 
Bussò e si annunciò ancora prima che una voce dall'interno lo chiedesse. Il loro superiore era molto... strambo per certi aspetti e cercava di assecondarlo più che poteva per mantenere calme le acque.
 
“Permesso accordato.” borbottò una voce all'interno dell'ufficio. Rick entrò nella stanza e rimase in piedi, aspettando che l'uomo seduto alla scrivania gli desse un qualsiasi... suggerimento.
 
“Ogni azione provoca una reazione uguale e contraria. È risaputo, anche studiando la fisica più elementare, che ogni cosa ha una probabilità o meno di accadere.” lo guardò negli occhi e non lo invitò ad accomodarsi. Rick si chiese solo dove volesse andare a parare. 
 
“Prendendo in considerazione le statistiche in particolare, ci si rende conto come ogni cosa abbia più probabilità o meno  di andare a buon fine. Parlando di ieri sera; la squadra in azione era composta da nove membri, se contiamo Michonne sotto copertura. Secondo i dati, matematicamente, una persona su dieci si trova in disaccordo con le altre. Perciò credo che ieri sera tu sia stato solo una prova ulteriore che la matematica e la fisica siano scienze precise e non empiriche. Anche la statistica, nonostante in un primo momento potrebbe apparire come una sequela di ipotesi, alla fine si rivela una scienza esatta. Quindi immagino che non dovrebbe sorprendermi ciò che è accaduto stanotte. ” fece una pausa ad effetto. “È anche vero che esiste il libero arbitrio e mi sarei aspettato più giudizio dal mio vice.”
 
Il Capitano fece una pausa e lo guardò come se quello che aveva appena detto fosse una spiegazione più che esaustiva. Vedendo che però Rick rimaneva di fronte a lui in attesa, riprese.
 
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi in una postura goffa, e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno - uno qualunque di voi - facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
 
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. Non che la sbornia fosse d'aiuto. Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
 
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”




Angolo autrice:
 
*1 La Mummia, 1999. Evelyn Carnahan. (in realtà questa è più una semicit).
 
Eccoci arrivati alla fine del secondo capitolo! Più che altro è stato una sorta di "seconda parte" del primo. Abbiamo anche incontrato la prima citazione! Perché l'ho inserita? Semplicemente perché amo quel film (Jonathan <3); se lo avete visto sapete di che parlo ahahahaha altrimenti correte a porre rimedio! In ogni caso dal prossimo si inizierà ufficialmente e con il quarto si entrerà a tutti gli effetti nel vivo della storia (promesso!) :* Ringrazio chiunque abbia messo la storia tra preferite/seguite/ricordate e chi ha recensito! Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate! A settimana prossima.
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Daryl era davanti alla stazione di polizia. Con una fottuta ora d'anticipo.
 
Quella mattina, nonostante avesse puntato la sveglia più tardi del solito, si era alzato comunque alle sei. Aveva fatto una doccia calda e si era preparato con tutta la calma del mondo, ma era arrivato troppo presto. Era così abituato alla vecchia routine che aveva scandito la sua vita per una decina d'anni, che non riusciva a svegliarsi tardi nemmeno durante il weekend. 
 
Con lo sguardo fisso sull'insegna si domandò cosa avrebbe potuto fare. Entrare in un covo di sbirri e aspettare era assolutamente da escludere. Da quanto tempo non faceva colazione il lunedì mattina? Dall'altra parte della strada, qualche metro più avanti, vide una tavola calda. Sarebbe potuto andare lì, prendersi un caffè e aspettare l'ora in cui iniziava il suo turno. Ancora non ci credeva. Chi glielo faceva fare?
 
Arrivato davanti alla vetrina, però, si gelò sul posto. Per quel cazzo di locale vagavano solo persone in divisa e pantaloni scuri! Era il ritrovo di tutti gli agenti del circondario?! Va bene che era vicino alla centrale, ma quella era una maledetta invasione!
 
Non ci pensava neanche di entrare, piuttosto si sarebbe impiccato! Però aveva tempo, così proseguì a piedi in cerca di un dannatissimo buco dove non pullulasse tutto il corpo delle forze dell'ordine del Paese.
 
Stava per perdere le speranze quando gettò un'occhiata a un negozietto piuttosto piccolo. Un bar pasticceria. Odiava quei posti: tutti pizzi, centrini e colori pastello. Non che avesse molta scelta; se avesse proseguito ancora sarebbe arrivato in periferia. Dopo uno sbuffo, entrò.
 
Il lato negativo era che l'interno era persino peggio dell'esterno ed era pieno di gente, ma per lo meno sentì un promettente profumo di brioche calde. Arrivò di fronte alla cassa e aspettò che la ragazza china su un foglio dietro al bancone alzasse gli occhi su di lui, ma niente. E sì che quando era entrato la campanella sopra la porta aveva segnalato il suo ingresso.
 
“Ehi. Si può ordinare?” chiese annoiato.
 
La ragazza si riscosse e prodigandosi in mille scuse prese la sua ordinazione. Daryl intanto cercò un tavolino e per fortuna un trio di amici si alzò proprio mentre lui si avvicinava. Pochi minuti dopo la cameriera gli portò la sua colazione e prese le tazze dei ragazzi che erano rimaste sul tavolo. Almeno la strada e il tempo perso erano valsi la pena; l'aroma del suo caffè nero fumante gli stuzzicava le narici e aveva già divorato metà cornetto.
 
La campanella tintinnò di nuovo ed entrò una ragazza. Era minuta, scommetteva che se si fosse messo di fianco a lei l'avrebbe superata di almeno una testa. Ciò che lo attirò fu il suo aspetto: era tutta scombinata. Il cappotto le pendeva da una spalla e sull'altra aveva appesa una borsa che probabilmente pesava più di lei, ma quello che lo stranì di più furono i capelli. Erano arruffati, sembravano un nido. Cristo, sembrava uscita da una scopata!
 
Si diresse verso la cassa e scomparve dalla sua visuale. Lasciò perdere la sensazione che quella pasticceria sembrasse un posto per sole coppiette e ragazzine snob, e continuò a mordere il cornetto.
 
“Mi scusi, è libero?” chiese una voce gentile accanto a lui.
 
Alzò di scatto gli occhi e si trovò di fronte la ragazza che era entrata poco prima. Non disse niente, la guardò anche piuttosto male ma poi con un cenno del capo indicò il posto di fronte a sé.
 
“Grazie mille, stamattina è davvero pieno. Non l'avrei importunata se ci fosse stato un tavolino libero.” disse mentre si sedeva, togliendosi sciarpa e cappotto.
 
Daryl la osservò con uno strano sguardo negli occhi. "E chi se ne frega?" pensò tra sé e sé. Ma non voleva che quella ragazzina parlasse ancora, così annuì sperando che il messaggio giungesse forte e chiaro il destinatario: mollami.
 
“Quest'anno c'è davvero un tempo terribile! Non faceva così freddo da quell'inverno di una decina d'anni fa!” disse, cercando di intavolare un minimo di conversazione mentre aspettava il suo ordine.
 
“Senti chiacchierona, ti ho fatta sedere ma non sono la tua migliore amica.” la interruppe in tono brusco.
 
Non alzò nemmeno gli occhi dalla sua tazza di caffè, ma sapeva che l'aveva sentito perché, con la coda dell'occhio, l'aveva vista irrigidirsi e soprattutto si era finalmente zittita. In quel momento la cameriera le portò l'ordinazione e ogni tentativo di conversazione fu scongiurato.
 
In pochi minuti finì il suo caffè; senza dire nulla si alzò e uscì dal locale, ma mentre si allontanava ebbe la sensazione di avere un paio di occhi puntati nella schiena. Tornò alla stazione e nonostante mancassero dieci minuti all'inizio del turno giornaliero entrò comunque.
 
L'ufficio era pieno di persone che andavano e venivano; doveva essere il momento del cambio. Senza che nessuno gli dicesse niente andò nell'ufficio di Grimes. Quello stronzo. Era colpa sua se si trovava in quella situazione del cazzo! Cosa gli era saltato in mente quella sera?! Meglio lasciar perdere.
 
Daryl non poteva saperlo perché, anche se le stanze erano per la maggior parte a vetri, dava le spalle alla porta, ma in quel momento entrò Rick che fu subito fermato da Maggie.
 
“Rick, ma chi è quel tipo?” chiese indicandogli l'uomo seduto comodamente a una delle sedie davanti alla scrivania.
 
“È il nostro collaboratore.” disse soffermandosi soprattutto sull'ultima parola “Fammi gli auguri.” le sorrise e proseguì verso il suo ufficio.
 
“Buongiorno.” esordì allegro quando aprì la porta, richiamando l'attenzione dell'uomo.
 
“Tu devi ancora spiegarmi che cazzo hai da essere sempre così contento.” mormorò Daryl.
 
“Allora? Ti stai ambientando?” domandò, ignorandolo deliberatamente.
 
“Sì, ti piacerebbe.” ghignò in tutta risposta.
 
Rick fece il giro della scrivania e si sedette al suo posto. Prese un post-it appiccicato allo schermo del computer, lo lesse e lo gettò nel cestino. Poi sollevò il telefono e digitò un paio di tasti.
 
“Jesus puoi portarmi quei fascicoli? Sì, quelli.” fece una piccola pausa in cui Daryl sentì la voce dall'altra parte della cornetta blaterare qualcosa di confuso. “Fai due viaggi o chiedi aiuto. Muoviti.” concluse sorridendo.
 
Rimasero in silenzio per qualche minuto e poi Daryl chiese “Per caso mi avete assunto per scaldarvi le sedie col culo?”
 
In quel momento entrarono Jesus e Abraham con due scatoloni ciascuno, che posarono a terra. Dopo qualche parola lasciarono Rick e Daryl, ma prima che la porta si chiudesse sentirono Jesus urlare “Buon lavoro, collega!”
 
Ed entrambi sapevano che non si riferiva a Rick
 
Daryl si agitò sulla sedia e disse in tono aspro “Ma vaffanculo. Dovresti tenere sotto controllo i tuoi uomini. E già che ci siamo cominciamo, cosa stai aspettando?”
 
“Manca ancora una persona.”
 
Daryl stava per chiedere chi; i poliziotti non lavoravano sempre in coppia? Ma il rumore della porta che si apriva stroncò sul nascere ogni sua domanda.
 
“Rick, scusami! Non riuscivo a trovare parcheggio!” esordì una voce squillante.
 
“Buongiorno.” la salutò con un sorriso. “Non preoccuparti, siamo appena arrivati anche noi.”
 
“Oh, salve.” disse con una nota di stupore, rivolta all'altro uomo che all'inizio non aveva notato per la fretta.
 
Daryl si voltò e solo in quel momento riconobbe la ragazza. “Ciao chiacchierona.” la apostrofò per poi riportare gli occhi fissi di fronte a sé.
 
“Vi conoscete?” chiese Rick sorpreso.
 
“Sì, stamattina il signore è stato così gentile da farmi accomodare al suo tavolo dato che non c'erano altri posti liberi.”
 
“Uo, frena! Signore? Quanti anni pensi che abbia?” chiese lui offeso. Nessuno lo aveva mai chiamato signore in vita sua! Non con quel tono soprattutto! Cos'era tutta quella tranquillità? Stava cercando un modo per prenderlo per il culo?
 
“Non è questo, volevo solo essere gentile!” si difese lei.
 
“In ogni caso visto che lavorerete insieme potete anche chiamarvi per nome, non siamo nell'Ottocento.” rise Rick “Beth, lui è Daryl il nostro nuovo collaboratore. Daryl, lei è Beth e rimarrà qui per qualche tempo come stagista.”
 
“Una matricola.” la sfotté lui con un sorrisino sghembo. Beth si trattenne dal commentare; non voleva partire con il piede sbagliato, ma non riuscì a trattenersi dallo scoccargli uno sguardo spazientito.
 
“Bene, visto che ci siamo tutti possiamo iniziare. In breve: lui è Pablo Chacòn.” disse l'agente prendendo il primo fascicolo da una delle scatole e mostrando una fotografia alla coppia di fronte a sé. Era un uomo assolutamente ordinario: pelle vagamente olivastra, occhi castani scuro, capelli neri e ricci. Non doveva avere più di cinquant'anni.
 
“Gestisce uno dei più grandi traffici di cocaina dello stato e ha contatti anche all'estero. Sono anni che gli siamo dietro e ci sfugge sempre. Un paio d'anni fa riuscimmo a prenderlo, ma dopo il processo evase quasi immediatamente e da quel momento abbiamo perso le sue tracce. Ovviamente i traffici hanno ripreso regolarmente da quando è tornato in circolazione, ma non sappiamo né dove sia, né chi lo aiuti, e soprattutto come faccia.”
 
Rick alzò lo sguardo sui due di fronte a sé. Beth era seduta composta con le gambe accavallate e lo guardava attentamente, abbassando il volto ogni tanto per annotare qualcosa sul cellulare, mentre Daryl aveva appoggiato la caviglia destra sul ginocchio sinistro e stava mezzo sdraiato sulla sedia con un braccio dietro lo schienale. Sembravano proprio il giorno e la notte. Perché aveva la sensazione che quei due insieme lo avrebbero tirato matto?
 
“Ho bisogno che studiate il suo caso; leggete tutti i dati che abbiamo raccolto negli ultimi anni.” continuò Rick indicando i quattro scatoloni pieni di fascicoli.
 
“E poi?” chiese Beth prontamente “Che facciamo?”
 
“Ditemi se cogliete qualcosa che ci è sfuggito, due paia di occhi in più non fanno male.”spiegò Rick.
 
“Col cazzo che lo farò! Può sbrigare lei il lavoro d'ufficio.” la indicò con un cenno del capo “Se volete che davvero vi aiuti dovete farmi vedere i posti.”
 
Guardò Rick negli occhi con uno sguardo di sfida e l'altro lo fissò a sua volta con un lampo di nervosismo negli occhi. “Andiamo.” disse alla fine “Ma vi porto entrambi, siete sotto la mia responsabilità.”
 
§§§
 
Da qualche minuto stavano osservando una villa nella zona residenziale della città: la prima cosa che colpiva lo sguardo era senza dubbio il grande cancello placcato d'oro che delimitava la proprietà. Sulla sommità della cancellata erano intervallate piccole statue di angeli e demoni alati. Ai lati dell'entrata c'erano due grossi leoni rampanti, anch'essi dorati ma con le criniere tinte di smalto rosso. Sugli altri tre lati del perimetro, correva un filare di alberi che nascondeva il piano terra da occhi indiscreti. In corrispondenza del cancello c'era una fontana circolare a tre livelli. In cima c'era un angioletto che faceva pipì nella vasca di sotto, mentre in quella più grande c'erano otto delfini che sembrava stessero per saltare, disposti a cerchio e ricoperti di pietre azzurre. Come ultimo tocco di classe, l'acqua era colorata di rosso. 
 
Al di là della fontana si poteva vedere la casa vera e propria: tre piani più mansarda di vistosità pura. Sette gradini rialzavano la porta d'ingresso dal terreno. Ai lati del primo scalino c'erano due statue greche ad altezza naturale: un uomo che mostrava i muscoli (ed assomigliava pericolosamente a Superman) e una donna in una posa sensuale più svestita che altro. Al terzo piano c'era una balconata e i pilastri erano stati scolpiti in modo da raffigurare quattro donne con la pelle nera e le tuniche verdi, che sollevavano un anfora rossa sulla testa. Le persiane erano di un improponibile arancione zucca, che faceva un contrasto terribile con i muri verde acqua e le decorazioni floreali dorate. Le tegole erano ricoperte di edera rampicante che a tratti scendeva in piccoli riccioli sulla facciata. Sul colmo del tetto, a coronare il tutto, c'era una statua di parecchi metri di una Madonna nera con il capo coperto da un velo bianco e un rosario di diamanti tra le mani giunte.
 
Questo era tutto ciò che si riusciva a captare da fuori; non voleva sapere come fosse conciato il resto.
 
“Questa è la casa di Chacòn. La controlliamo regolarmente ma non c'è mai stato un movimento sospetto in due anni.” disse Rick con tono un po' rassegnato.
 
“Cristo, che posto. Un museo di gusti di merda.” commentò Daryl con disgusto osservando la casa.
 
“È terrificante...*1” concordò Beth.
 
“Quando l'avevamo preso, è stata sotto sequestro per qualche mese, ma ormai è più di un anno che moglie e figli sono tornati a vivere qui. Nessuno di loro si comporta in modo sospetto; da quando il padre se ne è andato sono diventati degli angioletti. La signora Chacòn segue un corso di pilates, fa beneficenza e aiuta la chiesa qui vicina. Niente che una donna di quarantacinque anni non farebbe. Il figlio maggiore va all'università e la figlia più piccola sta finendo le superiori. Mai schedati, nemmeno per una multa.” spiegò.
 
Quella mattina era spuntato un sole limpido e freddo che rendeva l'aria accecante, perciò i due uomini indossavano gli occhiali da sole, mentre la ragazza per comodità aveva raccolto i capelli fermandoli con una matita. Erano in auto, una di quelle di servizio: lui alla guida, Daryl sul posto del passeggero e Beth dietro nel posto in mezzo. Si sentiva come se fossero sul set di un maledetto telefilm degli anni ottanta.
 
“C'è qualche domanda?” domandò. Nessuno dei due rispose, così ingranò la prima e si mise in strada diretto verso la prossima meta.
 
Negli giro di un paio d'ore li aveva portati in tutti i posti rilevanti per le indagini: oltre la casa di Chacòn erano stati anche a un circolo di tennis, un ristorante, un capannone e un mercato coperto. Non avevano trovato niente di strano; non che ci avesse sperato ma cominciava a trovare frustrante non riuscire a capire cosa succedesse.
 
Contro ogni previsione, era stata una mattinata piuttosto tranquilla. Daryl aveva aperto bocca solo un paio di volte per qualche chiarimento, ma per lo più aveva passato il tempo ad osservare. Durante il viaggio di ritorno lo aveva visto scrivere al telefono, ma dubitava che fosse qualcosa inerente al caso. 
 
Beth da parte sua si era dimostrata quella di sempre, anche sul lavoro: era sveglia, sempre gentile e non si perdeva una parola di quello che lui diceva. Ma Rick non poteva evitare di chiedersi perché il Generale Greene avesse insistito per farle fare lo stage. Ormai aveva finito l'Accademia, avrebbe potuto lavorare e fare esperienza sul campo, non seguire le indagini così, un po' a caso. Non che gli desse fastidio, anzi: era una brava ragazza, la conosceva da tanto tempo, andavano d'accordo e le voleva bene. Non sarebbe stato lui a contestare la sua decisione.
 
Era ormai l'una quando tornarono in centrale.
 
“Ora c'è la pausa pranzo, voi avete qualcosa?” chiese mentre rientravano nell'edificio.
 
“Sì, ho portato un sandwich da casa. Posso andare in ufficio?” domandò Beth.
 
“Certo, non c'è problema!” le rispose con un sorriso “E tu Daryl?”
 
Con un cenno del capo indicò la porta e disse solo “Sta arrivando.”
 
Non capirono esattamente cosa intendesse finché un paio di minuti dopo non entrò un ragazzo asiatico con un cappellino rosso e giallo che allegramente annunciava di avere un ordine per “Daryl!”.
 
“Quant'è?” chiese il diretto interessato avvicinandosi.
 
“Sono sette dollari.” rispose sorridendo l'altro “Ma che ci fai qui? Quando mi hanno detto che avrei dovuto consegnare una pizza a te, a questo indirizzo, pensavo che il capo avesse fumato.”
 
“Sì, be... le sfighe capitano a tutti.” tagliò corto l'altro prendendo il portafogli e porgendogli le banconote.
 
“Non mi presenti i tuoi nuovi amici?” chiese quello un po' malizioso.
 
“Chi sei, mia madre? E non sono amici miei. Ci si vede.” rispose prendendo tra le mani il cartone della pizza e andando a passo deciso verso l'ufficio di Rick.
 
“È sempre così?” chiese l'agente con un mezzo sorriso.
 
“No, a volte è anche peggio” e nonostante avesse assunto per un momento un'espressione piuttosto seria in volto capirono che stava scherzando. Quel ragazzo aveva un sorriso ampio e contagioso che arrivava fino agli occhi limpidi. Sembrava avere l'argento vivo addosso; una di quelle persone che mettono allegria solo a vederle. “Sono Glenn, comunque.” Beth e Rick si presentarono a loro volta.
 
“Lavoro non molto distante da qui. Tenete, nel caso vi venisse voglia di pizza!” disse porgendogli un volantino pubblicitario. “Ciao!” e li salutò, andandosene veloce come era arrivato.
 
“Io vado di là, buon appetito.” gli augurò per poi seguire le orme di Daryl.
 
Rick osservò Beth entrare nel suo ufficio. Non si fidava molto ad andarsene, ma vedendo Michonne uscire dal suo ufficio decise che per quella volta avrebbe potuto fare un'eccezione a quella che sarebbe diventata una regola fissa: mai lasciarli soli. Michonne non si fermava quasi mai alla tavola calda; preferiva raggiungere una sua amica e pranzare con lei. Se voleva parlarle doveva cogliere l'occasione. Così voltò le spalle a quella che ormai era la sua squadra e seguì la donna che si dirigeva verso l'ingresso.
 
“Ehi! Michonne!” richiamò la sua attenzione mentre affrettava il passo per raggiungerla.
 
“Rick, ciao.” rispose con gentilezza.
 
“Senti, in questi giorni non ci siamo visti ma... insomma, volevo chiederti scusa per l'altra sera. Di solito non bevo! È stata solo una svista, non volevo farti saltare la copertura.” disse dispiaciuto.
 
“Fosse solo quello.” inarcò le sopracciglia e accennò un sorrisino eloquente “Ma comunque tranquillo, non c'è problema.” rispose uscendo dalla centrale.
 
“Cosa? Che altro è successo?” chiese smarrito.
 
“Non ricordi niente?” domandò perplessa.
 
“Non molto. Ehm... no, non ricordo.” rispose con voce flebile flebile, abbassando il capo.
 
“Dopo esserti preso un manrovescio da Boris ed essere saltato sul cofano della sua automobile, sei rimasto in piedi a fissare il vuoto. Alla fine ti ho fatto salire in macchina e siamo venuti in centrale. Ti ho aiutato a scendere, mi hai guardato con degli occhi da pesce lesso e dopo due secondi mi hai vomitato sulle scarpe.”
 
“Oh mio Dio.” mormorò lui passandosi una mano sulla fronte “Ho fatto qualcos'altro?”
 
“No, Jesus e Abe ti hanno portato di sopra in sala relax e hanno detto a Maggie di chiamare sua sorella.” concluse lei.
 
“Mi dispiace, davvero.” alzò lo sguardo verso di lei e incontrò il suo. Non sembrava arrabbiata, lo guardava solo con un pizzico di divertimento. “Lascia che ti offra qualcosa per farmi perdonare! Potremmo uscire per una birra.”
 
“Forse è meglio che lasci perdere l'alcool per qualche tempo.” lo prese in giro.
 
“Be sì... direi di sì. Allora una cena! Una cena in cambio di una copertura saltata.” lui era arrivato davanti alla tavola calda e si fermò, sperando che lei gli rispondesse in fretta.
 
“E di un paio di scarpe” sorrise lei continuando a camminare.
 
La guardò allontanarsi per qualche metro e poi la richiamò. “Quindi è un sì?”




Angolo autrice:
 
*1 Come ammazzare il capo... e vivere felici, 2011, Kurt Buckman.
 
Ed eccoci alla fine del terzo capitolo! La citazione in realtà se la dividono Daryl e Beth (in originale è: "È terrificante questo posto. Un museo di gusti di merda."), ma quel " È terrificante" non mi sembrava molto da lui, così l'ho divisa :P Comunque sia: si parte! In questo capitolo si gettano le basi per entrare nel vivo della storia: finalmente Daryl e Beth si sono incontrati, mentre Rick invita a cena Michonne... Chissà come andrà a finire tra questi due :P Non da ultimo è stato introdotto il caso a cui dovranno lavorare: Pablo Chacòn. Potrei dire di aver chiamato così il boss a cui devono dare la caccia come omaggio al film Come ti spaccio la famiglia, in realtà ero solo troppo pigra per cercare un nome mentre scrivevo, e avevo messo provvisoriamente questo (per il semplice fatto che è il primo ad essermi venuto in mente). Poi, man mano che ci pensavo, continuavo a chiamarlo "Chacòn" così l'ho lasciato. Come sempre ringrazio tantissimo chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e chi ha recensito! Davvero, tutte recensioni bellissime! Se vorrete farmi sapere ancora cosa ne pensate, sarò più che contenta di leggere le vostre opinioni :)  A settimana prossima! (perché mancano solo due episodi alla fine della stagione? :(  )
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 

Era già passata una settimana da quando avevano iniziato a lavorare insieme e in tutta sincerità Rick non pensava che sarebbe andata così bene. Certo, erano dovuti scendere a silenziosi compromessi per convivere in tre nello stesso ufficio - nel suo ufficio - ma niente di impossibile. A tratti.
 
Il caso non era giunto a una vera e propria svolta, ma la loro spia gli aveva mandato una soffiata. Era stato difficile trovare qualcuno che gli passasse informazioni ma alla fine, circa quattro mesi prima, avevano preso uno degli uomini di Chacòn. All'inizio si era dimostrato piuttosto difficile da convincere ma poi, quando gli si era prospettata la possibilità di libertà e protezione nel programma testimoni, aveva ceduto.
 
Un paio di giorni prima, insieme alla posta, sulla scrivania di Rick era comparsa una bustina gialla che aveva riacceso le sue speranze. Se il loro uomo avesse saputo dargli un qualche indizio almeno non avrebbero brancolato nel buio, ma il biglietto racchiudeva solo poche parole:
 
21 Agosto
      Vuoto.
 
La loro spia si era dimostrato piuttosto furbo in quanto a codici e decodificazioni. Se i messaggi - i pochi che gli aveva mandato finora - fossero iniziati con una consonante, quello che c'era scritto era l'opposto di quello che intendeva. La data invece era del tutto ininfluente, erano i primi di Settembre e la busta aveva il timbro del giorno prima: quel ventuno indicava dopo quanti giorni sarebbe successo.
 
Sarebbe arrivato un carico da lì a ventuno giorni. Ormai venti.
 
Tutto lì, non avevano nient'altro. Si era rigirato quel biglietto tra le mani per due ore, quasi aspettandosi che comparisse qualche altra scritta, una sigla o un simbolo. Qualsiasi cosa. E invece niente. Erano rimasti chiusi in quel dannatissimo ufficio per ore ed ore. Daryl continuando a cercare chissà che sul computer e a fare telefonate, e lui e Beth con il naso seppellito nei documenti che ormai avevano invaso la scrivania. Erano in un vicolo cieco.
 
Quel pomeriggio però, sembravano aver trovato una possibile pista. Il capannone di una ditta di bambole di pezza. La droga poteva essere nascosta ovunque, e comunque ne rimaneva sempre traccia quindi tanto valeva provare.
 
Per sicurezza avevano controllato che fosse davvero una pista plausibile. Non gli servivano certezze, ma d'altra parte non potevano smuovere mari e monti inutilmente. In ogni caso Rick era andato in magazzino e aveva fatto richiesta per l'attrezzatura che sarebbe servita loro quella sera. Intanto Beth, sotto la guida di Michonne, aveva compilato il modulo di richiesta per poter entrare nel capannone di nascosto.
 
L'unico problema, al momento, era il loro capitano. Eugene Porter. Quell'uomo rimaneva ore ed ore a farsi i fatti suoi e raramente svolgeva ciò che gli competeva.
 
Una volta Rick era entrato nel suo ufficio e appena aveva chiuso la porta dalle casse accanto al monitor era esploso il suono di un fuoco d'artificio, seguito da una voce allegra che urlava “HAI VINTO!”. Era rimasto senza parole e quando aveva chiesto al capo di firmare dei documenti per la chiusura di un caso questo aveva risposto: “Sei il mio vice, arrangiati.” Rick aveva anche provato a ribadire che serviva solo la sua firma e per tutta risposta aveva praticamente ricevuto il caldo suggerimento di falsificarla.
 
Così Rick, per i documenti più ordinari aveva instaurato un tacito accordo con il Capitano Porter: le carte arrivavano nel suo ufficio, lui le leggeva (o fingeva di farlo) ed entro fine giornata tornavano sulla scrivania di Rick che provvedeva a firmarle. Se lo avessero beccato...
 
Ma in quel caso non poteva semplicemente scarabocchiare una sigla fatta male, era un permesso importante e senza un sopralluogo non si sarebbero mai fatti un'idea precisa. Per questo Rick stava cercando di convincere qualcuno che andasse a parlargli.
 
“No, io non vado, scordatelo. Sono il medico forense mica la segretaria, vai tu che sei il suo vice!” protestò Maggie.
 
Rick sapeva che non sarebbe mai riuscito a convincerla, soprattutto non quando incrociava le braccia al petto e guardava fisso negli occhi con sguardo deciso.
 
“Abraham! Abe ti prego, vai tu dal capo!” Rick chiamò il collega appena uscito dall'ascensore. Praticamente era disperato, fermava chiunque passasse, pregandolo di provare a convincere Eugene ad ascoltarli.
 
“Per cosa?” domandò curioso.
 
“Questo dannatissimo permesso!” rispose sventolandogli sotto il naso il foglio a cui mancava solo la firma. “Non ascolta nessuno, provaci tu!”
 
“Certo, amico!” gli strizzò l'occhio e gli prese il foglio dalle mani, andando a passo sicuro verso l'ufficio del capo.
 
Rick ritornò nel suo e, come sempre, gli si presentò la solita scena: Beth seduta in un angolino della scrivania con la testa china sui fogli e Daryl dalla parte opposta a... be, in realtà non faceva niente di particolare.
 
Lei alzò la testa e gli sorrise. “Allora? Ce l'hai fatta?”
 
“No, quell'uomo non ascolta mai nessuno.” rispose frustrato, sedendosi accanto alla ragazza.
 
Erano entrambi immersi nel loro lavoro quando la porta si spalancò.
 
“Niente da fare, amico.” annunciò Abraham.
 
“Come no?!” chiese Rick sconvolto. Abe era la sua ultima speranza, se non aveva ascoltato lui allora davvero non sarebbero mai riusciti ad ottenere l'attenzione di Eugene.
 
“Praticamente non mi ha nemmeno guardato! Appena sono entrato mi è sembrato di essere catapultato nella fottutissima guerra mondiale! Doveva essere nel mezzo di una qualche battaglia... Ieri sera intorno alle dieci sono passato per prendere il portafogli che avevo dimenticato in ufficio, e lui era già chiuso lì dentro a giocare! Sta tutto il giorno con il naso incollato al monitor e il joystick tra le mani! Come sia diventato capitano rimane un mistero per me.” concluse scuotendo la testa.
 
Il vicecapitano si passò una mano tra i capelli sospirando.
 
“Ci penso io.”
 
Rick si voltò incredulo; si sarebbe aspettato l'intervento di chiunque, meno che il suo.
 
“Beth, non ti offendere, ma se non ce l'ha fatta nemmeno Abraham dubito che...” lasciò la frase in sospeso, sicuro che l'avrebbe capita comunque
 
“No, ci penso io.” disse decisa.
 
Rimase un secondo immobile sulla sedia mentre guardava la ragazza prendere il foglio e dirigersi a passo di marcia verso l'ufficio. Dopo essersi scambiato un paio di occhiate con Daryl e Abraham, si alzarono tutti e tre e la seguirono. La videro chiudersi la porta alle spalle e si avvicinarono per origliare.
 
“Buongiorno Capitano, sono Beth Greene. Le chiedo un minuto del suo tempo.” Non sapeva nemmeno lei come (forse aveva solamente finito la partita), ma Eugene levò gli occhi su di lei.
 
“Sì?” chiese con tono annoiato.
 
“Secondo il calcolo delle probabilità un giocatore esperto, per quanto sia bravo, prima o poi perderà comunque una partita. Siamo esseri fallibili, è la nostra natura.” Aveva catturato la sua attenzione, la stava guardando con sguardo vigile e diffidente, ma sotto sotto riusciva a intravvedere la sua curiosità.
 
“A noi serve il permesso per fare il sopralluogo, ma non si fa mai niente per niente: le propongo una sfida. Giochiamo. Se lei vince noi ci arrangeremo, ma se vinco io lei firma.”
 
Chiaro e diretto. Se voleva che l'ascoltasse doveva fargli perdere il meno tempo possibile, e metterlo alle strette. Il Capitano Porter la guardò negli occhi e poi si abbassò per aprire un cassetto. Oddio, che stava facendo? Avrebbe tirato fuori una pistola? Ma, quando vide quello che le stava porgendo, sorrise.
 
Intanto fuori dalla porta si era ammassato praticamente tutto l'ufficio. Rick, Abraham e Jesus erano con l'orecchio incollato alla porta. Daryl di fianco a loro, era appoggiato al muro con le braccia conserte e li osservava.
 
“Ma che state facendo?” chiese Maggie avvicinandosi.
 
“Tua sorella ha pensato bene di fare la Supergirl della situazione.” disse Daryl annoiato. “E questi tre stanno spiando come vecchie zitelle alla finestra.”
 
La ragazza li guardò stupita per una manciata di secondi e poi li raggiunse appoggiando a sua volta l'orecchio contro la porta.
 
“È impazzita!” sussurrò Rick concitato girandosi verso gli altri. “Lo ha appena sfidato! Non ce la farà mai! Ho visto quell'uomo giocare più di quanto non lo abbia visto fare qualsiasi altra cosa!”
 
Rimasero in attesa, mentre dalla stanza si sentivano provenire rumori di spari, esplosioni, aerei che si schiantavano al suolo, bombe, sirene. Il tutto andò avanti per circa un quarto d'ora, poi il silenzio.
 
“Secondo voi sono morti?” sussurrò Jesus beccandosi un'occhiataccia da tutti gli altri. “Scherzavo...”
 
Dopo pochi istanti Beth spalancò la porta e tutti si allontanarono per lasciarla passare. Si voltò verso Rick porgendogli il foglio e con un sorrisino compiaciuto gli disse trionfante “Vi aspetto in macchina.” Uscì a passo deciso, mentre gli altri la osservavano allibiti chiudersi la porta alle spalle.
 
“Non posso crederci...” mormorò Rick con gli occhi ancora fissi dove poco prima c'era Beth.
 
“Certo, è mia sorella!” Maggie rise e si diresse nuovamente verso la sua scrivania.
 
“Quanto stile...” mormorò Jesus con ammirazione “Sembra di essere in un episodio di Hazzard.”
 
“Forza principini, non fate aspettare la signora!” ammiccò Abraham dando una pacca sulla spalla di Rick per svegliarlo, andandosene seguito da Jesus che rideva a sua volta.
 
“Sì, andiamo.” il vicecapitano si riscosse, rivolgendo uno sguardo al collega. Presero i giubbotti e si incamminarono verso l'uscita.
 
Daryl lo seguì mentre lo sentiva borbottare, esternando al mondo la sua incredulità. Ripensando alla scena, accennò un ghigno compiaciuto. Si era sbagliato, a quanto sembrava la chiacchierona aveva le palle.
 
§§§
 
Rimasero in auto ad aspettare che i dipendenti se ne fossero andati e le luci si spegnessero. Una volta sicuri che nessuno fosse rimasto, scesero dalla macchina e si diressero verso il retro del capannone. Come ogni magazzino, c'era una porta bloccata da un codice. Rick digitò il pin e dopo un momento di incertezza, sullo schermo si accese una lucina verde e la porta si socchiuse con uno scatto metallico.
 
Mentre erano per strada, Rick gli aveva ripetuto mille volte le regole: non toccare niente che non fosse indispensabile, indossare sempre i guanti, fare il minimo rumore ma soprattutto mai allontanarsi da lui. Dovevano cercare di lasciare tutto com'era perché se si fosse rivelata una pista corretta non potevano contaminare la scena del crimine.
 
Non aveva potuto dare una pistola ai due che lo accompagnavano perché non erano poliziotti della centrale, anche se Beth in Accademia aveva sicuramente imparato e dubitava che Daryl non sapesse usarla. Ma tant'è, quindi si dovette accontentare.
 
Accesero le torce - almeno quelle potevano usarle - e si guardarono intorno. Nel buio della sera il posto sembrava ancora più grande di quanto non avrebbero immaginato da fuori. Su una parete erano addossati quindici postazioni di lavoro con altrettante macchine da cucire, mentre dalla parte opposta un lungo tavolo ospitava centinaia di bambole vuote impilate le une sulle altre. A distanza di un metro l'uno dall'altro c'erano dei ganci a cui erano appesi dei sacchi con dentro l'ovatta.
 
Cominciarono a cercare tra le bambole vuote, nel cotone, sotto le macchine da cucire, sullo scaffale su cui c'erano i tessuti e i fili ma niente. Sembrava tutto normale. Poi sentirono un grido di spavento.
 
Beth.
 
Daryl si girò di scatto verso la fonte del rumore e corse immediatamente verso di lei.
 
“Beth?! Che succede?!” chiese spalancando la porta socchiusa di una stanzetta. Accese la luce fottendosene altamente del “non toccate niente” e quando mise a fuoco quello che si trovò di fronte, rimase immobile.
 
Qualche secondo dopo anche Rick arrivò di fianco a lui e appena vide la scena scoppiò a ridere seguito a ruota dalla ragazza. A terra, senza pantaloni e con la maglietta tirata giù a forza per cercare di coprire ciò che era inevitabilmente in bella mostra, c'era un ragazzino sbarbato, con i capelli corti e le guance in fiamme.
 
Tra le risate Beth cercò di parlare. “S-scusate se vi ho spaventati ... m-ma proprio n-non me l'aspettavo!”
 
Ci fu un'altra ondata di risate tra Rick e Beth, e anche il ragazzo accennò un sorriso imbarazzato. Daryl invece era rimasto ad osservare il tipo in silenzio con occhi guardinghi.
 
“Si può sapere chi sei ragazzino?” chiese Daryl bruscamente “E copriti, il mio cane ce l'aveva più lungo del tuo.”
 
Il ragazzo alzò di scatto la testa verso di lui e lo guardò con tanto d'occhi. Rimase immobile, senza dire nulla, come fosse sotto shock.
 
“Allora? Non mi hai sentito? Copriti!” alzò la voce l'uomo. Si avvicinò al ragazzo e lo sollevò per un braccio.
 
“Daryl! Non essere così scortese!” lo rimbeccò Beth.
 
“Cos'è? Volevi continuare a goderti lo spettacolo?” rispose con un sorrisino strafottente.
 
“Va bene, basta così. Si può sapere cosa fai qui?” li interruppe Rick, rivolgendosi poi al ragazzo.
 
“Non sono un ladro, sono il figlio della direttrice!” rispose mentre si nascondeva dietro la scrivania,  mentre si rivestiva. “E voi chi siete?” chiese sospettoso.
 
“Polizia di Atlanta, ci ha chiamati un gruppo di ragazzi che temevano fossero entrati dei ladri.” inventò di sana pianta Rick con tono sicuro. “Ma a quanto pare...” accennò un sorrisino.
 
“Ah! Ehm... capisco agenti, m-ma io non ho fatto irruzione! Ho le chiavi dell'ufficio, le ho solo prese a mia mamma! Ho cinque fratelli, non c'è mai un attimo di pace in casa nostra!” si giustificò “Chiamerete i miei genitori?” chiese con timore.
 
“No, tranquillo.” rispose Rick con un sorriso “Però sta più attento la prossima volta; cercherei un altro posto se fossi in te. Ora meglio se ce ne andiamo tutti quanti. Forza.”
 
Erano usciti dal capannone ancora ridendo.
 
§§§
 
Dopo essere tornata dalla perlustrazione, era andata subito a casa e ad accoglierla aveva trovato Maggie con due pizze calde.
 
“Sei un angelo!” le disse appoggiando la borsa vicino al divano e sorridendo a sua sorella. “Torno subito.” andò in bagno e si sciacquò le mani, poi finalmente si sedette al tavolino e prese una fetta. “Mmm... è buonissima! Avevo una fame!” disse sorridendo. Abbassò gli occhi sul cartone della pizza e un punto preciso catturò la sua attenzione. “Queste sono della pizzeria di Glenn vero?” domandò.
 
“Sì, sono davvero buonissime!” sorrise Maggie di rimando.
 
“E per caso le ha consegnate lui?” chiese noncurante.
 
“Sì, perché?” rispose curiosa.
 
Beth sorrise e le porse la sua scatola. “Credo che questa fosse per te.” ammiccò. Maggie guardò il punto indicato da sua sorella e strabuzzò gli occhi per un secondo quando vide un numero di telefono scarabocchio in un angolo del coperchio. Poi come sempre affrontò il tutto con molto stoicismo e disse semplicemente “Sì, doveva essere per me.”
 
Rimasero in silenzio per qualche secondo, Maggie continuando a mangiare la sua pizza e Beth che la fissava con un sorrisino furbo.
 
“Smettila di guardarmi così, Beth.” disse non alzando nemmeno gli occhi.
 
“Maggie... devi raccontarmi qualcosa?” domandò con tono allusivo. Quando sua sorella non rispose lo prese per un sì e chiese: “Ti piace Glenn?! Quand'è successo?!”
 
“Ehi! Io non ho detto niente del genere!” ribatté Maggie nemmeno troppo convinta.
 
“Ma non hai smentito!” disse trionfante “Allora?”
 
“Potrei averlo baciato.” rispose alla fine in tutta tranquillità.
 
“Wow! Direi che mi sono persa qualcosa!”
 
“Da quando Daryl lo ha chiamato un paio di settimane fa, tutto l'ufficio ordina da lui e praticamente ci vediamo tutti i giorni e restiamo un po' a parlare. È carino, sembra gentile e simpatico. Stasera ho ordinato e quando è venuto a portarle... niente, mi sono buttata.” liquidò il discorso.
 
“Be, a quanto vedo anche lui ha fatto la sua mossa. Cosa pensi di fare? Lo chiamerai?” la incoraggiò Beth.
 
“No, sei matta? È stato solo un bacio, mica ci siamo sposati!”
 
“Ma se tu sei interessata e lui lo è perché non provarci?” chiese genuinamente sorpresa Beth.
 
“Non so, non voglio forzare le cose. Vediamo come va.” chiuse il discorso definitivamente l'altra. “A proposito, tu hai qualche novità? Qualche notizia del tuo uomo misterioso?” domandò sottolineando le ultime parole.
 
“Daryl.”
 
“No, non dico al lavoro, intendo quel ragazzo a cui vai dietro da... quanto? Tredici anni? Hai più fatto qualche giro di pedinamento? Che tra l'altro non è proprio legale, e dovresti saperlo visto che è il tuo lavoro.”
 
 
Già. Quel ragazzo. Molti anni prima, in un giorno di pioggia, si era trovata sola al parco poco distante da casa. Sarebbe dovuta tornare, ma ad un certo punto era scoppiato un acquazzone che le aveva impedito di andare a casa. Si era riparata sul castello degli scivoli e le corde da arrampicata; era rimasta sotto il tettuccio di legno e aveva aspettato che smettesse di piovere. Le sembrava passata un'infinità di tempo quando aveva sentito un rumore. In un primo momento aveva sperato di veder comparire suo padre o Maggie, ma quando si era girata aveva visto un ragazzo alto vestito di scuro con il cappuccio della felpa nera calato sugli occhi. Era zuppo di pioggia e, quando si era scoperto il capo, due occhi l'avevano puntata vagamente sorpresi di trovarsela di fronte.
 
“Cosa ci fai qui bambina?” le chiese sedendosi su uno dei gradini che portavano allo scivolo più alto.
 
Ed allora era davvero una bambina. Aveva solo dieci anni e si era trovata davanti quel ragazzo che le era sembrato tanto grande. Era alto, molto più di lei, muscoloso e la voce bassa e lo sguardo deciso l'avevano un po' impaurita.
 
“Piove.” mormorò alla fine stringendosi nel golfino giallo. 
 
“Lo vedo anche io che piove, grazie.” disse indicandosi con un gesto brusco “Ma non ti viene a prendere nessuno? Non hai un papà, una mamma?” chiese vagamente.
 
“Sì che ce li ho!” rispose offesa “Ma papà lavora e mamma non ha la macchina. Piove troppo.” concluse con un brivido di freddo.
 
Vide il ragazzo osservarla per un paio di minuti buoni. Col senno di poi si era resa conto che probabilmente stava solo lottando con sé stesso per decidere cosa farne di lei.
 
“Sai come arrivare a casa tua?” le chiese improvvisamente.
 
“Sì, abito a soli due isolati da qui... perché?” rispose timida timida.
 
“Andiamo, ti ci porto.”
 
“Papà non vuole che parlo con gli sconosciuti. Mi ha detto che prima ti danno le caramelle e poi ti rapiscono!” rispose con più foga rispetto a prima.
 
Lui era rimasto per un paio di secondi ad osservarla. “Tuo padre ha ragione.” poi aveva sorriso e mettendosi le mani nelle tasche aveva detto “Ma io non ho le caramelle.”
 
Lei era rimasta a guardarlo rimettersi il cappuccio e girarsi verso di lei quando la vide rimanere lì ferma. “Allora, vieni con me o no?”
 
Lei si era riscossa e l'aveva seguito mentre correva giù dallo scivolo, fuori dal parco, fino ad arrivare al parcheggio di fronte. Appena saliti in macchina lui aveva acceso il riscaldamento e, facendo anche finta di niente, aveva girato il bocchettone verso di lei. Dopo un paio di minuti, quando non sentivano così freddo come prima, erano partiti. Ci avevano messo poco ad arrivare a casa e non era mai stata così felice di trovarsi davanti a quel cancello. Prima di scendere gli aveva sorriso e l'aveva ringraziato. Aveva attraversato la strada e aveva suonato il citofono. Quando si era voltata aveva visto il retro dell'auto girare l'angolo e andarsene.
 
Erano passati tredici anni. Tredici lunghi anni in cui lei l'aveva osservato da lontano. La prima volta l'aveva rivisto per caso: a dodici anni aveva ritirato un pacco per suo padre e se l'era trovato davanti. Sapeva che era lui. L'aveva riconosciuto subito nonostante fosse passato tanto tempo. Così aveva iniziato a ordinare il più possibile online. Un libro, un paio di orecchini, un lucidalabbra, gli auricolari. Non sempre consegnava lui, ma ogni volta che arrivava un pacco si premurava di rimanere sotto il portico della grande casa per aspettarlo.
 
Sapeva che pranzava spesso a una tavola calda a poche centinaia di metri dal suo liceo, e spesso e volentieri allungava la strada del ritorno verso casa per passare di lì e vedere se ci fosse. Probabilmente aveva un cane o comunque qualcuno di vicino a lui ce l'aveva, perché tutte le domeniche mattina lo vedeva correre in quello stesso parco in cui si erano incontrati la prima volta.
 
L'aveva seguito come un'ombra silenziosa. Era rimasta in disparte, non aveva mai fatto nulla, non l'aveva importunato o altro. Quando lo vedeva, si sentiva come se fosse esattamente dove avrebbe dovuto essere.
 
Vedendolo interagire con le persone, aveva imparato a conoscere i lati del suo carattere: era diffidente, brusco nei comportamenti; quando una cosa non andava bene la affrontava a muso duro e andava contro al mondo. Ma piano piano si era resa conto che sotto quella scorza di certo non si nascondeva un bel carattere, ma un uomo buono sì. Ed era questo che l'aveva fatta capitolare definitivamente. Si sentiva legata a lui come a nessun'altro.
 
 
“Ehi, Beth?” sua sorella le sventolò una mano sotto il naso, sorridendo sotto i baffi. “L'hai più rivisto?”
 
“Sì, Maggie l'ho rivisto. E non ho sbagliato risposta prima. Il "mio" ragazzo è Daryl! Il ragazzo misterioso è l'uomo con cui lavoro!”
 
Maggie spalancò gli occhi, puntò l'indice contro di lei e aprì la bocca cercando di dire qualcosa, ma tutto quello che le uscì alla fine fu “Oh cazzo.”
 
“Già...” sussurrò Beth con un mezzo sorriso.
 
“Adesso cosa pensi di fare?” chiese l'altra dopo essersi ripresa dallo shock iniziale.
 
Quando due settimane prima l'aveva visto in quella caffetteria, nella sua caffetteria, l'aveva quasi preso come un segno del destino. L'aveva riconosciuto subito e quasi ci era rimasta secca. Dava le spalle al bancone quindi stava osservando tranquillamente la porta e quando era entrata si era sentita i suoi occhi addosso. E aveva rischiato un altro infarto. Però poi, mentre ordinava la colazione, si era detta che un'opportunità così non le sarebbe ricapitata tanto facilmente e, approfittando del locale pieno, si era fatta coraggio e gli aveva chiesto se poteva sedersi con lui. Quando lui le aveva risposto con un cenno non ci era rimasta male, e nemmeno quando aveva troncato il suo tentativo di fare conversazione se l'era presa. Sapeva com'era fatto e non poteva aspettarsi niente di meno da lui, considerando che ai suoi occhi lei era un'estranea. Quando era andato via poco dopo, non aveva resistito all'impulso di guardarlo.
 
Ma la vera sorpresa era stata quando, solo una mezz'ora più tardi, era entrata nell'ufficio di Rick e l'aveva trovato seduto su una delle due sedie di fronte alla scrivania. Aveva persino finto di non accorgersi di lui, in modo da non fare figuracce e si era complimentata con sé stessa per la tranquillità con cui, esternamente, aveva gestito la notizia che avrebbero lavorato insieme. Perché se solo Daryl, Rick o qualunque altra persona nel raggio di cento metri avesse saputo leggere nel pensiero, l'avrebbero sentita urlare di gioia.
 
Non aveva ancora deciso cosa fare fino a quella sera. Quando nel capannone aveva beccato il ragazzino masturbarsi nell'ufficio della madre e aveva cacciato un urlo, subito Rick e Daryl erano accorsi. Però, mentre Rick aveva continuato a ridere come un pazzo insieme a lei, Daryl aveva tirato fuori il suo lato da duro, aveva invitato il ragazzino a coprirsi e l'aveva provocata quando lei aveva preso le parti del ragazzo. Dubitava che lui fosse imbarazzato da una situazione del genere, dato che anche Rick si era mostrato tranquillo di fronte a quella scena. 
 
E ripensandoci aveva accarezzato l'idea che lui potesse averlo fatto per lei, in qualche modo. Non voleva illudersi, ma una parte di sé ci sperava.
 
“Probabilmente non mi capiterà mai più un'occasione così. Meglio non lasciarsela scappare.”




Angolo autrice:
Anche in questo capitolo nessuna citazione (...credo :P se dovesse sfuggirmi fatemelo notare) ma era talmente ricco che si è scritto da solo e non ho avuto posto per nient'altro! Succedono tante cose: il caso va avanti, partecipano alla prima piccola "missione sul campo" e c'è un momento introspettivo in cui si comincia a capire cosa passa per la testa di Beth.
Nel corso della storia ci sarà qualche lieve accenno alla Maggie/Glenn. Sono troppo belli per non citarli e lui mi manca troppo! Dovevo in qualche modo rendergli tributo. Cosa succederà adesso? ;) Ditemelo voi! :* Come sempre ringrazio chi ha messo la storia tra i preferiti/seguiti/ricordati e chi ha recensito :) Fatemi sapere cosa ne pensate!
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Il tempo era volato e dopo la cantonata presa con il capannone di bambole, non avevano trovato nessun'altra pista. Erano passate tre settimane e non sapevano dove sbattere la testa. Mancavano poche ore all'arrivo del carico e non avevano la minima idea di come o dove si sarebbe svolto il tutto. Poteva essere via ferrovia, via mare, via aerea. Poteva arrivare anche addosso a qualcuno, per quello che sapevano. Man mano che passavano i giorni, l'ansia e la frustrazione impregnavano le pareti dell'ufficio e chi vi lavorava.
 
“Ehi, Glenn. Che ci fai qui?” domandò Rick quando lo vide uscire dall'ufficio di Abraham.
 
“Consegno pizze.” rispose con tono ovvio.
 
“A quest'ora? Sono le sei del pomeriggio.” chiese stranamente nervoso.
 
“Non è mai troppo presto o troppo tardi per una buona pizza.” ammiccò l'altro per tutta risposta.
 
“Sì, sì. Non viziarli troppo. O dovrò consentirti l'accesso alla centrale solo in determinate fasce orarie.” disse nemmeno scherzando troppo, congedandosi dal fattorino.
 
Tornò verso l'ufficio e quando aprì la porta rimase bloccato sull'uscio, con una mano sulla maniglia e le spalle irrigidite. Beth era alla sua destra, su uno dei lati corti della scrivania, con un cappuccino caldo in una mano e una matita nell'altra. Aveva letto talmente tante volte quelle carte che probabilmente non stava capendo più una parola, nonostante si ostinasse a continuare. Dalla parte opposta c'era il computer in stand by, mentre tra questo e la ragazza c'era Daryl mezzo sdraiato sulla sedia con i piedi appoggiati al piano del tavolo, a non più di una decina di centimetri dal viso della ragazza. L'unico posto rimasto libero era la sua poltrona. Tutto il resto della superficie era tappezzato di fogli che volavano ovunque e, come ciliegina sulla torta, dietro la sedia di Daryl erano impilati cinque cartoni della pizza.
 
Fece un passo avanti e richiuse la porta sbattendola con forza; Beth alzò la testa di scatto guardandolo con gli occhi spalancati, mentre Daryl si limitò a scrutarlo con sguardo interrogativo.
 
“State scherzando?!” urlò scandendo ogni parola. Entrambi continuarono a fissarlo con un lampo di genuina sorpresa. Non li fece nemmeno rispondere; quando fu sicuro di aver ottenuto la loro attenzione riprese subito la manfrina.
 
“Io non posso crederci. Sto impazzendo! Siamo dietro a questo tipo da più di due anni! Dopo mesi abbiamo una traccia e non riusciamo a venirne fuori! E voi state qui come due migliori amiche al bar! L'operazione è tra poche ore e non abbiamo la minima idea di dove avverrà la consegna del carico! Non abbiamo niente! Cristo, non potrebbe andare peggio nemmeno se mi risvegliassi nel bel mezzo di un'apocalisse zombie!” urlò indemoniato.
 
“E vi sembra il modo di tenere l'ufficio?! I piedi sulla scrivania, pieno di fogli, cartoni della pizza, bicchieri di caffè, palline di carta ovunque! State facendo salotto?! Vado a prendervi anche i pasticcini?!” nel frattempo aveva visto con la coda dell'occhio Beth dare un colpetto sulla scarpa a Daryl per invitarlo silenziosamente ad abbassare le gambe. Cosa che alla fine aveva fatto, non senza averle prima rifilato un'occhiata che diceva a chiare lettere “Devo proprio?”
 
“Sembra di stare nella giungla!” urlò fuori di sé.
 
Ci fu un momento di silenzio in cui nessuno si mosse: Rick aveva il fiato corto, quasi come se avesse appena corso la maratona. Beth era rimasta con gli occhi fissi su di lui, non lo aveva mai visto così arrabbiato in tutti gli anni che lo conosceva. Dal canto suo Daryl non aveva fatto una piega, ma quello che aveva detto l'uomo gli aveva fatto venire in mente una cosa.
 
“I boliviani...” mormorò con una strana espressione.
 
“Come?” chiese Rick arrabbiato “Hai sentito almeno una parola di quello che ho appena detto?”
 
“La Bolivia è uno dei paesi in espansione per quanto riguarda il traffico di cocaina.” disse con il tono di chi si aspetta sia tutto ovvio.
 
“Ma è la Colombia il maggior produttore.” ribatté Rick.
 
“Vero, paesi come la Colombia o il Messico sono già nel giro, ma la Bolivia è entrata da poco nel mercato. E se il nostro amico è furbo come sembra, starà trattando con i boliviani: se un boss stringe accordi esclusivi con un mercato in crescita, per quanto piccolo...”
 
“Lo conquista.” concluse Rick, con la speranza negli occhi. Era passato dalla rabbia più cieca alla calma completa nel giro di trenta secondi.
 
“Ma come facciamo a capire come la trasporteranno?” chiese.
 
“Potrebbe essere in qualsiasi modo, ultimamente la droga viene nascosta nei posti più impensabili: nelle bare, nelle scatolette di cibo per cani, nella frutta: nessuno potrebbe sospettare che si trovi lì.” rispose Daryl in tono esperto. “Di certo non possono imbottire il culo di tre coglioni per un carico enorme. Sicuramente si muoveranno via aereo o via mare. Nasconderanno tutto nella stiva di un mezzo piuttosto grande.”
 
“Quindi se devono coprire un'operazione così grossa sarà una ditta di import export o qualcosa del genere.” proseguì Rick.
 
“Sì, ma chi è l'idiota che rischierebbe così tanto? Se fosse una ditta piccola non sarebbero stati contattati, se invece fosse un'azienda importante non avrebbe senso rischiare tutto quello che hanno guadagnato.” contestò Beth. Odiava fare l'avvocato del diavolo, ma non potevano escludere nulla. Dovevano essere obiettivi.
 
“A maggior ragione, possiamo restringere il campo: o Chacòn paga bene, o l'impresa è boliviana.” disse Daryl convinto.
 
“Quindi dobbiamo solo trovare una compagnia che commercia con la Bolivia qualsiasi cosa possibile e immaginabile entro... cinque ore.” rispose frustrato Rick. “Perfetto. Un gioco da ragazzi. Insomma mi sembra una passeg-”
 
“Aspettate.” lo frenò Daryl. “Possiamo escludere le aziende americane: se non avete notato nessun movimento finanziario sospetto, l'impresa deve essere boliviana! Per quanto non mi fidi ciecamente della burocrazia, se al governo interessa una cosa è proprio l'evasione fiscale. Sono due anni che il boss commercia: se avesse pagato un'azienda lo avrebbero già beccato, almeno su quello potremmo stare tranquilli. L'unica azienda boliviana abbastanza importante che c'è in zona è la Miller Inc., commercia frutta esotica. Ha delle filiali in tutto lo stato: Atlanta, Savannah...”
 
“Oh no, proprio loro? Adoro i germogli di soia...” mormorò Beth quasi dispiaciuta. “Però mi sorge un dubbio: perché mai un'impresa boliviana dovrebbe chiamarsi "Miller Inc."? Non è per essere pignola, ma non mi sembra il cognome boliviano dell'anno.”
 
“Aspetta un attimo.” Daryl girò attorno alla scrivania e si sedette sulla poltrona di Rick, iniziando a scrivere al computer. Gli altri due intanto, lo avevano affiancato e osservano lo schermo. “Eccola. Miller Inc. Fondata cinque anni fa da... Jane e Alex Miller, fratelli.”
 
“Ma qui c'è scritto che sono americani.” contestò Beth. “E perché stai andando su Facebook?” chiese stranita.
 
“Perché... la signora Jane Miller è sposata con un certo Martìn Muñoz, nato a La Paz nel 1970.” disse trionfante qualche secondo dopo. “È boliviano. E scommetto che ha intestato la fabbrica alla moglie per non destare sospetti.”
 
Rick rimase in silenzio per qualche secondo, pensando a quante falle avesse quel piano. “Sei sicuro Daryl?”
 
“Sì! Sono boliviani, commerciano frutta esotica, il tizio ha intestato tutto alla moglie e al cognato per pararsi il culo e uno dei loro più grandi magazzini è a Savannah dove, guarda caso, si trova il porto più grande dello stato. Sono loro.” disse deciso.
 
“Cerca di capire: io non posso smuovere tutta la centrale per delle deduzioni dell'ultimo minuto, ho bisogno di sicurezze.” ribatté guardandolo intensamente.
 
“Non posso darti niente più di questo. Ma fidati del mio istinto Grimes. Mi hai assunto per quello.”
 
Rimasero occhi negli occhi per qualche secondo. L'aria divenne improvvisamente carica di elettricità e Beth si sentì quasi di troppo nella stanza. Sembravano due leoni che si fronteggiavano; c'era decisione nei loro occhi e sicurezza. Per qualche attimo che le parve infinito nessuno disse nulla, anche il resto del mondo sembrava essersi fermato. Tutto era teso e silenzioso, come in attesa di qualcosa. Alla fine, fu Rick a cedere.
 
“D'accordo. Io vado a organizzare le squadre di supporto, voi fate la richiesta e Beth...” si voltò verso di lei “lascio Eugene a te.” disse risoluto, scattando fuori dall'ufficio.
 
Entrambi si guardarono e poi Beth aprì subito il file in cui c'era il modello del permesso e cominciò a compilarlo velocemente. Cercò giusto un paio di codici, scarabocchiati come promemoria su un post-it attaccato al cassetto. Quando aveva finito erano ormai le sette. Stampò i tre fogli e si diresse verso l'ufficio del capitano sperando che non fosse già tornato a casa. Per fortuna lo trovò ancora incollato alla sedia, senza nessuna intenzione apparente di allontanarsi dal suo schermo e dai suoi giochi.
 
“Salve Capitano! Avrei bisogno di una sua firma per autorizzare l'operazione di stanotte. Quella del carico di cocaina.” spiegò velocemente, lasciando il foglio sulla scrivania, con affianco una penna già aperta. Lui non disse nulla, prese la penna e firmò dove lei aveva segnato con una crocetta, per poi far scorrere il modulo verso di lei. “Buona serata signorina Greene.”
 
Lei si congedò e si richiuse la porta alle spalle. Quando si girò vide Jesus di fronte a lei, che evidentemente aveva sentito la conversazione. Il ragazzo allargò le braccia come per dirle “Non ho idea di come tu faccia” e scosse la testa sorridendo.
 
Tornò in ufficio e anche se era passato un quarto d'ora trovò Daryl esattamente come l'aveva lasciato: seduto su una sedia, con il capo riverso che guardava il soffitto. Senza dire nulla, riprese posto alla scrivania e, una volta trovato ciò che le serviva, sollevò la cornetta e compose il numero. Attese qualche istante e dopo un paio di squilli, le rispose una donna dalla voce chiara e formale.
 
“Buonasera, ufficio del Giudice Turpin, desidera?”
 
“Chiamo dal distretto 23 di Atlanta, avrei bisogno di parlare col Giudice.” disse cordiale ma decisa.
 
“Mi spiace ma non credo sia possibile, è tornato a casa mezz'ora fa.” rispose quella.
 
“Potrebbe dirmi dove abita?” chiese speranzosa.
 
“Signorina, se dessi il suo indirizzo a tutti quelli che me lo chiedono mi avrebbe già licenziata. Non posso proprio, buona serata.” concluse, sbattendole il telefono in faccia.
 
“Be, grazie tante.” disse Beth sarcastica anche se la segretaria non poteva più sentirla. Sbuffò, appoggiando i gomiti sulla scrivania e portandosi le mani alla fronte.
 
