Omnia fert aetas - Il tempo porta via tutte le cose.

di Wanheda_Skaikru
(/viewuser.php?uid=1006446)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perché lo chiamano cadere. ***
Capitolo 2: *** È tutto ciò che ti chiedo. ***
Capitolo 3: *** Meglio che resti non detto. ***
Capitolo 4: *** Lento come il miele. ***
Capitolo 5: *** La metà di una mela. ***
Capitolo 6: *** Dolce nulla. ***
Capitolo 7: *** Biondo cenere su nero. ***
Capitolo 8: *** C'era una volta a dicembre. ***
Capitolo 9: *** Quanto la storia si ripete. ***



Capitolo 1
*** Perché lo chiamano cadere. ***


Perché lo chiamano cadere.
 
 
"La ferita d'amore
la risana chi la fa."


 
 
Il bosco lo attirava come se fosse l’unica salvezza, e lui era contento di accettarne la consolazione.
Stava perdendo tutto ciò che fino a poco tempo prima risultava chiaro, limpido, fisso.
Non trovava la strada e stava smarrendo anche la via per il suo cuore.
 
Da quando Clarke se ne era andata, aveva iniziato una lenta ma costante caduta verso il vuoto. Non c’era luce ad indicargli via d’uscita, né qualcuno che lo potesse aiutare. La luce era lei.
 
Si buttò a terra senza curarsi delle numerose ferite che chiedevano pietà. Nulla poteva far più male di quello che si agitava nel suo petto. Si prese la testa fra le mani: se avesse potuto si sarebbe strappato tutti i pensieri, le paure, le preoccupazioni. Le persone che amava.
 
“Clarke. Clarke. Clarke.”
 
Solo dopo la sua partenza si era reso conto di quanto fosse importante per lui, di quanto sostegno gli desse averla accanto, di quanto fosse necessario poter sentire la sua voce.
 
Ora gli capitava di girarsi e non trovare nessuno che lo ascoltasse come faceva lei, nessuno che lo fissava e gli leggeva l’anima, nessuno che fosse pronto a stargli accanto.
 
E lui stava cadendo. A poco a poco, così lentamente che a volte non sembrava neanche una caduta ma l’entrata per una strada nuova, diversa. Un cammino senza Clarke.
Ci aveva creduto. Aveva un disperato bisogno di ricominciare a camminare da solo: a nessuno avrebbe più permesso di avvicinarsi tanto da distruggerlo in quel modo.
 
Alzò gli occhi verso il cielo, parzialmente nascosto dai rami carichi di foglie verdi e lucenti. Una si staccò e seguì il vento, assecondando la dolce corrente. Presto la foglia fu troppo lontana per continuare a seguire la sua corsa, ma lui si sentiva allo stesso modo: trasportato da qualcosa che non poteva controllare.
 
Non era riuscito a trovare nessun buon motivo per essere qualcosa di nuovo; sentiva solo rabbia per quella caduta solitaria. Qualcosa si era rotto dalle parti del cuore e niente avrebbe potuto riaggiustarlo.
 
Un movimento rapido alla sua destra gli fece voltare la testa. I battiti si ravvicinarono, gli occhi cercavano un indizio. Un lampo biondo.
Scattò in piedi, la mano che già stringeva la pistola.
 
«Clarke?»
 
La voce gli si spezzò subito. Erano settimane che si rifiutava di pronunciare anche solo il suo nome. Guardò a destra e a sinistra, tutto intorno: e la speranza pulsava forte nelle sue vene, come se avesse preso il posto del sangue.
 
Cinque minuti dopo. Nulla.
La pistola ricadde al suo fianco, e insieme a lei anche gli ultimi pezzi che di Bellamy restavano.
 
Crollò a terra e sperò che le foglie potessero sollevarlo per portarlo altrove, dove le loro compagne avevano trovato la pace grazie al vento.
 
Ma non successe nulla.
Bellamy continuò a cadere, cadere, cadere
 






°Angolo Autrice°
 
Buongiorno!
Oggi sono tornata con una follia.
Ho trovato su internet una tabella di ben 500 prompt, e ho deciso di usarla per scrivere una raccolta di flashfic alternate a oneshot non prendetemi per pazza, vi prego.
Comunque, qui vi ho parlato della disperazione di Bellamy dopo la partenza di Clarke. Mi piace immaginare che lui non riesca a riprendersi e che non riesca a perdonarla subito, proprio come succede nella serie.
Vi rassicuro: non saranno tutte così. Ci saranno momenti divertenti, altri anche peggio di questi.
Di tutto un po’, insomma,
Fatemi sapere se l’idea vi piace!
Un abbraccio,
 
Wanheda_Skaikru

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** È tutto ciò che ti chiedo. ***


È tutto ciò che ti chiedo.
 
 

“You’ve been the only
thing that’s right.”


 
 
Leggimi dietro agli occhi e non aspettare che la bocca parli. Impara a distinguere gli sguardi dagli sbagli, le carezze dalle promesse.
 
