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L’aria sulla Waverider
era alquanto tesa e questo nessuno poteva negarlo. Rip
era tornato quello di prima, ma non si poteva dire lo stesso delle dinamiche
del gruppo che nonostante si sforzasse a non darlo a vedere, faticava a trovare
una nuova stabilità in quella situazione. Da quando lo avevano perso e Sarah
aveva preso il comando e con l’aggiunta di Nata e Amaya erano andati lentamente
tutti a creare un loro equilibrio che una volta stabilizzato era stato messo
alla prova dalle azioni disdicevoli del loro ex capitano per scoprire poi che
erano dovute a niente di meno che un lavaggio del cervello.
Ora tutto era tornato alla normalità, ma solo apparentemente. Rip lo sapeva bene, lo notava da come tutti lo osservavano
sempre con una nota di sospetto nello sguardo o da come non riuscisse a
scambiare più di due parole che non fossero strettamente legate alla missione
con il resto dei suoi compagni. Lui si vergognava delle sue azioni e loro
sembravano non perdonarlo per le stesse.
C’era una tacito accordo di ignorare la realtà e far funzionare al meglio
le cose per il bene della missione, ma senza successo.
Uno dei momenti preferiti di Rip diveniva dunque
la notte, in cui poteva girovagare per i ponti della nave senza la costante
sensazione di essere osservato o di sentirsi a disagio. Sorseggiava la sua
tazza di tè e si dilungava in lunghissime chiacchierate con Gideon,
seppur quella notte era diversa. Da solo nel suo studio –e di Sara- stava leggendo
il diario di bordo, assorto in flashback di ciò che aveva fatto che cercava di
ignorare. Ecco anche il motivo per cui dormiva poco, per non dover far i conti
costantemente con gli incubi che gli ricordavano i suoi errori e il peggiore di
tutti era stato ciò che aveva fatto a Sara… un qualcosa che nemmeno volendo
riusciva a dimenticare, perché gli bastava incrociare il suo sguardo
incredibilmente azzurro per rimembrare l’orrore delle sue gesta.
Rip
sbatté velocemente due volte le palpebre come a volerne scacciare il pensiero e
mise da parte il diario di bordo. Era solito concedersene qualche pagina a
notte fonda per scoprire cosa il team aveva affrontato in sua assenza e
meravigliandosi ogni volta di quanto Sara fosse una strabiliante capitano,
molto meglio di lui.
Un sorriso compiaciuto, ma al contempo amaro, gli si disegnò sulle labbra
nel momento in cui Gideon attirò la sua attenzione.
«Capitano Hunter»
«Sì Gideon?»
Rip aveva
appena fatto scorrere la sedia all’indietro, deciso ad alzarsi e tornare nel
suo alloggio per cercare di dormire almeno qualche ora, quando il tono grave della
A.I. della Waverider gli fece intendere che non lo
stava trattenendo per una semplice chiacchierata.
«Ricorda che mi ha chiesto di tenere sotto controllo la linea temporale?
Soprattutto quella futura?»
Come non avrebbe potuto? Lui sapeva di Flashpoint,
sapeva del messaggio del Barry del futuro, ma lo aveva nascosto alla squadra
nella speranza che non ci fosse necessità di doverne discutere. Tuttavia quando
Sara gli aveva parlato dei Conquistatori e di come durante quell’evento
parlando con Barry questo aveva confermato le sue azioni… Rip
non poteva più far finta di niente e dunque doveva scoprire se i suoi dubbi
stavano divenendo realtà.
«Sì lo ricordo bene. Hai trovato qualcosa?»
Rip tornò
a sedersi più comodamente e mettendo da parte la tazza di tè si sporse sulla scrivania,
gomiti ben piantati sulla piana di legno e tutta l’attenzione alla voce di Gideon.
«Temo di sì. Le conseguenze di Flashpoint si
stanno cementificando, non parliamo più di un futuro incerto in continuo
mutamente, ma di cambiamenti che si stanno stabilizzando e… ho paura che questo
la coinvolga da vicino Capitano…»
Un’espressione stranita si disegnò sul volto di Rip.
A lui? Come era possibile? Dubitava di avere una certa qual importanza nella
linea temporale futura, tanto meno perché dubitava che la sua vita avrebbe mai
potuto in qualche modo cambiare. Era chiaro ormai come il sole che dopo Miranda
e Jonas e il suo fallimento nei loro confronti, non avrebbe mai proseguito la
sua esistenza in quel senso. Ormai la Waverider e la
missione era tutto ciò che gli era rimasto.
La mattina successiva Rip era già in piedi da un
po’ o forse era meglio dire che non era proprio andato a dormire. Gideon non si era allungata in spiegazioni, gli aveva
lasciato una foto, un luogo e un’epoca e con quelle poche informazioni Rip aveva capito fin da subito che si sarebbero dovuti dirigeri lì per scoprire in che modo e quanto gli eventi di
Flashpoint si stavano cementificando nel tempo. Così
con una strana ansia addosso che non sapeva spiegare, era rimasto sul ponte di
comando a fissare la foto della ragazza che Gideon
gli aveva fornito, trovando nella sua espressione un qualcosa di familiare, ma
dovuto a cosa? E perché lei sembrava così importante e centrale in tutta quella
storia?
Non si era nemmeno reso conto delle ore che erano passate, tanto che quando
il resto del team giunse sul ponte di comando lo trovò lì… intento e perso nei
suoi pensieri.
«Buongiorno Rip!»
Esclamò una Sara confusa e stranita, mentre andandogli incontro lo guardò
come a intimargli di lasciargli il posto di comando. Avevano ancora difficoltà
a gestire quella situazione, ma per ora Rip la
lasciava fare, come farle continuare a guidare la Waverider.
Tuttavia il comportamento in parte scherzoso di Sara si bloccò quando notò
l’espressione greve di Rip e l’attenzione quasi
morbosa che stava dando a una foto che stringeva tra le dita.
«Chi è?»
«La nostra missione di oggi»
Disse lapidario, prima di alzarsi e dirigersi al centro del ponte di
comando, lì dove la testa digitale di Gideon
comparve. Intorno a lei il resto del team, tutti con un’espressione alquanto
confusa sul viso, mentre davano tutta la loro attenzione a Rip.
Forse per la prima volta priva di tutta quella paura o sfiducia che nell’ultimo
tempo non riuscivano a nascondere.
«Flashpoint?» rimarcò Jax
scambiandosi un’occhiata d’intesa con il professore.
«Pensavo che fossimo focalizzati sulla League of Doom
e questa fosse storia vecchia…»
Notò Ray grattandosi il capo, ricordando che dopo
averne parlato con Barry la faccenda pareva morta lì.
«Vorrei tanto che fosse così Signor Palmer, ma ho chiesto a Gideon di tenere d’occhio la linea temporale da quando il
Barry del futuro mi ha mandato quel messaggio… Non ve ne parlai perché allora
era solo una possibilità…»
«Ma da quando Barry la confermata… il futuro sta subendo conseguenze Rip?»
Gli chiese Sara sinceramente allarmata, voltandosi completamente verso di
lui. Ma forse era una domanda stupida. Lo avevano già notato con il figlio di Diggle, che a quanto pare era una bambina prima… insomma
cambiamenti del genere non potevano non creare possibili terremoti temporali.
«Peggio, si sta cementificando. A quanto pare Flashpoint
non è solo una realtà parallela che ha creato, ma ormai l’unica realtà
esistente per noi… le sue conseguenze non sono blande, anzi con il passare del
tempo stanno diventando profonde e definitive…»
«Barry nel messaggio parlava di una guerra che stava per arrivare, una in
cui saresti stato chiamato a farne parte e di non fidarti di nessuno, nemmeno
di lui…»
Rimembrò Jax ripetendo quasi le stesse parole che
nella registrazione aveva ascoltato. Si passò nervosamente una mano davanti la
bocca, mentre Nate con la braccia incrociate al petto lanciò per un attimo uno
sguardo fugace ad Amaya che chiese schietta: «E’ arrivato quel momento
Capitano?»
«Ho paura proprio di sì…»
«Allora sia! Gideon imposta le coordinate,
andiamo nel futuro!» esclamò con estrema decisione Sara.
«Agli ordini Capitano. Central City, 2042. Luogo e data impostata, pronti a
partire»
Tutti presero velocemente posto, Rip come sempre
accanto a Sara al posto di comando e pronta a pilotare la Waverider.
Ma quella volta c’era qualcosa di diverso, la data era molto vicina e le contrindicazioni
di incontrare sé stessi erano altissime eppure sembrava che non avessero altra
scelta e poi c’era qualcos’altro… quella ragazza.
«E lei?» chiese sottovoce Sara riferendosi alla foto che Rip poco prima stava guardando e che ad inizio riunione
aveva nascosto nella tasca interna della giacca.
«Non lo so Sara. So solo che è importante…»
La donna annuì, non chiese altro, perché non ne aveva bisogno.
«… e per qualche ragione lo è anche per me»
Torno al mondo delle Fan Fiction dopo 6 anni e lo
faccio piena di emozione e anche nervosismo. In questo lunghissimo tempo mi
sono dedicata sempre alla scrittura, ma a storie originali che ad oggi sono
diventati due libri editi. La mia collaborazione con la mia casa editrice
prosegue e anche le mie storie, ma le fan fiction è dove tutto è iniziato… dove
la mia passione per lo scrivere è nata, cresciuta e maturata.
Quindi con questa avventura dedicata al fandom di “Legend’s of Tomorrow”
spero di non deludervi e anzi al contrario di emozionarvi e portarvi insieme a
me in un modo ricco di emozioni e sensazioni.
C’era una strana tensione nell’aria che
nessuno sapeva spiegare, ma che molto probabilmente era dovuta alla
consapevolezza di essere in un futuro non tanto lontano. Se poi a questo si
aggiungeva il fatto che Central City appariva esattamente come la ricordavano,
tutto era ancora più bizzarro. Era probabilmente la prima volta che le Leggende
non avevano avuto bisogno di mascherarsi o travestirsi, perché il loro essere
vestiti normali si sposava benissimo con un futuro che non differiva poi tanto
dal presente che tutti conoscevano.
«Signor Hunter è proprio sicuro che il nostro essere qui non crei terremoti
temporali?»
«Il Professor Stein ha ragione, insomma le possibilità di incontrare noi
stessi sono infinitamente alte…»
Rip
ascoltò con attenzione sia l’osservazione di Stein quanto l’appunto di Nate,
non potendo fare a meno di fare spallucce.
«Possibile, ma Gideon ci ha indirizzati comunque
qui pur conoscendo i pericoli e se così è… la situazione è ben più grave di
quanto pensassi… Questo evento è qualcosa di più unico che raro anche per me,
un Signor del Tempo non viaggia mai nel proprio passato o nel proprio futuro.
Ogni suo salto temporale deve necessariamente avvenire il più lontano possibile
dalla sua linea temporale eppure siamo qui e dobbiamo capirne il motivo…»
La passeggiata del gruppo per le strade della città si bloccò in prossimità
del centro quando notarono un gruppo di persone riunite di fronte a uno dei
mega schermi posti su uno dei grattacieli della città. In quel futuro se ne
trovavano un po’ ovunque e come a Time Square
trasmettevano non solo pubblicità, ma anche notizie e ultime ora. E quella che
tutti stavano osservando sembrava alquanto apocalittica.
«Continuano gli scontri a Londra, la
resistenza ha compiuto un nuovo attacco terroristico nei confronti di Queen
Diana e il suo popolo di Amazzoni, mentre è solo di qualche ora fa le nuove
esecuzioni pubbliche volute dal Re atlantideoAquaman nella famosissima Porta di Brandeburgo di Berlino.
Ma passiamo alle notizie del giorno: è di oggi la notizia che il Presidente ha
chiesto al famigerato Cyborg di formare un gruppo di eroi, una Lega in grado di
fronteggiare queste nuove minacce, sempre più forti e sempre più pericolose…»
La giornalista continuava a parlare, ma le Leggende si guardavano
scombussolate e sconvolte.
«La resistenza di Londra? Non ricordo di aver studiato a scuola di un
occupazione da parte di amazzoni nella mia città…» osservò Rip
alquanto sconvolto, mentre Mick come al solito era divertito.
«Atlantideo? Dunque esiste Altlantis
e probabilmente tutti i suoi tesori, buono a sapersi…»
«Aspettate… Aspettate… Quel Cyborg non vi sembra familiare?» li interruppe
Sara indicando lo schermo.
«Ho come la sensazione che Flashpoint abbia
cambiato molto più di quanto credevamo…»
Le Leggende presero la decisione di diversi in gruppi: unosarebbe tornato alla Waverider
e avrebbe raccolto maggiori informazioni in merito a quel futuro e uno avrebbe
fatto lo stesso, ma girando per la città.
Rip,
Sara, Jax e Stein dunque si diressero alla STAR Labs sperando di trovare il Barry del futuro che aveva
mandato loro il messaggio e magari porre direttamente a lui le domande che
tanto li assillavano, ma in realtà giunti sul posto si imbatterono in uno strano
ritrovo di super eroi a loro familiari: Green Arrow e Speedy, due Flash, un Firestorm e un’altra ragazza vestita di nero. Di fronte
all’entrata delle STAR Labs ad attenderli il famoso
Cyborg.
«Ehi ma quelli non siamo noi!» notò Jax facendo
cadere immediatamente lo sguardo su Firestorm.
«E quelli non sono decisamente Oliver e Thea…»
Aggiunse Sara, mentre decisero di rimanere un attimo nascosti per vedere
cosa quel gruppo improbabile di eroi si sarebbe detto, prima di uscire allo
scoperto.
«Amici. Vi ringrazio per essere venuti…»
«Non che abbiamo dovuto fare molta strada, questa è casa nostra!» esclamò
uno dei due Flash, quello che portava la stessa tuta di Barry, mentre faceva
l’occhiolino indicando le STAR Labs.
«Ho detto a Cyborg che potevamo usare le proprietà di mio padre come base.
Ormai per me e mia sorella sono fin troppo grandi come quartier generale, ma
per la Lega… sarebbe perfetto!»
«Pochi voli pindarici, io e mia sorella ancora non abbiamo detto che siamo
dei vostri!»
Chiunque fosse il nuovo Green Arrow, sicuramente aveva lo stesso
temperamento duro e inflessibile di Oliver, mentre come Barry il nuovo Flash
era amabile e disponibile.
«Lo sai perché siamo qui… Aquaman e Queen Diana…»
«Cos’è il Presidente ti ha detto di andare a prendere l’osso e come sempre
tu lo hai fatto?»
«Connor…»
«No Mia! E’ la verità!»
La tensione che intercorreva tra Cyborg e Green Arrow era palpabile, di chi
per qualche ragione aveva dei conti in sospeso decisamente non risolti.
«Ho solo fatto ciò che era necessario e lo sai. Oggi più che mai dobbiamo
poter essere riconosciuti legalmente per poter affrontare una minaccia di tali
portate. Il mondo è sull’orlo di una guerra mondiale e non c’è spazio per gli
screzi personali… Non quando i nostri genitori hanno combattuto duramente per
darci tutto questo, compresi i tuoi!»
«Screzi personali? Fammi il favore non osare nemmeno citarli i miei
genitori…»
Green Arrow aveva già incoccato la freccia che il Flash ragazza l’aveva
fermata in tempo, nello stesso momento che il nuovo Firestorm
si posizionava tra i due litiganti.
«MALEDIZIONE! Siamo qui per discutere di cose ben più importanti! Datevi
una calmata tutti e due!»
Ma ben presto quell’incontro acceso tra supereroi venne interrotto dalla consapevolezza
di essere osservati alche ogni scontro cessò per dare tutta la loro attenzione
ai nuovi arrivati e dopo averli tenuti sotto tiro, si resero tutti velocemente
conto che erano qualcuno di estremamente familiare, quanto a Rip e Sara successe lo stesso nel trovare nella ragazza
vestita di nero –la più taciturna fino a quel momento- la stessa della foto
data loro da Gideon.
Sulla Waverider intanto nella biblioteca Nate era
intento a fare delle ricerche con Gideon, Ray ed Amaya, mentre Mick come sempre si stava sorseggiando
la sua birra seduto in un angolo e apparentemente disinteressato a tutto e
tutti.
«Ok riassumiamo questa Queen Diana e Aquaman sono
degli esseri potentissimi, ma non meta umani e che attualmente hanno in mano
l’Europa intera dopo che dieci anni fa dopo la loro comparsa i due popoli da
loro guidati stavano celebrando un matrimonio di convenienza tra le loro due
nazioni quando ci fu un attentato ad Hyppolita, madre
di Diana, e questa rimase uccisa.
Questo portò ad una serie di scontri diplomatici e reciproche accuse che
sfociarono nella guerra attuale»
«Esatto Signor Heywood, tuttavia quello che
ancora non si sa è che questo è stato frutto di un complotto ordito
dell'amazzone Panthesilea e del fratello di AquamanOrm. In segreto amanti,
da tempo tramavano nell'ombra, scontenti dell'unione tra i loro due sovrani e
della diplomazia che stava allontanando i loro gloriosi regni dalla loro
tradizione guerriera» aggiunse Gideon con la sua
solita precisione, mentre Nate e Ray strabuzzavano
gli occhi colpiti.
«WOW questo è più interessante di qualsiasi telenovelas!»
azzardò Mick divertito al massimo da quel futuro, mentre sorseggiava la sua
birra ghiacciata.
«Quello che non capisco Gideon è: perché ci hai
fatto venire qui? Cosa dobbiamo sistemare?»
«Il Capitano Hunter mi ha chiesto di controllare questo futuro e informarlo
se si sarebbe cementificato e quando gli ho fatto notare che così era ha
pensato opportuno venire a controllare»
Amaya non sapeva esattamente come prendere quella risposta, cosa dovevano
fare dunque aiutare i supereroi di quel futuro nella loro guerra contro Queen
Diana e Aquaman oppure c’era qualcos’altro?
«Credete che sarebbe opportuno conoscere come sono messi i nostri amici in
questo futuro?» chiese improvvisamente Ray mosso da
un rimorso di coscienza. Nessuno doveva conoscere una cosa del genere e
sicuramente né Sara né Rip avrebbero concordato, ma…
dopotutto lui sapeva del futuro di Amaya e lo aveva detto a Nate… e forse
quella erano informazioni che servivano loro.
«Non lo so, non credo sia una buona idea…»
«Sì Nate ha ragione. Lasciamo perdere…»
Ma mentre i tre erano lì non sapendo esattamente come agire, Mick troppo
curiosa e molto meno responsabile di loro, lo fece.
«Gideon dicci come sono messi in questo futuro
quelli che conosciamo!»
«NO!»
«Come desidera Mister Rory!» a niente era servito
il coro negativo di Nate, Ray e Amaya, che Gideon aveva iniziato a far apparire sullo schermo
fascicoli, documenti di giornale e qualsiasi cosa riguardasse personaggi noti
alle leggende.
«KaraEl. Subjetc 1. Aliena kryptoniana,
usa come cavia per diversi esperimenti da circa 27 anni.
Iris West-Allen dopo la sparizione del marito è andata sotto copertura per
un reportage a New Themyscira tra le amazzoni.
Oliver Queen e Dinah Drake, morti in un incidente
d’auto.
Wally West e Jesse Quick , scomparsi lo stesso
giorno della comparsa del più grande supereroe di Central City: Citizen Cold»
Ray era
riuscito a bloccare Gideon prima che continuasse con
quel decalogo, mentre Mick sull’ultimo nome era saltato letteralmente sulle
sedia. La bottiglia di birra ormai frantumata a terra e lo sguardo scioccato,
non voleva farsi illusioni, ma non poteva nemmeno ignorare l’istinto e lo
stesso gli diceva che Citizen Cold aveva strettamente
a che fare con il suo partner.
Ed eccoci qui con il secondo capitolo, non so se questa
storia vi piace indubbiamente io mi sto divertendo davvero tantissimo a
scriverla e come potrete vedere il mio punto d’interesse e centrale èFlashpoint che trovo così
interessante che non potevo non approfondirlo e costruirci una storia intorno.
Aspetto con piacere vostre recensioni o critiche, se vi andrà di farmele.
Grazie per leggermi e alla prossima!
L’interno delle STAR Labs
era esattamente come Martin e Jax ricordavano seppur
tutto era molto strano senza la presenza di Caitlin,
Cisco o… Barry. Nel centro della cortexRip stava osservando il manichino spoglio della divisa di
Flash, mentre Sara stava cercando di convincere quel gruppo improbabile che non
erano loro il nemico.
«Possiamo parlare senza che ci tenete sotto tiro?»
«Non credo che questo può essere possibile Sara…» esclamò con una strana
familiarità Firestorm e non solo perché indossava la
stessa divisa di Jax, ma anche per la sua
conformazione del viso resa ancora più tonda dai capelli rasati scuri. Gli
occhi bianchi non ingannavano però che appartenessero a un giovane adolescente,
nonostante la maturità della sua cadenza dovuta però della sua altra metà.
Quella non visibile, ma che di fatto era quella che in quel momento stava
parlando.
«Barry ci aveva avvisato che una cosa del genere avrebbe potuto accadere…»
«E vi ha detto di non fidarvi di nessuno…» concluse Martin stranito di
trovarsi di fronte a un Firestorm che non era lui. Jax ancora più confuso lo fissava come con la sezione di
guardarsi allo specchio, prima di aggiungere «…lo ha detto anche noi. Ha detto
di non fidarsi nemmeno di lui…»
«Oh questo non è un rischio, ve lo posso assicurare!» disse la ragazza
Flash togliendosi la maschera e mostrando così i suoi occhi profondi di un
verde misto a cioccolata. La pelle bronzea appariva leggermente abbronzata, ma
i suoi lineamenti non ingannavano le sue origini decisamente non solo
caucasiche. I lunghissimi capelli neri erano tenuti insieme da un composto
chignon e le labbra rosse sottolineavano una bellezza estremamente elegante,
che non tradiva però nello sguardo anche sicurezza, fermezza e la certezza di
aver visto tanto… forse troppo.
«Dawn cosa diavolo fai!» Green Arrow era scattato
in avanti al suo gesto, ma lei alzando una mano gli aveva fatto capire che
andava tutto bene, mentre facendo qualche passo si avvicinava a Firestorm e di conseguenza era faccia a faccia con quegli
ospiti.
«Mio padre è sparito 18 anni…»
«Tu sei…»
«Dawn Allen e lui è mio fratello Donald…» il
tempo di dirlo e quello era già sfrecciato vicino alla sorella, togliendosi a
sua volta la maschera e donando loro un ampio sorriso. Era molto simile a Dawn per via del colore della pelle e i lineamenti, i
capelli erano sempre neri, ma cortissimi e gli occhi scuri. Tuttavia aveva una
scintilla nello sguardo più sbarazzina, più gioiosa e indubbiamente positiva.
«E noi siamo i Tornado Twins!» concluse lui con orgoglio e fierezza, mentre
molto meno convinti di tale azione erano Green Arrow, Speedy e Cyborg alle loro
spalle.
Dal canto suo, la ragazza bionda della famosa foto, quella vestita in nero,
uscì dalla stanza dando la sensazione a tutti che fosse per lei impossibile
riuscire a resistere ulteriormente a quella situazione.
Ciò che susseguì a quell’incontro fu la certezza da parte delle Leggende
che quei ragazzi sapevano benissimo chi loro fossero, quanto loro sapevano
quanto con la loro vita questi erano intrecciati. Fu una collaborazione
immediata dovuta dalla capacità d’intesa oltre che di consapevolezza che se le
loro strade si erano incrociate era perché un motivo molto valido aveva fatto
che così fosse. Ben presto dunque le Leggende si trovarono divisi a capire
meglio quella realtà, il motivo della loro presenza e i supereroi con cui
avrebbero dovuto collaborare.
Una volta che le Leggende a terra si riunirono con quelli sulla Waverider questi si premurarono di aggiornate gli altri su
quello che avevano scoperto. Per tutti era un chiedersi continuo se non fosse
inevitabile in quella missione dover conoscere così tanto del proprio futuro e di
quello dei loro cari amici, ma dopo un sonno ristoratore capirono che non
potevano fare altrimenti e la mattina successiva si prepararono ad iniziare
quella bizzarra collaborazione.
«Mi spiace avervi accolto in questo modo…» fu la prima cosa che Cyborg
disse a Rip, Sara e Ray la
mattina successiva quando questi lo raggiunsero alle STAR Labs
e vedendolo per la prima volta in abiti civili e rimanendo strabiliati dalla
sua corporatura e della sua somiglianza a dir poco identica a quella di Diggle.
«Quindi tu sei JJ… il figlio di…»
«Diggle e Lyla, ma per il
resto del mondo sono Cyborg. La suit che ieri mi
avete visto… me l’ha fatta lei Dottor Palmer…»
Ray si
indicò entusiasta, ma allo stesso tempo confuso, mentre nella stanza della
velocità era seduto su uno dei gradini osservando l’omone che aveva di fronte e
capendo solo in quel momento che lui non era completamente umano.
«Aspetta, tu non sei…»
«Totalmente umano? No. Anni fa ebbi un incidente mortale e se non fosse
stato per lei oggi non sarai qui. In parte sono macchina e in parte uomo, ma
ormai questo sono io e dunque le sono grato oggi come ieri…»
«Sei un eroe per questo mondo!» osservò Sara ripensando dentro di sé al
bimbo che aveva conosciuto così diverso dall’uomo fatto e finito che aveva
davanti. Doveva avere quasi trent’anni, era alto quasi due metri e aveva la
stessa finta durezza di Diggle, che mascherava un
cuore puro e gentile. Il taglio dello sguardo era di ghiaccio e la mascella
quadrata lo rendevano più terrificante di tutto il resto che di tecnologico
aveva eppure c’era così tanto patriottismo ed eroismo a contraddistinguerlo, a
farne il leader di quel gruppo.
«E lo è! Come lo sono i suoi genitori!» si lasciò sfuggire Donald che
finita la sua corsa mattutina era uscito dalla galleria della velocità in un
flash e con indosso la tuta delle STAR Labs aveva raggiunto
l’amico appoggiando un suo braccio sulla sua spalla e togliendola
immediatamente quando questo gli lanciò uno sguardo torno che lo fece desistere
dal riprovarci.
«Quando gli eroi più potenti della terra sono caduti… non esisteva più
nessuno in grado di continuare la loro eredità… ma l’arrivo di personalità come
Aquaman e Queen Diana, anche prima dei loro domini,
ci hanno fatto capire che non potevamo lesinarci da raccogliere l’eredità dei
nostri genitori. Cyborg è stato il primo di noi a nascere, a prendersi addosso
tutte le responsabilità della causa e ci ha motivato a seguirlo… tuttavia la
minaccia che stiamo affrontando è più grande di noi e per questo credo che voi
siate qui. Mio padre lo ha sempre detto ‘arriverà
un momento in cui il confine tra presente, passato e futuro verrà frantumano.
Non esisteranno più regole da seguire, ma solo decisioni da prendere’» era
chiaro dalle parole del ragazzo che ci fosse tanto orgoglio, ma al contempo
tantissima tristezza.
«Mio padre è sparito quando io e mia sorella siamo nati, ma ci ha lasciato
tantissimo materiale per addestrarci, per insegnarci tutto quello che sapeva
nonostante non ci fosse…»
Un momento di commozione costrinse Donald a nascondersi nuovamente dietro
al suo solito mega sorriso sornione, simbolo chiaro di un modo come un altro
per non mostrarsi debole o sensibile.
Fece un giro velocissimo e in due secondi tutti avevano un caffè in mano,
mentre sedendosi di fianco a Ray fece tintinnare la
sua tazza con la sua, non prima di sorridere con lui.
«Ehi che c’è? Pensavo che un caffè ci stesse bene, non per lei Capitano
Hunter so che preferisce il tè!» esclamò facendogli l’occhiolino, mentre Mia
scuotendo il capo si fece avanti.
Aveva voluto essere presente a quell’incontro con le Leggende, seppur suo
fratello non fosse d’accordo, quanto meno per farsi un’idea sulla situazione e
decidere se fosse opportuno o meno collaborare.
«JJ ci ha radunato qui per questo, per capire come tutti insieme possiamo affrontare
questa minaccia. Devo dunque presumere che voi ci aiuterete?»
Rip e
Sara si scambiarono velocemente uno sguardo d’intesa. Erano davvero lì per
quello? Dopotutto non lo sapevano. E forse avevano anche interagito fin troppo
con un futuro così prossimo. Ma erano lì, le conseguenze di Flashpoint
si stavano cementificando e a loro toccava capire come gestire quell’anomalia…
anche se non avevano mai avuto a che farne con una del genere.
«Direi decisamente di sì…»
«Lo ammetto non aspettavo di sentirvelo dire. Conosciamo le Leggende e le
loro regole… qualcuno meglio di altri…» una frase che Mia si era lasciata
sfuggire, riferendosi ovviamente a colei che fino a quel momento aveva fatto di
tutto per evitarli: la ragazza bionda.
«Sei la figlia di Oliver mh? Si vede!» ironizzò Ray sparendo dietro la sua tazza, mentre quella con le
braccia incrociate al petto rimase impassibile, per lei quello era solo un
orgoglio.
Rimasero d’accordo che JJ li avrebbe messi al corrente con ciò che fino a
quel momento avevano per scegliere un piano d’azione e per quel giorno le loro
strade si sarebbero divise, non prima però che Sara si intrattenesse alle STAR Labs ancora un po’. Disse a Ray e
Rip di tornare alla Waverider
e che lei li avrebbe raggiunti poco dopo, suo obbiettivo era trovare e parlare
con qualcuno prima.
Per qualche strana ragione non si sorprese di trovarla sopra il tetto delle
STAR Labs intenta ad osservare la città su cui
lentamente il sole stava tramontando. Quello che non si aspettava invece era di
scoprire i suoi straordinari riflessi, gli stessi che mostrò nel momento in cui
alzandosi di scattò si voltò verso di lei e la bloccò con i due piccoli bastoni
che portava legati in vita.
«Qualcuno ti ha allenata davvero bene…»
«A quanto pare…» rispose quella fredda, assicurandosi i bastoni alla vita e
tornando a sedersi dove era prima raggiunta poco dopo da Sara che non riusciva
a toglierle gli occhi di dosso. Forse erano i suoi lunghi capelli biondi, così
tanto da brillare come oro al sole o per i suoi occhi grandissimi e di un
marrone scurissimo che apparivano lontano anni luce da tutto o tutti. Forse
ancora era il suo essere taciturna e distaccata oppure semplicemente solitaria,
ma c’era qualcosa in tutto quello che l’attraeva…
«Non ti piace parlare mh?»
«Semplicemente non mi va di farlo se non ho niente da dire…»
L’impressione che aveva Sara era che quella ragazzina si fosse costruita
una spessa armatura e che il suo essere così strafottente fosse solo una
difesa. Era un atteggiamento che conosceva molto bene e che per qualche ragione
le faceva tenerezza.
Con quella pelle chiara e quel viso dai tratti così gentili e dolci
sicuramente non si aspettava un carattere così forte. Non che fosse un male, ma
era come se in cuor suo non volesse quello per lei.
«Senti non mi va di parlare ok? E nemmeno di avere compagnia!» la giovane
si alzò in piedi e fece per andarsene, ma Sara aveva individuato qualcosa nella
sua tonalità di voce tremante e anche nel suo sguardo lucido incapace di
guardarla, che la fece scattare. Si alzò a sua volta e le strinse forse il
polso con le mani, impedendole di muoversi.
«Perché mi odi così tanto? Perché non hai il coraggio di guardarmi negli
occhi?» il perché di quelle domande in realtà Sara non se lo sapeva spiegare,
ma l’unica cosa che sapeva era che le faceva male.
«Perché mi hai tradito… e non riesco a perdonarti per questo!» riuscì solo
a dire la giovane per poi liberarsi dalla presa e scappare, doveva farlo prima
di scoppiare a piangere di fronte a Sara ed era l’ultima cosa che voleva.
Sto partorendo un capitolo dietro l’altro. Sì lo so. Forse
non è un bene, ma sono così presa dalla storia che ad ogni secondo libero non
riesco a non pensarci e lavorarci. Spero che a voi entusiasmi quanto a me!
«Connor Queen nascosto da qualche parte a tirare frecce, perché non mi sorprende?»
la voce inconfondibile di Dawn giunse all’orecchie
del ragazzo che nonostante voltò il capo a guardarla, la sua freccia andò a
colpire senza problema il centro della sagoma di cartone che stava miranda.
La ragazza non era ormai più impressionata dalle straordinarie capacità del
ragazzo che gli aveva rubato il cuore, tanto che senza proferire altre parole
gli si avvicinò lasciando che lui le circondasse la vita con un braccio e la
baciasse.
«Basta JJ per fare da cicerone ai nostro ospiti…»
«Connor…»
«Che c’è? Dawn senti non concordo con la scelta
che hai fatto di fidarti di loro, ma ormai è fatta. Che rimanesse lui a
intrattenere la fantomatiche Leggende…»
Il carattere ispido del giovane non rinnegava le sue origini quanto più di
chi fosse figlio. Tutti conoscevano i gemelli Queen e poco importava sapere o
meno che loro fossero anche Green Arrow o Speedy in entrambi i casi eroi o
persone normali che fossero la loro freddezza e durezza era chiara per tutti,
seppur figlia di un evento traumatico che per ovvie ragioni li aveva resi tali.
Ma se Mia era più accomodante più capace di usare la ragione, Connor era puro istinto e la sua giovane età non aiutava.
Così allontanandosi dalla sua ragazza poggiò l’arco a terra, mentre
passandosi una mano tra i capelli castani, abbastanza lunghi da ricadergli
sulla fronte percepì subito che Dawn era lì per farlo
ragionare. L’unica oltre a sua sorella che ci riusciva.
«Non ricordavo che le Leggende ti stessero antipatiche…»
«Infatti, ma le circostanze sono diverse. Loro non sono i nostri amici…
sono estranei…»
«Non diresti così se tra loro ci fosse tuo padre…»
Dawn aveva
toccato un tasto dolente, lo sapeva, ma era stata proprio l’assenza dei loro
padri al loro fianco ad avvicinarli e successivamente a farli innamorare. La
capacità di capirsi come nessun altro poteva e di essere un conforto l’uno per
l’altra.
Connor parve infastidito da quell’osservazione tanto che dopo aver serrato la
mascella piegò buttò a terra la felpa delle STAR Labs
che aveva appena preso per indossarla di nuovo. Tolta la divisa e stando lì più
del previsto si era arrangiato con una delle tante tute che i laboratori
custodivano.
«E’ inutile che ti incazzi Queen, con me non attacca. Mio padre aveva
previsto che qualcosa del genere accadesse e ci siamo… Loro sono solo qui per
aiutarci e non dovresti sfogare su di loro frustrazioni che hai per altri
motivi…»
Connor si morse la lingua così forte da farla sanguinare, ma che poteva farci? Lei
aveva ragione. Come sempre. Forse per questo imprecò sotto voce e si lasciò
cadere a terra, facendo scivolare la schiena contro la parente, non mancando
poi di prendersi la testa tra le mani. Frustrato per una rabbia che non
riusciva ad indirizzare come voleva.
«E questo odio verso i Diggle ti consumerà prima
o poi…» aggiunse Dawn raggiungendolo e dopo aver
appoggiato una sua mano sinuosa su una delle sue spalle muscolose, sedersi
accanto a lui.
«Erano parte della famiglia Dawn… erano la mia
famiglia… JJ per me era un fratello e loro… loro hanno ucciso i miei genitori…»
«Non puoi saperlo…»
«Non posso? Nessuno sapeva del loro viaggio. NESSUNO. Solo loro e guarda
caso è successo… Sai quanto mio padre fosse nell’occhio di ciclone, lui ci
aveva messo la faccia all’epoca della caccia alle streghe, lui… lui ha permesso
che loro creassero la Checkmate e per cosa uhm? Per portare
avanti ciò che con il Team Arrow aveva costruito… ma no, loro dovevano fidarsi
del governo, di nuovo e abbiamo visto tutti come è finita…»
Il giudizio di Connor era offuscato e per questo
le sue parole uscivano come veleno dalla sua bocca, ma era anche vero che
dopotutto era difficile riuscire a vedere altri punti di vista al fronte di una
situazione apparentemente tanto chiara.
Quella però era diventata una vera ossessione per Connor
che negli ultimi cinque anni lo stava lentamente logorando, lui che aveva visto
bruciarsi fin troppo in fretta la sua giovinezza e rendendolo a solo vent’anni
già un uomo maturo consumato pieno di cicatrici fuori quanto dentro. Questo Dawn lo sapeva, tanto che gli passò una mano tra i capelli
cercando di dargli conforto, mostrandogli come sempre che lei era lì per lui.
«Devi fidarti del Presidente Connor… di JJ… le
cose sono cambiate, stiamo ponendo le basi per far rinascere ciò in cui
credevano i nostri genitori…»
«Sì ma a che prezzo Dawn?» chiese lui voltandosi,
non voleva andarle contro, ma parlarle con la verità.
«Tua madre è dispersa da mesi in una terra ostile e tuo padre è sparito
prima che potessi conoscerlo… Non è questa l’eredità che volevano lasciarci…»
«No. Non lo è, ma noi dobbiamo fare quello che loro non hanno potuto o non
sono stati in grado di fare. Amo mia madre e lo sai, ma lei non si è mai
ripresa dall’abbandono di mio padre nonostante ne conoscesse i motivi… Ma io e
mio fratello non possiamo permettercelo, non possiamo mollare come ha fatto lei…
noi siamo rimasti qui e combattiamo senza mai smettere di credere che tanti
sacrifici non possono essere stati vani e devi farlo anche tu Connor. Devi combattere credendoci come faceva tuo padre,
ma devi farlo per lui, non per vendetta…»
Dawn gli
aveva preso il viso tra le mani e gli stava parlando con quella capacità che
solo lei possedeva. Era una ragazza che ingannava, perché per la sua avvenenza
sarebbe potuta sembrare la solita diciottenne frivola e superficiale, ma era
tutto il contrario. Non era solo una combattente capace e coraggiosa, ma aveva
un cuore enorme e una capacità di comunicare con gli altri da creare un legame
empatico immediato e forte. Indubbiamente erano i gemelli Allen la vera anima
del team, quelli più positivi, quelli che ricordavano sempre a tutti gli altri
la forza della speranza e dell’amore. Loro che portavano avanti l’eredità di un
padre che era poco più che uno sconosciuto, ma che nonostante questo non ne
avevano mai messo in dubbio la sua credibilità e le sue scelte.
«A volte penso che non ti meriti uno scorbutico e iracondo come me…»
«Ehm… no… in effetti mi meriterei qualcosa molto più simpatico di te…»
Se l’esclamazione di Connor era stata malinconia,
quella di Dawn era stata volutamente ironica per
risollevare gli animi e lasciarsi andare a un sorriso per poi potersi
abbandonare totalmente nelle sue possenti braccia. In quelle in cui aveva
trovato conforto tante notti e che non si sarebbe mai stancata di stringere.
«Ti Amo Queen…»
«Ti Amo anche io Allen…» sussurrò Connor
stringendola al petto e posandole un bacio tra i capelli.
«Eccoti dove eri finita! Stein si è appena messo in contatto con la Waveride, lui Jax e Mick faranno
tardi!»
Amaya aveva esordito in modo molto semplice e informale nei confronti di
Sara quando, dopo aver girato mezza nave, l’aveva trovata seduta nella sala
motori niente di meno che per terra e pensierosa.
Forse avrebbe dovuto andarsene una volta fatto il suo dovere, ma stando con
loro stava iniziando ad apprezzare quel modo diverso di essere un team che non
pensava solo alle missioni e al lavoro, ma sapeva anche essere l’uno per l’altra
quando ce ne era bisogno. Così prese posto al suo fianco stringendosi le
ginocchia al petto.
«Gli altri?» chiese Sara con il piglio del Capitano, ma meno decisa ed
interessata del solito.
«Jay, Nate e Rip stanno
raccogliendo informazioni su questi fantomatici Queen Diana e Aquaman… sai per capire meglio chi sono, da dove vengono e
quanto peso hanno sulla linea temporale…»
«Mh, ok… bene»
«Tu cos’hai?»
Sara aveva le braccia poggiate sulle ginocchia e osservandosi le mani cercò
di condividere quello che la stava attanagliando, ma non essendo sicura se ne
sarebbe stata capace perché nemmeno lei lo capiva del tutto.
«Ti è mai capitato di sentirti attratta verso qualcuno senza capirne il
motivo?»
Amaya si trovò a strabuzzare gli occhi e forse per un attimo si sentì anche
a disagio, ma poi cercò di capire meglio di cosa Sara le stesse parlando.
«Direi proprio di sì…»
«Non so perché la sua freddezza nei miei confronti mi… mi fa così male…»
Era molto complesso per Amaya capire di cosa la sua amica parlasse,
soprattutto perché lo faceva come se desse per scontato che lei sapesse a cosa
si riferisse. Ma preferì non farglielo notare, non voleva costringerla a dirle
nulla che non avesse voglia di dire e così drizzando maggiormente la schiena
iniziò a guardare anche lei un punto indefinitivo di fronte a lei. Entrambe
perse in pensieri così distanti tra loro eppure con un punto in comunque: il
come si sentivano.
«E’ strano… soprattutto se credevamo che non ci importasse più di tanto… ma
ci sono distanze che non consideriamo e invece ci devastano…»
La voce di Amaya aveva tremato al pensare come Nate aveva iniziato ad
allontanarla, a tenerla a debita distanza nello stesso momento in cui lei stava
capendo che teneva a lui più di quanto credeva possibile.
Lo stesso Nate che in quel momento nascosto dietro la parete era andato a
cercare lei e Sara, ma fermandosi quando l’aveva sentite parlare.
«Non so di cosa tu stia parlando, ma è esattamente così… il problema che
non posso accettarlo, devo capirne il perché…»
«E se il motivo sarebbe troppo? Questa missione è già al limite delle
regole…»
Prima Sara e dopo Amaya si erano voltante l’un l’altra per confrontarsi,
era strano come ognuna parlasse di una cosa a sé stante eppure il loro discorso
aveva perfettamente senso.
«Non esistono più regole da seguire, ma solo decisioni da prendere» si
trovò infine a citare Sara, pensando alle parole del giovane Allen e quanto
fossero vere.
«E’ alquanto inspiegabilmente bizzarro trovarmi seduto nel salotto della
mia stessa casa»
«Non quanto conoscere tuo figlio che è quasi tuo coetaneo»
Prima Stein e poi Jax si stavano bisbigliando
quelle cose non credendo vero tutto ciò che stava succedendo, senza contare che
erano tesi peggio di corde di violino e Mick in mezzo a loro invece totalmente
rilassato si stava facendo fuori il vassoio di pasticcini posizionato sul
piccolo tavolino di fronte a loro.
«E lei esattamente, perché è qui?» esplose infine il professore irritato
per ragioni sue senza che il Signor Rory ci mettesse lo
zampino. Ma ben presto tutte le loro elucubrazioni furono interrotte dall’arrivo
di Lily che stringendo un altro vassoio tra le mani stava servando ad ognuno di
loro una tazza di caffè.
«Scusate se vi ho fatto attendere tanto, ma ho mandato Jason a prendere i
bambini…»
Martin sorrise alla figlia, che sedendosi sulla poltrona di fronte a lui
ricambiò quel gesto. Non era diversa da come la ricordava, se non fosse che era
una stupenda donna di cinquant’anni cui le rughe avevano contornato lo sguardo
senza spegnerlo e se possibile rendendola ancora più bella, ma soprattutto più
saggia e soave.
«B-Bambini? T-Tuoi?» il professore per poco non si soffocò, mentre
poggiando la tazzina sul tavolino, Mick si proferì in una pacca sulla schiena
fin troppo forte che fece ridacchiare Lily.
«Sì e no. Sì sono i miei figli, no non lo sono naturali…» c’era tanto
orgoglio e felicità in quella frase, ma paradossalmente anche tanta tristezza.
«Comunque vi ho invitato qui solo per ringraziarvi della vostra presenza,
ma… non sono sicura che sia la cosa giusta…»
«Due Firestorm sono meglio di uno no?» osservò
Mick mentre addentava l’ennesimo pasticcino, per poi fare spallucce e lasciando
a loro di discuterne.
«Sì, ma…»
«Non dovremmo conoscere troppo del nostro futuro…»
«Esattamente. C’è già un’anomalia in questa stanza, non vorrei se ne
creassero altre» osservò Lily riferendosi a sé stessa, ma non con rabbia o odio
seppur questo non fece sentire meglio Stein.
«Come il fatto che tu sei diventata Firestorm? Posso
chiederti come è stato possibile?» chiese Jax
curioso, anche per deviare quell’argomento spinoso, ma vedendo che forse così
aveva fatto peggio considerando come lei era divenuta tesa.
«Eredità. Io e Jason lo siamo diventati insieme, quando…»
«Noi siamo morti…» concluse Martin vedendo la figlia assentire nervosa e
distaccata.
«Come ho detto non dovreste conoscere troppo…»
«Quindi Jason vive conto da quando io… e sua madre…»
Lily non voleva sembrare maleducata, ma quando Jax
gli fece quella domanda le venne naturale scattare in piedi, senza però riuscire
a dir nulla di quello che voleva perché due piccole furie sfrecciarono con la
velocità di un flash nella direzione della madre.
«Solo tu…» concluse Jason rispondendo alla domanda del padre, prima di
raggiungere Lily e posarle un bacio sulla guancia. Non prima che i due bimbi
curiosi si voltarono verso gli ospiti.
Una aveva una montagna di capelli lunghissimi e ricci che le esplodevano in
testa, la pelle scura e un sorriso enorme come i suoi occhi, mentre l’altro era
più alto di lei. Corpo slanciato e atletico, capelli mogano lunghi quasi a
coprirli il viso e la pelle chiara tanto da disegnare il suo naso e le gote di
tante lentiggini più o meno visibili.
«Chi sono?»
«Stavano andando via Jai…»
«Da come quello grosso sta mangiando non mi sembra!»
«Iris! Jason puoi portarli di sopra? Per favore?»
Il ragazzo fece come la donna gli aveva chiesto, senza che questa proferì
una parola fin quando non li vide sparire al piano di sopra. Mick era ancora
bloccato con la bocca mezza piena colpito dall’arguzia della ragazzina e il
modo in cui gli aveva parlato.
«Sono altri figli di Barry?» chiese Martin che in piedi con gli altri stava
venendo gentilmente accompagnato alla porta di Lily e che non si era perso che
una si chiamava Iris.
«In realtà di Wally e Jesse, ora per favore…» insistette la donna
spingendoli letteralmente lungo il corridoio di casa.
«Solo io? Cosa intendeva Jason solo io? Cioè sua madre non è morta, non c’è
o…»
«Non c’è nessuna Signora Jackson se è quello che mi stai chiedendo e ora vi
prego… vi prego andate via…»
Lily aveva già la mano sulla maniglia della porta e l’aveva aperta incapace
di gestire quella situazione, quando l’inaspettato accadde.
«Professore, fiammella, la signora non ci vuole… smammiamo…»
Mick era pronto ad uscire di casa, ma non poté muovere nemmeno un passo perché
non riusciva a credere a chi aveva di fronte.
«Snart?»
«Mick? Come è possibile? Cosa sta succedendo?» l’istinto lo portò a
sorpassare il suo vecchio partner e osservare ancor più sconvolto Stein e Jax, prima di raggiungere il fianco di Lily e
istintivamente controllare che stesse bene.
«C-Che s-succede… v-voi…»
«E’ meglio che andiate è tardi e bambini scenderanno e questo non è il
luogo né il momento… Ci vediamo domani»
Lily tagliò corto e buttandoli letteralmente fuori di casa chiuse la porta,
per poi lasciarsi andare solo nel momento in cui protetta dalle mura della
propria casa si buttò letteralmente tra le braccia di Snart
che ancora scosso, l’abbracciò senza chiederle nulla.
L’aria sulla Waverider era irrespirabile, erano
in quel tempo da solo poche ore e nessuno di loro riusciva a ragionare
razionalmente e tanto meno riusciva ad affrontare tutto con lucidità e forse
per questo, per ovviare ai mille dubbi che attanagliavano ognuno di loro, si
trovarono a chiedere aiuto a Gideon per scioglierli.
«Ok ok
discorso sia…» un Leonard Snart vestito di tutto
punto, si alzò in piedi stringendo un flute di
champagne tra le mani mentre visibilmente a disagio cercava di capire cosa
dire.
«Sapete che sono uno di
poche parole, ma… oggi farò uno sforzo… Quando otto anni fa sono arrivato qui
non capivo cosa mi aspettava… cosa c’era qui per me e quale fosse il mio posto,
ancor meno quando questa persona di fianco a me ha incrociato il mio cammino…
ricordo che non mi sopportava e che con molta eleganza resisteva ogni giorno
dal farmi fuori…»
La ripresa un po’ mossa
era zommata sull’uomo che fece scoppiare a ridere i
presenti a quella che sembrava una cerimonia, seppur intima e semplice in
quanto erano una manciata di persone nello stesso salone in cui poco prima
Stein era seduto con Jax e Mick.
«… ma poi sono stato io
a non poter fare a meno di lei e… grazie a lei oggi so cosa vuol dire essere
amato… E sono sicuro che tuo padre non desiderasse questo per te, ma… ti amo
Lily Stein…» solo in quel momento la ripresa si allargò e la donna si fece
baciare dal suo sposo commossa e allegra, non prima che un giovanissimo Jason
abbracciasse prima l’uno e poi l’altro. Due piccole pesti, riconducibili a Iris
e Jai, si avvicinarono agli sposi che prendendoli in
braccio invitavano i presenti a smetterla di ripresa e foto e gustarsi la
festa.
«Questo è l’unica cosa che ho trovato riferito a ciò che mi ha chiesto
professore, è un filmato reperibile in rete…»
Stein quanto Mick erano crollati appoggiati contro la scrivania della
libreria non così sicuri di capire cosa avessero visto, il resto della squadra
non sapevano di quella loro ricerca anche perché erano impegnati nell’ufficio del
Capitano a visionare altre informazioni. Probabilmente non avrebbero concordato
con ciò che avevano fatto, ma entrambi dopo aver lasciato casa Stein avevano la
necessità di sapere e adesso non erano così certi di aver fatto la scelta più
giusto.
Mick non riusciva a capire una cosa: come era possibile che Snart fosse lì. Che fosse vivo e vegeto, invecchiato anche,
in quel futuro?
Ma all’altra parte della nave anche il resto della squadra stava facendo delle
ricerche. Nate si era messo subito a lavorare su ciò che gli aveva chiesto Sara
sui nemici che dovevano affrontare, ma durante le stesse aveva scoperto qualcos’altro
che doveva immediatamente condividere con il resto del team.
Un veloce excursus di foto, articoli e video mostrava come nell’aprile del
2024 l’ARGUS aveva preteso che tutti gli eroi lavorassero per loro e si
registrassero affinché fosse sempre possibile identificare chi si nascondeva
dieto ogni supereroe, quando però molti di loro si rifiutarono l’ARGUS scoprì
da solo quello a cui era interessato e si premurò di far sì che iniziasse una
vera e propria caccia alle streghe. In quel periodo Flash sparì, mentre tantissimi
altre eroi furono arrestati, molti di loro morirono e altri ancora videro le
loro vite distrutte per sempre. In quegli articoli, foto e video c’erano tanti
nomi e volti che conoscevano, mentre –seppur in via non ufficiale- sulle ceneri
dell’ARGUS nacque la Checkmate, finanziata dalle
Queen Consolidated e legata direttamente alla Casa
Bianca. Fu lì che a cercare immagini del Presidente con Cyborg tutti rimasero
sconvolti da scoprire che si trattava di Ray Palmer.
«A quanto pare fu uno dei pochi a sfuggire a questa caccia alle streghe, la
sua identità rimase intatta e questo gli ha permesso di ricostruire quello che
è stato distrutto…» notò Nate voltandosi verso l’amico che ancora aveva la
bocca spalancata, seppur colpito da come era invecchiato meravigliosamente
bene.
«Domanda: Rip tu non ne sapevi nulla?» chiese
improvvisamente Sara voltandosi verso l’uomo che aveva preso a camminare avanti
ed indietro nervoso e shockato.
«No perché niente di questo è mai avvenuto! Non fa parte del passato che
conosco io, ma che a quanto pare Flashpoint ha
cambiato… forse dovremmo andarcene subito, evitare di peggiorare le cose…»
«NO!» il no di Sara suonò perentorio, forse anche troppo infatti la stessa
cercò di rimediare a quell’impeto a cui non riusciva a dare un nome.
«Lo hai detto tu questo futuro si sta cementificando, dunque ancora non è
solido abbastanza affinché diventi il passato che tu conosci, ma… è qui e non è
suonato nessun allarme avvertendoci che questo è un’anomalia… forse lo
diventerebbe se ignorassimo il motivo per cui siamo qui… dobbiamo restare, a
costo di conoscere troppo, di conoscere tutto, di impazzire… dobbiamo restare e
preservare questi cambiamenti…»
«Perché forse Flashpoint non è la causa, ma la
conseguenza…» aggiunse Amaya comprendendo l’amica.
«Esatto. Forse è quello che è sempre dovuto succedere e a differenza di
Barry non dobbiamo cambiare nulla, perché così facendo faremmo solo più danni…»
«Stai suggerendo di agevolare la cementificazione di questa linea
temporale?» chiese improvvisamente Rip.
«Esattamente… Tu quanto me lo sai, lo percepisci, è nell’aria… è
esattamente per questo che siamo qui…»
Va bene. Odiatemi. Ma un altro capitolo è qui e io più ne scrivo più non
vorrei smettere, sono così coinvolta che ho smesso di scrivere io… i personaggi
e gli eventi vanno da soli, così tanto che sono al pari di un lettore: non vedo
l’ora di vedere come va a finire.
«Ti ho portato una tazza di cioccolata
calda…» la voce avvolgente di Mia Queen giunse alle orecchie della compagna dai
lunghi capelli biondi che seduta fuori su i gradini della casa degli Allen come
al suo solito aveva preferito tenere le distanze da tutto e tutti. I due
fratelli Queen, quanto lei, erano ospiti di Donald e Dawn
che fin quando si sarebbe fermati a Central City li avrebbero ospitati.