“Che succede?” le domandò Daryl ancora immobile, ad un certo punto.
 
“Il giudice non è in ufficio. Giustamente.” aggiunse con gli occhi chiusi.
 
“Quindi?” chiese incolore.
 
“Quindi non possiamo fargli firmare il permesso. Ho chiesto alla segretaria dove abita, ma praticamente mi ha riso dietro.” mormorò frustrata.
 
“Andiamo.” disse lui alzandosi.
 
“Dove dovremmo andare, scusa?” gli chiese alzando gli occhi su di lui. Pensò che la stesse prendendo in giro.
 
“Dal giudice. Ti serve una firma, no?” rispose in tono ovvio.
 
“Ma io non so dove abita.” ribatté.
 
“Io sì.”
 
§§§
 
Durante questi anni, si era immaginata spesso come sarebbero potute andare le cose fra lei e Daryl se ne avessero avuto l'occasione. Si era inventata tante di quelle situazioni che ormai non erano più film mentali, erano dei veri e propri lungometraggi con titoli di testa, colonna sonora, titoli di coda e applauso alla fine.
 
Gli sembrava quasi di aver vissuto un'altra vita parallela alla sua. Una vita in cui c'erano solo loro.
 
Si era immaginata come sarebbe stato uscire con lui, come si sarebbero avvicinati; i primi sguardi, le mani che si sfiorano, un braccio attorno le spalle, due braccia attorno al collo. Aveva pensato a quanto sarebbe stato bello portarlo nella casa in campagna e fargli conoscere Nervosa Nelly. In qualche modo aveva la sensazione che i due sarebbero andati d'accordo. Gli sembravano molto simili sotto certi aspetti.
 
Ma uno dei suoi “sogni” più ricorrenti era immaginare loro due in moto. Un pomeriggio era in giro con la sua amica Jeananne e mentre erano sedute ad uno dei tavolini della gelateria l'avevano visto passare su una motocicletta fantastica. La sua amica non era sicura che fosse lui, ma lei non aveva dubbi. Ebbe la conferma poco tempo dopo quando un pomeriggio lo vide mentre usciva da scuola. Da quel momento aveva pensato mille volte a loro due che, in sella alla due ruote, volavano ovunque.
 
Mai nella vita però avrebbe immaginato che quel sogno potesse diventare realtà! E invece eccoli che sfrecciavano veloci tra le auto per la via principale della città. Lui le aveva lasciato il suo casco, dicendo di non volerla sulla coscienza, e adesso i suoi capelli lunghi le solleticavano il naso. Il seno aderiva alla schiena di Daryl e sentirlo appiccicato a lei in praticamente ogni punto - le gambe, i fianchi, il corpo - le aveva dato la stessa sensazione che si prova quando manca l'aria. Aveva le braccia strette attorno al suo petto ampio e poteva sentire il cuore battere regolare, a differenza del suo che sembrava un uccellino in gabbia che sbatteva le ali. Sperava che in qualche modo lui fosse concentrato sulla guida e non su di lei, o si sarebbe sotterrata viva se si fosse accorto di quanto galoppava.
 
Non erano mai stati così vicini e le sudavano le mani al solo pensiero. Aveva cercato di dissimulare il più possibile e alla fine si era comportata con abbastanza naturalezza. Dopo qualche minuto che erano partiti si era fatta i complimenti per essere riuscita a gestire la cosa senza ripercussioni fisiche evidenti. Tranne il leggero rossore che le colorava le guance, non c'era nessun segno che mostrasse il conflitto interiore che stava vivendo.
 
Arrivarono di fronte una villa lussuosa dopo quello che le era sembrato troppo poco tempo.
 
Con le gambe molli, scese dalla motocicletta e si tolse il casco, mentre aspettava che lui mettesse il cavalletto e la seguisse. Salirono gli ampi gradini all'ingresso e sospirando, suonò il campanello.
 
Pochi istanti dopo la porta si aprì rivelando una bella donna con i capelli castano chiari e un sorriso gentile. Era elegante seppur si trovasse in casa, ma molto semplice e sobria. Beth ebbe la sensazione di trovarsi davanti a una di quelle donne che, indipendentemente, posseggono grazia e classe.
 
“Buonasera, voi siete?” domandò
 
“Buonasera signora Turpin. Non disturberemmo mai suo marito, ma si tratta di una questione di vitale importanza, possiamo vederlo?” rispose Beth cercando di non risultare troppo impaziente.
 
“Ve lo chiamo subito.” richiuse la porta dietro di sé e si allontanò a piccoli passi. Attesero qualche minuto, che Daryl aveva riempito borbottando a mezza voce, e poi la porta si riaprì.
 
Sull'uscio comparve un uomo alto, piuttosto magro, con il viso asciutto, la barba ben rasata e i capelli corti screziati di bianco sulle tempie. “Mia moglie mi ha detto che mi cercavate. Chi siete?” domandò cortese ma piuttosto distaccato.
 
“Siamo della polizia di Atlanta, distretto 23. Non l'avremmo mai importunata fuori dal lavoro, ma meno di un'ora fa abbiamo scoperto dove sarà consegnata una grossa partita di cocaina e ci serve la sua firma per poter intervenire.” partì in quarta Beth.
 
L'uomo la osservò per un momento e poi disse: “Vede signorina, prima di firmare dovrei leggere il verbale e assicurarmi che sia lecito autorizzare l'operazione. Il che non avverrebbe prima di domattina, glielo assicuro. Mi spiace ma avete fatto strada per niente.”
 
Beth sentì dietro di sé Daryl prendere fiato come se volesse urlare addosso all'uomo di fronte a lui, e sapeva che lo avrebbe fatto, così si costrinse a parlare in modo da interromperlo ancora prima che incominciasse.
 
“Signor Giudice, a noi serve assolutamente l'autorizzazione, è un mese che io e i miei colleghi cerchiamo una soluzione a questo caso e finalmente ci siamo arrivati, quindi non ci faremmo fermare da una misera firma.” ribatté decisa.
 
“Mi ascolti signorina, ma chi si crede di essere?” rispose quello con un lampo di nervosismo negli occhi.
 
“Sono la figlia del generale Hershel Greene, se proprio vuole saperlo.”
 
“Ah! La figlia del generale! Questa è buona! Giuro, la più fantasiosa di tutte!” la prese in giro l'uomo, grondando sarcasmo da ogni sillaba.
 
Beth lo guardò socchiudendo gli occhi fino a farli diventare due tagli affilati. Non funzionava molto quello sguardo solitamente, ma doveva provare almeno a fingere. Tirò fuori il cellulare, compose il numero e quando le risposero, sorrise.
 
“Ciao papà! Tutto bene lì? Sì, qui tutto a posto grazie. Sai, ero in ufficio poco fa e non hai idea di chi abbia appena incontrato! Il Giudice Turpin!” fece una breve pausa “Certo, è proprio qui di fronte a me.” e con un sorrisino angelico passò il telefono al giudice.
 
L'uomo spalancò gli occhi e dopo un momento di sorpresa si schiarì la gola. “T-tutto a posto grazie. La sua signora sta bene? ... Sì, me la saluti. ... Lo farò senz'altro, buona serata.” ripassò il telefono a Beth.
 
“Ciao papà, salutami la mamma. A presto.” e chiuse la conversazione. Dopo aver riposto il telefono nella tasca del giubbotto, allungò il foglio verso il giudice e disse “Tutto suo.”
 
Lui la guardò male per qualche secondo ma poi prese il foglio e appoggiandosi al mobiletto all'ingresso, firmò.
 
“Grazie mille signore, buona serata.” rispose lei gioviale quando lui le riconsegnò il plico di fogli.
 
Beth e Daryl tornarono verso la moto, e mentre lei si allacciava il casco lo sentì dire qualcosa.
 
“Non ho sentito, cos'hai detto?” chiese incuriosita.
 
“Ho detto che non ti ci facevo.” ripeté lui.
 
“Come?”
 
“Un po' stronzetta.” e con un ghigno divertito, ripartì.
 
§§§
 
“Forza, tutti in macchina! Muoversi! È un viaggio di tre ore come minimo!” Rick lanciava ordini a destra e manca.
 
“Finalmente siete tornati!” disse non appena vide Beth e Daryl scendere dalla moto. Prese il foglio dalle mani della ragazza e una volta che vide tutte le firme al loro posto le prese le mani e gliele baciò. “Sei fantastica!” sorrise. “Ora a bordo, veloci!”
 
In tutto ciò, c'era un agente in particolare che si divertiva parecchio. Jesus, al secolo Paul Rovia, sarebbe rimasto ad Atlanta perché nel caso in cui i sospetti si fossero rivelati fondati, e il carico sarebbe stato consegnato dalla Miller Inc., sarebbe andato ad arrestare immediatamente Martìn Muñoz.
 
Quindi, mentre tutti gli altri agenti correvano su e giù come impazziti, lui se ne stava appoggiato a un muro con le braccia incrociate ad osservarli. Seguì i colleghi sul retro quando si misero in macchina e prima che partissero si mise di fronte all'auto in cui c'erano Rick, Daryl e Beth e urlò “Un sorriso per la stampa!”
 
Beth sorrise, più che altro per quanto divertente fosse il ragazzo, Rick lo guardò incredulo mentre Daryl si limitò a sollevare un sopracciglio. Poi, lui e la sua macchina fotografica si levarono di mezzo appena in tempo per non essere investiti.
 
§§§
 
Erano in viaggio da più di due ore e mezza ormai. Doveva essere questione di tempo prima di arrivare, e infatti dopo una decina di minuti l'auto rallentò e Rick accostò sul ciglio della strada. In lontananza Beth riusciva a vedere il porto, la luce della Luna che colpiva l'acqua e illuminava le onde, gli alberi maestri delle barche e le grandi ciminiere delle navi commerciali. Forse era la notte, ma le sembrava tutto straordinariamente magico.
 
In più era su di giri anche perché avrebbe preso parte alla sua prima missione! La sua prima vera missione sul campo!
 
Vide Daryl e Rick scambiarsi un'occhiata e poi quest'ultimo si girò verso di lei con espressione colpevole e le disse “Mi dispiace Beth.” scesero dall'auto nello stesso momento e sentì l'inequivocabile rumore delle chiusure di sicurezza.
 
“Ehi! Rick! Non potete lasciarmi qui! Daryl! Aprite subito questa macchina! Apritela! Non ci posso credere! Non provate a lasciarmi qui!” urlò mentre cercava un qualche modo per forzare le portiere. “Cosa pensate che sia? Una stupida? Be, vi do una notizia: è anche grazie a me se siete a questo punto! Brutti stronzi!” nell'impeto di cercare una via di fuga aveva scavalcato i sedili e si era messa al posto del passeggero, nel vano tentativo di liberarsi. “Vaffanculo!”
 
Si era lasciata cadere sul sedile e, con le braccia incrociate, era rimasta immobile.
 
Fuori dalla vettura, intanto, i due uomini avevano sentito tutto perfettamente. Erano rimasti a guardarsi per qualche istante e poi Rick aveva parlato: “Non posso portarla... Non posso metterla in pericolo. Sarà un casino laggiù, se devo preoccuparmi anche di tenerla al sicuro sarà anche peggio.”
 
“Lo so. Lasciamola qui, non è una neonata. È grande e vaccinata, può resistere qualche ora in macchina.” rispose Daryl iniziando a camminare verso il porto.
 
“Ehi, dove vai?” chiese Rick mettendogli una mano sulla spalla.
 
“Mi sembrava che ci fosse una missione.” disse Daryl.
 
“Sì, ma neanche tu puoi venire.” Quando vide l'altro assottigliare lo sguardo, si spiegò subito. “Non è che io non mi fidi, ma mentre i miei uomini stanno facendo il loro lavoro, voi siete un consulente e una stagista sotto la mia diretta responsabilità! E per quanto bravi e competenti, rimanete comunque tali. Prima nella fretta di partire non ci ho pensato, ma ora è tempo di fermarsi, non posso farvi proseguire più di così. Non posso mettervi in pericolo.”
 
Daryl lo guardò ma poi, con un sospiro, scosse la testa. Rick gli lanciò le chiavi e senza voltarsi raggiunse una macchina parcheggiata a pochi metri da loro.
 
Bene. Adesso doveva farsi anche tre ore di autostrada per tornare ad Atlanta, di fianco a quella ragazza che, come minimo, lo avrebbe ammazzato. Si avvicinò cautamente all'automobile e aprì piano lo sportello, quasi temendo che lei potesse saltargli addosso e fuggire. E invece  era rimasta in silenzio, immobile e tesa con le braccia conserte, mentre guardava fuori dal finestrino.
 
Per la prima mezz'ora era stato contento di quel silenzio: poche parole, pochi problemi. Ma quando, dopo due ore di viaggio non aveva detto nemmeno una parola, aveva iniziato a fargli seriamente paura. C'era un motivo se a volte la chiamava chiacchierona. E invece sembrava talmente furiosa da non riuscire a dire niente. La verità era che avrebbe preferito che gli facesse una bella sfuriata piuttosto che starsene zitta. Era quasi inquietante: se davvero era così arrabbiata da non voler parlare allora era molto più nei guai di quanto non avesse temuto.
 
Stavano per rientrare ad Atlanta quando si ricordò di una cosa.
 
Jesus.
 
Beth sapeva che il ragazzo era rimasto in città per arrestare Muñoz, e se avesse portato quella pazza a casa, come minimo si sarebbe gettata nelle mani del truffatore per catturarlo o chissà che altra stronzata avrebbe fatto. In ogni caso una cosa gli era chiara: almeno per quella notte non avrebbe potuto lasciarla sola. Così, arrivato al bivio che divideva il centro dalla periferia, prese la strada a destra diretto verso casa sua.




Angolo autrice:
Eccoci arrivate alla fine del quinto capitolo! Non ho messo l'asterisco della citazione in quanto non lo è, ma il Giudice Turpin è un chiaro omaggio al personaggio di Alan Rickman in Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street. Amavo quell'uomo.
Che dire, finalmente si entra in azione! Spero che le parti in cui sono descritte tutte le cose più "tecniche" e meno romantiche siano comunque verosimili e soprattutto non annoino. Insomma, per quanto sia una fan di Sherlock non sono una detective :P Come sempre ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e chi ha recensito :) Fatemi sapere che ne pensate, a settimana prossima!
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Dopo aver proseguito per la periferia, si erano destreggiati in un dedalo di stradine a senso unico. Daryl non aveva nessuna fretta: più tempo avrebbero passato in macchina, più tardi quella sorta di equilibrio si sarebbe spezzato. Erano rimasti in silenzio per ore, con il rumore del motore come unico sottofondo e temeva che se le avesse parlato sarebbe scattata. Percepiva il nervosismo della ragazza accanto a sé, sul sedile del passeggero: era come una bomba silente pronta ad esplodere in qualsiasi momento.
 
Alla fine non poté più rimandare l'inevitabile e arrivò sotto casa sua. Parcheggiò l'auto davanti alla porta e appena la spense, saltò giù velocemente.
 
“Scendi.” le disse sbrigativo, chiudendosi la portiera alle spalle.
 
Beth non disse nulla; slacciò la cintura, scese dalla vettura e con un colpo secco chiuse lo sportello. Quando si girò vide Daryl sull'uscio che la guardava, invitandola ad entrare. Dopo qualche attimo in cui l'orgoglio le urlava di non seguirlo, scese a patti con sé stessa, ben conscia che non sarebbe potuta rimanere lì fuori con il freddo che faceva a quell'ora della notte. Attraversò il piccolo marciapiede ed oltrepassò la soglia che Daryl stava tenendo aperta per lei.
 
“Su per le scale.” lo sentì dire alle sue spalle.
 
Piuttosto controvoglia salì la rampa di fronte a sé. Nel piccolo ingresso non c'erano porte che conducevano ad altre stanze: l'unico oggetto d'arredamento visibile erano le scale quindi, in un momento di lucidità in cui stava lanciando qualche occhiata qua e là, aveva dedotto che la casa vera e propria si trovasse al piano superiore.
 
I gradini conducevano direttamente nella zona giorno, e doveva ammettere che si era aspettata di trovare molto più disordine di quanto non ce ne fosse in realtà. Addossata alla parete di sinistra c'era una cucina con il minimo indispensabile: un lavandino e il piano cottura, divisi da un piccolo ripiano libero. Accanto alla cucina c'era un mobiletto basso su cui era posata la tv. Di fronte alle scale c'era una portafinestra che durante il giorno doveva far entrare molta luce mentre a completare il tutto c'erano, nel mezzo della stanza, due poltrone rivolte verso la televisione e tra quelle un tavolino quadrato. Alla sua destra vide due porte scorrevoli chiuse.
 
Si costrinse a non fare la ficcanaso e, ancora con la rabbia che le scorreva nelle vene, procedette spedita e si appoggiò alla cucina con le braccia conserte, guardando la porta di fronte a sé. Con la coda dell'occhio vide Daryl andare in giro per la stanza raccogliendo qualche sacchetto di carta in cui doveva esserci stato del cibo d'asporto e gettare tutto in un cestino sotto il lavello, accanto a lei. Prese un biglietto appoggiato sul tavolino e, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, digitò il numero.
 
“Ciao. ... Daryl, due pizze margherita. ... No senza bibita. ... Sì, a casa” riattaccò e poi si sedette su una delle due poltrone, aspettando che arrivasse l'ordine. Circa mezz'ora dopo, passata nel silenzio più assoluto da parte di entrambi, finalmente suonarono al citofono.
 
Daryl si alzò e scese di nuovo le scale. Quando aprì la porta si ritrovò di fronte Glenn che, sorridendo, lo salutò allegramente: “Ehi amico! Abbiamo ospiti stasera?” In effetti era raro che ordinasse più di una pizza; gli unici casi in cui ne ordinava due era perché c'era Merle in casa.
 
“Ma sei l'unico fattorino che possono permettersi?” gli domandò sorpreso di trovarselo davanti anche a quell'ora della notte. Quella pizzeria era fantastica perché, oltre a fare pizze molto buone, rimaneva aperta ventiquattrore su ventiquattro, per sei giorni a settimana. “Quant'è?” proseguì tralasciando volutamente la domanda del ragazzo e prese il portafogli.
 
“Dieci dollari.” rispose il fattorino prendendo le pizze dal contenitore e porgendogliele.
 
Dopo aver preso i soldi, Glenn risalì sul motorino e prima che chiudesse la porta gli disse con tono piuttosto ambiguo “Buona serata!”
 
Daryl si assicurò che la porta fosse chiusa a chiave e poi tornò di sopra. Beth non si era mossa, ma quando aveva sollevato lo sguardo l'aveva beccata osservarlo con un'espressione indecifrabile. Sembrava quasi che stesse pensando a come ammazzarlo facendolo passare per un incidente.
 
Posò lo due pizze sul tavolino e ne allungò una verso di lei.
 
“Tieni.” le disse solamente.
 
Gli sembrava troppo strano non sentirla parlare. Di solito era lui quello che diceva poco e niente. Sapeva come gestire le cose quando era lui a stare zitto. E raramente le altre persone non parlavano, soprattutto se incazzate nere come lo era chiaramente lei in quel momento. Ma vedendola lì, che lo scrutava senza dire una parola, non capiva più niente. Santo Dio, non sapeva gestirla! Avrebbe preferito che gli urlasse dietro: quello era il suo campo e sapeva come muoversi, ma così non aveva idea di cosa le passasse per la testa e di cosa avrebbe dovuto o potuto fare.
 
Lei lo aveva osservato per un momento e i suoi occhi blu gli erano sembrati in tempesta, poi aveva fatto qualche passo verso di lui e si era seduta a terra, ai piedi del tavolino. L'aveva vista aprire il cartone e prendere la prima fetta. Lui intanto le aveva dato le spalle per tirare fuori dal frigorifero una birra e una lattina di Coca Cola, che aprì per poi posare in centro al tavolino.
 
Prima di sedersi anche lui a mangiare, andò in camera e in mezzo ai cassetti trovò due tovaglioli di stoffa che probabilmente non aveva mai usato in vita sua. Per fortuna era un tipo abbastanza ordinato; si rese conto che gli avrebbe dato fastidio se lei fosse entrata in casa sua e avesse trovato un porcile.
 
Quando tornò nell'altra stanza si sedette su una delle due poltrone pronto per gustarsi la cena ma appena sollevò lo sguardo su di lei la vide che masticava l'ultimo boccone. Aveva lasciato indietro tutte le croste, ma praticamente aveva finito.
 
Non era possibile! Era stato via meno di cinque minuti!
 
Si accorse di essere rimasto lì a guardarla sgomento, quando lei per tutta risposta si era leccata le dita con piccoli schiocchi, mantenendo gli occhi fissi nei suoi.
 
Cercò di ignorare quei continui gesti di sfida; stava perdendo la pazienza. Di solito era lui quello che sfidava e innervosiva le persone. Non era abituato a starsene calmo, fingendo che tutto quello che aveva fatto da quando erano entrati non gli avesse dato fastidio. Anche il suo silenzio era una presa di posizione. Si allungò verso le bibite per prendere la sua birra, ma lei fu più veloce: con uno scatto prese la bottiglia di vetro e portandosela alle labbra bevve un lungo sorso.
 
Sapeva che la stava guardando con quello sguardo; era un po' da prepotenti comportarsi così a trent'anni suonati, ma quando qualcosa lo innervosiva assumeva automaticamente quell'espressione di minaccia. Lei però era rimasta imperturbabile e non aveva abbassato lo sguardo.
 
Sbuffando aveva ripreso il telefono e dopo aver fatto il numero della pizzeria, ne aveva ordinate altre due. Beth intanto era rimasta a fissarlo mentre finiva di mangiare e poi lo aveva seguito con gli occhi quando il campanello aveva suonato di nuovo. Una volta tornato al piano di sotto aveva lasciato le pizze esattamente dove aveva messo le altre e si era seduto per mangiare.
 
Daryl aveva appena dato un morso all'ultima fetta rimasta e con la coda dell'occhio aveva visto che lei aveva già finito; lo osservava dal basso in su, con le braccia incrociate e quell'espressione di sfida di poco prima.
 
Ancora prima di rendersene conto aveva già richiamato la pizzeria per ordinarne un'altra.
 
Quando il campanello aveva trillato per l'ennesima volta, si era praticamente precipitato giù per le scale e aveva girato nervosamente la chiave nella toppa. Aprì la porta si era trovò davanti Glenn, che lo osservava a metà tra lo stranito e il divertito. 
 
“Cinque dollari.” disse automaticamente.
 
Daryl aveva la banconota già pronta e gliela porse, prendendo velocemente la sua pizza. Stava per chiudere la porta quando il fattorino gli chiese ridendo “Ma si può sapere quanti siete lì dentro?”
 
Daryl rimase un attimo con la porta socchiusa e rispose “Io, più uno.” per poi sbattere la porta in faccia a un Glenn piuttosto sorpreso.
 
Quando tornò al piano di sopra mise la pizza in mezzo al tavolino, proprio tra loro due, e si guardarono. Lui prese una delle quattro fette in cui era divisa e se la portò alle labbra, invece Beth afferrò direttamente mezza pizza e la piegò in due. Daryl riuscì a finire a stento quella fetta e la lasciò cadere su uno dei cartoni accanto a sé. Lei intanto non mollava. Dopo un paio di minuti in cui non era riuscita a fare più di un morso la fermò.
 
“Basta. Hai vinto.” le disse pensando che così l'avrebbe accontentata. Ma lei per tutta risposta aveva dato un altro morso alla sua fetta.
 
“Dai, smettila!” Si era sporto verso di lei, togliendole la pizza dalle mani e allontanando anche il cartone.
 
“Adesso non posso nemmeno più decidere quanto mangiare?!” sbottò lei, alzandosi in piedi. 
 
“Tutti mi considerate una bambina! Mio padre mi ha mandata a fare questo stupido stage per tenermi lontana dal pericolo, come se io non me la sapessi cavare! Guarda caso, proprio nel distretto in cui ci sono sia mia sorella che Rick! Come se l'addestramento all'Accademia fosse valido per tutti meno che per me. Arrivata in centrale speravo di poter dimostrare quello che sono, ma no! A me "tocca il lavoro d'ufficio"! Io sono utile solo quando si tratta di farsi ascoltare dal capo, perché se invece voglio prendere parte a un'operazione è troppo pericoloso! Beth non può! Perché Beth è piccola, Beth è fragile, Beth non ha esperienza! Mi avete costretta a tornare ad Atlanta quando l'unico posto dove volevo essere era con la squadra, a Savannah! Non posso bere un sorso di birra che mi guardi come se fossi un'aliena! Persino tu mi vedi come una bambina!” urlò infuriata a voce sempre più alta.
 
Daryl si alzò in un impeto di rabbia e la fronteggiò: tra loro c'era solo il tavolino a separarli, ma i volti erano vicini.
 
Guardò Beth negli occhi; aveva il fiatone, sollevava il petto velocemente e il suo respiro gli solleticava il mento. 
 
Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa. Anzi, mentre lei gli urlava contro, nella sua testa si erano andate formando le parole esatte con cui avrebbe potuto rispondere per le rime. Ma quell'ultima frase lo aveva spiazzato. Era stato come ricevere una doccia fredda; come quando, salendo le scale, pensi che ci sia un altro gradino e invece il tuo piede scende nel vuoto.
 
Persino tu mi vedi come una bambina.
 
Quella frase aveva cancellato tutto dalla sua mente come una spugna.
 
Si era accorto di avere anche lui il fiato corto, come se quello che aveva solo osato pensare lo avesse provato. Sbatté le palpebre e si riscosse, come se si fosse reso conto solo in quel momento di quanto fossero vicini. Si allontanò bruscamente e le diede le spalle per qualche istante.
 
Quando si girò di nuovo, Beth lo stava guardando con gli occhi spalancati.
 
Per un momento si spaventò. Che cosa aveva visto? Che si fosse accorta di cosa aveva pensato, in qualche modo? Perché non lo avrebbe mai ammesso, ma lei si sbagliava.
 
Quasi sospirò di sollievo quando la vide portarsi una mano allo stomaco e l'altra alla bocca per reprimere un conato. Capendo la situazione, aprì velocemente la porta alle sue spalle e lei lo seguì senza dire una parola. Quando entrò nel bagno andò dritta verso il lavandino e aprì il rubinetto, ma lui senza troppe cerimonie lo chiuse e la fece inginocchiare davanti al water.
 
“Stai lì, fidati.” le disse. Giusto il tempo di raccogliere i capelli biondi della ragazza tra le sue mani, che il primo urto di vomito le salì su per la gola.
 
La sentì scuotersi e tremare sotto le sue dita. Di certo avrebbe passato un brutto quarto d'ora, ma d'altra parte se non fosse stata così ostinata nel dimostrare a tutti i costi che non era una bambina - e in che modo contorto, tra l'altro! - si sarebbe risparmiata tutto quel malessere gratuito.
 
Aspettò che fosse lei a dirgli quando avesse finito. Dopo una decina di minuti Beth aveva sputato un po' di saliva amara e, facendogli segno con la mano, aveva sollevato il capo. Inspirava ed espirava profondamente, cercando di riprendere a respirare normalmente. La sua pelle candida era ancora più pallida di quanto non l'avesse mai vista, gli occhi erano lucidi e le labbra avevano perso colore.
 
“Scusami.” mormorò alzandosi in piedi.
 
Per tutta risposta Daryl borbottò qualcosa di incomprensibile che assomigliava più a un grugnito. Prese un asciugamano dal mobiletto sotto il lavandino e il colluttorio dall'armadietto e li posò sulla mensola.
 
“Tieni. Se hai bisogno chiama.” disse e poi uscì, lasciandola sola. Che serata del cazzo. Tutte a lui. Non credeva in Dio, ma da qualche parte doveva esserci una forza mistica che gli remava contro.
 
Andò in camera e cercò qualcosa con cui lei potesse dormire, ma mentre rovistava tra i cassetti si diede da solo dell'idiota: che cazzo gli prendeva?! Stava impazzendo davvero. Richiuse con uno scatto il cassetto delle magliette e andò verso il comodino. In mezzo ai calzini trovò una confezione di pasticche di paracetamolo. Ne prese una e tornò nell'altra stanza. Trovò un bicchiere di plastica nella credenza e lo riempì d'acqua.
 
Quando si girò verso il tavolino vide Beth accoccolata nella poltrona, con le gambe a penzoloni dal bracciolo e la testa appoggiata allo schienale. Aveva gli occhi chiusi, un'espressione rilassata e tranquilla, nonostante si vedesse ancora che era stata male.
 
La guardò per un attimo indeciso, poi si avvicinò al tavolino su cui posò la pasticca e il bicchiere, e se ne andò chiudendosi in camera. Si sedette sul letto e sospirò. Forse era davvero finita. Si tolse le scarpe scalciandole lontano, seguite dai calzini. Sul letto trovò i pantaloni della tuta che usava per dormire; si svestì e li indossò, rimanendo a petto nudo. Casa sua era piuttosto calda e in ogni caso odiava dormire fasciato come una mummia.
 
Si sdraiò e si coprì fino alla vita col piumone. Erano le quattro.
 
Non si era reso conto di essere tanto stanco finché non aveva posato la testa sul cuscino. Si addormentò pochi minuti dopo.
 
§§§
 
Quando Beth aprì gli occhi, tutto era immerso nel silenzio. Rimase per un po' sulla poltrona a ripensare a quella giornata. Le era sembrata lunghissima. Sembrava passato così tanto tempo da quando erano nell'ufficio di Rick o a casa del giudice.
 
Alzò la testa per cercare Daryl con lo sguardo. Chissà dov'era andato. Tirò giù le gambe dal bracciolo della poltrona e si raddrizzò nella seduta. Sul tavolino accanto a lei trovò un bicchiere d'acqua e una pasticca. Un sorriso le sorse spontaneo sulle labbra. Prese la pastiglia e in quel momento si chiese dove fosse finito l'uomo.
 
Controllò l'ora: erano le quattro e venti. Aveva chiuso gli occhi solo una mezz'oretta per riposarsi; dopo essere stata male le era venuto un forte mal di testa. Scese le scale in punta di piedi per controllare che Daryl non fosse uscito; le chiavi però erano ancora nella serratura. Tornò di sopra e aprì la porta del bagno lentamente. Niente anche lì. Rimaneva solo la camera.
 
Prima non aveva prestato attenzione a cosa significasse tutta quella situazione, ma ora che si era calmata poteva vederlo chiaramente: era in casa sua. Era in casa dell'uomo a cui pensava da più di dieci anni! E stentava a crederci.
 
Si avvicinò alla porta della camera e mise una mano sulla maniglia. Il cuore prese a batterle un po' più veloce. Fece scorrere l'anta piano piano, cercando di fare meno rumore possibile. La stanza era immersa nell'oscurità e ci mise un po' ad adattare la vista. Quando vide quello che aveva davanti quasi le venne un colpo. Daryl. A letto. Nudo.
 
Quelle semplici parole le fecero andare in tilt il cervello per qualche secondo.
 
Era bellissimo.
 
Si avvicinò lentamente, cercando di respirare piano, e stando attenta a non fare rumore o sbattere contro qualcosa. L'istinto di sopravvivenza le disse solo una cosa: scappa. Per la salvaguardia della sua sanità psicofisica e mentale avrebbe dovuto rintanarsi il più possibile lontana da lui. Se solo si fosse svegliato l'avrebbe ammazzata. D'altra parte pensò alla conversazione che aveva avuto con Maggie: doveva buttarsi. Tra le due era sua sorella la ribelle della famiglia, ma non avrebbe mai avuto una seconda occasione se si fosse fatta scappare questa.
 
Così, cercando di reprimere la sua parte razionale, fece il giro del letto, si tolse le scarpe e, delicatamente, si sdraiò vicino a lui. Daryl si teneva la mano destra posata sullo stomaco, mentre il braccio sinistro era steso sul cuscino accanto a sé. Sembrava quasi che la invitasse a dormire con lui! Non era così, ma era una tentazione che non riuscì a reprimere.
 
Rimase ferma qualche istante per assicurarsi che lui non si fosse accorto di lei, ma che continuasse a rimanere immerso nel suo sonno profondo. Quando lo sentì respirare lentamente, prese coraggio e si avvicinò ancora. Si mise su un fianco e si accoccolò sulla sua spalla, posando una mano all'altezza del suo cuore.
 
Pensava che sarebbe stata talmente agitata che mai sarebbe riuscita a prendere sonno, e invece dopo pochi minuti si addormentò, cullata dai battiti del cuore di Daryl.
 
§§§
 
Era in quel particolare momento del sonno di cui non ci si ricorda nulla una volta svegli, a meno che qualcosa non ci disturbi, ridestandoci; quella sorta di dormiveglia tra un sonno profondo e l'altro. Daryl aveva provato a voltarsi su un fianco, ma qualcosa l'aveva bloccato.
 
Per un momento era rimasto immerso nei fumi del sonno, con gli occhi chiusi a bearsi del calore accanto a lui. Un momento... calore? Com'era possibile? Girò il viso verso sinistra e qualcosa gli solleticò il naso. Profumava. Alzò di scatto la testa e socchiuse gli occhi per cercare di mettere a fuoco la stanza buia. Ancora intontito, si guardò intorno per qualche secondo prima di posare gli occhi sul corpo accanto a sé.
 
Cazzo.
 
Gli venne quasi un infarto. Che cosa ci faceva lì?! Come ci era arrivata?! Si era addormentata sulla poltrona! Com'è che ora era accoccolata accanto a lui, anzi su di lui, e lo abbracciava stretto?! Lo sapeva: l'avrebbe portato al manicomio. Che cazzo gli diceva la testa ultimamente?
 
Per un momento aveva pensato di alzarsi semplicemente dal letto e di andare su una delle due poltrone ma, anche se lo aveva nascosto a tutti, era qualche giorno che non dormiva bene a causa del mal di schiena. Non lo avrebbe mai ammesso, ma stare sulla poltrona gli avrebbe definitivamente accartocciato la spina dorsale.
 
Doveva trovare un'altra idea. Rimase nel letto qualche minuto e poi gli venne in mente la soluzione perfetta. Si mosse lentamente e, con delicatezza, prese la mano di Beth che era stretta attorno alla sua vita e la allontanò. Poi le tenne sollevata la testa e scivolò via dalla sua presa. Accompagnò il capo di Beth finché non si appoggiò al cuscino e poi scattò in piedi diretto in sala alla velocità della luce.
 
Sapeva che potevano tornargli utili tutti quei cuscini.
 
§§§
 
La luce filtrava dalla finestra e un raggio di sole si posò proprio sul viso di Beth. Pian piano illuminò le sue labbra, poi il naso e infine arrivò agli occhi. In quel momento la ragazza si svegliò, stiracchiandosi. C'era qualcosa di strano. Quella non era camera sua. Solo dopo qualche minuto passato a ricostruire la giornata precedente si ricordò cos'era successo; era a casa di Daryl.
 
Daryl!
 
Spalancò gli occhi e si girò verso destra. Pensava di trovarselo accanto e invece sbatté la faccia contro un cuscino. A quel punto si sollevò seduta sul letto e si guardò intorno. Non poteva crederci! Il materasso era diviso da un mare di cuscini e coperte. Doveva aver disfatto tutto il salotto per fare una cosa del genere. Nei film, quando due persone non vogliono dormire insieme ma sono costrette a farlo, mettono un cuscino accanto all'altro per tutta la lunghezza del letto in modo da delimitare gli spazi. Ma quella era praticamente la riproduzione in scala della dannatissima Muraglia Cinese! Le coperte e i cuscini erano impilati fino a formare un divisorio dell'altezza di quasi mezzo metro.
 
Le sarebbe anche venuto da ridere se non fosse stata tanto offesa.
 
Si rimise le scarpe e poi uscì dalla stanza. Dopo una veloce perlustrazione del bilocale si rese conto che non c'era nessuno in casa oltre a lei. Bene, adesso l'aveva anche mollata. Praticamente era scappato.
 
Aveva pensato che Daryl avrebbe potuto stranirsi trovandola nel letto ma non avrebbe mai immaginato che avrebbe letteralmente eretto un muro tra loro e sarebbe anche andato via dalla sua stessa casa!
 
Vide che la sua borsa era appoggiata accanto al tavolino. La sera prima se ne era persino dimenticata. Cercò il cellulare che, miracolosamente, aveva ancora batteria. Chiamò un taxi e aspettò che arrivasse. Per fortuna, dopo cinque minuti era già lì. Scese velocemente le scale e salì sull'auto, dando al taxista l'indirizzo.
 
Voleva solo andarsene a casa sua e farsi una doccia calda e rigenerante.
 
 
 
Nel frattempo, Daryl era rientrato in casa. Dopo aver posato il sacchetto con le brioche e i due bicchieri colmi di caffè caldo, era andato in camera per svegliare Beth ma non aveva trovato nessuno. Quando si era alzato un'ora prima aveva visto le scarpe della ragazza ai piedi del letto, ma ora non c'erano più. Andò nell'altra stanza e si accorse che anche la sua borsa era sparita.
 
Chissà cosa si era aspettato andando a prendere la colazione. Mangiò il cornetto in pochi morsi e bevve il caffè velocemente, con gesti di stizza che trasmettevano tutto il suo nervosismo. Andò in camera, prese dei vestiti puliti e li portò in bagno, dove aprì l'acqua della doccia perché cominciasse a scaldarsi.
 
Si guardò allo specchio e vide la rabbia nei suoi occhi. Perché era così arrabbiato?!
 
Andò in sala come una furia, prese dal tavolino anche l'altro bicchiere pieno di caffè e se lo scolò in pochi sorsi. Afferrò la brioche nel sacchetto, aprì l'anta sotto al lavello e la gettò nella spazzatura. Tornò in bagno, si svestì e si buttò sotto il getto di acqua calda, sperando che sciogliesse i suoi muscoli tesi.
 
§§§
 
Nonostante Rick avesse avuto una nottata pesante, l'aveva comunque chiamata per avvisarla che quella mattina in centrale sarebbero andati solo quelli che non avevano partecipato all'operazione della notte precedente. Quindi tutti loro si sarebbero ritrovati nella sala relax alle cinque del pomeriggio.
 
Sì, la missione aveva avuto successo: avevano fermato la nave che portava il carico, gli uomini di Chacòn che erano sul posto per assicurarsi che tutto filasse liscio e Jesus aveva arrestato Martìn Muñoz prima che i suoi lo avvertissero dell'intervento della polizia. Erano mesi che le cose non si mettevano così bene, per quanto riguardava quel caso, così avevano deciso festeggiare.
 
Beth non era mai stata in quella parte dell'edificio, ma non fu difficile trovare la sala relax: c'erano decorazioni sulla porta - probabilmente riciclate da qualche festa di compleanno - e si sentiva un forte chiacchiericcio provenire da dentro. Quando aprì la porta tutti si girarono verso di lei.
 
“Ehi! Finalmente sei arrivata! Ora ci siamo tutti! Ti stavamo aspettando.” sorrise Rick andandole incontro. “Bene.” disse porgendole un bicchiere di punch aranciato. “Come tutti saprete, questa notte abbiamo intercettato una partita molto grossa di cocaina, controllata da Pablo Chacòn, ed è merito di tutti i presenti. Complimenti.” sollevò il bicchiere e fecero il brindisi.
 
Si rimisero tutti a chiacchierare finché non entrò Glenn con le pizze. A quel punto si avventarono tutti al tavolo dove erano stati posati i cartoni, cercando di prendersi una fetta ciascuno. Beth invece si tenne piuttosto lontana.
 
“Ehi Beth!” la salutò Glenn allegro “Non vai a prendere la pizza? Se non ti affretti finirà subito!”
 
“Non voglio più sentire parlare di pizza per almeno un mese.” rispose scuotendo la testa.
 
“Perché?” chiese lui dispiaciuto.
 
“Ero il suo più uno.” disse con un cenno della testa indicando Daryl, che come lei si teneva lontano dal tavolo del cibo. Sapeva che avrebbe capito, perché li aveva sentiti parlare la sera prima.
 
“Ah! Adesso capisco!” sorrise l'altro di rimando. “Be, se dovessi cambiare idea, noi siamo sempre aperti!” salutò tutti quanti e se ne andò. Beth tornò a parlare con Michonne, che era appena tornata con un pezzo di pizza in mano, ma avrebbe potuto giurare di aver visto Maggie lasciare la stanza poco dopo che se ne era andato il fattorino.
 
Rimasero lì a chiacchierare per circa un'altra ora, quando alla fine restarono in pochi decisero di andare in un pub lì vicino per bere qualcosa e festeggiare come si deve. Si ritrovarono lei, Rick, Michonne, Jesus, Abraham e, a sorpresa, anche Daryl. Immaginava che Mr. Grimes c'entrasse qualcosa in tutto ciò.
 
Arrivarono al pub e presero una birra ciascuno, poi cominciarono a divertirsi. Michonne sfidò Jesus a freccette, mentre Daryl, Rick e Abraham giocarono a biliardo. Lei, dal canto suo, aveva preferito non avvicinarsi a Daryl. Non che avesse paura, ma voleva evitare di discutere di nuovo. Rimase a chiacchierare con Michonne e Jesus, ridendo e scherzando, svagandosi dopo tanto tempo che non si concedeva un'uscita.
 
Quando finì la birra tornò al bancone e ne ordinò un'altra. Nel frattempo le partite erano finite e i suoi amici si erano dati il cambio. Rick aveva raggiunto Michonne al bersaglio, mentre Jesus era andato incontro ad Abraham chiamandolo “Marshmallow!”, al che il rosso aveva commentato con una cascata di parolacce.
 
Il barista le aveva appena portato la birra quando qualcuno si sedette accanto a lei. Beth si girò e vide che si trattava proprio di Daryl, che ordinava a sua volta. Probabilmente sentendosi osservato si girò e le fece un cenno con la testa a mo di saluto. Passò un paio di secondi a chiedersi cosa significasse, ma poi ricambiò. Restarono occhi negli occhi per qualche istante, finché il barista non li interruppe per consegnare la birra al ragazzo.
 
Bevve un sorso e poi lo sentì dire qualcosa. La musica era piuttosto alta e lui non aveva parlato chiaramente, quindi non aveva capito. D'istinto si avvicinò un poco e scosse la testa per fargli capire di ripetere.
 
“Ti hanno aspettato oggi. Per il brindisi.” chiarì. Rimase in silenzio per un po' e Beth pensò di essersi quasi immaginata quello che le aveva appena detto. “Nessuno pensa che tu sia piccola. Ti hanno aspettato.” ripeté come per sottolineare l'ovvio.
 
Anche lei se ne era accorta, ma aveva troppi pensieri negativi dati dalla notte precedente per credere che fosse davvero così. Si era detta che probabilmente aveva frainteso o che era un modo di dire. Invece la stavano davvero aspettando. E lui se ne era accorto.
 
Abbassò lo sguardo sulla bottiglia di vetro che reggeva tra le mani ed annuì. Si vergognava per quello che gli aveva urlato addosso la notte scorsa. Era furiosa, ma non voleva apparire come una ragazzina isterica.
 
“Quando sono tornato stamattina non c'eri.”
 
Beth alzò lo sguardo di scatto, sorpresa. Non era una domanda, ma il sottotesto era piuttosto chiaro: dov'eri? Lo conosceva da tanto tempo, anche se lui non poteva saperlo, e il tempo passato insieme ultimamente aveva avvalorato le sue ipotesi. Sapeva com'era fatto e un comportamento del genere da parte sua non se lo aspettava.
 
“Ho pensato fosse meglio andarmene, quando non ti ho visto.” disse. Perché stavano avendo quella conversazione? E perché anche lei aveva fatto una domanda, nonostante formalmente non lo fosse?
 
“Ero andato a prendere la colazione. Non avevo molto in casa.” rispose dopo un tempo che le parve un'infinità. La colazione. Lei se ne era andata incazzata nera, pensando che lui stesse rimarcando quanto bambina fosse ai suoi occhi, e invece lui era uscito a prendere la colazione. Per lei. Per loro.
 
Si sentiva un'idiota.
 
“Credevo fossi arrabbiato per ieri sera.” decise di sorvolare il fatto che si era intrufolata nel suo letto, anche perché a giudicare dalla barriera di cuscini che si era trovata accanto quella mattina, era sicura che lui non l'avrebbe trovato un argomento piacevole. Ed era già abbastanza difficile muoversi su quel campo minato di conversazione senza far esplodere nulla.
 
“No.” rispose semplicemente. “Sei una stupida. Anche perché, come vedi, avevi torto.” disse indicando i loro colleghi. 
 
Calò di nuovo il silenzio tra loro, ma non era carico di imbarazzo, di rabbia o di tensione come il giorno prima. Era un silenzio pieno di parole non dette e di scuse non fatte. Restarono al bancone, finendo le loro birre e scambiandosi un'occhiata ogni tanto.
 
“E comunque se proprio vuoi sfidarmi, fallo come si deve.” Bevve l'ultimo sorso di birra e scese dallo sgabello andando verso il bersaglio che Rick e Michonne avevano appena lasciato libero. Lei bevve tutto d'un sorso l'ultimo goccio rimasto nella sua bottiglia e lo raggiunse con un sorriso leggero ad illuminarle il viso.




Angolo autrice:
Ed eccoci qui alla fine del capitolo! Anche qui non ci sono citazioni ma in ogni caso, se qualcuna mi fosse sfuggita, fatemelo sapere :* La scena dei cuscini a letto mi è venuta in mente riguardando per la milionesima volta il film "The Wedding Date" (la povera Kat proprio non riusciva a stare tranquilla con Nick accanto, così come i nostri due protagonisti :P). Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate :) Spero che la storia vi stia piacendo; come sempre, se volete farmi sapere cosa ne pensate, sarò più che contenta di leggere le vostre recensioni! A settimana prossima.
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
Avevano ripreso a lavorare normalmente; l'enfasi per il successo di qualche giorno prima li aveva lasciati e la solita routine era ricominciata. Come tutte le mattine, Beth era passata al bar-pasticceria per fare colazione e prima di uscire aveva preso anche due caffè ai suoi uomini.
 
Non li aveva chiamati lei così. Non la prima volta almeno.
 
La mattina dopo quella specie di festicciola, era entrata in centrale e aveva trovato dei volantini su cui era stampata in bianco e nero la foto che gli aveva fatto Jesus un paio di giorni prima. Lei sorrideva divertita, Rick aveva un'espressione piuttosto eloquente su cosa pensasse di tutto ciò e Daryl invece era impassibile, non fosse per il sopracciglio leggermente inarcato.
 
I piccoli fogli gialli erano appesi sul bordo del bancone all'entrata e proseguivano poi su entrambi i lati del corridoio che portava all'ufficio di Rick. Quando era arrivata davanti alla porta la targhetta su cui c'era scritto “R. Grimes” era stata coperta con dello scotch di carta ed era stato appeso un foglietto che recitava “The Dukes”*1.
 
All'inizio non aveva capito, ma quando aveva aperto la porta tutto era stato più chiaro.
 
Dietro alla scrivania era appesa la stessa foto stampata sui volantini, solo in dimensioni considerevolmente più grandi - sembrava quasi un poster - e a colori. In uno spazio bianco in basso c'era scritto a pennarello “The Duke of Hazzard”. Era scoppiata a ridere. Ricordava quel telefilm; quando era bambina lo guardava sempre prima di cena.
 
Quando avevano visto la foto, Rick aveva semplicemente alzato gli occhi al cielo e aveva tentato di nascondere un sorriso che gli era sfuggito comunque dalle labbra; Daryl invece era rimasto bloccato appena si era accorto di esserci anche lui. Probabilmente non aveva prestato molta attenzione ai volantini all'entrata, ma la foto che era appesa in ufficio era piuttosto evidente.
 
Da quel momento in centrale avevano iniziato a chiamarli “i Duke” quando si riferivano a tutti e tre, mentre quando parlavano con lei, Daryl e Rick erano “i suoi uomini”. La situazione non le pesava e poi vedere Daryl imbarazzato era divertente; soprattutto se lo era per qualcosa che in parte la riguardava.
 
Era entrata in centrale e con in mano i due bicchieri si era diretta verso l'ufficio. Quando aveva aperto la porta, aveva sentito Rick e Daryl discutere. Che novità.
 
“Buongiorno.” li salutò allegra posando i caffè sulla scrivania. Daryl le fece un cenno distratto con la testa e si fiondò su uno dei due bicchieri, portandoselo alle labbra velocemente.
 
“Non provare a svignartela!” disse Rick puntandogli il dito contro. “Ciao Beth.” rispose sorridendole e prendendo a sua volta il caffè. Dopo il primo sorso entrambi allontanarono il bicchiere, lo osservarono e dopo un'occhiata veloce fecero scambio. Lei aveva fatto mettere i nomi perché sapeva che Rick lo preferiva con un po' di latte, mentre Daryl lo prendeva amaro, ma se non le davano nemmeno il tempo di parlare non sapeva proprio che farci!
 
“Allora? Si può sapere chi dovrebbe scappare da cosa?” chiese incuriosita sedendosi al suo posto.
 
“Lui!” Rick indicò di nuovo Daryl che fingeva di concentrarsi su qualsiasi altra cosa per non guardare negli occhi l'uomo di fronte a sé. “Lavoriamo insieme da quasi due mesi e non ha ancora letto un fascicolo per sbaglio! Se solo lo avesse fatto magari ci saremmo arrivati prima a Muñoz. Ci è andata bene, ma è stata solo fortuna! Per poter lavorare a un caso, devi conoscerlo!”
 
“Io non leggerò tutta quella roba inutile!” ribatté Daryl.
 
“Non si vince una maratona senza mettersi i cerotti per le vesciche.*2” rispose Rick deciso.
 
“Ma che cazzo di proverbio è?!” chiese Daryl corrucciando la fronte.
 
“Non è un proverbio; è la vita.*3” disse in tono ovvio.
 
Beth aveva seguito il rapido scambio di battute tra i due con un sorrisino. Erano così diversi che quando interagivano sembrava di essere in un cartone animato. Nemmeno a disegnarli su misura avrebbe potuto trovare due come loro.
 
“Beth, come andavi a scuola?” chiese Rick improvvisamente.
 
“Piuttosto bene, perché?” rispose guardandolo stupita.
 
“Ho la soluzione!” sorrise lui “Daryl, Beth è la tua nuova tutor.” disse soddisfatto.
 
Ci mancava poco che lui sputasse a spruzzo il sorso che aveva appena bevuto. Dopo aver deglutito il caffè caldo, corrugò la fronte e gli scoccò uno sguardo contrariato. “Cosa? No grazie, io passo.”
 
“Non hai scelta.  Dato che non vuoi leggere i fascicoli, lascia che lei te li racconti. O questo oppure i quattro scatoloni sono in archivio.” concluse con un finto sorriso angelico.
 
“A nessuno interessa il mio parere?” chiese Beth. Daryl la osservò con espressione annoiata, mentre Rick l'aveva guardata con uno sguardo di supplica che l'aveva portata alla resa quasi immediatamente. “D'accordo.” disse lei sollevando le mani.
 
“Bene, è deciso!” il poliziotto saltò su dalla poltrona e uscì dall'ufficio.
 
Rimasero in silenzio per un paio di minuti. Sperava che lui dicesse qualcosa, ma a quanto pareva non ne aveva nessuna intenzione. “Ok.” disse lei alla fine, alzandosi dalla sedia. “Vado a prendere la prima scatola.”
 
§§§
 
Rick era andato a fare un giro per la centrale. Era un po' che non aveva del tempo libero e voleva vedere come procedevano le cose. Controllò che tutto fosse in ordine, ma ovviamente non fu così; ce n'era sempre una ma non si era abbattuto. Si era rimboccato le maniche, era andato dal capitano - che lo aveva prontamente ignorato, come da manuale - e dopo due ore era riuscito a capire dove fosse finito quella cartella che sembrava essersi volatilizzata nel nulla.
 
Aveva lasciato l'ufficio a Beth e Daryl così che potessero iniziare subito a studiare il caso.
 
Stava tornando da loro quando aveva intravisto Michonne. Erano quasi due mesi che le chiedeva di uscire a cena con lui, ma in un modo o nell'altro declinava sempre. Non voleva essere insistente, e anche se la prima volta aveva usato la scusa di farsi perdonare per averle fatto saltare la copertura, le volte successive glielo aveva semplicemente chiesto, come un normale invito.
 
Cambiò bruscamente direzione e andò verso di lei.
 
“Ciao. Tutto bene?” le chiese avvicinandosi.
 
“Sì, tutto a posto.” gli rispose dopo un attimo di incertezza. “Avevi bisogno?” chiese indicando la porta alle sue spalle, chiaro segno che aveva del lavoro da fare.
 
“Ehm... più o meno.” annuì lui.
 
“E...?” chiese lei cercando di spingerlo a proseguire.
 
Fece un piccolo sospiro e poi si buttò. “So che non è la prima volta che te lo chiedo e se mi dirai di no non lo farò più, ma ti andrebbe di uscire a cena?”
 
Lei era rimasta in silenzio e lo guardava. Sentì il cuore battere un po' più veloce, i secondi gli sembrarono ore; gli parve di rimanere di fronte a lei un'eternità. Perché non poteva essere una cosa rapida e indolore? E invece si stava crogiolando nell'ansia.
 
“D'accordo.” Quando finalmente gli rispose, non riuscì a impedirsi di far trapelare la sorpresa sul suo volto. Aveva accettato.
 
“Davvero?” chiese spontaneamente. Lei sorrise divertita. Si schiarì la voce e, dopo essersi costretto a riassumere un'espressione neutra, le chiese “Ti andrebbe bene mercoledì?”
 
“Sì.” lo guardò per qualche secondo ancora e poi entrò nel suo ufficio.
 
Rimase impalato come un'idiota ad osservare la tendina della porta senza vederla realmente. Aveva accettato! Era talmente contento che non aveva fatto caso di essere rimasto immobile; solo quando sentì avvicinarsi delle voci si riscosse e tornò in ufficio. Quando aprì la porta sentì la voce di Beth.
 
“Daryl?” Per tutta risposta ci fu un grugnito di rimando.
 
“Mi stai ascoltando?” Come prima, ricevette in cambio solo un mugugno d'assenso.
 
“Daryl, sei innamorato di me?”
 
Rick a quel punto poteva vederli: Beth era seduta nella sua poltrona, con le braccia incrociate al petto e un'espressione truce, mentre Daryl era di fronte a lei con la testa china; probabilmente stava guardando il cellulare. Annuì di nuovo e a quel punto lei divenne una furia.
 
“Daryl!” urlò, chiudendo di scatto un raccoglitore e ottenendo l'attenzione dell'uomo. “Si può sapere qual è l'ultima cosa che hai sentito?”
 
Lui alzò lo sguardo lentamente e anche se non poteva vederlo, Rick sapeva esattamente l'espressione annoiata che doveva dipingergli il viso. “ "Questo è Pablo Chacòn". ”
 
“È la prima cosa che ho detto! Non hai sentito nient'altro?”
 
Daryl scrollò le spalle. “Hai una voce rilassante, è stato come mettere il cervello in stand by.” rispose pacifico.
 
A quel punto sembrava che la ragazza stesse per esplodere, così Rick si decise a intervenire. “Allora? Come sta andando?” chiese raggiungendoli alla scrivania.
 
Beth sollevò gli occhi su di lui e con un cipiglio nervoso rispose: “Male. Non ha sentito una parola di quello che ho detto nelle ultime due ore.”
 
“Cosa posso farci? Quel caso è noioso!” disse Daryl rivolgendosi all'altro. “E poi tu non hai proprio il dono della sintesi.” la punzecchiò lui.
 
“Non sei andato oltre le prime tre parole! Non puoi neanche saperlo!” si alzò in piedi, appoggiò le mani sulla scrivania e lo guardò dall'alto in basso.
 
“Ho sentito fin troppo!” anche Daryl si alzò, fronteggiandola. A quel punto la superava quasi di una testa; sembravano due leoni pronti a sbranarsi.
 
“Dai, basta!” li interruppe Rick, rivolto a nessuno in particolare.
 
“Io?! È lui!”
 
“Io?! È lei!”
 
Si fissarono risentiti e dopo che Rick gli fece segno di allontanarsi si sedettero di nuovo, ognuno guardando da un'altra parte.
 
“Mio dio... Sono una mamma sia a casa che al lavoro.” mormorò Rick, passandosi una mano sulla fronte.
 
§§§
 
Se Daryl pensava di cavarsela così si sbagliava di grosso. Non gliel'avrebbe data vinta, soprattutto dopo quei discorsi sul suo senso della sintesi. Gliel'avrebbe fatto vedere lei.
 
Il sabato e la domenica, dato che erano i giorni liberi di Rick, nemmeno lei doveva andare al lavoro. Così un paio d'ore prima di uscire si era rintanata nello stanzino della fotocopiatrice e aveva stampato alcune foto che le sarebbero servite per quello che aveva in mente.
 
 
 
Era rimasta chiusa in casa tutto il weekend, ma ne era valsa la pena. Domenica sera, attorno alle sei, era riemersa da quel marasma di fogli, pennarelli, matite, righelli e chi più ne ha più ne metta. 
 
Quando Maggie era passata a trovarla quella mattina, era corsa alla porta e appena l'aveva aperta, sua sorella era scoppiata a ridere e l'aveva presa in giro perché aveva il viso pitturato. Se ne era andata quasi subito, perché aveva un brunch con Glenn e a quel punto Beth aveva ripreso la sua opera.
 
Chi la dura la vince Dixon.
 
§§§
 
Il lunedì mattina era sempre terribile. Non sapeva dire se fosse perché veniva dopo due giorni in cui non andava alla centrale o solo per il fatto che il primo giorno della settimana, per antonomasia, era disastroso. Comunque sia, Rick era stato talmente preso che aveva a mala pena salutato Beth e Daryl prima di occuparsi della miriade di casini che erano piovuti sul distretto.
 
Solo qualche minuto prima di mezzogiorno era riuscito a liberarsi ed era andato in ufficio per chiedere chi volesse andare a pranzo. Quando era entrato aveva trovato Beth in piedi accanto a un cartellone che occupava metà parete, Daryl seduto di fronte a lei che la osservava. E mentre lei parlava, sembrava prestare davvero attenzione a quello che diceva.
 
Il cartellone alle spalle di Beth era un'enorme mappa concettuale. L'argomento era facilmente intuibile dato che la foto di Chacòn campeggiava nel centro. Da lì si diramavano un mare di frecce che indicavano altre persone, posti, cartine geografiche o scritte a caratteri cubitali di vari colori.
 
“La prossima volta dovremo mettere la porporina perché ti concentri?” lo prese in giro Rick, attirando la loro attenzione.
 
“Ah, ah. C'è da dire che quando è entrata con questo lenzuolo pensavo avesse ritrovato un papiro egizio, ma poi ho visto questo schema e... be, devi averci messo una vita.” rispose Daryl, rivolgendosi a Beth.
 
“Non così tanto.” sorrise lei. “Ma grazie. E poi ho notevolmente affinato le mie capacità riassuntive!”
 
“Questo poco ma sicuro, altrimenti non ti avrei ascoltata nemmeno per tutti i disegni del mondo.” ghignò lui in tutta risposta.
 
“Va bene.” li interruppe Rick “Venite a pranzo?”
 
Entrambi si vestirono e stringendosi nei giubbotti, uscirono nell'aria gelida. Erano per strada quando a Rick venne in mente una cosa. “Beth, avrei bisogno di chiederti un favore.”
 
“Dimmi tutto.” rispose lei, con la bocca seppellita dietro la sciarpa.
 
“Mercoledì sera dovrei uscire a-... dovrei uscire. È un problema per te tenere Judith?”
 
“Certo che no” gli sorrise “E vieni anche tu.” si rivolse all'uomo affianco a lei.
 
Daryl alzò di scatto la testa e si fermò. “Perché? Io che c'entro?”
 
“Abbiamo del lavoro da fare. Devi studiare il caso, ricordi?” rispose girandosi verso di lui.
 
“Ma lui esce a spassarsela! Perché io devo lavorare anche di sera?” protestò.
 
“Perché Rick corre come un pazzo tutto il giorno, mentre tutto quello che fai tu è rimanere stravaccato sulla sedia a mangiare pizza e ad appestare l'ufficio di formaggio e piedi*4! E sai chi deve ristampare i fogli che macchi di caffè e pomodoro?”
 
Rick, che intanto era rimasto alle spalle di Beth, vide Daryl spostare lo sguardo verso di lui, chiedendogli con gli occhi a chi toccasse. Riuscì a indicargli la ragazza con un movimento della testa, ma lui non fu abbastanza svelto nel rispondere.
 
“Io!” continuò lei. “Quindi poche storie, mercoledì sera vieni con me.”




Angolo autrice:

*1 Hazzard, Serie TV, 1979-1985.
*2 Come ammazzare il capo... e vivere felici, 2011. David Harken.
*3 Chiedimi se sono felice, 2000. Giacomo e Giovanni.
*4 Come ti spaccio la famiglia, 2013. Rose O'Reilly
 
Eccoci alla fine del settimo capitolo! Questo è stato più breve degli altri, penso sarà il più corto di tutti, ma portate pazienza, il prossimo - per contro - sarà molto più ricco ;) Prima di salutarvi vorrei sottolineare una cosa: giuro che non guardo solo stronzate ahahahaha le citazioni di questo capitolo sono tutte tratte da film leggeri o comunque non cult del cinema, ma giuro che sono una persona molto più profonda di quanto non traspaia dalle frasi di oggi :P A presto con il prossimo aggiornamento! Ringrazio come sempre chi ha messo la storia tra preferite/seguite/ricordate e come sempre chi ha recensito :)
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Premessa: dato che lo scorso capitolo era piuttosto breve e questo ce l'avevo pronto, ho deciso di fare due aggiornamenti questa settimana - contrariamente a quanto faccio di solito - quindi se non avete visto il settimo capitolo correte a leggerlo, ci vediamo in fondo nell'angolo dell'autrice!
 
Capitolo 8
 
Rick era seduto su uno degli sgabelli della cucina e, impaziente, aspettava il trillo del campanello. Sentiva il vociare ovattato di un cartone animato arrivare dal salotto; Judith aveva costretto Carl a guardare un film con lei. Amava i suoi figli e gli faceva piacere vederli andare così d'accordo nonostante la grande differenza d'età. Judith era una bimba dolcissima ma allo stesso tempo vivace e sveglia, e Carl la assecondava quasi in tutto. Non sapeva dire se fosse dovuto dal fatto che erano rimasti solo loro due a prendersi cura della piccola, ma aveva preso molto seriamente la faccenda del fratello maggiore.
 
Dopo qualche minuto finalmente, suonarono al campanello. Quando aprì la porta si trovò davanti Beth che gli sorrideva e Daryl dietro di lei che si guardava la punta delle scarpe con le mani in tasca.
 
