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Era tutto sfuocato…una
stanza…una stanza poco illuminata…un arco…persone…persone sfuocate…persone che
si agitavano, correvano, si muovevano in un turbinio di immagini
quasi senza senso...fiotti di luce colorata vagavano poco distanti…corpi…corpi
che cadevano… corpi che si rialzavano e riprendevano quella che sembrava
un’interminabile battaglia…e poi lui…lui…la sua immagine era nitida e fresca,
come una fotografia…i suoi movimenti erano fluidi…apparivano in un modo che
ricordava quasi la scena di un film…a rallentatore…era terribile…
I suoi capelli neri e
lunghi ondeggiavano seguendo i movimenti del suo corpo…facevano da cornice a
quel volto deformato dalla concentrazione e dall’attenzione…ogni errore poteva
essere fatale…e poi…quel momento maledetto…l’arco che lo inghiottiva
prepotentemente…il suo viso…il suo volto stupito e, al tempo stesso impaurito,
scompariva velocemente dietro quel velo…troppo velocemente…troppo…il tempo non
ha aspettato…il destino non ha concesso…lo ha solo portato via…per sempre…per
sempre…
Aprì gli occhi di scatto,
saltando a sedere sul letto, ansimava come se avesse corso.
Si toccò il volto, la
fronte, si accorse che era sudata; si asciugò con la manica del pigiama, ma
nulla di quello che stava facendo fu in grado di distoglierlo da quello che
aveva appena visto, o meglio sognato.
Fece un gran respiro, cercò
di calmarsi, anche se era inutile.
Gli lampeggiarono in mente
all’istante, le immagini, come fotogrammi, di quello che era stato l’ennesimo
incubo.
Da quella notte maledetta,
non faceva che sognarlo, non faceva che svegliarsi nel cuore della notte, con i
battiti a mille, tutto sudato e con il fiatone.
Non avrebbe
retto ancora a lungo…Sapeva di essere al limite di sopportazione.
Da quando era tornato a Privet Drive,le
cose sembravano andar peggio, la rabbia si era triplicata, ma non aveva la
forza di calmarla; la tristezza lo sopraffaceva più spesso, ma non riusciva a uscire da quei momenti d’angoscia. Era diventato qualcosa
di molto simile ad un vegetale…viveva giusto perché era obbligato, ma non
provava minima gioia nel farlo. Non era più lui. Non era più l’Harry che tutti
conoscevano, non era più quel ragazzo così forte e coraggioso, ma anche così
fragile e debole, fragilità che lui abilmente nascondeva sotto una dura e
imperforabile corazza, che adesso era andata distrutta in mille pezzi.
Restò in silenzio seduto
sul letto ad ascoltare i battiti del suo cuore che pian piano tornavano a farsi normali.
In quel momento non pensava
a nulla, solo a quanto era ingiusta la vita…
Per quanto riguardava
l’aspetto esteriore, oltre alle occhiaie, causate dalle varie notti insonnie,
si poteva definire normale, senza alcuna preoccupazione; ma in fondo all’animo,
nel più profondo del cuore, la sua ardente fiamma di
vita si stava ogni giorno più indebolendo…stava morendo, di dolore.
Non erano poche le volte
che si era ritrovato con lo sguardo fisso nel vuoto, e poi si era accorto delle
lacrime silenziose che solcavano il suo giovane volto…ma il suo dolore, la sua
rabbia, il suo sconforto andavano ben oltre delle
semplici lacrime.
Che cos’erano le lacrime in confronto all’orrore che si
portava dentro? Niente. Sapeva solamente che non ne sarebbe mai uscito. Sapeva
solamente che non c’era rimedio, non c’era cura.
Involontariamente
si risdraiò sul letto, con la testa sul cuscino, a
guardare il soffitto. Il suo
sguardo andava al di là del muro sopra si lui; vagava
per i ricordi, che lui serbava gelosamente in un angolo nascosto del suo cuore.
Rimase così a lungo, non
seppe dire per quanto, ma in fondo non era importante.
Si ricordò, lentamente,
della prima volta che lo vide; quei ricordi gli tornavano spesso in
mente…rivide quella sera di tre anni prima quando scappò da casa dei suoi zii.
Si ricordò, con un sorriso
amaro sul volto, di quei due occhi che lo fissavano vicino ad un garage in Privet Drive…la prima volta…Sirius.
Lui non lo sapeva, non
immaginava neppure, che da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata
inconsapevolmente.
Quel
ricordo prese a sfumare, facendone
affiorare un altro.
Si ritrovò, con la mente,
in quella che aveva l’aria di essere la Stamberga Strillante…sì, proprio lì
dove lo stesso anno si trovò faccia a faccia con lui…solo alla fine di
quell’incontro si rese conto di non essere solo al mondo…di avere, e di aver
sempre avuto, anche se non vicino, qualcuno che lo amasse e che teneva a lui
forse addirittura più della sua stessa vita...Sirius.
Chiuse gli occhi per un
attimo, e una lacrima solitaria prese a scivolare sul suo volto sudato. Riaprì
gli occhi e vide tutto sfuocato, le lacrime avevano riempito
i suoi occhi già colmi di tristezza.
Tirò su col naso, si passò
una manica sulle palpebre per asciugarle, fece un altro profondo respiro, si
voltò su un lato e chiuse gli occhi nel tentativo vano di riprendere sonno.
Inutile.
Lo sapeva
bene, sperava solamente.
Innervosito, si alzò
nuovamente di scatto, questa volta inforcò gli occhiali e si diresse verso
l’armadio.
Lentamente aprì l’anta
cigolante, e si fissò nello specchio attaccato.
Un ragazzo dall’aria
sciupata gli ricambiava lo sguardo, lo fissava triste.
Harry si passò le mani sul
volto nel tentativo di cancellare per sempre quell’identità, Harry Potter…
Quando si rivolse nuovamente allo specchio, pensò duramente:
Voldemort, perché non mi vieni a prendere? Sono stufo di tutto...perché non
mi vieni a distruggere definitivamente? Non voglio più essere io, non voglio
più vivere…perché mi prolunghi la condanna e la sofferenza? Voglio che sia ora,
ora…
Harry scosse
la testa rivolto allo specchio.
“Ho fallito...non sono neanche in grado di
proteggere le persone che amo...eppure io riesco sempre a cavarmela, questo non
è giusto...”continuò
sostenendo il suo sguardo attraverso lo specchio.
All’improvviso sentì un
fruscio d’ali, si voltò con lentezza verso la finestra e vide curiosamente un
gufo che cominciò a battere il becco contro il vetro.
Il ragazzo si diresse verso
la finestra e aprì l’anta.
Il gufo sembrava provenire
dalla scuola, ma perché in piena notte?
Harry prese la lettera che
l’animale tendeva, l’aprì.
Era un messaggio di
Silente, era breve, ma conteneva mille significati.
Perché vuoi farti del male, Harry…
Harry non rimase stupito di
quell’unico breve messaggio, lesse le parole senza neanche prestare attenzione
a quello che potevano racchiudere al loro interno.
Quasi casualmente
appallottolò il foglietto e lo buttò nel piccolo cestino che c’era di fianco
alla sua scrivania.
Si diresse poi verso il suo
letto, guardò la sua sveglia che segnava le 5.30 del mattino, si sedette sulla
coperta, e lentamente, nella sua mente presero forma le parole di Silente.
Le ripeté ad alta voce, ma
non colse nessun significato, che invece in condizioni normali avrebbe colto.
Rimase per un po’ di tempo
in quella posizione, riflettendo.
Di certo non si può dire
che erano pensieri quelli che si formavano all’interno della sua mente; infatti ovunque andasse, qualunque cosa facesse, l’unica
cosa che si vedeva sempre davanti era la morte di Sirius.
Giorno e notte. Notte e
giorno. Stava impazzendo, ma non riusciva a reagire, per quanto potesse provarci. Non riusciva. No.
Rimase così finché non
sentì qualcuno che bussava forte alla sua porta.
“Allora, dannato ragazzo, ti svegli? Sono
le sei, e io devo andare!” disse una voce burbera
all’esterno della stanza.
Harry non ci fece neanche
caso al tono minaccioso della voce di zio Vernon, che in quei giorni andava a
lavorare molto presto.
Si alzò, si diresse piano verso la porta e l’aprì.
Vernon rimase un po’
allibito dallo sguardo perso del ragazzo, mai in vita sua era stato così, che
diavolo era successo?
Harry si limitò a fissarlo,
e sentì la rabbia di zio Vernon crescere.
“Allora, che fai lì impalato? Muoviti! Non
ho così tanto tempo...” cominciò lo zio, ma non finì
la frase che Harry aveva puntato il dito contro il suo naso grassoccio.
“Sei impazzito, forse?” sbraitò Vernon
restando lì dov’era.
Harry lo fissò con uno
sguardo truce.
“Nessuno...nessuno
mi si rivolgerà più con quel tono, mai!” disse il ragazzo a denti stretti.
“Avete finito di trattarmi così, non fa
neanche piacere a me stare qui, ma devo! Quindi d’ora in poi io sarò solo un
fantasma in casa vostra, nella vostra vita...anche se solo questo sono stato negli ultimi quindici anni!” urlò con quanto più
fiato avesse in gola: perché era stufo, perché non li sopportava più.
Dopodiché, senza degnare di
uno sguardo lo zio, che si era ammutolito, girò sui tacchi e scese in cucina.
Arrivato, cominciò a
prepararsi qualcosa da mangiare anche se non aveva fame: era da un po’ che non
mangiava come si deve, ma un senso di vuoto e nausea lo prendeva ogni volta che
sentiva nominare la parola cibo.
Dopo quella
che a mala pena si poteva definire colazione, Harry si alzò da tavola, fece per
salire le scale per andare a rintanarsi in camera sua, quando qualcosa di molto
grosso gli si parò davanti.
Alzò lo sguardo sul
massiccio corpo di suo cugino Dudley, che lo guardò
con aria di sfida.
Harry sostenne lo sguardo
per nulla intimorito.
“Allora, cugino...come te la
spassi?” chiese in modo falsamente casuale il cugino, sbadigliando vistosamente.
“E cosa te ne
importa?” chiese Harry in tono di sfida.
Sul volto di Dudley apparve un ghigno malefico.
“Non hai ancora smesso di blaterare nel
sonno, eh?” chiese prendendolo in giro.
Harry lo fissò, ma non aprì
bocca, voleva sapere fin dove si sarebbe spinto il cugino.
“Chi è Sirius?” chiese con vocina
stranamente angelica.
Il volto di Harry divenne
una maschera di puro odio, lo aveva sentito parlare
nel sonno in quei rari momenti in cui riusciva a dormire; a volte si chiedeva
se il cugino avesse orecchie o radar.
Harry comunque
non rispose: rimase a guardarlo impassibile, cercando di non far trasparire
alcuna emozione o espressione.
Il ghigno di Dudley si allargò.
“Allora? Non rispondi? E’ qualche altro
strano tizio del tuo pazzo mondo? Qualcun altro che ha fatto
una brutta fine?” continuò.
Si stava ripetendo tutto
esattamente come l’estate precedente.
Harry cominciò a bollire
dalla rabbia; il cugino sembrò accorgersene.
“Beh...se ha fatto una brutta fine, c’è
solo da stare contenti, no?” chiese sadicamente.
“Ma cosa ne puoi
sapere tu...” disse Harry quasi ringhiando.
Quella frase e
quell’espressione tolsero il sorriso maligno dal volto di Dudley,
che non si aspettava una reazione dal cugino, il quale non dava segni di vita
da più di un mese.
Cominciò ad indietreggiare,
mentre un Harry sempre più arrabbiato si faceva più vicino.
I loro volti quasi si
sfioravano; Harry parlò scandendo bene le parole, con l’intenzione di far recepire il messaggio anche ad una mente come quella diDudley.
“Ma-cosa-ne-potete-mai-sapere-voi?
urlò ancora una volta, in faccia al cugino, scandendo
le parole.
“Voi...voi credete sempre di essere perfetti...credete che il mondo vi sia amico,
credete di poterlo prendere in giro, credete in un mondo nel quale i buoni
vincono...ma non è così, voi non sapete niente, non sapete, neppure immaginate
cosa si provi...ma è inutile con voi...non capireste mai...” disse
sfogando la sua rabbia, che da tempo lo teneva a ferro e fuoco, sul cugino che
intanto sudava copiosamente dalla paura.
Un attimo di silenzio cadde
fra loro, nel quale si sentiva solo il fiatone di Harry.
“Che cos’è che non
capiremmo?” chiese una voce che Harry conosceva bene.
Si voltò
verso la cucina, scese le scale, si ritrovò davanti a sua zia Petunia e
suo zio. Era stata lei a parlare.
Harry rimase un po’
ammutolito, non si era accorto anche della presenza
dei due zii; avevano sentito tutto...ma scoprì che non gliene importava niente:
lui aveva solo detto la pura e semplice verità.
“Allora, vuoi rispondere?” continuò la
donna non sentendo alcuna risposta del ragazzo.
“Voi...” cominciò
Harry,sentì di non potercela fare, ma
fece un gran respiro e riprese. “Voi, siete abituati e siete sempre stati così,
a vivere una vita normale, senza grandi imprevisti, a vivere nel vostro comodo
mondo ovattato...ma vi sbagliate...il mondo è crudele e spietato, voi non
immaginate cosa vi sia dietro...è fatto al contrario, è un mondo contorto,
malvagio, nel quale il Male vince e domina, e dove i buoni, che si battono, che
combattono per la vita, muoiono...è un dolore grande...è un’orribile
realtà…nella quale al Male è permesso di vivere e distruggere, annientare e
uccidere tutto fin in fondo all’anima...è...è un mondo avvolto dalle tenebre,
nel quale il Bene viene soffocato e distrutto...è un destino crudele, che non
credevo potesse avverarsi, ma che invece è successo, perché io...ancora una
volta...ho fallito…” si bloccò un momento, accorgendosi che il suo viso
era sudato, poi senza guardare gli zii negli occhi continuò. “Fin da piccolo,
per come vivevo, ho sempre sognato, ho sempre sperato, che qualcuno mi venisse a prendere, per portarmi via...per portarmi in un
mondo fantastico, in un mondo migliore...si può dire che passavo le giornate a
creare storie, avventure nelle quali speravo di potermi trovare...ma la mia
avventura si è rivelata piuttosto diversa...” disse
non riuscendo più a contenersi; decise di dire tutto, non curandosi delle
conseguenze, quello che sarebbe accaduto dopo lo avrebbe affrontato,
prendendosi le sue responsabilità, ma almeno, forse, si sarebbe sentito più
leggero.
“Oso dire, addirittura, che tutto ciò per cui mi sono battuto finora, è andato perso per sempre:
idee, convinzioni, speranze...già…la speranza, si dice che sia l’ultima a
morire, beh...invece è stata la prima, perché è stata sopraffatta dalla ragione
e dalla consapevolezza di non potercela fare, dalla consapevolezza che è tutto
finito irrimediabilmente...” continuò Harry, mentre
tutti e tre i Dursley sembravano apparentemente
rapiti da quelle parole, che sembravano uscire da un’anima ormai ferita in modo
irreversibile.
“Io...” riprese
Harry, “Non so cosa ne sarà di me…cosa mi riserverà il futuro, anche secredo sia già scritto...ma comunque, da ciò
che ormai so, spero che qualunque cosa sia, dia una scossa a questo
schifo...nel Bene o nel Male” la sua voce si affievolì, e cadde un silenzio
innaturale nel salotto di casa Dursley.
Nessuno si muoveva,
fiatava...solo Dudley sembrò uscire da quel trance…
Si avvicinò a Harry, che
aveva il fiatone, e gli sussurrò all’orecchio, in modo che solo lui potesse
sentire: “Da quello che hai detto, non sembri felice della tua vita...beh,
peggio per te, io sto bene e non mi interessa di nessun
altro...ah, per quanto riguarda quel tuo padrino Sirius, morto e sepolto...non
poteva accadere qualcosa di più bello...uno strampalato di meno in torno...così
tanto per dare più colore alla tua vita, una perdita che vuoi che sia,
dopotutto tu ci sei abituato, non è vero?” si allontanò dall’orecchio di Harry
il quale guardava nel vuoto che la bocca aperta... non riteneva Dudley un essere capace di dire quelle cose, si ritrovò
comesecentinaia di lame incandescenti lo avessero appena trapassato, era
triste, arrabbiato...vuoto.
Senza capire bene cosa stesse per fare, di diresse verso il cugino, che
intanto si era allontanato con un ghigno sul volto.
Lo raggiunse,
lo girò per guardarlo in faccia, e senza rifletterci due volte, gli
mollò un forte pugno.
Dudley, colto inaspettato, si accasciò a terra tenendosi
stretto con le mani, il naso, che aveva cominciato a perdere sangue.
Zia Petunia cacciò un urlo
disumano e si precipitò sul figlio quasi agonizzante al suolo.
Harry rimase a guardare
quella scena patetica con un’espressione quasi di maligna soddisfazione dipinta
sul volto.
Zio Vernon non perse tempo,
si avvicinò furtivo ad Harry, lo afferrò per la
collottola e lo trascinò fino in cucina, dove lo fece sbattere contro il muro.
Gli si parò davanti con la
faccia deformata dalla rabbia.
“Che diavolo hai
fatto, ragazzo? Come ti sei permesso?” urlò lo zio
strattonandolo violentemente.
Harry non disse niente, non
si mosse, provava solamente un senso ancora crescente di cupa soddisfazione nel
vedere lo zio così infuriato: non era neanche lontanamente dispiaciuto o
pentito per la sorte di suo cugino.
Non sentiva niente: né la
voce grossa dello zio, né i lamenti di Dudley che
provenivano dalla stanza adiacente. Solo vuoto. Vuoto attorno a lui.
Non era nemmeno minimamente
preoccupato per la sua sorte, di sicuro, si era cacciato in un brutto e grosso
guaio, con il risultato di aver fatto solo peggiorare i rapporti, già così
freddi e indifferenti, tra loro.
Lentamente, senza neanche
prestare attenzione alla minacce di zio Vernon, si
allontanò dalla cucina, diretto in silenzio in camera sua.
Ma lo zio non si diede per
vinto; gli si parò davanti prima che il ragazzo potesse solo anche mettere un
piede fuori dalla porta.
“Dovecredi di andare, eh? Non ho ancora finito con te!”
urlò.
Harry lo guardò alzando un
sopracciglio; di sentiva la rabbia montargli dentro di
lui.
“Ah, davvero?” urlò. “Mi pare proprio che
tuo figlio se lo sia meritato! Non poteva essere più spregevole! Un colpo
basso! Voi non capite! Non capite niente! Niente! Non sapete quando è il
momento di tacere, non sapete quando è il momento di dire ciò che è realmente
giusto! Niente!” si fermò, osservando l’effetto di quelle parole.
Poi riprese, ma con più calma.
“Ti è mai capitato di voler bene a
qualcuno? Di tenere a lui più della tua stessa vita? No, non credo
proprio...Beh, se credi tanto che io mi sia solo più rimbecillito di quello che
sono, ti sbagli...”sentì le
lacrime salirgli agli occhi, incontenibili, erano lacrime di rabbia. “E’ solo
che quel qualcuno se è andato...è morto, a causa mia...”.
“Ah sì?” fece lo zio. “Davvero è morto a
causa tua? Beh, ragazzo, la tua presenza non è altro che un pericolo, sei solo
un misero essere che non è neanche degno di essere al mondo, tu...tu distruggi
famiglie, metti in pericolo la nostra, ma chi diavolo sei per avere questo grande trattamento, eh?” urlò.
Harry, questa volta, non
aveva neanche la forza di reagire...tanto qualunque cosa avrebbe detto, non
avrebbero comunque mai potuto capire.