Non farti ingannare dalle cose diverse; non credere a tutto quello che non dico, c’è molto altro, c’è troppo.
C’è un mondo dietro a queste lacrime ma forse già lo sai.
 
Aspettami. Non so restare troppo a lungo, ho bisogno di aria, di alberi e laghi, ma tornerò sempre. Tornerò sempre, per quanta distanza abbia messo tra di noi.
 
 
 
«Clarke…»
«No, vedere i loro volti ogni giorno mi ricorderà sempre quello che ho fatto per portarli qui.»
 
 
 
Lascia che le piccole cose ti stupiscano ancora, che forse tempo per i grandi avvenimenti non ne abbiamo più. Lasciati trasportare da ciò che ti rende felice anche solo per un momento.
 
Sorridi. Non lo fai quasi mai, ma ne avresti così disperatamente bisogno. C’è qualcosa di raro nella curva della tua bocca, eppure ancora non so dire perché… ti ho visto così poche volte sorridere.
 
Non smettere di sperare, non farti portare alla deriva perché ti mancano le ancore a cui aggrapparti. Sii forte anche per me, la forza l’ho persa da così tanto tempo. Sii forte per chi ti vuole bene. Sii forte soprattutto per te.
 
 
 
«Quello che abbiamo fatto! Non sei stata tu da sola.»
 
 
 
Non spegnerti. Piuttosto brucia forte, di cosa non importa: passione, amore, odio. Fa che il tuo cuore non cada nel vuoto, nella disperazione del nulla.
 
Lasciami andare. Devo ritrovare me stessa prima di poter trovare te. Non posso prometterti nulla, ma tu continua a sperare in noi. Forse ce la faremo.
 
Non permettere alla tristezza di sopraffarti, né all’angoscia di trascinarti ancora nel buio. Cerca la luce, tienila accesa, così che io possa ritrovare la via di casa.
 
 
«E dove andrai?»
«Non lo so.»
 
 
Pensami, Bellamy.
 
 
«Ci rincontreremo.»
 
 
Tu pensami. È tutto ciò che ti chiedo.
 



Buonsalve! Sono tornata con la mia seconda flashfic.
Questo prompt mi ha portato inevitabilmente a pensare a questa scena, e alla fine è venuto fuori questo flusso di coscienza di Clarke.
Il tutto si svolge mentre lei se ne sta andando (i dialoghi della scena sono inseriti proprio per far capire in che momento siamo). In qualche modo lei vorrebbe dire tutte queste cose a Bellamy, poi si rende conto che l’unica cosa che davvero vorrebbe dirgli è “pensami”; alla fine esce solo un “Ci rincontreremo” che racchiude un po’ tutte le parole non dette.

Spero che apprezziate, per qualsiasi cosa sono qui!
A presto,
 
Wanheda_Skaikru

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Meglio che resti non detto. ***


Meglio che resti non detto.
 
 

“I don’t care where you fall,
where you have been.
I’ll never forsake you,
my love never ends,
it never ends.”


 
 
Rimandava.
Ci aveva davvero mai provato? Non sapeva dirlo con certezza. Ogni volta che pensava di aver trovato un momento di pace, il suo cervello si scollegava dalla bocca, la lingua si seccava.
 
Inciampava.
Le parole si bloccavano lì, nei meandri di ciò che la sua mente si rifiutava di pronunciare.
Perché, poi? Aveva fatto cose ben più difficili nel corso della sua vita.
 
«…Lei vedrà quanto sei speciale.»
 
Aveva sentito bene? Si girò di scatto e fissò Clarke, incredulo. Lei aveva indugiato con lo sguardo un attimo di troppo, poi si era rivolta verso l’orizzonte.
Anche in quel momento le parole sembravano venir meno, ma il cuore di Bellamy accelerò.
Doveva provarci, forse non ci sarebbe stato più tempo.
 
«Clarke…»
La ragazza si voltò immediatamente, quasi come se si aspettasse di sentire quello che lui provava a dire da ormai troppo tempo. Bellamy la fissò un istante, cercando il coraggio e la forza di cui aveva disperatamente bisogno.
«Se non ti dovessi rivedere…» iniziò, ma Clarke sembrò agitarsi; vide un mare in tempesta nei suoi occhi azzurri, l’espressione rilassata di un attimo prima si increspò come onde sulla battigia.
«No. Mi rivedrai.»
 
Vedeva una supplica nello sguardo di lei: “Non ora, ti prego”.
L’attimo era passato in fretta; Bellamy si stupì quando si accorse che non avrebbe saputo cosa dire se Clarke non l’avesse interrotto.
 
Sperava.
Quel cielo azzurro avrebbe fatto ancora da tetto alle loro teste, e non sarebbe importato se davanti avessero avuto un lago, una montagna, Arkadia o il bosco: tutto il paesaggio, tutta la Terra, erano negli occhi di Clarke.
 