“Ciao, entrate!” li accolse, facendosi da parte per farli passare.
 
“Però, come siamo in tiro.” sorrise maliziosa la ragazza. In effetti si era vestito piuttosto elegante. Non che di solito andasse in giro come un barbone, ma quella sera aveva optato per un completo scuro e camicia bianca. Però niente cravatta, troppo formale.
 
“Già, per caso stai andando a fare un colloquio di lavoro come becchino?” esordì Daryl. Rick rispose con un sorriso finto e sarcastico, ma sotto sotto sembrava avere qualche dubbio.
 
“Tranquillo, stai benissimo.” lo rassicurò Beth “Ma ora vai; se arrivi in ritardo dovremo chiamare davvero le pompe funebri.” gli sorrise.
 
Sentirono uno scalpiccio di piedini sul pavimento e Judith si precipitò come una furia  nell'ingresso. “Beth!” la salutò saltandole in braccio.
 
“Judith!” sorrise alla bambina, stampandole un bacio sulla guancia.
 
“Papà sta uscendo, rimani con noi vero?” chiese la piccola guardando negli occhi la ragazza. Lei per tutta risposta annuì e la bimba si lasciò scivolare fino a terra. Si girò per salutare Rick quando si scontrò contro le gambe di Daryl. Un po' sorpresa alzò la testa e la inclinò da un lato. “E tu chi sei?” domandò curiosa.
 
“Lui è un nostro amico, Daryl.” rispose Rick. “Stasera rimarrà a farvi compagnia, d'accordo?”
 
“Vedremo.” disse con un sorrisino furbo.
 
Qualche istante dopo Rick li salutò. “Bene, è il caso che vada davvero. Se avete bisogno chiamatemi.” disse mentre si piegava sui talloni per baciare Judith. Scompigliò i capelli di Carl che nel frattempo li aveva raggiunti, e li salutò richiudendosi la porta alle spalle.
 
“Allora, avete già mangiato?” chiese Beth.
 
“Non ancora, ma papà ha fatto il sugo per la pasta!” rispose Judith correndo nella stanza affianco. Si diressero tutti quanti in cucina e cominciarono a preparare la cena.
 
§§§
 
Era arrivato sotto casa di Michonne con cinque minuti d'anticipo; aveva atteso in macchina impaziente fino alle sette e mezzo e poi aveva suonato al campanello. L'aveva sentita urlare “Arrivo!” da qualche parte dentro la casa e dopo pochi secondi era apparsa sulla porta. “Ciao.”
 
“Ciao.” aveva risposto lui, incantato dallo spettacolo che aveva davanti. Quella sera aveva optato per un paio di pantaloni neri che le fasciavano le gambe magre come una seconda pelle e una camicetta bianca piuttosto morbida. Era semplice ma... bellissima.
 
Dopo aver preso la borsa e il cappotto, erano saliti in macchina e si erano diretti al ristorante. Durante il tragitto avevano scambiato qualche parola sul traffico e poi erano rimasti in silenzio finché non erano arrivati a destinazione. Non era stato un silenzio imbarazzante; si conoscevano da tanto tempo ed erano sempre andati d'accordo. Ma, nonostante fosse un momento che aspettava da mesi, non era abituato a pensarsi in questi termini, ad averla affianco a sé, entrambi vestiti eleganti e non con la solita divisa monotona.
 
Da vero gentiluomo scese ad aprirle la portiera e quando entrarono al ristorante le tenne la porta aperta. Lei non disse nulla, ma gli riservò un sorriso leggero per ringraziarlo. Il cameriere li condusse al tavolo che aveva espressamente richiesto. Non era così sfacciato da portarla in un posto isolato da tutto e da tutti, ma non voleva stare nel centro della sala dove chiunque avrebbe potuto disturbarli.
 
“Allora, sai già cosa prendere?” le chiese.
 
“Ho sentito dire che la fiorentina è molto buona. Ma pensandoci bene anche il riso non deve essere male...” rispose facendo scorrere lo sguardo sul menù. “Tu?”
 
“Assolutamente il riso.” le sorrise “È uno dei miei piatti preferiti.”
 
“Allora io prenderò la bistecca.” gli disse in tono furbo ma con una nota di dolcezza che non era abituato a sentire.
 
Dopo qualche momento di imbarazzo si erano sbloccati e la cena era proseguita a gonfie vele. Complici il buon cibo, il vino, le luci calde e leggermente soffuse, e non di meno la buona compagnia, avevano chiacchierato di tutto e di nulla per ore. Era una donna intelligente e forte; la ammirava per questo. Man mano che avevano parlato aveva scoperto che era anche sagace, pronta alla battuta, decisa sulle sue idee, spiritosa e indubbiamente così... donna. Una donna con la D maiuscola. Aveva qualcosa nel modo di parlare che lo faceva sentire come non gli capitava da troppo tempo.
 
Ma ancora più di tutto, la cosa che lo aveva incantato era il sorriso. In ufficio non era abituato a vederlo; di solito stirava le labbra in una smorfia gentile, ma non le arrivava mai fino agli occhi. Quando invece avevano parlato di qualcosa che nemmeno ricordava ed era scoppiato a ridere, lei lo aveva seguito mostrando un sorriso a trentadue denti che le aveva illuminato il viso. Rick era rimasto talmente ammaliato e si era dimenticato di quello che gli stava attorno. Aveva dimenticato persino di ridere; era rimasto a fissarla con gli occhi incatenati nei suoi e una strana sensazione nel petto.
 
§§§
 
“Fine!” urlò Judith quando tutto lo schermo si fece scuro e partirono i titoli di coda.
 
“Bene signorina, adesso a nanna.” disse Beth alzandosi dal divano e spegnendo il televisore.
 
“No, Beth... non ho sonno.” rispose la piccola, smentendosi immediatamente sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.
 
“Sono già le nove e mezza, chi lo sente papà? Se vuoi ti racconto una storia, ma solo un po'.” le sorrise.
 
Nel frattempo stavano già andando su per le scale e Carl e Daryl sentirono le due parlare in lontananza finché non si chiusero la porta della cameretta di Judith alle spalle.
 
“Sei il suo ragazzo?” chiese Carl a bruciapelo dopo qualche minuto di silenzio. Daryl era talmente sorpreso che per un momento non riuscì a fare nulla se non fissarlo pietrificato.
 
“No.” rispose alla fine incolore “Perché?”
 
“Be, non ha mai portato nessuno e quando papà ha detto che sei un amico pensavo quel tipo di amico.” disse con tono ovvio.
 
“No, non sono un amico.” ribatté deciso.
 
“E quindi che ci fai qui?” chiese curioso “Non fraintendermi, non ti sto cacciando. Mi stavo solo chiedendo quale fosse il tuo scopo stasera.”
 
“Il mio scopo?” ghignò Daryl “Chiedilo alla tata, è lei che mi ha trascinato qui per lavorare. E intendo davvero lavorare.” specificò.
 
“Quindi è lei ad avere uno scopo.” sorrise furbo di rimando; lui ci rimase di sasso, ma non rispose nella speranza che non riprendesse a parlare. Restarono in silenzio per una decina di minuti finché non tornò Beth.
 
“Eccomi, dovrebbe essersi addormentata.” sussurrò.
 
“Io vado in camera allora, ciao.” li salutò Carl salendo a sua volta le scale, diretto al piano di sopra.
 
Beth si sedette accanto a Daryl sul divano, rivolta verso di lui con le gambe incrociate. Lo studiò per un attimo, con attenzione.
 
“Non sai che è maleducazione fissare le persone?” le chiese lui lanciandole un rapido sguardo.
 
“Tutto bene?” domandò, cambiando argomento.
 
“Mh-m.” borbottò in assenso.
 
“Carl ti ha detto qualcosa?” gli chiese e quando non rispose, spiegò. “Ho visto che ti ha lanciato qualche occhiata... guardinga durante la serata. Niente di male, ma...”
 
“No, non ha detto niente.” mentì.
 
“Ok.”
 
Rimasero per un po' in silenzio, lei presa a guardarlo e lui con lo sguardo fisso sul pavimento. Si sentiva osservato, ed era una cosa che gli dava fastidio. Solitamente non capitava mai per esaltare le sue qualità e ogni volta che accadeva si sentiva formicolare la nuca nervosamente. Si schiarì la gola e attirò la sua attenzione. “Non siamo qui per lavorare?”
 
“Uh? Sì... sì, giusto. Vado a prendere il cartellone.” rispose lei scattando in piedi.
 
Non avevano iniziato nemmeno da dieci minuti che uno scalpiccio li avvertì dell'arrivo di Judith.
 
“Beth?” chiese con una vocina “Ho fatto un brutto sogno...”
 
Andò avanti così per una mezz'ora: prima aveva fatto un brutto sogno, poi le scappava la pipì e infine le era venuta sete. E proprio quando Judith era in cucina a bere, Beth si era affacciata nel salotto ed aveva sussurrato a Daryl “Questa è tutta colpa tua!”
 
Lui l'aveva guardata stranito e le aveva chiesto “E io cosa c'entro?”
 
“Lo sai. O vuoi che dica a Rick di come sei riuscito a sedurre anche una bambina di tre anni?” Lei sparì di nuovo in cucina, mentre Daryl rimase pietrificato sul posto. Cosa voleva dire esattamente quell'anche?! Anche?! Come anche?! A chi cazzo si riferiva?! Di certo non poteva parlare di sé! Giusto?
 
I suoi pensieri furono interrotti dalle due, che tornarono in salotto. Beth si sedette sul divano accanto a lui e, con in braccio Judith, iniziò a cullarla. Ad un certo punto, forse anche inconsciamente, aveva iniziato a cantare una melodia senza nemmeno prestare attenzione alle parole. Dopo pochi istanti le diede una leggera gomitata e quando si girò verso di lui, le sussurrò: “Che fai?”
 
“Non vuole addormentarsi, vediamo se stando qui ce la faccio.” gli rispose avvicinandosi al suo orecchio e parlando a voce bassa.
 
Tutto quello che riuscì a pensare in quel momento non era che aveva sprecato la serata, dato che non stavano lavorando (non che gli dispiacesse) e nemmeno che, per giunta era intrappolato in casa di un dannatissimo sbirro con la prole di questo.
 
Quando si era avvicinata a lui in un gesto così intimo lo aveva pietrificato, ed era rimasto semplicemente immobile ad osservarla. Le note della canzone accompagnarono i suoi pensieri per qualche minuto. Esattamente, da quanto non si sentiva come in quel momento? Guardando Beth e la piccola tra le sue braccia riusciva solo a pensare che fossero la cosa più bella che avesse mai visto. Poi, come un fulmine a ciel sereno, quell' “anche” lo aveva colpito di nuovo. Doveva allontanarsi da lì.
 
“Vado al cesso.” disse scappando su per le scale.
 
“Daryl, la bambina!” lo sgridò.
 
Al piano di sopra intanto, in una delle stanze più piccole, un ragazzino di diciassette anni si era comodamente sdraiato in boxer sul letto con il computer sulle gambe e i fazzoletti alla mano. Era tutto pronto: aveva puntato la sveglia e aveva già fatto lo zaino; poteva rilassarsi tranquillamente. Si mise gli auricolari e fece partire il video.
 
Dopo quaranta minuti il letto era pieno di fazzoletti usati e lui stava tremando mentre osservava lo schermo con gli occhi sbarrati. Era proprio alla fine quando la porta si spalancò ed entrò Daryl.
 
“Ehi. A quanto pare l'unico che aveva uno scopo stasera eri tu.” gli disse sorridendo malizioso.
 
Carl aveva capito esattamente quello che intendeva Daryl, e si sbagliava di grosso. Solo che il suo orgoglio di uomo non poteva ammettere che stava guardando l'episodio di Grey's Anatomy in cui moriva il Dottor Shepherd e che tutti quei fazzoletti erano sparsi sul letto perché aveva pianto come una fontana. Così senza rispondere niente chiuse il computer e si mise una maglietta che aveva lasciato ai piedi del letto. Che credesse quello che voleva.
 
“Come mai non sei giù con Beth?” domandò, sviando il discorso.
 
“Ti sto sulle palle, ragazzino?” chiese un po' bruscamente Daryl tirandogli un'occhiataccia alla quale Carl scoppiò a ridere.
 
“No, ma se io fossi in te e avessi una ragazza carina come Beth al piano di sotto non starei... be, con me.” sorrise furbescamente.
 
“Tua sorella non vuole dormire.” Fece vagare lo sguardo per la stanza e vide una bomboletta di vernice tra il letto e il comodino. “E quella? Sei un vandalo?” lo sfotté.
 
Carl seguì con lo sguardo quello che aveva puntato l'uomo di fronte a lui e fece una smorfia. “No... come faccio con papà? Il figlio di un vicecapitano che imbratta i muri? Non sono un vandalo, ma mi piace fare graffiti. Solo che... raramente trovo su dove disegnare.” rispose mesto.
 
“Ah sì? Quante ne hai?” domandò incuriosito Daryl indicando lo spray.
 
“Non lo dirai a papà, vero?”
 
“Sono una tomba.” si avvicinò sedendosi accanto a lui, mentre il ragazzo tirava fuori da sotto al letto una scatola di legno che una volta aperta si rivelò piena di bombolette, barattoli di vernice e pennelli. “Forse ho un'idea.”
 
Al piano di sotto intanto, Beth si chiedeva dove fosse Daryl; “Ma è andato in Nebraska?!” pensò tra sé e sé. Intanto Judith non voleva proprio addormentarsi. Era come un bambino con un giocattolo nuovo. E lo era davvero, ma pensare a Daryl come il suo giocattolo...
 
Meglio allontanare certi pensieri. La casa era immersa nel silenzio e se fossero andati avanti così si sarebbe addormentata prima lei della piccola. All'improvviso sentì il rumore di un mobile trascinato che grattava sul pavimento. Ma che cosa stava combinando Carl?
 
Dopo qualche istante sentirono le porte che continuavano ad aprirsi e chiudersi, clangore di oggetti sbattuti tra loro. Ma che stavano facendo?! Prese Judith in braccio, che tanto era sveglia, e si diresse su per le scale. Arrivata sul pianerottolo vide Carl che, inutilmente, camminava piano piano diretto verso la camera di Rick.
 
“Ma cosa sta succedendo qui?” chiese aprendo la porta della stanza. La cassettiera appoggiata al muro di fronte al letto era stata addossata sotto la finestra, la parete era delimitata da strisce di scotch di carta e il pavimento era coperto da un telo di plastica che arrivava fino ai piedi del letto. Quasi le venne un infarto quando guardò la parete e vide che Daryl stava passando un rullo su tutto il muro, colorandolo di azzurrino.
 
“Cosa. State. Facendo?!” urlò mentre Judith si faceva scivolare a terra.
 
“Una sorpresa per papà.” rispose prontamente Carl “Judith, ci aiuti?” la bambina esultò entusiasta “Però devi promettere di non dire nulla, sennò non è più una sorpresa!” chiarì lui.
 
“Promesso!” disse allungando il mignolo verso di lui. Carl sorrise, lo strinse e la accompagnò in cameretta a cambiarsi.
 
“Daryl ma sei impazzito?” lui si voltò e lei quasi non poté credere ai suoi occhi. Anche lui si era cambiato e probabilmente Carl doveva avergli dato qualcosa di Rick. La camicia infatti, nonostante cadesse giusta in vita, era un po' stretta sulle spalle e aveva lasciato aperti i primi tre bottoni in modo che non tirasse. Indossava anche un paio di jeans, mentre le scarpe e i calzini erano accanto al letto. Era troppo bello per essere vero.
 
“Piccola vendetta.” le strizzò l'occhio tornando a dipingere; poi, sempre dandole le spalle, aggiunse “Perché non ti cambi anche tu?”
 
Beth sapeva che le stava semplicemente chiedendo di dipingere con loro, qualunque cosa stessero per fare, ma posta così non aveva potuto evitare di arrossire leggermente.
 
“Sì, cerco qualcosa.” rispose.
 
Per fortuna poco dopo tornò Carl e lasciò a lui il compito. “Puoi mettere questa.” le disse porgendole una salopette bianca con qualche macchia di vernice qua e là. “È di papà, ti starà un po' larga ma lui non ha voluto metterla. "Troppo da fighetto"” fece il verso a Daryl.
 
“Va benissimo.” sorrise lei prendendola.
 
Quando era uscita dal bagno indossava la canottiera che aveva sotto il maglione e la salopette, che le stava inevitabilmente lunga sulle gambe e larga sul petto. Sembrava Cucciolo dei sette nani; come una bambina che per sentirsi grande mette i vestiti della mamma. Infatti l'avevano presa in giro per un po', ma poi presi dall'euforia per quel mare di colori, pennelli e bombolette se ne erano dimenticati e avevano iniziato a dipingere.
 
§§§
 
La cena si era conclusa. Verso mezzanotte erano usciti e avevano passeggiato un po' per il quartiere, continuando a chiacchierare. Poi, oltre che per la stanchezza e il freddo, Rick non aveva potuto evitare di pensare a dove sarebbero potuti andare. Non poteva portarla a casa sua perché c'erano i bambini e dato che lei non aveva menzionato casa sua, lui non si era sognato di chiederglielo.
 
Così alla fine avevano optato per un "territorio neutrale": la centrale. A quell'ora c'erano i ragazzi del turno di notte, ma tranne chi aveva già qualche lavoro da fare, di solito se ne stavano tutti a sfondarsi di patatine e serie tv. Così erano risaliti in macchina, lasciandosi cullare dal tepore del riscaldamento e dal dondolio dell'auto che andava per le strade.
 
Arrivati alla centrale Rick lasciò andare avanti Michonne e dopo una decina di minuti la seguì. Bastò un saluto all'agente al bancone d'ingresso e quello gli fece un cenno con la mano senza nemmeno alzare la testa. Andarono in sala relax; solo quando si chiusero la porta alle spalle accesero la luce e si diressero verso il frigorifero.
 
“Qui Abraham tiene la sua scorta di birre, non ci ammazzerà se gliene rubiamo un paio.” le disse Rick. Sapeva che le piaceva la birra, e dopo un quarto d'ora passato a cercare il cavatappi gliene passò una, sedendosi sul divano sfondato che qualcuno doveva aver trovato a un mercatino e gentilmente regalato al distretto.
 
“Chi ti tiene i bambini?” gli chiese lei ad un certo punto.
 
“Beth. E Daryl, solo per stasera.” rispose.
 
“Mi sorge spontanea una domanda a questo punto: saranno loro a badare ai tuoi figli, o i tuoi figli che baderanno loro?” sorrise.
 
“Hai ragione!” rise “Probabilmente la più coscienziosa di tutti è Judith. E in ogni caso ha davvero un bel caratterino; li farà rigare dritti.”
 
Erano rilassati sul divano quando sentirono un rumore provenire dal piano di sotto. Entrambi si tesero come corde di violino e si guardarono negli occhi. Che fossero agenti? Ma tutte le luci erano rimaste spente. Doveva essere qualcuno a cui interessava qualcosa in archivio; magari una spia o gli uomini di un boss. Annuirono e spensero la luce. Non avevano le pistole, ma non c'era molto che potessero usare come arma lì dentro. Così Rick prese una padella appoggiata al piccolo piano cottura e Michonne una mazza da baseball.
 
Lentamente scesero di sotto e controllarono il secondo piano. Passando accanto all'archivio sentirono lo stesso rumore di poco prima. Aspettarono pochi secondi e poi Rick spalancò la porta, mentre Michonne accendeva la luce, sempre con la mazza brandita davanti a sé.
 
Quando videro il loro intruso abbassarono lentamente le loro 'armi' e dopo essersi fissati basiti per un momento, scoppiarono a ridere. Davanti a loro c'era un gattone rossiccio che, oltre ad aver fatto cadere un paio di raccoglitori, stava annusando in lungo e in largo alla ricerca di qualcosa.
 
Gli si avvicinarono e dopo qualche minuto di diffidenza, quello si lasciò prendere da Michonne che a quel punto poté metterlo sul davanzale e richiudere la finestra che qualche sbadato doveva aver lasciato aperta.
 
Uscirono dall'archivio e dopo un sospiro di sollievo, si guardarono negli occhi e scoppiarono di nuovo a ridere. Rick si sentiva bene; aveva la testa leggera probabilmente a causa dell'alcool - non lo reggeva proprio, non c'era nulla da fare -, era con una donna bellissima e aveva tremendamente voglia di baciarla. Ancora ridendo si avvicinò a lei e quando vide i suoi occhi spalancarsi si fece serio per un momento. Si avvicinò lentamente, e le lasciò il tempo di tirarsi indietro. Non voleva costringerla o metterle fretta. Se avesse voluto avrebbe potuto spostarsi, fermarlo o anche mollargli uno schiaffo. Ma non fece niente di tutto ciò.
 
Quasi con timore rispose al bacio che le stava dando. Le posò le mani suoi fianchi e la avvicinò un po' più a sé. Dopo un momento anche lei alzò le braccia, mettendo le mani dietro al collo e accarezzandogli i piccoli ricci alla base della nuca. Rick mugugnò soddisfatto e in quel momento si allontanarono un po', guardandosi negli occhi. Era stato un bacio dolce, lento; un leggero sfiorarsi di labbra.
 
Abbassando la testa, posò la fronte sulla sua e, dopo un sospiro, tornò a guardarla negli occhi. Non seppe per quanto rimasero così, ma ad un certo punto entrambi si riavvicinarono e, stringendosi più forte, ripresero a baciarsi con più trasporto.
 
Intanto Rick iniziò a dondolare all'indietro finché non sentì il pomello di una porta puntellargli la schiena. Dalla stanza alle sue spalle non proveniva alcuna luce, segno che di chiunque agente fosse, non era di turno al momento. Allontanò una mano dalla schiena della donna e aprì la porta dietro di sé, trascinandola con sé nella stanza e richiudendosi la porta alle spalle. Dopo essersi tolti in malo modo i giubbotti, barcollarono verso la scrivania e lui la sollevò facendola sedere sul piano.
 
Senza smettere di baciarsi, Michonne portò le mani sul petto di Rick e cominciò a slacciargli i bottoni della camicia, che poi gli tolse, facendola scivolare a terra. A sua volta lui cominciò a sbottonarle la camicetta e si allontanò quel tanto che bastava per sfilargliela dalla testa. Così come i cappotti, finì da qualche parte lì attorno.
 
Quando sentirono la mancanza d'ossigeno, si separarono con il fiato corto e Rick scese sul collo eburneo di lei, lasciandole piccoli baci fino alla spalla. Di riflesso, si trovarono più stretti di quanto non fossero stati prima, e a lui quasi mancò il respiro quando la sentì così vicina.
 
Tornò a guardarla. Voleva lasciarla decidere. Non le disse nulla, ma la domanda era ben chiara nei suoi occhi. Lei lo guardò a sua volta con quello sguardo così intenso e profondo, gli posò le mani ai lati del viso e lo attirò a sé.
 
§§§
 
Dovevano fare solo qualche ritocco alla loro opera, intanto Judith aveva finito la casetta che aveva disegnato in uno degli angoli e si annoiava. Camminando qua e là era finita su un pennello pieno di pittura verde, appoggiato a terra e aveva lasciato la sua impronta colorata per tutto il telo. Visto quello che aveva creato si era esaltata e dopo aver intinto i piedini nella vernice corse nella parte di muro libera tra la porta e l'armadio e, sdraiatasi a terra, iniziò a stampare le sue impronte per tutta la base del muro.
 
“Guardate!” aveva urlato ridendo, richiamando l'attenzione di tutti. Quando l'avevano vista Daryl aveva sorriso sotto i baffi, Carl si era precipitato a intingere anche i suoi piedi nella vernice e preso il posto della sorellina aveva fatto una colonna che andavano verso l'altro. In tutto ciò, Beth stava per collassare al suolo.
 
“No, ragazzi! Già una parete è tanto, ma così vostro padre ci ammazza! Mi ammazza!” cercò di fermarli, invano.
 
“Beth, guarda che bello! Sembra quasi un albero! Tu e Daryl che siete alti potete fare le foglie!” saltellò entusiasta la piccola, guardandola con gli occhi dolci. Nessuno resisteva a quella smorfia che faceva, mettendo il labbro in fuori e spalancando gli occhi grandi.
 
“Sì Beth, ha ragione lei; ormai è fatta.” concordò Carl. Ormai si era arresa.
 
“Dai Daryl! Vieni anche tu!” disse la bambina, afferrandogli le mani e trascinandolo di fronte alla nuova creazione. “Fai le foglie con Beth?” gli chiese riproducendo perfettamente la stessa espressione con cui aveva convinto Beth.
 
Dopo pochi secondi entrambi avevano i palmi pieni di vernice e stavano tappezzando di mani la parte alta della parete. Lo spazio a disposizione non era molto, anche perché poco più in là finiva il telo di protezione che avevano steso a terra, così si videro costretti a stare uno dietro l'altra. In men che non si dica Beth si trovò bloccata tra Daryl e il muro. Si sentiva pizzicare la nuca e i brividi correre giù per la schiena. Lo sentiva sfiorarle le braccia, e i fianchi quando lasciava qualche impronta più in basso rispetto alle altre.
 
Per un momento pensò di averlo infastidito perché entrambi avevano posato la mano quasi nello stesso posto ed era uscita un'impronta che sembrava unica, non fosse che si distinguevano i colori. La piccola mano rossa di Beth era affiancata da metà mano azzurra di Daryl. L'altra metà era rimasta impressa sul dorso di quella della ragazza. Purtroppo o per fortuna, quel momento non durò più di una decina di minuti e quando la parete fu piena di mani colorate si allontanarono.
 
Beth immobilizzò sul posto i bambini e schizzò fuori dalla stanza per tornare con una spugna e un paio di asciugamani. Li costrinse a pulirsi e solo allora li lasciò liberi di andare dove volessero. Lei e Daryl intanto si erano messi a rifinire qualche dettaglio del dipinto sulla parete grande. Più che altro era stato un dipingersi fra loro. Quando erano arrivati quasi alla fine lei aveva fatto ondeggiare con noncuranza il pennello verso di lui e gli aveva sporcato la camicia. Lui si era girato per un attimo, ma poi aveva nascosto tutto quello che gli passava per la testa voltandosi di nuovo verso il muro. Solo la terza volta che Beth chiese “Penso sia finito, no?”, macchiandolo di nuovo, aveva reagito.
 
Si era girato verso di lei e l'aveva sporcata di vernice blu sulla punta del naso e aveva risposto “Adesso sì.” con un sorrisino soddisfatto.
 
Lei l'aveva guardato fintamente offesa, trattenendo a mala pena un sorriso. “Come hai potuto?” gli chiese puntandogli contro il suo pennello.
 
“Hai iniziato tu.” ribatté lui, con un lampo di divertimento negli occhi.
 
“Non so di cosa tu stia parlando.” e dicendolo aveva ondeggiato il pennello esattamente come aveva fatto prima, sporcandolo di nuovo.
 
“Sì, eh?” domandò retorico lui. Senza il minimo preavviso le prese il polso, che lei aveva allontanato per non lasciargli la sua unica arma. A quel punto tutti i movimenti per tentare di liberarsi erano stati inutili, anche perché l'altezza giocava a suo sfavore. Ma nonostante fosse evidentemente molto forte, non le stava facendo male. Così, tentò il tutto e per tutto, e in una mossa azzardata ruotò su sé stessa, dandogli le spalle e abbassandosi sui talloni.
 
Aveva ragione, non le aveva fatto male. Quando si era voltata, lui aveva lasciato che il suo polso girasse libero nella sua mano e quando si era abbassata, lui l'aveva seguita, tentando solo di sbilanciarla.
 
Erano chinati da qualche minuto, e cominciava a sentire i muscoli in tensione. Le sembrava di giocare a twist. Per tutto il tempo lei aveva riso; lui invece no, ma poteva percepirlo stranamente rilassato e avrebbe giurato di avere visto un sorrisino spuntagli sulle labbra quando si era girata.
 
“Daryl, non è il caso di lasciare?” chiese lei voltando il viso verso il suo.
 
“Molla tu se vuoi, io ho tutto il tempo.” rispose, e le sembrò quasi di sentirlo sorridere.
 
“Mai.” ribatté lei. Ma non andò esattamente così, anche perché dopo due secondi persero l'equilibrio e crollarono entrambi sul pavimento. Beth cacciò un urletto di sorpresa e poi scoppiò a ridere di nuovo.
 
“Be menomale.” disse “Non te l'avrei data vinta, ma non so per quanto avrei resistito.”
 
Si rialzarono e notarono qualcosa di strano. C'era molto silenzio. Troppo silenzio. Si voltarono verso il lettone e solo a quel punto videro i bambini sdraiati. Carl era a pancia in su, con i piedi a penzoloni dal letto, e teneva una mano sullo stomaco, su cui era appoggiata Judith, tutta rannicchiata. Sembravano due angeli. Sembravano.
 
“Li portiamo a letto?” le domandò Daryl a bassa voce. Si era stupita della sua attitudine con i bambini. Non pensava che se li sarebbe mangiati, ma nemmeno che ci andasse così d'accordo, che fosse così portato. Anche durante la cena, Judith aveva fatto qualche capriccio per finire di mangiare e senza che nessuno chiedesse nulla, lui aveva preso la forchettina della bimba e l'aveva imboccata. Si era sentita una strana sensazione allo stomaco che non era riuscita a spiegarsi, e ora era tornata.
 
“No, sono le... le due! Lasciamoli dormire ora che sono calmi.” rispose, cominciando a ordinare i barattoli di vernice. In poco tempo misero a posto, tolsero lo scotch dal muro e rimossero il telo, appallottolandolo per non far uscire le gocce di pittura che erano cadute durante la loro sessione estrema di arte. Portarono la vernice e le bombolette in camera di Carl e buttarono il resto. Presero vestiti e scarpe, e tornarono al piano di sotto.
 
Avevano deciso che Carl e Judith avrebbero fatto la doccia il mattino dopo, ma per ottimizzare i tempi, loro si cambiarono e si diedero una ripulita subito, nonostante la stanchezza.
 
Verso le tre si trovarono entrambi seduti sul divano, con le teste che ciondolavano dal sonno. Beth aveva il gomito appoggiato al bracciolo e si reggeva la testa con una mano, mentre Daryl era affianco a lei, con il capo all'indietro. 
 
“Grazie per avermi dato una mano stasera.” gli disse ad un certo punto, con lo sguardo fisso in avanti. Lui si voltò verso di lei, non sollevando comunque la testa dal cuscino. Per tutta risposta annuì e poi chiuse gli occhi.
 
“Sai, sei bravo. Non pensavo fossi così, e invece ti adorano. Dovresti soffiarmi il posto e diventare tu il babysitter dei Grimes. Anche se probabilmente Rick si troverebbe la casa ridotta come la stazione dei treni nel giro di due settimane.” sorrise leggermente, impigrita dal sonno che incombeva sugli occhi. Dopo qualche istante sentì accanto a lei un respiro profondo e regolare, e cullata da quella ninna nanna si addormentò.
 

Angolo autrice:
Eccoci alla fine dell'ottavo capitolo! Spero di essermi fatta perdonare per la brevità di quello scorso e anche per la "calma" che ne costituiva il leitmotiv. Finalmente la famosa cena tra Rick e Michonne ha avuto luogo e cosa non è successo a quei due! D'altra parte anche in casa Grimes si respira un certo... je ne sais quoi. Ringrazio come sempre chi recensisce e chi ha aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate. Fatemi sapere che ne pensate, a settimana prossima!
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
Erano le sette del mattino quando la luce fredda dell'alba lo colpì in pieno viso. Facendo qualche smorfia e strizzando gli occhi cercò di ricordarsi cosa ci facesse su un pavimento duro e freddo. Fece per voltarsi su un fianco, ma sbatté la testa contro qualcosa di duro. Mugugnò di dolore e si portò la mano sulla zona lesa.
 
Quando riuscì ad abituarsi alla luce, aprì gli occhi pian piano e controllò l'orologio; era ancora presto, il turno di giorno sarebbe iniziato solo due ore dopo. Ne approfittò per guardarsi intorno. Quella contro cui aveva sbattuto poco prima era la gamba di una scrivania, che gettava la propria ombra accanto a lui. In un primo momento, le pareti bianche gli erano sembrate uguali a quelle di tutti gli altri uffici, ma guardando più attentamente capì dov'erano finiti la notte prima.
 
Alla sua sinistra, sul muro alle spalle della scrivania, c'era un poster gigante di Bob Marley alto almeno un metro. Sulla parete di fronte alla finestra era appesa la bandiera della Giamaica, circondata da altre fotografie del cantante. Rick si sollevò a sedere e vide che sul piano del tavolo tutto era in ordine, specialmente il portamatite accanto a cui c'era la statuetta di un uomo con il cappello rosso giallo e verde che si fumava una canna con gli occhi socchiusi.
 
“Oh no...” mormorò.
 
“Che succede?” Non si era accorto che Michonne accanto a lui era sveglia, ma a quanto pare l'alba doveva aver strappato anche lei dal sonno. Aveva parlato a bassa voce e si era stretta il cappotto al petto, tentando di ripararsi dal freddo.
 
“Non potevamo capitare in un posto peggiore.” rispose “Questo è l'ufficio di-”
 
Non riuscì a terminare la frase perché la porta si spalancò di botto, e sulla soglia apparve chiara la figura di un uomo piuttosto giovane. Lo conoscevano bene ed era abbastanza unico nel suo genere; aveva anche apportato delle modifiche personali alla divisa perché la giudicava troppo noiosa. I pantaloni erano dello stesso colore degli altri, ma molto più larghi e si ammassavano a fisarmonica sulle scarpe da ginnastica. Al posto della camicia invece, indossava una felpa di almeno tre taglie più grandi rispetto alla sua, dello stesso beige della divisa e sulle spalle aveva un parka marrone che gli sfiorava le ginocchia. A coronare il tutto un berretto in tinta con i capelli castano chiari e uno stereo appoggiato sulla spalla che mandava “I Shot the Sheriff” a tutto volume.
 
JESUS! Non si usa più bussare?” urlò Rick, mentre veniva squadrato dall'altro, che appena li aveva notati aveva sorriso furbescamente.
 
“Non sapevo di dover bussare per entrare nel mio ufficio.” rispose con tono malizioso. “Comunque fate con comodo.” e richiudendosi la porta alle spalle si era allontanato canticchiando “I shot the sherrif! But I swear it was in self-defense! Uh, uh, uh!” aveva concluso con un urletto. Rick e Michonne fissarono la porta basiti per qualche istante.
 
Dopo un po' si riscosse “Ehm... forse sarebbe il caso di andare...” disse voltandosi verso di lei. La trovò in piedi, appoggiata al muro che si allacciava uno stivaletto. Aveva già il cappotto sulle spalle, e dopo aver preso la borsa era pronta ad andarsene.
 
“Sì, io vado avanti.” rispose senza nemmeno guardarlo negli occhi. Attraversò velocemente la stanza e sbatté la porta con un colpo secco. Lui era rimasto seduto sul pavimento con indosso solo i pantaloni, a guardarla andarsene via come un idiota. Restò immobile qualche minuto e poi si portò le mani tra i capelli. Ma che cosa aveva fatto? Sicuramente le aveva dato fastidio per Jesus! Era stato un imbecille! Dopo due mesi passati a chiederle di uscire lei accettava e lui che faceva? La portava in centrale. Era sempre stata molto riservata e lui...! Era un deficiente, ecco cos'era! Un perfetto coglione!
 
Si costrinse a rivestirsi velocemente, pensando che sarebbe dovuto tornare in fretta dai bambini. I suoi suoceri gli avevano detto di voler passare un po' di tempo con i piccoli dato che, abitando piuttosto lontano, si vedevano raramente. Così si erano accordati e proprio quella mattina i genitori di Lori li avrebbero aspettati alla stazione per portarli a casa loro fino alla fine della settimana. Senza guardare in faccia nessuno uscì dalla centrale come una furia e una volta salito in macchina guidò veloce fino a casa. Frugando tra le tasche del giubbotto trovò il mazzo di chiavi e aprì la porta. Entrò in tutta fretta dicendo “Ragazzi! Dobbiamo andare dai nonni!”
 
Attraversò il piccolo ingresso diretto in cucina e sullo stendino trovò una delle sue divise. Non era stirata, ma almeno era pulita. Si levò la giacca, calciò via le scarpe e cominciò a togliersi la camicia mentre si dirigeva in salotto. Quello che vide però arrestò la sua corsa. Sul suo divano, accoccolati uno vicino all'altra, c'erano Beth e Daryl profondamente addormentati. Erano entrambi seduti; lei aveva la testa posata sul bracciolo, mentre lui era appoggiato alla sua spalla e le circondava la vita con un braccio.
 
Davanti a quel quadretto romantico non riuscì a impedirsi di sorridere e, preso il cellulare dalla tasca dei pantaloni, si avvicinò un po' e gli scattò una foto. Scuotendo la testa divertito, decise che per quanto li trovasse teneri, era davvero il momento di andare, così li svegliò. “Beth! Daryl!”
 
Quando entrambi si sentirono toccare, spalancarono gli occhi e girarono la testa di scatto verso il padrone di casa intento a cambiarsi in mezzo alla stanza. Inizialmente Beth non capì cosa ci fosse di strano, ma nel momento in cui Daryl si allontanò di lei, liberandola dalla sua presa, se ne rese conto. Aveva appena dormito abbracciata a Daryl?! Anzi, lui aveva dormito abbracciato a lei! Anche se nel sonno non se ne era accorta, ora che lui non le stringeva più il fianco come qualche attimo prima, ne sentiva la mancanza.
 
Poi però un altro pensiero la colpì. I bambini. Dovevano lavarsi, erano pieni di pittura dalla testa ai piedi! La sera prima li aveva ripuliti come poteva, ma una doccia era d'obbligo! E ora con Rick come avrebbe fatto? L'avrebbe ammazzata...
 
“È meglio svegliare Carl e Judith.” disse Rick, andando in corridoio.
 
“NO!” urlò Beth, fermandolo sul posto.
 
Lui si voltò verso di lei stupito e le chiese titubante “Perché no?”
 
“Perché... perché...” cercò di prendere tempo, di farsi venire in mente una balla credibile per impedirgli di andare al piano di sopra, ma non le venne in mente nulla. Gettò uno sguardo a Daryl in cerca di supporto, ma l'uomo affianco a lei si stava stropicciando gli occhi come un bambino. Quella scena la sciolse; era tenerissimo, senza nemmeno farlo di proposito! Rick richiamò la sua attenzione schiarendosi la gola.
 
“Be, non serve che tu vada perché...”
 
“Siamo pronti papà!” urlò Carl dalla cima delle scale. E infatti poco dopo scese con il borsone su una spalla e Judith per mano. Beth non poteva credere ai suoi occhi. I bambini erano freschi di doccia, con i capelli vaporosi, i vestiti nuovi e nessuna traccia di pittura addosso.
 
“Papi!” esclamò la bambina saltando in braccio a Rick, dandogli un bacio sulla guancia. E mentre la piccola si faceva coccolare, Carl guardò Beth e le fece l'occhiolino. Per tutte risposta lei, che era alle spalle di Rick, congiunse le mani e iniziò a mimare con la bocca "Grazie! Grazie!", poi le avvicinò fino a formare un cuore e in ultimo gli mandò un bacio, di fronte al quale il ragazzo rimase serio a fatica.
 
“Io devo accompagnarli alla stazione o rischiano di perdere il treno.” disse Rick voltandosi verso Beth e Daryl “Ma voi rimanete, fate con calma; mi ridarete le chiavi in ufficio. A dopo!” e detto questo i Grimes uscirono, lasciando la casa immersa nel silenzio.
 
“Vuoi il caffè?” chiese la ragazza per spezzare il silenzio. “Ce ne è rimasto un po' da ieri sera.”
 
Lui la guardò per un momento e poi fece un cenno affermativo con la testa. A quel punto si diressero in cucina, Daryl andò verso il lavello, prese due tazze dallo scolapiatti e le posò sul tavolo di fronte a Beth che le riempì di liquido scuro. Rimasero in silenzio mentre sorseggiavano la colazione; anche se non potevano saperlo stavano pensando entrambi la stessa cosa.
 
Perché quel momento sembrava così strano?
 
Beth non era molto ferrata su quel genere di cose. Durante gli anni in Accademia non era mai stata con nessuno; qualche volta le sue amiche l'avevano incoraggiata presentandola a questo o a quell'amico, ma nonostante tutto lei non riusciva a smettere di pensare a Daryl. Qualche volta aveva provato ad uscire con qualcuno, ma quando il ragazzo in questione la baciava si sentiva tremendamente in colpa. Non era tranquilla, le sembrava di trovarsi in un posto in cui non avrebbe dovuto essere. Così dopo un paio di uscite si tirava indietro. Eppure in quel momento, seduta accanto a lui, sentì che non avrebbe voluto essere da nessun'altra parte. Aveva le farfalle nello stomaco ma stranamente, nonostante il silenzio, lo sentiva vicino.
 
Daryl da parte sua si stava domandando perché mai avesse accettato a prendere quel caffè. Quando si erano svegliati e si era trovato sdraiato su di lei, gli era preso un infarto. Si sentiva come colto con le mani nel sacco. Prima che uscisse, Rick lo aveva guardato e aveva avuto la sensazione che lo stesse osservando in modo particolare. La cosa che lo disturbava maggiormente di quella situazione era che si sentiva stranamente tranquillo. La vernice doveva avergli dato alla testa.
 
Si accorse di aver finito il caffè quando Beth gli sfilò la tazza dalle mani e si diresse verso il lavello per sciacquarla.
 
“Io vado, tu vuoi restare?” gli chiese ad un certo punto.
 
“No, andiamo.” le rispose, saltando su dalla sedia e dirigendosi verso la porta.
 
Beth prese la sua borsa, controllò di non aver dimenticato nulla e uscì di casa seguita dall'uomo, chiudendo la porta a chiave. “Ci vediamo al lavoro.” lo salutò lei, andando verso l'auto. Mentre camminava si sentì la nuca formicolare; temeva di essere osservata ma non si girò. Quella mattina era stata già abbastanza surreale.
 
§§§
 
Dopo aver salutato Carl e Judith aveva lasciato la stazione ed era andato in centrale. Non avrebbe fatto in tempo a farsi una doccia, così si arrese all'idea che avrebbe fatto schifo per tutta la giornata: occhiaie, capelli che sparavano ovunque e divisa stropicciata. Quella giornata prometteva bene. Quando entrò, trovò Beth al bancone d'ingresso che chiacchierava con Michonne. Passandogli accanto le salutò; Beth alzò lo sguardo su di lui e sorrise “Ciao Duke! L'altro ti aspetta in ufficio con le chiavi.” Invece Michonne aveva abbassato gli occhi su un foglio accanto a lei, cominciando a scrivere e non aveva detto nulla.
 
Abbattuto, si diresse in ufficio cercando di dissimulare su come si sentisse. Quando entrò vide “l'altro Duke” davanti alla loro foto che cancellava furiosamente qualcosa con una gomma. Appena richiuse la porta, l'uomo si girò di scatto, osservandolo guardingo e parandosi davanti all'immagine per nascondere quello che evidentemente voleva far sparire.
 
“Che fai?” gli chiese perplesso.
 
“Niente!” rispose troppo velocemente Daryl.
 
“Quindi non stai cercando di nascondermi qualcosa.” sorrise ironico.
 
“No.”
 
“Sarà.” disse lasciando il giubbotto sull'appendiabiti. Andò verso la poltrona ma all'ultimo si voltò verso l'uomo che aveva ripreso a cancellare. Il Daryl della foto era circondato da tanti piccoli cuoricini disegnati a matita che il diretto interessato stava evidentemente tentando di rimuovere.
 
“Capisco...” mormorò malizioso “A proposito, Beth mi ha detto che hai le mie chiavi. Allora, tutto a posto?”
 
“Dovresti farti un po' i cazzi tuoi.” borbottò l'altro passandogli il mazzo che aveva in tasca. “E sei tu che sei stato fuori tutta notte, dovrei essere io a chiederti com'è andata.” rispose sedendosi di fronte a lui.
 
Il viso di Rick a quel punto si rabbuiò. Sembrò spegnersi; le spalle si incurvarono, abbassò la testa e assunse una strana smorfia. Sembrava essere appassito, come un fiore in una giornata estiva troppo calda.
 
“Che c'è? Hai fatto cilecca?” domandò con un ghigno. Rick sollevò di scatto la testa e lo fulminò con lo sguardo.
 
“No Daryl, non ho fatto cilecca.” gli rispose infastidito. “Ma...”
 
“Va be, ma chi sarà mai-?”
 
La porta si aprì all'improvviso interrompendoli; Michonne entrò decisa e in tono freddo e distaccato disse “Rick, Abraham ha bisogno di te per il caso Foster, ha detto di andare da lui appena puoi. Ciao Daryl.” e dopo averlo salutato, uscì com'era entrata.
 
Appena l'aveva vista, Rick si era raddrizzato sulla sedia e aveva avuto occhi solo per lei. Il suo sguardo si era riempito di speranza, ma man mano che la donna parlava si era disilluso. Daryl nel frattempo si era accorto di come l'aveva guardata e non ci era voluto molto perché facesse due più due.
 
“Ah, capisco.” esordì con malizia, ricalcando le parole che l'altro gli aveva detto pochi minuti prima.
 
“Non dire nulla.” lo stroncò l'altro, alzandosi “Vado da Abraham, tu non hai visto niente.” e detto questo, praticamente fuggì dalla stanza.
 
Era rimasto con Abraham per circa un'ora. I Foster erano una delle famiglie mafiose più importanti della zona; stranamente erano rimasti 'silenti' per anni, esattamente da quando Chacòn era sparito, ma ultimamente si erano fatti risentire. Solo un paio di giorni prima uno dei loro uomini era morto in un conflitto a fuoco; probabilmente si trattava di un regolamento di conti con qualche gang. Erano stati Abe e Jesus ad intervenire, ma quando erano arrivati sul luogo del delitto c'erano solo il corpo della vittima in un lago di sangue, e un mare di persone; mezzo quartiere si era riversato in strada per capire cosa fosse successo.
 
In effetti non erano in periferia; strano che succedesse qualcosa del genere nel cuore della città. Il caso non era ancora chiuso; avevano identificato il calibro del proiettile, avevano trovato l'arma del delitto - gettata in un cassonetto in una via poco distante dalla scena del crimine - ma non c'erano impronte. In quei giorni avrebbero fatto un giro nella zona per vedere se qualche telecamera di sorveglianza avesse ripreso qualcosa.
 
Con gli occhi stanchi lasciò l'ufficio del collega e uscendo, aveva visto Michonne poco più avanti in corridoio. Voleva avere almeno la possibilità di rimediare e dato che non c'era nessuno attorno, colse l'occasione. “Michonne!” lei si fermò e lasciò che la raggiungesse.
 
“Dimmi, hai bisogno?” chiese in tono sbrigativo, guardandolo distaccata.
 
“No. Be, sì. Volevo dirti che stamattina...” iniziò titubante, ma lei lo fermò subito.
 
“Va bene così Rick. Lasciamo perdere.” e si allontanò da lui a passo svelto e deciso.
 
Rimase immobile ad osservarla andarsene. Davvero non capiva cosa fosse successo, fino alla sera prima erano stati bene. Per lui non era stata un'avventura di una notte e pensava che anche per lei sarebbe stato lo stesso. Ma comunque trovava strano che si comportasse in quel modo. Forse se n'era pentita.
 
§§§
 
Daryl non sapeva spiegarsi cosa stesse accadendo negli ultimi tempi. Da quando casa sua era diventata un centro sociale? Prima di allora non aveva mai portato nessuno eccetto Merle, e nel giro di due settimane si trovava a fare da babysitter ad entrambi i Duke.
 
Non poteva credere di prestarsi davvero a quella pagliacciata. Conosceva quel telefilm a memoria, lo aveva sempre visto; ma da lì a considerarsi Bo Duke ne passava d'acqua sotto i ponti. E invece Bo, Luke e Daisy erano diventati i loro soprannomi in centrale. Gli sembrava di stare in una di quelle pubblicità di cereali in cui tutti erano contenti e vivevano in armonia.
 
A dir la verità non era proprio così in quel momento. Lui e Rick erano seduti sulle poltrone del suo salotto circondati da bottiglie di birra vuote, la maggior parte delle quali erano state bevute dall'agente. Quando avevano finito il turno, Rick gli era sembrato così imbambolato che senza nemmeno accorgersene lo aveva tenuto d'occhio mentre saliva in macchina; e per fortuna. Non era nemmeno uscito dal parcheggio che ad un certo punto si era ritrovato a indietreggiare fino a scontrarsi contro un paletto.
 
A quel punto era andato da lui che, posando la testa sullo sterzo, gli aveva detto afflitto “Io rimango qui.” Alzando gli occhi al cielo lo aveva fatto scendere dall'auto e, dopo averla parcheggiata di nuovo, se l'era tirato dietro fino al suo pick-up. Evidentemente doveva avere qualche problema; qualcuno doveva averlo infettato gravemente con una particolare forma di istinto da crocerossina, o non si spiegava perché si trovava in casa sua con un uomo mezzo ubriaco.
 
“Grazie...” mormorò quello. “Non avrei voluto rimanere a casa da solo.” Daryl mugugnò in assenso. “Sai, lavoriamo insieme da due mesi eppure non so praticamente niente di te.” domandò curioso.
 
Daryl abbassò la testa e dopo qualche attimo sollevò le spalle e rispose “Non c'è molto da dire.”
 
Rick capì che l'uomo accanto a lui non aveva molta voglia di parlare; era a disagio. In effetti non si era reso conto di quello che gli aveva chiesto finché non aveva sentito silenzio dall'altra parte. Bastava pensare al motivo per il quale si erano conosciuti. Lui aveva un intero fascicolo nell'archivio della centrale, su cui c'era scritto nero su bianco ogni sbaglio che aveva commesso. Probabilmente non aveva avuto una vita facile.
 
Fingendo di non notare il silenzio teso che era seguito alla risposta, iniziò a parlare. “Ho sempre vissuto ad Atlanta, sono figlio unico. Da piccolo la mia merenda preferita era patatine e pezzetti di cioccolata, e ho dato il mio primo bacio a Julia Harris, in quinta elementare.” sorrise al ricordo.
 
“Come sei finito a fare lo sbirro?” gli domandò l'altro.
 
“Durante gli anni del liceo andavo sempre a giocare a basket in uno dei campetti di periferia con i miei amici. Un giorno tornando a casa ho visto un gruppetto di ragazzi che davano fastidio a un altro. Ma quello che mi aveva colpito di più era l'unico rimasto un paio di passi indietro. Senza accorgermene mi ero fermato a guardare cosa stesse succedendo. Dopo averlo pestato un po' se ne andarono e il ragazzo in disparte, sempre tenendosi in coda li aveva seguiti. Aveva una canotta gialla piuttosto larga; pensai che giocasse a basket. I giorni successivi tornai al campo intorno alla stessa ora ma non lo vidi più. Volevo parlargli, non sembrava uno che volesse stare davvero lì in mezzo. Dopo un paio di mesi mi iscrissi in Accademia; penso fu per quello che vidi quel giorno. Mi ero sentito... impotente. Così decisi che avrei cercato un modo per evitare che accadesse di nuovo.”
 
“Eri il classico bravo ragazzo con il cappellino di traverso e il sorriso onesto, vero?” domandò Daryl sorridendo.
 
“Può darsi.” rispose stando al gioco.
 
Dopo qualche minuto passato in silenzio a pensare, gli chiese: “Per caso il campetto era quello vicino al minimarket e la fabbrica chimica?”
 
Rick mormorò “Mh-m.” cercando di nascondere un sorriso, anche se l'altro non lo stava guardando.
 
“Avevi un cappellino blu?”
 
Si voltò verso di lui e gli sorrise “Sì.”
 
Daryl lo guardò negli occhi sorpreso. Ora si ricordava! Aveva completamente rimosso quel ragazzo con il viso pulito che aveva visto per caso, mentre era in giro con Merle e i suoi amici coglioni. Gli era sembrato che quel ragazzo così lontano dal suo mondo, gli avesse teso una  mano solo guardandolo. La verità era che anche lui era ripassato di lì per un paio di giorni. Poi suo fratello si era messo nei guai e aveva dovuto arrangiarsi. Era cambiato da allora, ma adesso che lo osservava c'era ancora qualche somiglianza con il Rick di una quindicina d'anni prima.
 
“Da quanto tempo ti ricordi?” gli chiese cauto.
 
“Stamattina mentre dormivi avevi un'espressione talmente rilassata, e mi si è accesa la lampadina.”
 
Annuì ancora un po' frastornato, poi si riprese “Se avessimo fatto una partita ti avrei stracciato.” gli disse sorridendo.
 
Rick scoppiò a ridere. “Non me la cavavo male, sai?”
 
“Immagino, avrai avuto tutte le ragazze ai piedi.” rispose.
 
“No, assolutamente.” scosse la testa deciso “Ero anche piuttosto timido; mi sono buttato solo con l'unica che valesse la pena.” aggiunse con uno strano tono e lo sguardo fisso avanti come se stesse guardando qualcosa che Daryl non poteva vedere.
 
“La mamma di Carl e Judith?”
 
“Sì. Lori è morta tre anni fa, quando è nata la piccola. Complicazioni della gravidanza.” anche se non gliel'aveva chiesto, glielo disse comunque. Sentiva di potersi fidare.
 
“E in questi tre anni...?”
 
“Non ho visto nessuna. I primi tempi sono stati davvero duri. Durante il giorno correvo da tutte le parti per stare dietro ai bambini, al lavoro, alla casa. Ho dovuto fare la mamma e il papà insieme, e la maggior parte delle volte avevo paura di non saper fare né l'uno né l'altro.” scosse la testa con un sorriso leggero in volto. “Ma arrivato a sera, quando mi ritrovavo da solo e la casa era in silenzio, mi mancava.”
 
“E con Michonne?”
 
“Lei è la prima da quando...” lasciò la frase in sospeso, ma Daryl capì “Non mi sono accorto di quanto mi interessasse realmente finché non le ho chiesto di uscire e lei mi ha detto di no.” sorrise divertito di sé.
 
“Che ho fatto? ” chiese ripensando a quanto era stata distante quel giorno. “Ok, Jesus ci ha beccati, ma l'hai visto anche tu: lui non ha detto niente, in ufficio non lo sa nessuno. E allora cosa ho sbagliato? Perché non mi parla ed è così distante? Sono un imbecille... Ma l'hai vista? Lei è troppo per me! È intelligente, bella, giovane. L'apice delle mie giornate è fare la voce all'orsetto di Judy. Amo i miei figli, non sto dicendo il contrario. Ma cosa potrei offrirle? Di sicuro ho sbagliato qualcosa... Non sono più abituato; sono vent'anni che non avevo un appuntamento!” dopo un sospiro pesante domandò “Che posso fare?” Le parole gli erano uscite come un fiume in piena.
 
Daryl si voltò pigramente verso di lui, facendo roteare la bottiglia tra le sue mani. Lo guardò per un po' e poi sollevò le spalle. L'altro mugugnò infastidito e disse in tono lamentoso “Dai, Daryl! Fai uno sforzo!”
 
Per tutta risposta quello si alzò e sparì in camera per qualche minuto. Quando tornò aveva in mano una scatolina di legno, dentro cui c'era qualche spinello. “Ecco cosa puoi fare: rilassati e non rompere i coglioni.” rispose passandogli una canna e sedendosi di nuovo. Dopo aver espirato il primo tiro gli chiese “Senza farti seghe, pensa: ti sembra di aver fatto qualcosa di male?”
 
Rick rimase qualche attimo in silenzio, osservando la nuvola di fumo che gli usciva dalla bocca. “No, non credo.” disse infine.
 
“Ecco. Allora prova a parlarle; magari è lei il problema.” ribatté deciso.
 
“Pensi che non ci abbia provato?! Certo che l'ho fatto, e sai che mi ha risposto? Di lasciar perdere!” alzò il tono di voce, frustrato. “Che cosa cazzo vorrebbe dire?”
 
“Quello che ha detto: lascia perdere.” rispose in tono ovvio; guardò l'uomo accanto a lui e sospirò. “Mi sembra che lei sia piuttosto importante.” Rick lo guardò incerto, e a quel punto Daryl gli lanciò un'occhiataccia. “Certo che lo è, o non saresti qui. Dalle il tempo di pensarci a mente fredda - e fallo anche tu - e poi prova a riavvicinarti.”
 
“Dici?” domandò l'altro dopo un po'.
 
“Certo. O questo, oppure sei stato una bella scopata.” rispose con un sorrisino. Per tutta risposta Rick gli tirò un cuscino, cercando di nascondere il sorriso che gli era sorto spontaneo.
 
“Tu si che sai come consolare qualcuno.” lo rimbeccò risentito. “Ma dove le hai prese queste?” chiese incuriosito sollevando la canna.
 
“Jesus.”
 
Jesus?! Paul Jesus Rovia?” chiese allibito.
 
“Conosci qualcun'altro?” lo guardò scettico e davanti alla faccia dell'altro aggiunse “Be, che c'è? Mi hai costretto a diventare un mezzo sbirro, dovrò pur approfittarne, no?” si sistemò meglio nella poltrona e sollevò i piedi sul tavolino.
 
Rimasero in silenzio per qualche minuto, rilassandosi e finendo di fumare; poi Daryl si sporse a prendere il posacenere, che passò a Rick dopo aver spento il mozzicone; lo rimise al suo posto e prese il telecomando dello stereo. Puntandolo alle sue spalle fece partire la musica. L'uomo accanto a lui cominciò a canticchiare, seguendo il ritmo della canzone. Gli venne da ridere, ma si ritrovò a seguirlo.
 
“A proposito.” esordì Rick quando la melodia si interruppe e cominciò la successiva “Non mi hai detto com'è andata con Beth.”
 
“Perché non c'è niente da dire.” rispose rapido.
 
“Non possiamo parlare solo delle mie disgrazie. Parliamo anche delle tue; consolami.” sorrise ironico, lanciandogli uno sguardo divertito.
 
Daryl non disse nulla, si limitò a fissare la parete bianca davanti a sé. Allora aveva ragione! Quella mattina Rick lo aveva guardato in modo strano, non si era sbagliato! E quando lo aveva beccato a cancellare quei dannatissimi cuoricini che qualcuno aveva messo sulla foto, nella sua testolina doveva essere stato chiaro quello che sospettava. Peccato per lui che si sbagliasse. Non era successo niente, mai sarebbe successo e andava benissimo così. L'alcool e l'erba dovevano avergli fatto più male di quello che credeva.
 
Quando si accorse che l'agente stava per ricominciare a parlare, cercò di sviare il discorso. Non voleva che insistesse; aveva torto, che lo lasciasse in pace. Così gli chiese a bruciapelo: “Lo vuoi un tatuaggio?”
 
L'altro rimase basito e dopo un po' gli chiese: “Perché? Puoi farlo?”
 
“Certo. Questo me lo sono fatto da solo.” scostò la manica della maglietta che indossava e gli mostrò la sigla che si era tatuato di fronte allo specchio un pomeriggio di tanti anni prima.
 
“Sì! Lo voglio anche io! Facciamo il tatuaggio!” rispose saltando in piedi con i le mani a pugno sopra la testa. Bene, missione compiuta, l'aveva distratto. Il padrone di casa barcollò di nuovo in camera da letto e tornò con tutto il necessario.
 
“Dove lo vuoi?” gli domandò.
 
“Qui!” Rick fece un sorriso a trentadue denti e si indicò la fronte.
 
“Meglio di no” sorrise Daryl sotto i baffi. “Ti bandirebbero dalla centrale.”
 
“Mmm... Decidi tu, lascio tutto nelle mani del mio tatuatore di fiducia!” esclamò tentando di soffocare invano una risata. Era completamente andato.
 
“Va bene, appoggiati al tavolino.”




Angolo autrice:
Eccoci arrivati alla fine del nono capitolo! Prima di tutto volevo scusarmi per il ritardo; ho avuto qualche problema organizzativo e non sono riuscita a trovare un attimo di tempo per pubblicare, ma eccoci qui! Allora: perché Michonne è così distante? Rick è stato davvero solo "una bella scopata" (usando le parole di Daryl) oppure c'è dell'altro? E a proposito del nostro arciere preferito: come andranno ora le cose con Beth? Ma soprattutto: cosa tatuerà a Rick?
Per quanto riguarda Jesus so che quello di questo capitolo non è un comportamento da lui (per quello che ne sappiamo, ma in generale mi sento di escluderlo :P) ma è l'unico punto volutamente OOC che ho scritto, in quanto riprende una scena del film TAXXI. Dovete sapere che l'idea di base per questa fanfiction è nata proprio mentre riguardavo la tetralogia di Taxxi (di Luc Besson <3) e siccome nel terzo c'è una scena molto simile ho voluto in qualche modo rendere omaggio alla pellicola e ad Alain (il "corrispettivo di Jesus). Spero che in ogni caso non sia una cosa che "disturbi" eccessivamente ma anzi che vi faccia sorridere^^ Ringrazio come sempre chi recensisce (risponderò al più presto, giuro!) e chi mette la storia tra preferite/seguite/ricordate!
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
Beth guardò l'orologio per l'ennesima volta in pochi minuti.
 
Le dieci e mezzo.
 
Il turno era iniziato da quasi due ore, e di Rick e Daryl non c'era traccia. Le era subito parso strano che fossero in ritardo, ma per la prima mezz'ora era stata tranquilla ad aspettarli senza darsi troppa pena .
 
Verso le dieci aveva incominciato a chiedere se qualcuno li avesse visti o sentiti. Era arrivata a pensare che magari erano stati chiamati in fretta e furia per una qualche emergenza; invece non c'erano state segnalazioni. Ma in fondo era ancora relativamente presto, così si era detta di aspettare ancora un po'.
 
Appena aveva sentito le campane della chiesa lì vicino scoccare la mezza, era scattata in piedi ed aveva preso il cappotto. Passando di fronte al bancone d'ingresso aveva chiesto a Juliet di essere avvisata se i Duke si fossero fatti vivi; poi era salita in macchina e si era avviata verso casa di Daryl. Li aveva visti andare via insieme la sera prima, quindi probabilmente si trovavano insieme anche in quel momento.
 
 
Arrivata in periferia percorse una manciata di vie e arrivò a destinazione. Parcheggiò di fronte all'ingresso e dopo qualche istante di indecisione suonò il campanello. Ricordava che il trillo era piuttosto forte eppure in quel momento non sentiva nulla; forse era guasto o l'avevano staccato. Bussò un paio di volte ma dall'interno non sembrava provenire alcun segno di vita. Eppure era sicura che ci fossero, il pick-up di Daryl era lì di fronte.
 
