La Burina Commedia

di ToscaSam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** canto I ***
Capitolo 2: *** canto II ***
Capitolo 3: *** canto III ***
Capitolo 4: *** canto IV ***
Capitolo 5: *** canto V ***
Capitolo 6: *** canto VI ***
Capitolo 7: *** canto VII ***



Capitolo 1
*** canto I ***


Salve!
Scusate se vi interrompo prima della lettura, ma direi che è necessario. Spero che nessuno prenda le cose dette qui dentro come offensive; si tratta di critiche ... non mi sognerei mai di mandare davvero qualcuno all'inferno! Prendetelo come una cosa da ridere.
Ci saranno momenti sia seri che (spero) divertenti. Fondamentalmente voglio lasciarvi col sorriso sulle labbra, non farvi arrabbiare >:)
Tutto nasce da una conversazione con una mia amica, sul fatto che il mondo di oggi sia popolato da molte persone che ci vanno poco a genio; poi deo gratias ci sono anche le eccezioni.

Lo stile vuole imitare in maniera parodica quello del sommo Dante Alighieri.
Per quanto mi sia impegnata a mantenere le terzine in rima incatenata, non avevo proprio voglia di mettermi a contare gli endecasillabi. Quindi i versi non hanno un vero e proprio metro.
Spero che vi divertirete

 

************

I

 
Al punto esatto delle nostre vite
in cui il fiore si tramuta in frutto,
scoprimmo un giorno di esserci smarrite.
 
Il luogo circostante era sì brutto,
che ci dicemmo “noi non ne facciamo parte!
Siamo diverse, proprio in tutto!”.
 
Per essere più chiare, scopriamo le nostre carte:
siamo due amiche, Samantha e Alice
che a mo' di due brave sarte,
 
invece di cucire delle camicie,
prendiamo la penna come ago e i fogli come filo;
raccontiamo ciò che ci accadde entro questa cornice.
 
Il posto era un bosco, nodoso e senza asilo.
Ebbene, quel giorno ci svegliammo impaurite,
dallo spavento avevamo perso qualche chilo;
 
temevamo assai per le nostre vite.
Ma ecco che Alice disse, speranzosa:
« Samantha, mi par d'essere stata qui per ore infinite,
 
proviamo a prendere quella strada faticosa,
lo so che è buia e piena di grovigli,
ma mi sembra che laggiù brilli qualcosa!».
 
Samantha, attenta a quei consigli,
decise di fidarsi e insieme presero il via
in quella strada dai mille perigli.
 
« Alice, che fortuna, mamma mia!»
esclamò Samantha, vedendo un bel sole
che nasceva da un colle, con grande armonia.
 
« L'abbiamo scampata, anche se siamo sole!»
concluse tirando un prematuro sospiro,
giacché un gran rumore, coprì le sue parole.
 
Sembrava un ruggito, da dare il capogiro!
Ma non sarà un leone? Qualcosa? Un animale?
E nell'attesa, trattennero il respiro.
 
Ma invece una moto, alquanto originale
col suo rombo arrivò sgommando;
in sella c'era un uomo, d'aspetto singolare.
 
Si tolse la giubba e il casco, ansimando:
« O che vu siete sceme?!»
le apostrofò sbuffando.
 
Aveva una tunica rossa, che faceva coppia assieme
a un naso aquilino di forte imponenza.
Era sì palese, da sembrare un meme.
 
«Maestro! Maestro nostro!!» senza
paura, gridarono le amiche.
Gli corsero incontro senza più pazienza.
 
Erano infatti quelle fattezze antiche
di Dante Alighieri,sommo poeta
che disse: « Belle fiche!
 
Sembra che veniate da una notte inquieta!
Co l'occhi rossi, manco dopo un fischione!
Tutte e due secche, peggio che a dieta!»
 
a quelle parole, taglienti, da arpione,
Alice e Samantha rimasero basite:
il grande maestro gli parve un po' un coglione.
 
