Winter Heart

di Scarlet Jaeger
(/viewuser.php?uid=41304)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Prologo ***


Salve a tutti, probabilmente qualcuno nel fandom si ricorda di me, in ogni caso sono un’autrice che tra qualche capitolo potrete odiare od amare <3 Spero la seconda opzione!
Andiamo avanti:
Perché ho voluto scrivere questa storia? Perché in una storia, libri, fanfiction etc mi piace trovare vari generi :3 in particolare ho voluto sperimentare un “minestrone” di guerra e sentimento.
Quando scrivo prendo molto spunto dai libri che leggo, cercando di prendere qualcosina da tutto (ovviamente citando se ci sono riferimenti) e questa storia mi è venuta in mente dopo aver letto “Eroi dell’olimpo”. Tranquilli, non ci sono plagi :P
In più non sono una scrittrice professionale e, come penso molti di voi, si ritaglia il tempo per scrivere tra i vari impegni della giornata. A mio dispiacere, non avendo finito gli studio ed essendo di molto arrugginita, posso incappare in errori di scrittura (a volte banali, a volte no, ma correggendo da sola a volte non riesco a notarli). Scrivo perché mi piace e mi fa evadere dalla realtà ed a volte ne sento proprio il bisogno e quindi condivido con tutti voi queste mie idee, che spero possano venire apprezzate.
A questo punto, dico che i personaggi interessati sono tutti maggiorenni ed, a parte alcuni di mia invenzione, sono tutti proprietà di Masami Kurumada.
 
 
Winther Heart
 
Capitolo 1 - Prologo
 
Grande Tempio.
Lady Saori Kido ed il Grande Sacerdote Saga avevano raggiunto lo Star Hill per leggere nelle stelle gli avvenimenti che sarebbero accaduti in un futuro non del tutto certo. Avevano lo sguardo rivolto verso il tramonto. I bagliori rossastri illuminavano sotto di loro la bianca pietra secolare che si ergeva sul promontorio.
« Siete pensierosa milady? » Chiese d’un tratto l’uomo, dopo aver visto un accenno di turbamento nei lineamenti pacati della ragazza.
« Non sono tranquilla. » Sospirò in risposta lei, distogliendo per un momento lo sguardo dall’orizzonte per dare attenzione al suo interlocutore, che aveva iniziato a preoccuparsi. « Stiamo attraversando un periodo di pace, ma tu sai che non è fatto per durare. Io sono la reincarnazione della Dea Atena, e come me molti altri rinascono in questa epoca per portare avanti vecchi rancori o iniziarne di nuovi. La nostra vita è incerta, purtroppo come la vostra. »
Al discorso della massima autorità anche Saga sospirò, riportando lo sguardo agli ultimi bagliori del sole prima che le tenebre abbracciassero il Santuario e portarlo in quello stato di penombra quasi spettrale. Soprattutto dopo i discorsi di quegli ultimi minuti.
« Riconoscete un cosmo? Riuscite a capire a chi possa appartenere? » Chiese speranzoso l’ex Gemelli, ma allo sguardo negativo di Saori sospirò di nuovo, sempre più preoccupato. Non erano pronti ad “accogliere” un’altra battaglia. Nonostante avessero abbandonato la normalità già da tempo, la vita al Tempio scorreva tranquillamente. I Saint continuavano a svolgere le loro mansioni, i loro allenamenti, ma i loro cuori erano più leggeri. Le 12 case erano state tutte occupate, così come la carica da lui ricoperta. La Dea Atena era tornata al Tempio ed il tempo scorreva a rallenty.
« Purtroppo è molto lontano e non riesco a capire a chi possa appartenere. » Disse con voce pacata, anche se iniziava a farsi sentire un po’ di tensione.
« Non è detto che sia ostile, anche se potente. » Azzardò Saga, meravigliandosi del piccolo sorriso che la dea mostrò al suo commento.
«Probabilmente. Credo non sia il caso di allarmare i Saint, ma non dobbiamo rilassarci troppo. Il male si insidia in ogni angolo di questo modo, e noi dobbiamo essere... » Non riuscì a terminare la frase che spostò l’attenzione verso il cielo stellato. Le stelle brillavano nonostante fosse solo l’imbrunire della sera, e forse grazie a quelle stelle la Dea Atena aveva avuto una premonizione.
Saga, preoccupato dal repentino silenzio della ragazza, trattenne il fiato per assimilare più informazioni possibili appena gli avesse rivolto di nuovo l’attenzione.
« So cosa fare… » Rispose lei con un filo di voce, con l’attenzione ancora catturata dal cielo, prima di rivolgersi di nuovo verso il fidato consigliere.
« Ha avuto delle risposte? » Azzardò lui e la risposta arrivò con un cenno affermativo del capo.
« Torniamo al Tempio, ho bisogno di conferire con uno dei Gold Saint » Riuscì ad essere perentoria mentre percorreva a ritroso la scalinata che li aveva condotti fino in cima.
 
Una volta tornati al tredicesimo tempio, grazie ad un percorso che era dato conoscere solo ai due, la Dea ed il suo fidato consigliere si sedettero l’uno di fronte all’altro nella biblioteca, dove erano contenuti i tomi più antichi.
La candela posta al centro del tavolo illuminava cupamente i loro lineamenti tirati, mentre il silenzio spettrale era rotto solamente dai sospiri di Lady Saori che, prima di rivolgere la parola a Saga, stava scrivendo una missiva per il Saint in questione.
« Posso sapere qual è la fonte della vostra preoccupazione milady? » Chiese infine l’ex Saint mentre la donna richiudeva delicatamente la busta e si alzava stancamente dalla sua postazione.
« Quale sia la fonte purtroppo non posso dirlo nemmeno io. Ho avvertito un cosmo potente, sebbene ancora acerbo, ma non riesco a collocarlo a nessuno di mia conoscenza. » Spiegò guardando dritto negli occhi verdi il Grande Sacerdote, che l’aveva seguita con lo sguardo mentre apriva leggermente il grande portone della stanza in penombra per porgere l’urgente lettera verso un Saint di guardia.
« Il mittente è scritto sopra. » Commentò verso il sottoposto con un piccolo sorriso d’incoraggiamento, pur di non risultare troppo diretta. Non aveva mai trattato i suoi sant come servi, seppur avevano combattuto molte guerre in suo nome, perendo anche nel tentativo, ma prima di essere la Dea della Giustizia lei era Saori Kido, una ragazza mortale appena maggiorenne, con l’attaccamento alla vita così come ai suoi guerrieri. Ci teneva ad ognuno di loro, nonostante non fosse mai riuscita a lasciarli in vita tutti. Negli anni passati in quelle vesti aveva visto troppe guerre barbare e troppe morti per una ragazza della sua età, come troppi erano i doveri che le spettavano come massima autorità del Tempio. Però di una cosa poteva stare certa e cioè che l’aver scelto Saga come Grande Sacerdote implicava una maggior protezione verso quel luogo e verso lei stessa. Conosceva il passato dell’ex santo dei gemelli, come sapeva quello che aveva messo in gioco nella passata guerra contro Hades. Era sicura, lo notava nello stargli vicino, che aveva redento di tutte le sue colpe. Era pronto, dopo tutti quegli anni, a ricoprire al meglio quel ruolo e, sebbene lui non l’avesse mai ringraziata a dovere per mantenere un’aria consona alle sue vesti, notava la gratitudine dai suoi sguardi e dalla sua presenza e di questo gli era grata. Come era grata al gemello per aver accettato di “ereditare” la Cloth dei Gemelli e di conseguenza anche la Terza Casa a protezione della Dea.
 
Quando richiuse la porta alle sue spalle tornò a sedersi di fronte al consigliere che, in tutto quel tempo, era rimasto col fiato sospeso.
« E posso or dunque sapere chi è il Saint con cui dovete conferire con urgenza? » Chiese Saga con un filo di voce. « Noto nella vostra urgenza una certa preoccupazione. Se la questione è davvero così grave condividerò le sue paure. » Finì con un sospiro, spostando lo sguardo verso il fuoco della candela, osservando mestamente la cera mentre colava dalle pareti e la sua mente prese a vagare verso una possibile guerra e le precauzioni che avrebbe dovuto prendere. Purtroppo era solo un novizio in quel ruolo da quando era tornato a ricoprirlo; un tempo vestiva quelle vesti come il nemico, ma adesso? Che ne sarebbe stato del Tempio se una guerra fosse di nuovo giunta?
Lady Saori osservò la fronte corrucciata di Saga in silenzio, prima di mandare giù un copioso groppo di saliva e rispondere alle sue domande.
« Ho bisogno di conferire con il Saint dell’Acquario. Il Cosmo che avverto proviene dai secolari ghiacci della Siberia. »
Non appena finì di parlare, un composto bussare alla porta ridestò i due dal clima teso che si era venuto a creare e Saga si alzò subito dopo con l’intendo di lasciare soli i due.
« Aspetta… » Lo richiamò lei dopo un attimo di esitazione, mentre lui si girò con un piccolo inchino. « Vorrei che tu restassi. »
Seguì un piccolo scambio di sorrisi, i primi di quella serata di tensione, dove entrambi lessero nei reciproci una potente fiducia.
Fine capitolo 1 - Prologo
 
 
 
Angolo autrice pazza:
Eccoci qua alle note dolenti finali. Avrete sicuramente notato quanto breve sia il capitolo, ma non vado famosa per la lunghezza dei miei capitoli xD Nonostante non abbia un gran tempo per scrivere, cerco sempre di ritagliarmi spazi durante la giornata/serata per farlo ;) È inoltre importante, ai fini di migliorarmi e cercare di dare al lettore il più possibile, dirmi sia le note positive che negative (purché siano costruttive. Un semplice “non mi piace”, oltre il fatto che sia un giudizio soggettivo, senza un perché non lo considero molto costruttivo ecco. Poi ovviamente non può piacere a tutti, però magari vedo cosa posso fare :D)
Per quanto riguarda gli errori che probabilmente avrete trovato, mi scuso davvero con tutto il cuore ma sono io stessa che cerco di correggere lo scritto ^^ magari se volete farmeli notare io provvedo a sistemare, per riuscire a far leggere un capitolo pulito al lettore.
Penso che dopo di questo non ci sia nulla da dire, oltre la speranza che questo piccolo prologo vi abbia suscitato una qualche curiosità e che magari vogliate continuare a seguirmi ;)
Inoltre, chi volesse interagire con me, dirmi privatamente se vi piace o no o anche solo conoscere la mente “malata” che sta dietro a tutto ciò, ci sono i pulsanti dei social che vi indirizzeranno ai miei profili :3
Un bacione a tutti cari lettori
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
Sull’eterna distesa di ghiaccio della Siberia, mentre il pallido sole brillava sulle lisce superfici, una figura, stretta nel suo mantello di pelliccia, camminava indisturbata tra le dune create dalle vecchie battaglie.  Quel luogo aveva visto nascere i più valenti Saint di quelle terre, quelli che, dopo un’estenuante combattimento, si erano potuti avvalere del nome di Cavalieri di Atena.
La figura si avvicinò alla montagna più alta creata dal ghiaccio, dove ancora poteva notarne le crette e ci passò lievemente un polpastrello, stringendo la mascella con fare adirato e soffermandosi di tanto in tanto a rimirarle. Era tornata in quel luogo dopo molti anni, ed ancora scaturiva in lei un certo disprezzo. Avrebbe cancellato volentieri quella parte della sua vita, o meglio, sarebbe volentieri tornata indietro per cambiarla. Ma purtroppo lo sapeva bene, nemmeno un Saint aveva un potere tanto grande per fare ciò, e lei oltretutto non era un Saint.
Lei era una ragazza temprata dalle mille battaglie per la conquista della dorata Cloth dell’Acquario, vinta poi in battaglia dal suo compagno d’armi. Ricordava benissimo quel giorno e lo portava nel cuore con disprezzo, per sé stessa innanzitutto.
I ricordi, pur non volendo, iniziarono a scorrere nella sua mente, nonostante avesse gli occhi verde scuro puntati sulla fredda superficie di fronte a lei. Troppo vicina, troppo accusatoria. Come se fosse esattamente quella la fonte della sua inquietudine e di quelle visioni adesso più vive che mai.
Nei suoi ricordi si ritrovò tredicenne, in quello stesso luogo, pronta a scagliarsi su Camus appena il loro maestro avrebbe dato il via alla battaglia.
Eppure dentro di lei avrebbe voluto scappare, evitare lo scontro o prolungarlo all’infinito. C’erano dei sentimenti contrastanti nel suo cuore, segretamente tenuti in saldo nel suo profondo. Nessuno sapeva quello che impunemente era arrivata a provare per il ragazzino di fronte a lei. Il suo maestro non le aveva sempre insegnato a sopperire ogni sentimento? Che le lacrime non si addicevano ad un cavaliere? Come avrebbe fatto a diventare un Saint di Atena se custodiva così tanti segreti? Era veramente pronta a non amare ed a rinunciare alla femminilità propria di una donna ancora in boccio?
Eppure quel desiderio di indossare la lucente Cloth l’assillava anche la notte. Poter finalmente dimostrare il suo valore e riscattare quegli anni di completo isolamento in quelle terre, dove venivano addestrati proprio per quello scopo e non permettendo loro di vivere come semplici bambini, era il sogno di una vita.
Ma il destino evidentemente aveva giocato troppo con la sua vita, ed anche lei stessa.
Quando chiuse gli occhi rivide squarci di quella battaglia oramai lontana. Sentiva ancora le grida di dolore di entrambi sotto i propri attacchi e poi, quando avrebbe potuto vincere finalmente su Camus ed era ad un piccolo passo verso la conquista del titolo, non era riuscita a levare il colpo conclusivo verso di lui, steso a terra dopo il suo ultimo colpo. Aveva ancora la mano alzata in posizione di attacco quando lui si era girato verso di lei. In un lampo si era vista puntare i due occhi profondi come il mare su di sé, tirati in quell’espressione sprezzante che raramente aveva visto su di lui e che quasi stonava con tutta la sua composta figura. Fu in quel momento che la sua maschera crollò, rivelando per la prima volta la sua debolezza, la mano tremante incapace di colpire ed i denti stretti per lo stupore di ciò che non era stata capace di fare.
Quello che successe dopo fu la sua condanna. L’eterna colpa per il suo errore, il tuo tallone d’Achille. Il colpo di Camus la centrò in pieno, atterrandola definitivamente. Riuscì a malapena a catturare l’immagine di lui con indosso la Cloth che tanto desiderava. Poi il buio, il freddo, ed una vita fatta di risentimento.
Il ricordo di quel giorno però è sempre indelebile sul suo viso, fatto a forma di cicatrice sul lato del labbro superiore, di un colore più chiaro rispetto alle sue labbra tirate. 
Scivolò con le ginocchia a terra, furente di rabbia, e batté tanti pugni sul ghiaccio quanto bastò per tranquillizzarla. Immaginò di colpire il volto di quell’uomo, sempre nello stesso punto, sperando di deturpare il suo inespressivo volto come lui aveva fatto con il suo. Aveva sperato di rivederlo in quegli anni per poterlo finalmente battere. Aveva temprato il suo fisico ed il suo carattere in tutto quel tempo trascorso. Aveva vissuto una solitaria vita in un villaggio vicino, fatto di cacciatori e pescatori. Aiutava gli uomini, faceva la legna e si allenava tra i ghiacci sperando un giorno di poter toccare con mano una Cloth e vendicarsi di colui che non era stata capace di battere.
Quasi si vergognava della sé stessa e di quegli anni. Ma adesso era una donna totalmente diversa. Solo ogni tanto si godeva dei piaceri dell’essere donna, ma solo in quei pochi eventi che per lei non significavano assolutamente nulla.
Solo quando arrestò la sua furia cieca contro il ghiaccio si accorse di non essere sola. I suoi sensi avevano avvertito un cosmo molto potente e sconosciuto. Si alzò di scatto e si mise in posizione di attacco, osservando la figura che lentamente camminava verso di lei.
« Arresta il passo, chiunque tu sia! » Le inveì contro, assottigliando lo sguardo per riuscire a catturare i dettagli di quel volto celato dal mantello.
Incredibilmente lo sconosciuto fece come gli era stato imposto, e bloccò la sua avanzata a pochi metri da lei.
« Logico che non puoi sapere chi sono io, quando non sai nemmeno chi sei tu. »
Quelle parole la colpirono, perché non si sarebbe mai aspettata di sentire quelle parole senza senso. Inoltre, nel silenzio di quella terra, riuscì a capire che il tono di voce era femminile.
« Non dire idiozie straniera, so benissimo chi sono. Adesso togliti quel cappuccio e dimmi chi sei tu! » Le puntò un dito contro con fare accusatorio, aspettando che l’altra facesse di nuovo come le era stato ordinato.
Passarono svariati secondi di attesa dove entrambe si scrutarono dalla testa ai piedi, nonostante una delle due avesse coperta ogni parte del suo corpo.
Fu la risata dell’incappucciata a rompere il gelido silenzio che si era creato, portando le mani a liberare il volto. Era un viso troppo giovane ed anonimo per poterne decretare un’età apparente, nonostante i lunghi capelli argentei che le erano ricaduti sulle spalle. L’espressione divertita mostrava due occhi color del ghiaccio, puntati direttamente in quelli verdi dell’altra.
« Chi sono io? Io sono molte cose ragazza… » Iniziò a parlare con voce soave, avanzando di qualche passo con fare curioso. « Il mio nome è Ecate, dea della magia. » Finì di parlare che la distanza tra loro era stata quasi colmata, ma la ragazza dagli occhi verdi non era indietreggiata di un solo centimetro.
« Tzè, ed aspetti che io ti creda? Te lo chiederò di nuovo, chi sei e cosa vuoi da me? » Digrignò i denti stringendo i pugni. Non voleva certo essere presa in giro dalla prima persona di passaggio! Ma dovette ammettere che il cosmo che proveniva da quella figura era così misterioso e vasto che le sue convinzioni caddero nel momento in cui lineamenti di quella strana donna divennero quelli del Saint dell’Acquario, nonostante il sorrisetto divertito che portava sulle labbra.
Seguitò un attimo di rabbia e sconforto nella ragazza, dove molti pensieri si facevano strada nella sua testa, nonostante cercasse di non farsi troppo impulsiva per colpa di quella illusione. Perché di quello si trattava, o di una strana magia di cui lei non poteva essere al corrente. Le vennero in mente le parole di quella che si definiva Ecate.
“Dea della magia”…
« Cosa vuoi da me? » Continuò sprezzante, non cedendo però allo sguardo glaciale che la donna mostrava sotto forma dell’ex compagno d’armi.
« Io sento le tue emozioni. Conosco i tuoi trascorsi. E come vedi conosco te, Ippolita… » Il sorrisetto divertito che scaturì dall’illusione nel pronunciare il suo nome la mandò su tutte le furie, costringendola però a sopprimerla tra i pugni, così tanto stretti da far sbiancare le nocche.  Ma non lasciò che la rabbia le alterasse il tono di voce. Rimase ferma e concentrata al suo posto.
« Se speri di scaturire in me qualche sentimento contrastante mostrandomi il suo viso ti sbagli di grosso. Quello che provo per quest’uomo non è certo un sentimento meraviglioso da esprimere… » Le rivolse di nuovo un gesto accusatorio con il dito, mostrando anche lei un piccolo sorrisetto di scherno.
« Ma qualcosa mi dice che non era questa la tua primordiale intenzione. » Concluse incrociando le braccia al petto, facendosi sospettosa.
« No, appunto. » Rispose la voce dell’acquario con le sue ultime parole, prima che la dea riprendesse l’aspetto della donna dai capelli argentei. « Volevo solo mostrarti che sono veramente chi dico di essere. Ma veniamo a noi. » Seguì un altro momento di silenzio, dove le due donne continuavano a scrutarsi di sottecchi. Ippolita con sguardo sprezzante, mentre Ecate con malcelata curiosità.
« Come mai hai scelto questo nome? » Le chiese infatti la dea senza preavviso, facendo perdere al cuore della ragazza un battito. Non si aspettava di certo quella domanda e sentirla con un tono quasi accusatorio la mise di nuovo sulla difensiva.
« Non sono affari suoi… » Le ringhiò contro, colpita nel profondo. Evidentemente quella donna sapeva molto più di quello che dava a vedere e questo le fece quasi accapponare la pelle. Essere scansionata così nel profondo da una sconosciuta, nonostante fosse una dea, non le piacque per niente!
« Quanta aggressività e rabbia! » Ridacchiò Ecate con fare divertito, riprendendo subito dopo il suo regale contegno. « Saresti stata degna del titolo di Saint, ma forse tu non sai che sei destinata a qualcosa di più… » Lasciò cadere la frase in questo modo, sperando nella curiosità di Ippolita, che però si fece più indisponente.
« Non si azzardi a giocare con la mia vita. Il mio destino lo scelgo da sola! » Le disse sprezzante, voltandole le spalle fiduciosa. Ecate si stava interessando troppo a lei per attaccarla senza preavviso. Ma lei non voleva ascoltare altre parole da quella donna. Non avrebbe ceduto alle lusinghe di una dea. Non quella, comunque.
« Oh certo. Tu vuoi diventare un Saint. Ti senti all’altezza del compito, perché avresti scelto il nome della regina delle amazzoni sennò? Ma il tuo cuore è accecato dalla vendetta e vorresti cancellare quello sbaglio dal tuo passato. Vuoi sconfiggere un Gold Saint quando anche tu sai che nella tua posizione non ti è possibile, e stai qua a perdere tempo nella vana speranza di poterci riuscire. Forse Atena può essere la soluzione, ma io e te sappiamo che ho ragione. »
La dea si avvicinò alle sue spalle e prese tra le dita una ciocca dei lunghi capelli castani della ragazza, rigirandosela tra le dita. Intanto Ippolita aveva smesso di respirare, rimanendo comunque furente al suo posto. Quelle parole tranquille l’avevano scossa fin nel profondo, perché tuttavia sapeva che dicevano il vero. E come non avrebbe potuto scalfire la corazza dorata del Saint, non avrebbe avuto speranze di vittoria contro una dea, anche se quello poteva essere solo un corpo umano. Si lasciava sfiorare dalle sue dita e dalle sue parole, ma non scalfire. La sua anima vendicativa non avrebbe perso.
« Torna alle tue origini… Ricorda da dove vieni. Ricorda il tuo nome. Torna a casa, e sarai destinata a grandi imprese… »
Quando la dea lasciò cadere la conversazione, insieme alla ciocca dei suoi capelli, la ragazza si voltò accecata dalla rabbia ma non riuscì a rispondere a quella richiesta perché la donna era sparita, lasciandola sola tra i ghiacci a lottare con i suoi demoni interiori.
In quel momento capì che le sue vere intenzioni non erano quelle di ributtarle contro il suo passato, ma instaurare il dubbio nel suo cuore per il futuro e quello non le piacque per niente.
***
Intanto al Grande Tempio, Camus aveva raggiunto Atena ed il Grande Sacerdote nella biblioteca. Si erano seduti al rotondo tavolo posto nel centro della sala e la sola candela accesa aveva reso l’atmosfera di quella conversazione quasi inquietante.
« Quindi pensate che stia succedendo qualcosa laggiù? » Chiese l’Acquario dopo aver ascoltato attentamente le parole della dea.
« Ho avvertito un cosmo molto potente. Potrebbe appartenere ad una divinità. Ma non era ostile e non intenzionato comunque a raggiungere il Tempio. Temo però che le sue intenzioni siano ben peggiori. » Sospirò Lady Saori abbassando per un momento lo sguardo, benché quello del Saint non si era mosso dalla sua esile figura.
« Spiegatevi meglio mia signora. » La incitò lui, mentre Saga continuava a spostare lo sguardo tra i due interlocutori, cercando di captare in silenzio più informazioni possibili.
« Un cuore accecato dalla rabbia può essere facilmente manipolabile. » Furono solo quelle le parole di Atena e, nonostante non avessero significato per il Sacerdote, il Saint dell’undicesima casa sbiancò.
« Non è possibile mia signora.  Sono passati molti anni da quel giorno. » Rispose lui, anche se poco convinto.
« Non abbastanza. » Sospirò la ragazza, volgendo poi lo sguardo verso Saga.
« Non arriviamo a conclusioni sbagliate milady. » Cercò di prendere in mano la situazione il Sacerdote, ma la parola andò di nuovo al Saint in armatura.
« Non ha acquisito una Cloth. Non è una guerriera di Atena. » Concluse lui, stringendo i pugni. Lui l’aveva sconfitta tempo addietro ed aveva guadagnato la lucente cloth che adesso fieramente indossava. Non aveva più avuto notizie di lei, né più vista. Possibile che dopo tutti quegli anni c’era la possibilità che si potessero trovare di nuovo l’uno di fronte all’altro? Ricordava quell’ultima battaglia e sapeva bene che era riuscito a colpirla solo perché lei stessa non era riuscita a colpirlo a sua volta. E tuttora stava lì a chiedersi perché. Era quasi riuscito a dimenticarla, a dimenticare le sue domande ed il suo passato. Ed adesso che lei stava per tornare di nuovo nella sua vita, ancora una volta se ne domandò il motivo.
« Il suo cuore non è devoto a nessun dio, per questo può essere facilmente manipolato. » Sospirò lei ancora una volta, riportando nella stanza l’attenzione dell’Acquario.
« Quindi cosa volete che faccia? » Chiese tranquillamente, nonostante dentro di sé sapeva già la risposta. E non gli piaceva per niente.
« Ti chiedo di recarti in Siberia e di portarla al Tempio. Scegli un Saint che ti accompagni nella missione. » Furono le ultime parole della dea prima che lui si alzasse dalla sua posizione ed, acconsentendo alla sua richiesta con un inchino, raggiunse la porta d’ingresso.
« Partirò all’alba con il Saint del Cigno. Come me conosce bene quelle terre ed il suo fisico è temprato per le gelide temperature di quel luogo. » Concluse volgendo un ultimo sguardo verso i due superiori, uscendo definitivamente dalla biblioteca.
Mentre camminava verso la propria casa sentì le nocche sbiancarsi sotto i pugni stretti e la sua espressione solitamente rilassata adesso era incredibilmente tirata.
Fine capitolo 2
 
Angolo autrice:
Salve a tutti e ben trovati nelle note finali del capitolo :3 Abbiamo scoperto chi è la protagonista ehehe e quindi vi chiedo, come prima immagine vi è piaciuta? Non mi sono voluta soffermare sull’aspetto esteriore che, per ora non è indispensabile (in effetti nemmeno per la trama, ma va beh xD), ma mi sono soffermata sul personaggio e sul suo background… o almeno, una parte :P
Che ne dite, siete curiosi adesso?
Chiedo scusa per i probabili errori che avrete incontrato nella lettura, in tal caso provvederò a porre rimedio ;)
Spero di riuscire ad incuriosirvi di più nel prossimo capitolo e che a lungo andare sarò all’altezza di tenere il filo della storia sempre sullo stesso livello!
Infine ringrazio i lettori e le persone che hanno messo la storia tra le seguite *-*
Un bacione a tutti
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Dopo le direttive date dalla dea Atena in persona, Camus si apprestò a comunicare al suo allievo Hyoga dell’imminente partenza. Il ragazzo tuttavia non proferì parola a riguardo, annuendo semplicemente con un gesto del capo. Probabilmente aveva notato una certa urgenza nell’espressione truce sul viso dell’Acquario e si apprestò a raccogliere i suoi beni più intimi per partire, compreso il Pandora Box del Cigno di bronzo.
Così, quando i primi raggi del sole toccarono le bianche mura del Tempio, partirono alla volta della Siberia.
Hyoga non credeva di poterci tornare così inaspettatamente. Non sperava di rimettere piede nelle sue amate terre così presto. Nonostante il periodo di pace che stavano vivendo tutti i Saint, nessuno era più riuscito a fare un così grosso spostamento, lasciando Saori solo alle cure del Grande Sacerdote. E poi, l’ultima volta che aveva lasciato il Santuario per tornare a dare un saluto alla defunta madre, era scoppiata un’altra guerra. Che lui ricordasse, la più brutale e sanguinolenta. Forse non avrebbe neanche dovuto trovarsi lì, al fianco del suo maestro, come se tutte le battaglie successe nel suo passato non fossero realmente accadute. Come se fosse tornato indietro nel tempo al suo apprendistato, quando seguiva Camus in ogni dove, per apprendere tutto ciò che lui gli avrebbe insegnato. Era diligente Hyoga, e forse troppo attaccato al ricordo della madre, ma ora si sentiva un uomo diverso nonostante tutto gli sembrasse come all’ora.
« Quindi, maestro, siamo diretti in Siberia? Perché? » Si azzardò a chiedere, spezzando quel surreale silenzio che aleggiava su di loro da quando avevano messo piede fuori dal Santuario.
Il Gold Saint dal canto suo sospirò lievemente, voltando leggermente il capo verso il suo allievo. Lo osservò così intensamente, questa volta con uno sguardo che l’altro non riusciva ben a comprendere, ed annuì seriamente. Tanto valeva rivelargli i loro piani. Lo aveva voluto al suo fianco ed era quasi inutile continuare a tenergli nascosta la verità che, nell’imminenza, aveva omesso di dirgli.
« Siamo diretti nel luogo del mio allenamento. Dove ho lasciato il mio io e sono diventato un Saint al servizio della Dea Atena… e dove troveremo colei che pensavo di aver dimenticato. » Disse solamente, rivoltando il suo sguardo di fronte a sé, alla strada che stavano percorrendo.
Hyoga ci pensò un attimo sopra, colpito da quelle parole. Quante cose pensava di sapere di quell’individuo con cui aveva passato gli anni più belli della sua gioventù? Ma in verità si rese conto che di lui sapeva ben poco. Era un Gold Saint al servizio del Tempio, era il suo maestro…e poi? La sua vita per lui era un mistero e proprio in quel momento si meravigliò come in tutti quegli anni non gli avesse chiesto nulla su di lui. Non che Camus avesse risposto, questo era certo, ma lui non ci aveva neanche provato.
Come i ghiacci della sua Siberia, imponenti ed eterni, così era il suo maestro.
« Lei? » Chiese poi titubante, non sicuro che l’uomo gli avesse risposto così su due piedi a quella domanda.
Ed invece, con un altro sospiro, come se si liberasse finalmente di un peso, si fermò senza preavviso sul posto, stringendo i pugni e la mascella prima di parlare.
« Tutti noi portiamo nel cuore vicende mai dette. Anni che dopo la nostra investitura a cavalieri cerchiamo di sopprimere. I miei anni di apprendistato non sono stati così tanto tremendi. Il mio maestro era un uomo dabbene, ma non ero solo in quel percorso. Non posso dire che fossimo amici con lei, ma eravamo complici nei nostri doveri. » Finì stringendo i denti prima di continuare a parlare, ma l’impulsività di Hyoga lo precedette.
« E come mai è così preoccupato di doverla incontrare? » Chiese con tranquillità, senza malizia alcuna, ma quella domanda innocente scosse l’orgoglio del Saint.
« Io non sono preoccupato! » Ribadì alzando la voce, gesto piuttosto strano da parte sua e quando se ne accorse cercò di correre ai ripari, vista l’espressione confusa del Cigno.
« È solo una persona che avevo dimenticato. A nessuno di noi piacerebbe tornare indietro sui suoi passi. » Concluse semplicemente, riprendendo a camminare.
Il biondo rimase fermo al suo posto ad osservare l’andamento spedito del maestro, osservandone le spalle ferme e la posizione eretta e possente. Quel quadro però gli strappò un sorriso, che si portò con lui fino a che non gli fu di nuovo accanto.
« Ne eravate innamorato? »
Quella domanda così diretta fece sgranare gli occhi all’Acquario e chiedersi come il biondino avesse potuto covare una conclusione del genere.
« No. Come ti avrò sicuramente insegnato, il cuore di un Saint non dev’essere scalfito da nulla. In esso ci dev’essere spazio solo per la devozione alla propria dea. Null’altro. » Finì riprendendo la sua regale compostezza, continuando a camminare spedito.
« Muoviamoci, o non arriveremo mai. » Concluse poi in tono che non ammise altre repliche. Così Hyoga non si azzardò a dire altro e mentre spalleggiava il maestro, la sua mente continuava a vagare facendo supposizioni sugli anni addietro del più grande.
 
*****
Arrivarono alla loro meta l’indomani, quando il sole sorgeva sugli eterni ghiacci del luogo.
Raggiunsero il loro villaggio, lo stesso degli anni del loro apprendistato, notando che nulla era cambiato da all’ora. Le stesse case costruite appositamente per far fronte alle rigide temperature del luogo, le stesse strade sommerse dalla neve, dove gli uomini più forti spalavano per renderle trafficabili, e le stesse persone di allora, solamente più segnate dal tempo. Ed entrambi ricordavano ogni volto, ogni donna, uomo o il bambino mostrando un piccolo cenno in segno di saluto man mano che incontravano qualcuno, notando confusione nei loro sguardi mentre rispondevano per cortesia -o per paura-.
Nessuno li aveva riconosciuti…
Certo nessuno dei due poteva biasimarli. Di anni ne erano passati, forse troppi, e nelle loro fugaci scappate in quelle lande ghiacciate non si erano mai presi la briga di passare per il villaggio. Forse entrambi scappavano da un passato ancora non del tutto lasciato alle spalle.
Erano ancora intenti a guardarsi a destra e sinistra con la mente pesa chissà dove quando sentirono una voce chiamare allegramente il nome di Hyoga.
Quando alzarono gli occhi, un ragazzino stava correndo nella loro direzione. Indossava un mantello di pelliccia con il cappuccio serrato sui capelli ed il viso mostrava due occhi color del ghiaccio ed un sorriso smagliante.
« Sei tu Jacob? » Sorrise il biondo quando il bambino gli saltò addosso con tutto il suo peso, abbracciandolo in una stretta che non sembrava intento a lasciare. Per fortuna negli anni trascorsi il Saint aveva sviluppato ancora più forza, così che le gambe non cedettero sotto il suo peso, facendolo rimanere eretto come se quel bimbo non avesse peso.
« Sono contento di rivederti! » La dichiarazione del ritrovato fece aprire le labbra del Cigno in un gioviale sorriso, accarezzandogli il cappuccio in un gesto amorevole.
Doveva tutto a quel bambino. Era come un fratello minore per lui. Era rimasto orfano in tenera età, come lo era stato lui. Si era così tanto affezionato ad Hyoga che lo assisteva sempre nei suoi allenamenti tra i ghiacci, portandogli cibo o vestiti asciutti. In fondo doveva anche a lui la sua vita. Era l’unico che gli era rimasto accanto dopo il suo apprendistato con il maestro, adesso lì accanto a loro che li osservava in silenzio.
In quella scena però, anche il cuore di ghiaccio di Camus poteva essere scalfito, così, dopo l’ennesimo sospiro, poggiò una mano sulla spalla dell’allievo, che si voltò verso di lui meravigliato.
« Maestro, ti presento Jacob. » Iniziò verso di lui, finendo poi per voltarsi di nuovo verso il bambino. « Jacob, ti presento Camus. »
Il ragazzino dopo quella presentazione voltò anch’egli l’attenzione verso il Saint, con un piccolo sorriso di cortesia. La serietà del Gold lo aveva lasciato del tutto interdetto e spiazzato. Era così diverso dal suo amico che quasi stentava a credere che fosse veramente lui l’uomo che aveva insegnato tutto il suo sapere al ragazzo benevolo e sorridente che in quel momento lo teneva senza sforzo tra le sue braccia.
« Piacere Jacob. » Azzardò solamente l’Acquario, spostando poi l’attenzione sul biondo che, vedendone l’espressione, capì immediatamente i suoi pensieri.
« Davvero vuole che rimanga qua? » Chiese confuso. Da una parte non vedeva l’ora di rimanere un po’ insieme al bambino e, perché no, passare a salutare sua madre nel luogo del suo eterno riposto, ma dall’altra non voleva venire meno ai suoi doveri di Saint.
Il flusso dei suoi pensieri però, venne interrotto dal gesto affermativo del suo maestro.
« Saluta i tuoi cari. Anche io ho bisogno di fare una cosa, ed ho bisogno di farla da solo. » Pronunciò solennemente, dando un ultimo sguardo negli occhi color ghiaccio del Cigno prima di voltargli le spalle e continuare per la sua strada, lasciando il compagno ad osservare il suo andamento con un sopracciglio alzato.
 
****
Una volta solo, Camus andò diretto e senza ripensamenti verso la casa dei suoi ricordi, laddove viveva con il suo maestro e…lei. Riconosceva ancora la via dopo tutti quegli anni e la percorse spedito, come se fosse una cosa di vitale importanza. Ma, dopotutto, lo era davvero.
Ad ogni svolta ed incrocio la sua mente si perdeva nei ricordi e la sua mascella si stringeva sempre di più. Il suo cuore ed il suo cervello erano di nuovo in lotta. Forse non era del tutto pronto a rivivere quei momenti ed a incontrare persone di un passato che credeva di non dover più far entrare nel suo presente o nel suo futuro. Credeva di aver definitivamente cambiato la sua vita con l’investitura a cavaliere, ma ciò che era stato era sempre lì, vigile e pronto a spuntar fuori da un momento all’altro. Di certo non si era dimenticato delle sue domande senza risposta e quindi chi più del suo maestro poteva conoscerle? Grazie a lui, avrebbe poi portato a termine la sua missione.
Una volta arrivato dinnanzi la porta dell’abitazione, bussò senza ripensamenti, pronto a farsi accogliere dall’uomo a cui doveva tutto e, quando se lo trovò di fronte dopo aver aperto la porta, l’espressione pacata del suo viso si fece dapprima confusa, finendo poi meravigliata. Di certo tutti si sarebbe aspettato di vedere alla sua porta, tranne lui.
« C…Camus? » Azzardò l’uomo senza spostarsi di un millimetro, non permettendo all’altro di poter entrare. Il gesto però era dettato dal totale subbuglio dei suoi pensieri, rivolti a quella figura regale che era adesso il suo ex allievo.
« Sì, sono io. Mi fate entrare? Ho bisogno di conferire con voi. » Si rivolse a lui con reverenza e dandole del “voi” come era solito fare negli anni di apprendistato verso un uomo di grado superiore al suo.
« Certo… » Sospirò il padrone di casa, spostandosi leggermente di lato per permettere al Saint di passare con tutto il Pandora Box che portava in spalla. « Siediti pure e scusa per la confusione, non aspettavo visite. » Si apprestò a dire togliendo quanta più roba poteva dal tavolo, portandola poi nella piccola cucina, situata accanto al salotto dove il Saint era stato invitato a sedersi.
Nel breve momento di solitudine, Camus cercò di spostare lo sguardo in quante più parti possibili, riconoscendo tutto ciò che si trovava nel raggio visivo. Non era stato spostato o toccato nulla, tutto era come ricordava. Se non fosse che adesso era un Saint a tutti gli effetti, avrebbe creduto di trovarsi ancora in quei tempi. Adesso però, una volta seduto, i suoi piedi toccavano terra.
Sorrise al ricordo di sé stesso. Di un io che aveva dimenticato di essere stato.
Buffo come il destino lo avesse riportato alle origini.
Quando l’uomo tornò, con due tazze fumanti tra le mani, che poggiò sul tavolo di fronte a loro, lo osservò sorridendo nel suo interessamento agli arredi.
«  È tutto come lo ricordavi. »
Non era una domanda la sua, bensì un’affermazione che distolse il Gold dai suoi pensieri, facendogli riposare l’attenzione su di lui, annuendo e portando la tazza alle labbra dopo un silenzioso ringraziamento.
« Perché sei qua? » Chiese poi il suo maestro dopo una breve pausa. Si era fatto serio e preoccupato, perché in tutti quegli anni non si era mai fatto vivo. Aveva saputo le notizie delle varie guerre e di entrambe le volte che era tornato dagli inferi. E questa volta invece era lì, come se nulla fosse successo, a bere tè in compagnia di colui che credeva avesse dimenticato. Certo, ne era lusingato, ma tutto quello non poteva di certo essere una coincidenza.
Camus mandò giù un altro sorso di tè prima di rispondere, senza però distogliere lo sguardo dall’uomo in attesa di risposta.
« Sono giunto fin qua per ordine della dea Atena. Ho bisogno di incontrare Ippolita. Devo condurla al Tempio. »  Rispose scandendo ogni parola, cercando di tenere la voce più ferma possibile ed osservare l’espressione dell’altro farsi sempre più sorpresa.
« Per quale motivo? Certo non si può controbattere gli ordini superiori ma… » Mentre il padrone di casa cercava le parole per continuare, il Saint lo precedette.
« Potrebbe essere in pericolo. » Concluse l’Acquario mestamente, facendo scoppiare a ridere l’altro.
« Ippolita in pericolo? È quasi da non credere… » Finì divertito sorseggiando anch’egli il liquido ambrato.
Dal canto suo il cavaliere posò la sua tazza sul tavolo, alzando un sopracciglio. Quel comportamento da parte dell’uomo era stato tutto fuorché prevedibile e tutto ciò lo lasciò interdetto ad aspettare che andasse avanti.
« Mi capita di rado di incontrarla, vive qua al villaggio. È ospitata da delle vecchie signore, che la vedono tornare al calar del sole e andar via all’alba. Dice che abbia continuato ad allenarsi, che non si sia data per vinta. A volte aiuta gli uomini per la caccia e la pesca, per far fronte ai giorni più rigidi. Nel suo cuore serba ancora la nobiltà d’animo dei guerrieri. »
Seguitarono alcuni istanti di silenzio, dove nessuno dei due osava dire altro. Ma fu rotto di nuovo dall’uomo.
« Puoi trovarla laddove tutto è cominciato. » Soffiò infine, svuotando la sua tazza con un solo sorso.
« Bene, è giunto quindi il momento di portare a termine questa missione. Con il vostro permesso. » Eguagliò l’uomo finendo il tè nella sua tazza, rimanendo però composto e regale come il suo solito. Infine si alzò dalla sedia, riponendola al suo posto e portandosi con pochi passi fino alla porta d’entrata.
« Potrebbe non volerti rivedere. » Il suo ex maestro ruppe di nuovo il silenzio creato tra loro, bloccando la mano del Saint sul pomello, in procinto di girarlo e voltare definitivamente le spalle, per il momento, al suo passato.
« Lo so… » Soffiò infine l’Acquario, aprendo la porta ed uscendo nella gelida temperatura del luogo. « Farò come mi è stato ordinato, che lei lo voglia o no. Gli ordini di Atena non si discutono. » Rimise in spalla il suo Pandora Box ed iniziò a camminare verso la sua meta, pronunciando un frettoloso addio senza voltarsi, lasciando l’uomo sull’uscio a guardarlo andare via per la seconda volta.
Fine capitolo 3
 
 
******
Angolo autrice:
Salve a tutti e ben trovati in questo fine capitolo :3 Mi sono soffermata sull’Acquario d’oro,  cercando di farlo rimanere più IC possibile. Purtroppo a volte è assai difficile con personaggi già esistenti e del calibro di Camus. Spero di non aver deluso le aspettative (in ogni caso ho sempre apportato la nota OOC, non voglio peccare di presunzione di riuscire nell’intento!).
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che, come il solito, abbia stuzzicato ancora di più la vostra curiosità.
Inoltre, a parte gli errori, spero di non aver fatto un capitolo troppo breve. Non riesco mai a scrivere più di tanto xD sono una casalinga disperata (ancora più disperata quando inizierò a lavorare xD)
Bene, colgo l’occasione per ringraziare i lettori arrivati fino a qua e le persone che hanno messo la storia tra le seguite.
Un ringraziamento speciale ad Olivier_Rei per le recensioni ai primi due capitoli <3
Con la speranza di riceverne altre, vi lascio al prossimo capitolo!
Un bacione!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Risoluto a portare a termine quella missione, Camus raggiunse Hyoga nel posto dove riposava sua madre. Sapeva che l’allievo si sarebbe trovato in quel luogo, pronto a dare di nuovo l’ultimo saluto alla donna che riposava nel profondo di quei gelidi abissi, in cui lui stesso la fece sprofondare ai fini di spronare il ragazzo alla battaglia. In quel tempo la sua fede era accecata da Saga, che non sapeva essere sotto mentite spoglie del Grande Sacerdote e quell’inezia fu la sua prima condanna agli inferi. Se ripensava a quei giorni si sentiva completamente diverso, ma dopo tutti quegli anni adesso doveva di nuovo tornare a fare i conti con i ricordi di quell’uomo. Sarebbe dovuto tornare ancora più indietro della battaglia delle dodici case e della Guerra Sacra. Si stava apprestando a ridurre la distanza con un passato ancora più remoto di quanto ci tenesse ad ammettere. Il lungo apprendistato a Saint, come tutti gli anni di servizio al Tempio vestendo le sacre vestigia dell’Acquario, avevano fortificato il suo cuore ed avevano fatto sì che null’altro potesse scalfirlo, nemmeno il gelido e regale comportamento che aveva col prossimo.
Eppure…
« Siete già di ritorno! » L’esclamazione del Cigno lo riportò alla realtà, bloccando il flusso dei suoi pensieri. In parte gliene fu grato. Non poteva certo continuare a farsi scudo con ricordi e vecchie domande. Atena contava su di lui per la conclusione di quella missione per un motivo che lui conosceva bene.
Annuì con la testa in segno affermativo, arrestando i passi a poca distanza da lui.
Il biondo aveva indosso una pelliccia spessa a coprirgli ogni centimetro del suo corpo, ma notò sul suo viso le gocce d’acqua che scivolavano dalla frangia fradicia.
Era sceso nelle profondità degli abissi e la voragine accanto a lui ne era la prova. Eppure lui se ne stava in piedi come se avesse fatto la cosa più semplice del mondo. A volte si meravigliava di quel ragazzo e, nonostante fosse stato lui stesso il suo mentore, doveva ammettere che di cose da imparare da lui erano ancora molte.
« Sono pronto a seguirlo allora. » Gli sorrise impercettibilmente, lasciando che la Bronze Cloth del Cigno prendesse posizione sulle sue membra.
Camus dal canto suo gli rispose alzando lievemente gli angoli della bocca, poggiando il Pandora Box a terra e vestendo anch’egli la sacra Gold Cloth.
Erano pronti a portare a termine quella missione.
Da lontano, Ecate si godeva la scena.
 