Poi le venne un'idea. Le scale antincendio! Probabilmente sarebbe potuta salire da lì. Fece il giro dell'isolato e una volta arrivata nella via parallela, gioì quando vide le scale che serpeggiavano sulla facciata del palazzo. Cominciò a salire con cautela, stando attenta a dove metteva i piedi. Si sentiva come se fosse la protagonista di un film di spionaggio, ma si augurava che nessuno dei vicini la prendesse per una ladra. In effetti era abbastanza insolito entrare dalla finestra, soprattutto se non è quella di casa propria.
 
Quando arrivò sulla grata in ferro traballante si appoggiò al vetro della portafinestra e si fece ombra con le mani. Rimase qualche secondo a guardare ma niente, non c'era traccia dei due uomini. Accanto a lei però, si accorse che c'era anche una finestra. Posò l'orecchio sulla persiana ma non sentì nulla. Tanto valeva provare, se anche fosse stato tutto chiuso avrebbe potuto bussare sul vetro o chiamarli.
 
Aprì l'imposta e scrutò la stanza sperando che ci fosse qualcuno ma, quando realizzò quello che si trovava di fronte a lei, rimase immobile. La finestra non era della camera da letto come aveva pensato; dava sul bagno. E proprio in quel momento c'era Rick seduto sulla tazza. Non appena i raggi pallidi e freddi del sole entrarono nella stanza, lui si voltò di scatto e strizzò gli occhi cercando di abituarsi all'ondata di luce che aveva invaso la penombra. Dopo un po' riuscì a vedere con chiarezza e la fissò piuttosto perplesso.
 
Il corpo di Beth sembrò bloccarsi; gambe e braccia si irrigidirono e il suo cervello si spense. Le orecchie furono riempite da un ronzio e sentì il mondo attorno a lei ovattato e lontano. Non riuscì nemmeno a formulare un pensiero. Era come se tutto il suo sistema nervoso fosse andato in blackout nel giro di una frazione di secondo. Rimase lì con gli occhi sbarrati, a fissare Rick che la guardava stupito.
 
“Ehm... Potresti chiudere?” le chiese tranquillo dopo qualche istante.
 
Beth nemmeno rispose, riuscì solo a spalancare gli occhi e chiudere la persiana con uno scatto veloce, per poi correre giù dalle scale e lungo la via. Che figuraccia! Rick! In bagno! Solo queste parole le rimbombavano in testa mentre camminava e arrossiva ogni secondo di più. Oddio, sarebbe morta di vergogna! Non sarebbe mai più riuscita a guardarlo negli occhi in vita sua!
 
Tornò davanti alla porta d'ingresso e si sedette sul gradino aspettando Daryl, che dopo pochi minuti sbucò da uno dei vicoli lì vicino con la colazione. Appena la vide in lontananza un lampo di stupore attraversò i suoi occhi ma subito lo nascose, non riuscendo però ad evitare di assumere la sua solita posizione di difesa: spalle rigide e schiena dritta.
 
“Che ci fai qui?” le domandò, facendole un cenno mo di saluto.
 
“Sono le undici, sono passata a vedere se foste ancora vivi.” rispose alzandosi dal gradino.
 
“Potevi suonare, Rick è rimasto a casa.” le disse mentre apriva la porta.
 
“Sì, me ne sono accorta.” mormorò imbarazzata.
 
Mentre salivano al piano di sopra, Daryl si girò verso di lei e vide le sue guance rosse come pomodori. “Perché hai quella faccia?”
 
“Non hai idea della figura di m-” erano arrivati in cima alle scale e a quel punto aveva visto Rick in mezzo al salotto. “Rick! Mio dio, non sai quanto mi dispiace! Davvero, non volevo! Pensavo fosse la finestra della camera! Se avessi saputo che c'eri tu, non avrei mai aperto in quel modo!” cominciò a parlare velocemente.
 
Daryl era tra loro due e spostava lo sguardo confuso dall'uno all'altra, senza capire bene cosa fosse successo.
 
Rick si girò verso di lui e sorrise spiegandogli: “Beth ha aperto la persiana del bagno proprio mentre lo stavo usando.” poi ritornò a guardare la ragazza “Ma tranquilla, come se niente fosse successo.” la abbracciò ridendo. Lei seppellì il volto ancora paonazzo nel suo petto, ma entrambi la sentirono ridacchiare sommessamente.
 
“A proposito, come mai sei qui?” le domandò una volta che si allontanarono.
 
In quel momento si ricordò perché era andata a cercarli. “Ragazzi, siete stati a Las Vegas? Non avete un orologio?” gli domandò basita. Quando entrambi la guardarono come se non capissero cosa intendesse, continuò: “Sono le undici!”
 
Rick spalancò gli occhi e si girò di scatto verso l'uomo accanto a sé, fulminandolo con lo sguardo. “Daryl! Perché non me l'hai detto? Non ho mai fatto tanto ritardo!”
 
“Se ho il capo che mi giustifica non vedo perché avere fretta.” rispose semplicemente, cominciando a tirare fuori i cornetti e i due bicchieri di caffè dal sacchetto che aveva in mano.
 
“Non ci credo...” disse l'altro passandosi una mano in viso e facendo un respiro profondo. “Mi sento uno schifo.” mormorò qualche istante dopo.
 
Daryl emise una sorta di grugnito che somigliava a una risata. “E ci credo, dopo tutta quella birra e le-”
 
Ma fu subito interrotto dall'amico, che parlando a voce alta per sovrastare la sua, disse “Sì, grazie! Non c'è bisogno di ricordarmelo o di farlo sapere a terzi.” indicò Beth con un cenno del capo.
 
“Che avete combinato qui?” chiese lei con un sorrisino furbo. Dopo la reazione di Rick era praticamente cerca che fosse successo qualcosa.
 
“Niente!” rispose velocemente il diretto interessato. “Facciamo colazione.” tagliò corto.
 
Mentre il padrone di casa cercava dei tovaglioli su cui posare le brioche - e per fortuna ne aveva prese un paio in più - gli altri due si accomodarono sulle poltrone; Rick su quella a sinistra, dove era stato anche la sera prima e Beth a destra, su quella di Daryl. Appena questo si girò e la vide spaparanzata al suo posto non riuscì a trattenere uno sguardo infastidito, ma alla fine si arrese e si sedette sul tavolino di fronte a loro.
 
In pochi minuti spazzolarono la colazione e la ragazza rubò il caffè un po' all'uno e un po' all'altro, con la scusa che per lei non ce n'era. Ormai si erano fatte quasi le undici e mezzo, e avrebbero proprio dovuto tornare in ufficio.
 
“Sono uno straccio, ma vorrei evitare di andare in giro come ieri. Posso farmi una doccia?” domandò il vicecapitano.
 
“Certo. Vedo se trovo dei vestiti, ma non aspettarti troppo.” disse tranquillo Daryl “Sai dov'è il bagno.” si esibì in un sorrisetto sghembo pieno di sottintesi, mentre l'altro si avviava.
 
“Anche Beth lo sa.” ribatté Rick strizzandole l'occhio e chiudendo la porta.
 
“Che stronzi!” scoppiò a ridere lei per tutta risposta, sentendo un'altra risata provenire dal bagno.
 
Era mezzogiorno passato quando, finalmente, arrivarono in centrale. Appena le porte dell'ascensore si aprirono sul primo piano, dove c'erano tutti gli uffici, i loro colleghi li accolsero con un applauso. Beth fece un mezzo inchino e passando tra Jesus e Abraham batté il cinque ad entrambi.
 
Rick si grattò la nuca con imbarazzo, lanciando un sorrisino di sottecchi a quelli che gli stavano intorno; li capiva, il capo che faceva ritardo era un evento che non potevano lasciarsi sfuggire, così stette al gioco. Intanto Daryl cercò di togliersi dal centro dell'attenzione il più velocemente possibile. Con gli occhi bassi si appoggiò al muro, e quando li rialzò, ormai sicuro che non stessero più badando a lui, si trovò accanto a Michonne.
 
La donna guardava in modo strano il suo amico - oh cazzo, lo aveva pensato davvero? - ma non capiva a cosa fosse dovuta quella strana espressione. Quando Rick si girò e incrociò i suoi occhi, le sorrise ma lei si limitò ad ricambiare lo sguardo con freddezza e distacco. Il viso dell'uomo di fronte a loro si incupì e dopo aver detto a tutti di tornare al lavoro si diresse a passo lento e cadenzato verso il suo ufficio. Dopo un momento anche lui e Beth lo seguirono.
 
Ebbero a mala pena il tempo di controllare che non ci fossero novità sul caso che subito fu ora di pausa pranzo. Beth prese dalla borsa un piccolo recipiente di vetro e le posate; alzò gli occhi verso di loro per chiedergli se fossero rimasti in ufficio, ma li aveva trovati già in piedi con i giubbotti in mano. Appena Rick intercettò il suo sguardo le disse: “Noi... pensavamo di-”
 
Non ci fu nemmeno bisogno che finisse di parlare perché aveva già capito, infatti lo interruppe: “Andate Duke, oggi siete in libera uscita.” gli sorrise divertita. Si vedeva che avevano bisogno di un po' di tempo da soli; alla fine si erano avvicinati veramente solo la sera prima da quando si conoscevano. C'era sempre stata intesa, ma non avevano mai approfondito, eppure le era bastato uno sguardo per capire che la loro giornata tra uomini doveva ancora finire. Era contenta, quindi non le dispiaceva affatto farsi da parte.
 
Mentre Beth era stata gentilmente accolta alla scrivania di Michonne, Rick e Daryl avevano preso la macchina ed erano andati in una tavola calda dall'altra parte della città. Non avevano pensato nemmeno per un secondo di pranzare di fronte alla centrale, o non avrebbero avuto un momento di pace. Entrarono in un piccolo fast-food con i tavoli in legno e acciaio addossati alle pareti, le panche imbottite di stoffa lucida e rossa, e un bancone enorme che occupava tutto il lato di fronte all'ingresso. Era arredato in stile anni cinquanta, ma era carino.
 
Presero posto a un tavolo distante dall'entrata e lontano dai pochi clienti che c'erano in quel momento. Dopo un attimo arrivò la cameriera a prendere le ordinazioni e poi se ne andò velocemente verso la cucina a lasciare il loro menu.
 
Rick e Daryl erano l'uno di fronte all'altro, il primo con la gamba sinistra accavallata sulla destra e l'altro con un braccio poggiato sulla spalliera del divanetto e le gambe larghe.
 
“Stai bene così.” lo sfotté. Quando l'agente era sotto la doccia, gli aveva cercato dei vestiti; alla fine gli aveva portato una felpa nera con cappuccio e un paio di pantaloni di stoffa verde muschio, pieni di tasche. I pantaloni gli stavano bene anche se non erano nel suo stile, ma la felpa era un po' larga di spalle e sembrava un neonato imbottito di vestiti per non prendere freddo.
 
“Sì, non cercare di distrarmi.” gli lanciò uno sguardo eloquente.
 
“Non so di cosa parli.” ribatté asciutto l'altro.
 
“Ieri sera non abbiamo finito un discorso.” gli ricordò Rick, ma in quel momento arrivò la cameriera con i loro piatti. Daryl sperava che quell'interruzione avrebbe stroncato sul nascere un discorso che non voleva affrontare, ma a quanto pare si sbagliava perché appena la ragazza si allontanò, l'uomo di fronte a lui tornò alla carica. “Perché non ti lasci andare con Beth?” chiese diretto.
 
“Mi comporto con lei come faccio con tutti.” rispose cercando di tagliare corto.
 
“Menti sapendo di mentire.*1” lo rimbeccò Rick, puntandogli un dito contro. Ammorbidì lo sguardo e disse in tono più dolce “Sono io, non sto cercando qualcosa per giudicarti, vorrei solo capire.” Ci fu un momento di silenzio da parte di entrambi.
 
“Non ne vale la pena, basta così.” rispose l'altro.
 
“Cosa ti preoccupa tanto? Credi di non piacerle? Non sono completamente andato, so chi ha messo i cuoricini sulla foto in ufficio.” gli sorrise. A quel punto Daryl si strinse un po' nelle spalle, come se servisse ad allontanare quello che non voleva sentire. “E se non ti fosse importato non li avresti cancellati, piuttosto avresti tolto direttamente la foto.”
 
“Non capisco perché tu sia diventato uno sbirro se ti diverti a fare lo strizza-cervelli a tempo perso.” borbottò, sviando ancora la risposta.
 
Rick sorrise e scosse la testa. “Mi chiedo solo perché non cogli la palla al balzo. Se fossi in te, lo farei. È una bella ragazza, intelligente, dolce, estremamente sensibile ma anche forte e sono più che sicuro che sia interessata a te.” fece una pausa e poi aggiunse “E tu a lei. Non capisco quale sia il problema.” gli disse pacato.
 
“E allora perché non te la prendi tu? Mi sembra che siate già in confidenza.” rispose infastidito.
 
Rick sorrise tra sé e sé; stentava a crederci ma... era geloso! Il tono non era dato dal terzo grado che gli stava facendo, ma dal fatto che quell'idiota che gli stava di fronte pensava che lui e Beth fossero vicini. Anche se la cosa lo divertiva, decise che non era il caso infierire o si sarebbe chiuso a riccio.
 
“Conosco Beth da una vita e non è lei che voglio, lo sai. Ma non capisco perché tu ti ostini a negare-”
 
“La vita è una puttana, ok?” lo interruppe Daryl in un moto di rabbia “Te lo mette in culo, sempre e nei modi più impensabili. E proprio chi ti sta vicino sferra i colpi più forti. Quando hai un padre ubriacone che picchia sua moglie e i suoi figli, non puoi fidarti. Quando tua madre di lascia, non puoi fidarti. Quando tuo fratello è un coglione che da fatto ti venderebbe al primo che passa, non puoi fidarti. Non puoi e non devi. E io non intendo farlo.” concluse lapidario.
 
Rick lo osservò attentamente. Immaginava che fosse qualche esperienza del passato a condizionarlo, ma doveva farglielo dire se voleva aiutarlo. E ora che aveva avuto quello che cercava, si sentiva male per l'uomo di fronte a lui.
 
“Hai ragione.” disse, attirando l'attenzione dell'altro, che lo guardò con gli occhi spalancati. “Ma non deve essere sempre così, Daryl. So cosa significa perdere qualcuno, ed è terribile. Quando ti viene strappato ciò a cui tieni, vorresti solo trovare un modo per riprendertelo.” Il tono era malinconico, intriso di tristezza. “Dopo una vita di calci, hai un'occasione!” sottolineò poi con enfasi “E sei tu a poter decidere. Tu e nessun altro.” lo guardò negli occhi. “Non lasciartela scappare.”
 
Rimasero in silenzio per qualche minuto, finendo gli hamburger nei loro piatti. Poi quell'equilibrio fu spezzato da una voce gracchiante proveniente dal walky talky di Rick. “Avviso a tutte le unità, c'è stata una sparatoria nei pressi del parco tra Georgia Avenue e Ami Street.
 
“Qui India Golf 9-9*2. Siamo vicini, andiamo noi.” rispose prontamente il vice capitano, già in piedi diretto verso la cassa. Dopo aver pagato, uscirono dalla tavola calda e andarono spediti verso la macchina.
 
Mentre erano in strada, Daryl non riuscì a impedirsi di chiedere: “Cos'è India Golf 9-9?”
 
“Sono io. La mia squadra si chiama sempre così.” rispose Rick divertito.
 
“Dove l'hai pescato?” chiese allibito l'uomo al posto del passeggero.
 
“Ha deciso Judy. L'ha trovato in un cartone animato.” sorrise “All'inizio aveva optato per "P. Sherman, 42 Wallaby Way, Sidney*3" ma dopo una settimana le ragazze al centralino mi volevano ammazzare, così ho cambiato.” rise, pensando a quel giorno in cui se le era trovate tutte in ufficio con un diavolo per capello, e gli avevano imposto di scegliere un nome più corto. Era stata praticamente un'imboscata.
 
Daryl scosse la testa, nascondendo un sorriso. “Lei ha stile.” disse riferendosi alla piccola di casa Grimes “Ma tu sei un fighetto.” lo prese in giro.
 
Nonostante non sapessero esattamente in che punto del parco fosse avvenuta la sparatoria, non gli ci volle molto per capirlo: ammassate verso est c'erano un mare di persone che continuavano a parlare e fare domande. Quando si avvicinarono videro che fortunatamente un'altra pattuglia era già intervenuta e aveva iniziato ad allontanare la gente per non contaminare la scena del crimine.
 
Come se fosse stata una rappresentazione vivente di una battaglia campale, i corpi erano ben distinti in due fazioni. Da una parte tre uomini; due con il viso spiaccicato sulla terra battuta del sentiero e uno con gli occhi opachi rivolti verso il Sole. Dall'altra, due uomini in posizioni scomposte, il sangue che impregnava l'erbetta verde sulla quale erano accasciati.
 
Era la terza volta nel giro di una settimana che si ritrovavano un morto tra le mani. Le due volte precedenti era accaduto in luoghi insoliti come una strada in centro e il parcheggio di una scuola. Le vittime erano sempre membri di cosche mafiose; probabilmente si trattava solo di un regolamento di conti, ma essendo che si svolgevano sempre in posti pubblici molto frequentati, i cittadini erano in allarme. Ci mancava solo questa.
 
Finalmente dopo una ventina di minuti arrivarono i rinforzi e la scientifica. Da una delle automobili scese Maggie che, dopo averli salutati, si diresse verso i corpi pronta ad esaminarli e a dare la prima perizia. Nel frattempo segnalarono la zona isolandola con il nastro e cominciarono a interrogare i testimoni. Erano circa un centinaio di persone e ognuno aveva dato una versione diversa dall'altra. In casi come questi le persone si lasciano prendere dal panico e il cervello tenta di colmare i buchi di memoria creando situazioni logiche, con il risultato che ognuno vede tutto e niente.
 
Mentre Rick era impegnato, Daryl aveva cominciato ad andare in giro tra i testimoni. L'esperienza gli insegnava che spesso e volentieri gli indizi più importanti erano nascosti in bella vista. Il diavolo sta nei dettagli, si dice.
 
Era arrivato fino all'ultima volante ben attento ad osservare che non ci fosse niente di strano; per il momento, non gli sembrava di aver visto nulla. Stava per tornarsene indietro, quando girandosi vide qualcuno allontanarsi dalla folla. La famigliare sensazione allo stomaco che gli faceva visita ogni volta che aveva un presentimento lo colpì con forza, quasi fosse stato un pugno.
 
Si voltò di nuovo, seguendo con gli occhi la traiettoria dell'uomo. Cercò di memorizzare ogni dettaglio, sicuro che gli sarebbe servito. Non era molto alto, indossava dei jeans chiari sporchi di quella che sembrava erba all'altezza delle cosce. Ma nessuno avrebbe potuto sporcarsi in quel modo; avrebbe dovuto sedersi a pancia in giù, mantenendo busto e gambe sollevate da terra; neanche facendo yoga avrebbe potuto conciarsi così. Non sembrava diverso da tanti altri, ma c'era qualcosa che gli sfuggiva.
 
Poi l'uomo commise un errore: si guardò alle spalle, e così facendo gli mostrò il suo viso. Ora sapeva cosa non lo aveva convinto; l'aveva già visto prima di allora.
 
§§§
 
Tornarono in ufficio circa tre ore dopo, carichi di deposizioni, referti medici, perizie balistiche e chi più ne ha più ne metta. Avevano ancora metà pomeriggio per poter catalogare tutto. Come avevano previsto le vittime erano davvero dei mafiosi che, uniti a quelli dei giorni precedenti, portavano a dieci il numero delle vittime. Dieci uomini in poco meno di una settimana. Sei erano tirapiedi di Chacòn, mentre gli altri quattro erano del clan dei Foster. A quanto pare era appena nata una faida.
 
Daryl andò verso la porta e la chiuse. “Deve arrivare qualcun'altro?” domandò, riferendosi agli agenti che li avevano aiutati a portare i documenti nell'ufficio di Rick.
 
“No, abbiamo finito.” rispose quest'ultimo sistemandosi sulla poltrona.
 
“Bene, devo dirvi una cosa.” prese la sua sedia e la portò dall'altra parte della scrivania, scansando Rick e facendosi posto di fronte al computer. Beth si alzò direttamente e si posizionò in piedi dietro di loro. “Oggi, mentre tu giocavi all'allegro poliziotto, ho fatto un giro tra i testimoni. Stavo per tornare verso la macchina quando ho visto un tipo che si allontanava dal parco. Lui.” mostrò la foto di un ragazzo dalla pelle chiara e i capelli corvini, piuttosto corti. “Quando l'ho riconosciuto, ho capito dove l'avevo già visto: era tra la folla presente alle altre due sparatorie di questa settimana.” disse eloquente.
 
“E...?” domandò la ragazza.
 
“Ed è piuttosto strano che un ragazzo di ventiquattro anni si trovi su tutte le scene del crimine che coinvolgono Foster e Chacòn. In più le sparatorie sono avvenute in luoghi diversi, molto distanti l'uno dall'altro. Così ho fatto qualche ricerca.” disse mentre apriva un file sul desktop. “Nico Russo, cugino di secondo grado del braccio destro di Chacòn, Mark Russo, che sembra essere sparito proprio con il boss, due anni fa. Il ragazzino lavora in un negozio di fiori. Non so nient'altro.” concluse, appoggiandosi allo schienale e guardando i due affianco a lui.
 
“Però, molto professionale.” si congratulò Beth con un sorrisino vagamente derisorio. Faceva tanto il distaccato, ma scommetteva che quel lavoro gli piaceva tanto quanto a lei.
 
“Meglio tenerlo d'occhio.” esordì Rick “Ma che rimanga tra noi. Se questo tipo dovesse rivelarsi un elemento prezioso, non voglio che svanisca nel nulla per una soffiata.”
 
“D'accordo, sarò muta. Se non avete bisogno di me, andrei da Maggie a sentire se c'è qualche novità.” si allontanò.
 
“Certo, tranquilla.” la congedò Rick con un sorriso. Quando uscì e chiuse la porta, Daryl sospirò, rilassandosi leggermente. Il vicecapitano lo guardò con un sorrisino soddisfatto e disse ironico “Hai ragione, non c'è assolutamente nulla.”
 
“Perché sei tutto storto? Vuoi venirmi in braccio?” domandò Daryl, ignorando debitamente l'osservazione dell'uomo accanto a sé e lanciandogli un'occhiataccia.
 
“No, ehm... niente, niente.” rispose imbarazzato cercando invano di sedersi normalmente.
 
“È tutto il giorno che stai come se avessi le tarantole nei pantaloni.” lo osservò.
 
“Mi fa male!” urlò indicandosi il sedere. “Mi hai preso a calci ieri sera? Sono caduto dalla scala?” chiese esasperato.
 
“Se fossi caduto ti farebbe male anche il resto no? E nonostante la tentazione no, niente calci. Però ti avevo detto che avrebbe fatto un po' male, hai messo la vasellina?”
 
“La vasellina?!” domandò sconvolto, con gli occhi spalancati.
 
“Sì.” rispose tranquillo.
 
“Che è successo ieri sera Daryl?” chiese sbiancando.
 
E solo quando si sentì chiamare in quel modo, si rese conto cosa frullava nella mente dell'uomo accanto a sé. “Ma che cazzo hai capito?! Non ti ricordi?”
 
“Di cosa mi devo ricordare?!” chiese agitato.
 
“Fossi in te andrei in bagno a controllare il culo.” Daryl sollevò l'angolo della bocca in un ghignò divertito.
 
Rick saltò su dalla sedia veloce come un razzo, spalancò la porta dell'ufficio senza preoccuparsi di richiuderla e corse come una furia verso il bagno al piano terra, l'unico con gli specchi. Appena entrò serrò la porta a chiave, si abbassò pantaloni e boxer in un gesto solo e poi, dando le spalle allo specchio, alzò la felpa e si girò.
 
Sulla sua chiappa sinistra c'era un dannatissimo tatuaggio! In un primo momento non fece nemmeno caso a cosa fosse, poi mise a fuoco e capì. Sul suo gluteo, in caratteri volutamente imperfetti, c'era scritto ACAB*4. Sentì la terra mancargli sotto i piedi, subito dopo divenne paonazzo e avvertì la rabbia montargli dentro.
 
Se avesse seguito il suo impulso avrebbe ammazzato Daryl e poi avrebbe commesso suicidio. Ma sapeva che la colpa era soltanto sua; ora che aveva visto, gli erano venuti in mente alcuni flash della notte prima. E, poco ma sicuro, era stato lui a volere quel tatuaggio. Si rivestì, si sciacquò il viso e uscì dal bagno cercando di mantenere un certo decoro. Era distratto e nervoso; ad un certo punto era anche andato a sbattere contro Juliet che aveva tra le mani una pila di fascicoli.
 
“Ma che cazzo!” sbottò “Oddio scusami, non volevo... Aspetta che ti aiuto.” le disse subito dopo in tono mortificato. Dopo aver raccolto tutte le cartelline sparse per l'ingresso e averle posate sul bancone, era andato verso il suo ufficio come un automa. Tutti erano rimasti a guardarlo straniti e solo quando era sparito dalla loro visuale avevano ripreso a parlare.
 
Daryl nel frattempo lo aveva seguito ed era rimasto appoggiato al bancone. Dopo qualche istante, affianco a lui era arrivata Michonne che doveva compilare un modulo. Non appena Rick era uscito dal bagno e l'aveva vista, aveva sbarrato gli occhi ed era sbiancato di nuovo. Da lì, il conseguente scontro con la povera centralinista.
 
Poco dopo Jesus passò accanto a Daryl e Michonne, e avvicinandosi le sussurrò malizioso: “Che gli fai agli uomini, eh?” per poi andare verso le scale.
 
“O cosa ha fatto lui a te.” aggiunse serio Daryl guardandola. Ciò che l'aveva sorpresa era il tono lapidario con cui aveva parlato, così diverso da quello che aveva usato il loro collega un istante prima. Non c'era malizia nella sua voce.
 
“Cosa intendi dire? Rick non mi ha fatto niente.” rispose perplessa.
 
“Lo so. Dovrebbe saperlo anche lui.” le disse prima di andarsene.
 
§§§
 
Finalmente quella sera, Rick tornò a casa; aveva proprio bisogno di un bagno caldo e di dormire nel suo letto. Dopo una cena veloce andò al piano di sopra, già pregustando il momento di relax di cui avrebbe potuto godere di lì a poco. Mentre saliva i gradini sentiva ancora un fastidio al sedere: quel tatuaggio era la sua vergogna, ma almeno sarebbe stato un monito per il futuro. Non capiva perché si ostinava a bere se sapeva di non reggere l'alcool.
 
Entrò in camera, dirigendosi come al solito verso la cassettiera ma non appena sollevò la testa, saltò sul posto per lo spavento. Sulla dannatissima parete di camera sua c'era... un dipinto! Si allontanò di qualche passo, fermandosi solo quando sentì il materasso all'altezza delle ginocchia.
 
Non poteva crederci. Sullo sfondo si intravvedeva un paesaggio collinare e in secondo piano c'era un boschetto di meli pieno di frutti rossi. Ma a sconvolgerlo maggiormente era stata la figura in primo piano. Un uomo tutto nudo - eccetto che per la foglia di fico a coprirgli i genitali - guardava fisso l'osservatore, mentre si apprestava a cogliere una mela da uno dei rami. E la cosa più inquietante è che quell'uomo era proprio lui! Un altro Rick Grimes di almeno due metri lo stava guardando con un sorriso gioioso!*5
 
Rimase come in stato catatonico per qualche minuto, ma all'improvviso sentì la rabbia montargli dentro al petto. Quella era senza dubbio un'idea di Daryl! Non sapeva dove avesse trovato la pittura e nemmeno gli interessava; passi il ritardo, passino i cartoni della pizza sparsi per l'ufficio, passi anche il tatuaggio (che alla fine era stato lui a volere), ma questo era troppo!
 
Come una furia prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni pronto a chiamare il “collega” e urlargli contro tutto quello che gli passava per la mente, ma poi vide il disegno sulla parete tra lo stipite della porta e l'armadio a muro. In basso c'erano stampati i piedini di Judith in successione, come fossero un prato verde e rigoglioso; al centro si alzavano le impronte dei piedi di Carl che, con un bel arancione deciso, sembravano costituire il tronco di un albero; infine sulla sommità c'erano tante impronte di mani blu e rosse che a questo punto potevano essere solo di Beth e Daryl.
 
La rabbia gli passò immediatamente, come se pensare ai suoi bambini che si divertivano fosse un calmante. Era come se avessero sgonfiato il palloncino di tensione che fino a un momento prima sentiva dentro di sé.
 
Bene, non avrebbe fatto nulla, non quella sera; la vendetta è un piatto che va servito freddo.
 
§§§
 
Beth si lasciò cadere sul divano con un gemito; quella settimana era stata terribile, ma finalmente era giunta al termine. Da quando i due clan mafiosi avevano iniziato a scontrarsi, non avevano avuto un momento libero. Negli ultimi giorni invece tutto era apparentemente calmo, ma in centrale c'era comunque movimento; tutti erano all'opera per trovare un collegamento, un movente e un mandante delle tre sparatorie. Erano rimasti in ufficio a crogiolarsi nella frustrazione, sommersi di fascicoli, foto, deposizioni, referti medici e balistici. La pista di Daryl fortunatamente non era stata un vicolo cieco, ma non avevano ancora avuto notizie su quel fronte.
 
“Finalmente è venerdì. Non avrei retto un altro giorno.” mormorò mentre Maggie si sedeva accanto a lei.
 
“Ti capisco ma ti prego, non parliamo di lavoro: la scorsa notte ho sognato una delle vittime che ballava Mamma Mia.” disse con un tono schifato e corrucciando gli occhi. L'altra la guardò e sorrise divertita.
 
“A proposito sorellina, è un po' che non ne parliamo, come stanno andando le tue tecniche di seduzione?” chiese ricambiando il sorrisino.
 
“Malissimo, mi ignora completamente!” esclamò Beth avvilita “Da quando ne abbiamo parlato ho provato di tutto. Ho disegnato i cuoricini sulla foto in ufficio, ma quando sono passata nel pomeriggio non c'erano già più. Un'altra volta ho preparato da mangiare ad entrambi; sono stata bravissima, era un pranzetto coi fiocchi! Erano come i cestini del pranzo giapponesi; in quello di Rick c'erano verdurine saltate, una piccola omelette, ovviamente il riso e del pesce crudo. In quello di Daryl invece ho messo i wurstel saltati in padella che sembrano polipetti, il pesce crudo e sul riso...” si fermò incerta. Si decise a parlare solo dopo lo sguardo insistente dell'altra.
 
“Ho disegnato la sua faccia stilizzata con l'alga nori.” concluse in fretta, scoppiando a ridere seguita da Maggie. “Dovevi vedere la sua espressione quando ha aperto il cestino! Ha spalancato gli occhi ed ha trangugiato tutto prima che qualcuno potesse vederlo. Quando Rick ha detto che li vizio e che qualche volta avrei dovuto farlo di nuovo, pensavo si sarebbe strozzato! E poi-” si bloccò all'improvviso, spalancando gli occhi.
 
“E poi?” Beth non rispose, scuotendo la testa. “Cosa hai combinato?” chiese sollevandosi un po' sui gomiti per guardarla meglio in faccia.
 
“Potrei avergli mandato dei messaggi.” sorrise imbarazzata.
 
“Messaggi?! Dammi il telefono!” Maggie rise buttandosi su di lei cercando di prendere il cellulare. Dopo qualche istante di lotta riuscì a conquistare il telefono, si sedette sul bracciolo e iniziò a leggere.
 
“Durante il corteggiamento, il piccione maschio gonfia molto il collo, sollevando un po' le piume iridescenti, lo muove ritmicamente su e giù, gira su sé stesso ed emette un particolare suono gutturale; quando la coppia si è formata, i due strusciano le guance vicendevolmente ed hanno atteggiamenti molto teneri. Sono monogami, il loro legame dura per tutta la vita e termina solo con la morte di uno dei due.” fece una pausa ad effetto, guardando l'altra attraverso la frangia e poi lesse il messaggio successivo: “Il pesce angelo dei Caraibi ama viaggiare e andare a caccia in coppia. Il legame che forma con il proprio compagno spesso dura per la vita e, se questo muore, il pesce rimasto sceglie di continuare a vivere in solitudine piuttosto che 'risposarsi'.”*6
 
Beth aveva le guance in fiamme ma sorrideva.
 
“Ah, ha anche risposto? Allora una possibilità ce l'hai davvero!” ricambiò il sorriso, si schiarì la gola e riprese:
 
“Sarei sopravvissuto anche senza saperlo alle due di notte.”
 
“Non riuscivo a dormire.”
 
“Mai provato con una birra?”
 
“Avrei dovuto scriverti prima, così avresti potuto offrirmela. Ti ho svegliato?”
 
Qui ti ha mandato la foto di una birra.
 
“Buonanotte Daryl.”
 
“'Notte.”
 
“Cos'hai intenzione di fare la prossima volta? Andare sotto casa sua vestita da pavone?” la prese in giro Maggie.
 
“Ah. Ah. Tu piuttosto, come va con Glenn?” chiese con un sorriso malizioso.
 
“Niente di che.” la liquidò.
 
“Se pensi che non abbia notato quando un paio di settimane fa vi siete dileguati quando tutti festeggiarono, ti sbagli.” le disse trionfante.
 
“E va bene! Sei impossibile.” le lanciò un cuscino, mal celando il divertimento. “Quella sera siamo andati nello sgabuzzino delle scope e ci siamo baciati.”
 
“Di nuovo.” sorrise soddisfatta Beth.
 
“Sì, di nuovo. Abbiamo iniziato a sentirci, qualche volta abbiamo passeggiato mentre era in pausa. Non so se ricordi quel giorno di settimana scorsa che ha iniziato a piovere a dirotto, e proprio quella mattina avevo deciso di andare a lavoro a piedi.” sua sorella annuì, invitandola a continuare “Quando è passato a consegnare le pizze per Jesus e Abe, e ha visto che ero senza macchina mi ha portata a casa con il furgoncino. Solo per caso, ho scoperto che il capo gli ha fatto una lavata di testa per il ritardo.” sorrise dolcemente al ricordo di qualcosa “Lunedì avresti dovuto vederlo.”
 
“Che è successo?”
 
“Ero in laboratorio per fare l'autopsia a una delle vittime, e mi sembrava ci fosse qualcosa di strano. Lui era venuto come al solito per una consegna ed è passato a salutarmi. Stavo guardando dei residui di polvere da sparo al microscopio e gli ho fatto segno di avvicinarsi. È rimasto un po' in silenzio e proprio quando stava per dirmi qualcosa gli ho chiesto "Mi dai la mano?" e lui mi ha risposto con un tono stranito "Certo... cosa posso fare?". L'ho guardato e gli ho detto "Passami la mano.". Accanto a lui c'era una vaschetta con dentro un moncherino. Ha fatto un'espressione che avrei voluto fotografare. Penso stesse per vomitare!” raccontò tra le risate. “Ha deglutito, ha respirato profondamente e trattenendo il fiato me l'ha portata in tutta velocità.”
 
Ormai entrambe stavano ridendo a crepapelle; c'era da dire che tra tutte e due erano messe bene. Con la sola distinzione che tra loro era Maggie a condurre il gioco, mentre Beth azzardava solo qualche tentativo.
 
“È carino, è dolce, ma è anche... non so, ha un qualcosa di speciale.” concluse con un tono strano.
 
“Oh - oh, sei proprio cotta.” sorrise l'altra. “Perché non ci provi sul serio? Capisco la reticenza dei primi tempi, ma ormai sono più di due mesi che vi girate intorno come le falene alla lampadina.”
 
“Ce l'hai su con gli animali, eh?” le fece notare, strappandole un altro sorriso. “Comunque non lo so... forse dovrei.” mormorò incerta.
 
“Certo che devi sorellona!” disse abbracciandola.
 
“Dai, andiamo a letto.”
 
“Va bene.” rispose l'altra alzandosi “A meno che tu non voglia ordinare una pizza.” le fece l'occhiolino e corse verso la sua camera.
 
“BETH!” urlò, scattando in piedi e rincorrendola.




Angolo autrice:
 
*1 2 single a nozze, 2005. Jeremy Grey.
*2 Gli incredibili, 2004. Helen Parr / Elastigirl.
*3 Alla ricerca di Nemo, 2003.
*4 ACAB: All Cops Are Bastard.
*5 Anche la scena del dipinto è direttamente ispirata al film "2 single a nozze". Il dipinto in questione lo trovate QUI -> http://www.canvasmatch.com/images/comm/475.jpg
*6 I rituali di corteggiamento e accoppiamento degli animali sono tratti da reali articoli reperibili su internet.
 
Eccoci qui! Ne sono successe di cose eh? Finalmente Rick ha visto il murales e anche noi abbiamo scoperto cosa raffigurava. Abbiamo anche visto che tatuaggio ha fatto Daryl al suo amico e soprattutto dove gliel'ha fatto ahahahaha Per quanto riguarda la scena di Beth e Rick in bagno è tratta niente meno che da una diretta esperienza della sottoscritta. Stendiamo un velo pietoso ahahahahaha
A proposito, negli scorsi capitoli non ho spiegato molto bene la faccenda dei soprannomi legati ad "Hazzard" che in centrale danno a Rick, Beth e Daryl.
Hazzard è una serie degli anni '80 che guardavo da piccolina (io in realtà guardavo le repliche delle repliche, ancora non c'ero all'epoca della prima messa in onda ahahahaha). In breve: la storia si svolge in Georgia ai tempi dell'America proibizionista e narra le vicende di Luke, Bo e Daisy, tre cugini che si cacciano sempre nei guai con lo sceriffo locale. I tre guidano il Generale Lee, una Dodge Charger rossa (ormai diventata un simbolo). Di solito Luke è alla guida, Bo sta al posto del passeggero mentre Daisy sta in mezzo (come infatti accade rispettivamente a Rick, Daryl e Beth quando sono in giro insieme).
Non voglio tediarvi con informazioni inutili, ma siccome questa cosa dei soprannomi ritornerà in futuro e avrà anche una certa importanza volevo che fosse tutto chiaro^^ Quest'angolo sta diventando davvero troppo lungo, quindi non vi trattengo oltre :*
Come sempre ringrazio chi ha messo la storia tra preferite/seguite/ricordate e soprattutto chi recensisce. Fatemi sapere che cosa ne pensate di questo capitolo!^^
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
Rick aveva convinto Daryl a fare il palo davanti alle scale d'ingresso; non sapeva quale ascendente avesse su di lui quell'uomo per convincerlo a fare ogni cosa. Ma a quanto pare, se si trovava appoggiato al bancone, ce l'aveva eccome. Erano quasi le nove e tutti erano già in centrale da più di un'ora; il vice capitano gliel'aveva detto il giorno prima “Mi raccomando, domani qui alle otto.”
 
Per lui non c'era nessun problema, era abituato ad alzarsi piuttosto presto; l'unica cosa che gli puzzava era che nonostante gli avesse chiesto un paio di volte come mai, Rick non gli aveva risposto. Gli aveva solo detto di stare tranquillo e che quando fosse arrivata Beth avrebbe dovuto fargli uno squillo e portarla su in ascensore.
 
In ogni caso aveva fatto come gli era stato chiesto ed era andato giù ad aspettarla. Da quei giorni di fuoco in cui c'erano state le tre sparatorie erano già passate due settimane e non era successo niente di nuovo. Si domandava perché lo avessero praticamente cacciato dal primo piano; magari dovevano fare una riunione o qualcosa del genere, e non volevano intrusi. Chi capisce gli sbirri è bravo.
 
Finalmente la porta d'ingresso si aprì ed entrò Beth. In quel periodo il freddo si era fatto ancora più pungente e infatti la ragazza era ben imbacuccata per combattere il gelo.
 
“Buongiorno.” lo salutò lei con un gran sorriso.
 
Lui la guardò un po' a disagio e poi rispose “Ciao.”
 
“Come mai sei qui? È successo qualcosa?” chiese con sguardo interrogativo.
 
Certo che era attenta. “No, andiamo.” la liquidò. Mentre aspettavano l'ascensore, cercò il numero di Rick e fece partire la chiamata; dopo un paio di squilli cadde la linea e non si preoccupò di richiamare. Finalmente arrivò e salirono, diretti al piano di sopra.
 
Appena le porte scorrevoli si aprirono con il caratteristico 'ding' di fronte a Beth, ci fu un'esplosione di voci e grida festose.
 
“AUGURI!”
 
Tutti erano radunati nel piccolo atrio e le sorridevano. Le pareti erano state addobbate con palloncini e festoni colorati e al centro della stanza campeggiava uno striscione con scritto “Buon Compleanno Beth!”
 
Uscì dall'ascensore seguita da Daryl; mentre le porte si chiudevano dietro di loro, guardò i suoi colleghi con un misto tra stupore e felicità. Non se l'aspettava! Dovevano essere stati attenti a mantenere il segreto, perché lei non si era proprio resa conto che stessero tramando qualcosa alle sue spalle! E chissà da quanto tempo andava avanti!
 
Tutti la circondarono, abbracciandola e baciandola sulle guance, facendole tanti auguri.
 
“Non dovevate, quando avete organizzato?” chiese a Rick quando si avvicinò per farle gli auguri.
 
“Qui c'è di sicuro il tuo zampino!” sorrise a Maggie.
 
Pian piano la trascinarono per la stanza, aiutandola a togliere il cappotto, prendendo la sciarpa, il cappello e la borsa e posando tutto da qualche parte. Nel centro del disimpegno c'era un tavolino su cui erano appoggiati due pacchetti e una torta al cioccolato e fragole - la sua preferita - con una candelina a forma di 23. Qualcuno doveva aver messo la musica e la ballata festosa che andava fino a poco prima fu interrotta bruscamente per far partire il coro di “Tanti Auguri”. Quando arrivò dietro al tavolo, di fronte a tutti, iniziarono a cantare.
 
“Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri a Beth, tanti auguri a te!” applaudirono e proprio mentre stava prendendo fiato, Jesus la fermò urlando “Il desiderio! Esprimi il desiderio!”
 
Beth sollevò lo sguardo e lo fece scorrere per la stanza; stava cercando solo una persona e quando la trovò il suo cuore fece una capriola. Ormai doveva essere abituata ad averlo sempre intorno, ma proprio non ci riusciva. Lo guardò per una manciata di secondi, attenta a non soffermarsi troppo su di lui e poi, chiudendo gli occhi, soffiò spegnendo la candelina. Non c'era bisogno di cercare tanto lontano: il suo desiderio era di fronte a lei. Tutti le si affollarono intorno di nuovo, invitandola ad aprire i regali.
 
Prese la borsetta rossa e lesse il biglietto “Da Maggie e Michonne”. Scartò il pacchetto che vi era all'interno e trovò uno Smartbox per tre giorni e due notti alle terme per due persone. Avrebbe tanto voluto andarci con qualcuno in particolare, ma si sarebbe rassegnata a trovare un sostituto, magari avrebbe chiamato Kelly. In ogni caso le ringraziò con un gran sorriso, dando un bacio ad ognuna.
 
Poi prese un pacchetto squadrato, e anche piuttosto pesante, da parte di Abe e Jesus. Quando strappò la carta regalo rimase per un momento incredula e poi le si illuminò il volto.
 
“Come facevate a saperlo?!” chiese con gli occhi spalancati, mentre sollevava il libro che aveva in mano. “È proprio quello che mi manca!” esclamò osservando rapita la copertina: 'Il Trono di Spade - Libro Quinto'.
 
“Ho un certo occhio per queste cose.” si vantò Jesus.
 
“Già, ma siccome regalare un libro di ottocento pagine a una bella ragazza è troppo da sfigati, ti abbiamo preso anche questo.” lo interruppe Abraham dandole un sacchettino di feltro dentro cui trovò un braccialettino, con un piccolo pendente a forma di 23.
 
“Ventitré anni festeggiati al Distretto 23; speriamo ti porti fortuna.” le strizzò l'occhio mentre glielo legava al polso. Li ringraziò ed entrambi la strinsero in un abbraccio spacca ossa.
 
L'ultimo ad avvicinarsi a lei fu Rick che, con un sorriso, prese dalla tasca due biglietti. “Dato che tua sorella e i due uomini alpha qui hanno rubato i tre quarti delle idee che avevo in mente, all'ultimo mi sono buttato su questi.” disse porgendoglieli.
 
Beth li prese e lesse. “Festival d'Inverno. Ingresso per una persona a tutte le attrazioni della fiera.” sollevò gli occhi su di lui, raggiante e si alzò sulle punte, abbracciandolo “Grazie mille! Adoro il Festival!”
 
Quando tornò con i piedi per terra, una consapevolezza la investì come acqua ghiacciata. “Ma sono due...” mormorò guardandolo un po' spaesata. “Non so con chi andarci.”
 
Sul volto di Rick comparve un sorriso innocente e si girò lentamente fino ad incontrare gli occhi di Daryl. Beth lo seguì, guardando a sua volta l'uomo a un paio di passi da loro.
 
“Perché mi guardate così voi due?” chiese stranito il diretto interessato. Beth non riuscì a dire niente: era pietrificata. Non credeva possibile una cosa del genere ed era troppo incredula per permettersi di sperare. Nemmeno Rick rispose; si limitò a sollevare un sopracciglio e a guardarlo con uno sguardo pieno di sottintesi.
 
“No. Scordatevelo.” negò deciso, scuotendo la testa.
 
“Sei stato l'unico a non farle un regalo, devi rimediare in qualche modo.” rispose furbescamente l'altro.
 
“Se magari qualcuno me lo avesse detto, avrei potuto!” ribatté nervoso, e Rick recepì il messaggio forte e chiaro: quel qualcuno era proprio lui.
 
“Con i "se" e con i "ma" non si va da nessuna parte, ormai è andata così. Tanto vale che accetti.” lo mise alla strette. Tutti guardavano la scena, alternando lo sguardo da un all'altro; la musica era solo un sottofondo lontano. Daryl si sentì a disagio lì in mezzo, sotto gli occhi di tutti. Doveva rispondere in fretta.
 
“D'accordo.” borbottò infine.
 
Un lampo di trionfo passò negli occhi di Rick, mentre Beth si sentì quasi morire. Sarebbe uscita con Daryl! Era la cosa più vicina a un appuntamento che avesse mai potuto sperare! Per fortuna a spezzare quel momento ci pensò Maggie che chiese chi volesse la torta, facendole distogliere lo sguardo dall'uomo. Si voltò e posando i biglietti sul tavolino, aiutò sua sorella a distribuire i piattini.
 
Mentre mangiavano e ridevano di qualche aneddoto su Beth che Maggie stava spifferando, Daryl si avvicinò di soppiatto a Rick.
 
“Sei uno stronzo, lo sai?” sussurrò arrabbiato.
 
“Lo so.” rispose soddisfatto. Riconobbe chi aveva alle spalle senza nemmeno bisogno di girarsi.
 
“Perché mi hai messo in mezzo a questa cosa?!” gli chiese con più enfasi, ma sempre cercando di mantenere un tono basso, così che gli altri non sentissero.
 
“Perché tu mi hai sfregiato il culo e la parete della camera da letto, ti sembra abbastanza?” chiese girando la testa verso di lui, con lo stesso sorriso angelico che gli aveva rivolto poco prima. L'altro nemmeno rispose e sbuffando si allontanò.
 
Non avevano parlato del tatuaggio da quando Rick si era ricordato di averlo e, pensandoci bene, si era stupito che non  avesse minimamente accennato al murales; insomma era impossibile che non lo avesse visto. Si aspettava una ritorsione prima o poi, ma non credeva che fosse tipo da colpi bassi!
 
§§§
 
Il turno era già finito da una buona mezz'ora, ma si era trattenuta per ordinare l'archivio. Non vedeva l'ora di tornare a casa, preparare una cena leggera e, dopo un bel bagno caldo, finire di leggere quel libro che aveva iniziato davvero troppo tempo prima. Quando uscì dalla centrale, il Sole era già calato da parecchio e tutto era colorato dalla sfumatura bluastra del cielo al crepuscolo. Si strinse nel cappotto aggiustandosi la sciarpa e si avviò verso l'auto, quando una voce la fermò.
 
“Michonne!” aveva appena messo piede sull'ultimo gradino, ma la voce di Jesus la costrinse a voltarsi. Si fermò perché la raggiungesse e quando fu di fronte a lei, le disse: “Visto che stai andando a casa, potresti portarlo a Rick? L'ha dimenticato sulla scrivania.” le porse un fascicolo azzurrino, che lei afferrò automaticamente.
 
“È così urgente? Non puoi darglielo domani?” domandò piuttosto reticente.
 
“Urgentissimo! Grazie mille!” le disse Jesus salendo veloce le scale e salutandola con un sorriso. Aveva provato a fermarlo ma lui, sordo alle sue proteste, era rientrato fingendo di non averla nemmeno sentita. Con un sospiro mal celato si diresse verso l'auto, ormai arresa all'idea.
 
In meno di una ventina di minuti si ritrovò davanti alla porta di casa Grimes. In un primo momento era indecisa sul da farsi; accarezzò anche l'idea di lasciarglielo davanti casa o di dire a Jesus che non aveva trovato nessuno. Dopo un po' si rese conto che non aveva senso fare tante storie, e facendosi coraggio suonò il campanello.
 
Rimase in attesa un paio di minuti. Dalla casa sembrava non provenire nulla, eppure doveva esserci qualcuno: le luci erano accese. Ritentò e dopo qualche secondo finalmente la porta si aprì. All'inizio di fronte a lei non vide nessuno, ma abbassando un poco lo sguardo si trovò davanti una bella bambina bionda che le sorrideva.
 
“Ciao! Tu chi sei?” le chiese guardandola con gli occhioni chiari e limpidi.
 
Rimase un attimo bloccata dallo stupore, ma subito dopo si riprese e sorridendole a sua volta le disse: “Ciao, sono un'amica del papà, dovevo portargli questo.” indicò il fascicolo “È in casa?”
 
“Sì, come ti chiami?” domandò attenta la piccola.
 
“Michonne.”
 
“Aspetta, vado a chiamarlo. Entra.” la invitò aprendo un po' di più la porta per lasciarla passare. Non ebbe il tempo di ringraziarla che la bambina chiuse la porta e sgambettò via, urlando a squarciagola “Papino! C'è Michonne!” Ritornò così com'era sparita e prendendola per mano la fece avanzare nell'ingresso. Dopo pochi istanti apparve Rick dalla porta a sinistra e la guardò vagamente stranito.
 
“Ciao; stavo preparando la cena.” la salutò mo di scusa. “È un problema se...?” domandò indicandole la cucina.
 
“Oh no, certo.” annuì seguendolo. Sperava solo che il tutto si risolvesse velocemente. Non aveva assolutamente nulla contro Rick, ma ammetteva di sentirsi vagamente a disagio. Voleva solo lasciare il fascicolo e andarsene a casa.
 
Mentre Rick mescolava qualcosa in una pentola, la piccola la fece accomodare e le chiese se volesse qualcosa da bere.
 
“No, grazie.” le sorrise Michonne, sperando che così avrebbe avuto una scusa in meno per rimanere lì.
 
“Ma abbiamo anche il succo d'arancia...” Judith la guardò con gli occhi dolci e il solito broncio che usava per ottenere quello che voleva. E anche lei, di fronte alla gentilezza della bambina, non poté far altro che accontentarla. Mentre Judith era impegnata a prendere i bicchieri e il succo, Rick si sedette.
 
“Eccomi, dovevi dirmi qualcosa?” domandò cauto. La situazione era surreale per lui tanto quanto lo era per lei.
 
“Sì. Jesus mi ha chiesto di portarti questo; lo hai lasciato in ufficio. Ha detto che era importante.” rispose porgendogli il fascicolo; Rick lo prese dalle sue mani e lo sfogliò rapidamente.
 
“Ha ragione... grazie mille.” le sorrise guardandola negli occhi. A Michonne mancò un battito; aveva visto un mare di gente sorridere, ma lui... aveva un modo di distendere le labbra che la incantava. I suoi sorrisi non erano mai falsi; erano spontanei e raggiungevano sempre gli occhi.
 
“Un secondo!” si alzò di scatto sentendo bollire qualcosa in pentola e si diresse verso i fornelli per abbassare la fiamma. Intanto Judith aveva finalmente riempito i due bicchieri di succo e, uno alla volta, li aveva posati sul tavolo, sedendosi poi al posto che fino a poco prima aveva occupato Rick.
 
“Papà è bravissimo a cucinare, sai Michonne?” disse con il sorriso, così simile a quello del padre, stampato in volto.
 
“Ah sì? Cosa ti prepara stasera?” domandò stando al gioco. Infondo quella bambina era bellissima, non riusciva a non lasciarsi coinvolgere.
 
“Le lasagne!” esclamò contenta “Ti piacciono?”
 
“Sono il mio piatto preferito.” le sussurrò con fare complice, quasi fosse un segreto.
 
“Anche il mio!” il suo viso si illuminò e si voltò di scatto verso l'uomo dall'altra parte della stanza. “Papà! A Michonne piacciono tanto le lasagne! Può fermarsi a mangiare qui?”
 
Il silenzio cadde sulla cucina ed entrambi gli adulti si voltarono verso la piccola, che aspettava impaziente una risposta. Rick tentò di dissimulare, sperando che la situazione non diventasse ancora più imbarazzante. “Tesoro, ha appena finito di lavorare. Sarà stanca...”
 
Non fece in tempo a finire la frase che subito sua figlia attaccò di nuovo. “Sei stanca?” chiese alla donna “Dai, rimani con noi!” la guardò entusiasta.
 
“Non so... papà avrà preparato solo per voi.” tentò, sperando di tirarsi fuori da quell'impiccio. Non voleva dirle di no, ma d'altra parte l'atmosfera si era fatta piuttosto densa e non voleva imporsi in casa di qualcun'altro.
 
“No! Papà fa sempre taaanto da mangiare!” scosse la testa, aprendo le braccia verso l'esterno. “Tanto così! Dai fermati, fermati! Per favooore!” la guardò ancora con gli occhi dolci e a quel punto Michonne capitolò.
 
“Se il papà vuole...” annuì incerta.
 
“Papino!” corse dall'uomo a pochi passi da loro, avvolgendogli le gambe in un abbraccio. “Può restare, vero?” chiese guardandolo. A quel punto ormai era cosa fatta; se avesse detto di no avrebbe offeso Michonne e rattristato la piccola.
 
“Certo.” le sorrise.
 
“Sì!!! Vado a chiamare Carl!” esclamò uscendo dalla cucina, diretta verso la rampa di scale che portava al piano di sopra. Arrivata davanti alla porta bussò e disse: “Indovina chi sono!”
 
Dopo qualche istante l'uscio si aprì rivelando un ragazzino che, sorridente, prese la bimba in braccio facendo un giro su sé stesso. “Ciao.” le sorrise dandole un bacio sulla guancia. “C'è pronto?”
 
“No, ma c'è un ospite!” sorrise, muovendo le gambette sospese in aria, non riuscendo a contenere l'euforia.
 
“Un ospite?” chiese stranito lui. “Sei sicura? Non stai dicendo una bugia, vero?” Era da molto tempo che non avevano ospiti, eccetto qualche parente una volta ogni tanto, ma era sicuro che quella sera non stavano aspettando nessuno.
 
“No! È un'amica di papà! Ha anche lei la divisa e devi vedere com'è bella!” rispose impaziente. “Dai scendiamo, scendiamo!”
 
§§§
 
Nonostante le premesse, la cena era andata bene. Judith aveva tenuto viva la serata non mollando Michonne nemmeno per un attimo. Lei si era sentita strana per tutto il tempo. Non in senso negativo, non sapeva spiegare. Sentiva una morsa nel petto, come se qualcuno stesse stringendo a poco a poco. Era da moltissimo tempo che non provava più un'emozione tale. Ed era altrettanto tempo che non cenava in compagnia.
 
Dopo un primo momento di tensione l'atmosfera si era sciolta. Avevano riso, avevano raccontato aneddoti divertenti - per lo più riguardo alle disavventure in casa Grimes - e senza che se ne rendessero conto il tempo era volato. Alla fine Carl aveva preso in braccio Judith che si ostinava a voler rimanere alzata, nonostante stesse crollando dal sonno, e l'aveva portata a letto. Mentre salivano le scale, Michonne la sentì mormorare qualcosa del tipo “Mi piace, è tanto bella..!”
 
Mentre il padrone di casa metteva i piatti in ammollo nel lavello, lei era rimasta seduta a pensare. Rick non era come gli altri. Non che prima lo pensasse, ma ora ne era più che sicura. Aveva conosciuto Carl e Judith, aveva visto il modo in cui li aveva cresciuti, il modo in cui loro parlavano di lui e il modo in cui lui li guardava. Sembrava che quando il suo sguardo si posava su di loro, lui fosse trascinato in un altro universo. Li guardava come se loro fossero il Sole e lui la Terra.
 
Ad un certo punto si erano accomodati in salotto; erano già le dieci passate e sapeva che presto avrebbe dovuto andare, ma sentiva che gli doveva una spiegazione. Non aveva cambiato idea, avrebbe mantenuto le distanze. Ma dopo aver visto la piccola Judith così dolce e allegra e Carl così solare e premuroso nonostante tutto quello che gli era successo, sentiva che l'uomo accanto a lei meritava una giustificazione.
 
Non ne aveva mai date a nessun altro; quelle poche volte che usciva con qualcuno si assicurava che fossero solo avventure di una notte e niente di più.
 
Mentre Rick era salito in camera per controllare che entrambi i suoi figli fossero a letto, lei aveva osservato il salotto. Accanto al mobile della tv c'erano due disegni, uno di Judith e uno di Carl alla sua età. Entrambi erano stati incorniciati e appesi l'uno sotto l'altro.
 
Su una mensola accanto alla finestra c'erano tante cornici che immortalavano i bambini in varie occasioni: Carl sulla bici, il primo giorno di scuola, una piccola Judith a gattoni che guardava l'obiettivo con tanto d'occhi, Carl che la spingeva sull'altalena, la prima pappa; tutte fotografie di questo genere. Momenti di vita quotidiana così semplici e così speciali allo stesso tempo. E lei lo sapeva bene.
 
Quando Rick tornò in salotto, la trovo con gli occhi lucidi, ancora incantata davanti al ripiano delle cornici.
 
“Ehi... che succede?” le domandò vagamente allarmato.
 
“Devo dirti una cosa.” si girò verso di lui, guardandolo intensamente “Ma ti prego, non interrompermi. Lasciami parlare.”
 
Rick si limitò ad annuire; la fece accomodare sul divano e si sedette accanto a lei, voltandosi quel tanto che bastava per poterla guardare in viso. Michonne da parte sua chiuse gli occhi per un momento e dopo un respiro profondo cominciò a raccontare.
 
“Tempo fa mi innamorai. Abitavamo in un paesino di provincia piuttosto degradato. La vita era dura: c'era sempre una volante della polizia in giro per la strada principale che cercava una persona piuttosto che l'altra. Era un posto terribile, uno di quelli in cui sei costretto a crescere in fretta, uno dove la vita non risparmia nulla. Lui era un mio compagno di classe, uscivamo nella stessa compagnia, ci conoscevamo sin da bambini. Non so, all'epoca credevo fosse destino; eravamo sempre stati così uniti che pensavo sarebbe dovuto capitare prima o poi.” scosse la testa, ridendo di sé e della sua stoltezza.
 
“Era alto, molto bello; gli occhi scuri avevano uno sguardo canzonatorio, ma a ben guardarli erano velati di malinconia. Aveva i capelli neri e corti, e mi prendeva in giro per i dreadlocks. Ero l'unica a portarli in paese e mi diceva che gli altri ragazzi mi mettevano gli occhi addosso; era geloso. Ricordo che quando eravamo soli mi chiedeva sempre cosa volessi, come se avesse potuto realizzare tutti i miei desideri. Ogni volta rispondevo "Voglio di più". Odiavamo entrambi quel posto ed era vero: quello che c'era lì non ci bastava. Lui sorrideva, mi dava un bacio e mi teneva stretta a sé, cullandomi.” Inconsciamente si strinse nelle braccia da sola, come se cercasse di nuovo quel calore che non avvertiva da troppo tempo.
 
“Stavamo insieme da un anno quando successe. Io ne avevo diciassette.” riprese.  Lo ricordava come fosse ieri. Era un giorno di sole, faceva così caldo; l'umidità gli impregnava i vestiti e se chiudeva gli occhi ricordava ancora quella tremenda sensazione di appiccicaticcio sulla pelle. Erano andati al molo, sperando di stare meglio.
 
“Facemmo l'amore e come sempre, dopo avermi dato un bacio, mi chiese "Che cosa vuoi?" io rimasi un momento in silenzio.” Ricordava che aveva cercato di imprimere nella memoria il tocco delle sue mani sulla sua pelle nuda. Per quello che ne sapeva, avrebbe potuto essere l'ultima volta.
 
“Dopo un po' mi feci forza e risposi. "Sposami." gli dissi. Quando alzai gli occhi su di lui, mi domandò "Perché? Perché vuoi sposarti con me?". Ricordo ancora lo stupore sul suo volto, l'incredulità.” Ricordava anche cosa gli aveva detto poco dopo, con sguardo serio. "Ti amo."
 
“ "Sono incinta." Per un momento pensai davvero di averlo perso; poi mi sorrise, mi baciò e mi disse di amarmi. Eravamo contenti; nonostante tutto - nonostante non avessimo niente e i nostri genitori si opponessero - eravamo contenti.” il suo viso si incupì, gli occhi si riempirono di tristezza e gli angoli delle labbra si incurvarono all'ingiù.
 
“Ce ne andammo. Ci lasciammo tutto alle spalle, pronti a ricostruire una nuova vita per noi e per il nostro bambino. Credevo davvero che finalmente avremmo dato una svolta a tutto. Vivevamo in un piccolo monolocale in cui stavamo a malapena, ma avevamo tutto quello che ci serviva. Per i primi tempi lavorammo entrambi, ma quando si avvicinò il momento del parto dovetti rimanere a casa. Lui faceva addirittura doppi turni, ci vedevamo sempre meno. Andò avanti così finché il bambino non ebbe cinque mesi, poi la fabbrica per cui lavorava chiuse e a quel punto fui costretta a riprendere a lavorare. Facevo le pulizie in una villa piuttosto grande, mentre di sabato e di domenica lavoravo come cameriera in un ristorante.” fece una pausa, chiuse gli occhi che fino a quel momento avevano fissato il vuoto di fronte a lei e dopo l'ennesimo sospiro, riprese.
 