Pregava.
Sarebbe arrivato il giorno in cui ci sarebbe stato abbastanza tempo, meno preoccupazioni, più spazio per loro e per quello che provavano. Non avrebbero più dovuto pensare a come sopravvivere, non ci sarebbe stato più sangue, ferite da curare.
 
Sarebbe andato da Clarke, forse non sarebbero servite neanche più troppe parole, e tutto avrebbe acquistato un nuovo senso. Un nuovo inizio.
Solo se fossero sopravvissuti.
 
E allora, perché aspettare?
 
Negli occhi della ragazza lesse la risposta: non sarebbero stati in grado di gestire tutto quello che c’era in sospeso tra di loro. Non in quel momento di estremo pericolo, non mentre tutti rischiavano la vita.
Avevano bisogno di molti sguardi, mani che si intrecciano, passeggiate senza meta. E baci.
 
Si arrese al tempo, ai battiti sfalsati che avrebbe dovuto sopportare; capì di dover soffocare parole che ancora non poteva pronunciare, sospiri, gelosie, ansie.
 
Ringraziò Clarke, che capiva ciò di cui aveva bisogno ancora prima che riuscisse a capirlo lui stesso.
Meglio che resti non detto, si disse, mentre si incamminava al rover e tornava ad una realtà dove, di fatto, lui era ancora solo.
 


 
Buongiorno!
Vi presento il terzo capitolo di questa raccolta, che sta diventando di volta in volta sempre più strappalacrime. Io ci provo a scrivere qualcosa di allegro, ma ancora, come potete vedere, non ci sono riuscita. Un giorno vi strapperò anche qualche risata, promesso.
 
Qui vediamo il fatidico momento in cui tutti noi, fan accaniti, abbiamo trattenuto il fiato: glielo dirà o non glielo dirà? Ovvio che no! #Maiunagioia
Comunque è stato un momento davvero importante, quindi ho deciso di indagare i sentimenti di Bellamy perché, personalmente, ho visto un universo dietro alle poche parole che si sono scambiati.
Se non dovessimo vedere qualche gioia all’orizzonte per i nostri Bellarke, vi prometto che ve la regalerò io!
 
Fatevi sentire! Un bacio,
 
Wanheda_Skaikru

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Lento come il miele. ***


Lento come il miele.
 



“…Un bisbiglio alle labbra perché l’orecchio intenda,
il brivido del miele…”
 



«Bellamy?»
Il sole splendeva come non mai: l’estate era alle porte. Clarke aveva accompagnato il ragazzo nei boschi; un po’ perché voleva approfittare della bella giornata, un po’ perché aveva notato una certa insistenza nel modo in cui Bellamy glielo aveva chiesto.
Così si erano messi in marcia di buon mattino e si erano allontanati dal campo, tanto da far perdere il senso dell’orientamento a Clarke. Poi si era voltata e non aveva visto più Bellamy.
Cercò di non farsi prendere dal panico; iniziò a guardarsi intorno e a chiamare il ragazzo.
 
«Se è uno scherzo non è divertente!» urlò per la disperazione dopo vari minuti.
«Non deve essere per forza divertente.» le rispose una voce lenta e calma, sorprendendola alle spalle.
Si intuiva l’accenno di un sorriso.
Clarke si girò di scatto, gli occhi come se volessero esplodere di sollievo e rabbia.
«Ferma.» le disse ancora Bellamy, avvicinandosi a lei con studiata lentezza. Lei fece come le era stato detto; sembrava quasi un sogno, una realtà alternativa.
«Non volevo spaventarti» continuò il moro, a pochi centimetri dal suo viso «Ma dovevo recuperare una cosa.»
Si allontanò di poco e le mostrò un piccolo barattolo con una sostanza viscosa, che brillava in contrasto col sole.
«Cos’è?» chiese Clarke, la voce leggermente alterata.
«Miele.»
 
Bellamy piantò lo sguardo negli occhi di lei: confusione, sorpresa. Ecco cosa le passava per la testa.
Si avvicinò nuovamente, il barattolo ormai libero dal coperchio. Il profumo dolciastro del miele invase velocemente l’aria fra loro; il ragazzo immerse il dito nel liquido mentre Clarke guardava la scena come se fosse lontana anni luce, non riuscendo a muovere neanche un muscolo.
Bellamy si concentrò sulle labbra di lei, rosse di sole. Tremavano leggermente, socchiuse per la sorpresa di quel momento. Le sfiorò con il miele, mentre il suo dito delineava il labbro inferiore.
«C-Che stai facendo?» balbettò la ragazza, spostando di poco il viso. Non riusciva ad uscire indenne da quella strana situazione, si sentiva come se fosse bloccata dentro qualcosa che non poteva controllare.
«Andiamo, Clarke.»
La mano di Bellamy si appoggiò sulla sua guancia; il pollice cercò ancora le labbra di lei.
Sguardo dentro sguardo, i loro corpi si stavano avvicinando pericolosamente, senza che se ne rendessero davvero conto.
 