Mia aveva i lunghissimi capelli scuri sciolti sulle spalle in morbide onde,
mentre la giacca di pelle nera –appartenuta a sua madre- la teneva al caldo e
la proteggeva come un’armatura. Ormai faceva parte di lei… era importante
quanto quando si vestita da Speedy. Dinah e Thea
Queen erano indubbiamente le donne più importanti della sua vita, quelle da cui
aveva preso ispirazione per essere quello che era. Gli occhi stretti e sottili,
tanto da sembrare quasi a mandorla, le davano quel tocco felino e irrimediabilmente
sensuale.
«Grazie…»
Mia rimase seduta accanto a lei, avevano quattro anni di distanza, ma da
che ricordava erano sempre andate d’accordo forse perché così simili di
carattere.
«Non ti vedo dall’anno scorso…»
«Dal funerale dei miei…» aggiunse quella con un sorriso amaro, stringendo
più forte le mani intorno alla tazza calda.
Era sempre stata una ragazza che amava prendersi cura di sé, molto
femminile e amante dello shopping, ma da un anno a quella parte non le
interessava più di nulla. Era sempre trasandata come in quel caso che indossava
una felpa più grandi di lei, con il cappuccio a coprire i suoi lunghi capelli
spettinati. Le scarpe da tennis slacciate e un paio di jeans rovinati a
fasciarle le lunghe gambe snelle. Anche il trucco era totalmente assente
lasciando ben visibili le due grosse occhiaie viola sotto gli occhi.
«Ti chiederei dove sei stata, ma le apparizioni di Huntress
sono state in tutto il paese…»
«Sì sono stata impegnata…»
Mia si morse le labbra, non che fosse una chiacchierona, ma mai aveva fatto
tanta fatica a parlare con qualcuno, ancor più con lei. Così diversa dalla
ragazzina piena di vita che conosceva, promessa della ginnastica artistica e
reginetta della scuola.
«In una vendetta… non a portare giustizia…»
Le parole di Mia la facevano sorridere, seppur non era un sorriso
divertito, quanto più sarcastico di chi non voleva dipingersi per quello che
non era. Lei non era un’eroina come loro, lei era… egoista… era diventata Huntress solo per vendetta, aveva ragione… degli altri poco
gli importava e se era lì era solo perché non poteva voltare le spalle a degli
amici, ma non perché fosse più di tanto interessata alla causa.
«Forse a portare entrambi… prendermela con la Corte dei Gufi porta anche
giustizia non credi? Dopotutto la caduta degli eroi è stata una loro
macchinazione… loro hanno macchinato dietro l’ARGUS fino al triste epilogo che
conosciamo… loro è la colpa di tutto quello che è successo ai nostri genitori…
loro hanno privato il mondo della loro difesa più grande… lo hanno gettato
nell’oscurità calpestando la speranza… Il Presidente e JJ stanno facendo il
possibile, ma giocando pulito non otterranno nulla, non contro di loro… Non
esistono regole, solo sangue…»
C’era così tanta amarezza nella sua voce, così tanta rabbia repressa e un
odio che l’aveva totalmente annientata. Mia in lei vedeva quello che suo
fratello sarebbe divenuto se avesse continuato a seguire quel percorso e non lo
voleva, quanto si detestava di non esserci stata per lei… come nessuno c’era
stato per salvarla in tempo.
Era deperita nello spirito quanto nel corpo, divenendo poco più che carne
ed ossa. La voce poi appariva sempre stanca e strascicata e non era raro
vederla massaggiarsi la tempia dolorante.
«Tutto questo ti sta consumando…»
«Non tanto quanto lo sta facendo la
malattia…» pensò la bionda senza risponderle, ma
semplicemente poggiando la tazza da un lato e allungandosi verso Mia
abbracciandola. Le era mancata tanto la presenza di un’amica al suo fianco e
lei l’aveva sempre considerata tale, la giovane Queen preferì non dire altro e
ricambiare quell’abbraccio con tutto il suo calore. Aveva compiuto tanti,
troppi errori, ma avrebbe sicuramente cercato di porvi rimedio.
La mattina successiva come JJ aveva promesso alle Leggende avrebbe fornito
loro maggiori informazioni e lo fece portandoli alla Checkmate,
un’organizzazione segreta governativa che faceva capo a due figure autorevoli:
il Re Nero e la Regina Bianca. Era indipendente seppur strettamente legata,
almeno in quella amministrazione, al Presidente. Questo per far sì che se ad
essere eletto sarebbe stata una personalità pericolosa, la Checkmate
non avrebbe subito le sorti dell’ARGUS e sarebbe rimasta estranea ad eventuali
macchinazioni che avrebbero potuto portare ad una nuova crisi degli eroi.
L’edificio che ospitava l’agenzia era poco fuori Star City e se ad un primo
impatto si aveva la sensazione di entrare in un magazzino abbandonato, bastava
prendere un ascensore segreto per scendere parecchi metri sotto terra e
trovarsi in un altro mondo.
Un labirinto di corridoi si districava quasi completamente sotto la città e
in una predominanza di bianco e di nero si era di fronte a un’agenzia più
grande del Pentagono e più organizzata della CIA.
«Benvenuti nella Checkmate!» li accolse un Ray Palmer decisamente più anziano, ma comunque
estremamente gioviale. Non era molto diverso dalla sua controparte giovane, ma
alcune linee argentee erano disegnate ai lati della sua folta capigliatura
ancora scura.
«Presidente Palmer…» lo salutò con entusiasmo e un pizzico di orgoglio la
versione di Ray Leggenda incredulo di cosa sarebbe
divenuto, mentre un sorriso compiaciuto gli si disegnò sul viso mentre seguiva
sé stesso insieme alle altre Leggende.
«Ora Bei Capelli si monta la testa…» esclamò un Mick alquanto scocciato,
trovando però accordo con il Professore e Nate accanto a lui.
«Dovrei probabilmente spiegarvi come questa organizzazione nasce, ma se i
miei ricordi non mi ingannano lo avete già scoperto giusto?» chiese il
Presidente voltandosi verso Rip e Sara che con il
loro silenzio non poterono non assentire.
«Dunque saltando la parte del tradimento dell’ARGUS che già sapete e quella
della caduta degli eroi… ecco la nostra risposta a quella crisi. Eravamo
rimasti in pochi dopo quella terribile caccia alle streghe: io, Oliver, Dinah, Diggle, Lyla, Sara, Rip e il Professor
Stein. Dunque decidemmo che avremmo dovuto fare qualcosa… ma la Corte dei Gufi
aveva preso il potere dunque non potevamo farlo come eroi, non quando questi si
erano impegnati a distruggerli e distruggere la loro fiducia nelle persone. Io
venni scelto dai miei compagni come il più adatto ad affrontarli politicamente,
se avessi vinto le elezioni avrei potuto porre le basi della rinascita e così
feci. Quando quasi diciassette anni fa venni eletto, grazie all’aiuto
finanziario di Oliver e quello militare di Diggle e Lyla costruimmo tutto questo. L’agenzia avrebbe avuto sul
campo solo gli agenti meglio addestrati e meglio equipaggiati, lavorando sotto
le regole più strette della segretezza. La struttura organizzativa è stata
studiata dal Professor Stein, scegliendo il gioco degli scacchi come modello di
lavoro.
Abbiamo una parte d’intelligence, i bianchi, e una operativa, i neri.
Questi sono coloro che la gestiscono…»
Ray aveva
concluso di parlare nel momento esatto in cui arrivò con le Leggende in quello
che appariva il vero e proprio cuore pulsante dell’organizzazione: il centro di
comando. Lo stesso che era degno della NASA a livello di grandezza e gestione
lì dove due versione più invecchiate di John Diggle,
Re Nero, e LylaMichaels,
Regina Bianca, li aspettavano.
«Benvenuti…» esclamò quest’ultima non ingannando la sua solita aplomb
professionale e lieta di rivedere vecchi amici.
«Avete parlato di una gestioni in stile scacchi, devo presumere dunque che
esistano anche altre figure relative agli altri pezzi?» chiese un Professore
fin troppo entusiasta di un’idea che poi era la sua.
«Ovvio. Abbiamo numerosi Alfieri che supervisionano le Torri da dietro le
quinte, mentre queste pianificano le missioni e supervisionano gli agenti sul
campo quali Cavalli e Pedoni con tipologie di compiti diversi…» spiegò molto
semplicemente Lyla.
«Affascinante…» mormorò estasiato Stein.
Sara era molto colpita invece da come da una tragedia tanto grande si era
riuscito a costruire qualcosa di ben più grosso, ma c’era qualcosa che non le
tornava.
«Aspetta un attimo, hai detto che questo è nato diciassette anni fa quando
ti hanno eletto giusto? Come fai ad essere ancora il Presidente?» chiese alla
versione di Ray più anziana che aveva di fronte e
vedendolo un attimo fare una smorfia, prima di prendere la parola.
«La Corte dei Gufi mi batté durante le elezioni per essere rieletto… e mi
batterono ancora e ancora…»
«Gli stavano togliendo poteri… oltretutto la Checkmate
nei suoi primi quattro anni di attività li aveva colpiti duramente… e alcuni
dei nostri ne hanno pagato le conseguenze…»
Diggle lasciò in sospeso quella frase piena di amarezza incapace di guardare in
volto sia Sara che Stein e preferendo dunque di gran stare con le braccia ben
conserte al petto e parlare a nessuno in particolare.
«L’anno scorso sono riuscito a farmi rieleggere e JJ si è unito a noi in
questa lotta… un sodalizio forte e in crescita anche grazie al resto degli ragazzi
e all’eredità che stanno portando avanti dei loro genitori…»
Concluse Ray con estremo orgoglio nella voce, non
prima che però Nate prese la parola.
«Scusate non voglio sembrare un’idiota, ma… ehm… che diavolo è la Corte dei
Gufi?»
Una domanda che fece scendere un alone di gelo tra il Presidente e il Re e
la Regina della Checkmate, ma che venne sciolto
dall’arrivo inaspettato di qualcuno alle loro spalle.
«Sono coloro che gestiscono le sorti del mondo attraverso la politica… una
sorta di Signori del Tempo, ma molto più spietati…»
La voce era quella di Snart, lo stesso che dopo
aver saputo dalla moglie la sera precedente cosa fosse successo, adesso
affrontava i suoi vecchi compagni con maggior consapevolezza, notando però
l’incapacità di Mick e Stein di farlo.
«Vi presento CitizienCold,
insieme a Cyborg due degli Alfieri più importanti della Checkmate!»
esclamò entusiasta il Presidente scambiandosi una pacca amichevole con l’uomo
che non poté fare a meno di notare il totale smarrimento negli occhi del suo
partner.
«Potremmo mostrare ai nostri compagni venuti dal passato il legame che
intercorre tra la Corte e le nuove minacce Europee per far capire meglio loro
in che guerra li stiamo coinvolgendo… nel mentre se possibile vorrei scambiare
due parole con te Mick…»
Il Presidente trovò ottima l’osservazione del suo amico e così invitò tutti
gli altri a seguire lui, Lyla e Diggle
ben decisi a lasciare gli altri due soli. Il Professor avrebbe voluto seguire a
sua volta Snart e Mick, ma solo grazie a Jax desistette da ogni proposito.
Mentre le Leggende mettevano al corrente il Presidente e Lyla di come la guerra tra il popolo di Aquaman
e Queen Diana fosse per via di un complotto dei loro fratelli, i loro amici
della Checkmate iniziarono a pensare che questo avrebbe
potuto far comodo alla Corte dei Gufi, dando subito ordine di cercare
eventualmente collegamenti.
Mentre loro parlavano però Sara era rimasta indietro e aveva bloccato il
suo vecchio amico Diggle con lei decisa a parlargli e
notando subito come gli fosse impossibile riuscire a guardarla in viso.
«Sei la seconda persona che incontro che non mi guarda negli occhi…»
Sara iniziava ad essere infastidita da quella situazione e non riusciva a
nasconderlo.
«Senti oso solo immaginare quanto per tutti voi sia strano averci qui, ma
lo è anche per noi aver a che fare con un futuro così prossimo… ma… è così…
ormai mi sembra chiaro che non possiamo evitarlo…»
«Sara!» esclamò quello voltandosi verso di lei e stringendola per le
spalle.
«Non è facile ok? Non è facile per noi aver a che fare con voi… con così
tanti amici…»
«Morti» concluse lei. Non era stupida le era bastato fare due più due per
comprendere che tutta quella tensione era dovuto a quello.
«Anche io lavoravo qui vero? Come Rip… Stein…
Oliver… e per questo siamo stati uccisi… Diggle, non
è così diverso da quello che sono adesso… non mi stupisce di sapere che morirò
combattendo per ciò in cui credo, seppur non più da Leggenda…»
Ma Sara non capiva. Non poteva farlo. Perché quello che per lei appariva
una cosa logica e normale, nascondeva molte più cose. Perché tanto era
cambiato, non solo per lei, ma per loro tutti.
«Non è solo questo Sara… ma non posso dirti altro… ora ti prego torniamo
dagli altri…»
Diggle tagliò corto e sfuggendole raggiunse ben presto la moglie, lasciando
l’amica venuta dal passato più confusa che mai.
Snart aveva
portato Mick in una delle stanze che preferiva e che era il caveau degli
artefatti. Ogni volta che la Checkmate trovava
qualche tecnologia o reperto pericolosamente potente o con capacità
straordinarie, lo raccoglievano e lo tenevano al sicuro per essere certi che
non potesse finire in mani pericolose. Ovviamente il ladro che era in lui, e
che mai sarebbe morto, lo portava inevitabilmente a considerarequel luogo il suo preferito in assoluto.
«Partner questo è il paradiso dei ladri!» esclamò Mick come un bambino nel
paese dei balocchi, mentre si avvicinava alle varie teche già immaginandosi
possessore di molti di quegli oggetti, ma Snart
camminando con le mani dietro la schiena lo guardò come si guarda un fanciullo
ingenuo: con tanta tenerezza. Non era da lui essere sentimentale, ma gli era
mancato…
«Lo è, ma non posso farti portare via nulla se è quello che speravi…»
Mick aveva già preso in mano una strana arma, ci stava giocherellando
quando bloccandosi la mise via e fronteggiò finalmente Leonard nel suo solito
modo strafottente e arrabbiato.
«Oh giusto perché tu qui sei CitizienCold… l’eroe… il marito perfetto… il padre di famiglia…
Come e quando ti sei ridotto così partner mh? Se eri
vivo perché voltarmi le spalle per cosa poi? Questa patetica vita?» gli sputò
addosso con tutto il suo disgusto e fastidio per essere stato sostituito così
facilmente.
Leonard lo lasciò fare, sedendosi su un pallet vuoto e guardandolo
totalmente imperturbabile.
«Tu credi sia stato così? Credi che non sia morto il giorno dell’Oculus?»
«Non so. Dimmelo tu… visto e considerato che sei qui vivo e vegeto di
fronte a me!»
Mick lo mandò al diavolo e dandogli le spalle tornò ad essere ben più
interessato ai giocattoli nascosti in quel deposito.
«Wally West e Jesse Quick mi hanno portato via un
secondo prima che esplodesse l’Oculus otto anni fa…»
esclamò Leonard con estrema calma e precisione. Scandendo ogni singola parola
come era solito fare, ma con una gravità diversa dal solito.
«Li odiavo. Avevo fatto una scelta e loro mi avevano privato di compierla.
Tuttavia non mi avevano portato da voi, non nella Central City che conoscevo,
ma nel futuro… dicevano che Barry era scomparso e che visto i tempi che stavano
arrivando dovevano assicurarsi che lui un giorno tornasse e grazie a Ramon
avevano scoperto che questo sarebbe stato possibile solo se io fossi diventato CitizienCold…» lo diceva quasi
con ironia, come se trovasse ridicolo che le speranze del mondo o di una
qualsivoglia salvezza potessero davvero dipendere da lui.
«Ci ho messo tre anni per abituarmi, anni in cui volevo solo tornare ad
essere ciò che ero con te per mandare al diavolo tutto e tutti, perché non
volevo essere un eroe… ma lo ero già… E nonostante mi mancassero le nostre
avventure, sapevo che anche tu lo eri… con le Leggende…»
«Per questo ti sei sposato la figlia del Professore?» chiese poi Mick
finalmente deciso a voltarsi e quanto meno tornare a guardarlo in volto.
«Oh no… a dire il vero lei e suo padre dovevano tenermi d’occhio, far sì
che il sacrificio di West e Quick non fosse vano. Il
Professore così mi introdusse qui alla Checkmate, mi
diede uno scopo e attraverso quello mi sono avvicinato a Lily… sono stati otto
anni di guerra con lei che poi sono sfociati…»
«Nel vostro matrimonio, ho visto il discorso ridicolo che hai fatto!»
concluse Mick sedendosi in un pallet vuoto di fronte a quello del partner che
lo guardò ridacchiando.
«Lei aveva adottato i figli di West e Quick e io
non solo mi ero innamorato di lei, volevo prendermene cura… loro avevano pagato
con la vita l’avermi salvato e il minimo che potevo fare era assicurarmi che i
loro figli crescessero al sicuro… e amati…» e detto da Snart
quello pareva davvero ironico.
L’unica cosa che aveva conosciuto in vita sua era violenza e follia da
parte di un padre ubriacone e pensare che lui avrebbe potuto essere diverso,
migliore, era uno stimolo maggiore di qualsiasi altra cosa.
«Non era certo la vita che mi immaginavo, ma sono sicuro che nemmeno tu ti
eri immaginato di divenire un mercenario del tempo o una Leggenda… ma le cose
sono andate così e non mi sembra che nessuno dei due ne soffra più di tanto…»
Era pur sempre Leonard Snart e di certo non
sarebbe andato in giro a fare discorsi ispiranti o avrebbe abbracciato Mick,
tuttavia era un uomo decisamente molto più saggio. Da una parte al suo ex
partner pareva parlare con un estraneo, ma dall’altra il suo modo di porsi o di
fare erano rimasti invariati e vederlo così gli faceva bene, metteva a tacere
quel tormento di cui non si era mai liberato dal giorno che era morto.
Ecco un nuovo capitolo della fan fiction, sono davvero felice
di aver potuto parlare dellaCheckmate.
E’ una parte della storia della DC che amo, seppur purtroppo nei quattro
telefilm attualmente in onda su CW non ne abbiamo potuto godere seppur confido
e spero un giorno di vederla. Trovo l’organizzazione dell’agenzia affascinante
e infatti nella stagione diSmallvillein cui la introdussero ne andai
matta. Intanto spero che quello che sto scrivendo vi piaccia e che dire aspetto
le vostre opinioni in merito!
«Un passo, ancora solo un passo… dai ci
sei… forza…» non riusciva a credere di essere lì accucciata a incitare quella
bimba a camminare e di farlo soprattutto come se davvero fosse la cosa più
importante della sua vita. Ne aveva affrontati di momento eccitanti e
adrenalinici, ma nessuno batteva quell’istante…
«Non posso… non posso… come è possibile Gideonmh? Come diavolo è
possibile?» imprecare contro l’A.I. della Waverider
non sarebbe servito a nulla, lo sapeva, ma in quel momento non riusciva a fare
altro, mentre nervosamente camminava avanti ed indietro nell’infermeria della
nave.
«Sei sicura di volerlo fare?»
«Che altra scelta abbiamo Rip? Mh? Vogliamo davvero
rischiare che tutto quello che abbiamo costruito in questi anni non conti
nulla?»
Stava gesticolando nervosa in uno dei
corridoi della Checkmate, di fronte a lei l’uomo che
nello sguardo nascondeva il suo stesso identico tormento. Si passò una mano tra
i capelli e poi si avvicinò maggiormente a Sara scuotendo appena il capo…
Fu allora che Diggle
li raggiunse, concitato e ben capendo che aveva interrotto un momento
importante.
«Noi siamo pronti, voi siete sicuri di
volerlo fare?»
«Quei figli di puttana hanno ucciso
Oliver e Dinah… ovvio che vogliamo…»
«Sara ha ragione e poi William deve
rispondere del suo tradimento!»
Vedere quella casa dalla perfetta
staccionata bianca e il giardino le fece corrugare le sopracciglia, non era da
lei immaginarsi un giorno in un contesto del genere. Niente di tutto quello lo
aveva voluto o sperato per sé stessa, tuttavia non ricordava di essere mai
stata tanto felice come la certezza di un tetto o di una famiglia al proprio
fianco. E poi eccolo lì suo padre apparire all’orizzonte rinato dopo che quella
bambina era entrata nella loro vite sconvolgendole totalmente, ma allo stesso
tempo rendendole migliori…
«Eccola qui il mio “canarino”…»
Quella parola fu l’ultima che ricordò prima di svegliarsi di soprassalto
nel suo alloggio della Waveride, madida di sudore e
con il cuore che le batteva nemmeno come le accadeva dopo un combattimento
furioso. Sara sentì che non sarebbe riuscita a rimanere lì dentro e così uscì
velocemente bisognosa di versarsi un bicchiere di acqua ghiacciata e riprendere
il contatto con la realtà, la stessa contro la quale sbatté quando trovò anche Rip sveglio nel cuore della notte intento ad osservare la
foto di quella ragazzina bionda che sembrava essere divenuta il loro tormento.
«L’insonnia sta diventando contagiosa…» disse la donna per manifestare la
sua presenza, mentre raggiungendo Rip si sedette al
suo fianco, anche lui come lei stava bevendo qualcosa di estremamente freddo.
«Incubi?»
«A quello ci sono abituato… questi sono…»
«Ricordi…»
«Di una vita che non abbiamo ancora vissuto…»
«Ma come è possibile?»
Erano lì uno di fianco all’altro, a fissare quella foto e a massaggiarsi le
tempie con la stessa disperazione e confusione.
«Credo sia dovuto al fatto che le nostre controparti future non esistono…
più stiamo qui e più noi stiamo assorbendo il loro posto in questa realtà…»
«E di conseguenza i loro ricordi?»
«Dobbiamo chiudere questa missione il prima possibile o impazziremo!»
Concluse Rip sbattendo la foto sul banco della
cucina a volto giù, sentiva che era sull’orlo della follia più totale. Come se
già non bastasse tutto quello che la League of Doom
gli aveva fatto.
«E’ come una sensazione al centro del petto... mi opprime di un senso di
colpa… come se già non bastava quello che avevo…»
La voce tremava, i denti erano digrignati e la mano premeva sul proprio
dorso. Sara era convinta di non aver mai visto Rip
così, tanto che le venne naturale posargli una mano sul capo, tra i capelli e
accarezzarlo.
«So di cosa parli… lo provo anche io e non riesco a liberarmene…»
«E’ la sicurezza di aver deluso di nuovo qualcuno. Prima Miranda e Jonas…
poi il team… poi tu… è come se distruggessi tutto quello che tocco…»
«Stai parlando con la “Regina della Distruzione”…»
Ironizzò lei, solo per notare che quando lui si voltò a guardarla c’era
davvero qualcosa di più. Un perdono che lui non riusciva a dare a sé stesso.
«Ma io ti ho ucciso Sara… a sangue freddo ti ho uccisa… e non ho fatto
nulla per impedirlo… Da quando sono tornato nel gruppo quelle immagini non
fanno altro che ripetersi nella mia mente… ancora… ancora… ancora… come un loop infinito a ricordarmi le mie azioni…»
Il dito di Rip si ticchettava nervoso la tempia
sempre più forte fino a farsi male, tanto che Sara fu costretta a bloccarlo per
impedire che continuasse e dopo avergli dato un sonoro schiaffo –per fargli
riprendere lucidità-, gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto negli
occhi.
«Non sei stato tu. Sei stato SOLO una vittima… quindi SMETTILA… SMETTILA di
darti colpe… Perché io ti perdono…»
«Ma non dovresti!»
«E invece sì, perché voglio salvarti come tu hai salvato me. Ricordi
cos’ero? Solo una pazza assassina assetata di sangue e tu mi hai mostrato che
posso essere di più… meglio… Permettimi di fare lo stesso con e per te…»
Ormai Rip piangeva e anche Sara, travolti da un
discorso che avevano ignorato fin troppe volte e che era esploso in un momento
di debolezza dovuto da quella missione che in qualche modo si era insediata in
loro spezzandoli.
«Tu sei sempre stata migliore di me… basta guardare quello che hai fatto
con questo team… Tu-»
Ma Sara gli aveva messo un dito sulle labbra e scuotendo il capo lo stava
invitando a smetterla di parlare, per poi accoglierlo tra le sue braccia e
stringerlo forte a sé. Chiudendo gli occhi e cullandolo come un bambino che
aveva bisogno di essere perdonato. Fu allora che le immagini che l’avevano
svegliata di soprassalto tornarono prepotenti, tanto che adesso lei si stava
aggrappando a lui quanto lui stava facendo con lei.
Non sapevano se era colpa di quell'uragano di emozioni oppure dalla notte
complice che sembrava sempre dare l'impressione che tutto fosse lecito, ma Rip si allontanò un poco da lei solo per tuffarsi nel suo
sguardo cristallino e poi violentemente prenderla per il viso e baciarla con
violenza e urgenza. Un bacio che lei ricambiò con disperazione senza ragione e
senza pensieri.
Un bacio che entrambi morivano dalla voglia di darsi forse da fin troppo
tempo senza saperlo, un bacio che tanto avevano aspettato, un bacio che li
stava travolgendo in un viaggio inaspettato, ma che forse era sempre stato lì
ad aspettarli.
Un segreto nascosto nella notte che adesso si stavano regalando sulla
pelle, sulle labbra, fin dentro l'anima...
La mattina successiva la Waverider era più
silenziosa del solito, tanto che Sara poteva sentire i suoi pensieri rimbombare
tra i corridoi vuoti della nave, mentre raggiungeva la sala ove erano soliti
mangiare. Voleva solo bersi un caffè caldo e cercare di dimenticare la
cervicale che quasi gli impediva di piegare il collo, tuttavia mentre se lo
stava massaggiando finì ad appoggiarsi al bancone presente nella stanza e a
rivivere in una serie di flash quello che solo la notte prima era accaduto.
Qualcosa che per quanto volesse non riusciva a dimenticare e che non era
nemmeno sicura volesse farlo…
Si permise solo un attimo di chiudere gli occhi e rivivere quel ricordo
così fresco, provando gli stessi brividi e chiedendosi quanto fosse giusto o
quanto fosse normale, ma ben presto ogni suo viaggio mentale –probabilmente
dovuto anche dal poco dormire- venne interrotto dall’arrivo di Amaya.
«Oh allora c’è qualcuno! Il resto del team?»
«Metà alle STAR Labs, perché JJ li ha voluti per
farsi aiutare ad allenare i ragazzi e l’altra metà alla Checkmate…
a quanto pare c’erano novità…»
«E perché nessuno mi ha avvisata… e perché tu sei qui?»
Sara sembrava alquanto infastidita da quell’insubordinazione, come se il
suo mal di testa non fosse abbastanza e anche tutti i troppi pensieri strani
che l’assillavano…
«Amaya che c’è?»
«Il giovane Allen, è in infermeria… ha portato qui la ragazzina bionda… e
qualcosa mi diceva che tu volevi saperlo…»
Sara nemmeno finì il caffè, abbandonò la tazza sul bancone e superando la
compagna di squadra si fiondò dai due giovani.
«Ehi»
«Sara!»
Donald si voltò verso la donna e senza pensarci troppo l’abbracciò,
tremante e spaventato a morte. A Sara ricordava tanto Iris nell’aspetto, forse
per via della sua pelle scura e quegli occhi tanto grandi… ma la sensibilità
era tutta quella di Barry.
«Cosa è successo?»
«N-Non lo so… stamattina quando non è scesa per la colazione sono andata a
cercarla e… l’ho trovata svenuta accanto al letto… sanguinava dalla bocca e
aveva il corpo ricoperto di lividi… Non ho riflettuto e l’ho portata qui sapevo
che Gideon avrebbe potuto visitarla velocemente…»
«E hai fatto benissimo!» si intromise Amaya poggiando una mano sul braccio
del ragazzo e ben capendo che né lui né Sara in quel momento parevano troppo
lucidi per riuscire ad affrontare la situazione.
Proprio Sara si avvicinò meglio alla giovane e poggiandole una mano sulla
fronte lasciò scorrere il suo sguardo sul suo corpo esile, coperto solo alla
bene al meglio da un t-shirt di Donald che probabilmente aveva usato come
pigiama… questo lasciava gran parte della sua pelle scoperta e mostrava tutte
le ecchimosi che con tanta fatica nascondeva.
«Capitano Lance»
«Sì Gideon?»
«Non credo di poter far nulla per la ragazza»
«Cosa intendi?» chiese Donald raggiungendo il fianco di Sara e prendendo la
mano della giovane, mostrando un interesse un po’ troppo profondo per essere
solo un amico.
«E’ affetta da leucemia, stadio terminale…»
«COSA?»
Mentre all’unisono Donald e Sara sembravano sull’orlo della disperazione,
Amaya tentò di pensare lucidamente.
«Hai riportato indietro Sara dalla morte, non puoi fare nulla per lei?»
«Il suo sangue è completamente contaminato, andrebbe completamente tolto e
sostituito e purtroppo questo non posso farlo nemmeno io»
Donald scoppiò a piangere, mentre si stringeva una mano sulla bocca
incapace di reagire in qualsiasi altro modo, lasciando che Amaya lo
abbracciasse e lo portasse via per tentare quanto meno di farlo calmare, ma
Sara non si mosse… rimase al suo fianco, continuando ad accarezzarle la fronte
mentre la sua immagine si sovrapponeva a quella di sua sorella in un continuo senso
di impotenza che la distruggeva.
Non seppe quanto tempo era passato, sapeva solo che quando aveva raggiunto
il ponte di comando aveva trovato Donald seduto sui gradini dell’ufficio con le
ginocchia strette al petto e lo sguardo fisso di fronte a lui. Di Amaya nessuna
traccia.
«La tua amica è andata via… ha parlato di un possibile alleato che l’ha
contattata…» spiegò frettolosamente il ragazzo sicuro che Sara volesse capire perché
non c’era più nessuno tranne loro, ma in quel momento non le interessava.
Preferì sedersi accanto a lui e stare ferma lì. Senza un perché. Senza un
motivo.
«Sei innamorato di lei vero?»
«E’ così evidente eh?» chiese Donald con un sorriso imbarazzato, mentre
assentiva timidamente.
«Siamo sempre andati molto d’accordo, ma non ho mai osato dirle che mi
piaceva… Sai lei è sempre stata popolare e io… un nerd… e quando avevo deciso
di farlo, invitandola al prom… ci fu la morte dei
suoi e… lei è sparita… ma quella che è tornata non è la Laurel
che conoscevo…»
Nel desiderio di sfogarsi, il ragazzo si era totalmente lasciato andare
senza rendersi conto di aver fatto il suo nome. Per lui era normale, tutti
stavano giocando a carte scoperte e non sapeva che invece lei fino a quel
momento non lo aveva fatto.
«Laurel?»
«Laurel Hunter… P-Pensavo che lo sapessi…»
«Aspetta vuoi dire che lei è figlia di Rip?»
«E tua…»
Improvvisamente tantissime, troppe cose divennero chiare in un colpo solo e
per Sara fu come andare in apnea. Essere sbattuta violentemente sott’acqua
senza la possibilità di poter prima prendere una boccata di ossigeno. Forse per
questo si trovò a boccheggiare del tutto persa…
«S-Scusa pensavo te lo avesse detto e…»
«Per questo non mi voleva guardare in volto… per questo sentivo quel senso
di inquietudine che non sapevo spiegare…»
Non era da lei lasciarsi sopraffare dalle emozioni, piangere o perdere il
controllo eppure in quel momento stavano accadendo tutte quelle tre cose
insieme.
«Da quanto? Da quanto è malata?»
«Non lo so… nessuno di noi lo sapeva…»
Sara era sull’orlo di perdere il controllo e probabilmente si sarebbe
sfogata su Allen se non fosse che lui ricevette una telefonata che lo fece
sparire in un flash. A Sara non rimaneva nessun’altra possibilità e scoppiando
come una bomba atomica distrusse tutto in un misto di pura frustrazione e
tristezza che finì per farla cadere a terra tra lacrime e il suo stesso sangue
per via delle ferite che si era provocata alle mani distruggendo ogni cosa che
le era capitata a tiro.
Quando la breccia si era aperta durante gli allenamenti alle STAR Labs nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che la
persona che ve ne sarebbe uscita sarebbe stata niente di meno che Barry Allen,
lo stesso che dopo diciotto anni di assenza ora giaceva in coma nell’infermeria
della Checkmate con al suo lato la propria figlia che
non aveva perso tempo a contattare il fratello che in un flash comparve al suo
lato. Era ancora sconvolto da quello che aveva saputo su Laurel
che quella nuova informazione il suo cervello fece quasi fatica a processarla,
mentre raggiungendo Dawn non riuscì a far altro che
abbracciarla e piangere insieme a lei… entrambi increduli, scossi, ma pieni di
una felicità così ricca da far esplodere la loro già marcata sensibilità.
Non vollero lasciare per un secondo il padre, perché seppur privo si sensi,
era lì con loro e avevano quasi la paura che se si fossero allontanati
avrebbero corso il rischio di scoprire che tutto quello era solamente un sogno.
Snart all’infuori
dalla stanza osservava attraverso il vetro la scena, incapace di valutare come
tutto quello lo faceva sentire. Il suo sguardo di ghiaccio poteva dare l’impressione
che non fosse minimamente toccato, ma le dita strette sul mento e il braccio
conserto in vita non ingannavano Lily che ormai troppo bene lo conosceva.
«Come sta?» gli chiese la stessa, mentre raggiungendo il suo fianco cercò
la sua mano solo per poterla intrecciare con la sua e fargli sentire tutta la
sua vicinanza e la sua forza.
«E’ come se qualcuno gli abbia prosciugato tutta la sua forza vitale. E’ in
vita, ma al contempo è come se non lo fosse…»
«Il Flash Nero?» chiese lei ricordandosi di alcune chiacchierate che con
Cisco aveva avuto a proposito.
Ricordava che questo fosse una sorta di mietitore dei Velocisti, che faceva
pagare loro con la vita il giocare con il tempo.
«O la Forza della Velocità…» mormorò Leonard assorto, ricordando troppo
bene la fine di West e Quick. Solo in quel momento si
voltò verso di lei e imperturbabile come sempre, senza far trasparire nessuna
sua emozione, si portò il dorso della mano della moglie alla bocca e vi posò sopra
un bacio. Ormai Lily aveva imparato ad amare il suo modo di esprimerle amore,
fiera che fosse l’unica che sapesse comprenderlo e apprezzarlo.
«Non pensarlo…»
«Cosa?»
«Quello che so che stai pensando… Sei un eroe Leonard, sei CitizienCold e non perché DOVEVI
esserlo, ma perché hai VOLUTO esserlo e tutto ciò che hai costruito in questi
anni non cesserà solo perché Barry è tornato…»
«Ma tutto questo è servito solo a questo, a farlo tornare. Che altro senso
ha la mia esistenza ora?»
Quanto ci aveva pensato a quel momento solo Snart
lo sapeva eppure Lily non gli avrebbe permesso di gettare alle ortiche tutto ciò
che lui aveva fatto e insieme avevano e per questo voltandosi completamente
verso di lui gli prese il viso tra le mani con quella delicatezza che solo lei
aveva saputo avere con lui. Toccandolo come se fosse ghiaccio freddo che si
sarebbe potuto spezzare se preso con troppa foga, ma che al contempo non si era
lasciata spaventare dal pericolo di rimanerne scottata.
«Non osare Snart… non osare a sminuire ciò che
abbiamo costruito… insieme… Noi non siamo stati parti di un piano, noi non
abbiamo seguito uno schema, noi abbiamo fatto le nostre scelte e quello che
abbiamo è NOSTRO… solo NOSTRO. Questo è il senso che ha. Ciò che sei, ciò che
siamo insieme, ciò che rappresenti per Central City e per Jai…
e Iris…» lei non dovette dilungarsi in altre parole e anche se avesse voluto
non avrebbe potuto, perché il marito aveva cercato le sue labbra e il loro
calore quello che aveva saputo scaldarlo negli inverni più rigidi o farlo
avvampare nelle calde sere d’agosto.
La strinse a sé, l’abbracciò e cercò in lei la sicurezza di cui aveva
bisogno per poi dargliela indietro, solo per notare in quel momento alle spalle
di Lily sia Mick che Stein a cui dopo aver sorriso debolmente, lesse nei loro
sguardi la comprensione di cui tanto aveva bisogno: del suo partner che non lo
avesse tradito e del professore di non essere un errore per sua figlia.
Quel momento però così importante venne interrotto dall’impeto di uno dei
giovani Allen che affacciandosi nel corridoio avvisò che il padre aveva ripreso
conoscenza portando così le due Leggende presenti e i coniugi Snart ad entrare nella stanza per controllare l’amico.
Barry che indossava la stessa divisa che anche il figlio portava non era
diverso da come ricordavano, seppur il suo sguardo era stanco e la pelle era
rinsecchita quasi come quella di una pianta a cui non era stata data acqua per
mesi.
Cercava di parlare con affanno e senza riuscirci, mentre Donald in un flash
era scomparso a chiedere aiuto e Dawn gli stringeva
la mano in preda al panico e distrutta da vederlo così. Non aveva chiamato sua
madre, forse era stata una scelta sbagliata, ma non voleva che lei soffrisse
ulteriormente… forse solo se suo padre si sarebbe salvato, sarebbe stato giusto
farla tornare, ma in quel momento che senso aveva? Per spezzarla
definitivamente?
«F-Fl… F-Flas…» la voce
di Barry suonava come quella di un moribondo e più ci provava e più tutti i
suoi parametri impazzivano, tanto che Lily cercava con il padre di farlo
calmare, ma Mick e Snart con la sintonia di un tempo –quella
mai spenta- compresero immediatamente che Allen aveva un messaggio per loro.
«Flashpoint…» esclamò Rory
vedendo Flash assentire agitato, mentre poco dopo lo stesso strinse con le
poche forze che aveva il polso di Snart
costringendolo a piegarsi verso di lui e sussurrandogli qualcosa all’orecchio
prima di perdere conoscenza. Il reparto medico della Checkmate
arrivò e buttò fuori tutti dalla stanza, mentre cercò disperatamente di
assistere Barry cui i segni vitali erano al minimo.
«Cosa ti ha detto nostro padre?»
«Cosa c’entra Flashpoint?»
Nel corridoio fuori dalla stanza Leonard venne assalito prima di Dawn e poi da Lily, mentre lui cercò di riportare a loro
con la calma necessario l’atroce messaggio che gli era stato dato.
«Flashpoint doveva finire il 25 aprile 2024…»
«L’anno in cui nostro padre scomparve!» notò Donald voltandosi verso la
sorella.
«Ma in che senso doveva finire? Forse il Flash Nero era venuto a
distruggere un qualcosa che non doveva creare?» cercò poi di capire Martin.
«Possibile, perché da quello che mi ha detto Barry lui è sparito per
impedirlo… così il Flash Nero si sarebbe occupato di rincorrerlo…»
«E questa linea temporale sarebbe stata salva!»
Concluse Mick con una certa logica che lo stupì, mentre i giovani Allen
iniziarono a comprendere il sacrificio di loro padre.
«Lui ha rinunciato alla sua vita per noi… per tutti noi…»
Lily non poté fare a meno di abbracciare Dawn
sempre più scossa e sconvolta, mentre con la sua lucidità e quella del marito e
le Leggende comprendevano che questo voleva dire che se Barry era tornato, lo
aveva fatto anche il Flash Nero e che sarebbe stato pronto a portare a termine
il proposito lasciato in sospeso diciotto anni fa…
Rieccomi qui con un nuovo capitolo. Ci ho
messo un poco di più perché ho avuto da fare in questi giorni, oltre il fatto
che ho voluto formattare di nuovo tutta la storia e correggerla dagli errori.
Spero che così sia più scorrevole e piacevole da leggere per tutti quelli che
vorranno farlo.
Continuate a seguirmi e se vi fa piacere
di commentare, così mi date la spinta per continuare e migliorarmi.
Sulla Waverider
Sara era totalmente ignara di tutto quello che stava succedendo al di fuori,
delle scioccanti verità che si stavano scoprendo in quelle ore e del peso che
avrebbero avuto. Tuttavia nel mentre era sola nel disastro che lei stessa aveva
causato, a sfregarsi le mani con ferocia sotto l’acqua per mandare via il suo
stesso sangue che si era incrostato sulla pelle dopo che lo aveva lasciato
scorrere senza muoversi dalla posizione inginocchiata a terra in cui era finita
ed era rimasta senza sapere quanto.
Quando però Laurel aprì gli occhi non aveva
saputo nulla di tutto quello che era successo perché l’unica cosa che vide fu
Sara con le mani fasciate che la fissava con un leggero sorriso sul volto.
«Pensavo che avresti continuato a farti un pisolino…» il suo conoscerla fin
troppo bene, la rendeva certa che il suo pungolarla era dovuto solo al tentar
di sviare la verità che ormai doveva aver scoperto.
Alzandosi dalla sedia su cui era stata sdraiata scoprì ben presto di
indossare ancorala lunga e larga
t-shirt di Donald che aveva usato la notte prima per andare a letto.
«Vieni ti do qualcosa…»
Sara lo disse invitandola a seguirla e così portandola nel suo alloggio, lì
dove cercò un paio di jeans e un top che era sicura le sarebbero andati.
Il silenzio era pressante, ma era molto più naturale di quel voler tentare
a tutti i costi di fingere che andasse tutto bene quando ovviamente non era
così.
Laurel era seduta sul bordo del letto e quando voltandosi verso il piccolo comò
al fianco dello stesso vide una fotografia di Sara e sua sorella non poté non
prenderla in mano e accarezzarne i due volti sorridenti, sorridendo lei a sua
volta. Aveva sentito per tutta la sua breve vita il peso di dover portare il
nome di una zia che non aveva conosciuto, ma con la quale sapeva che tutti
l’avrebbero sempre paragonata.
«Lo sai vero?» chiese improvvisamente la giovane abbassando la foto e
affrontando lo sguardo di Sara quando questa si voltò verso di lei e rimase
colpita dalla scena che si trovò di fronte. Strinse maggiormente il jeans e il
top che aveva in mano e mettendoseli sulle gambe, si sedette al fianco della
ragazza. Era chiaro che nessuna delle due era fatta per girare intorno alle
cose, preferivano andare dirette e brutalmente sempre al punto.
«E tu quando pensavi di dirlo?»
«Pensavo non sarebbe servito…»
Perché di certo Laurel non aveva messo in
programma di continuare a vivere una volta conclusasi la sua missione.
«Ho ricevuto l’esito dell’esame il giorno dopo del funerale dei miei… La
certezza già quasi c’era, ma sai la speranza è l’ultima a morire… ancor più
quando hai tanto per cui vivere…»
E ad ogni parola i suoi grandissimi occhi espressivi si riempivano di
lacrime che si sarebbe rifiutata di versare. Ormai non era nemmeno più certa di
averne.
Le sue labbra tremavano dallo sforzo di trattenerle e le sue dita
affusolate stavano stringendo così forte il porta foto che sarebbe mancato poco
che si frantumasse tra le sue mani. Sara lo notò e per questo gentilmente
glielo tolse, mettendolo da parte come i vestiti che stava custodendo in
grembo. Così facendo poté anche piegare una gamba sul proprio letto e voltarsi
completamente verso di lei. Le scostò una lunga ciocca di capelli chiari che le
era caduta davanti al voltò a nasconderla e rimase impressionata da come il suo
volto contrito dal dolore fosse così simile nell’espressione a Rip… sembrava il déjà-vu della sera in cui avevano parlato
e lui le aveva confidato tutto il suo sconforto.
«Per questo mi hai detto che ti ho tradito?» chiese la Leggenda, trovandosi
più scossa di quanto si aspettasse. Lei che credeva di avere più autocontrollo.
«Ti odio perché tu mi avevi promesso che ci saresti stata… sempre… che non
mi avresti abbandonato e mi avresti insegnato così tante cose che non avrei
avuto una vita per impararle tutte… ma poi te ne sei andata… sei morta di
fronte ai miei occhi senza darmi il tempo di dirti tutto quello che non sono
mai riuscire a dirti…»
Piccole gocce salate scesero sul viso di Laurel
che nonostante lo sforzo non era riuscita più a trattenerle, lei che non voleva
cedere. Lei che sapeva benissimo di non trovarsi di fronte a sua madre, ma che
aveva rimandato quello sfogo per troppo tempo. Ci aveva provato con la sua
tomba, ma tutte le volte finiva per inveire contro la lapide e buttare i fiori
che voleva posarvici sopra.
«Mi sono ritrovata sola senza sapere cosa fare… cosa me ne facevo dei miei
sogni da ginnasta? Dei miei premi di cheerleader o dei miei abiti firmati? Cosa,
se niente di tutto quello vi avrebbe riportato indietro?»
«Per questo sei diventata Huntress?» le chiese
Sara stringendo le sue mani e cercando il suo sguardo, lo stesso in cui avrebbe
voluto annegare… nel dolce mare salato delle lacrime che ormai entrambe stavano
versando.
«Volevo ucciderli tutti… volevo che la Corte dei Gufi pagasse, ma non sono
riuscita nemmeno in questo… la malattia è progredita in fretta e ho fallito…
Non sono stata nemmeno capace di vendicarvi…»
Sara sentì la necessità di abbracciarla forte e impedirle di portare un
peso che una ragazzina così forte non avrebbe mai dovuto portare. Men che meno
se era sua figlia e se tutto quello che le era successo era stata unicamente
colpa sua.
Non sapeva che cosa aveva fatto in vita sua o chi aveva salvato o quali
ferite e di aveva curato… perché era stata ripagata con qualcosa di fin troppo
grande e lo percepì nel momento in cui stringendola tra le braccia aveva
finalmente trovato quella pace che pensava che a lei fosse reclusa.
Non sapeva se era stata lei a incontrarla oppure se era stata Laurel a trovarla, non lo sapeva… non ne aveva minimamente
idea, ma poteva solo ringraziare il tempo per quello che era successo, per
poterla meritare…
«Non sei sola Laurel… ok? Non sei sola… Perché io
mi prenderò cura di te… perché io ti salverò e non ti permetterò di portare un
peso che è mio…»
Sara stava impazzendo dicendo quelle cose, lo sapeva benissimo, ma non
poteva fare altrimenti. Sì poteva chiamare istinto materno forse, ma di fatto
per quanto sbagliato fosse non avrebbe permesso che lei soffrisse ancora un
solo minuto in più.
Laurel le sorrise tra le lacrime e si aggrappò a lei con forza, stringendola,
abbracciandola e non riuscendo a capire se era più triste, felice, sollevata o
spaventata. Seppe solo che non voleva rinunciare a quella ritrovata pace, a
quella seconda possibilità.
Qualcosa accadde in quel breve tempo insieme e quando le porte
dell’alloggio si aprirono entrambe erano profondamente diverse e con la
consapevolezza che il loro legame andava oltre la morte e il tempo.
Laurel sembrò tornare nonostante tutto e almeno in parte la ragazzina di sedici
anni che doveva essere e Sara non la perse di vista fin quando non scomparve
dalla stessa, era decisa a seguirla se non fosse che di fronte alla porta della
sua stanza comparve Rip: le mani suoi fianchi, lo
sguardo critico e l’impressione di chi aveva ascoltato tutto.
«Cosa hai fatto Sara?» una domanda semplice che in realtà nascondeva mille
insidie.
Ci stava provando a trattenersi, ma fu impossibile, tanto che la mano
scattò a stringere fin troppo forte il suo braccio e a spingerla all’indietro e
lasciare che le porte alle sue spalle si chiusero.
«Cosa hai fatto? Sara non puoi…»
Ma per il canarino bianco non fu poi così difficile liberarsi dalla sua
presa, di poggiare le sue mani sul suo dorso e spingerlo all’indietro.
«Non posso salvare nostra figlia? Mi spiace Rip è
troppo tardi, perché non mi tirerò indietro… non lo farò…»
«Ma ti senti? Ti senti quando parli?» gli chiese lui arrivandogli così
vicino che le loro fronti si sfiorarono, mentre urlandosi addosso l’un l’altro
si stavano azzannando come probabilmente non avevano mai fatto prima.
Lei tentò di ignorarlo, di sorpassarlo e andarsene per evitare che la
situazione degenerasse, ma il Capitano non poté permetterglielo e così tentò di
fermarla finendo solo per combattere contro un’assassina decisamente più forte
di lui e che finì per scaraventarlo sul letto.
«Non osare impedirmelo Rip… non osare metterti
sulla mia strada!»
Lo minacciò lei non avendo paura di usare quel tono e quelle parole, mentre
con una mano lo puntava con il dito con fare intimidatorio. La stessa mano che Rip prese per attirarla a sé e capovolgendo le posizione
bloccarla sotto di lui tenendola con i polsi ben schiacciati contro il letto.
«Non costringermi a fermarti Sara… Non costringermi te ne prego…»
«Rip è nostra figlia…»
«Lo so…»
«Cosa?» chiese Sara in preda allo shock di fronte a quella sua confessione
tanto semplice e spontanea, quando questo lasciandola libera si tolse da sopra
il suo corpo e sedendosi accanto a lei sul letto si mise a fissare la porta
chiusa.
«Credo di averlo capito nel momento in cui Gideon
mi ha mostrato la foto…»
«E allora… allora dovresti capirmi…»
Sara si era alzata a sedere e ora era voltata verso di lui, cercando una
spiegazione del suo comportamento.
«Ho rinunciato a Miranda e Jonas, al tentativo di salvarli per fare la cosa
giusta e tu hai fatto lo stesso con tua sorella, perché questa volta dovrebbe
essere diverso?»
Chiese lui con semplicità. Le gambe piegate e le braccia poggiate sulle
ginocchia, stanco ormai del ruolo di colui che doveva prendere decisioni per il
bene degli altri… del mondo, ma mai suo.
«Non lo so… hai ragione… non dovrebbe esserlo… ma guardami negli occhi e
dimmi che quando la guardi non senti che per lei saresti disposto a qualsiasi
cosa… anche fotterti delle regole e di ciò che è giusto o ciò che non lo è…»
Rip si
trovò ad alzare gli occhi al cielo, rise con amarezza e sarcasmo. Era tremenda.
E la dimostrazione che non sapeva darle una risposta, che stava oggettivamente
facendo un errore era esattamente la prova di cui aveva bisogno. Quella che gli
dimostrava che forse non gli restava altro da fare se non seguire il suo
istinto, dimenticare le sue quisquilie e togliersi la mania che aveva di
soffrire. Di tornare a rischiare come faceva una volta, inventarsi una nuovo
modo di vivere e lasciarsi alle spalle il passato.
Sara non sapeva perché Rip non le rispondesse,
perché era lì a fissarla senza proferire parole, ma era sicura che se avesse
avuto il potere di leggergli nella mente avrebbe scoperto una ferocia battaglia
nella sua testa quanto nel suo cuore.
La stessa che ad un certo punto aveva dovuto scegliere un vincitore e che
capì quale fosse nel momento in cui la baciò con la stessa intensità e la
stessa necessità di solo poche sere prima.
Lei che questa volta lo accolse più preparata e con il desiderio di
approfondire maggiormente quel qualcosa che tra loro si stava creando, ma che
in realtà era lì che covava da moltissimo tempo, da quando l’uno per l’altra
avevano iniziato a riempire le loro esistenze vuote e danneggiate.
Ormai il fantomatico motivo per cui fossero lì stava divenendo chiaro per
tutti, seppur per ognuno in modo completamente diverso: salvare Flashpoint e il suo futuro.
Le informazioni riguardanti il Flash Nero e i suoi fatali piani contro Flashpoint non erano le uniche notizie nefaste di cui erano
venuti a conoscenza. La Checkmate non era così in fermento
da moltissimo tempo, agenti che correvano da una parte all'altra, Lyla che urlava ordini e Diggle
che con gravità stava aggiornando il Presidente attraverso una videochiamata.
«Hai detto che lo hai trovato in mano di tuo padre?»
Chiese Snart a Dawn
dopo che per l'ennesima volta avevano ascoltato la registrazione che quel
piccolo dispositivo conteneva, la stessa che parlava degli eventi apocalittici
di quel futuro in cui loro stessi vivevano e che secondo Allen erano frutto
delle macchinazioni della Corte dei Gufi alleati con un nemico se possibile
ancora più minaccioso: l'Anti-Flash. Colui che era riuscito a manipolare più
eventi contemporaneamente creando così molteplici anomalie che avevano portato
all'alterazione del futuro con l'arrivo di esseri quasi mitologici quali Aquaman e Queen Diana, ma anche riuscendo nell'intento di
far cadere gli eroi più potenti della terra.
«Sì! Te l'ho già detto! Dobbiamo fare qualcosa... non possiamo permettere
che il sacrificio di mio padre sia stato vano!»
«Mia sorella ha ragione! Lui lo ha fatto per preservare non solo le nostre
esistenze, ma anche quelle di tutti voi... del mondo interno...»
«E per darvi il tempo di arrivare preparati a questo momento…»
Osservò con tono materno Lily, ma nello stesso momento guardando suo
marito. Barry lo aveva fatto per i suoi figli, ma anche per lui. Perché adesso
aveva le competenze e la saggezza necessaria per gestire una situazione di
urgenza come quella.
Leonard lo capiva, comprendeva che se Allen aveva ceduto era solo perché il
suo fisico dopo diciott'anni non era più riuscito a sopportare quel tormento,
quel continuo fuggire, quel continuare a stare in movimento, sopravvivendo, ma
non vivendo.
«Dobbiamo riscattare l'aliena!»
Esclamò improvvisamente, mentre Mick e il Professore si guardavano confusi.
«Gonnellina?»
«La Signorina Danvers?»
«Vuoi metterti nella tana dei gufi senza la certezza che poi questa sia dal
nostro lato?»