****
 
Raggiunsero in un tempo incredibilmente breve il Cosmo della ragazza, nonostante cercasse di tenerlo oscurato. Ricordava gli anni di addestramento e, nonostante non l’avessero portata a guadagnarsi la lucente Cloth adesso propria al Saint dell’Acquario, ricordava le parole del loro maestro.
Imparate a nascondere la vostra forza al prossimo. Fate che sia sempre una sorpresa.” E negli anni a seguire le era risultato anche semplice, ma non in quell’ultimo giorno. Non dopo la conversazione con la dea della magia. Era terribilmente inquieta dopo quell’incontro ed ancora vagava tra i ghiacci, con la mente lontana da quelle terre ed i pugni ben serrati.
Si era “esiliata” in quella distesa di ghiaccio per pensare, per liberare la mente dai pensieri e tenere il corpo allenato. Attorno a lei c’erano i segni dei suoi pugni, così come sulle sue nocche. Il sangue colava dalle piccole abrasioni che si era auto inferta coi suoi colpi e macchiava l’immacolato azzurro del pavimento ed il consono mantello che usava contro il freddo. Ma a lei non importava. Avrebbe potuto controllare ogni singola parte del suo corpo e colpire i suoi bersagli con quanta più forza avesse in corpo uscendone illesa ma non se ne curava. Sembrava come se quei tagli fossero una sua silenziosa punizione. Non una parola usciva dalla sua mascella serrata, se non grida di rabbia contro qualcuno probabilmente senza un volto preciso. Ce l’aveva con Ecate, con Camus, col suo maestro…ma soprattutto con sé stessa.
L’ultimo colpo lo sferrò dritto di fronte a lei, decapitando un cumulo di ghiaccio alto almeno 3 metri e mentre osservava i pezzi di ghiaccio disintegrarsi sul pavimento vide due distinte figure avvicinarsi.
Sì drizzò in attesa, cercando di regolarizzare il respiro corto e riordinare i pensieri. Nessuno sarebbe dovuto giungere in quelle terre, nessuno conosceva quel luogo a parte…
Man mano che i due si avvicinavano ed i tratti somatici le erano via via più chiari, scopriva di più i denti in un’espressione a dir poco furiosa, fino a che non furono faccia a faccia a qualche metro di distanza.
Nessuno dei tre osò proferire parola. Si presero il tempo necessario per scrutarsi a vicenda, come se tutti quegli anni trascorsi non fossero effettivamente passati; come se fossero di nuovo due reclute, l’uno di fronte all’altra nella sacra lotta alla conquista della Gold Cloth dell’Acquario, la stessa che adesso troneggiava sul corpo del Saint.
Ippolita fece una smorfia nell’osservarla, storcendo la bocca in un sorrisetto di scherno. Si perse ad osservarne il pregiato oro immacolato che, nonostante le innumerevoli battaglie, ancora possedeva la sua lucentezza ed il suo fervore. Osservò il mantello bianco svolazzare sotto la brezza gelida del luogo, trasportando in essa vecchi dissapori, finendo poi ad osservare l’espressione pacata nel volto del Saint.
Ricordava gli occhi blu di Camus, ma non che fossero così profondi e taglienti.
Quella consapevolezza la face reagire di conseguenza, neanche degnando Hyoga di uno sguardo.
« Ma guarda che visita di cortesia. A cosa devo l’onore? » Fu la prima a prendere parola, facendosi sarcastica e portando le braccia sui fianchi.
« Anche per me è un piacere rivederti… » Soffiò apatico l’Acquario, non prendendosi neanche la briga di cambiare espressione e facendo saltare i nervi alla ragazza.
« Per me non è un piacere. Ma non è una coincidenza la vostra presenza qua… » Spostò lo sguardo curioso verso il Cigno, che la squadrò di rimando con altrettanta curiosità.
« In effetti non c’è nessun piacere per noi nell’essere qua, a parte assecondare i voleri della divina Atena. » Azzardò un passo avanti sul ghiaccio, lasciando la ragazza sospettosa.
« Buffo come abbia mandato proprio te… » Iniziò impettendosi, portando le braccia congiunte al petto.
« Conosciamo queste terre quasi come noi stessi. » Parlò Camus al plurale, dettaglio che ricordò alla ragazza di guardare meglio la persona affianco al suo ex compagno d’armi.
Si prese qualche secondo di silenzio per osservarlo nei minimi dettagli. Osservò dapprima la lucente armatura di bronzo del cigno, finendo poi a scrutare l’espressione pacata del viso, dove i profondi occhi color del ghiaccio sembravano volessero perforarla.
« Saresti così gentile da presentarci? » Continuò con voce sarcastica, riportando l’attenzione al più grande.
« Sono Hyoga, Bronze Saint del Cigno, suo allievo. » Disse però il biondo senza aspettare di essere introdotto nel discorso. La sua cavalleria non glielo avrebbe permesso.
Alle sue parole però, Ippolita si esibì in un’espressione di falsa meraviglia.
« Allievo! » Esclamò ridendo, facendo saltare i nervi ai due. Soprattutto a Camus, che nella sua regale pacatezza però non lo dette troppo a vedere. « Hai fatto carriera, me ne compiaccio! » Concluse assottigliando lo sguardo, ma prima che potesse aprire bocca di nuovo, l’Acquario la precedette.
« Potrei dire molto della mia lunga e fiorente carriera come Gold Saint del Tempio. Questa Cloth mi ha riserbato molte soddisfazioni, seppur a caro prezzo. » Tagliente e diretto come era solito essere, le parole del ragazzo colpirono l’orgoglio di Ippolita come una lama ben affilata, facendole storcere per un breve momento la bocca.
Fu abile a non cadere nella sua trappola, nonostante Camus sapeva di aver centrato un nervo scoperto. In genere non era mai così subdolo, quel ruolo lo lasciava a persone del calibro di Death Mask, ma in quella situazione non riusciva a tenere alta la sua fierezza. Non con lei, che con il suo sarcasmo diretto non aveva nulla da invidiare al Cancro dorato.
« Beh, risparmio alle mie orecchie il fastidio di ascoltarla. In ogni caso, gradirei sapere il vero motivo per il quale siete qua. »
Si fece tutta orecchie, riprendendo posizione con le braccia conserte in attesa di sentire finalmente la verità.
Non poté non dirsi meravigliata, o spiazzata di trovarsi di fronte l’uomo che era diventato, a buttarle addosso ciò che aveva cercato di dimenticare per anni. Se avesse avuto un po’ meno orgoglio, avrebbe potuto raggiungere il Tempio comunque ed a quest’ora sarebbe stata una Sacerdotessa. Avrebbe difeso il Santuario come la guerriera che aveva sempre cercato di essere e forse avrebbe messo pace al suo animo inquieto. Invece era rimasta “bloccata” in quei luoghi, come se la sua vita fosse stata messa in loop e solo in quel momento qualcuno avesse pigiato di nuovo il tasto play.
« Dobbiamo condurti al Tempio. » Disse semplicemente Camus, sintetico come il suo solito.
Ippolita dal canto suo rimase disorientata da tale confessione ed abbassò le braccia in segno di difesa, come se da un momento all’altro i due potessero condurcela di peso.
« Dovere è una parola forte dal momento che non ho intenzione di obbedire. » Rispose solamente, cercando di mantenere un tono quieto ed i sensi all’erta.
« Questi sono i voleri di Atena ed un semplice uomo non può sottrarsene. » Continuò lui con il suo tipico tono gelido che la mandò su tutte le furie.
« Non sono un Saint! Mi sembra che il mio destino si sia compiuto anni or sono, dunque la nostra conversazione finisce qua! » Concluse lei, accennando un passo a ritroso per poter riuscire a sottrarsi a quella conversazione oramai per lei senza senso.
Serrò la mascella e ripensò alle parole di Ecate il giorno prima. Anche quella dea cercava di imporle il suo volere, convincendola a prendere una decisione per lei assurda. Quindi cosa c’era di diverso in quelli della dea della giustizia? Perché i voleri di Saori sarebbero dovuti essere diversi?
« Anni or sono si è concluso il tuo volere, ben diverso dal tuo destino. »
Quelle semplici parole riuscirono a spazzare via ogni pensiero dalla sua mente. Portò di nuovo gli occhi su Camus, che la stava osservando imperturbabile ed in attesa che lei potesse controbattere. Ma a cosa sarebbe servito? Lei sapeva quanto quelle parole fossero vere, ma sentirle dal tono freddo della sua voce prendevano tutto un altro aspetto.
Mandò giù un groppo di amaro di saliva, cercando di riordinare le idee e lasciare che il suo cuore riprendesse a battere a ritmo normale.
Fu in quel momento che la voce di Ecate risuonò forte e chiara nella sua mente, come se fosse veramente all’interno del suo cervello.
Torna alle tue origini, ricorda da dove vieni.”
Quella semplice frase bastò a farle accapponare la pelle, tanto da indurla a prendere una decisione di cui, probabilmente, si sarebbe pentita da lì a breve. Non avrebbe lasciato che una dea manipolatrice come Ecate giocasse con la sua vita, non quando ci aveva giocato abbastanza lei stessa. Aveva commesso degli errori in passato e per una qualche ragione divina le stavano servendo su un piatto d’argento una seconda occasione.
Sospirò allentando la tensione sui suoi muscoli, sentendo la pesantezza di quella giornata sulle spalle. La luce stava scemando ed il sole aveva già iniziato a tramontare, lasciando che i bagliori arancioni dei suoi raggi giocassero sulle lastre di ghiaccio, mostrando ben distintamente le loro ombre. Le armature di Camus e Hyoga brillavano in tutta la loro magnificenza in quegli attimi, più di quanto avrebbe voluto ammettere. Erano così regali e perfetti che sentì salirle al petto un moto di stizza ed invidia.
Eppure, nonostante il flusso dei pensieri contrastanti tra loro, avanzò qualche passo fino a trovarsi all’altezza delle loro spalle. Da quella posizione riusciva ad intravedere la strada di ritorno al villaggio, che osservò mestamente prima di proferire le parole che mai avrebbe pensato di poter dire.
« Seguitemi. Partiremo all’alba. » E senza aspettare una qualche risposta da parte dei Saint, che meravigliati da quel repentino cambiamento di idea si scambiarono solo una breve occhiata d’intesa, iniziò a precederli.
La strada a ritroso fu più che mai silenziosa. Ippolita dava loro le spalle, camminando risoluta e con andatura spedita verso la sua dimora, mentre i due la osservavano semplicemente camminare di fronte a loro.
Camus ogni tanto gettava curiose occhiate alle spalle della ragazza, ancora non tanto convinto dal suo comportamento fin troppo consenziente. In più si prese il tempo che gli servì per studiarla. Certo non era più la ragazzina di tredici anni che aveva visto per l’ultima volta in quelle terre, con il corpo tonico ma non ancora del tutto sviluppato. Negli anni si era fatta più alta ed ogni curva del suo corpo, che rimandava senza ombra di dubbio alle sue origini, era nascosta dal pesante mantello di pelliccia. Non si preoccupava di essere femminile e lo dimostravano i mossi capelli castani, in quel momento domati dalla treccia che sbucava fuori dal cappuccio, come qualche ciuffo della frangia che cercava di raggiungerle gli occhi verdi. Dovette ammettere che, nonostante il ricordo che aveva di lei ed i vari sentimenti contrastanti che aveva provato nel trovarsela di nuovo di fronte, quella ragazza era un vero mistero.
Quando arrivarono davanti all’umile dimora dove lei passava le sue notti, prima di aprire la porta verso il caldo interno, Ippolita si voltò perentoriamente verso i due, distogliendoli dai loro pensieri.
Fu in quel momento che Camus notò un particolare nel volto di lei, che prima non aveva notato per colpa della distanza tenuta da entrambi. Il roseo colore del labbro superiore della ragazza era interrotto da una piccola cicatrice pallida, che lui non poté non riconoscere. Era stato proprio lui a procurargliela nel loro ultimo scontro, con il colpo sferratole dopo che lei aveva inspiegabilmente bloccato il suo. Era grazie a quel colpo se poteva bearsi del titolo di Saint ed immaginò la rabbia della ragazza a dover fare i conti con quella consapevolezza tutti i giorni.
Ed ancora era lì a chiedersi il perché.
Buffo però come la sua mente tornasse a pensarci così intensamente, dopo che aveva cercato più e più volte di sopprimere quei ricordi, come l’inspiegabile senso di colpa che lo aveva accompagnato. Ma non era forse prerogativa dei Saint quello di chiudere il proprio cuore?
Anche se non era del tutto riuscito a chiudere tutti i ricordi nei recessi della sua mente, il destino lo aveva scelto come legittimo custode di quel sacro oro, guardiano dell’undicesima casa a difesa del Tempio, e se il fato aveva scelto lui ci doveva essere un motivo. Non avrebbe mai e poi mai lasciato che la vicinanza di quella donna potesse ancora far vacillare il suo animo, nonostante le tante domande.
Ippolita dal canto suo aveva notato il particolare interesse del suo ex compagno d’armi al suo labbro superiore ed in una morsa di stizza aveva serrato i pugni. Quella cicatrice era la sua eterna “vergogna”. Era sul suo volto da quel giorno a buttarle in faccia la cocente verità: il motivo per cui ad indossare la Cloth dell’Acquario era l’uomo glaciale di fronte a sé.
Alzò gli occhi in quelli penetranti di lui, osservandoli di nuovo così da vicino. Non si era resa conto di quanto fosse cambiato. Di come l’espressione del ragazzino che ricordava avesse lasciato spazio a lineamenti più maturi, dei capelli nettamente più lunghi e lo sguardo di un uomo in eterna lotta con sé stesso.
Fu in quel momento, ad osservare l’oceanico colore di quegli occhi che il suo cuore tradì ciò che si era sempre prefissata di reprimere. Iniziò a battere così forte che maledisse dapprima sé stessa per aver acconsentito di seguirlo e maledisse Atena per quel brutto tiro mancino nel volerla al Tempio a tutti i costi.
E come dimenticare di quella simpaticona di Ecate, che sembrava conoscerla più di quanto le costasse ammettere?
Prima di aprire bocca e porta, una domanda giunse spontanea nella sua mente.
Il passato è veramente tale o no?”
Non riusciva più a capirlo, a sentire le certezze ed i muri che si era costruita attorno in tutti quegli anni bui.
Di una cosa era assolutamente certa e cioè che odiava Camus come non aveva mai odiato nessuno uomo al mondo.
Fine capitolo 4



Angolo autrice:
Ben trovati cari lettori :3 Eccoci alla conclusione di questo quarto capitolo. Spero che questo incontro tra i due “rivali” vi sia piaciuto o, per lo meno, che non abbia deluso le vostre aspettative! Mi farebbe molto piacere sapere i vostri pareri, inoltre mi aiuterebbero a migliorarmi :3
Beh, inutile dire che i guai sono appena cominciati ehehe
Vado subito al punto e ringrazio le persone che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate, ma soprattutto ad Olivier_Rei per le recensioni <3
Un bacione
Al prossimo aggiornamento!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 

Quella notte le ore non volevano trascorrere velocemente come tutti gli altri giorni, quando stanca della giornata vissuta si abbandonava sotto le spesse coperte del suo letto. Complici erano i pensieri che le trafficavano in testa, in mancanza della coscienza che permettesse loro di smettere di cospargerla di dubbi e domande.
Voltò posizione cercando di migliorare anche le prestazioni del sonno, fallendo completamente nel suo intento. Il divano non era per niente comodo ed il ticchettio dell’orologio che scandiva i secondi che stavano lentamente trascorrendo non agevolava la sua causa. Si stava seriamente pentendo di aver ceduto la sua stanza ai due, che probabilmente stavano dormendo tranquillamente alla faccia sua. Le due signore che chiamava amorevolmente zie invece, dormivano ignare di ciò nelle loro stanze. Non le aveva volute svegliare per rivelare la presenza dei due uomini, e probabilmente non lo avrebbe nemmeno fatto prima di andare via definitivamente da quelle terre che l’avevano accolta fin da ragazzina.
Infine sospirò, sollevandosi definitivamente dal divano. Oramai era chiaro che non avrebbe più preso sonno. Senza aspettare altro tempo prese il suo mantello di pelliccia ed uscì dalla porta cercando di fare il meno rumore possibile.
Subito il freddo che infuriava all’esterno inebriò i suoi sensi, riportandola velocemente coi piedi per terra. Il ghiaccio la calmava, così abituata a farne parte. Il suo cosmo era devoto alle energie fredde ed in quel momento, svuotata leggermente dei pensieri infausti, si chiese veramente se aveva preso la decisione migliore per sé stessa. Come avrebbe fatto a sopravvivere in Grecia, con le temperature miti del luogo?
Con un grugnito scacciò il pensiero e si diresse al luogo a lei più affine, mettendo sempre meno distanza al posto in cui aveva lasciato una parte di sé e dove il suo labbro era stato irreparabilmente segnato, come il suo cuore.
Buffo come il suo cervello le imponesse di presenziare proprio lì dove aveva avuto la delusione più grande della sua vita, quella che aveva cambiato il suo destino forse per sempre.
Così, per estirpare tutta la sua repressione cominciò a prendere a pugni il ghiaccio di fronte a sé, riaprendo le ferite che si era procurata quel giorno proprio per fare la stessa cosa. Ma a lei non importava del sangue che colava per terra, né del dolore fisico che sentiva. Si era concentrata su quello mentale, che faceva più male.
L’uomo a cui dava la colpa per il suo indegno passato dormiva probabilmente nel suo letto, a così poca distanza da lei e questo la faceva imbestialire. Aveva accettato di seguirlo nel luogo che un tempo voleva a tutti i costi presidiare come guerriero. Con gli anni aveva affievolito quel desiderio, rendendolo nullo agli occhi di una donna oramai più che ventenne.
Eppure una parte di sé aveva accettato senza pensare alle conseguenze, tutto per non darla vinta alla figura misteriosa che l’aveva incitata a fare qualcosa che lei in quel momento non poteva comprendere.
Quel lato impulsivo del suo carattere non era riuscito a correggerlo, ma alla fine era proprio quel lato di lei che l’aveva resa una guerriera di quel calibro, anche senza possedere una Cloth consacrata alla dea Atena.
« Ero sicura di trovarti qua. »
E proprio come la materializzazione dei suoi incubi, ecco che la voce irritante di Ecate aveva spezzato il silenzio di quel luogo, bloccando il suo braccio a mezz’aria prima che si infrangesse per l’ennesima volta consecutiva sul ghiaccio oramai totalmente macchiato dal suo sangue.
« Non aspettava altro che trovarmi da sola, giusto? »
La sfacciataggine con la quale aveva pronunciato quelle parole aveva quasi irritato anche sé stessa, ma non sortì lo stesso effetto alla donna alle sue spalle che, con una cristallina risata, riprese parola.
« Ci speravo in effetti… » Rispose solamente, avvicinandosi leggermente alla schiena della ragazza, che poteva sentirne il cosmo permeante.
« Il motivo? »
Ippolita si voltò per tenere testa alla conversazione, volendo a tutti i costi sostenere lo sguardo della donna vestita di nero. Tuttavia quello dell’antica dea si accese e la ragazza poté giurare di aver visto nelle iridi profonde dei suoi occhi tutto l’universo.
« Tu sai qual è il motivo, ti ha spinto a prendere una decisione di cui ti pentirai amaramente. »
Quella sfacciataggine irritò non poco la padrona delle energie fredde, facendole serrare la mascella e bloccare il respiro per un breve momento.
« Non verrò con lei. » Constatò autoritaria, allentando la primordiale tensione.
In risposta ad un’altra dimostrazione di sfacciataggine la dea rise, con un sorriso in totale contrasto con la sua compostezza e la sua misteriosità.
« Puoi andare da sola se ti senti più a tuo agio. » Fermò la risata riposando gli occhi in quelli della sua pupilla.
« Non farò nulla di quello che mi chiede di fare. Per me le sue parole sono vuote. Non capisco perché si ostina a chiedermi di fare una cosa che non comprendo. »
« Eppure ti ha riempita di dubbi. Non mi serve che tu capisca, ora come ora non capiresti comunque. A volte serve solamente accondiscendenza, perché i fili del destino non sono manovrati da noi stessi. » Rispose mestamente la maga, confondendo Ippolita ancora una volta. Al che, alterata, non perse le staffe.
« Il mio destino è stato alterato per colpa mia ed io solamente sono in grado di cambiarlo. Non permetterò a nessuno di giocare con la mia vita, neanche agli dei! »
« Eppure ti appresti a seguire i due uomini fino al Tempio… Posso dedurre che è una decisione dettata dal cuore? » Chiese sarcastica Ecate, beccandosi l’occhiata più fulminante che gli occhi verdi dell’altra riuscissero a fare.
« Non si permetta di parlare di cose che non sa! Io seguo quegli uomini perché è la cosa giusta da fare. Mi è stata data l’opportunità di raggiungere il luogo che nella mia infanzia avrei raggiunto a tutti i costi, persino a costo della mia vita. Per una serie di spiacevoli eventi non sono riuscita a raggiungerlo al tempo, ed ora colgo l’occasione per farlo adesso. » Concluse autoritaria, ma qualcosa nello sguardo di Ecate le diceva che non aveva creduto ad una sola parola e quegli occhi taglienti sembrava che la stessero perlustrando fin nel profondo della sua anima, mettendo a nudo tutto ciò che cercava di tenere nascosto.
Tuttavia la dea non proferì parola e lasciò cadere il discorso con un sospiro.
« Perché le preme tanto quello che faccio? Perché è così fissata nel chiedermi qualcosa che non posso fare? »
La domanda di Ippolita ruppe di nuovo il silenzio e questa volta a spiazzarla non furono le parole dell’altra, bensì il sorriso beffardo che colorava il suo viso.
« In effetti non mi interessa quello che fai. »
Quella risposta la spiazzò talmente tanto che fece crollare tutta l’ira in un istante, portandola ad alzare interdetta un sopracciglio. Ma prima che potesse dire qualcosa, Ecate riprese parola.
« Le mie parole hanno un intento ben mirato ed a me basta che abbiano raggiunto il fulcro del tuo cuore, come penso proprio che abbiano fatto. » Sorrise ancora. « Vuoi che si concluda lo spiacevole capitolo del tuo passato, fai pure. Segui l’uomo che tanto continui a convincerti di odiare e metti fine a questa storia. Dopodiché sarà la donna che tu stessa lascerai uscire che deciderà di fare proprio quello che ti sto chiedendo di fare! »
Con l’ultimo sguardo tagliente la donna sparì in un fascio di luce, lasciando ancor più piena di dubbi la povera Ippolita. Era rimasta immobile a metabolizzare quella strana frase, che in quel momento non aveva assolutamente nessun significato. Eppure dento di lei muovevano i passi così tanto sentimenti contrastanti che non riusciva più a capire quale fosse il più razionale da seguire.
Per fortuna il rumore dei passi che sopraggiunse non lontano da lei le permise di riprendere padronanza di sé stessa. Così, con un sospiro, assunse l’espressione più atona che riuscisse a fare ed aspettò che i tratti somatici della figura prendessero definitivamente l’aspetto che, per sua sfortuna, era quello di Camus.
« Non sono scappata se è quel che pensi. » Bloccò sul nascere ogni sua probabile accusa.
Lui rimase in silenzio per un breve momento, osservandola con lo sguardo oceanico che la bloccò sul posto. Odiava quello sguardo sfacciato!
« Non è quello che penso. » Rispose tranquillamente, mostrandosi enigmatico come suo solito. Il tono pacato che tenne ed il susseguirsi degli eventi in quella notte le fecero salire di nuovo l’ira, che mostrò digrignando i denti.
« E allora cosa vuoi? » Sbottò portando le braccia incrociate al petto aspettando una risposta esauriente.
« Perché sei così agitata? Lo sei stata tutto il tempo da quando ci hai visti. »
I suoi occhi inquisitori sembravano cercare di mettere a nudo la sua anima, come avevano fatto poco prima quelli di Ecate. Ma perché continuavano a metterla in difficoltà?
« Io non sono affatto agitata. E comunque quello che mi preme così tanto per esserlo non sono affari tuoi. »
Senza distogliere neanche un momento lo sguardo da lui lo sorpassò con passo deciso, fregandosene se lui l’avrebbe seguita oppure no.
Però, ancora una volta, le sue parole ebbero il potere di bloccarla sul posto. Rimase voltata per non sostenere di nuovo il suo sguardo e per mostrare indifferenza, quella che voleva assolutamente mantenere con lui.
« Perché quella volta arrestasti il colpo? Eri intenzionata a vincere l’armatura che indosso a tutti i costi, eppure ti sei tirata indietro. Non sei neanche riuscita ad allontanarti da queste terre. Perché ? »
Le parole di Camus non erano curiose, bensì taglienti ed accusatorie e il tono di voce con il quale le aveva pronunciate riuscì a storcerle il labbro in un sorrisetto di pura soddisfazione.
Notando con piacere che i demoni del suo passato non tormentavano solo lei era intenzionata a sfruttare la situazione al meglio, rivoltandola a suo pro.
« Prepara la tua lucente cloth cavaliere e sveglia il tuo allievo. Partiamo immediatamente. »
Senza degnarlo di altra considerazione riprese a camminare verso il villaggio, lasciando Camus ancora immobile. Sentiva il suo sguardo bruciarle le spalle, perché era sicura che le stesse osservando ancora con il suo sguardo penetrante, quasi sprezzante dopo quella conversazione. Il mancare di rispondere alla domanda che probabilmente lo aveva tormentato per più di dieci anni le dette una soddisfazione immensa. E di certo non gliela avrebbe mai data a sua volta con la vera risposta.
Avrebbe raggiunto il tempio con i due Saint alle prime luci dell’alba, chiudendo per il momento il primo capitolo della sua vita. Non aveva mai lasciato i ghiacci della sua terra e si apprestava a farlo per vivere in un luogo dove sicuramente avrebbe incrociato più volte la strada dell’Acquario. Doveva ammettere che vederlo vestito dell’armatura che tanto aveva bramato le faceva prudere le mani, ma cercò di non darlo a vedere e di non pensare alle parole di Ecate e quelle che del suo ex compagno d’armi. Non aveva bisogno di altre chiacchiere, non quella notte. Così, mentre aspettava che Camus svegliasse il Bronze Saint, scrisse un breve messaggio indirizzato alle donne che per tutti quegli anni si erano prese cura di lei. In fondo glielo doveva. E poi chissà, magari il destino l’avrebbe riportata un giorno in quelle terre.
Aspettò i due guerrieri fuori dalla porta, assaporando sulla sua pelle il freddo pungente che tanto le sarebbe mancato, con gli occhi chiusi rivolti verso le costellazioni che si potevano notare nel cielo limpido e sgombro da nuvole.
« Andiamo. »
La voce fredda di Camus la riportò alla realtà, così come il rumore della porta che si chiudeva definitivamente su quella casa.
Quando si apprestò a seguire i due uomini per la strada che l’avrebbe portata in un luogo sacro e sconosciuto, notò che solo Hyoga indossava la sua armatura di bronzo. Il francese era vestito con una semplice felpa spessa per fare fronte alle temperature del luogo e degli anonimi pantaloni stretti che gli fasciavano incredibilmente le gambe muscolose. Sulle sue spalle troneggiava il box dorato che conteneva la dorata armatura.
Si guardarono negli occhi per un lunghissimo momento, trasportando nello sguardo tutti i dissapori passati. In quelle iridi oceaniche Ippolita aveva letto il motivo per il quale il ragazzo avesse mancato di indossare quelle sacre vestigia ed il lampo di pura soddisfazione che ne seguitò si lesse sul suo volto per tutto il tragitto che si era apprestata a percorrere.
 
***
 
Alle prime luci dell’alba, nel tredicesimo Tempio ai piedi della statua di Atena, la dea aveva raggiunto la sala del trono dove il Grande Sacerdote era seduto con sguardo assente.
« Ti vedo pensieroso Saga. » Gli sorrise tuttavia lei, prendendo posizione sullo scranno a lei consacrato.
« No milady, riflettevo. » Ricambiò lui il sorriso, continuando prima che lei potesse chiedergli su cosa. « Il Saint dell’Acquario ha portato a termine la sua missione prima del previsto. Sento i loro cosmi vicini, come sento quello della ragazza. È incredibilmente potente per una guerriera senza Cloth, ed il suo cuore è così incredibilmente burrascoso. »
Saori sospirò, voltando lo sguardo fuori dalla finestra e stringendo di più la presa sul suo scettro.
« Lo sento. » Iniziò. « Pensi che possa essere una nemica? »
« Non saprei cosa pensare mia signora, ma il suo cosmo non mi sembra ostile. »
« Neanche a me. Per questo ho pensato a come quietare il suo animo inquieto. »
Volse di nuovo il suo sguardo nelle iridi smeraldine del Grande Sacerdote, che capì immediatamente le intenzioni di Atena.
« Penso che sia un’ottima idea. » Decretò infine, senza dire altro.
« Allora è deciso. È giunto il momento di un nuovo Crysos Synagein. »
« Pensa sia necessaria la presenza di tutti i Saint? » Azzardò l’uomo con tono pacato, ma lei sorrise solamente.
« Ti sei soffermato ad ascoltare solo l’animo inquieto di lei? »
Quella domanda spiazzò Saga, che cercò di capire dove lei volesse arrivare.
« Una persona, donna o uomo che sia che riesce a colpire un cuore freddo come quello del custode dell’undicesima casa ha buone potenzialità per divenire un ottimo guerriero. » Rispose lei allegra, in contrasto con l’espressione assorta di un momento prima.
« Volete introdurla come recluta dunque. Avete già in mente per quale armatura farla concorrere? »
« Questo dipende da lei… » Sorrise bonariamente alzandosi dal trono dorato e, troncando così la conversazione richiamò la presenza dei suoi Saint con la potenza del suo cosmo, che permeava quei luoghi fin dai tempi più antichi.
Fine capitolo 5
 
 
***
 
Angolo autrice:
Beh ma salve e ben trovati fin qua :3 che dire, mi sento particolarmente orgogliosa di questo capitolo (forse sono di parte con Ippolita, chi lo sa :P o forse perché sono incredibilmente sadica da farli avvicinare ed allontanare allo stesso tempo xD)
È stato un altro capitolo di transizione, dove ho fatto comparire di nuovo Ecate per instaurare altri dubbi nella ragazza (ed in voi cari lettori ehehhe) ed un piccolo avvicinamento tra Camus e la sua ex compagna d’allenamento. Ovviamente lei non è così ingenua da spifferargli tutto…
Quindi alzi la mano a chi è piaciuto! *cerca di notare le mani alzate.*
Bene, detto questo ringrazio ancora Olivier_Rei per le recensioni e le persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Un bacione
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Attenzione: Come avrete notato ho cambiato il rating della storia.  Questo cambiamento è dovuto al fatto che ho deciso di non mettere il Lemon in questa storia, visto che non ce n’è bisogno ;) alla fine non è una storia incentrata su quello, ma più su una guerra. Non nego che ci saranno avvicinamenti dei personaggi, però l’atto non sarà assolutamente descritto nei dettagli ;) Detto questo quindi, buona lettura :3
IL CAPITOLO CONTIENE UN LIEVE, LIEVISSIMO ACCENNO A SAINTIA SHO. NON VERRÀ COMUNQUE RIVELATO NULLA DELLA TRAMA O DEI PERSONAGGI DEL MANGA.  
 
Capitolo 6
 
 
Ippolita, Camus e Hyoga erano arrivati al Tempio alle prime luci dell’alba come predetto e si apprestavano ad avanzare verso la scalinata delle dodici case, dove la prima, quella dell’Ariete, troneggiava sull’altura che avrebbero dovuto percorrere.
C’era una strana quiete ed uno strano silenzio nonostante l’ora mattutina e quello meravigliò non poco la ragazza, che si arrestò di colpo guardandosi attorno meravigliata.
« Come mai questa desolazione? » Chiese con curiosità, puntando i suoi occhi inquisitori prima in quelli blu dell’Acquario e poi in quelli color ghiaccio del suo allievo.
Prima che uno dei due potesse rispondere li sentì sospirare, chiaro segno che evidentemente non avevano ben voglia di rispondere. Tuttavia il più grande prese parola.
« Il Tempio è abitato solamente dai suoi Gold Saint ed i pochi Bronze Saint e Silver Saint rimasti. » Rispose pacato, voltandole le spalle per continuare a salire.
« Rimasti? » Chiese di rimando la ragazza, cercando l’attenzione che non le stava dando Camus in Hyoga, che abbassò gli occhi probabilmente non molto felice di ripensare ad eventi oramai passati.
Tuttavia non mancò di rispondere.
« La maggior parte di noi che presediamo nel Tempio è tornata dagli inferi, anche quelli morti prima della Guerra Santa… » Calibrò pian piano le parole, lasciando in sospeso la frase spostando lo sguardo verso il maestro, che se ne stava ancora di spalle a guardare un punto indefinito di fronte a sé. Hyoga in cuor suo sapeva che i trascorsi del suo maestro non erano vicende di cui lui parlava a cuore aperto. In ogni caso rispettò quella decisione ed andò dritto al punto.
« Non tutti però hanno avuto questa “fortuna”. Per stipulare la pace tra Hades ed Atena, Zeus ha messo tra loro un accordo vincolante. Avrebbe resuscitato solamente i custodi delle dodici case, necessari per la protezione di Atena. Io ed i miei compagni Bronze Saint non eravamo scesi negli inferi da morti, quindi siamo riusciti comunque ad uscire dai Campi Elisi riprendendo i nostri corpi. Tutti gli altri cavalieri si sono sacrificati un’ultima volta per far trionfare la pace. Alcune delle loro sacre armature sono ancora alla ricerca di un proprietario… » Fermò in quel modo la frase, sperando che Ippolita capisse cosa intendesse dire. Lei dal canto suo annuì, facendo capire loro che non avrebbe indagato oltre. Tuttavia in tutti i suoi sogni di ragazzina non aveva mai immaginato il Tempio così vuoto ed illusorio, come se quel posto fosse un luogo abbandonato a sé stesso. Un po’ in realtà era così, lo dimostravano le macerie lasciate dall’ultima battaglia e le case ancora non del tutto ristrutturate.
« Non state a chiacchierare ulteriormente, dobbiamo raggiungere Atena il prima possibile. »
Furono le parole di Camus a rompere il ghiaccio che si era creato tra i tre, in quel silenzio così carico di sentimenti repressi e parole non dette.
« Aspetta! »
Il richiamo repentino della ragazza dette al custode dell’undicesima casa un motivo valido per voltarsi con aria spazientita. Non aveva voglia di perdere altro tempo in chiacchiere, che a lui non sarebbero servite a nulla. Tuttavia lo sguardo confuso della donna fece vacillare la sua fredda espressione per un breve momento.
« Non dovrei indossare una maschera? » Chiese lei, confondendolo, prima che lui potesse ripetere qualche sproloquio sul doversi muovere.
All’inizio Camus rimase interdetto da quelle parole, perché non l’aveva mai sentita toccare quell’argomento. Lei aveva ricevuto l’addestramento necessario per poter indossare un’armatura d’oro, propria ai cavalieri secondi solo al Grande Sacerdote. Sapeva che in quel caso non ne era assolutamente necessaria. Ma in quel momento, sentirle premere così tanto la questione lo costrinse a trovare dentro di sé una valida replica, che arrivò prontamente quasi come chiamata.
 « La divina Athena ha per te un destino diverso da quello delle altre Sacerdotesse. »
Le parole di un uomo giunto alle spalle dell’Acquario e del Cigno ruppero il nuovo silenzio che si era venuto a creare nel trio, costringendo Ippolita ad alzare di più lo sguardo per capire a chi appartenesse quella voce così tranquilla e soave.
La risposta giunse a loro vestita d’oro, con i capelli lillà sciolti lungo la schiena e due curiosi Bindi al posto delle sopracciglia.
« Mu, Gold Saint dell’Ariete e custode della casa in cui vi apprestate ad entrare. » Si presentò alla ragazza per rispondere alla sua domanda silenziosa, che lei aveva posto grazie al suo sguardo attento ed inquisitore. Ma Mu era padrone della telecinesi e delle arti che riguardavano le menti delle persone e quindi non gli fu difficile intuire il suo sguardo. Come era anche intuibile per la nuova arrivata che lui stesse aspettando che lei si presentasse a sua volta.
« Ippolita. » Disse solamente, facendolo aprire in una risata confortante.
« Sì, avremo modo di conoscerti meglio. Prego, dopo di voi. » Li incitò a passare ed il primo a superarlo fu Camus, dopo averlo salutato come si saluta un suo parigrado.
Subito dopo passò Hyoga, che lo salutò con più reverenza. Poi fu il turno della ragazza che, passando, si sentì i due occhi ametista fastidiosamente puntati addosso. Sentiva come se volessero di nuovo analizzarla nel profondo, come aveva fatto Ecate e come continuavano a fare gli occhi penetranti dell’uomo passato per primo di fronte all’Ariete. L’ultima cosa che voleva era l’essere giudicata per cose che neanche aveva il coraggio di ammettere e questa cosa la infastidì parecchio.
Tuttavia mandò giù un groppo di saliva e si apprestò a seguire il trio nella prima Casa.
***
Una volta all’interno della sala del Trono, Ippolita poté notare tutti i Cavalieri D’oro posizionati ai due lati della stanza in file composte, voltati leggermente verso Atena ed il Grande Sacerdote seduti sui rispettivi scranni sacri. Accanto alla Dea invece c’erano due ragazze vestite con delle armature argentate ed i loro visi erano una maschera di apatia.
“ Non portano la maschera come… “ Pensò, voltando leggermente lo sguardo verso le due Sacerdotesse che aveva visto prendere posto accanto ai Bronze Saint e che indossavano una maschera metallica a celare i lineamenti dei loro volti.
Ancora più incuriosita però si voltò verso Saori, dopo che ella si alzò in piedi e prese parola.
« Benvenuta al Tempio Ippolita. Ti starai chiedendo come mai ti ho fatta condurre fin qua… » Iniziò con un sorriso, posando i suoi occhi profondi sulla ragazza, che si era inginocchiata sul tappeto rosso posto al centro della sala.
« Dallo Star Hill ho sentito il tuo cosmo inquieto, penetrante e potente. Tuttavia non è ostile, ma credo sia sprecato per una guerriera senza un’armatura. »
Atena arrestò le parole, lasciando alla ragazza il tempo di riordinare i pensieri che per tutto il tempo le erano frullati in testa. Ma prima che potesse dire anche solo una parola, lady Saori riprese a parlare.
« Il Tempio ha bisogno di protezione, perché la pace in questi luoghi non è fatta per durare. Molte armature sono oramai senza un valido custode e, per il bene di queste sacre terre, è tempo per i nuovi cadetti di prendere posizione. » Concluse son un sorriso soave, che scombussolò ancora di più l’inquietudine nel cuore della giovane.
Quante volte in passato aveva immaginato di poter giungere in quei luoghi, al cospetto di Atena e dell’uomo che era la sua spalla destra. Quante volte aveva immaginato di presenziare in quella stanza con indosso l’armatura dorata dell’Acquario, sua costellazione guida, la stessa che in quel momento vestiva quieto e fiero l’uomo che sentiva non molto lontano dalle sue spalle. Si sentiva lo sguardo di lui addosso, come se fosse curioso di aspettarsi una qualsiasi delle sue reazioni avventate. Ma tutto ciò non accadde perché lei si limitò ad abbassare ancora di più la testa con reverenza, stringendo il labbro tra i denti fino a sentire il sapore metallico del sangue in bocca.
« Sono onorata milady. » Parlò mestamente, ma la voce le uscì dalla bocca più roca del previsto.
« Tuttavia continuerai l’addestramento come Saintia, e non come Sacerdotessa. Il tuo compito, una volta guadagnata una sacra Cloth, sarà quello di proteggere Atena da vicino anche a costo della tua vita. »
Fu Saga a parlare, alzandosi anch’egli dal trono e sovrastando la Dea con la sua maestosa altezza. Quando la ragazza alzò lo sguardo su di lui notò un’espressione enigmatica nel suo volto, ma non ci badò perché Saori Kido riprese parola subito dopo con il suo sorriso benevolo.
« Affido il tuo apprendistato al Saint a te più affine. »
Prima che potesse anche solo pronunciare il nome dell’uomo, Ippolita si era già irrigidita nella sua posizione inchinata e già sentiva le mani pruderle e l’ira raggiungere livelli esorbitanti. Quello era troppo, uno smacco forse troppo grande per lei. Si sarebbe abbassata a riprendere a sputare sangue pur di ottenere un ruolo, ma non in quel modo. Non vicina all’uomo che in tutti i modi cercava di tenere lontano dalla sua vita.
Sperò che il silenzio che si era venuto a creare dopo che, distrattamente, aveva sentito pronunciare il nome di Camus, fosse spezzato dalle parole di rifiuto del Saint. Scandì nel suo cervello i secondi che sperava sarebbero trascorsi prima di sentire il suo disappunto, ma tutte le sue speranze crollarono nel momento in cui sentì la voce pacata dell’Acquario pronunciare un distratto “come desiderate” e si chiese perché quell’uomo doveva essere così schifosamente accondiscendente al volere della Dea. Perché lei ne era sicura, quello non era per nulla il suo di volere. Come lei avrebbe preferito sprofondare nel gelido mare delle sue terre pur di non prendere ordini da lui, era pronta a scommettere che per lui valesse la stessa cosa. La conferma la ebbe dagli occhi taglienti del suo ex compagno d’armi puntati nei suoi, quando si era voltata per lasciarsi addietro la sala, dopo che Saori Kido aveva sciolto quel Crysos Synagein. Si erano guardati per un solo secondo, che era bastato per riportare a galla tutti i dissapori sopperiti nel profondo dell’animo di entrambi.
« Tu no Ippolita, ho bisogno di conferire con te in privato. »
Di nuovo la voce di Atena la bloccò sul posto, costringendola a voltarsi ed inginocchiarsi di nuovo attendendo che tutti gli altri Saint, compreso il Grande Sacerdote, lasciassero la grande sala.
Quando questo accadde il silenzio l’assalì di nuovo, così come tutti i dubbi e le domande che sentiva di voler porre, ma che per paura delle risposte si costrinse a non fare. Così rimase in attesa di una qualsiasi mossa da parte dell’altra, che le pronunciò un tenero “alzati”, aspettando che facesse come le era stato ordinato.
Si issò in piedi, lasciando una posizione neutra e piantando gli occhi curiosi in quelli della Pallade, che continuava ad avere un atteggiamento regale quale era il titolo che occupava. Tuttavia in quegli attimi di silenzio si perse ad osservare la sua figura, che mostrava una giovane donna maturata fin troppo in fretta dal destino che probabilmente l’aveva toccata senza chiedere il permesso…come esso aveva fatto con lei.
« Voleva dirmi qualcosa di importante mia signora? » Chiese d’un tratto Ippolita, non capace di tenersi ancora tutto dentro. Eppure lei sorrise solamente, così tanto bonariamente che quasi ne fu infastidita. Non era abituata a quella bontà d’animo, nemmeno da parte di sé stessa. In tutti quegli anni non si era permessa di trattarsi bene nemmeno una volta, continuandosi a tormentare con domande e col ricordo di un uomo che troppe volte aveva immaginato di battere nei conflitti organizzati dalla sua mente.
« In realtà volevo solo invitarti a non chiudere il tuo cuore. »
Andò dritta al punto Atena, lasciando la ragazza quasi boccheggiante. Il suo cuore aveva perso un battito per quella strana richiesta, ma lei sapeva fin troppo bene a cosa si riferisse. Non era riuscita a tenere lontano dalle sue emozioni nessuna delle due dee e così, con rammarico, si ritrovò a sorridere amaramente.
« Perché mi dite questo? » Chiese con una punta di acidità che fino ad un momento prima non avrebbe tollerato verso sé stessa, soprattutto di fronte ad un suo superiore. Era stato il primo insegnamento del suo maestro di un tempo, quando per lei diventare Saint era la cosa più importante. Quando quell’ardente desiderio veniva prima della famiglia che non si ricordava di avere, della sua stessa vita e… di Camus.
« Non lasciarsi toccare da sentimenti benevoli come l’amore, la lealtà o l’amicizia è il primo passo per cedere all’oscurità. Troppe morti abbiamo dovuto sopportare nelle epoche per colpa dell’ombra generata da cuori chiusi al prossimo. Senza saperlo è il primo passo che spinge l’uomo alla guerra. » Si fermò un momento ad osservare la reazione di Ippolita, che tuttavia rimase silenziosa cercando di non mostrare alcuna emozione. La osservò di nuovo con il suo sguardo inquisitore, mentre stringeva di più la presa sullo scettro di Nike.
« Troppi sono i Saint che sono andati avanti con la convinzione che, non lasciando entrare nulla nei loro cuori, avrebbero potuto far fronte ad ogni guerra. E sono stati i primi a cadere. Come Dea sella Giustizia non posso tollerare altre morti per colpa di ciò. E come Saori sono troppo affezionata ai miei uomini per vederli corrodersi per questo. »
La conversazione cadde così, essendo Ippolita impossibilitata a rispondere. Si limitò ad annuire alla ragazza, che tuttavia continuava ad osservarla curiosamente. Aveva capito il senso delle sue parole, ma non riusciva a capire il perché lo stesse dicendo proprio a lei. Proprio quando si decise a rivolgerle la sua domanda, Atena la spiazzò di nuovo con i suoi rebus.
« Penso che tu lo sappia. » Le sorrise luminosa, alzandosi definitivamente dal Trono. « Detto ciò hai libero accesso ad ogni parte del Tempio ed alloggerai qua nel Tredicesimo insieme alle altre Saintie. Vieni, lascia che ti mostrino l’accesso. »
Atena scese i gradini della parte più alta della stanza con eleganza, pronta ad accompagnarla dentro altre quattro mura, in quel momento troppo opprimenti per lei. Aveva bisogno dell’aria aperta, del poco freddo che mostrava la Grecia sul suo corpo fin troppo nudo per via delle elevate temperature. Non aveva intenzione di rimanere a maledire sé stessa per aver accettato di seguire Camus ed Hyoga fin quel posto e per essere costretta ad affrontare di petto il suo ex compagno d’armi. Si sentiva amareggiata e delusa da una dea che lei pensava essere giusta. Certo, Atena era giusta per il suo ruolo, ma che giustizia poteva esserci in tutto quello?
Per un momento provò ad immaginare che piega avrebbe preso la sua vita se invece che seguire la dea Pallade avesse seguito la dea Ecate, e di nuovo l’ombra oscura che aveva sentito aleggiare nel suo animo tornò a fare capolino.
« Vorrei poter scendere in Arena. » Disse d’un tratto verso Saori, una volta che lei le fu di fronte. Poté notare il suo giovane viso attraversato da una un’espressione indecifrabile, mascherata da un benevolo sorriso.
« Ma certo. »
Lasciò cadere di nuovo la conversazione con un ultimo reverenziale inchino prima di correre come una forsennata verso la discesa delle dodici Case, che iniziò a scendere con veemenza battendo i piedi sconcertata ad ogni scalino.
Sentiva l’irritazione salirle alla gola, mascherata da gridolini strozzati che l’accompagnarono per tutto il tragitto fino all’undicesima Casa, dove non aveva notato il suo custode appoggiato ad una colonna nella penombra del corridoio.
Camus la osservò passargli accanto, non staccandole di dosso il suo sguardo tagliente nemmeno per un secondo e forse fu proprio la pressione di quelle iridi oceanine che la costrinse a girarsi indispettita. Si osservarono di nuovo negli occhi, trasportando parole che forse non avrebbero mai avuto il coraggio di pronunciare. Nonostante quello, la ragazza resse il peso di quegli occhi senza mai staccare i suoi, digrignando i denti in un ghigno furibondo. Ce l’aveva con lui, con Atena, con Ecate e soprattutto con sé stessa. Voleva solo riordinare i pensieri e le emozioni, senza sentirsi ancora giudicata da lui e questo la spinse a distogliere con un rantolo strozzato l’attenzione dal suo volto, riprendendo a camminare verso l’uscita della casa sentendosi ancora lo sguardo inquisitore dell’Acquario ad infiammarle le spalle.
« Non hai risposto alla mia domanda. »
Furono le sue parole, fredde come il ghiaccio di cui era padrone a far inchiodare i suoi passi, senza però prendersi la briga di voltarsi. Tanto se lo immaginava con le braccia conserte ed un piede poggiato alla colonna in una posizione incredibilmente elegante e che su di lui non stonava nemmeno per un secondo. Continuava a sentirsi scrutata da quegli occhi maledetti, ma non gli dette la soddisfazione di voltarsi nemmeno per un attimo, rimanendo ai suoi occhi totalmente indifferente a quella presa di parole.  
« Non ho nulla da dirti. » Gli disse solamente, senza un tono particolare della voce, ma ringraziò di essere voltata così che lui non potesse leggere la sofferenza sul suo volto.
Riprese a camminare verso l’uscita, dove oramai era quasi arrivata, ma sentì i passi dell’uomo staccarsi dalla colonna e farsi più vicini alla sua schiena. Non dandosi per vinta e non volendo rimanere in quella casa, sotto l’inquisizione del suo custode, aumentò l’andatura, ma di nuovo la voce glaciale di Camus le impose di bloccarsi sull’uscio.
« Ti impedisco di passare attraverso la casa dell’Acquario e non puoi sottrarti ad un ordine impartito da un tuo superiore. » Disse diretto e tagliente, come lo era il suo sguardo infiammato dall’irritazione.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso e costrinse Ippolita a girarsi con espressione furiosa, amareggiata e sottomessa allo stesso tempo, trovando l’uomo che sentiva di odiare a così poca distanza da lei.
« Ma bravo! Ti senti tanto fiero di essere così superiore a me? Io non lo sarei se fossi in te. Non dimenticarti che è per merito mio se adesso sei un Saint. In fondo ti ho fatto un favore, non credi? »
Pronunciò quelle parole con una spiccata nota di amarezza nella voce, tenendo però un’espressione seria sul volto. Era assolutamente certa che le sue parole avessero infiammato il suo orgoglio di guerriero, perché vide i suoi occhi blu velarsi di una malcelata colpevolezza che le fece quasi spuntare un sorrisetto sadico nel vederlo così in lotta con sé stesso.
Tuttavia si riprese subito, perché di certo non era solo lui che doveva fare i conti col suo passato. Così, senza aspettare che lui potesse dire o fare qualcosa, riprese a camminare per la sua strada, quasi sicura che lui non le avrebbe impedito di passare.
Altro errore.
Dandogli le spalle gli aveva permesso di raggiungerla e lui l’afferrò prepotentemente per un braccio, riportandola all’interno del corridoio e quasi trascinandola sotto la sua presa ferrea. Arrestò la sua corsa sbattendola con poca grazia sulla prima colonna che incontrò sul suo cammino, mostrandosi non proprio magnanimo a lasciar correre quella conversazione senza ribattere.
« E tu ti senti così tanto fiera di aver buttato all’aria anni di addestramento? » Le disse solo quello, con le pupille dilatate in conflitto con il tono freddo ed incredibilmente indispettito che mostrava.
Quelle parole però sortirono in lei lo stesso effetto che avevano fatto a lui le sue. Si sentiva di nuovo umiliata e di nuovo la cicatrice le tornò a pulsare così tanto che si costrinse a serrare la mascella.
Quel gesto non passò inosservato al Saint, che inaspettatamente si portò più vicino a lei, quasi a toccarla col suo petto, osservandola di sottecchi e portando prepotentemente un dito a sfiorarle la pelle bianca del labbro. Sotto quel tocco irrigidì ogni muscolo del suo corpo, serrando i pugni fino a far sbiancare le nocche e portando un’espressione sprezzante sul volto.
« Questa ti renderà sempre colpevole delle tue azioni. » Camus pronunciò solo quello, prima di voltarsi a darle le spalle.
« Passa pure dalla casa che presidio, ma domattina all’alba voglio trovarti nell’arena. »
Mentre l’eco delle sue parole veniva pian piano metabolizzato dalla ragazza, egli sparì nella penombra del Tempio.
Fine capitolo 6