Si allontanò dalla cucina
per andare in camera sua e restare solo più che poteva: anche se con quei
tormenti non sei mai solo...
Mentre saliva le scale, udì distintamente la voce di sua zia
Petunia, che intanto aveva raggiunto il marito, dire: “Vernon, c’è solo una
cosa da fare, e avremmo dovuto farlo quindici anni fa...non m’interessa di quel
ragazzo, che è ancora minorenne, e che ci sta distruggendo, e neanche di quel
vecchio pazzo del suo preside, non mi fa più paura, dico solo una cosa...orfanotrofio*...”.
Dall’alto delle scale,
aveva sentito ogni cosa, e una lacrima di profonda tristezza prese a scendere
sul suo volto pietrificato.
***
Ciao a tutti!
Spero che il mio primo
capitolo possa esservi in qualche modo piaciuto; lo so che può sembrare una
storia trita e ritrita, e che ci crediate o no, ci lavoravo da un annoO.o
E’ solo che preferisco
terminare una storia (se questa schifezza si può chiamare tale^^)prima di pubblicarla in modo da non fare
ritardi, o assicurarmi almeno che sia finita^^’
*Anticipo che non so
minimamente come funzioni un vero orfanotrofio… prendetela come totale fantasia^^’
Un’ultima cosa… ho fatto un
paio di “locandine”^^ riguardo questa storia…
Vi andrebbe di lasciare un
commento? Spero proprio di sì.. Mi farebbe davvero molto felice ^__^Ovviamente si accettano le critiche, ci
mancherebbe altro, ma… niente pomodori!
Aveva passato tutto il
pomeriggio disteso sul letto a fissare il soffitto.
Quella sera stessa non si
fece vedere a cena, dubitava che i Dursley gli
avrebbero permesso di mettere piede in cucina.
Il suo stomaco cominciava a
brontolare, ma era sempre più convinto ad ignorarlo.
Durante tutto quel tempo
che aveva passato da solo, il suo più grande incubo prese
lentamente forma nella sua mente: l’orfanotrofio.
Davvero i Dursley sarebbero capaci di poterlo abbandonare in uno di
quei posti come un cane?
Non aveva mai temuto di
andarci, perché inspiegabilmente aveva sempre sentito una specie di aura attorno a lui, aveva sempre saputo che gli zii non
l’avrebbero mai fatto.
Invece, ora, si ritrovava
appeso ad un filo; sarebbe finito in quel posto come tutti le
persone non ancora maggiorenni che non avevano i genitori, o
tutori...già, tutori...lui ce lo aveva sempre avuto, anche se non lo aveva mai
saputo...e ancora una volta si ritrovò a pensarlo: quei suoi occhi così
profondi, che sapevano rassicurare anche nei momenti più critici, quella sua
voce, così forte...basta! Sarebbe impazzito se avrebbe ancora
pensato a lui, se lo sentiva.
Doveva disperatamente
distrarsi o i ricordi dolorosi lo avrebbero ucciso.
Si costrinse a cambiare
pensiero...provava ad immaginare come sarebbe stata la sua nuova vita nella sua
nuova casa...perché lo sapeva, i Dursley non avevano nominato quell’orrendo posto per nulla, ci sarebbe
andato di sicuro, e allora sarebbe stato perduto.
Ma poi, inconsapevolmente
un nuovo pensiero prese forma nella sua mente...non ci aveva pensato dagli
ultimi giorni di scuola, quando aveva scoperto tutto...la profezia,
Silente...sì, Silente gli aveva detto che solo a Privet
Drive sarebbe stato sicuro, che solo vivendo con sua zia sarebbe stato
protetto...ecco cosa aveva detto zia Petunia poco prima, che non le sarebbe
importato se poi, comunque, Silente l’avrebbe
richiamata per il fatto di aver allontanato Harry dalla sua protezione, ma
davvero Petunia sarebbe stata in grado di poterlo esporre ad un pericolo così
grande?
Un rumore lo distolse da
quei pensieri.
Si guardò attorno, sapeva
che i Dursley erano andati a letto dopotutto erano le
due di notte, ma non riusciva a capire da dove potesse
venire quello stridio.
Poi si voltò verso la
finestra e vide due gufi fuori e cercavano nuovamente di attirare la sua
attenzione.
Si avvicinò automaticamente
e vide che uno era Leo, il gufetto di Ron, e l’altro
era il gufo dell’ufficio postale magico.
Harry, stufo, affamato, ma
curioso, prese ad aprire la prima lettera, quella di Ron.
Era talmente stanco di
tutto e di tutti, che non badò al fatto che i suoi due amici gli avevano appena
spedito i loro auguri per il suo compleanno.
Harry, era
così stordito, offuscato, da non riuscire neanche a strapparsi un sorriso per
il semplice fatto di aver compiuto sedici anni...non gli importava un
granché.
Gettando le lettere sulla
scrivania, lasciò uscire i due gufi senza nessuna risposta, si avviò verso il
suo letto, sicuro che quella notte sarebbe stata l’ennesima in bianco.
***
La mattina dopo sentì il
sole caldo entrare dai vetri della finestra e riscaldargli il volto.
Si alzò molto lentamente,
cercando di arrivare giù in cucina il più tardi
possibile; sapeva quale spettacolo si sarebbe trovato davanti, e francamente
non aveva la minima voglia di subirsi per la seconda volta in due giorni,
qualche altra perfida battuta su di lui, o peggio ancora, sui suoi amici.
Quando proprio non poté più tirarla per le lunghe, scese con
passo felpato le scale, e ancora una volta poté ascoltare di nascosto quello
che, intanto, diceva la voce di sua zia al telefono.
“Non c’è speranza, mi creda...sì ha sedici
anni, ma noi non ce la facciamo più a tenerlo a casa...è ...è un teppista, uno
squilibrato...voglio dire, lei mi capisce...abbiamo paura, la notte quando
rientra tardi,chiudiamo la porta della
camera...ci aiuti, la prego…” diceva zia Petunia.
Che brava attrice
pensò Harry avvilito e furibondo al tempo stesso.
“Ooh, grazie,
grazie signore...ci libera di un peso...perché sa, all’inizio credevamo di
crescerlo bene, è figlio di mia sorella, che è morta quindici anni fa in un
incidente stradale...ne hanno parlato anche al telegiornale, se lo deve
ricordare...”inventò al
momento la zia per sembrare più convincente. “Comunque
grazie...quando lo portiamo?...certo, come vuole, a più tardi allora...buona
giornata...” terminò riagganciando il telefono.
Harry sentì un urlò quasi disumano proveniente da giù: erano tutti e tre i Dursley che gioivano per la notizia.
Harry, come se niente
fosse, entrò in cucina e fece in tempo a vedere Dudley
che ancora saltava come un pazzo per tutta la stanza.
Zia Petunia si voltò verso
di lui e la sua faccia cavallina si storse in una smorfia schifata.
“Eccoti accontentato, oops,
volevo dire eccoci accontentati...”e tutti scoppiarono in una forte
risata, mentre Harry li guardava con un sopracciglio inarcato.
“Dobbiamo accompagnarti lì per le undici di oggi...vatti subito a preparare...e vedi di non
dimenticare niente, caro…” disse sottolineando bene l’ultima parola.
Harry corse su per le
scale, diretto in camera, per fare l’unica casa sensata in un momento del
genere.
Prese il primo foglio di
pergamena sotto mano e prese a scrivere.
Oggi, verrò
portato all’orfanotrofio di Londra babbana. I miei zii hanno preso questa
decisione, dopo una lite avvenuta ieri.
Non so quanto importi a Petunia, pur essendone a conoscenza, della
mia magica protezione.
Harry Potter
Harry rilesse la breve
lettera, poi la legò alla zampa di Edvige.
“Fai in fretta, per favore...è per il
professor Silente, credo lo troverai ad
Hogwarts...vai!” le disse liberandola nel cielo.
Rimase fisso guardandola
sparire dietro una nuvola, poi si ricordò che doveva fare in fretta, doveva
preparare i bagagli.
Raccolse velocemente le
poche cose che aveva sparse per la camera, le chiuse
tutte nel grande baule di Hogwarts. Si chiese se avrebbe avuto problemi con
quello, ma non c’era tempo.
Scese in salotto, dove
trovò tutti e tre i Dursley che lo aspettavano con un
sorriso sul volto.
Harry li raggiunse in
silenzio, e poi lanciando un’occhiata di sfuggita a Dudley,
vide che aveva ancora quel malefico ghigno sul volto.
Salirono in macchina, ed
Harry vide le case di Privet Drive sfrecciare fuori dal finestrino. Rivide in breve la sua vita prima di
Hogwarts, quando era cresciuto in quel quartiere, quando vi passava tutti i
giorni, tutto l’anno.
Una nuove
ondata di malinconia gli strinse
il cuore, cominciava seriamente a chiedersi che ne sarebbe stato di lui...ma
anche in un futuro, se mai sarebbe sopravvissuto ad un definitivo scontro
contro Voldemort, il che era molto improbabile, quale sarebbe stata la sua
vita, piena di sofferenza per quello che aveva dovuto subire fin dall’età di
anno, quando il Male aveva strappato prepotentemente la vita dal cuore dei suoi
genitori e lo aveva ridotto in quella situazione? In quelle volte nelle quali
si perdeva a fantasticare su un possibile futuro, non riusciva comunque a figurarselo colmo di felicità, magari circondato
dalle persone che amava di più...ma quelle persone pian piano stavano
scomparendo tutte, risucchiate dall’orribile buco nero della morte; una morte
non meritata, ma sopraggiunta, e in più per colpa sua...perché, perché tutte le
persone che lo amavano per quello che era o per quello che ricordava, o che
semplicemente lo proteggevano, erano destinate a morire? Perché?
Anche loro avevano diritto ad una vita piena di
serenità, senza il fiato caldo della morte sul collo, che poteva cogliergli da
un momento all’altro...ancora una volta, la vita era ingiusta...
A volte si trovava a
pensare, se la sua vita dal principio fosse stata diversa, o se semplicemente
fosse stato qualcun altro, come sarebbe stata? Sicuramente normale...e allora perché
proprio a lui? Questa è la domanda che si ritrovano a pensare o a chiedersi
tutti quelli che sono speciali, che sono “eletti”, che sono prescelti…
che cambieranno la storia, nel bene o nel male...
Senza rendersene conto la
macchina di zio Vernon stava rallentando e prese a girare in un vicolo di
quelli da brivido.
L’auto si fermò proprio
davanti ad un palazzo.
L’imponente struttura
sembrava antica, era completamente in pietra, e sembrava avesse
bisogno di una profonda ristrutturata.
Aveva la strana forma di un
tempio greco: le colonne che precedevano il grande
portone di legno, erano riccamente decorate, e vicino all’entrata vi era appeso
un cartello, chiaramente vecchio, con lettere grandi e sbucciate, sul quale vi
era scritto: Orfanotrofio Grant.
Harry pensò che Orfanotrofio
fosse un po’ antiquato, ma comunque la parola
s’intonava con l’aria lugubre del posto.
Rimasero un po’ a guardarsi
senza una parola, intanto Harry faceva correre lo sguardo sulle numerose
finestre del palazzo, probabilmente erano ognuna, una
stanza diversa affidata ai numerosi ragazzi e bambini che con ogni probabilità
vi trovavano casa.
Improvvisamente il grande portone si aprì facendo uscire una donna,
all’apparenza molto severa, con un cipiglio che avrebbe fatto concorrenza solo
alla McGranitt.
Venne verso di loro, però,
sfoggiando un gran sorriso.
“Buongiorno, buongiorno signori...” disse con voce aspra e sbrigativa.
“Mi presento, sono Amelia Grant, attuale
direttricedi questo orfanotrofio...mio
nonno lo ha fondato...voi dovreste essere i signori Dursley,
non è vero?” chiese scorrendo un elenco di nomi su un taccuino.
Gli zii annuirono
vigorosamente.
La signora Grant fece un
largo sorriso.
“Bene...” dissescrutando Harry e Dudley,
che fece cenno verso il cugino.“Bene...e
tu...devi essere il nuovo arrivato...Harry!” esclamò puntando un indice verso
di lui, che trasalì.
“Sì...sì, vediamo...allora, Harry,
diventerai uno dei nostri, la tua zia mi ha raccontato
la tua storia, i tuoi genitori...insomma, tutto quello che c’è da sapere, no?”
disse e senza neanche aspettare una possibile risposta, strinse la mano ai Dursley, afferrò Harry per un braccio e lo tirò a sé,
dopodiché, si rivolse agli zii: “Allora, piacere di avervi conosciuto, Harry si
troverà bene qui, potrà vivere tranquillo...arrivederci e grazie, abbiamo
ancora così tante cose da fare!” disse cominciando a rientrare.
I Dursley
si guardarono per un po’ perplessi, poi sfoggiarono uno dei loro più falsi
sorrisi, e rimasero a vedere Harry che spariva oltre quel portone, convinti di
essersi liberati di lui per sempre.
Harry, dal canto suo, si
fermò a guardare per l’ultima volta quelle persone, che avrebbero dovuto essere
i primi ad amarlo.
***
Una volta all’interno,
Harry si guardò intorno, entrando, si era ritrovato in una grande
sala, col pavimento di legno, le pareti dipinte in modo infantile, e qualche
quadro appeso qua e là.
Al soffitto erano appesi
tre grossi lampadari penzolanti, di quelli che sembravano provenire da qualche
antica reggia francese.
Il grande
salone, era abbracciato da due rampe di scale che si trovavano poi in un punto
in comune al secondo piano; lì, si potevano incominciare a vedere le varie
porte delle tante stanze tutte numerate; all’improvviso si chiese se quello
splendore apparteneva solo al salone di ingresso.
Arrivò la signora Grant,
che gli si avvicinò, lo spinse per una spalla, sembrava volesse guidarlo al
piano di sopra.
Mentre saliva, sentì strani bisbigli provenienti tutto
intorno a lui.
Senza smettere di salire le
scale, si voltò verso le voci; non vide altro che tanti
piccoli visino sporgere dalle ringhiere delle scale, per poi scomparire
e far posto ad altri visi, un po’ più grandi e maturi. Si voltò verso la
signora Grant, che lo precedette.
“Non ti preoccupare...sono solo gli altri
ragazzi e bambini che vivono qui, fanno sempre così quando arriva qualcuno
nuovo, sono tremendamente curiosi” disse con voce mielosa.
I bisbigli non cessarono
neanche quando Harry e la signora Grant arrivarono al
secondo piano.
Ci fu un attimo di
silenzio, in cui Harry fece scorrere il suo sguardo su tutti quelli occhietti
che lo fissavano dall’interno delle stanza, o
seminascosti dietro lo stipite di una porta.
La signora Grant li guardò
con guardo severo.
“Che diavolo ci fate
fuori dalle vostre stanze? Non è ancora il momento di uscire! Tornate dentro, immediatamente!” urlò furiosamente.
Poi tornò a rivolgersi ad Harry, in un modo falsamente gentile.
“Vieni...Harry, giusto? Ti accompagno nella
tua nuova stanza...”disse
facendo cenno verso una porta quasi alla fine del lungo corridoio.
Harry la seguì.
Una volta
arrivati, la signora Grant aprì la
porta e fece cenno a Harry di entrare.
Il ragazzo la guardò un po’
spaesato, poi fece un gran respiro e fece un lungo passo.
La camera, più che camera,
sembrava un una cella di qualche prigione: aveva i muri grezzi, grigi, color
cemento; aveva un’unica finestra con delle sbarrette
verticali molto vicine tra loro.
Harry guardò l’intero
ambiente a bocca aperta; altro che accoglienza! Quella era una gabbia! C’erano
due letti, uno a destra e l’altro a sinistra, e Harry non aveva la minima idea
a chi potesse appartenere.
D’un tratto la signora Grant parlò.
“Tu sarai in camera con un altro ragazzo,
qui comincia ad esserci un problema di spazio...gli orfani o i ragazzi come te sono sempre più numerosi, ma dico io...dove andremo a
finire?” disse con voce altera.
All’improvviso, dalla
porta, dietro la signora Grant, apparve una testa color miele, con due grandi
occhi castani.
Il nuovo arrivato superò la
signora Grant e andò a stringere subito la mano di Harry.
“Ciao, io sono Dorian Orwell,
e tu?” disse in un solo fiato.
Harry rimase un po’
stupito, ma poi rispose.
“ Io mi chiamo Harry Potter, e a quanto pare sarò il tuo nuovo compagno di camera...” disse Harry un po’ imbarazzato.
“Beh, allora io vado, ho molte cose da
fare” disse la signora Grant, avviandosi alla porta per poi sparire lungo il
corridoio.
I due ragazzi rimasero per
un po’ in silenzio.
“Allora, sei veramente nuovo?” chiese
Dorian improvvisamente, sedendo sul suo letto.
Harry annui con la testa.
“Voglio dire...sei venuto in questo
postaccio solo ora, com’è?” chiese di nuovo.
“Beh, vedi...io vivevo
con qualcuno...” iniziò Harry.
“Con chi?”.
“Con i miei zii...ma è una storia
lunga...raccontami tu piuttosto, come sei finito qui?” chiese Harry piuttosto
freddo, cambiando discorso.
Sembrò che il ragazzo ci
stesse pensando su.
“Guarda...non so sinceramente come ci sono
finito, però sono sicuro di una cosa: sono cresciuto qui, da sempre...perché so
che i miei genitori mi hanno abbandonato quando ero ancora un neonato, e poi
qualcuno mi avrà portato qui...”disse
con voce un po’ rotta.
Harry si lasciò quasi
intenerire, e così si decise anche lui a raccontare.
“Per quanto riguarda me....so
solo quello che mi hanno raccontato i miei zii, cioè, che quando avevo solo un
anno, io e i miei genitori facemmo un grande incidente stradale…loro morirono,
mentre io...”disse,
ma il ragazzo lo interruppe.“Tu ti
salvasti procurandoti quella cicatrice...”disse indicando la fronte di Harry.
Harry rimase sbigottito.
Come...?” chiese ancora.
Il ragazzo fece spallucce.
“Non è difficile capire che ti sei salvato,
visto che sei qui, per quanto riguarda la cicatrice...bò,
chiamalo intuito” disse ammiccando piano con un occhio.
Harry sorrise freddamente.
“E poi?” lo esortò
Dorian.
“E poi...mi mandarono a vivere da i miei zii per tutti questi anni...ma sono qui perché
loro mi odiano, vedi...loro e i miei non erano in buoni rapporti, e loro sono i
miei unici parenti ancora in vita...per cui per forza da loro sarei dovuto
andare...” disse.
“Che fortuna, eh?”
disse Dorian sorridendo.
“Già...poi, ieri, mi sono trovato a dare un
pugno a quel tonto di mio cugino, perché sai, loro hanno un figlio della mia
stessa età...e questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso per
loro, visto che non aspettavano altro che una buona scusa per mandarmi via...”concluse quasi infastidito dal
fatto di dover rivangare quei pensieri.
“Amico...non sono bravo con le parole,
quando si tratta di uno sfogo a piena regola come il tuo...”disse Dorian.
Harry si lasciò sfuggire un lieve sorriso; non sapeva perché, ma in quel ragazzo
c’era qualcosa.
“Io invece, sono cresciuto qui,
sempre...ma non per volontà…quando ero un po’ più piccolo, ogni volta che
vedevo arrivare una coppia che veniva qui per adottare
qualcuno, mi saliva il cuore in gola, volevo essere io...ma il tempo è passato,
io sono cresciuto, e più nessuno mi ha adottato...quindi ora aspetto solo la
maggiore età per andarmene...” disse con un’evidente
traccia di malinconia.
Harry la notò subito:
quante volte lui si era sentito così...abbandonato, solo...