Chiese Lyla che nonostante il gran trambusto in
cui era stata risucchiata, aveva sempre un orecchio vigile alla conversazione
che i suoi compagni stavano avendo. Lei che non sembrava particolarmente
convinta di quella scelta.
«E' l'unica abbastanza forte per aiutarci e se Allen ha creduto in lei, forse
dovremmo farlo anche noi...»
Notò Lily, portando così alla scelta definitiva che il piano di Snart si sarebbe realizzato. A lui l'organizzazione della
missione.
Il flusso di informazioni e spie della Checkmate
non aveva reso difficile per loro ottenere le coordinate del magazzino delle LuthorCorp, una delle famiglie
cardini della Corte dei Gufi, in cui molto probabilmente avrebbero potuto trovare
l’aliena. CitizienCold che
aveva organizzato la missione era sul campo e accanto a lui il partner di una
vita HeathWave, Cyborg,
Allen, Green Arrow e Atom. Una volta raggiunta la
zona e messo facilmente ko gli uomini che ne erano a
guardia, il difficile venne quando entrando e scendendo di pochi piani si
trovarono in un labirinto di corridoi e molteplici porte. Fu allora che Palmer scansionò
rapidamente l'area, cercando di avere un quadro quanto più preciso della
situazione all'interno di quei laboratori e capire dove avrebbero dovuto
dirigersi.
«La cosa migliore è dividerci» esclamò Snart
sincronizzando il suo orologio/comunicatore/segnalatore con gli altri. Giocattolini
alquanto utili della Checkmate.
«Mick con me. Cyborg e Green Arrow insieme e stesso per Allen e Atom. Il primo che ha novità aggiorna gli altri!»
L’entusiasmo di Queen e Diggle era a minimi
storici e così senza proferire parola preferirono di gran lunga pensare alla
missione e parlarsi il meno possibile, una cosa che non sì poté dire per Allen
e Atom che insieme erano peggio di una radio. Il loro
camminare ed esplorare però durò molto meno degli altri quando improvvisamente
entrambi vennero colpiti al capo e videro tutto nero prima di poter avvisare un
qualsivoglia dei loro compagni.
Il primo a riprendere conoscenza fu Donald che senza la sua maschera si
stava guardando intorno per capire dove si trovava. Non era certo la prima
volta che veniva tramortito e si ritrovava legato da qualche parte e quindi la
prima cosa che fece fu cercare di capire di che pasta fossero fatte le sue
manette. Lui e sua sorella non erano Velocisti del calibro di loro padre e
dunque vibrare non era un’opzione quanto non lo era riuscire sempre a sfuggire
ai pericoli. Diciamo che la loro velocità era alquanto relativa e capricciosa. Tuttavia
mentre cercava di tastare le manette che gli bloccavano i polsi, si guardò
attorno. Palmer sembrava ancora privo di conoscenza, mentre il loro carceriere
era carino… davvero carino. Non era un agente al soldo dei Luthor
e considerando quanto fosse deperita, sporca e sgraziata nemmeno uno dei medici
che lì vi lavoravano, quanto più probabilmente uno dei pazienti lì tenuti o
forse era meglio dire cavie.
Donald cercò così di liberarsi con i movimenti che Diggle
gli aveva insegnato, roteando il polso e ponendo le manette in una tensione
tale che gli permettesse di far scivolare le dita anche a costo di rinunciare
al pollice e liberarsi, ma niente.
«Non sei delle LuthorCorp,
allora chi sei? Sei una prigioniera?»
Quella era ancora di spalle, intenta ad osservare gli oggetti che quegli
intrusi avevano con loro. Gli anni di prigionia l’avevano resa sempre più simile
a una bestia e sempre meno una persona normale.
Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, di un biondo sporco che non
vedevano uno shampoo da fin troppo tempo. Le braccia erano piene di buchi e
cicatrici dovuti ai numerosi esperimenti a cui era stata sottoposta.
Era lì da così tanto tempo che nonostante non fosse riuscita ancora a
trovare l’uscita, aveva capito che quell'ala era attualmente inattiva e dunque
sicura.
La voce di uno di quelli attirò la sua attenzione e voltandosi lo scrutò
attentamente. Iniziò a studiarne il viso e l’espressione trovandoci qualcosa di
estremamente familiare. Ma ben presto scosse il capo decisa a non perderci
altro tempo e piuttosto a tornare a frugare tra quel poco che avevano per scoprire
se c’era qualcosa di utile che le avrebbe permesso trovare la via d’uscita da
quell’inferno.
Mentre Donald non aveva idea chi fosse quella donna, lo stesso non fu per Ray che ripresa conoscenza si ritrovò sconvolto di scoprire
a cosa fosse ridotta ormai la grande Supergirl.
«Kara sei tu?» chiese quello vedendola congelarsi
sul posto, mentre voltando appena il capo sembrò spaventata che qualcuno la
chiamasse così.
«Guardami, sono Ray. Ti ricordi?»
Mentre Palmer cercava di attirare la sua attenzione nel tentativo di
instaurare un contatto visivo, Donald sembrava essere riuscito nell’intento di
liberarsi e in un flash fece lo stesso con Atom senza
che lei se ne accorgesse.
«C-Come sai il mio nome?»
«Perché ci conosciamo… più o meno… Siamo venuti qui per te… per aiutarti…
per salvarti...»
«O almeno questa era l’idea prima che ci prendessi prigionieri...» aggiunse
ironicamente Donald, ma era un’osservazione giusta dopotutto.
Kara non
era stupida, sapeva cosa stava tentando di fare quell’uomo di fronte a lei
eppure sentiva che non era come tutte le volte che l’avevano ingannata per poi
torturarla, che quella volta poteva fidarsi per davvero.
Dopotutto lei non aveva alcun interesse a mettersi contro di loro, si passò
così una mano tra i capelli lunghi e spettinati con fare stanco e rialzando lo
sguardo lo fece incrociare con quello dell’uomo e poi del giovane che
improvvisamente si ricordò perché lo trovava così familiare.
«Allen?»
«Esatto! E’ il figlio di Barry… Ricordi?»
A quella frase parve prendere coraggio e avvicinandosi decise di liberarli
solo poi scoprire che già lo avevano fatto e per questo fece un salto indietro
nello stesso momento in cui loro si alzarono in piedi.
«Non vogliamo farti del male… te lo assicuro…»
«E’ difficile credervi quando me lo hanno ripetuto per diciott’anni» disse
quella tremante e terrorizzata.
«Kara vogliamo solo portarti fuori di qui, tu
vuoi uscire vero? Rivedere il sole… sentirti forte…»
Ad ogni parola Ray faceva un passo timido verso
di lei, come quando devi trattare con un bambino e devi farlo con estrema cura
se non vuoi che ti scoppi improvvisamente a piangere… ma quando riuscì ad
arrivarle di fronte e poggiarle una mano sulla spalla, pensava che dopotutto ci
fosse riuscito.
«Allen. Palmer. Che cosa sta succedendo?» era la quarta volta che Snart provava a mettersi in contatto con loro senza che
nessuno dei due desse risposta alcuna. A quel punto era chiaro che continuare a
provare fosse una perdita di tempo e questo significava che non avevano più
soltanto una persona da trovare il prima possibile, ma tre.
Sollevò lo sguardo verso Mick, che come sempre sembrava estremamente
rilassato dal trovarsi in una situazione tanto estrema.
Snart stava
ancora sorridendo per questo, quando ad un tratto, un movimento alla loro
destra catturò l'attenzione di entrambi e facendoli voltare nello stesso
istante con le loro armi pronte a sparare per un attimo li fece sentire il team
di un tempo, tuttavia fu un falso allarme perché a loro volta si trovarono di
fronte Queen e Diggle che puntavano contro loro
freccia e pistola. Tutti e quattro abbassarono le proprie armi. Erano in un
vicolo cieco.
Quella sensazione di inerzia però durò molto poco quando riprendendo a
camminare si incontrarono niente di meno con Allen, Palmer e l’aliena che però
appariva molto diversa da come Mick ricordava, tanto che fu costretto a
prenderla in braccio da quanto fosse debilitata e faticasse a camminare.
«Dove l’avete trovata?» chiese Snart.
«Più che altro ci ha trovato lei…» osservò Ray
con una punta di ironia, mentre stavano cercando di percorrere la strada al
contrario e uscire da lì se non fosse
che l’urlo di Allen attirò l’attenzione di tutti.
«ATTENTI!» disse mentre correva abbastanza veloce per allontanare Diggle e Connor dalla linea di
tiro di due agenti della LuthorCorp
e voltando in tempo Snart e Ray
affinché i raggi delle loro armi li colpissero.
«Fuori di qui! SUBITO!» urlò Mick, mentre l’allarme suonò nella struttura e
ben presto un’ondata di agenti fu su di loro.
Combattere non era un problema, ma lo diveniva quando seppur raggiunta l’uscita
ti trovavi ad aspettarti uno stuolo di jeep, armi e uomini che avrebbero reso
scappare via assai difficile. Purtroppo nemmeno contare sulla Danvers fu abbastanza, perché appena quella venne inondata
dai raggi del sole si librò nell’aria volando via in un baleno e lasciando i
suoi salvatori nei guai.
Non ricordavo di aver pianto così tanto
per scrivere un capitolo, ma sono quelle lacrime che ti fanno piacere perché creano
un collegamento empatico con i personaggi che stai scrivendo e forse per questo
rendono le loro emozioni ancora più forti. E a voi come pare la storia finora?
Vi piace?
«Maledetta gonnellina!» imprecò Rory, mentre l’aliena sfrecciava via lasciando tutti loro
in un mare di guai. Inutile dire che nonostante sembrava ovvio che fossero
spacciati non si lasciarono intimidire. HeatWave spalla a spalla con il suo partner si trovò a
riscoprire con piacere che gli bastò lanciargli un’occhiata per scoprire che la
loro sintonia era sempre lì, pronta ad entrare in azione nel momento più
opportuno.
«Se dobbiamo morire trasciniamoci dietro più bastardi possibili!»
«Ben detto partner!» Rory era incredibilmente
eccitato di come SnartCitizien
o Capitan Cold che fosse non si smentisse mai.
Anche gli altri non erano da meno e mentre le pistole di ghiaccio e fuoco rilasciarono
la loro energia, l’arco di Connor iniziò a lanciare
una freccia dietro l’altra con la stessa precisione millimetrica del padre e
scoprendosi altrettanto alla sua altezza anche nel combattimento corpo a corpo.
Allen nel mentre iniziò a correre sempre più veloce colpendo i vari avversari e
usando la sua velocità al massimo e
seppur sapeva che questo avrebbe abbassato rapidamente la sua resistenza in
quel momento non poteva permettersi diversamente. Atom
intanto si restrinse e volando a zig zag tra quegli agenti nemici cercò di far
più danni possibili sabotando le loro armi per poi tornare in forma normale e
colpirli con i raggi prodotti dalla stella nana della sua suit.
Cyborg invece fece mostra di tutta la sua forza sovraumana dovuta al suo essere
metà umano e metà macchina, così che con un braccio riuscì facilmente a
sollevare una delle auto che conteneva degli agenti e lanciarla dall’altra parte,
una forza utile se non fosse che venne colpito al braccio destro da un coltello
che mise ko alcuni dei suoi sistemi, tanto che
nonostante si liberò facilmente dell’agente che lo aveva aggredito in quel
momento era al 50% della funzionalità.
Le cose si stavano mettendo male, nonostante la loro straordinaria capacità
di combattimento anche per via di Luthor e tutte le
maledette tecnologie con le quali aveva rifornito i suoi agenti alcune delle
quali anche proibite per la loro pericolosità.
Fu proprio però quando le cose sembravano precipitare completamente che un
aiuto inaspettato giunse dal cielo, letteralmente.
«E’ l’ora della trasmutazione!» la voce dei due Stein rimbombò nelle teste
dei due Jackson che guardandosi in volto si trovarono a scuotere il capo.
«Solo degli Stein potrebbero dire “è l’ora della trasmutazione!”»
«Puoi dirlo forte pa!»
Prima Jax e poi Jason parlarono dandosi il cinque
ed entrando in azione nel pieno del combattimento, mentre anche Diggle e Lyla facevano la loro
entrata in scena e mostrando che nonostante fossero invecchiati le loro
capacità militari erano sempre le stesse, anzi se possibile erano migliorate.
«Mi ricorda un po’ Belgrado…»
Disse Lyla concentrata nello sparare ben protetta
dietro la jeep con cui lei e il marito erano arrivati, mentre lui prendeva la
mira esattamente come faceva il figlio e che dopo uno veloce sguardo fugace per
poco non scoppiarono a ridere.
«Io e te, amore, abbiamo un ricordo un po’ diverso di quella missione!»
«Sto perdendo potenza, sono al 30%...»
Avvisò JJ, mentre si faceva un veloce checkup e mettendo in allarme i
genitori che sapevano quanto per lui fosse importante non scendere mai al di
sotto del 10% per non essere a rischio sopravvivenza. Era grande e grosso, ma
rimaneva sempre il loro bambino e nonostante le cose stavano andando bene, la
Corte dei Gufi non avrebbe tardato a mandare rinforzi.
Intanto i due Firestorm insieme non mancarono di
usare i loro incredibili poteri di trasmutazione della materia e così facendo
rendendo inoffensivi gli agenti e le loro armi, ma proprio mentre si misero a
cantare vittoria ecco che un countdown partì indicando loro che così facendo
avevano semplicemente attivato il sistema di autodistruzione della struttura.
«RITIRATEVI!
RITIRATEVI non abbiamo più t--», ma la voce di Lyla
le morì in gola nel momento in cui sentì il freddo di una canna di pistola
dietro il capo.
«Tempo
scaduto Diggle» e prima che quella poté dire altro il
viso del marito era già schizzato del suo sangue. JJ urlò qualcosa che però gli
morì in gola nel momento in cui anche suo padre cadde al suolo con un colpo
secco al cuore.
Gli uomini
della Checkmate non persero altro tempo e seppur a
forza caricarono il resto della squadra portandoli via, mentre JJ cedette alle
insistenze dei compagni solo per via della sua potenza che stava velocemente
cadendo a picco.
Colui che
aveva sparato lo guardava con un sorriso beffardo sul viso e con la mano alzata
salutava Diggle profondamente soddisfatto di ciò che
aveva appena fatto, mentre schiacciando un semplice pulsante sul suo orologio
il countdown di autodistruzione si fermò.
«Signore
vuole che li inseguiamo?»
«Nah… lasciamoli andare… per ora…» esclamò quello
estremamente tronfio a uno dei suoi sottoposti. Ma quanto gli piaceva vederli
spezzarsi? Forse ancor più del suo alleato, quello che in un flash rosso era al
suo fianco.
«La vedo
soddisfatto Signor Clayton…»
«Può dirlo
forte Signor Thawne e grazie per la dritta… prima i
Queen… ora i Diggle… questa vendetta è più dolce di
quello che credevo…»
«Lieto di averle
fatto piacere, anche se forse devo essere io a ringraziarla per l’apporto che
sta dando alla causa…»
Quello rise
divertito, mettendo un braccio sulle spalle del suo vecchio amico.
«Provocare
guerre mondiali, distruggere quella ridicola mandria di eroi… si figuri è
sempre un piacere!»
E mentre
quelli festeggiavano lieti di quel piccolo trionfo, i segni di vitali di JJ
scendevano pericolosamente, mentre quello perdeva sempre più conoscenza e
dentro di lui urlava come non aveva mai urlato in vita sua. Forse non poteva
dimostrarlo per le sue condizioni, ma sentiva che nulla aveva più senso.
Scalpitava e sbraitava come un folle incapace di accettare che era stato
incapace di salvare in qualsivoglia modo i suoi genitori. Quel suono sordo di
uno sparo che sapeva non avrebbe mai più dimenticato. E con quel suono sordo,
quel proiettile che aveva trapassato la testa di sua madre prima e il cuore di
suo padre poi, perse l’ultimo respiro rimastogli e mentre chiudeva gli occhi e
tutto diveniva buio rimembrava la vita abbandonare gli occhi dei suoi genitori
e con loro morì anche lui.
«JJ sta
combattendo tra la vita e la morte, i suoi genitori sono morti e la missione di
salvataggio dell’aliena è stato un fallimento. Allen difficilmente si
risveglierà e tutto pare sull’orlo del collasso… Non posso tirarmi indietro.
Devo farlo. La domanda è: tu mi aiuterai Nate?»
Era quella
la domanda che Amaya aveva posto all’uomo di fronte a lei quando quello tornato
alla Waverider l’aveva sorpresa a preparare una delle
capsule della nave pronta alla partenza. Alla donna non era piaciuto lasciar da
soli i suoi compagni e tanto meno dopo tutto quello che era successo, ma dopo
che aveva ricevuto una risposta alla sua richiesta non poteva starsene con le
mani in mano… non quando quella poteva essere una reale speranza per tutti loro
e la guerra in cui si erano trovati coinvolti. Quello che non si aspettava fu
che Nate la seguisse anche se non era ben certa del perché lo avesse fatto in
quanto per tutto il viaggio non le aveva rivolto parola. Perso nei suoi
pensieri, con lo sguardo lontano e una freddezza a cui non sapeva dare un nome.
Una volta
atterrati su suolo africano presero a incamminarsi perla fitta vegetazione fatta soprattutto di
alberi di legno duro per via del clima umido. Un ambiente che Amaya conosceva
bene e talmente familiare che la portò a respirare a pieni polmoni l’aria della
sua terra natale trovandosi a scoprire di quanto fosse ancor più buona di
quanto ricordasse. Fu dunque la memoria sensoriale a condurla sulla strada
giusta per raggiungere il villaggio principale dello Zambesi che nasceva
intorno alla grande “montagna sacra” che radunava alcuni dei clan più
importanti della ragione.
«M-Ma come
è possibile?»
«Oh allora
non hai perso la lingua Heywood!» lo prese in giro la
compagna di viaggio, mentre sorridendogli proseguiva toccandosi orgogliosa il
medaglione.
«A quanto
pare nel corso degli anni lo Zambesi è rinato anche e soprattutto grazie
all’unione di varie tribù. Attualmente vi è un monarca che ha investito nella
cura della flora e fauna del luogo, nel ripristino delle tradizioni e nello
sviluppo socio-economico…»
«Tu lo
sapevi?»
Nate si era
fermato dietro di lei, la voce apprensiva e preoccupata di chi aveva fatto
tanta fatica per prendere delle distanze che mai avrebbe creduto tanto
complicate.
«Che lo
Zambesi sarà distrutto? Sì…»
«E’ stato
dopo la nostra discussione?»
Quando lei
assentì, Nate si portò una mano alla tempia imprecando sotto voce e dandosi
dell’imbecille per quello che le aveva detto. Un gesto che fece scattare Amaya
che voltandosi gli si avvicinò lo costrinse ad abbassare la mano prendendola in
quella di lei. Un dolce sorriso sul volto: rassicurate, ma in parte timoroso.
«Ogni giorno che passa divieni sempre più distante e
quel giorno sentì nel tuo tono di voce qualcosa che mi ha spinto a volerne
capire il motivo… Ci ho ragionato tanto da allora sai? E non credo che sia solo
per questo segreto…»
Poteva arrivare da un’altra epoca, ma era stata un
membro valoroso della Justice Society prima e delle Leggende
poi. Credeva sarebbe stato così facile ingannarla?
Nate sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, che lei gli
avrebbe chiesto spiegazioni che non poteva dargli e dunque come aveva fatto
fino a quel momento il suo unico modo di reagire era guardare altrove e tentare
di non pensarci. Ma non era così semplice, non quando ripensava alle parole che
solo pochi giorni prima le aveva sentito confidare a Sara «E’ strano… soprattutto se credevamo che
non ci importasse più di tanto… ma ci sono distanze che non consideriamo e
invece ci devastano…».
«Ti giuro che avrei preferito perdere una battaglia piuttosto che il mio
cuore nel tentativo di impedire… questo…» Nate si rendeva conto che “questo”
non era un bel termine per definire quello che tra lui e Amaya c’era, ma non ne
trovava un altro. Era alle strette, lei era lì di fronte a lui, persi nella
savana africana, distanti da tutto e tutti e il momento della verità era
arrivato seppur aveva cercato di sfuggirgli così come Ray
gli aveva suggerito.
«Avrei preferito dirti tutto senza doverti nascondere nulla, ma mi
terrorizzava… quanto mi terrorizza che tu ora lo sappia… se potessi cambiare…
cambiare quello che sento… lo farei… ma non si può… il “se”… non esiste…»
«Già non esiste. Esiste solo il noi, adesso e ora. Quindi parla Nate e
dimmelo, perché? Perché mi hai allontanata?»
Lei lo chiedeva con quel filo di voce deciso di chi non era disposto a
lasciar perdere, ma in egual modo con quella sua apprensione a cui non sapeva
resistere. Fu così che Amaya portò una mano al capo di Nate iniziandolo ad accarezzare
con dolcezza.
Lui di fronte a lei diveniva solo un’anima in pena che stava perdeva
miseramente la partita del “fare la cosa giusta” e buttava alle ortiche la sua
dignità.
«Perché tu avrai una figlia Amaya e lei avrà una figlia che Ray conoscerà… se questo tra noi continuasse…»
«Si tratta di questo?»
Con sorpresa la ragazza non sembrava più di tanto colpita, come se si
aspettasse una rivelazione ben più importante o di peso. Questo fece aggrottare
le sopracciglia a Nate che guardandola era incapace di sapere cosa pensare.
«Puoi allontanarmi Nate, puoi nascondermi la verità, puoi farmi credere
che per te non conto nulla… puoi perfino impedirmi di respirare, ma Nate…
ancora non lo hai capito? Il mio amore per te rimane invariato…»
Amaya non credeva di essere in grado di dire una cosa del genere, tanto
meno a lui, ma la dimostrazione che fosse così naturale era qualcosa che la
illuminava di una gioia che non riusciva minimamente a trattenere. E lo
dimostrò aprendosi in un sorriso che sprizzava serenità da tutti i pori, mentre
stringendo il suo viso, si faceva più vicino al suo corpo e al suo calore.
«Ci ho provato? Ho tentato di resistere a tutto questo… ma poi il tuo
amore mi è passato di fronte, ti ho conosciuto e il mio mondo è cambiato… Mi
hai ridato la capacità di illudermi, di emozionarmi e di tornare a sognare ad
occhi aperti come si fa da bambini… Credere perfino che posso toccare il cielo
quando sono al tuo fianco. Tu mi dai ogni giorno il valore di credere in
qualcosa e “questo” come lo chiami tu… non voglio cancellarlo, perché qualsiasi
cosa sia… è valsa la pena viverlo e… io voglio ancora viverlo…»
Nate la guardò incapace di proferire parola, mentre però le sue mani si
stringevano sui suoi fianchi e i suoi occhi divenivano specchio di quelli di
lei.
Mai nessuna gli aveva detto parole tante belle e lui doveva confessare a
sé stesso che nonostante ci avesse provato a lasciarsi tutto alle spalle, a
raccontarsi che fosse un’avventura di poco conto in realtà era impossibile per
lui cancellare tutto e continuare come se niente fosse. Dimenticarsi di lei,
quando in realtà il ricordo dei suoi baci non lo faceva dormire e tornavano
ogni volta come fa la risacca del mare. Lui che ogni mattina si alzava ripromettendosi
di amarla ancora solo una volta e poi finire ogni notte con la promessa di
riconsegnarla al cielo e al tempo a cui era stata rubata.
Fu allora che con gli occhi ricolmi di commozione la baciò, mentre anche
lei ricambiava con il suo stesso trasporto e amorevolezza.
«Quanto ho cercato, quanto ho trovato, quanto ho perso e quanto ho
guadagnato. Quante volte mi sono innamorato e mi sono ritrovato con il cuore
spezzato… Però poi sei arrivata tu e mi hai guarito, mi ha insegnato a vivere e
mi hai aiutato a liberarmi dalle mie paure… A te che importa unicamente farmi
felice come mai nessuno ha mai fatto. Come posso ripagarti di tanto amarmi?»
«Non lasciandomi… Nate non possiamo prendere decisioni in virtù di quel
che sarà… Se dovrò avere una figlia l’avrò… che sia con qualcun altro o con te…
se così dovrà essere sarà… Ma adesso voglio solo amarti ed essere amata da te…»
«E così sarà…»
Nate in quel momento aveva preso una decisione, la stessa che aveva preso
Amaya. Una promessa tacita di chi non poteva far altro che arrendersi all’amore.
Stretti uno all’altra, sotto il sole caldo dell’Africa la donna pensò che non
ci sarebbe mai stato momento più romantico nella sua vita se non quello,
tuttavia lo stesso venne bruscamente interrotto dall’arrivo di un’ombra scura
che attirò la loro attenzione. Nate era già divenuto di ferro per proteggere sé
stesso e Amaya, se non fosse che lei gli fece capire che era tutto apposto.
Toccò il suo medaglione e lo spirito di un gorilla l’avvolse.
«Benarrivata in Africa…»
«Grazie a voi per avermi accolto, Re Grodd…»
disse lei con estrema naturalezza rispondendo al gentile saluto del primate
nella sua mente.
«Dobbiamo assolutamente raggiungere la Checkmate!»
e quella di Sara era una decisione assoluta, tuttavia quando tentò di alzarsi
dalla sedia dell’infermeria su cui Rip l’aveva posta
dopo che era svenuta, questa ebbe l’ennesimo capogiro che la costrinse a
tornare nella sua posizione semi sdraiata.
Dopo lo strano scontro/incontro che i due Capitani avevano avuto, gli
stessi avevano partecipato alla missione di salvataggio della Danvers come supporto logistico e dopo che ne erano tornati
più perdenti che mai con Sara che aveva visto i suoi amici morire sotto i suoi
occhi, la stessa aveva iniziato ad avere dei dolorosi stati di shock che
avevano convinto Rip a portarla sulla Waverider per scoprire se i suoi dubbi sul perché ci
fossero erano relativi ai suoi dubbi.
«Sara la tua memoria si sta sempre più riadattando a questa linea
temporale…»
«E dunque?» chiese lei con una
mano sopra gli occhi trovando insopportabile la luce artificiale, mentre un mal
di testa come nemmeno quelli che aveva provato dopo una terribile sbronza le rendeva
quasi impossibile anche solo formulare un pensiero.
«Quello che il Capitano Hunter vuole dire è che la sua memoria sarà
completamente riaggiornata in non molto tempo… In realtà quella di entrambi…»
la voce di Gideon arrivò in loro soccorso, mentre
Sara si voltò ad osservare Rip accanto a lei.
«Il mio corpo lo regge più di te…» disse lui rispondendo alla sua domanda
silenziosa, dopotutto aveva viaggiato molto più di lei nel tempo e
probabilmente nonostante anche per lui fosse estremamente doloroso, riusciva a
nasconderlo meglio.
«Vuoi dirmi che tra non molto la nostra memoria sarà aggiornata a questo
tempo e diverremo…»
«Il Rip e Sara ormai defunti… così come accadrà
a Stein, Jax e Mick…»
«Eppure non mi sembra che loro siano messi come me…» osservò il canarino
bianco quasi arrabbiata che solo lei ne stesse soffrendo così tanto, mentre
continuava a massaggiarsi le tempie senza successo.
«Perché loro non si sono buttati a capofitto nella loro vita del futuro
come…»
«Me…» concluse la Lance non sentendosi però colpevole delle scelte che
aveva preso.
Quello che però i due non sapevano era che Laurel
nascosta dietro la porta dell’infermeria aveva ascoltato tutto, quando sua
madre era svenuta aveva chiesto a un Donald ancora in recupero di portarla alla
nave per scoprire come stesse e ora che aveva udito quella conversazione non
aveva più dubbi. Quando tornò da Allen sul ponte di comando, questo era seduto
ancora scosso dalla missione di solo poche ore prima… ancora indebolito da una
maledetta velocità che non era un non nulla in confronto a quella di suo padre
o i suoi zii. Un maledetto “difetto di fabbricazione” che attanaglia lui e sua
sorella, non ne avevano mai capito il motivo, ma erano sempre stati convinti
che fosse una sorta di scherzo del destino… una punizione della Forza di
Velocità per castigare loro padre delle sue scelte. Ma non gliene avrebbe mai
fatto una colpa, mai. Tanto meno ora che era sdraiato su un letto in coma senza
troppe speranze che si sarebbe risvegliato.
Quando però notò Laurel spuntare da uno dei
corridoi della nave e raggiungerlo decise di mettere da parte i suoi pensieri e
andandole incontro come sempre tirò fuori uno dei suoi giganteschi sorrisi. Quelli
che riusciva a non far morire mai nemmeno nei momenti peggiori.
«Allora come sta?»
«Male… per l’ennesima volta per colpa mia…»
Sospirò questa allungandosi le maniche della giacchetta di jeans che indossava
e sorpassando l’amico, facendo correre velocemente uno sguardo alla nave intorno
a lei.
Solo in quel momento si era resa conto di quanto aveva perso la testa, di
come aveva permesso che il suo dolore l’accecasse. Lei che aveva tentato di
dissimularlo, di spegnere il fuoco con altro fuoco. Lei che si era convinta di
aver tutto chiaro, di non essere una codarda, ma anzi una vendicatrice…
Ma in realtà lei era semplicemente una ragazzina spaventata che non
voleva perdere i suoi genitori un’altra volta e che aveva perfino accettato che
loro smettessero di essere sé stessi per trasformarsi in qualcuno che ancora
non erano diventati.
Aveva vissuto la metà di un sogno sbagliato, di una vita che ormai aveva
perso e adesso il tempo la stava castigando provocando altre ferite. Come Don
Chisciotte stava lottando contro i mulini a vento…
«Pensi di avere la forza per portarmi a Fawcett
City?» chiese improvvisamente la giovane voltandosi verso Donald che la guardò
un po’ perplesso.
«Certo, ma perché?»
«Perché è arrivato il momento che io faccia la cosa giusta. In questi
giorni ho visto tutti voi avere il coraggio di farlo nonostante questo abbia
significato vedere i vostri genitori in difficoltà. Tu e tua sorella, JJ… io
non posso essere da meno. Ho già deluso una volta i miei genitori e non posso
deluderli ancora… Sara e Rip stanno perdendo la loro
memoria, sostituita da quella dei miei genitori, ma loro ancora non lo sono e
io non posso essere tanto egoista da permetterlo. Il tempo e la storia ha
bisogno della loro protezione e non posso essere tanto egoista da essere io
colei che gliene priva…»
Nonostante la sua salute ormai sempre più cagionevole la schiena era
ritta e il petto in fuori di chi aveva ritrovato nuova linfa vitale e nobiltà d’animo.
Anche il suo viso sembrava diverso, più serafico e sereno. Tanto che Donald non
poté fare a meno che avvicinarsi totalmente a lei e in un impeto di gioia
stringere le sue mani.
«Rieccoti… ecco la mia Laurel…» lei ricambiò il
suo sorriso e poi pronta a farsi prendere in braccio da lui in un batter di
ciglia erano di fronte alla casa dei Beck.
«Credi che Billy potrà aiutarci?» chiese lei un po’ titubante prima di
bussare.
«Lo ha fatto con Sandman no? E poi sono sei
ragazzini adorabili!»
La storia di quei marmocchi aveva commosso l’America tutta quando rimasti
orfani per via delle guerre in Europa giunsero negli States
e vennero addottati tutti da una stessa famiglia che non solo li crebbe con un
forte spirito di fratellanza, ma anche aiutandoli a sviluppare le loro capacità
uniche. Tutti meta umani nella loro singolarità erano atipici quanto tutti
insieme unendosi divenivano in grado di evocare il mitico Capitan Thunder.
Inutile dire che i Beck li accolsero con piacere, conoscendo molto bene
gli ospiti alla loro porta in quanto stretti collaboratori della Checkmate. Quando poi chiesero di poter parlare con Billy
un pre-adolescente di dodici anni dai foltissimi
capelli neri e l’aspetto più maturo della sua età andò loro incontro salutando
gli amici in modo moderno: pugno contro pugno.
«Yo ragazzi che ci fate qui?» chiese sedendosi
sulla poltrona posta di fronte al divano ove loro erano seduti a loro volta.
«Perché ho bisogno di chiederti un favore…» e Laurel
si sentiva un po’ un’approfittatrice per quello, ma la presenza di Donald al
suo fianco le diede la forza di fare la cosa giusta. Era bello per lui vederla
esattamente come ricordava, premurosa e gentile, non distaccata e arrogante
come era stata fino a quel momento… così diversa dalla sua vera natura.
«In passato è vero che hai potuto rallentare il degenerare della memoria
di Sandman?»
«Oh sì! Il vecchio Wes soffriva di gravi
disturbi neurologici allora, ma perché me lo chiedi? Per te?»
«No no no…» lo rassicurò lei, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio
e aspettando di proseguire quando vide la madre di Billy portare un vassoio con
un bicchiere di arancia per tutti loro. Quella casa era un ricettacolo di eroi
e spie eppure i coniugi Beck erano le persone più normali del mondo. Tutti
ringraziarono la signora e una volta di nuovo soli, Laurel
spiegò a Billy esattamente perché era lì.
«Te lo chiedo per i miei genitori e… prima che tu lo chieda… è una storia
complessa… diciamo che sono loro, ma non lo sono… vengono dal passato…»
«Ow! Ho capito… la loro memoria sta venendo
sostituita con quella delle loro controparti defunte!»
«Esatto! Credi che con la tua energia mistica sia possibile fare qualcosa
per rallentare questo processo?» chiese Donald, da sempre colpito dalla mente
acuta di quel ragazzino.
«Ma certo! E lo posso fare anche senza che loro lo sappiamo, quindi contate
su di me!»
«Grazie Billy!»
Laurel lo ringraziò di cuore, mentre questo alzava una
mano e gli faceva segno di non dirlo nemmeno. Poi si congedò, voleva parlarne
con i suoi fratelli prima perché avrebbe avuto bisogno anche del loro supporto spirituale.
Lei assentì e rimasta sola con Donald indugiò in attesa del suo ritorno con
tutti gli altri.
«Sei stata coraggiosa lo sai?»
«No sono stata giusta!»
«Di sicuro sei stata la Laurel di cui mi sono
innamorato!» il tempo di dirlo che Donald era scattato con le mani sulla bocca
maledicendosi mentalmente. Sarà stata la fatica e la stanchezza, ma aveva
appena detto con tutta la naturalezza del mondo una cosa che da due anni non
trovava il coraggio e il modo di dirle.
«Stupido, stupido Allen! Stupido!»
Laurel lo stava guardando sull’orlo dello scoppiare a
ridere e alla fine lo fece incapace di trattenersi e mettendo lui terribilmente
a disagio.
«Allen pensavi davvero che non lo sapessi?»
«COSA?»
Ma la giovane scosse il capo davvero troppo divertita, tanto che per un
attimo aveva anche dimenticato tutte le cose che nell’ultimo anno l’avevano
tediata: la morte dei suoi, la malattia, quella terribile situazione…
«Oh Donald… mi spiace solo non avertelo detto prima, ma… non siamo stati
molto sincronizzati nell’ultimo periodo…»
«Ehm no… visto come tu eri impegnata ad odiare tutto e tutti…»
Osservò lui abbassando lo sguardo e anche il tono, mentre si grattava il
capo nervosamente, ma venendo colto di sorpresa quando lei posandogli due dita
sotto il mento gli diede un bacio a fior di labbra.
«Fortuna allora che adesso sono impegnata solo ad accorgermi dell’amore
che mi circonda…»
Rieccomi qui con un nuovo capitolo di un fan fiction
che spero tanto vi stia piacendo e vi stia appassionando. Ormai ci siamo, la
battaglia finale è arrivata, ma… probabilmente le tragedie non sono ancora
finite… non c’è solo una guerra mondiale di mezzo, ma una guerra contro il
tempo… come finirà?
Esistevano momenti nella vita molto difficili
da spiegare o anche solamente da realizzare e la morte era forse e soprattutto
ciò che faceva da padrona in questo contesto. JJ non si era mai considerata una
persona credente e tanto meno abbastanza sensibile da potersi soffermare ad
analizzare i propri sentimenti in virtù di un aspetto della vita così
importante, ma da quando aveva riaperto gli occhi non riusciva a capire come si
sarebbe dovuto sentire.
Era a disagio, sapeva che ognuno affrontava il lutto a proprio modo chi con
urla e scalpiti, chi con pianti ininterrotti, chi con un’ira accecante o altri
ancora affidandosi al proprio Dio. Ma lui cosa aveva? Era lì immobile nel letto
dell’infermeria della Checkmate, con la flebo
attaccata ad osservare il soffitto.
Ci aveva provato a piangere, si era sforzato di riuscirci eppure nemmeno
una goccia di quel prezioso nettare salato aveva lasciato i suoi occhi.
Razionalmente non riusciva a fare a meno di sapere che non esisteva nessun “e se”, quel qualcosa che sembrava
sempre consolare le persone. Quel credere che se le cose fossero andate diversamente o si fosse agito in modo
diverso niente sarebbe andato così. Ma perché pensarlo? Ciò che rimaneva
concretamente era solo l’andare avanti, anche e soprattutto dopo eventi così
definitivi e anche se questo poteva devastarlo sapeva che non esisteva modo per
tornare indietro, per cambiare le cose… perché lui non credeva, come suo padre,
nel giocare con il tempo o altre cazzate del genere…
Quando Connor entrò titubante nella stanza fu in
quello stato di totale estraniazione che trovò l’amico sentendosi terribilmente
a disagio.
Cosa dirgli? Non era mai stato bravo con le parole e ancor meno a consolare
le persone, ancor più se quelle erano le stesse a cui fino il giorno prima
aveva gettato addosso tutta la sua frustrazione. Con che faccia adesso si
presentava da lui? Infatti stava già facendo per andarsene, ma era troppo tardi
perché JJ si era accorto di lui.
«Connor…» lo chiamò con voce ferma e roca questo,
invitandolo a sedersi sulla sedia accanto al letto.
«Come sta Donald? E gli altri?»
Queen scosse il capo, ancora in canotta nera dopo che si era dovuto
togliere la parte sopra della propria uniforme per essere curato. Come faceva a
pensare agli altri in quel momento?
«Ammaccati… ma tutti interi…» e quanto gli faceva male doverlo dire non
poteva nemmeno spiegarlo.
Dunque preferì sedersi e non aggiungere altro, come avrebbe potuto? Con che
coraggio poi… proprio con lui…
«Cosa dovrei fare adesso?» chiese JJ improvvisamente tornando a fissare il
soffitto bianco e concentrandosi particolarmente su una crepa scrutandone ogni
sua caratteristica, la sua parte robotica glielo permetteva: la densità, la
profondità, quanto strutturalmente potesse essere minacciosa e tante altre
cose…
«Cosa intendi?»
«Sono morti i miei genitori e io… non so come devo comportarmi?»
Intanto la mente di JJ macinava calcoli complessi, nello stesso momento in
cui Connor si grattava il capo incapace di rispondere
a una domanda tanto semplice, ma in realtà assai insidiosa.
«Soffrire immagino… desiderare vendetta… prendertela con il responsabile…»
«Come hai fatto tu?»
«Non… non volevo dire questo…»
L’ultima cosa che desiderava era davvero buttare sale sulla ferita, anzi
se possibile Connor si sentiva ancor peggio di come
in quei mesi –seppur non aveva avuto coraggio di dirlo- si era sentito.
Un mostro che aveva tratto vantaggio dal dover far sentir male altri per
lenire il proprio di dolore. E farlo con la sua stessa famiglia era stato
imperdonabile…
«Hai ragione. La Checkmate ha sottovalutato una
minaccia, come oggi… i tuoi genitori e i miei ne sono stati la dimostrazione…»
«Non razionalizzare JJ! Non lo fare!»
Connor stava urlando, non voleva farlo, ma non voleva nemmeno
che il suo migliore amico considerasse morti così traumatiche semplicemente
delle “perdite calcolate”.
«Forse non sono capace di fare altro!» adesso era il giovane Diggle ad urlare, quando voltando il capo per la prima
volta affrontava lo sguardo di quello che aveva sempre considerato un fratello.
«Forse ormai sono solo una maledetta macchina incapace di provare una
qualsivoglia emozione… forse dovevo solo morire quando era giunto il mio
momento…»
«O forse dovevi sopravvivere per trasformarti nella guida di noi tutti!»
Connor non accettava le sue parole, tanto che per questo
era scattato in piedi per potersi sedere al suo fianco sul suo letto e prendere
la sua mano stringendola nella sua. In quella morsa di mani forti simbolo di
una fratellanza che mai avrebbe dovuto vacillare.
«Una guida che sapeva che William, il tuo fratellastro, stava tramando di
tradire la Checkmate e non ha saputo fermarlo prima
che…»
«Uccidesse i miei? Sì… ma proprio questo ti rende umano non te ne rendi
conto? Un cyborg non avrebbe mai sbagliato…»
«Un cyborg avrebbe salvato sia i tuoi genitori che i miei… Siete sempre
stati tutti molto bravi a convincermi che quello che ero diventato, dopo
l’incidente, mi avesse cambiato in meglio… ma…»
«Ma cosa? Credi che non sarebbe successo nulla di tutto questo se tu
fossi morti?»
«Forse…»
Connor si trovò a sospirare pesantemente, avrebbe tanto
voluto tirar fuori una frase ad effetto o la frase perfetta quella che sarebbe
riuscita a risolvere tutto, ma non ce l’aveva… quello che aveva però era un
ricordo…
«Sai cosa tuo padre ha detto una volta al mio?»
Entrambi si guardarono e in quel momento quell’immagine si sovrappose a
quella di un Diggle e un Queen di un altro tempo che
seduti sulle scale del covo del Team Arrow parlavano dopo la sconvolgente
scoperta che il Procuratore Chase era Prometheus.
«Che noi siamo i tuoi compagni di squadra. Siamo la tua forza. Quindi JJ
appoggiati a noi… appoggiati a me esattamente come tu hai fatto anche quando io
ti respingevo…»
«Forse essere umano è un lusso che non posso permettermi…»
«Forse non puoi fare a meno di esserlo perché per quanto tu dica, c’è un
cuore che batte sotto tutto questo metallo…» e fu in quel momento che la prima
e timida lacrima fece capolino dallo sguardo scuro di JJ per scivolare poi
lungo la sua guancia e fargli scoprire che il dolore c’era e che per quanto
fosse insopportabile Connor aveva ragione, era umano
e doveva onorare quello perché era tutto ciò per cui i suoi genitori avevano
lottato… per loro avrebbe combattuto… per quell’umanità che mai si erano arresi
di voler mantenere viva nel loro unico e adorato figlio.
La notte era scesa silenziosa sugli eroi rimasti negli Stati Uniti,
ognuno raccolto in un angolo di intimità ad affrontare il lutto appena subito,
la sconfitta appena affrontata e la sfida che li aspettava all'indomani. Ma
nessuno desiderava in quella notte pensarci, tutti avevano bisogno a loro modo
di ritrovare il proprio equilibrio e la propria stabilità e tanto Connor era rimasto accanto a JJ, nello stesso modo si erano
stretti maggiormente l'una all'altro Amaya e Nate che si trovavano dall'altra
parte del pianeta, in Africa. Lì era tarda mattinata, mancavano poco meno di
due ore a mezzogiorno e il Gran Consiglio si era chiuso in seduta. Il Re Grood aveva permesso alla donna di esprimersi di fronte
alle quattro personalità più importanti dello Zambesi quelle che
rappresentavano le quattro tribù grazie alle quali era rinato. Ognuna rappresentava
un culto diverso che circolarmente, alla fine di ogni reggenza (alla morte del Re), si passavano
scettro e responsabilità in una sorta di monarchia condivisa.
C'era Re Grodd del Culto del Gorilla Ghekre, rappresentate della tribù Jabari.
C'era Lionheart del Culto del Leone Sekhmet, rappresentante di una piccola tribù nata dopo che
l'inglese KelseySorr Leigh
giunta in esplorazione in quelle terre aveva trovato la perduta Spada del Mito
che le aveva dato la magia necessaria per far rinascere quel popolo ormai
perduto che la vedeva dunque come la propria guida.
C'era Killer Croc del Culto del Coccodrillo Sobek, rappresentante di una tribù per lo più quasi
scomparsa. Waylon Jones parte della stessa per lunghi
anni aveva usato la sua metà coccodrillo per i fini più vili, per poi redimersi
e tornare tra le sue genti divenendone il leader.
Infine c'era Pantera Bianca del Culto della Pantera Bast,
rappresentante della tribù Bashenga, gli originali
fondatori dello Zambesi e cui sotto le sue spoglie si nascondeva Mari JiweMcCabe fiera Vixen.
Erano stati loro a chiedere ad Amaya e Nate di poter deliberare di fronte
alla loro richiesta di dismettere la loro neutralità e aiutarli nella guerra
che sarebbe giunta, la stessa che portando alla fine del tempo e della realtà
avrebbe portato fino anche a tutto ciò che insieme avevamo costruito, in primis
il percorso di crescita e redenzione che Grodd aveva
fatto.
Le due Leggende così ignare della presenza tra questi della nipote di
Amaya si erano ritirati nella tenda che a loro era stata riservata e nella
quale dopo aver appreso gli aggiornamenti da Sara vi erano rimasti inermi di
fronte a tanta morte e distruzione.
La donna aveva indossato con estremo piacere nuovamente le vesti del suo
popolo e camminando a piedi scalzi sulla sua terra arrivò alle spalle di Nate cingendogli
la vita da dietro e facendo aderire il suo petto alla sua grande e possente
schiena, senza preavvisarlo in alcun modo. Lui che era fuori dall'ingresso
dalla tenda e stava osservando con interesse quel popolo e quella città così
distante da lui per coltura e tradizione, ma che in qualche modo sentiva stranamente
vicino.
Amaya aderì la fronte contro il tessuto della sua maglia, indossava una
semplice veste color sabbia dai ricami dorati. Le gambe nude e scure, si
mostravano nello spacco inferiore, così come un accenno di seno nello scollo
superiore. In vita era stretta da una fascia simile ad una cintura, anch'essa
finemente decorata. Tuttavia niente la faceva sentire più a casa dell'essere
stretta a lui, che aveva portato le sue mani su quelle di lei.
Nate pensava egoisticamente che avrebbe potuto farci l'abitudine a quel
luogo e a quel modo di vivere, a maggior ragione se sarebbe stato al lato di
Amaya. Tuttavia, nonostante quell’apparente pace, nessuno dei due riusciva a
fare a meno di pensare a tutte le preoccupazioni che gravavano sulle loro
spalle. Così tante cose in ballo e così poco tempo per comprenderle e decidere
lucidamente come affrontarle. Così tante eventualità da tenere in conto e così
poca forza per sviscerarle tutte fino in fondo, specie in quel momento, per
Nate, col corpo di Amaya che si stringeva al suo.
Fu solo allora che l’uomo si voltò verso di lei e si rese conto di come
era vestita e di come era splendidamente bella.
Amaya si trovò ad arrossire sentendo il suo sguardo su di lei, mentre
veniva accarezzata da un senso di sicurezza dovuto dal suo modo di starle
accanto, di darle la possibilità di respirare a fondo il suo odore. Ne era
dipendente a tal punto che necessitava della sua dose giornaliera. Fu allora
che per un attimo decise di mettere da parte tutti i cattivi pensieri mentre
prendendolo per mano lo invitò all'interno della tenda, nell'intimità della
solitudine che li abbracciava.
I suoi occhi scuri cercavano quelli profondi di lui, pendeva dalle sue
labbra, anche se tutto poteva far pensare che fosse lei ad avere in pugno la
situazione: in verità era Nate ad avere in pugno Amaya, anima e corpo. Non
c'erano problemi in quella tenda, in quel momento. Non c'era il tempo. Non
c'erano gli alleati, i nemici, gli usurpatori. Non c'erano le miriadi di
decisioni da prendere. Non c'erano neppure i loro destini. C'erano solo loro
due...
Nate la stava fissando immobile nella sua posizione. Dapprima ritrovando
il suo sguardo, poi abbandonandolo per seguire l'incavo del suo collo e
soffermarsi sulle curve del suo corpo, sempre convenientemente coperto e sempre
accuratamente scoperto, un costante richiamo, sempre capace di condurlo verso
luoghi esotici ed intriganti, lontani dalle preoccupazioni e dai doveri,
lontani da qualsiasi altra cosa non fosse il desiderio di stringerla tra le
braccia e deliziare i suoi sensi col suo sapore, col suo calore, col suo
profumo.
Si avvicinò infine ad Amaya e togliendosi la maglia che indossava risalì
con gli occhi lungo la gamba lasciata esposta per poi assottigliare lo sguardo,
prima di annullare ogni distanza e stringerla con il suo vigore, frutto della
brama che scatenava quella donna in lui. Vigore che concesse poco al tessuto
delicato della sua veste. Fu lì che il primo strappo del tessuto risuonò
nell'aria, quando, nel trasporto generato dal successivo incontro delle loro
labbra, le mani di Nate si strinsero sulla sua vita e la sollevarono, perché
allacciasse le sue gambe intorno a lui e si facesse finalmente ricondurre
indietro, verso il talamo che aspettava solo di accoglierli.
Amaya lo percepiva il cuore di Nate pulsare all'unisono con il suo ed era
sicura di non aver mai udito suono tanto bello, fu allora che lo attirò
maggiormente a sé in modo da portare la gamba scoperta a circondare la sua, in
una stretta che comportasse che il suo corpo fosse aderente completamente a
quello di lui. Una mano intanto gli cinse il collo e si sollevò fino alla nuca,
infiltrandosi tra i capelli scuri. Le piaceva il modo in cui riusciva ad
eccitarla, senza però scadere nel volgare, piuttosto mantenendo quel suo stile
sempre romantico. Amaya non fece in tempo a dar fiato ai suoi pensieri che venne
travolta dalla sua stessa bramosia, quella di cui ne era schiava e padrona al
tempo stesso. Strinse tra le dita i suoi capelli e lo costrinse con la forza a
restare con il suo capo contro quello di lei. Le lenzuola finemente decorate li
accolsero, mentre i loro corpi madidi di sudore e scossi da brividi di passione
vibravano sulla stessa frequenza.
Dopo che Laurel aveva fatto la cosa giusta e al
suo ritorno aveva visto con piacere che già stava facendo effetto sui suoi
genitori, che non stavano subendo più shock traumatici dovuti alla sostituzione
dei loro ricordi, aveva chiesto a Donald di lasciarla alla Waverider.
Quella notte non era certa che sarebbe riuscita a rimanere sola e tanto meno a
prendere sonno e così quando si era diretta da Sara chiedendole se sarebbe
potuta rimanere lì quella l’accolse con piacere. E in quel momento stesa
accanto a lei sul suo letto, la sentiva accarezzarle i capelli come aveva
sempre fatto da che era bambina o per Sara come aveva sempre fatto con la
sorella nelle lunghe notti della loro adolescenza.
Laurel dava le spalle alla madre e su un fianco guardava
il nulla di fronte a lei godendo di quel momento che non credeva avrebbe mai potuto
rivivere e di cui stava registrando nella propria memoria ogni secondo per
riviverlo quando lei se ne sarebbe andata di nuovo.
Sara le accarezzava i lunghi capelli osservandola in un modo in cui non
era certa di essere mai riuscita a fare con nessuno, era forse quello che
chiamavano maternità? Quel tenere a qualcuno più della propria esistenza?
Arrivare al punto di essere disposti a qualsiasi cosa per quella persona
perfino tradire i propri valori? Sentire felicità semplicemente per guardarla o
vederla sorridere? Percepire che la vita non avrebbe avuto più alcun senso se
quella persona non vi fosse stata?
Non lo sapeva, ma mai si era sentita così impotente ed inerme solo per un
piccolo canarino che in quel momento rannicchiato tra le sue braccia chiedeva
solo di essere protetto.
Non lasciò il suo fianco, nemmeno per un secondo, decisa a rimanere con
lei fin quando non si sarebbe addormentata serena e così fece, ignara che Rip dal ponte di comando stava osservando la scena mentre
un sorriso melanconico si disegnava sul suo volto.
Fu dunque di fronte alla consapevolezza che l'alcool non facesse per lui
che Rip preferì annegare tutti i suoi pensieri in una
buona dose di allenamento piuttosto che in quella di una bottiglia, sbattendo i
pugni contro quel povero sacco da box che aveva trovato sulla Waverider dopo che Sara, molto probabilmente, aveva
trasformato una delle troppe stanzi presenti sulla nave in una palestra.
Aveva scoperto con sua grande sorpresa che quello sfogo che spesso vedeva
nei suoi compagni e non capiva, poteva essere invece molto salutare per gettar
fuori tutto quello che dentro diveniva insostenibile tenere. Nella sua mente le
immagini del suo passato con Miranda e Jonas si sostituivano a quelle di un
futuro non ancora realizzato con Sara e Laurel e
seppur i due contesti erano diversi, la sensazione di aver fallito in entrambi
i casi era ben presente quanto quella che non aveva e non avrebbe potuto fare
nulla per impedire che quelle vite gli scorressero tra le dita come granelli di
sabbia.
Quando con l'ultimo pugno si piegò in due, le mani sulle ginocchia, la
canotta grigia bagnata di sudore e i capelli attaccati sulla fronte, ebbe la
consapevolezza che non aveva più forza. Esattamente quello che cercava, essere
tanto stanco da cadere svenuto dal sonno impedendosi così di pensare...
Quello che non aveva messo in conto era, una volta giunto negli
spogliatoi annessi alla palestra, fu di trovarvi Sara appena uscita dalla
doccia e con indosso solo l'accappatoio.
L'istinto lo portò a voltarsi, mentre quella ridacchiava divertita da una
galanteria che lo rendeva fuori dal tempo.
«Oh scusa, credevo... di essere solo, sai è notte fonda ormai...»
«Non riuscivo a dormire e ho avuto la tua stessa idea!» ironizzò lei
trovando in effetti strano vederlo proprio lì.
«Non eri con Laurel?» chiese poi Rip voltandosi appena e vedendola ferma di fronte
all'armadietto aperto, mentre distrattamente si guardava allo specchio senza
guardarsi per davvero.