*****

 
Angolo autrice:
Salve a tutti e ben trovati alla fine di questo capitolo :3 ci apprestiamo ad arrivare alla resa dei conti tra i due (ma tranquilli, mica finisce qua :P).
Come vi è sembrato il primo “scontro” tra i due? Spero di non aver reso Ippolita troppo irritante e Camus troppo fuori linea dal suo reale carattere (anche se è comunque una storia OOC).
Per quanto riguarda la resurrezione da parte di Zeus mi sono immaginata che lui avrebbe potuto farlo solo con un pegno, che è stato pagato dai cavalieri d’argento che sono rimasti bloccati negli inferi. “La magia porta sempre con sé un prezzo” cita Tremotino ;) Spero non vi sia troppo dispiaciuto, perché comunque sarebbe stato per me troppo complicato gestire tutti i personaggi, già non tutti i saint si vedranno.
Beh, detto questo spero vi sia piaciuto questo capitolo (e che non abbia fatto troppo macello. Questo capitolo mi ha mandata fuori di testa con le virgole xD)
Ringrazio poi il sincero sostegno di Olivier_Rei che non finirò mai di ringraziare e delle persone che hanno dato una chance alla storia mettendola tra le preferite/ricordate/seguite.
Un bacione a tutti
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
 
Non era abituata al freddo della siberia, come non era abituata a pensare ed agire come un guerriero. Forse non lo sarebbe mai stata, ma questo una bambina come lei non poteva saperlo. L’uomo che l’aveva portata con sé in quelle terre sembrava avere per lei un piano ben preciso, soprattutto dopo che lei aveva perso la memoria. Non ricordava la sua vita precedente, o i cari che l’avrebbero cercata fino in capo al mondo. Ma poi, effettivamente, aveva davvero qualcuno che l’avrebbe cercata anche a costo di scandagliare ogni città del mondo?
Agli occhi di una bambina quasi alla soglia dell’adolescenza tutto quello sembrava un film. Ecco, si sentiva come se fosse stata dirottata sul set di un film fantasy. I ghiacci perenni ed il freddo pungente, il non ricordare da dove venisse, anche se il suo maestro non glielo tenne nascosto per molto tempo, ed il fatto che l’uomo che costantemente le era accanto indossava un’armatura luccicante.
Sì, la parola giusta per descrivere tutto quello sarebbe stato sovrannaturale. Soprattutto dopo che il suo maestro si era presentato e le aveva raccontato la storia dei guerrieri di Atena.
« Voglio diventare una guerriera! » Gli disse con fermezza quel giorno, mentre raggiungeva per la prima volta villaggio che non era mai stata in grado di abbandonare, facendo scoppiare a ridere l’uomo.
« Probabilmente lo diventerai, se il destino ti riterrà all’altezza. »
Forse lo sarebbe diventata se non avesse conosciuto l’altro allievo di quello che sarebbe diventato il loro mentore.
« Lui è Camus, il tuo compagno d’allenamento. D’ora in avanti sarete alleati e avversari allo stesso tempo. Ricordate che la sacra armatura dell’Acquario andrà solo ad uno di voi due.
Quella fu la prima volta che i suoi occhi verdi incontrarono quelli color del mare dell’uomo che sarebbe finita ad amare. Negli occhi di lui però non c’era rancore o una qualche velatura di rivalità. Il suo volto manteneva un’espressione fredda e tranquilla, come se lui non la considerasse per nulla una minaccia.
Nel primo giorno di allenamento riuscì a captare una delle mille sfaccettature di quel carattere, come un pezzo di ghiaccio che riflette i mille bagliori della luce del sole. Ecco, così avrebbe sempre descritto il suo compagno.
La nobiltà d’animo dei guerrieri lo avevano sempre dannatamente contraddistinto. Forse era quel suo lato nascosto che l’aveva fatta innamorare. Chissà.
Quando il loro maestro li spronò a correre sul versante di una montagna per raggiungere la cima, Ippolita non si dette per vinta nemmeno un secondo. Cercava di rimanere in piedi e di stare dietro le spalle di Camus, che la precedeva come se a lui tutti quei pericoli disseminati sul percorso non facevano né caldo né freddo. Ma lei era solamente una goffa ragazzina, nemmeno troppo abituata a quell’estenuante corsa. I primi a cedere furono i suoi istinti, non riuscendo a captare tutto ciò che avrebbe dovuto saltare o schivare, finendo poi per rovinare a terra con le gambe tremanti. Avrebbe voluto rialzarsi, la volontà d’animo era pronta ad impedirle di rimanere a terra, ma non ci riusciva.
Stava quasi per darsi per vinta, fino a che non vide una mano tesa di fronte a lei. Alzò lo sguardo ed incrociò le due iridi del colore del mare che le mozzarono il respiro in un secondo.
« Prendila. » La incitò solamente lui, con voce pacata. La tranquillità del suo volto portò a chiedere alla ragazza se lui fosse veramente umano. A parte le gocce di sudore che gli cadevano lungo le tempie ed i capelli appiattiti lungo le guance non c’era un notevole accenno di stanchezza sul suo volto, sempre rigorosamente senza espressione.
Non riuscì a ribattere, non con lui, e si ritrovò a farsi sollevare di peso da quel corpo ancora non del tutto sviluppato. Eppure non aveva notato nessuno sforzo nel piegarsi sotto il suo peso.
Senza dire una parola le cinse un fianco e la trascinò con sé nell’ultima parte di percorso che li divideva dalla cima, dove l’uomo probabilmente li avrebbe giudicati.
Tuttavia Camus non l’abbandonò nemmeno un secondo, abbassandosi al suo livello invece che prendersi la gloria e forse le lodi del maestro.
Lui era così. Freddo come pezzo di ghiaccio e di poche parole, ma non aveva mai mancato di rispetto alla ragazza. Non l’aveva mai schernita o presa in giro, e neanche mai umiliata. Lui era un cavaliere, in tutti i sensi conosciuti della parola.
E lei già iniziava a pentirsi di provare un sentimento così forte ed estraneo per lui.
Un sentimento che non l’aveva mai abbandonata in tutti quegli anni.
 

Si svegliò di soprassalto nel letto della sua stanza, anche se ci mise un po’ prima di ricordarsi dove si trovasse. Era in un bagno di sudore, nonostante la leggera veste che indossava e fosse scoperta. I capelli arruffati le si erano appiccicati alla fronte, dove le gocce di sudore offuscavano la sua vista. Di certo l’afa della Grecia non si sposava con il corpo di una donna che era abituata a vivere a temperature ben inferiori.
Ma quello che le fece più rabbia era il battito fin troppo accelerato del suo cuore. Perché diamine la sua mente doveva riportarla indietro nel tempo? Aveva già vissuto quelle cose ed, anche se non era pronta a lasciarsele addietro, non era del tutto pronta a riviverle. Soprattutto adesso che l’uomo che a tutti i costi voleva dimenticare era diventato il suo maestro.
Si alzò con un grugnito dal letto, intenta a farsi una doccia per darsi una rifrescata ed una calmata, ma notò dalla porta finestra che la sera prima aveva dimenticato di chiudere che il sole non era ancora sorto. Uscì sul piccolo terrazzino che dava sul promontorio e si perse a guardare la visuale del Grande Tempio, sorridendo amaramente. Quanto aveva sognato di viverci al tempo. Ascoltava i racconti del suo maestro con trasporto e speranza, immaginandolo esattamente come lo vedeva. Le bianche mura delle dodici case illuminate dai raggi del sole e quelli della luna, tinte di bagliori arancioni nel tramonto e rimanendo salde alle intemperie dei secoli.
Spostò poi lo sguardo all’arena, dove aveva appuntamento con Camus appena il sole avrebbe fatto capolino nel cielo. Eppure la tranquillità di quella notte ed il cielo stellato e sgombro da nuvole le lasciò intendere che ancora avrebbe avuto un po’ di tempo per serrare dentro il suo cuore pensieri ed emozioni.
In ultimo osservò l’orizzonte. Il panorama che riusciva a scorgere grazie all’altezza del Tredicesimo Tempio era qualcosa di sublime e meraviglioso. Forse era solo quello che rimpiangeva nella sua Siberia, sempre interamente coperta dai ghiacci.
I colori, ecco cosa le mancavano. I colori di una terra che aveva così tanto da mostrare e per un attimo le riaffiorarono alla mente le parole di Ecate.
“Ricorda da dove vieni, torna alle tue origini.”
Sapeva bene da dove veniva, il suo maestro gliene aveva parlato. Anche se non ricordava un solo ciottolo della strada di quel posto, non le fu difficile immaginarlo.
Eppure non lo sentiva per niente come casa, perché sarebbe dovuta tornarci? Chi avrebbe trovato ad aspettarla dopo tutti quegli anni?
Casa è dove ti porta il cuore, e fu veramente buffo come gli avvenimenti di quei giorni l’avevano portata nel luogo che aveva sempre amato ed accanto all’uomo che non aveva mai smesso di desiderare.
Con un sospiro però mise fine a quei pensieri, non aveva voglia di farsi venire un’emicrania. Non sul nascere di quella giornata che si preannunciava piena di impegni.
Lasciò che l’acqua lavasse via ogni traccia di malinconia e sudore e, vestendo i pantaloni ed il body di allenamento che le avevano recapitato le altre Saintie, decise di precedere il suo neo maestro nell’arena. E fu buffo come si ritrovò a passare la dodicesima casa pensando alle parole di Camus.
“Voglio vederti domattina all’alba nell’arena”, quando prima di arrivarci avrebbe dovuto passare dalla sua casa…
Infatti la passò in punta di piedi e col fiato sospeso, tendendo l’orecchio per captare qualsiasi movimento. Ma il suo custode sembrava ancora immerso nel mondo dei sogni. Poco male.
Scese le altre fregandosene delle buone maniere ed iniziò a correre lungo le scalinate bianche come se fosse inseguita da chissà quale nemico.
Arrestò il passo una volta raggiunta la sua meta, curvandosi in avanti per respirare portando le mani sulle ginocchia. Aveva mandato a farsi benedire la doccia di poc’anzi, ma non le importava. Voleva mettere distanza dall’undicesima casa più in fretta possibile ed a quanto pareva c’era riuscita prima dei primi raggi del sole.
Era ancora buio e l’arena del Tempio era illuminata solo dai flebili raggi della luna, che giocavano meravigliosi giochi di chiaroscuro sulle pietre bianche. Quella calma apparente la rilassò all’istante, così chiuse gli occhi ed ascoltò i battiti del suo cuore farsi via via più regolari.
Rimase così ad occhi chiusi ad assaporare la leggera brezza estiva immaginando che fosse la gelida bora che amava sentire sulla faccia, rimanendo in ascolto del silenzio. Ma, ahimè, fu rotto da strani rumori provenienti non molto distante da lei.
Aprì gli occhi incuriosita, decidendo di dare un’occhiata a quello che stava succedendo. In teoria tutti i custodi avrebbero dovuto essere nelle rispettive Case, così come tutti gli altri Saint. Eppure qualcuno aveva avuto la sua stessa idea, ma non era rimasto a farsi travolgere dai pensieri.
Si acquattò dietro una roccia e spostò lo sguardo curioso sull’uomo più bello che avesse mai visto. Non era molto distante, quindi poté osservarlo tranquillamente dalla sua posizione rimanendo comunque celata ai suoi occhi. Infatti sembrava proprio non averla vista, o se lo aveva fatto non l’aveva degnata di nessuna considerazione. Continuava a sferrare pugni e calci di fronte a sé, come se ci fosse un nemico invisibile agli occhi di lei. Smetteva, riprendeva fiato, e continuava. Era come una danza, che lei sarebbe rimasta ad osservare per tutto il tempo. E così decise di fare. Assottigliando lo sguardo notò il fisico atletico, fasciato solamente da un paio di pantaloni decisamente troppo attillati. Ai piedi aveva i tipici sandali grechi ed i lunghi capelli color della notte danzavano leggiadri sulla sua schiena ad ogni movimento.
Era così rapita da quello strano individuo che quasi dimenticò dove si trovasse, come se fosse vittima di una qualche distorsione temporale, ma i penetranti occhi verdi dell’uomo, che la stavano fissando con un’espressione indecifrabile, la riportarono immediatamente alla realtà. Una volta rimesso a fuoco notò con meraviglia che era identico al Grande Sacerdote, ma i suoi modi le fecero intuire che non fosse la stessa persona.
« Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi ancora per molto? »
Anche la voce di quell’individuo era penetrante, oltre che lo sguardo, roca e profonda in grado di trapassare i suoi timpani come una freccia.
« Scusami, non volevo disturbarti. Eri così preso da… cosa stavi facendo? »
Lei rispose con un’altra domanda, uscendo finalmente allo scoperto e stanziandosi di fronte a lui in modo che potesse osservarla. Rimasero in silenzio per un po’, tempo che lui si prese per studiarla.
« Sei solo una cadetta, fossi in te modererei il modo di rivolgerti ad un tuo superiore. » Continuò lui mancando di assecondare la sua domanda, rimanendo in attesa di una replica da parte della ragazza.
« Siete un cavaliere d’oro? » Lo chiese con un tono talmente meravigliato che indispettì non poco il suo interlocutore.
« Cosa c’è, non ho l’aria di un perfetto guerriero di Athena? O forse ieri non ti sei presa la briga di osservare gli individui con indosso un’armatura che non fosse quella dell’Acquario. » L’amarezza che trasportò quella domanda spiazzò Ippolita, che cercò dentro di sé qualsiasi cosa da dire che non finisse per metterselo contro. Ma in ogni caso non si ricordava di aver osservato Camus durante il Crysos Synagein, oppure se lo aveva fatto era stato un gesto così inconscio da non rendersene conto.
Serrò la mascella, colpita da quell’affermazione, ma il risultato fece storcere di più il labbro all’individuo di fronte a lei.
« Qual è il suo problema, signor Gold Saint che ha mancato di presentarsi? Siete così uguale fisicamente al Grande Sacerdote ma così infinitamente dive.. » Fece lei spavalda, mandando a farsi benedire i buoni propositi di non farlo alterare. Era bello come un Dio greco, ma non aveva un carattere altrettanto piacevole ai gusti di Ippolita. In confronto Camus poteva essere quasi simpatico ai suoi occhi.
Non riuscì però a terminare la frase che la voce possente del Saint le fece ingoiare le ultime lettere.
« Diverso? » Ringhiò sprezzante. « Non sono abbastanza angelico come lui? Troppo spesso persone come te commettono il grave errore di pensare che due gemelli debbano essere per forza identici. » Finì con un sorrisetto amaro, piantando di nuovo le sue iridi verdi in quelle dello stesso colore di lei, che trasalì.
Ingoiò non solo le parole che si stava apprestando a dire, ma anche un groppo amaro di saliva. Il silenzio cadde su di loro per qualche secondo, che impiegarono a scrutarsi quasi nell’anima. Fu rotto di nuovo dal cavaliere, che però non staccò gli occhi da lei nemmeno per un momento.
« In ogni caso il mio nome è … »
« Kanon, cavaliere d’oro dei Gemelli. »
Una voce interruppe a sua volta il gemello del Grande Sacerdote, costringendolo insieme ad Ippolita a voltare lo sguardo sul nuovo venuto.
Camus camminava verso di loro con andatura regale, fasciato dall’oro della sua Gold Cloth. Sul volto aveva un’espressione più fredda del solito ed i suoi occhi, nonostante si fosse fermato accanto all’allieva, osservavano il Saint di fronte a lui. Di rimando il custode della terza Casa lo stava osservando con espressione indecifrabile, che trasportava con sé rancore, malinconia ed astio nello stesso momento.
« Cavaliere di Aquarius. » Scandì tra i denti Kanon quello che doveva essere una specie di saluto, ma continuò sprezzante. « Cosa ti porta a lasciare la tua casa? »
« Lei. » Spostò leggermente la testa di lato per indicare Ippolita, che a sua volta spostava lo sguardo da un Saint all’altro, cercando di capire quale dissapore portasse due alleati ad odiarsi così tanto. Lo aveva notato dalla rigidità del suo nuovo maestro, che non aveva mai sentito in tensione nemmeno con lei, e dalle parole sprezzanti dell’altro. « Andiamo. » Disse poi dopo un’ultima occhiata al guerriero dei Gemelli, piantando gli occhi glaciali in quelli di lei. « Abbiamo parecchia strada da fare. » Disse solamente, iniziando a camminare a ritroso verso l’uscita del Tempio.
La ragazza rimase imbambolata per un secondo, osservando dapprima il mantello candido dell’armatura dell’Acquario ondeggiare alle spalle del suo possessore passando poi al volto inespressivo del Saint dei Gemelli, che la osservava di rimando con aria curiosa.
Prima che potesse dire o fare qualcosa, e che probabilmente avrebbe mandato su tutte le furie uno dei due uomini, Kanon le voltò le spalle e sparì tra le rocce dell’arena. Fu in quel momento, con un sospiro, che Ippolita si decise a seguire quello che, per tutto il tempo che aveva passato con il Saint dei Gemelli, aveva momentaneamente dimenticato.
« Dove siamo diretti? »
Chiese infine al diretto interessato una volta raggiunto le porte del Santuario.
« A chiudere definitivamente i conti col nostro passato. »
Quella risposta la spiazzò così tanto che non riuscì a controbattere. Non riuscì nemmeno a sentire la mano gelida di Camus che l’aveva afferrata poco carinamente per il polso. Tutto capitò così in fretta che si ritrovò addossata al pettorale freddo dell’armatura, stretta a lui in una presa ferrea mentre il vento le spettinava i capelli.
Fine capitolo 7
 

******

Angolo autrice:
Ma ciao a tutti e ben giunti fino alla fine di questo settimo capitolo! Inizio innanzi tutto con l’augurarvi buona Pasqua, visto che oramai è già Domenica eheh Ho voluto finirlo prima di questi due giorni perché saranno due giorni lavorativi di fuoco. Consideratelo il mio regalino per voi xD Spero comunque di aver fatto un buon lavoro. I miei occhi ad un certo livello di stanchezza non collaborano più :S
Ma, passiamo ad analizzare questo capitolo ^^ Come avrete senz’altro capito la parte scritta corsiva sarebbe un Flash Back, ma scrivere l’inizio e la fine di esso nel testo non mi piaceva granché quindi ho trovato un’alternativa. Probabilmente questi Flash del passato di Ippolita torneranno in altri capitoli, in modo da poter capire il suo Background ;) Spero comunque di avervi incuriosito.
Inoltre siamo andati incontro a Kanon u.u e come avrete anche qua notato non corre buon sangue tra lui ed il nostro gelido Cam…why? Seh, mica ve lo dico così u.u altro mistero (mi diverto! xD).
Perdonate anche la descrizione smielosa che ho fatto di lui, rendendolo il figo del villaggio, ma è la visione che ho di lui (*__* io lo adoro, non ci posso far nulla!) xD
Beh, finisco col dirvi che stiamo arrivando alla svolta finale (ma non definitiva) tra Camus ed Ippolita eheh Visto che sicuramente vi sarete fatti un’idea sono curiosa di sapere le vostre teorie su di loro!
Bene, visto che ho parlato/scritto anche troppo, ringrazio Olivier_Rei per il suo meraviglioso sostegno nelle sue recensioni (e perché sono riuscita a farle piacere un personaggio donna di mia invenzione xD) e tutte le persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Grazie davvero a tutti ed ancora auguri!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 
 
« Quindi vuoi diventare un Saint? » Il ragazzino di fronte a lei la osservò con gli occhi azzurri pieni di curiosità e lei si aprì in un sorriso soddisfatto. « Perché » Chiese di nuovo lui notando che  non aveva risposto alla prima domanda.
« Voglio diventare qualcuno! » Fu la pronta risposta della ragazzina, che incuriosì ancora di più il compagno d’armi. « E mi chiedi perché? Non so chi sono, conosco solo il mio nome. Il nostro maestro mi ha portato qua per una ragione e farò di questa ragione il mio destino. Diventerò il nuovo Saint dell’Acquario. Preparati Camus, ti darò del  filo da torcere! » Gli occhi di lei si infiammarono e si aprì nel sorriso più soddisfatto che riuscì a fare.
Lui dal canto suo sorrise pacato, incitandola a fare del suo meglio per riuscire a batterlo. Di sicuro lui avrebbe reagito.
« Vuoi diventare una guerriera dunque, come le nobili amazzoni della mitologia.  » Quella del ragazzino non era però una domanda, bensì una constatazione che finì a far riflettere la sua rivale, che portò due dita al mento con fare pensoso.
« Sì, esatto! Come un’amazzone! » Ed il suo sguardo si infiammò di nuovo al pensiero. Sarebbe diventata forte come i guerrieri di cui le aveva sempre  parlato il maestro. Sarebbe andata in Grecia vittoriosa ed avrebbe perseguito un destino diverso da quello che gli eventi avevano scritto per lei fino a quel momento.
« Dovresti cambiare anche nome. » Sorrise posato Camus, nonostante il tono stranamente scherzoso.
Lei ci pensò sopra per un momento, calibrando le parole che aveva appena sentito. Se si fosse lasciata addietro il suo vero nome sarebbe davvero diventata quello che voleva? Avrebbe abbandonato l’unico ricordo che la legava ancora ad un passato sconosciuto e quell’idea l’allettava parecchio. Ma non sapeva, così su due piedi, che nome avrebbe potuto scegliere.
Camus notò la sua titubanza e probabilmente la sua ricerca interiore di qualcosa di adatto, così le andò incontro.
« Che ne dici di Ippolita? » Propose lui, ma vide la ragazzina alzare un sopracciglio in risposta.
Lui sospirò divertito in risposta, colmando la presunta ignoranza che aveva mostrato.
« Secondo la mitologia era la regina delle amazzoni… » Fece spallucce e vide l’espressione di lei aprirsi in pura meraviglia. Aveva visto giusto, le sarebbe piaciuto!
« Allora sarò forte e regale come lei. Da oggi in poi chiamami così! » Si elogiò da sola, alzando gli occhi pieni di buoni propositi al cielo.
Camus la guardò con un sospiro, ma poi si aprì in uno dei suoi meravigliosi sorrisi facendo spallucce. Quella ragazzina era una totale rivelazione che non riusciva a credere al suo buon umore anche in quelle situazioni, anche quando il loro maestro li metteva alla prova con degli esercizi estenuanti.
Non si dava mai per vinta, come lui dopo tutto.
« Come vuoi tu… »
 
 
 
 
 
Ippolita era così attaccata alla vita di Camus che non si era resa conto del tempo che era trascorso. Ore? Minuti? Non sapeva dirlo con certezza, vista la velocità di spostamento del Saint. Non era nemmeno sicura della meta che avevano raggiunto. In ogni caso si erano fermati e potevano confermarlo i suoi capelli, oramai tutti spettinati, finalmente fermi attorno al viso.
« Siamo arrivati. » Proferì lui a confermare la sua teoria, facendola staccare dal suo petto con un grugnito.
« Potevi dirlo che avremmo fatto un lungo viaggio, ti avrei seguito anche di mia spontanea volontà. » Soffiò indispettita lei, cercando di sistemarsi i capelli alla bene e meglio.
Lui non rispose, come suo solito, così prese tempo ad osservare il posto in cui erano approdati, finendo ad osservare il paesaggio ghiacciato.
« Perché siamo tornati in Siberia? » Chiese confusa, voltando di nuovo lo sguardo sul Saint, che però aveva gli occhi fissi sul ghiaccio perenne di quel perimetro.
« Te l’ho detto, a chiudere i conti col nostro passato… »
La sua voce era piatta e non si era nemmeno preso la briga di darle più di tanta considerazione.
La ragazza era confusa. Il giorno prima l’aveva quasi minacciata di rivelargli il segreto che teneva nascosto nel cuore da più di dieci anni, quella mattina invece sembrava un’altra persona. Ma non era il Saint dei gemelli ad avere due facce?
Di nuovo non riusciva a capire l’uomo di fronte a sé. Era sempre il ragazzino che aveva conosciuto, lo sentiva, ma con un carattere più fortificato ed un corpo più sviluppato. Non sapeva più cosa pensare, inoltre sentiva ancora battere il suo cuore per lui. Serrò la mascella e provò a farsi avanti.
« Perché ci tieni tanto a sapere la verità? » Spezzò il silenzio con voce sprezzante. « Sei diventato Saint, non ti basta? Hai avuto quello che volevi no? Perché ce l’hai tanto con me? » Soffiò tutto d’un fiato, vedendo come la testa di Camus scattò nella sua direzione. Il suo sguardo si era infiammato, nonostante l’espressione fredda.
« Pensi che ce l’abbia con te perché sono diventato un Saint? » Accennò un sorriso amaro e lei si ammutolì perché in effetti non sapeva cosa muovesse le sue azioni. Non era mai riuscita a capire cosa gli passasse per la testa.
« E allora perché ce l’hai con me? » Chiese diretta, serrando la mascella.
Lui la trapassò con il suo sguardo inquisitore, in silenzio. Iniziavano ad essere più pesanti delle parole, ma prima che Ippolita potesse dire qualcosa lui la precedette.
« Io non ce l’ho con te. Voglio solo che tu risponda alla mia domanda. » Seguì un altro breve momento di silenzio, che entrambi si presero per studiare l’altro. « Perché quel giorno arrestasti il colpo? Cosa ti ha fatto intercedere? Perché hai lasciato che diventassi io il Saint dell’Acquario? Non lo volevi diventare anche tu a tutti i costi? » Parlò con voce glaciale, rimanendo fermo e posato mente la brezza faceva svolazzare i suoi capelli dietro l’elmo ed il mantello dietro le sue spalle, donandogli un’eleganza fuori dal comune.
La risata di scherno di lei si levò tra i ghiacci, portando con sé l’eco che rimbombò tra di essi per alcuni secondi e facendo serrare la mascella al padrone dell’undicesima casa.
« Questa è più di una domanda cavaliere, ed io non ho intenzione di rispondere. Ho le mie motivazioni, che cercavo di lasciarmi alle spalle. Adesso ho una seconda opportunità no? E sarai tu a darmela. Allenami come si deve Camus, e forse potrai liberarti anche delle domande che continuano ad assillarti da così tanto tempo. »
Lui assottigliò lo sguardo indagatore, diventando infido e calcolatore come era sempre stato nelle sue battaglie. Sapeva dove colpire, e si apprestava a farlo.
« Allora non c’è più bisogno che ti chiami Ippolita… » Iniziò, osservando l’espressione di lei farsi irata. Sapeva dove voleva andare a parare e quella presa di posizione non le piacque per niente. « Non è vero Elena? » Finì con tono sprezzante, enfatizzando la pronuncia italiana con il suo pronunciato accento francese.
Dal canto suo la ragazza mostrò i denti in un ghigno furibondo. Sentir pronunciare il suo nome dopo tutti quegli anni, per giunta dalla voce tagliente dell’uomo di fronte a sé, le provocò una fitta allo stomaco ed al cuore.
Era davvero quello il suo destino? Gli dei erano fin troppo infidi a volte. Si chiese perché lei Morie non avevano tagliato il suo filo tempo fa, sarebbe stato tutto più facile portarsi quei demoni interiori nella tomba.
Lui lo aveva fatto, letteralmente, ma non ce li aveva lasciati. Era tornato in vita, ancora, a ripensare al suo passato. Perché? Ma di certo non era pronta a dirgli la verità, non in quel momento, non dopo tutti quegli anni. Sarebbe stata derisa, rifiutata sicuramente e trattata anche peggio per essersi lasciata sopraffare dai sentimenti. Adesso era una donna diversa, non la ragazzina di un tempo e non si sarebbe fatta fregare di nuovo da un amore che non l’avrebbe portata da nessuna parte.
« Chiamami come ti pare, ma io non cederò mai. Non ti dirò quello che vuoi sapere, quindi se vuoi iniziare con l’allenamento te ne sarei grata… » Soffiò tra i denti ma lui sospirò tranquillamente, alzando le spalle come a dire “come vuoi tu”.
Tuttavia quello che successe lasciò la ragazza del tutto sgomenta. Camus si era tolto l’armatura, che fluttuava a mezz’aria accanto a lui prima di riprendere posto nel Pandora Box apparso come se fosse quasi una magia. Era rimasto con i suoi soliti abiti, forse troppo leggeri per il clima del luogo. Come i suoi. La divisa di allenamento delle cadette non era proprio il tipico indumento da portare in mezzo ai ghiacci, ma a lei non stava minimante importando. C’era qualcosa di più urgente del freddo in quel momento.
« Che stai facendo? » Gli chiese tutto d’un tratto, mentre lui avanzava verso di lei con il suo sguardo truce.
« Te l’ho detto, oggi chiuderemo i conti col nostro passato, che tu lo voglia o no. » Rispose serio, portando le mani sui fianchi in una posizione ammonitrice.
« E come? » Ridacchiò amaramente lei, portando invece le braccia conserte al petto. « Io non ho intenzione di rispondere alle tue domande ed io non ho nulla da chiedere a te. Rimaniamo a guardarci in cagnesco per tutto il resto del giorno? » Concluse sarcastica ma lui fece finta di non aver sentito le ultime frasi, continuando la sua spiegazione.
« Siamo tornati al luogo che tanto ci accomuna. Qui il tuo labbro è stato segnato per sempre, come le nostre vite. Qui il destino di entrambi ha preso una piega irrimediabile. » Spiegò pacato e lei si voltò ad osservare il posto in cui si trovavano. Era stata così presa dai discorsi e dalla sua presenza che non si era accorta che si trovavano nel luogo in cui aveva iniziato ad odiare sé stessa.
« Perché siamo qui? Cosa vuoi che faccia? » Gli chiese tra i denti, iniziando però a capire.
« Che questa volta tu non sia così magnanima come all’ora. Senza esclusione di colpi, senza una Cloth a protezione. Come un tempo, stabiliremo finalmente se sono degno o no di indossare quell’armatura. » Finì di parlare piegando leggermente la testa in direzione del Pandora Box a non molta distanza da loro, come unico testimone dello scontro che stava per avere inizio.
« Oh Camus, non riesci proprio a mandarla giù eh. » Continuò ancora più sarcastica, tono che indispettì il freddo ragazzo.
Lui però, per la prima volta da quando si erano rivisti, fece un gesto così tanto inaspettato che la colse di sorpresa.
Il suo volto si aprì in un sorriso così bello che non riusciva a credere che lo avesse fatto davvero. Non c’era più rancore in lui, né malinconia, né freddezza. Un sorriso quasi d’incoraggiamento, prima che lanciasse inaspettatamente contro di lei la sua gelida Diamond Dust, finendo quasi per prenderla in pieno petto. E lo avrebbe fatto, se i riflessi di lei non fossero stati in allerta e non si fosse scansata di lato con un balzo, rispondendo al colpo con un’altra Diamond Dust, che lui scansò senza fatica.
« Credi davvero che sia così sprovveduta? » Gli puntò un dito contro e lui piegò leggermente la testa di lato, lasciando che i capelli gli scivolassero dietro la schiena.
« No, ma ci speravo! »
Partì all’attacco con un colpo frontale, colpendola questa volta in pieno sterno. Non si aspettava un colpo diretto, ma non si fece prendere dal panico e rispose con un cazzotto ben mirato sulla guancia di lui.
Entrambi caddero in ginocchio, reggendosi la parte dolorante. Non erano stati due colpi micidiali, ma erano stati lanciati con astio e tanto bastava per accusare dolore. E non solo fisico.
Allargarono di nuovo le distanze con un balzo, studiandosi a vicenda. Sicuramente in un corpo a corpo uno dei due avrebbe avuto la meglio sull’altro e probabilmente quel qualcuno poteva essere Camus, visto che poteva giocare di esperienza, ma in quanto ai colpi segreti dell’Acquario lei li conosceva alla perfezione.
Susseguirono altre occhiate circospette, altri balzi, altri colpi diretti ed assestati in punti strategici. Altre Diamond Dust, altre Aurora Execution che avevano congelato i loro corpi stanchi e sanguinanti.
Ippolita poteva sentire in bocca il sapore metallico del sangue ed, a sentire il dolore che pulsava sul labbro superiore, la ferita che era rimasta lì ferma per anni si era riaperta. E non solo quella.
Camus aveva varie ferite sul volto dove i capelli si erano appiccicati per via del sangue, ed i suoi vestiti erano strappati in più punti e ghiacciati, come quelli di lei.
Nonostante la stanchezza, l’affannamento che mostravano nei loro respiri ed il dolore lancinante che avvertivano i loro corpi, non erano ancora pronti a darsi per vinti.
Probabilmente sarebbe servito un solo colpo per mettere k.o uno dei due, oppure entrambi nello stesso momento. E tutti e due dovevano averlo capito, perché con l’ultimo notevole sforzo alzarono le braccia al cielo congiungendole nella posizione dell’Aurora Execution.
« Questa è la fine Camus… » Ridacchiò divertita Elena, sentendo i muscoli del viso tirare dal congelamento.
« Parla per te. » Anche lui era divertito. Probabilmente era la prima volta che sfiniva sé stesso in uno scontro di quel livello, per la prima volta senza la sua fidata Gold Cloth a protezione.  
Scagliarono il loro identico colpo accorciando le distanze, correndosi incontro per quanto i loro corpi riuscissero a fare.
Ci fu una grande esplosione di cosmo, tanto immensa da ghiacciare ulteriormente tutto ciò che era già coperto nel raggio di chilometri. Anche i loro corpi erano coperti di quella fredda sostanza, rendendoli completamente bianchi alla vista. Sicuramente chi sarebbe sopravvissuto al colpo sarebbe morto da lì a poco per assideramento.
Quando la polvere si assestò e la neve finì di attecchire il suolo, entrambi si reggevano a stento in piedi. C’era la distanza di un palmo di mano tra loro, che continuavano a sostenere lo sguardo senza cedere. Avrebbero perso la vita, ma non l’orgoglio!
« A quanto pare è la fine di entrambi eh. » Azzardò lei, ancora più divertita di prima, sentendo le gambe cedere sotto il suo peso. Anche la vista stava iniziando a fare cilecca, mandandogli una visione doppia di colui che aveva di fronte.
« Così sembra. » Le parole di lui risuonarono roche, ma evidentemente era per lo sforzo di rimanere cosciente. Anche le sue gambe iniziavano a non sorreggerlo più, come la prima volta che aveva perso la vita contro il suo allievo.
“No…non di nuovo!” Disse a sé stesso, cercando di spalancare gli occhi per rimanere cosciente.
Ma la prima a cadere fu Ippolita che, allo stremo delle forze ed esanime, crollò addosso a lui.
Camus non seppe dire con quale alito di forza riuscì a tenerla in piedi, sorreggendola tra le braccia. Probabilmente era già morta, visto che il suo corpo aveva la consistenza di un pezzo di ghiaccio. Ma, quando abbassò leggermente gli occhi sul volto di lei notò che gli stava sorridendo. Era un sorriso tranquillo, come se avesse appena accettato quella realtà. Alla fine il vincitore era stato decretato e, probabilmente, avevano appena messo fine ai loro conflitti. Eppure lui non ne era minimamente felice.
« Adesso sei finalmente felice di sapere che ti sei meritato la Cloth? » Riuscì a dire a stento lei, ma lui serrò la mascella. Avrebbe voluto dirle di stare zitta e non sforzarsi, di rimanere cosciente, ma sentiva che se avesse anche solo pronunciato una sillaba tutte le poche forze che gli erano rimaste avrebbero abbandonato anche lui.
« Io… » Riprese parola con un sospiro. « Quella volta io… non sono riuscita a colpirti… io ti… » Si bloccò alzando lo sguardo quasi vitreo su di lui, notando la meraviglia che aveva preso possesso della sua espressione sempre perennemente seria.
« Io ti amavo. »
Furono quelle le ultime parole che riuscì a dire, in fin di vita, mettendo la parola fine ai suoi tormenti. Se li sarebbe portati nella tomba, ma almeno lui non si sarebbe tormentato ancora. In fondo non l’avrebbe mai più rivista.
Camus sentì il corpo di lei farsi ancora più rigido, mentre chiudeva gli occhi verdi con un sorriso. Anche lui non riusciva più a reggersi in piedi, soprattutto sotto il peso della donna che ancora continuava a tenere stretta a sé. Chiuse per un attimo gli occhi, avvertendo appena le lacrime che gli solcavano gli occhi.
Poi il buio prese possesso di lui, per la terza volta.
Fine capitolo 8
 
 
Angolo autrice:
Ben trovati alle consuete note di fine capitolo ^^ Sono due giorni che leggo, rileggo, correggo, ricorreggo, cambio, sistemo, modifico…ed ancora non sono del tutto soddisfatta, ma va beh xD spero possiate dirmelo voi se vi è piaciuto o no :P in questo caso non faccio testo!
Quindi, siamo arrivati al punto di svolta cruciale ehehe Sono morti? Vanno a ripescarli nell’Ade? Qualcuno salva loro? Chi lo sa… vi faccio rosicare le unghie fino al prossimo capitolo :P
Spero di avervi incuriosito in questa prima parte (ancora ne vedremo delle belle insomma…), e che continui a tenere alto il mistero che aleggia su Ippolita/Elena. Chi avrebbe immaginato che fosse il suo vero nome? Da quest’ultimo si può capire qualcosina, ma non mi sbilancio oltre ;)
Ringrazio quindi Olivier_Rei per le sue meravigliose recensioni ed il suo sostegno. Mi fa davvero molto piacere!
Un ringraziamento anche alle persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Un bacione a tutti
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
 
Elena si svegliò di soprassalto nella semioscurità di una stanza, a lei fin troppo familiare. Cercò di guardarsi intorno come meglio poté, cercando di capire il perché si trovasse proprio in quel posto. Era sicura di essere morta, per cui non poteva essere in altro posto che nell’aldilà.
Eppure…
Poi una consapevolezza repressa tornò a sfiorarle la mente.
“Non è possibile” si disse, non poteva essere viva. Non doveva! Non dopo aver detto a Camus di averlo amato.
E lui dov’era? Era morto? Era vivo?
Quelle domande la tormentarono mentre tentava di scostare le coperte dal suo corpo, ma era troppo debole per fare quello sforzo. Si lasciò cadere di nuovo sui cuscini che qualcuno le aveva prontamente messo sotto la testa, probabilmente prima di adagiarla in quel letto confortevole e caldo.
Cercò di alzare le braccia verso l’alto, sempre con notevole sforzo, e notò che era fasciata in molte zone e le candide bende erano macchiate di rosso in più punti. Doveva aver perso molto sangue.
“La cicatrice!” Si disse di nuovo tra sé e sé, portando con veemenza, oltre il dolore, un dito a toccare il labbro superiore, che ricordava essersi spaccato di nuovo in quell’ultimo scontro.

Sotto il suo tocco c’era una ferita cicatrizzata, che rimaneva in rilievo rispetto a tutto il resto. Probabilmente, col tempo, avrebbe lasciato di nuovo un segno più chiaro rispetto al suo incarnato.
Tutto quello le faceva male, e non solo fisicamente. Sentiva una certa stanchezza e spossatezza, nonostante avesse dormito per ore. Non sapeva quantificare se si erano riverse in giorni, ma non voleva saperlo. Voleva solo andare via da lì, lontano da tutto il resto e riprendere la sua vita. Non c’era più motivo per tornare al Tempio, non in quelle condizioni comunque. Ma era sicura che, se fosse tornata dalle signore che l’avevano accudita in tuti quegli anni, loro l’avrebbero guarita e sfamata di nuovo.
Ma il pensiero di Camus tornò a sfiorarle la mente, violando quelle barriere che aveva sempre innalzato per proteggersi dai suoi sentimenti. Perché lo sentiva, aveva sempre sentito il suo cuore battere per lui. Il vero problema era stato accettarlo, e non era neanche sicura di esserci del tutto riuscita.
E lui adesso come l’avrebbe considerata? Sicuramente non era stato contento di sentirselo dire, non da una ragazza che aveva sempre decantato il suo voler diventare un Saint di Athena. Di certo non sarebbe stato felice di sapere che, al tempo, era diventato il cavaliere dell’Acquario perché lei non era riuscita a colpirlo per amore. Non le era stato forse detto, negli anni dell’apprendistato, che un guerriero non deve farsi toccare da nulla? Di chiudere il cuore ai sentimenti e di rigare dritto nelle proprie battaglie?
Storse il labbro perché ricordava benissimo, anche a distanza di anni, le parole del suo maestro. Inoltre era sempre stato contento di lei, di averle insegnato i suoi colpi segreti, come a Camus del resto, di averla strappata ad una vita probabilmente solitaria e plasmata a diventare la sua pupilla.
Invece era riuscita ad essere una delusione per entrambi, per lui e per sé stessa.
« Maledizione! » Imprecò con la poca voce che riuscì a tirare fuori, facendo stancamente cadere di nuovo le braccia lungo i fianchi e rimase ad osservare il bianco soffitto spoglio della camera, fino a che una voce fin troppo conosciuta non la distolse dal suo continuo dannarsi.
« Se mi avessi dato ascolto non saresti qua a crogiolarti nel tuo dolore. »
Quelle parole arroganti dettero la forza alla ragazza di voltarsi in direzione di colei che le aveva pronunciate, trovando Ecate bellamente seduta sul davanzale della finestra. Aveva l’aspetto etereo della dea, con la veste nera ed il cappuccio calato fin sulla fronte, lasciando però scoperti gli occhi di ghiaccio.
« Se ne vada, non ho intenzione di ascoltare altro da lei. » Le disse di rimando, portando un braccio a coprire gli occhi. Adesso che la donna aveva aperto la finestra, posizionandovisi, la luce che entrava da quello spazio le faceva male agli occhi, nonostante fossero chiudi. Aveva bisogno del buio e dell’assoluto silenzio per pensare.
« Dunque è questo il ringraziamento per averti salvata? » Ridacchiò l’altra, con una spiccata nota di divertimento nella voce che dette la forza ad Elena di togliere la copertura del braccio dagli occhi e rivoltare la testa verso di lei, con un’espressione sofferente.
« Non devo ringraziarti di nulla! Sarebbe stato più semplice se mi avessi lasciata morire. Era quello il mio destino in fondo, no? »
« No mia cara. » Rispose con veemenza la Dea, riprendendo però un contegno subito dopo, addolcendo la voce. « Elena dunque, che bel nome… » Soffiò assottigliando lo sguardo, puntando gli occhi penetranti in quelli della ragazza a poca distanza da lei.
Ippolita non riusciva a capire le vere intenzioni della dea, nonostante le avesse sempre chiesto di fare qualcosa che lei non capiva, quindi serrò la mascella evitando di rispondere. Ma ella riprese.
« Il tuo destino si deve ancora compiere ed io ti aiuterò a seguirne il percorso. Ho assistito allo scontro, vi ho visti morire e sono andata a ripescare le vostre anime prima che raggiungessero il punto di non ritorno. Io sono la Dea della Magia e posso spostarmi attraverso i vari mondi e dimensioni, anche nel regno del sommo Hades. Probabilmente non sarà contento di aver perso due anime come le vostre, ma era più importante avervi tra i vivi. » Fece spallucce per la sua spiegazione e vide la ragazza sgranare gli occhi a quelle parole.
« Camus è vivo? » Chiese, ma il tono di voce trasportava fin troppe sfumature che non seppe dire quale sentimento mosse quella repentina domanda.
« Oh sì, un po’ mal concio ma vivo. » Assottigliò lo sguardo. « Quindi ti interessa così tanto la sua vita, tanto da morire addirittura per lui. » Finì in una fragorosa risata che indispettì non poco la guerriera.
« Io non sono morta per nessuno! Io vivo per me stessa, come lui. I nostri destini si sono incrociati di nuovo, è vero, ma il nostro scontro è stato senza risparmiamenti da parte di entrambi. Ha vinto lealmente, non ho mancato di colpirlo questa volta e non ho avuto remore a farlo con tutta la potenza che avevo in corpo. »
Ecate non rispose, si portò solamente due dita al mento e la osservò pensosa con i suoi occhi penetranti, come se stesse ispezionando il suo io interiore fin nel profondo.
« Interessante. » Iniziò con un risolino. « Il destino a volte può assumere varie forme. Può prendere una piega diversa, o conseguire il suo arrivo cambiando il viaggio. Sono sicura che tu sia una donna piena di risorse mia cara… » Si alzò dalla sua posizione e, con un sorriso ilare, sparì in un fascio di luce lasciando la ragazza interdetta da quelle parole. Ogni volta che incontrava quella dea ne usciva con un ulteriore rebus e lei era troppo stanca in quel momento per rimuginarci sopra. Era ancora troppo debole per prendere una decisione avventata e probabilmente non avrebbe potuto farlo fino a che le sue gambe non si fossero alzate da quel letto.
Sprofondò di nuovo nel sonno con le parole di Athena in mente:
“Non chiudere il tuo cuore”.
 