“Quanti anni hai?” chiese Harry per
distrarsi dai suoi tristi pensieri.
“17, tu?” rispose Dorian.
“16, appena compiuti” disse Harry.
Rimasero un po’ in
silenzio, Harry vide il viso di Dorian concentrato, sembra
stesse formulando la domanda che più lo assillava dell’intero discorso.
Harry attese…poi
Dorian parlò con fare curioso.
“Ehm, Harry, ma se tu sei conosciuto, nel
senso che comunque sai chi sono i tuoi, vivevi con gli
zii, vedi...ecco, di solito, tutti abbiamo un qualcuno che ci conosca, come una
madrina, un padrino, o magari, perché no, un tutore…?”.
Harry rimase paralizzato,
ma il suo cervello stava lavorando lucidamente.
“Ehm, vedi, lui...lui, anche lui se n’è
andato, altrimenti non sarei qui...”disse con voce strozzata.
“Come si chiamava?” chiese sempre più
interessato, il nuovo ragazzo.
Harry chiuse un momento gli
occhi.
“Si chiamava...Sirius, ed è morto…per colpa
mia...”disse molto
lentamente, soppesando ogni parola.
“Perché?”.
“Non ne voglio parlare! E comunque non capiresti!” urlò ad un tratto Harry.
Dorian si zittì subito,
consapevole di essersi spinto oltre.
“Mi dispiace...non volevo” cominciò Dorian.
“Non fa niente, non scusarti...non potevi
sapere…” gli disse Harry.
Cadde un interminabile
silenzio tra loro, rotto solo da uno scalpiccio di tacchi, fuori
dalla stanza: era la signora Grant.
Poco dopo si sentì bussare
e la porta si aprì piano; sbucò la testa sorridente della signora Grant.
“Allora, Dorian, hai fatto ambientare il
nuovo arrivato?” chiese.
Dorian annuì ancora un po’
imbarazzato da prima.
“Sono venuta a chiamarvi. Il pranzo è pronto” disse prima di avviarsi lungo il corridoio.
I due ragazzi si guardarono
per un attimo in silenzio, poi Harry prese parola.
“Dai, non ti preoccupare, non è successo
niente, è solo che non ho voglia di parlarne...”disse con voce triste.
Dorian annuì una seconda
volta e precedette Harry fuori dalla camera diretto
nel salone.
Lungo il percorso rimasero
in silenzio.
Arrivati nel grande salone, Harry rimase meravigliato della sua immensa
grandezza, cosa che al suo arrivo aveva notato in parte.
Scese le scale sempre
dietro Dorian, e si accorse che c’erano almeno altri mille tra bambini e
ragazzi come lui.
Tutti ridevano,
scherzavano, facevano un gran chiasso.
A Harry ricordava un po’ la
Sala Grande a Hogwarts.
Si sedettero su una delle
lunghe panche, uno affianco all’altro.
Ogni tanto qualcuno
guardava Harry incuriosito.
Poi la signora Grant prese
parola.
“Allora...oggi è arrivato un nuovo ragazzo,
resterà con noi...si chiama Harry...”la sua voce fu interrotta dal grande applauso che si era
levato tra i ragazzi.
Harry sorrise appena.
La signora Grant lo fissò, poi riprese.
“Come dicevo, è arrivato un nuovo
ragazzo...ma se n’è andato un altro, che proprio oggi è stato
adottato...William Gordon, dormirà per l’ultima notte
qui, poi, domani andrà a vivere con la sua nuova famiglia, tanti auguri
William” disse.
Altro grande applauso.
“E ora, si può
mangiare...” continuò.
Molte persone che
lavoravano in cucina si avvicinarono ai lunghi tavoli e cominciarono a distribuire
i piatti.
I
capofila, grandi e piccini, si
alzavano e facevano scorrere il piatto fino all’ultimo posto.
Ci volle un po’ prima che
tutti avessero il loro piatto davanti, ma poi nessuno più fiatava, perché erano
intenti a mangiare; non volava una mosca.
Harry dapprima, guardò il
brodo scuro nel suo piatto, poi si guardò in giro, e infine, chiudendo gli
occhi, non respirando assaggiò il primo boccone.… non era poi così
male...insomma almeno lì sarebbe stato nutrito come si
deve, almeno non sarebbe stato in perenne dieta come con i Dursley.
Il tempo passò velocemente,
anche se Harry, era sempre più avvilito dal fatto di
trovarsi in un posto del genere: non credeva sarebbe andata a finire così.
Sapeva, naturalmente, che i
Dursley volevano, più di qualsiasi altra cosa al
mondo, abbandonarlo e rinchiuderlo in un orfanotrofio, ma sino ad allora, avevano rinunciato all’idea per paura che potesse
succedere loro qualcosa se la comunità magica, in modo più specifico Silente,
fosse venuto a sapere del loro gesto.
Harry comunque
scoprì di non essere affatto preoccupato per il suo destino e futuro: per lui,
vivere o morire, era diventata la stessa cosa.
Macabro.
Macabro e spregevole il
destino!
Condannare qualcuno sin
dalla nascita, ad una vita in bilico sulla lama di un coltello; farlo sentire
sempre più schiacciato sotto il peso di una Spada di Damocle
che affonda sempre di più.
Questi erano i pensieri che
affollavano la mente di Harry, sempre più stanca,
sempre più triste…
Era seduto su quello che a
mala pena si poteva definire letto, nella sua camera.
Era sopraggiunto il tardo
pomeriggio con una velocità fulminante.
Dorian non era con lui, era
con gli altri a salutare il ragazzo che era stato fortunatamente adottato.
Harry era
solo, in preda ad un’infinita tristezza, poteva scorgere dalla finestra
il lento calare del sole dietro l’orizzonte, e il sopraggiungere della sera,
con nuove nubi e la sua aria rinfrescante.
Era proprio così anche la
sua vita…pur essendo ancora molto giovane, stava anche lui tramontando, stava
lentamente affondando sotto il peso di un infernale macigno che era costretto a
portare…
Tutto e tutti intorno a lui
si stavano spegnendo, condannandolo al buio e alla solitudine più amara.
Era frustrato. Contorto.
Spento.
La vivacità nei suoi occhi,
un tempo così accesi e vitali, era cessata. Scomparsa. Un’ombra di morte era
calata su quel verde così stupefacente.
Si sentiva oppresso.
Infelice.
Ripensandoci, su una cosa
era più che sicuro: alla fine…alla fine di tutto…lui sarebbe morto.
Non voleva ammetterlo
neanche a se stesso, ma sperava ardentemente che Voldemort, alla fine, lo
uccidesse. Anzi, non lo sperava, ma lo voleva.
Voleva morire.
In quel momento avrebbe
significato liberarsi già della colpa di poter vivere, quando, al contrario, persone che forse lo meritavano di più, non
avevano avuto questa fortuna.
Fortuna. Si può parlare di
fortuna? No. No, perché era già scritto, che lui
avrebbe dovuto patire la sofferenza della morte delle persone a lui care, come
ferite atroci aperte sulla pelle.
Ferite che non si possono
rimarginare.
Ferite, che solo la morte
può sanare.
La morte sarebbe stata
un’eterna compagnia.
Senza accorgersene, si era
raggomitolato sul letto come un riccio, mentre fuori, si era improvvisamente
scatenato un temporale.
I lampi, che lo
illuminavano di finta luce bianca, alternavano i tuoni ai suoi singhiozzi.
Stava piangendo.
Harry stava piangendo.
Era un pianto liberatorio
il suo: non aveva pianto così forte, nemmeno subito dopo la morte del suo
padrino.
E il cielo, come un silenzioso aiuto, fece in modo che
il rumore dei tuoni coprisse il suono dei suoi singhiozzi.
***
Aprì gli
occhi lentamente, accecato dalla forte luce abbagliante che penetrava
dalla piccola finestra.
Il temporale era cessato,
ora splendeva il sole, e pur essendo mattina presto, l’aria era già afosa.
Harry si ritrovò con una
coperta adagiata sulle spalle, forse pensiero i
Dorian; guardò l’orologio, segnava le nove e un quarto.
Si voltò verso il letto di
Dorian: era vuoto.
Sbalordito e stranamente
incuriosito, cominciò ad avviarsi verso il bagno.
Non fece in tempo ad aprire
la porta, che quella si aprì con uno schiocco, e ne uscì la testa del suo nuovo
compagno di stanza.
Aveva un volto comunque sorridente.
“Già sveglio?” chiese
curioso.
“Sì…” rispose Harry, quasi non curante, con
una traccia di malinconia nella voce, memore della notte precedente.
Non si sentiva fiero di
aver avuto quello sfogo, di aver avuto quel momento di debolezza, ma doveva
ammettere di sentirsi comunque più leggero.
Il sorriso sul volto di
Dorian scomparve.
“Scusa, io non volevo…volevo solo farti
sentire un po’ meglio, tirarti su il morale, visto che
ieri sera non avevi per niente una bella cera...”
“Non ho bisogno della tua pietà! Del tuo
aiuto! Capito?!” si ritrovò ad urlare Harry.
Dorian sbiancò, abbassò lo
sguardo e si avviò verso la porta, per andare a fare colazione.
Harry gli era di spalle.
Alla porta però Dorian si
fermò.
“Non serve a niente crogiolarsi nei ricordi
tristi e scordarsi che c’è un futuro da costruire” disse con una nota fredda
nella voce.
Harry rimase
un po’ sbalordito, poi lo guardò furioso allontanarsi.
Quando il ragazzo fu
scomparso lungo il corridoio, si rese comunque conto
della sua eccessiva reazione, in fondo lui stava solo cercando di aiutarlo...
Andò a sedersi sul letto, coi gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani.
Chiuse gli occhi,
chiedendosi per quanto ancora avrebbe dovuto patire, prima di poter assaggiare
i primi segni di follia...sperava non a lungo.
Come reggere a quella
situazione? Non lo sapeva neanche lui.
Come uscire da quello stato
in cui si trovava? Nessuna possibilità. Niente. Nessun appiglio o aiuto. Solo
il vuoto più assoluto.
***
Ehm.. ok... Abbiate pietà di me,
sono folle, questo è poco, ma sicuro.
Spero che comunque questo secondo
capitolo, possa aver destato in voi qualche curiosità O.o (come parlo oggi -.-)…
(Non ti illudere… ndtutti)
Intanto un ringraziamento a coloro che hanno
letto, e un grazie speciale a chi ha recensito^^
Era ormai passata una settimana da quando aveva messo piede
all’orfanotrofio, erano ormai sette notti che passava in quell’ang
V e r s u s
Capitolo III
Era ormai passata una
settimana da quando aveva messo piede all’orfanotrofio, erano ormai sette notti
che passava in quell’angusta stanzina insieme a Dorian, erano ormai parecchi
pasti che consumava con gli altri, eppure la situazione base non voleva
migliorare.
Harry si sentiva sempre più
strano, come se la vita lo stesse lentamente abbandonando, si sentiva come
quando si ha una forte influenza: debole.
Era diventato introverso, e
solitario, più di quanto già non lo fosse.
Non parlava con nessuno,
stava sempre da solo, evitava di scendere nel salone nei momenti più affollati,
e passava la sua giornata in camera a guardare fuori dalla
piccola finestra.
Ogni tanto sentiva alle sue
spalle, Dorian, che entrava e usciva senza una parola.
Harry sinceramente, gliene
era grato: non era in condizione di sopportare una discussione come si deve.
Ma quella mattina non fece lo stesso; si fermò, in un
primo momento, sulla soglia, poi tornò indietro e si mise al fianco di Harry,
che però non gli prestava la minima attenzione.
“Senti...” cominciò
Dorian, ma Harry fu più veloce e lo interruppe.
“Cosa c’è?” chiese
con voce falsamente gentile, sempre fissando un punto inesatto al di fuori
della finestrella.
Dorian esitò un attimo, ma
poi riprese.
“Io...io credo che tu...dovresti cercare di
reagire, voglio dire...cercare didimenticare…il passato non si può cambiare, ma il futuro si può
costruire...” disse sussurrando e guardandolo di
traverso, come per vedere la sua reazione.
All’inizio Harry rimase di
sasso, si voltò a guardare il ragazzo con aria furente, ma appena incontrò il
suo sguardo color nocciola, si accorse che non era provocatorio, ma al
contrario, cercava di infondergli speranza, una speranza da
tempo dimenticata e sepolta sotto uno spesso strato di dolore, un dolore
invincibile, insuperabile...
“Perché mi dici
questo?” chiese Harry.
Dorian all’inizio fece spallucce, poi abbassando lo sguardo si mise seduto sul
suo letto, invitando Harry a fare lo stesso. Quando
Harry prese posto sul proprio letto, si ritrovò di fronte a lui e mantenne lo
sguardo.
Notò per la prima volta,
l’ombra di malinconia e amarezza che era calata sui begli occhi castani di
Dorian.
Facendo un gran respiro, il
ragazzo cominciò a raccontare.
“Vedi...quando noi due ci siamo conosciuti,
non ti ho detto proprio tutto…perché non volevo ricordare, era
troppo doloroso. Circa sette anni fa, quindi quando io avevo dieci anni, qui
all’orfanotrofio si scatenò l’inferno...venne
appiccato un incendio, beh, nessuno veramente sa se fu doloso o solamente un
incidente...sta di fatto che fu la notte più brutta di tutta la mia vita...io
la scampai per un pelo, ma il mio...il mio migliore amico…” e qui il suo voltò
si aprì in un sorriso nostalgico. “...lui e molti altri ancora, non ce la
fecero, perché erano dispersi nelle varie stanze di questo posto...mi svegliai all’ospedale, fasciato da ogni parte...mi dissero
che avevo perso conoscenza dopo aver cercato di rientrare appena saputa la
verità...voglio dire...mi salvarono, ma mi dissero stupidamente anche che Trevor, così si chiamava, era rimasto intrappolato con
altri bambini e non c’era modo di salvarli, erano ancora vivi...ma
condannati…di quella notte, mi ricordo solo il gran fumo, urla, singhiozzi...e
la mia voce che urlava il suo nome disperatamente, come se la sua sopravvivenza
avrebbe determinato anche la mia...fu terribile...quando non lo vidi comparire
tra gli ultimi superstiti...mi sentii gelare, anche se ero piccolo, capii che
con la sua morte se n’era andata anche metà della mia giovane vita...e che non
si sarebbe mai più tornati indietro...mai...” la sua
voce si spense, facendo calare un lungo e insopportabile silenzio.
Harry rimase pietrificato
dall’orrore. Non riusciva ad emettere alcun suono, o a formulare qualsiasi
pensiero.
Dorian ancora una volta lo
distolse.
I suoi occhi nocciola erano tornati a farsi quelli di sempre, e ora sorrideva
incoraggiante.
“Lo vado sempre a trovare...” disse ad Harry, ancora incapace di parlare.
“Sempre, tanto...lui mi aspetta” disse
strizzando un occhio.
Harry quasi lo ammirava:
quel ragazzo era così forte…sapeva sorridere anche in quei momenti nei quali
ricordare fa solo tanto male al cuore... Harry si ritrovò ad invidiare un po’
quella grande forza di spirito.
Dorian ancora una volta
parlò.
“Capisci, ora? Non ho
pena di te... e neanche sono un tuo nemico...” disse
quasi in un sussurro.
Harry alzò lo sguardo, e
fissò quasi sull’orlo delle lacrime quegli occhi ora tanto sereni,
serenità ritrovata però, dopo tanto dolore e sofferenza...allora c’era ancora
una sottile speranza che quel senso di morte un giorno lo avrebbe abbandonato
per riempirlo di gioia e felicità?
Harry si asciugò le
lacrimee Dorian distolse la sguardo per non metterlo in imbarazzo.
All’improvviso sentirono
passi affrettati farsi sempre più vicini e marcati.
La porta si spalancò e
apparve la signora Grant con una strana espressione dipinta sul volto: da un
lato sembrava contenta per qualcosa, dall’altro pareva che qualunque cosa
fosse, fosse inaspettata e inopportuna.
“Harry Potter” disse in tono fermo. “Seguimi”.
Harry lanciò un’occhiata
ricambiata a Dorian, prima di alzarsi.
La signora Grant gli
appoggiò una mano sulla spalla e lo condusse fuori.
Harry avvertì un brivido
freddo corrergli lungo la schiena, era più che certo che ciò che lo attendeva
non era nulla di buono.
Neanche lui sapeva quanto
si stava sbagliando in quel momento.
***
Il corridoio sembrava
infinitamente lungo e interminabile.
Tutto taceva,
si udiva solo il rumore dei tacchi della signora Grant. Harry si voltò
più volte verso la porta della sua stanza che si stava
allontanando sempre più.
Fece in tempo a vedere,
prima di essere condotto al piano inferiore, la testa di Dorian che sbucava.
Il suo volto era un insieme
di emozioni. Sembrava incuriosito e turbato al tempo
stesso.
Appena scesero le scale, la signora Grant fece voltare Harry
per guardarlo dritto negli occhi, subito dopo, la sua bocca si schiuse in un
debole sorriso.
“C’è qualcuno per te, Harry…è nell’altra
sala e ti sta aspettando impazientemente” disse fermamente.
Harry rimase a bocca
aperta.
“Cosa...sta
cercando di dire?” chiese Harry temendo la sua risposta.
“Che naturalmente
qualcuno ha fatto richiesta di portarti via di qui” disse con voce scontata, come
se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
“Cosa?” esclamò
Harry quasi scaldandosi.
La signora si fermò davanti
a lui.
“Mi hai sentito, vieni...”
disse.
Harry la seguì. Come
diavolo poteva essere accaduto che qualcuno avesse domandato
proprio di lui? Perché lui? Lui, che era lì da una
settimana, mentre altri ragazzi, che vi erano da una
vita, non erano stati chiamanti? Di sicuro, doveva conoscere quella persona…
E se davvero fosse finito in qualche famiglia
sconosciuta? Era la cosa che più temeva…ma comunque
alla fine…non gli importava un granché di dove sarebbe finito, a patto che però
sarebbe finito in fretta…
Stava per
varcare la soglia...i suoi respiri
corti e irregolari, il cuore a mille…
Non fece in tempo a
pensare…
Entrato nella stanza, una
camera quadrata, con solo una scrivania e un paio di sedie al centro e tante
finestre, si ritrovò davanti ad un uomo poco più alto di lui, con indosso un
lungo mantello nero.
Harry alzò lo sguardo fino
al suo volto, e lo trovò sorridente...un sorriso fin troppo familiare…
Occhi ambrati, capelli
color miele, il professor Lupin gli mise le mani sulle
spalle.
“Tu devi essere Harry” disse strizzandogli
l’occhio destro.
Harry rimase sbalordito, ma
stette al gioco. Dovevano far finta di incontrarsi per
la prima volta.
“Lui è il professor Remus John Lupin, insegnante al centro di recupero per ragazzi
come te...conosce i tuoi zii…ha parlato con il signor Dursleye ha detto
che per te è meglio una cosa del genere...una comunità...” disse
la signora Grant precedendolo.
“Ah...” disse
Harry guardando verso il professor Lupin.
“Bene, ora vi lasciò soli...vado a
terminare i moduli per il trasferimento del ragazzo, buona giornata...”disse lei, avviandosi alla porta.
Il professor Lupin annuì
vigorosamente.
Appena la signora Grant
uscì dalla stanza, Harry si sedette stancamente su una sedia e prese a fissare
tetro il pavimento.
Teneva gli occhi bassi, ma
sentiva ugualmente lo sguardo di Lupin posato su di lui.
“Beh, allora...Harry non mi saluti?” chiese
in un modo falsamente sbalordito.
Harry alzò lo sguardo, ma
non fece in tempo a parlare che si ritrovò tra le braccia del professor Lupin
che lo strinse forte a sé.