«sei tu quel Dante di cui ci siamo invaghite
sin dalle lontane scuole elementari?
Quel maestro da cui le nostre scritture sono partite?»
 
chiese Samantha, d”istinto e a piè pari.
A che il maestro: « Avoglia! Son io. Che vi fa dubitare?
Piuttosto perché siete lontane dai luoghi più chiari?»
 
Alice rispose, senza far aspettare:
« Intanto siamo stupite dalla tua moto.
Ti sapevamo, poi, morto. Senza respirare.
 
Se tu ci aiuti, ti facciamo voto
di obbedirti in tutto quel che ci dirai
e ti saremo fedeli dentro questo percorso ignoto.
 
Facci da guida, ottimo sarai!»
Dante, elogiato, non poté che gioire.
Rispose: « Mie care, non vi lascerei mai
 
in questa selva che, come dire,
già voi la conoscete, poiché fu anche la mia.
Morto lo sono, ma posso comparire
 
e aiutare ogni anima pia,
che qui s'imbosca.
Ma ora, forza. Andiamo via!»

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Capitolo 2
*** canto II ***


II
 
Le due donzelle con il maestro andavano,
ma ancora dei dubbi e delle domande
le loro menti pronte affollavano.
 
Alice, più audace, si rivolge al grande:
« Maestro, ancora non ci hai detto
che è quella moto da scorribande? »

e Dante rispose, corretto:
« Ora ch'è stata inventata,
dal genio umano benedetto,
 
me la son comprata.
Qualcosa in contrario?»
nessuno replicò quest'ambasciata.
 
Mentre camminavano nel circondario,
scorsero una cittadina ed un vallone.
Il sole avanzava con l'orario.
 
« Ora, voi vi siete perse come il pallone
dei bimbi che giocano, innocenti.
Ed io son giunto, ma serve un'ammonizione:

da qui in avanti scorgerete i penitenti,
che soffrono all'inferno, proprio quello;
anche se dall'altra volta, ci son stati cambiamenti.
 
C'è adesso un gran cartello,
appeso alla porta, sul cui dorso
stava il famoso ritornello.
 
Per cui non vedrete, come nel tempo scorso,
quella parte di “per me si va...”,
oggi si legge “LAVORI IN CORSO”.
 
Le ragazze scoppiarono in un forte HA HA HA!
« E perché questa stranezza?
Che novità è questa qua?».
 
Dante non perse la sua fermezza,
e anche se un poco offeso,
rispose con prontezza:
 
« Il Sommo s'è accorto d'un gran peso:
fra gli umani sono aumentati
quei problemi che gli offesi
 
chiamano peccati.
Sono ora in costruzione
nuovi gironi, da poco sperimentati;
 
per questo l'inferno è in lavorazione».
Le due, allora, interessate
continuarono la questione:
 
« E che parti sono state create?»
Ma poi, prese da un momento di timore,
si chiesero che diritto avessero di essere informate.
 
Le guance si coloraron loro di rossore,
e subito Alice si corresse: «Maestro, ci è concesso?
Vedere la gente senza pudore,
 
mi sento inadeguata, lo confesso».
Fu così che Dante fermò la motocicletta
e le guardò con l'aria un po' da fesso:
 
« Oioi che palle, oh! Bimbetta!
Vuolsi così colà dove si puote ….
si via, un me la ricordo …. dio santo in bicicletta!»
 
Alice rimase a mani vuote:
non le venivano né risposte né offese,
ma non le avrebbe comunque dette al Maestro su due ruote.

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Capitolo 3
*** canto III ***


 III

Come infatti aveva Dante promesso,
il gran vallone ai piedi di Gerusalemme
era recintato, proprio all'ingresso.

C'erano le strisce, brillanti come gemme
di colori giallo e nero, da cantiere
ed un cartello sulle scritte più vecchie di matusalemme:

“LAVORI IN CORSO dicon queste bandiere,
LAVORI IN CORSO per aggiornare i gironi,
LAVORI IN CORSO per allargare il Braciere.