 
Ricordava bene quel luogo, il Tempio consacrato ad Apollo, ci era stato in una missione per conto del Grande Sacerdote  poco tempo dopo la sua investitura. Shion aveva affidato la missione a due dei suoi valorosi combattenti, per incontrare l’Oracolo di Delfi e far fronte alla minaccia che sentiva aleggiare sul Santuario. Dallo Star Hill non era riuscito a venire a capo del complicato rebus che era stata in seguito la “notte degli inganni”.
Accanto a lui, una ragazza dai lunghi e folti capelli rossi camminava fiera nella sua armatura scintillante. Aveva solo fatto in tempo a spostare lo sguardo luminoso verso di lui, sorridendogli, che subito dopo vennero attaccati da una manica di guerrieri, probabilmente devoti a quel luogo. Ma perché attaccarli? Non erano andati fin lì con brutte e cattive intenzioni.
Tutto accanto a lui si fece cupo mentre scagliava i colpi verso i suoi nemici, senza risparmiare nessuno, e gettando rapide occhiate alla donna insieme a lui per vedere se anche lei se la stava cavando egregiamente.
Fu però un attimo, che una freccia lanciata da non molto lontano si andò a conficcare nel pettorale dell’armatura di lei, recidendone l’argento e le sue carni. Le avrebbe perforato il cuore e, dalla sua espressione sofferente, non doveva mancare poi molto.
La rabbia che sentì crescere dentro gli dette la forza di lanciare un’Aurora Execution alla massima potenza, uccidendo l’assassino e gli altri uomini rimasti in vita. Quando tutti furono privi di vita, a terra attorno a loro, si lanciò nella direzione dov’era riversa al suolo la sua compagna di battaglia.
« Resta cosciente! » Le disse calmo, nonostante dentro di lui infuriasse una tempesta di rabbia e dolore.
« Questa è la fine. Me lo merito per quello che vi ho fatto… » Bloccò le parole per tossire. « Ma in ogni caso, sappi che ti amo. »
 
Si svegliò di soprassalto ascoltando il suo stesso grido di dolore. Era completamente sudato ed ansante, complice probabilmente quel ricordo che da tempo era stato sopito in fondo al suo cuore.
Ma allora perché riviverlo in quel momento?
D'altronde lui sapeva perché, erano state le parole di Elena a tirare fuori dalla sua mente quei ricordi. Era la seconda volta che una donna gli diceva di amarlo in punto di morte e dalle sue labbra si aprì un sorrisetto amaro. Ma cosa provava lui per lei invece? Riusciva a dare un nome a ciò che sentiva dentro di sé? In tutti quegli anni aveva cercato di sopperire ogni sentimento che poteva impedirgli di essere freddo e calcolatore nelle sue battaglie. Dopo la morte della prima donna si era ripromesso di non essere scalfito da nulla, ed ecco che anni dopo si ripresentava il passato che lo aveva scombussolato nei primi anni del suo operato al Tempio.
Era quello dunque il suo destino?
Scosse il capo risoluto, cercando di alzarsi, ma le ferite della battaglia ancora dolevano. Il suo corpo era fiacco e ferito, quindi non poté fare altro che sospirare nel calore di quella stanza fin troppo famigliare. Era la sua vecchia stanza nella casa del suo ex maestro. Probabilmente l’aveva trovato tra i ghiacci dopo lo scontro con Elena e gli aveva prestato le sue cure, com’era solito fare nel periodo di allenamento.
E lei dov’era? Era sicuro che fosse morta, l’aveva vista abbandonare la vita di fronte a lui. Aveva sentito il suo corpo lasciarsi andare tra le sue braccia. Eppure una flebile speranza che fosse riuscito a salvare anche lei approdò nella sua mente. Era solo gratitudine, si disse, null’altro.
Si sentiva anche svuotato di tutto, finalmente in pace nonostante l’amarezza che ne aveva conseguito. Dopo anni ed anni a struggersi di domande, la risposta gli era sembrata solo in quel momento così palese. Lo amava, per questo non era riuscita a levare il suo braccio contro di lui, permettendogli di soffiarle il sogno di diventare Saint. Probabilmente lei aveva passato anni ad odiare sé stessa per quello…
Ma c’era una domanda che gli premeva in quel momento e che neanche lui stesso riusciva a dargli una risposta. Lui ricambiava?
Appena chiuse gli occhi cercò di focalizzare il volto di lei nella sua mente, cercando di distrarsi da quei pensieri e cercando di fare chiarezza in quel cuore oramai ridotto ad un misero pezzo di ghiaccio. Ma quando la figura di lei gli apparì di fronte agli occhi, i suoi capelli castani divennero rossi, i suoi occhi verdi divennero di un blu intenso ed il corpo di lei si fece più esile. La sua mente aveva inavvertitamente, e contro la sua volontà, cambiato l’immagine della sua ex compagna di apprendistato nella donna che, prima del ritorno di Ippolita, aveva sconvolto la sua vita.
Per fortuna il leggero bussare alla porta lo sottrasse dal suo struggersi, riportandolo con i piedi per terra.
« Posso entrare Camus? »
La voce del suo ex maestro era tranquilla e diffidente, come se avesse paura di disturbarlo in un momento così tanto delicato. Ma in ogni caso aveva bisogno di distrazione, quindi dette all’uomo il permesso di entrare.
Quando chiuse la porta dietro di sé, notò che aveva in mano una bacinella d’acqua pulita e delle garze e fasciature sterili.
« Come ti senti? » Gli chiese l’uomo con un sorriso, appoggiando ciò che aveva sul comodino accanto al suo letto.
Tuttavia l’Acquario rispose con un ulteriore domanda.
« È stato lei a salvarmi? » Chiese con voce pacata, cercando di alzare leggermente la schiena dal letto per riuscire a sedersi. Un sacro guerriero di Athena che non riusciva a riprendersi dopo uno scontro, assurdo!
« A salvarvi. » Ribadì l’uomo con un altro sorriso, questa volta più triste del precedente. Probabilmente ci teneva ancora molto ai suoi ragazzi per vederli in quelle condizioni. « Eravate piuttosto malconci. Che vi è saltato in mente? »
Ma di nuovo Camus eluse le sue domande e pose la sua, con veemenza.
« Lei è viva?! »
« Certo che lo è, anche se è stata per giorni in bilico tra la vita e la morte. Come te. Mi sono assicurato di tenervi in vita con tutti i mezzi possibili. » Rispose l’uomo con risolutezza, facendo piegare in una smorfia le labbra del Saint.
« Preferivi che morisse? » Quelle parole espresse con tono rude arrivarono alle orecchie di Camus come un treno in corsa, facendolo chiudere in un cipiglio pensoso.
Preferiva davvero saperla morta dopo ciò che gli aveva rivelato? Probabilmente per lei sarebbe stato più facile, che vivere con la consapevolezza della piega che avevano preso quegli eventi. Ma ovviamente il suo spirito di Saint gli permise di tirare un sospiro di sollievo alla notizia. Adesso doveva fare i conti solamente con sé stesso e chiudere definitivamente quelli in sospeso con lei. Aveva messo fine alla vicenda della Cloth, ma c’era ancora troppo in sospeso tra loro e sarebbe stato più facile chiudere quei conti faccia a faccia con lei ancora viva e non come in passato…
Quel ricordo gli fece di nuovo storcere le labbra in una piega di contrarietà.
« Certo che no. » Rispose poi all’uomo dopo alcuni secondi di silenzio, dove nessuno dei due osava proferire parola.
« Cambiamo le bende sporche. »
L’atmosfera tra loro però sembrò tornare alla normalità, complice anche il sorriso benevolo che l’uomo aveva sul volto. Gli sembrò di essere tornato all’infanzia, quando lui si prendeva assiduamente cura di loro come se fossero i suoi figli.
Così si fece cullare dalle mani esperte dell’uomo e si fece slegare quelle bende oramai impregnate di sangue, sorridendo come un ragazzino.
Fine capitolo 9
 
 °°°°°
Angolo autrice:
Ma bentrovati a tutti e benvenuti a chi è arrivato fin qua per la prima volta. Questo è un piccolo capitolo di transizione, per fare un po’ di introspezione dopo le ultime vicende. Nulla che già non sappiamo, ma abbiamo trovato una novità nel passato di Camus. Ehehe quante risorse questo Saint! Chi è sarà questa misteriosa donna? Curiosi? Io spero di sì :P Spero di tenere il mistero ed alimentare la vostra curiosità andando più avanti. Ovviamente sperando nei vostri pareri ;)
Prima di passare ai ringraziamenti mi scuso per gli eventuali errori :S
Detto ciò passo a ringraziare come il solito Olivier_Rei per le sue recensioni ed il suo sostegno a questa storia *-* voi lettori silenziosi e tutte le persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Un bacione a tutti
Al prossimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Prima di iniziare il capitolo mi voglio scusare per tutti gli errori (ed orrori probabilmente xD) che avete incontrato nei capitoli. Vi giuro che mi metterò d’impegno a sistemarli nei momenti di tranquillità. Purtroppo scrivo e correggo nei ritagli di tempo e molte cose mi sfuggono. Spero che non influiscano sulla storia, perché ci sto mettendo tutto l’impegno per scriverla.
Detto questo, buona lettura ^_^
 


Capitolo 10
 
 
Erano passati alcuni giorni dallo scontro avuto con Camus, ma lei non era riuscita a tenere il conto di quelli realmente passati. Giorno e notte si davano il cambio lentamente, mentre lei rimaneva a crogiolarsi nei suoi dubbi per tutto il tempo, ancora impossibilitata a muoversi. O forse non voleva farlo? Le ferite le si erano rimarginate e le bende le erano state tolte. Adesso, oltre alla cicatrice che faceva sfoggio di sé sul suo labbro superiore, doveva fare i conti con quegli sfregi su tutto il corpo. Ma a lei non importava in fondo, essere un guerriero comportava anche quello. Ma di nuovo la sua mente le rimandò un’altra domanda.
Sarebbe stata davvero un guerriero del Tempio?
Camus non le era sembrato molto accondiscendente nel volerla allenare e lei non riusciva più ad immaginare un futuro certo. Sarebbe tornata al Santuario? Ma soprattutto, ci voleva davvero tornare? Probabilmente se fosse tornata in quel luogo avrebbe dovuto “convivere” con l’uomo forse per sempre… ed allora cosa voleva davvero?
Sentiva ancora battere il cuore per lui, non poteva negarlo. Il sospiro di sollievo che aveva tirato quando il suo maestro le aveva detto che lui era ancora vivo e nella stanza accanto non portava fraintendimenti. Non era solo la felice notizia che il suo ex compagno d’allenamento, o un guerriero del suo calibro, fosse ancora vivo. No, era il sollievo di sapere che l’uomo che in tutti quegli anni aveva amato e odiato allo stesso tempo non era finto di nuovo nel regno di Hades.
Sicuramente le sue reali condizioni sarebbero state gravi, ma le premeva molto sapere come aveva metabolizzato la notizia che gli aveva detto un secondo prima di espirare l’ultimo respiro.
Come aveva fatto ad essere stata così maledettamente incosciente? Era stata così sicura di morire che si era lasciata scappare i più oscuri segreti del suo cuore. Si era ripromessa, dal loro primo scontro, che mai e poi mai avrebbe ammesso tutto ciò. Ed invece era riuscita a tirarlo fuori, addirittura col diretto interessato.
“Cosa penserai adesso di me, Camus?”
Finì a pensare, seduta con la schiena addossata alla spalliera del letto, coi cuscini che attutivano la durezza del ferro battuto ed i pugni serrati come la mascella in un’espressione puramente contrariata.
La sua mente ultimamente le stava giocando parecchi scherzi, ma mai come in quel momento si era sentita più viva. Alla fine in tutti quegli anni passati in quelle fredde distese di ghiaccio aveva solamente fatto sopravvivenza. Aiutava quando poteva al villaggio e le sue zie adottive, si allenava in solitaria nel posto che l’aveva segnata in tutti i modi e dormiva solamente in preparazione di un altro giorno. E di giorni ne erano passati tanti, fino a quando la persona che in quei dieci anni aveva cercato di dimenticare non era tornata, vestito della dorata armatura che lei stessa aveva bramato per tutto il tempo del suo apprendistato.
In più non c’era da dimenticare Ecate, quella dea ambigua che stava cercando in tutti i modi di allontanarla dal Tempio, o almeno era questa la conclusione a cui era arrivata nel suo lungo pensare. Voleva a tutti i costi che raggiungesse un luogo che lei stessa non ricordava assolutamente, a fare qualcosa che non capiva. Non riusciva a comprendere i motivi che spingevano la Dea a spronarla a fare qualcosa che non poteva e, soprattutto, non voleva fare. Non riusciva a capire i fini di quella donna, per quello voleva assolutamente mettere le distanze con lei e con la Siberia. Sembrava sapere esattamente quando e dove trovarla in quei luoghi, mentre nel breve giorno in cui era stata protetta dal sacro Cosmo di Athana sembrava essere stata al sicuro. Chissà se avrebbe dovuto parlarne con la Dea della giustizia, o anche solo con Camus…
Scacciò il pensiero e provò ad alzarsi in piedi, facendo attenzione a non fare movimenti bruschi. Camminando lentamente si portò fino alla finestra, che aprì con veemenza, lasciando che la fredda brezza accarezzasse le sue guance fin troppo accaldate.  Il freddo l’aiutava a pensare, ed in quel momento ne aveva nettamente bisogno.
Così si addossò ad un’anta ed osservò il tramonto all’orizzonte. Non si era accorta che fosse così tardi. Aveva passato di nuovo tutto il pomeriggio nelle sue riflessioni, ma il leggero bussare alla porta la riportò ben presto alla realtà.
« Avanti. » Sospirò al nuovo arrivato, non prendendosi neanche la briga di girarsi ad osservarlo. Immaginò fosse il suo maestro giunto a vedere come stesse, invece…
« Mi fa piacere trovarti in piedi. » Disse la voce dopo aver chiuso la porta alle sue spalle ed Elena si voltò di scatto, riconoscendolo immediatamente. I suoi occhi oceanici la stavano osservando con un’espressione che trasportava fin troppi sentimenti per riuscire a captarli tutti. In ogni caso, ogni possibile freddezza era sparita dal suo volto e quello fece quasi alzare un sopracciglio alla ragazza, che si stava già chiedendo silenziosamente per quale motivo lui fosse lì.
« Camus… » Iniziò con un filo di voce. « Piacere di trovare in piedi anche te. » Continuò poi, spostando di nuovo l’attenzione al tramonto. Era troppo per lei sostenere quello sguardo dopo avergli confessato di averlo amato. Non dopo che continuava a sentire battere il suo cuore per lui.
« Ho passato momenti migliori. » Fece spallucce lui, quasi divertito, avvicinandosi fino al letto, dove si sedette senza remore e senza staccare neanche per un momento gli occhi dalle spalle di lei.
« A cosa devo questa visita? » Ippolita parlò con durezza, dopo alcuni secondi di silenzio che le erano pesati come un macigno. Avrebbe tenuto testa a qualsiasi conversazione, ma non sopportava il silenzio con lui.
Lo sentì però sospirare di conseguenza al suo tono o alle sue parole. Fu difficile capirlo. Era sempre difficile per lei capire il Saint dell’Acquario.
« Non fare finta di non saperlo Elena, ti prego. » Fece stancamente lui, sospirando, e lei irrigidì ogni muscolo del corpo serrando bruscamente la mascella.
Certo che lo sapeva, ma non era pronta a quel confronto diretto. Rimase quindi in silenzio a pensare immediatamente ad una possibile risposta, ma quello che sentiva era solamente la rabbia verso sé stessa ed il suo gesto sconsiderato.
« Perché non mi guardi quando ti parlo? Hai tenuto spavaldamente testa al mio sguardo dal primo momento in cui ci siamo visti, ed ora non riesci neanche a voltarti verso di me. » Riprese lui con tono leggermente più freddo del precedente, che colpì l’orgoglio della ragazza tanto da riuscire a farla voltare con le braccia conserte e l’espressione dura in volto.
« Se sei venuto fin qua a farmi pesare le mie colpe puoi anche tornare da dove sei venuto. Non ho intenzione di ascoltare oltre. Hai avuto le tue bramate risposte, adesso lasciami in pace! » Sbottò Ippolita, ma senza scomporsi più di tanto, nonostante sentisse la cieca rabbia affiorarle dal petto. Ringraziò anche il sole che stava tramontando all’esterno e che rimandava bagliori arancioni nella stanza, riducendola alla semioscurità. Non era sicura che in condizioni normali di luce sarebbe riuscita ad osservare ancora per un momento le iridi blu del Saint, che erano ridotte in quel momento a due fessure. La stava osservando di sottecchi, probabilmente innervosito dal suo tono. Si prese anche la briga di osservarlo meglio, coi capelli che gli ricadevano sul volto cosparso di piccoli cerotti e vestito di semplici vesti pesanti.
Era bello Camus con quei giochi chiaroscuri, molto più bello del ragazzino che ricordava e quella consapevolezza la indispettì ancora di più, perché i suoi sentimenti erano totalmente in contrasto, come se dentro di lei infuriassero due entità ben distinte. Una le stava dicendo di mantenere le distanze con lui, l’altra invece la incitava ad accorciarle.
A chi avrebbe dovuto dare ascolto? Forse in quel momento avrebbe dato retta ad Ecate, seppur a malincuore, e sarebbe scappata laddove le aveva chiesto di andare pur di mettere fine a quella storia ed alla sua colpa. Ma amare qualcuno era davvero una colpa così grave?
Solo in quel momento, nel gelido silenzio che era di nuovo sceso tra loro, si era resa conto della consapevolezza che non aveva voluto accettare e quella che la stava incitando a scappare da lui. Voleva solamente una flebile speranza che lui potesse ricambiare quei sentimenti, ma il gelido sguardo ed il freddo tono che aveva mostrato fece crollare quel piccolo castello in aria.
« Non stare sempre sull’attenti con me, non ho intenzione di schernirti o quanto altro per ciò che mi hai rivelato. Capisco le tue motivazioni, come capisco finalmente cosa ti ha spinto quel giorno a fermare il tuo colpo. »
Camus riprese un tono di voce leggermente più dolce, alzandosi dal letto ed accorciare quelle distanze che Elena era stata indecisa se allungare o meno. Arrestò i suoi passi a poca distanza da lei, sovrastandola con la sua altezza. Si addossò anche lui all’anta della finestra ed osservò fuori senza dire altro. Forse si aspettava che fosse lei a rispondere, ma di nuovo le aveva tolto il potere di quelle parole taglienti ed arroganti. Quindi, non sapendo cosa fare, ella si limitò ad osservare il profilo di lui mentre era intento ad osservare l’orizzonte. Da quando lo aveva incontrato di nuovo non gli aveva mai visto fare quell’espressione così sofferente e malinconica. Era in grado di cambiare così repentinamente espressione che lei stessa era così confusa nel cercare di stare al suo passo.
« Io non posso ricambiare i tuoi sentimenti. »
Fu un attimo che il Saint si girò verso di lei. Aveva sempre sul volto quell’aria così abbattuta che Ippolita stentò a credere che fosse realmente lui, e che pronunciasse le parole che lei, tuttavia, si era già aspettata di sentire da un momento all’altro. Erano arrivate a distruggere le sue speranze, ma era capibile e normale, lo sapeva anche lei.
Allora cos’era quel macigno che sentiva sullo stomaco? Anche le lacrime, che fino a quel momento aveva tenuto a bada adesso minacciavano di scendere. Ma non era pronta a piangere di fronte a lui, non era mai stata così debole e non voleva iniziare proprio in quel momento. Per tanti anni aveva represso un sentimento che non aggradava nemmeno lei, sapendo quasi per certo che lui non avrebbe ricambiato, allora cos’era cambiato?
“Perché mi guardi in quel modo? So sostenere il tuo sguardo minaccioso ma non questo!”
Strinse i pugni al suo stesso pensiero, abbassando lo sguardo a terra e serrando la mascella nello stesso momento.
« Non ti ho mai chiesto di farlo Camus, sia ben chiaro. Non ti ho detto di amarti perché speravo che lo facessi a tua volta. Semplicemente ero sicura di morire e, come sarei stata libera io, volevo che lo fossi anche tu. Non volevo farti penare ancora le mie risposte. » Nonostante le parole dure, la sua voce era roca e non si era nemmeno ripresa la briga di alzare gli occhi su di lui, che se ne stava ancora addossato all’anta della finestra.
Tuttavia lo sentì sospirare ed accorciare le distanze. Con gli occhi bassi notò le sue scarpe a poca distanza dalle sue ed il calore del suo corpo così vicino al suo.
“Perché mi fai questo? Dovresti andartene, lasciarmi da sola!”
La mente di Elena continuava ad imprecare, nonostante la voce non riusciva ad uscirle dalla bocca serrata.
« Non sei tu il problema, sono io. Il mio cuore non è più in grado di provare un sentimento così grande. È devoto alla giustizia ed all’amicizia che mi lega ai compagni d’armi, ma gli avvenimenti di una vita si ripercuotono sul presente. » Continuò lui, amareggiato, ma lei non lo stava minimamente ascoltando. Teneva ancora gli occhi bassi e si stava sforzando di odiarlo. Sarebbe stato più semplice.
« Non scusarti Camus, non ce n’è bisogno. Ho capito cosa stai cercando di dirmi, non te ne faccio una colpa. Continueremo le nostre vite, magari senza portarci rancore questa volta. » Sospirò lei allentando la tensione che si era venuta a creare, non azzardandosi però ad abbandonare la sua posizione.
« Vorrei solamente tornare al Tempio e cominciare il mio allenamento. Non voglio sprecare la mia seconda opportunità. » Disse Elena con voce più ferma, ma sentì l’uomo sospirare a sua volta.
« Torneremo al Tempio, ma io non posso più essere il tuo maestro. » Iniziò, ma prima che la compagna potesse dire altro continuò. « Conosci le mie tecniche e mi sai tenere testa benissimo, ti serve qualcuno diverso da me. »
« Come vuoi tu. » Fece poi spallucce lei, continuando a dare una notevole attenzione al pavimento.
Rimasero in silenzio un’altra manciata di secondi, mentre il suo cuore continuava a battere all’impazzata per la piega che avevano preso quegli eventi e per la vicinanza di lui, che annebbiava ogni possibile razionalità.
Ma fu il gesto improvviso dell’uomo a riportarla alla realtà. Sentì la sua mano stranamente calda poggiarsi sulla sua guancia e sentì il suo pollice sfiorare delicatamente la superficie della cicatrice oramai di nuovo guarita.
« Guardami. » Sospirò lui, mentre delicatamente le alzava il volto. Fino all’ultimo la ragazza cercò di non incontrare i suoi occhi, altrimenti il suo animo avrebbe vacillato ancora, ma non fu possibile. Non poteva continuare a rimanere impassibile e passiva, non era nel suo carattere. Non voleva forse diventare un guerriero?
Si tolse dal volto ogni tipo di espressione sofferente e piantò gli occhi in quelle iridi oceaniche che tanto aveva amato, sentendo il suo cuore perdere l’ennesimo battito.
« Sei sempre stata così carismatica Elena… » Soffiò lui, sostenendo il suo sguardo. « Ti ho detto che non posso ricambiare i sentimenti, ma c’è una cosa che ho imparato in questi anni. Sono morto ben due volte ed ho quasi sfiorato la terza, quindi penso sempre a vivere ogni attimo come se fosse l’ultimo. »
Disse quelle parole avvicinandosi leggermente al corpo di lei. Ippolita si era ritrovata di nuovo addossata al suo petto, ma questa volta non c’era la fredda armatura a dividerli. Il cuore continuava a martellarle nel petto ed, incapace di riuscire a capire le intenzioni del compagno, appoggiò la fronte nell’incavo della sua spalla mentre la mano di Camus ancora le carezzava la guancia.
Fu di nuovo un attimo che lui le alzò il volto ed accorciò ogni possibile distanza tra loro, poggiando le sue labbra in quelle di lei in un bacio che lasciava poco spazio al fraintendimento. La lingua del Saint era riuscita a trovare quella di lei, ed insieme avevano iniziato quel gioco di intrecci che fece tremare le gambe della guerriera dall’emozione.
In un’altra manciata di secondi si era ritrovata stesa sul suo stesso letto, sotto il peso del corpo del Saint che non l’aveva lasciata andare neanche per un secondo. Si addossò ancora a lui, infilandogli le mani nei capelli ed attirandolo di più a sé. Oramai era inutile mentire a sé stessa, perché in tutti quegli anni era andata cercando e sperando proprio quello.
Le mani di lui erano riuscite a spogliarla della maglietta che indossava senza mai smettere di baciarla, e così aveva fatto anche con la propria. In poco tempo si erano ritrovati entrambi senza vestiti, complici di quell’atto di pura passione. Quella notte sarebbe stata loro, del domani ne avrebbero deciso quando il sole sarebbe sorto. Solo la luna era spettatrice delle loro gesta, come loro stessi.
Fu così che si lasciarono andare entrambi in quella casa che tanto li aveva accomunati, facendo l’amore cogliendo ogni attimo come se fosse l’ultimo.
Fine capitolo 10

°°°°°°

 
Angolo autrice:
Ma salve cari lettori, bentrovati alle note dolenti finali. Ricollegandomi a quello che ho scritto all’inizio del capitolo, spero di non aver fatto troppi disastri e che il capitolo sia stato comprensibile e piacevole.
Siamo arrivati al punto di svolta di questa prima parte della storia (e la seconda non sarà da meno :P), ed è qui che entrerà in gioco Kanon, che abbiamo già visto in precedenza. Siete curiosi di sapere che ruolo abbia? ;)
Probabilmente adesso mi odierete, o odierete Elena oppure direttamente Camus…chissà, sono curiosa di sapere le vostre impressioni sul finale di capitolo.
Detto questo ringrazio i recensori, che mi danno sempre la forza di andare avanti, e chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Vi do appuntamento al prossimo capitolo! 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
 
Un ragazzo aveva appena raggiunto un bar nei pressi del Colosseo, nella città di Roma, e si sedette ad uno dei tavoli con fare annoiato. Era un ragazzo con dei lucenti capelli castani dal taglio sotto le spalle, che lui aveva legato in una morbida coda dietro la nuca, e due penetranti occhi verdi. Se ne stava compostamente seduto sulla sedia ad aspettare la sua ordinazione e forse qualcuno, vista l’aria circospetta che aveva mentre si guardava attorno cercando di scorgere la persona a lui interessata.
Quando riuscì a notarla, tra le altre persone intente a camminare nella via affollata della caotica città in quell’ora di punta, le fece un cenno con il capo in segno di saluto, e probabilmente per indicargli dove egli fosse.
Era una ragazza con dei lunghi capelli biondi e gli occhi color ghiaccio, il suo marchio di riconoscimento. Camminava sicura di sé e sul viso aveva un’espressione puramente divertita anche quando lo raggiunse al tavolo, dove sedette senza aspettare il suo invito.
Lui la guardò con un sorrisetto soddisfatto e non le staccò gli occhi di dosso nemmeno per un attimo.
« Ecate. Impossibile non riconoscerti, anche in questo aspetto. » Le sorrise lui e lei si aprì in un sorriso incredibilmente soddisfatto.
« Non mi sono ancora data un nome in questo corpo. » Fece spallucce. « Invece come dovrei chiamare voi, mio diletto? » Continuò, piantando gli enigmatici occhi in quelli di lui.
« Marco. In questo mondo mi chiamo così. » Restituì l’occhiata il ragazzo, rimanendo in silenzio mentre la cameriera posava due bicchieri pieni di liquido ambrato di fronte a loro.
« Ho ordinato anche per te, spero non sia un problema. » Continuò poi, una volta rimasti di nuovo soli.
Ecate scosse la testa, chiaro segno che a lei non importava minimamente di quella piccolezza, ed andò subito al sodo.
« Immagino che, con questa convocazione, vogliate informazioni su vostra sorella. » Prese il bicchiere e lo portò alle labbra, assaggiando la fresca bevanda con fare bramoso.
« Esattamente. Hai fatto quello che ti ho chiesto? L’hai incitata a tornare a casa? » Si azzardò a chiedere lui, con sguardo inquisitore.   
« Esattamente come mi avete chiesto di fare. Tuttavia sono sorte alcune complicazioni… » Lasciò per un attimo cadere la conversazione, osservando la reazione dell’uomo di fronte a sé, ma per fortuna nel suo sguardo c’era solo un misto di curiosità e rassegnazione.
« Come immaginavo. Devo dire che lo avevo messo in conto, soprattutto quando ci sono di mezzo i Saint di Athena. » Soffiò in risposta, iniziando a bere il suo tanto aspirato drink. « Invidio queste bibite agli umani. » Ridacchiò infine, pulendosi con il dorso della mano un rivolo di liquido che gli era caduto lungo il mento.
« Oh ma non dovete preoccuparvi, ho comunque mandato a segno il mio colpo. Il suo cuore è piano di dubbi, sono riuscita a sentirlo benissimo. » Ridacchiò la donna, trasportando anche il suo interlocutore.
« Sapevo di poter contare su di te. Ed è un bene che ci faccia aspettare ancora, potrebbe portare a dei risvolti molto divertenti. »
« Confido che saprà trovare il momento giusto. In fondo, nemmeno voi siete riuscito a svegliarvi completamente in questo corpo. »
« Già, ma è questione di poco oramai. Anche i miei guerrieri tra non molto saranno pronti, e per i Greci non ci sarà più scampo. La divina Athena lascerà a me il comando del Tempio, così come del mondo intero, e per prima cosa farò sprofondare di nuovo negli inferi i suoi guerrieri. » L’uomo si lasciò andare in una sonora risata, che fece voltare incuriositi tutti i clienti del bar seduti agli altri tavoli.
« O sarà proprio vostra sorella a farlo crollare dall’interno. » Azzardò la dea con voce sardonica.
« Oh lo spero, lo spero proprio mia diletta! »
 
°°°°
I prepotenti raggi del sole che entravano dalla finestra spalancata destarono Elena dal suo sonno, risvegliandola dal groviglio di lenzuola in cui era avvolta. Dopo aver sbattuto gli occhi tre volte, per riuscire a capire di nuovo dove fosse, si ricordò di essere nella sua vecchia stanza. Anche i ricordi della notte appena trascorsa le tornarono alla mente, ma Camus non era nel letto con lei. Però era comprensibile, lo sapeva bene anche lei. Cosa l’avesse spinto a condividere quella notte di fuoco senza che ricambiasse i suoi sentimenti per lei era un mistero, ma dovette ammettere di essere finalmente in pace con sé stessa. Il suo animo era quieto, così come il suo cuore. Le rimanevano solamente dei ricordi meravigliosi, ma quello era il momento di superare il passato e pensare al futuro.
In ogni caso, come si sarebbe dovuta comportare con lui? Doveva tenere la solita rigidità e freddezza che si addice ad un guerriero o trattarlo di nuovo come il vecchio compagno di addestramento?
Scosse la testa con veemenza, lasciando che i capelli spettinati post coito le ricadessero lungo le spalle. Inoltre le ferite non tiravano più e forse avrebbe potuto finalmente togliere tutto il bendaggio che le aveva fatto accuratamente il suo ex maestro. Di quella sanguinosa battaglia, seppur non fossero passati che pochi giorni, oramai ne rimaneva solo un lontano ricordo, sorpassato da quello molto più recente. Se chiudeva gli occhi poteva trovare di nuovo lo sguardo del Saint, azzurro e profondo come l’oceano più pulito, mentre la osservava in quei momenti di pura intimità.
Per quello si dichiarò più sveglia che mai, pronta a vivere al meglio quella giornata. Non avrebbe dovuto vivere nel ricordo, non sarebbe stato da lei. Era stata incredibilmente felice in quegli attimi e se provava a soffermarcisi poteva sentire ancora il tocco caldo delle mani di Camus ancora su di lei, ma scacciò ogni pensiero.
Doveva guardare avanti! E poi, qualora fossero stati entrambi in grado di camminare, o correre, sarebbero dovuti tornare al Tempio. Non voleva forse diventare una guerriera? Adesso che ne aveva l’opportunità ed aveva chiuso tutti i suoi sentimenti all’interno del suo cuore poteva dichiararsi pronta.
Ma la frase che Camus le aveva rivolto la sera prima l’aveva turbata non poco.
“Io non posso più essere il tuo maestro.”
« E allora chi? » Chiese retoricamente verso la sua figura speculare allo specchio, dove era arrivata per darsi un aspetto un po’ più presentabile. Ma ovviamente quella non poteva rispondere e di nuovo aveva una domanda senza risposta.
Sospirò, cercando di non darsi pensieri, e dopo essersi vestita e sistemata uscì dalla camera per affrontare di nuovo la realtà dalla quale era stata strappata giorni prima.
 
----
Camus era tornato nel luogo in cui, pochi giorni prima, aveva quasi rischiato di riperdere la vita. Se ne stava in piedi, a braccia conserte e gli occhi chiusi, vestito degli abiti pesanti che gli aveva gentilmente donato il suo maestro. Lasciava che la fredda brezza scompigliasse i suoi capelli, lasciando che gli ricadessero anche davanti agli occhi, ma a lui non stava minimamente importando. La sua mente vagava oltre ciò che stava vivendo.
Ripensò a quei giorni passati, dalla battaglia con Elena alla notte precedente. Non seppe dire realmente cosa l’avesse mosso. Orgoglio? Rivalsa? Affetto? Purtroppo nemmeno il suo animo riusciva a dare una risposta a quelle domande, ma sentiva sicuramente il cuore più leggero. Quel meraviglioso amplesso aveva messo fine ai loro dissapori, facendo calare il sipario sulle loro vicende passate. Il cerchio si era chiuso e finalmente aveva avuto le sue tanto agognate risposte. Se solo fosse stato più attento forse si sarebbe potuto risparmiare tutto quel dolore. Era sicuro di averne inferto molto alla donna che aveva passato con lui l’apprendistato, e non era più sicuro del ruolo che giocasse per lui in tutto ciò. Avrebbe ripreso il suo tono formale e la sua solita freddezza, ma non poteva mentire a sé stesso. Non l’amava, questo era certo, ma non era nemmeno una semplice donna capitata per caso nella sua vita. Alla fine l’aveva vista crescere e diventare un’ottima guerriera, e forse il merito era anche suo.
Aprì gli occhi azzurri verso il cielo, sospirando, ripensando poi all’ansia della sua Dea quando l’aveva mandato in quei posti per cercarla. Di cosa esattamente aveva paura? La sua mente ci aveva pensato per tutto quel tempo. Possibile che avesse scorto in Elena una qualche minaccia? Oppure era qualcun altro? Adesso che si era chiarito con lei, la questione gli si era palesata di nuovo di fronte. Quando Athena lo aveva incitato a raggiungere quei luoghi per costatare se le sue paure fossero vere o meno, si era fatto prendere dall’ansia di doversi ritrovare Ippolita di fronte come ai vecchi tempi, riaprendo i vecchi dissapori che credeva oramai passati e dimenticando il vero motivo per il quale si trovasse lì.
« Camus! »
La voce della diretta interessata però lo destò dal suo lungo pensare, costringendolo a voltarsi verso di lei.
« Ciao. » Le rispose tranquillamente, nonostante sul suo volto non si notasse il minimo accenno di un sorriso. Tuttavia lei non si fece scoraggiare dalla fredda corazza del Saint, non più almeno. Non dopo quello che si era prefissata di fare.
« Voglio tornare al Tempio il prima possibile. » Gli disse poi, autoritaria, rimanendo ferma nella sua posizione impassibile.
Lui la squadrò con quel suo meraviglioso sguardo oceanico, cercando di captare quali sentimenti la muovessero, ma nonostante ci avesse messo tutto l’impegno di cui era dotato, non riuscì a cogliere la minima emozione.
« Partiremo subito dopo aver mangiato. » Decretò allora lui, muovendosi dalla sua posizione e sorpassandola per tornare sui suoi passi.
Tuttavia lei non fu pronta per lasciarlo andare di nuovo.
« Aspetta! » Lo richiamò con un tono di voce supplichevole. In pochi secondi era riuscita ad abbattere tutta la freddezza di cui si era vestita.
Lui dal canto suo arrestò i suoi passi ma rimase voltato di spalle com’era nel suo stile. Sapeva cosa volesse chiedergli, ma non sapeva se era pronto a rispondere. Tuttavia, nonostante la mancanza di parole da parte del Saint, lei continuò.
« Riguardo a questa notte… io…noi… » Farfugliò Elena, ma non fu capace di mettere insieme una frase completa tanto era stata la foga di voler per forza dire qualcosa pur di non rimandare quel discorso.
« Rimarrà tra noi. » Fu lui a riprendere parola, inchiodando il suo sguardo su di lei, che strinse la mascella per riuscire a darsi di nuovo un contegno. « Ti ho spiegato le mie motivazioni, come tu mi hai detto le tue. Sono felice che tra noi sia tutto chiarito. Io non posso essere ciò che vuoi. » Disse, addolcendo leggermente il tono di voce e mostrando un piccolo sorriso.
« Io non voglio nulla da te. Non più oramai. » Sospirò lei di rimando. « Voglio portare avanti ciò che mi ero prefissata di fare già dal tempo dell’apprendistato. Se Athena crede di potermi far diventare una guerriera, io sono pronta a ricevere di nuovo un allenamento consono al mio ruolo, con chiunque esso sia fatto. » Parlò più fermamente.
Si scrutarono così negli occhi per quelle che sembrarono ore, prima che uno dei due riuscisse di nuovo a dire qualcosa. Sembrava come se il silenzio e quello sguardo carico di aspettative potesse parlare al posto loro, ma fu lui il primo a cedere.
« Sarai degna del tuo ruolo, indubbiamente. Vieni, torniamo a casa. »
Per la prima volta, entrambi lasciarono definitivamente quel luogo senza più rimpianti.
 
Dopo aver consumato un ottimo pasto grazie al loro vecchio maestro, erano già pronti a lasciarsi addietro le fredde lande ghiacciate della Siberia per tornare al clima decisamente più caldo della Grecia.
Quando furono abbastanza distanti dal villaggio, dopo aver corso rapidamente grazie alla velocità della luce dei Saint, Elena chiese di fermarsi. Ovviamente a Camus sembrò strano che lei potesse avere un problema, ma lo sguardo fiero che la ragazza stava tenendo in volto lo costrinse ad arrestare il passo.
« Perché ci siamo fermati? Non volevi raggiungere il Tempio il prima possibile? » Le chiese con la sua solita freddezza, osservandola quasi di sottecchi.
Lei sostenne per un momento lo sguardo, cercando di calibrale le parole che sentiva di dover dire.
« Cosa ti è successo dopo l’investitura? Cosa ti ha costretto a chiudere così tanto il tuo cuore? » Chiese poi senza remore, arrossendo lievemente per la domanda fin troppo intima che gli aveva posto. In fondo, l’Acquario non era mai stato un ragazzo espansivo e non era sicura che quella volta fosse diverso dal solito. Aveva sempre tenuto un alone di mistero su di sé, che negli anni passati non era cambiato di una virgola. Tuttavia ci aveva provato. Voleva davvero riuscire a capire cosa lo avesse colpito così nel profondo.
Dal canto suo lui sospirò solamente, abbattendo per un momento la rigidità consona al suo ruolo di guerriero.
« Non è questo il momento di parlarne. » Prese però parola in tono glaciale, facendole capire che per lui la conversazione poteva ritenersi chiusa.
Ma non per lei.
« Potrebbe essere l’ultimo. Non credo che al Tempio avremmo altri momenti per parlare. » Lei piegò la testa di lato, lasciando cadere i capelli lungo una spalla e continuando a guardarlo speranzosa.
« Elena… » Sussurrò lui in quella che sembrava essere una supplica. « Non c’è nulla di cui parlare. Le battaglie mi hanno fatto diventare quello che sono, non c’è null’altro da dire. »
Dopo quella frase Camus le voltò le spalle, facendole davvero capire che la questione per lui era chiusa. Non era pronto per rimembrare anche quel passato, non con lei. Era stata dura accettarlo allora, com’era dura pensarlo in quel momento. E poi, lui non era una persona che si perdeva in ricordi, lui andava avanti come aveva sempre fatto.
Nonostante avesse scorto una bugia dietro quelle parole lei sospirò, scrollando le spalle per lasciarsi di nuovo addietro i loro discorsi. Avrebbe trovato un altro modo per saperlo.
Così, senza dire altro, ripresero il cammino verso il Tempio.
Fine capitolo 11
 
°°°°°°°°°°°°°°
Angolo autrice:
Ben trovati a tutti in questo finale di capitolo. Mi dispiace molto che sia decisamente sottotono, me ne rendo conto anche io, ma in questi ultimi giorni non sto nel pieno della mia forma fisica e questo mi distrae non poco T.T ne ha risentito lo scritto! Mi farò perdonare ^^ Inoltre è solo un capitolo di transizione, per sistemare al meglio le cose tra i due ed aprire altre “controversie”, tanto perché non può esserci pace tra Camus ed Elena ehehe e poi ho introdotto i nuovi personaggi :P che ne dite di Marco? Vi siete fatti un’idea su di lui? Mi piacerebbe saperla eheh
Ringrazio quindi i recensori, le persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e tutti voi lettori silenziosi che apprezzate questa mia storia!
Un bacione a tutti
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
 
Percorsero la distanza che li divideva dal Tempio in religioso silenzio. Camus camminava di fronte ad Elena con passo svelto ed elegante, com’era solita vederlo nei loro passati allenamenti. Era diventato uomo adesso, e sulle spalle portava il carico delle molte battaglie passate. E non solo. Era tornato dall’Ade ben due volte, ma nulla di tutto ciò aveva incrinato la regalità che lo aveva sempre contraddistinto. E forse era stata proprio quella a far sì che la ragazza si innamorasse di lui e del suo buon cuore. In fondo, nonostante fosse un freddo calcolatore in battaglia, ed avesse un carattere chiuso e gelido, il suo cuore devoto alla giustizia aveva scaldato il suo.
Lei dal canto suo gli camminava dietro, mantenendo l’andatura che stava avendo lui pur di non costringerlo a voltarsi indietro. L'uomo sapeva che riusciva a stare al suo passo, sicuramente lo sentiva, e lei non era pronta a ritrovarsi di nuovo quello sguardo magnetico su di sé. I suoi occhi l’avevano sempre scossa fin nel profondo, era inutile negarlo. Quello sguardo oceanico era l’unica cosa che smuoveva l’animo battagliero di cui si era sempre vestita.
« Siamo quasi arrivati. » Gli sentì pronunciare, ma lo ringraziò mentalmente per non essersi minimamente voltato per dirglielo, come se non parlasse con lei. « Dobbiamo solo passare il paese di Rodorio e poi saremo al Tempio. » Si voltò leggermente questa volta, ma Elena non lo stava osservando. Aveva l’attenzione rapita da ciò che aveva intorno e dal via vai di persone che le passavano accanto, incuriosita dai composti saluti verso il Saint, ai quali lui ricambiava pacatamente. A lei però non stavano degnando di considerazione, a parte sguardi curiosi.
Sospirò, alla fine non poteva aspettarsi altro. Lei non apparteneva a quelle terre, come non poteva dire di appartenere a pieno al Santuario. Non ancora. Il suo secondo apprendistato non era neanche iniziato. Certo, era grata a Camus per il loro scontro, perché aveva permesso loro di chiarirsi, anche se molte domande continuavano ad aleggiare nella sua mente, ma in quel momento quello che le premeva di più era riuscire a conquistare una Cloth, anche se non era quella per la quale, anni addietro, aveva dato tutta sé stessa…o quasi.
Osservò il sole che si apprestava a tramontare dietro le casupole del villaggio, ricordando l’alba a cui aveva assistito qualche giorno prima nello stesso punto. Non si era neanche fermata ad osservare quel paese, in nessuna delle due volte in cui erano passati di lì, troppo presa dai suoi problemi, eppure era così bello. Le ricordava un po’ il suo paese, dove tutti si conoscevano e tutti parlavano tra loro.
« Rodorio? » Si voltò a chiedere a Camus, che nel frattempo si era fermato ad osservare i suoi lineamenti annuendo.
« E gli abitanti qua sanno di voi? » Chiese ancora lei, più per curiosità che per vero sapere e lui annuì di nuovo, con un sopracciglio alzato.
« Fin dai tempi antichi. » Le rispose solamente, facendola finalmente voltare nella sua direzione. Lui era in piedi a pochi passi da lei, con sguardo assorto e con indosso la lucente Cloth che mostrava meravigliosi giochi di luce sotto i riflessi arancioni del tramonto.
Si guardarono negli occhi per un lungo istante, senza che nessuno dei due riuscisse a dire nulla. Elena dal canto suo avrebbe voluto richiedere cosa gli fosse successo di così toccante da fargli chiudere irreparabilmente il cuore in quella maniera, ma era anche sicura che non sarebbe riuscita a tirargli fuori nemmeno mezza informazione, e Camus non aveva nulla da chiedere pur di non insinuare altra curiosità nella ragazza. Sapeva anche lui cosa lei volesse sapere, ma non era ancora pronto a darglielo. Era un capitolo della sua vita oramai passato, anche se non del tutto. Se l’era portato nella tomba e, volente o nolente, era resuscitato con lui.
Il vivido viso di lei in punto di morte, senza la maschera a protezione dei suoi lineamenti, ancora offuscava i suoi pensieri e disturbava i suoi sogni. Come poteva lasciarsi andare se ancora pensava a lei dopo tutti quegli anni? Aveva cercato di lasciarsela addietro, aveva odiato il Grande Sacerdote per quella missione, aveva dato tutto sé stesso nelle sue battaglie ed aveva riversato la sua rabbia contro il suo allievo, eppure nulla di tutto quello era servito a dimenticarla. Si era concesso ad Elena perché non era così stronzo da non provare nulla, ma non riusciva ad amare, non più. I sentimenti che lo avevano mosso in quei momenti non erano stati dettati dall’amore, purtroppo. Non si sentiva sporco però, perché non aveva la presunzione di dire che non gli fosse piaciuto. Semplicemente sentiva di aver fatto la cosa giusta per entrambi, perché finalmente lo sguardo di Elena non trasportava più rancore. Non si era più voluto soffermare sull’argomento, non era ancora pronto a darle spiegazioni. Quello avrebbe voluto dire ricadere di nuovo preda delle emozioni, ed era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare. Le emozioni lo avevano portato a corrodersi, giorno dopo giorno, e non aveva più la forza per farlo. Non avrebbe permesso a null’altro di corroderlo come l’acqua faceva con le rocce. Voleva essere come il suo ghiaccio, freddo ed eterno nella sua compostezza.
« Dobbiamo andare. » Disse il Saint dopo un momento di silenzio che sembrò infinito.
A quella presa di parole la ragazza annuì sommessamente, voltandosi verso la salita che l’avrebbe portata alle pendici del Tempio.
 
Quando entrarono era oramai quasi buio e la luna rischiarava la via che avrebbero dovuto percorrere. Di fronte alla prima Casa però, trovarono il Saint dell’Ariete a sbarrare loro la strada, ma le sue intenzioni non sembravano ostili. Sorrideva compostamente ai due come se fossero appena tornati da una lunga ed estenuante missione.
« Camus. » Disse Mu in segno di saluto, sentendosi salutare di rimando in tono pacato dal compagno d’armi. « Ippolita. » Finì poi, posando il suo sguardo magnetico sulla ragazza, che lo salutò con un piccolo inchino per omaggiare la posizione di Saint seconda solo al Grande Sacerdote.
« Dobbiamo conferire con Athena. Chiedo il permesso di passare dalla tua Casa. » Furono solo quelle le semplici parole dell’Acquario, dirette come solo lui sapeva fare e che non fecero perdere al proprietario di quella casa il tempo di spostarsi per farli passare.
« Permesso accordato. » Disse solamente l’Ariete doro, elegante e pacato come era solito essere.
Già dalla volta scorsa ad Ippolita era stato simpatico, ed era stato il primo Saint conosciuto in quel Tempio, a parte Camus. In più si era dimostrato cordiale e gentile con lei che non c’entrava nulla in quel luogo.
« Grazie. » Rispose lei per entrambi e quella parola fece alzare un sopracciglio al Saint, meravigliandolo.
« Non c’è bisogno di ringraziare, è la prassi. » Fu invece il commento freddo di Camus, che non si prese neanche la briga di voltarsi a guardarla mentre glielo diceva.
Lei dal canto suo fece spallucce. Aveva ancora molto da imparare delle usanze del luogo.
 