“Sono felice di vederti, Harry…” disse in
un sussurro.
Harry rimase a bocca
aperta; nessuno mai si era comportato così con lui...si staccò da lui per
guardarlo dritto negli occhi, ma invece non riuscì a sostenere lo
sguardo...quegli occhi facevano male, quegli occhi erano uno sguardo al
passato, a ciò che è stato ,e a ciò che si vuole
dimenticare, ma che è impossibile farlo…
Pensare a quella persona,
vedere quelle persona, parlare con quella persona
portava solo ad una nuova ondata di malinconia.
Harry non resistette: le
lacrime presero a scivolare velocemente e incontrollate sulle sue guance, le
sue gambe cedettero e il ragazzo crollò in ginocchio a terra con le mani sul
viso...
Il professor Lupin venne trascinato da Harry, che tenendolo stretto, lo aveva
costretto ad inginocchiarsi a sua volta davanti a lui.
In quel momento, per Harry,
voleva dire affrontare il proprio passato, affrontare quelle luci e quei
fantasmi che lo perseguitavano da quasi due mesi ormai...tutto il mondo sembrò
crollargli sulle spalle…
Lupin non esitò un momento.
Strinse il giovane mago in
un abbraccio ancora più rassicurante.
“Shhh…lo so che
fa male la realtà...” mormorò cercando di aiutarlo a
superare quell’impatto.
Non fu
facile, Remus dovette usare ogni briciola di lucidità e sangue freddo
davanti ad un’anima così mortalmente lacerata e perduta nell’oblio della morte.
Rimasero così per qualche
minuto, come un reciproco aiuto, mentre Harry piangeva di rabbia e dolore e si
sfogava per tutto quell’orrore e male che si portava dentro da troppo tempo
ormai.
Non sapeva da quanto tempo
stavano così, non sapeva perché era così, in quello stato. Era diventato
momentaneamente sordo, cieco, privo di qualsiasi contatto esterno, sentiva solo
due forti braccia che lo stringevano…il dolore e la rabbia gli impedivano di ricostruire con la mente gli ultimi attimi
prima di crollare e lasciarsi andare così…si sentiva annebbiato, stanco e
perso.
Se la situazione non fosse stata così tragica, quella sensazione poteva anche
essere definita piacevole, ma in quel momento no...
Sentiva, come fuoco sulla
pelle, che la sua campana di vetro, che si era costruito attorno da quella
notte maledetta, era crollata in un istante.
Quelle incertezze, quelle
paure, quegli orrori che in ogni momento cercava di
reprimere e soffocare nel suo cuore, stavano velocemente e silenziosamente
affiorando in superficie, travolgendolo nuovamente.
Era crollato, proprio nel
momento nel quale si vedeva costretto ad affrontare il passato, a pensare al
passato, a quella notte di giugno, quando lui cambiò, quando il Destino e la
Morte, a volte, potenti alleati, gli avevano strappato anche l’ultimo briciolo
di felicità, una felicità che in ogni caso era repressa e sopraffatta dalla
paura di perdersi.
Crudeltà.
Ecco cosa
pensava della vita. Di tutto. Era
solo un’orrenda presa in giro, nel quale è tutto
stabilito e scritto, e, dove ognuno non può sottrarsi a ciò che è stato
tracciato per lui…neanche se fosse la cosa più brutta del mondo.
Si era sempre sentito
diverso, in fondo era sempre stato diverso, nel Bene o nel Male; ma
questa differenza che lo separava dal resto del mondo si era fatta sempre più
accentuata. Harry cercava sempre più frequentemente di
nasconderla, cercava di eliminarla colmando i grandi perché della
sua giovane vita.
Ma a volte era impossibile, proprio come in quel
momento.
Era crollato. Stanco di essere diverso. Stanco di non poter vivere come gli
altri. Stanco di essere Harry Potter…
Fu distratto da quei
terribili pensieri, dalle parole dell’uomo che lo teneva così stretto. Chi era?
Non lo ricordava…basta! Lui sapeva chi era…era l’unica persona che in quel
momento poteva davvero capirlo, che sicuramente soffriva anche più di lui.
“Bisogna andare avanti…non lasciare che la
tristezza ti travolga, lo so, è doloroso, ma è anche vero che bisogna reagire,
altrimenti non ci si rialza più...”disse
il professor Lupin sussurrandogli nell’orecchio.
Harry spalancò gli occhi;
era sbalordito del fatto che Lupin, pur avendo sofferto più di lui, sia
riuscito ad alzarsi da quella caduta, in un modo più che invidiabile. A
pensarci bene, quello era l’uomo che aveva sofferto più di tutti in assoluto:
il presunto tradimento di Sirius, la creduta morta di Minus,
l’assassinio di James e Lily, in pratica lo sgretolamento del suo gruppo, della
sua “famiglia”…per dodici anni aveva convissuto con
quell’incubo, dodici anni d’inferno…eppure, eccolo lì, a consolare l’unica
persona che gli era rimasta, e l’unica persona che aveva realmente bisogno del
suo aiuto e sostegno in quel periodo così difficile. Era incredibile; a prima
vista poteva sembrare una persona debole, precaria, magari per i suoi problemi
di salute, ma dentro era la persona più forte che avesse mai conosciuto, così
capace di non lasciarsi andare all’odio, alla paura e alla rabbia…sì, deve
averli provati e sfogati anche lui quei sentimenti negativi, ma era anche vero
che aveva trovato l’equilibrio dove altri, invece, avrebbero ancora tentennato
a lungo e brancolato nel buio più totale.
Lupin si staccò da Harry
per guardarlo dritto negli occhi.
Harry si specchiò in quegli
occhi color ambra che testimoniavano il dolore di un uomo, che nel passato e
nel presente aveva avuto solo sventure e male nella sua vita, ma che comunque non aveva rinunciato a cercare di rialzarsi anche
da solo.
Il professor Lupin si
rialzò, obbligando Harry a fare lo stesso.
Dopo essersi alzato, sentì
male alle ginocchia, per il fatto di essere stato a lungo per terra, sul freddo
pavimento; guardò Lupin per un attimo, si era andato a sedere sulla sedia più
vicina.
Harry fece lo stesso.
Restarono in silenzio a
lungo, poi Lupin parlò.
“Come stai?” chiese con un filo di voce.
Harry alzò lo sguardo sul
suo volto stanco e un po’ triste.
“Bene” rispose.
Lupin scosse il capo, e
tornò a fissare Harry, che sentì una stretta allo stomaco: ecco, si stava per
parlare di Sirius, sapeva che prima o poi avrebbe
dovuto affrontare l’argomento, solo sperava che quel momento non giungesse mai.
“Sai cosa intendo, non è al bene fisico che
mi riferisco” disse con voce un po’ velata.
Harry non rispose, e questo
sembrò bastare al professor Lupin, che si alzò dalla sedia, si avvicinò ad Harry e si accoccolò di fianco a lui, sedendosi per
terra.
Dapprima, sembrava avesse
lo sguardo fisso nel vuoto, come cercasse le parole giuste, poi si riscosse dal
quel torpore, e i suoi occhi tornarono a posarsi su Harry.
“Lo dirò ancora una volta…è difficile, sarà
difficile...e non puoi superarlo da solo, come me dopotutto...ti starò vicino,
e passo dopo passo, il dolore finirà e inizierà una nuova vita, che però non dimenticherà
mai ciò che è stato…quella nostra nuova vita, è proprio di ricordi che si
nutrirà…supereremo anche questa, Harry, anche se lui
non sarà più con noi…e questo, tu, purtroppo lo devi accettare. Ti parlo da
amico, un amico che ci tiene profondamente a te...sarà dura, ma insieme ce la
faremo, vedrai…Sono sicuro che lui non vorrebbe tutto questo, per nulla al
mondo…lui voleva e vuole solamente la tua felicità, non vorrebbe che tu ti
tormentassi in questo modo...asciuga le lacrime, Harry, tutto prima o poi passerà…” disse bisbigliando le ultime parole,
come se gli fossero morte in gola ancora prima di essere pronunciate.
Harry annuì, alzò lo
sguardo e vide solo quegli occhi ambrati, prima sicuri, e adesso luccicanti di
lacrime amare.
Non si trattenne, abbracciò
il professor Lupin, come si abbraccia una persone
assai cara.
“Io...”cominciò Harry in tono triste. “Io,
non volevo che finisse così...non potevo neanche immaginare una cosa del
genere...sì, avevo paura, ma non credevo si potesse veramente realizzare…per
favore, mi aiuti, sto morendo anch’io un po’ ogni giorno...e non voglio che la
sua morte diventi la base di un muro che si innalzerà
attorno al mio cuore...io lo so che lei può capire meglio di chiunque altro al
mondo…”s’interruppe Harry cercando le parole, “Io...dico solo, che lei è
l’unica persona rimasta che mi collega al mio passato, e non voglio perdere
anche lei…” disse con un filo di voce.
“Io, non me andrò
mai…” riprese il professor Lupin.
“Anche Sirius
diceva così!” lo interruppe Harry, “Anche lui diceva questo, e ora è…morto”
concluse con sguardo fisso nel vuoto davanti a lui.
Lupin rimase in silenzio
soppesando l’amarezza di quelle parole.
Guardò Harry, e vide
un’ombra di malinconia calare sui suoi occhi verdi.
“E, quel che è
peggio…è che è stata solamente colpa mia…mi odio per questo, e non finirò mai
di farlo” disse.
A quel punto, il professor
Lupin gli mise le mani sulle spalle e strinse leggermente, in modo da attirare
la sua attenzione.
“Non dire mai più cosi! Mai più! Non è
stata colpa tua, no! Tu non potevi sapere quel che sarebbe successo! Eri andato
lì per salvarlo, mettendo a repentaglio la tua stessa vita, e questo ti fa grande onore, Harry! Non credere ad un senso di colpa che
non ha motivo di esistere! Il tuo cuore, ora colmo solo di dolore e amarezza, ti inganna! Ti prego non convincerti di
questa cosa, perché tu, non hai nessuna colpa! Sei stato solo…solo un
burattino nelle mani del destino, voluto per uno spettacolo mostruoso…”
s’interruppe, lasciando andare Harry, che era come in una specie di trance.
Lupin, fece qualche passo
intorno a lui, passandosi una mano tra i capelli, come per raccogliere le idee,
o come per trovare una soluzione ad un problema irrisolvibile.
Per un po’ nessuno parlò.
“Perché mi dice
questo…” disse Harry in un sussurro.
Lupin si voltò verso di
lui, gli si avvicinò, e si accoccolò nuovamente al suo fianco.
“Io ti conosco Harry...so che carattere
forte hai, so che sei un ragazzo pieno di vita,
solare, giocherellone e buono. La verità, come ti ho detto, è che tengo a te,
perché lo stesso vale per me, anche tu, ora, sei l’unica persona che mi collega
al passato…e non voglio correre alcun rischio di perderti come feci con tuo
padre e con Sirius...e poi, ti dico questo, solo perché…perché io e Sirius,
all’inizio non sapevamo della...della Profezia su di te…fu Silente ad
illuminarci, e si può dire, che…che da quel giorno, temevamo sempre più per la
tua vita, non per le marachelle che potevate combinare tu e i tuoi amici a
scuola...avevamo paura, anzi terrore, che tu potessi
non godere della felicità della vita, nel senso che...ci vedevamo ogni giorno
davanti, un’ipotetica battaglia, tu...tu solo, contro il Male…era terribile
pensare questo, che effetti avrebbe avuto su un giovane della tua età.
Devastanti. E quel che più ci faceva rabbia, era il fatto di essere
esterni ad una tale verità, in ogni caso noi eravamo impotenti, avremmo
dovuto assistere, come insignificanti spettatori, a qualcosa che è più grande
di te, senza poterti aiutare, confortare e dirti, che comunque vada, nel Bene o
nel Male, noi saremmo stati sempre con te, e non ti avremmo mai, mai
abbandonato...lo avrebbero magari fatto amici, conoscenti, mai noi no, mai…e
questo, Harry, è perché teniamo a te, più della nostra stessa vita…” disse
Lupin.
Harry rimase pietrificato.
Nessuno aveva mai parlato così di lui; ad un tratto si sentì riscaldato,
avvolto nell’affetto e nell’amore che quelle parole esprimevano...parole uscite
da un’anima che, nonostante le avversità della vita, era
riuscita a sanare quelle sue profonde ferite. Tutto questo era ancora una
volta, invidiabile.
“Ma…ma perché
tutte le persone che mi amano, che io amo, finiscono per lasciarmi in un modo o
nell’altro?” chiese malinconico.
Lupin scosse lentamente il capo
in segno di diniego.
“Non lo so, Harry…forse non lo sapremo
mai...” disse.
“Io forse sì...è...è
la mia maledizione...” disse con occhi persi.
Lo sguardo di Lupin divenne
curioso.
“Che cosa vuoi
dire, con questo?” chiese.
Harry, senza smettere di
fissare il vuoto davanti a lui, riprese.
“Voglio dire, sono statoprescelto, sono…” fece un sorriso amaro.
“…l’eletto della Profezia…l’unico…l’unico che potrà, con le sue forze, portare
ordine ed equilibrio tra Bene e Male…che sciocchezza…” s’interruppe, poi
riprese. “Voi credete davvero, che un ragazzo come me, possa
sconfiggere e distruggere il Signore del Male? Davvero? Beh, allora vi
sbagliate di grosso...perché io sono solo un ragazzo, niente di più...e...e la
mia fine è vicina, perché quando quel maledetto giorno arriverà, e di sicuro
non sarà in un futuro troppo lontano, beh, contro di lui, non avrò nessuna
possibilità...perché illudersi, voglio dire…che sinceramente non m’importa di
vivere o morire, ecco… comunque, senza continuare a fingere, credo di essere
morto già tempo fa...è…è una cosa inevitabile...tutti lo dicono, no? Dal
proprio destino non si può scappare, lo si deve solo
affrontare...quindi qualsiasi cosa farò, o farete per me, è inutile, perché
non vivrò abbastanza da godermela…Quindi, quando tutti quelli là fuori, dicono
che vorrebbero essere come me, che ho avuto un privilegio fin dalla
nascita...commettono un terribile errore…perché questa diversità, che io mi
porto dentro, non è una fortuna, ma è una maledizione...un pesante fardello,
che nessuno mai potrà alleggerire…” disse, mentre tremava di rabbia repressa.
Tutto fu interrotto dal
rumore della porta della stanza che si apriva.
Entrò la signora Grant, si
fermò un attimo stupita quando vide il professor Lupin
seduto ai piedi della sedia di Harry, ma poi continuò a camminare fino alla
scrivania al centro della stanza.
Con un’espressione un po’
accigliata, si rivolse al professor Lupin.
“Ehm, signor Lupin…ecco tutti i
documenti...deve solo porre una firma qui sotto, e potrà portare via il
ragazzo, dato che mi assicura di aver parlato con il
signor Dursley…” disse porgendogli un foglio in una
cartelletta.
“Oh, sì, certo…” disse Lupin rialzandosi da
terra e avvicinandosi alla scrivania, dove la signora Grant gli stava porgendo
una penna.
Qualche secondo per
firmare, poi si voltò verso Harry con un debole sorriso.
“Allora, Harry…è meglio che vai a prendere
le tue cose…” disse Lupin, ma non finì la frase che s’intromise la signora
Grant.
“Oh, le cose del ragazzo sono state già
preparate, sono nel salone, vicino al portone d’entrata…sono cose così strane…”
disse prima di raccattare i vari fogli e moduli e precederli nel salone.
Arrivati, la signora Grant
si avvicinò ai due per stringere loro la mano.
“E’ stato un piacere conoscerti, Harry...”disse e facendo un ultimo cenno
al professor Lupin, che annuì con il capo, aprì il portone.
Usciti, Harry sentì come
una vampata di calore salirgli dall’asfalto, dopotutto era stato una settimana
in quel luogo così fresco, senza mai uscire.
Stavano per varcare la
soglia del cancello, quando un pensiero fulminò Harry: Dorian.
Non solo non aveva salutato
quel ragazzo, ma non lo aveva neanche ringraziato di aver tentato di aiutarlo
ed essersi preoccupato per lui.
All’improvviso, si sentì
nuovamente triste, pensando che anche quel ragazzo non aveva una situazione
felice, ma dopotutto aveva uno spirito sempre allegro.
Si sentì anche un po’
colpevole del fatto di andare via da quel posto lasciandolo solo; proprio lui,
che desiderava più di qualsiasi cosa essere adottato, ora vedeva andare via
anche la persona che forse poteva capirlo.
Era ingiusto, ma anche se
avesse saputo la verità, non avrebbe comunque potuto
capire.
Harry si voltò verso
l’edificio, verso quella moltitudine di finestre dall’aria obsoleta.
Scorse con lo sguardo
quelle del secondo piano cercando di individuare quella della stanza dove aveva
passato la maggior parte del tempo, quella settimana.
Non ce ne fu bisogno. Con
gli occhi la raggiunse subito. Alla finestra, dietro il vetro, c’era Dorian,
che lo guardava tristemente. Appena lo vide, il ragazzo fece un debole cenno
con la mano, al quale Harry rispose con un assenso del capo.
Rimasero
qualche secondo così, poi Harry,
prima di voltarsi e riprendere la sua strada insieme a Lupin, sempre
guardandolo sussurrò tra sé.
“Non perdere mai la speranza…” mormorò.
E, come se avesse sentito, Dorian, dall’alto della
finestra, da dietro il vetro, assentì fermamente con la testa.
A quel punto Harry fece un
debole sorriso, si voltò e raggiunse il professor Lupin, che lo aspettava poco
più in là.
“Dove andiamo,
ora?” chiese Harry.
La risposta non tardò ad
arrivare.
“Mi dispiace, ma andremo ancora a Grimmauld
Place” disse evitando lo sguardo di Harry.
Svoltarono in un vicolo
cieco, dove c’era per terra, un insolito masso di grandi dimensioni.
“Useremo questa passaporta”
disse Lupin avvicinandosi alla pietra.
Harry fece altrettanto.
Poggiarono
una mano sul sasso, e sentendo la familiare stretta all’ombelico, sparirono in un vortice di colori e suoni.
***
Un grazie speciale a chi ha
recensito!
Grazie davvero, basta poco
per far felice una persona^___^
Durante il
viaggio, Harry aveva perso la cognizione del tempo e cominciò a pensare di aver
viaggiato per ore intere.
Quando però, si
ritrovò scaraventato di peso per terra, dalla forza di spostamento della passaporta,
si accorse del fatto che non erano passati più di cinque minuti.
Mentre il
professor Lupin lo aiutava a tirarsi in piedi, Harry si guardò attorno e
riconobbe fin troppo presto, il posto.
Era Grimmald
Place.
Si trovarono
esattamente in mezzo tra l’edificio numero 11 e quello numero 13.
Guardò Lupin,
che dopo essersi avvicinato di qualche passo, pronunciò la frase che permetteva
al numero 12 di affiorare tra le case.
In quel momento
Harry provava solo una strana sensazione: non gli andava per niente di trovarsi
in quel maledetto posto…quel posto che aveva presto imparato ad odiare.
Era più una
sensazione di amarezza, ma soprattutto di delusione: quella casa aveva tradito
Sirius ancora una volta…di una cosa era più che certo; avrebbe odiato quella dimora,
con tutto l’odio di cui disponeva, la sua colpa, a questo punto, era pari solo
alla colpa di quella casa e di quei vecchi abitanti che non avevano mai capito
Sirius, che lo avevano sempre allontanato e disprezzato.
Fu distratto da
quei pensieri dal professor Lupin, che, un po’ pallido, gli faceva cenno di
avvicinarsi ed entrare.
Harry deglutì
rumorosamente.