«Sì, non voleva passare la notte da sola e non mi sembrava carino
cacciarla... tuttavia quando si è addormentata, io... avevo bisogno di liberare
la mente...» e dunque era andata a tirare qualche pugno, quello che non si
aspettava è che lo facesse anche lui.
«Vi ho viste... dal ponte... sono stato un po' lì ad osservare il flusso
temporale, ma poi quando ho capito che il sonno non sarebbe arrivato...»
«Ti sei ammazzato di allenamento... un classico...» ironizzò Sara
strofinandosi i capelli bagnati con un asciugamano da un lato dal collo.
Rip la stava osservando e si chiedeva come diamine era
possibile che il modo di vedere una persona cambiasse così, di punto in bianco.
La cosa lo confondeva un po’, sinceramente. Forse era perché non aveva mai
visto quel lato di Sara così dolce, così comprensivo e forse anche così
umano...
Notò che adesso che aveva i capelli biondi bagnati sulle spalle, in
qualche modo i suoi occhi sembravano ancora più verdi, fu semplice notarlo
mentre si avvicinava a lei, quasi bloccandola tra lui e il muro. Senza nemmeno
ricordarsi come ci era arrivato lì, ad un passo da lei, tanto da poter sentire
chiaramente l'odore dolce dello shampoo venire dai suoi capelli. Un attimo di
esitazione, probabilmente percepibile solo a lui, lo fece vacillare per qualche
secondo, ma poi portò velocemente una mano al suo collo lievemente umido e gli
sarebbe bastato soltanto un movimento del polso per attirare il suo volto in
avanti. Era fin troppo pericoloso lasciarsi con una scelta del genere,
letteralmente, tra le mani.. non pensava proprio di essere il tipo di uomo in
grado di resistere a tentazioni del genere.
Per Sara fu estremamente bello e piacevole sentirsi nuovamente nella
posizione di dover solo essere "vittima" delle circostanze e del suo
cuore che batteva impazzito. La respirazione irregolare e un calore che la
faceva andare a fuoco come credeva non sarebbe mai più successo...
Il contatto della sua mano sulla sua pelle umida poi fu il vero colpo di
grazia che sconvolse i suoi sensi e mandò il suo cervello in tilt. Gli piaceva
vederlo così intraprendente e deciso nei suoi confronti.
La faceva sentire compiaciuta il modo in cui poi Rip
le poggiò una mano sul fianco e con l'altra le prese il mento solo per costringerla
al suo sguardo, lo stesso che la faceva fremere di piacere e paura.
Fu allora che Sara fissò la sua bocca, la stessa che si avvicinò
pericolosamente per poi deviare con astuzia verso il suo mento e il suo collo
fino a farle chiudere gli occhi e farle perdere completamente il controllo.
Rigida come un fuso, ma in realtà fusa come metallo ardente. Sara aprì la
bocca, ma non vi uscì parola e quando lo fece nuovamente ormai quella di Rip aveva già catturato la sua, mentre respirava sulla sua
pelle e con le dita cercava il cordino che teneva insieme l'accappatoio, che
almeno per lui stava cominciando ad essere di troppo.
Nonostante la passione di quel momento Sara riuscì a trovare la
delicatezza di accarezzare con la sola punta delle dita il volto di Rip.
«Se tu vorrai... Io posso provare a curare le tue ferite, posso esserci
per darti conforto e per prendermi cura di te...»
Stargli vicina le provocava una scarica d'adrenalina molto difficile da
spiegare, ma che la faceva sentire bene, ma lo stesso valeva per lui che
allontanandosi appena per guardarla in volto rimase colpito dalle sue parole.
«E se me lo permetterai, io ci voglio essere nello stesso modo per te...»
Un sorriso spontaneo li raggiunse, mentre ormai si erano spinti
nuovamente verso le docce, con Sara che cercava l'urgenza del contatto con la
sua pelle, mentre togliendogli di dossi i suoi di abiti si ritrovarono nudi e
accarezzati dalle gocce calde dell'acqua che prese a scorrere su di loro.
Fu allora che la mano di lei scivolò sul suo dorso nudo e si posò sul suo
cuore, per poi chiudere gli occhi e rimanere ad ascoltarne il battito.
Per Jax era stato molto strano scoprire,
parlando con Jason, che la sua storia non era stata molto diversa dalla sua...
anche lui cresciuto con un solo genitori e aver imparato dallo stesso tutti i
valori che la vita custodiva. Ma se per Jax era stata
una scelta obbligata dovuta dalla morte di suo padre, non avrebbe creduto che
per Jason sarebbe stata dovuta per via di una madre che lo aveva abbandonato.
Ma dalla sua voce non emergeva rabbia o rancore, solo una grande gratitudine
per un padre che lo aveva reso l'uomo che era... Era chiaro che nonostante
fosse ancora giovane e lo aveva perso era fiero di portare il suo nome, di
portare avanti la sua eredità e in qualche modo di averlo legato a Lily e alla
sua famiglia che adesso era anche la sua.
Lui era l'esempio che quando la vita andava incontro alle persone
emergendo dal buio, non esisteva coraggio più grande di affrontarla. Ma a chi
chiedere aiuto per farlo? Sarà una persona di cui ci si può fidare? Sarà una persona
saggia? E il suo amore aiuterà ad essere indirizzati verso la luce? Erano
queste le domande che si poneva Jax in quella notte
uggiosa e tediosa, caratterizzata da un forte senso di tristezza e amarezza.
Jason aveva chiesto aiuto a Lily e non aveva sbagliato, lei lo aveva accolto
nella sua famiglia come un figlio e con la saggezza che solo uno Stein aveva lo
aveva indirizzato verso la grandezza dell'anima... Era forse una speranza vana,
ma era quella a cui Jax aveva deciso di aggrapparsi.
Ma mentre Jax stava avendo una conversazione
con un figlio poco più che coetaneo che lo stava riempiendo di illusioni,
dall'altra parte il Professor Stein e il Signor Rory
si trovavano sorprendentemente allo stesso tavolo nella sala comune seduti uno
di fronte all'altro: uno con una tazza di tè e l'altro con una bottiglia di
birra, assorti nel loro silenzio pieno di parole.
Forse a differenza dei loro compagni erano quelli che avevano vacillato
maggiormente di fronte a quel futuro, ma allo stesso tempo si erano sentiti rinvigoriti
da una nuova linfa vitale dovuta dal vedere che quello che erano non aveva
portato a una lunga strada nel buio, ma forse nemmeno alle più nobili delle
scelte, ma sicuramente li aveva messi alla prova facendo scoprire loro un nuovo
amico l'uno per l'altro... Per Mick era bello riscoprire che Snart, il suo partner e quello che erano stati era
persistito nonostante i cambiamenti e il tempo e seppur la loro amicizia non si
traduceva più nel fare colpi insieme o vivere insieme... la stessa esisteva
ancora e se possibile ancora più forte e stabile. Per Martin era invece prendere
consapevolezza che la sua vita da Leggenda non era stata vana, non quando sua
figlia era riuscita a divenire lei stessa un'eroina, ma soprattutto era
riuscita a dare amore a chi non lo aveva mai avuto trasformando quella persona
in un eroe...
I due, le persone più distanti che esistessero nell'universo, si
guardarono e dopo aver far tintinnato tazza e bottiglia, buttarono entrambi giù
un sorso del liquido che stavano bevendo.
Era inesorabile, la vita veniva incontro alle persone emergendo dal buio
e quando lo faceva scatenava tutte quelle domande che pesano nella coscienza di
chiunque: c'era qualcuno su cui si poteva contare? Qualcuno che avrebbe
vegliato su noi quando saremmo crollati? E in quell'istante sarebbe stato
capace di darci la forza per affrontare le nostre paure da soli?
Ray si sentiva un po' in imbarazzo per pensare quelle
cose, ancor più quando dei ragazzini molto più giovani di lui gli avevano dimostrato
che non solo era possibile, ma che ci erano riusciti.
«Pensavo che ti andasse...» una voce gli arrivò alle spalle nella stiva e
avvicinandosi gli posò una tazza tra le mani sedendosi accanto a lui.
«La tua famosa cioccolata?»
«Come fai a saperlo?»
«E' possibile che mi abbiano parlato delle proprietà curative della
cioccolata di Mia Queen...»
La ragazza ridacchiò dando una spinta giocosa alla Leggenda accanto a
lei. Spalla contro spalla. Era una notte strana, nessuno riusciva a prendere
sonno, ma era normale. Era inevitabile dopo tremende perdite e all'alba della
battaglia finale.
«Credo che mi mancherete quando andrete via sai?» disse lei trovandosi a
sorridere a Palmer con sincerità.
«Noi? Io esisto...» notò Ray con estrema
ingenuità, costatando che in effetti quella cioccolata era squisita.
«Sì, ma è diverso... e non perché siete la versione più giovane di
persone a noi care... ma perché ho paura che con la vostra partenza se ne andrà
tutto ciò che avete portato...»
«E cosa abbiamo portato Mia?»
«Allegria dove prima c'erano solo urla, sorrisi dove prima c'erano
lacrime e normalità dove prima c'era solo caos...»
Non c'era forzatura nelle sue parole, ma tanta spontaneità dovuta da un
sincero desiderio di condividere una piccola, ma grande verità. Non che tutto
fosse migliorato da quando erano arrivati: Laurel
rimaneva malata, ma aveva ritrovato una migliore amica che credeva persa; i
suoi genitori non erano ritornati in vita, ma Connor
e JJ avevano ritrovato la loro fratellanza; la guerra non era ancora vinta, ma
adesso avevano la possibilità di credere che ce l'avrebbero potuta fare.
Mia si trovò a stringere il braccio di Ray e
chiudendo gli occhi si accoccolò con la propria testa contro la spalla di lui
che rimase un po' interdetto, ma non dispiaciuto della cosa. Anzi.
«Sai cosa ci avete dato voi invece?»
«Nh. Cosa?» chiese la giovane senza aprire gli
occhi né spostandosi dalla posizione che aveva assunto.
«Una promessa in cui credere...» rispose Ray
guardando di fronte a sé, sorridendo e bevendo un altro sorso di quella
incantevole cioccolata calda.
Flash. Doveva smettere di capitargli. Ormai erano diventati un vero e
proprio incubo per Snart, di una persona che aveva
fatto della sua esistenza uccidere e derubare senza rimorsi e che adesso era
tormentato da quei flash, da quei ricordi... Aveva rivisto i volti di tutte le
persone che in lui avevano creduto, contro ogni ragionevole dubbio e poi per
questo ne avevano pagato le conseguenze. Gli errori che a Mick aveva fatto
compiere attraverso un suo doppelganger del passato,
il sacrificio di Barry, quello ancora più grande di Wally e Jesse... Stein, Jax, e tanti tanti altri fino ai
più recenti Diggle e Lyla.
Quando si svegliò era madido di sudore, impensierito dalla propria salute
mentale e da quel senso di colpa che come un sintomo estraneo non sapeva
gestire, ma poi gli bastava richiudere un attimo gli occhi e rivivere ogni
sensazione provata quella notte con Lily. C'era la dolcezza dei baci, l'avidità
delle carezze, la forza con cui i loro corpi si erano scontrati, ancora e
ancora, una volta dopo l'altra per tutte le sere precedenti oltre che a quella
appena trascorsa, come se volessero ricordargli quanto non si meritasse quella
felicità.
Snart percepiva ansia alla bocca dello stomaco, ma si
diceva fosse comprensibile considerando che il solo pensiero che lei potesse
essere la prossima vittima lo uccideva. Quando, tuttavia, si voltò con il capo
per cercare la sua presenza accanto a lui nel letto scoprì con orrore lo stesso
totalmente vuoto fatta eccezione per lui. Si alzò di scatto e guardandosi
intorno per un attimo sì sentì sull'orlo di una crisi di nervi.
«Lily?» chiamò, urlò a voce alta, perché si sentisse in tutta casa
«Lily!»
«Shhh Leonard o sveglierai tutti!» lo riprese
lei comparendo sulla soglia della porta della camera da letto, nello stesso
momento in cui lui stava facendo per sorpassarla. Snart
tirò un sospiro di sollievo nel vederla riapparire, con indosso una maglietta
che neppure ricordava più di avere, ma a cui era stato molto affezionato, visto
e considerando lo stato misero in cui era ridotta. Ma le donava, decisamente.
Nello stringerla a sé sì sentì immensamente idiota per gli stupidi timori
di cui era stato preda poco prima. E la baciò, improvvisamente, in un gesto che
veniva del tutto naturale, come se l'avesse fatto sempre, giorno dopo giorno,
anno dopo anno, e forse era così, forse nei suoi sogni più reconditi, quelli
impossibili da ricordare, l'aveva sempre baciata così anche prima di
conoscerla.
Ma Lily lo conosceva e sapeva che tutta quel calore era solo frutto di un
tormento che sembrava solo essere aumentato dopo la morte dei Diggle o forse dopo che la Checkmate
era stata costretta a decidere subito un nuovo Re Nero e Regina Bianca facendo
cadere la scelta su loro.
«Smettila… te ne supplico…» disse solamente lei guardandolo in viso, ma
non staccandosi da lui. Sempre piacevolmente comoda contro il suo corpo e tra
le sue braccia.
«Come? Dimmi come posso smettere? Sai prima era più facile, non ero
costretto a fare i conti con questo… Il dolore era semplicemente una grande
parte della mia vita, tanto che sapevo che non se ne sarebbe mai andato, non
quando non ricordi un momento nella tua vita in cui non ci è stato…» e con
quello Snart poteva conviverci, sapeva gestirlo.
«Ma poi arrivo in questo tempo e inizio a sentire qualcos’altro. Qualcosa
che sembra sbagliato perché non mi è familiare…»
«E scopri cosa vuol dire essere felice…» concluse infine la moglie, con
quella tenerezza mai scontata e mai banale che arrivava sempre a prenderlo lì
dove lui aveva paura di giungere.
«Ed è peggio Lily… perché inizi ad avere troppe cose da poter perdere…»
gli fece notare lui. Mascella contratta, mento alto e sguardo algido di chi non
è disposto a spezzarsi.
«Quanti dovranno ancora pagare lo scotto della mia presenza? Della mia
capacità di congelare tutto ciò che tocco fino a distruggerlo? Mi ero
ripromesso che non sarebbe più successo il giorno che ti ho sposato, ma non so
se ne sarò in grado… Non quando non riesco nemmeno più a guardare negli occhi Jai e Iris…»
«Leonard io… io te l’ho sempre detto e lo sai… o gli dici la verità
oppure no, ma perdoni te stesso…»
«E come Lily mh?» chiese lui infastidito,
prendendo le sue mani e scostandole dal suo viso facendo un passo indietro.
«Dicendo loro che sono la causa per cui sono orfani?»
Un “crac” più forte di un cuore che si rompe echeggiò nell’aria per colpa
di un piede messo in fallo dal giovane Allen che una volta sveglio per le voci
troppo alte dei suoi genitori, preoccupato, era corso a vedere che andasse
tutto bene. Troppe brutte notizie in un giorno solo, ma non avrebbe mai
immaginato che quella sarebbe stata solo l’ennesima… la più grave di tutti.
«Mi avete mentito?» chiese lui con gli occhi sgranati e un pigiama che
gli andava un po’ troppo grande. Jai era sempre stato
spigoloso, non era mai riuscito a relazionarsi con nessuno preferendo di gran
lunga la solitudine e il piacere che gli dava costruire modellini di aereo o di
navi con una precisione maniacale. Un po’ come Leonard aveva fatto tutta la sua
vita con le rapine, usandole come un modo per alienarsi dalla sua vita misera.
Proprio questo li aveva uniti così tanto, proprio quel ghiaccio freddo e
impenetrabile aveva permesso ad entrambi di divenire un unico fiocco di neve,
tanto semplice all’apparenza, ma tanto complesso in realtà.
«MI AVETE MENTITO!» urlò nuovamente prima che in un flash scomparve e con
lui anche Iris, non ci vollero molti secondi affinché una telefonata di Dawn li mettesse al corrente che i cugini erano piombati a
casa loro.
«Lo odio! Lo odio! LO ODIO!» Jai non ripeteva
altro da che era piombato in casa dei cugini, svegliando la sorella e con lei
scomparendo.
«Shhh! Abbassa la voce… non vorrai che Iris ti
senta! L’hai spaventata a morte lo sai?» lo riprese Donald, mentre in salotto
con il cugino cercava di ragionarci, mentre la sorella aveva portato in cucina
la cugina più piccola ancora assonnata e confusa.
«Non ho voglia di abbassare la voce! Non quando ho saputo che l’uomo che
si vantava di essere mio padre è solo uno sporco bugiardo e con lui Lily… LI
ODIO Donnie! Li odio! Se non fosse per Snart i miei genitori sarebbero vivi… voi mi avete sempre
detto che sono morti perché hanno giocato con il tempo, come a volermi
insegnare che noi velocisti non dobbiamo fare tali errori, ma loro non ci hanno
giocato… loro hanno fatto un sacrificio. Per cosa poi mh?
Per un criminale!»
Jai non avrebbe potuto non sputare tutto quel veleno in
quel momento, dopotutto in un certo senso aveva ragione e se Snart fosse stato lì gli avrebbe detto che era tutto vero. Forse
per questo Donald non se la sentì di affrontare una questione del genere, tanto
meno in una notte come quella.
«Domani è una giornata cruciale, è meglio se andiamo a letto…»
Jai non vi trovò nulla in contrario, non per i suoi
cugini, non voleva che non fossero riposati abbastanza per quello che sarebbe
venuto, ma non avrebbe fatto alcun passo indietro. Non ci sarebbe tornato in
quella casa, non quando quella vera lo erano quelle mura.
Quando Dawn tornò in salotto con Iris in
braccio tutti trovarono opportuno andare al piano di sopra e per quella notte
archiviare quella questione. Tuttavia quando questi fecero per lasciare i due
cuginetti nella camera da letto appartenuta a loro nonno Joe,
la piccola Iris li fermò.
«No dormite qui con noi… vi prego…» dall’alto della sua innocenza, da chi
era stata strappata dal suo letto senza un perché e che si rendeva solo conto
di essere spaventata, non c’era alcun desiderio di rimanere sola.
Donald dunque si stese dietro di lei e lo stesso fece Dawn
dietro Jai, trovandosi tutti e quattro stretti in
quel grande letto matrimoniale.
«Donnie racconti la favola del dinosauro?»
chiese improvvisamente la piccola portando così i due gemelli a guardarsi.
«Sì per favore… zia Iris la raccontava spesso e anche la mamma… e adesso
come adesso avrei tanta voglia di sentirla…»
Jai non aveva mai superato la mancanza dei suoi
genitori, aveva saputo colmarla, ma adesso che si sentiva orfano una seconda
volta… la necessitava. Lui che si faceva sempre il grande, ricordando come
certe sciocchezze non gli piacessero.
Dawn non se lo fece ripetere e dopo essersi accoccolata
meglio, iniziò ad osservare il soffitto e rimembrare quando da bambina mille
volte l'aveva ascoltata.
«Un piccolo dinosauro, una maiasaura, viveva con
sua madre e un bel giorno le disse: "Vorrei
essere unica come gli altri dinosauri. Fossi un T-Rex sbranerei con i miei
denti affilati"
"Ma se fossi un T-Rex" disse la madre "Con le zampe
corte come potresti abbracciarmi?"»
Donald che aveva gli occhi chiusi e stava accarezzando i capelli della
piccola Iris sorrise e non riuscì a trattenersi dal continuare.
«"Vorrei essere un
apatosauro" disse il piccolo dinosauro "Con il mio lungo collo vedrei oltre le cime degli alberi".
"Ma se fossi un apatosuaro" disse la madre "Come potresti
udire il mio ti voglio bene da lassù? Quello che ti rende unica piccola maiasaura" disse la madre "Non sono i tuoi denti affilati, il collo lungo o il becco
appuntito. A renderti speciale tra tutte le specie di dinosauri di questo mondo
selvaggio è che hai una madre che è ideale per te e che..."»
«”…ti vorrà sempre bene”»
esclamarono i quattro Allen all’unisono abbandonandosi nelle braccia di Morfeo
nello stesso istante in cui un zampillo di vita tornò a far breccia nel cuore
di Barry Allen.
Ed eccomi finalmente qui con il nuovo capitolo! Ci
ho messo un po’, ma è stato inevitabile: è più lungo degli altri e precede una
giornata importante, ma al tempo stesso serve a tutti i nostri protagonisti per
decomprimere il proprio cervello e il proprio cuore da tutti i loro pensieri.
Mi è piaciuto scriverlo, davvero tanto. Non so se a voi piacerà nello stesso
modo leggerlo, ma davvero ragazzi ci ho messe tutte le mie lacrime in questo
capitolo… non me ne sono trattenuta nemmeno una e con le stesse ho scritto ogni
punto di vista dei nostri beniamini…
Non erano nemmeno le sei di mattina quando
la chiamata arrivò in casa Snart avvertendo le due nuove teste della Checkmate
che l'attacco programmato degli Stati Uniti d'America nei confronti di New
Themyscira non era andato come a buon fine. I velivoli statunitensi, infatti,
erano stati intercettati da aerei invisibili delle amazzoni e abbattuti.
Quella che era stato dunque un attacco pianificato con minuzia di
particolari e attenzioni negli ultimi mesi dallo Stato Maggiore in
collaborazione con la Checkmate e supervisionato dal Presidente, si era
trasformato nella manciata di pochissime ore nello scoppio di una guerra
mondiale.
Se la missione delle Leggende era dunque quella di trovare Eobard Thawne e
impedire le sue macchinazioni, ben presto le loro priorità cambiarono a fronte
delle notizie sopraggiunte e costringendoli a dar manforte ai loro compagni di
quel tempo, ben consci di non potergli voltare le spalle.
Anche i giovani però volevano fare la loro parte. Donald e Dawn scortarono
dunque i cugini alla Checkmate per tenerli al sicuro, contro le proteste di
Jaiper niente felice di dover rivedere
i suoi genitori adottivi, nel momento in cui sopraggiunse la notizia che una
delle prime vittime che si era registrata nella battaglia di New Themyscira era
proprio loro madre: Iris West-Allen. Questo se possibile mosse ancor di più il
loro desiderio di buttarsi fitti nello scontro unendosi così alle Leggende in
partenza con la Waverider per quella che una volta era la Gran Bretagna. Con
loro anche tutti gli altri giovani eroi: Cyborg, Green Arrow, Speedy, Firestorm
e sorprendentemente Black Canary che aveva dismesso i panni di Huntress e aveva
trovato il coraggio di raccogliere la sua eredità.
Il grande piano di Eobard Thawne stava dando i suoi frutti, tanto ci aveva
lavorato per fare sì che quel futuro vedesse il più possibile la caduta e
sconfitta degli eroi facendoli però passare per le peggiori pene dell’inferno.
Aveva dato potere alla Corte dei Gufi e questi avevano spezzato i miti dei
suoi più acerrimi nemici da Star a Central City, aveva raccolto la frustrazione
di William Clayton e dopo averlo indirizzato alla Lega degli Assassini lo aveva
trasformato in una macchina omicida, aveva ordito dietro i due grandi imperi di
Queen Diana e Aquaman per portare a quella guerra… e tutto per cosa? Solo per
sconvolgere il tempo, per costringere le Leggende in quel luogo e in quell’ora
e poter finalmente cancellare dall’esistenza il futuro di Flashpoint così
facendo avrebbe ottenuto due grandissime vittorie: la prima era aver
indirizzato il Flash Nero verso a sconvolgimenti temporali ben più consistenti
del suo esistere e di conseguenza dandogli una missione con cui tenerlo
occupato e dall’altra in un colpo solo si sarebbe liberato di tutti i suoi
avversari più fastidiosi. Il mondo sarebbe stata una tabula rasa su cui
scrivere una nuova storia: la sua.
Appena la Waverider arrivò a solcare i cieli inglesi la prima immagine che
fu sotto lo sguardo di tutti fu quella di un'isola che ricordavano diversa per
edifici e struttura e che adesso invece brulicava di una skyline molto più
simile all'Antica Grecia piuttosto che alla Gran Bretagna. Le amazzoni
solcavano i cieli con i loro velivoli invisibili con una tecnologica
sconosciuta e una potenza di fuoco impensabile.
Il tempo per le chiacchiere e il tergiversare era finito, adesso su quel
campo di battaglia si giocavano tutto dalla salvezza del mondo a quella del
tempo stesso.
Stein era rimasto alla Checkmate ben deciso a non abbandonare il fianco
della figlia e a dare il suo sostegno tecnico, mentre con somma sorpresa di
tutti il nuovo Firestorm per quel giorno era nato dalla fusione di Jax e Jason.
Lui insieme a Ray, con l’armatura di Atom, si lanciarono fuori dalla nave e si
buttarono a capofitto nello scontro affrontando tutte le amazzoni che incrociavano
il loro cammino. Partì un combattimento senza esclusione di colpi che però non
faceva presagire nulla di buono considerando l’alto numero di elementi
dell’esercito nemico e la loro veemenza nella lotta. Le amazzoni che non ci
stavano pensando due volte a distruggere qualsiasi cosa incontravano decise a
respingere gli invasori a tutti i costi. Gli stessi che da quanto sapevano
loro, per via delle malelingue fattagli arrivare da Thawne, si erano alleati
con l’esercito di Aquaman per distruggerle.
Qualcuno però stava osservando tutta quella distruzione con un ampio
sorriso sul volto, da uno dei palazzi più alti della capitale.
William si era allenato duramente per arrivare a quel livello, lui che alla
morte della madre era venuto a conoscenza delle sue origini e che per questo si
era spinto a divenire quello che era oggi: Black Archer.
Conosciuto come uno dei più temibili mercenari in circolazione, aveva fatto
del sangue la sua ragione di vita. Non aveva mai perdonato suo padre per il suo
abbandono portandolo a un odio che una volta fomentato a dovere lo aveva
trasformato nella più letale delle armi.
«WILLIAM!» urlò Connor, la freccia puntata contro quel fratellastro che gli
aveva rovinato l'esistenza. Il giovane non aveva potuto fare a meno di
dividersi immediatamente dal gruppo appena la Waverider aveva toccato terra.
Era finito il tempo delle attese e del rimuginare sul passato… era arrivato il
tempo di agire e di far pagare a quel maledetto assassino tutto il male che
aveva fatto alla sua famiglia prima con i suoi genitori e poi con i suoi
padrini.
Lui che suo padre aveva accolto a braccia aperte nella Checkmate dopo la
morte della madre solo per recuperare il tempo perso e fare sì che tutti e tre
i suoi figli crescessero insieme, ma quello che ciò aveva causato era stata
solo un’invidia cieca dovuta al fatto che ai suoi occhi Connor e Mia avevano
tutto quello che invece doveva essere suo. Lui che si sentiva più come un
randagio verso cui si stava facendo carità, invece che un figlio e un fratello
che veniva incondizionatamente amato.
«Guarda chi si vede... il degno erede di nostro padre!»
«NON OSARE NOMINARLO!»
«Altrimenti?»
William non fece nemmeno in tempo a chiederlo con quel suo solito ghigno
strafottente che la freccia di Connor era già scoccata andandosi a ficcare
dritta nella sua spalla. Questo però non lo più, anzi se possibile lo divertì
ancora di più, quando togliendosela la buttò a terra con fare provocante.
«Tutto qua? Questo è tutto quello che nostro padre ti ha insegnato?»
«Oh no… mio padre mi ha insegnato anche questo!» e così dicendo aveva già
scoccato l’ennesima freccia puntando alla testa, ma lo stesso aveva fatto
William. Due eccellenti arcieri che avevano avuto l’onore di essere addestrati
dal più grande di tutti e che per questo vide le loro frecce entrare
perfettamente in rotta di collisione e distruggersi l’un l’altra.
William non si lasciò impressionare e nemmeno Connor così che i due
correndosi incontro l’un l’altro iniziarono un feroce corpo a corpo senza
esclusione di colpi che mostrava quanto abilmente entrambi fossero stati
allenati. Ma la forza di Connor era nulla contro la scaltrezza di William.
Colpi bassi e ben assestati che portarono velocemente Green Arrow a cedere
sotto i colpi del suo avversario. Black Archer fece però fece un errore: si
fermò tronfio già pregustandosi la vittoria, dando così modo al suo rivale di colpirlo
in volto… sempre più forte fino a non lasciargli scampo se non fosse stato che
il suo fratellastro amava giocare sporco e gli bastò recuperare il coltellino
che teneva nascosto nello stivale per accoltellarlo e averla vinta.
William spinse il corpo di Connor all'indietro togliendoselo di dosso e
pulendosi il sangue dalla bocca scoppiò in una fragorosa risata.
«Salutami papà quando lo vedrai all'inferno!»
Quella guerra, già apparentemente persa in partenza, però era solo la prefazione
di una nuova minaccia in quanto il cielo venne ben presto oscurato da grandi
serpenti marini metallici che solcarono le loro teste. Aquaman stava scendendo
in guerra e lo stava solo facendo in virtù del fatto che credeva che quella
guerra gli sarebbe arrivata in casa, dando però così manforte alle amazzoni
nella loro convinzione che gli americani fossero alleati del loro più acerrimo
nemico.
«Le cose si stanno mettendo davvero male…» a dar voce al pensiero di tutti
era stata Sara che aveva subito compreso l’entità di quegli eventi. Ormai non
restava loro di fare solo una cosa: combattere.
«Ray hai visto?»
«Sì le cose sono appena peggiorate… sono arrivati Nate e Amaya?»
Atom che era in volo con Firestorm era anche in comunicazione radio con il
resto degli eroi, ma in quel preciso momento stava parlando con Sara. Tutti
sapevano che fossero in cerca di potenziale aiuto, ma solo Ray sapeva a chi
avevano deciso di rivolgersi.
«No, purtroppo no… e ho paura che se arriveranno senza rinforzi saremo
spacciati…»
«Voi andate! Qui ci pensiamo noi!» fu la voce di Laurel quella che
interruppe il flusso di pensieri della madre, che voltandosi fu solo orgogliosa
di vederla in quelle vesti che le appartenevano, lei che aveva appena scoperto
che oltre ad essere un’abile ginnasta possedeva anche una voce da “urlo”.
«Ce la fate?»
«Che domande…» esclamò quasi offesa Speedy che affiancando l’amica iniziò a
tirare frecce con una precisione millimetrica, nello stesso momento in cui la
voce di Black Canary faceva i primi danni.
Ci fu solo un momento di tentennamento e poi tutti gli eroi si divisero,
c’era tanto da fare e pochi di loro per riuscirci.
Le due ragazze si guardarono sorridenti, ad entrambe era mancato quel
lottare fianco a fianco e farlo per una causa così importante dava loro ancora
maggior fiducia. Così mentre Mia era occupata a salvare alcuni abitanti
intrappolati, inglesi che da anni vivevano sotto la tirannia delle amazzoni e
adesso ne pagavano lo scotto, Laurel continuava ad usare la sua voce per tenere
lontano il maggior numero di avversari di entrambi gli schieramenti.
Snart e Lily stavano seguendo in presa diretta tutto quello che stava
succedendo dalla sala di controllo della Checkmate e stavano guidando gli
agenti che stavano arrivando sul territorio nemico, pronti ad entrare in azione
e combattere una guerra che il semplice esercito non sarebbe mai stato in grado
di affrontare.
«Pedoni negli edifici, bisogna occuparsi dei civili sulla linea di fuoco.
Usate gli scantinati e le metropolitane per tenerli lontani dalla superficie…»
ordinò Lily con lo sguardo scuro ben puntata sullo schermo.
«Torri stabilite un perimetro, Alfieri voi sarete il supporto aereo…
Cavalli voi quello a terra…» concluse Snart con le braccia ben conserte a fare
quello che sapeva fare meglio: pianificare una strategia.
Intanto anche i Tornano Twist erano occupati ad abbattere qualsiasi cosa si
metteva sul loro cammino fermandosi solo quando un numero consistenti di
detrattori li accerchiarono.
I due passarono velocemente al corpo a corpo agevolato dalla loro velocità
e la possibilità di lanciare fulmini, ma considerando che la loro velocità non
era così stabile e così forte questo non gli dava la possibilità per poterlo
fare a lungo.
Ma un flash più forte e saettante degli altri arrivò ben presto a dare
manforte loro, facendo sì che con la sua maestria e la sua celerità li
liberasse da quella grande orda che li aveva attaccati. Fu solo quando si fermò
che i due gemelli rimasero stupefatti di scoprire chi fosse.
«Papà!?» chiesero all’unisono terribilmente sorpresi della sua presenza, ma
ancor più di come sembrava essersi ripreso completamente. Il viso era
invecchiato, ma aveva di nuovo vigore, come il suo sguardo era acceso di nuova
energia quanto velato di tristezza. Aveva saputo di Iris e non c’era sconfitta
più grande di non averla potuta rivedere un’ultima volta, quanto più per dirle
che era tornato da lei questa volta per restare. Un ultimo colpo imprevisto
arrivò dal cielo, mentre corpi privi di vita cadevano segno che qualcuno li
aveva affrontati. Fu così che anche Supergirl mostrò la sua presenza, toccando
di nuovo terra e affiancando il suo amico di vecchia data.
«Mi spiace essere scappata l’ultima volta, ma…»
«Io e Kara abbiamo affrontato anni difficili, ma ora siamo pronti a tornare
in pista!»
«E io e Donald siamo felicissimi di questo!» esclamò Dawn non potendo fare
a meno di avvicinarsi al padre e abbracciarlo, prima che questo prese in mano
la situazione o almeno ci provò.
«Come siamo messi lassù Supergirl?»
«Non bene… se non facciamo capire a Queen Diana e Aquaman che sono stati
usati non ne usciremo vivi…»
«Danvers ha ragione!» notò Martin mettendosi in mezzo, dopotutto le
comunicazioni erano sempre aperte per rimanere tutti in contatto uno con
l’altro.
«Suggerimenti Professore?»
«Signor Allen due di voi devono riuscire ad avvicinare la Regina amazzone e
il Re Atlantideo se si renderanno conto di essere stati usati forse parte degli
scontri cesseranno e potrete concentrarvi sul vero problema di tutto…»
«Thawne!» esclamò Nate palesando così la sua presenza sul campo di
battaglia, accanto a lui Amaya, ma non solo anche un nemico di vecchia data di
Flash.
«Piacere di rivederti Flash…» esclamò mentalmente Grodd, questo lasciò il velocista un attimo scossò, ma
capì ben presto di aver di fronte qualcuno molto diverso da come lo ricordava.
Non sapeva cosa in quegli anni era successo affinché fosse possibile, ma se
adesso era lì come alleato non lo avrebbe rifiutato.
«Loro sono Re Grood, Lionheart, Killer Croc e Pantera Bianca… Sono qui con
i loro eserciti pronti a darci manforte…» esclamò Amaya, non lesinandosi di
voltarsi un solo attimo a guardare l’uomo che amava al suo fianco.
«Wow quindi è questo l’aiuto che eravate andati a cercare…» osservò Sara
che seppur era da tutt’altra parte aveva udito tutto.
«Dobbiamo fare contenimento, ma qualcuno deve avvicinarsi a…» Barry aveva
appena ripreso la parola, tentando di fare il punto della situazione, ma Rip lo
interruppe.
«Ci penso io ad Aquaman…»
«E io a Queen Diana…»aggiunse
immediatamente Sara. Allen assentì se loro si sarebbero occupati della
questione principale a loro il resto.
«Speedy recupera tuo fratello e con Cyborg e Black Canary occupatevi delle
azioni isolate: schemi e occhi su tutto!»
«Ricevuto!» risposero prontamente quelli chiamati in causa, mentre dalla
Checkmate arrivavano le indicazioni direttamente dal Re Nero.
«Firestorm, Atom, Supergirl e Flash occupatevi del perimetro, ogni cosa
supera i tre isolati o la distruggete o la rimandate indietro!»
Barry assentì e dopo un veloce sguardo ai suoi compagni, uno un poco più
persistente degli altri sui suoi figli, scomparve con Kara per raggiungere il
resto dei suoi compagni e fare ciò che era stato ordinato loro.
«Commander Steel, Vixen, Pantera Bianca e Killer Croc a voi rallentare gli
avversari, mentre a terra tutto è in mano vostra Tornado Twist, Heath Wave,
Lionheart e Re Grood…»
Nemmeno a dirlo che già tutti si erano buttati spediti nelle posizioni a
cui erano assegnati.
Jai intanto approfittando del grande caos che vi era alla Checkmate non
aveva avuto difficoltà ad allontanarsi da era stato portato con la sorella per tenerli
lontani da tutto quel disordine. E adesso se ne stava lì con le braccia lungo i
fianchi e osservava la schiena di suo padre combattendo contro l’istinto di corrergli
incontro e quando Snart si voltò fu così che lo vide. Che lo fronteggiava
orgoglioso e algido cercando di nascondere invece la battaglia interiore che lo
divorava quella che da una parte lo rendeva furioso nei suoi confronti e quella
che lo rendeva estremamente orgoglioso. La seconda ebbe la meglio e in un flash
era già di fronte a lui, non era mai stato in grado di lasciarsi andare a gesti
di affetto, ma dopotutto proprio questo lo aveva unito così tanto a Leonard che
adesso lo guardava imperturbabile.
«Non dovresti essere qui…» fu l’unica cosa che si sentì di dirgli.
«Ma se non ci fossi venuto non mi sarei mai reso conto di quanto mi sono
sbagliato…» esclamò quello asciugandosi con la manica della felpa gli occhi,
per niente felice che lui potesse vederlo così fragile.
«Ti ho incolpato per quello che è successo ai miei genitori, ma facendolo
li ho feriti. Loro hanno fatto una scelta legata a ciò che sapevano giusto e
oggi mi rendo conto che così è stato… Oggi tantissime persone dipendono dalla
tua guida per sopravvivere e vincere questa guerra, persone che hanno eseguito
i tuoi ordini senza esitazione… dunque perché dovrei averne io?»
Era strano vedere come un bambino così piccole fosse così saggio e maturo,
ma di fatto Jai non era mai stato davvero così ingenuo. E fu quello che sciolse
il cuore di Lily, mentre abbracciandolo guardò per un momento suo padre alle
spalle del figlio e questo sorridendogli non ebbe più dubbi in merito al fatto
che seppur quello non era il futuro che per lei aveva sperato era tuttavia il
più adatto.
Speedy stava correndo con i suoi compagni di squadra senza smettere di
tirar frecce, loro compito era non solo eseguire gli ordini, ma anche ritrovare
Connor cosa che accadde poco dopo.
«Connor!» urlò la sorella andandogli incontro super preoccupata a
controllare immediatamente come stesse.
«Chi è stato?» chiese Cyborg senza giri di parole.
«William!» rispose altrettanto Queen.
«Non dovevi cercarlo…»
«Ma dovevo!»
«Ragazzi non vorrei disturbare, ma ci stanno addosso!» fece notare Laurel
non mancando però di fare un sorriso all’amico contenta di vedere che tutto
sommato stava bene, in quanto la ferita non aveva toccato organi vitali.
«Black Canary ha ragione e per la cronaca… sono felice di vederti con
addosso questo costume finalmente…»
Connor fece l’occhiolino all’amica, prima che uno sciame di amazzoni sui
loro velivoli passasse sopra le loro teste.
«Atom hai un po’ di gentaglia alle calcagna…»
«Lo so, cerco di allontanarli dalle strade… e per la cronaca: virano in
maniera imbarazzante!»
«Ti consiglio allora un angolo stretto!»
«Agli ordini Mia Queen!»
Mia aveva appena cercato il contatto radio con Ray non potendosi lesinare
di sorridere alla sua ultima esclamazione. Credeva che avrebbe davvero fatto
fatica a fare a meno di quella sua ironia tanto spontanea quanto a tratti
ingenua. Un sorriso interessato comparve sul suo volto, lo stesso che non
sfuggì minimamente all’occhio di falco del fratello…
Atom aveva seguito il consiglio che gli era stato dato e come lui anche
Firestorm e Supergirl lo fecero avendo così velocemente degli ottimi risultati.
«Ehm ragazzi qualcuno è libero?» chiese un Barry dalla voce decisamente
concitata.
«Perché sono contro uno squadrone a Piccadilly e avrei davvero bisogno di
aiuto!»
«Resisti Barry, ti raggiungo immediatamente!» fu la risposta pronta di Kara
che aveva ritrovato in quella battaglia la sua forza e non solo quella fisica,
ma anche quella dell’anima che la morte di suo marito Mon-El, di sua sorella e
tutti i suoi amici le aveva portato via…
Anche Vixen stava combattendo senza darsi per vinta, seppur le forze
apparivano venir sempre meno e all’ennesimo atlantideo respinto era sull’orlo
dell’esaurimento, uno tale che per poco non la portò a colpire anche Nate –che
le comparve improvvisamente di fronte- prima di adagiarsi per un solo attimo
stanca e sporca contro un lampione.
«Tutto questo servirà a poco se i vostri amici non parleranno con Queen
Diana e Aquaman!» osservò Pantera Bianca dando così manforte alla sua stessa
nonna, la maschera che mai si era tolta da che li aveva incontrati le aveva
permesso di celare loro la sua identità, ma l’intesa che verso la sua ava
sentiva… quella non avrebbe mai potuto nasconderla.
«Queen Diana!» la voce altisonante di Sara risuonò nel mezzo dello scontro,
il suo bersaglioera a pochi passi da
lei poco distante dalla Torre di Londra lì dove già uno stuolo di amazzoni era
scattato per fare da scudo alla sua amata Regina, la stessa che però pareva al
contrario molto colpita di come quell’insulsa umana fosse tanto coraggiosa da
affrontarla.
«Parla in fretta, come vedi sono leggermente occupata…» il suo braccio
destro aveva già fatto per ribattere, ma la donna meraviglia aveva alzato una
mano e mettendola a tacere era arrivata a pochi passi da Sara.
«Mi fai parlare è già un passo avanti…» osservò la Leggenda con ironia.
«Devi ritirare le tue amazzoni»
«Divertente, prima compiete un atto di guerra contro il mio popolo e poi mi
chiedete di battere bandiera bianca? Giammai!» un solo colpo di frusta della
reale e White Canary venne sbattuta a metri distanza. Doveva aspettarselo, in
parte aveva ragione dunque non le rimaneva che fare una cosa: combattere.
Anche a Rip non era andata meglio dall’altra parte della città, mentre
faccia a faccia con Aquaman cercava di nascondersi dai colpi violenti
dell’acqua che lui comandava con il suo tritone.
«Sua Altezza lei deve ascoltarmi… Noi non appoggiamo le amazzoni!»
«BUGIARDO!» e l’ennesimo fiotto di liquido partì in direzione di Hunter che
vide il suo rifugio di fortuna distruggersi sotto i suoi occhi.
«Tutto questo è solo una macchinazione da parte dello stesso uomo che si è
alleato con suo fratello Orm…» il tritone stava di nuovo caricando la sua arma,
mentre la Leggenda con le mani alzate aveva chiuso gli occhi pronto a ricevere
il colpo di grazia che con sua grande sorpresa non sopraggiunse. Ebbe solo il
coraggio di aprire un occhio per scoprire che l’atlantideo si era congelato di
fronte a quel nome.
«Panthesilea?» chiese Queen Diana fermandosi dal colpire Sara che era a
terra sotto di lei.
«Sì. L’attentato e la morte di Vostra madre è stato solo il frutto di una
sua congiura con il Principe Orm…»
«Hanno ordito alle nostre spalle?» chiese Aquaman a Rip, mentre abbassando
il tritone adesso lo aveva preso per il colletto pretendo una spiegazione.
«Con l’appoggio della Corte dei Gufi…» spiegò Rip.
«… a loro volta appoggiati e messi al potere dalla stessa persona che vi ha
riempito la testa delle sue bugie…» continuò Sara.
Le due Leggende seppur distanti stavano effettuando lo stesso discorso, con
due esseri così potenti che avrebbero potuto ucciderli con un solo colpo.
«EOBARD THAWNE!» esclamarono entrambe le due potenze reali capendo quanto
fino a quel momento erano stati al giogo di un vile ingannatore.
Tutto era guerra e distruzione, mentre un lampo cadde sul campo di
battaglia: l'Anti-Flash, che con un ghigno compiaciuto si stava gongolando del
suo successo. In quel giorno e in quell'ora tutti gli eroi sarebbero caduti. Quelli
che erano rimasti, la loro eredità e gli unici che potevano viaggiare nel tempo
per cambiare le cose. Ma il suo era un trionfo breve in quanto senza che
potesse aspettarselouna lunga spada lo
trafisse alla schiena, non prima che questo però con la sua velocità riuscì a
prenderla e fare lo stesso con il suo avversario. Entrambi caddero a terra,
vinti di fronte alla vita che li stava abbandonando, mentre un urlo squarciò il
caos: «LAUREL!»
Sara aveva raggiunto il suo scopo, aveva parlato con Queen Diana e aveva
fatto la cosa giusta, ma come sempre quella le veniva ripagata nel peggiore dei
modi. Aveva assistito a quella scena troppo veloce senza riuscire in alcun modo
a fare qualcosa per impedire che per l’ennesima volta la persona più importante
della sua vita le venisse portata via.
Corse a perdifiato gettandosi in ginocchio di fianco al corpo morente della
figlia, mentre sollevandola appena prese a cullarla e a cercare il suo sguardo
così identico a quello di sua sorella.
«Ehi…»
«Shh, non ti sforzare…» ormai Sara piangeva eppure nonostante questo
cercava di sorriderle, come se potesse davvero darle un qualsivoglia conforto
sporca di sudore e sangue com’era.
«A-avrei preferito… e-essere una B-Black C-Canary migliore…» riuscì appena
a sussurrare Laurel, scoprendo che le costava moltissima fatica parlare.
«Lo sei stata… hai fermato Thawne…»
La ragazzina strinse forte la mano della madre poggiata sul suo ventre
cercando di non piangere, non voleva che lei per qualsiasi ragione si sentisse
in colpa e poi dopotutto pensava che preferiva di gran lunga morire così che
consumata dalla malattia un giorno dopo l’altro fino a diventare solo il
fantasma di quello che era stata.
«T-Ti voglio b-bene mamma…»
«Te ne voglio anche io Laurel…»
Il respiro della giovane divenne sempre più corto e tremante fin quando
dopo l’ennesimo spasmo cessò per sempre. Rip giunse in quel preciso momento,
felice che il piano fosse riuscito e di fronte all’evidenza che a quanto pare i
due regnanti stavano finalmente ritirando i loro eserciti mettendo fine a
quell’incubo, ma ogni proposito di gioia morì di fronte a una scena che non era
pronto a rivivere.
Per l’ennesima volta era costretto a vedere il corpo esamine di un figlio morire
in guerra, per mano di chi era stato così meschino da uccidere solo per il
gusto di farlo.
Immediatamente aveva raggiunto Sara e si era inginocchiato al suo fianco,
mentre i rumori della battaglia cessavano e gli eserciti si ritiravano.
Avevano vinto o forse no?
Fu in quel momento di infinita
disperazione e tristezza che la realtà prese a distorcersi e portare Sara e Rip
in una singolarità fuori dal tempo e dallo spazio.
Ancora scossi e feriti nel cuore quanto nella
mente i due si resero conto dello strano evento e alzandosi in piedi si
guardarono intorno. Il corpo di Laurel era scomparso come tutto ciò che li
circondava lasciando spazio solo a un’infinità di nebbia e luce che rendeva
impossibile sapere se quello fosse un luogo fisico o meno.
Incontro loro arrivò un’entità bellissima
e solare dalle fattezze di Laurel che per un momento illuse Sara che lei fosse
ancora viva, ma quando tentò di abbracciarla capì che anche lei era solo
un’illusione. Lei che sorrideva, serena e bellissima nel suo lunghissimo ed
elegantissimo abito di piume bianche.
«Esiste un segreto nascosto nelle pieghe
del tempo… non capite che la vostra missione era rivelarlo?»
La testa di Sara non era in grado di
affrontare un discorso di quella portata, non quando era stata prosciugata da
ogni forza per farcela e fu quando fece proprio per mandare quell’entità al
diavolo, maledicendola per la forma che aveva scelto, che Rip le mise una mano
sulla spalla prendendo lui la parola.
«Di cosa stai parlando? I Signori del
Tempo non hanno mai parlato di niente del genere…»
«Perché sono stati loro a nasconderlo…»
Rip si passò una mano sul viso chiedendosi
quante cose ancora avrebbe dovuto passare per colpa di quegli esseri eppure
cercò di mantenere la calma. Se non per lui quanto meno per Sara che era chiaro
che fosse troppo sconvolta per riuscire ad affrontare anche quello.
«Forze misteriose e malvagie hanno complottato
per indebolire il tessuto del tempo e separarne gli eroi… Lo avete visto anche
voi, esistono luoghi in cui questi sono stati spezzati, ma oggi voi ne avete
salvato l’ascesa…»
L’entità con le sembianze di Laurel li
guardò notando quanto i loro sguardi fossero cambiati, di come loro stessi si
erano evoluti e di come paradossalmente non se ne rendessero conto.
«Questo è stato possibile creando tre
universi, diversi, ma uguali. Siete stati messi alla prova, ma oggi vi siete
guadagnati il nome con cui un giorno tutti vi conosceranno. Le Leggende che
hanno gettato le basi per un nuovo mondo in cui sarete in grado di affrontare
le minacce oscure che vi aspettano…»
Per Rip e Sara fu impossibile capire
quelle parole, ma anche volendo non ebbero il tempo di farlo che un lampo di
luce li avvolse.
La fastidiosa sensazione di un colpo alla testa costrinse Sara ad aprire
gli occhi, confusa e dolorante per via dello strano sogno avuto.
Non era certa nemmeno che fosse tale, tanto che toccandosi la fronte guardò
la stanza da letto della Waverider incerta se alzarsi o meno. Era ancora a
contemplare i suoi stessi pensieri, quando la persona alle sue spalle le spostò
i capelli biondi da un lato del collo e lasciandole un bacio sullo stesso le
parlò con ancora la voce impastata dal sonno.
«Incubo?»
«O forse ricordo?» rispose Sara a quella domanda, voltandosi su un fianco
solo per potersi così trovare faccia a faccia con il suo interlocutore: Rip
Hunter. Non ricordava nemmeno come fossero arrivati a quel punto e nemmeno
quando un uomo aveva iniziato ad essere più importante per lei di una donna, ma
sapeva solo che tra le sue braccia poteva sentirsi quel canarino fragile che
non poteva mai mostrare di essere in fondo.
«Promettimi che la salveremo…» bofonchiò con un moto di tristezza che non
riuscì a spiegare, mentre spingeva il suo viso contro il dorso di lui.
«Chi?» chiese Rip abbracciandola forte a sé, ancora assonnato, ma non per
questo meno attento alle sue parole.
Sara non lo sapeva, l’unica cosa di cui era certa era di essersi svegliata
nell’oscurità senza smettere di pensare a lei. Al solco che le aveva lasciato
dentro, il suo viso sfuocato nei suoi occhi e la sensazione di mancanza che non
la lasciava.
Dal suo petto fino all’infinito risuonava il suo ricordo equello che di loro era stato.
Stava perdendo la ragione di fronte alla consapevolezza che il suo nome era
in ogni parola, nonostante non lo ricordasse.
Così vicina eppure così lontana si stava afferrando al suo riflesso, seppur
tutto quello che di loro rimaneva erano solo echi d’amore…
Siamo giunti alla fine di una fan fiction
che mi ha trascinato nel vortice delle sue emozioni e che fino alla fine ha
scelto da sola che cosa raccontare e come concludersi. Non so se vi piace ciò
che ho scritto o come tutto si è concluso, sicuramente non metto “conclusa”
alla storia perché sono indecisa se proseguirla o forse anche semplicemente
deliziarvi con dei “missing moments”. Sicuramente sono molto curiosa di
scoprire cosa ne pensate chi fino a qui mi ha seguito e vi invito a rimanere
sintonizzati perché quello che ci sarà dopo il “Capitolo 10” anche per me è una
vera incognita…
Tutto muore. I tre universi sono stati
distrutti e le Leggende sono state messe alla prova per guadagnarsi il diritto
di gettare le basi di un nuovo mondo. Il meta-messaggio nascosto nel tempo è
quello legato ai nostri viaggiatori nel tempo, sono loro il motore della
creazione non più come supereroi, ma avventurieri.
Adesso tutto vive. Vive una realtà principale con nuovi status quo e
misteri ancora tutti da scoprire, ma vive anche un'eredità che non è andata
perduta. Anzi si è rafforzata: la "Legione". Ispirati dai valori
degli eroi che li hanno preceduti proseguono una via di altruismo e giustizia
decisi a portare avanti ciò, chi prima di loro, ha costruito.
Sono passati otto mesi dalla guerra che ha cambiato gli equilibri del tempo
e dello spazio e seppur nessuno lo ricorda, Sara non smetteva di sentirsi in
qualche modo legata a quella realtà seppur appariva ai suoi occhi, in sogni e
flashback, come incubi di cui non riusciva in alcun modo a liberarsi quanto
meno a capire. In un primo momento aveva trovato naturale parlarne a Rip, ma poi aveva iniziato a lasciar perdere non volendo
tediarlo con pensieri che era frutto di chissà quale paranoia sua invece che di
qualcosa di davvero reale. Questo anche perché aveva iniziato a notare che a
parte lei nessun altro pareva particolarmente colpito dalle sue stesse
ossessioni, dunque le parve decisione saggia semplicemente lasciar perdere.
Eppure quando camminava per i corridoi della Waverider
a volte le pareva di percepire una mancanza seppur non sapeva darle una
spiegazione era semplicemente la sensazione che qualcosa fosse
irrimediabilmente cambiato...
Ancora completamente immersa nelle sue percezione, ne venne bruscamente
strappata quando l’allarme impostato alle Waverider
per il rilevamento di terremoti temporali li mise al corrente di uno in quel
momento in atto proprio a Star City nel 2017.
«Gideon imposta la rotta…»
«Già fatto Capitan Hunter!»