Avanzarono nella casa del Toro senza aspettare una risposta dal custode, apparentemente assente o addormentato nella zona notte, quindi sorpassarono la seconda casa per ritrovarsi sulle scalinate che precedevano la Terza, quella dei Gemelli.
Elena si voltò leggermente ad osservare i lineamenti di Camus, cercando di captare il suo stato d’animo nell’attraversare quella Casa così grande ed ombreggiata. Notò che, nonostante la camminata spedita e composta, i muscoli del suo corpo erano tesi come la sua mascella e quello la portò a chiedersi di nuovo quale dissapore ci fosse tra i due parigrado. Ovviamente, nonostante la curiosità che la muoveva, non si azzardò a chiederlo. Sapeva che, nonostante tutto, non le avrebbe risposto, quindi si limitò a camminargli accanto mentre entravano nel buio della Casa.
Sembrava stesse andando tutto liscio ed alla ragazza sembrò anche che il compagno avesse allungato il passo, quasi volesse raggiungere a tutti i costi l’uscita senza farsi notare, ma una voce alquanto contrariata ruppe il silenzio spettrale che aleggiava in quel luogo, immobilizzando entrambi sul posto.
« Sbaglio o si dovrebbe chiedere il permesso di passare di Casa in Casa? »
Camus arrestò il passo, facendo svolazzare il mantello dietro le sue spalle e continuando a mantenere una posizione eretta e vigile anche sotto il suo irrigidimento. Elena invece sussultò, cercando con lo sguardo la fonte di quelle parole, trovandolo tranquillamente poggiato ad una colonna poco distante dalle loro spalle, con le braccia conserte e l’aria contrariata.
« Il custode di tale casa dovrebbe anche palesarsi in modo che qualcuno possa chiedere, altrimenti potrebbe far presumere che la casa sia mal custodita. »
La frecciatina glaciale detta da Camus, senza minimamente voltarsi verso il suo interlocutore, fece gelare il sangue alla ragazza, che si spostò leggermente dalla sua posizione per avere a portata di sguardo entrambi gli uomini. La tensione che era calata tra i due era palese anche a lei, anche se i motivi non riusciva a comprenderli.
« Beh, adesso sono qua. » L’espressione ilare del Saint dei gemelli non passò inosservata all’inquisizione di Elena. Le sembrò che il gemello fosse infinitamente soddisfatto di far pronunciare quelle parole, quasi sottomesse, al suo accompagnatore. Alla fine, pensò lei, non ce ne sarebbe stato bisogno se lui non si fosse intromesso. Quindi era stato un gesto maledettamente intenzionale.
Tuttavia il francese non si fece scoraggiare dal parigrado e non si scomodò a guardarlo negli occhi nemmeno una volta, continuando a guardare la luce della luna che entrava dall’uscita della Casa.
« Chiediamo il permesso di passare dalla vostra Casa. »
Tale richiesta però, sotto la stizza di Kanon e la contraddizione di Camus, venne pronunciata dalla ragazza, che nel frattempo si era frapposta tra loro guardando il Gemelli quasi con sfida.
« Hai fegato ragazzina, tuttavia non ti permetto di rivolgerti così ad un tuo superiore, né di fare le veci del tuo maestro. » Il tono acido del padrone di Casa indispettì non poco la ragazza, che stava quasi per rispondere a tono, ma la mano di Camus, messa sulla sua spalla in segno di ammonizione, la fece desistere dal dire qualsiasi cosa.
« Adesso basta coi giochetti Kanon. » Lo ammonì l’acquario, facendo storcere un labbro al compagno d’armi per quel commento fin troppo privo di riguardo. « Ti chiediamo il permesso di passare. » Finì con tono autorevole, nonostante le parole calibrate e taglienti, dette con lo sguardo fisso sul suo interlocutore. Era lo stesso sguardo sprezzante che nei giorni addietro Elena si era vista addosso e che le aveva fatto accapponare la pelle. Ovviamente non sortì lo stesso effetto all’altro che, contrariato, alzò le spalle in un cenno di resa. Probabilmente, se non ci fosse stata lei come unico ago della bilancia ad interporsi tra loro, sarebbe scoppiato un feroce duello tanto erano carichi d’odio i due sguardi.
« Fate come vi pare. » Concluse con presunzione il padrone di casa, mantenendo le braccia conserte al petto ed osservandoli di sottecchi con espressione dura. Era ovvio che la questione non si era affatto conclusa lì.
Tuttavia, senza prendersi la briga di pronunciare altro, Camus voltò le spalle al Saint e, prendendo Elena per un braccio, la trascinò fuori da quella casa.
 
« Potrei avere delle spiegazioni? » Chiese lei d’un tratto, mentre salivano la scalinata che li avrebbe condotti alla casa del Cancro.
« Riguardo cosa? » Il tono che usò lui per risponderle era incredibilmente seccato, ma non bastò a far desistere la ragazza dall’indagare oltre. Quelle che prima potevano essere solo supposizioni adesso avevano un senso logico e la curiosità l’aveva di nuovo invasa come un treno incorsa. In più era sicura che tutto quello aveva a che fare con il modo di porsi al mondo da parte dell’uomo che aveva accanto.
« Quello che è successo nella Casa dei Gemelli. È chiaro che non corre buon sangue tra voi, posso sapere il motivo? » Continuò lei con convinzione, ma serrò la mascella nel momento in cui lo sguardo oceanico del Saint si posò su di lei.
« Non c’è nulla da dire, Kanon è così scontroso con tutti. » Rispose con le sue delucidazioni il francese, ma i pugni serrati non sfuggirono alla rapida occhiata della ragazza.
« Anche tu sei scontroso con tutti. » Si lasciò andare a quel commento, mordendosi la lingua subito dopo e dandosi della stupida per averlo fatto. Non aveva voglia di rialzare i muri che avevano costruito tra loro di anno in anno, non dopo che finalmente era riuscita ad abbatterli.
« Siamo dei guerrieri, è la nostra indole. » Fu solamente la secca risposta di Camus, ma Elena non era certo intenzionata a mollare.
« Il Saint dell’Ariete non mi è sembrato così scontroso. » Disse con fermezza, voltando volutamente lo sguardo su di lui, che si voltò a guardarla con freddezza.
« Non hai bisogno di sapere queste cose. Tu devi pensare a te stessa ed al tuo apprendistato, è quello che fanno i Saint in questo Tempio. »
« Volevo solamente sciogliere un po’ la coltre di ghiaccio in cui hai rinchiuso il tuo cuore. » Ammise con naturalezza lei, vergognandosi di quelle parole uscite con fin troppa veemenza.
« Non è compito tuo. » Fu la prorompente risposta dell’Acquario, che fece arrestare il passo della ragazza ad un metro dall’uscio della Casa del Cancro.
Ed ecco che i muri che tanto si vantava di essere riuscita ad abbattere si erano riformati tra loro. Era come se quella notte fosse stata buttata al vento, come se tra loro non ci fosse stato nulla. Sapeva però che quel suo comportamento era una conseguenza dello “scontro” avuto in terza Casa, ma quelle sue parole bruciavano nel cuore di Ippolita come veleno.
Tuttavia Camus si rese conto di aver osato troppo, quindi cercò di addolcire il tono come meglio poté, per riuscire a smorzare quella silenziosa tensione che si era abbattuta anche su di loro.
« Il tuo compito adesso è quello di sopravvivere all’apprendistato di chiunque Athena ed il Grande Sacerdote riterranno opportuno. Non farti carico anche dei miei problemi Elena, non giocarti anche questa possibilità. »
Quelle parole, pronunciate senza che il suo sguardo si posasse su di lei, riuscirono a scuoterla fin nel profondo.
Aveva ragione, non avrebbe permesso di nuovo ai suoi problemi di interferire con il suo stesso destino. Era intenzionata a diventare un Saint, e ci sarebbe riuscita.
Mandò giù un groppo amaro di saliva e, ripromettendosi di tornare sulla questione non troppo tardi, scrollò di dosso tutto il suo disappunto, rimettendo sul volto la sua solita espressione fiera.
 
Passarono così le altre Case che mancarono alla loro meta, entrando nella sala del trono dopo essere stati annunciati.
« Camus, Ippolita. » Scandì i loro nomi la Dea Athena, trasportando nel tono di voce una nota di preoccupazione. « Sento i vostri animi inquieti, è successo qualcosa? » Finì poi, osservando il suo Saint inginocchiato sul tappeto rosso che ornava il pavimento di quella sala.
« No mia signora, sono qui per sottrarmi al ruolo conferitomi da voi. » Disse l’Acquario, pacato e diretto come il suo solito, osservando la Dea con i suoi occhi di ghiaccio.
Tuttavia Saori Kido sorrise, non chiedendo minimamente spiegazioni, spostando solamente l’attenzione sulla ragazza che, sotto quella strana inquisizione, avvampò. Sembrava come se lo sguardo della donna potesse leggere il suo animo più inquieto. Come se riuscisse a vedere tutto quello che c’era stato con Camus la notte prima.
« Ma certo. Confido che sapremo trovare il giusto maestro per lei. » Spostò leggermente lo sguardo su Saga, che era rimasto con una mano sul mento con fare pensante.
« Non ho il minimo dubbio. » Finì il custode dell’undicesima Casa.
La Dea quindi osservò per un momento il volto tirato della ragazza, che stava dando una notevole importanza al pavimento. Era certa del tormento che le stava dando tutta quella situazione. Il non sapere in che mani sarebbe dovuta capitare le metteva ansia, così la massima autorità del luogo decise di non farla penare oltre.
« Ho trovato la persona adatta a questo incarico. » Annunciò infatti dopo alcuni secondi di silenzio, attirando tutta l’attenzione su di sé.
Lo sguardo di Saga si fece vigile, perché quella decisione presa così su due piedi, senza neanche interpellarlo, non gli piacque per niente.
Tuttavia Saori si rivolse al Saint di rango inferiore, che presidiava la porta in modo da non far entrare nessuno. Era uno dei messaggeri silenziosi del luogo, che erano incaricati di portare notizie direttamente alla Dea e tenersi diligentemente lontani dalle battaglie.  
« Va a chiamare il Saint dei Gemelli. » Continuò semplicemente lei.
A quelle parole il Sacerdote sgranò gli occhi e spalancò la bocca, mentre gli sguardi degli altri due erano a dir poco sconcertati. Nonostante Camus non avesse mostrato un particolare stato d’emotività, Ippolita sapeva che sotto sotto era incredibilmente contrariato come lei. Ma lei, più che la contrarietà, sentiva lo sconforto e lo sconcerto di quell’assurda situazione.
Furono le parole del Pope a sottrarla dai suoi deleteri pensieri.
« Mia signora, siete sicura della decisione che avete preso? » Provò a dire Saga, ma Athena lo ammonì con lo sguardo.
« Assolutamente. Dovresti avere fiducia in Kanon. » Gli rispose con un sorriso, ma l’ex Gemelli non era tranquillo.
« Mio fratello ha la mia piena fiducia. Non mi riferivo a quello. » Le disse quasi sottovoce, ma la mano di Saori sulla sua spalla bloccò ogni suo assurdo pensiero.
« Ha anche la mia. Ma forse è giunto il momento di mettere da parte vecchi rancori, non trovi? » Le sorrise lei e lui non poté fare altro che darle ragione, nonostante continuasse a sentire nel cuore una certa nota di inquietudine.
Nel frattempo Elena era rimasta a guardare il tappeto sotto i suoi piedi con espressione scioccata. Si chiedeva perché, tra tutti gli altri undici Saint di cui disponeva, la scelta della Dea fosse ricaduta proprio su quell’uomo. Cercò anche un qualche conforto dal suo ex compagno d’allenamento, ma il suo sguardo era perso lontano, chiaro segno che la sua mente stava elaborando dei pensieri a lei sconosciuti.
« Mia signora, visto che la mia presenza non è più richiesta, col vostro permesso faccio ritorno all’undicesima Casa. »
Senza preavviso le parole di Camus distolsero i presenti da ciò che stavano facendo, costringendoli a porgere a lui le loro attenzioni. Elena avrebbe voluto inchiodarlo sul posto, solo per avere un confronto che probabilmente non sarebbe mai arrivato, mentre le massime autorità annuirono con convinzione.
« Certo, vai pure. » Gli sorrise la Dea. « Grazie per la disponibilità che hai mostrato in questa missione. »
« Come sempre ai vostri servizi. »
Con un profondo inchino e senza prendersi la briga di dire ad Elena qualsiasi cosa, il francese si alzò dalla sua posizione e camminò a ritroso verso il grande portone.  La neo Saintia ne osservò il passo deciso fino a che non sparì dalla sua vista, facendole montare nel cuore un senso di vuoto che difficilmente sarebbe stato colmato.
Fine capitolo 12
 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
 
Angolo autrice:
Ben trovati anche in questo capitolo! Innanzitutto mi scuso sia per il ritardo nella pubblicazione, sia per l’ora tarda in cui l’ho fatto. Purtroppo non ero sicura di riuscire ad aggiornare in questo fine settimana, quindi per non farvi penare oltre l’ho fatto ora. Per questo mi scuso degli eventuali errori T.T
Siamo arrivati alla svolta, che come avete visto è arrivata con lo sconcerto generale :P Vi sareste mai aspettai Kanon come nuovo maestro di Elena/Ippolita? ;)
Mi farebbe piacere sapere le vostre impressioni!
Detto questo passo a ringraziare i recensori (davvero, grazie!), le persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e tutti i silenziosi lettori che hanno a cuore questa storia (o almeno spero xD)
Non mi dilungo oltre, lascio parlare voi ;)
Un bacione a tutti
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13


Elena era rimasta sconcertata dall’atteggiamento di Camus, ma più di quello era rimasta sorpresa dalle parole di Athena. 
E così Kanon sarebbe stato il suo maestro? Una strana inquietudine iniziò ad impadronirsi di lei, perché ricordava l’atteggiamento quasi ostile che le aveva mostrato quella mattina di qualche giorno prima, quando era ripartita in direzione della Siberia tra le braccia di Camus.
Non poté non chiedersi che tipo di maestro sarebbe stato, o se fosse stato taciturno e freddo come l’Acquario. In un certo senso non avrebbe voluto scoprirlo. Avrebbe preferito avere Mu come maestro, che si era dimostrato cortese e garbato con lei, nonostante non appartenesse al luogo, o qualsiasi altro Saint tra le schiere di Athena. Ma proprio la dea si era dimostrata irremovibile nella sua decisione, nonostante l’aria contrariata che aveva mostrato il Grande Sacerdote. E lei continuava a chiedersi perché. Certo non poteva tirarsi indietro, non lei che aveva aspettato anni quella nuova occasione. Kanon non avrebbe eguagliato il suo vecchio maestro, quello era certo, ma se lady Saori aveva fiducia in lui doveva avercela anche lei. Era solo quell’aria malinconica e sprezzante che lo rendeva quasi spaventoso, ma non poteva conoscere il passato del Saint e le motivazioni che lo avevano spinto ad indurire il carattere. Come non comprendeva tutto ciò che aveva portato il Saint dei Gemelli e quello dell’Acquario ad odiarsi così spudoratamente. Forse però avrebbe potuto capirlo grazie a lui, visto che Camus non voleva riaprire una ferita rimarginata. Si chiese se fosse stata decentemente rimarginata, ma, soprattutto, se era una ferita tanto profonda anche per il custode della terza casa.
Mentre i suoi pensieri affollavano la sua mente in maniera disordinata, Saga aveva mandato a chiamare il gemello, che arrivò nella stanza poco minuti dopo, vestito della sua sacra armatura e rompendo il silenzio che si era creato nella grande sala. 
Ippolita non aveva neanche osato spostare lo sguardo dal pavimento, rimanendo imperterrita ad osservare il tappeto rosso sotto di lei con la mascella serrata. Fu la voce possente del Saint a parlare per prima. 
“Mi avete mandato a chiamare Milady?” chiese Kanon, inginocchiandosi a qualche passo di distanza da lei.
Non l'aveva degnata di uno sguardo o di un saluto ma, per quanto fosse stata in grado di farlo, era riuscita a riconoscere il suo cosmo inquieto. Che avesse già capito le intenzioni dei suoi superiori?
La ragazza provò a spostare lo sguardo su di lui per vedere la sua reazione, ma vide solamente uno sguardo serio che non lasciava trapelare il suo stato d’animo. Era una contrapposizione curiosa tra la sua espressione e la sua inquietudine, che in ogni caso lei ben comprendeva.
“Si Kanon.” Iniziò lady Kido con voce soave. “Vorrei che addestrassi Ippolita.” Finì piantando il suo sguardo smeraldino in quello di Kanon, che si era fatto più nervoso.
“Mi perdoni, non era un compito del cavaliere dell’Acquario?” Chiese lui con una certa nota stizzita nella voce.
“Non più.” L’ammonizione di Athena lo convinse a non controbattere, ma non gli impedì di voltare il suo sguardo truce verso la ragazza, ancora inginocchiata sul tappeto scarlatto. 
Quello sguardo trasportava dei sentimenti talmente contrastanti che non lei non riuscì a captarli tutti. Ma in ogni caso aveva uno sguardo così sprezzante che la inchiodò sul posto. 
“Come desiderate.” Riposò poi l’attenzione sulla dea, mostrando un piccolo inchino con assenso. Lei sorrise appena, sicuramente convinta di avere fatto qualcosa di veramente buono. Saga rimase al suo fianco in silenzio, con sguardo un po’ corrucciato.
“Ti voglio nell’arena all’alba.” Concluse il Saint spostando di nuovo lo sguardo sulla Saintia, giusto il tempo di pronunciare quelle parole. Per la seconda volta le aveva sentite da una voce fredda e che non ammetteva repliche.
Gli occhi di Kanon si posarono poi in quelli del fratello, verdi e limpidi come i suoi, leggermente assottigliati ad enfatizzare la riga corrucciata della fronte. 
Lo sguardo che si lanciarono i due non era ben comprensibile a nessuna delle due donne e, seppur Athena stesse osservando la reazione di Elena, l’attenzione di quest’ultima era tutta concentrata sullo strano comportamento dei due gemelli. Kanon aveva la mascella ed i pugni serrati, quasi stesse comunicando empaticamente col fratello, mentre l’altro se ne stava eretto e fiero con un espressione fin troppo malinconica stampata sul volto. Sembrava quasi una conversazione telepatica, segreta al resto del mondo. Kanon sembrava chiedere perché proprio lui gli stesse facendo quello, mentre l’altro pareva rispondere con: “non dipende da me”. Ma questo era solo il pensiero di Elena, che aveva solo accennato una flebile affermazione con la testa.
“Col vostro permesso faccio ritorno alla terza Casa.” 
Si congedò così il Saint dei Gemelli, dopo un piccolo inchino verso i suoi superiori ed una rapida occhiata a quella che oramai era a tutti gli effetti una sua sottoposta.
“Puoi andare anche tu Ippolita, io devo conferire con il Grande Sacerdote.” Le disse poi la Dea, accennando un piccolo sorriso d’incoraggiamento. Non le era sfuggita l’inquietudine del suo consigliere.
°°°°°°°°
“Saga…” Sospirò Lady Saori appena il grande portone si chiuse alle spalle di Elena. Si era seduta stancamente sul suo scranno dorato, sorreggendo ancora lo scettro di Nike in una presa ferrea, mentre l’uomo accanto a lei osservava mestamente lo sprazzo di cielo che si intravedeva dalla grande finestra della stanza.
“Milady?” Chiese con reverenza l’uomo, spostando leggermente lo sguardo su di lei.
“Ho fiducia in Kanon. Quello che è successo in passato rimarrà tale.” Iniziò lei, cercando l’attenzione del suo Sacerdote. “Tutto quello che è successo .” Rimarcò l’intesa facendolo sospirare. 
“Non ne ho mai avuto dubbi lady Saori, tuttavia non sono preoccupato per il nostro passato, mi preoccupa più quello tra mio fratello e l'Acquario. Forse non è stata messa al corrente, non eravate ancora nata, ma…” 
“Lo so cosa successe e quali furono i motivi che spinsero Kanon a compiere le azioni che tutti conosciamo.” Lo interruppe la dea con voce malinconica. “ Fu Kanon stesso a parlarmene, poco prima dello scoppio della Guerra Santa. La redenzione di tuo fratello va ben oltre i colpi che gli sono stati infetti dallo Scorpione. È un Saint valoroso, come tutti gli altri, ma come alcuni di loro ancora troppo convinto di aver fatto del male a molte persone.”
“E pensate che quella ragazza possa aiutarlo?” La domanda del Pope però non si era rivelata ostile, bensì curiosa. 
“Lo spero.” Sospirò lei, leggermente affranta. “Come ti ho già detto Saga, troppo a lungo abbiamo pensato che, chiudendo i nostri cuori, non avremmo avuto debolezze, ma ho anche capito che sono comunque i sentimenti a renderci più forti. Purtroppo l’ho capito a nostre spese. Tu più di tutti dovresti capire…” Gli sorrise la ragazza e quelle parole ebbero un effetto momentaneamente tranquillante, nonostante il suo animo fosse rimasto inquieto.
“Capisco mia signora, ma se conosco bene mio fratello so di per certo che dopo di lei non abbia più aperto il suo cuore a nessuno, se non a voi. Siamo gemelli, so cosa prova. Io stesso ho fatto la medesima cosa. Chiusi il mio cuore e lo condannai a morte.” Sospirò di nuovo lui, ma prima che la dea potesse dire altro riprese parola. “Ho comunque fiducia in lui.” 
“Anche io.” Concordò lei, riposando i suoi occhi in quelli di lui, verdi come da tempo non lo erano mai stati. 
“Vediamo se lei sarà in grado di superare questa prova.” Riprese la ragazza con tono più regale. “Sono molto preoccupata in ogni caso. Abbiamo capito che non era lei ad emanare quel forte cosmo che ho sentito in Siberia ed anche adesso sento un brulicare di cosmi molto lontano da qua. Sono ancora acerbi e non so dire quanto siano ostili…” Spostò lo sguardo verso il cielo. “Rimaniamo in guardia. Provvederò a mandare due Saint a controllare.”

°°°°°°°
Elena, dopo essere stata congedata da Athena ed il Grande Sacerdote, scese la scalinata delle dodici Case arrivando quasi sovrappensiero in quella dell'Aquario, fredda ed asettica come la ricordava. In più il suo custode era sull’uscio, con le braccia conserte al petto con fare meditativo mentre osservava un punto non definito all’orizzonte, nel cielo cristallino di quella nuova giornata. 
“Camus.” Lo richiamò lei, quasi meravigliata di trovarlo lì, in quella posizione, senza dare accenni di aver notato la sua presenza. Le dava le spalle e lei ebbe tutto io tempo per arrivargli a fianco.
Lui dal canto suo spostò solamente lo sguardo su di lei, senza avere una particolare espressione sul volto.
“Ti dispiace che il mio maestro sia Kanon?” Le parole che uscirono dalla bocca di Elena spiazzarono entrambi. Aveva di nuovo parlato senza pensarci e lui si aspettava tutto fuorché quella domanda. 
“Dovrebbe?” Rispose il Saint con la sua solita freddezza. 
“Non lo so, speravo me lo dicessi tu.” Serrò la mascella. Era chiaro che neanche a lei andava a genio avere quell'uomo tanto sprezzante quanto attraente come maestro. 
“Il Saint dei Gemelli è forse il Saint più forte del Grande Tempio. Avrai sicuramente molto da imparare” Sospirò lui, quasi spazientito di dover tornare sulla questione. “E quello che c’è stato tra me e lui deve rimanere tale. Non immischiarti in cose che non ti riguardano. Non riaprire vecchie ferite .”
-Per te è rimarginata quella ferita, Camus?- pensò lei tra sé e sé, tuttavia non riuscì a pronunciare altro. Non aveva voglia di discutere ancora con lui di questioni che, in effetti, non dovevano interessarle. Eppure sentiva che la chiave per aprire quel cuore ghiacciato fosse proprio in quell’oscuro passato che il suo ex maestro continuava a tener celato. Ricordava bene le parole di Athena, ma forse quelle stesse non erano state dette agli abitanti del Tempio. Anche lei aveva tenuto dentro il cuore ferite non rimarginate, che avevano continuato a farle male negli anni, ma era riuscita finalmente a chiudere quel capitolo troppo a lungo aperto della sua vita. Perché lui non poteva fare lo stesso? Sentiva che c’era molto di più da scoprire in lui, molto più di quello che dava a vedere e molto più di quello che riusciva a scorgere in quello sguardo oceanico sempre costantemente malinconico e freddo. 
Ricordava benissimo anche lo sguardo di quello che sarebbe diventato il suo nuovo mentore, ed era lo stesso sguardo perso di Camus. Sapeva che entrambi portavano nel cuore le stesse ferite, ma si chiedeva costantemente se fossero strettamente collegate l’una all'altra.
-cosa ti lega al Saint della terza casa?- continuò a chiedersi mentre osservava il meraviglioso profilo di Camus che, nonostante mostrasse la mascella serrata, manteneva comunque la solita bellezza ed eleganza di cui si era fortemente innamorata.
Fine capitolo 13

°°°°°°°

Angolo autrice:
Ma salve a tutti e scusate il ritardo di aggiornamento! Purtroppo non ho molto tempo per scrivere (notate che questo capitolo è stato scritto dal Word Mobile Vereion xD e mi è toccato usare le virgolette al posto delle lineette per i discorsi diretti perché qua non le trovo T.T ho portato più avanti l’altra fiction, ma aggiornerò sempre anche questa ;) a costo di scrivere tutti gli aggiornamenti dal touch screen (spero di no… xD ) 
Perdonate gli errori, appena mi siederò al PC sistemerò tutto ❤️ 
Ringrazio come sempre i recensori, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e tutti i lettori silenziosi!
È un piccolo capitolo dove non succede nulla di così eclatante che già non sappiamo, ma mi serviva come transizione per l’inizio dell’allenamento di Elena con Kanon ;) 
Un bacione a tutti 
Alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
 
Elena aveva preso alla lettera quello che Kanon le aveva intimato il giorno prima: “fatti trovare all’alba nell’arena”.
E così aveva fatto. Si era recata nel posto prestabilito ancora prima dell’orario concordato, complice anche la notte in bianco che aveva appena passato.
Non era riuscita a chiudere occhio. Continuava a rimuginare sulla situazione che si era venuta a creare tra lei e Camus, lei e Kanon ed alla situazione che non capiva tra Camus e Kanon. In più la turbava il fatto che avrebbe dovuto passare i prossimi giorni, o addirittura mesi, insieme a quest’ultimo. Come avrebbe potuto raggiungere alti livelli se non si sopportavano a vicenda? Ed, ovviamente, il problema non veniva certo da lei! Era ben intenzionata a lasciarsi tutto alle spalle ed iniziare quell’addestramento, ma farlo con Camus, doveva riconoscerlo, sarebbe stato tutto diverso. In primis perché si conoscevano oramai da molto ed avevano condiviso molto più che giornate d’allenamento. Cosa poteva dire dell’altro? Si erano a mala pena rivolti parola e sapeva solamente che tra il nuovo maestro ed il vecchio non correva bun sangue, e probabilmente quella che ne avrebbe fatto le spese sarebbe stata proprio lei.
Scese tranquillamente tutte le scalinate del Tempio, passando tranquillamente tra le Case silenziose. I loro custodi probabilmente erano ancora immersi nei loro sonni, anche se si soffermò un po’ di più in quella dell’Acquario. Provò a sentire se ci fossero rumori che le avrebbero fatto capire che il suo custode fosse sveglio, invece c’era solo il silenzio.
Ma in fondo cos’altro avrebbe dovuto dire al suo ex compagno di allenamento ed ex maestro? Oramai lui non contava più nulla nella sua vita di apprendista.
Riprese così la via per le altre Case che la dividevano dall’arena, arrivando fino a sedersi sul gradone di marmo bianco più basso della tribina, appoggiandosi a quello sopra con la schiena ed osservando mestamente le stelle che ancora brillavano in cielo. Era ancora troppo presto per l’alba, e probabilmente non l’avrebbe vista levarsi da quel punto.
Si lasciò cullare dalla brezza notturna, che le scompigliava i capelli castani increspandoli più del dovuto, e si rilassò a contatto con la pietra. Piegò le gambe fino a circondarle con le braccia e continuò a tenere fisso lo sguardo verso il cielo, sospirando lievemente dopo qualche minuto.
Ma quelli passarono, più di quanto lei avesse potuto immaginare.
« Ah, sei qui. »
Fu la voce di Kanon a riportarla con i piedi per terra, facendole prendere un colpo. Si era dimenticata di tutto, del suo prossimo allenamento, di Kanon e di dove il realtà fosse. Stava ripercorrendo con la mente vecchi ricordi, così tanto lontani che l’avevano quasi commossa.
« Buongiorno. » Si apprestò a rispondere lei, alzandosi di scatto dalla sua posizione e raggiungendo l’uomo con un balzo, che se era rimasto con le braccia conserte in mezzo all’arena.
« Risparmiati i convenevoli con me. » Disse asciutto, girandole le spalle ed iniziando a camminare. « Seguimi. » Le intimò poi, senza neppure prendersi la briga di voltare su di lei lo sguardo, che serrando la mascella si costrinse a fare ciò che le era stato imposto da un superiore.
« Puoi almeno cercare di essere gentile! » Gli inveì invece contro quando gli arrivò al fianco, osservandolo di sbieco, non capace di stare a lungo in silenzio, ma lui non si mosse dalla sua posizione. Continuò a tenere il passo fiero e deciso come conveniva ai Gold Saint del Tempio.
« Perché, pensi che l’addestramento sarebbe rosa e fiori se andassimo d’accordo? » Fece lui sarcasticamente, ma lei si ritrovò a serrare i pugni dalla rabbia.
« Non ti ho chiesto di andare d’accordo, e nemmeno di andarci piano con me. Pensi che abbia paura di te? » Continuò lei, in tono duro.
« Dovresti invece. Se sopravvivrai all’addestramento potrei cambiare idea. » Finì categorico, facendole intendere che la conversazione sarebbe finita così.
Elena avrebbe volentieri continuato a ribattere, ma erano appena usciti dai confini del Tempio e dal cosmo protettivo della Dea Athena che permeava sui confini del Santuario, e vide Kanon aprire un portale dimensionale.
Rimase a fissarlo scettica anche quando lui si voltò a guardarla, incitandola a seguirlo.
« Dove siamo diretti? » Chiese però, prima di avvicinarsi troppo a quello strano passaggio fatto di luci e righe geometriche messe a casaccio per aria. Aveva un’aspetto tetro e, per quanto ne sapeva di spazi dimensionali, non erano luoghi da cui si poteva uscire facilmente.
« All’isola di Kanon. » Le rispose lui, anche se con tono alquanto scocciato. Sicuramente non era abituato a mandare troppo per le lunghe una conversazione, o anche solo a vedere una sottoposta ribattere ogni sua decisione.
« E dobbiamo per forza passare da qui? » Indicò il passaggio. « Sbaglio o è un punto di non ritorno? » Chiese, scetticamente, ma lui azzardò un piccolo sorrisetto malvagio.
« No, non sbagli. Se volessi mandartici, e fidati che in questo momento mi stai tentando non poco, potresti ritrovarti a vagare nella sua luce per l’eternità, ma si dà il caso che tu stia viaggiando con me ed io so sempre quello che faccio. » Ribadì il concetto duramente, prendendola poi per un braccio e spingendola con sé nell’apertura.
« Ora, se non ti dispiace, non abbiamo altro tempo da perdere. Dovresti preoccuparti di ben altro invece che una semplice distorsione temporale. »
E detto questo sparirono nel nulla cosmico.
 
 
°°°°°°°°°°°°°°
 
 
Un piccolo Kanon se ne stava dietro un masso ad osservare estasiato il combattimento di una ragazzina da capelli rossi, probabilmente della sua stessa età, che stava battendo facilmente in combattimento la sua avversaria, apparentemente più grande.
La lotta non era durata molto, solo qualche colpo ben assestato e qualche pugno preso in faccia che le avrebbe lasciato vari lividi nei giorni a seguire.
Era rimasto estasiato dalla velocità con la quale la ragazzina aveva messo a tappeto l’avversaria, un’altra cadetta per la conquista della stessa armatura.
Il tutto era avvenuto sotto l’attento studio del loro maestro, un Silver Saint dall’aria soddisfatta, ed il suo.
« Ben fatto Galatea. » Si complimentò l’uomo. « Per oggi abbiamo finito, vai pure a medicarti le ferite. » Concluse sorridendogli, girandosi poi verso la cadetta ancora a terra. « Con te invece non ho ancora finito. » Riprese verso l’altra, con tono crudele.
Ma a Kanon non importò cosa successe alla guerriera più grande, perché con lo sguardo seguì la ragazzina dai capelli rossi, sorpassandola in una via secondaria per arrivarle di fronte.
« Ciao. » Le disse infatti, facendola sussultare per lo spavento.
« Ci conosciamo? » Chiese però lei dopo alcuni secondi di silenzio, che impiegò per osservare meglio il nuovo arrivato. Lo aveva già visto nell’arena e tutti sapevano che si stava allenando per la conquista di una Gold Cloth ed a quel tempo, nel Tempio, erano solamente in tre. Ma, quale dei tre poteva essere? Due erano perfettamente uguali nell’aspetto, molto belli per essere solamente dei bambini, mentre il terzo aveva canoni più normali, come i corti capelli castani e gli occhi grandi.
« Mi chiamo Kanon, e tu? » Riprese parola con un sorrisetto furbastro stampato sul volto, che fece alzare gli occhi al cielo alla bambina, anche se lo fece incredibilmente divertita. Ma, nonostante avesse sentito il suo nome dalla voce del maestro, il cadetto voleva sentirselo dire da lei.
« Galatea. » Rispose solamente, spostando leggermente la testa di lato e spiazzandolo con il suo sguardo azzurro.
Il suo maestro era sempre stato fermo nell’insegnare ai suoi allievi come non farsi cogliere dai sentimenti. I sentimenti non si addicevano ad un Saint di Athena, che avrebbe dovuto passare e vivere la sua esistenza mettendo la sua vita a servizio della sua Dea. Sarebbe dovuto diventare il suo protettore, come quello della Terra che ella difendeva. Ma in quel momento se ne era bellamente infischiato di quello che il maestro gli aveva sempre insegnato, perché la forza e la fermezza di quella femmina l’avevano ammaliato. Non si vedeva tutti i giorni una ragazzina come quella!
« Sei molto brava Galatea, ti ho osservata… » Iniziò, ma lei scoppiò a ridergli in faccia e quella presa di posizione fece storcere un labbro al ragazzino.
« Non dovresti essere ad allenarti? »
« C’ero fino a poco fa. Comunque ero serio Galatea, mi piacerebbe lottare contro di te un giorno. » Le sorrise lui, aprendo leggermente di più il suo sorrisetto beffardo.
« Non possiamo. Concorriamo per Cloth differenti ed anche il nostro rango lo sarà. Se riuscirò a conquistare l’armatura sarà comunque una Cloth d’argento. Tu non stai concorrendo per una Gold Cloth? » Ridacchiò lei e lui fece solamente spallucce.
« Sì, ma questo non vuol dire nulla. » Iniziò. « Io pensavo ad uno scontro corpo a corpo, come facciamo in apprendistato. »
« Allora facciamo così. Impegnamoci entrambi a conquistare l’armatura per la quale stiamo concorrendo, e se ce la faremo entrambi ti concederò uno scontro. » Sorrise beffardamente anche lei, illuminando il suo nuovo amico.
« Affare fatto, ma sarò io a concedere a te un combattimento. Sarò sempre e comunque un tuo superiore! » Ridacchiò poi, facendo scoppiare a ridere la ragazzina.
« Sarai un’ottimo Gold Saint, la spavalderia non ti manca! » Gli dette un piccolo cazzotto sulla spalla prima di superarlo. « Ci vediamo, Kanon! » Gli gridò poi, salutandolo con un gesto della mano e sparendo verso le scale del Tempio lasciando il piccolo a sorridere divertito.
 
 
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
 
Erano usciti illesi dallo spazio dimensionale dopo un tempo che ancora Elena doveva riuscire a definire. Sapeva di per certo che fossero passati solo una manciata di secondi, eppure aveva avuto l’impressione di essere rimasta a fluttuare in quella dimensione per anni. Sicuramente era quello l’effetto che faceva alle sue vittime, probabilmente uccidendole per claustrofobia o per la pazzia, a parte la mancanza d’aria e cibo. Probabilmente se non fosse rimasta aggrappata al braccio di Kanon, che a sua volta l’aveva afferrata per la collottola del bianco vestito d’ancella che le avevano rifilato le inservienti, probabilmente sarebbe rimasta a vagare per l’eternità nella distorsione dimensionale che aveva creato il suo nuovo maestro. E quando l’aveva minacciata di volercela gettare era sembrato anche alquanto serio.
Ma il panorama che girava tutto attorno non era certo migliore di quello appena visto a spasso tra le dimensioni. Era una landa desolata, probabilmente in cima ad una montagna, ed era tutto pressoché bruciato. Non c’era nulla, a parte qualche duna di sabbia rossa e qualche albero spoglio ed annerito.
« Dove siamo precisamente? » Chiese di punto in bianco Elena, che la risposta “Isola di Kanon” le era sembrata un po’ riduttiva, visto che quello che li circondava non sembrava proprio il panorama di un’isola. Le isole solitamente erano circondate d’acqua e lì non se ne vedeva punta. Sotto di loro c’era solamente una spessa coltre di nebbia.
« Sul vulcano dell’isola. » Le rispose lui, spiccio come solo lui sapeva essere, iniziando a camminare verso quella che sembrava un’entrata dentro una parete di roccia.
« Un vulcano?! » Continuò lei, che in effetti si accorse del clima un po’ troppo afoso per quel periodo dell’anno.
Finalmente lui si voltò per guardarla negli occhi, col suo solito sguardo freddo che aveva imparato a leggere sul suo volto. Era la tipica espressione di chi non ammetteva repliche.
« Sì, un vulcano! Devi stare a puntualizzare ancora molto o vuoi seguirmi? » Ribadì freddamente, rivoltandosi di nuovo in direazione di quella che apparentemente sembrava la sua meta.
La ragazza non rispose, nonostante ne avesse avuto di nuovo tutta l’intenzione, ma si apprestò a seguire il maestro in quella che sembrava una piccola stanza intagliata nella pietra. C’era un piccolo cucinotto, un tavolo, un divano letto ed il bagno, diviso da un separè.
Rimase a guardarsi attorno con aria quasi contrariata, ma d'altronde non aveva intenzione di vivere in quel tugurio a lungo. Era sicura ed intenzionata a portare a termine il suo apprendistato in tempi più che brevi. In fondo, tempo addietro, nonostante non si fosse guadagnata il titolo di Saint, era comunque riuscita ad arrivare fino in fondo.
« Cambiati. »
Kanon le lanciò addosso la divisa d’allenamento delle cadette, che aveva tirato fuori dalla borsa che si era portato addietro, e le voltò le spalle per lasciarle la sua privacy uscendo da quel piccolo monolocale che avrebbero dovuto dividere per il resto di quei giorni.
« Ti voglio fuori tra due minuti. » Concluse categorico, lasciandola nel completo silenzio della stanza ad imprecargli contro.
Fine capitolo 14
 
 
°°°°°°°°
 
Angolo autrice:
Ma salveeee, quanto tempo eh? Sì, lo so, sono pessima T.T È passato quasi un anno dall’ultimo aggiornamento, ma in questo periodo ho portato avanti solo l’altra, concludendola. Un po’ devo dire che mi era passata l’ispirazione, ma adesso ho voluto riprenderci mano. Sicuramente sarà un capitolo sottotono, ma mi serviva per fare da introduzione a quello che sarà il suo allenamento, e per introdurre Galatea, che avevamo già visto in un Flash Back in un capitolo precedente :D Col passare del tempo mi sono dimenticata di alcune cose che avevo in mente, ma pian piano cercherò comunque di portarla avanti inventandone di nuove ehehe
Non saranno capitoloni lunghi come gli ultimi di “Stormy Life”, lì l’immaginazione era anche troppa xD comunque cercherò di darvi dei capitoli almeno leggibili xD
Intanto mi scuso per gli errori che troverete, ma Word e NVU hanno deciso all’unisono di non collaborare e non segnarmi più di punto in bianco le parole errate -.-‘ bene, vero?
Alla fine ringrazio i recensori, che spero vorranno ancora seguire la storia T.T, le persone che l’hanno messa tra preferite/ricordate/seguite e tutti i lettori silenziosi che aspettano sempre un aggiornamento ^_^
Un bacione
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
 
 
Dopo essersi vestita con i vestiti che le aveva procurato Kanon, Elena si apprestò a raggiungerlo in silenzio fuori dalla stanza. Avrebbe voluto chiedere tantissime cose, come per esempio cosa avesse intenzione di fare con lei e che tipo di allenamento avrebbe affrontato sulla cima di un vulcano, ma decise di non chiederlo. Kanon non era molto affabile, ed a quanto sembrava nemmeno di buon umore. Sicuramente non aveva preso di buon grado il fatto di doverla allenare, non lo biasimava, era stata la stessa cosa per Camus nel breve periodo che aveva passato come sua allieva, ma il Saint dei Gemelli era particolarmente diverso da quello dell’Acquario. C’era la stessa freddezza nello sguardo, ma era sicura di aver colto molto di più. C’era un rancore che ripercuoteva anche sul prossimo, non solo sulla persona che lo aveva ferito. Si convinse per questo a rimanere in silenzio, nonostante avesse tenuto alta la testa.
« Andiamo. » Disse spiccio lui, iniziando a camminarle davanti senza dire una parola o mostrare sguardi complici, dove probabilmente avrebbe letto le sue intenzioni.
Kanon era un libro chiuso.
Si limitò però a fare come le era stato ordinato, camminando dietro di lui con passo svelto per tenerlo. L’uomo sembrava avere una certa fretta, e dopo alcuni minuti di tratta in mezzo alla nebbia ed al silenzio, approdarono in una radura. Lì si apriva un lago fatto di magma incandescente, che fuoriusciva da una piccola cascata ricavata nella roccia, e nel centro di esso si ergevano alcune pietre consumate che partivano dagli argini.
Elena rimase ad osservare mestamente quella visuale con la mascella serrata, scordandosi anche di respirare. Si domandò perché il suo maestro l’avesse condotta fino a quel posto e come poteva allenarsi in quel posto senza morire.
« Wow. » Si lasciò sfuggire la ragazza, ma la sua non era un’esclamazione di meraviglia, bensì di preoccupazione. Forse aveva capito le intenzioni di Kanon, e non le piacquero per niente! Avrebbero intrapreso una lotta sulle rocce, così che per sopravvivere avrebbe dovuto rimanere in piedi su di esse continuando a combattere per non finire tra i fumi bollenti del magma? Oppure aveva altre idee?
Ma i suoi pensieri vennero annullati dalla voce tagliente di Kanon, che balzò in piedi sulla roccia più vicina in modo da essere nella completa visuale della ragazza.
« Questo sarà il posto del tuo addestramento e non sarà semplice. Per diventare Saint, come saprai, non serve solo avere la forza bruta. Quella presumo che il tuo vecchio maestro l’abbia stimolata e se sei arrivata a competere per un’armatura d’oro sono sicuro che tu sia abbastanza forte da superare le mie prove. Ma come sicuramente saprai, servono delle vere motivazioni per diventare un guerriero al servizio della Dea Athena. Serve la volontà propria dei Saint, serve impegno, costanza, ma soprattutto, serve la concentrazione necessaria e la mente svuotata da tutto il resto. Un Saint deve dimenticarsi di quello che è stato prima dell’iniziazione. Deve scordarsi la sua vita precedente, se ne ha avuta una, deve dimenticare i legami affettivi e tutto quello che ne consegue. A volte deve scordare a cosa è legato il proprio nome. »
Le parole di Kanon erano dure ed il suo sguardo smeraldino aveva catturato totalmente l’attensione della neo guerriera, che era rimasta a fissarlo con la mascella e pugni serrati. Quelle parole l’avevano colpita più di quanto ci tenesse ad ammettere. Non aveva mai sentito quelle parole così dure dal suo vecchio maestro, che aveva fatto loro un discorso simile, ma allora il suo addestramento era stato principalmente fisico. Non si era lasciata addietro nulla, perché tutto quello che aveva vissuto nella sua vita le aveva permesso di diventare quello che era, ed a malincuore anche per Camus. Era diventato un Saint, ma non si era dimenticato di quello che era stato prima di diventarlo. Si era fatto scudo di tutte quelle cose, imparando a dividerle dai doveri, ma in ogni caso tutti i suoi sentimenti erano rimasti in fondo al suo cuore. Ed aveva avuto modo di constatarlo.
« Quindi cosa devo fare? » Chiese, leggermente spazientita, e lo sguardo di lui si indurì. Probabilmente non gli piaceva molto essere interrotto.
« Lo scoprirai presto. Il tuo addestramento si dividerà in due fasi: mentale e fisico. Se non prepari la tua mente a quello che ti attende è inutile continuare. » Spiegò lui, con un sorrisetto malvagio sulle labbra.
Si osservarono per qualche secondo, tempo che ad Elena sembrò infinito. In più quel sorrisetto gli ricordava il volto di Ecate e quello non le piacque per niente. In quei giorni era riuscita a dimenticare in parte il loro incontro e le sue parole, ma in quel momento sembravano volerle tornare alla memoria con prepotenza.
Ricorda chi sei, torna alle tue origini!” Le aveva detto seriamente, nonostante l’aria beffarda che quella Dea aveva sempre tenuto sul volto.
-Chi sono io?-
« Vai sulla roccia nel centro a meditare. Allontana i pensieri dalla tua mente, solo allora potremo inziare sul serio l’allenamento. » Le disse poi, indicando una roccia più piatta delle altre, quasi al pelo del magma incandescente. Già dalla sua posizione poteva sentirne il calore, così diverso dal freddo perenne della sua terra, e già sentiva gli abiti fradici di sudore e le goccioline che le scendevano lungo i lineamenti del volto partendo dalle tiempie. A quelle parole però le si gelò il sangue. Come avrebbe fatto a far fronte alle temperature elevate del luogo, al continuo rumore scrosciante della cascata ed ad allontanare i pensieri che, oramai, le si erano annidati fino nei recessi della sua mente?
Era quasi sul punto di protestare, ma sapeva che non sarebbe valso a nulla controbattere un ordine impartito dal suo maestro, suo superiore. Non sarebbe stato produttivo, anzi, avrebbe fatto in modo di indispettire di più il Gold Saint, rendendolo ancora più spietato.
« D’accordo. Per quanto tempo? » Chiese asciutta, assottigliando leggermente lo sguardo e cercando di respirare regolarmente. Tutto quel caldo le aveva già seccato le ghiandole salivali. Non aveva neanche acqua per bere, come avrebbe fatto a sopravvivere? Ma, soprattutto, sarebbe sopravvissuta a quelle ore estenuanti? E l’addestramento non era neanche iniziato seriamente!
« Fino a che non lo dico io. » Commentò lui, a braccia conserte, continuando a rimanere ertetto e fiero sullo spuntone di roccia.
Gli dette un’ultima occhiata tagliente prima di fare, in silenzio, come le era stato ordinato. La sua mente era un via vai di pensieri infausti, sprattutto contro l’uomo di fronte a lei, come avrebbe fatto a lasciarseli addietro?
-Posso sempre fingere.- Si disse tra sé e sé, ma quel pensiero le lasciò l’amaro in bocca.
 