Non sapeva se,
dopo tutto quello che era successo, avrebbe avuto la forza per farlo. Quello,
più di qualsiasi altra cosa, era una prova, per fargli affrontare ancora una
volta, il passato. Solo che questa volta era più doloroso che mai.
Non si trattava
solo di ricordare, questa volta avrebbe dovuto vedere, toccare, respirare
il passato…nulla poteva essere definito peggiore.
Camminò con
passo incerto verso il portone d’entrata, tenuto saldamente fermo ed aperto dal
professor Lupin, che guardava Harry in modo incoraggiante.
Arrivato sulla
soglia, si fermò, guardò in direzione di Lupin, che sussurrò.
“Solo tu puoi superare i fantasmi e
ricordi brutti dietro di te; questo devi farlo da solo…è il primo passo” disse
bisbigliando.
Harry annuì
debolmente.
Tornò a
guardare oltre la soglia e vide solo buio; era sempre stata così
l’entrata…buia, cupa, proprio come si addiceva a quel posto, macchiato dell’oscuro
marchio della morte e dell’odio.
Senza neanche
essersene accorto, era rimasto così imbambolato per qualche attimo; si
costrinse a distogliersi da quel torpore.
Fece un gran
respiro, chiuse gli occhi ed entrò.
Era tutto buio.
Non sentiva né vedeva niente. Era rimasto immobile nell’oscurità in attese che
accadesse qualcosa, quando, all’improvviso, sentì afferrarsi la mano e venire
dolcemente trascinato oltre il buio.
Si ritrovo
nell’anticamera tra sala e cucina, nel luogo più vicino al corridoio buio.
Harry si voltò
e notò che il professor Lupin lo aveva preceduto. Questi sorrise mesto. Harry
rimase impassibile.
“Ho visto che non proseguivi, ho pensato al
fatto che, sulle prime, potevi sentirti disorientato” disse Lupin.
Harry non
rispose.
Ritrovarsi in
quel posto, gli faceva mancare l’aria. Si sentiva soffocare da quelle pareti,
da quei muri.
Chiuse gli
occhi nel tentativo di reprimere quella nausea che gli era salita.
Dopo essersi
calmato, riaprì gli occhi guardandosi in giro, alla insolita, ma disperata
ricerca di qualcosa che fosse diverso.
Questo glielo
si doveva leggere negli occhi, perché Lupin parlò.
“Non è cambiato nulla, qui…” disse
guardandosi attorno. “Quello che potevamo, lo abbiamo lasciato esattamente come
lo aveva lasciato lui…”.
Harry lo
fissòcon la coda dell’occhio e vide il
suo sguardo abbassarsi a terra.
Sospirò
silenziosamente.
Lupin si avviò
lentamente verso la cucina, lasciando Harry da solo nell’anticamera.
Pian piano
cercò, anche se inutilmente, di abituarsi a quel forte disagio. Provò a
deglutire, ma un grosso nodo alla gola glielo impediva. Guardandosi attorno, il
suo sguardo andava al di là di tutto; vedeva i muri, i mobili, i quadri…ma in
realtà non li guardava…
Aveva davanti
agli occhi, i momenti passati con Sirius in quel luogo, anche se non molti…in
quei attimi sembrava impossibile, persino assurda l’idea che tutto, un giorno
potesse finire; tutto finito, senza un grazie, senza un addio…
Questo, in
realtà, era il vero peso che gravava sul suo cuore; non riuscivaa perdonarsi il fatto che aveva fallito
ancora una volta…perché il suo orgoglio gli aveva sempre impedito di esprimere
l’affetto che provava per Sirius…non era mai riuscito a dire quanto teneva a
lui.
Se n’era andato
senza saperlo…e questa, era la cosa che più rimpiangeva tra le altre.
Era toccato a
lui.
Neanche sapeva…
Era una di
quelle cose, che poi perseguitano per tutta la vita. Rimpianti troppo grandi
per essere riscattati; che restano a tormentarti per sempre, non facendoti
vivere una vita serena…anche se a dir la verità, la serenità era scomparsa già
da tempo, già da quando, il Lato Oscuro stava riprendendo potere, da quel
momento tutte le sensazioni positive, quali la gioia, la felicità, ma
soprattutto la voglia di vivere una vita vera, cominciarono a sciogliersi come
neve al sole, lasciando solo desolazione e solitudine con la loro fine.
La malvagità si
era sparsa a macchia d’olio, contagiando, come un virus letale, tutto e tutti,
cancellando la luce della vita dal cuore di tutti quelli che sognavano una vita
migliore e di quelli che con coraggio, si ribellavano al Male.
E tra queste,
c’erano tutte le persone che amava, a cui voleva un bene dell’anima…e che
stavano tutti pagando a causa sua…
Si distolse da
quei pensieri gettandosi a pancia in giù sul divano della grande sala.
Sprofondò con
il viso tra le braccia, incrociate davanti agli occhi.
Non riuscì a
soffocare un gemito.
Oramai, era
tempo che non riusciva a reprimere più niente; era una torrente di emozioni.
Non seppe dire
per quanto rimase lì, su quel divano, serrando gli occhi, cercando
disperatamente di ricacciare le lacrime indietro e di lasciare fuori tutto ciò
che i suoi occhi erano costretti a vedere; tutte cose che facevano ricordare la
sola persona che voleva dimenticare…Sirius.
Senza
preavviso, avvertì qualcosa di caldo calargli sulla sua nuca.
Senza alzare il
capo, capì che doveva essere la mano del professor Lupin.
Allora alzò lo
sguardo per assicurarlo di sentirsi bene, ma quando lo fece, il suo corpo
s’irrigidì bruscamente, il suo cuore ebbe un tuffo e i battiti accelerarono,
lasciandolo senza respiro.
Davanti a lui,
c’era, accovacciato accanto al divano e ricurvo su di lui, Sirius, che gli
sorrideva fiducioso.
Si sentì
mancare, non riuscì ad emettere alcun suono, ma lanciò un urlo di disperazione,
quando, sbattendo bene le palpebre, mise a fuoco la figura del professor Lupin,
nella stessa posizione, al suo posto.
Sbatté,
violentemente, un paio di volte la testa sul cuscino del divano, nel tentativo di
cancellare quella malinconica allucinazione.
Non fece in
tempo a fermarsi da solo, perché si ritrovò la testa fra le mani di Lupin, che
alzandosi in piedi, lo aveva bloccato da quel iroso accanimento.
Rimase di
stucco, senza muovere un muscolo, alzò lentamente gli occhi verso il
professore.
“Smettila di farti del male, non serve a
nulla” disse questi con voce preoccupata.
Harry rimase
fermo.
Il professore
annuì, poi lo lasciò andare dolcemente, e si avviò verso le scale per salire al
piano superiore.
Arrivato al
primo gradino, si voltò verso Harry, che ancora con la testa appoggiata sul
cuscino, lo guardava.
“Dai, vieni” disse Lupin cercando di
incoraggiarlo, facendo cenno di seguirlo. “Ti faccio vedere la tua camera”.
Harry rimase un
po’ colpito dall’ultima affermazione. Da quando, lui, aveva una camera in quel
posto? Forse si riferiva alla stanza che aveva condiviso con Ron l’anno
precedente. Harry, comunque, tentò.
“E’ la stanza al piano di sopra, dove ha
dormito anche Ron?” chiese, guardando appositamente fuori dalla finestra, per
cercare di apparire casuale.
Lupin sorrise e
fece cenno di diniego; poi, ancora, lo invitò a seguirlo.
Harry si alzò e
barcollando un po’, si diresse verso le scale.
Lupin lo
precedette sulle scale e lo guidò lungo il corridoio del piano superiore.
Sorpassarono la
porta della camera dove Harry e Ron avevano passato l’estate e girarono in un
piccolo corridoio secondario che Harry non aveva mai notato; aveva tre porte.
Lupin si fermò
sulla soglia dell’ultima in fondo.
Estrasse una
piccola chiave d’oro da una tasca, la infilò nella toppa altrettanto d’oro, e
facendo due giri, fece aprire la porta con uno schiocco sordo.
Il professore
entrò nella stanza, che era totalmente al buio. Harry si fermò sulla soglia, in
attesa. Provava una timida curiosità.
A quel punto,
Lupin sollevò la persiana, aprì la finestra e la luce inondò la camera. Harry
rimase senza parole.
Si trovava
davanti ad una camera vera e propria, arredata nei minimi particolari.
Era grande, le
pareti colorate di un azzurro cielo delicato, con un bordo blu in alto. In
fondo alla stanza c’era un’enorme finestra, con a lato, delle tende blu mare,
fermate da nastri azzurro chiaro. A destra c’era un letto a baldacchino, in
legno, con lenzuola e cuscini azzurri. L’armadio era a sinistra della finestra,
imponente e dello stesso legno del letto. Il pavimento era fatto di piastrelle
bianche lucenti. A fianco dell’armadio c’era uno scrittoio in legno. Sulle
pareti c’erano mensole blu, sulle quali poggiavano libri di magia e foto, che
Harry non aveva mai visto.
Harry era
stupefatto, e cercò lo sguardo di Lupin.
“Professore…” tentò di chiedere, ma non
ebbe il tempo di finire.
“Harry” disse Lupin. “Questa stanza l’ha
voluta Sirius per te…l’abbiamo costruita per te, l’anno scorso mentre tu eri a
scuola; l’abbiamo montata pezzo per pezzo…abbiamo cominciato a settembre, ma
quando sei venuto per Natale, per assicurarci che non la trovassi, per lo più
incompleta, l’avevamo chiusa…L’avevamo finita una settimana prima della…della
notte all’Ufficio Misteri…voleva che la vedessi questo settembre, perché era in
programma che saresti venuto…così ogni volta che saresti venuto in
quest’orribile posto, avresti avuto un angolino tutto tuo…” disse a bassa voce,
con lo sguardo a terra, e il sorriso scomparso dal volto.
Harry rimase
colpito dall’impatto di quelle parole, rimase impalato cercando di coglierne le
varie sfumature.
“…perché ti voleva molto bene, Harry…”
concluse Lupin tra sé.
Uscendo, lasciò
Harry solo con i suoi pensieri.
Tutto ciò
faceva troppo male al cuore per discutere, era inutile, non ne aveva la forza;
si avvicinò al letto, si buttò a peso morto e poco dopo si addormentò cullato
dal profondo affetto che quella stanza esprimeva.
***
“…Harry? Harry?”
chiamava una voce a basso tono.
Harry si
svegliò schiudendo piano gli occhi.
Mise a fuoco la
figura del professor Lupin che lo muoveva delicatamente per farlo svegliare.
Harry si mise
sul letto a sedere. Si guardò attorno.
Doveva essersi
addormentato…certo che addormentarsi alle undici del mattino dopo essersi
svegliati meno di tre ore prima era il massimo…poteva sempre scusarsi dicendo
che la mattinata era stata intensa e piena di emozioni.
“Ehi…allora, come ti senti?” chiese Lupin,
sedendosi sul letto accanto a lui.
Harry fece
spallucce. Lupin sostenne il suo sguardo. Harry lo distolse poi rispose.
“Nessuna differenza…” disse cupo,
guardandosi le mani.
Per qualche
istante calò un silenzio imbarazzante, poi Lupin parlò.
“Beh, che ne dici di mettere qualcosa sotto
i denti? Dopotutto è mezzogiorno e io sto morendo di fame…eh?” chiese cercando
un’aria scherzosa.
Harry annuì
senza convinzione, ma il suo stomaco cominciava a brontolare.
Ora che era
sveglio, non poteva fare a meno di pensare all’allucinazione avuta poco tempo
prima.
Per un momento
aveva creduto, per un momento…non avrebbe dimenticato mai più
quell’espressione…quel viso a lui ormai così conosciuto e amico.
Per qualche
magico secondo aveva creduto che si fosse trattato tutto di un incubo, un
terribile incubo che sembrava non volesse avere fine…in quell’attimo pensò.
Pensò di saltare al collo del suo padrino, così vicino a lui, e di abbracciarlo
forte, per assicurarsi che fosse tutto vero, dopodiché gli avrebbe raccontato
tutto, ma soprattutto gli avrebbe confidato ciò che provava, non avrebbe
commesso lo stesso errore una seconda volta, gli avrebbe detto che gli voleva
un bene dell’anima, che non lo avrebbe più lasciato e anche, pensò che
sicuramente si sarebbe scusato per quello che gli faceva correre, per quello
che rischiava ogni giorno per lui…
Mentre si
alzava, e si preparava per scendere, un sorriso triste gli si dipinse sul volto
segnato dall’amarezza e dalla malinconia di quella vita dannata.
Scese
lentamente le scale, con gli occhi fissi nel vuoto, cercando di non far
scivolare nel buio dell’oblio, la sua immagine, che pian piano, stava
cominciando a sfocare, fino a diventare indefinita, e infine irrecuperabile per
la sua mente…persa; persa per sempre, la sua scomparsa, provava ancora una
volta la sua grande debolezza, la sua maledizione… Quell’immagine era proprio
come tutti…lentamente si spegnevano fino a diventare indefiniti, come stelle al
termine della loro corsa nell’universo più sconosciuto.
Ma di una cosa
era certo: quelle persone, quegli animi, quei cuori, non sarebbero stati
dimenticati; mai.
Il loro ricordo
sarebbe vissuto in eterno, a testimoniare l’orrore di un tempo che è stato…a
far capire che, quelle persone, che hanno dato la vita per la vita, sono state
e sempre saranno la base di un nuovo mondo e, che grazie a quelle persone, a
quel loro coraggio, così raro e prezioso, che è stato e sarà possibile
costruire qualcosa di solido e duraturo…tutto, grazie al loro sacrificio…sono
eroi, eroi di una guerra ingiusta, una guerra terribile…eppure, davanti alla
gravità di quella guerra, non si sono fatti sopraffare dalla paura, non sono
stati codardi, non si sono tirati indietro, e, la cosa più grande da ammirare,
è che erano coscienti a cosa sarebbero andati incontro, eppure, hanno
resistito, hanno tenuto duro, fino all’ultimo…hanno lottato, non per vivere in
un mondo migliore, ma per far vivere in un mondo migliore…sono due cose
diverse…e soprattutto l’ultima, è difficile da accettare, pur essendo la
realtà…
Harry si riscosse
da quei pensieri, vedendo che, arrivato in cucina, il professor Lupin lo stava
osservando.
Fece un debole
sorriso, poi si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a Lupin.
Il professore
sembrava volesse dire qualcosa, infatti, mentre Harry stava addentando il primo
toast un po’ svogliatamente, parlò.
“Harry…” cominciò, ed Harry smise di
mangiare e lo guardò leggermente incuriosito.“Ho notato che, ancora dopo quasi tre anni, tu mi chiami ancora
professore…” Harry rimase in attesa di dove volesse andare a parare quel
discorso. “…ma io, vedi, non sono più il tuo professore, e poi non è bello che
tu mi dia del lei…quindi, ti prego chiamami solo Remus, da amico ad amico…”
disse con un sorriso.
Harry rimase un
po’ a bocca aperta, ma subito dopo Lupin riprese.
“Cosa c’è? Non dirmi che sei rimasto
sbalordito! Pensavo potesse farti piacere…” disse con tono divertito.
Harry annuì con
la testa.
“Sì, certo… Remus! Mi piace!” disse, mentre
un timido sorriso si affacciava sul suo volto.
A Remus aprì il
cuore, quella vista; vedere Harry quasi sorridere in quel periodo così buio,
era una tale gioia…
Restarono in
silenzio per tutto il resto del pranzo. Solo alla fine, quando Harry si alzò e
incominciò a salire le scale, Remus si alzò dalla sedia.
“Harry?” lo chiamò quasi a bassa voce.
Harry si voltò,
in attesa.
Lupin fece
spallucce, poi riprese.
“Beh, se volevi…insomma, volevo chiederti
se…magari, ti andrebbe di…di guardare delle foto che avevamo qui…lo capisco se
non vuoi, ma farebbe bene cercare di affrontare senza soffrire, il che sarebbe
piuttosto importante, come ho detto, sarebbe un primo passo...potrei parlarti
del passato…ooh, ma del passato felice, di quando il Male non era ancora nei
nostri pensieri, sai, credo addirittura possa essere divertente…” disse
ammiccando lentamente con l’occhio destro.
Harry rimase
immobile sulle scale, perplesso. Non sapeva cosa fare.
Una parte di
lui era incuriosita da quella specie di offerta, anzi voleva sedersi lì con lui
e passare l’intero pomeriggio a parlare e a farsi raccontare di quel sentimento
che aveva unito quei quattro ragazzi, tanto tempo fa.
Era quasi più
forte di lui; avrebbe finalmente saputo, dopo anni di quasi totale oscurità, la
vera storia, la verità, su tutto quanto…questo lo affascinava molto…
Ma l’altra
parte di lui, lo tratteneva, gli impediva di raggiungere Remus, gli sottraeva
l’unica possibilità di sapere; dopotutto era la cosa che più voleva da quando
era entrato a far parte del mondo della magia…ma, c’era qualcosa, qualcosa che
neanche lui sapeva…o forse sì, lo sapeva…ma non aveva il coraggio di
ammetterlo, neanche a se stesso…Aveva paura.
Sì, la paura
gli annebbiava la vista, gli offuscava i sensi, era in balìa della paura…la
paura di provare per l’ennesima volta tristezza e dolore nel cuore; sapeva bene
come ci si sentiva in quello stato…si desiderava morire, almeno sarebbe tutto
cessato…Aveva paura di potersi sentire nuovamente in colpa per tutto: per la
morte di Sirius, per la rinascita del Male, per il fatto di non essere riuscito
a fermarlo, pur essendo l’unico al mondo in grado di farlo…tutto un insieme di
emozioni negative che cercavano solo di farlo isolare, come fossero cattive
consigliere, che spingono un’anima sottomessa, incapace di reagire, in uno dei
più profondi baratri di solitudine e desolazione.
Era in corso un
conflitto all’interno del suo cuore e, quel che era peggio, era che nessuna
della due parti riusciva in qualche modo a prevalere sull’altra.
Era indeciso.
La sua mente, talmente occupata e oppressa da quella lotta interiore, che non
udiva nient’altro al di fuori di quello…non il ticchettio dell’orologio, non lo
scricchiolio della scala sottostante , non l’esortazioni di Lupin a sedersi
accanto a lui…
Poi però
successe qualcosa: la ragione prevalse sui sentimenti e con uno scatto
repentino, scese i pochi gradini di scale che aveva salito, si avviò di gran
carriera verso Lupin, vicino al divano.
Quello che lo
aveva fatto rinsavire, era una nuova paura subentrata con la ragione…ma questa
volta, a differenza delle altre paure, questa, portava a scegliere la cosa
giusta da fare; era la paura dei rimorsi… Magari, se avesse deciso di
continuare a salire le scale, fermandosi solo nella sua nuova camera, e così
evitando quello sbocco sul passato, lo avrebbe rimpianto per sempre; perché
forse era come diceva Lupin, la parola passato non deve essere associata
solo a cose negative, passato vuol dire anche gioia, felicità, momenti
passati insieme…era stato questo a spingerlo ancora una volta, verso l’unica
persona che gli rimaneva…questo era un vero passo avanti.
Con una certa
fretta, raggiunse il divano e vi sedette.
“Sapevo avresti accettato, sei forte, lo
so…arrivo subito, vado a prendere l’album e torno…ci sarà da divertirsi,
vedrai…” disse e così facendo sparì inghiottito dalle scale.
Harry rimase
nuovamente solo con i suoi pensieri, ma decise fermamente, che questa volta,
non come le altre, non si sarebbe fatto trascinare, sarebbe rimasto lucido,
anche di fronte ai pensieri e ai ricordi che, di solito, lo trasportavano poi
in quella triste malinconia.
Passò qualche
minuto, poi il viso di Remus si affacciò dal piano superiore.