“Non scorderò mai quella sera. Era domenica notte, le strade erano deserte e io stavo tornando a casa dal lavoro. Nonostante fossero le tre non presi un taxi, non potevo permettermelo. Di solito mi aspettava sveglio, ma quando suonai il citofono non mi rispose. Immediatamente capii che qualcosa non andava; avevo una sensazione nel petto che accresceva ogni secondo, diventando sempre più grande. Sentii un peso sul cuore che mai più ho provato in vita mia. Cercai di tranquillizzarmi mentre con le mani tremanti cercavo le chiavi nella borsa. C'era buio e non le vedevo. Tutto quello che volevo era entrare in casa e assicurarmi che tutto fosse a posto. Alla fine le trovai; aprii la porta impaziente e senza nemmeno chiudere mi precipitai dentro.”
 
Corrucciò gli occhi, sentendo un nodo alla gola e gli occhi riempirsi di lacrime.
 
“Lui era lì... seduto, c-con il viso posato sul tavolo. Sembrava dormisse, m-ma quando mi avvicinai... era freddo. Accanto a lui c'era ancora una bustina di cocaina mezza piena. Ricordo che rimasi pietrificata; ma non era quello ad avermi preoccupata. C'era qualcos'altro di strano. Andai verso la culla e... e...” lacrime calde e salate cominciarono a scorrerle sulle guance. Si voltò verso l'uomo seduto accanto a sé e lo guardò con gli occhi spalancati. “Non c'era più. Il mio bambino... il mio bambino non c'era più. Il mio piccolo tesoro era lì, con il viso sporco di vomito e le braccine abbandonate come fosse una marionetta a cui sono stati tagliati i fili. Lo presi in braccio, crollai a terra e cominciai ad urlare; scoppiai in un pianto disperato. Non potevo rassegnarmi all'idea che da quel momento non l'avrei mai più sentito chiamarmi mamma, che non avrei più visto i suoi occhi vispi osservare tutto con curiosità. Aveva degli occhi bellissimi...” la voce si affievolì, e riportò lo sguardo di fronte a sé persa nei ricordi.
 
“Da quel punto non ricordo più niente. Mi hanno raccontato che i vicini si sono svegliati a causa delle mie urla e sono accorsi. Hanno provato a chiamare l'ambulanza ma ormai era troppo tardi. Lo odio. Per colpa della sua stupida dipendenza ho perso il mio piccolo...” mormorò con la rabbia negli occhi “Non l'ho più visto, ho chiamato i suoi genitori e due giorni dopo sono venuti a prenderselo. Non so nemmeno dov'è stato seppellito. Al mio bambino invece ho pensato io. È ai piedi di una fontana sai?” chiese voltandosi, intrecciando gli occhi dell'uomo nei suoi. “Amava le fontane; faceva sempre i capricci finché non gli facevo immergere i piedini.” un sorriso triste si aprì sul suo volto segnato dalle lacrime.
 
“Mi trasferii; decisi che nessuno avrebbe dovuto soffrire come me fintanto che avrei potuto evitarlo. Mi iscrissi in Accademia e scelti appositamente la divisione della narcotici per la specializzazione. L'unico modo per trovare un po' di pace dentro di me è prendere tutti quelli come lui, prima che facciano del male anche ad altri.” Fece una breve pausa e poi aggiunse: “In quel momento decisi anche che nessuno avrebbe più avuto il potere di farmi del male; non gliene avrei lasciata possibilità.”
 
Non raccontava mai quella storia, solo la sua migliore amica sapeva tutto sul suo passato; oltre che per non rivangare brutti ricordi, non ne parlava mai anche per non vedere quello sguardo di pietà che le avevano lanciato tutti quelli che erano presenti il giorno del funerale. Si voltò di nuovo verso Rick e lo guardò fisso; nei suoi occhi c'era solo tanto dolore.
 
“Era un bambino così bello...” disse riprendendo a piangere. “Per questo non mi lego a nessuno... Ma dopo quello che ho visto stasera, volevo che tu capissi... Mi dispiace...” si coprì il viso con le mani, ma lui la interruppe.
 
“Shh... Tranquilla, va tutto bene. Vieni qui.” si avvicinò e mettendole un braccio attorno alle spalle la attirò a sé. Non si era accorta di tremare finché lui non l'aveva abbracciata. Nascose il volto nella sua camicia e scoppiò in un pianto incontrollato. Rick non disse nulla, si limitò a tenerla stretta e a mormorare “Shh” di tanto in tanto, nella speranza di farla calmare.
 
Era rimasto in silenzio per tutto il tempo, come lei aveva chiesto. Gli sembrava quasi surreale che una donna come Michonne avesse dovuto soffrire così tanto. Man mano che si addentrava nel racconto sentiva un peso opprimergli il petto; si sentiva impotente. Non sopportava di sentirsi così, l'aveva sempre odiato, soprattutto quando riguardava qualcuno che gli stava a cuore. Nessuno merita il male che gli viene inflitto, ed era sicuro di poter affermare che quella a meritarlo meno di tutti fosse proprio lei. Era ancora frastornato; gli faceva strano averla tra le sue braccia e sentirla così fragile ed esposta.
 
Poco dopo Michonne si addormentò, stremata dal pianto. Ma lui non ci riuscì, non subito almeno. Rimase sveglio, con lo sguardo incantato sul soffitto. La sua mente era un fiume in piena e allo stesso tempo non riusciva a pensare a niente in particolare. Appena focalizzava qualcosa, questo era spazzato via da altro.
 
Chiuse gli occhi ancora velati di lacrime, sperando di liberare la mente.
 
Prima ancora di rendersi conto di tenere a lei, l'aveva ammirata e stimata. Era il genere di donna che sperava sarebbe diventata Judith da grande. Era il genere di donna che sperava avrebbe sposato Carl. Solo in quel momento, seduto sul suo divano immerso nella penombra, si rese conto che l'unica cosa che voleva era proteggerla. Proteggerla e farla felice come meritava.
 
Ora sapeva che cosa avrebbe fatto; non l'avrebbe riempita di paroline dolci e vuote. Le avrebbe dimostrato con i fatti quanto ci teneva e quanto lei meritasse di darsi un'altra possibilità; ma avrebbe lasciato tutto nelle sue mani. Se avesse deciso di stare con lui sarebbe stato perfetto, altrimenti non si sarebbe pentito per non averci provato. Non l'avrebbe mai costretta, la scelta sarebbe stata solo sua.




Angolo autrice:
Se siete arrivati fino a questo punto spero non mi odierete troppo. Se vi consola, ho sofferto a scrivere questo capitolo e anche a rileggerlo ahahahahaha Ma posso dire che il prossimo avrà tutt'altri toni - direi praticamente l'opposto rispetto a questo - e forse avete anche capito a cosa mi riferisco ;) Quest'ultimo periodo si sta rivelando più incasinato di quanto pensassi e mi dispiace non poter stare di più o di non riuscire a rispondere alle recensioni ma sappiate che le leggo tutte (e mi fanno tanto piacere!); un giorno mi rifarò viva, promesso. Ringrazio come sempre chi ha messo la storia tra preferite/seguite/ricordate e chi recensisce :) Buona settimana!
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
Si avvicinarono all'ingresso e diedero i biglietti a un uomo che, dopo avere strappato una striscetta lungo la linea tratteggiata ed avergli augurato buon divertimento, li salutò lasciandoli passare. Si trovarono sotto un piccolo portico tutto buio; l'unica fonte di luce proveniva da oltre i teli di plastica trasparente a pochi passi da loro. Nonostante non vedessero quasi niente, sentì lo sguardo della ragazza accanto a sé indugiare su di lui; automaticamente si girò a sua volta e dopo pochi istanti si diressero entrambi verso l'entrata vera e propria.
 
Con un braccio scostò un telo, creando un varco oltre il quale Beth si intrufolò subito; passò anche lui e la trovò ferma in cima alla scalinata che conduceva al padiglione; in poche falcate le si accostò e rimase ad osservarla mentre lei non aveva occhi che per quello che era di fronte a loro. Sotto un enorme spazio coperto c'erano un mare di bancarelle, ognuna decorata con una fila di lucine intermittenti. Ovunque c'erano cartelloni, manifesti e gente travestita in linea con il tema del suo stand. Dall'alto del loro posto potevano vedere tutto nell'insieme e quella miriade di puntini colorati che schizzavano di qua e di là senza sosta sembravano dare vita alla tavolozza di un pittore. Nell'aria si mischiavano i profumi più diversi: salsiccia bruciacchiata, zucchero filato, olio per friggere, paste calde e focaccine. Paradossalmente, nonostante fossero odori così diversi tra loro, non davano fastidio. Beth non aveva dato segno di volersi muovere; probabilmente sarebbe rimasta lì anche tutta la sera se avesse potuto, però restare lì impalato lo innervosiva.
 
“Andiamo?” e senza aspettare una risposta cominciò a scendere le scale. Lei lo raggiunse qualche secondo dopo e cominciarono a camminare tra bancarelle, senza sapere bene cosa fare. Almeno, lui non ne aveva idea. A dirla tutta non sapeva nemmeno come si era convinto ad accompagnarla davvero. Durante quella settimana aveva cercato di trovare una scusa per disdire ma ogni volta che si accennava l'argomento, Rick faceva terra bruciata attorno a lui e senza accorgersene si ritrovava a parlare col muro. Era riuscito a bloccarlo solo la sera prima, ma a quel punto l'agente aveva detto che non la poteva lasciare con così poco preavviso e dato che aveva preso un impegno era suo compito onorarlo. Alla fine si era fatto coraggio pensando che prima sarebbero andati, prima sarebbero tornati ognuno a casa propria.
 
Dopo qualche minuto, a Daryl cadde l'occhio su uno stand poco distante a cui si stavano dirigendo un ragazzo e una ragazza per mano. Il banco era rosa confetto, sovrastato da una tettoia rosa acceso su cui campeggiava l'insegna “Due cuori e una tazza”. Oltre allo stand poteva intravvedere una piccola pista su cui erano fissate una decina di tazze formato gigante che ruotavano lentamente. In ogni tazza era seduta una coppietta e sul tavolino al centro di ogni tazza c'era un piattino di marshmallow. Era la cosa più imbarazzante che avesse mai visto.
 
Daryl distolse subito lo sguardo con espressione scocciata; alzò gli occhi al cielo e dopo aver trattenuto un piccolo sbuffo aprì la bocca per chiederle cosa volesse fare, ma lei lo precedette.
 
“Andiamo lì?” gli chiese Beth entusiasta. Non ebbe nemmeno bisogno di vedere cosa stesse indicando per capire.
 
“No.” la stroncò lapidario, continuando a camminare.
 
“Dai, è per il mio compleanno, non puoi dirmi di no!” lo richiamò lei facendolo fermare.
 
“Io qui non volevo nemmeno venirci, ti ho solo accompagnata.” rispose sbrigativo.
 
“Ma ormai sei qui, tanto vale divertirsi!” gli sorrise. Lui non disse niente, limitandosi a fissarla con sguardo scettico. “D'accordo, facciamo così: decidiamo una volta per uno.”
 
Sapeva che non avrebbe ottenuto niente di meglio così distolse lo sguardo dai suoi occhi grandi, grattandosi la nuca per mascherare la sensazione di disagio che stava crescendo dentro di lui in quel momento. Ovviamente lei colse al volo la sua possibilità e senza pensarci due volte esclamò: “Inizio io! Andiamo alle tazze!” e detto questo lo prese con entrambi le mani per un polso e lo trascinò verso lo stand.
 
“Un giro, per favore.” disse raggiante all'uomo dall'altra parte della bancarella senza mollare la presa. Il tizio, con un improbabile cappellino rosa a cuoricini, pinzò i biglietti che gli aveva dato la ragazza lasciando un forellino a forma di cuore, poi sorrise e riempì un piattino con i marshmallow aggiungendo anche un lecca-lecca rosso a forma di cuore.
 
“Buon divertimento ragazzi! John, falli passare.” disse poi rivolto al ragazzo accanto al cancellino che conduceva alla pista girevole.
 
Lei fece per dirigersi verso l'entrata ma lui la trattenne e sporgendosi verso l'uomo domandò secco: “Quanto dura?”
 
“Solo sette minuti.” gli sorrise di rimando. Alla fine Daryl cedette e fu trascinato in pista; appena si sedettero si strinse nelle spalle, cercando di nascondersi più che poteva. Non che ci riuscisse molto in quella tazzina; sperava solo che nessuno che lo conosceva lo vedesse. Beth lo osservò mentre si gustava a piccoli morsi un marshmallow azzurro.
 
“Che fai?” gli chiese piuttosto divertita. Lui in tutta risposta si limitò a scoccarle uno sguardo di fuoco, di fronte al quale le venne ancora più da ridere.
 
“Dai, mangia qualcosa.” disse avvicinando il piattino verso di lui. Guardò l'orologio che aveva al polso: era passato solo un minuto e mezzo. Ma perché la lancetta dei secondi sembrava incedere così lentamente nel quadrante? Rimase con lo sguardo fisso per altri trenta secondi, che gli parvero durare una vita. Solo sette minuti. Se avesse continuato così, il tempo si sarebbe addirittura fermato, così sollevò di nuovo lo sguardo su di lei e la trovò come l'aveva lasciata. Lo stava osservando piuttosto divertita, con un marshmallow tra le dita.
 
“Possiamo anche parlare, sai?” lo prese in giro “Credi di poter sostenere cinque minuti di conversazione?”
 
“No.” le rispose asciutto.
 
“Perché?” gli chiese lei, non demordendo.
 
Lui si allungò verso il piattino e prese il lecca-lecca. “Ehi, quello lo volevo io!” lo rimbeccò.
 
Ignorandola, Daryl lo scartò velocemente e se lo infilò in bocca. “Non si parla con la bocca piena.” rispose guardandola. Attendeva la sua reazione, ma tra tutte ebbe quella che meno si aspettava: dopo un momento di perplessità era scoppiata a ridere. E la cosa peggiore è che si era reso conto di averci sperato. Rimase lì ad osservarla mentre la risata si spegneva pian piano e sulle sue labbra rimaneva solo un sorriso.
 
“Impossibile.” scosse la testa divertita. Voleva fare il duro, ma quel lecca-lecca gli dava solo l'aria di un bambino capriccioso, facendolo fallire completamente nel suo intento. Finì da sola gli ultimi tre dolcetti, ascoltando la musica che proveniva dal piccolo palco allestito su uno dei due lati corti del padiglione e abbandonandosi al movimento della pista. Dopo un paio di minuti il signore li avvisò che il loro turno era finito.
 
Quando uscirono Daryl cercò di mettere più distanza che poté tra sé e quella trappola mortale, così ripresero a camminare tra le varie bancarelle e giostre. Con la coda dell'occhio, tra l'altro, si era accorto di come Beth lo stava guardando. O forse sarebbe stato più corretto dire di come guardava il lecca-lecca. Lo divertiva vederla agitarsi impaziente, sperando che lui capisse cosa voleva.
 
“Me lo dai?” gli chiese dopo un po' che camminavano in silenzio. Giurava di averla intravista arrossire, ma per quanto vederla in difficoltà lo divertisse (come gli capitava con chiunque d'altra parte, era la sua specialità) si sarebbe messo in una situazione che stava tentando di evitare dal primo momento in cui aveva messo piede in quel festival, quindi la ignorò. Beth non disse più nulla, continuando a camminare affianco a lui, perdendosi di tanto in tanto ad osservare questo o quello stand.
 
Tirò fuori il lecca-lecca dalla bocca e vide che ormai ne aveva consumato più di metà; la forma del cuore si era completamente persa, lasciando spazio a un disegno indefinito. Sbuffò, attirando la sua attenzione. Non gliel'avrebbe mai offerto come facevano tutti gli uomini in quelle squallide commedie d'amore che piacevano tanto a sua madre.
 
“Non ti va più?” gli chiese dopo qualche istante. Lui per tutta risposta sollevò le spalle, dissimulando un'espressione indifferente e lei lo prese subito dalle sue mani, con un sorriso. Lo assaggiò, facendo uno schiocco di approvazione. Sapeva il gusto che stava sentendo sulla sua lingua: fragola e... lui. Quel pensiero lo fece rabbrividire e lo allontanò il più velocemente possibile; aveva avuto quasi paura a formulare un'idea del genere.
 
“Tocca a me.” esordì guardandosi intorno. Era tutto colorato, tutto così diverso eppure tutto così confondibile. Non c'era un posto che gli sembrava degno di nota più degli altri; stava per arrendersi all'idea che non avrebbe trovato niente quando posò lo sguardo su uno stand completamente diverso dagli altri. La bancarella era rivestita da un telo nero e il tettuccio era ricoperto da una lastra che dava un effetto a specchio.
 
“Quella.” indicò la casa degli specchi, voltandosi verso di lei. Ecco il suo riscatto; gliel'avrebbe fatta pagare per quelle tazze maledette!
 
“No, Daryl. Io...” non riuscì a proseguire quando lui la guardò perplesso. “Andiamo.” concluse infine, avviandosi. Arrivati davanti allo stand, l'uomo gli chiese i biglietti e li bucherellò lasciando la forma di una stellina, dopodiché glieli riconsegnò e, scostando una pesante tenda di velluto nero, li fece entrare.
 
L'interno era illuminato da luci che non riflettevano direttamente su nessuno degli specchi; nulla aveva un'ombra e tutto sembrava così... piatto. Rimase un attimo bloccata sulla soglia e poi, sentendosi chiamare da Daryl, si fece coraggio ed avanzò. Vagò per qualche minuto, toccando la superficie delle lastre di vetro, cercando di trovare una via d'uscita, e un paio di volte aveva rischiato anche di sbattere la faccia. Intanto Daryl, rimanendo sempre nascosto, l'aveva osservata. Si divertiva a vederla in difficoltà; in quel momento gli sembrava una cieca che, disorientata, cercava di aiutarsi con il tatto per ritrovare la strada di casa. Ed essendo che lei ci vedeva benissimo, lo spettacolo era piuttosto esilarante. La seguiva passo passo, attento a non farsi scoprire. Ad un certo punto, dopo aver svoltato in un paio di vicoli ciechi, lo chiamò.
 
“Daryl?” nella voce c'era una nota di agitazione, che aveva tentato di camuffare. Non le rispose, giusto per vedere che cosa avrebbe fatto non trovandolo. “Daryl, dove sei?” lo richiamò, alzando un po' la voce, cercando di essere più decisa. Era a pochi passi da lei, ma non poteva vederlo perché si era abilmente nascosto. La vendetta è un piatto che va servito freddo, ma neanche tanto.
 
L'avrebbe anche lasciata uscire da sola, se un secondo dopo non fosse successo qualcosa che non si aspettava. Beth arretrò fino a trovarsi nel centro della stanza. Cominciò a tremare, spalancò gli occhi e lo chiamò di nuovo.
 
“Daryl! Daryl?!” non era la semplice agitazione di prima, era in panico. Aveva cominciato a girare su sé stessa, sperando di vederlo apparire da qualche parte. Prima non aveva avuto il coraggio di dirgli che aveva una fobia per le case degli specchi. Sentì il respiro diventare sempre più pesante e le si annebbiò la vista. Stava per cedere quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
 
“Beth?” Daryl la fece voltare verso di sé e controllò che stesse bene. Lei lo guardò con gli occhi ancora spalancati, iniettati di paura, e poi si gettò tra le sue braccia stringendolo forte. Lì per lì rimase bloccato; non si aspettava una reazione del genere. Ma quando sentì che continuava a tremare portò lentamente le mani sulla sua schiena, cercando di tranquillizzarla.
 
Pian piano la guidò fuori e quando uscirono la vide tirare letteralmente un sospiro di sollievo. La ragazza fece qualche passo e poi si appoggiò a una porzione di muro libera tra due bancarelle, chiuse gli occhi e tentò di regolarizzare il respiro. Poco distante da loro, Daryl vide uno stand che vendeva bibite e ghiaccioli e comprò dell'acqua. Tornò da lei e tossicchiando attirò la sua attenzione.
 
Quando Beth alzò lo sguardo si trovò di fronte l'uomo che, ad occhi bassi, le offriva una bottiglietta. La prese e solo quando iniziò a bere si rese conto di avere la gola secca e tanta sete. Senza dire nulla, si incamminò verso l'uscita del padiglione che dava sul parco, sicura che lui l'avrebbe seguita. Doveva allontanarsi da tutta quella gente, si sentiva soffocare; aveva bisogno di una boccata d'aria.
 
“Perché non me lo hai detto?” le chiese lui a bruciapelo dopo un po' che camminavano nell'aria fresca.
 
“Non volevo rovinare la serata.” rispose semplicemente, sentendosi una stupida. “Colpa di quello scemo di mio fratello Shawn; da bambina mi ha dimenticata in una casa degli specchi e da quel momento non ci ho più messo piede; è una vera fobia. Speravo mi fosse passata.” si giustificò “Evidentemente no.” concluse con un sorriso amaro.
 
“Non c'è bisogno di essere tanto melodrammatici.” disse lui liquidando la faccenda come se non fosse successo niente di che. Non era bravo a consolare le persone, e quella era la cosa più vicina a una rassicurazione che potesse uscirgli, soprattutto in quel momento. Soprattutto con lei. Sperò solo che capisse.
 
“Sai, io non so nulla di te.” esordì lei, tenendo gli occhi bassi sulle sue All-Stars blu, ma stando attenta alla reazione dell'uomo accanto a sé. Daryl rimase in silenzio, con le mani nelle tasche del giubbotto e lo sguardo basso.
 
“Meglio.” borbottò alla fine.
 
“Che è successo?” E, stranamente, si resero conto entrambi che non era una domanda generale, né di circostanza; voleva sapere. Lei glielo stava chiedendo. Nessuno gli aveva mai chiesto cosa fosse successo. Sospirò lentamente, ma prima ancora di rendersene conto stava già parlando.
 
“Mio padre era un alcolista; picchiava sia mia madre che mio fratello. Quando ero ancora piccolo lei se n'è andata, e siamo rimasti solo io e Merle. Poi ha iniziato anche con me. Adesso è morto, penso si sia meritato tutto quello che gli ha dato la vita.” disse come assorto tra i suoi pensieri.
 
“E tuo fratello?” chiese lei, a voce bassa, come se alzare il tono avrebbe spezzato quel momento.
 
“Mio fratello è un coglione; e non è mai veramente uscito dal giro. Ma quando lei ci ha lasciati, lui è rimasto. Per quanto a volte - la maggior parte delle volte - vorrei, non riesco a mandarlo a fanculo. Lui c'è sempre stato per me, a modo suo.”
 
Le parole si persero nel venticello freddo che si era alzato da poco e gli scompigliava i capelli. Rimasero l'uno accanto all'altra e continuarono a camminare. Percorsero quasi tutto il perimetro dell'edificio quando, svoltando un angolo, videro delle luci in lontananza.
 
“Ma qui non c'è un angolo di pace?” borbottò lui spostando l'attenzione sullo stand lì vicino.
 
“Devono essere gli animali! Di solito li lasciano sempre fuori, andiamo?” chiese speranzosa. Aveva il volto un po' pallido e gli occhi ancora lucidi, ma il sorriso che gli stava rivolgendo era sincero. Lui la osservò di rimando e fece un gesto d'assenso col capo. Mentre si dirigevano verso quello che pian piano si era davvero rivelato essere un recinto, avevano entrambi la testa piena di pensieri.
 
Beth provava solo dispiacere per l'uomo; non le aveva detto tutto, sentiva che la storia aveva molte più sfumature, ma era stata contenta che avesse condiviso qualcosa di sé con lei, per quanto poco fosse. La verità era che l'unica cosa che voleva fare era abbracciarlo. Stringerlo tra le braccia e vederlo sorridere. Il suo destino era stato fin troppo crudele ed era sicura di poter dire che lui non si meritasse tanto male.
 
Daryl da parte sua ancora non ci credeva di averle risposto davvero. Aveva sempre fatto fatica a confidarsi; anzi, eccetto il suo vecchio capo Hank, che lo conosceva da dieci anni, e Rick a cui l'aveva praticamente urlato addosso, non ne aveva mai parlato con nessuno. Eppure, quando lei glielo aveva chiesto, non si era sentito giudicato. Parlarne con lei non era stato difficile come con gli altri. Si sentiva sicuro.
 
Quando si avvicinarono allo stand, videro un recinto basso con dentro quattro o cinque coniglietti che si rincorrevano saltellando, mentre qualche metro più in là c'era la staccionata che avevano visto anche in lontananza, dentro cui erano tenuti un paio di pony. Uno dei due responsabili, dopo aver chiamato un pony, aveva dato loro due piccole mele ciascuno. Si avvicinarono e Beth iniziò ad accarezzarlo.
 
“Qual è il tuo animale preferito?” gli chiese dopo qualche istante.
 
“Il cane.”
 
Lei scosse la testa con un sorriso gentile. “Che tipo?”
 
“Non è un tipo, era un bastardino. Ne avevo uno tempo fa.” spiegò. Si ricordava quel cane, e gli mancava. L'aveva trovato dodici anni prima; era stato abbandonato e girava tra i cassonetti cercando qualcosa da mangiare, quando non c'erano gatti da inseguire. Lo aveva visto un paio di volte prima che gli si avvicinasse. All'epoca avevano appena arrestato Merle, e lui era sempre nervoso. Aveva finito per trattare male anche quel povero cane; lo aveva allontanato, tirandogli dietro qualche parola. Il giorno che aveva saputo che Merle si sarebbe fatto dentro qualche anno, aveva girato senza meta tutto il giorno e quando si era seduto su una panchina da qualche parte, quel cane gli si era avvicinato. Ricordava di esserne rimasto sorpreso perché non lo aveva mai visto in quella zona. Questo gli aveva posato il muso su un ginocchio e lo aveva guardato, come se davvero stesse cercando di comunicargli qualcosa. Era morto da un paio d'anni ormai; la vecchiaia.
 
“E il tuo qual è?” domandò.
 
Beth si accorse del cambiamento d'umore dell'uomo e decise che avrebbe anche potuto dirgli la verità, soprattutto perché la cosa faceva sempre ridere tutti. Con un sorriso imbarazzato, tentennò “Se te lo dico, promettimi di non prendermi per il culo.”
 
“Mmm.” annuì.
 
“È il bradipo.”
 
“Il bradipo?” chiese guardandola basito, pensando di aver capito male.
 
“Sì! Lo sottovalutano tutti!” disse convinta “Ma è così...” indugiò, pensando alle parole esatte per descriverlo.
 
“Orribile?” concluse lui per lei, mascherando un sorrisino.
 
“È tenerissimo!” lo difese.
 
“Sono pigri e lenti, guardarli mi intristisce.*1” ribatté deciso.
 
“Sono lenti su strada, ma grandi arrampicatori!” si infervorò, notando anche il divertimento nei suoi occhi.
 
“Per quanto tu voglia farla sembrare poetica, restano inutili.” rispose, divertito dalla foga con cui la ragazza si stava battendo per i bradipi.
 
“Be, se sono al mondo un motivo ci sarà!”disse soddisfatta di aver trovato un punto a suo favore. Vedendola lì, tutta impettita, con le braccia conserte al petto e l'espressione trionfante, non riuscì ad impedirsi di ridere. Cercò di trattenersi, ma la risata esplose riempiendo l'aria attorno a loro.
 
All'inizio Beth rimase come intontita; non l'aveva mai visto ridere davvero di gusto e il fatto che lui si fosse lasciato andare l'aveva stupita e non poco. Poi però la felicità prese il sopravvento e scoppiò a ridere a sua volta. Non si era mai sentita così giusta come in quel momento. Era il momento giusto, nel posto giusto, con la persona giusta.
 
Finirono di dare da mangiare al pony, continuando a coccolarlo. Il clima serio di poco prima era stato spazzato via dalla loro risata e la situazione si era sbloccata. Avevano iniziato a parlare con molta più tranquillità di come non avessero fatto fino a quel momento; in realtà era Beth a tenere le redini della conversazione ma a differenza del solito, Daryl non si stava costringendo a rimanere distante e rispondeva, se pur brevemente, a tutto.
 
Camminarono ancora un po' nell'aria fresca del parco, tornando all'ingresso del padiglione. Quando entrarono rimasero frastornati: la folla era almeno triplicata, e già prima c'era abbastanza gente per i loro gusti. Si guardarono indecisi e poi Daryl le fece segno di uscire. Snodandosi tra il mare di persone fra loro e l'ingresso, riuscirono a fatica a raggiungere la scala solo dopo una decina di minuti. Era un peccato, Beth gli aveva appena detto di voler mangiare qualcosa e avevano deciso di rientrare proprio per fermarsi a uno degli stand di panini. Ma effettivamente l'atmosfera era invivibile, mancava il respiro e tutti si spintonavano per andare da una parte all'altra del padiglione.
 
Quando uscirono si strinsero di nuovo nei cappotti.
 
“Mi dispiace di essere usciti, ma sembrava di essere in mezzo a un'orda di zombie; c'era davvero troppa gente.” disse Beth voltandosi verso l'uomo al suo fianco.
 
“Mmm...” alzò le spalle, senza sapere bene nemmeno lui cosa volesse dire. “Hai ancora fame?”
 
“Sì, ma a quest'ora non sarà tutto chiuso?” guardò l'orologio che aveva al polso e segnava circa l'una di notte.
 
“Qui vicino c'è un posto.” la contraddisse lui, svoltando in una delle viette che si diramavano da quella principale. Camminarono ancora; l'atmosfera era rilassata e tranquilla. Quando parlavano, nuvolette di vapore facevano le capriole nell'aria davanti a loro; il cielo era carico di nubi plumbee che promettevano un acquazzone coi fiocchi. Quella zona non era proprio in centro e c'erano solo loro due a passeggio in quella fredda notte di novembre.
 
Dopo qualche minuto arrivarono di fronte a una tavola calda aperta ventiquattr'ore su ventiquattro. Quando entrarono Beth vide che era un locale piuttosto piccolo, ma ben arredato e pulito. Dava la sensazione di casa, era accogliente. Si sedettero ad un tavolo l'uno di fronte all'altra e aspettarono che la cameriera arrivasse con i menu. Nel frattempo, il tepore del posto li aveva riscaldati. La cameriera arrivò e lasciò loro un paio di fogli plastificati su cui erano segnate le pietanze e i relativi prezzi.
 
Daryl a mala pena guardò il foglio; andava lì abbastanza spesso da sapere cosa prendere. Si concentrò invece sulla ragazza di fronte a lui, che lasciava scorrere gli occhi sul menu alla ricerca di qualcosa. Quando aveva tolto il cappellino di lana i capelli si erano un po' spettinati e qualche ciocca ribelle sparava verso l'alto. Gli occhi che fino a un'ora prima erano pieni di paura, adesso erano illuminati da una strana luce. E, finalmente, il viso aveva ripreso colore: complice anche la temperatura confortevole del locale, le guance erano tornare a colorarsi di rosso. Gli piaceva vederla così.
 
La ragazza con l'uniforme del locale si riavvicinò a loro e prese le ordinazioni, tornando poco dopo con i piatti colmi di cibo fumante. Era stata piuttosto veloce, ma d'altra parte erano gli unici clienti, eccetto un uomo che aveva davanti solo un boccale di birra mezzo vuoto. Parlarono ancora per tutta la durata della cena. Beth gli raccontò dei suoi anni all'Accademia, dei suoi interessi e anche della fattoria fuori città dove stavano i suoi cavalli; a quel punto lui aveva fatto una strana espressione.
 
“Che c'è?” gli aveva chiesto lei incuriosita. Lui come al solito aveva scosso la testa in un gesto non ben definito. “Non ti piacciono i cavalli?”
 
“Sì, mi piacciono.” rispose lui un po' sulla difensiva. “Se stanno là.” disse indicando la fine della via che vedevano da una delle finestre del locale.
 
Beth rise. “Sono animali estremamente sensibili ed empatici; capiscono come si sente una persona, non c'è bisogno di aver paura.” disse dolcemente.
 
“Io non ho paura!” ribatté deciso. “Ma capiscono anche fin troppo, per quello che mi riguarda.”
 
La ragazza di fronte a lui lo guardò con un sorriso confuso, non capendo cosa intendesse dire. Daryl sbuffò. “Non vedo perché dovrei avere una cosa con una mente tutta sua che mi ballonzola tra le gambe!*2” Lei lo guardò basita per un momento e poi scoppiò a ridere, pensando a come sarebbe stato vederlo su un cavallo. All'inizio lui la guardò un po' offeso, ma poi la bocca si storse in quello che doveva essere un sorrisino mal celato.
 
Dopo un'oretta si diressero al bancone per pagare la cena, ma lui fu più veloce e pagò per entrambi, senza nemmeno farle sapere il prezzo.
 
“Quanto ti devo?” gli chiese mentre uscivano.
 
“Niente.”
 
“Davvero, non ce n'è bisogno. Dimmi quant'è.” disse piccata.
 
“È il tuo compleanno, va bene così chiacchierona.” mise fine alla discussione e lei non poté evitare di sorridere sotto i baffi.
 
Camminarono ancora, e dopo una ventina di minuti si trovarono di fronte al pick-up di Daryl con cui era passato a prenderla qualche ora prima. Lui aprì la portiera e accese il riscaldamento; accese una sigaretta, giusto il tempo per aspettare che l'abitacolo si riscaldasse. Lei restò a fargli compagnia, appoggiata con i gomiti al retro dell'auto, rivolta verso di lui. Rimasero immersi nel buio della notte rischiarato da qualche lampione qua e là, sentendo i gufi bubolare sopra di loro e i rumori della città in lontananza.
 
Quando finì la sigaretta salirono entrambi in macchina e partirono nella quiete più totale. Nessuno dei due disse una parola, ma non si sentirono in imbarazzo. Era un silenzio rilassato e... ordinario. Ad entrambi sembrava la cosa più normale del mondo, come se fosse già capitato mille volte e sarebbe successo ancora.
 
Dopo una mezz'oretta arrivarono sotto casa di Beth; Daryl parcheggiò e scese per accompagnarla. Giunti davanti all'ingresso, lei salì i primi due gradini che conducevano al portoncino e si voltò verso di lui, ritrovandosi a superarlo di poco in altezza.
 
“Grazie per avermi accompagnata.” gli sorrise lei, guardandolo. Lui tenne la testa bassa, fissa sue scarpe, spostando il peso da un piede all'altro. “Mi sono divertita.”
 
Lui alzò lo sguardo verso di lei, perdendosi per un momento in quegli occhi limpidi. Rimasero in silenzio qualche istante; poteva essere passato un secondo come una vita intera, non avrebbero saputo dirlo. Inconsciamente si sporse leggermente, alzando il volto verso di lei e un lampo di stupore le attraversò gli occhi. A quel punto lui arretrò riabbassando la testa.
 
“Grazie, Daryl.” gli sorrise dolcemente “A domani.” scese un gradino e gli diede un leggero bacio sulla guancia, per poi voltarsi ed entrare velocemente nella portineria del palazzo, richiudendosi la porta alle spalle con il cuore che sembrava stesse per esploderle nel petto. Entrò in ascensore e schiacciò il numero del suo piano; solo quando le porte si richiusero di fronte a lei, liberò un sospiro che non si era accorta d'aver trattenuto. Ma che era successo?! Era stata solo una sua impressione o stava davvero per...? Si portò le mani sul viso e sentì le guance in fiamme. L'ascensore si fermò; Beth fece qualche passo incerto nel pianerottolo e cominciò a cercare le chiavi di casa con le mani che tremavano leggermente. Quando riuscì ad entrare, richiuse la porta con due mandate e vi si appoggiò improvvisamente debole. La cosa l'aveva parecchio sconvolta; non sarebbe riuscita a chiudere occhio tutta la notte.
 
Daryl da parte sua rimase imbambolato come un idiota a fissare il punto oltre il quale era sparita. Si riscosse solo quando sentì il rombo di un motore passargli affianco. Senza quasi rendersene conto si rimise al volante, immettendosi nella strada senza una meta ben precisa. Guidò non prestando particolare attenzione alla strada, agendo come un automa. L'unica cosa che gli rimbombava in testa era Beth. Anche se aveva gli occhi aperti riusciva a vederla ovunque, come lo spettro di un sogno: quando i fari di una macchina lo colpivano in viso, quando vedeva qualcuno camminare al lato della strada. Una volta gli sembrò di sentire la sua voce nello stridio dei freni della macchina davanti a lui. Non era lucido, sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene e il cuore battergli all'impazzata.
 
L'aveva quasi baciata! Maledizione, dopo tutto quello che si era ripromesso, dopo tutto l'autocontrollo a cui aveva sempre fatto appello quando ce l'aveva nei paraggi, l'aveva quasi baciata! Alla fine era stato proprio lui a sbilanciarsi; lui, che aveva sempre avuto paura che lei si sarebbe spinta troppo oltre! E ad averlo fermato non era stato tanto lo sguardo stupito nei suoi occhi, quanto una punta di quella che gli era sembrata... speranza?
 
Non gli era mai capitata una cosa del genere, e quella sensazione lo spaventava. Accostò la macchina al ciglio della strada e la spense. Posò la testa sul volante e mormorò debolmente: “Oh no... questa proprio non ci voleva...*3
 
Dopo essersi calmato alzò la testa e si guardò intorno. Ma dov'era finito? Sulle prime non capì, ma poi la luce che proveniva dal piano terra della villetta ben curata di fronte al quale aveva parcheggiato attirò la sua attenzione. Cominciò a ridere, lasciando libero sfogo alla frustrazione del momento. Scese dal pick-up, lo chiuse e si mise le chiavi in tasca, dirigendosi verso la porta. Se avesse suonato il campanello avrebbe svegliato tutta casa, dovevano essere almeno le tre di notte, così si limitò a bussare leggermente con le nocche. Sentì dei passi strascicati percorrere l'ingresso e dopo pochi istanti la porta si aprì.
 
L'ultima persona che Rick si sarebbe aspettato di vedere quella sera era proprio Daryl, e invece eccolo lì. “Ciao.” disse piano, per non svegliare Carl e Judith.
 
“Ciao.” La voce era persino più rauca del solito e a ben guardare anche il resto sembrava diverso. Aveva i capelli spettinati, gli occhi socchiusi e una strana espressione in viso. Sembrava sconvolto.
 
“Posso dormire qui?”




Angolo autrice:
 
*1 Come ammazzare il capo... e vivere felici, 2011. Bob Pellit.
*2 Sherlock Holmes - Gioco di Ombre, 2011. Sherlock Holmes.
*3 Love Actually, 2003. David.
 
Eccoci! Allora? Vi è piaciuta questa uscita? Questo capitolo ha qualche nota seria, ma giusto un paio; fondamentalmente è molto fluff :P Sono troppo belli insieme, io non posso scendere a patti col fatto che non abbiano avuto la possibilità che si meritavano nella serie. Vabbe, non dipende da me (purtroppo). In ogni caso perdonatemi se fuggo così e faccio tutto in fretta e furia, ma il tempo è denaro e non è mai abbastanza. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi fa piacere leggere il vostro parere! Come sempre ringrazio tanto chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordare e soprattutto chi recensisce. A presto!
·Machaira·

PS: Rileggendo mi sono accorta che mancava un pezzo; non è una parte consistente per fortuna, sono giusto due righe su quello che prova Beth quando torna in casa. In ogni caso ora l'ho aggiunto e dovrebbe essere tutto a posto :) Perdonate il disguido, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
La mattina dopo, tutti in centrale avevano capito che non era giornata. Appena i due Duke avevano fatto il loro ingresso, era calato un silenzio tombale. Non che avessero detto o fatto niente, ma solo il modo in cui erano entrati a passi pesanti e con il viso adombrato aveva mandato un messaggio forte e chiaro: tenersi lontani.
 
In realtà Rick non era realmente di malumore; in quei giorni aveva fatto qualche passo verso Michonne e nonostante non si fosse lasciata andare, sembrava per lo meno disposta a dargli l'opportunità di mostrare quanto lui tenesse a lei. Qualche giorno prima, dopo la sua confessione, le aveva detto cosa intendeva fare: dimostrarle che davvero avrebbe potuto fidarsi di lui, ma che comunque alla fine la scelta sarebbe stata solo sua. Si era costruito così uno strano equilibrio tra loro, in cui lui si muoveva piano verso la donna e lei partecipava e osservava come uno spettatore passivo.
 
Quello che lo faceva arrabbiare era il comportamento dell'amico. Sì, perché l'altro Duke era una testina di cazzo. Dopo essergli piombato in casa, era rimasto sveglio tutta la notte misurando a grandi passi il salotto, continuando a fare avanti e indietro come una tigre in gabbia.
 
Rick era rimasto a fargli compagnia, ma ad un certo punto era crollato sul divano, lasciandosi andare ad un sonno profondo. Quando si era risvegliato qualche ora dopo, aveva trovato Daryl che ancora camminava; era rimasto per un po' ad osservarlo finché questo non si era girato con un sorriso amaro in volto, parlando per la prima volta da quando aveva messo piede in casa sua: “Pensa di fottermi?” rise sarcastico. “Be, col cazzo!” enfatizzò puntandogli il dito contro, in una smorfia strafottente di rabbia e nervoso insieme.
 
Poi, senza aggiungere altro, era andato in bagno chiudendo la porta a chiave e dopo pochi istanti Rick aveva sentito l'acqua della doccia. Aveva scosso la testa, passandosi una mano sul volto e con un sospiro si era alzato per andare a svegliare i bambini. 
 
Anche se non gli aveva detto niente, era evidente che fosse successo qualcosa quella sera. Aspettava di vedere la reazione di Beth per capire se fosse stato in negativo o in positivo. Daryl avrebbe reagito male in qualsiasi caso, quindi non faceva testo, tanto più che sembrava deciso a non dire nulla.
 
Quando entrarono in ufficio lei era già lì e, come ogni mattina, li salutò con un sorriso gentile. Rick la salutò a sua volta, mentre Daryl rimase zitto, finché lui non gli diede una gomitata nel fianco mentre erano alle sue spalle per appendere i giubbotti. Così quando si era seduto accanto a lei si era sforzato di farle un cenno e poi era tornato a guardare il muro di fronte a sé. Aveva due bambini sia al lavoro che a casa, ormai si era rassegnato all'evidenza.
 
Per quello che poteva vedere, Beth era tranquillissima, non si comportava diversamente dal solito e a quel punto le opzioni erano due: o non era successo niente e Daryl si era sognato tutto, o lei fingeva per amor del quieto vivere. E temeva fosse la seconda.
 
Dopo un'oretta circa era suonato il telefono e la ragazza al bancone d'ingresso l'aveva chiamato, dicendogli di scendere. Negli ultimi giorni la centrale era in pieno delirio: a causa di una brutta influenza il personale era decimato, perciò i pochi superstiti cercavano di aiutarsi quanto più potevano. Erano andati al piano di sotto, tranne Beth che voleva prima passare da Maggie per sapere se avesse qualche novità. Appena arrivati trovarono un uomo ammanettato, seduto con gli occhi bassi su una delle seggioline ai lati dell'atrio d'ingresso.
 
“Buongiorno. Grimes, lei è?” gli chiese, presentandosi brevemente. Quello alzò il volto su di lui e sorrise mostrando i denti. Rick sollevò il sopracciglio per invitarlo a continuare e per tutta risposta quello si limitò a sbattere le ciglia, fingendo uno sguardo dolce.
 
“Juliet, chi è?” disse a quel punto Rick rivolto verso la ragazza.
 
“Merle Dixon, è qui per rissa. Non sembra niente di straordinario ma dovrà rimanere fino a domani mattina.” snocciolò rapidamente.
 
Rick si voltò cercando Daryl alle sue spalle, ma dell'uomo non c'era traccia. Fece il giro del bancone circolare, e lo trovò inginocchiato a terra, con il cappuccio della felpa calato sulla testa, che tentava di nascondersi. Quando nella visuale di Daryl comparvero un paio di stivali, alzò di scatto la testa e cominciando a scuoterla gli fece segno di non dire nulla.
 
“Cerchi i folletti, commissario?” gli chiese Merle dopo un po', provocandolo.
 
“Non sono un commissario.” rispose asciutto. “Forse sarebbe meglio andare in-”
 
Non riuscì a finire la frase che sentì una risata provenire dalle scale e subito dopo la voce di Jesus esclamare divertito: “Daryl, ma cosa stai facendo? Ti nascondi dagli sbirri?”
 
Risvegliato dal nome del fratello, Merle si raddrizzò sulla seggiolina facendo correre gli occhi chiari in lungo e in largo, setacciando la stanza con attenzione. “Daryl?” domandò, quasi come per chiamarlo. A quel punto, per il diretto interessato era inutile nascondersi e dopo aver lanciato un'occhiataccia a Jesus e avere fatto il gesto di tagliargli la gola, si era rialzato togliendo il cappuccio.
 
“Oh porca troia, fratellino! Che fai qui?” gli chiese sorpreso l'altro, non nascondendo una nota di scherno.
 
“Lavoro. Tu piuttosto, cosa ci fai ancora dentro?” ribatté, sollevando il mento e irrigidendo i muscoli nella solita posa difensiva che assumeva quando era teso.
 
“Lavori?!” scoppiò in una risata che gli aveva sempre ricordato troppo il verso di una iena e poi continuò “Ti pagano per essere la mascotte del gruppo? O sei la fidanzata del signorino qui, Darylina?” gli chiese indicando Rick con un gesto della testa, senza spegnere il sorriso.
 
“Sei il solito coglione.” rispose secco “Portalo tu in cella.” disse poi rivolgendosi all'amico prima di salire le scale. Ci mancava solo suo fratello per coronare quella giornata di merda.
 
Nel frattempo Beth era passata da sua sorella che però non le aveva detto niente di nuovo; anzi, da quando si era ridotto il personale a causa della malattia, Maggie si era trovata a dover fare il lavoro di due colleghi, oltre al suo. L'aveva aiutata per quello che poteva, consegnando qualche cartella medica e aiutandola a riordinare un laboratorio.
 
Quando era andata al piano terra, sperando di trovare Rick e Daryl, non aveva visto nessuno eccetto Juliet. Quella poverina stava impazzendo, il telefono continuava a squillare: dagli uffici la chiamavano per praticamente ogni cosa, il più delle volte per farsi dire dove si trovava questo o quello, con la scusa di non saperlo.
 
“Beth!” la chiamò appena la vide. “Ti prego, posso chiederti un favore?”
 
“Certo, dimmi.” le sorrise.
 
“Qualcuno ha camminato con le scarpe sporche di fango, e se lo becco...” disse nervosa con un sospiro “Ma l'impresa di pulizie è già andata via. Potresti andare a prendere secchio e spazzolone? Non posso proprio allontanarmi da qui.” le chiese quasi supplicandola.
 
“Dove li trovo?”
 
“Nei bagni del piano di sopra.” rispose mentre il telefono riprendeva a trillare insistente.
 
“Vado subito.” le fece un cenno d'assenso e si incamminò su per le scale.
 
“Sei un angelo, grazie!” urlò nella sua direzione un secondo prima di rispondere alla chiamata.
 
Arrivata al piano di sopra, Beth andò nel bagno delle donne; di solito quel genere di cose erano tenute lì. In centrale non sapeva che abitudini avessero, quindi tentò un po' a caso sperando di avere fortuna. Dopo qualche minuto passato ad aprire le porte e a cercare dietro gli angoli, non aveva ancora trovato nulla. Forse erano in quello degli uomini; le sembrava strano ma tanto valeva provare.
 
Così varcò la porta affianco, continuando a cercare. Si era appena abbassata sui talloni per vedere sotto le ante chiuse dei bagni se ci fosse qualcosa, quando la porta dietro di lei si spalancò di botto. Sorpresa, si alzò di scatto e girandosi si trovò di fronte a Daryl. Stava per chiedergli se lui sapesse dove potessero trovarsi secchio e spazzolone, quando lui cominciò ad urlarle addosso.
 
“Cristo, ormai sei dappertutto! hai intenzione di diventare la mia fottuta ombra e non mollarmi neanche al cesso?!” la voce era sempre più alta, il viso sempre più paonazzo. “Mi sono rotto di trovarti ovunque. Scollati, capito?! Sei solo una ragazzina per me, nient'altro!”  la guardò negli occhi furibondo, inspirando ed espirando forte, agitato come un toro, per recuperare il fiato.
 
Beth era rimasta immobile e lo fissava con gli occhi spalancati. Per un momento non riuscì a reagire; non capiva proprio cosa volesse dire, era stata una doccia fredda. Sapeva di essersi sempre spinta vicina al limite con lui, ma in quel momento non stava cercando di fare nulla. Però se era questo che lui sentiva, benissimo. Lei aveva una dignità e un orgoglio da mantenere. Ovviamente ci era rimasta male, ma non glielo avrebbe mai mostrato.
 
Si diresse lentamente verso di lui e lo vide retrocedere automaticamente di un passo. Lo guardò intensamente, con la rabbia negli occhi e le labbra sottili strette l'una contro l'altra. “Fottiti.” gli disse, rafforzando il concetto con tanto di gesto. E uscì, sbattendo la porta con un colpo secco.
 
Sentiva la rabbia montarle nel petto e quel nodo allo stomaco, che aveva trattenuto, sciogliersi fino a farla sussultare. Stava tremando e aveva gli occhi lucidi per il nervoso. Nell'atrio del primo piano quasi si scontrò con Rick; lo sentì dirle qualcosa, ma non lo ascoltò nemmeno. Si fiondò giù per le scale, cercando di scendere i gradini il più rapidamente possibile. Voleva solo uscire di lì e stare da sola. Anche Juliet la chiamò, ma non le diede nemmeno il tempo di finire la frase che era già in strada.
 
Cominciò ad accelerare il passo fino a che non si ritrovò a correre. Tutto attorno a lei era ovattato, lontano. Sentiva il rumore dei battiti del cuore tamburellarle nelle tempie e il suo corpo tremare, non solo per il freddo. L'aria le sferzava il viso e le ghiacciava le lacrime che scendevano lente e copiose. Rischiò persino di essere investita quando attraversò la strada senza pensare; aveva la vista annebbiata e non si era nemmeno accorta dell'auto che stava girando l'angolo. Il guidatore suonò il clacson, riportandola alla realtà. Non capiva dov'era e non le importava, ma doveva fermarsi: sentiva il fiato corto e la milza dolorante. Si portò le mani sulle ginocchia e respirò a pieni polmoni. Le gambe tremavano per il nervoso e quella sensazione di pesantezza che aveva nel petto non si era ancora placata.
 
Dopo aver recuperato un po' il fiato cominciò a camminare, stringendosi nelle braccia per cercare di riscaldarsi; quando era uscita dalla centrale non aveva nemmeno pensato di prendere il cappotto. L'unica cosa che voleva era allontanarsi il più possibile. Nella sua mente si affollavano così tanti pensieri che non riusciva nemmeno a carpirli tutti, ma uno predominava sugli altri: Daryl. Quanto era stata stupida? Lui aveva ragione, non sarebbero mai potuti stare insieme. Eppure la sera prima aveva sperato che la loro vicinanza potesse portare a qualcosa di più. Non si era mai sbagliata tanto. Lei era rimasta una ragazzina ai suoi occhi. Quella volta a casa sua, lui le aveva detto che non pensava lo fosse e lei ci aveva persino creduto, ma davanti ai fatti si era ovviamente smentito. Si sentì triste come non mai. La rabbia era passata e tutto quello che le rimaneva era solo un grande lago di tristezza. Si sentiva disillusa, come quando ti svegli da un bel sogno e ti accorgi che in realtà non è successo niente.
 
Si sedette su una panchina e cominciò a guardare la strada senza vederla veramente. Rimase lì sola per molto tempo, finché una mano le si posò sulla spalla.
 
“Ehi, tutto bene?”
 
Si voltò di scatto verso il suo interlocutore, pronta a dirgli in malo modo di lasciarla in pace, chiunque egli fosse. Ma quando incontrò gli occhi scuri del ragazzo che le stava di fronte, rimase per un momento paralizzata.
 
“Va tutto bene?” le domandò di nuovo, sedendosi accanto a lei.
 
Beth si ricompose immediatamente, cercando di nascondere il nervosismo di poco prima e con un sorriso dolce appena accennato gli rispose: “Certo, grazie. Ehm... non credo ci conosciamo.” disse invitandolo a presentarsi, mantenendo la voce morbida.
 
“Nico, piacere.” rispose, porgendole la mano.
 
“Daisy.” disse allargando un po' il sorriso e ricambiando la stretta.
 
§§§
 
Glenn era appena rientrato in pizzeria e uno dei camerieri lo aveva già avvisato che di lì a poco sarebbe dovuto uscire per un altro giro. Era seduto su uno degli sgabelli alti vicino al bancone, ad aspettare che le pizze venissero pronte, quando sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni. Lo prese e vide che il contatto non era salvato in rubrica.
 
“Pronto?” rispose.
 
“Glenn, sono Beth.” lui allontanò il telefono dall'orecchio e guardò lo schermo confuso; strano, non era il suo numero.
 
“Ma da dove stai chiamando?” le domandò confuso.
 
“Non importa. Ho bisogno di un favore. Vai in centrale a portare una pizza e passami Rick.” disse velocemente.
 
“Aspetta.” allontanò di nuovo il telefono e si rivolse a uno dei cuochi. “Josh, per caso ti hanno chiesto una pizza dalla centrale?”
 
“No, oggi non ancora.” rispose quello concentrato mentre tirava la pasta.
 
Glenn tornò a parlare con Beth. “Ma nessuno l'ha ordinata.” ribatté stranito.
 
“Non importa, devi solo portare una pizza a Rick e passarmelo, te la pago io appena ci vediamo. Ah, e ricordati di chiamarmi con il tuo telefono su questo numero, ok?” disse con urgenza.
 
“Certo...” mormorò stranito “Ma tutto bene?” le chiese poco convinto.
 
“Sì, ma devo andare. A dopo.” E senza stare un secondo di più, gli attaccò il telefono in faccia.
 
Quella telefonata lo aveva sorpreso e non poco; tralasciando il fatto che lui e Beth non si erano mai sentiti se non per quanto riguardava qualche ordine, il tono febbrile e agitato della ragazza lo aveva preoccupato. Comunque fece come gli era stato detto; aspettò che tutto fosse pronto e poi si rimise in moto. Portò a termine le consegne e infine si diresse in centrale con una pizza margherita fumante nel portaoggetti.
 
Appena entrò si avvicinò al bancone e vide Juliet, la ragazza che stava sempre al centralino, alzare gli occhi su di lui.
 
“Ti chiamo Daryl?” chiese sbrigativa ma con gentilezza, sollevando la cornetta del telefono.
 
“No, non c'è problema, ci penso io.” sorrise, cercando di risultare il più tranquillo possibile.
 
“Va bene allora, è nell'ufficio di Rick.” lo salutò con un cenno per poi tornare con lo sguardo fisso sul computer accanto a lei.
 
Quando entrò nella stanza, la tensione era talmente densa che si poteva tagliare con un coltello. Rick aveva i gomiti appoggiati sulla scrivania, le mani intrecciate davanti alla bocca e guardava intensamente Daryl con sguardo truce; l'altro gli stava di fronte, seduto malamente come al solito ma con la testa bassa, nemmeno si trovasse davanti al Tribunale della Santa Inquisizione.
 
“Ehm... devo fare una consegna.” disse schiarendosi la voce per attirare la loro attenzione. Rick lo guardò sorpreso e scosse la testa leggermente. “È da parte di Beth.” aggiunse.
 
“Cosa? Quando l'hai sentita?” chiese l'agente con impazienza.
 
“Circa una mezz'oretta fa, perché?” rispose stupito.
 
“È sparita da almeno cinque ore! Pensavamo le fosse successo qualcosa!” spiegò.
 
“Mi ha chiesto di portarti una pizza e di chiamarla a questo numero.” disse Glenn mostrandogli il cellulare. Frettolosamente, Rick prese il telefono dalla scrivania e cominciò a comporre il numero finché l'altro non lo fermò. “Ha detto di non usare il tuo; chiama con questo.”
 
Un lampo di preoccupazione attraversò il volto di Rick che si affrettò a far partire la chiamata. Dopo tre squilli finalmente rispose.
 
“Pronto?”
 
“Beth!” esclamò “Dove sei? Tutto bene? Che è successo?” le chiese a raffica.
 
“Rick, zitto!” lo fermò. Era stata un po' brusca, ma non c'era tempo da perdere. “Ascoltami bene, d'accordo?” Lui rimase come paralizzato. Il tono della ragazza era frettoloso e urgente; non l'aveva mai sentita così rigida e seria.
 
“Dimmi.” disse mettendo in vivavoce.
 
“Quando sono uscita ho incontrato Nico Russo. Ricordi? Il cugino di Mark, il braccio destro di Chacòn; il ragazzo col negozio di fiori. Ecco, si è seduto accanto a me, abbiamo chiacchierato un po' e mi ha invitata ad uscire con lui domani.” spiegò velocemente, tralasciando i dettagli e cercando di essere il più concisa possibile.
 
“Cosa?!” domandò allarmato. “Ma tu non hai accettato, vero?”
 
Beth non gli prestò attenzione e continuò. “Ho bisogno di documenti falsi e di un altro telefono. Gli ho detto di chiamarmi Daisy, il resto sceglilo tu, va bene tutto. Dì a Maggie che per il momento non tornerò a casa, e come indirizzo segna King Street 37; è dove abita una mia amica, io sono già da lei. Portami tutto qui, d'accordo?”
 
L'uomo era rimasto come imbambolato a fissare lo schermo illuminato del telefono da cui proveniva la voce della ragazza. “Rick? Rick, stai segnando?” gli domandò quando non lo sentì rispondere.
 
“Come?” chiese frastornato.
 
“L'indirizzo! Prendi carta e penna, e segnalo!” lo spronò.
 
“No Beth, scordatelo, non puoi.” le disse contrariato.
 
“Non sono una bambina.” sottolineò l'ultima parola. “E poi mi sembra che non ci sia tanta scelta ormai; io andrò da lui che tu mi appoggi oppure no. Certo il tuo aiuto mi farebbe comodo...” ribatté furbescamente. Quando sentì Rick sbuffare capì di averlo convinto e ripeté: “Daisy, King Street 37. Aspetto le cose entro stasera.” e con questo chiuse la chiamata.
 
L'ufficio rimase immerso nel silenzio; nessuno si mosse né disse una parola. Non si guardarono nemmeno in faccia. Restarono con lo sguardo fisso sul telefono ormai spento per qualche minuto, finché Rick non parlò.
 
“Oh mio Dio!” esclamò cominciando a camminare per l'ufficio e mettendosi le mani nei capelli in un gesto disperato. “È completamente pazza! Che le è saltato in testa?! Suo padre l'ha affidata a me per non farle correre pericoli, ed ora è persino il perno dell'operazione! Non è possibile! Quell'uomo mi licenzierà e i miei figli dovranno vendere frutta lungo la strada*1!” disse affranto.
 
Dopo un po' si voltò verso Daryl e lo trovò ancora seduto con le mani strette a pugno, tanto che le nocche erano bianche, e con un'espressione che non gli aveva mai visto prima. Quando Glenn era entrato, Rick lo stava costringendo a una sorta di terzo grado per scoprire dove fosse finita Beth. Non gli aveva detto niente, nemmeno uno dei suoi soliti grugniti sconclusionati. Era rimasto con lo sguardo basso, i capelli scuri a coprirgli la fronte e gli occhi, e le labbra sigillate. Non che in quel momento si stesse lasciando andare a un monologo, ma i suoi occhi comunicavano più di quanto non volesse.
 
Si impose di darsi un contegno e sospirò, passandosi la mano sugli occhi stanchi. “Bene. Prepariamo tutto.” disse dando una leggera pacca sulla spalla all'amico, per poi dirigersi verso l'atrio. “Ah, Glenn?” lo chiamò mentre stava uscendo “Ho bisogno anche di te.” I due uomini lasciarono Daryl solo, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Era colpa sua, solo colpa sua, se lei adesso si trovava in quella situazione.
 
Dopo quella discussione nel bagno, stava tornando in ufficio quando Rick gli aveva chiesto se sapesse dove stava andando Beth tanto di fretta. Aveva glissato, come al solito, ed era andato al piano di sotto per farsi un caffè. Tra la ragazza e suo fratello, quella giornata stava procedendo malissimo, ma non pensava sarebbe potuta andare anche peggio. Quanto si sbagliava. 
 
Appena arrivato al piano terra aveva trovato Juliet disperata e arrabbiata insieme.
 
“Daryl, sai dov'è andata Beth?” gli domandò. Ma perché lo chiedevano tutti a lui?! In risposta aveva dissimulato il solito menefreghismo e aveva alzato le spalle con espressione annoiata. “Le avevo chiesto di andare nel bagno di sopra a prendermi lo spazzolone perché qualche buzzurro ha insozzato il pavimento e ad un certo punto l'ho vista scendere come una furia e andare via!”
 
La centralinista aveva continuato a blaterare per un po' qualcosa riguardo a quanto cafona fosse la gente e quanto quel pavimento sembrasse un porcile, tanto che alla fine era andato lui stesso a cercare quel maledettissimo spazzolone, purché smettesse di lamentarsi.
 
Non che la stesse ascoltando più di tanto; aveva la testa persa nei suoi pensieri. Si era sentito un completo idiota. Beth non era andata in bagno per fargli un altro dei suoi scherzi, stava solo facendo un favore a Juliet. E lui l'aveva attaccata senza motivo. Aveva visto nei suoi occhi quanto fosse rimasta spiazzata dalla sua uscita. Ma quando si sentiva messo alle strette la sua miglior difesa era l'attacco. Ferisci gli altri prima che gli altri feriscano te, lui era fatto così. Non che questo lo giustificasse, certo.
 
Si sentiva già abbastanza di merda dopo aver scoperto che lei era assolutamente innocente, e per quello non aveva detto nemmeno una parola per ore, quando poi lei li aveva chiamati - anzi, aveva chiamato Rick e aveva parlato sempre e solo a lui pur sapendo che probabilmente altri ascoltavano - e gli aveva detto che l'indomani sarebbe uscita con quel moccioso... Si era arrabbiato, sì. Con sé stesso.
 
Oltre alla rabbia però, era rimasto come bloccato dalla preoccupazione. Non potevano permettere che si lanciasse nella tana del lupo come niente fosse! E non avrebbe detto niente, però era stato sollevato quando Rick aveva provato a fermarla. Ma lei era un osso duro e non dubitava che quella matta si sarebbe lanciata all'azione anche se l'avessero lasciata sola.
 
L'unica cosa che poteva fare ormai era cercare di aiutarla il più possibile e sperare che quella storia si chiudesse il prima possibile.
 