Poiché al Sommo girarono i maroni
per colpa dei nuovi peccatori,
adesso noi aumentiamo le afflizioni.

Ci scusiamo del disagio, vi siamo debitori.
I lavori dureranno per un po':
finché ci saranno i fondi ed anche i costruttori.”

Le due ragazze non trattennero un « Oibò.
Allora anche di qua si lavora per la grana?»
Ai loro sghignazzi, Dante sbuffò.

« Ma avete capito che è questa tana?
Da che ridacchiate così scazzone,
direi che non avete paura di Lucifero che sbrana!».

Le due si ripresero dal cazziatone
e col cuore un po' più triste,
osservarono il maestro salire sull'arcione.

« Prendete anche voi un casco, teppiste!
Or vedrete perché ho comprato la moto:
per fare il cross su queste belle piste!»

Presero i caschi con fare devoto,
poi salirono in sella aggrappate al maestro,
ed insieme si gettarono nel vuoto.

La moto rombava, saltava con grand'estro;
driftava per le ripide discese infernali,
impennava e s'inclinava sul lato sinistro e destro.

Rapidi per la gola di sassi brutali,
scendevano i tre, non poco gridando.
E subito arrivarono a dei corridoi laterali.

« Ecco, siamo arrivati qui saltando,
ma abbiamo evitato già lunga strada.
Dei nuovi gironi siamo già al bando.

Ma lasciate che vi spieghi la sciarada:
due sono peccati e peccatori nuovi.
Ve li dico ora, se la cosa vi aggrada:

V'è il girone dei minkia: bimbi e giappo ci trovi.
I primi non lo credi che sian veri,
da quanto stupido ciascun di loro si provi.

Hanno disonorato gli uomini di ieri,
credono d'essere una sorta di nuova razza,
di scarso intelletto e di falsi idoli van fieri.

Men grave, ma di poco, la gente pazza
che col più basso commercio giapponese
la propria intelligenza ammazza.

Senza badare, poi, a spese,
il Signore ha creato il nuovo girone enorme,
dove le genti ignoranti son riprese.

Qui il peccato assume tre forme:
ignoranti verso sé stessi, il prossimo e natura.
Gente che ha rifiutato tutte le orme

della bella e nobile cultura.
Si fan beffe della conoscenza,
sfoggiando la stupidità più pura.

Ma più non vi dico, abbiate pazienza.
Vedrete coi vostri occhi, state sicure,
una per una, ogni sofferenza.

Ma ora da questa porticina dalle ombre scure,
passiamo un attimo per salutare
un amico caro alle genti antiche e future».

Le ragazze gli videro brillare
negli occhi un luccichio di commozione,
così decisero di non esitare

quando il maestro aprì il portone
ed entrò in un luogo nascosto,
ma che ospitava molte persone.

Prima di entrare in quel posto,
le ragazze videro un fiume alle loro spalle,
ed un vecchietto su un barcone mal posto.

Lo stomaco brulicò loro di farfalle:
anche se non lo incontravano, l'avevano intravisto:
era Caronte! Quel famoso rompipalle!

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Capitolo 4
*** canto IV ***


 IV
 
Il maestro s'era assentato
dentro il piccolo passaggio.
Per scoprire dove fosse andato,
 
le due amiche si armaron di coraggio;
misero i passi dietro quelli del poeta,
intente a proseguire quel viaggio.
 
Non avevano idea che la meta,
oltre quella porticina scura,
risultasse agli occhi cosa lieta:
 
c'era di là una vastissima radura;
verde, ventilata, piacevole alla vista,
non sembrava inferno, ma natura.
 
« Siamo sicure che questo posto esista?»
chiese Samantha, irradiando un sorriso.
Ma Alice capì perché la sosta era prevista:
 
« Guarda, Sam». Le indirizzò il viso
verso un uomo, che lesto veniva
verso Dante, con passo deciso.
 