Il moro mosse leggermente il dito, lasciando che il miele si impossessasse di quella dolce carne che ancora a lui non era concesso sfiorare. Bramava quelle labbra da giorni ormai, e presto o tardi sarebbe riuscito a saggiarne il sapore, la morbidezza.
Clarke si slanciò in avanti, coprendo la poca distanza ormai rimasta: mancava un soffio.
Una goccia di miele percorse le sue labbra, scivolando lentamente dalla strada che Bellamy aveva tracciato, per poi lasciarla definitivamente, traferendosi sulle labbra di lui.
Lei sussultò appena: di fatto si toccavano attraverso una goccia che avrebbe potuto sparire da un momento all’altro.
Bellamy sorrise, allontanandosi definitivamente.
«Se mi vuoi, non sarà così facile, Clarke.» le sussurrò all’orecchio.
Stavolta anche lei sorrise.
La sfida era accettata.
 
 
 
 
 


Ma buonasera!
Oggi vi ho voluti deliziare con qualcosa di davvero insolito (soprattutto per i miei standard). Il prompt mi ha intrigato troppo e mi son detta che questa che era la mia occasione per scrivere una piccola gioia Bellarke (ci riproverò ancora, con qualcosa di più sentimentale magari).
A mia discolpa posso dire… No, non posso dire niente. Non so se essere contenta di quello che è venuto fuori, forse mentre creavo l’immagine nella mia mente era tutto più figo – ma penso sia normale.
Spero di non aver stravolto troppo i personaggi, ma per questo mi rimetto sempre a voi.
Che ne pensate di questo Bellamy intraprendente? E Clarke reagirebbe così?
Ad ogni modo ho lasciato un finale aperto, in modo da potermi collegare a questa flashfic in futuro.
#Sisalvichipuò.
Vi aspetto, a prestissimo
 
Wanheda_Skaikru
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La metà di una mela. ***


La metà di una mela.
 



“…L’uomo in origine era perfetto.
Zeus, geloso di questa perfezione,
lo divise, tagliandolo a metà
come una mela…”
 




Bellamy era riuscito a riposare qualche ora. Ormai era pomeriggio inoltrato e il sole basso splendeva, regalando gli ultimi raggi della giornata.
Il ragazzo si sentiva rigenerato, persino speranzoso. Osservò da lontano Clarke che parlava con un gruppo di persone, e sorrise. Si sedette sulla sedia che aveva accanto e addentò la mezza mela che era stata tristemente abbandonata lì, per chissà quale faccenda importante da sbrigare. Notò che era stata tagliata a metà e che la buccia era rossa e lucente, come se qualcuno si fosse preoccupato di tirarla a lucido prima della sua dipartita.
Sorrise ancora a quel pensiero; era stranamente euforico.
 
«Quella era la mia mela.» disse una voce familiare avvicinandosi a lui.
Bellamy alzò gli occhi e vide Clarke, che con un leggero sorriso lo stava osservando a braccia incrociate.
«Avrei dovuto immaginarlo.» le rispose, poi le fece segno di sedersi accanto a lui.
«A dir la verità avevo intenzione di riposare un po’… E volevo anche finire di mangiare la mia mela.»
Lui sorrise e una luce di malizia gli si accese negli occhi.
«Vieni, ti restituisco la metà della tua mela.»
 
Camminarono senza parlare per i corridoi ormai bui; non c’era imbarazzo, ma il semplice silenzio tranquillo che accompagna due persone abituate a stare insieme. Clarke, però, sentiva una specie di sottile agitazione che le stava mettendo in subbuglio lo stomaco.
Bellamy aprì la porta della sua camera e lei entrò. Era la prima volta che la vedeva e le fece uno strano effetto essere lì, come se stesse conoscendo una parte ancora ignota del ragazzo.
Lui aprì un piccolo armadio e si mise a frugare, sparpagliando per tutta la camera cibo di ogni genere.
«Sono sicuro di averla vista qui…»
«È solo una mela…» disse Clarke scettica.
Lui si girò a guardarla e si avvicinò. Più vicino di quanto si potesse permettere, in realtà.
«Era la tua metà di mela.»
I loro visi erano pericolosamente vicini: la ragazza sapeva cosa stava per succedere.
Si sarebbero baciati e poi…
Poi bussarono alla porta. Bellamy si allontanò per andare ad aprire, ma Clarke entrò nel panico: non poteva di certo farsi trovare nella camera del ragazzo, in sua compagnia.
Si mise dietro alla porta e costrinse il giovane Blake ad aprire solo un piccolo spiraglio.
«Bell! Hai visto Clarke?»
Octavia cercava di entrare nella camera, incurante di ciò che si celava dietro alla porta.
«Eh… Mmh… No.» disse lui, sbarrando la strada alla sorella.
Si accese una luce nello sguardo di lei; sorrise e si fece indietro.
«Se dovessi vederla… Dille che l’ho cercata.»
Detto ciò, girò le spalle e sparì nel corridoio.
 