Rip
raggiunse il suo sedile quello posto accanto a Sara ormai pilota ufficiale
della nave e all’uomo non sfuggì il suo sguardo distante che in quei mesi
pareva sempre avere persa in chissà quali sensazioni che pareva essere l’unica
avere…
Anche Ray, Mick, Martin e Jax
presero posto sui loro sedili ognuno completamente tranquillo e sereno di un
qualcosa che invece era visibilmente cambiato. Dove erano Nate e Amaya?
«Sicuri che sono qui?»
«Cisco ha mai sbagliato un gadget? E comunque sì non ci sono dubbi, la loro
traccia energetica è in questo tempo…»
Il giovane diede un’ultima occhiata al tracciatore che aveva tra le mani a
forma di spirale e con una sorte di luce blu intermittente che aumentava di
intensità all’avvicinarsi del loro bersaglio, lo stesso che aveva dato loro
tutte le indicazioni per saltare da un tempo all’altro.
«Speriamo che questo loro salto duri di più, i precedenti erano così corti
che non siamo riusciti in nessuna azione contro di loro…»
La stessa ragazza che antecedente aveva chiesto conferma se fossero nel
luogo esatto adesso si stava guardando intorno giocando distrattamente con
l’anello che portava l’anulare, identico a quello di tutti i suoi compagni e
con una grande “L” incisa sopra.
Fu allora che vennero presi alla sprovvista, circondati da due eroi a loro
familiari che volavano sulle loro teste e altri tre a terra che li stavano
puntando con le loro armi.
Sara si era mossa con estrema facilità in quella che era la sua città e
ancor più grazie all’indicazioni di Gideon dell’epicentro
del terremoto temporale che li aveva portati dritti dai loro detrattori.
Tuttavia se gli altri parevano confusi per come questi erano vestiti, vi era un
altro tipo di stupore in Sara, quello di chi sta vivendo un fortissimo dejavù.
«Mettete giù le armi…» ordinò con voce ferma e lo sguardo attonito di chi si
sentiva sollevato ed entusiasta di un qualcosa a cui nemmeno lei sapeva dare un
nome.
«Sara, ma… non sappiamo chi siano e… perché siano vestiti così…» osservò Firestorm, convinto che non potessero con così tanta
facilità fidarsi di chi inspiegabilmente indossava le suit
di eroi loro amici e fino a prova contraria ancora in vita.
L’atteggiamento delle Leggende convinse anche il giovane gruppo di eroi
abbassare le proprie armi, ma anche perché non avrebbero non potuto non fidarsi
di chi sapevano degni del nome che portavano.
«Speravamo di incontrarvi!» esclamò una sorridente Laurel,
mentre andando incontro a Sara non si trattenne dal dare un abbraccio a lei e a
Rip, mentre la sua solarità in parte sembrava stonare
con la sua suit nera di Black Canary.
«Dunque voi siete…» cercò di ripetere con fatica Ray
seduto sulla poltrona presente nell’ufficio dei Capitani quella in cui tutte le
Leggende e gli eroi da loro incontrati stavano parlando.
«La Legione» disse concisamente Donald, le braccia incrociate al petto e
l’occhio orgoglioso di essere parte di qualcosa di tanto grande e nobile.
«Veniamo dal futuro» concluse la sorella seduta sulla scrivania la stessa a
cui Mick era appoggiato e la osserva notando quanto fosse maledettamente sexy.
Cosa di cui Connor si accorse e per questo si mise
tra loro prendendo la parola.
«So che vi starete chiedendo come questo sia possibile visto che noi non
possediamo una nave che può viaggiare nel tempo, ma per farla breve la
tecnologia di questa meraviglia è racchiusa in questo semplice anello…» disse
così mostrandolo e facendo notare alle Leggende che tutti quei ragazzi ne
indossavano uno uguale. Martin era già scattato a JJ vicino a lui e aveva preso
ad analizzarlo totalmente affascinato chiedendo se potesse studiarlo.
«E voi come siete entrati in possesso di tale tecnologia?»
«Perché lei ce l’ha data Capitano Hunter» concluse con semplicità Laurel che adesso senza la maschera impressionava Sara per
la somiglianza che aveva con sua sorella.
«Suona assurdo, ma non lo è. Veniamo da un futuro prossimo in cui i nostri
destini sono incrociati e so che lo sapete anche se non capite come…» e così
dicendo non poté non guardare la madre in cui aveva un feeling che andava oltre
a qualsiasi ostacolo temporale. Prima di partire era stata lei stessa a dirle
di puntare su quello, ad essere certa che l’avrebbe riconosciuta ovunque…
sempre...
«E cosa state cercando qui?» Sara con quella domanda mostrò di essere
andata oltre alla conversazione per stabilire se fidarsi o meno di loro e
puntare immediatamente al fulcro della situazione.
A quel punto fu Donald a farsi avanti e posizionando il dispositivo di
Cisco sulla scrivania questo fece apparire degli ologrammi che attirarono
moltissimo l’attenzione dei presenti.
«Seppur non è ben chiaro come questo sia possibile alcune indagini ci hanno
portato a credere che abbia a che fare con qualche sconvolgimento temporale di
cui non siamo a conoscenza. Li abbiano cercati nei database del nostro tempo e
di anche altre realtà, ma... è come se non esistessero, sono fantasmi...»
Spiegò Dawn con non poca confusione in testa,
mentre le immagini di fronte a loro rappresentavano i tre vigilanti.
Il primo con una tuta nera e che stringeva in mano una mazza ferrata. Il
secondo nascosto sotto una spessa armatura di metallo e dal volto nascosto da
una maschera rossa. La terza stretta in un attillato vestitino di latex blu dai
contorni rossi e dai corti capelli biondi.
«Si chiamano Black Mace, Starfinger
e Saturn Queen... Il primo è altamente addestrato e
super forte. Starfinger possiede invece un poter per
ogni dito: con il pollice può emanare un raggio neutralizzante, con l'indice
può emanare un fulmine, con il medio può emanare un raggio di super spinta, con
l'anulare può emettere un tipo di radiazione e con il mignolo può emanare un
raggio congelate. E Staturn Queen è una telepate» proseguì con il piglio preciso e militare che lo
contraddistingueva JJ.
«E cosa vogliono?» questa volta fu Jax a parlare,
mentre poggiando le mani sulla scrivania notò la familiarità che gli davano gli
aspetti di quei tre strani individui.
«Da quello che abbiamo capito da che li inseguiamo? Non lo sappiamo! Come
vi abbiamo detto non c'è nessuna traccia che indichi la loro esistenza in
nessuna realtà conosciuta. Il problema è che continuano a saltare da un'epoca
all'altra lasciando dietro di loro una scia di morte... Ecco perchè dobbiamo trovarli e fermarli quanto prima...»
concluse con semplicità Mia.
Come promesso
eccomi qui con la seconda parte o il seguito (chiamatelo come preferite) di
questa fan fiction. L’idea generale di quello che voglio realizzare ce l’ho
seppur a differenza della prima parte ho meno presente la traccia da seguire.
Finora il mio istinto non mi ha tradito, dunque spero di non deludervi.
Tuttavia chiunque è giunto fino a qui gli chiedo di pazientare. Pubblicherò, ma
con una cadenza lenta e non regolare sono attualmente in fase di scrittura del
terzo ed ultimo libro di una mia serie letteraria dunque con le scadenze da
rispettare per la pubblicazione e tutto il resto ho i tempi un po’ stretti.
Dunque ci metterò di più, ma seguirò anche la fan fiction! Voi abbiate fede e
seguitemi! Se poi vi andrà anche di recensire mi farà piacere. Ogni recensione
è uno stimolo a continuare e migliorarmi.
Il collasso degli universi aveva aperto
le porte ad un mondo nascosto nelle increspature del tempo, lo stesso in cui
dalla notte dei tempi fiotti di anime erano nate, cresciute e riprodotte per
generazioni fino a riconoscere in Battleworld il loro
unico mondo.
Il primo arrivato in questo luogo ormai
in un epoca remota si era investito del ruolo di Dio e così facendo aveva
iniziato a usufruire dell'arrivo dei successivi "ospiti" a suo
piacimento. Tra le sue prime azioni trasformò Lightray
e Orion rispettivamente nel il Sole e lo Scudo, un enorme muro che protegge il Battleworld dalle minacce come i non morti, i robot di Brainiac, le creature di Trigon e
molte altri ancora...
Nascono poi successivamente la Legion Science Police come centro di ricerca agli ordini di
Dio e alcuni membri delle LanternCorps
che diventano il corpo di polizia del Battleworld.
Complessivamente il Battleworld
però era costituito da 41 regni e ogni regno può interagire con quelli
confinanti, ad eccezione di quelle situate oltre lo Scudo. Ogni regno è
governato da un Barone fedele a Dio, che reprime con la forza qualsiasi
minaccia al delicato equilibrio e al suo dominio.
Saturn Queen, Black Mace
e Starfinger provenivano dalla giurisdizione di Infinity Man, il Re del Sole. Era assetato di sangue e il
suo culto era caratterizzato da una sottomissione a tappeto di tutti gli
abitanti del distretto.
La proceduta era facile, venivi
catturato e buttato nelle celle del gran palazzo e lì o venivi sbranato dagli
altri prigionieri (tenuti come bestie senza cibo e ne acqua) oppure ne uscivi
ormai privo della tua umanità e sottomesso al Barone.
Loro tre vivevano come mercenari, quando
trovavano buona merce la vendevano ai distretti... erano sempre in cerca di
combattenti da vendere: uomini in forza, buon guerrieri e che sapevano
cavarsela nel corpo al corpo o con le armi. Questo rendeva più che bene. Più
erano forti e più cose sapevano fare e più loro ci guadagnavano, era il loro
modo di salvarsi il culo e vivere senza che nessuno tentasse di sottometterli o
chiuderli in una di quelle prigioni (anche se ci erano stati e uscirne li aveva
resi più forti).
Tra le loro mani un giorno però arrivò
una prigioniera che mai avrebbero potuto immaginare potesse essere la chiave di
volta della loro esistenza. I Metron infatti erano un
gruppo di mercenari che usavano la tecnologia come loro arma e attraverso un
dispositivo creato dal loro omonimo avo potevano effettuare brevissimi salti
fuori da Battleworld per recuperare schiavi che poi
vendevano a prezzi altissimi. Quando i tre dunque erano riusciti a rubare un
loro prigioniero sapevano di aver trovato una fonte di ricchezza inestimabile.
La donna attualmente era prigioniera
nella loro caverna/casa. Addosso portava evidenti segni di tortura provocati
dai colpi che le erano stati inferti e dopo i primi tentativi di trovare una spiegazione
a tutto quello o a dove fosse, alla fine si era arresa di dover concludere i
suoi giorni in quel posto dimenticato da Dio.
Finì legata a una catena in quel luogo
fetido e ammuffito passando molto tempo da sola in attesa che i suoi aguzzini
concludessero l'affare della loro vita vendendola, tuttavia qualcosa di
inaspettato un giorno accadde.
Quel mondo era un'emerita merda, non
esisteva modo migliore per definirlo e ormai la sua vita era divenuta un
spostarsi continuamente, non avere mai una dimora fissa e avere come unico
scopo quello di sopravvivere. Certo non era così lontano dal modo in cui aveva
vissuto per gran parte della sua vita e questo lo aveva agevolato nel rubare
quello che poi una volta venduto poteva far guadagnare protezione e piccoli
lussi come potevano essere armi o cibo, ma quando questi scarseggiavano l'unica
cosa rimasta da fare era ammazzare prima di essere ammazzato, depredare e
cacciare.
Inutile dire che quello era ciò che
Leonard Snart faceva da molto tempo da solo, da quando
era giunto in quel posto che ormai credeva certo essere l'inferno. Dopotutto
era morto distruggendo l'Oculos no? E visto che la
sua vita era stata una merda quella era il suo eterno tormento.
Fu dunque in una dei suoi tanti
spostamenti che incontrò quella grotta la stessa in cui fece una scoperta
inaspettata: una prigioniera che finì per scoprire essere legata alla sua
precedente esistenza o quanto meno a quella a cui apparteneva quando era ancora
in vita. Si chiamava Lily Stein e seppur trovava incredibile che il professore
fosse riuscito a procreare si ritrovò a salvarla non con pochi dubbi in merito.
Perplessità che si sciolsero quando con il passare del tempo divennero un
ottimo alleato l'uno per l'altra. Lei stava imparando sempre più del luogo quanto
lui aveva compreso che quello non era l'inferno, perchè
lei ci era stata portata lì e questo voleva dire solo una cosa: potevano
andarsene.
In quel luogo non esistevano calendari o
orologi, ma erano sicuri che era passato ormai poco più di un anno. Il tempo in
cui Snart aveva raccontato ogni cosa della sua realtà
e Lily della sua. Entrambi vivevamo mossi dall'unico desiderio che li spingeva
a resistere per andarsene da quel luogo, ma questo era possibile solo se Lily
avesse affinato le sue capacità di difesa venendo così addestrata in questo da
Leonard.
Il Distretto sotto il quale si trovavano
in quel momento era quello del Barone Steppenwolf e
colui che si dicesse avesse anche la tecnologia di aprire portali su altri
mondi.
Tutto il Distretto era disseminato di
antiche reliquie e se le leggende erano vere, il loro anno non era andato
perso.
Si erano continuamente mossi e avevano
girato ogni angolo alle ricerca degli stessi e di diari e mappe che li
portassero a comprendere come muoversi. Indubbiamente in quel campo era Lily la
mente, ma Snart lo riconosceva. Il suo sapere e la
sua intelligenza era stata provvidenziale.
Se quello che nei diari aveva letto era
vero, sarebbe bastato riunire i pezzi di uno scettro che inserito nell'apertura
nel pavimento al centro della “Stanza delle Regine”, all’interno del suo
Palazzo, avrebbe creato un collegamento con il cielo aprendo così un portale.
Molto tempo andò dunque perso per
trovarli questi pezzi, ma una volta riuniti ora arrivava la parte più
complessa.
Lily chiuse il diario e lo posò al suo
fianco, mentre alzandosi si stirò il collo. Avevo letto fin troppo quel giorno
e finalmente avrebbero potuto fermarsi in quel luogo per un po'. Riprendere le
forze e prepararsi all'ultimo atto di quell'avventura.
«C'è un lago qui vicino ne approfitto
per farmi un bagno, tu perchè non vai a caccia?»
«Non allontanarti troppo, non è sicuro»
«Cos'è ti preoccupi per me Snart?»
«Non farci l'abitudine»
I due sorrisero e poi si divisero. Era
normale che in così poco tempo si fossero legati così tanto, trovando una
sintonia tutta loro. Unica. Mai come allora Snart
aveva percepito quanto fosse importante fidarsi ciecamente di qualcuno. Lei che
paradossalmente era diventata la sua partner in tutta quella storia.
Leonard uscì a caccia e al suo ritorno
aveva attaccati alla cintura due grossi piccioni e da quelle parti era davvero
un bel grande bottino. Appoggiati vicino al fuoco del covo di fortuna che
avevano trovato, marciò verso il corso d'acqua dove sapeva avrebbe trovato
Lily.
La donna non si era accorta del suo
arrivo e dandogli le spalle aveva i lunghi capelli castani bagnati su una
spalla sola e si stavo dedicando a spazzolarli e lavarvi. Amava sentire l'acqua
sul suo corpo nudo che pareva portare via tutto lo sporco e non solo quello più
banale della terra o del sangue, ma anche quello che si sentiva di aver addosso
con tutta la merda che ogni giorno doveva affrontare.
Quando però sentì i passi alle sue
spalle scattò come ormai aveva imparato a fare in quel luogo, recuperò una pietra
dal fondo del lago e si preparò ad affrontare il nemico solo per poi scoprire
che era Snart. Si mise una mano al petto e respirando
cercò di calmarsi, mentre lei avvicinandosi alla sponda -ove avevo lasciato le
sue cose- e usufruendo del verde si coprì buttandosi addosso un asciugamano.
Era un lusso quello, ma uno dei benefici
dei loro traffici. Fu allora che si incamminò verso di lui con in mano i suoi
abiti e le scarpe. Snart dal canto suo non era
riuscito a toglierle gli occhi di dosso, quando affiancandola tornò con lei al
covo dove consumarono la loro cena e andarono a dormire presto in virtù della
fatica che il giorno successivo li aspettava.
Partire di buon ora, voleva dire
iniziare a muoversi quando era ancora buio. Aver dormito 4 ore era un lusso, di
quelli rari. La camminata verso il tempio era lunga e tortuosa oltre che irta
di pericoli e gentaglia che sparava addosso loro ogni dove.
Avevano scalato, attraversato fiumi con
correnti fortissime, sparato, ucciso, mossi con circospezione, ma una volta
alla base del tempio sapevano che il difficile doveva ancora arrivare.
Il problema arrivò quando vennero presi,
erano moltissimi e oltre ad averli lasciati senza nemmeno un'arma, avevano
preso a trascinarli nelle segrete. Snart agì
d'istinto nel momento in cui notò una chance di fuga e così appena liberato
prese con sé Lily e la gettò nel fiume sottostante al ponte sul quale stavano
passando e fatto di acqua e sangue...
Giunti all'unico approdo disponibile,
ove le carcasse di uomini disegnavano le pareti di quelle grotte, si dovettero
concentrare su altro per trattenere i conati, mentre furono costretti ad
attraversare una parete di gas naturale. Non pericoloso, ma forte abbastanza da
far girare la testa, per poi sgusciare dentro le celle. Lì dove Snart ci era già stato, l'unica vera cosa di cui avesse il
terrore e che era il suo incubo ricorrente.
Lily non ci pensò, avanzò come se niente
fosse, ma il suo compagno la prese in tempo abbassandola per nasconderla dietro
una roccia insieme a lui e farle segno di star zitta.
Lei magari vedeva solo prigionieri emaciati,
lui vedeva possibili assassini.
E infatti fu così... quando un nuovo
prigioniero venne buttato dentro immediatamente gli furono addosso iniziando a
sbranarlo come cani randagi e a quella vista Lily non riuscì a trattenersi dal
nascondere il suo volto nel petto di lui.
Doveva trattenere il dolore e il pianto,
ma era diventata brava a farlo in silenzio... deglutendo il vuoto.
Fu allora che involontariamente una mano
della donna incontrò la pelle del fianco di lui e al di sotto delle dita
percepì una spessa cicatrice che attirò la sua attenzione.
Snart sobbalzò, ma non dovette dirgli nulla affinché
lei capisse.
«Quando ti strappano la pelle... è un
dolore inumano... diventare la cena di persone è...» ogni giorno si chiedeva
come ne fosse uscito e ripensarci lo sconquassava da dentro.
Lily sì passò un braccio sugli occhi e
tentò di farsi forza, dovevano attraversare le prigioni per raggiungere la
porta e uscire.
«C'è u-una perdita di gas vicino alla porta,
se riuscissimo a colpirlo con del fuoco...» sarebbe saltato in aria e in
effetti del fuoco c'era... delle torce.
Snart più freddo e razionale, o per lo meno
solo apparentemente, pensò di focalizzarsi su quello che lei gli aveva fatto
notare. Il gas c'era, il fuoco anche... sarebbe stato semplice appiccare un incendio,
ma avrebbero inevitabilmente attirato l'attenzione su di loro e non avevano più
armi:non sarebbero sopravvissuti a
lungo di quel passo e con lei in quelle condizioni.
Riportò dunque gli occhi di ghiaccio su
entrambi, poi si abbassò lentamente a raccogliere un grosso sasso dal pavimento
e sfilò veloce entrambi i lacci dai suoi scarponi, assicurandoli al di sotto
del pantaloni per impedire che dessero fastidio. Lasciò un laccio a lei e ne strinse
uno lui, quindi si voltò. Approfittando del fatto che gli altri prigionieri
fossero occupati col loro spuntino, strinse il sasso e lo lanciò sull'altra
parete, colpendo l'aggancio floscio della torcia perché cadesse e liberasse il
fuoco.
Scoppiò l'inferno e afferrando Lilyper un braccio la strattonò verso l'uscita.
Entrambi si addossarono alle pareti buie appena fuori dalle prigioni, per
evitare le guardie in arrivo. Strisciarono a lungo e riuscirono a strangolarne
un paio usando i lacci e a rubare le loro armi prima di proseguire verso il
tempio. La prima esplosione ne aveva causate altre e adesso tutto era avvolto
dalle fiamme.
Corsero verso l'alto, verso la “Stanza
delle Regine”. Neppure il tempo di pensare che ce l'avevano fatta che un'orda
di guardie imperiali fu addosso loro.
Lasciò Lily incitandola a trovare la
maledetta insenatura dove infilare lo scettro che avevano messo insieme e che
avrebbe aperto il portale che serviva loro per tornare a casa. Dopo di che corse
nella direzione opposta ed attirandosi addosso quante più guardie possibili.
Scaricò tutte le munizioni dei due mitra
a quanti più riusciva a colpirne, poi passò al machete che aveva legato alla
vita.
Al segnale di Lily si creò una via di
fuga e la raggiunse. Le mani e i vestiti erano fradici di sangue ed un
proiettile che gli era penetrato in una gamba senza trovare via d'uscita
costringeva Snart a zoppicare.
Il portale si aprì e i due non ci pensarono
due volte a superarlo ignari che non erano stati i soli.
Questo capitolo è particolare? Sì. Avviene prima
degli eventi raccontanti nel capitolo precedente? Sì. Ma cos’è questo mondo? E’
sempre esistito oppure no? E’ davvero l’inferno come pensaSnartoppure un mondo a sé come pensa Lily?
Tante, troppe domande, si stanno intessendo… ma solo i nostri eroi potranno
scioglierle… E voi che teorie avete?
L’improbabile convivenza che nacque sulla Waverider fu inevitabilmente dettata dalla missione che
accomunava i due schieramenti. Da una parte la Legione e il loro scopo di
trovare e fermare tre vigilanti senza tempo e senza passato che stavano
portando morte e distruzione ovunque andassero e dall’altra le Leggende che
dovevano fare i conti con le conseguenze di una tempesta temporale che non
sapevano nemmeno di aver causato.
Le menti di tutti erano state riscritte così come i tre mondi morti e poi
rinati in uno solo.
Ora tutto era nato di nuovo e da quell’imprevedibile team-up dipendevano le
sorti dell’universo intero.
«Novità sui nostri fuggitivi?» fu la frase con la quale Mia fece notare la
sua presenza entrando nella stanza nella quale Ray
stava facendo manutenzione alla propria suit. Era
passata una settimana da quella convivenza forzata nella quale erano saltati da
un’epoca all’altra quasi senza respiro per via dei continui balzi dei loro
nemici. Non avevano nemmeno ben capito il motivo per cui facessero salti così
corti. A che scopo?
«Nessuna purtroppo, seppur Stein e Rip si sono
messi a studiare i salti che hanno compiuto finora e la loro durata. Sperano
magari di trovare uno schema e anticipare le loro mosse…»
«Speriamo. Sta divenendo molto complicato stare dietro loro quanto più
comprendere la ragione delle loro azioni…»
Nel mentre Mia aveva preso posto su uno dei tavoli da lavoro spostando
alcuni attrezzi da lavoro. Prese a giocare con un cacciavite osservando Ray si sentì in poco tempo a disagio per le sue attenzioni.
«Cosa fa arrossisce Dottor Palmer?»
«E’ difficile non farlo se tu mi fissi…» osservò lui fermandosi dal fare
quello che stava facendo solo per voltarsi verso di lei e sorridere. Da che era
arrivata avevano subito sviluppato una strana empatia che li aveva fatti
entrare in sintonia. E pensare che tutto era nata da una tazza di cioccolata
che lei gli aveva preparato…
«Sai è strano ho come la sensazione di averti già incontrato…» Ray ci aveva provato a tornare al lavoro, ma poi era finito
per tamburellare un dito sul proprio mento pronunciato con fare pensieroso. Si
perse per un attimo nello sguardo di Mia osservandola, quando quella balzando
giù dal tavolo gli si avvicinò per osservare più da vicino il suo lavoro.
«Io potrei dire lo stesso, ma avrei una spiegazione per questo…» visto e
considerato che veniva dal futuro e lo conosceva.
Aveva sempre avuto un certo interesse per lui, insomma nella sua epoca era
un uomo di poco più di trent’anni più grande di lei e si era sempre tenuta per
sé le sue considerazioni e la sua attrazione, ma in quel contesto era più difficile.
Lì lui era sempre più grande, ma di molto poco, cosa che non aiutava Mia a
mantenere la giusta lucidità e distanze in merito.
«E se ti aiutassi con panello solare che stai costruendo? Da quanto ho
capito vorresti sfruttare l’energia solare o sbaglio?»
Ray
sgranò gli occhi dimenticandosi un attimo di stare lì a rimirarla e si
concentrò sulle sue conoscenze. Sorrise infatti mostrandole l’idea che aveva
avuto e come avrebbe voluto sfruttarla con lei che pendeva praticamente dalle
sue labbra.
Connor nel mentre, dietro la porta, aveva visto tutta la scena. Una pesante
espressione disappunto apparve sul suo volto, era chiaro che avrebbe dovuto
fare qualcosa quanto prima.
«Esiste un segreto nascosto nelle pieghe
del tempo… non capite che la vostra missione era rivelarlo?»
Sara aprì gli occhi di colpo con ancora quelle parole che le rimbombavano
nella testa, non le piaceva per niente continuare a fare quei sogni anche
perché con il passare del tempo ormai la stavano privando della forza
necessaria per affrontare la missione e il suo ruolo di Capitano senza contare
che ormai sapeva di aver Rip addosso e farlo
preoccupare era l’ultima cosa che voleva. Si massaggiò dunque la tempia e alzandosi
dal letto ove si era buttata per qualche ora di riposo raggiunse il ponte di
comando dove vi era solo Mick che l’aggiornò su dove erano tutti a differenza
di lui che con una birra in mano era in pieno relax ad osservare il flusso
temporale. Fu in quel momento che un grande scossone alla Waverider
fece presente a tutti che c’era qualcosa che non andava.
«Gideon cosa sta succedendo?» chiese il Capitano
Lance aggrappandosi a uno dei sedili per non cadere a terra e riuscire così ad
assorbire lo scossone, lo stesso che aveva attirato l’attenzione del resto
dell’equipaggio che raggiunse il ponte di comando.
«Un’anomalia temporale a Central City, anno 2017. L’epicentro viene dalla
casa di Lily Stein» a quella frase dell’intelligenza artificiale Martin drizzò le
orecchie andando in pieno panico, mentre prendendo posto sul sedile incitò
immediatamente tutti a partire.
La prima cosa che Lily aveva notato una volta arrivata a casa era stato che
il giorno della sua scomparsa e del suo ritorno combaciavano. Come se fosse
uscita solo poche ore prima, cosa alquanto strabiliante che mostrava quanto il
luogo ove fossero stati aveva una struttura temporale totalmente a sé. Altra
cosa interessante era stato usare quei giorni per fare delle ricerche
approfondite su quel mondo, ancor più considerando tutto quello che in un anno
aveva appreso e soprattutto per il fatto che Leonard le aveva raccontato di
essere morto. Lei era una scienziata, credere nell’aldilà o nell’inferno non
era per lei e dunque aveva studiato una soluzione alternativa. Quei giorni però
erano serviti anche a riprendersi oltre al fatto di dare un posto ove stare a Snart che sapeva benissimo di essere fuori contesto. Così
aveva quanto meno cercato di rendersi utile nelle ricerche di Lily sempre con
quella imperturbabilità e freddezza che per la donna erano sinonimi del suo
calore e trasporto.
Appena arrivati di fronte alla casa di Stein fu inevitabile per Martin
scattare in avanti, deciso ad entrare, ma Jax lo
prese per un braccio. Non sapevano cosa avrebbero potuto trovare dentro e se i
vigilanti da loro ricercati erano lì? Agendo d’impulso avrebbero solo rischiato
di mettere Lily in pericolo.
Oltre alle due metà di Firestorm erano presenti
anche Laurel, Sara, Dawn e Connor. Fu proprio quest’ultimo a suggerire di agire d’astuzia.
Lui e la sua ragazza sarebbero entrati dal retro, Jax
e Laurel avrebbero coperto i lati e Sara e Martin
sarebbero entrati. E fu esattamente così che andarono le cose.
Lily e Leonard in quel momento erano in camera da letto a cui muri avevano
attaccato fogli e fili per ricostruire ciò che era successo loro e dare un
senso al tutto, quando i loro sensi iper sviluppati
percepirono immediatamente il movimento di qualcuno. Snart
fece dunque segno a Lily di far silenzio e con uno sguardo d’intesa entrambi
recuperarono la propria pistola dai cassetti dei comodini. Lui sarebbe sceso al
pian terreno e lei avrebbe controllato il primo piano. Si muovevano silenziosi
come predatori, ormai temprati dagli eventi, ma fu quando giunto in salotto che
l’uomo abbassò l’arma quasi divertito a chi si trovò davanti.
Lo stesso divertimento però non c’era sul viso di Martin e Sara che
saltarono sull’attenti. L’avevano appena incontrato un Leonard con la League of
Doom e non era per nulla amichevole e considerando
che lui doveva essere morto, non potevano fare l’errore due volte.
«Devono essere stati i vigilanti… ultimamente hanno continuato a saltare da
un tempo all’altro e se hanno fatto come la League of Doom?»
«Peccato che già una volta abbiamo sconfitto lo Snart
del passato…»
Disse una Sara divertita. Forse era meglio che facessero i compiti a casa i
loro nemici perché quello stratagemma con loro l’avevano già usato. In quel
momento un onda d’urto sbatté al muro Snart senza che
poté rendersi conto in tempo per evitarla, si trattava dell’urlo di Laurel che con Jax avevano appena
fatto irruzione nella casa.
Nello stesso momento però anche Dawn e Connor giunsero nella stanza, quest’ultimo tenendo bloccata
Lily che avevano trovato gironzolare con la cucina e aveva puntato l’arma conto
di loro. L’avevano disarmata, ma questa si liberò facilmente dalla loro presa,
stupendo Martin per le sue abilità, e corse da Leonard aiutandolo a rimettersi
in piedi.
«Ma cosa diavolo vi è saltato in mente? E chi si-» ma le parole le morirono
in gola quando vedendo Sara e il padre corse incontro a quest’ultimo
abbracciandolo. Per lei era passata una vita intera dall’ultima volta che
l’aveva visto e il terrore che non avrebbe più potuto rivederlo l’aveva
straziata.
Ciò che successe successivamente fu un dejà vù
per Martin e Jax che guardandosi l’un l’altro per un
attimo rimasero storditi.
C’erano loro seduti sul divano, c’era Lily e perfino il vassoio con una
tazza di caffè per tutti i presenti.
Il professore sbatté le palpebre più e più volte come per svegliarsi da un
sogno.
«Ti prego non mi dire adesso che sei sposata con lui e avete dei figli!»
sbottò dal nulla facendo calare il silenzio nella stanza e gli occhi di tutti
addosso. Nemmeno lui sapeva perché lo aveva detto ad essere sincero. Snart fu l’unico a ridacchiare divertito, mentre Lily
sembrava preoccupata per la salute mentale del padre.
«Tutto bene grey?» gli chiese dunque Jax, prima che la figlia scuotendo il capo cercò di riprendere
il discorso che aveva iniziato.
«Come vi stavo dicendo… io e Leonard ci siamo incontrati in un’altra
realtà…»
Per quanto Sara aveva accordato di non prendere provvedimenti contro di
lui, perché Lily insisteva che potevano fidarsi, ciò non toglieva che i suoi
occhi erano sempre ben fissi sulla sua figura che con le braccia incrociate se
ne stava appoggiato alla colonna del salotto osservando tutti i presenti.
Incuriosito soprattutto dalle mini-Leggende.
«Quindi tu non sei il nostro Snart?»
«Oh no, sono proprio io ad essere sincero. L’idiota che si è immolato per
distruggere l’Oculus… peccato che Hunter si è
dimenticato di dirci che quell’aggeggio non controllava solo il libero arbitrio
del tempo…»
«Ehm… cosa?» chiese Jackson che ormai si era totalmente perso.
«Quello che Leonard vuole dire…» cercò di metterci una pezza Lily «… è che
l’Oculus è un micro cosmo a sé. Un mondo a sé. Lo
stesso in cui lui ci è finito quando lo ha distrutto e nel quale io sono stata
prigioniera per un anno… in definitiva l’Oculus è…»
«Un segreto nascosto nelle pieghe nel tempo…» concluse infine Sara che si
era estraniata da tutti e a cui era tornata in mente una delle frasi che
ultimamente la tormentava nei suoi incubi e di cui adesso era certa: erano molto
più di semplici sogni.
Incredibilmente direi che la storia sta
prendendo forma nella mia mente e credo lo si noti da come contro ogni
previsione stia postando anche relativamente in fretta. Questo vuol dire che la
storia c’è anche se nemmeno io so che sviluppi avrà xD
Diciamo che questa è una mia terza stagione che come sempre prevede, in un modo
o nell’altro, il ritorno di Snart. E pensare che ero
convintissima che in questa seconda parte lui e Lily non ci sarebbero stati, ma…
a quanto pare non so stare senza di loro!
«Se continueremo ad imbarcare persone di
questo passo sulla Waverider non ci sarà più spazio
personale!»
Rip
sapeva benissimo di divenire in certi contesti particolarmente spigoloso e mal
tollerante, ma da che era abituato a viaggiare da solo con Gideon
a divenire un gruppo improbabile di ben quattordici personaggi ce ne passa di
acqua sotto i ponti.
Tutta però la sua voglia di sfogarsi cessò nel momento in cui, entrato
nella camera sua e di Sara, notò questa seduta sul letto ad osservare la foto
di lei e sua sorella che sempre teneva accanto al comodino.
«Ti chiederei se stai bene, ma conosco la risposta…» esclamò lui facendogli
notare la sua presenza, visto e considerato che ciò che aveva detto prima non l’aveva
scalfita dalla sua posizione e i suoi pensieri.
«Dormo male ultimamente…»
«Lo so. Dormo accanto a te lo dimentichi? Sara per l’amor del cielo vuoi
dirmi cos’hai?»
Rip non
aveva resistito oltre, ci aveva provato a non pressarla. La conosceva, ma dall’altra
parte non riusciva nemmeno a dimenticare ciò che per lei provava e questo lo
portava a diventare assillante. Fu così che inginocchiandosi per terra le mise
una mano sul ginocchio, mentre con l’altra le prese il mento per costringerla a
guardarlo.
«Dimmi che anche tu non hai avuto dei continui dejavù da che abbiamo incontrato la Legione prima e Lily
e Snart poi…»
«E con questo cosa c’entra tua sorella?» gli chiese anche a costo di
sembrare brusco e fu allora che lei gli porse la foto, come se sperasse che lui
notasse le stesse evidenze. Era palese no? Doveva esserlo altrimenti era pazza…
«Non lo noti?»
«Cosa?»
«Guarda meglio!» disse spazientita Sara senza smettere di picchiettare il
vetro della piccola cornice, ma Rip continuava a non
capire.
«Non trovi che ci sia dell’ovvietà che la Laurel
della Legione è una Black Canary esattamente come mia
sorella? Non ti sembra che si assomiglino impressionantemente? Non senti un
certo legame a lei ogni volta che ti guarda?»
La donna si passò una mano tra i capelli biondi esasperata da quel senso di
impotenza reso ancora più difficile dalla totale assenza di una reazione da
parte di Rip. Questo la guardò ancor più in ansia e
quando la vide imprecare a denti stretti, le prese la foto dalle mani solo per
risistemarla al suo posto per sedersi al suo fianco e costringerla verso di
lui.
«Non c’è niente di peggio di apparire come una pazza ai tuoi occhi…»
«Ma non lo sei!»
«Non lo sono? Hunter per l’amor del cielo comprati uno specchio e così
noterai come mi guardi. Ma cosa posso aspettarmi, sembra che nessuno percepisca
quello che sento io…» e non voleva essere così brusca e nemmeno aggressiva, ma
la situazione non aiutava e nemmeno il fatto che lui avesse iniziato a
guardarla con occhi diversi da quella notte in cui preda al panico gli aveva
fatto promettere di aiutarla nel salvataggio di qualcuno che non sapeva nemmeno
chi fosse, ma che non voleva perdere. Di nuovo. Era la consapevolezza di sapere
in cuor suo a cosa si riferisse, ma lucidamente non aveva una risposta. Da
allora aveva cercato di seppellire l’evento, di far finta che tutto andasse
bene, ma in quegli ultimi giorni i suoi sogni e il fatto che questi
incredibilmente si intrecciassero con gli eventi presenti l’avevano portata a
riflettere meglio sul tutto.
«Ho la sensazione perenne di star rivivendo degli eventi, quanto ti aver
memoria di cosa mai successe… Ma accade solo a me e questo mi sta facendo
perdere la ragione…»
Rip le
prese le mani, solo per non obbligarla a tenersele sul capo. La comunicazione
tra loro era sempre stata più a gesti che a parole, tanto che ogni evoluzione
del loro rapporto era avvenuta senza che ci fossero grandi chiacchiere prima. Come
la prima notte che avevano passato insieme per poi lentamente divenir normale
condividere la stanza, farla divenire pian piano la LORO stanza ed infine convivere
come una coppia non solo quando erano in intimità, ma anche con gli altri. Era
successo e basta.
«Posso non capire cosa sta succedendo, ma mi fido del tuo istinto e lo sai.
E’ chiaro che c’è qualcosa che non va in tutta questa storia, ma allo stesso
tempo per qualche motivo tu lo comprendi…»
Sara si morse il labbro e poi intrecciò la sua mano a quella di lui, si
chiedeva ancora quando era stato il momento preciso in cui si era resa conto
che quell’uomo fosse tanto importante per lei. Il che era buffo perché fino a
prova contraria si era convinta che le piacessero le donne, ma a quanto pare l’amore
finiva sempre per fare di testa sua. Un po’ come lei!
«Come so per certo che Battleworld esiste…»
«E che è un segreto che i Signori del Tempo hanno occultato…»
«Ed è possibile?» fu allora che lei si voltò totalmente verso di lui, una
gamba piegata sul letto ed entrambe le sue mani intente a giocare con quella di
Rip. Lo faceva sempre quando era nervosa o
pensierosa, lì distante dagli occhi di tutti. Con lui ormai aveva capito che
poteva permettersi il lusso di abbassare le sue difese, di mostrarsi fragile e
insicura senza mai rischiare che lui usasse questo contro di lei. Certo non era
stato facile, ma era stato naturale e questo era stato ancora più bello.
«Non mi stupirei, non sarebbe né il primo né il loro ultimo segreto e ora
che sono stati sconfitti…»
«Si è aperto il Vaso di Pandora…» lui assentì facendo spallucce, per poi
prendere una sua mano e portarsela alle labbra e poggiare sul suo dorso un
lieve bacio.
«Snart e Lily hanno detto che Battleworld
è una realtà a sé e che questa era rinchiusa dentro l’Oculus.
Il primo vi è stato risucchiato quando lo ha distrutto e l’altra vi ci è stata
portata come prigioniera. Ma ora l’Oculus non esiste
più, quindi non doveva cessare di esistere questo mondo?»
«Ho letto le ricerche della Stein e se le sue teorie sono giuste, e cioè il
fatto che fosse una sorta di campo prigione dei Signori del Tempo in cui esiliavano
i loro nemici, allora credo avranno pensato a un sistema per far sì che Battleworld continuasse ad esistere anche senza l’Oculus. Non sarebbe impossibile e magari ora questa realtà
è distaccata dallo spazio e dal tempo…»
Sara era molto pensierosa su questo presupposto tanto che non riuscì
immediatamente a formulare una risposta, la stessa che anche e volendo avrebbe
dovuto attendere perché Jax li andò a chiamare
avvisando loro che avevano appena ricevuto un SOS dal passato e più
precisamente dalla Justice Society del 1944.
Amaya Jiwe aveva conosciuto le Leggende nel 1942
in un incontro/scontro tra loro e la Justice Society
che era poi sfociata in una lunga e proficua collaborazione per sconfiggere la
League of Doom, tuttavia dopo la fine di tali eventi
e la palese relazione amorosa che aveva sviluppato con Nate Heywood
i due erano avevano deciso di vivere la loro vita tornando al punto della
storia da cui Amaya era stata presa. A quanto pare era vero che il destino se
doveva compiersi lo faceva in un modo o nell’altro perché appena qualche mese
dopo il loro arrivo nel passato la donna aveva scoperto di essere incinta.
Fu dunque una grande sorpresa quando le Leggende, rivedendo i loro amici,
li trovarono non solo a capo della Justice Society,
ma anche genitori di un’adorabile bimba di appena un anno e mezzo e che portava
il nome di Jeanne-Mari Heythwood-Jiwe, quella che Ray sapeva sarebbe stata poi la madre della Vixen conosciuta da lui a Star City.
Per quanto tutti fossero molto felice di vedersi e vi furono delle
necessarie presentazioni da fare con il resto del team aggregato, scoprirono
che il motivo per cui i loro amici li avevano chiamati era serio e direttamente
collegato lì dove da tutto era iniziato: dalla missione della Legione.
«Hanno ucciso due dei vostri membri?» chiese un Ray
alquanto sconvolto dalle informazioni che i suoi amici gli avevano dato. Ancor
più perché era rimasto impressionato di come avevano fatto il possibile per
rimettere insieme la Justice Society dopo il suo
smembramento dovuto alla dispersione dei vari membri nelle varie epoche per
proteggere ognuno un frammento della Lancia.
«Esatto.
Sylvester Pemberton aka Star-Spangled Kid e Wesley Dodds
aka Sandman. Io e Nate ci siamo dati molto da fare una
volta tornati nel 1942 per ridare lustro ai principi della JSA. Quello che non
ci aspettavamo è che considerata la nostra segretezza, visto che per il Governo
e nessun altro esistiamo più, abbiano potuto colpirci così direttamente»
«E’ curioso perché la nostra missione come Legione nacque proprio per degli
omicidi di alcuni membri della Justice League…»
esclamò Donald sovrappensiero senza nemmeno pensarci.
Erano tutti radunati nel grande salotto di casa Heythwood-Jiwe
all’ultimo piano in uno dei pochi grattacieli di Star City. Loro che comunque
vivevano in Zambesi e usavano quel lussuoso appartamento come base per la JSA.
«Justice League?» chiese curiosa Amaya, mentre Dawn lanciava un’occhiataccia al fratello e preferendo
evitare l’argomento. In quella stessa stanza c’era passato, presente e futuro
era meglio non fare altrettanti danni.
«Concentriamoci sulla missione…»
«Allen ha ragione!» esclamò Snart che seduto su
uno dei tre grandi divani si sentì di fare un appunto.
«Posso chiedervi come sono stati uccisi?»
«Stiletti di ghiaccio. Assurdo lo so, ma abbiamo fatto ricerche e non
esiste nessuno qui che abbia la tecnologia per qualcosa del genere…»
Rispose un Nate che istintivamente strinse maggiormente il fianco di Amaya.
Sapeva da Sara che quello era il loro originario Snart
e non quello che loro avevano affrontato come nemico, ma ai suoi occhi rimaneva
sempre e comunque quello che –seppur in un'altra realtà- aveva ucciso la donna
che amava.
«E tanto meno possono essere meta umani!» chiarì Stein, mentre ai membri
della Legione sembrava essersi accesa una lampadina al fronte di tali
rivelazioni.
«Interessante… perché nel nostro
futuro esiste un meta umano che può controllare il ghiaccio. Vi genera
qualsiasi cosa: proiettili, missili, stiletti… si fa chiamare Icicle…»
Fu proprio mentre Laurel metteva al corrente gli
altri di quell’informazione che a Sara arrivò una comunicazione della nave, che
condivise immediatamente con Rip passandogli il
messaggio che gli era arrivato sul dispositivo mobile della stessa, prima di
fare lo stesso con il resto del gruppo.
«Vi comunico ufficialmente che i vostri tre ricercati sono morti…»
«COSA?» domandò JJ, collegandosi lui stesso con la Waverider
e ricevendo la notizia direttamente da Gideon.
«Saturn Queen, Black Mace
e Starfinger sono stati trovati morti… uccisi da del
ghiaccio?»
Mentre tutti rimasero sconvolti dalla piega che la situazione stava
prendendo, Snart e Lily scattarono in piedi attirando
l’attenzione di tutti.
«Sono questi i tizi che cercavate?»
«Sono gli stessi di cui ero prigioniera!»
Si stava scatenando il caos, lo stesso che aveva già portato tutti a
parlare l’un l’altro per capirci qualcosa, creando però solo ulteriore confusione.
Ecco perché a Rip non piaceva essere in troppi, poi
si finiva così! Si alzò dunque in piedi e urlando un sonoro «SILENZIO» cercò di
prendere in mano la situazione.
«Riassumiamo!» esclamò prendendo a fare avanti ed indietro, mentre tutti
gli sguardi erano su di lui.
«Il Signor Snart e la Signorina Stein sono stati
in una realtà chiamata Battleworld che altro non è
che una terra di esilio creata dai Signori del Tempo all’interno dell’Oculus. Voi due ne siete scappati, da quello che ci avete
detto, aprendo un portale… Possibile dunque che a vostra insaputa qualcuno vi
abbiamo seguito…» e fino a lì il ragionamento sembrava filare, al che Rip si fermò e voltandosi verso i ragazzi riprese «… a quel
punto in qualche modo a noi sconosciuto questi hanno iniziato a saltare nel
tempo. Uccidendo nel vostro futuro dei membri della Justice
League e successivamente altre persone nel tempo… voi li avete inseguiti e
avete incontrato noi che insieme abbiano continuato la caccia senza mai
trovarli...» ricapitolando le cose in quel modo tutto iniziava ad aver senso e
fu proprio per questo che Sara si alzò e affiancandolo prese la parola.
«Perché nel mentre sono stati uccisi da Icicle…»
proseguì voltandosi verso Nate e Amaya.
«Che deve dunque aver viaggiato anche lui nel tempo nello stesso modo
inspiegabile dei precedenti tre vigilanti e ha ucciso i membri della Justice Society…»
Tutto ora aveva senso, ma la domanda era: perché? E oltretutto come era
possibile che i primi assassini erano divenuti poi vittime? Passando così il
ruolo di giustizieri di eroi a un altro vigilante?
«Sembra quasi sia una catena no? Io uccido qualcuno fin quando non vengo
ucciso e il mio posto viene preso da qualcun altro…» l’osservazione di Mia fu
alquanto interessante, soprattutto considerando che questo aveva fatto venire
in mente a Ray qualcosa.
«Come una sorta di possessione che passa da un soggetto all’altro…»
Fu allora che tutti lo guardarono, lui aveva solo dato voce a un pensiero,
ma forse ci aveva preso.
«Dobbiamo recuperare i cadaveri e analizzarli!» disse immediatamente Stein.
Era macabra come cosa, ma era un punto d’inizio.
«Inutile dire che qui siete a casa vostra. Non sono previsti incontri della
JSA e qui c’è spazio per tutti…»
«Grazie Amaya, ora come ora credo che la cosa migliore sia in effetti
fermarci e fare il punto della situazione prima di intraprendere qualsiasi
altro viaggio…» rispose Rip alla donna, anche perché in
cuor suo non era sicuro di poter condividere gli spazi della Waverider con quindici persone!
Tutto sommato sembra che sono riuscita a
trovare un equilibrio tra il mio libro in lavorazione e la fan fiction.
Stamattina ad esempio ho scritto più di metà di un capitolo del mio manoscritto
e poi oggi pomeriggio mi sono dedicata a questa storia. Spero che l’inspirazione
non mi abbandoni perché per entrambi i progetti ho tutto in mente! Dopo tanto
saltellare qui e là ho voluto fermarmi un attimo e fare il punto della
situazione tanto per i nostri eroi, quanto per noi poveri lettori! Dunque ora
abbiano delle informazioni più chiare in mano, ma mancano ancora moltissime
cose da scoprire e in qualche modo non vi pare che Sara sembra essere la chiave
di tutto? Continuate a seguirmi e lo scopriremo insieme!
Dormire era divenuta impresa quasi
impossibile per Lily in quanto da che era tornata alla “normalità” non era più
riuscita a fare più di due ore di fila di sonno e tutto per colpa di quella
abitudine -acquisita in quell'anno- a stare sempre con un occhio mezzo aperto e
sul chi va là. A Battleworld dormire era un lusso e
appena aveva avuto modo di capire che non poteva permetterselo non era più
riuscita a riposare e anche una volta tornata a casa le cose non erano
cambiate.
Ciò che le era successo era stato così inspiegabile e complesso che si era
gettata nella ricerca di una risposta logica per non impazzire, anche rivedere
suo padre l'aveva spinta ancora più a fondo in quella situazione, lo stesso con
cui solo qualche ore prima l'aveva presa da parte approfittando del momentaneo
istante di calma che avevano e le aveva chiesto di raccontargli ogni cosa di
quello che le era successo. Lily era stata un fiume in piena perchè aveva bisogno di quel confronto, lo stesso che
Leonard aveva avuto con Mick e Ray davanti ad una
birra. Entrambi sorpresero i loro interlocutori non solo per il racconto di
quel posto orribile, ma anche e soprattutto per il legame invisibile ma ferreo
che tra loro si era andato a creare.
Fatto sta che saranno state le forti rivelazioni di quel giorno o la lunga
chiacchierava avuta con il padre, ma per la prima volta Lily sentiva di essere
stanca abbastanza da riuscire probabilmente a dormire più di due ore. Il mega
loft di cui poi erano ospiti nel 1944 era a dir poco meraviglioso grande
abbastanza per dare ad ognuno la propria intimità, ma al contento anche per
farli sentire tutti vicini. Si vedeva che era nato non come appartamento, ma
come quartiere generale di un gruppo di eroi.
Lily che finalmente tra le braccia di Morfeo inspirava profondamente il
sapore dolce di quella notte serena, sognava che mani forti le stavano
accarezzando il fianco, fino a scendere sulla sua gamba lasciata nuda dalla
sottoveste che indossava, la stessa che si alzò quando quella mano tornava
verso il suo fianco per pizzicare la sua pelle. Le labbra calde poi stavano
torturando il suo collo e lei mentre si lasciava trasportare in quel seducente
sogno si permise di biascicare un nome... «Leonard»
Lo stava sognando come ultimamente le capitava spesso di fare, seppur si
vergognava al solo pensiero. Sognava di sentirsi sua. Sognava i suoi consigli e
le sue parole. Sognava la sua presenza, la stessa che era reale...
Sì perchèSnart era
davvero steso dietro di lei e tutto ciò che lei percepiva non era sogno, ma
realtà. In quel lungo anno in cui erano stati costretti vicini si era sempre
comportato da gentiluomo senza però riuscire a rinnegare quella forte
attrazione che ormai a doppio filo lo legava a lei. L'aveva domata, ma forse
come qualsiasi essere umano si giunge ad un punto di rottura e il suo era
arrivato in quella notte, spingendolo ad entrare nella sua camera e sedurla
senza preoccuparsi che lo stesse facendo mentre stava dormendo.
Si era permesso di osservarla mentre dormiva profondamente per poi
decidersi a cercare il contatto con quel corpo che tanto aveva sognato...
Disteso dietro di lei l'aveva scoperta abbastanza da poterla incontrare le
sue gambe e il suo fianco, prima di liberarle il collo dai capelli e sfiorarlo
delicatamente con le labbra. Sorrise malizioso sulla sua pelle, nel sentirla
mugugnare il suo nome nel sonno e allora insistette con le carezze che, dal suo
braccio, passarono alla sua schiena, scivolarono su un suo fianco e andarono
sul suo ventre.
Fu allora che spostandosi indietro le permise, una volta riaperti gli
occhi, di voltarsi verso di lui e poggiare completamente la schiena sul
materasso.
Nell'incontrarsi i loro occhi si concatenarono, mentre in silenzio le loro
mani si intrecciarono per poi quelle di Snart
scivolare più giù, fino ai suoi polsi e facendo una leggera pressione bloccarli
contro il cuscino.
Il respiro di Lily si fece corto per la sorpresa e l'eccitazione, mentre
guardandolo si sentì incapace di muovere anche un solo muscolo. Era davvero
così sorpresa? Eppure non aveva fatto altro che sognare che quel qualcosa prima
o poi tra loro accadesse e così, mentre lo sentiva bloccarla lei si morse un
labbro nervosa per poi schiudere a bocca quando quella di lui incontrò la sua.
Un bacio che velocemente di casto perse ogni connotato per divenire sempre
più profondo e cercato, quanto le loro mani fecero nei confronti dei loro
indumenti per toglierseli. I loro corpi nudi iniziarono a danzare nudi e concitati
perfettamente accordati, comei loro
cuori.
Il corpo di Lily era percorso da fremiti che non aveva mai conosciuto,
mentre lei diveniva creta nelle sue mani. Le stesse che adesso le stavano
facendo conoscere paradisi inesplorati, luoghi in cui credeva fosse impossibile
arrivare, seppur legati a qualcosa che già conosceva.
Fu impossibile per lei tentare di mantenere anche solo un briciolo di
lucidità e mentre sentiva il proprio corpo che rispondeva agli stimoli
ricevuti, lo sguardò negli occhi scoprendo improvvisamente come lei appariva al
suo sguardo.
Cosa aveva di speciale? Cosa, se lei si vedeva come la ragazza più
ordinaria di questo mondo?
Ma il flusso di pensieri di Lily era confuso, come per Snart
che si sentiva perso in un viaggio fatto di molte sfumature iniziato con un
pizzicore diffuso, che era poi cresciuto in un calore sempre maggiore eche infine era esploso nel piacere più alto
che esistesse, come se tutto fosse meraviglioso, come se non esistesse altro
che l'amore.
Loro che adesso madidi di sudore erano privi di forze e di energie, sdraiati
uno vicino all'altro e stretti in un abbraccio fatto di spossatezza e gioia
infinita.
Per Leonard lei era la creatura più sensuale e meravigliosa su cui avesse
mai posato gli occhi perchè era pura, innocente,
addirittura ingenua sotto molti punti di vista, ma era proprio questo,
quell'innocenza e quella grazia che l'ammantava anche nel momento del più alto
piacere che la rendeva così sensuale e perfetta ai suoi occhi. Una calamita che
lo attraeva con la forza di mille titani, come nient'altro e nessun'altro era
mai riuscito a fare prima di lei. E non si trattava di un gioco, anche se
poteva sembrarlo. Lei che ai suoi occhi appariva come
il diamante più grezzo che esistesse e che era grato di essere riuscito a
rubare così da poter tenere con sé. Solo per sé. Per sempre. Cercò le sue
labbra e la baciò una volta ancora, assaporando il suo sapore e ammaliato
totalmente anche dalla sua mente fine e la sua intelligenza travolgente.