Quando arrivò al piano terra, lo trovò in subbuglio; quei pochi agenti che erano rimasti andavano su e giù per la centrale senza fermarsi nemmeno un attimo. Non pensava che così poche persone potessero fare tutto quel casino. Chiese a Juliet dove si trovava Rick e questa gli indicò l'ufficio di Porter senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Accanto a lei, ammanettato al bancone, c'era Merle che guardava tutto e tutti con il suo solito sorriso malizioso. Essendo che nessuno poteva rimanere a fargli da guardia, era stato spostato lì in modo che potessero tenerlo sotto controllo.
 
Senza nemmeno guardarlo andò verso l'ufficio e fuori dalla porta trovò Rick al cellulare.
 
“So che è meglio non sentirci, ma Eugene non vuole firmare il permesso; puoi pensarci tu?” chiese piuttosto imbarazzato. Daryl sentì la voce della ragazza dall'altra parte del telefono, e immaginò fosse una risposta affermativa a giudicare dall'espressione sollevata dell'uomo di fronte a sé.
 
Rientrarono insieme e vide che c'erano anche Jesus e Abraham ad aspettarli; Rick passò il telefono a Eugene che, solo dopo aver sentito la voce di Beth, mise in pausa il gioco e le prestò attenzione.
 
“Sì? ... Sì, capisco. ... Certo, non c'è nessun problema. ... Per lei questo ed altro. ... Buona serata.” passò il telefono a Rick e firmò subito i moduli che aveva di fronte.
 
Abraham intanto aveva scosso la testa e mormorato: “Ma come fa? Gliel'ha data, per forza. Ecco perché non ascolta noi uomini.” Jesus accanto a lui aveva sorriso divertito.
 
“Al contrario, Ford. La signorina Greene si è dimostrata da subito una giovane donna forte e ben educata; molto più intelligente di tanti in questa stanza. E per quanto riguarda il fatto di non ascoltarvi... be' siete così noiosi, lei sì che invece ha qualcosa da dire.” concluse come se tutto ciò che stava dicendo fosse più che ovvio.
 
“Bene.” disse Rick, tralasciando le critiche che il capo aveva appena lanciato a tutti “Ora ci rimane solo da decidere come recapitarglieli; di certo non posso essere io, tutta la città sa che sono il vicecapitano.” disse osservando gli altri nella speranza che avessero qualche idea.
 
“Il tipo mi ha visto; io non posso.” rispose Daryl secco.
 
“Anche io e Abraham siamo conosciuti. Insomma, da quando Abe ha quasi ammazzato di botte il tipo che gli ha dato del coglione è famoso. E io sono stato sotto copertura in questa zona troppo tempo per passare inosservato.” spiegò Jesus.
 
Rimasero qualche minuto in silenzio, pensando a una possibile soluzione, quando il capitano Porter sollevò la testa e esclamò: “Ho io la soluzione!” Tutti si voltarono verso di lui stralunati, increduli che davvero gli fosse venuto in mente qualcosa o anche solo che ci avesse pensato. “Il signor Dixon!”
 
Daryl lo guardò innervosito; questo tipo ascoltava mai? Come era finito a fare il capitano? Ma prima che potesse dire qualcosa, Rick lo precedette. “Il ragazzo l'ha visto in faccia, Daryl non può andare.” cercò di spiegare paziente.
 
“Non questo signor Dixon. Quel signor Dixon.” chiarì, indicando al di là della parete vetrata l'uomo che in quel momento stava facendo gli occhi dolci a Juliet. Daryl seguì la traiettoria del dito di Eugene, finché i suoi occhi incontrarono la sagoma di suo fratello, mezza sdraiata sul bancone.
 
“Sei completamente mat-!” Rick gli tirò una gomitata nel fianco per farlo stare zitto e cominciò a parlare per attirare l'attenzione su di sé.
 
“Con tutto il rispetto capitano; non credo sia una saggia idea mandare proprio lui.” ribatté cauto.
 
“E perché mai? Da quando è stato scarcerato, Merle Dixon non ha avuto grossi problemi. In più non lavora in polizia e se qualcuno dovesse riconoscerlo non sospetterebbe mai che stia agendo per conto nostro. E poi che vi piaccia o no sono io il capitano, quindi si fa come decido io. Su forza, all'opera, fuori di qui. Lasciatemi in pace.” E dopo averli praticamente sbattuti fuori dall'ufficio si richiuse la porta alle spalle con un tonfo sordo.
 
“Ci si può fidare di lui?” gli chiese Rick, guardando Merle.
 
“No... ma sì.” rispose enigmatico. All'espressione incerta dell'altro, spiegò. “È il più cazzuto degli stronzi, mio fratello. Fagli mangiare un martello e cacherà chiodi.*2 Mandalo.” disse sicuro. Sperava di non pentirsene. Rick annuì. Intanto erano arrivati di fronte al bancone, pronti a dare il via al piano.
 
“Allora, ci sarebbero da mandare questi moduli, Juliet potresti...?”
 
“BASTA!” urlò questa, ammutolendo tutti, persino Merle. “Col cazzo che lo farò! Mi avete rotto i coglioni! Sono cinque giorni che non mi lasciate in pace un attimo! Mi chiamate per ogni stronzata; Juliet di qua, Juliet di là, ma che cazzo volete ancora?! Devo insegnarvi a pulirvi il naso e ad allacciarvi le scarpe?! Vaffanculo!” disse dopo essersi tolta con un gesto di stizza le cuffie e il microfono, andando a passo di marcia verso l'ingresso come una furia e sbattendo la porta.
 
Rimasero tutti allibiti osservando attoniti la sua uscita, poi lentamente si guardarono l'un l'altro ancora troppo stupiti per dire qualcosa.
 
“Wow... qualcuno ha il suo numero?” chiese Merle con un sorrisino malizioso, mentre osservava ancora il punto in cui la ragazza era sparita. Al di là dei vetri smerigliati potevano ancora vedere la sua sagoma, i suoi capelli lisci e castani, il completo blu e le gambe magre e chiare lasciate scoperte dalla gonna al ginocchio.
 
“Scordatelo, ha appena 25 anni.” disse Rick piccato. 
 
L'altro stava già per rispondere a tono quando Jesus attirò l'attenzione su di sé. Mise una mano nella tasca dei pantaloni e dopo aver tirato fuori uno spinello strizzò l'occhio agli altri quattro e disse: “Ci penso io.”
 
Il vicecapitano aprì la bocca per contestare, ma l'altro lo fermò ancora prima che parlasse: “È chiaramente a scopo terapeutico.” disse alzando le mani, con un sorriso furbo per poi uscire a sua volta.
 
“Va bene, stringiamo o non ce la caviamo più.” li richiamò Abraham, riportandoli coi piedi per terra. “Ci pensate voi a spiegargli tutto? Io mando la richiesta per i documenti.” Prese i fogli che Eugene aveva firmato e dirigendosi verso il suo ufficio, li lasciò soli. 
 
“Abbiamo bisogno che tu faccia una cosa.” disse Rick all'uomo ammanettato di fronte a lui.
 
“E per chi mi hai preso, la cameriera?” chiese retorico l'altro, con un sorriso provocatorio.
 
“Ovviamente dietro compenso.” ribatté Rick asciutto.
 
“Guarda un po', adesso la polizia di Atlanta vuole stipendiare tutti i Dixon della città? È una sorta di... progetto sociale? Alla fine vi danno la fascia come ai boyscout?” domandò sarcastico.
 
“Smettila di fare il coglione, ci servi seriamente.” lo interruppe Daryl. Suo fratello era sempre stato così; cazzeggiava e prendeva tutto sottogamba. Ma loro non avevano tempo. “Devi andare a questo indirizzo e consegnare quello che ti daremo. Poi io e te ci vedremo per parlare di quello che vi sarete detti tu e Beth. In cambio sei libero, da subito.” spiegò conciso.
 
“Beth?” disse lentamente l'altro, guardando suo fratello dritto negli occhi, con uno sguardo malizioso e indagatore.
 
“Allora?” chiese Daryl, tralasciando volutamente il modo in cui aveva pronunciato il suo nome. “Accetti?”
 
C'era qualcosa di strano negli occhi di suo fratello mentre parlava, e Merle se ne era accorto subito. Era un qualcosa di completamente nuovo ed estraneo e non riusciva a riconoscere cosa fosse. Quel che era certo è che avrebbe fatto di tutto per scoprirlo. Finse di pensarci per un momento e poi con un sorrisino furbo rispose: “Ma sì, vediamo com'è questa tipa per cui tanto vi sbattete.” calcò leggermente sull'ultima parola, mostrando i polsi a Rick perché gli togliesse le manette.
 
§§§
 
Quando Beth sentì suonare il campanello, quasi saltò dallo spavento. Sapeva che non poteva essere nessuno di pericoloso, aveva fatto le cose per bene: non aveva più messo piede in centrale, aveva chiamato subito Kelly chiedendole se avesse potuto ospitarla per qualche giorno, aveva cercato di contattare gli altri il meno possibile ed era rimasta zitta e buona in casa ad aspettare.
 
Erano le sette di sera, il cielo era blu scuro già da un pezzo, ma il vento aveva diradato le nuvole che ingombravano l'aria il giorno prima, lasciando intravedere le stelle.
 
Si avvicinò al citofono e rispose.
 
“Chi è?” domandò in tono chiaro.
 
“L'idraulico.” rispose una voce roca e graffiante.
 
Kelly non le aveva detto che sarebbe dovuto passare, ma comunque scese i cinque scalini che c'erano nell'ingresso e poi socchiuse la porta quel tanto che bastava per vedere chi stava dall'altra parte.
 
Era un uomo sulla quarantina, con i capelli cortissimi che cominciavano a schiarirsi e gli occhi azzurri illuminati dalla luce del lampione sopra di loro. Indossava una tuta blu da lavoro aperta fin sopra l'ombelico che lasciava intravvedere il petto ricoperto da una peluria rada, e aveva in mano una valigetta in metallo dall'aria pesante che doveva contenere gli attrezzi da lavoro.
 
Quando la vide, l'uomo mormorò: “Ah... capisco.” con un sorrisino furbo e l'aria di chi la sa lunga.
 
“Sì?” domandò lei per invitarlo a parlare.
 
“Tu sei... Daisy?” chiese con un tono che sembrava volesse sottintendere tanto altro. Le tese la mano e Beth la strinse automaticamente. Quando si lasciarono lei trovò nella sua mano un piccolo foglietto ripiegato. Lo aprì e vi lesse poche parole.
 
Lascialo entrare.
                    -D
 
“Mi scusi, lei è...?” chiese piuttosto confusa.
 
Lui le sorrise a trentadue denti guardandola dall'alto in basso. “Merle Dixon, dolcezza.”




Angolo autrice:
 
*1 Vita da camper, 2006. Bob Munro.
*2 The Walking Dead, 2010. Daryl Dixon.
 
Ebbene sì, la mia fantasia non ha limiti: Daryl Dixon che cita Daryl Dixon; tutto ciò a del filosofico. Freud sarebbe fiero di me. A parte gli scherzi, questa frase è troppo bella e credo che non ci sia modo più azzeccato per descrivere Merle (che, se non si fosse ancora capito, io adoro!). Ci stiamo dirigendo verso la fine, i fili cominciano a intrecciare una trama più precisa e presto si tireranno. Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e chi recensisce^^
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
Quando Merle uscì dal numero 37 di King Street si ritrovò con cinque chiamate perse da parte di Daryl. Gli avevano detto di metterci il meno possibile ed era passata più di un'ora e mezza, ma dubitava che fosse quella la preoccupazione più grande del suo fratellino.
 
Dopo che “Daisy” si era convinta a farlo entrare in casa, l'aveva portato in salotto, si erano accomodati sui divani e passato qualche istante di silenzio gli aveva chiesto se volesse un caffè. “Corretto!” le aveva detto a voce alta mentre lei raggiungeva la cucina. Dopo pochi minuti era tornata con un vassoio tra le mani, su cui erano posate due tazzine e una zuccheriera.
 
“Non ho trovato la grappa, mi spiace, ma questa non è casa mia.” si scusò accennando un sorriso imbarazzato; l'uomo di fronte a lei si limitò a sollevare leggermente le spalle in un gesto che le risultò terribilmente familiare.
 
Merle prese la tazza dalle mani della ragazza e dopo un sorso la osservò insistentemente: “Allora, in che cosa ti sei cacciata?” sogghignò.
 
“Ehm... non le hanno raccontato niente di quello che è successo?” chiese a sua volta, incerta.
 
“Mi hanno mandato proprio per scoprirlo.” ammiccò lui.
 
“Da dove comincio?” sospirò lei, ripensando alla strana giornata appena trascorsa.
 
“Dall'inizio.” le strizzò l'occhio e dopo aver svuotato la tazzina si era sistemato meglio tra i cuscini morbidi del divano.
 
Tirando su la lampo della tuta per ripararsi dal freddo, digitò il numero di Daryl e fece partire la chiamata. Gli rispose dopo a mala pena uno squillo.
 
“Merle. Ma dove diavolo eri?” chiese glaciale l'uomo dall'altra parte.
 
“Lo sai benissimo.” gli disse innocente. “Ho solo sentito la sua storia.”
 
“E ci hai messo un'ora e mezza?” domandò innervosito.
 
“Forza, dove ci incontriamo?” cambiò discorso.
 
“Ti mando l'indirizzo.” e poi aveva chiuso la chiamata senza tante cerimonie.
 
Merle salì sulla sua vecchia auto - che i poliziotti erano andati a recuperare qualche ora prima - accese il riscaldamento e con un tonfo sordo posò la valigetta sul sedile posteriore; su quello in mezzo trovò un fagotto di cui non si era accorto prima.
 
Cambiati.
          -D
 
Quando riuscì a capire cosa conteneva, strinse le labbra e gli occhi si assottigliarono in uno sguardo infastidito. L'aveva fatto apposta. Con uno sbuffo nervoso salì in auto e richiuse con uno scatto frettoloso la portiera. Qualche minuto dopo ne uscì completamente stravolto: ai piedi aveva un paio di scarpe comode e semplici; non che fossero di cuoio lucido ma per lui erano fin troppo da fighetto rispetto agli scarponi da lavoro a cui era abituato. Le gambe erano fasciate da un paio di pantaloni scuri che - doveva ammetterlo - almeno gli mettevano in risalto il sedere. Il tutto si completava di maglietta bianca a maniche corte e giubbotto di jeans con il pelo. Sembrava un poliziotto conciato così, si sentiva la maledettissima brutta copia del vicecapitano della centrale, quel Rick.
 
Ritornò al posto del guidatore e si immise nel traffico, che non abbandonava mai il centro di Atlanta, per andare verso il luogo d'incontro; dopo circa una decina di minuti arrivò davanti a un bar pasticceria. Doveva essere uno scherzo. Parcheggiò, scese dall'auto assicurandosi di averla chiusa e poi entrò.
 
Nel locale riscaldato dal tepore dei caloriferi c'erano solo un paio di coppiette e un trio di amici, oltre a suo fratello che lo aspettava in un angolo isolato, rivolto verso l'ingresso; probabilmente si era messo lì per vederlo non appena sarebbe entrato. Infatti, quando il campanello suonò, Daryl alzò la testa e gli fece un cenno a metà tra un invito e un saluto.
 
“Fratellino!” disse Merle sedendosi di fronte a lui.
 
“Si può sapere dov'eri finito?” gli chiese quello con un tono che non ammetteva repliche.
 
“Tempo al tempo...” rispose, non smettendo di sorridere. “Ma dove cazzo mi hai portato?” gli domandò gettando uno sguardo attorno al locale. “Che dici, posso considerarmi anche la tua ragazza?” si indicò i vestiti.
 
“Cosa c'è che non va?” ribatté l'altro annoiato.
 
“Nemmeno nostra madre mi avrebbe vestito così, e lei aveva davvero dei gusti di merda.”
 
“Smettila, mi conoscono qui.” mormorò Daryl a bassa voce.
 
“Hai paura che ti rovini la reputazione?” ammiccò.
 
“No, ma siamo- ... puoi evitare di dare nell'occhio?” domandò innervosito.
 
“Contaci.” Merle gli strizzò l'occhio; suo fratello stava già per replicare, ma fu interrotto dall'arrivo della cameriera.
 
“Buonasera, cosa vi porto signori?” chiese gentilmente, tutta strizzata in un vestitino bianco e rosa.
 
“Un caffè.” rispose Daryl.
 
“E per lei?” domandò la ragazza, voltandosi verso di lui.
 
“Mmm... vediamo.” disse con una vocina acuta e costruita. Prese il menù tra le mani e dopo aver stretto la bocca in una smorfia, aveva picchiettato il mento con il dito indice. “Per me un muffin, tesoro. E un latte macchiato tiepido, senza schiuma e con poco caffè. Tiepido eh, non freddo.*1” per tutto il tempo aveva parlato con la testa leggermente inclinata, un sorriso zuccheroso e un atteggiamento che lo faceva sembrare la caricatura di una donnicciola.
 
“Va bene, torno subito.” si congedò la cameriera, prendendo i menù e allontanandosi dal tavolo.
 
Quando Merle si girò di nuovo verso Daryl, lo trovò che l'osservava con le braccia incrociate al petto e un sopracciglio sollevato. Quanto si divertiva a innervosirlo.
 
“Che c'è?” gli chiese, come se fosse sorpreso da quello sguardo.
 
“Raccontami quello che ti ha detto.” rispose, tralasciando il suo comportamento.
 
“Cosa?” domandò, fingendo di non capire.
 
“Raccontami tutto quello che ti ha detto.” precisò.
 
“Vediamo...”
 
 
 
Dopo aver finito a sua volta il caffè, la ragazzina aveva cominciato a raccontare.
 
“Sono uscita dalla centrale di polizia in tarda mattinata e mi sono allontanata a piedi, non seguendo una via precisa. Alla fine mi sono ritrovata vicino al parco a nord-ovest della città, mi sono fermata su una delle panchine che punteggiano il viale e sono rimasta lì da sola per circa un'ora. Poi un ragazzo si è avvicinato a me e mi si è seduto accanto; l'ho riconosciuto subito e dopo essermi presentata con un nome falso - Daisy, appunto - abbiamo cominciato a  chiacchierare.” aveva detto, chiaramente tentando di riordinare i pensieri in modo da essere il più fedele possibile ai fatti.
 
“Mi ha chiesto se mi fossi persa, perché gli sembrava strano che qualcuno si fosse fermato in un posto così insolito; normalmente su quelle panchine stanno solo le vecchiette durante le loro passeggiate e mai con quel tempo. Gli ho risposto che avevo solo voglia di uscire di casa e che ho perso la cognizione del tempo. Poi gli ho domandato cosa ci facesse lui da quelle parti e mi ha detto che stava per tornare al lavoro. Non so se fosse la verità o meno, ma mi è sembrato sincero.” aggiunse sicura.
 
“Ad un certo punto è salita una folata di vento e dato che avevo dimenticato il cappotto mi ha fatta rabbrividire; allora lui si è tolto il giubbotto e mi ha dato la sua felpa. Ha detto che non si sarebbe perdonato di far ammalare una bella ragazza. La situazione stava diventando un po' imbarazzante, e probabilmente a quel punto doveva tornare davvero a  lavorare. Mi ha chiesto se non volessi un passaggio a casa e gli ho risposto che non ce n'era bisogno, anche perché dovevo vedermi con una mia amica - sperando che non mi desse buca anche quella volta. Mi ha risposto con un sorrisino che lui non dà mai buca a nessuno, e sicuramente non la darebbe a me. Così ho colto l'occasione e con la scusa di restituirgli la felpa ci siamo dati appuntamento per domani mattina da Starbucks per colazione. Per il resto... nient'altro, mi sembra di non aver dimenticato nulla: ci siamo salutati, lui è andato da una parte e io dall'altra.” aveva concluso con un'alzata di spalle imbarazzata.
 
 
 
“È tutto, non so altro.” concluse Merle, guardando suo fratello. Daryl aveva gli occhi fissi su un punto di fronte a sé non meglio specificato; le altre persone avrebbero potuto pensare che lo stesse osservando, ma in realtà aveva lo sguardo perso nel vuoto. Le spalle erano contratte in una postura rigida, i muscoli tesi sotto la maglia, una mano era chiusa a pugno e le dita dell'altra erano strette con forza attorno alla tazzina ormai vuota.
 
Adesso ne era sicuro.
 
“Sei cotto di questa ragazza..!*2” mormorò con un sorriso incredulo, appoggiandosi allo schienale della sedia.
 
Daryl si riscosse dai suoi pensieri, alzò di scatto il suo sguardo su Merle e dopo aver allontanato in malo modo la tazzina, aveva ripreso la sua solita espressione impassibile. “Non dire stronzate.”
 
“Ti piace davvero!” rise, guardandolo soddisfatto “E bravo fratellino! Be, sappi che approvo; finalmente tiri fuori anche tu il gene Dixon...”
 
“Non vedevo l'ora.” borbottò sarcastico.
 
“...e poi ho sempre avuto un debole per le bionde.” gli strizzò l'occhio, complice. In tutta risposta, l'altro rimase con lo sguardo basso, pur cominciando a tamburellare le dita sul tavolo in un gesto nervoso. “Ha anche un bel culo.” lo stuzzicò dopo qualche istante di silenzio.
 
“Basta.” Daryl si alzò di scatto, andò a grandi passi verso la cassa e si fece dare il conto; pagò per entrambi e si diresse verso l'uscita senza nemmeno guardarsi alle spalle. Merle lo seguì con un sorrisino divertito in volto. In trent'anni era la prima volta che vedeva suo fratello così, ma non ci voleva un mostro d'ingegno per capire che quella situazione lo imbarazzava. Quanto si sarebbe divertito.
 
Entrambi salirono ognuno sulla propria auto e si diressero verso casa di Daryl.
 
“Cosa ci fai qui?” chiese quest'ultimo quando vide che Merle lo aveva seguito.
 
“Non vorrai abbandonarmi!” rispose fingendosi offeso.
 
“Ma non ce l'hai una casa?” ribatté allora il minore dei Dixon.
 
“Sì! ...Be, no.” di fronte allo sguardo dubbioso dell'altro, sbuffò e precisò. “Tecnicamente sì, ma praticamente ho litigato con Shila e dato che l'appartamento è suo non posso mica buttarla fuori! Quella è matta, se mi vede in casa sua chiama la polizia!”
 
“Chissà come mai.” rispose.
 
“Dai, posso stare da te? Solo un paio di notti! Nel frattempo mi cerco un altro posto, davvero.” disse facendosi la croce sul cuore con il pollice.
 
Daryl sollevò gli occhi al cielo e scuotendo la testa entrò in casa, lasciando però la porta aperta; Merle lo prese come un assenso e con un sorriso soddisfatto lo seguì a sua volta.
 
§§§
 
Quella mattina Beth si svegliò presto e fece una doccia calda. Non voleva essere troppo elegante per una colazione, anche per non dare un'idea sbagliata di sé a quel ragazzo, ma le piaceva sentirsi in ordine, le dava la sensazione di poter controllare meglio le cose.
 
Per fortuna lei e Kelly avevano quasi la stessa taglia quindi si fece prestare un paio di jeans panna a vita alta e un maglioncino rosa antico. L'unico problema era sorto per l'intimo: avevano trovato subito un paio di slip, ma in quanto al reggiseno non se ne parlava proprio. La sua migliore amica aveva una fiera quarta di seno - che era sempre stata la sua invidia - e probabilmente da un suo reggipetto Beth avrebbe potuto ricavarne tre per sé, così aveva dovuto indossare quello del giorno prima. Asciugò i capelli e li raccolse in una coda alta e spettinata. Giusto un filo di mascara ed era pronta per uscire.
 
Non si era ricordata di non poter usare la sua auto, anche perché le chiavi erano rimaste nel cappotto appeso al manichino dell'ufficio di Rick - motivo per cui ora indossava un giubbottino scovato nel fondo dell'armadio di Kelly - finché non uscì di casa e, tastando una delle tasche, la trovò vuota.
 
Prese il cellulare che le avevano portato la sera prima e digitò il numero del servizio taxi cittadino. Dopo una decina di minuti la macchina bianca, con la caratteristica scritta luminosa sul tettuccio, arrivò sotto casa e si fece portare da Starbucks. A quell'ora il locale non era molto affollato; erano le dieci del mattino e la maggior parte delle persone - che fossero lavoratori o studenti - erano già andati ai loro doveri. Aveva scelto quell'orario anche perché così era sicura che in centrale ci sarebbero stati tutti senza bisogno di fare i salti mortali, primo fra tutti Rick.
 
Nonostante la disavventura con l'automobile ritardò solo di un paio di minuti, ma comunque Nico era già lì che l'aspettava seduto a uno dei tavolini davanti all'entrata. Quando la vide si alzò e aspettò che lo raggiungesse.
 
“Ciao, Daisy.” la salutò, dandole un bacio sulla guancia e porgendole un garofano giallo.
 
“Grazie, aspetti da molto?” chiese con la stessa voce zuccherosa con cui gli aveva parlato il giorno prima.
 
“No, sono appena arrivato. Entriamo?” sorrise lui di rimando.
 
“Certo.” rispose con gli occhi dolci.
 
Si sedettero ad un tavolo e dopo che decisero cosa prendere, lui si alzò e andò al bancone per ordinare. Non le sembrava un cattivo ragazzo; era pronto alla battuta, simpatico e gentile. La ascoltava mentre parlava e si era rivelato essere anche un gentiluomo quando prima le aveva aperto la porta o ora mentre aspettava che i barman gli servissero la colazione sul vassoio.
 
Prese il telefono dalla tasca e con aria annoiata scrisse un messaggio:
 
A: Shawn.
Siamo appena entrati al bar. Vi faccio sapere.
 
Finse di guardare altro sul cellulare e poi, quando Nico tornò al tavolo, si mostrò sorpresa di vederlo e posò il telefono.
 
“A chi scrivevi?” chiese lui mentre le posava di fronte il suo latte e la brioche.
 
“A mio fratello; abita qui vicino ma non ci vediamo spesso a causa del lavoro...” mormorò un po' dispiaciuta “E se non gli scrivo io non si fa sentire mai! Devo sempre prenderlo per i capelli!” sorrise, alleggerendo l'atmosfera. “E tu? Hai fratelli?” domandò incuriosita.
 
“Per forza! Tutti e quattro i miei nonni vengono dall'Italia, ho quattro zii da parte di mia madre e sette da parte di mio padre; era praticamente destino!” rise, scuotendo la testa  “Sì, ho un fratello e due sorelle, ma io sono il più grande.”
 
“Io sono la più piccola invece.” gli strizzò l'occhio.
 
“Ah, la principessina di casa quindi!” scherzò lui.
 
“Me lo dicevano tutti.” annuì lei di rimando. “Adoro i fiori e - anche se non sono molto da principessa - amo le orchidee. Quando avevo sette anni poi, ho chiesto un pony per Natale ma non potevamo permettercelo, così mi regalarono un cavalluccio a dondolo. Ero contentissima, me ne prendevo cura come se fosse vero. Un paio d'anni dopo hanno organizzato la festa per il mio compleanno in un maneggio; lo ricordo come uno dei giorni più belli della mia vita.” sorrise nostalgica.
 
Non che niente di tutto quello fosse vero; i cavalli in fattoria c'erano sempre stati, anche prima che lei nascesse e l'unico cavalluccio a dondolo che avesse mai visto in vita sua era un vecchio giocattolo di sua madre, che tenevano come oggetto d'arredamento. Le dispiaceva mentire, ma non poteva raccontargli cose di Beth; d'altra parte doveva trovare un modo per farlo rilassare e scoprire qualcosa su di lui.
 
“Ma non parliamo solo di me, tu che mi dici?” sorrise dolcemente.
 
“Vediamo...” ci pensò lui “Sai già che vengo da una famiglia numerosa; sono allergico allo sciroppo d'acero, anche se solo il profumo mi fa venire l'acquolina in bocca, e lavoro in un negozio di fiori.” snocciolò “Non so che altro potrei dire.” sorrise imbarazzato.
 
“Come inizio non è male.” approvò lei. Ormai avevano finito la colazione già da un paio di minuti, così si fece coraggio e chiese: “Per caso devi andare a lavorare?”
 
Nico guardò l'orologio e rispose: “Tra una mezz'ora, perché?” domandò.
 
“Se vuoi possiamo fare una passeggiata; anzi, magari ti accompagno!” gli propose sorridendo. Non era abituata a vedersi in quelle vesti, proprio lei che di esperienze con l'altro sesso ne aveva avute poche e niente.
 
“Certo! Se non ti dispiace camminare...” aggiunse lui.
 
“No, assolutamente.”
 
Si diressero verso il bancone e lui insistette per pagare la colazione ad entrambi; alla fine la spuntò. Passeggiarono sotto i viali alberati, percorrendo anche parte della via dove si erano conosciuti il giorno prima. Chiacchierarono del più e del meno, ridendo e scherzando mentre lei si rigirava il fiore tra le mani. Quella mattina il tempo era stato più clemente e un sole delicato illuminava la strada. Dopo circa un quarto d'ora, arrivarono di fronte al negozio.
 
“È questo?” domandò con un sorriso. Lui annuì e lei chiese, fingendo un momento di timidezza “Posso?”
 
“Certo.” le sorrise lui; tirò fuori un mazzo di chiavi da una delle tasche interne del giubbotto e dopo un paio di giri nella toppa, spalancò la porta d'ingresso. Beth entrò lentamente, osservando tutto rapita con un sorriso estasiato, mentre lui accendeva le luci. Fece correre lo sguardo ovunque, attenta a captare qualsiasi dettaglio.
 
“Guarda pure ovunque, io vado un secondo sul retro; ma non andare in magazzino, c'è troppo disordine.” disse in uno strano tono. Chissà perché questa cosa del magazzino non la convinceva nemmeno un po'.
 
Fece il giro del negozio, camminando tra i tanti vasi vuoti impilati ai piedi del bancone e i fiori freschi e colorati che davano bella mostra di sé come delle ballerine in tutù. Ad un certo punto si trovò vicino a una porta semiaperta. Stava per sporgersi in modo da vedere cosa c'era dall'altra parte quando un urlo la fece saltare per lo spavento.
 
“EHI!” la richiamò lui. Beth si voltò di scatto e si trovò a pochi passi da Nico che la guardava con uno sguardo arrabbiato. Dopo meno di un secondo, la sua espressione mutò e, tornando come prima, disse a mo di scusa “Quello è il magazzino; davvero, mi imbarazza.” il tono non era arrabbiato come poco prima, ma poteva ancora sentire una nota di tensione nella voce.
 
“Oh, scusami.” mormorò con un sorriso innocente “Stavo guardando le orchidee e non me ne sono accorta.” disse indicando i fiori che, per sua fortuna, si trovavano sulla mensola lì vicino.
 
Lui sembrò crederci e le sorrise. “Non c'è problema e scusami tu; dovrei davvero pulire lì dentro.” disse ridendo per poi cambiare discorso “Ti offro qualcosa? Un bicchiere di succo, del the freddo, un'aranciata...” le domandò gentilmente.
 
“Un'aranciata, grazie.” gli sorrise lei “E, ehm... posso usare il bagno?”
 
“Sì, ti accompagno.” la guidò nel retro, lasciando indugiare una mano sulla sua schiena e guidandola fino a una porta, nascosta dietro a una pianta piuttosto rigogliosa. “Fa con comodo, io vado a prendere da bere.”
 
“Grazie.” gli sorrise e quando si richiuse la porta alle spalle, lo sentì andarsene. Si sedette sulla tazza e tirò un sospiro di sollievo, tentando di recuperare la calma. La reazione di Nico l'aveva un po' spaventata; era subito tornato il ragazzo dolce e gentile che aveva conosciuto il giorno prima, ma il modo in cui l'aveva apostrofata con quell' “Ehi” l'aveva sorpresa. Doveva ricordarsi il motivo per il quale si trovava lì, e doveva aguzzare tutti i sensi per trovare qualcosa.
 
A: Shawn
Siamo da lui; quando mi sono avvicinata al magazzino-
 
Interruppe il messaggio a metà perché, mentre scriveva facendo scorrere velocemente i polpastrelli sullo schermo del cellulare, aveva sentito un rumore strano. Si era immobilizzata e aveva prestato ancora più attenzione a ciò che stava attorno a lei. Sembrava... uno scroscio, come il rumore di uno sciacquone. L'unico problema è che lei non aveva tirato l'acqua e anzi, aveva tutta l'aria di provenire dal piano di sotto. Rimase in silenzio ancora qualche istante, ben sapendo che comunque non avrebbe potuto trattenersi per molto, ma non sentì più nulla. Aprì il rubinetto del piccolo lavello e poi si dedicò di nuovo al cellulare. Cancellò il messaggio che aveva scritto fino a quel momento e riprese a digitare veloce.
 
A: Shawn
Controllate le piantine del palazzo e vedete se il negozio ha un piano di sotto. Chiamo io.
 
Si inumidì le mani sotto il getto di acqua fredda, giusto per far sembrare che se le fosse lavate realmente, tirò lo sciacquone e uscì.
 
Trovò Nico che l'aspettava con due bicchieri pieni di bibita gialla tra le mani. “Facciamo un brindisi?” propose.
 
“A cosa?” chiese incuriosita, stringendo la spremuta tra le mani ancora umide.
 
“Direi... ai nuovi incontri.” sorrise guardandola dritta negli occhi.
 
Avvicinarono i bicchieri finché non si sfiorarono.
 
“Sei stato troppo gentile.” disse lei, dopo aver bevuto un secondo sorso. “Mi hai offerto la colazione, mi hai portata in questo negozio pieno di fiori bellissimi e ora anche il succo. Ah, non dimentichiamoci il garofano.” aggiunse. Lui rimase a guardarla con un sorriso incerto sulle labbra e poi scosse la testa, non capendo cosa intendesse. “Perciò stavo pensando: se non hai nulla in contrario, domattina potrei portarti la colazione per ricambiare. E potremmo mangiarla qui, così non saresti costretto ad aprire dopo a causa mia.” disse sicura di sé.
 
“Credo sia un'ottima idea.” annuì.
 
§§§
 
Quando alle nove in punto Rick era entrato in ufficio, aveva trovato Daryl accomodato al suo solito posto, con tutta l'aria di essere lì già da un po'. Senza dire nulla appese il giubbotto e si sedette di fronte a lui. Per una volta tanto la scrivania era miracolosamente sgombra e ordinata; sospettava che Juliet c'entrasse con tutto ciò. Proprio a metà tra di loro c'era il cellulare di Daryl, l'unico numero che avevano inserito nella rubrica di quello di Beth.
 
“Novità?” chiese l'agente dopo essersi seduto al suo posto. L'altro si limitò a scuotere lentamente la testa, senza togliere gli occhi dal telefono, restando con i gomiti puntellati sui braccioli della sedia e il mento posato sui pugni chiusi.
 
“Cosa ti ha detto Merle ieri sera?” tentò di nuovo, ma venne ignorato. “Daryl?” lo richiamò. Il diretto interessato non disse nulla nemmeno a quel punto, accennando solo un movimento con le spalle.
 
“Daryl, potresti rispondere? Il fatto che noi due parliamo, non le impedirà di chiamare o mandare messaggi.” alzò la voce Rick leggermente alterato. Sapeva che il suo migliore amico stava morendo di preoccupazione, anche se non voleva darlo a vedere, ma non poteva rinchiudersi nel mutismo!
 
“Si sono visti tra Ollie e Lena Street, vicino a Washington Park. Hanno parlato, lui le ha prestato la felpa perché non aveva il giubbotto, e con la scusa di riportargliela stamattina vanno a fare colazione insieme.” snocciolò rapidamente, senza perdere di vista il cellulare. Anche se non aveva specificato il soggetto, era scontato a chi si riferisse.
 
Rick annuì pensieroso. “Altro?” chiese dopo un paio di minuti passati in silenzio. Daryl scosse di nuovo il capo, degnandolo di un briciolo d'attenzione. L'agente rimase fisso a guardare l'uomo di fronte a sé e quando non poté più trattenersi, lasciò andare uno sbuffo annoiato e si alzò dalla poltrona.
 
“Vado a prendere un caffè.” disse, piuttosto sicuro che comunque l'altro l'avrebbe a mala pena sentito.
 
Attraversò la strada e andò nella tavola calda lì di fronte per ordinare un caffelatte e un caffè amaro; cinque minuti dopo uscì con due bicchieri alti colmi di liquido fumante. Al bancone c'era solo Juliet; un paio di agenti erano tornati di turno, ma la maggior parte era a casa ammalata.
 
“Buongiorno.” la salutò.
 
“Buongiorno Rick, tutto bene?” domandò gentile, sollevando lo sguardo dal computer con un sorriso.
 
“Speriamo di sì ma chi può dirlo, la giornata è appena cominciata.” rispose semplicemente.
 
“Beth come sta?” Da quando il giorno prima aveva scoperto che la ragazza era corsa via dalla centrale per un problema personale piuttosto importante (così le avevano detto), si era dispiaciuta di averle urlato dietro e aveva chiesto di lei almeno una volta ogni paio d'ore.
 
“Stiamo aspettando sue notizie; dovrebbe mettersi in contatto con noi da un momento all'altro.”
 
“Se ci sono novità fammi sapere.” chiuse la conversazione, tornando a battere velocemente le dita sulla tastiera.
 
Dopo la sfuriata del giorno prima aveva quasi ammazzato Jesus quando le aveva offerto uno spinello, asserendo che lei era calmissima e che, piuttosto, gli agenti dovevano rivedere le loro priorità. Quando il ragazzo le aveva gentilmente fatto notare che era lei a doverlo fare dato che era “una semplice centralinista”, la ragazza era andata su tutte le furie ed era tornata all'interno dell'edificio diretta verso i bagni. Pochi secondi dopo era ricomparsa nell'ingresso con uno scatolone del detersivo tra le mani e, dopo averlo posato sul bancone con rabbia, aveva cominciato a riempirlo con tutte le sue cose.
 
“Col cazzo che rimango in questo posto di merda!” gli aveva urlato.
 
“Jesus, cos'hai fatto?!” l'aveva fulminato Rick con lo sguardo.
 
“Io?” aveva chiesto con un'espressione innocente.
 
Lui ha detto che devo rivedere le mie priorità; come se non stessi mandando avanti questa baracca da più di una settimana!” rispose Juliet mentre metteva due piccole cornici nella scatola. “Mi avete stancata, me ne vado.”
 
“Come te ne vai?!” aveva chiesto allarmato il vicecapitano, guardando la ragazza ad occhi spalancati. “No Juliet, aspetta! Non puoi andartene, come facciamo?”
 
“Lo dici solo perché manca metà squadra, sennò mi avresti salutata agitando un fazzolettino bianco!” scosse la testa, aprendo un cassetto.
 
“No, davvero! Non andare, il tuo aiuto è prezioso e poi sei una delle centraliniste migliori che abbiamo avuto negli ultimi tempi! Sei anche stata eletta impiegata del mese due settimane fa!” cercò di fermarla.
 
“Certo, me lo merito!” si era girata verso di lui, indicandosi con il dito.
 
“Hai ragione, ti abbiamo data un po' per scontata e ti abbiamo sovraccaricata di mansioni. Ma ora ci siamo accorti del nostro sbaglio; dai, non andartene per una giornata storta...” aveva aggiunto Rick con voce bassa, tentando di persuaderla.
 
Lei sbuffò e incrociò le braccia al petto. “Voglio un aumento. Sono qui da tre anni e non ho mai visto un dannatissimo bonus.”
 
“Farò il possibile.” Juliet assottigliò gli occhi e dopo un sospiro lui rispose “Va bene, va bene!”
 
“E cominciate a trattarmi come una persona; non sono Anne Hathaway.” disse riferendosi al famoso film "Il diavolo veste Prada" che tanto le piaceva guardare i sabati sera invernali.
 
“Più che giusto.” concordò.
 
“Ecco cosa faremo: adesso vado di là e quando uscirò faremo finta di niente. Non parlate dell'argomento, della discussione e soprattutto non parlate della canna; mi manderebbe in bestia. D'accordo? E mettete a posto.” aveva concluso indicando lo scatolone, prima di chiudersi nel bagno.
 
In effetti erano stati talmente presi dal caso che avevano riversato su di lei tutte le responsabilità senza nemmeno rendersene conto, ed era questa la cosa peggiore. Tuttavia la loro discussione sembrava aver dato i suoi frutti: Juliet era quasi un'altra persona e il clima era molto più tranquillo e famigliare. La ragazza aveva mostrato un lato di sé che, nonostante lavorasse con loro da un po', non avevano mai visto; paradossalmente le cose andavano anche meglio di prima.
 
Quando tornò in ufficio, tutto era rimasto come quando era uscito: Daryl era sulla sedia, con lo sguardo immobile sul cellulare che non dava segni di vita. Posò il suo bicchiere di caffè accanto a lui e si sedette di nuovo.
 
“Ancora niente?” chiese nonostante sapesse già la risposta. Come prima, l'amico si limitò a scuotere la testa.
 
Erano da poco passate le dieci quando arrivò il primo messaggio. Veloce come un fulmine Daryl prese il telefono e lo sbloccò leggendo rapidamente le poche parole che la ragazza gli aveva mandato. Dopo qualche secondo lo posò di nuovo, spingendolo verso Rick che lesse a sua volta.
 
“Be, almeno sappiamo dov'è e ora... aspettiamo.” esordì il vicecapitano. L'altro lo sentì a mala pena, quelle quattro parole in croce non l'avevano tranquillizzato per nulla.
 
Quell'attesa sembrava non finire più. Rimasero in silenzio in quell'ufficio per quasi un'altra ora, bevendo il caffè che man mano si raffreddava e scambiandosi solo qualche sguardo ogni tanto, prima che arrivasse un altro messaggio. Come prima Daryl lesse il testo per poi saltare su dalla sedia come un pupazzo a molla e uscire dall'ufficio. Rick lesse a sua volta e lo seguì, portando il cellulare con sé.
 
Quando arrivò al pian terreno, Daryl era già davanti a Juliet che teneva la cornetta del telefono tra la guancia e la spalla e scarabocchiava qualcosa su un foglietto.
 
“Va bene, arriveremo quanto prima. Buona giornata, grazie.” salutò per poi attaccare. Poi alzò lo sguardo sull'uomo di fronte a lei e gli disse: “Dovete andare all'ufficio del catasto con questo codice e vi daranno ciò che vi serve.”
 
“Daryl, aspetta!” lo fermò Rick quando vide che stava già per prendere la porta. “Daryl!” Solo allora si fermò, voltandosi verso di lui.
 
“Aspetta, ci andiamo insieme.” andò di sopra nel loro ufficio per prendere i giubbotti e le chiavi dell'auto e poi tornò di sotto, dove trovò Daryl ad aspettarlo. Salirono subito in macchina, diretti verso l'ufficio del catasto. Il messaggio di Beth arrivato poco prima gli chiedeva di controllare se sotto il negozio di fiori ci fossero altri locali.
 
Quando arrivarono in quel dannato ufficio però trovarono una coda lunghissima, che nemmeno alle poste, così presero un numerino: settantotto. Gli operatori erano appena al quaranta. Rick e Daryl si scambiarono uno sguardo urgente e quando uno degli sportelli si liberò, l'agente si avvicinò subito.
 
“Agente Rick Grimes, Distretto 23. Abbiamo chiamato poco fa, ci servirebbe una consulenza piuttosto urgentemente.” disse serio rivolto all'omino che gli stava di fronte. Era un vecchietto con pochi capelli bianchi in testa e la pelle chiara che si stirava sottile sul viso e sulle mani dalle dita ossute. Non doveva pesare più di cinquanta chili, in più il maglione enorme e sformato che indossava lo faceva sembrare un bambino in fasce.
 
“Un momento.” disse e dopo aver preso il telefono digitò un paio di numeri e rimase in attesa. “Pronto?” gracchiò quando gli risposero. “Ciao sono Charlie. Ci sono qui due agenti a cui serve una consulenza. ... Un momento.” allontanò il telefono dall'orecchio e chiese rivolto ai due uomini “Vi hanno dato un codice?” Rick annuì e l'uomo tornò al telefono. “Sì. ... Sì. ... Sì, va bene. Ciao.” Riattaccò e li guardò. “Andate al quarto piano, lì potranno aiutarvi.”
 
Senza farselo ripetere entrambi si allontanarono verso l'ascensore e una volta dentro schiacciarono il pulsante con il numero quattro, che si illuminò. Dopo un paio di minuti le porte si aprirono su un atrio luminoso, in mezzo al quale stanziava un omone mastodontico: era molto alto e grasso, tutto il contrario dell'ometto allo sportello.
 
“Buongiorno agenti!” li accolse con un sorriso a trentadue denti, stringendogli vigorosamente la mano. “Piacere, Frank Evans. Ditemi tutto, in cosa posso esservi utile?” chiese con il fiato un po' corto.
 
“Ci servirebbero le piantine di questo edificio.” rispose Rick porgendogli il bigliettino su cui c'era scritto il codice.
 
L'uomo se lo rigirò tra le mani, socchiudendo gli occhietti piccoli che sembravano annegare in quel faccione e facendo una smorfia con le labbra talmente sottili da sembrare inesistenti. “Certo, seguitemi!” disse poi, recuperando il sorriso.
 
Dopo una decina di minuti tutti e tre erano attorno ad un lungo tavolo pieno di grandi fogli su cui erano disegnate la struttura e le quotature del palazzo.
 
“Vi serve qualcosa in particolare?” domandò Frank.
 
“Ehm... sì, a dir la verità. È possibile sapere se sotto il pian terreno ci sono altri locali? Magari delle cantine, un seminterrato...”
 
“Controlliamo subito.” rispose gioviale. Prese un foglio arrotolato in un tubo e lo dispiegò sulla superficie del tavolo; lo osservò attentamente per un paio di minuti e poi scosse la testa.
 
“No, non c'è nulla, solo fognature. Ma forse c'è un dettaglio che potrebbe interessarvi.” l'agente gli fece un cenno per continuare a parlare e quello riprese. “Nei primi anni del Novecento, in quei pressi sorgeva una bottega e il proprietario di allora aveva costruito un piccolo rifugio antiaereo in caso ci fosse stato un bombardamento mentre era al lavoro. Non doveva essere grande più di una ventina di metri quadri. Però qui risulta che, con la ricostruzione del palazzo, è stato chiuso.” concluse guardandoli. “Pensate vi possa essere utile?”
 
“Moltissimo signor Evans, grazie davvero. Ora ci scusi, ma dobbiamo proprio andare.” lo ringraziò Rick stringendogli la mano. Frank la porse anche all'altro uomo che, dopo averla osservata un po' sospettoso, gli batté il cinque.
 
Il viaggio di ritorno alla centrale fu silenzioso tanto quanto quello d'andata. Era mezzogiorno e mezzo quando si ritrovarono in ufficio; Daryl riposizionò il telefono nel centro della scrivania, si sedette e si rimise nella stessa posizione di prima. Rick si sedette di fronte a lui con un sospiro.
 
Dopo pochi minuti, lo schermo nero si illuminò e il telefono cominciò a squillare.
 
“È lei.” disse Rick alzando lo sguardo di scatto.
 
Daryl afferrò il cellulare e rispose. “Pronto?” mise in vivavoce.
 
“Siamo usciti ed andava tutto bene, era tranquillo. Dopo mi ha portata in negozio e mi ha detto di non andare nel magazzino; quando mi sono avvicinata ha avuto una strana reazione che poi ha cercato di mascherare senza tanto successo.” raccontò lei sintetica. Daryl strinse la mano libera in un pugno. “Quando sono andata in bagno, ho sentito il rumore di uno sciacquone provenire dal piano di sotto; per quello che vi ho chiesto di controllare. Allora? Avete saputo niente?” domandò sbrigativa.
 
Fu Rick a rispondere. “Sì, non ci sono locali lì sotto. Ma all'inizio del secolo scorso un uomo ha costruito un piccolo bunker personale. Il tizio del catasto però ci ha detto che è chiuso da anni.”
 
“No, scommetto che lì sotto c'è Chacòn. Era troppo nervoso, si è comportato in modo strano e in più avrei potuto dubitare di un rumore qualsiasi, ma lo scroscio dello sciacquone non può passare di lì per caso. Domani mattina ci vediamo di nuovo; gli porto la colazione in negozio e vedo se riesco a scoprire qualcos'altro. Voi in ogni caso tenetevi pronti.” disse velocemente.
 
“È troppo pericoloso! Abbiamo fatto questo azzardo, ora però è il momento di farsi indietro.” disse duramente Rick.
 
“Ma non ha senso mollare adesso! Ormai siamo in ballo e poi ci siamo! Lo sento, siamo vicini. Fidati di me.” ribatté con foga la ragazza.
 
Calò il silenzio per qualche secondo. “Stai attenta.” rispose lui con un sospiro.
 
Daryl tolse il vivavoce ed avvicinò il telefono all'orecchio, dopo un momento di tentennamento la chiamò. “Beth?”
 
“Devo andare.” disse lei, chiudendo la chiamata.
 
Lui si mise il telefono in tasca e si risedette con un sospiro. Era un giorno che non si vedevano; non avrebbe dato la soddisfazione di ammetterlo ma si sentiva in colpa per come le aveva urlato addosso il giorno prima. Ed era dannatamente preoccupato per lei, maledizione. Quella ragazza lo stava facendo diventare matto. Sembrava passata una vita da quando erano andati al Festival, invece era accaduto appena due giorni prima. Si era sentito così strano quella sera, e non era riuscito a chiudere occhio una volta arrivato a casa di Rick. Il giorno prima poi, era esploso come una bomba ad orologeria: la confusione, il nervoso, suo fratello e non da ultimo quella strana sensazione di disagio che gli cresceva nel petto quando la vedeva, lo avevano fatto sbroccare. Ed oggi... che casino. Lei non gli aveva nemmeno dato il tempo di spiegarsi, che aveva subito riattaccato.

“Daryl?” sentì Rick chiamarlo, e sospettava che non fosse nemmeno la prima volta. Sollevò lo sguardo su di lui e gli fece un cenno. “Andiamo a pranzo.” disse l'altro, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
 
§§§
 
Era tornato a casa controvoglia, aveva la sensazione che rimanendo in centrale avrebbe potuto fare di più; in realtà sapeva che non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Non si era fatta sentire al di fuori di quel paio di messaggi e la chiamata, ma ogni tanto si scopriva a controllare automaticamente il cellulare, senza nemmeno farci caso.
 
“Allora Darylina? Come va con la tua ragazza?” chiese Merle appena uscito dal bagno, girando per il salotto in maglietta e boxer.
 
“Non è casa tua.” lo avvisò lui.
 
“Questa è solo la seconda notte, ogni promessa è debito.” gli schiacciò l'occhio in tutta risposta.
 
“Parli proprio tu?” ribatté scettico.
 
“Ah... Quindi non si è fatta sentire?” ammiccò. Il diretto interessato non rispose, ma pochi secondi dopo, quando Merle era appena riemerso dal frigo con una birra in mano, il cellulare sul tavolino cominciò a vibrare leggermente. Si voltò verso suo fratello e ammiccò. “Oh - oh! A quanto pare invece sì.”
 
In un primo momento Daryl rimase immobile, nonostante si accorse di aver lasciato il cellulare davanti a sé proprio per tenerlo sott'occhio. Non aveva voglia di guardare che messaggio fosse arrivato; non voleva leggere un altro messaggio secco e conciso in cui lei spendeva tre parole per il lavoro.
 
“Ti lascio con la tua bella.” si congedò Merle con un sorriso ambiguo in volto, andando a passo deciso verso la camera.
 
Le parole di suo fratello lo innervosirono, ma furono anche come una doccia fredda: se avesse voluto parlare di lavoro avrebbe contattato Rick in qualche modo, e non lui; arrabbiata com'era, lo stava evitando come la peste da tutto il giorno.
 
Daryl si decise quindi ad aprire il messaggio e vide una foto: una bottiglia di birra mezza piena. Guardò l'ora: le due passate. Non riusciva a dormire! Si raddrizzò nella poltrona e fece una foto alle otto bottiglie vuote che affollavano il tavolino. Invio. Rimase per un po' a guardare lo schermo, agitato come un bambino la mattina di Natale. Era fottuto.
 
Dall'altra parte della città, Beth era sdraiata sul divano della sua migliore amica, imbacuccata nella coperta pesante, con un sorriso felice che le illuminava il volto. Aveva imparato ad amare i gesti di quell'uomo e quello era il piccolo gesto più grande che le avesse mai rivolto.




Angolo autrice:
 
*1 Tre uomini e una gamba, 1997. Giovanni.
*2 2 single a nozze, 2005. Jeremy Grey.
 
Innanzitutto mi scuso per il ritardo >.< Ma la sessione estiva si avvicina (inesorabilmente) e il tempo sembra non bastare mai! Secondo poi: vi giuro che non guardo solo film comici e The Walking Dead ma - come vi sarete ben accorti nel corso di questa storia - i film più leggeri si prestano meglio alle citazioni. D'altra parte sarebbe surreale se ad ogni minima difficoltà Rick dicesse "Perché la notte è oscura e piena di terrori." (per quanto mi piacerebbe ahahahaha) oppure se prima di una missione facesse un discorso di incoraggiamento degno di Massimo Decimo Meridio (con tanto di voce di Luca Ward)! E a proposito della storia: non ho mai dato indizi riguardo a quanto sarebbe durata (perché io stessa non lo sapevo in effetti), ma penso proprio che questo quattordicesimo capitolo sia il penultimo. Oltre al prossimo ho in testa anche l'epilogo, giusto per chiudere il cerchio e non lasciare nulla di "aperto" perché, per quanto belle siano le storie che lasciano spazio all'immaginazione, noi poveri fan di TWD abbiamo avuto abbastanza cliffhanger per una vita. Come sempre ringrazio chiunque abbia messo la storia tra le preferite/seguite/ ricordate e chi ha recensito. (Spero) a presto!
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
Quando Rick arrivò in centrale non si stupì di vedere tutta la squadra già pronta; nessuno era nel proprio ufficio ed evidentemente aspettavano solo lui dato che, non appena varcò l'ingresso, sei paia di occhi lo fissarono. C'erano tutti: Juliet era già dietro al bancone con le cuffie e il microfono appesi attorno al collo, e il monitor di tracciamento delle automobili pronto sul piano sgombero.
 
Accanto a lei c'era Maggie che aveva preso un giorno di ferie proprio per controllare che andasse tutto bene alla sua sorellina; se non fosse successo nulla, sarebbe rimasta a casa anche il giorno successivo o quello dopo ancora. Le sembrava strano non vedere da così tanto tempo la sua Beth; bene o male, anche se il lavoro le teneva occupate, a casa riuscivano sempre a scambiare qualche parola la sera.
 
Jesus e Abraham sarebbero stati la seconda squadra; per l'occasione il primo aveva anche dato prova della sua sobrietà in modo da non compromettere la missione - alleggerendo un po' l'atmosfera tesa che si era creata quella mattina. Per il resto avevano dovuto avvertire un altro distretto, chiedendogli di mettere a disposizione delle volanti in caso di bisogno. Miracolosamente, avevano accettato senza problemi. Quando la sera prima Rick le aveva parlato della missione, Michonne aveva insistito per voler partecipare e dare una mano, ma il vicecapitano era stato irremovibile e l'aveva obbligata a stare a casa per rimettersi dalla febbre. Alla fine lei aveva accettato solo a patto che lui l'avvisasse in caso di novità.
 
La squadra principale invece sarebbe stata composta da lui, ovviamente Daryl e... Glenn. Volevano dare nell'occhio il meno possibile, in modo da non essere riconoscibili da miglia di distanza grazie all'automobile e alle sirene blu e rosse, quindi la sera prima avevano chiamato il fattorino e gli avevano chiesto di portargli la macchina “aziendale”; ripensare alla scena lo faceva ancora ridere.
 
 
Erano nel parcheggio sul retro della centrale, il sole era già tramontato da un po' e il crepuscolo stava svanendo nei primi raggi della luna. Aspettavano Glenn da almeno mezz'ora e non capivano proprio perché ci mettesse tanto. Rick stava quasi per richiamarlo quando una macchina svoltò l'angolo e accostò di fronte a loro.
 
“Ehi!” li salutò il guidatore dopo aver abbassato il finestrino.
 
“Si può sapere dov'eri?” gli chiese l'agente.
 
“Be' scusate se ho un lavoro!” li rimbeccò Glenn.
 
“Mmm...” mormorò Daryl. “Qualcosa di più appariscente no? Mancano solo le luci.” berciò sarcastico osservando l'auto a pochi passi da loro; era un'utilitaria giallo senape con una scritta rossa a caratteri cubitali - “Totò Sapore”*1 - sulla portiera.
 
“Ce le ho, eh!” lo contraddisse, schiacciando un pulsante sul cruscotto. Immediatamente dei led rossi che contornavano la scritta cominciarono a lampeggiare a intermittenza, lasciando gli altri due uomini allibiti. “E non avete ancora visto niente!” aggiunse, procedendo nel parcheggio. Fece inversione in modo da mostrare l'altro lato della macchina, su cui - Rick e Daryl se ne accorsero solo quando questa si avvicinò al lampione - c'era stampata la facciona sorridente di un uomo cicciottello con i pollici in su.
 
“Noi dovremmo andare in giro con questa roba?” domandò Daryl sconcertato.
 
“Io la uso tutti i giorni! Se volete una fuoriserie, chiedete aiuto a un avvocato!” sbottò Glenn, esasperato.
 
“No, no va benissimo! Puoi prestarcela, quindi?” aveva detto l'agente, fermando ogni diatriba sul nascere.
 
 
Rick si avvicinò al bancone e dopo un saluto generale chiese: “Notizie di Beth?” Si voltò automaticamente verso Daryl, che scosse la testa. Quasi quasi si stupiva che non gli si fosse svitata dal collo e la portasse sotto braccio, dato che nell'ultimo giorno si era espresso per lo più così.
 
“Be, in ogni caso tra poco si farà sentire, quindi teniamoci pronti; forza ragazzi!” incitò la squadra, prima di andare verso il suo ufficio seguito dall'amico.
 
Si richiusero la porta alle spalle e si sedettero ai rispettivi posti; dovevano solo aspettare un segnale della ragazza per intervenire.
 
“Come stai?” Rick glielo chiese senza malizia, senza preoccupazione o senza quel tono serio pieno di sottintesi; era una semplice domanda, con la quale il suo amico gli stava chiedendo davvero come stesse; apprezzava in particolar modo questo suo aspetto. Lo guardò negli occhi per un istante infinito, sicuro che avrebbe capito, e chiuse il tutto con un'alzata di spalle.
 
“Dovrai dirglielo prima o poi.” riprese, continuando a guardarlo.
 
“Mmm...” mugugnò; nemmeno lui sapeva se fosse un sì o un no. “Pensiamo a tirarla fuori dal casino in cui si è messa. Di proposito.” sottolineò infine.
 
“Secondo me siete carini insieme.” gli sorrise Rick a quel punto; ecco, quando ci si metteva era un vero e proprio stronzo.
 
“Sì, sì come ti pare.” lo liquidò, nascondendo l'imbarazzo dietro il ciuffo di capelli lunghi, ma riuscì comunque a vedere l'altro che scuoteva la testa mentre sorrideva sotto i baffi.
 
Rimasero in silenzio; paradossalmente il clima era contemporaneamente più rilassato e più teso rispetto al giorno prima. Erano preoccupati perché forse quella sarebbe stata davvero la volta buona per chiudere quella storia, ma contemporaneamente Beth sarebbe stata in pericolo; d'altra parte però, Rick aveva notato un'espressione meno triste, rispetto al giorno prima, negli occhi dell'amico.
 
Improvvisamente, il suo cellulare iniziò a squillare; Daryl alzò di scatto lo sguardo e lo osservò impaziente. Rapido come un fulmine, il vicecapitano lo prese dalla tasca e l'osservò. Sullo schermo spiccavano tre parole che lo lasciarono paralizzato.
 
Generale H. Greene
 
Come se si fosse scottato, lasciò andare il telefono che ricadde sulla scrivania con un tonfo sordo. L'altro uomo si sporse per guardare chi stesse chiamando e dopo aver letto si ritrasse, rilassandosi nella sedia.
 
“Oh no! Io non so niente! Non ho visto niente!*2” esclamò Rick mettendosi le mani nei capelli.
 
“Dovrai farlo prima o poi.” gli fece il verso Daryl.
 
Maledizione, se non avesse risposto avrebbe potuto chiamare Maggie o, ancor peggio, la stessa Beth! E, conoscendolo, se non fosse riuscito a mettersi in contatto con nessuno, non ci avrebbe messo cinque minuti a piombare in centrale. Non poteva permetterlo, assolutamente! Intanto la suoneria andava spedita e le note incalzanti di “Action Packed”*3 rimbombavano nella stanza.
 
“Cristo! Rispondi almeno per farla smettere!” sbottò Daryl, quando a coronare il tutto si aggiunse anche il coro. Odiava quella canzone; prima di lavorare in centrale, non l'aveva mai sentita in vita sua. E ne avrebbe fatto volentieri a meno anche dopo: erano due mesi che ogni volta che chiamavano il vicecapitano, la voce squillante di Ronnie Dawson gli perforava i timpani.
 
Rick lo osservò poi chiuse gli occhi, inspirò profondamente, aiutandosi con le mani per scandire il ritmo del respiro e, afferrato il cellulare come se fosse una sorta di mostro, rispose.
 
“Pronto?” disse in tono neutro e controllato, cercando di risultare il più naturale possibile.
 
“Rick, ragazzo! Come stai? Pensavo non rispondessi più!” lo salutò Hershel.
 
“Sì, ho fatto appena in tempo; avevo lasciato il telefono in ufficio.” si giustificò.
 
“C'è Beth?” domandò l'uomo dall'altra parte del telefono. Oddio, sapeva che rispondere era una pessima idea! Quell'uomo doveva aver venduto l'anima al diavolo in cambio dell'onniscienza! Eppure era stato attento a non far trapelare nulla! Calma; finché non l'avrebbe dichiarato colpevole doveva negare: negare fino alla morte. E come gli avevano insegnato in Accademia, se anche l'avesse scoperto, piuttosto che cedere al nemico, meglio l'autodistruzione.
 
“È in bagno, signore.” rispose tentando di non far trapelare la sua agitazione.
 
“Oh bene, così possiamo parlare tranquillamente. Allora, come sta andando lo stage?” chiese in tono pratico.
 
“Benissimo!” disse Rick sollevato, con un po' troppa enfasi. Infatti proseguì subito. “È davvero molto brava.” confermò con tono serio e deciso. “Quando io non ci sono sta spesso con Juliet, la centralinista, o con Paul..a, l'addetta all'archivio.” inventò di sana pianta.
 
“Bene, bene. E non sa niente del nostro piccolo accordo, vero?” indagò.
 