Bellamy chiuse la porta, tirando un sospiro di sollievo. Perché aveva avuto bisogno di nascondere la presenza di Clarke? E perché lei si era sentita obbligata a non farsi vedere?
La ragazza appoggiò la schiena al legno, rilassandosi.
«Mi devi almeno una mela intera.»
Bellamy la guardò e sorrise.
«Tutte le mele che vuoi, Principessa.»
 
 
 
 



Ma salveee!
Stavolta sono tornata prima del previsto. In questi giorni l’ispirazione volge a mio favore (e anche a favore dei Bellarke, sto dando loro più “gioie” del previsto) così ne sto approfittando per scrivere qualcosa di più leggero.
Su questa ff non ho nulla di particolare da dire, in realtà è solo uno dei tanti momenti imbarazzanti/divertenti che mi piace immaginare.
Per chi invece preferisce le storie tragiche, aspettatevi di tutto prossimamente.
Volevo ringraziare chi mi sta seguendo e chi ha deciso di supportarmi anche con una piccola recensione. A questo proposito ringrazio tantissimo ClaireOwen per l’immensa pazienza che ha con me :)
Fatevi sentire tutti! Mi piacerebbe tanto sapere che ne pensate.
A presto,
 
Wanheda_Skaikru

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Dolce nulla. ***


Dolce nulla.
 


“Parto da te, sempre,
per tornare ad essere niente.”


 
«Ehi.»
Bellamy si voltò a guardare da chi provenisse la voce: per un momento rimase immobile, congelato sul posto. Capelli biondi, stessa acconciatura, uguale altezza: non era Clarke.
«Balli con me?» chiese la ragazza, avvicinandosi al suo viso.
Lui la guardò e accennò un sorriso.
 «Io non ballo.»
Come potevano anche solo pensare di festeggiare quando la tragedia era imminente? Pensò di nuovo a Clarke, nel laboratorio di Becca, e un nodo gli strinse lo stomaco.
«Io non voglio davvero ballare.» disse allora lei, toccandogli il petto.
Lo sguardo di Bellamy vagò oltre la testa della bionda: c’era musica, alcool, chi ballava e chi rideva.
Ricordò quel primo Giorno dell’Unità sulla Terra: anche allora avevano delle responsabilità da affrontare, problemi da risolvere; ma tutto sembrava essere più leggero, persino più sopportabile.
Vicino a lui c’era Clarke.
Clarke, che aveva sempre cercato di salvare tutti, sacrificandosi più e più volte.
Clarke, che in quel momento stava dando anima e corpo sfidando la Terra stessa. E la morte.
E lui aveva fatto davvero tutto il possibile? No.
Sapeva di aver fatto tanti errori, e di non essere riuscito a rimediare a nessuno di questi.
 
I pensieri di Bellamy si interruppero quando la ragazza lo trascinò in mezzo alla folla che si muoveva ad un ritmo sfrenato. Si ritrovò accanto a Jasper, e subito gli misero un bicchiere in mano. Non si chiese neppure cosa contenesse: bevve tutto in un sorso, cercando di non pensare.
 
Dopo svariati bicchieri di liquido non identificato, Bellamy era sulla pista da ballo con la ragazza bionda. Il suo sguardo era annebbiato e non riconosceva neanche uno dei ragazzi che gli ballavano accanto. Raven? Jasper? Monty? Miller?
Non sembravano esserci. Sentì un profondo senso di solitudine.
Poi vide Clarke. Era proprio davanti a lui e sembrava felice.
Si muoveva a ritmo di musica: non l’aveva mai vista così spensierata e sorridente.
Si avvicinò e lei sembrò leggergli nel pensiero; gli si buttò fra le braccia, sussurrando parole che lui non riconosceva.
Dopo poco lo trascinò nei corridoi deserti di Arkadia. Era troppo stanco per chiedere dove fossero diretti; era troppo stanco persino per reggersi in piedi.
Si accasciò a terra, la testa dolorante che ciondolava da un lato.
«Ti senti bene?» chiese lei, ma lui non rispose.
Nella testa, mille immagini: Clarke che a poco a poco guadagnava la fiducia dei Cento, che lo salvava dalle sue stesse paure, che imparava a sparare per difendere la sua gente. Clarke che non aveva avuto paura dei terrestri, che si prendeva cura di loro quando si ammalavano, che cercava sempre un modo per farcela, e ce la faceva davvero.
Clarke, ciò che lo aveva tenuto in piedi fino a quel momento.
Vide due occhi castani che lo osservavano, ma non c’era nulla della profondità, del rispetto e della fiducia di quei due occhi.
Si lasciò andare, perché in quel momento niente aveva senso.
Il nulla si impossessò della sua mente e lui lo lasciò entrare volentieri, perdendosi.
 