Il suo gesto impulsivo, quel suo essersi intrufolato in quel modo in camera
sua non era stato un intento di metterla a disagio, ma solo di renderla
consapevole di quanto fosse potente il suo impatto su di lui sotto ogni punto
di vista, di quanto davvero lui appartenesse a lei così come lei apparteneva a
lui. Di quanto dipendesse da lei così come lei dipendeva da lui. Di quanto -a
dispetto delle apparenze- lui stesso fosse creta nelle sue mani e non soltanto
lei creta nelle sue. Voleva che assaporasse la sensazione di invincibilità che
provava ogni volta che la guardava, che sperimentasse su di lei e dentro di lei
tutto il calore che sapeva accendere in lui. Come un fuoco, impossibile da
domare, impossibile da soddisfare completamente, che tornava a ripetizione e
chiedeva ancora di più, ancora lei.
Lily che rossa in volta, per via della sua pelle chiara, aveva una mano al
suo viso e lo stava accarezzando per poi scendere sul suo dorso sul quale vi si
appoggiò sentendosi piena di una forza mai avuta.
«E adesso cosa succede?» chiese lei improvvisamente rompendo quel momento
di lungo silenzio che era stato riempito solo dai loro gemiti e dai loro
mugugni.
«Quello che è successo in questo ultimo anno: continuiamo questo percorso
insieme...» quello era il modo algido e criptico di Leonard per dirle che
voleva stare con lei, che non voleva vivere quella vita che gli era stata data
senza di lei al suo fianco. Non ne sarebbe valsa la pena e Lily questo lo capì,
perchè cercando di nuovo le sue labbra si lasciarono
trasportare nuovamente dal turbinio della passione.
Se da una parte la notte di Leonard e Lily era stata movimentata per un
motivo, dall’altra anche quella di Mick fu assai particolare seppur non
piacevolmente uguale.
Dopo la birra con il suo ex partner e Ray aveva
iniziato a girovagare per quel pezzo di antiquariato come il suo solito troppo
curioso per non mettere il naso in giro, quando per qualche ragione la sua
attenzione venne attratta da una porta posta in fondo al lunghissimo corridoio
che dal salone partiva e si snodava per tutto quel grandissimo appartamento.
Seguendo il marmo bianco a terra e le pareti di legno era arrivato in una
piccola scatola di cioccolatini, così la definì considerando il mogano a terra,
alle pareti e fino al soffitto, cui al centro faceva da padrona una tavola
rotonda degna di Camelot.
Ridacchiò divertito poggiandoci sopra la bottiglia di birra ormai vuota e
notando che la stessa era intagliata con la scritta “Justice
Society of America”.
«Un’idea dello storico…» pensò divertito notando come tutto in quella stanza era maestoso partendo
dal tavolo, fino al ritratto alla parete con tutti i membri della JSA e perfino
agli espositori che tutto intorno custodivano armi e divise dei singoli membri.
Sempre il solito esibizionista amante di queste cose patriottiche!
Ridacchiò già pronto ad andarsene, quando con le spalle alla stanza e sulla
soglia della porta un bisbigliare attirò la sua attenzione fino a farlo
indugiare per un attimo. Credette però che fosse solo un cigolio del legno e
quindi non gli diede peso, ma quando quello insistette tornò sui suoi passi e
incapace di contenere il suo interesse cercò di capire da dove diavolo
arrivasse fino a capire che quel sussurrare che lo aveva attratto proveniva da
uno strano casco dorato racchiuso in una delle teche.
Ovviamente non era da lui lasciar perdere e aprendola, nessuna era chiusa a
chiave, pessima idea se hai un ladro come ospite, lo prese in mano. I sussurri
divennero più forti e insistenti ed era già lì lì per
avvicinarselo maggiormente al volto come in uno stato di trans in cui non si
era nemmeno accorto di esservi caduto che qualcuno glielo strappò dalle mani
rimettendolo al suo posto.
«Dovresti stare più attento a dove ficcanasi Mick!» lo avvertì un’Amaya
alquanto indispettiva, ben felice di rimettere il casco al suo posto e questa
volta chiudendo la teca con la chiave che teneva alla catenina al collo.
«Ehi ehi calma! Non stavo facendo niente di male,
davo solo un’occhiata…»
La risposta di Mick era stata rilassata come lui stesso era non trovandoci
nulla di così sconvolgente nella sua azione. Ma la donna non era della stessa
idea. Aveva appena finito di mettere apposto alcune cose quando in procinto di
raggiungere suo marito e andare a dormire, aveva notato la porta della stanza
delle riunioni aperta e si era ritrovata di fronte a quella scena.
«Kent Nelson non sarebbe del tuo stesso avviso…» rispose lei prendendo la
bottiglia vuota dal tavolo e invitando Mick ad uscire con lei a questo punto
curioso di sapere di più.
«Nelson?»
«Dottor Fate. Quello è Nabu e la sua magia mostra
il fato. Il suo potere però è tale da portare alla pazzia chi lo indossa e
Nelson…»
«Fammi indovinare: ha perso qualche rotella?»
«E’ morto!»
Chiuse il discorso Amaya che augurando buona notte alla Leggenda entrò
nella sua stanza chiudendosi la porta alle spalle, ma lasciando Mick confuso
nel corridoio. Per un istante, ancora immobile, si voltò ad osservare l’uscio
della stanza in cui poco prima era, poi però scosse il capo e proseguendo a
camminare raggiunse la sua camera.
«Ted Grant aka Wildcat, Alan
Scott aka Lanterna Verde e Abigail Hunkel aka Red Tornado…»
Aveva pronunciato Martin Stein attaccando le radiografie del capo dei tre
vigilanti del futuro.
« Sylvester Pembertonaka
Star-SpangledKid e Wesley DoddsakaSandman…»
proseguì Lily attaccando a sua volta le radiografie della stessa parte del
corpo anche dei due vigilanti del passato.
A questo punto anche quelle di EveAriesakaSaturn
Queen, Mick Yardreighaka
Black Mace ed Edmond Hamilton akaStarfinger vennero aggiunte alle altre.
Alle loro spalle i cadaveri delle otto vittime coperte da lenzuoli, e
recuperati dalle Leggende in varie parti del tempo, in attesa di essere analizzati…
tuttavia forse non avrebbero avuto bisogno.
Laurel e Dawn stavano osservando il lavoro dei due
scienziati al di là del vetro che divideva il laboratorio messo loro a disposizione
dalla Justice Society e l’ambiente in cui loro si
trovava, una sorta di anticamera dello stesso.
La mattina era iniziata di buona lena per tutti che su indicazione di Sara
aveva indirizzato ogni persona verso un compito preciso per ottimizzare gli
sforzi e approfittare del fatto che numericamente era in netta maggioranza
contro chi, a quanto pare, era solo un assassino solitario.
«Novità?» chiese Sara speranzosa prendendo alle spalle le due giovani
eroine della Legione, mentre l’attenzione di tutte e tre venne catturata da
Lily che aprendo la porta del laboratorio le invitò ad entrare.
«Forse!» esclamò. L’interfono era aperto e dunque aveva sentito la domanda
di Sara e dopo uno sguardo d’intesa con il padre, questo iniziò a parlare
indicando alle nuove arrivate le radiografie delle loro vittime.
Non fu difficile notare immediatamente che qualcosa le accomunava: un Ω
sulla fronte.
«E’ un omega?»
«Esatto! Prima di iniziare le autopsie abbiamo chiesto a Gideon di fornirci tutti gli esami e quando abbiamo visto
questo non abbiamo avuto la necessità di aprire i cadaveri…»
«Per fortuna…» aggiunse Lily che nonostante lo sapesse fare, se fosse stato
necessario, era ben lieta di averlo potuto evitare.
«Ma cosa significa?»
«E’ quello che dobbiamo scoprire!» sentenziò infine Sara.
A questo giro un po’ di spazio se lo sono preso
Leonard e Lily, ma a ben vedere aggiungo io che sono alquanto piacevolmente
sorpresa della scena che ne è derivata. Come ben sapete io sono solo una mera
narratrice di eventi che ad un certo punto prendono la loro strada e io non
posso fare a meno semplicemente di descrivere… Questa coppia non ricordo
nemmeno come mi è nata nella mente, ma ormai la amo cose se fossecanon!
Aspetto vostri commenti e voi che mi dite… avete già capito con cosa hanno a
che fare i nostri eroi?
Rip e Ray abbigliati come si concerneva nel 1944 erano usciti per
recarsi all’ospedale lì dove dopo aver fatto una breve ricerca sulla Waverider per trovare Icicle ne
avevano scoperto la sua identità, Cameron Mahkent, e
di conseguenza che una persona con lo stesso nome era registrata al Country General
di Star City proprio nel 1944. Andare a dare un’occhiata era dunque d’obbligo.
Mentre i due uomini camminavano per le vie della città, perfettamente mischiati
con le persone del luogo, fu inevitabile per entrambi scambiare due parole che
però con la missione non avevano assolutamente niente a che fare.
«Ho notato che tu e la Signorina Mia andate molto d’accordo…» il tono del
Capitano Hunter era del tutto casuale, anche se ovviamente di occasionale non
aveva assolutamente nulla. Era un’osservazione più che precisa dettata da
quello che aveva visto nel tempo in cui erano stati costretti a stare con la
Legione, di cui conoscevano solo i nomi e non i cognomi per non officiare il
loro futuro.
«Oh sì devo ammettere che è estremamente brillante e simpatica e hai
assaggiato la sua cioccolata è la fine del mondo…»
La bellezza di Ray era la sua totale ingenuità
nel rispondere e nel parlare, tipica di chi non ha notato il tono, al
contrario, indagatore di chi gli aveva porto la domanda. Tuttavia gli bastò
lanciare uno sguardo al compagno di viaggio per notare che c’era un non so che
di malizioso nel suo sguardo.
«Aspetta stai forse insinuando qualcosa… ehm… oddio Rip…
no! Avrà vent’anni meno di me!»
Palmer era totalmente sconcertato, mentre grattandosi il capo si mise a guardare
la strada di fronte a lui un poco a disagio.
«Questo non lo devi dire a me, ma a lei… Credo che la Signorina Mia sia
alquanto a attratta da lei Signor Palmer…» e quella era una constatazione.
Mia non era una bambina, vent’anni potevano essere tanti, come essere assai
pochi se si contava che non erano nemmeno vent’anni precisi, ma qualcosa di
meno… E Ray non poteva negare che fosse estremamente
bella e sensuale e con un carisma dal quale era difficile rimanere
indifferenti. Scosse però vistosamente il capo, a cosa stava pensando?
Oltretutto non sapeva nemmeno chi lei era per lui nel suo futuro e non poteva
permettersi dunque di fare nessun pensiero di nessun tipo…
«E di Laurel cosa mi dici?» chiese
improvvisamente Ray deciso a cambiare totalmente
argomento.
«Non capisco…»
«Ho notato una certa affinità tra lei e Sara… il suo nome e il suo essere
Black Canary immagino l’abbiano confusa…»
«Non immagini quanto!»
In quel momento fu Rip a divenire pensieroso
togliendosi un attimo il cappello che aveva indosso e giocherellandoci.
«Mi preoccupa… è… non so nemmeno come spiegarlo, ma è coinvolta… ecco non
so che altro termine usare… sembra quasi che lei sappia qualcosa che però
nemmeno lei riesce a comprendere…»
«Bè non è l’unica, forse tu non te ne sei accorto Rip,
ma anche tu interagisci con Laurel in modo diverso.
Ad esempio non la chiami “Signorina” come fai con Mia o Dawn
e hai sempre un trattamento di favore con lei che sia assegnandole la camera
migliore della nave o preferendola alle altre per alcuni compiti…»
Il Capitano Hunter rimase sconcertato di fronte a tale considerazione. Lo
faceva davvero? A lui non sembrava minimamente, ma forse questo era dettato dal
fatto che la sua attenzione ultimamente era unicamente e inequivocabilmente
solo su Sara.
Entrambi erano riusciti a mettersi a disagio l’un l’altro così che giunti
di fronte all’ospedale furono ben lieti di avere altro a cui pensare.
«E Snart?» chiese improvvisamente Ray alzando il capo per osservare l’imponente edificio cui
di fronte si trovavano.
«Gideon ha confermato che è il nostro Snart. Niente versione alternative, alterate o future o
passate…»
«Quindi davvero i Signori del Tempo hanno creato una terra di esilio senza
tempo dentro l’Oculus…»
«Ormai non mi stupisco più di niente…»
Rip fece
spallucce, come già aveva fatto precedentemente pronunciando quella frase e con
Ray entrarono nell’ospedale. Fu facile farsi
indirizzare verso la camera di Cameron Mahkent, ma
non servì loro entrare per capire perché fosse lì, in quanto la sua cartella
medica era appesa fuori dalla porta e prendendola la lessero.
«Dubito che il Signor Mahkent possa esserci
d’aiuto…» annunciò Hunter passando la cartella a Palmer che dunque lesse che il
loro sospettato era lì in quanto in coma vegetativo.
«Il nostro ospite ha cambiato corpo…» perché ormai sembrava del tutto
chiaro che avevano a che fare con un’entità. Non c’erano più dubbi.
I due erano già pronti ad andarsene quando una luce dorata attirò la loro
attenzione, proveniva da sotto la porta della camera e dopo essersi guardati
non esitarono ad entrare per scoprire un vigilante mai visto che con la mano tesa
sul viso di Icicle sembrava stesse estirpando da lui
qualcosa. L'uomo dallo strano casco dorato si accorse di loro e dopo averli guardati
una forte luce dorata li investì, la stessa che fece perdere i sensi a Rip e Ray e che una volta
ripresasi non trovarono traccia di quello strano individuo. Che fosse stata
un’allucinazione?
Sara era incredula del racconto di Rip e Ray al loro ritorno, ma meno lo fu Nate che assistendovi
raccontò loro di come solo la sera prima Amaya aveva proprio visto Mick
armeggiare con il casco e di come incredibilmente potente fosse. Senza contare
che Nabu aveva la brutta abitudine di far perdere la
ragione a chi lo indossasse, questo ovviamente gettò nel panico tutti i
presenti, anche se Nate fece presente loro anche un’altra cosa da non
sottovalutare: era il casco a scegliere chi dovesse divenire Dottor Fate e
seppur a suo dire non esisteva una spiegazione logica sul perché avesse scelto
proprio qualcuno come Mick, ciò non toglieva che se adesso così era stato avere
dalla loro i suoi poteri poteva essere un gran vantaggio.
Le parole dello storico non avevano in alcun modo però placcato l’ansia di
Sara che una volta raggiunta la sua camera per mettere ordine alle idee, per
poco non si prese un colpo nel vedere proprio Dottor Fate aspettarla.
Nonostante sapesse ci fosse Mick dietro a quel casco, era come se lui fosse
solo un mezzo attraverso il quale Nabu agiva in
quanto i suoi occhi brillavano dorati e la postura era retta ed elegante ben
lontana dall’immagine del compagno di squadra che lei aveva.
«Ha creato grande concitazione il mio ritorno…» esclamò con la voce roca e
bassa di Rory eppure con un piglio calmo e preciso
che lo rendeva assai diverso.
«Scegliere Mick? Coraggioso da parte tua…» si trovò ad esclamare divertita
la donna chiudendosi la porta alle spalle e poggiandosi alla scrivania posta di
fronte al letto, mentre Dottor Fate preferì non muoversi da davanti la finestra
da cui guardava fuori con sguardo assorto e le mani dietro la schiena.
«Vedo al di là di quello che voi vedete e per questo il Signor Rory è stato scelto. Ciò a cui date la caccia va oltre alla
vostra conoscenza…»
«E tu invece? Sai di chi si tratta?»
«Di cosa sarebbe meglio dire… anche se una volta era solo un uomo che il
potere e l’oscurità ha consumato… Ascoltami bene Captain
Lance quello che ho visto in Icicle oggi ha risposto
ai miei dubbi, al motivo che mi ha spinto a cercare un ospite…»
Dottor Fate parlava calmo, tranquillo ed estremamente preciso spostando lo
sguardo dal paesaggio oltre al vetro allo sguardo cristallino della donna che
lo osservava.
«Una realtà che non ricordate ha svelato il segreto nascosto nelle pieghe
del tempo... ma Battleworld è la causa, non la
conseguenza...»
L'uomo sospirò come se fosse stato testimone di ciò e la sua voce piena di
amarezza e sconfitta, lo testimoniava.
«Questa è una guerra ben più antica del tempo stesso tra due luoghi ormai
persi e dimenticati: Nuova Genesi e Apokolips. Io ho
vissuto nel primo e abbiamo tentato di fermare un'ascesa dettata solo da un
desiderio di conquista privo di qualsiasi morale e virtù della seconda. Nulla
andò come doveva e il sovrano avversario si diffuse nel tempo come una piaga
costringendo i Signori del Tempo a costruire un mondo intero per
imprigionarlo...»
«Battleworld» esclamò Sara sentendo che tutto
iniziava ad avere un senso.
«Ma lui divenne un Dio anche lì, un sovrano come lo era ad Apokolips...»
«Con l'arrivo di nuovi prigionieri esiliati dai Signori del Tempo a Battleworld ebbe dunque solo maggior persone da soggiogare
e su cui comandare...»
«Traendo forza dalla loro disperazione e dolore...» concluse Dottor Fate
conoscendo la pazienza con la quale aveva agito. Disposto anche a passare
l'eternità in quel lento recupero prima di poter poi fuggire. Perchè adesso ora questo era... fumo nero, male puro,
oscurità intangibile che plagiava le anime e ne usava i corpi per i suoi scopi.
I tre vigilanti fuggiti da Battleworld dunque erano
stati solo il mezzo per poter finalmente scappare dalla sua prigionia... Lui
che abilmente aveva approfittato dell'arrivo di Lily Stein in quel mondo per
darle gli indizi per aprire quel portale che a lui era stato vietato, per
impedirne la fuga. Tutto era stato abilmente studiato nei minimi particolari.
Dottor Fate osservò lungamente Sara che stava elaborando tutte quelle
informazioni che come un fiume in piena l'avevano travolta concedendole a
malapena di respirare.
«Perchè stai dicendo questo a me?»
«Perchè il tempo ti ha scelta anche se tu non lo
ricordi o forse sì?» stava forse indugiando sui suoi sogni? Gli stessi che,
come lei stessa credeva, c'entravano con tutta quella storia?
«Forze misteriose e malvagie hanno complottato per indebolire il tessuto
del tempo e separarne gli eroi… Voi ne avete salvato l’ascesa… Ma ora che i tre
universi sono stati uniti e la battaglia finale è alle porte è ora che tu
ricordi Sara Lance...»
Dottor Fate alzò la mano in direzione della donna che, prima che poté
difendersi in qualsiasi modo, venne accecata da un forte lampo di luce. L'ultima
cosa che Sara vide fu Ankh e poi perse i sensi.
«Un giorno voi vi rivelerete al mondo,
molto più di oggi... come squadra, come eroi riconosciuti in ogni angolo del
mondo e non solo come vigilanti o meta umani... Allora quel giorno sarà in
un'altra età diversa da questa... sarà la Silver Age dell'eroismo... voi
porterete speranza nel domani e insegnerete a chi oggi vi vede solo come
giustizieri ad accoglierla. Sarete una fonte d'ispirazione per il domani... lo
stesso che avete già incontrato»
Il salto nel futuro che JJ fece con il
suo anello della Legione passò inosservato per tutti, qualcosa di estremamente
facile visto e considerato in quanti erano e di come tutti erano occupati nelle
più svariate attività. Nemmeno i suoi compagni sapevano di tutto ciò, lui che
era molto più di un semplice membro di quella squadra…
Camminando per i lunghi corridoi bianchi
e neri che si snodavano come una serpentina sotto Star City, JJ dava l’impressione
di sapere esattamente ove andare. Lui che tra quei corridoi era nato e si
sentiva a casa, la stessa che era divenuta tale quando una volta grande passava
più tempo lì con i suoi genitori che in qualsiasi altro posto. Chi lo
incrociava a quell’ora tarda della notte non si poneva domande sul perché della
sua presenza era del tutto normale vederlo gironzolare ad ogni ora, oltre il
fatto che il suo ruolo –alto in gerarchia- lo rendevano al di sopra di
qualsiasi sospetto o domanda.
Tuttavia eliminata l’area centrale della
base operativa che colorata in bianco e nero faceva ben intendere che fosse una
sorta di zona comune, l’ala ovest era tutta nera e quella est –ove si stava
dirigendo- completamente bianca.
Quello era il cuore pulsante dell’intelligence
e a capo ve ne era una donna capace, decisa e con una mente da stratega che la
rendeva perfetta per il ruolo di Regina Bianca.
Il suo ufficio, ovale e analogo alla
forma di quella del Presidente degli Stati Uniti, era in stile liberty ed era l’unica
stanza dell’intera organizzazione personalizzata con le foto della famiglia
sulla scrivania e dei fiori freschi che ogni mattina venivano cambiati.
Caratteristica principale dell'ufficio
erano anche le forme organiche, le linee curve, con ornamenti a predilezione
vegetale o floreale dei mobili e le immagini orientali, soprattutto le stampe
giapponesi, con forme altrettanto curvilinee, superfici illustrate, vuoti
contrastanti e l'assoluta piattezza di alcune stampe ai muri per dargli
personalità.
E anche se la base era sottoterra e non
vi entrava luce delle fini finestre di vetro colorato ornavano la parete dietro
la scrivania così che la luce che dei neon entrava desse la sensazione, seppur
per finta, di essere naturale.
Quando JJ entrò nella stanza la Regina
Bianca lo stava aspettando, ma non seduta dietro la rigida scrivania quanto su
uno dei due divani posti di fronte ad essa in stile art nouveau.
Due tazze di tè e alcuni biscotti per rendere quella chiacchierata ancor più
piacevole, mentre allungando una mano invitava il giovane a sedersi di fronte a
lei per poi versargli un po’ di liquido ambrato nella tazza.
«Hai fatto un buon lavoro…» c’era
orgoglio nella sua voce, mentre alzando lo sguardo gentile lo posò su JJ.
«Zucchero?»
«Una zolletta»
C’era così tanta normalità e familiarità
tra loro, tanto che quando la Regina Bianca prese la sua tazza tra le mani si
permise di saggiare per un lungo momento il sorso che aveva appena preso, prima
di continuare a parlare.
«Cercare le Leggende e metterle sulla
strada di Darkseid, fornire alla Stein e Snart gli indizi necessari per scoprire di Battleworld e assicurarti che la JSA si unisse a loro in
questa battaglia ha fatto sì che la missione fosse compiuta. Era tutto ciò che
volevo che tu facessi. Si sta formando un esercito di nuovi eroi dall'unione di
tre generazioni degli stessi e avremo bisogno di loro se vogliamo sopravvivere
all'Apocalisse che si sta avvicinando…»
E quello era una constatazione frutto
del duro lavoro della sua sezione che era arrivata ad avere tutte le info
necessarie per capire esattamente contro chi fossero e quale fosse l’unica
strategia per batterlo.
«Quindi ora anche loro fanno parte della
Suicide Squad?»
«In un certo senso...» esclamò la donna.
Non aveva mai amato quel nome, ma forse descriveva esattamente ciò che erano, perché
mettersi contro Darkseid voleva dire compiere un atto
suicida «Forse non con condizione di causa... ma è stato necessario agire in
questo modo e lo sai...»
«Sì madre…»
JJ sorrise alla donna che gli aveva dato
la vita e che insieme a suo padre lo avevano reso l’uomo retto e giusto che era
fiero di essere. C’era poca trasparenze in quel loro agire, lo sapeva, ma come
diceva Macchiavelli “Il fine giustifica i mezzi”.
Sono sempre stata
dell’idea che una volta superata la metà di un racconto, il resto del percorso
da compiere è in discesa e in parte è vero in quanto questo capitolo si è
scritto quasi completamente da solo… siamo sempre più vicini alla conclusione,
ma ancora tante verità da scoprire ci sono lungo il cammino. E voi fino a
questo punto che ne pensate? Non esitate da farmelo sapere!
La scena che Rip
si trovò di fronte una volta raggiunta la camera da letto assegnata a lui e a
Sara fu proprio quest’ultima priva di sensi sul pavimento e al suo fianco Mick
nelle stesse condizioni. Il casco di Nabu giaceva poco
lontano ormai privo della sua luce e di quei bisbigli che avevano attirato a sé
la Leggenda. Il suo compito, per ora, era finito.
Senza perdere tempo entrambi vennero portati sulla Waverider
per un controllo da parte di Gideon e se la diagnosi
sul Signor Rory indicava che si sarebbe ripreso in
fretta in quanto la possessione da parte di Nabu non
gli aveva causato danni, dall’altra Sara sembrava come caduta in una sorta di
coma… anche se Gideon l’aveva più definito come un “essersi
persa nella sua mente”. Ripallora ripensò a come ultimamente più e più
volte l’aveva vista distante, pensierosa e confusa… Lui che troppo poco aveva
dato peso ai suoi tormenti e che adesso era intenzionato più che mai a porre
rimedio ai suoi errori.
«Entrare nella sua mente?» la domanda di Ray era suonata preoccupata, ma non del tutto così priva di
senso.
«Un po’ come io e Sara abbiamo fatto per
salvarti insomma…» ricordò Jax.
«Esattamente! A quanto pare la magia di Dottor
Fate le ha fatto qualcosa e a detta di Gideon ora lei
è bloccata nella sua stessa mente. Devo salvarla, come lei ha salvato me…»
Seppur solo le Leggende era presenti in quel
momento in infermeria, anche qualcun altro era corso per capire la situazione e
fino a quel momento era rimasta nascosta dietro la parete, nel corridoio,
capendo però che ora doveva mostrare la sua presenza.
«Vengo con te!»
La sorpresa del gruppo fu assai grande quando Laurel
fece mostra di sé e della sua decisione, rafforzando l’idea di Ray che lei fosse sì collegata a Sara e Rip
più di quanto loro riuscissero a vedere.
«Mi sentirei di dirti che è pericoloso e che forse non dovresti venire, ma
ho come la sensazione che sarebbe fiato sprecato…» e questo al Capitano Hunter
lo fece sorridere. Era come una sorta di déjà-vu e solo allora si rese conto di
quanto il Signor Palmer avesse ragione, di quanto diversa ai suoi occhi lei era
da tutti gli altri suoi compagni.
Laurel dal canto suo non poté che non sorridere all’uomo, come a volerlo
rassicurare non solo che non doveva preoccuparsi per lei, ma che insieme
sarebbero riusciti a salvare Sara: la donna più importante della vita di
entrambi.
«Sarà meglio allora che iniziamo subito, più la Signorina Lance rimarrà in
coma e più a fondo andrà la sua coscienza…»
Il professore Stein non aveva perso tempo e aveva messo tutti in riga per
iniziare subito il procedimento, uno che avrebbe portato Rip
e Laurel lì dove Sara era finita per la magia di
Dottor Fate e non per punirla o per farle del male… ma per aprirle gli occhi
sulla verità…
«Mi considero un insegnante di dure
lezioni. Sono Sara Lance aka White Canary e Dottor Fate i ha detto delle cose e poi mi ha
spedito in questo posto. Ha parlato di una “nuova minaccia” oscura e potente
come un Dio e io tra me e me ho riso. Perché c’è sempre una “nuova minaccia”.
Cavalchiamo l’onda d’urto delle conseguenze da una guerra all’altra. Un
interminabile schieramento di tiranni e invasori.
Ho passato gran parte della mia vita in
preda alla rabbia, al dolore e alla paura per la perdita della mia vita come la
conoscevo prima e per la morte di mia sorella poi. Ho intrapreso una crociata
contro il crimine, alimentata dalla tristezza e dalla sete di vendetta. Di rado
le crociate nate dal peccato portano alla vittoria. Assicurare seconde
occasioni. Scegliere la vera giustizia. Sono valide fondamenta su cui costruire
la mia nuova vita. Le parole che un giorno Jax ha
detto mi riecheggiano in testa “…quelli che non hanno mai chiesto di finire
sulla linea di tiro”. L’onda d’urto di conseguenze involontarie viene percepita
soprattutto da chi sta a terra. Dalle persone normali che incontriamo sul
nostro cammino, quelli che mandano avanti il nostro mondo»
In uno spasmo infinito di immagini tutto venne
improvvisamente a galla, tutto tornò chiaro e preciso nella coscienza di Sara,
la stessa che per osmosi colpì anche quelle di Rip e Laurel.
Corse a perdifiato gettandosi in ginocchio di fianco
al corpo morente della figlia, mentre sollevandola appena prese a cullarla e a
cercare il suo sguardo così identico a quello di sua sorella.
«Ehi…»
«Shh, non ti sforzare…»
ormai Sara piangeva eppure nonostante questo cercava di sorriderle, come se
potesse davvero darle un qualsivoglia conforto sporca di sudore e sangue
com’era.
«A-avrei preferito… e-essere una B-Black C-Canary migliore…» riuscì appena a sussurrare Laurel, scoprendo che le costava moltissima fatica parlare.
«Lo sei stata… hai fermato Thawne…»
La ragazzina strinse forte la mano della madre
poggiata sul suo ventre cercando di non piangere, non voleva che lei per
qualsiasi ragione si sentisse in colpa e poi dopotutto pensava che preferiva di
gran lunga morire così che consumata dalla malattia un giorno dopo l’altro fino
a diventare solo il fantasma di quello che era stata.
«T-Ti voglio b-bene mamma…»
«Te ne voglio anche io Laurel…»
Il respiro della giovane divenne sempre più corto e
tremante fin quando dopo l’ennesimo spasmo cessò per sempre. Rip giunse in quel preciso momento, felice che il piano
fosse riuscito e di fronte all’evidenza che a quanto pare i due regnanti
stavano finalmente ritirando i loro eserciti mettendo fine a quell’incubo, ma
ogni proposito di gioia morì di fronte a una scena che non era pronto a
rivivere.
Per l’ennesima volta era costretto a vedere il corpo
esamine di un figlio morire in guerra, per mano di chi era stato così meschino
da uccidere solo per il gusto di farlo.
Immediatamente aveva raggiunto Sara e si era
inginocchiato al suo fianco, mentre i rumori della battaglia cessavano e gli
eserciti si ritiravano.
Avevano vinto o forse no?
Fu in quel momento di infinita
disperazione e tristezza che la realtà prese a distorcersi e portare Sara e Rip in una singolarità fuori dal tempo e dallo spazio.
Ancora scossi e feriti nel cuore quanto nella
mente i due si resero conto dello strano evento e alzandosi in piedi si
guardarono intorno. Il corpo di Laurel era scomparso
come tutto ciò che li circondava lasciando spazio solo a un’infinità di nebbia
e luce che rendeva impossibile sapere se quello fosse un luogo fisico o meno.
Incontro loro arrivò un’entità
bellissima e solare dalle fattezze di Laurel che per
un momento illuse Sara che lei fosse ancora viva, ma quando tentò di
abbracciarla capì che anche lei era solo un’illusione. Lei che sorrideva,
serena e bellissima nel suo lunghissimo ed elegantissimo abito di piume
bianche.
«Esiste un segreto nascosto nelle pieghe
del tempo… non capite che la vostra missione era rivelarlo?»
Ora tutto era divenuto finalmente e di nuovo chiaro,
capiva che il motore che l’aveva spinta fino a quel punto era stato un
futuro/presente/passato che per qualche motivo sia lei e il mondo intero
avevano dimenticato grazie al sacrificio di Laurel e
al suo salvare il tempo stesso, colui che crudele e magnanime nello stesso
momento aveva continuato ad esistere, ma privandoli della vita di come l’avevano
conosciuta fino a quel momento, di ricordi dolorosi e bellissimi in egual modo.
Il tempo non le aveva concesso di riavere indietro Laurel,
sua sorella, ma l’aveva ripagata portando a lei un’altra Laurel,
una figlia che sentiva di amare più della sua stessa vita seppur ancora non la
teneva in grembo. Era stato l’eco dell’amore che in lei aveva lasciato a
segnarla come la prediletta per salvare l’ascesa degli eroi da Darkseid. Da questa forza oscura cui suoi unico desiderio era
di distruggerli per poter finalmente salvare il suo mondo, la sua realtà e il
suo tornare a primeggiare su tutto e tutti.
«E’ dunque questo che dobbiamo impedire? Che Darkseid sovrascriva la nostra realtà con la sua creata
nell’Oculus?»
La domanda di Sara aleggiava nelle sale deserte del
covo di Arrow, lì dove improvvisamente non fu più sola perché di nuovo il tempo
aveva deciso di affrontarla sempre con il volto di Laurel,
ma questa volta non sua figlia, ma sua sorella.
«Vuole portare un futuro agli abitanti di Blattleworld che adesso aleggia in un limbo senza spazio e
senza tempo…»
Sara era convinta che avrebbe boccheggiato di fronte
alla presenza di sua sorella nelle vesti di Black Canary
eppure l’affrontò con una calma e una serenità che quasi stentava a credere di
avere.
La vide seduta su uno degli scalini del covo, di
fronte ai manichini che conservavano le divise dei vari membri dell’Arrow Team
e avvicinandosi prese posto accanto a lei.
«Un limbo?»
«Un limbo» confermò Laurel «Uno
in cui nessuno dei suoi abitanti ha futuro e in cui le storie di tutti sono
state sospese in attesa di un finale. Ma se i Signori del Tempo, su mia
richiesta, hanno fatto questo è perché non esiste futuro per loro che non sia
solo di distruzione del tempo e dello spazio stesso…»
«E’ questa la grande minaccia di cui ci avevi messo
all’erta…»
Laurel assentì per poi voltarsi verso Sara e allungare una
mano sul suo ventre piatto e scolpito dal duro allenamento.
«In te sta germogliano il seme di una nuova
generazione di eroi… impedite a Darkseid di
distruggerla… la Silver Age dell’eroismo dipende da questo…»
Sara avrebbe voluto farle molte altre domande, ma ciò
che aveva appena scoperto era così sconvolgente che appena aveva fatto in tempo
a toccarsi il ventre per metabolizzare ciò che le era stato detto, che di nuovo
era completamente sola nel covo.
Si alzò in cerca di Laurel,
ma l’unica cosa che vide fu su uno dei manichini la divisa di Black Canary accanto alla sua di White Canary
e dall’altra parte ancora la fantomatica giacca di Rip.
Fu allora che nuovamente cercò il contatto con il suo ventre e capì quanto
tutto ciò che le serviva per andare avanti, per affrontare quella minaccia e
sconfiggerla fosse sotto ai suoi occhi. Era sempre stata Laurel
il motore della sua intera esistenza e come lei l’aveva salvata una volta, ora
sarebbe toccato a lei salvarla… così come lo aveva promesso a sé stessa anche
quando l’aveva dimenticata…
Rip e Laurel non avevano avuto la fortuna di arrivare al centro
della coscienza di Sara lì dove lei pareva attualmente al sicuro, tant’è che
dopo lo scossone dovuto alla marea di ricordi che lei aveva acquisito
nuovamente i due si erano dovuti riprendere a fatica. Come conseguenza del suo
flusso di pensieri anche le loro menti erano state influenzate rendendo
improvvisamente tutto chiaro a Rip di ciò che lo legava
come Sara a Laurel e a lei e dell’esistenza misera
che era la sua vita prima di cambiare.
Avrebbero voluto fermarsi a riflettere su tutto ciò,
ma il luogo in cui era non lo permetteva. Era freddo e oscuro e solo in quel
momento si resero conto di come erano circondati da teschi appesi a bastoni e
tutti che riportavano sul capo il tetro marchio Ω.
«A quanto pare anche qui Darkseid
ci perseguita…»
«E’ stato un viaggiatore per lungo tempo prima di
finire nell’Oculus in esilio, chissà quante persone ha
plagiato con la sua forza oscura… chissà quante di queste Sara ha
inconsapevolmente incontrato nella sua vita e ucciso…»
Rip
aveva appena dato quella risposta che guardando Laurel
era rimasto molto sorpreso di come sapesse quelle cose, ma il “come fosse
possibile” era presto detto. Erano nella mente di Sara dunque tutto ciò che lei
sapeva per via di Dottor Fate o chiunque altro le avesse dato quelle informazioni,
la sapevano anche loro.
Bisbigli improvvisi li circondarono a tutto tondo e fu
chiaro ad entrambi che quel luogo abbandonato ove si trovavano erano i recessi
più oscuri della mente Sara. Quelli in cui aveva rinchiuso i fantasmi del suo
passato che con fatica aveva seppellito. Nulla poterono contro di essi tant’è
che cedendo alla loro forza vennero trascinati al cospetto di colei che li
dominava: Sara. Ma una Sara diversa da quella che conoscevano. La Sara
assassina, la Sara piena di rancore e odio che era mossa fin dentro le viscere
da un unico desiderio: la sete di sangue.
Indossava una lunghissima veste nera strappata, le
maniche a pipistrello, due ali di kajal agli occhi,
il rossetto color pece e i lunghissimi capelli biondi tutti tirati indietro. Lei
che con un solo gesto della mano aveva fatto portare via la ragazzina, mentre
giungendo alle spalle di Rip lo aveva tirato per i capelli,
scoprendo il suo collo che accarezzò con la lama del suo pugnale.
«Dove la stai portando?»
«Se sei preoccupato della sua sorte…» un colpo dietro
le ginocchia e lo costrinse a terra «… fai bene, ma non c’è nulla che tu possa
fare per lei…»
Sara si allontanò da lui guardandolo a terra
sofferente e confuso.
«Non puoi immaginare quanto io ti odia Capitan Hunter…»
esordì la donna, giocando con la punta della lama che teneva in mano.
«Da quando hai conosciuto Sara e l’hai portata sulla “via
giusta” questa è divenuta la mia gabbia dorata. Mi tiene chiusa qui, lontano
dai suoi pensieri, alla mercé dei suoi incubi peggiori… abbandonata a me stessa…
questa è stata la mia punizione… e tutto per colpa tua…»
«Io ti ho salvato…» bastò quella frase di Rip per accecare Sara dell’unico sentimento tanto forte
quanto l’amore: l’odio. Gli fu addosso e colpì con tutta la forza che aveva in
corpo più e più volte fin quando il suo viso si deformò e lo costrinse a sputare
sangue.
«No tu mi hai mandato in esilio, ma qui comando io e
presto scoprirai cosa questo vuol dire…»
Una minaccia che la donna sussurrò al suo orecchio
tenendolo per il bavero, prima di lasciarlo andare e farlo cadere a terra.
Il viaggio verso i gironi infernali dell’anima di Sara
Lance era solo all’inizio…
Lo so lo so ci ho
messo un po’, ma finalmente eccomi qui! Ho avuto dei giorni davvero pieni che
mi hanno tenuto lontano dallo scrivere un po’ perché fisicamente impegnata e un
po’ perché la testa era concentrata su altri problemi. Non che questi ancora si
siano risolti, sono legati alla possibilità che il mio prossimo progetto
letterario salti per colpa di terzi, ma quanto meno rimettersi nella fan
fiction mi ha distratto un po’… Mi sono gettata dunque nella storia, in questa
scena che avevo in mente da giorni e l’ho scritta… Protagonisti assoluti la
Famiglia Hunter. Come sempre aspetto vostri commenti e critiche, io dal canto
mio non smetterò di metterci anima e core in questa storia!
Quando Rip era
stato trascinato via, mai avrebbe creduto che sarebbe giunto in una sorta di
Nanda Parbat fittizia, frutto della mente di Sara, ove la versione di lei
Assassina regnava come una Regina e dove la sala principale del palazzo era
stata trasformata in una sorta di arena. Lì dove, dal suo trono oscuro, osservava
i contendenti lottare fino all’ultimo sangue. Tutti i presenti erano persone
che la Sara Assassina considerava nocivi per la sua esistenza, le stesse che
avevano permesso che la sua parte malvagia perisse. Ecco dunque che Oliver
Queen e Laurel Lance stavano combattendo uno contro l’altra,
fin quando la seconda non riuscì ad uccidere l’arciere senza alcuna pietà sotto
gli occhi inorriditi di Rip, rinchiuso in una delle
gabbie poste intorno all’area di combattimento, e di Laurel
che in quel momento era stata portata ad assistere alla scena.
Non riusciva a credere ai suoi occhi e non solo perché
si trovava di fronte alla sua zia defunta di cui portava il nome e conosceva
ogni cosa, ma perché adesso sua madre le stava chiedendo di combattere contro
di lei. Rip aveva preso a battere le mani sulla
gabbia disperato, cercando di evitare il peggio –se uno di loro due fosse morto
nella mente di Sara, sarebbe morto anche nella realtà- e poi perché non poteva
credere che la donna che amava potesse chiedere una cosa del genere a sua
figlia. La stessa che inorridita e spaventata come non lo era mai stata in vita
sua, aveva gli occhi bassi ad osservava il corpo senza vita di suo zio Oliver
venir portato via. Certo non era la realtà, ma spaventava in egual modo. Combattere
poi contro la sua omonima voleva dire combattere ad armi pari, sapeva
cavarsela, ma in egual modo non era certo suo desiderio ucciderla a sangue
freddo e senza un motivo. Farlo, seppur per finta, voleva dire comunque andare
contro i suoi principi ecco perché quando riuscì a metterla spalle al muro,
contro la gabbia in cui il padre era rinchiuso, fece cadere l’arma che le era
stata data per combattere e si rifiutò di mettere fine alla sua esistenza. Una
cosa che non piacque minimamente a Sara Assassina che con un solo gesto della
mano mise silenzio tra i suoi sudditi e alzandosi dal suo trono raggiunse la
ragazzina squadrandola da capo a piedi disgustata.
Sguainò il suo pugnale e minacciosamente lo puntò
verso di lei non prima che l’urlo della stessa e di Rip
squarciò il silenzio venutosi a creare quando questa trafisse il costato della
sorella mettendo fine alla sua esistenza.
«L’hai uccisa senza motivo… perché?» mai in vita sua Laurel si era sentita tanto impotente e spaventata,
piangeva non riuscendo a sopportare la vista della sua stessa madre che agiva
in quel modo. Sapeva che quella era l’oscurità che in lei celava e che con
fatica aveva seppellito, ma mai avrebbe creduto fosse tanto malvagia.
«In un’arena, da che mondo è mondo, un solo
combattente sopravvive. Oh… stupida ragazzina, quando imparerai che uccidi o
vieni ucciso? E’ sempre stato così!»
«Forse per questa versione di te, ma mia madre… lei mi
ha insegnato tutt’altre cose!»
Bastò quella frase per infastidire Sara Assassina che
con uno schiaffò di dorso ben assestato fece voltare il capo a quella nullità
per poi prenderla per i capelli e costringerla a guardarla.
«Non lo hai capito? Io sono tua madre… Questa sono la
vera io e… Oh questo è il tuo ultimo atto di clemenza, la prossima volta se
mancherai di dare il colpo di grazia lo stesso lo riceverai direttamente da me…»
La sua voce pungente trafisse le orecchie e il cuore
della ragazza che una volta lasciata andare barcollò fino ad appoggiarsi alle
sbarre della gabbia di Rip che non poté fare a meno
di cercare per quanto possibile le sue mani e stringerle. Da quanto non provava
un dolore simile? Forse da quando aveva perso Miranda e Jonas e aveva preso
consapevolezza che non aveva potuto fare niente per salvarli, ma questa volta
sperava che la storia fosse diversa. DOVEVA essere diversa.
I combattimenti proseguirono per ore e ore, le stesse
nelle quali Laurel, nella gabbia accanto a quella del
padre, assistettero inermi. Era sotto shock era innegabile, un conto dopotutto
era sapere che un tuo genitore aveva avuto un passato violento e macchiato dal
sangue, ma un altro conto era vederlo con i propri occhi.
«Quella non è Sara…» esclamò improvvisamente Rip, come se stesse leggendo il corso dei pensieri di sua
figlia. Lo disse con lo sguardo per quanto rassicurante nei suoi confronti e un
sorriso appena accennato.
«Ne sei sicuro? Forse questa è davvero lei…» quanto
faceva male pensarlo? Tanto!
Perché lei aveva conosciuto una madre affettuosa una
che nei ricordi che aveva vissuto –e anche quelli che aveva recuperato di un’altra
linea temporale- sempre aveva combattuto per la sua famiglia. Una donna
coraggiosa, onesta, retta che sì le aveva insegnato a combattere e difendersi,
ma che l’aveva anche istruita a non uccidere per piacere né per vendetta. Che l’aveva
inculcato il senso della giustizia e le aveva sempre detto che l’amava sopra
ogni altra cosa.
Una madre che mai l’avrebbe educata a suon di violenza
e sofferenza, che mai l’avrebbe minacciata di morte solo per renderla più
forte.
Quindi sì Laurel Hunter
iniziava a dubitare, ad essere terrorizzata che quella fosse la possibile
realtà celata dietro a dei sentimenti che ora temeva fossero stati solo una
facciata e il suo sguardo non riusciva a nasconderlo. Lo stesso che, velato di
lacrime silenziose le scorrevano sulle gote e che Rip
asciugò con una mano che aveva fatto passare tra le sbarre. Dandole così una
carezza e un conforto.
«Ho paura papà… ho paura che questa sia davvero la
mamma e noi non possiamo fare nulla per salvarla…» ed ecco che tutta la sua
corazza di vigilante venuta dal futuro crollò e in quel momento si mostrò
solamente per la figlia spaurita che era, che non riusciva a dividere la realtà
dalla finzione e che aveva chiamato “papà” un uomo che ancora non lo era.
Ma questo rese Rip più
forte, nuovamente la donna che amava e sua figlia avevano bisogno di lui, ma se
con Vandal Savage aveva fallito ora non lo avrebbe
fatto.
«La salveremo e sai perché? Perché lei non è tua madre…
tua madre è la donna che anche quando non ricordava la tua esistenza mi ha
fatto promettere di salvarti… questa è tua madre Laurel
e non permettere alle circostanze di fartelo dimenticare…»
Indubbiamente sarebbe stato più facile a dirsi che a
farsi, ma questo è ciò che doveva a sua figlia. Non doveva essere lei a salvare
i suoi genitori, non è compito di un figlio. Ora lo capiva, ora lo percepiva e
avrebbe preso in mano la situazione per quanto complicata fosse! Ma il tempo
delle promesse era finito anche perché nel momento in cui gliela aveva fatta
delle guardie erano venute a prenderlo per portarlo al cospetto di Sara
Assassina in un’altra stanza, in un altro immaginario, ora quello della
prigione di vetro della Waverider.
Lei seduta sulla panca e lui in ginocchio di fronte a
lei. Una Sara Assassina però diversa, che negli occhi nascondeva il desiderio
di riportare a galla qualcosa che con tanta fatica Rip
aveva invece archiviato.
«Non deve essere facile stare nuovamente nella
posizione di incapacità di salvare la donna che ami e la tua propria progenie...»
la sua voce melliflua metteva con piacere il dito nella piaga, ma Rip non era intenzionato a cedere.
«Non ho complessi di inferiorità... non funzionerà
questo tuo giochetto con me...» il Capitano Hunter ne era più che sicuro. Dopo
che la League of Doom lo aveva spezzato si era reso
conto di essere molto più forte, ma la sua carceriera non sembrava del stesso
avviso infatti ora sorrideva soddisfatta piegandosi un poco verso di lui.
«Ed eccola lì la rabbia che cercavo... il tuo lato
oscuro che con tanta fatica cerchi di celare. Ti racconti ancora la storiella
che fu solo frutto di Thawne? Oh no caro Rip, lui ha tirato fuori solo qualcosa che già c'era...
appena nascosta sotto la superficie...» e lì Sara sapeva di aver colto nel
segno lo vedeva per come aveva abbassato lo sguardo a disagio di fronte a
quell'argomento.
«Ho visto quello di cui Darkseid
è capace...» una frase buttata lì per caso, ma solo apparentemente, perchè ottenne l'effetto sperato: Rip
era tornato a cercare il suo sguardo.
«Tu che cosa sai di lui?»
«Quello che il Dottor Fate molto gentilmente ci ha
mostrato. In passato lo avevo già conosciuto, grazie a lui sono diventata ciò
che Sara con tanta fatica ha cercato di mettere da parte. Nemmeno lo ricordavo
il che è buffo, ma anche normale... Darskeid scivola
silenzioso dentro le anime peccatrici... e la mia, bè non sono mai stata una
santa!»
Sara si era alzata in piedi e adesso camminava
circolarmente intorno a Rip, quasi divertita.
«Certo all’epoca la sua influenza era minima, la
prigionia lo ha indebolito, seppur mai fermato nella sua crociata e adesso… Darskeid mi ha cercato o meglio ha cercato me, quella parte
che Sara tenta di tenere a bada e... bè mi ha promesso di ridarmi il controllo
totale, se lo aiuto a risolvere un piccolissimo problema...»
«White Canary...»
Per Rip stava iniziando a
divenire chiaro il perchè fosse finito lì con Laurel. Se Sara Assassina avrebbe vinto, la chiave per la
vittoria -la parte buona di Sara- sarebbe andata persa. Tutto si posava sulle
sue spalle.
«Darkseid ha delle ambizioni
per il tempo come lo conosciamo... I Signori del Tempo possono averlo momentaneamente
bloccato, ma ora che è libero riprenderà esattamente da dove ha lasciato e Battleworld diventerà l'unica realtà esistente...»
«... perchè è l'unica in cui
sa che può vincere...»
Rip
ricordava molto bene i racconti del Signor Snart e
della Signorina Stein, come attraverso il vizio e la disperazione aveva
ottenuto un potere senza pari. Aveva creato un acropoli di dei oscuri che
tenevano in mano la sorte degli uomini e che attraverso il loro dolore
accrescevano il loro dominio.
«Ancora illusi di poterlo battere?»
Sara Assassina lo aveva chiesto davvero divertita
quando inginocchiandosi di fronte a Rip liberò i suoi
polsi dalle catene solo passandoci sopra con una mano.
Sua la mente. Sue le regole.
«Sono milioni gli uomini pronti a cedere al suo volere
e tu sei uno di questi...»
L'indice di Sara aveva preso ad accarezzare il viso
tumefatto di Rip che al suo tocco tornò sano, mentre
lei si mordeva un labbro. Quasi eccitata.
«So esattamente cosa stai cercando di fare...»
«E tu sai che è la verità... è tutto nella tua storia.
Quando Miranda e Jonas vennero uccisi... la rabbia, il desiderio di vendetta...
li senti ancora vero? Quella forza oscura che ribolle, sotto la superficie e ti
terrorizza...» lo vedeva nei suoi occhi, Sara ricordava la sua malvagità e se
il "canarino bianco" aveva tentato di convincerlo che fosse solo un
plagio che aveva subito la sua mente, quella Sara Assassina gli stava dicendo
che invece quella era la sua vera natura.
«L'ho sconfitta una volta, lo posso fare ancora...»
«Troppo tardi!» Sara si era alzata in piedi lasciando
che lo facesse anche lui.
«Sei al soldo di Darskeid
ormai... una delle tante anime peccatrici al suo servizio... che ne penserebbero
i tuoi amici a sapere che sei stato marchiato?»
Fu lì che Rip perse un
battito. Barcollò e si toccò la fronte quasi sperasse di poter percepire il
marchio e cancellarlo. Se fosse stato vero, voleva dire che a nulla i suoi
sforzi erano serviti e che era vero... che ciò che la League of Doom gli aveva fatto non era stato manipolarlo, ma
semplicemente far emergere chi in realtà fosse.
«Loro... loro mi resterebbero accanto...» ma la voce
dell'uomo tremava, nemmeno lui ci credeva fino in fondo. Lui era salvo per
Sara, perchè tranne lei nessun altro si era sgomitato
per recuperarlo... anzi... ricordava ancora il Signor Jackson più che convinto
ad ucciderlo!
«Forse, ma la loro fiducia in te sarebbe compromessa e
la sfiducia aumenterebbe... come un cancro si dilagherebbe e inevitabilmente
saresti allontanato e trattato da reietto... Non capisci Rip?
Possiamo comandare... insieme... come amanti...» e ora la voce della donna si
era fatta più suadente, come il suo corpo si era fatto più vicino a quello di
Hunter. Ne accarezzava i lineamenti e ne studiava l'espressione.
«Quello che sono sempre andata cercando era un posto a
cui appartenere e seppur Sara pensa di averlo trovato nelle Leggende... si sta
solo illudendo... Non lo vedi Rip? Guardami? Questa
versione di Sara, io, noi abbiamo tutto in comune... Lascia che l'oscurità in
te ti guidi e trai forza da essa...» adesso la mano di Sara era sul suo petto,
sul suo cuore e lui la stava stringendo rapito dalle sue parole e dalle sue
promesse.
Una luce accecante però in quel momento avvolse tutto
e tutti, tanto che quando Rip riaprì gli occhi si
trovò di fronte a Laurel. Entrambi liberi e non più
feriti o sporchi del posto ove era antecedentemente. Ora erano in un luogo
neutro, una spiaggia, la stessa sulla quale in una realtà alternativa tutto era
finito e tutto era iniziato.
Di fronte a loro due Sara, White Canary,
che nella sua suit li guardava sorridente non potendo
fare a meno di sentirsi in colpa per quello che avevano dovuto affrontare.
«Perdonatemi se ci ho messo tanto…» non era stato
facile scoprire dove fossero, la sua mente era un vero e proprio labirinto
anche per lei.
Laurel però scosse il capo e osservandola attentamente cercò
nel suo sguardo tutte le certezze che le erano venute meno, ma le bastò incrociare
i suoi occhi per far sì che queste tornassero forti e solide.
Rip dal
canto suo era immobile, ancora scosso da quello che era successo, da quello che
aveva scoperto e dal cedimento che aveva avuto seppur nessuna delle due donne
ne sembrava a conoscenza.