Man mano che questi saliva,
non staccava gli occhi da lui.
Samantha finalmente capiva
 
chi diamine fosse costui,
e perché Dante ne piangesse,
senza curarsi della presenza altrui.
 
« Amico mio! Sono di nuovo ammesse
alla mia vista le tue fattezze!
Ti abbraccerei fino a scoppiar, se si potesse!»
 
Dante si slanciò dalle sue altezze
e si avvinghiò all'amico perduto,
coprendogli il viso di carezze.
 
Subito l'uomo appena venuto
ricambiò l'affetto e l'abbraccio.
La grande gioia lo rendeva muto:
 
lacrimava forte, poveraccio;
nemmeno una parola gli riusciva,
finché, togliendosi l'impaccio
 
disse: « Giammai persona viva
gioì sì tanto nel vedere un morto!
La mia mente, pensosa, impazziva
 
per sapere dove tu fossi in porto,
dacché nel paradiso ti lasciai.
Volevo tue notizie per conforto!»
 
Dante che era sciolto ormai
dall'abbraccio commovente,
ascoltò con passione i tanti guai
 
che il devoto conoscente
aveva passato in suo nome.
Il quale raccontò immediatamente:
 
« Mio caro, soffrivo eccome!
Dopo la nostra mirabile avventura,
di cui “divina” è un degno soprannome,
 
fui ricondotto alla mia sventura.
Ma invano sperò quel gran Signore
di soffocare ogni mia congettura.
 
Voleva che cessasse il mio dolore;
che mai più pensassi a te,
mio caro amico. Qual errore!
 
La volontà divina non poté
uccidere giammai il legame nostro.
Mi sei mancato tanto, ahimé.
 
Vedendomi quasi un mostro,
un angelo discese in questo limbo,
brillava come fosse fresco inchiostro.
 
La luce irradiava dal suo nimbo:
“O misero Virgilio, sofferente.
Piangi e ti dimeni come un bimbo.
 
Iddio che Tutto Sa, ora è cosciente
di quanto ami l'amico tuo, Dante.
Al tuo dolore non è indifferente.
 
Se per te è così importante
sapere qual è stata la sua sorte,
ecco che te la dirò seduta stante:
 
Ormai, anche da lui passò la morte.
Ma in Purgatorio sconta sua pena,
e poi del Paradiso andrà alle porte.
 
Ma un compito speciale egli lì mena:
se qualchedun cadrà nella selva oscura,
Sarà sciolta per un poco la sua catena.
 
Potrà correre in soccorso alla creatura
che si perda in quella selva selvaggia,
e riportarla in su la strada sicura.”
 
Così sapevo che la tua mente saggia
avrebbe tirato alcuni fuor dai guai.
Mi misi fermo su questa spiaggia,
 
pronto a non scoraggiarmi mai.
Fissai la porta, sempre, da quel dì.
Amico mio, in eterno ti aspettai».
 
 
 

N.a.
Un canto poco divertente, lo ammetto. Avevo voglia di un piccolo spazio pieno di feels. Preparate le risate per le prossime puntate! (oddio ma quante rime ho fatto?)

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Capitolo 5
*** canto V ***


 V
 
 
Finiti i pianti e i lacrimoni,
Virgilio fece a Dante un gran sorriso:
« Ebbene, fai vedere quei gironi,
 
(quelli nuovi, per inciso)?
Chi son queste creature?
Fammele vedere un poco in viso»
 
Si volse quindi alle future
esploratrici del mondo infernale.
Vibraron le sue mani e gli occhi pure:
 
« Oh qual giovane Vestale
fu più graziosa di voi due bambine?
Il vostro occhio è ancor gioviale,
 
al bene e al bello ancora incline.
Vedete un po' chi vi salvò dal bosco
e da una prematura, brutta fine?»
 
così dicendo indicò quel tosco
che alle due da maestro faceva,
anche se adesso sembrava molto losco.
 
« Di certo sono sua allieva»
disse Samantha guardinga
« Ma non c'è cosa più longeva
 
dell'affetto che voi due stringa».
Dante era adesso men geloso,
e anzi gongolò della lusinga.
 