 
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
 
 
“Incontriamoci sul Ponte Milvio”
Queste erano state le parole del ragazzo, nonostante fossero state dette da un suo sottoposto. Iniziava a piacergli quella mente elaboriosa, così tanto da costruirsi un’esercito. Certo, non poteva contare su tanti guerrieri come quella pessima Dea Greca, ma era già qualcosa.
Ecate camminava per le vie della città con risolutezza e con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, soprattutto quando arrivò sul luogo dell’incontro.
E lui era già lì ad aspettarla.
Era appoggiato con i gomiti al muretto del parapetto e guardava un punto indefinito oltre l’orizzonte di Roma. Sembrava così assorto nei suoi pensieri che quasi si sentì in colpa a destarlo, ma non ce ne fu bisogno perché fu lui ad accorgersi di lei, voltando il capo nella sua direzione con un sorrisetto all’apice del divertimento.
« Come mai così di buon umore mio diletto? » Ridacchiò lei, che aveva sempre l’aspetto di una ragazza dia lunghi capelli color del grano e gli inconfondibili occhi color ghiaccio puntati in quelli verdi di lui. « È per vostra sorella? » Chiese poi, affiancandosi al ragazzo e guardando anch’ella l’orizzonte. Oramai il tramonto disegnava meravigliosi giochi di luce sul Tevere, che risplendeva tranquillo nel suo letto, e la luce arancione che tingeva tutto il resto rendeva i lineamenti marati del ragazzo quasi simili a quelli che solitamente aveva nella sua forma originaria. Era difficile sbagliarsi sulla sua identità, ed era incredibilmente soddisfatta del fatto che proprio lui si fosse appellato a lei.
« Sì, ha iniziato l’addestramento. » Disse lui, voltandosi appena nella sua direzione.
« Lo so. » Gli sorrise anche lei, iniziando a capire ciò che voleva effettivamente dire.
« Vuole che diventi una Saint, non è vero? » Ridacchiò risoluta ed il sorriso malvagio di Marco le confermò le sue teorie.
« Solo così possiamo sperare che il suo magnifico potere venga liberato. »
« Ma ci sono quei due cavalieri che potrebbero ostacolarci. Potrebbero quietare il suo animo dispotico, non trova? » Chiese comunque, aspettando una risposta dal Dio.
« Può darsi, ma io mi fido di mia sorella. »
L’ultimo sorriso soddisfatto non dette modo ad Ecate di controbattere. Se lui si fidava di Elena doveva farlo anche lei. Solo il tempo avrebbe potuto confermare le loro teorie, e loro avevano un compito ben preciso.
Soprattutto lui.
Doveva ritrovare i suoi guerrieri.
 
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
 
Ecate e le sue strane richieste.
L’incontro con quella Dea ambigua e tutto ciò che ne era conseguito, comprese le innumerevoli domande che si era fatta su di lei.
Camus ed il suo comportamento restio. Il suo cuore freddo, nonostante il piccolo avvicinamento.
La lotta per la conquista dell’armatura sempre sul suo labbro a ricordarle ciò che aveva perduto.
La rabbia per quel suo gesto sconsiderato ed i sentimenti contrastanti che provava per l’uomo che indossava la Cloth che aveva sempre desiderato.
Kanon e la sua fierezza, il suo modo di essere maledettamente autoritario ed a tratti malinconico. Il suo cuore freddo e le sue risposte secche.
L’addestramento appena iniziato ed il dovere di rimanere su quella roccia ancora per chissà quanto.
Tutti questi pensieri affollavano la mente di Elena oramai da ore. Era rimasta nella posizione meditativa per più di mezza giornata, lo capiva dallo spostamento del sole che ogni tanto osservava aprendo di sfuggita un occhio per paura di essere sgridata.
Kanon era sempre di fronte a lei, a braccia conserte, vigile anche quando non la stava guardando, ne era sicura.
Non era riuscita a fare progressi, e probabilmente il Saint se ne stava accorgendo. Per questo continuava a non dire nulla e farla rimanere seduta con le gambe incrociate ed i palmi delle mani poggiati sulle ginocchia piegate. Quella posizione iniziava a farle male. Tutti i muscoli delle gambe erano tirati e dal suo viso si poteva notare tutta la sua frustrazione ed il suo dolore.
La ruga tra le sopracciglie aggrottate non sarebbe passata inosservata nemmeno a sé stessa, se solo avesse avuto uno specchio per guardarsi. Aveva le labbra secche, che cercava di inumidire con la poca saliva che le era rimasta, i capelli si erano appiccicati alla fronte ed al viso per via del sudore che continuava a scenderle dalla fronte. I vestiti erano oramai fradici ed appiccicati anch’essi alla pelle, uno dei tanti motivi di distrazione e le sue orecchie continuavano a captare il suono del magma facendola indispettire.
« Non stai facendo progressi. » La voce di Kanon ruppe il vortice frustrante di pensieri. Ma non seppe dire se fu un bene o un male. La sua voce era piatta e sembrava alquanto accusatoria in quell’affermazione.
« Fa caldo! » Si difese Elena, aprendo leggermente un occhio per posarlo sul Saint, che restituì l’occhiata incredibilmente indispettito.
« Fa caldo?! » Le fece eco, decisamente incazzato. « Un Saint non si lamenta degli agenti atmosferici o del meteo, è addestrato a combattere su qualunque terreno in qualunque condizione! » Le gridò contro, senza però abbandonare la sua posizione a braccia conserte. La guardava con gli occhi ridotti a due fessure.
« Ma tu non stai combattendo, non ti stai muovendo! Devi solo allenare la mente, il caldo non dovrebbe importarti. Tieni fuori i tuoi pensieri dannazione, il tuo cosmo è inquieto! Sei patetica! » Le rovesciò contro, facendole saltare la vena della tempia e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non rovesciargli contro tutte la sua ira. Gli avrebbe volentieri risposto, ma sarebbe stata comunque in netto svantaggio. Per quanto forte e sicura di sé si sentiva, non poteva competere con uno dei Saint più forti di tutto il Tempio. Ed era il suo maestro. Volente o nolente, ricordando il suo vecchio mentore, non avrebbe dovuto ribattere o andargli contro. Non si era mai permessa di farlo in passato, ma quel vecchio uomo non era così indisponente!
« Non è così facile, sai? » Tuttavia rispose a denti stretti, aprendo finalmente gli occhi. « Non è una cosa che posso imparare a fare da un giorno all’altro sull’orlo di un vulcano! Non si può abbandonare una vita intera in mezza giornata, non quando questa mi ha fatto diventare ciò che sono ora! Non quando nemmeno voi siete riusciti a tenervi addietro vecchi dissapori! »
Sapeva di aver toccato un tasto dolente, perché vide la mascella di Kanon indurirsi. Non sapeva quali eventi avevano portato lui e Camus ad odiarsi, ma in ogni caso nessuno dei due aveva dimenticato la faccenda ed entrambi ancora la portavano ben salda nel cuore nonostante l’investitura a cavaliere.
« Come ti permetti di giudicare cose che non sai? » La voce del Gemelli lasciò presagire tutta la sua ira posata. Non stava gridando, ma ascoltare quel tono di voce era per lei peggio che averlo sentito gridare.
« Non sto giudicando, sto solo cercando di farti capire il mio punto di vista! » Sbottò lei, ma lui azzardò un passo avanti.
« Il tuo punto di vista non mi interessa, sono io qui che devo indirizzarti all’addestramento e tu devi essere pronta a riceverlo se non vuoi lasciaci le penne. E ti consiglio di non indispettirmi ancora con la tua saccenza o questo magma diventerà la tua tomba. » Continuò serio e leggermente indispettito dal comportamento della giovane e le voltò le spalle prima che lei potesse controbattere.
« Rimarrai su quella roccia per tutta la notte. Se proprio non riesci a lasciarti addietro la tua vita, impara a dividere il tuo passato dal tuo futuro. »
E dopo aver detto quelle parole, senza neanche voltarsi indietro, la lasciò sola nella sua posizione a ribollire come il magma sotto di lei.
Fine capitolo 15
 
°°°°°°°°°°
 
Angolo autrice:
Ebbene sì, non ho fatto passare troppo tempo dall’ultimo aggiornamento xD sto facendo progressi U.U
Bene, che dire, non è un capitolone lunghissimo, ma penso che sia servito per farci capire la crudeltà di Kanon U.U xD E per farci ritrovare i due simpaticoni di Ecate e Marco, la cui identità si scoprirà pian piano (anche se probabilmente alcuni di voi già l’hanno immaginata! xD)
In più, probabilmente già dallo scorso capitolo avete capito dove i due sono finiti xD è l’Isola di Kanon, ripresa da Lost Canvas U.U
Come ha detto Kanon, l’addestramento di Elena sarà diviso in due parti: mentale e fisico, e questa è una piccola cosa che ho ripreso da Divergent ( *_* che sto amando particolarmente in questo periodo. Sono arrivata a leggerlo anni ed anni dopo, ma ci sono arrivata ed è questo l’importante XD) Ma vedremo come si svilupperà la cosa ehehe ed un po’ anche il carattere originale di Kanon l’ho mischiato con alcuni personaggi del libro (Eric e Quattro) <3 Che dire, spero vi sia piaciuto!
Come sempre mi scuso per gli errori, ma Word continua a non sottolinearmi le parole errate e mi sto particolarmente agitando -.-‘ Spero di risolvere in fretta questa situazione XD
Un ringraziamento come sempre ai recensori, alle persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite ed a tutti i silenziosi lettori che attendono sempre un aggiornamento!
Un bacione a tutti
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
 
Non seppe dire quanto tempo aveva passato su quello spuntone di roccia, in mezzo al magma rovente ed in perfetta solitudine. Kanon l’aveva lasciata sola e se n’era andato chissà dove, dandole solamente una direttiva che non era del tutto convinta di saper seguire.
Doveva solamente liberare la mente dai pensieri, facile, ma per lei non lo era affatto. In quell’ultimo periodo non lo era stato per niente! Aveva chiuso gli occhi per riuscire a concentrarsi e non guardare la distesa infuocata sotto di lei, ma il sole si era oramai del tutto alzato ed i suoi raggi, nonostante fossero coperti dalle nuvole e dalla nebbia, le bruciavano la pelle. Il caldo si era fatto insostenibile e le gocce di sudore le imperlavano il viso ed il corpo. Si era strappata di dosso la maggior parte della stoffa, rimanendo solamente con alcune parti del corpo coperte, come il seno e le parti intime, ma nonostante quello continuava a sudare e deconcentrarsi. Il cuore le batteva all’impazzata e temeva di morire da un momento all’altro. Ogni tanto cercava di prendere più aria possibile, ma le era decisamente difficile visto quanto bollente fosse.
Aprì un occhio per riuscire a scorgere Kanon, e col pelo dell’occhio lo vedeva girare nei dintorni, con solo i pantaloni indosso (probabilmente anche lui doveva soffrire un po’ il caldo di quelle zone) ed ogni tanto le lanciava qualche occhiata tagliente per incitarla a continuare il suo operato.
Probabilmente era anche ora di pranzo, visto il lieve gorgogliare del suo stomaco, ma dubitava che lui le avesse dato il permesso di mangiare prima di aver concluso ciò che le aveva intimato di fare.
Inspirava ed espirava, quasi fosse una danza e quasi fosse per lei un obbligo da cui poteva dipenderne la sua vita, come in effetti era.
“Basta pensare!” Si ripeteva in loop, aggrottando le sopracciglia sotto gli occhi chiusi. Sentiva tutti i muscoli del corpo contrarsi, compresi quelli facciali e la mascella serrata in un’espressione puramente arcigna.
Di fronte agli occhi le passava Ecate e la sua strana richiesta, i pensieri che l’avevano torturata fin dal loro primo incontro, ed alla continua ricerca di un significato per quelle parole.
Subito dopo rivedeva Camus, con la sua espressione fredda ed indifferente, il loro primo incontro, il loro scontro per la conquista dell’armatura, la totale sconfitta, gli anni di frustrazione per la consapevolezza di amarlo ed odiarlo allo stesso tempo, il giorno che lo ebbe rincontrato sui ghiacci della loro terra d’addestramento, la notte che avevano passato a fare l’amore, l’arrivo al Tempio di Atena e di nuovo la partenza con l’uomo che non era a molti passi di distanza da lei.
Ma c’era un’altra cosa che più la premeva, ed era la costante ricerca di una risposa sul perché il suo nuovo maestro ed il vecchio non riuscivano a vedersi di buon occhio.
Come poteva concentrarsi dopo tutto quello? Anche se, come le aveva sempre insegnato il suo primo mentore, avrebbe dovuto lasciarsi tutto alle spalle per poter diventare un Saint a tutti gli effetti. Ma in fondo lei l’addestramento l’aveva concluso anni addietro e, nonostante avesse perso l’armatura, non aveva mai smesso di temprare il suo corpo ed il suo spirito alla battaglia, quindi a cosa serviva allenarsi ancora? In quelle condizioni poi…a cosa le sarebbe servito lasciarsi addietro tutto quello, visto che la sua forza si nascondeva proprio dietro tutto ciò? Ma, soprattutto, lei era sempre stata una guerriera del nord, nata dai ghiacci della Siberia, perché doveva allenarsi in un luogo avverso al suo stile?
Ma nei meandri della sua mente la voce di Kanon recitava i soliti discorsi su: “ Un Saint deve saper combattere anche in condizioni estreme ed in luoghi avversi.” Ed in effetti era veramente in un luogo impervio, impossibilitata a fare previsioni sul suo futuro.
« Non ti stai impegnando abbastanza. Il tuo cosmo è inquieto ed i tuoi lineamenti non sono rilassati! »
Questa volta la voce di Kanon non proveniva dalla sua mente, ma probabilmente da un punto sicuro a non molti passi di distanza dalla sua posizione.
Aprì leggermente gli occhi, cercando di mostrarsi più indifferente possibile e lo osservò di sottecchi.
Lui era in piedi su un’altra roccia, una delle tante che impedivano al mare di Magma di fuoriuscire dal suo letto, con le braccia conserte e l’espressione severa. I suoi occhi verdi non erano per nulla rilassati ma non mostrava nessun segno di cedimento. Non l’avrebbe sicuramente graziata, lo capiva perfettamente.
« Mi serve tempo! » Ribatté lei, ma al Saint non piacque per niente quella risposta. Vide le sue sopracciglia aggrottarsi e l’espressione farsi ancora più adirata.
« No, ti serve qualche incentivo in più…vuoi che oltre il pranzo ti faccia saltare anche la cena? Oppure che ti faccia rimanere lì anche di notte fino a che non avrai imparato a dominare le tue emozioni? Vuoi che inizi dal modulo corporeo, così che tu riesca a capire che nelle tue attuali condizioni non riusciresti a far male nemmeno ad una mosca? Io non sono magnanimo come il Saint dell’Acquario, e prima lo capisci meglio sarà per te. » Anche la sua voce era dura quanto la sua espressione, ma nonostante quella provocazione, Elena rimase ferma nella sua posizione.
« Dammi un’altra ora. » Riuscì solamente a dire tra i denti, ma ovviamente non era sicura di riuscire a farlo. Non ci era riuscita in tutti quegli anni, figuriamoci se ci sarebbe riuscita in così breve tempo. Ma doveva provarci, per la sua incolumità e perché probabilmente Kanon non avrebbe avuto remore a fare tutto ciò che aveva appena finito di pronunciare.
Richiuse gli occhi e riassunse la sua posizione a gambe incrociate. Sentiva la sua mente vorticare ancora e lo sguardo indagatore di lui ancora piantato addosso, ma non voleva demordere. Non voleva perdere ancora, non di nuovo.
Ed ecco ancora di fronte a lei la sua sconfitta. Continuava a rivivere i soliti momenti di sconforto, il giorno in cui si era procurata la cicatrice e di nuovo il suo cosmo veniva alimentato dalla sua battaglia interiore.
« Patetico! » Soffiò lui, constingendola a serrare i pugni nonostante fosse rimasta imperturbabile. « Concentrati, dimentica quello che eri prima di arrivare qua. » Continuò ad incitarla, ma lei si aprì in un piccolo ringhio infastidito.
« Smettila di ricordarmelo, lasciami in silenzio! » Sentenziò, ma nonostante quelle parole, la sua inquietudine, la sua rabbia e la sua voglia di supremazia non si calmarono neanche per un secondo. Lei sapeva di essere forte, lo aveva sempre saputo, altrimenti non sarebbe arrivata ad un passo dalla conquista della Cloth. Non aveva perso per la debolezza, lo aveva fatto per sua scelta, ed adesso non voleva perdere di nuovo perché aveva scelto di non liberarsi dei suoi fantasmi. E Kanon lo aveva capito, per questo faceva leva sul suo orgoglio. L’orgoglio è l’arma più potente du cui dispone un Saint, o un’aspirante tale.
Ma si era anche stufato di non essere ascoltato. Il Saint dei Gemelli poi non era famoso per la sua infinita pazienza.
« Possibile che non riuscite a togliervi Camus dalla testa? »
Kanon era balzato con un ringhio sulla stessa roccia dov’era seduta Elena e lei non fece neanche in tempo ad aprire gli occhi che si era ritrovata in piedi e con la mano di lui serrata alla gola. I suoi occhi erano iniettati di sangue e la sua espressione era incredibilmente adirata.
« Riuscirai a liberare la mente, che tu lo voglia o no! Non ho voglia di perdere il mio tempo prezioso dietro ad una mocciosa che non ha voglia di imparare! »
Con un ringhio e con ancora la mano saldamente serrata alla gola della ragazza, il Saint riapprodò sulla terraferma con un balzo, lasciandola boccheggiante a pochi metri di distanza da lui.
« Sei impazzito? » Gorgogliò rauca, tossendo mentre cercava di riprendere più fiato possibile.
« Mettiamo fine a questa storia ed iniziamo a prendere questo allenamento seriamente! » Continuò lui, imponente a poca distanza da lei, indicandola con un dito.
« Lo stavo facendo. Non sei dentro la mia testa per sapere quanto seriamente stavo cercando di togliermi dalla mente una vita intera. Se non te ne fossi accorto, non è molto semplice! Non credo mi ci voglia mezza giornata! »
Si ritrovò quasi a gridare mentre si rialzava in piedi e riprendeva la sua tipica postura, di chi è estremamente sicuro di sé, ma Kanon si era incredibilmente calmato e la stava osservando tranquillamente dietro il braccio teso.
« Hai ragione, non ho la minima idea di cosa ti stia passando per la testa, ed è proprio per questo che intendo entrarci. Prima superi le tue questioni, meglio sarà per tutti! » Finì lui categorico e lei non fece neanche in tempo a chiedere il significato di quella frase che lui aveva già lanciato il suo colpo.
La sua voce risuonò nella sua mente per qualche secondo, come se ci fossero miliardi di Kanon che ripetevano in loop la stessa frase:
“Genro Mao Ken.”
Poi nella sua mente esplose il caos.
 
********
 
« Kanon, ti ho cercato dappertutto! Tra poco dovrai scendere in campo! »
Lo ammonì la ragazza, sedendosi a terra accanto a lui in un luogo riparato del Tempio. Nell’arena, i guerrieri avevano iniziato a prendere posto nelle tribune ed il Grande Sacerdote aveva posto nel punto più alto l’armatura sacra dei Gemelli, che sarebbe succeduta al vincitore del prossimo scontro.
« Galatea! » La rimproverò lui nonostante il sospiro. « Non dovresti essere qua. Dov’è il tuo maestro, non è giorno di allenamento per te? » Le chiese lui, poggiandosi alla roccia con le mani dietro la nuca.
« Sì, ma non voglio andarmene e non voglio che lo faccia anche tu. »
« Non lo farò. » Le rispose ma non le sembrò molto convinto, complice il fatto che avesse voltato lo sguardo verso il cielo.
« Cos’è che ti turba? » Sorpirò anche lei, addolcendo un po’ il tono di voce. « Il fatto che tu debba combattere contro tuo fratello? »
A quelle parole, Kanon spostò lo sguardo su di lei con un’espressione indignata.
« Non dire scemenze! Siamo stati addestrati una vita in previsione di questo giorno, non ho paura di picchiare mio fratello. » Disse asciutto.
« Ed allora cosa c’è che non va? Non puoi scendere in campo lucidamente in queste condizioni… » Concluse lei, pensierosa.
« Ho timore per il futuro, e non solo il mio. Se vinco, mio fratello sarebbe costretto a lasciare il Tempio, me, la sua vita e le sue speranze. Sarebbe costretto a vivere da solo senza minimamente sapere cosa gli riserverebbe la vita. »
Voltò di nuovo lo sguardo infuocato su di lei, chiaro segno che era mosso da un vigore a lei ancora del tutto sconosicuto, ma in fondo capiva le sue motivazioni. Non si apprestava a battersi contro uno sconosciuto, la cui sorte non gli sarebbe minimamente interessata, si apprestava a decidere le sue sorti e quelle del suo gemello.
« E se la situazione volgesse al contrario sarai tu a dover affrontare l’ignoto. »
Alle parole di Galatea, il cadetto fu scosso da un brivido di freddo. Non voleva pensarci, si sarebbe impegnato a vincere come il loro maestro aveva chiesto loro di fare. Lo avrebbe fatto per orgoglio personale, e per stare accanto all’unica persona che assolutamente non avrebbe voluto perdere.
« Vincerò. Sarò io il nuovo Saint dei Gemelli. Combatterò per te! »
Il quindicenne si sporse a sfiorare con le sue labbra quelle di lei, fino a che la consapevolezza di aver perso fin troppo tempo si impadronì di lui.
« Devo andare… » Le disse solamente, alzandosi di scatto e voltandole le spalle. « E dovresti andare anche tu, ti staranno cercando. »
« Ai cadetti non è permesso osservare i combattimenti, quindi non saprò chi sarà il vincitore e non credo che ai presenti sia permesso parlarne. Come farò a sapere l’esito dell’incontro? » Chiese lei, speranzosa, ed a quelle parole lui si voltò ad osservarla con un’espressione mite.
« Incontriamoci qua al tramonto. Se ci sarò, saprai chi presedierà di nuovo la Casa dei Gemelli. » Le sorrise lievemente e, senza aspettare una risposta, le voltò le spalle e sparì verso l’arena.

Fine capitolo 16
 


°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°


Angolo autrice:
 Ma salve! Vi avevo promesso di non far passare troppo tempo dall’ultimo aggiornamento, ma non sono del tutto riuscita a mantenere la promessa T.T (ma almeno non è passato un anno xD). Purtroppo ho dovuto fare un trasloco in venti giorni e nello stesso periodo ho iniziato a lavorare D: in effetti mi sembra di aver scritto un capitolo brevissimo e sicuramente sottotono T.T mi dispiace, prometto di impegnarmi di più!!
Spero di non aver fatto troppi errori, ma Word non è minimamente tornato a collaborare segnandomi le parole errate!! Maledetta tecnologia, mi odia >.< xD
Ok, bando alle ciance, passo a ringraziare chi ancora segue questa storia <3 ai recensori, infiniti grazie, a chi l’ha messa tra le preferite/seguite/ricordate ed ai lettori silenziosi che aspettano una mia apparizione XD
Sono breve questa volta, ma era un bel po’ che non stavo così tanto di fronte allo schermo del pc ed i miei problemi al collo iniziano a martellarmi >.<
Un bacione
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
 
 
 
Galatea aveva diligentemente atteso il tramonto per recarsi al punto di ritrovo che aveva concordato con Kanon quello stesso giorno, prima che lui si recasse all’incontro che lo avrebbe reso protagonista di fronte a tutto il Tempio.
Era estremamente sicura che sarebbe riuscito a prevalere sul suo Gemello e conquistare la Cloth per la quale si sarebbero scontrati. Eppure…
Una strana sensazione di vuoto si stava impadronendo di lei, pian piano che il tempo passava e che il sole spariva al di là del promontorio, rendendo il paesaggio attorno a lei sempre più cupo.
“Arriverà, magari è solo in ritardo…” Iniziò a pensare, finendo poi per preoccuparsi ulteriormente quando le sfumature arancioni iniziavano via via a scemare.
Almeno fino a che non vide una figura famigliare camminarle incontro.
La ragazza si alzò di scatto, sciogliendo un po’ la tensione che aveva iniziato a serrarle lo stomaco e finì di torturarsi l’unghia del pollice mentre si alzava da terra, dove si era seduta con la schiena contro la roccia che, oscurava la sua visuale a qualsiasi persona fosse capitata lì.
Ma c’era qualcosa di strano nell’andatura del nuovo venuto, nonostante fosse fasciato da quella che, riconosceva essere, l’armatura dei Gemelli. Riconobbe l’elmo, adornato ai lati da due facce complementari, come la cascata di capelli biondi che risplendevano sotto il tramonto, incredibilmente simili all’oro della Cloth, che rifulgeva sotto il bagliore del Tempio.
Il volto del ragazzo era in penombra, colpa appunto del grande elmo che gli ricadeva sulla fronte, ma gli occhi verdi non sorridevano nonostante le sue labbra fossero leggermente piegate all’insù.
Galatea rimase ad osservarlo, fino a che non le fu di fronte, a fronteggiarla con la sua quasi imponente altezza. E fu estremamente sicura che quello di fronte a sé non fosse assolutamente Kanon. Non sarebbe giunto così composto. Conoscendolo si sarebbe lanciato verso di lei a braccia aperte, per gioire insieme della sua incredibile conquista.
Non disse nulla però, la sua espressione la diceva lunga sul suo disappunto, ma d'altronde non era colpa di Saga se il suo gemello non era riuscito a batterlo. Ma lei era incredibilmente amareggiata da come erano andate le cose e strinse i pungi mentre cercava di sorreggere lo sguardo quasi dispiaciuto di lui.
«Mi ha detto dove trovarti…» iniziò, senza esprimere il soggetto di quella frase, sapendo che la ragazza avrebbe capito perfettamente di chi parlasse.
«Quindi non ce l’ha fatta» rispose lei, senza un’intonazione particolare nella voce.
Saga rimase in silenzio, scrutandola con uno sguardo in un misto tra la curiosità e la rassegnazione.
«Mi dispiace» concluse poi, dopo qualche secondo, aspettandosi quasi di vederla scoppiare in lacrime. Invece lei rimase ferma al suo posto, rigida come mai era stata prima d’ora, e capì che si stava sforzando non poco di rimanere impassibile. Ma questo agli occhi di Saga le rese onore. Sapeva che stava ricevendo l’apprendistato per diventare un Saint, anche se di rango inferiore al suo, quindi molto probabilmente non si sarebbe mai fatta vedere vulnerabile da lui, o da chiunque altro. Forse si sarebbe sfogata in solitaria, ma lui non volle infierire.
«Lo trovi in infermeria» riprese a parlare il neo Saint, sforzandosi appena di sorridere per non sembrare troppo brusco in quella situazione.
Lei annuì appena, spostando lo sguardo verso il sole oramai quasi del tutto tramontato.
«Sarà la sua ultima notte. Domani mattina dovrà lasciare il Tempio…» asserì di nuovo, spostando anch’egli lo sguardo verso l’orizzonte. «Il suo destino adesso dovrà scriverlo da solo».
«Ti ha chiesto lui di dirmelo?» chiese Galatea, dopo alcuni secondi di silenzio.
Saga sospirò appena prima di rispondere.
«No…mi ha detto solo di venire qua per avvertirti e mi ha detto che ci tenevi a sapere l’esito dell’incontro» iniziò, «di raggiungerlo in infermeria te lo sto chiedendo io. Probabilmente ha più bisogno di te che di me. Non so se le nostre strade si incontreranno ancora, ma mi auguro di sì per le vostre».
«Naturalmente» sentenziò lei, guardandolo appena con la coda degli occhi. La sua somiglianza col gemello, dopotutto, le faceva fin troppo male.
«Questo è il luogo dove potrai trovarlo una volta che avrà abbandonato questo luogo, prendilo» e passò una piccola mappa con un luogo cerchiato di rosso.
«A nessuno dev’essere concesso di sapere dove vengono spediti i Saint reietti, quelli che non hanno superato la conquista della Cloth. Sono riuscito a strappare questa informazione al Grande Sacerdote, quindi se non ti lasci sfuggire chi ti ha passato l’informazione te ne sarei grato» sorrise più bonariamente di quanto non avesse fatto in tutto quel tempo. «E neanche Kanon deve saperlo» concluse categorico.
«Puoi contare sulla mia discrezione e sulla mia lealtà di quasi Saint, perché io riuscirò a conquistare la Cloth, lo giuro anche per lui» rispose lei, forse un po’ troppo duramente, ma al Saint dei Gemelli sembrò non importare del tono impertinente usato dalla ragazza. Capiva perfettamente le emozioni che la muovevano ed era estremamente sicuro che, con quel carattere, sarebbe arrivata lontano.
 
 
°°°
 
 
Elena aveva una strana e vaga sensazione, come se non fosse del tutto padrona del su corpo. Si sentiva quasi astratta, ma il peso che aveva sullo stomaco le ricordava perfettamente dove fosse e, soprattutto, con chi.
Quando aprì gli occhi, trovò davanti ad essi l’ultima scena alla quale avrebbe voluto assistere.
Di fronte a lei, nonostante fosse tutto incredibilmente sfumato e sbiadito, c’erano le lande ghiacciate della sua Siberia, il suo luogo d’addestramento, e nel centro della radura c’era colui che non avrebbe voluto rivedere tanto preso, tanto meno a quell’età. Sì, perché il Saint dell’Acquario era in piedi, baldanzoso ed estremamente giovane, come se tutti gli anni appena trascorsi non fossero per niente passati.
“Non è possibile…” disse tra sé e sé, mentre un’incredibile consapevolezza iniziava a farsi spazio nella sua mente. Osservò distrattamente anche le sue vesti, il suo taglio di capelli e la sua figura nel riflesso che le rimandava la montagna di ghiaccio a non molta distanza dal suo fianco. Voltò leggermente la testa in quella direzione, mentre il tremore del suo corpo iniziava a farsi più intenso.
“Non di nuovo, no!” Imprecò di nuovo dentro di sé, con una rabbia repressa che capiva perfettamente, come il motivo per il quale era stata costretta a rivivere quel momento per colpa di Kanon.
Fosse stato per lei non avrebbe rivissuto quegli attimi, che ancora bruciavano così intensamente ogni volta che riportava la mente a quegli anni, ed era pronta a far vedere al Saint dei Gemelli che, nonostante il suo colpo, lei non si sarebbe piegata.
Ma ben presto dovette ricredersi, perché tutto ciò che stava capitando era fuori dalla sua portata. Aveva pieno controllo della sua mente, dei suoi ricordi e dei suoi pensieri, ma non del suo corpo, perché non stava assolutamente rispondendo ai suoi voleri. Quindi Elena capì cosa stava succedendo e non ne fu affatto contenta. Avrebbe probabilmente fatto una smorfia di contrarietà se avesse potuto muovere i muscoli facciali, ma quelli erano contratti in un’espressione di pura concentrazione. Se avesse potuto sarebbe corsa via da tutto e da tutti pur di non essere costretta a vivere di nuovo quella vecchia esperienza, per di più come spettatore all’interno del proprio corpo. Già era abbastanza fastidioso per lei doverlo ricordare, nelle notti insonni o quando la sua mente le giocava brutti scherzi. O anche solo quando pensava a Camus. Non era ancora pronta a riviverlo in prima persona, senza neanche poter cambiare qualcosa di ciò che era successo. Sicuramente, con il bagaglio di esperienza alle sue spalle e con tutto ciò che ne era conseguito, probabilmente non avrebbe arrestato il colpo ed avrebbe finalmente potuto battere il suo vecchio compagno d’addestramento, riuscendo finalmente a conquistare l’amata Cloth dell’Acquario. Sarebbe potuta diventare la nuova custode dell’undicesima casa, finalmente sarebbe divenuta la prima Gold Saint donna del tempio, sfatando i tanti pregiudizi che continuavano a nascere tra i guerrieri uomini.
“Ne sei proprio sicura?”
Una voce che però era estremamente sicura che non fosse la sua risuonò nella sua mente, come se qualcuno le avesse pronunciato quelle parole all’orecchio. Si sarebbe anche voltata se avesse potuto, per assicurarsi che fosse stato veramente Kanon a parlarle così a ridosso, trovandolo accanto a sé con il suo spregevole sorrisetto stampato sulle labbra. E lo avrebbe preso volutamente a schiaffi se avesse avuto piena facoltà delle sue azioni. Ma lui non era lì, lei lo sapeva bene. Riusciva ad avere possesso della sua mente e dei suoi ricordi comodamente seduto sullo spuntone di roccia del vulcano sull’isola di Kanon.
“Vattene”, si limitò a pensare la ragazza, erroneamente sicura di imporre il suo volere all’uomo, ma la sua risata divertita le risuonò di nuovo nella mente.
“Se pensi di vedermi contorta dalla disperazione come le tue vittime ti sbagli.” Aizzò lei con una nota irata tra i pensieri.
“Ah sì?” continuò lui, ancora più risoluto, “dovresti vedere il tuo corpo qua, di fronte a me, come si regge la testa tra le mani e come il tuo volto è così piacevolmente contorto da sfumature di rabbia e disperazione”.
Rise di nuovo ma Elena non poter far altro che immaginare di stringere il labbro inferiore tra i denti e le nocche, in quello che per lei doveva essere un gesto dettato dalla rabbia che sentiva montarle dentro.
“Puoi sottrarti a tutto ciò se vuoi. È questo il tuo compito. Se per te è troppo sopportare di nuovo la bruciante sconfitta puoi venir meno all’illusione, o modificarla. Quanto è forte la tua mente rispetto al mio controllo?  Sfuggi, e ti lascerò la serata libera prima di iniziare il vero addestramento corporeo, perché, lascia che te lo dica, fino ad ora hai fatto pena!”
Le parole di Kanon la colpirono nell’orgoglio come un sonoro ceffone sul viso e sentiva di voler a tutti i costi uscire da lì per affrontarlo finalmente in uno scontro faccia a faccia. Non avrebbe sopportato il suo tono di voce derisorio ancora a lungo!
I minuti passarono lenti nel lasso di tempo che ci volle prima che i due iniziassero lo scontro. La mente di Elena era avvantaggiata, sapeva cosa sarebbe successo perché tutti quei ricordi erano impressi nella sua memoria a fuoco. Riviverli uno per uno le faceva ancora male, ma lei non si lasciò trasportare da essi e, cercando di prendere in mano la situazione ed almeno le sue facoltà mentali, cercò di concentrarsi al meglio.
Immaginò il contrattacco ancora prima che succedesse ed immaginava i colpi che invece avrebbe voluto lanciare al posto di quelli fatti al tempo. All’inizio i suoi sforzi non sortirono alcun effetto e si ritrovò dolorante di nuovo, come se fosse stata veramente presente in quello scontro. Forse il dolore, sia fisico che non, fece in modo di far scattare una scintilla nel suo animo e mentre arrivava, veloce ed inesorabile la fine, quando sapeva come sarebbe finito il risultato, riuscì nell’impresa impossibile.
Non si distrasse, non pensò a nient’altro che all’incontro, alla Cloth e a battere Camus. La sua mente era concentrata, il suo corpo pronto al contrattacco e riuscì a modificare quel ricordo tanto odiato. Non abbassò la guardia e colpì senza pietà il Saint con una potenza e precisione che neanche lei sapeva di avere.
Lo sforzo di manovrare il suo stesso corpo e la potenza del colpo lanciato da lei stessa distorse la realtà che stava vivendo e si ritrovò circondata dalla nebbia, sentendo il familiare torpore di quando i sensi abbandonavano il suo corpo.
Poi sopraggiunse il buio.
Quando riaprì gli occhi si ritrovò distesa a terra, con gli stessi che bruciavano come se avesse pianto una giornata, le guance rigate dalle lacrime che, era estremamente sicura, non aveva assolutamente versato. In più tutti i muscoli del corpo le facevano male, come se si fosse sottomessa ad uno sforzo fisico al di sopra delle sue reali potenzialità.
Kanon invece era in piedi, a qualche passo di distanza da lei, con le braccia conserte ed un’espressione indecifrabile sul volto. Gli occhi verdi brillavano nella sua direzione, come se non volesse perdersi nemmeno un movimento del corpo della ragazza, le labbra erano una linea sottile e le sopracciglia leggermente aggrottate.
Elena tossì mentre cercava di rimettersi in piedi, la gola le bruciava e si sentiva sotto esame con quegli occhi puntati addosso. Gli avrebbe detto sicuramente qualcosa, se lui non l’avesse preceduta.
«Notevole…» asserì lui, leggermente impressionato da quell’impresa, nonostante la sua espressione rimase pressoché invariata.
«Beh, pensavi che non ce l’avrei fatta? Mi dispiace deluderti, non sono una pivella» rispose lei a tono, incrociando finalmente il suo sguardo.
Lui in un primo mento non rispose, si limitò a squadrarla da capo a piedi, quasi curioso, prima di riportare i suoi occhi color del prato in quelli di Elena.
«Si, in effetti l’ho pensato» rispose, quasi sprezzante, «ma devo ammettere che sono rimasto colpito. Nessuno è mai riuscito a sottrarsi al Genro mao ken, ma se non ti avessi aiutata dicendoti cosa fare, probabilmente la tua mente sarebbe rimasta vittima del tormento» continuò, ma prima ancora che lei prendesse parola per rispondere a quella strana provocazione, lui parlò di nuovo.
«In ogni caso il tuo corpo, qui, ha continuato a contorcersi dal dolore, vittima dell’illusione. Se pensavi di essere risoluta e caparbia mi dispiace, sei stata esattamente come tutte le mie altre vittime. I dolori del tuo corpo possono confermare, colpa della tensione dei tuoi muscoli per cercare di sottrarti all’inevitabile. Ci sono varie parti del cervello che posso intaccare con questo colpo: posso costringerti a fare quello che voglio, liberandoti solamente dopo che hai esaudito la mia richiesta, farti sottostare ai miei ordini a tempo indeterminato, oppure colpire i ricordi, come ho fatto con te, costringendo la mia vittima a rivivere quegli stessi angoscianti momenti del passato. Chiunque abbia messo piede al Tempio, o chiunque si possa gloriare di essere un guerriero non ha avuto un’infanzia particolarmente piacevole. E nemmeno tu.» Concluse perentorio, beccandosi un’occhiata di traverso.
«Ed era proprio necessario colpirmi con il Genro mao ken, non è vero? Non potevi pazientare un altro giorno, no? Perché è chiaro che si diventa Saint in un giorno» fece lei, sarcastica e sprezzante.
«Non ho la pazienza ostentata dai vari maestri, né tempo da perdere. Sto esaudendo il volere della Dea Athena, ma non mi è stato indicato il tempo che ci avrei dovuto impiegare, quindi lo decido io, che tu lo voglia o no»
L’espressione del Saint si fece più seria e pericolosa, cosa che convinse Elena a non replicare, tanto sarebbe stato fiato sprecato. Era inutile parlare con Kanon, il suo ego era troppo pronunciato per poterlo sottomettere con le parole, o anche solo con la forza. In fondo se era diventato un Gold Saint, forte al pari del Gemello, lei non avrebbe potuto avere possibilità di rivaleggiare con lui. Tanto valeva stringere i pugni e ingoiare le parole che lui le avrebbe sicuramente fatto pentire di aver pronunciato.
Ma in ogni caso, la cadetta stava per rispondere un ghignato “d’accordo”, col tono di voce di una che avrebbe sicuramente avuto qualcosa da ridire ma che cercava di tenersi buona, ma lui non le dette il tempo di fiatare. Aveva appena aperto la bocca quando lui riprese parola.
«Continueremo domani all’alba» le disse, con il tipico tono di voce che non avrebbe ammesso repliche, e lei rimase spiazzata da quella strana ostentazione di generosità, visto che ancora non era neanche scesa la notte ed avrebbero avuto tutto il tempo per continuare ad allenarsi.
«Ma…» cercò di controbattere, ma lui le aveva già voltato le spalle.
«Non farmi pentire della mia decisione» le intimò solamente, senza neanche prendersi la briga di voltarsi a parlarle negli occhi. E senza darle il tempo di rispondere di nuovo, prese a camminare verso una rientranza nella roccia dove, un po’ arrabattata, sorgeva la loro precaria dimora.
Lei rimase ad osservare accigliata le spalle di lui allontanarsi, coi lunghi capelli che gli svolazzavano dietro la schiena ad ogni passo.
E si ritrovò inconsapevolmente ad arrossire.
Fine capitolo 17

 
 
°°°°°°°°°°°°


 
Colei che scrive:
Ma ciao!! Ben trovati finalmente in questa storia dopo…quanto? tre mesi? Ok, sono vergognosa T.T mi dispiace di far passare così tanto tempo tra un aggiornamento all’altro, ma veramente non ho avuto un secondo di tempo tra il lavoro, problemi di salute e l’uscita del mio primo libro <3 Sì, avete capito bene :D libro *_* sono così emozionata! E chi ha seguito Stormy Life nella sua prima pubblicazione in questo sito, se aprirà la mia pagina autore (cliccate sul mio Nik), troverà una piacevole sorpresa, o almeno spero ehehehe
Bene, che altro dire per non annoiarvi? Che ringrazio come sempre chi è arrivato fin qui, chi continua a seguire e recensire questa storia, chi l’ha tra le preferite e tutti i lettori silenziosi che continuano ad aspettare un mio aggiornamento <3 (mi dispiace del tempo che vi faccio aspettare T.T)
Un bacione a tutti, prometto di accorciare i tempi!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
 
 
«Devo dire che ti sei ambientato bene!» disse Galatea, una volta entrata nella piccola casetta in cui Kanon si era stabilizzato dopo essere stato costretto a lasciare il Grande Tempio. Un tempo era la baracca di un boscaiolo, posta nei pressi del Santuario, dove egli teneva gli attrezzi con cui lavorava. Ma l’uomo venne a mancare e il ragazzo si appropriò della struttura, lavorandoci giorno per giorno per renderla vivibile.
Erano passati circa due mesi da quando la ragazza gli aveva fatto visita, e dall’ultima vota l’arredo era notevolmente migliorato. Kanon si era costruito tutto da solo, con la legna che andava a prendere e spaccare insieme ad un gruppo di boscaioli. Per lo meno si teneva in allenamento. Oltre alla paga per poter mangiare, riusciva a guadagnarsi anche il mobilio.
«Più che bene direi…», gli fece una smorfia l’ex Saint di Athena, prendendola per un fianco e attirandola a sé in un bacio appassionato.
«Sei in ritardo!», la rimbeccò una volta staccatosi dalle sue labbra.
«Solo di circa un mese e mezzo…» gli rispose lei, con una vocina ironica. «Mi dispiace, ero in missione con il novizio Gold Saint dell’Acquario». Gli rese noto, ma Kanon fece solo una piccola smorfia.
«Cos’è, sei geloso?» Ridacchiò lei, punzecchiandogli la guancia con il polpastrello.
«Tzè…figuriamoci. A proposito, notizie sulla prossima investitura a Grande Sacerdote? Il vecchio Shion non si è ancora messo da parte?»
Il sorriso sardonico del ragazzo indispettì non poco la Saint, che cercò di sospirare cercando di darsi una calmata. Conosceva i dissapori di Kanon con tutti gli abitanti del Tempio, compreso il suo gemello. E, a proposito di lui…
«E quel burattino di mio fratello? Sempre ligio al dovere per farsi notare?» Chiese, sprezzante come solo lui sapeva essere.
«Sai che non dovresti parlare così…»
Lui fece spallucce, come se la cosa non gli riguardasse. Si mise seduto comodo sul divano, ricavato da alcuni mattoni e un vecchio materasso, e la osservò di sottecchi.
«Perché proprio col Saint dell’Acquario?» le chiese infine, sorridendo sarcasticamente. Lei sbuffò appena, alzando gli occhi al cielo.
«Beh, siamo andati nei freddi regni di Asgard…chi meglio del Saint dell’Acquario e della Corona Boreale potevano svolger quella missione?
Lui storse le labbra.
«Già, non penso mai al fatto che ti sei guadagnata quella Cloth quasi per caso. Non concorrevi per un’altra? In fondo sei stata addestrata al Tempio»
«Sì. La Cloth mi è apparsa in difesa nel combattimento, come ti dissi…», fece spallucce, quasi fosse una cosa normalissima, «potrebbe essere una Cloth speciale, o leggendaria!». Si entusiasmò, ma Kanon non amava parlare di investiture a cavalieri o di armature, non dopo che non era riuscito a vincere la sua. La Gold Cloth dei Gemelli era in possesso del suo perfetto fratello.
«Già…ma non ho voglia di parlare di ciò!»
Fece così cadere il discorso, attirandola di nuovo a sé in un bacio appassionato.

 
°°°°°
 
Kanon era fuori dalla caverna, seduto su un masso e guardava un punto indefinito dell’orizzonte oramai oscuro. Non c’era un granché di paesaggio da ammirare, a parte rocce e desolazione. Nei pressi del vulcano non c’era popolazione, erano gli unici due pazzi ad avventurarsi così vicino al calore. Eppure sembrava non preoccuparsene. Era perso nei suoi pensieri, chissà quanto profondi, quando Elena lo trovò, sedendosi accanto a lui per non rimanere sola all’interno.
«Ciao», lo salutò lei, pensando fosse un gesto di rispetto verso un suo superiore. Non voleva essere tanto reverenziale, ma per lo meno rispettosa sì. Non era forse questo che le aveva insegnato il suo vecchio maestro?
Lui girò leggermente il volto verso di lei, osservandola di sottecchi prima di riposare la sua attenzione all’orizzonte, senza degnarla di una parola.
«Siamo loquaci eh?», sbottò sarcasticamente, beccandosi un’occhiataccia da parte del Saint.
«Non ho nulla da dirti», disse semplicemente lui, senza ovviamente degnarla di un’occhiata.
«Beh, un semplice “ciao” poteva essere un inizio…», sbuffò.
«Non dobbiamo per forza fare conversazione. Come non dobbiamo per forza stare insieme…»
«Non voglio stare sola. Se ho altro da fare o di cui parlare riesco a tenere lontani i pensieri. Non è quello che stai cercando di insegnarmi?»
Mantenne lo sguardo sul profilo dell’uomo, che nella semi oscurità del luogo, rotta solo da un focolare acceso alle porte della caverna, sembrava incredibilmente malinconico. Inoltre sospirò appena.
«Per lo meno l’udito ce l’hai a posto…» disse infine lui, spostandosi leggermente dalla sua posizione per averla nel suo campo visivo.
«Posso farti una domanda?», gli chiese invece lei, dopo qualche secondo di silenzio. Aveva preso coraggio e audacia per affrontare quel discorso. In fondo era curiosa di sapere, anche se non era sicura che lui le avrebbe risposto. Probabilmente sarebbe stato intransigente, esattamente come lo era stato Camus.
«Farla puoi farla, bisogna vedere se ho voglia di risponderti» le rispose, scorbutico come il suo solito.
«D’accordo», gracchiò acidamente, ma non si dette per vinta. Era pronta a giocare tutte le sue carte. In fondo Kanon aveva anche un lato umano, lo aveva visto non molte ore prima.
«Cos’è successo tra te e Camus?»
L’espressione di Kanon si fece da annoiata a incredula. Aveva leggermente sgranato gli occhi, anche se nella semi oscurità del posto, Elena non potette notarlo. In più il suo cuore, generalmente calmo, iniziò a battere all’impazzata.
«Cosa ti fa pensare che tra noi sia successo qualcosa?», gli rispose secco, cercando di far così cadere il discorso. Ma la ragazza era troppo risoluta per lasciar perdere.
«Ho visto come vi guardate, l’astio nei vostri occhi, il tono di voce che usate per parlarvi…Camus non ha voluto parlarne e…»
«E ha fatto bene», concluse seccamente. «Sono cose personali, non hai il diritto di intrometterti»
«Invece ho l’impressione che lo sappia tutto il Tempio…», lo rimbeccò lei, ma lui grugnì di rabbia.
«Non ti serve a nulla saperlo!»
«INVECE Sì!» sbottò infine la novizia, alzandosi di scatto in piedi e parandosi di fronte a lui, sovrastandolo. «Capisci che è la chiave? Devo liberarmi del mio passato, Camus fa parte di questo, il suo essere scontroso con me, il motivo per il quale non può ricamb…» si ritrovò a gridare, ma nel frattempo anche Kanon si era alzato, sovrastando lei con la sua stazza ed osservandola con lo sguardo di fuoco.
«Non mi interessa se ti sei innamorata del Saint dell’Acquario, come non mi interessa di sapere i convenevoli del tuo passato! Devi guardarti avanti accidenti, qualunque fatto increscioso ti sia successo! Un Saint non deve piangersi addosso se vuole diventare un guerriero a difesa del Tempio! Deve lasciarsi scivolare tutto addosso!»
«Scommetto che tu non ti sei pianto addosso quando hai perso il tuo incontro con tuo fratello, quando hai miseramente fallito contro un tuo pari e quando hai perso la Cloth che tanto bramavi, vero?». La voce della ragazza risultò incredibilmente sarcastica e accusatoria, tanto da fare tremare Kanon di rabbia. Si ritrovò a digrignare i denti,stringendo tra i denti il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
«Io ho ritirato il mio colpo per amore. Sono ancora in grado di provare sentimenti. Tu invece? Cosa prova l’uomo che ha cercato di sterminare il mondo intero per i suoi miserabili scopi, solo perché il fratellino gli ha soffiato il posto?», gli rispose lei, con la stessa acidità che aveva ostentato lui. Era come un lupo ferito, che cercava di ferire a sua volta. Ma Kanon non riuscì a trattenersi questa volta; la sua compostezza, la sua superiorità e la sua buona volontà spazzate via dalle parole di una ragazzina.
Si ritrovò a colpirla in volto, così forte che Elena si trovò distesa supina a terra, con il sangue che le colava dal naso ad imbrattarle i vestiti. Invece il Saint era ancora in piedi di fronte a lei, con il braccio levato, il respiro irregolare e gli occhi verdi, di solito quasi inespressivi, adesso iniettati di sangue. Ma lei riuscì a restituirgli lo sguardo, osservandolo con astio. Passarono così altri istanti di silenzio, mentre si scrutavano l’un con l’altra, fino a quando, oltre ogni previsione della ragazza, fu proprio lui a riprendere parola.
«Mi ha portavo via la donna che amavo!» fece, sprezzante.
«E tu hai stampato tutti questi casini solo perché lui ti ha “fregato” la fidanzata? E ti incazzi con lui e il mondo intero perché lei ha scelto lui? Non te la sei presa con lei?» sputò a terra la quantità di sangue che le era finita in bocca, cercando di rialzarsi, ma lui inavvertitamente le tirò un calcio nelle costole che la fece ricadere a terra, dove finì sdraiata a prenderle di santa ragione dal Saint forse più forte di tutto il Tempio.
Ma lei non era una sprovveduta, né una novizia alle prime armi.
«Tu non sai niente, non ti permetto di giudicare!» Gridò lui, sferrando un altro fendente. Incurante del dolore lancinante al volto e al fianco, dove Kanon l’aveva colpita con un calcio, Elena balzò in piedi e si avventò su di lui, colpendolo al petto e cogliendolo di sorpresa. Indietreggiò, finendo con la schiena contro le rocce appuntite, graffiandosi e lacerando tutta la maglia. Ma anche lui non si lasciò cogliere ancora di sorpresa e la attaccò di nuovo in viso, ma lei essendo più bassa e agile riuscì a schivarlo e colpire anche lei sul naso perfetto dell’uomo, finendo per farlo sanguinare.
«Siamo pari adesso, nobile “maestro”» ruggì sarcastica, scandendo sprezzantemente l’ultima parola per colpirlo nell’orgoglio.
Andarono avanti così per tutta la notte, a colpirsi in posti più disparati, cadendo a terra e rialzandosi a fatica, mossi dalla rabbia che ognuno di loro provava per l’altro e mossi da vecchi dissapori purtroppo venuti bruscamente alla luce. E continuarono fino a che all’alba, sporchi, insanguinati e stremati, non crollarono definitivamente a terra privi di forze.
 