«Ora possiamo andare via da qui?»
Laurel lo aveva chiesto innocentemente muovendo un passo
verso la madre, ma fu allora che Sara alzò le mani come ad avvertirla di non
avvicinarsi ulteriormente.
E mentre l’inquietudine nell’anima di Rip non accennava a volersene andare, tutto intorno a loro
cambiò e si ritrovarono in una grotta. Sara al centro di una specie di gabbia
dorata di luce.
«Ma cosa…»
«Dopo aver parlato con mia sorella al covo di Arrow mi
sono trovata intrappolata qui dentro. Vi ho cercato con la mente per portarvi
qui sani e salvi, ma anche per quello…»
La donna alzò la mano e indicò una colonna sulla quale
vi era il disegno di un arco.
«Quando Dottor Fate mi ha colpito con la sua magia mi
ha mostrato che con quello, l’Arco di Orion, sarebbe stato possibile
sconfiggere Darkseid, ma per qualche ragione dovevo
venire qui per trovarlo…»
Tutto stava divenendo sempre più onirico e assurdo, ma
a quanto pare la razionalità li aveva abbandonati da un pezzo.
Rip e Laurel si guardarono intorno e nemmeno stettero a fare
domande sul dove Sara era stata e con chi aveva parlato, ma proprio l’assurdità
della situazione iniziò a renderla chiara.
«Forse ti ha portato qui perché…»
«Darkseid non ha accesso a
questo posto…»
Padre e figlia si erano completati a vicenda. All’inizio
erano stati sì nella mente di Sara, ma lei non era intrappolata lì. Dottor Fate
aveva portato la donna in un luogo senza tempo e senza spazio, fuori dai
confini del corpo, lì dove la forza oscura di Darkseid
agiva e ora anche Sara lo comprendeva.
«Ecco perché mi è costato tanto trovarvi e portarvi
qui…»
Ripensando a questo si guardò intorno osservando di
nuovo la colonna con il simbolo dell’arco e di fronte ad essa quella con il
simbolo dell’omega.
«Ricordo delle parole che accompagnavano la visione “Deve esserci equilibrio tra luce ed
oscurità e per esercitare il potere dell’arco e salvare il mondo, le mani
devono tenere in equilibrio i piatti della bilancia”»
Toccare i due simboli era ciò che andava fatto e
adesso tutto acquisiva senso. Sara aveva bisogno di Laurel
e Rip per riuscirci e così fecero, seppur per grazia
divina nessuno si chiese come mai il piano funzionò. Rip
aveva toccato il simbolo dell’omega, ma solo se fosse stato marchiato dallo
stesso avrebbe funzionato a contro bilanciare la purezza di Laurel
che toccò l’arco… e così fu. La Sara Assassina che aveva incontrato aveva
ragione.
Laurel corse incontro alla madre, una volta libera, non
resistendo ad abbracciarla e trovare in lei nuova linfa vitale, la stessa che
avrebbe voluto ritrovare anche Rip seppur ora non si
sentiva degno di poter stare accanto loro.
«Ci siete riusciti!»
«Servivano solo due persone per bilanciare…» aveva
minimizzato Hunter non preferendo approfondire cosa in realtà davvero ciò
significasse, ma non riuscendo a respingere Sara quando questo l’abbracciò.
Il momento di ricongiungimento tra i tre venne però
interrotto da un nuovo colpo inferto alle loro menti e che proiettò nelle
stesse una sequenza di immagini: la guerra di cui Dottor Fate aveva parlato tra
Apokolips e Nuova Genesi, il sovrano del secondo
mondo voler fermare diplomaticamente il conflitto, lo scambio dei propri figli
tra Darkseid e Altopadre. Da
lì poi fino alla vita misera condotta da Scott Free sotto il primo e quella
piena di virtù e giustizia di Orion sotto il secondo… era stato durante questo
periodo che aveva forgiato il suo arco, quello con cui era riuscito a
sconfiggere l’oscurità… il suo stesso padre.
Quando le immagini smisero, i tre barcollanti si tennero
alle rocce per non cadere. Invasi da una quantità di informazioni senza pari,
ma che stavano rendendo sempre più chiaro il loro percorso e il nemico che dovevano
combattere.
«Orion era suo figlio…» mugugnò Laurel
sconcerta.
«Sua è l’arma che ci permetterà di vincere questa
guerra…» aggiunse Sara.
Ma il più sconvolto di tutti era Rip,
vedendo come Scott Free era finito e tutto per colpa di Darkseid,
del suo giogo e del suo marchio.
«Il simbolo omega fa presa sul lato oscuro che abbiamo
già in noi. Si nutre dei nostri dubbi e delle nostre debolezze. Sfrutta le
stesse per distruggerci…» ora gli erano chiare le parole della Sara Assassina
su di lui e di come sconfiggerlo sarebbe stato impossibile, ma ora lì c’era la
SUA di Sara, quella che capendo esattamente cosa stesse pensando gli prese il
volto tra le mani e lo costrinse a guardarla.
«Non ci provare Hunter! Non osare pensarci… quello che
ti è successo non eri tu… Non lasciarti avvelenare da quello che hai visto…»
Peccato che era troppo tardi ormai.
Laurel che però non aveva assistito a quel piccolo
interscambio tra i suoi genitori, perché attratta da qualcosa sul muro, li
chiamò ben prima che potessero portare a conclusione quel confronto. Sara non
ne era felice e infatti continuava a lanciare sguardi perplessi a Rip che dal canto suo minimizzava e le diceva che stava
bene.
«Qui c’è rappresentato Orion che lancia una freccia… e…
seguendo la direzione…» tutti prestarono attenzione a Laurel,
a ciò che aveva notato e a come avesse ragione.
«Lì c’è un bersaglio…»
«E lì due postazioni di tiro! Un’ennesima prova?»
Era chiaro che la ragazza ci aveva visto giusto, ma se
così fosse avevano bisogno di qualcosa per tirare e… il tempo di pensarlo che apparirono
due archi ad ogni postazione, cosa che sorprese tutti e tre.
«Ehm… ottimo… chi ha una buona mira?»
La giovane guardò i genitori che a quanto pareva erano
i candita per quel gesto. Tutto appariva abbastanza chiaro: una volta raggiunti
i posti –di cui uno portava il simbolo dell’arco e l’altro l’omega- avrebbero
dovuto tirare le frecce alle due colonne con gli stessi simboli di fronte a
loro.
«E’ un tiro di sponda… mamma mira all’omega e papà all’arco…
se fate bene dovreste riuscire a prendere il bersaglio all’unisono!»
La familiarità della situazione aveva un non so che di
piacevole. Laurel non ci stava pensando, agiva ormai
abbandonata alla necessità di non tenere le distanze, mentre Rip e Sara si sentivano stranamente comodi in quella
posizione di genitori.
Fu così che misero in atto ciò colpendo nel segno:
Sara da sopra il simbolo dell’arco colpì l’omega e Rip
viceversa, fu dunque nel riuscirci che questo causò una crepa sulle rocce di
fronte a loro, le stesse che aprendosi mostrarono ciò che stavano cercando.
«L’arco di Orion!»
Esclamò Sara entusiasta di vedere finalmente qualcosa
che appariva tangibile. Tutte quelle profezie, magie ed esperienze oniriche le
avevano fatto venire il mal di testa. Lei era una persona d’azione, di fatti e
avere qualcosa di concreto la faceva sentire più sicura.
Fu però nel momento in cui si avvicinò per prenderlo
che un fascio di luce enorme li accecò e quando i tre ripresero conoscenza erano
nell’infermiera della Waverider e apparentemente
senza alcun arco con loro.
Posso dichiarare con fierezza che questo è uno dei
miei capitoli preferiti, forse perché dedicati completamente alla Famiglia
Hunter! Ci ho messo un po’, ma è stato un vero parto scriverlo e… bè siamo
sempre più vicini alla fine… cosa succederà? Si accettano ipotesi!
Il ritorno era stato traumatico quanto meno
perché le rivelazioni che Rip, Sara e Laurel avevano avuto erano state tante e poi perché mai
come in quel tempo fuori dal tempo il loro essere una famiglia era uscito fuori
con estrema spontaneità che aveva lasciato uno strascico di emozioni con le
quali fare i conti.
La difficoltà venne però dopo quando tutti riuniti intorno al tavolo della Justice Society, nella loro fatidica stanza delle riunioni,
si trovarono a dover raccontare nei minimi dettagli tutto quello che avevano
scoperto e leggendo così lo sconcerto, che era stato il loro, sui volti dei
loro compagni.
Ormai parlavano da ore e alcuni si stavano stiracchiando, alcuni si erano
alzati in piedi e altri ancora si grattavano il capo, mentre Sara quasi
sdraiata ormai sul tavolo rispondeva alle domande che ancora non avevano smesso
di farle, molte delle quali però non avevano risposte…
Rip dal
canto suo si era allontanato un attimo raggiungendo la cucina ben lieto di andare
a prendere delle birre nuove e fresche per tutti, ma la realtà era che non
riusciva a smettere di pensare alle parole di Sara Assassina e di come quelle
gli erano entrate dentro senza più lasciarlo. Il frigo era aperto, le birre di
fronte a lui eppure non le vedeva, perso com’era a rivivere tutto ciò che aveva
vissuto e ancor più alla rivelazione che era stato marchiato…
«Tutto bene?»
L’arrivo improvviso di qualcuno Rip non lo aveva
proprio calcolato e così si trovò a sobbalzare più spaventato di quanto fosse
normale, quando voltandosi si sentì ancor più disagio a scoprire che era dovuto
all’arrivo di Laurel.
«Ehm scusa non volevo disturbarti…» mormorò quella a disagio, ma in realtà
ridacchiando sotto i baffi, un gesto che non poté non far nascere anche un
sorriso sul volto dell’uomo che non stava disprezzando l’idea di sentirsi di
nuovo padre, seppur lo terrorizzava.
«No è… ero sovrappensiero…»
«E stanco… lo siamo tutti… sono stati giorni intensi…»
Notò Laurel che lo aiutò con le birre, mentre
recuperando l’apri bottiglie lo porse al padre. Ormai erano settimane che erano
nel passato e che vivevano lì, tanto che ormai quella convivenza forzata era
divenuta quasi una piacevole normalità e il loro ritorno dalla mente di Sara,
solo qualche giorno prima, aveva lasciato strascichi di indagini, domande e
pezzi del puzzle da mettere insieme che aveva tolto il sonno e il respiro a
tutti…
«Già… tu… tutto bene?»
Rip
teneva il capo basso, come se aprire le bottiglie fosse un esercizio assai
complesso che necessitava tutta la sua attenzione, ma la verità è che non aveva
coraggio di guardare negli occhi Laurel, che in cuor
suo sapeva di aver tradito e deluso. E infatti fu quando trovò il coraggio di
incontrare i suoi bellissimi occhi che venne trafitto al cuore. Lei lo guardava
come si guardavano gli eroi, con lo sguardo ricolmo di orgoglio e di amore.
Soffermandosi ad osservarla. come non aveva mai fatto, notò che delle
lentiggini le erano spuntate con il sole sulle gote e sul naso, proprio come
Sara. Come lei poi aveva la pelle chiara e i lunghi capelli biondi, ma il
sorriso era proprio quello di un Hunter… era come quello di Jonas e si stupì di
notarlo solo in quel momento.
Era minuta, ma snella e atletica, aveva le unghie colorate di rosso come il
rossetto per via del look anni quaranta che aveva adottato e guardandola meglio
notò che era già una piccola donna fatta e finita, di cui già si sentiva
geloso…
Anche Laurel si era soffermata a guardarlo e dopo
aver pensato a lungo cosa dirgli non era riuscita a trattenersi di lasciarsi
andare a uno slancio affettuoso e lo abbracciò. Non era più una bambina, andava
al college e a fatica univa la sua vita da giovane adulta a quella da vigilante
eppure non era mai riuscita a fare a meno dall’affetto e la forza che i suoi
genitori le davano e adesso che era consapevole di una realtà in cui non li
aveva avuti al suo fianco, ancor di più.
Affondò così il suo viso nel petto del padre prendendolo alla sprovvista,
ma sentendolo poi avvolgerla con le sue braccia e tenerla contro di sé con quel
fare goffo, ma amorevole che le ricordava casa.
«Sono orgogliosa di te… tu ci hai salvato… a me e alla mamma…» mugugnò con
la voce attutita dalla stretta, mentre Rip si
irrigidì involontariamente. Era felice delle sue parole, ma al contempo si
sentiva male. Lei non lo meritava un padre come lui, come Sara non meritava un
uomo come lui… Loro meritavano un amore vero, forte e coraggioso come lui non
era. Loro che erano in ogni battito del suo cuore e che per questo meritavano
un amore con la capacità di superare gli uraganie di lasciarsi da parte il passato... senza
ferirle...
Era ormai notta fonda e Rip era sveglio seduto
alla sedia della scrivania della camera da letto che condivideva con Sara e
mentre lei dormiva, lui si versava l’ennesimo bicchiere di scotch con ancora
nella mente la scena del suo abbraccio con Laurel e
di come lo aveva fatto sentire. Sporco. Sbagliato. Ingiusto.
Picchiettò la penna contro la tempia e cercò le parole che gli rifuggivano
per lasciarle senza fare loro troppo male, ma scriveva una riga per poi
cancellarla… Strizzava gli occhi e di nuovo beveva un sorso avvicinandosi il
bicchiere freddo, per via del ghiaccio che conteneva, alla testa come a voler
cercare una chiarezza che non arrivava. Sospirò e accartocciò l’ennesimo pezzo
di carta abbandonandosi con la schiena contro la sedia. Era un codardo?
Indubbiamente. La sua soluzione era scappare. Non ne conosceva altra. Cercò di
nuovo la bottiglia, ma quando fece per versarsi l’ennesimo cicchetto ormai lo
scotch era finito, come lui. Imprecò sotto voce e forse questo svegliò Sara che
confusa e assonnata si voltò nel letto a cercare il suo compagno e non
trovandolo spingerla ad alzarsi a sedere. Non ci mise molto ad abituare gli
occhi al buio e quando lo fece sospirò pesantemente nel scoprire la lucina
della scrivania davanti al letto accesa e alla scrivania, su cui era, un Rip ancora sveglio nonostante l’ora e la stanchezza.
Il suo passo leggero prese alle spalle l’uomo che sobbalzò quando percepì
il suo abbraccio alle spalle. Lei che scivolò al suo fianco, per poi sedersi
sulle sue gambe e cercare quegli occhi che conosceva come le sue tasche.
Lui che poteva rifuggirle, poteva alzarlo al cielo e nasconderlo, ma sempre
avrebbe trovato e sempre avrebbe letto. Loro erano due anime alla deriva,
spezzate e consumate dalla vita che si erano ripromesse di prendersi cura l’uno
dell’altra…
Ecco perché quando lui voltò il capo, lei gli posò un dito sotto il mento e
lo costrinse di nuovo verso di lei.
«Non puoi nascondermi nulla Hunter, lo sai…»
«Sono solo stanco…»
«Sei strano da giorni…»
Lo corresse lei con fermezza, ma comunque con dolcezza.
«Oso solo immaginare i fantasmi del mio passato che hai dovuto vedere… te
ne ho parlato, ma non è la stessa cosa… Ma lo sai vero che tu mi hai salvato
vero? Che è stato il tuo arrivo nella mia vita a salvarmi?»
Erano domande retoriche eppure aveva la sensazione che lui avesse bisogno
di sentirle.
Sara non era romantica, non era parte di lei, ma ciò non toglieva che la
presenza di Rip nella sua vita la stava cambiando o
quanto meno il suo affetto e i suoi baci erano riusciti a far rivivere una
parte di lei che credeva inesistente…
«Anni interi senza poter scappare dalla mia solitudine e poi tu come niente
hai distrutto quella gabbia… aiutandomi a vivere di nuovo… Sono io che dovrei
ringraziarti per avermi salvato… più e più volte…» la corresse Rip.
«E lo rifarei ancora…»
Perché era questo che lei stava leggendo in lui. Che stava per qualche
ragione andando a fondo e invece di lasciare che lei gli tendesse la mano,
preferiva fuggire. Fingere che tutto andasse bene e Dio… quanto la faceva
incazzare questo!
«Ti amo Rip Hunter riesci a capirlo? Ti amo e ti
ho dato tutto il mio amore… quello che credevo si fosse esaurito dopo Nyssa lasciandomi arida di sentimenti…»
Il tono di Sara sembrava un rimprovero, mentre tenendogli il viso tra le
mani gli diceva quelle cose a denti stretti, ma non era sua intenzione… Infatti
quando lui prese le sue mani e gliele tolse dal viso, tenendole sulle sue… Capì
che forse quello era suonato diverso da ciò che voleva fargli capire…
«Ed è questo il problema Sara! Stai solo perdendo tempo…»
«Maledizione! No… No Rip…»
Sara incespicò sulle sue stesse parole, mentre alzando gli occhi al cielo
tornò a guardarlo con più calma o almeno provandoci.
«Quello che volevo dire è che… E’ che tu mi hai reso di nuovo umana… Mi hai
fatto riscoprire la vita nella sua interezza, insegnandomi perfino a rendere
grazia ai suoi momenti più bui… In tutti noi c’è una zona d’ombra e una di luce…
Darkseid fa leva sulla prima e quello che ti ha tanto
sconvolto sono sicura sia stata incontrare questa parte di me… quella che
sicuramente ti ha riempito di sciocchezze sul fatto che quello è tutto ciò che
di noi c’è, ma non è così Rip… non è così…»
Fare quel discorso la fece ridere, non era certo lei quella che di solito
faceva i discorsi motivazionali, ma si rendeva conto che adesso era lui che
aveva disperatamente bisogno di lei. Così prese una sua mano e se la posò sul
ventre ancora piatto, ma così pieno di vita…
«E ora quello stesso amore sta per portare qualcuno nella nostra vita per
cui non possiamo tirarci indietro…»
Rip
corrugò la fronte, era sicuro che l’alcool gli aveva annebbiato la testa come
le lacrime aveva fatto con i suoi occhi eppure il sorriso di Sara non lasciava
spazio a dubbi. Era radioso come poche volte aveva visto e ora ricordava
quando: ogni volta che Laurel appariva nel suo campo
visivo.
Deglutì e cercò di parlare, ma nessuna parola uscì tanto che Sara rise nel
vederlo così inebetito, ma poi si strinse maggiormente a lui felice di sentire
le sue mani sui suoi fianchi fare lo stesso.
Fronte contro fronte entrambi ridevano, piangevano, balbettavano e venivano
investiti da una piena di sensazioni.
«Noi…»
«Lo so, è spaventoso… Laurel esiste dunque non
dovremmo stupirci, solo che… ecco non credevo…»
«… sarebbe arrivata ora…»
«Già…»
Sara tornò a guardarlo per decifrare la sua espressione, ma la risposta che
ricevette in cambio ai suoi dubbi fu solo un lungo e appassionato bacio nel quale
si perse.
Le piaceva quando lui sapeva prenderla in quel modo, tirando fuori una
grinta e un polso che apparentemente poteva sembrare non avere. La sua passione
e il modo in cui la stringeva era qualcosa di inspiegabile che le accendeva
dentro un fuoco inestinguibile…
Fu così che Sara si alzò, ma solo per potersi mettere a cavalcioni su di
lui e approfondire quel contatto, mentre disperatamente gli tolse la canotta
che indossava per cercare il contatto con la sua pelle, stessa cosa che lui
fece velocemente con la sua t-shirt, passando la mano sulla sua schiena alla
ricerca del gancetto del suo reggiseno, mentre le spostava i lunghi capelli
biondi da un lato e finalmente poteva lasciare che la sua bocca dalle sue
labbra scendesse al suo collo per torturarlo di baci solo per poi camminare con
la punta della lingua fino alla sua spalla dalla quale aveva fatto cadere la
spallina del suo reggipetto, che velocemente finì a terra.
Lei che aveva le braccia incrociate dietro al suo collo e sorrideva
maliziosa di nuovo alla disperata ricerca delle sue labbra sulle quali morire,
mentre con molto piacere si alzò avanzando fino alla scrivania alle sue spalle
ove assestò i suoi passi e vi finì seduta sopra quando lui prendendola in
braccio l’aiutò nell’intento. Si insinuò tra le sue gambe, lì dove le mani
accarezzavano le sue cosce, mentre Sara faceva vagare le proprie alla ricerca
della cinta dei suoi pantaloni che slaccio con necessità. Le loro bocche si
staccavano per brevi momenti, lo stretto necessario per prendere aria prima di
ritrovarsi più innamorate di prima.
Ansimi e risolini riempirono la stanza, mentre Sara poggiando una mano sul
dorso di Rip lo spingeva indietro solo per potersi
alzare in piedi, liberarsi dai micro short che indossava e spingerlo abbastanza
per farlo sedere sul letto, lì dove posando un ginocchio tra le sue gambe, sul
materasso e vestita solo di un semplice slip alla brasiliana nero, si accostò
di nuovo al suo corpo… leccandone il costato fino al collo che prese a mordere
e baciare, accedendo in lui bassi istinti che lo portarono a strattonarla a sé
prima di gettarla schiena contro il materasso per poi sovrastarla con il
proprio di corpo. Ormai anche l’ultimo pezzo di stoffa che indossavano era
divenuto di troppo e mentre divenivano un groviglio di corpi e lenzuola si
lasciarono andare a quel sentimento che non riuscivano più a trattenere, ma
mentre Sara quella notte fece l’amore con l’unico intento di lasciarsi
trasportare da quegli stessi sentimenti che le davano nuova forza ed energia, Rip dall’altra parte vi ci si aggrappava disperatamente
come chi sa di stare andando a fondo e non smette di sperare in un ultima lunga
boccata d’ossigeno…
Sara si era svegliata di buon ora, non era di natura una dormigliona e
dunque come ormai faceva ogni mattina alle prime luci dell’alba apriva gli
occhi, si lavava il viso, andava a farsi una corsa oppure a dare qualche pugno
al sacco da box, si faceva una doccia tonificante e poi un buon caffè nero
bollente in attesa che il resto dei suoi compagni si svegliasse. Tuttavia da
quando era nel passato quella sua ultima parte se la regalava seduta sulla
grande terrazza del loft osservando Star City e come lentamente il brulicare
delle persone riempiva le strade con voci e rumori. Il tutto però da qualche
giorno era cambiato, non c’era più un caffè forte nella sua tazza, ma un buon
tè e il suo sguardo era spesso rapito volentieri dall’immagine di Laurel che insieme a Mia la mattina presto si allenavano.
Non badavano mai a lei, anzi dopo averla salutata si allontanavano nella parte
più spaziosa della terrazza ed iniziavano con la loro sessione di yoga. Da
quando però lei, Rip e Laurel
erano tornati da quel viaggio onirico sua figlia non mancava mai di lasciarle
un bacio sulla guancia dopo averle augurato il buongiorno e poi apprestarsi ad
iniziare l’esercizio fisico.
Quella mattina però non le sfuggì la breve chiacchierata che tra le due ci
fu dopo la loro sessione di yoga.
«Dobbiamo poi tornare a lavorare al tuo esercizio…» aveva esclamato Mia che
si stava tirando un braccio per stendere i muscoli, mentre Laurel
rifacendosi la coda la guardò strabuzzando gli occhi.
«Mi stai davvero dicendo questo o ancora non mi sono svegliata del tutto e
ho allucinazioni sonore?»
«Quanto sei idiota! Dico sul serio! Hai le nazionali tra qualche mese…»
«E forse non ci arriverò nemmeno considerando l’Apocalisse a cui stiamo
andando incontro!»
Laurel ridacchiò e mettendosi sul suo tappetino si preparò per gli addominali,
mentre Mia inginocchiandosi di fronte a lei le teneva le gambe.
«Darkseid sarà nulla contro tua madre se saprà
che non ti stai allenando!» ironizzò Mia. Sapeva quanto ci tenesse al sogno
della figlia e di come entrambe ci avevano lavorato duro. Tutti i loro genitori
lo avevano fatto, perché se da una parte erano fieri del loro percorso da eroi,
dall’altra ci tenevano che creassero anche un percorso reale e normale… che
inseguissero i loro sogni e non ci rinunciassero.
«Sei la promessa della ginnastica artistica della nazionale statunitense…
si parla addirittura di olimpiadi… non puoi tirarti indietro e siccome io e tua
madre siamo le tue allenatrici…»
«Oh capito!» concluse infine Laurel lanciando
un’occhiata a Mia e ridacchiando con lei. Era tremenda, ma per questo era la
sua migliore amica.
Sara le guardava da lontano orgogliosa di quello che aveva sentito e
accarezzandosi distrattamente il ventre, rivedendo nel loro rapporto quello che
lei aveva con la sorella.
Tuttavia il flusso dei suoi pensieri venne interrotto per via di qualcuno
che si sedette al suo tavolino e la guardò assai colpita.
«Buongiorno anche a te Sara…»
«Buondì Amaya…»
Aveva colto appieno il tono ironico dell’amica che stretta nella sua
vestaglia non smetteva di guardarla dall’alto del suo caffè. Ecco cosa c’era di
bello nella Justice Society, quel senso di unione.
Quei brevi momenti di normalità che riuscivano perfettamente a cucire insieme
la necessità di famiglia e quotidianità con la missione che avevano deciso di
intraprendere.
«La vuoi smettere di fissarmi?»
«E’ che conosco quello sguardo, tutto qui…»
Amaya si nascose dietro la sua tazza, mentre bevendo, ridacchiò ripensando
a come anche lei si era sentita tre metri sopra il cielo quando aveva scoperto
di aspettare Jeanne.
«Da quanto lo sai?» chiese poi la donna assai incuriosita e notando per la
prima volta Sara a disagio. Era chiaro che era fuori dalla sua comfort zone, ma
tuttavia non sembrava che questo la dispiacesse.
«L’ho scoperto mentre ero in coma e… ieri sera l’ho detto a Rip…»
«E lui come l’ha presa? Perché Nate svenne…»
«Non mi sorprende…»
Le due ridacchiarono unendo così le loro risa a quelle delle ragazze poco
lontane da loro che seppur perse in discorsi diversi e non ascoltandosi l’une
con le altre erano tutte e quattro in una predisposizione d’umore assai
positivo.
«Non ne sono certa ad essere sincera… insomma a quanto pare è chiaro che
diverrò madre…» ironizzò Sara indicando con lo sguardo Laurel
poco lontano da loro.
«Ma non pensavo così presto. Io? Sara Lance? Mi ci vedi? Non pensavo nemmeno
che mi sarei innamorata di nuovo e tanto meno di un uomo e invece…»
«E invece il destino è imprevedibile… Dillo a me, non credevo che avrei
dovuto incontrare dei folli dal futuro per trovare l’uomo della mia vita…»
E di fronte a tale constatazione entrambe si trovarono a fare tintinnare le
loro tazze una contro l’altra in una sorta di brindisi alle bizzarrie delle
loro vite, senza le quali però non sarebbero state così felici. Il che era
assurdo: si poteva essere tanto gioiosi alla vigilia dell’apocalisse?
La risposta non giunse mai a loro perché quel momento venne interrotto dal
brusco suono di un allarme, segno che qualcuno aveva superato le difese della
base della Justice Society e aveva fatto irruzione
nel palazzo.
Ci siamo la fine è vicina e proprio per
questo ho voluto fare un capitolo un attimo di calma e intimità seppur, se
sapete leggere tra le righe, scoprirete già un indizio importante sul grande
finale. Come vi è sembrato finora? Anche voi grandi fan dei Canary
Time come me? E cosa vorrà dire questa grande novità per la relazione tra Sara
e Rip? Non smettete di seguirmi ormai la conclusione
è alle porte!
Il tempo era stato poco, ma non aveva
impedito alle Leggende, alla Legione e alla JSA di essere pronti per ricevere
gli intrusi che non mancarono di mostrare la loro presenza.
Improvvisamente le loro ombre sulle pareti si allungarono fino a prendere
vita propria e ribellarsi ai loro proprietari aggredendoli con le stesse
tecniche di combattimento che li caratterizzavano e portando White Canary, Vixen e Commander Steel
in un’improbabile confronto contro sé stessi.
Nel mentre dei proiettili con una traiettoria degna di un cecchino
arrivarono precisi a colpire i Tornado Twist riuscendo perfino a ingannare la
loro velocità e ferendoli in modo superficiale, ma abbastanza per farli
smettere di trotterellare in giro. Riuscendo così a cogliere alle spalle Lily
Stein e immobilizzarla.
Intanto le conoscenze fisiche e quantistiche di un omone che possedeva la
semi-invulnerabilità lo resero immune agli attacchi di Atom
e Firestorm riuscendo così facilmente a colpirli nei
loro punti deboli.
Fu allora che una squadra tattica guidata da un esperto in demolizione e
strategia militari fece il suo ingresso ed grazie alle sue conoscente nel combattimento
armato e a mani nude mise fuori gioco Green Arrow, CaptainCold e HeathWave.
Solo allora fu chiaro agli eroi da parte di chi era stata l’infiltrazione e
da chi erano appena stati guidati: la Checkmate.
Il primo indizio era venuto dagli agenti in bianco e successivamente dalla
presenza di LylaMichaels.
«Cyborg?»
Chiese un Connor sconvolto vedendo il suo
migliore amico al lato della madre e al suo fianco un altro nemico assai noto
alla Legione.
«Nightshade…»
Ma anche le Leggende riconobbero qualcun altro, questa volta all’altro lato
di Lyla: Deadshot e il
Generale Rick Flag.
«Perdonate i modi, ma non potevamo correre rischi…»
«Da quando la Checkmate usa questi modi?» sputò
Donald ancora dolorante dal colpo ricevuto e disgustato da quello che vedeva.
«Perché non siamo qui in veste di Checkmate…»
rispose freddo JJ.
«Benvenuti nelle Suicide Squad» esclamò infine Lyla
facendo un segno ai suoi uomini che immediatamente lasciarono liberi i
presenti. Dopotutto non erano suoi prigionieri e lei era lì solo per parlare…
Il grande salone principale si era svuotato della task force della Regina
Bianca, ma era comunque rimasta presente tutta la Suicide Squad che era in
piedi dietro alla poltrona vicino al camino sul quale Lyla
era seduta con le gambe accavallate e imperturbabilmente serena.
Di fronte a lei un’altra poltrona che ospitava Amaya sul quale bracciolo vi
era seduta Sara e Nate poco lontano poggiato al camino.
Nel divano posto tra le due poltrone vi erano seduti Ray,
Connor, Mia e Jax; mentre
poco distanti al tavolo da pranzo Donald e Dawn erano
seduti, mentre Martin e Lily curavano le loro ferite.
Mick e Snart poco lontani osservavano tutto e
tutti appoggiati al muro pronti a scattare al minimo segnale di pericolo,
mentre Laurel si stringeva le braccia in piedi dietro
al divano e scambiandosi occhiate preoccupate con tutti i suoi compagni e
amici. Perché JJ li aveva traditi?
L’aria era pesante e il silenzio assordate eppure questo non sembrava
scalfire minimamente quella versione futura di Lyla
che, occhi negli occhi con Sara, non mostrava segni di cedimento.
«Non date colpa di inganno a mio figlio…» esclamò poi improvvisamente
voltandosi verso Connor che la guardava in cagnesco.
Lei era sua zia, la sua madrina e non riusciva a capire come avrebbe potuto
agire in modo tanto meschino.
«E a chi dovrei dare la colpa a te? Se zio John ti vedesse…»
Fu un colpo basso e infatti Lyla lo dovette
assorbire, mettendo una mano su quella del figlio che immediatamente era
scattata sulla sua spalla.
«Non approverebbe? Lo so. Per questo sono qui come rappresentate della
Suicide Squad e non della Checkmate…»
Era stato un gruppo di cui aveva fatto parte, un modus operandi che suo
marito non avrebbe mai approvato e per questo non aveva coinvolto l’agenzia per
cui entrambi lavoravano. Stava mettendo a rischio la sua famiglia? Il suo
matrimonio? Lo sapeva, ma con l’Apocalisse alle porte era chiaro che non c’era
certo il tempo di pensare e tanto meno agire come giusto doveva essere. Doveva
agire come serviva alle circostanze.
«Parliamo allora di questa Suicide Squad…» incalzò Jax
con le braccia ben conserte al petto e lo sguardo sospettoso e ferito da
quell’atteggiamento. Teoricamente non erano tutti dalla stessa parte?
«E cosa vuoi sapere ragazzino?» a parlare era stata l’unica donna della
suddetta squadra. Aveva lunghissimi capelli corvini mossi in leggere onde, gli
occhi coperti da una mascherina dello stesso colore e indosso aveva un corto
abito blu che attillato disegnava ogni sua forma. Manipolava le ombre e il suo
tono era strafottente e malizioso di chi si sente di poter ogni cosa.
«Se siamo fidati?» la sua risata riempì la stanza, mentre con un braccio si
appoggiava alla spalla di Rick Flag al suo fianco che
subito prese la parola.
«Sono criminali che agiscono semplicemente perché così possono stare
all’aria fresca invece che dietro le sbarre… gli unici abbastanza pazzi da
accettare una missione suicida e di gettarsi nella mischia senza fare domande…»
«… e senza niente da perdere…» aggiunse poi Sara scettica scrutandoli
attentamente e soffermandosi sull’uomo che le aveva appena parlato: alto,
muscoloso, con i capelli ingrigiti e il classico grugnito da militare pronto
alla guerra.
«E che ti aspetti biondina mh? Credi che per
certe missioni siano adatte persone come voi? Rispettosi delle regole e che
perdono tempo a pensare? Noi siamo fantasmi pronti a tutto…» disse l’uomo con
il lungo trench di pelle e il capello in puro stile cowboy, ma con un mirino
rosso sull’occhio sinistro, necessario per i suoi tiri di precisione.
«Anche ad andare contro le leggi…» osservò Amaya abbassando il suo sguardo
su Lyla, poteva non conoscerla, ma aveva sentito
parlare di lei da Sara e sapeva che nel suo presente era una sua amica.
«… le stesse che voi fate rispettare?» chiese poi rivolta direttamente alla
Regina Bianca, le era stato raccontato della Checkmate
nei giorni successivi al ritorno degli Hunter dal mondo onirico legati alle
memorie che avevano recuperato della linea temporale andata persa.
«Non siamo qui per giudicare l’operato di mia madre o il mio…» intervenne
duramente JJ guardando i suoi compagni e soffermandosi su Connor.
«Non vi ho traditi, ma ho fatto quello che era necessario… Credo nella
Legione, ma non sarebbe mai stata in grado di…»
«E allora ci hai usato come delle pedine?» sbottò Mia che sentiva pruderle
già le mani.
«No vi ha indirizzati…» esclamò infine Lyla
riprendendo la parola, si stavano allungando anche troppo.
«L’intera Suicide Squad lo ha fatto altrimenti chi credete che abbia ucciso
tutti quei vigilanti ospiti di Darkseid? O che abbia
fornito le informazioni mancanti alla Signorina Stein per concludere il suo
quadro generale su Battleworld? O che abbia spinto il
Dottor Fate verso il Signor Rory per assicurarsi che Nabu rivelasse ciò che sapesse?»
«Voi avete l’Arco di Orion che abbiamo recuperato!» esclamò infine Laurel cercando lo sguardo della madre che immediatamente
assentì alla sua rivelazione, sentendosi ancora più arrabbiata.
«Perché agire così mh? Perché semplicemente non
dirlo?» la domanda giunse da in fondo la stanza, da Snart
che scostandosi dal muro era a tratti colpito e affascinato da tanta strategia,
se non fosse che era stato palesemente usato.
«E far così che Darkseid anticipasse ogni vostra
mossa?» chiese Lyla come se tutto fosse estremamente
chiaro ed in effetti loro era, anche se loro ancora non lo vedevano.
«Darkseid è ovunque! Non lo capite? E’
impossibile sapere di chi fidarsi, chi sia stato marcato o meno… dovevano agire
contro tempo. Contro questa forza oscura, perché ingannando voi, abbiamo
ingannato lui!» cercò di spiegare JJ per mettere fine a quello scontro tra loro
che era l’ultima cosa che doveva nascere in quel momento.
«E noi come facciamo a sapere di poterci fidare di voi?» osservò intelligentemente
Mick, tanto che tutti per un attimo si voltarono per guardarlo.
«Faglielo vedere…» esclamò Lyla a Nigthshade che usando i suoi poteri rese visibile un’ombra
invisibile che circondava tutta la Suicide Squad.
«Li hai nascosti!» esclamò improvvisamente facendosi avanti Lily estasiata
ed emozionata da quello che vedeva, quanto il padre che la fiancheggiò e spiegò
anche agli altri di cosa parlava.
«Darkseid è composto da materia oscura e siccome
lei la manipola può nasconderli… avete letteralmente accecato Darkseid dalla possibilità di marcarvi…»
Tutto ciò che si stavano dicendo era impressionante, ma c’era qualcosa che
non riusciva a far star tranquilli Dawn e Donald.
«Come facevate sapere il momento esatto in cui iniziare questo piano
machiavellico?» domandò il ragazzo seguito dalla sorella «Solo una persona
poteva conoscere il passato abbastanza bene da sapere esattamente da dove
cambiarlo…»
E nessuno doveva porre domande per capire che i due gemelli si riferivano
al padre e il silenzio di Lyla lo confermò.
«Come sapete il nostro futuro è ben più violento e intollerante di questo
passato o di quello più recente dal quale arrivano le Leggende… ma a
prescindere dell’epoca sembrava impossibile capire in che momento esatto tutto
fosse iniziato, ma poi vostro padre ci è venuto incontro…»
«Quindi non è stato un caso che il dispositivo di Cisco ci ha portato lì
dove “casualmente” abbiamo incontrato le Leggende…» concluse Donald alzando gli
occhi al cielo e passandosi una mano sul viso con un sorriso nervoso sul viso.
Non poteva crederci, loro padre si era prestato a tutto quello e voltandosi
verso sua sorella, notò che era sconvolta quanto lui.
«Almeno tutto questo teatrino è servito a qualcosa?» chiese infine Nate
stanco di girarci intorno.
«Insomma voglio dire siamo nel punto giusto? Abbiamo ciò che ci serve per
stanare Darkseid?»
«Sì!» esclamò Lyla facendo un segno a Rick Flag che toccando il proprio orologio super tecnologico
fece apparire gli ologrammi di alcuni personaggi.
«Darkseid ha faticato a trovare i suoi Cavalieri
dell’Apocalisse, ma una volta riuscito ci siamo riusciti anche noi. Lo abbiamo
ingannato con questi bruschi cambi di direzione e finalmente sappiamo chi
dobbiamo distruggere per impedire la sua venuta.
-Gordon Godfrey, giornalista e appartenete a
questa linea temporale. La Seconda Guerra Mondiale ha lanciato la sua carriera
e questo lo ha reso ambasciatore di guerra.
-"Granny" Goodness,
direttrice di un orfanotrofio, proviene dal vostro tempo Leggende. Ha fatto
carriera sulla necessità d'amore degli orfani di cui si occupava e questo l'ha
resa ambasciatrice di fame.
-Desaad, proprietario del "Club Desaad" nel nostro futuro. Non devo dilungarmi per
spiegarvi che tipo di locale perverso gestisca, perfetto per renderlo
ambasciatore di violenza»
Era assolutamente inquietante trovarsi di fronte all’personificazioni di
personaggi biblici che però in quel caso calzavano a pennello con la situazione
che stavano affrontando. Tutti però si resero conto di due particolari: il
primo era che aveva scelto tre persone rappresentanti la triplice formazione
del tempo: passato, presente e futuro e poi che ne mancava uno.
«Vi state chiedendo chi sia l’ambasciatore di morte immagino…» esclamò Lyla alzandosi in piedi come se avesse letto nella loro
mente.
«Oggi questo Cavaliere viene investito di tale ruolo, oggi sapevamo che gli
altri tre si sarebbero incontrati e per questo siamo venuti qui. Ne mancava
uno… uno che per Darkseid potesse rappresentare il
tempo nella sua totalità… magari un Signore del Tempo…» Lyla
non dovette aggiungere altro, perché tutti si guardassero intorno e notassero
la mancanza di uno di loro. Così tanto che Sara sentì tutta la felicità che
sole poche ora prima sprizzava da ogni poro trasformarsi in disperazione più
totale.
«Rip…»
In un luogo molto lontano e sconosciuto i tre ambasciatori erano in attesa
dell'arrivo del loro ultimo alleato che giungendo nella stanza si inginocchiò.
Gli occhi iniettati di pura oscurità e morte. Lui che ne era stato portatore,
ovunque metteva mano non avevano saputo fare altro che far appassire ciò che di
bello aveva. Ora lo capiva, non era stato Vandal
Savage a uccidere Miranda e Jonas, ma lui. Non era stata la League of Doom ad uccidere Sara, ma lui.
«Sono pronto per assolvere al mio compito» esclamò con voce profonde e
scura.
«Benvenuto tra noi...» esclamò Granny
avvicinandosi a Rip e poggiandogli una mano sulla
spalla.
«Ora dobbiamo solo proteggere le anime che abbiamo salvato... le anime che
accederanno al mondo che Darkseid ha creato...»
aggiunse Godfrey.
Fu Desaad ad avanzare verso Rip
e porgendogli una mano a farlo alzare, una stretta da fratelli.
«Non temere puoi ancora salvare i tuoi amici se accetteranno di piegarsi
alla forza oscura, altrimenti per loro ci sarà solo...»
«Morte» concluse Rip alzando il suo sguardo nei
confronti del proprio compagno, assorbito ormai totalmente da quel sentimento e
dalla sua forza.
Il fermento era tanto e dovuto anche alla valanga di rivelazioni che Lyla aveva portato con sé causando così il colpo di grazia
finale che stroncò sul nascere ogni prospettiva nei confronti di quella guerra,
ancor più in Sara che adesso lontano da tutto e tutti aveva raggiunto la
terrazza con la necessità di respirare a pieni polmoni l’aria fresca della
mattina cercando la forza per non scoppiare. Le mani erano strette sulla
ringhiera di acciaio così forte che sembrava che a momenti il metallo avrebbe
potuto piegarsi sotto la sua presa, mentre la mascella era contratta nel
disperato tentativo di non scoppiare a piangere da un momento all’altro e
accompagnare quello sfogo con il voler distruggere tutto intorno a sé. Chiuse
un attimo gli occhi e un flash le passò di fronte.
Sara era sull’orlo di perdere il controllo e
probabilmente si sarebbe sfogata su Allen se non fosse che lui ricevette una
telefonata che lo fece sparire in un flash. A Sara non rimaneva nessun’altra
possibilità e scoppiando come una bomba atomica distrusse tutto in un misto di
pura frustrazione e tristezza che finì per farla cadere a terra tra lacrime e
il suo stesso sangue per via delle ferite che si era provocata alle mani
distruggendo ogni cosa che le era capitata a tiro.
Riaprì di nuovo gli occhi e Star City era di nuovo di fronte a lei come a
volerne confermare che tutto era reale, ma quel vuoto che l’aveva riempita
nell’istante in cui aveva capito di non poter salvare Laurel
adesso si era impossessato di lei di fronte alla possibilità che anche Rip sarebbe stato perso…
«Spero che sarai in grado di far quello che è necessario…» la voce di Lyla al suo fianco improvvisamente le fece rendere conto di
non essere sola, ma non si voltò a guardarla e per un istante quasi ammirò la
sua freddezza e la sua imperturbabilità.
«Non ti turba nemmeno un po’ di aver perso tuo marito agendo in questo
modo? Di aver distrutto la tua famiglia?»
Sara doveva proprio chiederglielo e lo fece notando come dall’alto e in
quell’epoca la sua città sembrava davvero molto più bella e sana.
«Sacrificare il proprio matrimonio è nulla di fronte alla possibilità di
salvare il mondo… a salvare tuo figlio…» solo in quel momento la voce di Lyla sembrò un po’ meno ferma, più tremante.
Solo allora Sara si concesse di guardarla osservando come il passare del
tempo avevano indurito i suoi tratti, ma al contempo l’avevano resa ancora più
bella. In quel tailleur poi di un beige chiaro, stretto e alla moda con i
pantaloni e senza giacca con le maniche arrotolate a metà braccia appariva come
una modella di rivista, forse anche per i capelli lunghi e ben raccolti sul
capo da un lato del viso.
«Non essere sorpresa, anche tu se dovessi scegliere tra Rip
e Laurel, sceglieresti sempre quest’ultima…» disse
infine la donna voltando il suo capo e incontrando così lo sguardo di Sara. Si
guardarono per un lungo momento, nessuna delle due pronta ad abbassarlo per
prima.
Quello scambio fu interrotto solo per un motivo e cioè per l’improvvisa
oscurità che scese sulla città. Era una bellissima mattina di sole eppure delle
nubi nere avevano iniziato a ottenebrare il cielo e solo un occhio attento si
sarebbe accorto che quello non era il semplice arrivo di un temporale. Vi era
una strana elettricità nell’aria e le nubi la riflettevano con scariche che in
esse passavano… il tono rossastro della luce misto a quello fosco indicava solo
una cosa: Darkeseid stava arrivando.
L’Apocalisse che si stavano preparando a
ricevere avevano scoperto che non era in senso teorico, ma figurato.
Quell’oscurità che si stava avvicinando altro non era che Battleworld,
la realtà senza tempo e spazio creata e liberata da Darkseid
che ora, attraverso i suoi Cavalieri, stava attirando verso la Terra per far sì
che la stessa si sovrapponesse all’esistenza così come loro la conoscevano. Per
Sara ora fu chiaro il disperato messaggio che aveva ricevuto dal tempo, che
altro non era che una richiesta del tempo stesso di aiuto…
Lyla aveva però dato loro una speranza per
riuscire a fermare Darkseid e cioè fermare i suoi
Cavalieri che con il loro ascendente e il loro marchio attiravano come attraverso
una forza gravitazionale propria la stessa Apocalisse per far realizzare i
piani di quel nemico micidiale. Ucciderli voleva dire riuscire frenare la fine
del tutto e per riuscirci dovevano liberarli dalla fede di oro nero che
portavano al dito, dono di Darkseid e dunque cioè che
legava la loro anima corrotta a lui… lì doveva affondava il suo potere…
I Cavalieri erano pronti ad uscire allo
scoperto e aspettare che Battleworld li raggiungesse,
lì dove Darkseid aveva promesso loro un posto al suo
fianco nell’acropoli degli Dei di cui sarebbe stato a capo. Ma anche gli eroi
dal loro lato erano pronti ad entrare in azione e indossate le loro suit si divisero in gruppi e in diverse epoche si
prepararono alla Battaglia Finale.
E dopo un lungo divenire eccoci giunti
alla fine… pronti a dire addio a questa fan fiction? Io non tanto, ma spero che
la mia personalissima terza stagione vi sia piaciuta ;)
Appena la Waverider
toccò il suolo, ciò che CaptainCold,
Lily Stein, Deadshoot, Commander Steel e Vixen notarono immediatamente fu la furia cieca con la
quale gli abitanti della città si erano riversati nelle strade consumati da una
fame inarrestabile. I più avevano preso di mira fast food
e ristoranti in cui si spintonavano e si aggredivano solo per avere per sé la
quantità maggiore di cibo che ingurgitavano con ingordigia cieca. Ma non era
solo quella scena a far accapponare la pelle se non anche le relazioni e i
discorsi che intercorrevano tra le altre persone che, apparentemente,
sembravano normali. Erano alla disperata ricerca di affetti, attenzioni e
premure e lo manifestavano in un modo al limite della follia. Era chiaro che
quella frenesia che aveva colpito gli abitanti di Central City lentamente li
avrebbe portati ad una lenta distruzione fisica e spirituale…
«Tutto ciò è mostruoso…» fu ciò che
naturalmente disse Amaya con la fronte corrugata ad osservare quel mondo
perturbante e osceno, dando così voce ai pensieri dei suoi compagni.
«Come è mostruoso abbandonare un bambino a
sé stesso…»
La voce che giunse alle loro spalle fece
voltare tutti mettendoli sul chi va là con i loro poteri o armi, mentre “Granny” Goodness li guardava con
quel sorriso così gentile che quasi stonava pensando all’oscurità che invece la
impregnava. Era elegantemente vestita, avvolta in una mantella grigio scura e i
capelli dello stesso colore erano molto finemente portati acconciate in un
chignon.
«Quello che farete con la piccola Jeanne…
che accadrà a Mari… una brutta maledizione di famiglia, fortuna che esistono
persone come me che si prendono cura di tutti questi poveri innocenti…»
«E come mh?
Rendendo la loro fame di attenzioni insaziabile? Facendoli sentire più soli e
spaventati di quanto già non siano?» chiese Amaya scattando in avanti e fermata
solo dal marito che stringendole il braccio la incitava a non cedere alle
provocazioni. Era quello che i Cavalieri volevano: la loro oscurità per usarla
a loro favore e lo avrebbero fatto colpendoli lì dove erano più deboli.
«Io salvo solo le loro anime… quello che
non si potrà dire per le vostre…» la “dolce” vecchietta picchiettò le sue mani
con i guanti una sull’altra mentre guardandosi intorno inspirò a pieni polmoni
le anime che con la loro disperazione la rendevano più energica.
«Ciò che vi aspetta è un mondo in cui
sarete schiavi, nessuno ricorderà chi era prima e le vostre sofferenze saranno
eterne…» annunciò loro la donna e mentre lei si perdeva in lunghe disquisizioni
Deadshot non perse occasioni per colpirla. Non
sbagliava mai e la sua distrazione era un punto a suo favore eppure il
proiettile non fece in tempo a oltrepassare il suo capo che quella già si era
teletrasportata alle loro spalle scoppiando a ridere.
«E’ questo che vi rende deboli… il cuore…»
alle parole della donna il gruppo vide distintamente la sua mano fuoriuscire
dal petto di Deadshot, lei che gli aveva strappato il
cuore e lo osservava nelle sue mani… mentre il corpo dell’uomo cadeva inerme a
terra.
«L’amore ha molte forme… romantico,
familiare e quello creato dalla lealtà e dall’amicizia… Perfino un rifiuto
della società come lui ne provava, ma questa è la vostra debolezza e la mia
forza!»
Disintegrando il cuore tra le sue mani GrannyGoodness camminò verso il
restante del gruppo che indietreggiò, ma per reazione immediatamente l’attaccò.
I colpi di Commander Steel, nonostante il
suo corpo di acciaio, non scalfirono la resistenza sovraumana della donna e
quando con la coda dell’occhio vide Vixen richiamare
la forza del gorilla e correrle incontro deviò telecineticamente il raggio di ghiaccio
di CaptainCold contro di
lei.
«Ma guardatevi un pubblico di pietra,
potrei giocare con voi come e foste delle bambole…» e in effetti era quello che
stava facendo visto che ogni loro attacco o tentativo dello stesso cadeva nel
vuoto, ma andava bene se dava tempo a Lily di fare il necessario. Lei che al
momento dello scontro era scappata lontana, non tanto, ma abbastanza per avere
il tempo di frugare nella propria tasca e trovare un piccolissimo pezzo di
pergamena che Lyla le aveva dato. Aveva detto che lo
aveva recuperato nel futuro, che Dottor Fate glielo aveva dato e che le sarebbe
servito al momento opportuno. Non credeva nella magia e nelle sciocchezze
affini, per lei contava solo la scienza, ma adesso si rendeva conto che tutto
diveniva relativo di fronte a tali personaggi e tali situazioni.
Era terrorizzata non era una persona
d’azione, ma poi le bastò incontrare lo sguardo azzurro di Leonard e ricordarsi
tutto quello che insieme avevano vissuto. Loro avevano avuto un assaggio del
mondo che Darkseid intendeva costruire e non poteva
permetterlo, non quando in mano aveva la chiave per impedirlo anche se era
paralizzante l’idea di dover affrontare quel mostro travestito da adorabile
vecchietta.
«Sei davvero convinta di farcela?» GrannyGoodness aveva il dono
della telepatia e questo le aveva permesso di udire il flusso di pensieri di
Lily e voltandosi verso di lei lentamente assumeva le sembianze di suo padre,
Martin.
«Sei solo un’anomalia. Un errore che ho
creato. Non sei reale, nonostante non hai fatto altro che andare in cerca del
mio consenso e della mia stima…»
Quella era una debolezza per lei, lo
sapeva e infatti tremò, mentre vedeva quell’essere dirle quelle parole perché
nonostante non fosse realmente suo padre… era comunque duro affrontare il suo
peggior incubo in quel modo. Ma resistette. Si impose di farlo e non lasciarsi
ingannare da quel gioco mentale.
«So benissimo cosa sono, ma so anche che
non ho bisogno del consenso e della stima di mio padre, perché già ce l’ho!»
Mentre lo diceva avanzava lentamente,
lieta di vedere come questo stava permettendo a Nate di raggiungere Amaya e ad
aiutarla dopo che la loro avversaria le aveva rotto un braccio e causata una
ferita grave al fianco per colpa di un ghiacciolo creato da Leonard.
«Come stai?» chiese Nate stringendo la
moglie tra le braccia poco lontano in un vicolo, ma vicini abbastanza per
osservare quello scontro.
«Sopravvivrò…» lo rassicurò lei
accarezzandole il volto e non riuscendo fare a meno di piangere. Vedeva Deadshot poco lontano e non riusciva ancora a credere a
come fosse morto, mai aveva visto da vicina così tanta violenza e poi lui… suo
marito, l’acciaio del suo corpo ammaccato come mai era successo e
l’impossibilità di tornare normale per non rischiare di danneggiare organi interni,
non sapendo l’entità dei colpi ricevuti.
«Ora non possiamo far altro che riporre le
nostre speranze in lei…» sussurrò Amaya stringendosi a Nate e voltando il capo
verso Lily.
«Giusto… la tua fame è ben diversa… è
d’amore…» e così dicendo GrannyGoodness
prese le sembianze di Snart che ben presto scoppiò a
ridere.
«E tu credi che possa dartela io? Oddio…
sei più patetica di quello che credevo…»
«NON ASCOLTARLA! SEI FORTE LILY! SEI LA
PERSONA PIU’ FORTE, PIU’ BELLA E PIU’ INTELLIGENTE CHE ABBIA MAI INCONTRATO IN
VITA MIA!» le urlò il vero Snart poco lontano, a
terra per via del colpo ricevuto alla gamba. Dolorante, ma non per questo meno
presente.