“Assolutamente. Sta...” lasciò la frase in sospeso, indeciso su che parole usare. “Sta decisamente entrando nel mondo della polizia a piccoli passi.” mentì, forzando un sorriso falso per essere più convincente.
 
“Un giorno diventerà una grande agente.” concordò con orgoglio il padre della ragazza. Il vicecapitano trattenne a stento un mugolio nervoso e si limitò a mormorare qualcosa in assenso. “Bene, ora devo andare. Mi raccomando, tieni d'occhio la mia bambina: la affido a te.”
 
Rick avrebbe giurato di poter sentire la presenza della spada di Damocle oscillare sulla sua testa; se quell'uomo avesse saputo...
 
“Certo, non si preoccupi.” lo salutò e poi, finalmente, finì la chiamata. Lasciò il cellulare sulla scrivania, appoggiò la schiena sulla poltrona e liberò il sospiro che non si era accorto di trattenere.
 
“Allora?” domandò Daryl dopo qualche istante. Quella telefonata gli aveva quasi fatto dimenticare il motivo per il quale si trovava lì: non aveva mai visto l'amico così tanto in difficoltà e, inutile dirlo, quel siparietto l'aveva divertito.
 
“Tuo suocero è un maledetto cane da tartufo: quell'uomo fiuta il momento peggiore in cui farsi sentire.” rispose sconcertato l'altro, scuotendo la testa.
 
Daryl nascose un sorriso e poi rimasero in silenzio. Dopo una mezz'ora, il suo cellulare vibrò.
 
Da: Beth
Sono appena arrivata in negozio. State pronti, vi faccio sapere appena posso.
 
§§§
 
Quella mattina, come la precedente, Beth si era svegliata per tempo in modo da prepararsi, e si era premurata di chiamare un taxi che la accompagnasse prima in pasticceria e poi da Nico. Per l'occasione aveva rubato a Kelly un paio di jeans neri a vita alta, una maglia svasata giallo chiaro e un golfino in tinta ma di tonalità più intensa. Proprio in quel momento l'auto aveva accostato di fronte all'entrata del negozio di fiori. Pagò il tassista ed entrò.
 
“Permesso?” si annunciò, guardandosi attorno mentre cercava la sagoma del ragazzo. Nessuno le rispose. Posò i due caffè e la busta sul bancone, poi mandò il solito messaggio a Daryl e Rick in cui li avvisava di essere arrivata, e cominciò a girare per il negozio chiamando il ragazzo.
 
“Nico?” ormai lo chiamava già da un paio di minuti e lui non sembrava esserci. Lanciò un'occhiata alla porta del magazzino che aveva visto il giorno prima e notò che era socchiusa. Doveva buttarsi; magari non avrebbe trovato nulla o magari sì. Non l'avrebbe mai saputo se non si fosse data una mossa. Si fece coraggio e velocemente, ma con cautela, si avvicinò. Si guardò intorno e sbirciò; nello spiraglio tra lo stipite e la porta poteva vedere solo uno stanzino buio, rischiarato leggermente dalla luce delle lampadine sopra di lei. Nel piccolo stanzino c'era un tavolo che sembrava apparecchiato; sopra c'erano un piattino, una tazza, un bicchiere alto da succo e delle posate. Due pancake erano avanzati nel piatto più grande e accanto c'era una bottiglia. Aguzzò lo sguardo e non ebbe dubbi. Non poteva essere...
 
Proprio mentre stava per fare un passo avanti, un rumore alle sue spalle la fece trasalire e ritornò velocemente di fronte al bancone d'entrata, fingendo di essere appena arrivata. Pochi secondi dopo sentì la voce del ragazzo dire qualcosa e richiudersi la porta sul retro alle spalle.
 
“Nico?” lo chiamò sicura che a quel punto l'avrebbe sentita. Intanto, ora che lui non poteva vederla, scrisse velocemente un breve messaggio. Avrebbe aspettato ad inviarlo solo quando fosse stata sicura della sua intuizione.
 
A: Shawn.
Sono sicura, è qui.
 
“Daisy, arrivo subito!” le rispose Nico da qualche metro di distanza. Appena questo comparve nella sua visuale, lei non lo mollò un attimo, osservando attentamente ogni sua mossa. Mentre andava verso di lei era passato vicino alla porta del magazzino e con nonchalance l'aveva chiusa con un piccolo calcio. “Scusami, sei arrivata da tanto?”
 
“No, sono appena entrata, tranquillo.” gli sorrise dolcemente, dandogli un bacio sulla guancia.
 
“È passato un fornitore e ho dovuto aiutarlo a scaricare; lavora sempre da solo.” si giustificò lui.
 
“Non c'è problema, ho immaginato.” disse comprensiva “Facciamo colazione?” chiese indicando i due caffè e il pacchettino posati sul bancone.
 
“Certo!” rispose entusiasta, per poi andare a liberare una sedia per lei.
 
“Ecco qui.” disse Beth mentre tirava fuori tre piccoli pancake da una scatolina di plastica. “Ho preso le stesse cose di ieri, per andare sul sicuro.” proseguì tranquilla, mentre metteva 'in tavola' le ultime cose e si sedeva al suo posto. “Ho anche espressamente chiesto alla cameriera se ci fosse traccia di sciroppo d'acero ma mi ha assicurato di no, quindi... buon appetito.” gli sorrise, guardandolo negli occhi.
 
“Grazie mille, sei stata molto dolce a preoccuparti; in effetti, se lo mangiassi la faccia mi si gonfierebbe come un melone!” le rispose, ridendo.
 
Lei sorrise a sua volta, ma dentro di sé esultò; aveva ragione! Non poteva esserci solo lui lì, altrimenti non avrebbe potuto spiegare la presenza degli avanzi della colazione sul tavolo del magazzino e soprattutto quella che inequivocabilmente era una bottiglia di sciroppo d'acero ancora mezza piena. Scommetteva che non era di Nico, ma di Chacòn, anche perché glielo aveva appena confermato: se l'avesse ingerito avrebbe avuto una forte reazione allergica. E si fidava di quello che le aveva detto, non aveva senso mentire su una cosa tanto banale.
 
Sbloccò il cellulare e rapidamente premette il tasto “Invio” prima di bloccarlo di nuovo e posarlo accanto a sé sul bancone. Chiacchierarono per qualche minuto quando la suoneria del cellulare di Beth risuonò nel negozio.
 
“Non rispondi?” le domandò lui curioso.
 
“Non mi sembra il caso dato che sono qui con te.” rispose titubante.
 
“Per me non c'è problema, fai pure.” le sorrise.
 
“Forse dovrei... insomma, Shawn non mi chiama quasi mai...” finse un'espressione preoccupata e si alzò dallo sgabello; si allontanò di pochi passi e poi rispose.
 
“Pronto Shawn, tutto bene?” chiese.
 
“Rispondi solo sì o no a quello che ti chiederò ora.” la voce familiare di Rick le entrò nell'orecchio e, per un momento, avvertì come un nodo allo stomaco. Sentiva la mancanza di tutti loro.
 
“Non mi disturbi, dimmi: che è successo?” domandò di nuovo.
 
“Sei sicura che lui sia lì?” mormorò l'uomo dall'altra parte.
 
“Sì. Mi aveva detto che non era in forma.” aggiunse giusto per non far insospettire il ragazzo a qualche metro da lei che la osservava con interesse.
 
“È solo una sensazione?” indagò di nuovo.
 
“No, no; all'epoca il veterinario aveva detto di non aver trovato nulla in particolare.” scosse la testa, con espressione concentrata.
 
“Ne hai le prove?”
 
“Certo. Immagino...” sussurrò dispiaciuta.
 
“D'accordo, noi arriviamo entro dieci minuti. Pensi di riuscire a trattenerlo?” chiese con urgenza.
 
“Sì, se ci sono novità fammi sapere.” Rick chiuse la chiamata in quel momento, ma lei finse il contrario. “Va bene, ciao.” concluse dopo una pausa.
 
Quando ritornò al bancone si sedette di nuovo sullo sgabello di legno e con un sospiro posò il cellulare vicino al bicchiere di caffè.
 
“Tutto bene?” domandò Nico con cautela.
 
“Sì... insomma.” scosse la testa. “Era mio fratello; Otto, il cane di mia madre, sta morendo. La vecchiaia, sai.” precisò. “Era inevitabile, ha compiuto tredici anni il mese scorso, ma lei ci soffre perché è l'unico ricordo che le rimane di mio padre. Da quando è venuto a mancare, si dedica anima e corpo alla salute di quel cagnolino. Era stato lui a regalarglielo, ne aveva voluto uno sin da quando era piccola.” raccontò con dolcezza, cercando di non pensare a quale sarebbe stata la reazione di Hershel se avesse mai dovuto sentire quella storiella.
 
“Mi dispiace... vuoi andare?” domandò comprensivo.
 
“Ma no, là non sarei d'aiuto e se anche tardassi di cinque minuti non cambierebbe molto. Ormai siamo qui, quindi finiamo la colazione; non mi sembrerebbe giusto lasciarti qui così.” disse convinta.
 
Nico accettò, facendole comunque capire che non ci sarebbe rimasto male in caso avesse voluto raggiungere la madre. Beth sospirò ed osservò l'orologio appeso alla parete. Dieci minuti. Doveva resistere dieci minuti.
 
§§§
 
“Forza, è il momento! Dobbiamo andare!” Rick stava correndo giù dalle scale, seguito dai colleghi che man mano lo sentivano urlare per la centrale. Affianco a lui poteva vedere Daryl con la coda dell'occhio, che si stava precipitando al piano di sotto con la sua stessa urgenza.
 
Arrivati di fronte al bancone aveva detto a Juliet di avvisare l'altra centrale; subito la ragazza aveva indossato le cuffie col microfono e, dando le spalle ai colleghi, aveva digitato velocemente il numero al telefono. Fortunatamente il Distretto 15 si trovava quasi a metà strada tra il Distretto 23 e il negozio di fiori quindi le squadre di supporto li avrebbero aspettati all'incrocio poco distante e non appena li avessero visti passare, li avrebbero seguiti.
 
Maggie intanto, che era rimasta accanto a lei cercando di tranquillizzarsi, aveva spalancato gli occhi velati dal timore non appena aveva sentito il trambusto provenire dalle scale. Aveva fatto un cenno risoluto alla centralinista - non sapeva se volto a rassicurare la ragazza o sé stessa - e poi era corsa nel parcheggio sul retro, insieme agli altri agenti.
 
Era visibilmente tesa e il fatto che, in quanto medico, non avrebbe potuto partecipare all'operazione la faceva sentire anche peggio. Giusto pochi minuti prima si era confidata con Juliet, ammettendo quanto fosse frustrante essere lasciata indietro e non poter aiutare attivamente; si sentiva terribilmente impotente. Si riscosse allontanando i brutti pensieri,  cercando di riporre fiducia - come sempre - nei colleghi che conosceva quasi da quando aveva cominciato a lavorare.
 
Si stavano preparando a partire: dalla cima della piccola scala che collegava la porta di servizio al parcheggio, vedeva tutti come un generale che prepara le sue truppe alla battaglia. Daryl era saltato sulla macchina gialla di Glenn, posizionandosi al posto del guidatore senza chiedere niente a nessuno; non che qualcuno si sarebbe azzardato a dirgli qualcosa. Anche se la maggior parte delle persone non sapeva il motivo, quel giorno il consulente del Distretto 23 emanava una sorta di aura che trasudava negatività e forza. Il fattorino, nonché proprietario del mezzo, era salito velocemente posizionandosi sui sedili posteriori, mentre Rick coordinava le ultime cose, rivolgendosi a gran voce alle altre due volanti davanti a sé. Infine annuì rivolto alla sua squadra, per poi voltar loro le spalle. Prima che il vicecapitano se ne andasse, Maggie gli aveva lanciato uno sguardo che poteva significare una cosa sola: riportala qui sana e salva. Lui le rispose velocemente facendole un cenno col capo, per poi salire sull'utilitaria color senape.
 
Rick aveva avuto a mala pena il tempo di sedersi e chiudere la portiera, che Daryl era partito sgommando. Poteva percepire chiaramente la tensione e il nervoso dell'uomo al volante: le mani erano strette attorno allo sterzo e si muovevano con gesti nervosi, nonostante la guida - miracolosamente - non ne risentisse. I suoi occhi non mollavano mai la strada e la fronte era corrugata in un cipiglio concentrato; era un fascio di nervi in quel momento.
 
Dietro di loro, nel sedile che normalmente avrebbe occupato Beth, c'era Glenn. In quanto proprietario dell'auto aveva insistito per seguirli e, nel caso le cose si fossero messe male, avrebbe potuto garantire loro la copertura. Sperava solo che non ce ne fosse bisogno.
 
Rick aveva concordato con Abraham e Jesus che le squadre 1 e 2 avrebbero preso un'altra strada in modo da bloccare l'entrata principale ed intrappolare eventuali fuggitivi, mentre lui, Daryl e Glenn avrebbero imboccato la via che li avrebbe portati sul retro del negozio. Pochi secondi dopo infatti, Rick vide le due volanti alle loro spalle svoltare a sinistra mentre Daryl, con la stessa urgenza che l'aveva contraddistinto fino a quel momento, aveva sterzato verso destra.
 
Ma appena qualche secondo più tardi fu costretto a frenare bruscamente, facendo stridere i freni e strisciare le ruote sull'asfalto. Probabilmente, se non fosse stato per lui, in quel momento si sarebbero ritrovati spiaccicati sul rimorchio del camion che Rick non aveva notato fino all'ultimo. Il contraccolpo lo aveva portato avanti di scatto per poi farlo ricadere nel sedile una paio di secondi dopo e, una volta ripresosi, aveva allungato il collo fuori dal finestrino per vedere quanto si estendeva la coda di auto imbottigliate nel traffico dinanzi a loro: troppo. Semplicemente troppo.
 
“Cazzo!” sbottò Daryl in preda alla frustrazione, colpendo il volante con i pugni chiusi.
 
“Ehm... non potremmo accendere la sirena?” domandò cautamente Glenn, che per tutto il viaggio era rimasto vigile sul sedile, reggendosi a qualsiasi appiglio trovasse e lanciando qualche occhiata scettica all'autista.
 
“No.” rispose Rick. “Oltre al fatto che su questa macchina non l'abbiamo messa, in linea d'aria siamo troppo vicini e l'obiettivo riuscirebbe a sentirci. Dobbiamo trovare un altro modo.” mormorò guardandosi attorno in cerca di una via d'uscita.
 
Daryl era tornato a stringere le mani attorno al volante e aveva iniziato a tamburellare le dita in segno di impazienza. La situazione non accennava a migliorare e dopo aver sbuffato, sussurrò “Eccolo l'altro modo.” Senza preavviso sterzò bruscamente fino a salire sul marciapiede alla loro destra, facendo ondeggiare l'auto.
 
“Daryl!” aveva urlato Rick dalla sorpresa, afferrando per riflesso la maniglia della portiera.
 
Ma il diretto interessato non fece nemmeno una piega; aveva stretto il labbro inferiore tra i denti e, sollevandosi nel sedile per vederci meglio, aveva raddrizzato la vettura per poi cominciare ad avanzare - seppur molto più lentamente di come avrebbe voluto. Per sua fortuna, il marciapiede era piuttosto largo e riuscivano a starci quasi completamente, ma evidentemente doveva aver calcolato male le misure dato che, pochi secondi dopo, lo specchietto di destra cozzò contro il muro e, dopo aver inequivocabilmente strisciato sulla superficie ruvida producendo un rumore acuto e fastidioso, si staccò di netto.
 
“Oddio, è saltato!” esclamò Glenn in panico. Se il suo datore di lavoro avesse visto la macchina in quel momento...
 
Si erano portati più avanti rispetto a prima, erano a poco più di cinquanta metri dal famoso incrocio da cui sarebbero partite anche le altre volanti, ma Daryl fu costretto a frenare di nuovo. Di fronte a loro una vecchina scheletrica, che doveva avere come minimo ottant'anni, gli bloccava la strada mentre cercava di raccogliere una mela che le era caduta dalla piccola borsa appesa a una delle maniglie del girello.
 
“Porca troia!” esclamò Daryl, colpendo il clacson con forza. Il suono fu piuttosto prolungato (giusto il tempo che ci volle a Rick per afferrare il braccio dell'amico e allontanarlo faticosamente), ma la vecchietta non sembrava averlo sentito minimamente.
 
“Adesso la investo.” aveva detto lapidario l'autista, cominciando ad accelerare. Rick tirò il freno a mano e la macchina si fermò con un sussulto, facendoli di nuovo sobbalzare nei sedili. “Siamo in ritardo!” esclamò l'altro, voltandosi furioso verso di lui.
 
“Aspettate, ci penso io.” li interruppe Glenn. Senza aggiungere altro scese dall'auto e si diresse verso la donna, che non era ancora riuscita a raccogliere il frutto da terra. Dall'interno dell'abitacolo lo videro scambiare poche parole con lei, raccogliere quella maledetta mela, e aiutarla ad attraversare. Quando la donna fu dall'altra parte della strada, il fattorino corse verso di loro e risalì in macchina.
 
“Prego.” esclamò mentre richiudeva la portiera. Gli sembrò quasi vedere Daryl fargli un cenno, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, anche perché quello rimise immediatamente in moto l'auto e con uno scatto percorse tutto il marciapiede.
 
Quando arrivarono quasi alla fine della via, Rick vide che il semaforo era giallo. Presto sarebbe stato verde per le macchine che percorrevano l'altro senso e, se avessero girato quando non era il loro turno, si sarebbero trovati falciati.
 
“Daryl, è giallo. ” lo ammonì. “Non possiamo. Daryl... Daryl!” Il tono era cresciuto sempre di più, finché non urlò. Ma il pilota non sembrava voler cedere e, anzi, prese ancora più velocità; era appena scattato definitivamente il rosso quando sterzò bruscamente, accostandosi al muro. La macchina si sbilanciò leggermente, perdendo aderenza sul terreno e finì per strusciare tutta la fiancata destra contro il muro - che il vicecapitano non aveva mai visto tanto da vicino fino a quel momento.
 
Riuscirono appena in tempo a raddrizzarsi nella corsia, prima che il traffico ripartisse.
 
“Le portiere! Daryl, hai strisciato tutta la fiancata!” si sporse leggermente dal finestrino, mentre l'aria gelata gli sferzava il viso. “L'insegna è mezza staccata! Mi stai distruggendo la macchina! Anzi, non è nemmeno mia; il capo mi ucciderà!” urlò nel panico il fattorino.
 
“Pago io.” rispose l'altro imperturbabile. “Adesso tieniti.” ed accelerò pericolosamente diretto verso quel maledettissimo negozio di fiori.
 
“Sempre se riusciamo a sopravvivere...” sussurrò scettico Glenn mentre allacciava la cintura di sicurezza.
 
§§§
 
Beth era quasi sorpresa che l'orologio appeso alla parete di fronte all'ingresso fosse ancora al suo posto e non fosse caduto sotto il peso del suo sguardo insistente. Quindici minuti. Era passato un quarto d'ora da quando Rick l'aveva chiamata e lei davvero non sapeva più con che scusa trattenersi in negozio. Aveva finito la colazione molto lentamente, troppo, riempiendo l'aria di chiacchiere per cercare di prolungare la sua presenza il più possibile.
 
Eppure non poteva fare a meno di continuare a guardare quel maledettissimo orologio, le cui lancette scorrevano nel quadrante molto più lentamente di quanto non avessero mai fatto. E Nico se ne era accorto.
 
“Sei sicura di non volere andare?” le aveva chiesto appena dopo cinque minuti dalla chiamata. Lei aveva minimizzato, dicendo che doveva ancora finire la colazione, nonostante ormai stesse fingendo di bere dal bicchiere di caffè vuoto e le restasse solamente il cornetto della brioche.
 
Alla fine Nico si alzò sparecchiando e poi la accompagnò sul retro dove - così lei gli aveva detto - sarebbero arrivati a prenderla. In realtà aveva specificato che la sua amica sarebbe passata a un paio di vie di distanza, ma uscendo dalla porta dei fornitori si sarebbe accorciata di un bel pezzo la strada, così lui non aveva avuto niente da ridire.
 
Anche arrivati fuori nell'aria fredda, Beth si perse in chiacchiere per concedere tempo a quei due - a cui avrebbe fatto sicuramente una ramanzina più tardi. Ad un certo punto, non sapendo proprio più che dire, mormorò solamente: “Devo andare...” in modo dolce.
 
In realtà aveva notato come, da un paio di minuti a quella parte, Nico le stesse guardando le labbra. Cercò di prolungare il più possibile il momento: rimasero di fronte alla porta, immersi nel silenzio interrotto solo dai rumori lontani della via attigua, a guardarsi. Lui la studiava e lei - che grazie a Dio, aveva ascoltato i consigli di Maggie negli ultimi anni - cercava di riprodurre il più fedelmente ciò che aveva imparato dalla sua sorellona: essere sfuggente, ma poi ricatturare lo sguardo, allontanarsi e poi riavvicinarsi.
 
Rimasero a fare tira e molla per un minuto che le parve infinito, ma improvvisamente lui abbassò lo sguardo imbarazzato, grattandosi il mento con il pollice in un gesto nervoso. Stava per parlare, ma se l'avesse fatto l'avrebbe lasciata andare e Beth non poteva assolutamente permetterlo, così si affrettò a precederlo: “E questo bacio? Non vuoi darmelo?” chiese dolcemente, ma con un po' di malizia.
 
Nico alzò di scatto gli occhi su di lei, guardandola stupito e contento allo stesso tempo. Si avvicinò lentamente e quando fu a solo un palmo dal suo naso, Beth gli sorrise debolmente come per incoraggiarlo a proseguire.
 
Quando lo vide avvicinarsi sentì una strana sensazione nel petto; ma dove diavolo era Daryl? Non sarebbe mai voluta arrivare a tanto, e non lo avrebbe fatto se loro fossero stati puntuali! Il ragazzo di fronte a lei posò delicatamente le labbra sulle sue, cominciando a muoverle piano. Erano fredde, fu tutto quello che riuscì a notare lei. Si sentì leggermente a disagio quando lui le mise una mano sul fianco, per tenerla più stretta a sé, ma si era rilassata subito sperando che lui non l'avesse notato. Per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi aperti; di solito lei non era tipa da bacio ad occhi spalancati, ma quello infondo non era nemmeno un bacio vero. Il ragazzo che la stringeva fra le braccia invece sembrava piuttosto preso; aveva gli occhi chiusi in una smorfia rilassata, e lo sentiva mentre respirava il suo profumo.
 
Improvvisamente lui si scostò da lei, interrompendo bruscamente il bacio, tanto che rimase per un attimo immobile, non capendo cosa stesse succedendo. Ma quando dall'auto a pochi metri da loro vide balzare fuori Daryl e Rick, capì il motivo della reazione del ragazzo.
 
Attorno a loro c'erano almeno cinque volanti - quindi ad occhio e croce dovevano esserci almeno una decina di agenti -  senza contare la macchina da cui erano appena spuntati i suoi Duke. Quanto l'avevano fatta aspettare! Ma il lieve sorriso spontaneo che non si era nemmeno accorta di avere in volto, si spense quando si sentì prendere per le spalle e strattonare all'indietro.
 
“Fermi! Fermi o la ammazzo!” urlò Nico agli uomini che li circondavano. Beth sentì la canna ghiacciata di una pistola  posarsi sulla sua tempia e istintivamente portò le mani sul braccio del ragazzo che la tratteneva. Come se servisse a qualcosa. Come diavolo aveva fatto a non accorgersi che era armato? L'aria sembrò farsi stranamente densa e le azioni sembravano compiersi a rallentatore. Tutti erano immobili; nessuno sembrava voler cedere.
 
“Fatemi passare o giuro che le sparo!” minacciò di nuovo, indicando con un cenno il furgoncino con stampata l'insegna del negozio a pochi passi da loro. “Levatevi!”
 
Beth fece correre gli occhi sugli agenti di fronte a sé, finché non incontrò quelli di Rick. Lui la fissò intensamente e dopo aver girato la pistola in modo che la canna puntasse verso terra, portò le mani in alto. “Non fate niente.” disse risoluto agli altri agenti. “Lasciatelo passare.” Loro gli obbedirono, abbassando le pistole ed allontanandosi di qualche passo.
 
Beth ebbe a mala pena il tempo di scambiare un'occhiata con Daryl. Quasi le salirono le lacrime agli occhi quando vide che non la stava perdendo d'occhio nemmeno per un attimo. Aveva guardato in quelle iridi azzurre e per la prima volta vi aveva trovato la paura. Durò solo un attimo perché quando lui si riscosse, rendendosi conto che lei lo stava fissando, la sua espressione era cambiata di nuovo. Forza. Se in quel momento avesse dovuto descrivere cosa le trasmetteva l'uomo dietro la portiera spalancata, avrebbe senz'altro detto forza.
 
Tentò di accennare un sorrisino prima di essere trascinata via completamente dalla sua visuale. Temeva di non essere stata molto convincente, ma sperava che a lui bastasse. Non riuscirono a dirsi nient'altro: Nico la trascinò verso il furgoncino verde scuro e la spinse sul sedile del passeggero, sbattendo la portiera con uno tonfo sordo.
 
Gettò una rapida occhiata nell'abitacolo attorno a sé, alla ricerca di qualcosa che potesse esserle utile, ma non riuscì a trovare niente e appena prima che potesse aprire il vano portaoggetti, il ragazzo era salito e aveva messo in moto. Con una guida incerta, uscì dalla via diretto chissà dove. Aveva gli occhi fissi sulla strada, la mano destra saldamente ancorata al volante, mentre la sinistra reggeva la pistola con cui la stava tenendo ancora sotto tiro.
 
Non capiva dove stessero andando e la cosa la innervosiva, ma si sentì contemporaneamente più tranquilla e più agitata quando il rumore delle sirene esplose alle sue spalle, e vide l'utilitaria gialla in testa alle altre volanti. Tranquilla perché non l'avevano lasciata e agitata perché non sapeva fino a che punto avrebbe potuto spingersi Nico sotto pressione. Bene, ci sarebbe stato tempo per avere paura e per cedere al panico, ma non era quello il momento.
 
“Fanculo.” sbottò lui, osservando nello specchietto retrovisore. “Mi hai proprio fottuto, eh biondina?” le disse con cattiveria, rinforzando la presa sull'arma con cui la stava minacciando. Beth rimase zitta per non far peggiorare la situazione; si limitò a tenere sotto controllo la pistola nera che sembrava osservarla come un serpente segue l'incantatore.
 
Improvvisamente, Nico portò entrambi le mani sul volante e sterzò bruscamente, infilandosi in una vietta che Beth non aveva notato fino all'ultimo. Il furgoncino aveva sbandato talmente tanto che aveva temuto si ribaltasse, e aveva lasciato andare un piccolo urletto spaventato. Proseguirono sempre più velocemente con le volanti alle calcagna, ma il ragazzo non sembrava volersi arrendere.
 
Forse a causa del suono delle sirene, le macchine rallentavano lasciandoli passare, ma un paio di volte rischiarono di tamponare questa o quella macchina. Durante un'altra sterzata improvvisa, Beth aveva ringraziato il cielo che in quel momento non ci fosse nessuno su quell'angolo di marciapiede perché, in caso contrario, dubitava che chiunque sarebbe riuscito ad uscirne indenne.
 
Ormai avevano raggiunto la periferia; lì le strade erano più strette ma meno affollate e riuscivano a muoversi con più facilità; probabilmente sarebbero riusciti anche a nascondersi più facilmente. Un brivido di paura le percorse la schiena; se c'era una cosa che la intimoriva più di essere costretta nell'abitacolo con quel ragazzo, era essere un suo ostaggio permanente. Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se davvero Nico avesse seminato gli agenti alle loro spalle.
 
Beth era talmente presa dalle sue paure che non si accorse di nulla finché non alzò gli occhi. Una macchina sbucata da una delle vie secondarie gli aveva tagliato la strada, costringendo il ragazzo a sterzare per non fare un frontale. Nico aveva dovuto frenare o sarebbero finiti contro la recinzione di un campo da calcio, e le aiuole li avrebbero bloccati definitivamente.
 
In un momento di distrazione, il ragazzo accanto a lei aveva abbassato la guardia - e la pistola - osservando nello specchietto le volanti che rallentavano, fermandosi a pochi metri da loro. Senza nemmeno pensare a cosa stava per fare, Beth prese la canna lucida dell'arma, abbandonata nella mano di Nico e cercò di portargliela via.
 
Pessima scelta. Lui era molto più forte di lei e, anche se solo con una mano, riusciva a metterla in difficoltà. Si sentiva quasi come quando al campo estivo facevano la gara di tiro alla fune. A volte lei sembrava avere finalmente la meglio, ma il secondo dopo lui riguadagnava terreno. Il tutto si svolse in una manciata di secondi, probabilmente gli agenti dietro di loro non erano nemmeno scesi dalle volanti.
 
Ma Beth commise un errore. Pensando di riuscire ad avere più presa sull'arma, cercò di ruotarla tra le dita del ragazzo che, facendo forza per non lasciarla andare, strinse. Un colpo partì improvvisamente, e la mano di Nico fu liberata da qualsiasi resistenza.
 
§§§
 
Appena Daryl aveva sentito Rick ordinare di lasciare andare quel ragazzetto, con lei, avrebbe voluto tirare un pugno a qualcuno; meglio ancora se proprio all'amico. Ma quando, mentre si stava girando verso di lui già pronto a fare il diavolo a quattro, aveva rintracciato gli occhi di Beth, non era riuscito a fare nient'altro che ricambiare quello sguardo così spaurito che non sembrava avere nessuna intenzione di lasciarlo andare. La osservò finché quel figlio di puttana non la fece salire sul furgoncino e sparì alla sua vista. In men che non si dica anche il ragazzo si nascose nell'abitacolo, uscendo spedito dalla via.
 
Dopo un momento si voltò verso il vicecapitano che già stava tornando in auto. Dall'interno del negozio proveniva molto rumore; non aveva dubbi che la sua chiacchierona ci avesse visto giusto. Scommetteva che proprio in quel momento Abe e Jesus stavano mettendo le manette attorno ai polsi di Chacòn.
 
Ma non era ancora finita. Salì velocemente in auto e partì, alla volta di quel cazzo di camioncino su cui lo stronzo teneva Beth. Si accorse che in auto c'erano solamente lui e Rick solo quando gettò un'occhiata nello specchietto, per controllare le due volanti dietro di loro. Quasi come se gli avesse letto nella mente, l'altro gli disse: “Glenn è rimasto. Non mi sembrava il caso di coinvolgerlo ulteriormente.” Daryl si limitò ad annuire distrattamente.
 
Faceva scorrere gli occhi ovunque, cercando un qualsiasi segno che il furgoncino verde a cui davano la caccia fosse passato di lì, e anche se all'inizio Rick si era un po' lamentato, aveva abbassato tutti i finestrini, in modo da essere meno isolati dalla strada.
 
L'aria ghiacciata e sferzante aveva raffreddato l'abitacolo; il vento gli muoveva i capelli tirandoli all'indietro e, data la velocità a cui erano costretti, gli si insinuava dappertutto. Immaginava che fosse esattamente quella la sensazione di chi fa un bagno nudo in Alaska, ma non poteva importargli di meno in quel momento.
 
Si permise di tirare un sospiro di sollievo non appena riuscì a trovare il furgoncino, ma poi tornò immediatamente concentrato sulla loro missione.
 
Grazie alle sirene, le altre macchine rallentavano leggermente o accostavano in modo da lasciarli passare - anche se sospettava che Rick avrebbe avuto il suo da fare per giustificare un'utilitaria senape con il logo di una pizzeria che sfrecciava per la città a più di cento chilometri all'ora.
 
Durante quella corsa impazzita, a cui le sirene e le voci che gracchiavano dalla radio della polizia facevano da sottofondo, aveva sentito in un paio di momenti una fitta di paura esplodergli nel petto. Non era di sé che si preoccupava, ma quel coglione - tra le altre cose - non sapeva nemmeno guidare e non gliene sarebbe importato di meno se in quel momento non ci fosse stata Beth con lui.
 
Era almeno un quarto d'ora che guidavano e avevano appena raggiunto la periferia. Lo irritava non poter vedere cosa stava succedendo nell'abitacolo del mezzo davanti a loro, ma doveva mantenere la calma se non voleva combinare qualche stronzata.
 
Non capì subito per quale motivo, ma ad un certo punto vide il furgoncino sterzare bruscamente e frenare a meno di un metro da un cespuglio. Oltre al camion intravide una macchina in obliquo che bloccava la strada semideserta. Lanciò un'occhiata a Rick e dopo essersi scambiati un cenno d'intesa, scesero entrambi dalla macchina. Il vicecapitano era ad un paio di passi da lui, con la pistola tesa davanti a sé, ma entrambi si bloccarono quando improvvisamente l'aria fu squarciata dal rumore di uno sparo.
 
§§§
 
Juliet e Maggie erano sedute l'una accanto all'altra, di fronte al grande schermo su cui tanti puntini bianchi si rincorrevano. Quando li avevano visti fermarsi, senza ricevere notizie per un paio di minuti, avevano trattenuto il fiato ma la centralinista, con la professionalità di sempre, aveva mantenuto il sangue freddo e aveva continuato a chiedere.
 
Dopo circa cinque minuti Jesus le aveva risposto che avevano catturato Chacòn e la squadra 2 lo stava già scortando in centrale, accompagnata da altre due volanti.
 
“E Beth?” aveva domandato d'impulso Maggie.
 
Ci fu un momento di silenzio in cui il ragazzo esitò a rispondere ma poi, con un sospiro si decise a parlare: “A quanto mi ha detto Glenn, Russo l'ha presa in ostaggio e ora Rick, Daryl e le squadre 3 e 4 del Distretto 15 li stanno inseguendo.”
 
Senza aggiungere altro si dileguò, lasciando le due ragazze nel silenzio. Dopo qualche istante passato a interiorizzare quel poco che gli era stato detto, Juliet si spostò nuovamente sul monitor per cercare il GPS delle radio di Rick e delle altre due volanti. Li identificò dopo pochi secondi, che si dirigevano senza dubbio verso la periferia.
 
“Squadra Alpha, qui Centrale, passo.” chiamò. Rimase in attesa qualche secondo ma non ottenne risposta. “Centrale chiama Squadra Alpha, rispondete.” Ancora nulla. “Jesus! Abraham! Si può sapere dove cazzo siete finiti?!” urlò prendendo in contropiede Maggie, che non si aspettava proprio un urlo del genere.
 
“Ehm... non ci sono. ... Passo.” sentirono rispondere con incertezza dopo pochi secondi.
 
“Ma chi è?” domandò attonita Juliet.
 
“Glenn ... Passo.” disse insicuro.
 
“Glenn! Pensi di poterci aiutare?” chiese schietta la ragazza.
 
“Non saprei, dipende cosa vi serve. ... Passo.”
 
“Devi solo guidare, e smettila di dire passo.” spiegò sbrigativa.
 
“Dove dobbiamo andare?” domandò, probabilmente sapendo già la risposta.
 
“Credo che rivedrai Rick e Daryl prima di quanto pensi.”
 
Glenn rimase in silenzio un momento; Maggie non staccava gli occhi dallo schermo e pregava che il ragazzo accettasse. Qualsiasi cosa avesse in mente Juliet si fidava di lei, e soprattutto se i Duke avessero avuto un aiuto in più su cui contare sarebbe stato solo un bene.
 
“D'accordo, che strada prendo?” chiese salendo in macchina e mettendo in moto.
 
 
 
Erano ormai dieci minuti che Juliet si destreggiava tra monitor, radio e un'applicazione sul suo iPhone che davvero non pensava gli sarebbe mai tornata utile. Grazie a chissà quale statistica, l'app mostrava quanto trafficata era una strada a una data ora. Facendo così percorrere al fattorino le stradine secondarie erano riusciti a recuperare terreno, raggiungendo la squadra che inseguiva Russo.
 
“Bene, svolta a sinistra.” disse Juliet a Glenn. Rimasero in silenzio un minuto e poi il ragazzo chiese cosa avrebbe dovuto fare a quel punto. “Perfetto, alla prossima gira a destra. Dovresti trovarteli subito sulla destra, al prossimo incrocio.” concluse con calma.
 
Poi rimase attenta ad osservare il monitor e i puntini che si seguivano come formichine. Considerando uno scarto di almeno cinquanta metri, Glenn sarebbe dovuto riuscire a tagliare la strada a Russo, ma non avendo l'esatta posizione del furgoncino non poteva esserne sicura al 100%. O la va, o la spacca, si disse tra sé e sé.
 
Il cuore cominciò a martellarle nel petto sempre più veloce man mano che i puntini luminosi convergevano tutti verso lo  stesso centro. Dalle cuffie sentì un fischio acuto e prolungato; sicuramente stridore di ruote sull'asfalto. Rimasero entrambe attente a captare eventuali rumori, ma non sentirono altro. Niente che assomigliasse minimamente a uno scontro.
 
“Tu sei tutta matta! Juliet! Volevi farmi ammazzare?!” urlò Glenn una volta che sia la sua auto che il furgone si fermarono.
 
“Ce l'hai fatta, li hai fermati?” chiese impaziente.
 
“C'è mancato un pelo che non mi beccasse in pieno!”
 
“Te l'avevo detto che li avresti trovati subito.” rispose, permettendosi di accennare un'espressione sollevata. Si rilassò nella poltroncina girevole, guardando Maggie con un sorriso incoraggiante. Stavano entrambe per commentare con qualcosa di divertente quando il rumore di uno sparo le immobilizzò sul posto, ghiacciandogli il sangue nelle vene.
 
§§§
 
Quel rumore secco gli avrebbe fatto meno male se lo avesse preso in pieno. Dopo essere rimasto immobilizzato per un paio di secondi, Daryl era corso verso il furgone, direttamente verso il lato del passeggero, senza preoccuparsi di cosa avrebbe potuto fare o meno Russo.
 
Aprì la portiera con uno movimento brusco e rapido, e salì immediatamente abbassando un po' la schiena. In una posizione tutt'altro che comoda, piegato a fisarmonica per riuscire a stare in piedi nell'abitacolo basso, aveva immediatamente preso la ragazza per le spalle e l'aveva scossa. Lei non lo guardava; aveva gli occhi spalancati fissi su qualcosa di indefinito e tremava.
 
È viva, pensò egoisticamente.
 
Controllò rapidamente che non fosse ferita, e non trovò tracce di sangue da nessuna parte. Ma quasi non ci credeva, quindi ripeté un paio di volte il “controllo” prima di fermarsi. Solo alzando la testa per sbaglio si accorse del piccolo forellino nel tettuccio del furgone, in corrispondenza della spalla destra della ragazza. La pistola aveva puntato in su.
 
A quel punto lasciò andare un sospiro di sollievo che non si era accorto di aver trattenuto. Si sfregò gli occhi con i palmi delle mani; improvvisamente sentiva una forte stanchezza incombergli sulle spalle. Si sentiva completamente sottosopra. Ma lei era lì.
 
Le prese il viso tra le mani e, da come ricambiò il suo sguardo, sospettò che si fosse accorta di lui solo in quel momento. La osservò, sperando di ritrovare la sua Beth, e ben presto la vide riaffiorare nelle lacrime salate che le riempirono gli occhi. In modo un po' sgraziato scese dal furgoncino, poi le mise una mano sul fianco per aiutarla a scendere a sua volta.
 
Appena Beth si ritrovò con i piedi per terra alzò gli occhi su di lui, e subito le lacrime cominciarono a rigarle le guance. Fu totalmente inaspettato quando lui la abbracciò, posando la fronte sulla sua spalla e tenendola stretta a sé, quasi come se volesse proteggerla da tutto il mondo con le sue braccia forti.
 
Lei strinse a sua volta le sue braccia esili attorno alla vita dell'uomo e posò la testa contro il suo petto. Di quel momento ricordava solo il ritmo frenetico del cuore di Daryl e il calore del suo respiro che le solleticava il collo. Pian piano smise di tremare, come se le sue braccia fossero il porto sicuro che era andata cercando in tutti quegli anni. Sarebbe potuto cadere l'universo in quel momento, ma a lei non sarebbe importato di meno; era a casa.
 
Lui non poteva crederci; quanto aveva avuto paura in quei giorni? Sempre; ma mai come in quel momento. Quello sparo gli aveva fermato il cuore, si era sentito morire nell'esatto momento in cui aveva realizzato che proveniva dal furgoncino. Per un primo momento aveva sperato invano di essersi sbagliato, ma quando aveva sentito addosso lo sguardo di Rick aveva capito che, purtroppo, non era stato un sogno.
 
Appena aveva aperto la portiera non si era accorto di quello che gli stava accadendo attorno; nei suoi occhi c'era solo lei. E controllare tre volte non era stato abbastanza per assicurarsi che stesse bene. Aveva ragione Merle; lo aveva fottuto. Ma in quel momento non importava nemmeno questo. L'unica cosa importante era che lei stesse bene.
 
Quando l'aveva vista piangere aveva ringraziato tutti gli dei in cui non credeva per non avergliela strappata, e mai come in quel momento se ne era reso conto: lei era la sua possibilità. Come aveva detto Rick, meglio non lasciarsela scappare. E allora l'aveva stretta forte, per tenerla ancorata a quella terra meschina che li sbatteva da una parte all'altra come foglie nel vento.
 
Dopo un minuto o forse una vita si sciolsero dall'abbraccio; non si guardarono negli occhi come in qualche commedia romantica, né dissero nulla. Non c'era altro da aggiungere.
 
Distrattamente Daryl le asciugò una lacrima e si guardò intorno; le volanti del Distretto 15 erano posizionate in modo da deviare il traffico così che nessuno potesse avvicinarsi. Glenn aveva appena riposto la radio dentro una volante - Ma che ci faceva lì? - e osservava Rick che conduceva Nico Russo con le mani dietro la schiena proprio verso l'auto.
 
Senza nemmeno pensarci due volte, percorse con ampie falcate la distanza che lo separava da quella sottospecie di pezzo di merda ambulante e appena arrivò a un paio di passi da lui caricò un destro che lo centrò dritto sul naso. Il ragazzo si sbilanciò, totalmente preso in contropiede, urtando il vicecapitano che ne frenò la caduta.
 
“Ohi! Questo è abuso di potere!” urlò poco dopo, mentre il sangue gli colava copioso dal naso. “Digli qualcosa!” esclamò proprio rivolto all'uomo alle sue spalle.
 
“Cosa? Io non ho visto niente.” rispose furbescamente Rick, spingendolo sul sedile posteriore per poi chiudere la portiera.
 
Si voltò e vide Beth mezza nascosta dietro l'amico; si avvicinò e la abbracciò forte. “Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?” domandò con un sorriso tenero. La ragazza gli sorrise debolmente ed annuì; era ancora un po' sconvolta ma decisamente meno spaventata di prima.
 
Daryl attirò la sua attenzione e dopo uno sguardo piuttosto lungo e pieno di significato, il vicecapitano annuì brevemente, facendo il giro della vettura per mettersi alla guida.
 
“Mi presti la macchina?” chiese Daryl quando Glenn gli passò affianco per andare verso il posto del passeggero.
 
“Certo.” mormorò con un sospiro. “Tanto peggio di così.” gli sorrise spontaneo.
 
§§§
 
Avevano girato senza meta per almeno mezz'ora. Non si erano detti niente durante il tragitto; ad entrambi bastava la presenza l'uno dell'altra. Beth si era accoccolata nel sedile accanto a Daryl e aveva lasciato che le vie della città scorressero sotto i suoi occhi. Era tutto uguale, come lo ricordava da sempre ed in un certo senso la rassicurava. Eppure sembrava che tutto fosse cambiato così tanto dall'ultima volta che era uscita dalla centrale. Solo ripensandoci si era resa conto che non potevano essere passati più di tre giorni.
 
Si sentiva cambiata, diversa. Non era più la stessa ragazza che ad inizio settembre aveva messo piede nell'ufficio di Rick. Erano cambiate così tante cose in quei tre mesi. Così tante persone avevano incrociato la sua strada e lei la loro a sua volta.
 
Abraham, che ogni volta che la vedeva le faceva l'occhiolino per dare fastidio a Rick - che puntualmente gli ricordava che avrebbe dovuto accettare quell'invito a casa sua che gli aveva fatto Rosita qualche tempo prima, facendo risentire l'uomo.
 
Jesus, che tra una canzone e l'altra di Bob Marley (“Ti mostro la retta via da seguire in fatto di musica”) rideva e scherzava con lei; una volta aveva anche provato ad offrirle una canna sotto gli occhi di Rick - di proposito - che infatti era esploso in mille invettive e aveva rincorso per mezzo edificio il povero agente.
 
Michonne era stata gentile con lei da sempre; non perdeva mai la pazienza mentre le mostrava come svolgere questo o l'altro compito. Sospettava già da un po' che con Rick ci fosse qualcosa; da quando il vicecapitano era uscito a cena - quella sera che lei, Daryl e i bimbi gli avevano ridipinto la camera, per intenderci - si erano comportati entrambi in modo contradditorio. All'inizio non si parlavano, mentre negli ultimi tempi si erano avvicinati più di quanto non avessero mai fatto. Non le ci era voluto molto fare due più due.
 
Rick. Se un paio di mesi prima avesse pensato a lui sarebbe stato solo per ideare come fargli pagare quella sorta di accordo che aveva stretto con suo padre. Hershel non era mai sceso a patti col fatto che le sue figlie stessero crescendo. La domenica sera, a fine cena, lasciava sia a lei che a sua sorella un cioccolatino affianco al piattino del caffè. Era una premura che le faceva tenerezza, ma si era davvero arrabbiata quando si era intromesso nella sua vita lavorativa.
 
D'altra parte, ragionandoci a mente fredda, aveva realizzato che qualsiasi padre - se avesse potuto - avrebbe fatto esattamente la stessa cosa con la propria figlia, quindi aveva accantonato il tutto, relegandolo nei cassetti della sua mente come un altro di quei momenti in cui suo padre non era Hershel, ma il Generale Greene.
 
Doveva ammettere che, in effetti, Rick non si era comportato come lui. Se anche aveva dovuto accettare la situazione, non l'aveva mai trattata come una bambina incapace e anzi, era diventato come una sorta di fratello maggiore in centrale. E questo, ovviamente, faceva divertire da morire Abraham e Jesus, che erano sempre pronti a stuzzicarlo.
 
Maggie era al lavoro così come era a casa: un misto di tenacia e dolcezza che stregava sempre tutti, in particolare un certo fattorino di loro conoscenza. Solo in quel momento capì dove aveva già visto la macchina su cui stavano viaggiando; era proprio quella con cui Glenn faceva le consegne quando non aveva il motorino... Ecco, allora forse fattorino lo sarebbe rimasto ancora per poco.
 
Improvvisamente, senza sapere bene come, le vennero in mente Juliet e il favore che la ragazza le aveva chiesto qualche giorno prima; se ne era andata ed aveva completamente dimenticato lo spazzolone e il secchio che doveva cercare.  Forse sarebbe dovuta andare a prenderli. Poi le venne da ridere; di sicuro a quest'ora la centralinista si era arrangiata in qualche altro modo.
 
“Perché ridi?” le chiese Daryl, spezzando il silenzio che regnava sovrano nell'abitacolo da molto tempo.
 
Beth scosse leggermente la testa, mentre il sorriso si ampliava sul suo volto stanco. Lui le lanciò un'occhiata diffidente, controllando che stesse bene. Che fosse ancora sotto shock?
 
“Non sto impazzendo.” gli rispose come se gli avesse letto nella mente. “Rido perché mi è venuto in mente che non ho ancora portato lo spazzolone e il secchio a Juliet.” spiegò imbarazzata.
 
Lui la guardò di nuovo e dopo aver scosso debolmente il capo ritornò con gli occhi fissi sulla strada, ma Beth avrebbe giurato di aver visto un sorrisino spuntare timidamente sulle sue labbra.
 
Avevano percorso tutta la periferia avventurandosi in stradine sperdute, ma la ragazza poteva riconoscere che stavano tornando verso il centro della città: le strade si facevano via via più curate, i palazzi erano ben tenuti e moderni e, oltre a un gran numero di persone, c'erano anche molte più auto.
 
“Ci fermiamo; sta finendo la benzina.” la avvisò lui dopo qualche minuto, mentre parcheggiava. “E poi tu devi mangiare.”
 
Scesero dall'auto e Daryl la raggiunse sul marciapiede. Entrambi rimasero ad osservare per un momento l'auto: prima quando era salita non ci aveva nemmeno fatto caso, ma ora era stato impossibile non notare com'era conciata. Dal lato del passeggero mancavano lo specchietto retrovisore e, oltre una vistosa strisciata che aveva grattato via la vernice, anche l'insegna luminosa era tutta storta e le luci lampeggiavano debolmente ad intermittenza.
 
“Guidavi tu, vero?” chiese lei dopo un paio di minuti di contemplazione, nascondendo un sorrisino e il tono divertito che era sorto quasi spontaneamente assieme alla domanda.
 
“Ho fame.” sviò il discorso lui, dopo una pausa che le fornì comunque la risposta.
 
Avevano cominciato a camminare, ma Beth non si rese subito conto in che zona erano finché non vide in lontananza la tavola calda in cui erano stati la sera del Festival. Entrarono facendo tintinnare il campanello; l'aria era piena delle chiacchiere dei clienti e del buon odore di carne alla griglia e patatine fritte. A differenza dell'ultima volta, i tavolini erano tutti occupati - complice anche l'ora di pranzo - quindi si diressero verso la cassa. Avevano solo tre persone davanti a loro, che si sbrigarono anche piuttosto in fretta, e dopo una decina di minuti circa arrivarono di fronte alla stessa ragazza che avevano già visto l'altra volta.
 
Beth lasciò che fosse Daryl a pensare alle ordinazioni; a dir la verità non aveva nemmeno molta fame al momento, l'aveva accompagnato solo perché... be, in realtà non sapeva perché lo avesse accompagnato. Non c'era un motivo valido: era lui, e tanto bastava perché meritasse il suo tempo. In più le faceva piacere la premura che le stava riservando in quel momento.
 
Un paio di minuti dopo la riscosse e posandole una mano sulla schiena l'aveva portata fuori dalla tavola calda, sotto i nuvoloni plumbei carichi di pioggia. Lui aveva tirato fuori il suo panino dalla busta e glielo aveva passato. Avevano pranzato così, in piedi, mentre camminavano lentamente tra le vie della città. Il tutto si era svolto in silenzio ma non le aveva dato fastidio; si sentiva a suo agio con lui.
 
Daryl, da parte sua, lanciava qualche occhiata alla ragazza accanto a sé che mangiava il panino a piccoli morsi e occhi bassi. Avrebbe dovuto sapere che lei era viva e si trovava lì con lui, ma a volte non riusciva ad evitare di controllare che ci fosse davvero. Aveva paura di svegliarsi e scoprire che lei se ne fosse andata.
 
In più, tutto quel silenzio era innaturale da parte sua; doveva essere davvero scossa per non dire una parola. In generale, quando lei se ne stava zitta, era sempre motivo di preoccupazione per lui. Si ricordava bene com'era andata a finire l'ultima volta: lei aveva vomitato nel suo bagno e dormito nel suo letto, non prima di essere esplosa come una bomba ad orologeria.
 
Quando lei si era allontanata verso un cestino per buttare la carta del panino, aveva tirato fuori una bottiglia di birra e, dopo averla stappata con i denti, gliel'aveva passata una volta che lei gli era tornata affianco. Con la coda dell'occhio l'aveva vista arretrare un po' sorpresa, ma poi aveva sorriso e aveva bevuto un sorso dal collo di vetro. Alla fine avevano fatto a metà, mentre passeggiavano in silenzio e il tempo passava.
 
Ma Daryl non sopportava più tutta quella calma; paradossalmente, gli mancavano le sue chiacchiere. Stava davvero impazzendo. Stava pensando a un modo per farla parlare, ma quelle cose non erano il suo genere, non sapeva nemmeno da dove partire per intavolare un discorso. Improvvisamente però, qualcosa attirò la sua attenzione e si fermò ad osservarlo.
 
Beth era andata avanti di un paio di passi, ma non vedendolo più accanto a sé si era voltata e quando lo aveva trovato con gli occhi fissi su un manifesto, lo aveva raggiunto di nuovo.
 
“Non è tutto l'oceano, ma se ti accontenti punta il dito e scegli un posto.” le aveva detto, non distogliendo lo sguardo. Davanti a loro c'era una grande cartina della città, su cui erano segnate le principali attrazioni, punti ristoro e servizi che offriva Atlanta.
 
Il pesce angelo dei Caraibi ama viaggiare e andare a caccia in coppia. Il legame che forma con il proprio compagno spesso dura per la vita e, se questo muore, il pesce rimasto sceglie di continuare a vivere in solitudine piuttosto che 'risposarsi'.
 
Si era ricordato.
 
Beth osservò la mappa, non riuscendo a nascondere un sorriso contento. Un pallino rosso con sopra scritto “Voi siete qui” indicava la loro posizione. Scandagliò per bene la cartina mentre cercava qualche posto interessante in cui sarebbero potuti andare quando le cadde l'occhio su un piccolo triangolo verde chiaro. Un parco. Proprio quello in cui si erano conosciuti, quando lei era solo una bambina e lui poco più che un ragazzino.
 
“Qui.” puntò con l'indice decisa. Non erano molto distanti, era solo a un isolato di distanza, non pensava che avrebbe avuto da ridire.
 
“Andiamo.” le rispose solo, incamminandosi. Sapeva dov'era quel parco. In generale, soprattutto da ragazzo, aveva avuto modo di girare qualsiasi parte della città, quindi non aveva problemi ad orientarsi.
 
Mentre erano di strada, sporadiche goccioline di pioggia sottile avevano cominciato a cadere dal cielo, talmente fini da essere  impalpabili.
 
“Tra un po' pioverà, vuoi tornare alla macchina?” le chiese lui quando le gocce cominciarono ad essere leggermente più insistenti.
 
“No, non piove.” rispose sicura di sé con un sorriso. Ad Atlanta il cielo non crollava mai in testa alle persone all'improvviso. Prima che piovesse avrebbero avuto tutto il tempo di andare al parco, fare un giro e tornare verso l'auto. Magari verso la fine si sarebbero presi qualche goccia, ma niente di più. Di solito non c'erano acquazzoni improvvisi, soprattutto in quella stagione.
 
Di solito.
 
Ma non quel pomeriggio evidentemente, dato che la pioggia era aumentata sempre di più finché, quando mancavano appena un centinaio di metri, si erano visti costretti a correre al riparo. Si ritrovarono proprio nel mezzo di un temporale; grandi gocce scendevano fitte e spesse, cadendo copiosamente e con insistenza.
 
Beth riusciva a mala pena a vedere Daryl a un paio di metri di distanza per quanto stava piovendo. Cercò di chiamarlo, ma il rumore era talmente forte che non riuscì a sentirla. Accelerò il passo, cercando di stargli dietro e riuscì ad afferrarlo per la manica del giubbotto. Lui si girò verso di lei e quasi gli finì addosso.
 
“Dovremmo andare a ripararci!” urlò lei.
 
“Come?” gridò di rimando.
 
“Riparo!!!” disse avvicinandosi un po' al suo orecchio per farsi sentire.
 
“Siamo in un fottuto parco, dove cazzo ci mettiamo?” esclamò ancora lui.
 
A dir la verità Beth non riuscì a sentire proprio tutto, ma dall'espressione sul suo viso, il gesto che aveva fatto mentre indicava il posto attorno a loro e quel paio di parolacce che le era sembrato di sentire, afferrò comunque il senso.
 
“Lo scivolo!” gli disse avvicinandosi per poi trascinarlo verso il castello che stava giusto qualche metro più in là.
 
Salirono velocemente i gradini - ormai troppo stretti per i loro piedi grandi - e solo quando furono entrambi sotto la tettoia di legno si permisero di tirare un sospiro di sollievo e guardarsi.
 
Daryl aveva i capelli tutti appiccicati alla fronte che gli coprivano gli occhi; dalle punte scendevano rapide delle goccioline che gli bagnavano le guance e la bocca. Il giubbotto di pelle era reso ancora più lucido a causa dell'acqua che scivolava sulla stoffa impermeabile, per non parlare dei pantaloni che cominciavano ad appiccicarglisi alle gambe, ghiacciandogli la pelle. Aveva la sensazione di avere un acquario nelle scarpe, tant'è che quando spostava il peso da un piede all'altro, usciva acqua attraverso la tela.
 
La coda di Beth si era ridotta a uno straccio, quasi letteralmente: sembrava stesse indossando le frange di uno spazzolone per pavimenti. A nulla era servito il tentativo di domare i suoi capelli con il phon, perché a causa dell'umidità si stavano arricciando di nuovo. Il trucco era inevitabilmente colato e ora un alone nero le circondava gli occhi facendola assomigliare ad un panda. Il cappotto in lana cotta era impregnato d'acqua e si era appesantito, gravandole sulle spalle. Aveva avuto la mezza idea di tenerselo addosso, ma al riparo dalla pioggia, se possibile, sentiva ancora più freddo così alla fine se l'era sfilato rimanendo con addosso solo la camicetta gialla e il golfino in tinta.
 
“Non piove eh?” le disse lui beffardo.
 
“Non ha mai piovuto così ad Atlanta!” si difese; ma nella sua mente si contraddisse subito. Be, non proprio mai. Si guardò attorno ma non trovò un posto asciutto, così si accontentò di stare al coperto e si sedette su uno dei gradini che portavano allo scivolo. Non che sentisse molta differenza dato che anche lei era bagnata da capo a piedi. Dopo un paio di sbuffi, si sedette anche lui.
 
“Sai, in tutto questo tempo non mi hai raccontato niente di te. Hai parlato dei tuoi, di tuo fratello, ma mai di qualcosa che riguardasse te.” gli disse ad un certo punto, osservandolo di sottecchi. Lui bofonchiò in un mugugno non ben definito. “Ma a quanto pare era destino che scoprissi qualcosa.” ritentò.
 
Daryl la guardò stranito, non capendo cosa intendesse. Beth fece un sorrisino, divertita dall'espressione dell'uomo accanto a sé e dopo averlo tenuto un po' sulle spine spiegò. “Merle. Sai che tuo fratello è venuto a trovarmi, no?” Altra pausa. “È stato... illuminante.”
 
“Cosa ti ha detto?” le chiese incredulo e già nervoso al pensiero che avessero parlato di lui.
 
“Ah, non sai! Mi ha spifferato tutti i tuoi segreti.” disse tirando giù le maniche del maglioncino per scaldarsi le mani. Ma quando vide che l'uomo accanto a lei era davvero teso al pensiero, gli fece un sorriso e scosse la testa. Lui rimase comunque ad osservarla incerto, ma quando capì che era solo uno scherzo, mise un broncio offeso davanti al quale Beth non poté che ampliare il sorriso.
 
“Ma guarda...” l'aveva sentito borbottare tra una cosa e l'altra.
 
Poi erano tornati in silenzio.
 
Non voleva forzarlo a confidarsi; certo durante l'ultimo periodo non gli aveva dato tregua. Tra i cuoricini, il pranzo-ritratto e i messaggi sull'accoppiamento degli animali non lo aveva lasciato in pace un attimo. E poi sospettava che Rick avesse capito la sua cotta per l'altro Duke, o non si spiegava perché avesse spinto Daryl ad accompagnarla al Festival.
 
 
“Mi è sempre piaciuto andare al parco.” disse ad un certo punto. “Dopo scuola stavo fuori a giocare finché non tramontava il sole. In inverno andava abbastanza bene perché di solito tornavo a casa entro le sei del pomeriggio. Ma durante le estati è capitato più di una volta che Maggie venisse a recuperarmi perché era troppo tardi e la mamma aveva già preparato la cena.” raccontò con lo sguardo perso tra i ricordi.
 
“Papà all'epoca lavorava molto più fuori casa rispetto ad ora, ma mi ricordo che quelle rare volte che non era assillato dagli impegni, prima che uscissi mi faceva sedere sulle ginocchia e mi diceva sempre "Sta' attenta Beth, mi raccomando. Non parlare con gli estranei e non accettare nulla da qualcuno che non conosci. Gli estranei prima ti offrono le caramelle e poi ti rapiscono".”
 
Daryl sul momento non capì; perché mai gli stava parlando proprio di suo padre? Era fosse un modo per spingerlo ad aprirsi? Eppure aveva sostenuto il contrario proprio poco prima. Si voltò verso di lei, non capendo cosa intendesse, pronto a chiederle spiegazioni con lo sguardo, ma appena la vide, una frase gli rimbombò in testa come un dejà-vu.
 
“Papà non vuole che parlo con gli sconosciuti. Mi ha detto che prima ti danno le caramelle e poi ti rapiscono!”
 
Forse era stata la pioggia battente che tamburellava sulla tettoia come se volesse isolarli dal resto del mondo, forse era stata la sua espressione innocente, oppure il golfino giallo che giurava di trovare terribilmente famigliare, oppure ancora gli era semplicemente tornato in mente risentendo quella frase.
 
Nella sua testa, chiaro come se fosse successo il giorno prima, gli apparve quel pomeriggio di tanti anni prima quando - sotto un acquazzone molto simile a quello - aveva trovato proprio su quello scivolo una bambina dai capelli biondi, tutta sola, che tremava di freddo. Rimase in silenzio. Non sapeva che fare, mentre in testa si accavallavano pensieri sconnessi.
 
“Dovrai dirglielo prima o poi.”
 
“Ti piace davvero...”
 
“Non lasciartela scappare.”
 
“Sei cotto di questa ragazza!”
 
“Sei tu a poter decidere.”
 
Scosse il capo come per darsi una svegliata; le voci nella sua testa lo stavano confondendo sempre di più, ma prima ancora che potesse pensarci o rendersene conto, le rispose.
 
“Io non ho le caramelle.”
 
Nel momento esatto in cui pronunciò quelle parole, spalancò leggermente gli occhi. Era stato davvero lui a parlare? La sua voce gli era arrivata lontana e totalmente inaspettata, come se non fosse stato lui a decidere di pronunciare quelle cinque parole in croce. Eppure lo aveva fatto, e adesso sentiva su di sé lo sguardo insistente della ragazza.
 
Non voleva voltarsi verso di lei; se l'avesse fatto avrebbe voluto dire buttarsi e lui non era mai stato avvezzo a cose del genere. Non poteva. No credeva di riuscirci, tra l'altro. Se fosse rimasto fermo non sarebbe successo niente e finito l'acquazzone l'avrebbe riportata a casa, come quella sera dopo il Festival.
 
Era davvero un coglione. Da quando lei aveva iniziato ad avvicinarsi, aveva avuto paura che una volta o l'altra si sarebbe spinta troppo oltre e sarebbe successo qualcosa. Ma almeno, se così fosse stato, avrebbe potuto schermarsi, liquidare il tutto a mero passatempo o dare la colpa a lei ed allontanarsi.
 