°°°°°°°°°°°

Dall’ultima volta che l’aveva vista, Kanon non aveva più avuto notizie di Galatea, e oramai era passato più di un mese. Un maledetto mese da quella volta, in cui la donna che aveva imparato ad amare gli aveva confessato di amare anche un’altra persona. Ci passava la maggior parte del tempo al Tempio, fuori dagli occhi indiscreti degli altri Saint e da quelli del Grande Sacerdote Shion. Quel certo Camus, con cui una volta gli aveva confessato di esserci andata in missione, aveva fatto breccia nel cuore della sua Galatea, a cui era rimasto fedele anche quando la sua vita era diventata un inferno. Era rimasto solo al mondo, esiliato dal Tempio, mai lei solamente lei gli era rimasta accanto, uscendo furtivamente, trasgredendo alle severe regole solo per lui…per poi sapere che il cuore della sua bella era diviso a metà. Gli aveva detto che doveva fare chiarezza, doveva capire chi dei due amava più dell’altro, ma ogni giorno che passava senza di lei la immaginava tra le braccia di lui.
E colpiva ferocemente ogni oggetto che gli capitasse sotto mano dalla frustrazione. Si era anche deciso a scoprirlo con i suoi occhi, irrompendo nel Tempio contro le volontà del Sacerdote.
Ma i suoi piani vennero sconvolti da una figura vestita di rilucente oro, che si presentò alla sua porta all’alba.
«Tu, Saga?» chiese, leggermente meravigliato da quella visita. In fondo non vedeva suo fratello dal giorno della disputa. Lui era troppo ligio ai suoi doveri per avere tempo da perdere con lui. Era uno dei candidati all’alta carica, non poteva commettere nessun errore…Kanon sperava fosse solo quello, ma era anche sicuro che al suo gemello non importasse nulla di lui.
«Finalmente ti sei ricordato di avere un fratello! Sai, piangerei se avessi lacrime da sprecare per te!» finì sprezzante, dandogli le spalle e facendogli intuire che quella visita non era stata affatto gradita.
Il Saint dei Gemelli sospirò sconfitto, ma non si diede per vinto. Varcò la soglia della piccola dimora nonostante fosse stato rifiutato.
«Non è per me che devi versarle. Pochi minuti fa è tornato il Saint dell’Acquario dalla sua missione…ferito. È giunto da solo, con il corpo inerme del suo compagno di viaggio. Sai chi aveva mandato il Sacerdote in missione con lui?» gli chiese, con un’aria abbattuta sul volto, e forse fu quella che fece sgranare gli occhi a Kanon, colpito dalla consapevolezza che pian piano iniziava a farsi spazio nel suo cuore.
«No…io non…no, non ci credo!» si ritrovò quasi a gridare, col cuore a battergli all’impazzata.
«Galatea!»
La voce di Saga, ferma nonostante tutto, fece uscire di senno il gemello, anche se si aspettava quella risposta. Si aspettava di sentire il suo nome.
«Era sempre stata felice di andare in missione con lui…» continuò il Saint, ma Kanon digrignò i denti in un’espressione feroce.
«Sei felice Saga, non è vero?» chiese, amaramente e con un filo di voce, facendo alzare un sopracciglio al gemello.
«Prego?»
«Non ti sei minimamente scomposto, sempre così maledettamente altolocato e composto. Incurante degli altri e dei propri sentimenti, incurante di quello che può provare la gente. Al perfetto Saga non frega nulla degli altri, finché deve pensare a sé stesso!»
«Ma cosa dici?» sbottò il tirato in causa, anche se, proprio come aveva appena detto l’altro, non si scompose minimamente. Anzi, Kanon fu sicuro di aver visto un’ombra scura nei bellissimi occhi verdi del gemello.
«Eh sì, io ti conosco bene…angelo sul volto, demone nel cuore!» sorrise, anche se una nuova consapevolezza e una nuova idea iniziò a farsi spazio nel cuore del colpito. Forse fu la disperazione del momento a muovere Kanon. La disperazione fa fare alla gente cose assurde…
«Sei impazzito?» sbottò Saga, indignato, indietreggiando fino all’uscio alla risata demoniaca del Gemello. Aveva completamente perso il senno? Pensò.
«Uccidilo!» ridacchiò sardonico, avvicinandosi pericolosamente al suo doppio con gli occhi carichi di odio e speranza. «Uccidi quel maledetto Saint a ostacolare la tua investitura! Uccidi Aiolos, e il Grande Sacerdote ancora prima di lui! Uccidili, e saremo a un passo dalla gloria! Uccidili Saga, e torneremo ad essere uniti come un tempo! Ho visto il demone nel tuo animo fratello, so che lo brami tanto quanto me! Uccidili, e sarai venerato da tutti, sarai a comando del Tempio. Avrai ogni Saint al tuo servizio, pronto a soddisfare ogni tuo capriccio…» vide per un attimo l’espressione bramosa di Saga, ma fu solo un attimo, prima che il suo pugno lo colpì in pieno volto.
«Uccidili fratello e torneremo ad essere una cosa sola!»
Dopo quella discussione, il corpo di Kanon fu lasciato in balia delle onde e della marea, serrato dietro le sbarre della prigione di Capo Sounion, mentre quello di Saga sedeva sul trono dorato del Grande Sacerdote, con indosso le vesti e la maschera che contraddistinguevano l’alta carica del Santuario.
Il corpo di Shion invece, giaceva inerme sulla vetta dello Star Hill.

Fine capitolo 18
 
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
 
Colei che scrive:
Eccoci qua, come promesso non vi ho fatto aspettare troppo (non un anno per lo meno xD). Ero così ispirata che l’ho finito in una giornata, fantastico!
Che dire, abbiamo finalmente scoperto cosa attanagliava il cuore di Kanon, perché ha fatto quello che ha fatto! Ho dato la mia interpretazione U.U mi piace scombussolare le cose! E poi, non dimentichiamoci che abbiamo due cattivoni a piede libero, che ancora dobbiamo scoprire chi sono :P ma, ogni cosa a suo tempo! Intanto dobbiamo scoprire se Kanon ed Elena sono sopravvissuti o se finiranno per sempre a combattere con le stampelle XD
Come sempre ringrazio i miei lettori, i recensori <3 e le persone che sono giunte a leggere fin qua!
Non mi resta che augurarvi ancora buone feste!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

 

 

Era già buio quando Elena aprì gli occhi, ed era riversa a terra nel punto esatto in cui era caduta in seguito allo scontro con Kanon. L'uomo invece era ancora a terra privo di sensi, nella posa innaturale in cui era caduto, e non dava segni di volersi svegliare. Tuttavia la ragazza non ci pensò minimamente a destarlo, si alzò solamente a fatica dalla sua postazione e raggiunse la caverna in cui alloggiavano.
Nonostante fosse calato il buio, le temperature del luogo erano ancora così tanto elevate che la povera cadetta si ritrovò in un bagno di sudore, oltre che di sangue pesto. Le ferite avevano smesso di sanguinare e quello si era incrostato su ogni taglio che le era stato inferto dal Saint. E sul corpo di lui la situazione non era certo migliore.
“Serve un cambiamento drastico...”, pensò una volta entrata al sicuro nell'anfratto di roccia. Evocò tutto il suo cosmo, come il suo vecchio maestro ai tempi del primo apprendistato le aveva insegnato a fare. Nonostante fosse ancora debilitata dalla disputa avuta col Saint dei Gemelli, le era rimasta un po' di energia da spendere per vivere quella notte più dignitosamente della precedente. Il suo cosmo richiamava le energie fredde, per cui non le fu difficile congelare tutto attorno a sé con la sua Diamond Dust, così simile a quella del Saint dell'Undicesima Casa.
«Adesso sì che va meglio. Non durerà in eterno, ma almeno posso respirare...», parlò ad alta voce, nonostante non ci fosse nessuno in quel momento che potesse ascoltare.
Andò a prendere la cassetta del pronto soccorso che il suo nuovo mentore aveva avuto la decenza di portarsi dietro, insieme al Pandora Box della sua armatura, e cercò alla bene e meglio di tamponarsi le ferite con del disinfettante. Quei tagli bruciavano sulla sua pelle come la disputa avuta con Gemini le bruciava nel cuore. Non avrebbe mai e poi mai alzato un dito contro il suo maestro ai tempi del primo addestramento, eppure si era lasciata trasportare dai sentimenti. Come lui del resto. Il Saint della Terza Casa era sempre stato così pacato e silenzioso, almeno per quanto era riuscita a vedere lei, invece aveva perso la pazienza in meno di un secondo. Probabilmente c'erano ferite nel cuore di quell'uomo che sanguinavano ancora, così come le sue.
Riuscì anche a scoppiare a ridere per rigettare fuori tutta la tensione accumulata, scaricando così il nervosismo, visto che non poteva farlo in altro modo. Era stato frustrante averle prese di santa ragione dal suo maestro, ma altrettanto appagante riuscire a colpirlo a sua volta. E per giunta un Gold Saint, uno tra i più potenti di cui disponeva il Tempio.
Fu però in quel momento, mentre era seduta sul materasso congelato a disinfettarsi le ferite a tempo delle risate divertite che entrò l'uomo.
Lui non disse nulla, si limitò solamente a scoccarle un'occhiata di pura sufficienza e dirigersi verso la scatoletta del pronto soccorso.
Elena lo osservò cauta, cercando di capire se fosse ancora sul piede di guerra o meno, ma lui si limitò a camminare guardandosi attorno.
«Hai trovato un bel modo per ultimare le energie...», disse semplicemente, senza nemmeno guardarla, ma gli era bastato ascoltare il respiro ancora accelerato di Elena per capire quanto le era costato quel gesto.
«Fa caldo», fu la semplice risposta di lei, dopo essersi esibita in un'alzata di spalle.
«No ti ho forse detto che devi imparare a destreggiarti su qualunque territorio insidioso?». Le scoccò un'altra occhiataccia, ma Elena cercò di non cadere di nuovo alle provocazioni o sarebbero tornati al punto di partenza. Inoltre non riusciva a muovere troppi muscoli alla volta in quel momento, così provati dall'ultimo scontro.
«Sì, ma adesso non stiamo combattendo», continuò con una nuova alzata di spalle e lui, altrettanto saggiamente, decise di non continuare oltre a battibeccare. Si sedette dalla sua parte del letto, dandole le spalle, e rovistò nella cassetta del pronto soccorso per prendere ciò che gli sarebbe servito per medicarsi le ferite. Ferite che gli bruciavano più nel cuore che sulla pelle. Odiava sé stesso, più del normale. Lui, Gold Saint pacato e calcolatore, che cede alle provocazioni di una ragazzina? Da quando aveva ripreso i sensi fuori dalla caverna non aveva pensato ad altro. E inoltre, nonostante gli anni passati, quella ferita che sembrava rimarginata nel suo cuore aveva ripreso a fagli male. Non era mai riuscito a perdonare sé stesso per tutti gli eventi che avevano portato alla guerra di Athena contro Poseidone, di tutto il male che aveva inferto a sé stesso e agli altri. Ma, più di tutti, a suo fratello, che nonostante l'orgoglio personale di voler arrivare in alto, Saga era sempre stato gentile con lui.
Ma, in ogni caso Galatea non c'era più, e la sua morte aveva malamente segnato anche Camus, ed Elena era una conseguenza di quella sofferenza. Kanon soffriva per il male inferto al mondo in seguito alla morte della sua amata. Il Saint dell'Acquario aveva congelato il suo cuore dopo la scomparsa dell'altrettanto amata. La sua allieva per un amore non corrisposto, che le aveva impedito di guadagnare la carica di Saint per la quale era stata addestrata.
E quindi, diventare Saint di Athena significava soffrire?
Kanon strinse i pugni, ma non si accorse che Ippolita gli si era inginocchiata di fronte e gli aveva tolto di mano le garze e il disinfettante, senza però osservarlo in volto.
«Cosa fai?», le chiese infatti, indispettito. Non aveva voglia di averla ancora tra i piedi. Ma lei continuò ad ignorarlo mentre imbeveva le pezze di liquido.
«Ti aiuto, se non tamponi subito il naso con del ghiaccio diventerà una patata...» rispose la novizia, dopo aver creato dal nulla un cubetto di ghiaccio e averlo ricoperto con una delle garze disinfettate. Glielo poggiò inavvertitamente in faccia, laddove il sangue pesto nascondeva il setto dell'uomo oramai leggermente deviato da un colpo sferrato da lei stessa durante la battaglia. Sentiva ancora sul pugno la durezza dell'osso. Inoltre, guardandolo così dal basso, nonostante fosse perennemente serioso e in quel momento anche coperto di sangue, doveva ammettere che il Saint dei Gemelli aveva un fascino totalmente diverso dagli altri Gold Saint. Come se anche nel suo aspetto si notasse la sua contrapposizione tra bene e male, nonostante oramai fosse a tutti gli effetti un guerriero devoto alla giustizia.
«A cosa devo questa gentilezza?», continuò brusco lui, nonostante non si fosse rifiutato di avere quel momentaneo sollievo dettato dal frettoloso rimedio contro il gonfiore.
«Beh, sono stata io a colpirti...»
«Tzè, di colpi come questi noi Saint ne riceviamo a migliaia e nonostante tutto ci siamo sempre rialzati. E comunque non parliamone più»
«Fa male?»
Dopo alcuni secondi di silenzio Kanon si ritrovò a sbuffare d'impazienza, mentre Elena aveva iniziato a tamponare le ferite sul petto dell'uomo, che si irrigidì sotto il tocco fresco e bruciante del disinfettante.
«Ti ho già detto che la tolleranza di un Saint va ben oltre questi colpi...»
Gli scoccò un'occhiataccia, volendo anche ricordargli chi era rimasto svenuto per una giornata intera sotto quegli stesi colpi, ma Elena si morse la lingua per poter portare avanti il discorso appena iniziato.
«Non mi riferisco al male fisico», prese una leggera pausa per vedere la sua reazione, ma lui oltre a osservarla dietro il fagotto appoggiato sul naso non disse nulla. «Intendo dire...aver riaperto vecchie ferite».
Come si era di certo aspettata, il Saint non le rispose. Si era solamente limitato a chiudere momentaneamente gli occhi, ma il battito accelerato del suo cuore lo tradì, proprio dove Elena stava in quel momento medicando.
«In ognuno di noi, Saint o uomo che sia, c'è una ferita che nessuno dovrebbe riaprire e penso che tu, più di chiunque altro, possa capirmi. Ma per spuntarla in battaglia, per ardere il nostro cosmo fino al limite estremo, abbiamo bisogno che la nostra mente e il nostro cuore sia libero. Per questo sto cercando di farti capire l'importanza di lasciarti addietro dolorosi ricordi, ma a quanto si è dimostrato quest'oggi, la scelta del Grande Sacerdote non è stata delle migliori», sorride amaramente e anche Elena abbassa leggermente gli occhi, prima di riportare l'attenzione al suo operato.
«O forse tuo fratello sperava che lo stesso insegnamento lo avresti affrontato anche tu stesso»
«Oramai...per espiare le mie colpe ho preso in pieno petto il Tridente di Nettuno al posto di Athena, volendo difendere colei che inizialmente aveva guidato i nostri cosmi; ho subito inerme quattordici Scarlet Needle di Milo; ho preso parte alla Guerra Sacra come Saint dei Gemelli, scendendo negli Inferi e sacrificandomi per sconfiggere uno dei tre giudici infernali. Gli Dei mi hanno di nuovo fatto grazia della vita, eppure i miei fantasmi sono ancora qui. Ma in fondo, senza le nostre esperienze chi saremmo? Probabilmente, se non avessi fatto quel che ho fatto adesso la Cloth dei Gemelli non avrebbe mai fasciato il mio corpo, riconoscendomi come suo legittimo custode. Però sì, fa male»
Questa volta fu Elena a irrigidirsi, ma non si fece fermare da quello strano discorso. Per la prima volta alzò i suoi occhi in quelli verdi e leggermente lucidi dell'uomo e di nuovo per la prima volta ci lesse qualcosa di così profondo che non riuscì a reggere ancora a lungo quel confronto.
«Era il dolore che mi ha mosso in battaglia in questi ultimi anni, anche se il mio giudizio era assai distorto. Non riuscirò mai a perdonarmi per quello che ho fatto, né tanto meno riuscirò a mettere da parte i dissapori che mi legano al Saint dell'Acquario», fece una breve pausa, poi continuò. «Ma prova a pensarci, se tu non amassi Camus, se non avessi arrestato il tuo colpo e non ti fossi data la colpa per la tua negligenza...dove saresti a quest'ora?»
Ma quella era una domanda a cui Ippolita stessa non riusciva ancora a trovare una risposta. Si limitò ad osservare il vigoroso petto di Gemini, scendendo a toccare le piccole punture oramai cicatrizzate dei colpi di Scorpio. Una dopo l'altra, in silenzio, sotto il respiro irregolare del Saint e del battito accelerato del suo cuore, come se unendo quei punti avesse finalmente trovato quelle risposte. Invece era solamente arrivata a sfiorare dolcemente la cicatrice più grande e più dolorosa di tutte. I tre solchi chiari del tridente si notavano perfettamente a contrasto con il tono di pelle del Saint. Ci passò più volte il dito indice, così rapita che la presa ferrea di Kanon sul suo polso la fece sussultare. Il volto di lui era tornato a essere una maschera di apatia e gli occhi che non molti minuti prima sembravano volerle regalare l'universo, adesso erano di nuovo freddi e taglienti.
«Ti do tempo fino all'alba per riposare, poi torneremo al Tempio. Non abbiamo più nulla da fare qui...», le disse solamente, spingendola a terra per alzarsi dalla sua posizione ed osservare un punto indefinito alla sua destra pur di non guardarla di nuovo negli occhi con l'intensità di un attimo prima.
«Ma...e il mio addestramento?», si lamentò lei, ma lui non si mosse minimamente a compassione.
«Non ho più nulla da insegnarti. Da questo momento, il tuo destino è unicamente nelle tue mani».
E dopo aver detto ciò, uscì dal ghiaccio della caverna lasciando Elena ancora scioccata da ciò che era appena successo.

 

 

°°°°°

 

 

Quella sera, come era consuetudine fare tra loro, Ecate tornò a Ponte Milvio e trovò l'uomo a cui aveva deciso di allearsi che guardava con un'espressione incredibilmente soddisfatta il tramonto che si affacciava sul fiume .
«Ah, puntuale come sempre!», la elogiò lui, senza neanche staccare i suoi occhi momentaneamente mortali sull'orizzonte.
«Solo per voi mio diletto...», gli rispose lei, aprendosi in un altrettanto sorriso soddisfatto. «Visto il tuo buon umore posso dedurre che hai saputo le buone notizie...»
«Sì, mia sorella è tornata al Tempio. Oramai non manca molto alla sua investitura. È tutto pronto per agire, anche i miei fedeli guerrieri hanno preso il loro posto nel Tempio dedicato a mia sorella», allargò ancora più le labbra in un sorriso soddisfatto.
«Mi complimento, hai limato ogni minimo particolare. Ma io sono appena arrivata a portarti le notizie che, a quanto pare sai già. Come...»
«Oh Ecate, ora che questo corpo inizia a rispondere al mio lato divino come si dovrebbe, non mi è stato difficile fare di nuovo affidamento su un bellissimo esemplare bianco di Barbagianni. Tu sai che è sempre stato uno dei miei animali sacri, non è vero? I suoi occhi sono stati i miei, ma non dispiacerti di questo mia preziosa Ecate, mi sei ancora molto importante!», le sorrise lui e lei si piegò appena in un lieve inchino.
«Ne sono lusingata! Ma rendimi ulteriormente partecipe dei tuoi piani, quale sarà adesso la nostra mossa?»
«Aspettiamo l'investitura di mia sorella, fino a quel momento continuiamo a rimanere nell'ombra. Ma, appena questo succederà, inizieremo a giocare. Dobbiamo svegliare mia sorella a tutti i costi, mi hai capito Ecate? Posso contare su di te?»
Finalmente gli occhi dell'umano Marco si posarono sulla Dea, che aveva momentaneamente preso l'aspetto di una comunissima e anonima ragazza di paese, e questa sorrise al suono di quelle parole.
«Non vedo l'ora mio diletto!»
«Ah, e vorrei che d'ora in poi tu mi chiamassi con il mio vero nome. Oramai mi sono completamente destato, il corpo di questo giovane appartiene a me!»
«Come volete, divino Ares... o, visto il posto in cui siamo, dovrei dire Marte, Dio della Guerra!»
«Risentire il mio nome dopo così tanto tempo è musica per le mie orecchie!»
In quel momento, la risata del Dio riecheggiò in tutto il vicinato.

Fine Capitolo 19

 

 

 

Colei che scrive:

Eccomi qua, non potevo lasciare indietro anche questa. Il capitolo non è lunghissimo, ma diciamo che è quasi di transizione per dire che...ora viene il bello ehehhe dopo 18 capitoli mi sembrava giusto dirvi chi era il misterioso Dio xD quanti lo avevano capito? Ma, soprattutto, chi sarà la misteriosa Dea da risvegliare in Elena/Ippolita? Vi terrò ancora un po' sulle spine, ora che ci sarà l'investitura della ragazza che, come sappiamo, dovrà battersi con qualcun altro per ottenerla ehehe :P Ce la farà?

Bene, detto questo ringrazio i miei fedeli recensori, come sempre un grazie speciale, i fidati lettori silenziosi e chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite!

Alla prossima!!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

 

 

«Cosa ti spinge fin quassù, Kanon?»
Furono le parole che Saga, in qualità di Grande Sacerdote, seduto sul suo trono dorato al fianco della divina Athena, ad essere rivolte al gemello, inginocchiato a poca distanza dalle alte cariche del Tempio. Tuttavia la voce dell'Ex Gemelli non era accusatoria, né alterata, trasportava solamente una leggera curiosità nel vederlo già di ritorno quando lui stesso, pochissimi giorni prima, lo aveva incaricato dell'addestramento di Elena.
«La cadetta è pronta...», rispose semplicemente il Saint della Terza casa, rimanendo inginocchiato sul pavimento di pietra senza guardare negli occhi nessuno dei due.
«Capisco», concluse il Pope, voltandosi poi verso Lady Saori. «Potete lasciarci soli un minuto? Ho bisogno di conferire con mio fratello. Non preoccupatevi di nulla divina Athena, riposate quanto volete»
«Certo». La ragazza sorrise stancamente, prova di quanto oramai il suo ruolo di divinità stancasse la sua parte umana. In più era sempre inquieta per via di Elena, e di alcuni Cosmi in movimento, troppo lontani per riuscire a identificarli. «Arrivederci Kanon», salutò poi il suo Saint.
«Arrivederci divina Athena!», rispose lui, reverenziale come sempre. Eppure in quel momento nessuno avrebbe mai detto che quell'uomo un tempo fosse stato malvagio e che avesse progettato di uccidere Saori Kido, reincarnazione della Dea in quell'era.
Quando la ragazza fu uscita dalla grande sala, il Sacerdote tornò a posare la sua attenzione al fratello, che nel frattempo si era issato dalla sua posizione e ne aveva assunta una eretta, che con la sua armatura dorata gli conferiva un aspetto incredibilmente fiero.
«Allora Kanon, sei tornato dall'Isola neanche tre giorni dopo la tua partenza e dichiari che la ragazza è pronta a combattere per l'investitura? Per tutti noi ci sono voluti anni...», cercò di iniziare un discorso razionale l'alta carica maschile del Tempio, ma il gemello lo bloccò seduta stante.
«Guerrieri ancora acerbi, ragazzini alle prime armi. Dimentichi forse che questa cadetta è stata addestrata insieme a Camus? Sa picchiare duro, è risoluta e forte, non ho nulla da insegnarle di quello che già non sa...» rispose.
«Beh, considerando i segni che hai in faccia non fatico a credere che sia un osso duro...», sdrammatizzò Saga, incupendosi subito dopo. «Tuttavia vorrei essere sicuro che questa decisione sia venuta in seguito al fatto che quella ragazza sia veramente pronta e degna di indossare una fiera Cloth e non perché non sopporti di stare a contatto con gli altri, ben che meno con lei...Sappiamo entrambi quello che ancora ti porti dentro», finì per sorridere, cercando di rassicurare il fratello, ma lui continuava a tenere un'aria impassibile sul volto.
«Puoi stare tranquillo...», soffiò in risposta Kanon, ma Saga ovviamente non voleva demordere, non quando riusciva a fare una chiacchierata faccia a faccia con il suo gemello dopo così tanto tempo.
«Quindi, se non hai altro da dirmi, io farei ritorno alla mia Casa».
Mostrò un lieve accenno d'inchino voltando le spalle al Sacerdote che, rimanendo in silenzio, sembrò per un attimo che gli avesse dato il permesso di congedarsi.
Ma...
«Aspetta Kanon...», lo richiamò, scendendo alla sua altezza dall'altura del trono dorato. Tuttavia il chiamato in causa continuò a dargli le spalle, col mantello candido dell'armatura che svolazzava in seguito al brusco movimento e l'elmo della Cloth stretto sotto braccio.
«Ti ricorda lei, non è vero?», gli domandò dolcemente, volendo appoggiargli una mano sulla spalla ma evitando di farlo per non inquietare suo fratello più di così. Saga sentiva ciò che Kanon continuava a portarsi dentro, il rancore verso sé stesso e i fantasmi che albergavano ancora nel suo cuore oramai devoto alla giustizia. Ma un passato del genere avrebbe lasciato cicatrici dentro chiunque e, nonostante non lo avesse mai dato a vedere, l'ormai attuale Saint dei Gemelli era sempre stato più emotivamente “fragile” rispetto a lui. La bontà di Saga e la luce che irradiava bastava per entrambi, almeno finché il destino non li divise.
Rimasero ancora qualche secondo in silenzio, ma nonostante non dicesse nulla, Kanon aveva stretto ancora di più la presa sul suo elmo e, nonostante fosse di spalle, il Pope sapeva che oltre a quello aveva stretto anche la mascella. Oramai lo conosceva fin troppo bene, perché erano le sue stesse reazioni. Per quanto volevano essere diversi l'uno dall'altro, alcune sfumature dei loro caratteri si eguagliavano perfettamente.
Ma la calma di Kanon lo spaventò non poco.
«C'è una abisso di differenza tra lei e Galatea, non possono essere messe a confronto. Forse solo l'audacia e il coraggio dimostrato, ma quello è un punto di forza di ogni Saint. Ognuno di noi possiede queste capacità, o non saremmo a difesa della nostra Dea. E ora, da comune Saint, chiedo il permesso di tornare nella mia casa» rispose atono, e per quanto l'ex Saint avesse voluto fargli penare la risposta, sbuffò semplicemente un «permesso accordato»

 

°°°°°°°°°°°°°°°

 

Elena se ne stava seduta sull'uscio della Casa dei Gemelli, sulla fredda e secolare pietra bianca che caratterizzava tutto il Tempio. Era da poco passata l'alba e se ne stava stancamente addossata alla parete con la testa rivolta verso l'alto, cercando di guardare un punto indefinito dell'orizzonte per riordinare i pensieri. Oramai era giunto per lei il momento che tanto aveva desiderato fin dalla tenera età, e cioè conquistare un posto come guerriero a difesa della Dea Atena, reincarnata in una giovane donna. Anche se oramai non poteva più sperare di conquistare una Cloth dorata, era sicura di sé stessa e di riuscire a guadagnarsi una qualsiasi armatura con solo la sua forza di volontà. Erano trascorsi troppi anni dal primo addestramento, molti dei quali passati ad addossarsi la colpa dei suoi fallimenti. La colpa di amare un ormai compagno di battaglia. Ma, dallo scontro avuto sull'isola di Kanon con il Saint dei Gemelli, aveva capito che oramai non c'era più posto per determinati sentimenti, a meno che non volesse fallire di nuovo e quello era per lei fuori discussione. Non c'era più posto per Camus nel suo cuore, non ora che incombeva su di lei la battaglia più importante della sua vita. Inoltre, durante il poco tempo passato su quell'atroce isola insieme al suo attuale maestro, si era stranamente avvicinata a lui, nonostante non fosse un uomo di molte parole o metodi gentili. Ma aveva sentito una certa affinità con quel Saint. Era riuscita a sentire la sofferenza che albergava nel suo cuore sotto i suoi colpi, conseguenza di un impeto d'ira, così come i suoi. Si erano lasciati entrambi trasportare dai sentimenti e da vecchie ferite, eppure, nonostante sul suo corpo ancora portasse i segni di quella battaglia, non riusciva ad avercela con lui. Nel breve tempo che aveva passato inginocchiata davanti a lui, a medicagli le ferite sul petto nudo, aveva potuto ascoltare il battito accelerato del suo cuore, ed era riuscita a scorgere un mondo celato dentro i suoi occhi. In fondo, non si dice siano lo specchio dell'anima? E l'anima di Kanon non era così nera come lui stesso continuava ad ammettere.
Ma c'era una cosa che le premeva più di tutte. Più dell'investitura...Come le era stato intimato non molto tempo prima, nonostante l'insegnamento fosse venuto da una persona che non era riuscita a lasciarsi tutto alle spalle, doveva chiudere un capitolo della sua vita rimasto aperto per troppo tempo.
Doveva lasciarsi Camus alle spalle e adesso non vedeva la cosa così drastica come prima. Dopo aver subito il Genro Mao Ken di Gemini in un momento delicato della sua vita aveva capito cosa fare.
La Cloth, la battaglia, la giustizia, erano sicuramente più importanti di un torto subito per la sua negligenza e più dell'amore che provava per il Saint delle energie fredde. E, nonostante la loro affinità, le parole di Camus di qualche tempo prima ancora risuonavano nella sua mente, accentuate dal ricordo del colpo segreto dei Gemelli.
Ma, con un sorriso rivolto al cielo, riconobbe di non avere nessun tipo di rimpianto.
Era il momento decisivo per riuscire a prendere in mano le redini del suo destino e nessuno, neanche Ecate sarebbe riuscita a sconvolgerlo più di tanto. Oramai l'incontro con quella Dea era un ricordo lontano e non sentì neanche il bisogno di dirlo alla Dea Athena o al Sacerdote, convinta di non doverla incontrare mai più. Non all'interno delle mura del Tempio, comunque...
Così, rialzandosi di scatto percorse tutte le scale delle Case che la dividevano dall'Undicesima, dimora del Saint dell'Acquario e, risoluta come aveva imparato ad essere, entrò nel gelido uscio di quella dimora.
Fin da subito poté tirare un sospiro di sollievo, in fondo anche il suo Cosmo era devoto alle energie fredde e dopo quei giorni passati a soffrire il caldo soffocante del vulcano dell'isola, quel fresco siberiano era un toccasana per il suo fisico.
«Camus!», chiamò senza tante cerimonie, convinta di vederlo arrivare con la sua camminata regale e la compostezza che aveva sempre ostentato verso tutti. E infatti arrivò non molto tempo dopo, vestito con i suoi abiti civili: una maglia azzurra e i pantaloni scuri che finivano sulla caviglia con degli scaldamuscoli. Aveva i capelli legati con un cordino provvisorio e, nonostante avesse gli occhi azzurri puntati su di lei, dietro una montatura di occhiali chiari, teneva in mano uno spesso tomo che sembrava molto antico.
«Sì? C'è qualche problema, Elena?» rispose, pacato e calmo come suo solito, anche se il suo tono di voce trasportava una certa nota di stizza. Probabilmente lo aveva disturbato dalla sua importante lettura. Tuttavia, la ragazza non aveva intenzione di trattenerlo a lungo.
«Nessun problema Acquario, ti ruberò solamente pochi secondi del tuo prezioso tempo» continuò lei, schietta. «Sono appena tornata dal mio apprendistato e, che tu ci creda o no, ho capito finalmente come lasciarmi addietro tutti i nostri dissapori. So cos'è successo tra te e Kanon, me ne dispiaccio per questa perdita, e ora probabilmente capisco anche il tuo carattere freddo e a tratti insensibile», fece una breve pausa, osservandolo più meticolosamente. Lui non disse nulla, strinse la mascella e sollevò leggermente un sopracciglio. Ma, oltre questo, non proferì parola.
«Ma non mi interessa. Guardami così adesso Camus, perché la prossima volta che mi incontrerai io indosserò fiera una Cloth!»
Si scrutarono negli occhi per qualche secondo, senza che nessuno dei due osasse dire nulla. Per tutto quello che dovevano dirsi non c'erano bisogno di parole. E Camus in fondo non stentò a credere che quel che aveva appena detto la sua ex compagna d'addestramento fosse la verità. Era sempre stata risoluta. Negli anni passati aveva perso la sua bussola, ma evidentemente qualcuno era riuscito a restituirgliela.
E non era stato lui.
Ma, nonostante questo, non se ne dispiacque.
«Sono felice che il Saint dei Gemelli sia riuscito a insegnarti qualcosa più di me...», disse solamente, ma il suo tono non era accusatorio né rancoroso. Non stava sorridendo, ma Elena lo conosceva troppo bene per non accorgersi di quanto fosse divertito.
E infierì benevolmente. In fondo adesso riusciva a parlare tranquillamente con lui come se fosse solamente un vecchio amico, e ciò non era poi del tutto sbagliato. Sentiva ancora una certa attrazione verso quest'uomo, soprattutto dopo essersi concessa a lui, ma quello era acqua passata. I colpi che Kanon le aveva inferto facevano ancora male e le ricordavano quale fosse d'ora in avanti il suo compito e il suo dovere.
Doveva combattere per sé stessa e la giustizia!
«O forse sei tu che fai pena come maestro...», gli riferì schietta, ma in fondo era anche divertita e lui lo notò dal sorriso sulle sue labbra.
«O tu come allieva...Ho addestrato egregiamente il Saint del Cigno e non mi sembra di aver fatto un cattivo lavoro. O forse avevi bisogno di qualcuno che ti fosse affine...», rispose lui, continuando ad osservarla, ma lei non abbassò gli occhi neanche per un secondo, come invece aveva sempre fatto.
«Elena?», la richiamò lui, annullando la distanza che c'era tra loro. La sovrastava in altezza, ma lei non si sentiva in soggezione sotto quei centimetri in più e quelle iridi così simili al colore del ghiaccio della sua terra. Continuò a sorridere soddisfatta, osservandole come mai era riuscita a fare, nemmeno negli anni passati.
«In bocca al lupo», le disse solamente, e senza neanche aspettare una risposta fece frusciare i suoi lunghi capelli e sparì nella semi oscurità della sua casa, lasciando sola Elena sull'uscio, con un sorriso riconoscente sul volto.
Era il suo modo brusco di augurarle di conquistare ciò che lui lei aveva “sottratto”.

 

°°°°°

 

Il giorno della battaglia, circa una settimana dopo gli eventi trascorsi, Elena si ritrovò a scendere nell'arena accompagnata da Kanon, il suo attuale maestro. Lui le camminava accanto con sguardo risoluto, osservando le altre due figure che stavano andando loro incontro.
La cadetta sua avversaria era un'allieva di Aphrodite, considerato uno dei più subdoli tra i guerrieri a difesa del Tempio. Sua era l'ultima scalinata prima di approdare alle stanze di Athena, che poteva trasformarsi un un letale campo di rose. Rose apparentemente meravigliose ma che celavano in esse tutto il loro infido potere, esattamente come l'uomo dall'aspetto così angelico ma dal sorriso maledettamente malefico.
Così era la donna che l'accompagnava. Aveva un'aria così sicura di sé che nessuno avrebbe dato Elena come vittoriosa, ma lei non era minimamente agitata. Sapeva che Camus la stava osservando dagli spalti dell'arena e quando voltò leggermente lo sguardo poté notare la sua lucente armatura accanto al Grande Sacerdote e Athena, nel girone più alto di tutti. Le gerarchie del Tempio venivano rispettate anche dagli spettatori. A Kanon ed Aphrodite invece spettava un posto vicino alle loro sottoposte, per osservare meglio l'andamento dell'incontro.
Il Pandora Box della Cloth di Bronzo della Bussola era posta accanto a Saori Kido, che se ne stava seduta regalmente reggendo il suo immancabile scettro.
Quando tutto fu pronto per la battaglia, i due Gold Saint, vestiti del loro oro sacro, presero posto lontano dal campo e il Grande Sacerdote, dopo alcuni secondi in cui tutti rimasero in trepidante attesa, dette il via all'incontro.
Entrambe le ragazze continuarono a scrutarsi a vicenda, cercando di cogliere l'attimo perfetto per attaccare, ma nessuna delle due aveva intenzione di cedere. Continuarono a incrociare i passi a debita distanza, fino a ché non fu la sottoposta dei Pesci ad attaccare per prima, probabilmente annoiata dalla situazione. Tuttavia Elena non si fece trovare impreparata. Iniziò a schivare tutti gli attacchi della donna, indisponendola.
«Reagisci maledetta!», le inveì contro, anche se la sua voce era incredibilmente controllata.
«Lo sto facendo!», rispose la nostra protagonista, colpendo l'altra al petto senza nessuna esitazione ed allontanandosi prima che potesse contrattaccare.
Per un breve momento sembrò che la vittoria pendesse verso Elena, e anche nell'espressione sempre seria di Kanon si poté notare una certa nota di soddisfazione. Ma bastò uno sguardo dell'avversaria al suo maestro per ribaltare la situazione. Probabilmente, solo con quegli occhi azzurri così taglienti, il Cavaliere dei Pesci era riuscito a infondere di nuovo nella sua allieva il vigore perduto. O forse sapeva cosa le sarebbe aspettato se non fosse riuscita a vincere, chissà... In fondo il Saint della Dodicesima casa era pericoloso con il suo modo di combattere. Riusciva a uccidere i suoi avversari senza neanche sporcarsi le sue delicate mani.
La situazione era di completa parità. Nessuna delle due voleva demordere. Elena era risoluta a vincere l'armatura che in quel momento le sovrastava. Voleva a tutti i costi diventare una Saint, cedere la sua vita alla giustizia e lasciarsi ancora più definitivamente addietro la perdita di quella dell'Acquario. Avrebbe dato fondo a tutte le energie pur di non commettere di nuovo lo stesso errore, non sotto gli occhi di Kanon e Camus. Già immaginava il volto deluso del suo maestro, quegli occhi verdi così sprezzanti prima di voltarle definitivamente le spalle. Poi c'erano quelli blu di Camus, che probabilmente avrebbero avuto una reazione simile. Non una parola avrebbero detto, sarebbe bastato solo uno sguardo.
E lei non poteva permetterselo. Non tanto per loro, ma per sé stessa. Per la soddisfazione personale di riuscire a concludere qualcosa in quella vita, dopo i dolorosi allenamenti nella sua adolescenza e quelli sull'Isola di Kanon, di cui ne portava ancora gli indelebili segni.
«Adesso basta, metterò fine a questo scontro!», gridò a pieni polmoni la sottoposta dei Gemelli, richiamando a sé tutto il suo rombante cosmo. L'aura che le avvolgeva il corpo sembrava polvere di ghiaccio e tutto attorno si fece incredibilmente freddo. Anche lo sguardo della sua avversaria, che forse iniziò seriamente ad avere paura.
Ma tutto successe in un lampo, senza che nessuno di loro riuscisse a capire come fosse potuto accadere un prodigio simile.
Di fronte a Ippolita giunse come una cometa una Cloth d'argento, brillante in tutto il suo splendore. Un'armatura che tutti i presenti credevano perduta. Un'armatura che, dopo la morte della “padrona”, si era staccata dalle sue membra prive di vita ed era volata lontano, dove nessuno era più riuscito a trovarla, neanche il Grande Sacerdote.
«Non è possibile!!». Furono queste le dolorose parole di Kanon, soffiate a poca distanza dalla sua allieva, mentre la Cloth si disponeva perfettamente sul corpo della nuova Saint. Lo sguardo allarmato di Gemini raggiunse anche Saga, che lo osservò dalla sua altura con un'espressione quasi rassegnata.
“Tu lo sapevi...”. Grazie al suo cosmo, i pensieri altrettanto sofferenti del Saint della Terza Casa arrivarono alla mente del gemello, che abbassò gli occhi per un breve attimo.
“Era il suo destino Kanon, le stelle non sbagliano mai...”
«Lo scontro termina qua!»
Furono le soavi parole di Athena, dopo essersi alzata in piedi, a riportare la quiete nell'arena. Tutti si voltarono ad osservarla, comprese le due sfidanti.
«Dichiaro ufficialmente che: la sottoposta di Aphrodite è la nuova Bronze Saint della Bussola», iniziò, mente un boato di ovazione da parte di quelli che stavano dalla sua parte scoppiò in tutto il santo luogo.
«Mentre la sottoposta di Kanon, sarà la nuova Silver Saint della Corona Boreale».
Anche qui uno scoppio di approvazione provenne da molti Saint che avevano assistito allo scontro. Ma lo sguardo di Elena raggiunse solamente quello del suo maestro, a poca distanza da lei, che la stava osservando con un'espressione puramente indecifrabile.

Fine capitolo 20

 

°°°°°°°

 

Colei che scrive:

Ma salve a tutti e ben ritrovati! Questa volta non ho fatto passare troppo tempo, dai! XD
Che dire, stiamo arrivando al clou della storia (dopo 20 capitoli è il minimo, avete ragione T.T xD).
Spero vi sia piaciuto questo piccolo colpo di scena, anche se probabilmente era prevedibile :P e ora dobbiamo aspettarci una mossa di Marte/Ares ed Ecate, chissà cosa faranno? Chissà se ci sarà un avvicinamento di Elena e Kanon...A proposito, lo vorreste? Cerco di interagire coi miei lettori per capire cosa cercano nella mia fic <3 quindi avanti, fatemi sapere :P
Come sempre ringrazio i recensori, le persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e tutti i lettori silenziosi che attendono un mio aggiornamento!
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

 

 

 

Kanon non riusciva a credere ai suoi occhi e al fatto che, di fronte a lui, la sua allieva stesse vestendo la Cloth che un tempo era appartenuta a Galatea. Osservare quella ragazza con indosso quelle sacre vestigia era una scena troppo pesante per lui, tanto che non aspettò neanche che Athena finisse di parlare, e durante l'applauso dei presenti si dileguò tra la folla sotto gli occhi sgomenti di Elena e lo sguardo preoccupato di suo fratello.
Aveva ancora di fronte a sé il volto della ragazza amata e l'espressione sempre spensierata che caratterizzava il suo viso. Credeva di essere riuscito a superare almeno in parte il dolore, ma sapeva per certo che non era così. E ciò che era successo con la sua sottoposta sull'Isola di Kanon ne era la prova schiacciante.
Eppure, nonostante sapesse che Ippolita non era Galatea e che neanche potevano essere messe in comparazione, osservare l'argento di quell'armatura lo rendeva inquieto e fin troppo pensieroso.
L'armatura era andata perduta dopo la morte del precedente possessore, eppure si era materializzata per Elena quando ha dato prova della potenza del suo cosmo.
Esattamente come aveva fatto in precedenza.
Probabilmente era una peculiarità di quella Cloth proveniente dai ghiacci siberiani*, e chi più di Elena poteva meritarsela in quell'epoca?
Ma in quel momento al Saint dei Gemelli non interessava. Non interessava “festeggiare” con lei, avere i complimenti da suo fratello per il lavoro svolto sul discusso addestramento della ragazza e non aveva voglia di ascoltare il discorso della sua amata Dea.
Solo. Voleva rimanere solo e questo fece, chiudendosi nelle stanze private della sua casa.
Si distese composto sul letto e rimase a fissare il soffitto in funereo silenzio, mentre nella mente ripercorreva la sua vita in loop, quasi fosse un film, quasi volesse auto infliggersi di nuovo una punizione.