Lily lo guardò oltre la sua avversaria e
chiudendo gli occhi richiamò ai suoi occhi stanchi e bagnati le immagini della
loro notte d’amore, quella che inaspettatamente le aveva fatto rendere conto di
dipendere totalmente dalle sue carezze e dal gelo del suo cuore.
Fu lì che GrannyGoodness ebbe un cedimento e tornando della sua forma
si piegò in due perché l’integrità della sua anima era così intatta da ferirla
nel più profondo.
«Ho un compito da portare a termine e lo
farò costi quel che costi… niente compromessi… e quello che va fatto richiede un
prezzo che sono pronta a pagare…»
Lo diceva con orgoglio e con la paura che
adesso si era trasformata in coraggio.
«La felicità è possibile…» disse la
giovane donna ignorando per un attimo la sua nemica che ancora boccheggiava e
voltando il capo di lato sorrise a Leonard a terra poco lontano.
«… ma senza di me…»
«NO!» Snart
aveva capito immediatamente cosa stava per fare e così tentò di alzarsi o
avanzare in qualsiasi modo verso di lei, ma pareva un’operazione impossibile
per via del dolore e la ferita.
«Io te la dono, come tu mi hai donato
questa forza… »
«Oh che belle parole…» ironizzò GrannyGoodness che già stava
ridendo melliflua pronta per riprendersi e finalmente mettere fine
all’esistenza di quella patetica donna di fronte a lei.
«Ti Amo Leonard Snart…»
Lily aveva appena fatto in tempo a dirlo
con un sorriso flebile sulle labbra e le lacrime che le solcavano il viso, che
mentalmente aveva pronunciato altre parole: quelle della pergamena di Dottor
Fate. Ciò che accadde fu strabiliante perché quando GrannyGoodness fece per colpirla, Lily riuscì a bloccare la
sua mano con la forza necessaria e dalla sua mano partì la fiamma che
carbonizzò quella della sua avversaria che una volta cenere le fece così
perdere l’anello che le dava il potere. L’oscurità avvolse entrambe e mentre da
una parte il Cavaliere di Darkseid diveniva polvere e
così facendo rendendo libere tutte le anime divorate, ristabilendo la normalità
a Central City, Lily cadeva a terra apparentemente priva di vita.
Amaya e Nate avevano trattenuto il
respiro, lieti di vedere che tutto sembrava tornare alla normalità, mentre i
nuvoloni scuri in cielo si dissipavano lasciando spazio a un raggio di sole, ma
ben presto tornarono su Snart inconsapevoli del
legame che lo legava a Lily, lo stesso che lo stava facendo strisciare a terra
pur di raggiungerla.
La prese tra le braccia e la scosse
desideroso che si svegliasse, mentre disperato chiamava il suo nome in un modo
che se si fosse visto da fuori non avrebbe riconosciuto. Da quando non poteva
vivere senza qualcuno che non era lui stesso?
Aveva tentato dimenticarla, togliersela da
dentro, ma si era reso conto di essere totalmente dipendete da lei. Ogni
mattina quando non trovava la sua pelle era una sofferenza e adesso il pensiero
che non ci sarebbero state più altre prime volte, altri baci o incontri
fortuiti sentiva di impazzire.
Chiamava il suo nome e accarezzare il suo
volto cercando il suo sguardo, desideroso che nuovamente tornasse a guardarlo e
a donargli tutte quelle emozioni che solo lei sapeva dargli.
Aveva bisogno di lei.
«Rimani con me, perchè
ti amo Lily Stein, ritorna da me...»
Aveva ormai chiuso gli occhi e appoggiato
la sua fronte su quella di lei inspirando il suo profumo che nonostante il
sangue e la polvere poteva ancora sentire, non gli importava di essere sporco e
spezzato, non avrebbe avuto senso sopravvivere all'Apocalisse se quello ne era
il prezzo.
Fu un tocco leggero sulla guancia che lo
costrinse a sollevarsi e allora vedere le palpebre di lei aprirsi un poco e un sorriso
disegnarsi debole sul suo viso.
«Di-Dillo d-di n-nuovo...»
Lo pregò.
«Ti amo»
«A-Allora n-non v-vado d-da n-nessuna
p-parte...» sospirò lei priva di qualsiasi forza, ma felice di sentirsi stretta
nelle sue braccia, mentre poco lontano Amaya alzava gli occhi al cielo e
sperava in cuor suo che anche gli altri avessero avuto fortuna altrimenti
quella singola vittoria non avrebbe fermato l'inevitabile fine, ma l’avrebbe solo
rimandata...
Sono molto triste per la fine di Deadshoot, dopotutto forse non si meritava di morire così o
no? Voi cosa ne pensate? A quanto pare l’eroina di questa prima battaglia è
stata un’inaspettata Lily Stein, solo io la vedo così? Non so secondo me
potrebbero darle davvero un bello spazio nella serie, intanto siccome questa è
la mia di serie, io mi permetto di farlo. Vi piace? E delle coppie di
questo capitolo che mi dite? E di GrannyGoodness? Non smettete di seguirmi dopo il presente un bel
tuffo nel futuro ci aspetta!
Il futuro che aspettò il gruppo formato da
Speedy, Atom, Nightshade e HeatWave, e che raggiunsero
grazie all’anello della Legione di Mia, era a dir poco spaventoso. La Star City
che la giovane ricordava come la sua amata casa adesso brulicava nelle strade
di cadaveri ricoperti di mosche e un odore di morte che appestava le strade.
Ciò che Desaad aveva fatto con il suo club, ove sesso
e perversione facevano da padrone, era stato diffondere lentamente come
un’epidemia la sua oscurità portando così a creare, manipolare e aggravare
qualsiasi tipo di malattia e infezione, anche quelle più rare. Era un modo veloce
per mettere a morte qualsiasi umano che non fosse stato marchiato e scelto per
essere portato nel nuovo mondo di Darkseid ove solo
l’oscurità e la disperazione avrebbero fatto da padrone.
Mia si portò una mano al naso, mentre
sentiva una forte scossa percorrerle la schiena. Quella era la sua casa e la
voglia di correre dai suoi genitori era fortissima, tanto che si sentiva pregna
di una debolezza che non le apparteneva. Fu solo quando la forte mano di Ray si appoggiò sulla sua spalla, che lei sentì che non le
era permesso cedere tanto meno di pensare al peggio.
«Non dobbiamo perdere tempo, dobbiamo
trovare questo scellerato e fermarlo… guardate il cielo è nero più delle mie
ombre…» esclamò Nightshade che mai lo avrebbe ammesso
mai si sentiva scossa da quello tanto che Mick al suo fianco le fece
l’occhiolino per darle il suo appoggio, mentre con l’arma in spalla aveva già
avuto modo di scoprire che si trovava piacevolmente a suo agio con quella
brunetta…
«E chi dovrebbe fermarmi, voi?»
Fu allora che Desaad
si teletrasportò di fronte a loro. Il sorriso sghembo
e gli occhi azzurri che seducevano senza il minimo sforzo. Era giovane, molto
più di quanto Ray e Mick si aspettassero, era sexy e
vestito attillato di nero con quel chiodo di pelle era irresistibile perfino
per loro. L’anello scintillò sulla mano che si passò sul mento, mentre
leccandosi le labbra li guardava già eccitato all’idea dello scontro.
«L’Apocalisse sta arrivando…» mormorò
alzando gli occhi al cielo, prima di passarsi una mano tra i corti capelli
biondi.
«Ma un po’ di sana violenza nel mentre non
mi dispiace affatto!» disse per poi con un semplice movimento annoiato scagliare
Speedy lontana contro un cassonetto e al contempo disarmare HeathWave.
Anche Nightshade
e Atom fecero facilmente la stessa fine, quando
tentarono di usare le loro capacità contro di lui.
«Mia adorata… ti dispiace se mi doni
questo piacere?» sussurrò infine alle spalle di Mia, al suo orecchio con un
tono che l’avvelenò e la portò velocemente a scagliarsi con tutte le sue
capacità d’arciere contro Ray.
Eve dal canto suo lanciò un’occhiata a Mick
poco lontano da lei, quel buzzurro le aveva detto di un piano, di un’idea e
qualcosa le diceva che era il momento giusto se voleva metterlo in atto e così
spedì senza esitare sia il suo compagno di avventura che Desaad
nella Land of Nightshades… era l’unico luogo in cui
il loro avversario non avrebbe avuto altro potere se non la sua forza e la sua
resistenza, non che fosse poco, ma quanto meno tutte le altre sue immense
abilità erano bloccate.
«Cosa diavolo ti è passato per la mente?»
le urlò Palmer che aveva assistito alla scena, ma che al contempo stava
cercando di fermare Mia senza farle male.
«Quello per cui siamo venuti e ora sta
zitto e vediamo di fermare la tua fidanzata impazzita!»
«Non è la mia ragazza!»
Ma la vigilante non era certo lì per
discutere e creando degli omuncoli di ombra glieli mandò contro per cercare di
tenerla occupata, tuttavia la furia con la quale l’aveva caricata Desaad era immensa e così non poté fare altro che calcare
la mano, ma ben presto Ray le abbassò le mani
contrariato dalle sue azioni.
«Ma che ti prende mh?
Così la ucciderai!»
Una delle sue ombre era riuscite a
bloccare Mia per la gola e ora stringeva con tutta la sua forza.
«Ci ucciderà. La sua forza non è normale…»
«Non se io posso impedirlo!» e così
dicendo Atom si fece piccolo ed entrando Speedy
riuscì ad andare a toccare le cellule stimolate da Desaad
che nel cervello della giovane erano i ricettori che si attivavano quando si
assumeva una droga e gli bastò riuscire a interrompere il collegamento per
uscire da lei e tornando normale vederla barcollare.
«Ciò che hai fatto è disgustoso…» esclamò
la donna della Suicide Squad richiamando le sue ombre e vedendo Mia cadere a
terra scossa, ma al contempo pian piano sempre più lucida. Tornando in sé.
Ray le fu subito accanto, una mano sulla sua
schiena e l’altra a cercare il suo viso per assicurarsi che stesse bene.
«Ora sarà davvero improbabile che
accetterai di uscire con me…» mormorò divertita Mia alzando il suo sguardo e
tossicchiando, ma facendogli capire che stava bene. Certo un po’ confusa, ma
intera. Era inutile non avrebbe mai smesso di lavorare per far sì che Palmer
cedesse alle sua avance, lo stesso che adesso ridacchiò e alzandosi in piedi le
porse una mano per aiutarla a fare lo stesso, ma tirandola un po’ troppo e
finendo così di averla contro di lui. Occhi negli occhi e una vicinanza che a
Speedy non dispiacque proprio per nulla tanto che dopo avergli fatto
l’occhiolino finì per lasciargli un bacio sulla visiera della sua suit.
«Cederai Palmer…» lo provocò lei, prima di
essere interrotti da Nightshade disgustava.
«Prima che vomiti, teniamoci pronti… non
sappiamo se Mick avrà fortuna e Desaad potrebbe
tornare…»
«Ehm sì ecco…» mormorò impacciato Ray che guardava la ragazza che fino a quel momento aveva
tenuto tra le braccia allontanarsi.
«Dove hai detto che lo hai mandato
esattamente?»
La Land of Nightshades
appariva come una foresta fitta e buia ove il cielo era invisibile per via del
groviglio di rami che vi erano di alberi spogli e tristi. Era una dimensione
magica che nata dall'oscurità si cibava di essa e per questo rendeva più debole
Desaad, ma non meno pericoloso. Mick dal canto suo
sembrava entusiasta e quando finalmente si trovò faccia a faccia con quella
feccia non ci pensò due volte a scagliarsi contro di lui e combattere con
l'unica cosa che aveva: sè stesso. Calci, pugni e ciò
che il suo avversario amava di più: tanta tanta
violenza.
Tuttavia quel bastardo era dotato di una
resistenza sovraumana che seppur dimezzata in quel luogo gli dava un grande
vantaggio che unita alla sua forza sovraumana rendeva il compito a Mick, di
riuscire a sfilargli quel maledetto anello, un poco più difficile.
Nightshade, nella loro chiacchierata prima di
partire per quella missione suicida, gli aveva detto che non avrebbe potuto
tenerli lì dentro per molto. Non se non volevano essere consumati da Incubus e dunque il suo asso nella manica doveva usarlo
bene.
In quel momento però era a terra, sul
terriccio bagnato e ricoperto di foglie e aveva sputato una gran quantità di
sangue, lo stesso che ormai perdeva un po' dappertutto come nei migliori
incontri di boxe, peccato che Desaad fosse ancora
fresco come una rosa.
«Sai cosa ti dico? Questo gioco non mi
diverte più…» e così dicendo ben presto Mick ebbe sopra di sé il suo avversario
che stringendolo alla gola con una mano iniziò a soffocarlo godendo del suo
lento agonizzare, rideva nel farlo, perché nonostante il suo provarci non aveva
la forza per liberarsi della sua presa.
Ciò che però lui non poteva sapere era che
Nabu non se ne era andato senza lasciargli un regalo,
anche se in un primo momento Mick non aveva compreso immediatamente cosa fosse.
Quando si era risvegliato dopo la possessione di Dottor Fate aveva visto
comparire delle Chiavi della Vita sui palmi delle sue mani per poi sparite, ma
poi aveva compreso che erano ancora lì… magari per essere utilizzate nel
momento opportuno e seppe che fosse quello. Così ben presto la mano di Mick sul
polso di Desaad iniziò lentamente a bruciarlo ed ora
era lui che rideva. Amava il fuoco e ora lo stava creando dalle sue stesse
mani. C’era forse qualcosa di più bello?
«C-Cosa? C-Cosa stai facendo?»
«Sto cambiando biondino!» ironizzò HeathWave prima di vedere con
immenso piacere la sua mano finire cenere e i suoi urli riempire quella
dimensione prima che delle ombre lo portassero via e l’anello ricadesse sul suo
petto. Finalmente Mick poté ributtarsi con la testa a terra e riprendere aria,
mentre guardando l’anello poggiato sul suo torso prenderlo e buttarlo lontano,
nello stesso momento in cui ricompariva sull’asfalto di Star City e sotto gli
occhi di Ray e Mia che subito gli corsero incontro
sia per vedere come stava e sia per sapere se aveva sconfitto Desaad. La risposta? Una risata fragorosa e un’occhiata
languida a Nightshade poco lontana annoiata, ma in
realtà colpita dalla sua destrezza.
«Allora quella birra… me la offri
dolcezza?»
Lo avreste mai detto che Mick sarebbe
stato l’eroe di questo scontro? Ha mostrato anche grandissima abilità nell’avere
un piano di riserva, mentre dall’altra parte ormai la tensione sessuale tra Ray e Mia è palpabile: ma come finirà?
Nel mentre vi invito a rimanere
sintonizzati, ora si va nel passato e… quali eroi troveremo e contro quale
Cavaliere dell’Apocalisse?
Tutti gli altri erano partiti per le loro
destinazioni, mentre Green Arrow, Cyborg, Lyla e i
Tornado Twist erano rimasti nel passato in attesa di un’Apocalisse contro la
quale stavano andando incontro decisi ad affrontarla di petto piuttosto che
attendere l’inevitabile soccombere.
Dawn nonostante le sue apparenze sempre di
ragazza forte e aggressiva, anche per via del suo aspetto, in quel momento
camminava accanto al suo ragazzo stringendogli la mano, mentre il suo sguardo
scivolava intorno a sé. C’era solo caos nelle strade causate da un profondo
senso di aggressività crescente, un sentimento che aveva paura potesse colpire
anche Connor al suo fianco che non smetteva di
guardare in cagnesco JJ e sua madre di fronte a loro. La presa di Dawn si fece dunque più stretta come a volersi assicurare
che lui non si sarebbe lasciato trascinare da quel sentimento.
«Ha sbagliato, ma non farti accecare
dall’ira… la sento Connor, ti scorre nelle vene…» gli
dissi lei accarezzando un suo braccio nudo e muscoloso, mentre lui seguendo il
suo tocco con la mano finì per guardarla negli occhi e rubarle un bacio per
tornare concentrato e lucido.
Donald aveva buttato uno sguardo alle sue
spalle e sorridendo ora era tornato a guardare JJ che raggiunse in un flash.
«Qualcosa mi dice che questa non te la
perdona…»
«E da cosa lo hai capito Allen?» la voce
di Diggle era decisamente ironica nella sua serietà,
una cosa che fece sorridere Lyla trovandolo
terribilmente uguale a suo padre. Donald, nemmeno se si sarebbe impegnato,
sarebbe riuscito a portare rancore verso qualcuno.
«Forse dal gelo che scorre tra voi?» la
voce proveniva dal giornalista Gordon Godfrey che
stava camminando verso di loro con le mani nelle tasche dell’elegante completo
nero che indossava, le scarpe laccate e i pochi capelli che gli erano rimasti
portati con la riga di lato. Sembrava uscito da uno di quei film in bianco e
nero e il suo viso quasi gentile stonava con il peccato che rappresentava.
Era un uomo di mezza età che, se non fosse
stato per l’oscurità che aveva abbracciato, magari avrebbe potuto essere un amorevole
padre o un normalissimo marito e invece no, guardava il cielo e respirava il
piacevole caos che aveva portato.
«I vostri amici si sono comportati bene,
ma… lo sapete vero che non si può estinguere ciò che rappresentiamo? Sempre
tali forze esisteranno nell’universo e non moriranno oggi… Dunque avete
rimandato l’inevitabile, lo stesso che ancora si può realizzare anche solo con
me e l’altro mio collega!»
Nel momento in cui Godfrey
fece per tirare fuori le mani dalle tasche tutti erano già scattati: Green
Arrow incoccando la freccia, Cyborg caricando il suo braccio meccanico, Lyla puntando la pistola e i Tornado Twist a prendersi per
mano e scatenare la forza del loro fulmine congiunto, ma non ce ne fu bisogno
perché quello tirò fuori semplicemente due pietre che mostrò loro.
«Che cosa sono?» chiese la Michaels ben attenta a non perdere nemmeno una sua mossa,
mentre quello lì guardò tranquillo e serena, disposto a spiegare loro cosa
fossero.
«Oh questi? Sono i vostri ricordi… o per
meglio dire dei piccoli segreti che avete tra voi e io adesso sarò lieto di
ridarveli!» nemmeno il tempo di reagire che gettandoli a terra emanarono un
fumo nero che disperdendosi fece tossicchiare i vigilanti, ma poco dopo permise
loro di prendere coscienza di alcune cose che si erano occultati l’un l’altro, non
cose gravi, ma abbastanza per farli mettere uno contro l’altro esattamente come
aveva fatto con il resto della popolazione di quel tempo.
Dawn aveva lasciato disgustata la mano di Connor e guardandolo di sbieco iniziò a scuotere il capo.
«Queen… ora ti vedo per quello che sei
realmente…»
«E cosa vedi mh?»
chiese quello andandole sotto e provocandola.
«Un impostore! Un ragazzino che non ha il
minimo diritto di portare il nome di Green Arrow, non vali un centesimo
rispetto a tuo padre!»
«E io vedo solo una ragazzina viziata che
non sa far altro che correre, correre, correre… forse perché sei una che fugge
sempre?»
«Non ci posso credere che io ti abbia
amato!»
«E io che ti abbia considerato mio amico!»
disse JJ mettendosi in mezzo e poggiando una mano sulla spalla di Connor prima di ricevere da quest’ultimo un pugno in pieno
viso.
«Parla il principe delle menzogne! Avrei
dovuto ficcarti una freccia nel petto quando ne ho avuto l’occasione!» e fu
esattamente quello che fece se non fosse stato per Donald che fermò la freccia
prima che colpisse JJ, ma questo scatenò Lyla che
sparò contro Connor e così dovette spingerlo da
parte, mentre sua sorella lo aggrediva perché aveva impedito che il suo ragazzo
morisse. Era assurdo. Tutto assurdo, quanto lo era per Godfrey
vedere che su quel ragazzino le sue capacità non avevano avuto effetto.
Fu quando Donald lo notò che gli venne
un’illuminazione, sembrava che il suo nemico stesse andando nel panico, era
forse quella la sua paura? Il non avere il potere assoluto sulla sua capacità
di scatenare conflitti?
«Come è possibile? Come è possibile?
Perché tu non vieni colpito dai miei poteri?»
«Che posso dirti, sono un pezzo di pane e
fino ad oggi è stato il rimprovero di chiunque conosco, ma a quanto pare invece
è un vantaggio!» e dopo aver fatto l’occhiolino in un flash mise ko tutti i suoi amici riuscendo a bloccarli con le manette
recuperate in giro dai poliziotti a macchine o ringhiere, mentre lui tornava a
fronteggiare quel tizio che lo aveva già stancato.
«Sai che ti dico? Facciamola finita!»
«Tsk! Come se
fosse facile!» e mentre tutto intorno a loro impazziva di urla, minacce e gente
che voleva ammazzarsi l’un l’altra, Donald cercò di scagliare più fulmini
possibili contro a del pazzo, ma ovviamente siccome le cose non potevano essere
facili quello diventava invisibile o si teletrasportava
facendo sì che ogni suo attacco finiva nel vuoto.
Donald poi conosceva i suoi limiti e purtroppo
la Forza della Velocità per lui non era come gli altri Velocisti perché era
equamente divisa con sua sorella e ora operava solo al 50% senza contare che
una volta sfruttata scemava lentamente. Gli rimanevano poche possibilità e
considerata la resistenza e la forza sovraumana del suo avversario, con la
quale lo stava pestando, le possibilità erano pari a zero, ma fu proprio mentre
sentiva le sue ossa rompersi che guardando i suoi amici sbranarsi l’un l’altro
a suon di parole, capì quello che doveva fare.
«C’è bellezza nella fragilità umana, c’è
magnificenza nella loro complessità, ma la paura spesso ci porta a sbagliare… a
trovare conforto nell’urlarci addosso le nostre colpe…» parlare era
estremamente difficoltoso, ma doveva farlo. Doveva far tornare in sé i suoi
amici e considerando come Godfrey lo aveva lasciato e
stava facendo per andarsene non poteva permettersi di mollare. Il Cavaliere lo
guardava divertito, come se non sarebbe servito a nulla, ma lui non avrebbe
smesso di provarci una e un’altra volta ancora.
«Quando la paura ci domina è facile trovare
conforto nell’ira, mentre dovremmo solo apprezzare il fatto che se odiamo così
tanto è perché dove c’è cenere c’è ancora amore…»
«Risparmia la tua voce, non ti ascolta
nessuno… le tue parole sono vane…»
«Le mie parole arrivano dove i tuoi poteri
non faranno mai!»
Sputò Allen, ignorando Godfrey
alle sue spalle e non smettendo di rivolgersi a chiunque avesse intorno
compresi i suoi amici.
«Darei qualsiasi cosa per cancellare
quello che tanto vi porta a odiarvi l’un l’altro, ma non posso… ognuno hai i suoi
segreti e ognuno è responsabile delle sue azioni, ma mettendo su un piatto
della bilancia bene e male… Il male è davvero così tanto da uccidere il bene?»
Bastò quella frase per tempestare le menti
di tutti, ma dei suoi amici principalmente, di scene che nemmeno sapevano
appartenergli eppure facevano parte di loro e in quel momento era l’arma più
potente che avevano per vincere.
Dawn gli aveva preso il viso tra le mani e
gli stava parlando con quella capacità che solo lei possedeva. Era una ragazza
che ingannava, perché per la sua avvenenza sarebbe potuta sembrare la solita
diciottenne frivola e superficiale, ma era tutto il contrario. Non era solo una
combattente capace e coraggiosa, ma aveva un cuore enorme e una capacità di
comunicare con gli altri da creare un legame empatico immediato e forte.
Indubbiamente erano i gemelli Allen la vera anima del team, quelli più
positivi, quelli che ricordavano sempre a tutti gli altri la forza della
speranza e dell’amore. Loro che portavano avanti l’eredità di un padre che era
poco più che uno sconosciuto, ma che nonostante questo non ne avevano mai messo
in dubbio la sua credibilità e le sue scelte.
«A volte penso che non ti meriti uno
scorbutico e iracondo come me…»
«Ehm… no… in effetti mi meriterei
qualcuno molto più simpatico di te…»
Se l’esclamazione di Connor
era stata malinconia, quella di Dawn era stata
volutamente ironica per risollevare gli animi. Entrambi si lasciarono andare a
un sorriso e poi Dawn si abbandonò totalmente nelle
possenti braccia di Connor. In quelle in cui aveva
trovato conforto tante notti e dalle quali non si sarebbe mai stancata di
sentirsi stringere.
«Ti Amo Queen…»
«Ti Amo anche io Allen…» sussurrò Connor stringendola al petto e posandole un bacio tra i
capelli.
***
«Sai cosa tuo padre ha detto una volta
al mio?»
Entrambi si guardarono e in quel momento
quell’immagine si sovrappose a quella di un Diggle e
un Queen di un altro tempo che seduti sulle scale del covo del Team Arrow
parlavano dopo la sconvolgente scoperta che il Procuratore Chase era Prometheus.
«Che noi siamo i tuoi compagni di
squadra. Siamo la tua forza. Quindi JJ appoggiati a noi… appoggiati a me
esattamente come tu hai fatto anche quando io ti respingevo…»
«Forse essere umano è un lusso che non
posso permettermi…»
«Forse non puoi fare a meno di esserlo
perché per quanto tu dica, c’è un cuore che batte sotto tutto questo metallo…»
e fu in quel momento che la prima e timida lacrima fece capolino dallo sguardo
scuro di JJ per scivolare poi lungo la sua guancia e fargli scoprire che il
dolore c’era e che per quanto fosse insopportabile Connor
aveva ragione, era umano e doveva onorare quello perché era tutto ciò per cui i
suoi genitori avevano lottato…
Bastò che l’amore e l’affetto che li
legava superasse ciò che li divideva che questo iniziò a consumare Godfrey peggio di qualsiasi potere o arma, lo stava
bruciando da dentro. Quel resistere al veleno dell’oscurità più si allargava a
macchia d’olio e più rendeva quel Cavaliere debole.
Il giovane usò le poche forse rimastogli
per liberare i suoi amici e quando ebbe finito immediatamente sua sorella gli
dette la mano pronta a lanciare un fulmine insieme a lui. Quando questo accadde
all’unisono anche Connor scoccò la sua freccia, Lyla sparò il suo proiettile e JJ fece partire una scarica
dal suo braccio meccanico. Godfrey fu costretto a
soccombere, esplose e tutto ciò che di lui rimase fu solo polvere sulla quale
un anello campeggiava solitario.
Finalmente Donald poté lasciarsi andare,
mentre Dawn lo stringeva a sé cullandolo tra le sue
braccia e accarezzandogli il volto piena di vergogna.
«Ci hai salvato… oh fratellino, la tua
bontà…»
«E poi tu ti lamenti!»
Lei ridacchiò e finì per abbracciarlo
felice che fosse vivo, seppur ridotto male. Ma anche qualcun altro in quel
momento stava facendo i conti con quello che era successo.
«Hai mai pensato quelle cose?» chiese
improvvisamente Connor rivolto all’amico e
riferendosi al ricordo che avevano vissuto, riferito a un’altra linea
temporale.
«Non è forse la verità?»
«Se fosse tale non avresti mai compiuto
l’errore di non parlarci della Suicide Squad…»
C’era una tensione tra i due che, posti
uno difronte all’altro, tutti pensavano che da un momento all’altro sarebbe
esplosa facendoli prendere a cazzotti eppure ciò che accadde fu un abbraccio
inaspettato e al quale si aggiunse Lyla, che alzando
gli occhi al cielo in un sussurro simile a una preghiera disse: «Ora sta a te
Sara…».
Forse è proprio vero che il super poter
degli Allen è la loro super bontà e questa volta a dimostrarcelo è niente di
meno che Donald Allen che forse ha preso il meglio dei suoi genitori, Barry
& Iris. Anche l’ultimo Cavaliere è stato sconfitto, a suon di parole, ma
adesso cosa succederà? Avete contato quali eroi ancora non sono comparsi? E
sapete contro chi dovranno battersi? Certo che lo sapete… il Cavaliere più
temibile… quello più complesso: la Morte… in un luogo ove il tempo esiste e non
esiste e ove solo un Signore del Tempo può aspettarli…
C’era un non so che di tristemente romantico
nel fatto che il luogo ove si erano dovuti dirigere per trovare Rip fosse proprio il Punto di Non Ritorno. Dopotutto quale
posto migliore esprimeva il suo essere un Signore del Tempo? Se tutti gli altri
Cavalieri erano divisi in Passato, Presente e Futuro era normale che colui che
dovesse rappresentarli tutti e tre fosse proprio Rip
e proprio in quel luogo. White Canary aveva i brividi
e seppur tentava invano di nasconderlo Black Canary
se ne era accorta e avvicinandosi prese la mano della madre e la strinse come
moltissime volte lei aveva fatto quando era solo una bambina…
«Non pensavo che il tuo anello potesse
portarci fin qui…» mormorò Firestorm guardando quel
posto abbandonato e lasciando che i ricordi gli invadessero la mente.
Dal canto suo anche Rick Flag si era voltato verso la ragazzina e notò come si fissò
l’anello della Legione con una nota di malinconia.
«E’ la stessa tecnologia della Waverider, solo in versione portatile…» ironizzò con un
flebile sorriso.
«… è stato un dono di mio padre…» lo
stesso che adesso, paradossalmente, doveva trovare per combattere.
«Perdonatemi, sono sempre stato un
nostalgico…» la voce bassa e rauca che alle spalle li prese apparteneva proprio
a Rip che nascosto dietro il collo del bavero del
cappotto nero che indossava, li guardava con quello sguardo pieno di oscurità
che solo una volta Sara aveva visto: quando era vittima della League of Doom, ma quella volta era peggio. C’era un male molto più
profondo ad avvelenarlo dal quale non era certa se questa volta sarebbe stata
in grado di salvarlo. Rick Flag e Firestorm
infatti avevano parlato prima di partire, poche parole concise, ma abbastanza
per venire a patti che avrebbero fatto ciò che sarebbe stato necessario pur di
fermarlo in quanto sapevano che né Sara né Laurel ne avrebbero
avuto facoltà.
«… anche se avrei preferito non vedervi
qui…»
«Perché mh? Hai
paura che possiamo batterti?» Jackson non era mai stato bravo a trattenersi,
già una volta aveva voluto ucciderlo ed era pronto a rifarlo. Stein dentro di
lui lo stava appoggiando, entrambi si erano resi conto di quanto Rip fosse una persona pericolosamente debole e incapace di
affrontare i demoni del suo passato.
«Credi davvero che ti avrei abbandonato?
Non l’ho fatto in passato non lo farò oggi!»
Sara aveva fatto un passo verso di lui, il
bastone pronto all’azione, anche se sperava di non usarlo.
«Non riesco a credere che… dopo…» non
voleva dirlo ad alta voce, non di fronte a Laurel e
forse per questo si trovò a ingoiare le parole, mentre lui invece si teletrasportava alle sue spalle. Firestorm
e Flag erano già scattati pronti a colpire. Sara era
paralizzata, mentre sentiva la mano di Rip scostarle
i capelli dal collo e parlarle all’orecchio.
«Dopo la scorsa notte?» lo aveva chiesto
maliziosamente e seducente, mentre lei si voltava a guardarlo in viso
infastidita.
«Dopo che ti ho detto che ero incinta…
come hai potuto lasciarti comunque contagiare da Darkseid?»
«Ma già lo ero e quello che mi hai detto
mi ha solo chiarito le idee… Credi che voglia fare del male a te o a Laurel? Per niente… vi sono debitore, perché ora so chi
sono per davvero…»
Quanto non le piaceva quel tono di voce?
Quelle parole? Quel preambolo? Troppo. Sara sapeva cosa stava passando, ci era
passata anche lei. Si era convinto che non poteva essere migliore, che non
avesse altro modo di vivere che non fosse quello, che allontanandosi da loro e
abbracciando la sua oscurità le avrebbe protette. Ma lo aveva provato sulla sua
stessa pelle, non era allontanando chi si amava che si fuggiva dai propri
incubi e tormenti… e sperava che proprio lui, su tutti, non facesse i suoi
stessi errori.
«Fai sul serio?»
La voce di Laurel
giunse dalle spalle della madre, ferita e delusa, mentre vedendo i suoi
genitori voltarsi verso di lei si trovò a scuotere il capo disgustata da ciò
che vedeva e sentiva.
«Mio padre non è quest’uomo… ma guardati!
Sei tutto ciò che odi, ciò che per anni hai cercato di distruggere…»
«Se non volevi che diventassi così… forse
tua madre doveva uccidermi quando ne aveva la possibilità…»
Il suo era un riferimento al periodo in
cui militava nella League of Doom e Sara aveva avuto
la sua vita nelle sue mani, a Camelot e la decisione
che aveva preso era stata di salvarlo.
Tuttavia anche se non voleva darlo a
vedere le parole di Laurel lo avevano colpito nel
profondo e quando aveva parlato a denti stretti la mano gli era tremata pronto
a colpire, Flag se ne era accorto e non aveva esitato
a sparargli addosso nonostante le urla di Sara e Laurel.
Eppure nonostante gli aveva scaricato l’intero caricatore del mitra addosso
quello era ancora in piedi, sanguinante, ferito, ma non morto e tanto meno
debole abbastanza da essere messo ko, anzi se
possibile si incazzò ancora di più e alzando una mano lanciò l’uomo dall’altra
parte della strada buia e desolata facendogli perdere i sensi.
«SMETTILA! Non puoi metterti comodo e
guardare un’altra famiglia andare distrutta per la tua debolezza!» adesso era Firestorm che senza mezzi termini si stava mettendo in
mezzo e a grandi falcate dirigersi proprio verso Rip.
Gli lanciò una palla di fuoco dopo l’altra, ma Rip
con estrema non chalance le deviò.
«TACI!»
«Perché mh?
Perché dico la verità? Dio mio Rip guardati… se non
ti fermi rimpiangerai tutto questo per lungo tempo e considerando quello che
sei diventato per te vuol dire eternamente!» un nuovo globo infuocato raggiunse
Rip che questa volta divenendo invisibile lasciò che
gli passò attraverso senza scalfirlo. E mentre Jackson sembrava fuori di sé,
Sara non smetteva di guardarsi intorno per ragionare sul da farsi, aveva
pregato Laurel di mettersi al sicuro e seppur lei non
ci pensava minimamente fu costretta ad eseguire quella richiesta pur di dare la
calma e la lucidità necessaria alla madre per pensare a come liberare Rip dall’anello...
«Vado a vedere come sta Flag, ma tu… stai attenta…»
«Lo farò!» e mentre Laurel
correva lontana, Sara notò Jackson ormai a un palmo di naso da Rip.
«Ora devi farti solo una domanda Hunter…
la stessa che ti sei fatto la notte in cui Vandal
Savage uccise la tua famiglia… Che razza di uomo vuoi essere? Perché sei ad un
passo dal divenire come lui!»
Quella semplice domanda bastò per fare
uscire di senno Rip che urlando colpì con la sua mano
il petto di Firestorm che cadendo a terra si sentì
prosciugare da tutte le sue forze, lui che adesso era in grado di uccidere
qualsiasi essere vivente semplicemente con un tocco e desiderandolo. E per lui
ora voleva una morte lenta ed estremamente dolorosa.
Sara lo raggiunse e senza pensarci oltre
si mise tra lui e Firestorm prendendo il viso di Rip tra le mani e cercando il suo sguardo.
«Guardami! Guardarmi! Tu non sei questo…
non sei questo… Rip non sei questa persona… Non lo
sei… e fidati te lo dice una persona che per anni e anni è stata assuefatta dal
dolore…»
Jackson alle sue spalle tossicchiò, segno
che nonostante la presa di Rip fosse ancora forte le
sue parole stavano facendo effetto.
«Adesso sei convinto che ogni porta è
chiusa e che non hai nulla da dare. Sei vittima delle ombre che offuscano i
tuoi pensieri e credi di essere il peggior nemico di te stesso in un incubo che
tu stesso ti sei creato»
Lo sguardo di Rip
ebbe un cedimento tanto che adesso non era più su Firestorm,
ma su Sara e scuotendo il capo non trovò soluzione per quella situazione.
«Questa è la prigione che mi sono
costruito, mi sono abituato all'idea che tutto ciò che tocco muore... Non sento
più nulla e adesso che la peggiore parte di me è sveglia non esiste
soluzione...»
«NON E' VERO! Non distruggere te stesso,
non convertirti in qualcosa che non sei...» e dicendo questo Sara prese la sua
mano ferma sul fianco e la posò sul suo petto. Sul suo cuore.
Entrambi stavano piangendo, entrambi si
stavano giocando il tutto per tutto, mentre lentamente Jackson veniva liberato dalla
morsa e tornava a respirare.
«Non smetterò di insistere, di farti
tornare a sentire cosa vuol dire essere amato... ricorda che anche io ho
respirato veleno e ho provato il sapore del sangue... l'ho amato... ma essere
dipendente dal dolore non è la via d'uscita... non lo è...»
Quando anche l'altra mano di Rip ricadde lungo il fianco, Sara prese un gran respiro
felice di essere finalmente riuscita a farlo tornare a ragionare e cercando il
suo sguardo seppe che mancava ancora un solo passaggio per renderlo libero e
salvare il mondo dall'Apocalisse.
«Dammi il tuo anello Rip...»
«Non servirà…»
«Cosa?»
Fu in quel momento che l’uomo si tolse
l’anello e posandolo sul palmo della mano di Sara improvvisamente brillò per
poi scomparire e lasciare al suo posto l’Arco di Orione.
«Devo asservire la morte per poter far sì
che tutto ciò finisca…» le parole di Rip colpirono
Sara che senza dovergli chiedere a cosa si riferisse lesse nei suoi occhi ciò
che stava per fare e questo gli bastò per fargli scuotere il capo.
«Dobbiamo sbrigarci, non riuscirò a tenere
l’oscurità imbrigliata a lungo… e tocca a te Sara…» e fu allora che una freccia
apparve nelle mani di Rip, la stessa che porse alla
donna che amava.
Lei lo guardò cercando di dissuaderlo da
chiederle una cosa del genere, ma in egual modo aveva affrontato abbastanza
situazioni al limite per capire che non c’era altra soluzione e nonostante la
odiasse, la respingesse e la distruggesse non poteva fare altrimenti.
La mano mai le era tremata così tanto
quando, incoccando la freccia, la stava puntando al cuore di Rip Hunter.
«Avevi ragione… e anche Laurel…» dicendolo Rip guardò
oltre la spalla di Sara, vedendo sua figlia ormai vicina. Aiutava Firestorm a stare in piedi dopo che con Flag
lo avevano fatto alzare e adesso la giovane stava piangendo con la mascella
serrata, incapace di pensare che quello avrebbe cambiato per sempre il suo
futuro e l’avrebbe privata di tutti i ricordi che con lui aveva.
«Sono stato debole, permettetemi dunque
ora di essere forte e salvarvi… salvare tutti…»
Sara si preparò a colpire, ma non era
facile. Mai aveva esitato così tanto.
«E’ che non voglio…»
«Oh nemmeno io, ma… permettimi di morire
da eroe… voglio che in questo modo voi mi ricordiate…»
E li accadde. Sara trattenne il respiro. E
anche Rip. E anche tutti gli altri. Quel secondo
sembrò eterno e quando ormai la freccia nera si era conficcata nel petto di
Hunter tutto tornò a scorrere veloce e violento. Un forte vento si alzò e da
ogni momento del tempo e in qualsiasi luogo sulla terra tutti poterono vedere
la grande oscurità allontanarsi, le persone marchiate liberarsi, Battleworld distruggersi e Darkseid
venir rispedito negli abissi dell’Universo. Tutto questo perché Rip aveva fatto una scelta, la stessa che adesso lo vedeva
steso a terra e privo di vita in un luogo ove il tempo e lo spazio non
esisteva, ma dove gli echi d’amore di Sara e Laurel
sempre lo avrebbero raggiunto…
E’ stato un viaggio molto lungo, ma eccoci
alla fine perché il prossimo capitolo sarà l’ultimo di questa lunga fan
fiction. Non so come vi sentite dopo aver letto questo capitolo, ma forse un po’
triste e scioccati come me. Cosa succederà ora? Il mondo e il tempo e salvo, ma
a che prezzo?
«Se avevamo imparato
qualcosa durante il nostro periodo come soldati, o come Leggende, era che il
futuro... non era scritto. Non poteva essere scritto. Ecco il mio problema...
questo profeta oscuro, indovino, creatore di caos... Era venuto e aveva
distrutto tutto con l’egoismo di un devastatore.
Il tempo era un
costrutto.
Il tempo era un
concetto.
Il tempo poteva
essere considerato un organismo che viveva e respirava intorno a noi»
Sara Lance
«Come sta?»
Amaya aveva scosso il capo come risposta
nei confronti del marito che seduto sul letto della loro camera da letto all’interno
della Waverider stava giocando con la piccola Jeanne che
era intenta a costruire una piccola piramide con dei cubetti colorati. La madre
la guardò lasciandosi andare a un piccolo sorriso, prima di sedersi al suo
fianco e aiutarla nell’impresa, ma non senza perdere di vista la preoccupazione
che l’attanagliava. La decisione che lui e Nate avevano preso di tornare con le
Leggende era stata dovuta e normale perchè dopo la
sconfitta di Darkseid si erano resi conti di non
poter lasciare soli i loro amici e tanto meno Sara.
«Riesco a convincerla a mangiare solo perché
è incinta e perché Laurel è tutto per lei, come
Jeanne per noi…» e dicendolo Amaya diede una carezza alla guancia della bambina
ignara di ciò che stava succedendo. Nate allungò una mano e stringendo quella
della donna che amava ne baciò il dorso.
«Sara è forte… Lo sai…»
«Lo so. So che questo non le sta impedendo
di essere sempre e comunque un ottimo Capitano, ma perdere chi ami ti cambia
per sempre e irrimediabilmente… Ancor più se sei tu ad averlo ucciso…» e
dicendolo accarezzò il viso del suo “uomo d’acciaio” con un malinconico
sorriso. Loro avevano l’uno l’altra e Jeanne, ma il destino di Sara e di Laurel era cambiato per sempre.
«Avrei voluto scoprire che
ciò che era successo in qualche modo avrebbe aperto un portale o un qualsiasi
paradosso che avrebbe risolto tutto. Che tutte le teorie sul tempo e sullo
spazio venissero riscritte. Che lui sarebbe sopravvissuto e che io avevo torto
nel pensare che il mio futuro sarebbe cambiato per sempre. Ma quello che avevo
scoperto era anche peggio di quello che temevo»
Laurel Hunter
Laurel era seduta sull’asse di equilibrio della
palestra del college ove si allenava e aveva appena salutato Donald con un
bacio sulle labbra e un sorriso che voleva assicurargli che non doveva
preoccuparsi per lei. Era rimasta molto colpita dallo scoprire da quanto lui
fosse innamorato di lei e tutto quello che era successo e i ricordi di un’altra
linea temporale che avevano recuperato li aveva inaspettatamente avvicinati. Quella
bellissima storia d’amore le stava dando la forza che oggettivamente le mancava.
Era rimasta non sapeva nemmeno quanto
seduta lì persa nei suoi pensieri invece di allenarsi per le immediate
nazionali tanto che quando Mia la raggiunse, trafelata, la trovò ancora in
quella posizione.
«Scusa il ritardo, ma il professore…» alla
giovane Queen le morirono le parole in gola quando vedendo la sua amica in
quello stato le si avvicinò e andandole vicino si piegò leggermente con il capo
per cercare il suo viso nascosto dai capelli.
«Laurel…»
mormorò affranta, mentre quella facendo un piccolo balzo giù e trovandosi cos’ in
piedi di fronte alla sua migliore amica, l’abbracciò stretta lasciandosi andare
a quelle lacrime che in casa tratteneva per non mettere il coltello nella piaga
con sua madre. Mia sospirò, ma alla fine la strinse forte a sé accarezzando i
suoi lunghi capelli biondi…
«Avrei voluto dimenticare Mia… ogni
momento, ogni ricordo… tutto ciò che di lui conservavo, ma il tempo è stato
tiranno e nonostante lui sia stato cancellato dalla mia linea temporale… non
smetto di ricordare la mia vita con lui…»
Tra i singhiozzi Laurel
si stava sfogando come mai aveva mai fatto da che erano tornati nel loro tempo.
Lei che sembrava star bene, che si era sforzata di tornare alla normalità come
se nulla fosse accaduto, ma che a fin dei conti era impossibile.
«Ogni elemento del
mondo emette energia. Ogni cosa.
Una visione teorica
del futuro. Non è il futuro perché ancora non c'è. Esiste un algoritmo di un
possibile futuro. Sì! Forse un futuro alquanto possibile. Ma, e ci tengo a
sottolinearlo, è solo un algoritmo. Matematica. Congetture.
E' profilazione. Si tratta di fare profilazione
al nostro futuro. A nessuna delle persone coinvolte è stata data una scelta»
Lily Stein
Quando suo padre era
partito lo aveva salutato con un gran sorriso e la promessa che tutto sarebbe
andato per il meglio, non era stato facile accettare per lui che lei e Leonard
avevano deciso di provare a crearsi una vita insieme, ancor più in una città ove
teoricamente lui era ancora visto come un temibile criminale, ma alla fine
aveva ceduto di fronte a quegli occhi vispi e decisi così simili ai suoi.
Lily però non era
uscita del tutto intatta da quella storia, la sua visione sulla scienza e la fisica
quantistica era cambiata e da quando aveva accettato una cattedra come
professoressa alla Central City University non
smetteva di calcare quel concetto ai suoi studenti, mettendo in discussione
tutto ciò che normalmente veniva dato per scontato.
Aveva appena finito
la lezione, quando ad aula vuota sentì un applauso provenire dalla porta posta
al fianco della cattedra e voltandosi ridacchiò nel vedere Leonard poggiato
allo stipite guardarla con quella sua solita espressione indecifrabile.
«Sei fuori!» esclamò lei entusiasta
andandogli incontro abbracciandolo e baciarlo. Joe
West non aveva potuto fare a meno di arrestarlo, ma a quanto pareva Barry aveva
mantenuto la sua parola e gli aveva dato la possibilità di ricominciare.
Leonard dal canto suo la strinse sui
fianchi e se la tenne stretta baciandola senza importagli degli studenti che
passando per i corridoi li guardavano ridacchiando o parlando tra loro
sconvolti che la loro professoressa baciasse il temibile “CaptainCold”. Lui sapeva solo che adesso quell’appellativo
non gli apparteneva più, come quello di Leggenda o di ladro… ora era solo
Leonard ed insieme a lei era curioso di scoprire cosa questo avrebbe voluto
dire…
«Io dico che il libero
arbitrio viene cancellato dal processo di scelta. Dico che lasciamo l'ultima
parola al potere di un’entità sconosciuta, nessuna delle persone coinvolte nel
processo decisionale del tempo è responsabile delle proprie azioni. E senza una
responsabilità personale cosa siamo?»
Ray Palmer
«Sei tremenda lo sai?»
Mia aveva appena appoggiato la borsa sul
divano, aveva lasciato da poco Laurel e dopo una
lunga chiacchierata in cui l’aveva invitata a sfogarsi adesso toccava a lei
sentirsi coccolata e chi meglio poteva farlo se non l’uomo che amava?
Era appena arrivata nel suo appartamento e
lo aveva trovato di fronte alla finestra del grande salone, le mani in tasca e
lo sguardo profondo immerso sulla skyline di una Star City di nuovo viva e
sicura. Alcuni fili argentei spuntavano sui suoi capelli nerissimi, li stessi
tra cui passò la sua mano quando, una volta vicina, si strinse a lui e si portò
sulla punta dei piedi per baciarlo.
«Perché?» chiese Mia innocentemente
voltandosi verso il vetro e sentendo lui che l’abbracciava da dietro.
«Chiedi anche? Guarda che qualsiasi cosa
fai con lui la ricordo anche io…»
«E sei geloso Palmer?» chiese lei
ridacchiando ironica sentendosi voltare di scatto e baciare con quell’impeto
che lui aveva, seppur nascosto dietro quella sua aria sempre gentile e bonaria
«Oh Mia Queen… sono destinato ad amarti in
qualsiasi tempo…»
«Se non avessi cercato quel contatto oggi
non saremo qui…»
Le loro parole si mischiavano da quanto le
loro bocche erano vicine, mentre ridendo si cercavano in un nuovo bacio. Nessuno
sapeva di loro ed era stata una scelta comune dovuta alla loro differenza di
età e di come Mia, era certa, suo padre non avrebbe mai preso bene quella
relazione quanto sua madre. Cosa le avrebbe detto? Che il suo attuale fidanzato
era il suo ex? Tuttavia entrambi sapevano e volevano uscire alla luce del sole,
erano sopravvissuti all’Apocalisse, sarebbero sopravvissuti anche ai coniugi
Queen, no?
«Se viviamo in un
mondo di algoritmi e probabilità quante probabilità ci sono che il tempo sia
esattamente come crediamo?»
Rip Hunter
«Ciao Rip»
Quando il Capitan
Hunter aveva aperto gli occhi, per via di quella voce che era giunta alle sue
orecchie, ed era stato investito da una forte luce si era convinto che quello
doveva essere l’aldilà o qualsiasi posto in cui finivano le anime dei morti.
A fatica si mise in
piedi notando intorno a lui una candida stanza bianca di cui era impossibile
distinguerne i contorni e di fronte a lui un giovane ragazzo, dai capelli rossastri
e lo sguardo gentile.
«Tu chi sei? Che cosa
vuoi? Dove sono? Sono morto?» l’uomo di fronte a lui scoppiò a ridere
scuotendo il capo e avvicinandosi posò sulla spalla di Rip
la sua mano, facendo sobbalzare quest’ultimo in quanto si era reso conto che il
suo tocco era reale.
«Non è importante dove sei, ciò che conta
è il ringraziamento che ti devo…»
A quella frase il Capitano si sentì a
disagio perché non credeva di essere nella posizione per meritare un bel
niente, tanto meno un ringraziamento.
«Grazie a te è stata
fatta una cosa molto importante. Avete finalmente sconfitto il terribile Tiranno di Apokolips. Il mio patrigno Darkseid»
«Orion»
«Esatto. E sono qui
per farti passare... Sei pronto?»
Era alquanto sconcertato Rip di trovarsi di fronte a niente di meno che lui, tant’è
che quando gli fece quella domanda non capì a cosa si stava riferendo, ma
qualsiasi cosa fosse non era nella posizione di pretendere spiegazioni. Qualsiasi
sarebbe stata la sua sorte l’avrebbe accettata.
«Sono pronto…»
«Allora è il momento
di indicarti la via...»
I due si scambiarono
un lungo sguardo, ma nel momento in cui Rip sbatté le
palpebre il sorriso di Orion e l’immagine di una stanza immersa nel buio si
sovrastarono e quando tornò a guardarsi intorno non ci volle molto per capire
dove fosse.
Il suo arrivo doveva
aver creato una sorta di sbalzo nell’energia cinetica della stanza che fece
svegliare Sara di soprassalto e mentre già impugnava il pugnale che teneva
sotto il cuscino per aggredire l’estraneo nella sua stanza, le luci si
accesero, lui si voltò ed entrambi non credettero a ciò che avevano di fronte.
«Rip…»
«Sara…»
Nemmeno il tempo di ragionare sul perché e
per come che lei aveva fatto cadere la lama dalle mani ed uscendo dal letto era
finita in ginocchio ai piedi del letto, lì dove lui si era avvicinato e
stringendola tra le braccia avevano preso a baciarsi con urgenza e necessità
senza smettere un secondo di far incontrare le loro labbra.
«C-Come è possibile?»
«Ehm non lo so… Orion…»
«Orion?»
«Sì il figliastro di Darksei,
il grande cond-»
«Non mi interessa!»
Spiegazioni veloci e concitate uscirono
dalle loro bocche, prima che Sara zittendolo di nuovo lo cercò per baciarlo
aggrappandosi a letteralmente a lui, come se temessero di poter essere divisi
di nuovo. Il loro era un turbinio di così tante emozioni e sensazioni che non
riuscirono in alcun modo a contenerle e tanto meno a spiegarle a voce e che riuscirono
ad esprimere unicamente cercandosi, baciandosi e accarezzandosi.
Fu in un singolo momento di distacco che
lui abbassò lo sguardo e guardando il suo ventre leggermente rigonfio vi poggiò
una mano sopra.
«Scusami se sono stato codardo…»
«Scusami se ti ho fatto credere di esserlo…»
Entrambi piangevano e ridevano, mentre
stringendosi forte tornavano a vivere in un cuore unico, di cui il battito
raggiunse anche il futuro che li attendeva.
Laurel era appena tornata a casa, dopo quella
lunga giornata di allenamenti e lacrime e quando entrata in cucina trovò suo
padre e sua madre stretti a baciarsi, la sua sacca della palestra cadde a terra
e così facendo mostrando loro la sua presenza. Rip e
Sara si voltarono verso di lei che senza pensarci due volte corse incontro loro
per poi venire accolta dal loro caldo abbraccio.
Potevano essersi svegliati nell'oscurità,
ma ciò che li univa aveva dimostrato di essere molto più forte di qualsiasi
forza negativa, dello spazio dei loro corpi e del tempo stesso.
Tutte le parole erano state usate e ciò
che provavano esplodeva nei loro cuori.
Passato, Presente, Futuro... tutti uniti
da un filo invisibile che li cuciva insieme come amici, colleghi, amanti,
famiglie, ma sopra ogni cosa come Leggende.
Un racconto che sarebbe rimasto impresso
nel mito, degno di essere letto e tramandato... la storia di un evento
incredibile...
FINE
A chiunque a letto questa lunghissima
storia, oggi come ieri, ma sempre più di domani, faccio il mio più grande
ringraziamento. Che le Leggende vivano sempre dentro di voi perché è solo
grazie a queste storie di coraggio e amore possiamo essere persone migliori!