“Arrivo…ho avuto qualche problema a
trovarlo…” disse quasi gioioso.
Stava scendendo
l’ultimo grandino, quando Harry parlò.
“Tu come hai fatto?” chiese e mantenne lo
sguardo.
Lupin si
bloccò, e alzò gli occhi su quel ragazzo, a cui non sfugge una virgola.
“Tu come hai fatto…voglio dire, eri più
affezionato a lui…lo conoscevi da più tempo, ci sei cresciuto, e ora…ora mi
meraviglio della tua forza di volontà, la tua forza di spirito…sembra che nulla
possa sconfiggerti…dimmi il tuo segreto, ti prego…forse finirei anch’io di
soffrire…ti invidio…” riprese con la voce ridotta a un soffio.
Lupin, senza
dire una parola, raggiunse Harry sul divano, si sedette, gli mise una mano su
una spalla e sospirò lentamente.
“Vedi, Harry…” cominciò Remus, come chi sta
per iniziare un discorso difficile e impegnativo. “Io, io non so come ho
fatto…nel senso che, per i primi giorni, ancora non realizzavo ciò che era
potuto accadere, anche se mi accorgevo che dalla notte al Ministero della
Magia, Sirius non era tornato…voglio dire, che ero fermamente convinto che una
vita non si potesse cancellare così…non pensavo a niente, non riflettevo,
vivevo solo di aria…oso dire che persino aspettavo il suo ritorno da un momento
all’altro, era incredibile il mio comportamento…” s’interruppe cercando le
parole, non era facile. “Poi, dopo già le prime volte che mi trovavo a
chiamarlo, ma lui ovviamente non mi rispondeva, sentivo di cominciare a
realizzare che qualcosa era cambiato, si era modificato per sempre… E’ questo,
credo, che non accettavo, il fatto dell’irrimediabilità…il fatto che tutto non
si poteva cambiare…era questo a cui non credevo…ed era orribile…perché più passava
il tempo, più mi rendevo consapevole, più mi sentivo solo nella vastità di
quella casa che è Villa Black a Grimmauld Place…non volevo crederci, non lo
accettavo, andavo avanti nella sicurezza che prima o poi sarebbe tutto finito,
che sarei riuscito a uscire da quell’ incubo che mi stava assalendo e
inghiottendo…ma non mi preoccupavo…poi, solo quando cominciarono a dirmelo
tutti gli altri, quando cominciarono a cercare di farmi capire, di farmi
comprendere, che scoprii la verità, non che non l’avessi saputa, ma cercavo
solo di soffocarla nel più profondo del mio cuore. Quando lentamente presi
coscienza di ciò che era stato veramente, beh, ricordo che scivolai verso il
baratro della tristezza e della malinconia…mi isolai, tagliai i ponti col mondo
esterno, non che ne avessi tanti, ma quello bastò a farmi chiudere in me
stesso, in un modo che possiamo paragonare ad un guscio, che mi ero costruito
attorno, nella più disperata speranza di far cessare tutto, il dolore che
sentivo nel cuore, l’amarezza e la tristezza che mi flagellavano ogni istante…
Poi vedi, forse destavo talmente tante preoccupazioni o forse mi stavo
conciando proprio male, perché intervenne Silente…Veniva spesso a Grimmauld
Place, in alcuni momenti si faceva vedere più volte nello stesso giorno… Ti
chiederai cosa facesse una volta qui...beh, lui mi parlava, sì parlava e
parlava…io a volte neanche lo ascoltavo…mi parlava di Sirius, convinto che una
terapia d’urto facesse al caso mio, mi parlava di te, dicendomi di non mollare,
perché se lo avessi fatto, anche tu ti saresti lasciato andare e questo non
doveva accadere, perché…perché tu avevi già sofferto abbastanza, mi parlava di
tutto e di niente, non so perché lo facesse, ma nei suoi occhi, così veri e
rassicuranti, vedevo qualcosa che non avevo mai visto…non saprei dire cosa, ma
mi sentii riscaldato, protetto, sentivo che lo non mi avrebbe abbandonato…così,
verso la fine di quel periodo cominciai ad aprirmi anch’io con lui…gli dissi
tutto, nel senso che sfogai la mia rabbia, la mia tristezza e per un po’ mi
sentii vuoto…” si bloccò un attimo come per ricordare, poi riprese con lo
sguardo fisso nel vuoto, Harry ascoltava rapito. “ Gli raccontai ricordi che
neanche credevo ancora di possedere…il ricordo della mia vita prima che questo
mondo diventasse un inferno, l’avevo completamente rimosso dalla mia testa e
dal mio cuore, ma con lui riaffiorarono, come se fossero sempre stati lì, i
fantasmi e gli spettri del passato, che ormai mi perseguitavano da troppo
tempo…sì, perché vedi, questi due anni, nei quali abbiamo ritrovato Sirius, per
me non sono stati altro che una copertura…credevo di essere felice, ma in
verità soffrivo, a causa del passato che sembrava non voler smettere di
seguirmi…e solo ora ho compreso, che ovunque io vada il passato, buono o brutto
che sia stato, è sempre con me…e questi due anni di tregua, a noi concessi,
dovevano essere sfruttati e non invece, come ho fatto io, buttati al vento,
credendo che durassero per sempre…” la sua voce si ridusse a un debole
bisbiglio.
Tenendo fisso
lo sguardo nel vuoto, fece spallucce e, senza guardare direttamente Harry,
prese a salire le scale velocemente.
Harry rimase
immobile.
Quanta forza
aveva quell’uomo…
Non fece in
tempo a pensare ad altro, che Remus era già di ritorno, con un grosso album di
fotografie in mano, sembrava uno di quei libroni della biblioteca della scuola,
così grosso e così impolverato.
Arrivato, si
sedette al fianco di Harry, appoggiando il volume sulle gambe.
Guardò prima Harry,
poi soffiò forte sulla copertina di pelle nera dell’album, alzando piccoli
sbuffi di polvere.
L’aprì, facendo
scricchiolare il vecchio cartone incrostato.
Sulla prima
pagina non c’era una fotografia, solo una scritta d’inchiostro che diceva: Noi.
Remus passò una
mano sul quella scritta come per rievocare il passato mai dimenticato.
Sospirando,
voltò pagina e una grande fotografia occupava l’intera pagina.
Ritraeva quella
che sembrava la cerimonia di un diploma.
Infatti,
guardando bene, Harry poté notare, il gruppetto riunito, composto dai quattro
Malandrini e da Lily.
Trattenne il
respiro, quando i suoi occhi si soffermarono sui due ragazzi che si tenevano a
braccetto, ridendo animatamente: James e Sirius.
Lupin si
accorse.
“Non li avevo mai visti così felici” disse
con un sincero sorriso.
Harry si voltò
a guardarlo.
“Oso dire, che quel giorno avevano un po’
esagerato con la Burrobirra al banchetto, ma dopotutto era la fine del settimo
anno, non era una cosa che capitava spesso…la vedi, Lily?” chiese.
Harry si limitò
ad annuire, tornando a fissare il volto felice di sua madre.
“Lei era l’unica che disapprovava quel loro
atteggiamento, ma quel giorno lasciò completamente perdere, tanto loro
l’avevano sempre vinta, contro la povera Lily…a volte la facevano disperare”
continuò fissando la fotografia.
Harry sorrise
dolcemente.
Lupin voltò
pagina, mostrando due fotografie speciali.
La prima,
mostrava il giorno del matrimonio di James e Lily, una fotografia simile a
quella che aveva anche Harry nel suo album regalatogli da Hagrid al primo anno.
I due sposi
erano in primo piano,sorridenti e
abbracciati, mentre dietro di loro, spuntava il volto felice di Sirius, vestito
in smoking, insieme a Remus, accanto, anch’egli splendente di felicità.
Erano in un
giardino…
“Il giardino di Hogwarts” disse Lupin,
prevenendo i pensieri di Harry.
“Si sono sposati ad Hogwarts?” chiese i
ragazzo, un po’ con sgomento.
Lupin scosse la
testa, sorridendo alla sua espressione stupita.
“No, ma poi si è festeggiato a
scuola…dicevano che era più romantico, festeggiare dove si erano conosciuti ed
amati…chi li capisce è bravo” continuò.
L’altra
fotografia, invece ritraeva Lily, in un letto d’ospedale, con affianco,
inginocchiato suo marito, che le teneva una mano, mentre con l’altra l’aiutava
a reggere un fagotto di asciugamani…
“Il giorno della tua nascita” riprese Lupin
quasi allegro.
Harry sorrise,
nel vedere la sua mamma così sudata e dall’aria stanca ma felice, e suo padre
con un sorriso da un orecchio all’altro.
Tutto faceva
pensare ad una vita felice…
Quello che poi
era accaduto nei seguenti quindici anni, sembrava non aver nessun collegamento
con quelle vite.
Sembrava
impossibile, erano due mondi completamente differenti.
Il primo
apparteneva a persone normali… Il secondo solo a persone la cui vita è
stata stroncata per un volere ingiusto, da qualcuno che non aveva il diritto di
privargliene, ma che lo aveva fatto lo stesso, seguendo il cammino che si era
già prestabilito da tempo, incurante di niente e di nessuno, neppure del
Destino…
Quel maledetto
giorno distrusse le loro esistenze per sempre, modificò il futuro, creando un
mondo devastato, crudele e spietato, cancellando tutto ciò che era buono.
Eppure, era
difficile pensare che quelle persone, in passato avevano avuto una vita uguale
a tutti gli altri, ricca di felicità, gioia, e che la loro scomparsa avrebbe
comportato solo la dannazione dei loro figli…proprio quei figli che cercavano
di proteggere, di far vivere in un mondo pieno d’amore…ma per quei figli non
c’è stato nessun amore, nessun mondo pieno di gioia. Solo una lotta giornaliera
per la sopravvivenza.
Eppure, ecco
lì, tutte quelle persone, ignare del proprio destino di morte, che vivevano
felici, non sapendo cosa il futuro avrebbe riservato loro…
Era quasi
straziante.
Il primo
istinto era quello di avvertirle, di salvarle, sfruttando la propria conoscenza
dei fatti, per prevenire…ma non era possibile, questa volta no…neanche
un’azione così nobile…non era concessa.
Rimasero così a
lungo, sfogliando frammenti di passato, cercando di perdersi in esso, per poter
ancora una volta provare quelle sensazioni, così fresche e pure da far venire i
brividi…
Passarono tutto
il pomeriggio sul divano a raccontare una storia della storia, per rivivere
quei momenti, per ricordare coloro che non c’erano più, ma che sarebbero sempre
vissuti nel loro cuore.
***
Un Grazie
Infinito a chi ha lasciato un commento! Mi avete reso davvero molto felice!
^///^
Spero che anche
questo capitolo possa piacervi… (perdonate questa povera sciocca che s’illude
inutilmente -__-‘ )
Passarono due
settimane a Grimmauld Place, e Harry sembrava reagire a quello stato di apatia che lo aveva così a lungo tormentato.
Remus era più
che felice per i progressi del ragazzo.
Più passava il
tempo, e più si rendeva conto che la scomparsa di Sirius non faceva poi così
male, il dolore si stava attenuando, le ferite rimarginando.
Ci sarebbe
voluto del tempo, forse, molto tempo, ma valeva la
pena di aspettare così tanto.
Era una fresca
mattina di fine agosto, strana, per quell’estate così calda e afosa.
Harry si era
alzato di buon’ora, scendendo quasi allegro dalle
scale.
Il suo stato
d’animo non si poteva certo definire felice, ma almeno era in armonia con se
stesso. Quel senso opprimente di colpa cominciava ad abbandonarlo, lasciando un
Harry sempre più disposto al sorriso e al gioco.
Arrivato nel grande salone di casa Black, aprì lentamente le tende,
facendo filtrare luce.
Luce: il
segreto era quello, dopotutto.
Non serviva a
nulla rifugiarsi nell’oscurità, cercando di cancellare i dolori e i dispiaceri
della vita. Bisognava affrontarli, e sconfiggerli.
Era questo il
suo nuovo motto.
Glielo aveva
insegnato Lupin, in quelle due settimane aveva fatto un miracolo; stava
riuscendo nel suo intento: guarire l’anima di Harry.
Potenti raggi
di sole inondarono la sala, riflettendo sulle pareti, sul soffitto, facendo di
casa Black, un posto migliore in cui vivere.
Respirò
profondamente, mentre chiudeva gli occhi, per non essere accecato dalla forte luce.
Rilassò il
torace, tornando alla normale respirazione. Che bella
sensazione!
La luce,
sinonimo di Bene, si era fatta strada in lui, travolgendolo.
Aprì gli occhi,
voltandosi e dirigendosi verso la cucina per preparare la colazione.
Ben presto Remus si sarebbe svegliato, Harry lo sapeva. Infatti quella mattinata, Lupin l’avrebbe trascorsa da
Silente, in un’altra piccola base dell’Ordine, dove si sarebbe tenuta una
riunione importante solo tra i più fidati.
Stava
preparando la tavola, quando sentì dei passi energici scendere velocemente le scale.
“Buongiorno, Harry” disse Remus con un volto
allegro.
Harry rispose
annuendo con un debole sorriso.
Il ragazzo finì
di portare due tazze di latte fumante a tavola, per poi sedersi, guardando
Remus imitarlo.
Rimasero in
silenzio per tutta la colazione; ognuno sembrava immerso nei
propri pensieri, e deciso a non distrarsi.
Solo alla fine,
quando Remus si alzò dalla sedia, prendendo le loro due tazze vuote si decise a
parlare.
“Ehm, Harry?” lo chiamò piano.
Harry si voltò
tranquillamente con aria incuriosita.
“Sì?”.
Remus sembrava
un po’ imbarazzato.
“Mi
dispiace moltissimo, ma sono costretto a lasciarti solo questa mattina…la
riunione…l’Ordine…” disse.
“Nessun problema Remus” lo anticipò Harry
garbatamente.
Lupin sorrise radioso.
“Beh, se non ti spiace, ora andrei a
prepararmi…così vado…scusa” disse sorpassandolo alla porta della cucina.
Harry si scostò
per poi udire: “E grazie per la colazione!” provenire già dalle scale.
Fece spallucce
e tornò al lavello a lavare quelle poche stoviglie.
Non passò più
di un quarto d’ora, che Remus era già filato fuori da
Grimmauld Place, in un primo momento scordandosi anche la cartella con tutte le
relazioni per l’Ordine, e ringraziando Harry per essergli corso dietro a
portargliela.
Il ragazzo vide
l’ex professore smaterializzarsi, e rientrò lentamente in casa.
Non avendo
nulla da fare e, leggermenteannoiato,
si buttò sul divano, in modo supino, chiuse gli occhi in un momento di
raccoglimento e pensò.
Pensò.
Lentamente gli
affiorarono in mente brutti pensieri, come se avessero trovato un momento di
debolezza mentale per venire a galla nel pieno della loro malignità.
Harry pensò a
come, ora, quei tristi ricordi, cominciavano solo a fargli venire un debole
fastidio all’altezza dello stomaco, invececheridurlo in una situazione di
profonda apatia come un paio di settimane prima, quando solo uno di quei
pensieri, che lo assillavano giorno e notte, sarebbe bastato per catapultarlo
in un stato di prostrazione e sconforto…
Allora era
vero…
Il tempo
rimargina le ferite, quali esse siano.
Fino a quel
momento non aveva creduto possibile quella specie di miracolo.
Anche lui
sentiva che qualcosa stava cambiando; si stava ristabilendo, rinforzando, ben
presto la sua difesa sarebbe stata interamente ricostruita.
Distogliendosi
da quei pensieri, ritornò con lo sguardo fisso sul soffitto di casa Black.
Improvvisamente
un’idea gli balenò in testa…Lupin gli aveva sempre detto,
che se avesse voluto, avrebbe potuto riguardare il vecchio album delle
fotografie che gli aveva mostrato al suo arrivo in Grimmauld Place…Doveva solo andarlo
a prendere in camera di Remus…gli aveva dato lui tranquillamente il permesso di
farlo in qualsiasi momento avesse voluto…
Deciso, si alzò
velocemente dal comodo divano per salire altrettanto velocemente i gradini
delle scale che portavano al piano di sopra.
Arrivato nel
corridoio, si bloccò davanti alle due porte prima della sua stanza; una doveva
essere la stanza di Remus, per forza…ma quale?
Poteva sembrare
strano, ma lui non aveva mai visto entrare il suo vecchio professore in camera,
né di conseguenza gli era stato indicato quale fosse
delle due…
Rimase un
attimo confuso, volgendo lo sguardo da una porta all’altra, in cerca di qualche
aiuto inesistente.
Le due porte erano uguali, non c’era nulla da fare…
A questo punto,
un po’ rammaricato, ripensò che forse non era una
buona idea andare a ficcare il naso solo per un album, anche se per lui era
importante…ma, cosa che accadeva spesso, soprattutto ad Hogwarts, la sua
curiosità ebbe la meglio.
Si decise ad
aprire una delle due porte.
Inspiegabilmente,
si volse verso la porta alla sua sinistra, appoggiò delicatamente la mano sulla
fredda maniglia in ottone, l’abbassò, e quella si aprì.
Forse doveva
essere quella giusta, visto che era pure aperta…
Entrò.
All’inizio non
vide nulla, la stanza era completamente immersa nel buio più totale, poi usando
la luce proveniente dal corridoio, che filtrava dalla porta aperta, riuscì a
raggiungere il punto luce, accendendo la lampada.
Rimase a bocca
aperta.
La lampada che
aveva acceso si trovava su uno scrittoio al centro di tutta la camera, sul suo
piano erano sparsi una moltitudine di fogli, tutti in disordine, pagine
accartocciate, piume per scrivere imbrattavano i fogli ancora bianchi, mentre
una boccetta d’inchiostro nero allargava la sua macchia, ormai secca, sulle
carte e sul legno della scrivania.
Tutto aveva uno
strato di polvere, dando l’aria di non essere stato usato da molto tempo…
Lentamente,
voltò lo sguardo in giro, i suoi occhi si posarono sul letto.
Un grande letto e baldacchino era addossato ad una parete,
quella vicino alla porta.
Le tende non erano tirate, ma cosa più strana, erano le lenzuola,
stropicciate, lasciate esattamente come qualcuno le aveva lasciate dopo
essersi svegliato ed alzato.
Harry
cominciava a non capire…
Si avvicinò al
letto, passò una mano sul cuscino sgualcito e si accorse che anche lì, la
polvere regnava sovrana…
No, quella non
doveva essere la camera di Lupin…
Si voltò
nuovamente, raggiungendo una poltrona posizionata
accanto ad un caminetto spento da chissà quanto tempo.
Su di essa c’erano vari vestiti, per lo più mantelli neri, lì
appoggiati, in attesa di essere indossati da qualcuno che invece sembrava
averli abbandonati…
Anche la
poltrona recava lo stesso strato di polvere degli altri mobili, compreso anche
un piccolo tavolino di vetro vicino il sofà, sul quale c’era appoggiato, un
numero della Gazzetta del Profeta e una cornice con una foto.
Harry si
avvicinò,prese il giornale e lo aprì.
Era vecchio, ma
non di tanto; portava la data degli inizi di Giugno…
Sulle sue
pagine nulla di importante, solo qualche piega, come
se il suo misterioso lettore avesse dovuto abbandonare la sua lettura in tutta
fretta.
La sua
attenzione invece fu attirata dalla fotografia all’interno della cornice
dorata.
Due persone…
Harry non
riuscì a distinguere i volti, così prese la cornice e la portò vicino alla
lampada, alla tenue luce, vide le facce sorridenti di Remus eSirius salutarlo contenti.
Harry sorrise
amaramente, poi un forte dolore al cuore, gli strappò un gemito.