Buongiorno! Sono tornata più forte che mai (?!)
Stavolta vi ho raccontato qualcosa di più triste. La scena della bionda (Grrrrr) mi ha parecchio sconvolta quindi ne ho tratto una mia - liberissima – interpretazione.
Probabilmente Bellamy voleva solo dimenticare per qualche ora tutta la catastrofe che devono affrontare, quindi tutti questi pensieri non sono esistiti davvero.
Ma noi Bellarke siamo sognatori, quindi eccomi qui.
Credo comunque che questa tizia sia troppo uguale a Clarke per essere davvero solo un caso.
Tornando a noi, vi chiedo sempre di farmi sapere che ne pensate.
Ricordatevi che #Bellarkeiscoming.
A prestissimo,
 
Wanheda_Skaikru

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Biondo cenere su nero. ***


Biondo cenere su nero.
 



“Le stelle intorno alla bella luna
celano il volto luminoso
quando, al suo colmo,
più risplende
sopra la Terra.”
 



Il cielo era scuro quella sera. Pochissime stelle riuscivano a far capolino tra le nuvole: avrebbe sicuramente piovuto di lì a poco.
Bellamy camminava svogliato per il campo, il fucile che batteva sulla gamba ad ogni passo.
Si sentiva particolarmente stanco: gli sarebbe piaciuto sdraiarsi per godere dell’aria pungente che tirava, della pioggia che non si sarebbe fatta attendere a lungo.
Clarke, poco distante, parlava con Monty. La vide sorridere, poi congedò il ragazzo.
«Tutto bene?» gli chiese, avvicinandosi.
Lui annuì, voltando lo sguardo per indagare ancora il cielo.
«Aspetti una stella cadente?» chiese Clarke con tono canzonatorio.
Bellamy accennò un sorriso.
«Veramente aspetto la pioggia.»
La ragazza lo osservò. Capiva bene cosa provava: nonostante fossero passati mesi dal loro arrivo sulla Terra, alcune cose sembravano ancora straordinarie. La pioggia era una di quelle.
Le gocce d’acqua non guardavano in faccia nessuno: non importava chi fossero i Terrestri e chi gli Uomini del Cielo, se avevi passato la vita ad uccidere o a salvare persone, se eri solo al mondo. Semplicemente non contava.
Se stavi sotto quel cielo, allora la pioggia avrebbe bagnato anche te.
Così Bellamy aspettava quel piccolo miracolo che sull’Arca non esisteva.
«Vieni con me.» disse Clarke.
Lui la guardò incerto per un momento, poi la seguì.
 
Costeggiarono il perimetro di Arkadia finché la ragazza non si fermò all’improvviso, voltandosi verso Bellamy.
«Questo è il mio posto speciale.» disse orgogliosa, come se si trattasse di un castello.
Gli alberi chiudevano quel piccolo spazio come se fossero braccia; dentro ci si sentiva naturalmente al sicuro. Bellamy sentì di voler proteggere Clarke come se potesse essere anche lui un posto speciale: come se potesse diventare il suo luogo sicuro.
Si sdraiarono a terra, le teste vicine.
«Conosci le stelle?» chiese lei, curiosa.
Il ragazzo si sforzò di ricordare cosa avesse letto a tal proposito; alzò un dito e indicò con sicurezza un gruppo di stelle.
«Quella è di sicuro l’Orsa Maggiore.»
Clarke si voltò e lo guardò scettica, poi scoppiò a ridere.
Bellamy si sentì pieno di quella risata, trascinato come da un fiume in piena.
Sorrise e si sorprese di quel momento, così semplice e speciale.
La ragazza socchiuse gli occhi, l’ombra di un sorriso ancora sulle labbra. Bellamy si scoprì a guardarla: per un attimo sembrava che il mondo stesse regalando loro tutta la tranquillità che non avevano avuto, tutti i sogni che non avrebbero mai realizzato.
«Clarke?»
Ma già dormiva, i capelli d’oro sparsi attorno al viso. E lei che splendeva come se fosse la luna.
Bellamy la guardò attentamente, come si fa con le cose preziose, che hanno la luce dentro. Qualcosa a cui non sapeva abituarsi, come la pioggia.
 
Ma quella sera non piovve. Le stelle si svelarono ad una ad una, danzando su un vento che si era portato via anche le ultime nuvole.
E se Clarke, per quella sera, era tutte le costellazioni, Bellamy era la Notte che la accoglieva, il manto sul quale lei poteva splendere, almeno per un po’.
 






 
 
Buonaseraaa!
Stasera vi propongo qualcosa di estremamente romantico. La parte finale mi ha fatto faticare non poco: volevo scrivere qualcosa di forte, che racchiudesse un po’ l’essenza di Bellamy e Clarke. Li vedo come se fossero il giorno e la notte, qui in particolare, le stelle e la notte. Il prompt, Biondo cenere su nero, mi ha fatto pensare alla loro diversità “cromatica”; di conseguenza sono approdata alla metafora della notte. La pioggia, tema centrale, è un po’ come se fosse quel miracolo che Bellamy si aspettava, ma che poi si è manifestato in un modo completamente diverso, ovvero con Clarke.
Spero di non essere andata troppo OOC, e se fosse così vi prego di scusarmi.
Ma ogni tanto una cosa smielata ci sta, quindi sono contenta.
Ultima cosa, ma non meno importante: voglio dedicare questa flash alla mia amichetta Roberta, che mi sopporta e mi supporta sempre.
Ai hod yu in!
Grazie anche per il sostegno che mi state dando con recensioni, visualizzazioni e aggiunta della storia tra preferite/seguite!
Vi aspetto qui come sempre,
un bacio
 
Wanheda_Skaikru.
 