Virgilio fece un gesto maestoso
e indicò la fiammante moto,
dicendo: « ma che è quel coso?»
 
Le amiche con accento devoto
spiegarono all'antico romano
cosa fosse quell'oggetto ignoto:
 
« Vedete, maestro lontano,
con quella arrivammo veloci.
Dante l'ha presa per darci una mano».
 
Il sommo poeta a queste voci,
tornò ad impietrirsi indignato.
Guardò dall'alto in basso i suoi soci:
 
« Quindi è questo che vi ho insegnato?
Che la moto serve solo a velocizzare
la discesa nell'inferno modificato?»
 
Alice non si fece rimproverare.
Alzò le spalle, tranquilla,
e annuì per confermare.
 
Dante lanciò una scintilla
con lo sguardo più che furente.
« A Da' fatte na camomilla!
 
Nun te si regge veramente!»
Se ne uscì Virgilio in latino,
lingua antica ormai morente.
 
Ripreso dal maestro birichino,
Dante fece un ultimo sospiro
e disse di riprendere il cammino.
 
« Aspetta, mo' famme fa un giro!»
Virgilio prese la moto dirimpetto,
« è la prima volta che l'ammiro!».
 
Così mentre il poeta, un poco inetto,
rombava fracassando per il prato,
Dante spiegò ciò che non aveva detto:
 
« La moto ci servirà da un lato
per traversare il vallone,
come già ve ne ho parlato.
 
Ma ha anche un'altra mansione:
col fanale accecheremo
un grandissimo scimmione.
 
Adesso infatti ce ne andremo
alla volta dei giappo-malati.
C'è lì un guardian supremo
 
che fa la posta ai loro peccati.
Ed è scimmione grosso e forte,
ma se i fari gli teniam puntati
 
cadrà come si cade alla morte.
Perciò aspettiamo di riavere il mezzo …
e che quel coglione non vada tanto forte!».

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Capitolo 6
*** canto VI ***


 VI
 
Virgilio rimase sul motore
per un lungo tempo assai,
diciamo pure delle ore.
 
Dante non avrebbe osati mai
arrabbiarsi col suo amico,
così indicando Alice disse: « Vai!».
 
Alice rispose una cosa che non dico,
ma non disobbedì al voler della sua guida.
E gridò con forza all'uomo antico:
 
« Prima che tu ti uccida,
non è che ci ridai quell'arnese?
Non mi sembri tipo da movida».
 
Virgilio, fermandosi, si arrese.
Col broncio tutto penzoloni
guidò fino a Dante, poi discese.
 
« Vabbé oh, rompicojoni.
Me stavo solo a fa' un giretto.
Ma voi dovete andare nei gironi.
 
Amico mio prediletto,
so che andartene tu devi.
Ma come sai, io qui ti aspetto».
 
Mestamente i tre allievi
lasciarono il grande latino.
Trascinando la moto a piedi,
 
continuarono il loro cammino.
Finché il limbo non fu sparito
ed entrarono in territorio divino.
 
Qui il Signore con un sol dito
poteva comandare a piacimento.
Il luogo neutrale era finito.
 
Pareva tutto buio e tutto spento,
nessun altro rumore troneggiava:
udivano soltanto un soffio lento.
 
Un soffio, o un respiro pien di bava;
come uno che ha la tosse grassa.
Samantha non capiva ma già tremava.
 
Poi Dante sussurrò con voce bassa:
« Quello è il guardiano dei malati del Giappone.
Se ci vede, tempo poco e ci fracassa.
 
È fortissimo guerriero e qui è padrone.
È l'ultimo discendente d'un gran clan
che si trasforma in potente scimmione.
 
Il suo nome è Goku,ed è un Sayan.
Che guarda ai giappominkia gelosamente.
Ha la forma d'un peloso orangutan.
 