Le immagini gli
scorsero davanti agli occhi involontariamente, facendo prendere forma nella
mente il suo più grande terrore.
La stanza, la polvere, il giornale di giugno, i mantelli neri, la
fotografia…
La stanza di
Sirius!
Senza volerlo,
la cornice gli scappò di mano, fracassandosi sul pavimento in mille pezzi, ma
non era importante…
I suoi occhi si
velarono, improvvisamente investiti da un’ombra oscura di malinconia e
tristezza, che gli stringeva il cuore in una morsa letale e gli impediva di
respirare…
Annaspando, con
una mano si stringeva la gola, nel tentativo di recuperare un soffio di vita, e
con l’altra si teneva allo scrittoio, quasi gettandosi su di esso,
facendo cadere con il braccio, tutte le carte che vi erano sopra, si sentì un
rumore di vetro infranto: il calamaio era caduto in terra spargendo inchiostro
dappertutto, facendo calare la sua nera macchia, coprendo i fogli sparsi sul
pavimento circostante.
Fu preso da una
specie di crisi, tutto quello che sembrava essere svanito in quelle due
settimane con Lupin, sembrava ora riaffiorare con doppia intensità, facendogli
provare un intenso dolore fisico.
Fu preso da un
conato di vomito, che servì come colpo di grazie alla sua pazienza, che ora era
al limite…
Basta, voleva
uscirne, o sarebbe impazzito entro breve…
C’era solo una cosa da fare, solo una via era possibile…
Con immenso
sforzo, riuscì ad uscire dalla stanza, che sembrava fissarlo con soddisfazione,
e ora più che mai, un senso acuto di colpa gli salì in gola.
Corse lungo il corridoio appoggiandosi ai muri, barcollando come
un ubriaco…la sua mente non conservava un minimo di lucidità…
Scese le scale,
inciampando negli ultimi gradini, si trovò disteso per terra,
supino, ma lanciò un grido quando si trovò nuovamente davanti agli occhi
le immagini di quella stanza maledetta e di tutto quello che voleva esprimere…
Si alzò con più
fatica, ma spinto dal bisogno di smettere, arrivò in cucina, dove, preso
momentaneamente da un vuoto di memoria, cominciò ad aprire tutti i cassetti,
gettando a terra il contenuto, finché non ne trovòuno…
A quel punto,
corse di nuovo su per le scale, si lanciò in bagno, dove prese senza pensarci,
ad aprire i rubinetti della vasca da bagno più forte che potevano…L’acqua
guizzava fuori dal rubinetto velocemente, riempiendo
in pochissimo tempo la piccola vasca…
Sorrise, mentre
davanti a lui, la vista prese a farsi sfuocata.
Non si curò dei
vestiti bagnati e appesantiti lungo il suo corpo, mentre entrava nella vasca e
l’acqua fredda lo accoglieva come un senso di sollievo.
Si lasciò
cadere nella vasca, andò giù, il suo viso scomparve più volte dalla superficie
increspata dell’acqua…
Poi fu un
momento.
Un attimo.
Quello che aveva preso
dalla cucina…lo avvicina a sé, lo avvicino ai suoi polsi.
L’unica cosa di
cui serbava ancora il ricordo, prima di perdere i sensi, era quel coltello che
teneva con difficoltà in mano.
L’acquarossa color del sangue.
***
Uddiu… già
prevedo pomodori! Per favore no! ^^
Ehm… a questo
punto sono sempre senza parole... Un po’ drastico come
capitolo^^
Spero che in
qualche modo^^ possa esservi piaciuto^___^
Visto che credo
di essere apparsa maleducata a non ringraziare chi ha recensito, rimedio adesso.
In ordine di
recensione, un Grazie a Dixy, ?????, shin_88, Gius, Morgan_Snape, NohaIjiachi, lady hawke, Joy.
Non aveva la
minima coscienza di chi fosse, di dove fosse, di cosa
fosse successo.
Le sue
orecchie, al momento, non percepivano nulla all’infuori di quel martellante silenzio e quel suono
ripetitivo, quale il suo debole respiro.
Prese
lentamente coscienza di sé.
Non riusciva a muoversi, a parlare, poté solo aprire adagio gli
occhi.
All’inizio la
luce lo accecò sfumandosi alla chiusura serrata delle sue palpebre. Li aprì
nuovamente, cercando di abituarsi al forte chiarore.
Era tutto bianco
attorno a lui.
Sulle prime non
mise a fuoco nulla, tutto era un unico, immenso, gioco
di luce.
Tirò un
respiro, fece un po’ più di rumore, e all’improvviso avvertì una dolce stretta
sul braccio sinistro.
Voltò lo
sguardo in quella direzione, e vide solo un’ombra più scura che si stagliava
sulla luce, permettendogli di guardare senza troppa fatica.
L’ombra si
muoveva febbrilmente avanti e indietro; accorgendosi di questi lenti movimenti,
si accorse anche del fazzoletto bagnato che gli inumidiva la fronte, come se
avesse la febbre.
Ad un tratto
sentì una voce: molto lontana mentre il suono delle parole, faceva l’eco nelle
sue orecchie.
“Harry” sentì pronunciare con voce
preoccupata e velata.
Tutto sembrava
ridicolo alla sua mente, ancora in quello stato; lo divenne un po’ meno, quando
riuscì a distinguere, anche se non bene per la mancanza degli occhiali, la
figura del professor Lupin.
Rimase
imbambolato a guardarlo, mentre una grandeconfusione cominciava ad annebbiargli la
mente.
“Cos’è successo?”
chiese con voce tanto flebile, da non sembrare neppure sua.
Remus si limitò
a guardarlo severo e preoccupato al tempo stesso.
Non parlò. Non
disse niente. Lo fissò solamente.
Harry, davvero
non ricordava nulla, e quel comportamento lo confondeva solo di più.
“Cos’è successo?”
domandò nuovamente, questa volta, cercò di puntellarsi sul letto, per poter prendere
gli occhiali e cercare di mettere a fuoco la situazione, ma appena ci provò,
sentì un forte dolore ai polsi, che gli immobilizzava entrambe le braccia.
Ricadde sul
cuscino lasciandosi sfuggire un gemito ben udibile.
“Stai giù” disse la voce Remus da molto
lontano.
Quel dolore gli
aveva offuscato i sensi, udiva il suono della sua voce, in modo ovattato, come
se ci fossero stati chilometri tra di loro.
Harry lo
guardò, con le lacrime agli occhi per il dolore, cercando una spiegazione
logica a tutto quello.
Remus lo guardò di nuovo, poi finalmente parlò.
“Tu…” cominciò. “ Tu…è successo…è successa
una cosa orribile…non credevo che potessi arrivare a
farlo, Harry…non lo pensavo, avevo fiducia, avevo fiducia in te che non lo
avresti fatto, che non ci avresti nemmeno pensato…”.
Harry non capì
una parola di quello che Remus stava dicendo. Alla sua mente apparivano tutte
come parole insensate, prive di un significato logico, quello che lui voleva
sapere era come si trovava in quel letto, di quello che aveva tutta l’aria di
essere un ospedale.
“…non sai, non sai cosa ho provato, Harry,
quando ti ho visto.. mio Dio, è stato orribile…”
riprese Remus scoppiando a piangere davanti ad un Harry completamente
sbalordito, non ricordava nulla.
“Remus” provò a dire con voce ferma, come
per rassicurarlo. “Vorrei solo sapere perché mi trovo qui…cosa mi è successo…” .
Remus lo fissò.
“No cosa ti è successo, ma cosa ti sei
fatto…come è possibile, che non ricordi nulla? Harry, hai tentato di ucciderti!” finì, prima di ricominciare a
singhiozzare.
Harry rimase a
bocca aperta, lo sguardo gli si velò, sbiadito e sfuocato dalla freddezza dei
ricordi che prendevano velocemente forma nella sua testa, passandogli davanti
agli occhi, procurandoli un senso di forti vertigini.
L’album, la
stanza…la stanza…il sangue…rosso…
Tutto vorticò,
e la sua mente vacillò.
“Remus, io…mi dispiace” disse
semplicemente, abbassando lo sguardo, offuscato dalle lacrime che faceva di
tutto per non far scendere.
Remus si
bloccò. Poi lo afferrò bruscamente per le spalle.
“No Harry! Non dirlo…è colpa mia, non dovevo…” disse, ma la voce morì in gola.
“Cosa Remus? Cosa non dovevi?” chiese con voce flebile.
“Non dovevo lasciarti a casa da solo…è
stato uno sbaglio, ti stavi riprendendo…ho rovinato tutto, ti chiedo perdono
Harry, se inconsapevolmente ho contribuito alla tua sofferenza…” finì scotendo
il capo con gli occhi bassi sul letto.
Harry non disse
nulla. Remus alzò lo sguardo.
“Lo so che non dovrei, ma ti prego di
raccontarmi cosa è successo” disse. La sua non era una
richiesta, era più una preghiera.
Harry sospirò e
ingoiò a vuoto. Poi infine parlò molto lentamente.
“Io…non so cosa mi sia successo…oh, voglio
dire, cosa ho fatto…è successo tutto molto in fretta…non ricordo quasi nulla,
solo immagini, brevi visioni scollegate…” s’interruppe con lo sguardo nel
vuoto, come a ricordare. “ Era poco dopo che tu te n’eri andato…volevo tanto
rivedere l’album delle fotografie, mi era piaciuto moltissimo…quindi sono
salito a cercarlo, sperando di trovarlo nella tua camera, come tu mi avevi detto…ma poi è successa una cosa, che non doveva
succedere…ho aperto la camera sbagliata…la porta a sinistra…” .
“No…come ho potuto lasciarla aperta, che
stupido sono stato!” esclamò Remus guardando Harry con occhi spalancati e una
mano sulla bocca.
Harry scosse il
capo econtinuò.
“No Remus, questa volta è colpa mia…la mia
curiosità è sempre stata la mia rovina…e questa volta l’ho fatta grossa, dovevo
uscire, dovevo uscire appena mi ero accorto di essere in un luogo in cui non
dovevo neanche pensare di essere…è stato l’errore più
grosso della mia vita…” disse. “Non so cosa dire, sono io che devo chiederti
perdono, Remus, perché non ho il diritto di farti soffrire così, soprattutto
per quello che stai passando da una vita intera…”.
Remus scosse la
testa e gli mise dolcemente una mano sulla bocca.
“No, no…” mormorò guardando Harry con occhi
vacui.
Harry rimase in silenzio, indeciso, poi un forte capogiro lo costrinse
a scivolare ancora più giù e sprofondare nel cuscino, cercando di alleviarlo.
“Sssssh”
bisbigliò Remus facendolo completamente stendere a letto. “Devi riposare, devi
riprenderti…” disse, rimboccando la coperta leggera che copriva il ragazzo.
Lo guardò per
un momento, poi si avviò lentamente verso l’uscita della stanza; ma
all’improvviso si bloccò, un attimo incerto sul da farsi, poi si voltò, si
avvicinò nuovamente ad Harry e gli diede un leggero
bacio sulla fronte, proprio sulla cicatrice. Dopodiché, uscì velocemente dalla
camera.
Harry si
ritrovò di nuovo solo con i suoi pensieri, che in quel periodo gli facevano
gran brutti scherzi. Con l’uscita di Remus dalla stanza, la luce e il vuoto
erano tornati ad invadere il suo mondo. Come se l’ultima
speranza se ne fosse andata con quell’uomo, che aveva così presto abbandonato
la camera.
Si ritrovò a fissare il soffitto, senza un motivo. Tutto in quel periodo non aveva un
motivo…a cominciare dalla morte di Sirius…che strano, parlarne e pronunciare
quel nome, non procurava tanto dolore, forse perché, in verità, voleva cercare
di non provare dolore al suono di quel nome che portava alla mente un sacco di immagini di tempi che non sarebbero mai più tornati.
Che stupido che era
stato…solo ora ci pensava…
Ma
dopotutto, aveva solo un vago ricordo di quello che era accaduto…
Si stupì.
Rimase stupito
del fatto di aver reagito così; una belva feroce ferita a morte nel cuore, si
era impadronita della sua mente, prendendo il controllo delle azioni…eppure,
quello che lo faceva veramente preoccupare, era la
convinzione avuta quando aveva preso in mano quel coltello…
I suoi pensieri
furono interrotti dal cigolio della maniglia della porta che si abbassava
piano.
Harry voltò la
testa verso la porta, che si aprì facendo un gran rumore.
Subito,
un’infermiera entrò con passo sostenuto. Era una donna di mezz’età, robusta e
molto alta.
Si avvicinò al
letto di Harry e rimase a fissarlo per qualche secondo, prima di posare sul
letto la sua bacchetta.
“Allora?” chiese un po’
curiosa, con una strana voce profonda, adatta letteralmente alla sua
stazza.
Harry si limitò
a fissarla.
“Come andiamo
Potter? Ti senti meglio vedo…sei già sveglio” continuò
guardandolo con un sopracciglio inarcato, iniziando a srotolargli le fasciature
alle braccia.
“Non ricordo quasi nulla…” cominciò Harry.
L’infermiera
scosse la testa.
“E’ l’effetto della pozione soporifera che
ti abbiamo somministrato…è un buon metodo non ricordare…anzi, un ottimo
metodo…” disse un po’ compiaciuta.
“Non è vero” disse automaticamente Harry.
L’infermiera si
bloccò.
“Cosa?” chiese ad
occhi spalancati.
“ Non è vero, non ricordare non è
affatto…un buon metodo…” disse con sguardo che andava ben oltre la persona che
aveva davanti; sguardo pronto a catturare ogni minima traccia di passato nella
sua mente e nel suo cuore.
“Non ricordare significa non essere
consapevoli, significa essere privi delle basi e dei momenti che ti hanno fatto
diventare ciò che sei…non ricordare non deve essere usato come
antidolorifico…forse come ho fatto io…ricordare significa vivere ed essere
consci dei momenti belli della nostra vita, ma anche quelli brutti…ma per
questo non ci dobbiamo abbattere, ricordare anche i momenti brutti, non può che
essere un’altra solida base per un altro nostro punto di forza, che può tornare
a nostro favore in futuro…voglio dire...è sbagliato credere che non ricordare
sia la cosa migliore, perché ci rende vuoti… anche se a volte è efficace per
dimenticare il dolore, i ricordi che fanno male…e questo, io l’ho capito troppo
tardi…” s’interruppe, vedendo che l’infermiera senza aprire
bocca, con un colpo di bacchetta, aveva fatto comparire intorno alle sue
braccia garze pulite e fresche.
La donna lo
guardò per un attimo, ed Harry poté notare un’ombra di tristezza e comprensione
velare i suoi piccoli occhi; senza dire nulla, si avviò, verso la porta, solo
alla fine si voltò.
“Sei davvero una bella persona, Harry
Potter” disse e uscì.
***
Ehm… In primo luogo mi devo scusare con tutti voi per la
banalità di questa storia^^
Non credevo che un paio di mesi dopo aver scritto qualcosa,
l’effetto di rileggerlo sia così ^O^
Mah… a questo punto diventa un qualcosa senza tante pretese
(anche se infondo ci tengo ^///^). Continuo a pubblicarla perché non voglio
gettare al vento il tempo che ci ho impiegato dietro, anche se questo non
garantisce qualità^^
Cercherò di fare meglio una prossima volta.
Spero che comunque (in qualche
strano modo^^) possa esservi piaciuto.
Davvero, a questo punto, le critiche e i pomodori (o
carciofi, fate voi) sono più che accette, magari così mi aiutate a capire cosa
non funziona.
Inoltre, cosa più importante di tutte, ringrazio ancora una
volta chi ha recensito. Grazie shin_88
e koraen ^___^
Il lungo mantello
rattoppato in più punti svolazzava seguendo i movimenti del suo corpo. Si
muoveva in fretta. Velocemente salì due rampe di scale, mentre il respiro gli
si faceva più pesante per lo sforzo lesto.
Raggiungere senza incertezze
la punta della torre più alta, era sempre stato uno dei suoi
problemi, anche quand’era ancora ragazzo, quando veniva convocato
insieme ai suoi compagni nell’ufficio del preside.
Il Castello di Hogwarts era
immerso nel silenzio, i corridoi muti, le aule ancora vuote. Era uno spettacolo
insolito per un posto sempre affollato per la maggior parte dell’anno. Le voci
allegre e festose delle migliaia di studenti che l’avevano popolata, erano
l’anima di quella scuola, che senza di esse, sembrava
priva di qualsiasi difesa, così vulnerabile…
Tirò un sospiro, mancavano
pochi scalini e sarebbe arrivato.
Percorse il corridoio a
passo sostenuto, sentendo come se le gambe andassero da sole.
Arrivato davanti al Gargoyle di pietra, si fermò e respirò a fondo nuovamente.
Con voce appena udibile,
pronunciò la parola d’ordine per entrare, attese un momento l’aprirsi del
passaggio, e con un balzo raggiunse la piccola piattaforma davanti alla
maestosa Fenice di pietra; questa prese lentamente ad avvolgersi su se stessa,
salendo al tempo stesso.
Bussò con aria assente alla
porta di legno rifinito, ingresso della Presidenza.
Una voce ovattata si levò
dall’interno della stanza.
“Avanti”.
Spinse il grosso maniglione argentato, mentre una luce molto fioca lo
invadeva, facendolo lentamente uscire da quell’alone di oscurità
tutto intorno a lui.
“Buongiorno Remus” disse Silente in tono
affabile, sorridendo impercettibilmente.
Remus annuì con il capo.
Entrò quasi timidamente, raggiungendo il preside e mettendosi davanti alla
grossa scrivania.
Silente lo fissò per un
attimo, leggermente sorpreso dall’ostinato mutismo
dell’uomo.
“Accomodati, Remus” disse gentile,
allungando le mani nodose davanti a sé, facendo segno verso una delle due
poltroncine davanti alla scrivania.
Remus si sedette, annuendo.
Ci fu un attimo di
silenzio, nel quale nessuno dei due parlò. Silente si sedette dietro la
scrivania senza smettere di fissare l’uomo davanti a sé.
Remus si perse nei ricordi…
Quante volte era stato lì,
proprio in quel posto…
In quella stessa stanza,
aveva pianto, gioito, riso insieme al preside e ai suoi amici... già, i suoi
amici…Sirius…
Soffriva. Soffriva per la
sua perdita. Però era riuscito a tirare avanti, senza
quasi mai perdersi d’animo.
Un nuovo sentimento stava
nascendo in lui in quel momento.
Quello che gli faceva più
paura si stava lentamente avverando, volente o nolente, quello che aveva più
temuto in tutta la sua vita, si stava orribilmente avverando.
La solitudine. Non era una nuova sensazione per Remus, era sempre stato
abituatoa condividere la propria
esistenza con quella brutta malattia. Perché questo
era, nient’altro che una malattia che si cibava di lui e del suo modo di essere
sbagliato.
Attraversando alti e bassi
nella sua vita, era riuscito a scordarsi di quell’ombra pronta sempre ad
aggredirlo in un momento di disarmante debolezza.
Ora era solo. Solo. Di
nuovo. E per sempre.
Questa nuova realtà stava
prendendo piede in lui come un cancro. Stava dilagandosi sempre più in
profondità espandendo le sue radici fino ad oscurare la più pura luce nella sua
anima.
Ora era finito. Tutto.
Quel meraviglioso mondo era
finito, inesorabilmente crollato sotto i calamitosi eventi degli ultimi
vent’anni.
Perché era
dovuto finire? Qual è stata la scintilla che aveva innescato una serie
di reazioni a catena?
La morte di Lily e James...
Quel momento era stata la
prima spaccatura che si era diramata facendo crollare quello che avevano
costruito faticosamente, con il sudore e il sangue, facendolo crollare come un
castello di carte. Paragone azzeccato.