P.s. #Bellarkeiscoming. Io ve lo ricordo, poi non dite che non siete stati avvisati! ;)


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** C'era una volta a dicembre. ***


C’era una volta a dicembre.




 
“Voglio fare con te
ciò che la primavera
fa con i ciliegi.”





 
 
La neve aveva ricoperto tutto il campo. Nessuno aveva creduto davvero che potesse arrivare l’inverno finché non lo avevano visto con i loro occhi: il freddo era diventato un problema giornaliero, per non parlare delle tempeste di neve, la pioggia, il gelo.
Persino l’umore di ognuno di loro sembrava essersi adattato alla temperatura: chi borbottava, chi sembrava trascinarsi per sola forza di inerzia, chi cercava un po’ di calore.
 
Erano riusciti a sopravvivere alle radiazioni; il bunker che Jaha aveva cercato con tanta fede alla fine li aveva salvati. Quando era arrivato il momento di chiudere il portellone, mancava un nome all’appello: Octavia. Bellamy aveva aspettato fino all’ultimo momento, sperando di vederla arrivare con il suo passo fiero e lo sguardo impavido. Ma naturalmente non era successo perché Octavia non sapeva neanche dell’esistenza del bunker; si era lasciata sopraffare dal dolore e aveva abbandonato la sua gente.
 
L’ultimo spiraglio di luce, poi il portellone si era chiuso sulle speranze di Bellamy, sugli occhi di Octavia che non avrebbe più rivisto, sulle loro risate, la fiducia, l’amore che li legava da sempre, anche sui litigi, le lacrime, le lotte.
 
C’era voluto del tempo prima che potessero uscire, ma alla fine erano tornati al campo: la loro casa. Ma Bellamy sapeva da tempo che casa non è un posto, ma le persone che ami, e lui aveva perso l’unica persona che aveva amato fin dal suo primo respiro.
Passava le ore a guardare il lago ghiacciato in cerca di un riflesso, di una consolazione. E anche quel giorno di dicembre era lì, sperando forse che il freddo potesse portarlo in qualsiasi luogo si trovasse Octavia.
 
Clarke lo guardava preoccupata: conosceva quel dolore e non trovava un modo per rompere il muro che Bellamy si era costruito attorno. Ma non gli avrebbe permesso di smarrirsi: gli avrebbe mostrato che c’era ancora chi lo amava. Che aveva ancora una casa.
Si sedette accanto a lui, poi lasciò vagare lo sguardo sulla distesa di ghiaccio.
E capì che Bellamy era diventato quel ghiaccio: immenso vuoto, massa informe di bianco, un nulla pieno di tutto, materia liscia e fredda. Assenza di vita.
 
Stava combattendo una guerra tutta sua, e non ne sarebbe uscito di certo incolume. Ma Clarke non poteva fare assolutamente nulla per aiutarlo: certi fantasmi non si possono condividere. Poteva però dargli la certezza che una volta vinta la lotta con se stesso, lei sarebbe stata pronta a curargli le ferite, a piangere con lui se necessario, a chiudere la porta del passato e aprire, finalmente, quella del futuro.
 
Posò la testa sulla sua spalla e per un attimo immaginò di prendere tutto il dolore che Bellamy portava nel cuore e seppellirlo nelle profondità di quel lago ghiacciato. Forse quel muro era ancora troppo spesso. Forse sarebbe riemerso in primavera. Quel contatto sembrò però risvegliarlo dal letargo, e Bellamy le sfiorò i capelli con la sua guancia.
Stava lasciando entrare il primo spiraglio di luce in un giorno freddo di dicembre.
Insieme ce l’avrebbero fatta.
 
 


“Quanto ti sarà costato
abituarti a me,
alla mia anima
sola e selvaggia,
al mio nome
che tutti allontanano.”

 
 

 
Image and video hosting by TinyPic






 
 
Buonasera popolo di Efp!
Vi sono mancata, non è vero? No, direte voi.
Le feste mi hanno tenuta lontana dal pc, e mi sono data giusto il tempo di riprendermi dalle grandi abbuffate di cibo (in Sicilia esageriamo sempre, per chi non lo sapesse) per poi mettermi subito all’opera.
Purtroppo nell’uovo di Pasqua non ho trovato né un po’ di sana Ironia, ma neppure la voglia di scrivere qualcosa di allegro e spensierato… Quindi ho scritto qualcosa di mooooolto triste.
#MaiunagioiaperBellamy.
Spero che non sia risultato troppo confuso, e che le sensazioni che ho provato mentre scrivevo vi siano arrivate.
Che dire? Ringrazio sempre chi mi segue, anche in silenzio, perché mi date la voglia di scrivere all’infinito! (certo una recensione anche piccola piccola sarebbe gradita :D)
Ringrazio soprattutto Robertina che non si stanca mai di leggere le baggianate che scrivo (e mi corregge pure!)
Ti adoro, lo sai.
 