Ora noi lo accecheremo prontamente
con il faro della moto che io tengo.
Ci sarò io con voi, ma state attente».
 
« Prometto che non svengo»
disse Samantha già impaurita.
« Tranquilla, se cadi io ti tengo.
 
Qui fra i morti, tienila, la vita»
Rispose Alice dolcemente,
ma non si sentiva troppo ardita.
 
Goku si faceva i cazzi suoi altamente,
quando Dante il faro bianco accese
illuminandolo completamente.
 
Alice finì che poi si arrese
e si spaventò tanto quanto
Samantha, che era alle prese
 
col vicino svenimento.
Anche Dante era tutto bianco
sia per la luce che lo spavento.
 
La scimmia si rigirò su un fianco
e gli sortì un arrabbiato ruggito.
Era tremendo da solo; pensa in branco!
 
Il gruppo era stato ammonito
dall'urlo grottesco del primate,
che ancora sbraitava inferocito.
 
« Se ve lo dico, scappate!»
Disse Dante, sempre preoccupato.
« Perché non vi avevo avvisate
 
che il faro lo avrebbe anche aizzato.
Ora lo spegnerò sperando
che invece cada addormentato»
 
Le ragazze inveirono urlando:
« Cosa? Ma sei impazzito?!
Quando l'hai pensata?! Dicci quando!!»
 
il maestro, per nulla divertito,
teneva sempre il faro puntato
sullo scimmione inviperito.
 
Sperando di non essere agguantato
dalla bestia più che mai furente,
spiegò cosa aveva pensato:
 
« Goku diventa incosciente
quando la luce lunare cessa.
Così magari se sente
 
che una forte luce lo vessa
e poi smette di brillare,
smetterà anche la sua ressa».
 
Mentre scappavano ed erano a parlare
Goku, la scimmia ancor feroce,
si era alzato per ammazzare.
 
Fuggendo via veloce,
i tre gli passarono davanti.
Potevano fare una fine atroce.
 
Samantha lesta, tanti
aculei di roccia vide.
E disse a tutti quanti:
 
« Se spegni la luce ci uccide!
Maestro non servirà a nulla
quel faro. Ormai ci vide!
 
È la coda che annulla
la forza dell'alieno!»
e Dante: « Fanciulla,
 
fai qualcosa in un baleno!
Avrete le mie scuse sincere,
fuor di questo luogo osceno!»
 
Alice vide le aguzze scogliere
ed alla moto dette un calcio,
che con forza si abbatté sulle barriere.
 
Tremaron le rocce come sfalcio
e s'abbatterono su Goku lo scimmione;
la coda gli tagliaron con un trancio
 
e cadde giù svenuto, il gran bestione.
Impaurite ed ansimanti le ragazze
gridarono al maestro: « sei un coglione!»
 
di rabbia e di paura tutte pazze
urlavano al poeta medievale.
Le facce ancor sudate e paonazze.
 
« Lo so, ho pensato male»
ammise Dante, un poco mesto.
« Ma questo mostro bestiale
 
davvero non fa testo.
Non ero stato informato
della coda e tutto il resto».
 
« Beh allora sei malato!»
disse Samantha sempre impaurita.
Dante sapeva di aver sbagliato
 
e che per poco non perdevano la vita.
Poi però si riprese dalla tristezza
e disse: « La mia moto s'è scalfita?!»
 
preoccupato, con destrezza
balzellò fra le macerie.
Cercò, cercò e poi: salvezza!
 
Le ragazze, con facce ancora serie,
videro il maestro ritornare gioioso
con la moto, affatto provata dalle intemperie.

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Capitolo 7
*** canto VII ***


 
 Dopo che il trio si fu ripreso
dallo spavento smisurato,
per il grosso malinteso,
 
si rialzò dallo sterrato.
Dicendo addio alla carcassa
del guardiano Goku sotterrato,
 
ecco che il trio si passa
per una via stretta e verticale.
Samantha che era la più bassa
 
camminava dritta naturale;
mentre Alice e il gran maestro,
ci passavan proprio male.
 