 

 

Intanto, nell'arena, la neo Saint della Corona Boreale era rimasta incredula dalla velocità in cui erano avvenuti gli ultimi risvolti. Era rimasta imbambolata al centro dell'area dove, solo pochi minuti prima aveva gareggiato per la conquista di un'altra armatura, ora indosso alla sua ex avversaria. Non le aveva rivolto che un sorriso sprezzante comunque, nessun complimento. Neanche da parte di Aprhodite, che l'aveva squadrata da testa a piedi con un sorrisetto che trasportava quasi una spiccata dose di asprezza, come se a lui non fosse andato a genio ciò che aveva appena vissuto.
Eppure, in mezzo a quel tripudio di gente che la stava osservando dalle scalinate, compresi Camus, il Grande Sacerdote e la Dea Athena, avrebbe solo voluto essere insieme al suo nuovo maestro. Forse lui avrebbe saputo cosa fare in quel momento, l'avrebbe condotta nella sue stanze, oppure al riparo da tutti quegli sguardi interessati e increduli. Invece lui era stato il primo ad andarsene, senza neanche aspettare che la Dea finisse il suo discorso.
Discorso per giunta, che neanche lei aveva ascoltato. Notò solamente quando fu finito, perché sentì gli applausi di gloria dei presenti, che incitavano le due nuove guerriere del Tempio. Due nuove sacerdotesse che avrebbero dovuto lasciarsi addietro la loro vecchia vita, i loro dissapori e tutto ciò che c'era stato prima dell'investitura.
Ma Elena, nonostante avesse pensato per un attimo di esserci riuscita, in quel momento non ne era più di tanto convinta.
Solamente quando vide tutti i presenti allontanarsi dal luogo riuscì a capire che era tutto finito. Il non avere tutti gli occhi puntati addosso la tranquillizzò subito e riuscì a godersi a pieno il fatto di essere finalmente, dopo tantissimi anni, riuscita a diventare un Saint. Certo, non indossava la fiera armatura d'oro dell'Acquario, ma si sentiva realizzata comunque. Essere riuscita a superare sé stessa, a conquistare l'armatura perduta - anche se ancora doveva capire il perché fosse apparsa proprio a lei - , poter dire finalmente di appartenere ad un posto, di aver trovato una casa e una causa per cui combattere la rendeva fiera, e anche un po' stanca dopo tutto. Non vedeva l'ora di ammirare la Cloth nel suo Pandora Box, seduta sul suo letto e avvolta in un caldo accappatoio dopo una bella doccia rilassante. Era da quando era partita con Kanon pochi giorni prima che non era riuscita a fare una doccia a modo e il suo corpo stanco e sporco dopo il combattimento lo richiedeva. In più aveva intenzione di incontrare il suo maestro il prima possibile, per capire il perché avesse abbandonato così repentinamente l'arena.
Quando finalmente rimase sola, ad ascoltare solamente il fruscio del vento che spostava i piccoli sassolini di pietra bianca del selciato, poté finalmente prendere la via delle dodici case, salendo alla svelta le scalinate della prima e della seconda casa, apparentemente vuote.
Anche la terza lo sembrava, ma si fermò d'improvviso sull'uscio, cercando di captare anche il minimo rumore che le facesse intendere che il suo inquilino fosse realmente in casa. E in quel momento anche la tanto bramata doccia era passata in secondo piano.
Chiuse gli occhi, affinando l'udito, e finalmente riuscì a cogliere una presenza nelle stanze private del Tempio, anche se apparentemente non sembrava essere Kanon.
Incuriosita corse fino alla sua meta, aprendo cautamente la porta, fino a trovarsi di fronte un'ancella intenta a rifare il letto lasciato sfatto dall'uomo chissà quanto tempo prima. In più sembrava giovane, forse appena maggiorenne, vestita con un semplice peplo bianco appartenente alla gerarchia più bassa del luogo.
«Oh, scusatemi, non vi ho sentito entrare», iniziò la ragazza, accennando un inchino come si conveniva ad un Saint. Inoltre, non aspettandosi l'incursione di qualcuno, la povera inserviente era saltata al rumore della porta che si apriva.
«Oh, non preoccuparti. Sto cercando il mio maestro, Kanon», rispose Elena, spostando lo sguardo in tutti gli angoli della stanza.
«Purtroppo non è qua, è uscito ma non ha detto dove fosse diretto», piegò la testa l'ancella con sguardo curioso e la Saint non indugiò oltre. Se Kanon non era nella sua casa non aveva interesse a rimanerci, oltretutto in compagnia della sua ancella...
«Grazie», ringraziò semplicemente, richiudendosi repentinamente la porta alle spalle e ripercorrendo a ritroso la via che aveva appena percorso. Probabilmente era salito fino alla Tredicesima Casa, magari convocato da suo fratello o dalla Dea Athena, ma qualcosa le diceva che invece era proprio uscito dal Tempio.
Tornò al centro dell'arena, cercando di rilassare i sensi chiudendo gli occhi e concentrandosi per cercare il cosmo di Kanon, anche se in quel momento sembrava sparito nel nulla.
O forse troppo lontano per essere intercettato.
Lontano, ma non per i sensi di un'armatura, perché fu proprio la Cloth della Corona Boreale a rifulgere di un bagliore argentato, conducendola fino a quella dei Gemelli, probabilmente indossata in quel momento dal suo maestro.
Decise così di seguire il suo volere.

 

 

°°°°°°°°°°°

 

Il pugno di Saga era arrivato senza che lui se ne accorgesse, proprio mentre era intento a ridere di gusto per il suo oscuro piano. La sua stessa risata ancora risuonava nelle sue orecchie mentre pian piano riprendeva i sensi. Lo aveva accompagnato solo il buio, e la sensazione di oscillazione probabilmente dovuta alla sconveniente posizione.Quando aprì gli occhi si ritrovò seduto su una roccia, bagnato fino al bacino e all'interno di una caverna, chiusa da sbarre. Non seppe dire come ci fosse arrivato, ma tirando le somme doveva avercelo portato suo fratello mentre era svenuto. Non aveva fatto i conti con la parte buona che ancora albergava nel suo cuore. Era sicuro di aver visto un'ombra oscura, ma la bontà del suo animo impediva all'altra di uscire allo scoperto.
Ma c'era, Kanon lo sentiva...e ne gioiva! Non era stato molto attento, aveva abbassato le sue difese per pavoneggiarsi dei suoi subdoli piani, sperando di trascinare nell'oscurità anche lui, ma in fondo era di fronte a un sacro guerriero di Athena, uno dei dodici Saint più forti a disposizione del Tempio. Se non il più forte.
In ogni caso non si perse d'animo Kanon, nonostante oramai non avesse più nessuna via d'uscita. Era stato condannato dal sangue del suo sangue, ma non gliene stava facendo una colpa. Anzi...
Si alzò in piedi appena il suo corpo glielo permise, avvicinandosi alle sbarre della prigione e guardando con espressione sghignazzante il fratello.
Si guardarono negli occhi per un istante e, per un momento riuscì a vedere anche il demone sopito nel cuore del Saint dei Gemelli.
E rise della sventura che stava per capitargli e continuò a farlo, accompagnando con una sonora risata tutta la risalita del Saint sulla scalinata, fino a che non vide l'ultimo pezzo del suo mantello svolazzante svoltare l'angolo, e allora rimase solo con la sua solitudine. Ma anche in quel momento non si perse d'animo.
Continuò per tutto il giorno a stare attaccato alle sbarre di ferro oramai corrose dall'acqua. Avevano un aspetto così vecchio che, per del ferro così arrugginito sarebbe bastato un colpo ben assestato per mandarle in frantumi. Ma Kanon, per quanto ci avesse provato, non era riuscito a incrinare una sola sbarra della prigione.
Così, con un sospiro, si lasciò cullare dall'acqua salata, fino a che l'alta marea non giunse fino al pelo del soffitto di roccia, lasciando all'uomo solo un misero spazio per respirare.
Prendeva fiato e si lasciava cadere a peso morto nell'acqua, lasciandosi tirare giù cullato dalle correnti. Poi risaliva a prendere fiato, e poi di nuovo giù.
Continuò così per tutta la notte, aspettando il giorno per avere la tregua della bassa marea.
Per poi riprendere a lottare tra la vita e la morte la notte seguente.
E via così, per tre giorni*...

 

 

Ed eccolo di nuovo lì, tra le stesse acque che lo avevano tenuto prigioniero circa quindici anni prima, solo che adesso indossava fiero la Gold Cloth dei Gemelli.
L'acqua rifletteva sulla liscia superficie dorata dell'armatura, mentre Kanon sedeva composto sullo stesso spuntone di roccia in cui era finito in passato e osservava il punto in cui aveva fatto crollare la parete e trovato il tridente di Poseidone. Ma non aveva intenzione di tornare in quel Tempio sottomarino, adesso semi distrutto dopo la battaglia.
In realtà non sapeva nemmeno lui perché continuasse a rimanere immobile nel luogo che, più di tutti, avrebbe voluto dimenticare. Avrebbe facilmente dimenticato quella parte della sua vita, nonostante fosse anche grazie ai bagagli di esperienze malvagie che poteva vantarsi di essere il guerriero che era.
Ma c'era sempre quel maledetto passato a tormentarlo e finalmente aveva capito cosa lo tormentasse ancora.
Galatea non c'era più, era morta in battaglia come tanti altri Saint prima di lei. I Saint, purtroppo, muoiono in nome di Athena e della pace, e lei non avrebbe fatto eccezione. Era morta da sacra guerriera d'argento, accanto a uno dei guerrieri più forti del Santuario.
No, non era stata la morte della donna amata a sconvolgerlo così tanto, ma il fatto che fosse morta senza avergli dato spiegazioni. O una risposta. Senza sapere chi avesse scelto tra lui e Camus. Il fatto che fosse morta tra le braccia di lui, e non le sue, perché lui non era un Saint.
Mentre adesso, l'oro dell'armatura che aveva tanto bramato era attanagliato al suo corpo e i suoi occhi verdi potevano vederne i dorati contorni rispecchiarsi nell'acqua nonostante la semi oscurità della caverna e questo lo rendeva fiero. Fiero delle scelte da lui compiute e del percorso fatto come Saint di Gemini. Era riuscito a non rivolgere più di tanto la sua attenzione a Camus, rimanendo fortemente “nascosto” nella sua casa e partecipando alle riunioni nella Tredicesima solo quando era Saga, o Athena, a convocarlo o a convocare l'intera schiera di Saint.
Era riuscito, anche in seguito alla “punizione” infertagli da Milo, a rimettersi sulla retta via, abbandonata molti anni prima.
Eppure, la sua pace interiore era stata scombussolata di nuovo da una donna. Una che, nonostante avesse in quei giorni mentito a suo fratello, somigliava a Galatea più di quanto ci tenesse ad ammettere. Aveva visto in lei la sua stessa forza, il suo stesso temperamento, la sua stessa audacia e la sua stessa testardaggine. Non era tanto l'aspetto fisico ad accomunarle, quanto quel suo carattere autoritario.
E ora, ad accomunarla ancora di più alla donna perduta, c'era la Cloth che tutti, nel Tempio, credevano perduta. Aveva ancora tante domande nel cuore e nessuno che potesse rispondere.
Era tornato nel luogo in cui le sue malefatte avevano avuto inizio per espiare di nuovo delle colpe che credeva di possedere, ma oramai non c'era rimasto più nulla da espiare.
Solo da dimenticare.

 

 

«Kanon!»
Il richiamo di Elena echeggiò in tutto Capo Sounion, compresa la caverna nel quale si era “rintanato” l'uomo. Non era stato difficile per lei trovarlo, grazie al richiamo del suo cosmo e al legame tra allieva e maestro che ogni Saint crea*, anche se lieve. Aveva fatto appello a tutto il suo potere per intercettare quello del custode della terza casa, ma ce l'aveva fatta. E, in fondo, un po' se lo aspettava di trovarlo lì e anche i motivi che potevano avercelo spinto.
In ogni caso attese sullo spiazzo di roccia di fronte all'acqua che lui uscisse dalla semi oscurità della caverna e lo osservò sporgersi con le braccia conserte. Il vento gli smuoveva il mantello oramai fradicio e i capelli rimasti asciutti gli incorniciavano il viso. Le gocce dell'acqua salmastra invece rigavano il perfetto oro dell'armatura, che mandava bagliori dorati tutto attorno a sé.
Lo guardò per un attimo, godendo a pieno di quella visione. Aveva ancora il naso tumefatto, ma oltre quello la bellezza di quell'uomo era tutt'altra cosa rispetto a quella più delicata di Camus, l'unico fino a quel momento che l'avesse mai sconvolta tanto.
Eppure in quel momento, se lui le avesse chiesto di curargli le ferite che il suo cuore ancora portava lei lo avrebbe fatto...e inoltre oramai era certa di essere riuscita, in buona parte, ad aver curato le sue. Il Saint dell'Acquario era solo un ricordo. Meraviglioso, certo, ma solo un ricordo!
«Che ci fai qui?», le rispose lui dopo qualche secondo di silenzio, in cui anche lui aveva approfittato per osservarla. Anche lei aveva ancora i segni evidenti dello scontro avuto sull'Isola di Kanon, ma tutto passava sotto un altro piano di fronte all'armatura d'argento della Corona Boreale. In fondo era proprio quella che Kanon si era fermato ad osservare. Ricordava ogni dettaglio, ogni ornamento e ogni ombra che portava quella secolare Cloth. Rinvenne solamente quando vide la cascata di capelli castani sopra l'argento degli spallacci, così diversi da quelli di Galatea, e gli occhi verdi che lo osservavano con curiosità e ammonizione.
«Potrei farti la stessa domanda...», azzardò Elena, accorciando la distanza tra loro, raggiungendolo fin dentro la prigione e sotto l'espressione di pura disapprovazione di lui.
«Non sono affari tuoi», cercò invano di liquidarla. Non sapeva quanto poteva essere testarda la neo Saint.
«No, infatti, la tua vita non sono affari miei, ma quello che succede a me dovrebbe essere affar tuo. Come avresti dovuto, in qualità di mio maestro, assistere a tutta la mia investitura. Invece ti sei dileguato appena è giunta a me l'armatura che indosso. E poi ti trovo qua, nel posto in cui tutto è iniziato...non è vero?», si impettì portando le braccia conserte al petto, ma lui strinse la mascella cercando però di non mostrarsi colpito dalle sue parole. In fondo era un Gold Saint e non avrebbe voluto che la rabbia riprendesse di nuovo possesso del suo cuore, fino a spingerlo a colpirla come aveva fatto l'ultima volta.
«Avevo bisogno di riflettere, e in ogni caso non devo darti spiegazioni ragazzina...», asserì bruscamente e, per quanto la sua risposta non le fosse andata a genio, Elena rimase impassibile.
«Cosa c'è che ti impedisce di guardarmi?», assottigliò lo sguardo, notando come gli occhi verdi di Kanon vagassero dappertutto tranne che su di lei.
«Assolutamente nulla»
«Il tuo animo è inquieto...», sospirò lei, allentando un po' la rigidità della postura.
«Cosa te lo fa pensare?», le voltò le spalle facendo frusciare il mantello nell'acqua e portandosi fino a toccare con una mano la roccia al limitare della prigione, lisciandola col palmo della mano.
«L'ho sentito. È stato proprio il tuo cosmo, insieme alla mia armatura, a condurmi da te».
«La tua armatura?»
Si voltò di scatto, come se Elena avesse detto qualcosa di increscioso. Inoltre la sua reazione esagerata le fece inarcare un sopracciglio.
«Sì...probabilmente è entrata in risonanza con la tua...», inclinò leggermente la testa di lato, facendosi più inquisitrice in relazione all'espressione quasi sofferente di lui. In ogni caso stava cercando di sembrare serio, ma i leggeri cambi d'espressione non riusciva a nasconderli a degli occhi esperti come quelli di lei. In fondo, aveva passato tutta la vita a sopprimere i suoi di stati d'animo.
«Un caso...», tagliò corto, ma di certo la nuova Saint non demorse.
«Ah, un caso dici?», si portò due dita al mento con fare pensoso e non ci mise molto a fare due più due.
I dissapori con Camus per una donna, una Saint del Tempio, morta in battaglia lasciando molte questioni in sospeso. Lui che aveva così instaurato nel suo cuore l'oscurità in seguito alla disperazione della perdita, e della situazione. La sua armatura che era entrata in contatto con quella d'oro dei Gemelli e lui che non riusciva a guardare la Corona Boreale come avrebbe fatto un qualsiasi essere vivente su quella terra...
A meno che...
«Ma certo...», ridacchiò per essere riuscita ad arrivare alla conclusione, «quella ragazza, la ragazza che Camus e quella missione ti hanno portato via, la donna che hai amato, era la Saint della Corona Boreale, non è vero? È per questo che te ne sei andato prima. Per questo non mi guardi!»
Con un accenno di cosmo, Elena fa volare via la sua armatura, fino al Tredicesimo Tempio, in modo che non ci fossero ostacoli e distrazioni tra loro e per un momento le sembrò che Kanon avesse gradito il gesto.
Solo in quel momento si accorse di avere finalmente i suoi occhi incollati addosso, che osservavano con fare intimidatorio i suoi. Ma lei non aveva paura, era inoltre preparata a tutto, anche a una nuova disputa con il suo maestro. Ma l'uomo, per fortuna, non ne sembrava intenzionato.
Si osservarono per qualche minuto, in silenzio, rotto solamente dallo scrosciare delle onde sulla superficie rocciosa.
Fu Elena la prima a riprendere in mano la situazione, eliminando definitivamente la distanza che c'era tra loro. E inoltre lui, a differenza di quel che aveva pensato lei, non era minimamente arretrato.
Arrivò a pochi centimetri di distanza da lui e alzò leggermente la testa per guardarlo negli occhi. Era troppo alto per lei per poterlo guardare da pari a pari, ma non le stava importando. Non erano in un combattimento e poteva anche permettersi di restare “sottomessa” dall'altezza dell'uomo.
Poggiò solamente il palmo della mano destra sulla parte sinistra del pettorale dorato, all'altezza del cuore, che in ogni caso, per via dello spessore di quell'oro, non riusciva a captare. Ma sentiva il suo cosmo in subbuglio e le bastò solo questo per capire il suo stato d'animo.
«Sei stato un maestro impeccabile...hai saputo insegnarmi lo spirito di un Saint. Ho capito che dovevo pensare solo a me stessa e alla mia vita, cancellare Camus e ogni distrazione dal mio cuore, anche se abbiamo passato poco tempo sull'isola. Devo la mia investitura anche al mio vecchio maestro comunque...», iniziò lei, con voce lieve, addolcendo un po' il tono. Non era tempo di portare altri rancori.
«Eppure Kanon, i tuoi stessi insegnamenti non sei riuscito a seguirli tu stesso...», concluse, vedendolo alzare gli occhi al cielo con un grugnito.
«Tzè, anche tu ti ci metti a ribadire concetti già espressi da altre persone?», ribatté lui, leggermente sprezzante, ricordando le varie discussioni avute con suo fratello tra la terza casa e il tredicesimo Tempio, dimora del Grande Sacerdote.
«No, non mi voglio intromettere nel tuo passato. Come mi hai insegnato tu: il passato è passato, no? Per quanto fa male dovrebbe rimanere tale, anche se capisco quanto non sia facile, io ne sono la prova vivente...», rise amaramente e l'uomo si ritrovò a darle ragione con un piccolo sorrisetto divertito. «Prima di riuscire a riprendere in mano la mia vita, diventare quello per cui mi sono sempre formata, ho fatto passare troppi anni e dissapori. Come te. Eppure, forse, il nostro legame non è arrivato per caso. Il fatto che mi sia stato assegnato tu come maestro, forse fa parte di un destino alla quale non siamo a conoscenza...», fece spallucce Elena, ma Kanon rialzò gli occhi al cielo stringendo i pugni.
«O forse è colpa di un fratello fin troppo impiccione...», grugnì sottovoce. Ma in fondo Saga aveva cercato di redimere i suoi sbagli nella sua nuova vita, quella come guida del Tempio, cercando di essere per Kanon la figura del gemello amorevole che non era stato ai tempi. Anche l'Ex Gemelli, con suo dispiacere, aveva passato troppo tempo a pensare a sé stesso.
«E quindi cosa vorresti che faccia? Che mi dimentichi di tutto da un momento all'altro, quando non ci sono riuscito nemmeno passando al lato oscuro? Che magari guardi un'altra donna come guardavo lei? Sono un Saint ormai, un uomo a difesa della giustizia, un uomo che potrebbe morire in battaglia da un giorno all'altro. Non ho tempo per altri sentimentalismi. Il legame che c'era tra me e Galatea andava oltre l'amore...era un legame creato nel tempo, quando non ero ancora un Saint, quando ero ancora giovane e inesperto. Un legame fatto di fiducia reciproca...»
«Fiducia che lei ha distrutto...»
Le parole di Elena risuonarono brusche ma in ogni caso veritiere, e lo sapeva anche lui. Sentirsele dire dalla sua allieva invece non gli andò molto giù, ma non disse nulla. Sospirò leggermente, lasciando cadere di nuovo la conversazione.
Inoltre sentiva ancora il palmo della sua mano che aveva scaldato il freddo pettorale dorato della sua Cloth.
«Quindi cosa mi stai chiedendo di fare?», chiese, ma la sua voce uscì roca dalle sue labbra. Labbra che Elena si perse ad osservare.
«Sai come sono riuscita a lasciarmi addietro i sentimenti per Camus, nonostante avrà sempre un posto speciale nel mio cuore? In fondo ci conosciamo dai tempi dell'addestramento, quando era l'unico amico, confidente e conoscente, a parte il mio maestro. Ci davamo manforte nei momenti tristi e nei momenti faticosi. Mi sono auto inflitta punizioni su punizioni, rimanendo in Siberia per anni, dandomi la colpa dei miei insuccessi. Un po' come hai fatto tu. Ma tutto mi è sembrato diverso una volta avuto uno scopo. In fondo quello di diventare un Saint era lo scopo della mia vita, da quando il mio maestro mi prese con sé. Tornare a sperare di diventarlo ha messo in secondo piano tutto il resto. Questo Kanon ti sto chiedendo, in qualità di allieva o amica, o quel che ti pare...trova uno scopo, qualcosa per dimenticare il passato. Non so, una nuova missione, qualcosa che allontani la tua mente dai pensieri. In fondo siamo in un periodo di pace e c'è stato fin troppo tempo per pensare al passato».
«Dammelo tu uno scopo allora...»
Le parole di Kanon le risuonarono all'orecchio come una supplica e non fece altro che sgranare gli occhi dalla sorpresa. Tutto si sarebbe aspettata fuorché quello.
Spostò di nuovo gli occhi in quelli di lui, perdendosi in quelle iridi color smeraldo...così diverse da quelle color ghiaccio di Camus.

Fine capitolo 21

 

 

°°°

 

 

Colei che scrive:

Ma ben trovati in questo capitolo che, in tutta onestà, è stato per me un parto! L'ho scritto, cancellato, riscritto, rimodificato...insomma, una tragedia! Non sono neanche sicura di essere soddisfatta del risultato,questo ultimo periodo è stato talmente pieno che non ho avuto un attimo di pace T.T ma ce l'ho fatta a darvi l'aggiornamento senza far passare mesi U.U sto migliorando! E inoltre siamo entrati nella fase clou della storia (non manca nemmeno troppo alla fine xD). Secondo voi come reagirà Elena? E Kanon che farà? Eheheh, ci sarà un bacio? O forse no?
Mi sento come gli annunciatori dei trailer xD

Chiarisco al volo gli asterischi:

Per quanto riguarda la Cloth della Corona Boreale, ho scritto che proviene dalla Siberia, anche se non ne sono propriamente sicura, ma per esigenze di trama l'ho scritto così.

I giorni passati da Kanon nella prigione di Capo Sounion ricordo fossero tre, ma se ho sbagliato ditemelo pure (non vorrei fare figuracce ma dovrei riguardare gli episodi, perdono!! xD)

Il legame invece tra allievo e maestro me lo sono puramente inventato U.U anche questo per esigenze di trama ehehe ma in fondo, un po' di legami tra gli allievi e i maestri ci sono, dai! Guardare Sirio, Seiya....HYOGA! XD

E va bene, detto questo passo a ringraziare come sempre i recensori, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordare/seguite e tutti i lettori silenziosi che sono giunti fin qua e che continuano silenziosamente a seguire la storia!
Un saluto a tutti
alla prossima!!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

 

 

 

“Dammelo tu uno scopo allora”
Con queste parole che ancora le risuonavano nelle orecchie, Elena continuava a rigirarsi nel letto oramai del tutto sfatto. Sentiva ancora gli occhi di Kanon addosso e il suo cuore martellarle nel petto sotto quello sguardo, uno dei più intensi che lui le avesse mi riservato. Non era successo nulla dopo quella frase, a parte il guardarsi reciprocamente negli occhi, ma lui li aveva chiusi dopo qualche secondo e aveva sospirato come se nulla fosse, come per scacciare il pensiero di quei discorsi o per lasciarsi addietro le rimembranze del passato. Lei invece era rimasta ad osservarlo, rapita, quasi non fosse umano. Non si era aspettata una simile frase detta da lui, ma soprattutto non aveva idea di cosa dovesse fare per dargli uno scopo, non credeva di esserne in grado. Era una Saint, certo, per sempre la sua allieva testarda, ma per dare uno scopo nella vita di un suo superiore cosa avrebbe dovuto fare?
Era a quello che pensava nel silenzio della sua stanza. Ci era tornata dopo che, insieme al cavalieri dei Gemelli, avevano ripreso la risalita verso il Tempio e lo avevano fatto senza dire una parola. Lui le camminava davanti, con le spalle larghe ben dritte, come se non fosse successo nulla, mentre lei continuava ad osservare i suoi capelli oscillargli dietro la schiena, guardandolo camminare fiero e possente come lo aveva sempre visto. Si era fermato a salutarla solamente quando entrambi furono entrati nella casa che presidiava. Aveva accennato un piccolo sorriso, anche se somigliava più ad una sghemba smorfia, ma apprezzava il fatto che almeno ci avesse provato, ma non ci fu più nessun accenno ai precedenti discorsi. Ma lei non aveva neanche intenzione di ritornare a parlarne, così lo aveva salutato a sua volta e si era diretta nei suoi alloggi al tredicesimo Tempio.
Continuando a pensare e ripensare, era finita ad assopirsi quando la luce timida dell'alba già rischiarava l'oscurità della sua camera.

 

°°°°°°°°°°°°

 

Intanto, in un altro paese, due nostre conoscenze si erano appena incontrate in un bar del centro. Era una mattinata qualsiasi a Roma, e la vita scorreva come il solito con i soliti pendolari intenti a raggiungere le stazioni della metro e persone che inondavano i tipici bar della città.
Marco ed Ecate, trasformata in un'anonima ragazza vestita di un semplice tailleur di seta, erano seduti ad un tavolo ed osservavano scorrere la vita di fronte ai loro occhi. Ecate lo faceva in modo annoiato, sorseggiando di tanto in tanto il suo tea, mentre il ragazzo lo faceva mostrando una strana espressione schifata, il ché destò la curiosità della donna.
«Mio diletto, cosa ti turba?», iniziò con diplomazia, cercando di capire se ce l'avesse con una persona in particolare, ma gli occhi leggermente serrati di lui non sembravano posarsi su qualcuno in particolare.
«Nulla mia cara, stavo solo osservando questo popolo inferiore. Ma tra non molto, tutto questo sarà in mio potere, gli uomini riprenderanno a temere gli dei, a pregarci e rispettarci. In fondo, tra gli olimpi io ero il più temuto e rispettato anche dai miei simili. Forse è vero, non da tutti, ma quella insulsa dea che in questo momento se ne sta beatamente seduta sul suo scanno dorato al Tempio di Atene sarà la prima su cui si abbatterà la mia ira e i suoi cavalieri periranno sotto le mie armate, sotto di Lei...».
Le parole di Marco avevano un tono pungente e mentre le pronunciava si era voltato verso la Dea con una strana luce sinistra negli occhi chiari.
«Mi state dicendo che la ragazza è pronta?», commentò Ecate, beatamente soddisfatta.
«Non del tutto, ma tra non molto lo sarà. Lo hai visto anche tu, mia sorella si è guadagnata una Cloth, d'argento non di meno, e quindi gode della piena fiducia della Dea Athena», ridacchiò il dio, iniziando finalmente a sorseggiare il suo caffè latte.
«É la nuova Saint della Corona Boreale, la Cloth è arrivata a lei ma non era predestinata ad essa, concorreva per un'altra. Il destino si sta intromettendo fin troppo in questa storia, non credi? In fondo, quell'armatura è legata ad un Gold Saint, so quale sono i suoi trascorsi», gli rispose piccata Ecate, ammonendolo leggermente.
«Gli insulsi sentimentalismi di un uomo non mi interessano, e se riuscirò nel mio intento di svegliare la sorella dell'uomo che sto manovrando, ciò non sarà più un mio problema. Dobbiamo solo sperare che non si leghi troppo a quell'uomo, ma so anche io quali sono stati i suoi trascorsi. Mio zio si è fatto fregare da quell'insulso umano, per di più Cavaliere di quella sciocca di mia sorella, ma io non farò la sua stessa fine. Non diventerò l'inquilino di un'anfora!»
«Quindi, qual è la nostra prossima mossa?», ridacchiò la donna, iniziando pian piano a capire.
«Dobbiamo svegliare mia sorella, ma per farlo lei mi serve qui e, per tua fortuna, so già come fare», sorrise malamente il dio, alzandosi di scatto dalla sedia senza neanche aver consumato la sua bevanda.
«Non paghiamo il conto mio diletto?»
«Lascia loro qualche moneta sul tavolo. Queste bevande umane saziano il mio ricettacolo, ma in qualità di dio posso dire che non c'è nulla di meglio dell'ambrosia di prima qualità che avevamo sull'olimpo», mise la mani nelle tasche dei jeans che indossava e prese a camminare allontanandosi dal bar, con Ecate al suo fianco.
«Cammina senza dare troppo nell'occhio, ma ogni tanto espandi il tuo cosmo per pochi secondi e poi nascondilo di nuovo in modo da non farti scoprire. Dobbiamo fare in modo di insospettirli, i sensi sempre all'erta di Athena e la capacità del suo Sacerdote di leggere il destino nel firmamento non devono portarli a noi ma solo insospettirli, tanto da mandare qualcuno a controllare e se la fortuna ci arriderà, sarà proprio lei», comandò Marco senza neanche voltarsi nella sua direzione, mentre la donna si aprì in un sorrisetto soddisfatto.
«Vuoi riportarla a casa senza destare sospetti, ingegnoso»
«Voglio instaurare dubbi nel suo cuore. Voglio riportarla a casa, da dove viene. Voglio risvegliarla, nonostante sia ancora nel corpo della sorella di Marco, ma non è un caso in fondo se ci siamo destati nei corpi di questi due esseri umani, intensifica ancora di più il nostro rapporto»
«Ci riuscirete, e potrete sempre contare su di me!», accennò devota la dea.
«Sei un'ottima alleata Ecate. Insieme tu, mia sorella, i miei guerrieri ed io, Marte, dio della Guerra, riporterò Roma agli antichi splendori!»
Detto questo, soddisfatti e baldanzosi, i due dei si incamminarono senza meta per le vie della città, mentre ogni tanto la donna faceva rombare il suo cosmo, invisibile e impercettibile agli esseri umani che li circondavano, che ignari del pericolo a pochi passi da ognuno di loro, continuavano a condurre la loro vita di tutti i giorni.


 

°°°°°°°°°°°°°°°

 

Al Tempio di Atene, Saori Kido osservava mesta il cielo dallo Star Hill, luogo accessibile solo alla Dea e il suo sacerdote. Era inquieta, si vedeva dalla mano serrata in cui sorreggeva lo scettro di Nike, che quasi tremava sotto la sua stretta. Gli ultimi accenni di un cosmo sconosciuto, così velato da essere relativamente lontano ma anche così aggressivo da non passare inosservato, l'avevano turbata e insospettita. Nonostante fosse ancora giorno, era salita sull'altura delle stelle per cercare di leggere nel firmamento qualcosa in più che le semplici congetture alle quali stava pensando da ore. Non era ancora pronta ad indurre un consiglio con i suoi Gold Saint, non c'era motivo di allarmare i cavalieri a difesa delle Case dello Zodiaco, non prima di aver capito cosa stava succedendo; non sembrava che quell'ignota persona, o cavaliere, o dio, o chiunque fosse, fosse intenzionata a raggiungere il Santuario, bensì sembrava come se stesse appositamente cercando di farsi notare. E quel comportamento le era sembrato alquanto strano.
Aveva solamente convocato il suo più fidato consigliere, che arrivò sull'altura non molto tempo dopo di lei. Aveva raggiunto quel luogo mistico prima di lui, rimanendo appositamente da sola per riuscire a venire a capo di quelle intrigate congetture, e per non farsi sempre trovare impreparata negli incontri con l'uomo. I sui occhi verdi sembravano sempre scrutarla nel profondo e a volte, nonostante avesse le parole per spiegare alcuni concetti, la sua presenza la metteva sempre in soggezione. Non perché vedesse nel suo sguardo qualche accenno di malvagità passata, anzi, sembrava essere tornato il pacifico e benevolo uomo di un tempo. Ma proprio per questo la sua presenza le metteva soggezione, la meraviglia di quelle iridi smeraldine colpiva Saori fin nel profondo, ma l'Athena celata nel suo animo cercava sempre di ragguagliarla.
«Mi avete convocato mia signora?»
La voce di Saga la destò dall'ingarbugliato intrigo dei suoi pensieri, facendola leggermente sobbalzare. Era tanto presa ad osservare l'esteso azzurro del cielo che aveva abbassato la guardia, conscia del fatto che non l'avrebbe potuta disturbare nessuno se non lui.
Si voltò facendo frusciare il vestito sulle piastrelle di marmo del pavimento, con un'espressione tanto crucciata quanto dolce.
«Saga, sì, avvicinati»
L'uomo fece come gli era stato chiesto e si avvicinò tranquillamente alla sua dea, arrivandogli di fianco per osservare il suo profilo. Si era voltata di nuovo con il naso all'insù, per riprendere quello che stava facendo pochi secondi prima.
«Voleva parlarmi di questo Cosmo apparso da qualche ora, non è vero? Siamo quasi al tramonto, possiamo appellarci alle stelle, a meno che non ha qualche altra idea», propose l'uomo, alzando anch'egli gli occhi al cielo, ma sentì solamente la ragazza sospirare.
«Ero sicura che lo avresti notato. Probabilmente lo hanno sentito tutti al Tempio, ma non volevo dare un allarme quando neanche io so cosa sta succedendo. Volevo prima parlarne con te. É strana la modalità con il quale appare e scompare, non riesco a capire a chi possa appartenere. Perché lo fa con una cadenza quasi meccanica? Costa sta cercando di fare?»
La raffica di domande della dea non era finalizzata a trovare delle risposte ma a far capire all'altro il suo stato d'animo agitato, ed era sempre agitata quando non capiva qualcosa.
«Sono le stesse domande che tormentano anche me, ma forse non ci resta altro da fare che appellarci alle stelle, non trova? Solo così sapremo cosa fare», con fare diplomatico Saga cercò di rassicurare la ragazza. In fondo, nonostante fosse celato in lei un potere enorme, era pur sempre un essere umano, e l'ex Saint dei Gemelli notava quanta fragilità mostrasse in quel momento. Cercò di rassicurarla con un piccolo sorriso e lei si fece scaldare da esso dandogli fiducia e ragione. Rimasero entrambi ad attendere il tramonto sull'altura.

 

 

°°°°°°°°°°°°

 

 

Elena si svegliò di soprassalto nel tepore della sua stanza, confusa e leggermente stordita. Si passò una mano tra i capelli mentre voltava lo sguardo verso la finestra aperta, rimasta così probabilmente da tutto il giorno. In effetti ricordò di essersi addormentata con i primi raggi del sole, probabilmente l'alba di quel giorno appena concluso, e di aver dormito come un sasso per tutto il dì e sembrava anche che glielo avessero concesso senza minimamente provare a destarla. La porta della sua camera era sempre chiusa e non sentiva rumori dall'altra parte.
Si alzò dalle lenzuola con uno sbadiglio per andare a chiudere la finestra, nonostante fosse abituata a climi più rigidi. L'umidità che scendeva la sera le faceva venire i brividi sotto la leggera veste che indossava. Ma fu proprio quando si ritrovò di fronte agli infissi che sentì qualcosa. Fu un breve accenno, un aumento di cosmo così percettibile quanto fugace. Durò un secondo, un misero secondo in cui non riuscì a capire a chi appartenesse, solo a intuire la malvagità che trasportava, ma sembrava anche un richiamo. Ne fu attratta, anche se era sciocco dirlo, ed anche pericoloso.
Scosse la testa, convincendosi di averlo solo immaginato. In fondo sia era appena destata da una lunga dormita, la più lunga che avesse fatto negli ultimi anni, è possibile che la sua mente le avesse giocato un brutto tiro mancino. In fondo, se fosse stata una cosa di cui preoccuparsi, tutto il tempio sarebbe stato in uno stato di allarme generale e non sentiva movimenti preoccupanti fuori da quelle quattro mura. In fondo, il Tredicesimo Tempio era la dimora del Sacerdote e della Dea, se fossero stati in pericolo si sarebbero precipitati tutti a difesa delle massime carica del Tempio.
Scosse la testa per allontanare il pensiero e chiuse le imposte, tornando poi seduta sul letto a gambe incrociate a fissare il vuoto.
«Dannazione, ho dormito troppo...inizio a immaginare cose che non esistono!», disse a voce alta, anche se rivolta a sé stessa. Solitamente non parlava da sola, ma forse stava impazzendo per le troppe ore passate assopita. Inoltre si stava definitivamente svegliando del tutto e oramai, nonostante sembrasse già notte inoltrata, non aveva minimamente intenzione di coricarsi di nuovo e lasciar passare altre ore a rigirarsi tra le lenzuola sfatte in mancanza di sonno.
Decise così di vestirsi con la sua vecchia tuta di allenamento e uscire in punta di piedi dalla Tredicesima per recarsi nell'arena. Avrebbe dovuto scendere tutte e dodici le Case dei Gold Saint, ma sperò che a quell'ora fossero tutti tra le braccia di Morfeo.
Così, quando fu di fronte alla scalinata che separava la Casa di Athena da quella del Saint dei Pesci, prese una copiosa boccata d'aria e scese con gran foga tutti gli scalini di pietra bianca ben levigata, fino all'entrata contornata di Rose che Aphrodite curava ogni mattina. Percepiva la pericolosità di quel Saint, soprattutto dopo aver combattuto contro la sua allieva, ma finché non le si fosse palesato di fronte non ci sarebbero stati problemi.
Scese fino all'Undicesima, dove si soffermò ad ascoltare un qualche movimento che le facesse intendere che Camus fosse ancora sveglio, ma se così fosse stato, probabilmente il padrone di casa stava facendo di tutto per celare la sua presenza e a lei andò bene così. Era dall'ultima volta che aveva fatto “irruzione” in quella stessa casa che non gli rivolgeva parola, se non un lieve complimento per l'investitura, ma oltre quello non c'era più stato nessun tipo di approccio. E, in quel momento, pensò davvero che andasse bene così. In fondo sentiva di aver chiuso un capitolo importante della sua vita quando l'armatura, che troneggiava in piena vista nella sua stanza, aveva deciso di apparire a lei senza un valido motivo. Ancora doveva riuscire a capire l'intricato sentiero del suo destino, ma decise che per il momento le andava bene così. Era riuscita a diventare un Saint, e quello le bastava. Non importava quale fosse l'armatura e di che rango, benché un tempo avesse concorso addirittura per un'armatura d'oro, ma sentiva di essere cambiata, forse in meglio. Quello che lei chiamava destino le aveva dato una seconda possibilità, tormentata e difficile da portare a termine, ma ce l'aveva fatta e tutto quello grazie al più improbabile dei Gold Saint.
Volente o nolente, era a lui che doveva la sua tanto agognata investitura e sentiva di esserne attratta in qualche modo, ma se quello era solamente gratitudine o i trascorsi che l'uomo stesso aveva avuto col precedente possessore della sua armatura non sapeva ancora dirlo. Era qualcosa di diverso da quello che in passato aveva provato per Camus, qualcosa di nuovo e sconosciuto, qualcosa che per il momento non se la sentiva di esternare e che, forse, doveva restare semplicemente celato.
Ma fu proprio pensando a Kanon che si ritrovò sull'uscio della casa dei Gemelli senza che se ne fosse minimamente accorta. Aveva sceso sette Templi con fare meccanico, senza che la sua mente fosse connessa con il resto del corpo e si era “risvegliata” proprio nella Casa di colui alla quale stava pensando.
“Stavano dormendo tutti probabilmente, se nessuno di loro ha provato a fermarmi, quindi probabilmente dormirà anche lui”, provò a pensare e con quello spirito, nonostante la forte agitazione che inquietava il suo animo, camminò per arrivare dall'altra parte del corridoio.
Mentre camminava voltava lo sguardo a destra e sinistra, in un perfetto stato di agitazione, come qualcuno che si è appena macchiato le mani di un crimine atroce e stesse cercando di passare inosservato. Ma per quale motivo poi si sentisse così, proprio non riusciva a dirlo, voleva allontanarsi da lui ma anche rimanere. Si era addormentata con la sua voce che le risuonava nelle orecchie, in quella frase così strana detta dal suo tono quasi possente. Dovette ammettere che riusciva a tenere testa al Kanon guerriero, quello che non si era fatto scrupoli a lasciarla quasi perire nell'intento di risvegliare il potere sopito del suo cosmo, quello che non aveva avuto remore a colpirla in un impeto d'ira, ma non sapeva come comportarsi con un Kanon quasi...”umano”, fragile a tratti dopo quella strana rivelazione. L'aveva guardata con un'espressione supplichevole prima di richiudersi in sé stesso e far finta che non fosse successo nulla, e lei in quel momento cerò di fare lo stesso, avanzando quasi in punta di piedi nella sua Casa per “paura” di destarlo. Tuttavia ci era quasi riuscita. Era quasi sull'uscio opposto a quello in cui era appena entrata, pronta a scendere la scalinata che la separava dalla Casa del Toro, ma udì la voce del padrone di casa risuonare tra le mura di pietra.
«Chi va là», tuonò minaccioso, ma forse lo sarebbe stata anche lei se l'avessero disturbata a quell'ora tarda, anche se fu estremamente sicura di non aver fatto il benché minimo rumore. Ma non poteva certo scappare come una ladra ormai, tanto sarebbe dovuta comunque risalire per tornare nei suoi appartamenti. Prese un copioso respiro e si decise a rispondere proprio mentre sentiva i passi di Kanon andarle incontro.
«Sono Elena...», rispose cauta, osservandolo uscire dalla semi oscurità del corridoio che poteva alla camera da letto della Casa dei Gemelli.
Lui si fermò una volta raggiunto il corridoio principale, dove se ne stava eretta Elena, con un'espressione di una persona colta in flagrante sulla scena del crimine.
«Mi dispiace averti disturbato, non era mia intenzione, sono solo di passaggio», commentò in sua difesa, alzando lievemente le mani in segno di resa per cercare di fargli intendere che non si trovava lì per lui. Ma Gemini aggrottò leggermente un sopracciglio, lasciando però sul volto la sua tipica espressione seriosa.
«Ah, quindi sei viva!», asserì invece, portando le braccia conserte al petto e questa volta fu lei ad aggrottare le sopracciglia.
«Come?»
«Mi aspettavo di vederti nell'arena questa mattina, ma Saga mi ha detto che non ti ha vista uscire dalla tua stanza e soprattutto di non disturbarti perché avevi bisogno di riposare», fece spallucce, «come se tutti gli altri Saint che vivono al Tempio non abbiano bisogno di riposo», bloccò la frase con una pausa tattica e usò quei secondi per penetrarla con uno sguardo tagliente, probabilmente per vedere la sua reazione, «ma comunque non importa, oramai è andata, e visto che ci stai andando adesso...»
«No, hey, non l'ho deciso io di dormire così tanto, in realtà non è proprio da me, ma probabilmente qualcuno qui presente mi ha spompato alla grande...e comunque mi sarei alzata se qualcuno mi avesse svegliata...», ringhiò, tornando ad essere la focosa e impulsiva ragazza di sempre.
«Non ti stavo facendo la predica!», puntualizzò lui, «non sei più sotto la mia protezione ma quella di Athena, oramai sei un Saint a tutti gli effetti e risponderai a lei delle tue mancanze...»
«Mancanze?!»gli fece eco, quasi scandalizzata, ma lui non ci fece neanche caso.
«E comunque non c'è stato il tempo, è stato indetto un Chrysos Synagein dalla Dea Atena e dal Grande Sacerdote per tutti i Gold Saint. Sembra che un'entità misteriosa stia continuando ad aumentare e ridurre repentinamente il suo Cosmo e nessuno è stato in grado di capirne il perché. Neanche le stelle dall'altura dello Star Hill sono state in grado di rispondere. Probabilmente qualcuno dovrà andare a controllare, ed è molto probabile che sarà qualcuno di noi cavalieri d'oro»
Calò il silenzio dopo quella frase, in cui entrambi osservarono dall'uscio della Terza il firmamento sopra di loro, dove le stelle brillavano nel cielo sgombro da nuvole.
«Allora non me lo sono sognato...»
«Cosa?», chiese Kanon, voltandosi a guardare il profilo di lei, ancora devoto alle costellazioni.
«Poco fa, appena alzata dal letto, ho sentito un Cosmo in lontananza. É stata una percezione talmente breve da convincermi di averla sognata, e invece non è stato così...»
«A quanto pare no, e a quanto pare non dovremmo farci trovare impreparati. A tal proposito, visto che sei qui in tenuta di allenamento e io non sono riuscito a chiudere occhio, utilizzeremo queste poche ore rimaste prima dell'alba per qualcosa di costruttivo» propose lui, iniziando a sciogliere i muscoli delle gambe sotto lo sguardo preoccupato di Elena.
«Tipo un allenamento? Nel pieno della notte?» asserì, quasi scioccata, ma oramai doveva sapere quanto imprevedibile fosse quel Saint. In fondo, l'aveva fatta allenare dentro un vulcano attivo.
«Esatto, un allenamento».
Kanon si piegò leggermente in avanti, arrivando quasi a parlarle a fior di labbra e ciò servì a mandarla in confusione. Stava ancora a chiedersi cosa avrebbe fatto con la prossima mossa, impalata al suo posto senza essersi minimamente mossa di un centimetro, quando lui pronunciò alcune semplici parole.
«Quindi, stammi dietro...»
«Cosa?»
Quando Elena si riprese dalla sua presunta Trance, Kanon aveva già sceso quasi tutta la scalinata che lo divideva dalla Seconda Casa, con una velocità che l'aveva lasciata di sasso, e se non si decideva a corrergli dietro l'avrebbe seminata con fin troppa facilità.
«Maledizione!», imprecò infine, lanciandosi all'inseguimento.
Fine capitolo 22


°°°°°°°°

Colei che scrive e lascia passare troppo tempo tra un aggiornamento e l'altro:
Salve a tutti, eccomi qua dopo tempo immemore (avete ragione di odiarmi, lo ammetto xD)! Purtroppo l'estate per me è periodo tabù, tra il lavoro che mi prende quasi tutta la giornata e la stanchezza. Odio l'estate, per me è solo una sofferenza! T.T Poi, proprio da dopo questo aggiornamento, ho avuoto vari problemucci, ma comunque non demordo e, anche se passano mesi, sappiate che non voglio lasciare nulla di incompiuto e, se siete curiosi e vedete che sta passando troppo, vi autorizzo a minacciarmi di aggiornare per messaggio privato...a volte ricevere qualche incentivo vedendo i lettori interessati è fonte di stimolo (almeno per me!).
Ma, bando alle ciance, qui c'è qualcuno che sta progettando una bella guerra e finalmente quel qualcuno abbiamo visto chi è! Il nostro caro zio Marte, che altri non è che la versione Romana del Greco Ares, che insieme a Ecate sta progettando di svegliare un'altra persona sopita nel corpo di Elena eheheh ma per sapere chi sarà, almeno che qualcuno di voi non ci sia già arrivato eheheh dovremmo aspettare un altro pochino, non tanto, giuro! 
Bene, detto questo passo a ringraziare i recensori (che probabilmente senza di essi avrei già smesso da tempo di scrivere ...), chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e a tutti i lettori silenziosi che seguino questa storia! 
Alla prossima!!!

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3647448