Vi aspetto come sempre, un bacio
 
Wanheda_Skaikru

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Quanto la storia si ripete. ***


 
 Quanto la storia si ripete.
 
 


“Una modifica ne genera un'altra,
quasi a darle una spinta,
 rendendo le successive
sempre più marcate.”
 
 


 
«Bellamy, fermati!»
Il ragazzo si voltò di scatto e i loro sguardi si incontrarono. Marea contro tempesta.
Ma c’era dell’altro: una pistola puntata contro di lui.
Quante armi lo avevano minacciato in quei mesi di vita sulla Terra?
«Non abbiamo tempo per discutere. Le radiazioni stanno peggiorando e la gente lì sopra sta morendo!» disse Bellamy concitato, tentando di farla ragionare.
Poi si lanciò ancora contro la porta: il primo colpo di pistola.
Quante volte era stato sfiorato da un proiettile?
Gli occhi del ragazzo, increduli, si precipitarono sul viso di lei.
«Clarke, che stai facendo?» chiese, anche se conosceva già la risposta.
«Quello che devo... come sempre. Ora allontanati dalla porta.»
C’era freddezza nella sua voce, tuttavia non era riuscita a nascondere una sorta di tremolio, come se stesse per piangere.
A quante battaglie era sopravvissuto? E stavolta ce l’avrebbe fatta?
Quella non era una battaglia come le altre.
Erano loro: i leader dei Cento, l’uno contro l’altra come mai prima di allora.
«No. Non è come quando abbiamo chiuso il portellone della navicella, tirato la leva a Mount Weather o nella Città della Luce. Allora sapevamo cosa stavamo fermando. Ma adesso... Non sappiamo niente!»
Le parole uscivano come un fiume in piena e Bellamy non era neanche sicuro che stesse facendo un discorso sensato. Voleva solo convincerla che aprire quella porta fosse la cosa giusta da fare, che non era necessario che si schierassero su due fronti diversi. Voleva che stessero vicini, che combattessero insieme come era sempre stato.
«Sappiamo che se la porta resta chiusa... Il genere umano sopravvivrà.»
Quante volte erano stati in disaccordo? Quanto era stato difficile accettare le scelte che non condividevano, capirle e perdonarle?
Gli occhi di Clarke luccicavano come stelle e la sua espressione era diventata sofferente; la mano stringeva convulsamente la pistola.
«Ti prego.» disse lei, in un ultimo tentativo di vincere la guerra in corso.
Bellamy scosse leggermente la testa: non era disposto a cedere, non stavolta.
«Vedi di fare in modo che sia un colpo mortale. È l'unico modo in cui riuscirai a fermarmi.»  
Ora anche gli occhi del ragazzo minacciavano lacrime; la bocca tremava leggermente, in attesa della sentenza.
Poteva davvero finire tutto per mano di Clarke?
Era stato sul punto di morire più di una volta, ma mai come in quel momento si sentiva sconvolto, incerto su ciò che sarebbe successo, in bilico… per lei.
Si fissarono per un lungo momento: la mano della ragazza iniziò a tremare e la pistola perse la sua traiettoria. Bellamy socchiuse gli occhi e Clarke esplose, lasciando che le lacrime le bagnassero le guance.
Abbassò la testa e si arrese: non avrebbe mai potuto sparare.
Quante volte ce l’avevano fatta insieme?
Rivide tutta la strada che avevano percorso, quanto era sembrato impossibile a volte andare avanti e quanta forza avevano trovato l’uno nell’altra.
La ragazza guardò Bellamy; stava per aprire la porta che avrebbe salvato tutti i clan.
E loro si sarebbero salvati?

 
 
 







Image and video hosting by TinyPic


Image and video hosting by TinyPic


Image and video hosting by TinyPic
 
 
Image and video hosting by TinyPic


 



Buonaseraaaaa!
Sì, sono ancora viva.
Lo so che mi avete dato per dispersa ma non ho mai pensato di abbandonare. Ho avuto un periodo un po’ difficile e anche l’ispirazione mi aveva abbandonato. Ora sono tornata e spero che anche voi ci siate ancora.
Detto ciò, vi ho dato la mia personalissima interpretazione della scena tanto attesa nella 4x11. A me ha trasmesso tanto e avrei voluto indagare meglio i pensieri di Bellamy (Clarke è quasi sempre un mistero per me), quindi magari in futuro scriverò ancora qualcosa.
Detto ciò, vi saluto e vi chiedo di farvi sentire! Mi siete mancati tanto.
A presto, un bacio
 
Wanheda_Skaikru

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3648908