Evitaron con grand'estro
dei sassi molto brutti.
Creata appunto per malestro,
 
la via per i farabutti
giappo-malati fu brutale.
Ma ecco che li vedevan tutti:
 
ogni corpo era normale
solo fino alla testa, assente.
Questa stava conficcata male
 
ai piedi di chi presumibilmente
l'aveva posseduta sopra il collo.
Sulle spalle or non c'era niente.
 
« Io qui vi mollo!»
disse Samantha, impressionata.
« so qui che già barcollo».
 
Dante abbaiò una sgridata:
« Gnamo! Il peggio ha da venire!
Non temere questa valle indiavolata!»
 
Samantha ebbe cose da ridire:
« Chi è quel pappamolla
che non fa altro che svenire?
 
L'ho letta, sai? Controlla!
La Commedia tua, Divina»
i capelli arricciati a molla
 
le davano un'aria serpentina.
Alice provò a rimbeccare:
« Ora basta, madonnina!
 
Maestro, te c'hai da spiegare
che è questo posto di cacca.
E Samantha, non scappare!».
 
Di nuovo Dante s'ammacca
in una smorfia impermalita.
(un orgoglio che subito s'intacca!)
 
« Ogni anima che quivi è dipartita
ha peccato di un male vario:
come già vi dissi, in sulla vita
 
ebbero ingegno sì precario
da sciuparlo con nipponiche cazzate.
Ecco, quello ha nome Mario.
 
Se pian pian lo ravversate,
forse parlerà con voi.
Narrerà le pene che ha passate».
 
Le due ragzze di lì in poi
videro un capo mozzo baffuto
che, avvicinandosi, faceva “ahi” “ohi”.
 
Il corpo se ne veniva muto
dietro la testa che rimbalzava ai piedi.
Mario, era il nome da lui avuto
 
ma ormai non c'eran rimedi
al suo mal definitivo.
Venne a loro e disse: « chiedi
 
tu chi fui da vivo?
Son famoso, amaramente.
La testa di cui son privo
 
era coperta di cappel potente
rosso, con una “M” disegnata.
Fui un idraulico, veramente.
 
Ero italiano, all'ambasciata,
ma poi divenni giapponese.
Non capivo che minchiata
 
spacciarmi per vero in un altro paese!
Imparavo paroline a pappagallo
dicevo “kawaii” a più riprese.
 
Vedete il mio capo, senza piedistallo.
L'avevo un giorno sulle spalle,
e invece l'ho staccato come un callo
 
per tufralo nelle commerciali balle,
che credevo degne di stima,
e invece adatte a questa valle».
 
Ed ecco che Mario era dapprima
un uomo sano di mente e d'intelletto,
ma elesse la stoltezza a cosa prima.
 
Il viso d'Alice però era sospetto:
lei pure apprezzava il mondo orientale,
che provocò a Mario il gran dispetto.
 
« Dimmi Mario, ma che c'è di male
ad appassionarsi a queste cose?
Fanatici o amanti non è uguale?»
 
Mario ascoltò le parole setose
della dolce Alice, che provava
compassione per tali sorti dolorose.
 
« Il mal non è per chi amava
fumetti, cartoni o qualunque cosa sia.
Il male nasce quando schiava
 
la mente diventa della bizzarria.
E non si scinde falso da vero.
Io lo ricordo. Mamma mia!
 
Se un cuore ha interesse sincero,
nessuna passione puoi biasimare.
Il problema nasce davvero
 
quando cominci perdutamente ad amare
cose fasulle, personaggi, universi.
E la realtà si vuol abbandonare.
 
Si imparano parole, suoni, versi,
ci si innamora di occhi di carta.
A quel punto, ormai si è persi».
 
Ed ecco Mario, con gli occhi scarta
quel trio certo inaspettato,
e ormai si augura che parta
 
da tal luogo buio e sconsolato
dove chi confuse vero e falso
sconta in eterno il suo peccato.

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