Invece quella biondina dalla lingua lunga sembrava avergli fottuto il cervello. Si comportava come un ragazzino quando era solo con lei, motivo per cui non solo arrivavano sempre al limite di quella che nella sua testa aveva rinominato “safe zone”, ma era lui a portarli fino a quel punto!
 
Non era capace di stare con una persona, ma a quel punto doveva chiedersi... sarebbe riuscito a stare senza?
 
Non seppe nemmeno lui con che coraggio si girò; quando la guardò le vide un'espressione in volto che - se la cosa non avesse coinvolto lui in prima persona - lo avrebbe anche fatto ridere. Sembrava sconvolta, almeno tanto quanto lui. Abbassò lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il peso di quelle iridi chiare che sembravano scavarlo dentro, ma non si voltò. Rimase solamente immobile con gli occhi bassi posati sulle sue labbra e il cuore che martellava nel petto all'impazzata.
 
In quei momenti avrebbe pagato per avere la scioltezza di Merle: un braccio attorno alle spalle, magari una palpata al culo e subito si trovava spiaccicato alla parete del locale di turno con la lingua della donna di quella sera in bocca. Dio, doveva essere davvero disperato per aver pensato una cosa del genere.
 
Anche se non osava sollevare gli occhi, sapeva che lei lo stava ancora guardando; da quando le aveva risposto era come se il tempo si fosse fermato.
 
Lentamente si fece un po' più vicino e con un coraggio che non pensava di possedere, rialzò lo sguardo su di lei, ed eccoli. Ecco lo stesso timore e la stessa speranza che aveva letto nei suoi occhi quell'unica sera in cui si era inconsciamente avvicinato a lei, come se lo stesse attirando come una calamita.
 
Man mano che si faceva vicino gli occhi di Beth si socchiudevano sempre di più finché, quando posò le labbra sulle sue, si serrarono. Lui invece non riuscì a chiuderli del tutto. Se li avesse chiusi forse lei sarebbe svanita come fumo tra le dita. Aveva bisogno di sentirla e capire che non era frutto della sua immaginazione.
 
Posò le mani fredde ai lati del suo viso, come per assicurarsi che rimanesse e lentamente cominciò ad accarezzarle una guancia bollente con il pollice. Era così piccola tra le sue mani grandi. Si sorprese quando anche lei si mosse e portò le braccia a cingergli il collo, mentre con la mano sinistra gli accarezzava i capelli alla base della nuca. E si sentì andare a fuoco quando, subito dopo, dalla sua gola salì un mormorio soddisfatto. Ma sembrava che a lei non importasse tutto quello per cui lui tanto si preoccupava.
 
Il cuore di Beth galoppava all'impazzata tanto che gli rimbombava nei timpani, era talmente accaldata che temeva di avere un infarto in quel preciso istante. Quando aveva sentito la sua risposta non aveva potuto crederci; si era davvero ricordato anche di quel pomeriggio piovoso di tanti anni prima.
 
Quando poi l'aveva visto girarsi, l'aveva scombussolata talmente tanto che aveva avvertito la terra mancargli sotto i piedi. Per quanto lo desiderasse, non gli avrebbe mai rubato un bacio. Per come aveva imparato a conoscerlo, sapeva che doveva essere lui a fare il primo passo e soprattutto doveva farlo da solo; così era rimasta immobile sperando che almeno non si tirasse indietro come l'ultima volta che erano rimasti soli.
 
Aveva avuto un momento di timore quando aveva abbassato lo sguardo; era quello il momento più difficile per lui. Decidere cosa fare. Ma quando gli occhi chiari di Daryl si erano legati di nuovo ai suoi e lui aveva incominciato ad avvicinarsi a lei, aveva capito. All'inizio il bacio fu molto leggero, un semplice sfiorarsi di labbra e lo abbracciò proprio per non farlo scappare.
 
Voleva che si sentisse a suo agio con lei, anche se in quel momento il cervello le era andato totalmente in pappa. Aspettava quel momento da tredici anni; era sicura di poter dire che lui fosse l'amore della sua vita e nonostante stesse accadendo, non riusciva a crederci.
 
Dopo qualche istante passato a studiarsi, schiuse leggermente le labbra e gli diede un bacio più deciso rispetto al delicato conoscersi che era stato fino a quel momento. Da lì, senza sapere bene come, Beth si ritrovò con la schiena appoggiata alla parete di legno rosso alle sue spalle, mentre Daryl le stava accanto e la stringeva forte a sé. Sembrava sovrastarla anche da seduti, ma a lei non era mai sembrato tanto dolce come in quel momento.
 
Quando si separarono per sopperire alla mancanza d'ossigeno, Daryl chiuse subito gli occhi posando la sua fronte su quella di lei, ma aumentando la presa attorno ai suoi fianchi, dove un braccio era andato a posarsi nel frattempo.
 
Sì, per lei avrebbe potuto rischiare.




Angolo autrice:
 
*1 Totò Sapore, 2003.
*2 La Bella e la Bestia, 1991. Tockins.
*3 Action Packed, Ronnie Dawson, 1958.
 
Ciao a tutte! Non posso crederci che siamo davvero già arrivati all'ultimo capitolo! Il tempo è volato e non sembra vero che la storia sia già finita. Questo capitolo è stato durissimo da scrivere: non tanto per le idee o perché avessi un blocco, ma credo che fosse perché in realtà mi dispiaceva finire la storia. All'inizio ero anche indecisa se pubblicarlo in due parti o in una sola (è il doppio di uno dei miei capitoli "normali"), ma alla fine ho deciso di lasciarlo tutto intero e servirvelo così. Spero che non vi peserà troppo leggerlo (per la lunghezza) e che vi piacerà come andranno le cose^^ A breve pubblicherò anche l'epilogo, ma fondamentalmente le cose finiscono così :) A proposito! La suoneria di Rick, Action Packed, è la stessa canzone che viene usata nella serie quando Rick e Daryl sono insieme in macchina durante l'episodio 6x10. Questa -> https://www.youtube.com/watch?v=wfmp950atxA
 
Che dire, ormai siamo arrivati alla fine, ringrazio chi ha letto questa storia, chi l'ha messa tra le seguite/preferite/ricordate e tutti quelli che hanno recensito, in particolare Leayna e Heihei che praticamente hanno commentato tutti i capitoli o quasi, e mi hanno "seguita" passo passo in questa avventura.
 
Ci vediamo (?) per l'epilogo e spero anche in futuro, se dovessi cimentarmi in un'altra storia!
 
Un abbraccio,
·Machaira·

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16 - Epilogo
 
Quando quel mattino si svegliò, si ritrovò sola; pigramente, allungò un braccio per esplorare l'altra metà del letto ma niente, lui non c'era. Le lenzuola sotto il piumone però erano ancora tiepide, segno che non doveva essersi alzato da molto. Pensò che avrebbe potuto controllare se fosse ancora in casa ma, non appena scostò le coperte, un rivolo di aria fredda le lambì le caviglie facendole venire la pelle d'oca. A pensarci bene sarebbe potuta rimanere benissimo a letto; chi glielo faceva fare di abbandonare il tepore di quel giaciglio? Tutti i suoi propositi furono spazzati via quando sentì sbattere la porta del bagno. Valeva la pena alzarsi.
 
Ricorrendo a tutta la sua forza di volontà si sollevò con un colpo di reni e dopo un sospiro ancora assonnato scese dal letto, trascinando lentamente i piedi sulle piastrelle fredde. Arrivata davanti alla porta scorrevole vi poggiò pesantemente una mano e la aprì; socchiuse gli occhi, abbagliata dalla luce fredda di quel mattino che entrava dalla porta finestra, e restò lì in mezzo al soggiorno con una mano a coprirle il viso.
 
Come sempre non capì da che direzione provenisse, ma ad un certo punto sentì la sua mano posarsi sul suo fianco e le sue labbra contornate dalla barba sfiorarle una tempia. Fu un contatto rapido e leggero, come tutte le mattine addietro, ma Beth non avrebbe potuto immaginarsi un risveglio migliore. Le prime volte l'aveva presa in contropiede ed era stato tutto talmente veloce che temeva di esserselo sognato; col senno di poi, si era resa conto che probabilmente lui approfittava proprio dei momenti in cui non era ancora del tutto vigile per compiere quei piccoli gesti a cui normalmente non era avvezzo. Ormai si era abituata, ma anche quando era ben sveglia si fingeva annebbiata dal sonno solo per farsi dare quel bacio che ancora le faceva tremare le gambe.
 
“Buongiorno.” mormorò con voce morbida. “Che ore sono?”
 
“Le nove.” le rispose lui dopo qualche istante.
 
“Abbiamo ancora tempo.” disse più a sé stessa. Guidata dal rumore gli si avvicinò pian piano con gli occhi semichiusi e gli cinse la vita con le braccia, mentre lui era impiegato a chiudere la moka del caffè. Appena l'aveva sentita sfiorarlo, aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani, come se ancora si sorprendesse. Accese il fornello e vi posò la caffettiera, poi finalmente si girò verso di lei. Beth non gli diede il tempo di fare nulla che già si era sollevata sulle punte per dargli un bacio a fior di labbra. Quando finalmente aprì gli occhi, lo guardò stranita e si scostò leggermente confusa.
 
“Ma cos'hai fatto?” chiese osservandolo attentamente.
 
“Devo ricordati la scommessa di ieri sera?” borbottò.
 
 
 
Il pomeriggio precedente Daryl era andato a prendere Judith all'asilo; Carl era in gita e sia Rick che Beth erano immersi fino al collo in un caso importante, così era rimasto solo lui. Quando era entrato nella classe della bambina aveva visto un suo compagno avvicinarsi e passarle un foglio. La cosa l'aveva un po' infastidito ma non aveva detto niente; si era limitato a chiamarla e a quel punto Judith aveva voltato la testa di scatto sorridendo. Come un fulmine si era alzata dal suo posto, aveva spinto la seggiolina sotto il tavolo e poi gli era corsa incontro abbracciandolo stretto all'altezza delle ginocchia. Il resto del pomeriggio era passato tranquillamente come tanti altri: dopo aver fatto merenda erano andati al parco e dopo un paio d'ore Beth li aveva raggiunti.
 
“Allora, che c'è che non va?” gli aveva chiesto dopo qualche minuto. Niente da fare, ormai capiva subito quando qualcosa non andava.
 
“Mmm…” aveva mormorato poco convinto, lanciando uno sguardo fugace a Judith che si dondolava avanti e indietro sull'altalena. “Oggi, quando sono andato a prenderla all'asilo, ho visto una cosa che non mi è piaciuta.” Beth lo guardò attenta, invitandolo a proseguire. “Un bambino le si è avvicinato e l'ha infastidita.” concluse secco.
 
“Che cosa le ha fatto?” chiese preoccupata lei.
 
Daryl la guardò per qualche istante e poi prese lo zainetto rosa che la piccola gli aveva lasciato, cominciando a frugare alla ricerca di qualcosa. “Le ha dato questo.” disse serio, passando un foglietto alla ragazza.
 
Beth aprì la prova incriminata e l'osservò attentamente. Il disegno raffigurava due bambini - piuttosto sproporzionati a dire il vero - che passeggiavano su un prato fiorito e si tenevano la mano sotto il Sole sorridente. Nell'angolo in basso a destra il bambino aveva fatto scrivere alla maestra "ti voglio bene". Sorrise e sollevò lo sguardo sull'uomo accanto a sé. “Le ha fatto un disegno, e quindi?”
 
“Come "quindi"? Non vedi che c'è scritto? E quel cuore?” domandò su di giri come se avesse appena scoperto la base di una cella terroristica.
 
“Ma che vuoi che sia, sarà il suo amichetto.” minimizzò. “Lei cosa ti ha detto?”
 
“Perché dai per scontato che le abbia chiesto qualcosa?” rispose lui sulla difensiva. Beth incrociò le braccia al petto divertita e lo guardò trattenendo a stento un sorriso. Per tutta risposta Daryl sbuffò. “ "È il mio amico". Ecco cosa mi ha risposto.”
 
“Visto? Non c'è di che preoccuparsi, è normale.” lo liquidò lei, pensando che il discorso fosse infine giunto a una conclusione. Eppure sapeva che non era così, perché sentiva che lui doveva dire ancora qualcosa.
 
“Ma Judith non è mai tornata a casa con un disegno del genere.” insistette infatti poco dopo.
 
“Be' se è il suo amichetto…” lasciò la frase in sospeso, sperando che finalmente lui capisse.
 
“In che senso?” si avvicinò lui, sussurrando come se stessero cospirando chissà cosa.
 
“Su Daryl! È evidente che è il suo fidanzatino!” rise lei. “Tutti ce l'hanno all'asilo, anche io ce l'avevo.”
 
Lui era rimasto pietrificato per un minuto buono e poi era esploso: “Cosa?! Ma lei ha solo quattro anni!”
 
“Anche lui.” ribatté lei, sempre più divertita dalla situazione.
 
“Non c'entra niente; i maschi pensano sempre a una cosa sola.” aveva borbottato nervoso.
 
“Ah sì?” gli aveva chiesto lei con tono falsamente offeso, rifilandogli un'occhiata ambigua.
 
“Smettila di prendermi per il culo.” Le aveva rifilato un'occhiataccia e poi aveva fatto leva sulle ginocchia per alzarsi. “Forza, si torna a casa!” aveva dato voce alla bambina.
 
Il discorso si era chiuso lì e non ne avevano più parlato; dopo aver riaccompagnato la piccola erano tornati a casa anche loro e avevano preparato la cena. Eppure Beth si era accorta che, nonostante tentasse di non darlo a vedere, lui ci stava ancora pensando. Non che fosse un gran chiacchierone, ma quella sera si era chiuso in un mutismo quasi totale, rispondendo solo con qualche mormorio distratto ai suoi discorsi.
 
Ad un certo punto sbuffò spazientita. “Basta, se continui così ti uscirà il fumo dalle orecchie. Adesso la chiamo e glielo chiedi.” gli disse mentre si alzava per raggiungere il cellulare.
 
“Non serve, lei non sta con quel… coso.” aveva ribattuto dandole finalmente una risposta diversa da "Sì.", "No." e "Mmm."
 
“Ci scommetti?” lo provocò lei, guardandolo con uno sguardo furbo.
 
Daryl l'aveva osservata in silenzio per qualche secondo. Non sapeva se era meglio saperlo e averne la certezza o non saperlo e rimanere col dubbio. Avrebbe voluto dirle semplicemente di no e chiudere quella storia, ma quando lo guardava così, quando toccava il suo punto debole, non poteva tirarsi indietro.
 
“Andata.” rispose, vincendo all'orgoglio.
 
Beth aveva chiamato casa Grimes e si era fatta passare Judith; con noncuranza le aveva detto che quel pomeriggio aveva visto il disegno che c'era nel suo zainetto e che lo trovava molto bello. Con allegria la bambina le aveva spiegato che gliel'aveva regalato un certo Pete. A quel punto la ragazza aveva lanciato un'occhiata soddisfatta a Daryl, che stava ascoltando la conversazione in vivavoce, e poi aveva chiesto chi fosse.
 
Con un candore disarmante la bambina aveva risposto: “Il mio fidanzato! Non è bello come il papà o zio Daryl, ma loro sono troppo grandi.” Dopo una breve pausa aveva aggiunto: “Se vuoi posso farti conoscere Jeremy, a lui piacciono tanto le bambine bionde come te!”
 
A quel punto Daryl le aveva rubato il cellulare di mano e aveva salutato Judith con un veloce “Vai a nanna spaccaculi.” chiudendole il telefono in faccia. Mentre si allontanava, Beth lo aveva sentito sputare innervosito un “Pete.
 
Divertita dal fatto di aver avuto ragione, e ancora di più dalla sua reazione, lo seguì in camera saltellando. “Ho vinto!”
 
La punizione per la scommessa che aveva scelto non era niente di che in effetti, ma era il gesto morale a contare: il tutto aveva consistito nel truccare niente popò di meno che l'inarrivabile Daryl Dixon. Lo aveva fatto sedere sul letto e sorda alle sue proteste gli aveva chiesto: “Qual è il tuo colore preferito?”
 
Senza pensarci le aveva risposto: “Verde.”
 
Lei aveva sorriso ancora più divertita e aveva gongolato “Ti starà benissimo.”
 
Nemmeno un'ora dopo l'uomo si stava ammirando sconvolto ad un piccolo specchio che era riuscito a trovare tra i trucchi, mentre lei si godeva la sua creazione: gli aveva fatto uno smokey eyes sui toni del verde e aveva completato il tutto con un rossetto aranciato.
 
“Saresti perfetto come protagonista di "Priscilla - La regina del deserto".” lo prese in giro.
 
“Cosa?” chiese confuso lui.
 
“Sai quel film che tento di farti vedere almeno una volta a settimana e puntualmente tu sparisci?” gli spiegò.
 
“Ah quello dei tre froci in Australia.” disse lui con tono ovvio “Be', conciato così cos'altro poteva essere?”
 
“Ma smettila! Guy Pearce è un gran bell'uomo…" mormorò lei mentre gli metteva il mascara. “Finito! Allora, come ti sembra?”
 
“È pesante, è normale?” disse solo, cominciando a sbattere le palpebre.
 
 
 
Come avrebbe potuto dimenticarsi della scommessa del giorno prima? Alla fine l'aveva convinto a rimanere così fino alla mattina dopo, ma quando erano a letto lui aveva strusciato apposta il viso sul suo per tentare di togliersi tutto quel trucco.
 
“Me la ricordo bene, ma perché sembri un panda?” gli domandò divertita.
 
“Perché sto cazzo di coso non va via!” esclamò con ovvietà.
 
“È impossibile, a me si toglie sempre senza problemi. Cos'hai usato?”
 
“Ho provato di tutto: il sapone, lo shampoo e persino il detersivo dei piatti. Non va via più di così e pesa ancora.” ribatté sicuro indicandosi le ciglia con un dito.
 
“Il detersivo dei piatti?! Ma sei matto! È già tanto che gli occhi non ti siano caduti!” esclamò incredula. “Perché non hai usato il mio struccante? È nell'armadietto.”
 
“E io cosa dovrei saperne?” chiese sulla difensiva, alzando le spalle.
 
Beth scosse la testa e gli sorrise. “Vieni, ci penso io.” disse prendendolo per mano e incamminandosi verso il bagno. “Tra poco dobbiamo andare e ci conviene far sparire questo mascherone dalla tua faccia se non vuoi che tutti ti vedano così.”
 
§§§
 
Rick aprì lentamente gli occhi e li fece correre per la camera ancora immersa nella penombra. Immediatamente notò che c'era qualcosa di strano, anche se non riuscì a capire subito cosa fosse. Dopo qualche minuto di contemplazione verso il soffitto, notò che il sole era troppo alto nel cielo rispetto al solito ma la casa era ancora silenziosa. Si voltò pigramente verso la sveglia e non appena vide l'ora sobbalzò sul materasso, trasalendo.
 
“Cazzo, è  tardissimo!” mormorò concitato.
 
Saltò giù dal letto come un povero pazzo con il diavolo alle calcagna e attraversò la stanza a grandi passi; durante il tragitto non mancò di inciampare in un paio di pantaloni appallottolati e di calpestare uno dei lego di Judith che gli fece vedere le stelle. Arrivato di fronte alla porta alla sua sinistra la spalancò e percorse il pianerottolo velocemente.
 
“Carl! Muoviti! È tardi, dobbiamo andare!” urlò al figlio dopo essere entrato in camera sua.
 
“Eh? Come?” chiese il ragazzo con la voce impastata, rigirandosi tra le coperte.
 
“Forza alzati! Tra mezz'ora dobbiamo andare! Sai che ci ammazza se non arriviamo puntuali!” continuò ad gridare in preda all'agitazione mentre apriva le tende con un colpo secco. “La mia sveglia non è suonata. Ma non l'avevi puntata anche tu?” chiese agitato.
 
“Ma cosa ne so…” disse Carl mugugnando e coprendosi gli occhi con un braccio per proteggerli dalla luce.
 
“Dai, scendi dal letto! Io vado a vestire tua sorella, entro le undici ti voglio giù!” esclamò uscendo e sbattendosi la porta alle spalle. Aprì in fretta anche la porta della camera della bambina ma vide che era vuota. Rimase un secondo stranito, guardandosi intorno per assicurarsi che non fosse lì e poi, ricordandosi che era già abbastanza in ritardo, si riprese velocemente e provò a vedere se non si trovasse in bagno. Niente anche lì.
 
“Posso?” lo raggiunse poco dopo la voce del figlio, che lo guardava appoggiato allo stipite della porta. Rick uscì dal bagno e lui si chiuse dentro. Poco dopo partì il getto di acqua calda.
 
Scese fino a metà scala e poi chiamò la bambina: “Judith? Dove sei?”
 
“Sono in collasso sul divano.” gli rispose pimpante. L'uomo rimase basito, immobilizzandosi, di fronte al linguaggio usato dalla piccola; di certo non poteva averlo imparato all'asilo. Solo una persona aveva potuto insegnarglielo.
 
“CARL!” urlò a pieni polmoni, rivolto al piano di sopra.
 
“Eh?” gli giunse lontano l'eco della voce del ragazzo.
 
“Sì, fai finta di non sentire…” mormorò a voce nemmeno troppo bassa, tornando in camera della piccola. Grazie a Dio aveva già preparato i vestiti.
 
In realtà la cosa andava avanti da un po' di tempo; una volta si erano svegliati in ritardo e le aveva fatto indossare le prime cose che aveva trovato. Quella sera la bambina si era seduta sul suo letto a gambe incrociate e gli aveva chiesto se non la trovasse strana. Lui aveva risposto semplicemente di no e lei si era infervorata tutta dicendo che gonnellina fucsia, maglietta rossa e calze a righe verdi e blu erano bruttissimi insieme. Da quel momento aveva cominciato a scegliersi i vestiti da sola. Prese l'abitino blu che c'era sulla seggiolina ai piedi del letto e scese al piano di sotto trovandola, come gli aveva già annunciato, sdraiata sul sofà.
 
“Vieni tesoro, dobbiamo vestirci.” disse avvicinandosi.
 
“No, non voglio!” rispose lei alzandosi in piedi sul divano e cominciando a saltellare sui cuscini morbidi.
 
“Dai, vieni qui.” disse continuando ad andare verso di lei.
 
“No, no, nooo! Prendimiii!” aveva esclamato saltando giù dal divano e cominciando a correre, urlando divertita. Rick pregò solo che non stesse andando di sopra o non l'avrebbe presa mai più se si fosse nascosta da qualche parte. Tentò in cucina - sperando che la fortuna lo assistesse - ma niente, lì non c'era. Sbuffò innervosito, pensando che il tempo intanto passava e doveva anche trovare il tempo di rinfrescarsi prima di uscire di casa.
 
“Judy! Dove sei?” chiese una volta tornato nel mezzo del pianerottolo del primo piano. “Sei in camera?”
 
“No!” sentì che gli rispondeva, scoppiando a ridere.
 
“Ah, se ti prendo piccola peste!” non riuscì a trattenere un sorriso e scosse la testa mentre entrava nella stanza di fronte a sé. Le tende erano state tirate e la fredda luce autunnale entrava dai vetri delle finestre di fronte a lui, illuminando tutt'intorno.
 
“Ah! Tana, tana!” disse la bimba quando lo vide, agitandosi tra le braccia della donna.
 
“Ma cosa sta succedendo qui?” domandò Michonne divertita mentre alternava lo sguardo tra i due.
 
“Papà mi vuole prendereee!” rispose la piccola con un gridolino.
 
“Papà! E perché vorresti prenderla?” stette al gioco, squadrando l'uomo di fronte a sé con un cipiglio fintamente guardingo.
 
“Perché la signorina deve vestirsi, ma ha deciso che è meglio giocare a guardie e ladri.” spiegò guardando di sottecchi la piccola, come per evidenziare ancora di più quanto avesse ragione.
 
“Dai Judith, sai che dobbiamo andare. Cosa ne dici principessa? Andiamo a farci belle?” chiese la donna alla bambina.
 
“Certo, quello è il mio vestito preferito!” rispose regalandole un gran sorriso.
 
“Due contro uno non vale..!” esclamò Rick avvilito, abbassando le spalle. Mentre gli passava accanto con Judith tra le braccia, Michonne gli strizzò l'occhio e gli posò un bacio leggero sulle labbra.
 
“Ci penso io, tu vai a prepararti.” lo rassicurò uscendo dalla stanza.
 
Non gli sembrava vero; anche se era passato già qualche mese da quando era andata a stare da loro (per la gioia di Judith, soprattutto), ogni tanto si riscopriva stupito che gesti tanto semplici fossero tornati a far parte della sua quotidianità. In piedi in mezzo alla stanza con un sorriso leggero sulle labbra e i vestiti puliti tra le mani, non si accorse che era libero finché la voce arrochita di Carl lo raggiunse.
 
“Papà, ho finito!”
 
Si svestì in fretta mentre andava verso il bagno, lasciando i vestiti un po' dove capitava. Appena dentro guardò l'ora sul display del telefono: 10.45. Aveva un quarto d'ora scarso. Fece la doccia (gelata) in tutta fretta, insaponandosi velocemente sia il corpo che i capelli con il bagnoschiuma, mentre contava a mezza voce i secondi che passavano. Se non fosse stato preso dall'urgenza del momento, probabilmente avrebbe trovato la scena piuttosto comica; quasi gli sembrava di sentire in sottofondo la classica canzoncina che mettevano nei circhi durante le scene dei pagliacci.
 
Era appena arrivato a trecento quando spense l'acqua e si fiondò davanti allo specchio, nudo come un verme e scosso dai brividi di freddo causati dalla bassa temperatura nella stanza e dal contatto con le mattonelle gelate sotto i suoi piedi. Si sfregò le mani sulle braccia per scaldarsi, mentre piccole goccioline d'acqua scendevano dai ricci appiccicati alla sua fronte. Si guardò intorno alla ricerca di un asciugamano e ne trovò uno tra il lavandino e la tazza del water; senza indagare troppo lo prese e cominciò ad asciugarsi velocemente.
 
Quando si guardò allo specchio quasi si maledisse; dannazione, perché non si era fatto la barba la sera prima?
 
Con la salvietta avvolta in vita si abbassò sul cassetto dell'armadietto alla ricerca di un rasoio e della schiuma da barba. Cercò per un paio di minuti buoni ma non trovò nulla.
 
“Carl! Dove sono le cose per radersi?!” urlò rivolto verso la porta.
 
“Non lo so papà!” gli rispose quello dal salotto.
 
“Chi vuoi che usi il rasoio a parte te e me?! Sputa il rospo, non posso uscire con questa faccia! ” ribatté innervosito, mentre il tempo passava.
 
“Chiedi a Michonne!” Il ragazzo liquidò l'argomento continuando ad allacciarsi le scarpe.
 
“Michonne?” si domandò stranito tra sé e sé. “MI STAI PRENDENDO IN GIRO?!”
 
Poco dopo la porta si aprì piano e proprio il viso della donna fece capolino. “Scusa.” esordì con un sorriso furbo porgendogli proprio quello di cui aveva bisogno.
 
“Ma che cosa...?” le chiese basito.
 
“Il tuo rade molto meglio del mio, poco ma sicuro.” gli spiegò. “E non mi sembra ti dispiaccia.” aggiunse abbassando la voce.
 
Rick abbassò la testa, tentando di nascondere un sorriso divertito che gli era sorto spontaneo. Dopo poco si sporse verso di lei e, tenendosi la salvietta con una mano, prese il rasoio e la bomboletta che gli stava porgendo.
 
“Se chiudi finisco prima.” le disse, osservandola dallo specchio mentre si spruzzava la schiuma da barba su un palmo.
 
“Non sono sicura di volere che tu finisca così in fretta.” rispose lei, guardandolo negli occhi. Dopo una manciata di secondi si convinse e richiuse la porta.
 
L'uomo sospirò, scuotendo la testa. L'avrebbe tirato matto, o forse c'era già riuscita. Guardò un'altra volta l'ora sul cellulare: segnava le 10. 53. Cazzo, doveva muoversi! Si spalmò la crema su tutto il viso, talmente veloce che un po' gli entrò nelle narici, facendogli mancare l'aria per un momento. Prese il rasoio e con gesti impazienti cominciò a radersi. Probabilmente non si era mai fatto così male la barba in vita sua e ne ebbe la conferma quando, mettendo il dopobarba, si sentì bruciare in più punti tanto che gli vennero le lacrime agli occhi.
 
Lanciando un'ultima occhiata al telefono capì che il tempo era finito. Si infilò velocemente i boxer, i calzini, i pantaloni e, mentre stava per indossare la camicia, Judith lo chiamò con voce squillante: “Papà! Sono le undici! Veloce, noi siamo tutti pronti!”
 
Sbuffando esasperato afferrò giacca, camicia, le scarpe e si precipitò giù per le scale. “Oggi guida Michonne.” disse a nessuno in particolare, aprendo la porta d'ingresso e dirigendosi verso l'auto ancora mezzo svestito.
 
§§§
 
Finalmente, dopo una decina di minuti di soli campi, riuscirono a vedere la Fattoria dei Greene. Il grano era stato raccolto tempo prima e in quel momento, fatta eccezione per il prato giallo che andava via via morendo e gli alberi sempreverdi che punteggiavano la strada battuta e il bosco, era rimasta solo la nuda terra.
 
Ciononostante, a Maggie la fattoria non era mai sembrata così bella. Era tanto che - per molti motivi, primo fra tutti il lavoro - non riusciva a prendersi un po' di tempo per staccare dalla città e rifugiarsi nel loro "angolo di paradiso". Ma finalmente erano arrivati. Con un sospiro che le strinse il cuore, la ragazza guardò la casa che si faceva sempre più vicina e poi spostò lo sguardo sull'uomo accanto a sé.
 
Glenn, sentendosi osservato, si girò verso di lei e le chiese con una certa apprensione: “Tutto bene?”
 
Annuì e gli sorrise, vedendolo rilassarsi un poco nel sedile e continuare a guidare - alla velocità da brivido di trentadue chilometri orari - con lo sguardo fisso sulla strada. In un paio di minuti arrivarono a destinazione. Annette, che era sotto il portico a sistemare i cuscini sulle sedie di vimini, fu la prima a vederli arrivare e gli sorrise.
 
Maggie si slacciò la cintura e, prendendo il cheesecake che aveva tenuto sulle ginocchia per tutto il viaggio, aprì la portiera. In meno di un secondo Glenn, che fino a un attimo prima era seduto accanto a lei, gli si parò davanti e con gli occhi spalancati le chiese “Che fai?!” in un sussurro basso e inquisitorio.
 
“Scendo?” rispose lei in tono ovvio.
 
“No! Dai a me la torta; non puoi fare come se niente fosse, devi stare attenta!” la rimbeccò prendendole il vassoio dalle mani e aiutandola ad uscire dall'auto.
 
Lei trattenne un sospiro e con un sorriso tenero si aggrappò al suo braccio, dirigendosi verso casa. Non le era mai piaciuto dare nell'occhio ed era sempre stata una che si prende i propri tempi, per ogni cosa. A maggior ragione, in questo particolare caso non voleva far preoccupare i suoi genitori. Ma non si era mai trovata in quella situazione e doveva ancora trovare il modo e il momento per parlare. Certo era che se Glenn avesse continuato con quell'atteggiamento non sarebbe riuscita a tacere ancora per molto.
 
A qualche passo di distanza, Annette si era accorta che qualcosa non andava ma prima che potesse anche solo chiedere se andasse tutto bene, la piccola Judith uscì di casa, sgambettando verso la coppia.
 
“Ciao, Meg!” rise abbracciandole le ginocchia. Glenn le scoccò uno sguardo di fuoco che la bambina non colse e la ragazza accanto a lui si premurò di rassicurarlo con un bacio sulla guancia.
 
“Tranquillo, sto bene.” gli sussurrò piano. Forse un po' più convinto rispetto a prima delle sue parole, si separò dal suo fianco, lasciandola in balìa delle attenzioni della piccola Grimes e si avviò su per le scale d'ingresso. Appena entrati in casa sentirono un chiacchiericcio provenire dal soggiorno e dopo aver posato i cappotti sull'appendiabiti raggiunsero gli altri.
 
Hershel era seduto sulla poltrona, come al solito, dalla quale osservava tutta la stanza. Su un divano c'erano Beth, Rick e Daryl, mentre quello di fronte era occupato da Michonne e Carl.
 
“Figlioli!” li accolse il Generale Greene con un sorriso. “Venite, venite!” li invitò alzandosi. “Ciao tesoro.” salutò sua figlia dandole un bacio sulla guancia e aspettando che lei ricambiasse. “Ragazzo mio!” disse afferrandogli le spalle con un braccio. “Allora? Tutto bene?” domandò guardandoli.
 
“Sì, papà. Voi come state?”
 
“Ah, io e tua madre siamo dei combattenti, lo sai.” le strizzò l'occhio orgoglioso. “Vieni,” si rivolse a Glenn ancora intrappolato nella sua presa d'acciaio. “Accompagnami a scegliere il vino.” disse tirandoselo dietro.
 
Maggie, sulla poltrona che aveva occupato suo padre fino a pochi minuti prima, sorrise. E pensare che la prima volta che l'aveva presentato ai suoi genitori era convinta che suo padre non l'avrebbe mai accettato del tutto. Non che lui avesse qualcosa che non andasse, anzi! Per lei era perfetto. Ma Hershel era sempre stato un tipo all'antica e la sua tempra di generale non aveva addolcito il suo lato tradizionalista. In più, sia lei che Beth si erano rese conto molto presto che il loro papà era piuttosto selettivo con le loro... amicizie.
 
Non appena i due erano usciti, Daryl aveva sbuffato leggermente, per scaricare la tensione. Beth senza dire nulla, posò una mano sulla sua, stretta sul ginocchio e la prese dolcemente. Si guardarono per qualche istante e, quando lei fu chiamata dalla madre, dovette alzarsi e raggiungerla in cucina.
 
“Allora? Come sta andando? Sei ancora tutto intero vedo.” cercò di sdrammatizzare l'amico, seduto accanto a lui.
 
Dopo un'occhiataccia, Daryl alzò le spalle e appoggiò la schiena contro il divano. “Non sopporto i militari e sono finito con uno di loro.”
 
“Non sopportavi neanche i poliziotti e poi ti è passata.” gli fece notare.
 
“Non li sopporto ancora Rick. Sopporto te, è diverso.*1” precisò, facendo ridere l'uomo accanto a lui.
 
Intanto, nello scantinato, i due uomini al centro dei pensieri di Maggie parlottavano tra loro.
 
“A proposito”, esordì Hershel allacciandosi a un argomento che non aveva niente a che fare con quello precedente. “Che cosa sai di questo Daryl? Tu lo conosci?”
 
Glenn quasi si immobilizzò sul posto. Cosa avrebbe potuto rispondergli? “Certo, ho passato tutto l'anno scorso a consegnargli pizze sei giorni su sette, ventiquattrore su ventiquattro.” Proprio a lui doveva essere coinvolto in quella conversazione?
 
“Sì, è un ragazzo a posto, lo conosco da tanto.” cercò di non esporsi troppo. Non sapeva che cosa Beth avesse raccontato a suo padre e di sicuro non voleva "tradirla". D'altra parte quell'uomo era un vero segugio; sentiva la puzza di bruciato a chilometri di distanza. “Lei che ne pensa?” gli chiese allora.
 
“So solo che è amico di mia figlia. Anzi, non osano dirmelo ma io penso che flirtino un po'.” disse quasi in tono complice.
 
“È più che normale alla loro età...” rispose con nonchalance, in un modo accondiscendente che lo fece sentire più vecchio di quanto non fosse in realtà. Come se Daryl non fosse più grande di lui.
 
“È ovvio.*2” concordò. “Torniamo su, forza.” troncò il discorso piazzandogli tra le mani due bottiglie di vino rosso.
 
§§§
 
Quando Annette li aveva chiamati per il pranzo Beth aveva temuto che potessero capitare abbinamenti di posto spiacevoli - ad esempio il fatto che casualmente Hershel si tirasse Daryl il più vicino possibile per tenerlo sotto tiro - ma alla fine non poté lamentarsi. Uno dei capotavola era ovviamente occupato da sua madre, mentre l'altro da suo padre. Accanto ad Annette c'erano Rick, alla sua sinistra, e Carl, alla sua destra. Judith aveva insistito per sedersi a tutti i costi tra Rick e Daryl, così Michonne si era seduta accanto a Carl e Beth accanto a lei, in modo da essere di fronte al suo ragazzo in caso di bisogno. Vicino a lei c'era Glenn e alla destra di suo padre c'era Maggie. Meglio di quanto sperasse.
 
Si erano accomodati attorno al tavolo di noce già da una buona mezz'ora, eppure erano ancora agli antipasti; come al solito sua madre aveva esagerato. La tavolata era imbandita di ogni cosa: verdure cotte, insalata, due vassoi ricolmi di vari affettati (orgoglio del Generale), tartine, salmone affumicato in ogni dove, sottaceti, olive, fagiolini eccetera, ma il profumo che faceva da padrone era l'aroma fragrante del pane fresco, appositamente preparato dalla padrona di casa.
 
Roba da leccarsi i baffi, e infatti per alcuni minuti erano rimasti quasi in religioso silenzio, finché - dopo i complimenti rivolti alla cuoca - avevano ricominciato a chiacchierare, pizzicando qua e là qualcosa dal piatto.
 
“Allora.” cominciò il capo famiglia guardando il ragazzo alla propria sinistra. “Come va il lavoro, ragazzo?”
 
Glenn sollevò la testa dal piatto e si voltò verso di lui, per poi spostare lentamente lo sguardo sulla sua fidanzata, che gli stava proprio di fronte. Lei rimase immobile, ma lo ammonì con lo sguardo.
 
“Be'…” tentennò.
 
 
 
“Ti giuro che ripagheremo i danni.” gli disse Rick mentre osservavano Daryl e Beth allontanarsi sull'auto di servizio della pizzeria. Era davvero ridotta male: la vernice era abbondantemente scrostata in più punti, uno specchietto era stato tranciato di netto, l'insegna luminosa al led era tutta storta e - eccetto per qualche debole sprazzo - la luce era fuori uso. Inoltre la fiancata destra aveva parecchie ammaccature più o meno grandi, che comunque non passavano inosservate e contribuivano a dare all'insieme un non so che di degradato e fatiscente.
 
“E sono sicuro che quando parleremo con il tuo capo, lui capirà la situazione e non perderai il lavoro.” aggiunse il vicecapitano nel sedile accanto al suo prima di mettere in moto.
 
“Oh...” mormorò ancora indeciso se comunicargli la sua decisione o meno. Dopo qualche minuto passato in silenzio e interrotto solo dagli sbuffi di Nico (che continuava a lamentarsi di come le manette fossero troppo strette), si convinse a parlargliene. “Sai, penso che il vecchio Totò si meriti una macchina nuova.”
 
Rick gli lanciò uno sguardo veloce con la coda dell'occhio, intuendo che presto sarebbe arrivato un "ma".
 
“Però credo che non ci sarà bisogno di parlare con lui. Era già un po' che avevo la mezza idea di lasciare il lavoro come fattorino.” disse in un tono neutro, tentando di mascherare l'incertezza. E se gli avesse riso in faccia per la sua idea?
 
“Cosa pensi di fare allora?” gli domandò l'altro discretamente.
 
“Dopo le scuole medie mi sono trasferito qui dalla Corea per venire a stare dai miei zii; ero uno studente nella norma, ma quello che mi appassionava mi riusciva piuttosto bene. Una volta finito il liceo mi sono iscritto all'Accademia e per non pesare sulle spalle dei miei genitori - o tantomeno su quelle dei miei zii - ho cominciato a lavorare part-time da Totò per pagare la retta da solo. Dopo un paio d'anni sfortunatamente mio zio morì; mia zia non lavorava e la sua pensione non bastava per lei e i miei due cuginetti, così ho cominciato a frequentare sempre meno e a lavorare sempre di più, fino a quando non mi sono ritirato. Ho continuato a pagare la retta per non perdere gli esami dati, ma mi manca l'ultimo anno.” concluse leggermente sulla difensiva.
 
“E pensavo di ricominciare.” aggiunse, specificando l'ovvio.
 
“È fantastico! Niente paura, ce la farai.” gli sorrise l'altro per rassicurarlo, mentre parcheggiava e spegneva l'auto. Entrati in centrale, Rick portò il ragazzo ammanettato in una delle celle al piano di sotto, e quando tornò di sopra trovò Glenn seduto su una delle seggioline d'attesa.
 
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?” domandò, mettendogli una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.
 
Lui non rispose e si limitò a guardare qualche passo più in là una ragazza magra dal caschetto castano che parlava con la centralinista appoggiata al bancone.
 
“Ah...” mormorò Rick con l'aria di chi la sapeva lunga. “Sono sicuro che sia la scelta giusta.” gli sorrise.
 
 
 
Riemergendo dal flusso di ricordi, tornò a guardare l'anziano signore accanto a lui e cominciò: “Mi manca solo qual-” soffocò con un finto colpo di tosse la frase che stava per dire e riprese: “Mi mancano solo due esami, compresa la tesi, e finalmente potrò cominciare." si corresse in fretta.
 
“Bene, bene.” annuì orgoglioso il Generale. “Tesoro, ti senti bene?” domandò poi spostando lo sguardo sulla maggiore delle sue figlie, alla sua destra.
 
“Certo, perché me lo chiedi?” domandò Maggie stranita. Sperava che suo padre non se ne accorgesse, ma d'altra parte non credeva davvero di poterla fare ad Hershel Greene.
 
“Perché ho affettato apposta il prosciutto che ti piace tanto, ma vedo che non ne hai presa nemmeno una fetta.” insistette.
 
“In effetti hai ragione.” ammise lei per sviarlo: non sarebbe servito a niente dire che stava bene. E poi era vero: quello era sempre stato il suo preferito, ed era da tutto il pranzo che si stava facendo violenza psicologica per non allungare la forchetta e prenderne un po'. “Stanotte sono stata poco bene, temo sia stata colpa del salmone mangiato ieri sera, non doveva essere fresco come il pescivendolo mi aveva assicurato.” mentì, accampando una scusa.
 
“Ah... Non ci sono più le persone di una volta. Non c'è più l'eticità e il rispetto che ci si portava reciprocamente.” borbottò suo padre contrariato. “Mi spiace.” ammorbidì il tono, rivolgendosi di nuovo alla ragazza, che gli sorrise.
 
Il discorso non era sfuggito allo sguardo attento di mamma Annette che, non appena Hershel aveva nominato il malessere della figlia, aveva aguzzato l'udito. C'era qualcosa di strano nel suo comportamento; il modo in cui Glenn le stava attorno, come non la perdeva mai d'occhio, come scattava ogni volta che c'era un rumore strano. Quando li aveva visti scendere dall'auto le era sorto un dubbio, ma solo nel momento in cui - non vista agli occhi degli altri - Maggie si era accarezzata leggermente il basso ventre, aveva avuto la conferma. Sorrise cercando di trattenere le lacrime di gioia che minacciavano di sfuggirle, e continuò a seguire la conversazione.
 
“E lei?” lo chiamò Hershel, puntando lo sguardo su Daryl. “Mi hanno parlato tanto di lei, ma praticamente non so nulla; cosa fa per vivere?” chiese indagatore, osservandolo.
 
“Mmm...” mormorò incerto su cosa rispondere. “Io gestisc-” fu immediatamente interrotto da un calcio ben assestato della sua ragazza, che in quel momento gli stava di fronte con gli occhi leggermente spalancati e cercava di comunicargli nel modo più discreto possibile di non nominare il negozio. Che fosse maledetto quel negozio.
 
 
 
“Cosa farai adesso?” gli chiese Beth qualche giorno dopo la chiusura del caso. Nonostante il suo lavoro fosse finito, lui aveva mantenuto l'abitudine di andare in centrale e - anche se poteva rimanere in ufficio meno di quanto avrebbe voluto - la aspettava per la pausa e spesso e volentieri non tornava nemmeno a casa, fermandosi a parlare con Juliet o dando fastidio a Abe e  Jesus. Senza mettersi d'accordo una mattina si erano trovati davanti all'entrata del distretto ed erano andati a fare colazione insieme.
 
“Non lo so.” alzò le spalle lui, dando un morso al croissant. Anche quella mattina erano seduti al solito tavolino del bar - pasticceria, davanti a un caffè caldo.
 
“Però hai già qualche idea.” rispose lei, in un modo che era più un'affermazione che una domanda. Ma come diavolo faceva a saperlo? O aveva sviluppato capacità cognitive alla velocità della luce oppure lui non si era mai reso conto di quanto lei fosse attenta. Propendeva per la seconda.
 
“Stavo pensando di aprire un negozio mio.” sganciò la bomba, non osando alzare lo sguardo su di lei.
 
“Wow! Fantastico!” esclamò Beth, attirando lo sguardo divertito di qualche cliente vicino a loro. “E a cosa pensavi? Meccanico? Ferramenta? Magari un bar!” provò ad indovinare.
 
“Fiori.” biascicò mentre ancora masticava.
 
“Cosa?” chiese piuttosto sorpresa.
 
“Pensavo di aprire un negozio di fiori.” ripeté a quel punto, cercando di mostrarsi più spavaldo di quanto non fosse.
 
“Un negozio di fiori?!” domandò basita.
 
“Sì, cosa c'è di male?” chiese sulla difensiva, quasi offeso.
 
“Nulla ma... Dopo tutto quello che è successo proprio un negozio di fiori?” sottolineò con un sorrisino derisorio. Se fosse stato chiunque altro le avrebbe mollato un pugno, più o meno amichevole, per levarle dalla faccia quel ghigno, ma vedendo i suoi occhi vivi non riuscì a fare nient'altro che sbuffare leggermente e inarcare l'angolo della bocca in un sorriso sghembo.
 
 
“Fratellino!” lo salutò una voce canzonatoria che ben conosceva, entrando in negozio.
 
“"Fratellino" un cazzo, ti aspettavo due ore fa.” gli rispose Daryl emergendo da dietro il bancone, circondato da una montagna di pellicola per imballaggi. “Si può sapere perché sei sempre in ritardo?”
 
“Non è saggio contrariare una donna.” ammiccò l'altro con un sorriso pieno di sottintesi; ma suo fratello sapeva benissimo che non era per una donna che aveva fatto ritardo, non quella volta. “E poi è domenica.” Ecco, appunto. Daryl lo osservò con le braccia incrociate, sollevando un sopracciglio scettico. “Ma la biondina te la dà? Perché mi sembri un po' stressato ultimamente.” lo prese in giro ancora.
 
“Se vuoi lavorare qui devi essere puntuale. Non abbiamo ancora aperto e non ti ho mai visto una volta in orario.” rispose tralasciando volutamente il discorso.
 
“Adesso sono qui, cosa c'è da fare?” chiese, sfregandosi le mani.
 
“Quasi nulla ormai, devo solo appendere l'insegna.” rispose, indicando un pannello appoggiato al muro con un cenno del capo.
 
“Allora, come si chiamerà questo posto?” chiese Merle a nessuno in particolare, dirigendosi verso la lastra di compensato, scostandola dal muro. Fece correre rapidamente gli occhi e poi li piantò di nuovo in quelli dell'uomo di fronte a lui.
 
“"Dixon Flowers."?” sputò schifato. “Cos'è, una band degli anni Settanta? Dixon Flowers.” ripeté “Io non ce lo voglio il mio cognome su un'insegna così! Sembra che da un momento all'altro dobbiamo partire in tour con gli ABBA e i Village Peolpe!” esclamò.
 
“Ma poi si può sapere chi cazzo ha deciso questo nome da froci?” sbottò dopo qualche istante di silenzio.
 
“Ehi!” dal retro giunse la voce offesa di Beth, che era stata chiaramente punta sul vivo.
 
“Ah! La biondina.” disse il maggiore dei Dixon in tono ovvio. “Ti tiene proprio per le palle, eh fratellino?” domandò con un ghigno malizioso. “Eh...” sospirò. “Dovresti essere tu quello che porta i pantaloni, sei un uomo, fatti valere!”
 
“Come, prego?” li interruppe una ragazza, appoggiata a braccia incrociate allo stipite della porta d'ingresso.
 
“Tesoro!” esclamò Merle andando verso di lei. “Non sapevo fossi qui.” si sporse per darle un bacio, ma Juliet si scostò con noncuranza, sorpassandolo.
 
“Dove volevi che fossi? Sono passata ad aiutare, dato che a quanto pare qualcuno pecca nelle sue mansioni.” gli lanciò una frecciatina nemmeno tanto sottile.
 
“Ti preoccupi troppo.” disse in tono più spavaldo di prima.
 
“Sei tu quello che prende tutto sotto gamba.” lo stuzzicò lei, non riuscendo a trattenere un sorrisino.
 
“Non tutto.” ribatté sporgendosi verso di lei con un sorriso sghembo. Juliet lo guardò negli occhi con decisione, stendendo un po' di più le labbra.
 
“Forza, al lavoro!” lo spronò poi, andando a prendere la scala da portare all'esterno, mentre lui le correva dietro per darle una mano.
 
Daryl li seguì con lo sguardo; ancora non ci credeva che stessero insieme. Non li aveva mai visti scambiarsi nemmeno un bacio a stampo in pubblico, ma era chiaro che tra loro ci fosse qualcosa. Dopo la chiusura del caso di Chacòn la centrale aveva organizzato una cena alla quale Merle si era imbucato e dove - con non poche difficoltà - era riuscito a procurarsi il numero di Juliet. A quanto pare lei all'inizio non aveva risposto né alle chiamate né ai messaggi finché un giorno lui si era presentato in centrale e, non sapeva bene come, aveva finito per accompagnarla a casa. Da lì avevano iniziato a sentirsi e a vedersi sempre più spesso finché, dopo mesi, erano arrivati a quel punto.
 
Ma la cosa davvero surreale era che quel poco che sapeva glielo aveva raccontato Beth. Al riguardo, Merle non aveva speso nemmeno una parola. Daryl probabilmente non l'avrebbe nemmeno saputo se non li avesse visti insieme. Era evidente che quando si guardavano non potevano fare a meno di fare quella cosa strana, ma alla fine non mostravano mai nulla davanti agli altri.
 
All'inizio l'aveva trovato piuttosto strano; gli sembrava paradossale che Merle non parlasse di una donna, tanto più di una che era riuscito a conquistare dopo tanta fatica. Suo fratello era l'indiscrezione fatta persona e continuava a comportarsi come la più grande testa di cazzo esistente al mondo, ma su Juliet non diceva neanche una parola. Non che servissero per capire cosa gli passava per la mente.
 
“Quei due si sposeranno entro l'anno.” gli sussurrò Beth, allontanandolo dai suoi pensieri.
 
“Scherzi? Non succederà mai.” negò, voltandosi verso di lei. “Riconosco che Juliet abbia un forte ascendente su di lui, ma piuttosto che sposarsi si farebbe monaco.” la derise.
 
“Scommettiamo?” gli chiese porgendogli la mano.
 
“Certo.” disse deciso, stringendola con la sua.
 
 
Una mattina di tre mesi dopo Merle era entrato in negozio stranamente in orario, e gli aveva allungato una busta bianco panna di carta piuttosto spessa e dall'aria piuttosto eloquente. Era indirizzata a lui e Beth. L'aveva aperta perplesso, strappando la carta in modo impreciso finché non era riuscito a prendere il cartoncino sottile che era riposto con cura all'interno.
 
Appena lesse le poche righe scritte in una grafia sottile e delicata, spalancò gli occhi. Aveva perso di nuovo.
 
 
Quella sera erano solo pochi intimi; Michonne, Rick con i suoi figli, Daryl e Beth, Glenn e Maggie, Jesus, Abe, il capitano Porter e altri colleghi della centrale con rispettivi partner, qualche ex compagno di Accademia di Juliet, le sue tre migliori amiche e ovviamente i suoi genitori e la sua sorellina. Non dovevano essere più di una trentina.
 
Come luogo per la festa di fidanzamento era stata scelta casa Grimes, che i padroni di casa non avevano avuto problemi a mettere a disposizione. Per l'occasione il giardino sul retro era stato addobbato con fili di luminarie colorate, che parevano piccole lucciole svolazzanti nell'aria tiepida di settembre. Lungo il perimetro erano state poste delle torce che con la loro fiamma calda illuminavano tutto intorno, eccetto nell'angolo a sinistra, proprio di fronte al grande albero a cui era appesa l'altalena della piccola Judith, dove era stato allestito un gazebo bianco. Dall'altra parte del giardino, su un lungo tavolo erano stati posati stuzzichini, qualche succo per i bambini e ovviamente champagne per festeggiare.
 
Merle era stranamente elegante nella sua camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, i pantaloni scuri e la barba curata. Non appena Daryl lo aveva visto era rimasto basito e, nonostante Beth gli avesse dato un leggero pizzicotto, non si era potuto trattenere dal fare un sorrisino ironico all'indirizzo del fratello. Questo per tutta risposta si era guardato velocemente intorno e poi gli aveva allungato il dito medio, sorridendogli di rimando.
 
Juliet invece indossava un lungo vestito bianco molto leggero, con un intreccio sulla schiena e le spalline sottili. I capelli castano chiari erano stati attorcigliati in una treccia raccolta alla base della nuca, ma la cosa che colpiva di più era il sorriso luminoso che le splendeva sul volto in ogni momento.
 
Improvvisamente, dalle casse poste ai lati del gazebo partì un sibilo acuto che fece storcere il naso a tutti, e quando gli invitati si voltarono videro i neo-fidanzati vicini, che cercavano di attirare l'attenzione. Lasciarono perdere le chiacchiere a cui si erano lasciati andare fino a quel momento e prestarono attenzione alla ragazza.
 
“Ciao a tutti!” salutò raggiante. “Benvenuti alla nostra festa di fidanzamento! Non parlerò molto perché sapete che siamo tipi di poche parole. Noi vorremmo sposarci ma-” non riuscì a proseguire perché Merle le rubò il microfono di mano.
 
“Ma i matrimoni fanno schifo.” disse senza mezzi termini. E forse avrebbe continuato se lei non se lo fosse ripresa.
 
“Sì! Però solo perché quelli a cui siamo stati invitati sono noiosi!” si spiegò ridendo elettrizzata. “E-” fu di nuovo bloccata dall'uomo accanto a lei.
 
“Non ci piacciono i fidanzamenti lunghi quindi-”
 
“Smettila di interrompermi! ” urlò lei, senza mai spegnere il sorriso mentre nascondeva il microfono dietro la schiena, producendo di nuovo quel fischio fastidioso che avevano sentito poco prima. “Ops... scusate. ” si rivolse di nuovo agli ospiti.
 
“Comunque-” provò ad attaccare lui.
 
“Ci sposiamo stasera! Adesso!*3” esclamò lei, di fronte allo sguardo attonito degli ospiti che subito dopo esplosero in ovazioni gioiose. “Rick celebrerà il matrimonio, mia sorella Katy sarà la damigella!”
 
“E se il mio fratellino muove il culo, lui sarà il mio testimone.” aggiunse Merle, cercando Daryl tra la folla che lo guardava sconvolto. “Forza gente, tra mezz'ora torniamo!” esclamò lui, prendendo per mano Juliet e correndo in casa, seguiti dall'applauso degli ospiti.
 
Daryl si voltò pensando di trovarsi Beth al fianco ma non vide nessuno. Accanto a lui però c'era il vicecapitano che lo guardava divertito. Solo in quel momento, realizzò.
 
“Tu lo sapevi!” esclamò.
 
“Certo che lo sapevo! Non posso mica celebrare un matrimonio così su due piedi.” lo canzonò. “Però se sei geloso chiedo a Merle di cederti il posto, testimone.” calcò sull'ultima parola, lanciandogli un'occhiata piena di sottintesi.
 
“Già quando ho letto l'invito non potevo crederci, immagina ora che si fidanzano e si sposano nel giro di una sera!” si giustificò in qualche modo. “Credevo che Merle non si sarebbe mai sposato. Anzi, non l'ho neanche mai pensato sposato a dirla tutta!”
 
Rick scosse il capo ridacchiando e gli mise in mano un bicchiere di vino. “Magari toccherà anche a te prima o poi.” azzardò.
 
“Contaci.” ribatté sarcastico, guardandolo in tralice.
 
 
La funzione era stata molto breve e, dopo che Jesus aveva sgomitato pretendendo che tutti rimanessero indietro per fare almeno qualche foto decente, i due sposini erano stati letteralmente presi d'assalto dagli invitati, che non li mollavano un secondo e continuavano a congratularsi.
 
Daryl era rimasto in disparte, finché Merle e Juliet erano riusciti a raggiungerlo, quasi un'ora dopo. Dopo aver fatto gli auguri alla ragazza, lei se n'era andata, capendo che i due fratelli Dixon avevano bisogno di un momento da soli.
 
Rimasero fianco a fianco, appoggiati al muro di mattoni della casa, guardando dritto davanti a loro gli invitati che festeggiavano. Solo dopo qualche minuto, il silenzio fu spezzato.
 
“Siamo i figli di puttana più fortunati del mondo, lo sai?*4
 
 
 
Daryl si voltò di nuovo verso il Generale Greene che lo osservava con sguardo indagatore e, dall'alto del suo posto a capotavola, aspettava una risposta.
 
“Da qualche tempo sono consulente della polizia di Atlanta.” rispose. Il che non era una bugia; quando in centrale c'era bisogno del suo aiuto, era più che felice di dare una mano. Ormai lì era di casa. Era Merle che per lo più si occupava del negozio, lui ci andava nel tempo libero o quando non era richiesto altrove. Si sentiva stranamente a suo agio in quel posto.
 
“Ah, bene! Un consulente!” approvò. “E prima di cosa ti occupavi?” chiese interessato.
 
Daryl si sentì addosso gli sguardi di tutti, soprattutto quello di Beth che lo guardava incerta, come per ricordargli di ponderare le parole. Deglutì cercando di prendere tempo, e quando aprì la bocca per rispondere (nemmeno lui sapeva realmente cosa, probabilmente avrebbe improvvisato), la voce di Ronnie Dawson esplose per la sala da pranzo.
 
Tutti si guardarono intorno spaesati, finché non individuarono la fonte di rumore.
 
“Scusatemi, era la centrale.” disse Rick a disagio, attaccando e rimettendosi il telefono in tasca. “Gli avevo detto di non disturbarmi.”
 
“Oh, non c'è problema. Sicuro che non fosse urgente?” chiese Hershel dall'altra parte del tavolo.
 
“No, no possiamo cont-” cercò di minimizzare, quando il cellulare squillò di nuovo. Daryl non era mai stato così contento di sentire quella voce spacca - timpani e quella melodia fastidiosa che normalmente non avrebbe esitato due volte a spegnere subito.
 
“Rispondi pure; la divisa è come una seconda pelle, non ci lascia mai!” disse orgoglioso il generale.
 
“Che ansia... Di sicuro non farò mai il vostro lavoro.” sussurrò Carl avvicinandosi a Michonne e lanciando un'occhiata a suo padre, che gli stava di fronte. La donna ridacchiò sommessamente e tornò a guardare il compagno che intanto aveva risposto.
 
“Pronto? Non vi avevo detto che ero occupato oggi? Neanche per il Ringraziamento mi date tregua.” si lamentò. Quando sentì il tono della ragazza dall'altra parte del telefono, si fece serio di colpo. “Juliet, che è successo? … Sì. Sì. … Ma stiamo scherzando?!” urlò in preda alla frustrazione. “Oh no.” mormorò infine avvilito.
 
Si voltò verso Michonne, seduta alla destra di Carl e la trovò già con gli occhi fissi nei suoi. Bastò loro uno sguardo per capire. “Oh no.” ripeté lei.
 
Il resto poi avvenne rapidamente, ad effetto domino.
 
Michonne si girò verso Daryl che, aveva notato con la coda dell'occhio, non aveva perso un attimo dello scambio silenzioso avvenuto tra lei e Rick.
 
“Mai un attimo di pace.” sbuffò lui dopo qualche istante, accomodandosi meglio nella sedia. La piccola spaccaculi, seduta tra i due uomini, fece scorrere lo sguardo da lui al suo papà, non capendo cosa stesse succedendo.
 
Daryl guardò di fronte a sé Beth che, quando ebbe quella conferma silenziosa di cui non aveva realmente bisogno, sussurrò solo “Oh no...”
 
A sua volta, guardò Maggie, seduta accanto a Daryl e le fece un cenno con il capo. Anche sua sorella riuscì a dire solamente “Oh no.” esattamente come tutti gli altri.
 
La ragazza, infine, scambiò una rapida occhiata con il suo fidanzato seduto di fronte a lei, per poi tornare a guardare Rick.
 
“La mia macchina...!” mormorò leggermente in panico Glenn.
 
Hershel ed Annette intanto si guardavano dalle due estremità del tavolo, con sguardo piuttosto confuso.
 
“Ma si può sapere che sta succedendo?” chiese il padrone di casa sul chi va là - e piuttosto impaziente - quando Rick chiuse la chiamata. Lo guardarono tutti quanti, pur sapendo che la realtà non sarebbe cambiata e anzi, si sarebbe fatta solo più concreta una volta che avrebbe risposto.
 
“Chacòn è evaso.”




Angolo autrice:
 
*1 Taxxi 2, 2000. Daniel ed Émilien.
*2 Taxxi 2, 2000. Edmond Bertinau e il Ministro francese.
*3 What if, 2013. Allan e Nicole.
*4 Titanic, 1997. Jack Dawson.
 
Siamo davvero arrivati alla fine e non mi sembra vero! Le prime due citazioni sono entrambe tratte da dialoghi presenti in Taxxi, che non potevo non inserire perché è proprio da questo film che è saltata fuori l'ispirazione per la storia, spero solo che Luc Besson non me ne voglia :P Il discorso di Merle e Juliet è preso dal film What If (che non credo sia stato distribuito in Italia, ma vale la pena vederlo perché è molto carino!) e ho trovato che una cosa così insolita e stupefacente calzasse abbastanza per i personaggi. Per quanto riguarda l'OOC, rileggendo mi sono resa conto che in questo capitolo è un po' più marcato rispetto agli altri, dove avevo sempre cercato di rimanere entro certi margini, ma per una volta volevo dargli il "vissero per sempre felici e contenti" e mi sono fatta prendere dal fluff più puro. Spero che la cosa non stoni troppo e che la lettura sia comunque piacevole.
Credo che sia proprio arrivato il momento dei saluti. Come sempre ringrazio chiunque abbia recensito o messo tra le seguite/preferite/ricordate. Alla prossima :) E buone vacanze!
·Machaira·

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3646968