La sua e la loro vita era sempre stata in bilico, sulla lama di un coltello;
bastava una piccola deviazione…
E poi si sanno come vanno a finire queste
cose…s’incrina qualcosa, e poi un’altra, e un’altra ancora, finché non ci si
può più raccapezzare.
Ci si sente affondare sotto
il peso di quelli errori che forse si potevano evitare, ma che non si è stati
capaci di evitare, lasciando tutto in mano al Destino, che ha agito seguendo le
righe di quel piano che aveva già perfettamente delineato.
Aveva giocato con le loro vite, aveva distrutto le
loro speranze, li aveva illusi.
E la realtà fa ancora più male, quando scopri di essere
stato ingannato, ma la rabbia più grande è che non ci si può ribellare, si deve
solo accettare, sono ingoiare un’altra volta, solo contare fini a dieci.
Ma era stanco di accettare, era stanco di capire, non
voleva capire.
Meglio non capire, meglio
rimanere nell’ignoranza, visto che la verità e la
conoscenza fanno male e bruciano.
Tutto ciò che ha sempre
capito, accettato, gli si è ritorto contro ogni volta; magari non subito, dopo
anni, dopo che le ferite erano sanate…ecco, nuovamente a colpire per riaprirle
più dolorose.
E se non fosse mai nato?
No, meglio non aprire quel
discorso, o ci si sarebbe dovuto fare un migliaio di teorie, una più strana
dell’altra, una più dolorosa dell’altra, una più dannatamente vera dell’altra.
Quello era un altro
discorso, un altro squarcio di vita passata e vissuta. Un altro “se…”.
Remus si prese la testa fra
le mani, emettendo un gemito ben udibile.
Si piegò, cercando di
ritrovare un modo per respirare. L’aria sembrava rifiutare di entrare nei suoi
polmoni.
Respirò affannosamente.
La vista gli si annebbiò.
Il pavimento fra le sue scarpe cominciava a diventare maledettamente
sfuocato…ancora una volta i pensieri ebbero la meglio sulle
sua forza di volontà.
Ed Harry?
Chi pensava ad Harry?
Era tutto ben prestabilito,
fin dal momento della sua nascita.
Sarebbe stata una vita
felice, per tutti, nessuno escluso, neanche lui.
Buffo, come la volontà
umanapuò scomparire davanti
all’immensità della potenza di una volontà superiore. Non importa di chi.
Quando programmi le cose, non vanno mai come
vuoi che vadano.
Quasi come un crudele divertimento
che ha pugnalato alle spalle, che ha colpito dove si era più fragili, e dove si
pensava di essere più forti: il cuore.
Erano convinti.
Convinti
che neanche la Morte, signorae padrona
indiscussa della Vita, avrebbe potuto spezzare quel legame. Oh, eccome se lo aveva spezzato.
Si era lentamente portata
con sé i suoi amici, uno dopo l’altro, come una bambina che strappa uno a uno i fiori in un prato.
Sospirò ancora, questa
volta premendosi una mano sulla bocca per far tacere il rumoroso respiro.
Gli occhi lucidi e bagnati
guizzavano da una parte all’altra incontrollabili.
Non gli
più concesso di perdersi nei ricordi; la voce calma e pacata di Silente, lo
riportò bruscamente alla realtà.
“Permettimi di aiutarti” disse, sporgendosi
dalla scrivania, come se volesse allungarvisi sopra; le sue mani erano
appoggiate ben aperte davanti a lui, con cautela avvicinò, quel tanto che
bastava per parlare piano, il suo viso a quello di Remus.
“Permettimi di aiutarti” ripeté sussurrando
guardandolo bene, captando ogni piccolo e apparentemente insignificante gesto
automatico dell’uomo, per provare a prevederne la reazione.
Remus restò in silenzio,
dondolandosi leggermente sulla sedia avanti e indietro, come un bambino triste
a cui è stato negato un regalo.
Dopo qualche secondo di
silenzio, Remus si bloccò sulla poltroncina, restando però immobile e
respirando profondamente.
“Sono stanco di piangere” disse in un
sussurro, tanto che Silente fece fatica a sentire.
Il
giovane mago scosso lentamente la testa con gli occhi fissi al pavimento.
“…sono stanco, voglio che finisca” continuò
senza alzare lo sguardo. “…non ce la faccio più”.
Silente non si mosse.
“Il destino ora ruota attorno a te, Remus”
disse pacato. “Senza di te, anche l’ultimo briciolo di
speranza e luce in questo ormai mondo di ombra si
spegnerebbe…è una cosa che non puoi permettere” continuò il preside,
mormorando.
Remus scosse nuovamente la
testa, apparentemente non curante delle parole di Silente.
“Volevo solo che tutto rimanesse così…non
volevo che cambiasse…” disse l’uomo, come se fossero parole scollegate tra loro,
senza senso.
“Ma tu non potevi
far nulla per evitare il cambiamento…”.
“Volevo che rimanesse così…perché non è
rimasto così?”.
“Non è colpa tua…non sei in difetto..”.
Remus alzò di scatto la
testa, come se si fosse svegliato da quell’improvviso stato di
apatia.
“Non sono in difetto?” chiese con voce
simile ad un ringhio. “Non sono in difetto? Ho lasciato morire i miei amici,
non sono stato capace di salvarli, e mi è stata affibbiata la penitenza più
grande che ci potesse essere…sopravvivere per respirare in un mondo privo della
loro presenza, delle loro risate, dei loro sentimenti…” urlò,
scattando in piedi, rovesciando la poltroncina, che cadde con un suono sordo
sul pavimento.
Remus si diresse a passo
svelto verso la porta, ma a metà strada ci ripensò, bloccandosi.
Rimase di spalle a Silente,
respirando affannosamente, non rendendosi ancora conto del suo gesto.
Silente era rimasto
immobile aspettando la fine di quello sfogo.
“Tu devi essere forte” disse con un tono
che cercava di velare la sua tristezza.
“Sarebbe solo uno spreco di
energie” disse Remus con voce ferma.
Silente inarcò un
sopraciglio.
“Harry sarebbe uno spreco di energie?” chiese, facendo una domanda di cui sapeva già
la risposta.
Remus rimase in silenzio.
“Allora?” cercò di spronarlo il preside.
“No, certo che no…” disse Remus
accovacciandosi su se stesso, schiacciato dal peso della situazione.
Silente si addolcì,
aggirando la sua scrivania per dirigersi dall’uomo.
Si accucciò accanto a lui,
posandogli una mano sulla testa, piegata in un pianto liberatorio.
Tra i forti singhiozzi,
Remus cercò di parlare, doveva spiegarsi.
“Io non volevo farlo soffrire…quel
ragazzo…” sussurrò in un mormorio quasi incomprensibile.“Volevo…fosse felice…ci stavo riuscendo…”.
Silente annuì anche sapendo
che Remus non poteva vederlo.
“Hai paura. E’ comprensibile. Hai paura di
perdere anche lui” disse abbassandosi per parlargli
nell’orecchio.
“Il cerchio del mio immenso fallimento si
chiuderebbe del tutto…” singhiozzò.
Silente decise di agire,
senza più attendere; Remus era un uomo adulto e pieno di esperienza.
“E’ per Harry che devi essere forte,
altrimenti chi avrà…se non te?” disse con voce atona.
“Lo so…ma…ma non ce la faccio…” farfugliò.
Silente sospirò guardandolo,
cercando un momento di pensare alla miglior cosa da fare.
“Sirius” disse il preside, provando con una
terapia d’urto.
Remus scosse violentemente
la testa.
“No! Non quel nome, la
prego…quel nome significava affetto,protezione e amicizia, ma adesso è quel nome che ha dato origine a tutto
questo, come una reazione a catena” disse.
“No, Remus…quel nome è la causa della
vostra sofferenza, ma ti prometto che arriverà un giorno nel quale quel nome
non significherà più dolore, ma rievocherà ricordi felici, com’è giusto che
sia” continuò il preside, imperterrito.
Remus scosse nuovamente la
testa.
“Non posso credere che se ne sia andato
lasciandomi qui da solo” disse con voce spezzata dai singhiozzi.
“Tu non sei solo, c’è Harry, lui ha bisogno
di te, e tu di lui…” Silente appoggiò una mano dalle lunghe dita affusolate
sulla spalla tremante di Remus.
“Per colpa mia, solo per colpa mia è
successo…Era mio compito e dovere, stargli vicino dopo la sue
morte, guidandolo pian piano verso l’uscita da quel baratro nero senza
fine…condurlo verso una nuova luce, ma…” singhiozzò.
“…ma può solo chi ne è
già illuminato…hai fallito solo perché in questo momento stai soffrendo anche
tu…” completò Silente al suo posto. “L’unica soluzione Remus, è non
arrendersi…non arrendersi mai…”.
Silente ammiccò un occhio,
cercando di incoraggiarlo a trovare se stesso.
“Andrete avanti insieme, ritrovando quella
strada insieme, gli starai vicino, perché ha bisogno
di te, quanto tu di lui…se lo abbandoni adesso, perché
senti di non potercela fare…lo tradirai, così come distruggerai l’ultimo
briciolo di speranza che sono sicuro ci sia ancora nel suo cuore; non lasciarlo
Remus, non lasciarlo e lui non lascerà mai più te” finì Silente con un dolce
sorriso.
Remus si passò con un gesto
nervoso la mano sugli occhi, per asciugare le lacrime che gli annebbiavano la
vista.
Respirò profondamente e
alzò lo sguardo verso l’alto, fino ad incrociare i suoi occhi con quelli
azzurri del preside.
Annuì lentamente, ma
convinto. Si alzò dalla sedia, tremante.
Silente gli si avvicinò, e
prima che potesse fare o dire qualsiasi cosa, gli mise delicatamente le mani
sulle guance, in modo da guardarlo bene dritto negli occhi.
Remus non si mosse, si limitò a fissarlo un po’ perplesso.
“Come fa ad esserne sicuro?” chiese non
distogliendo lo sguardo da quello fermo del preside.
Silente chiuse gli occhi
per un attimo, respirò e gli riaprì subito dopo.
“Diciamo che so vedere nel cuore delle
persone…” disse in tono ironico, mentre un sorrisofaceva capolino sotto la candida barba. “So
leggere la loro anima e interpretare la loro vera natura” continuò.
Dopodiché lasciò andare
Remus, che si mise una mano sulla bocca per coprire un timido sorriso; abbassò
per un momento lo sguardo, non sapendo cosa dire.
“…Solo che continuerai a lottare” disse
Silente per lui, sorprendendolo.
“Te l’avevo detto, che so leggere nel cuore
delle persone” disse ammiccando e sorridendo.
Remus si abbandonò al primo
vero sorriso dopo molto tempo. Il suo viso appariva anni più
giovane.
Strinse forte la mano di
Silente, chiudendola tra le sue.
“Grazie” mormorò abbozzando un sorriso.
“Grazie per tutto”.
“E’ stato un piacere, Remus, è stato un
piacere…” disse, dando una pacca sulla spalla dell’uomo e tornando alla sua
scrivania.
Remus annuì convinto. Quello che era appena successo gli aveva infuso una certa
sicurezza; Silente aveva un potere magnetico.
Accennando un cenno con il
capo, si voltò, dirigendosi verso l grossa porta in
legno.
Era con la mano sulla
maniglia, quando udì la voce di Silente chiamarlo.
“Ah, Remus?”.
Il mago si voltò.
Silente sorrise da dietro
la scrivania. “Porta i miei più cari saluti a Harry”.
***
Ciao
a tutti!
Finito
anche il settimo capitolo! Spero possa esservi piaciuto!
Grazie
(in ordine di recensione) a Morgan Snape,
Joy e lady hawke… Siete fantastiche Grazie! (Le
cose che avete detto mi hanno fatto arrossire non poco ^///^)
Un rumore cigolante. Una porta accostata frettolosamente; passi felpati nel tentativo di
non destarlo; ma lui si era già svegliato.
Aprì gli occhi
lentamente,e siccome era girato su un
fianco durante la notte, riuscì a vedere le sagoma di
Remus Lupin davanti a sé. Stava trafficando sul tavolo della stanza, dandogli
le spalle, e non si era accorto degli occhi del ragazzo, puntati verso la sua
schiena.
Harry sbatté più volte le
palpebre, cercando di mettere a fuoco anche senza lenti.
Dopo vari
tentativi, e notando che l’uomo non aveva ancora notato la sua presenza, decise
di inforcare gli occhiali. Allungò
una mano verso il comodino accanto al suo letto, ma sentì il dolore
paralizzargli velocemente il braccio scoperto, ora teso verso il mobile di
legno.
“Ohi…” ci scherzò su Harry, che non riuscì
a trattenere l’esclamazione di sconforto.
Remus si bloccò di scatto,
voltandosi verso Harry.
Trasalì un momento.
“Uhm…non mi ero accorto…da quanto sei…”
balbettò Remus, preso alla sprovvista, soprattutto dopo il suo crollo emotivo
di qualche giorno prima.
“Professore” disse Harry, con voce
stranamente decisa. “Va tutto bene, mi sono appena
svegliato…”.
Remus annuì poco convinto,
dopo essersi rilassato un momento, e si passò una mano sulla fronte,asciugandone il sudore, che intanto era
cominciato a scivolare copiosamente sulle sue tempie.
Harry lo fissò un momento.
“Professore, si sente bene?” chiese con
voce incerta, alzandosi su un gomito, ma ricadendo subito dopo sul cuscino.
“Certo” rispose Lupin incerto, ma
abbozzando un mezzo sorriso. “Ora sei tu che devi guarire in fretta…” disse
tornando a voltarsi verso il tavolo, per poi rifarlo subito dopo con due tazze
di the caldo in mano.
Si avvicinò traballando
verso il letto di Harry, badando che il liquido bollente non fosse fuoriuscito.
Harry allungò
piano le braccia ancora fasciate, e nonostante piccoli dolori pizzicanti,
riuscì ad afferrare la sua tazza dalle mani di Remus.
Prima di bere, vide Lupin
porgergli anche i suoi occhiali, li prese e li sistemò al loro posto davanti ai
suoi occhi.
Dopodiché riprese la tazza
con entrambe le mani e bevve un sorso.
Sentì il the scivolargli
dentro caldo, dandogli all’esterno una sensazione di brividi.
Gustandosi la calda bevanda,
cadde un silenzio imbarazzante tra i due.
Harry volendo evitare lo
sguardo di Remus, scese ad un compromesso: s’interessò alle bianche sbarre del
letto ai suoi piedi.
Remus, d’altro canto,
teneva gli occhi fissi sulla coperta di Harry davanti a lui, lo sguardo basso.
Poco dopo, Harry lo sentì
sospirare pesantemente; a quel punto alzò lo sguardo.
“Remus” disse con una fermezza che neanche
lui si aspettava dopo tutto quello che era successo.
Lupin alzò lo sguardo fino
ad incrociare gli occhi smeraldo del ragazzo.
“…sono stato sconsiderato, è vero, e…”
cominciò, ma Remus alzò una mano per ribattere. Harry fu più veloce e lo
bloccò, parlando nuovamente.
“…voglio parlare, devo…” disse,
riabbassando lo sguardo.
Remus si limitò a fissarlo.
Harry continuò,
nonostante la sua iniziale sicurezza, cominciava a vacillare.
“Devo spiegare…perché...”.
“Perché” disse
Remus all’improvviso. Non era una domanda, ma una semplice richiesta, ben
celata.
Harry sospirò.
“Tutto era finito, per me, quella notte”
disse scuotendo la testa.
Remus fece altrettanto.
“Posso sembrare stupido, quasi buffo, ma è
così. La mia vita non è stata semplice, mai. Non l’ho mai ammesso, forse
neanche a me stesso, ma è sempre stato così. Tutto ciò che ho sempre
desiderato, si è realizzato il giorno del mio undicesimo compleanno” disse,
distogliendo lo sguardo da Remus per fissare nuovamente le
sua candide lenzuola.
Aspettò un momento. Remus
non si mosse.
“Quando scoprii tutto questo, credetti di essere speciale, di essere scelto, credevo di far parte
di un disegno superiore…e non mi sono mai reso veramente conto di quanto quei
pensieri erano effettivamente veri” si zittì di nuovo, mentre una civetta in
volo passò vicino alla finestra della stanza, creando una veloce ombra allungata
sul pavimento della camera, e smuovendo con il suo fruscio d’ali il silenzio
che vi era caduto.
“Quasi sei anni fa”
riprese Harry in tono neutro, i suoi occhi ancora fissi sulla coperta.
“Ebbi la fortuna d’incontrare due ragazzi che divennero presto le persone più
importanti della mia vita: non mi ero mai sentito così, era…era inebriante; a lungo andare però, mi accorsi che mi mancava qualcosa,
qualcosa di molto profondo come l’amore di una vera famiglia…” il suo tono si
spense lentamente, facendogli morire le parole in gola.
“L’amore di una famiglia…” ripeté Remus
quasi sillabando, gli occhi fissi, come in una trance.
Harry ascoltò appena.
“Sì, e sai quando arrivò? Quando il mio più
grande desiderio si realizzò?” chiese Harry al nulla
davanti a lui, sapendo che la risposta era scontata.
Remus emise un basso
sbuffo, come a ricordare quei momenti.
“Sì, Remus…quella notte, quando Sirius
Black comparve nella mia vita, quando la verità fu svelata e con essa il passato riaffiorò. Quei momenti vivranno con me per
sempre”.
Remus si svegliò da quella
specie di tepore di pochi istanti prima e fece per
parlare.
“Harry” disse sottovoce.
Il ragazzo alzò una mano
per fermarlo, non aveva ancora finito, sarebbe stato più difficile; non era da
lui fare quelle specie di ammissioni.
“Tutta la magia di quel periodo sfumò
velocemente dopo gli eventi di poche settimane fa” continuò imperterrito,
mentre un sempre più agitato Remus si mordeva il labbro inferiore, con occhi
guizzanti da una parte all’altra della stanza, come se volesse fuggire,
scappare da quella realtà. Ancora una volta.
“…Vidi quel fragile mondo che si era
costruito intorno a me svanire, senza la possibilità di evitarlo. Sai, quando
si trova qualcosa a cui si tiene profondamente, si ha una paura enorme di
poterla perdere. E così è successo.” Harry scosse la
testa, rimanendo un momento in silenzio. Poi riprese.
“Io…non voglio affezionarmi a nessuno,
perché ogni volta che lo faccio, condanno quel qualcuno a morte…era giunta l’ora di togliere il disturbo. Era giunta l’ora di
smettere di fingere che questo ragazzino che vive nel mio corpo e pensa con la
mia mente, possa un giorno, salvare il mondo. Tsk…stupida convinzione utopistica. Con il mio fallimento,
deluderò le vostre più felici aspettative; quando ve
ne renderete conto, sarà, forse, troppo tardi…” finì Harry.
Remus aprì bocca per
ribattere, ma ancora una volta fu interrotto dalla voce di Harry che tornò a
parlare.
“Per favore non dire ciò che stai per dire. Perché lo so cosa stai
pensando; è nella tipica mentalità di chi mi vuole bene. Non ti chiederò
nulla, solo di cominciare a pensare veramente alla persona che sono. Non lasciarti ingannare da tutto
quello che ho potuto fare o hanno detto di me, o a causa di mio padre.
Non merito questo nome; non lasciarti offuscare la mente dal tuo affetto per
me: vai oltre questo, guardami per quello che in
realtà sono. Con la mia presenza, ho privato il mondo di quella di persone
meravigliose. Io mi sento in colpa.”terminò piano Harry, come se le ultime parole fossero state
proprio quelle che non riusciva a dire, proprio quelle per cui ci aveva così
girato intorno.
Ci fu un momento di
silenzio, battuto solo dai passi frettolosi dei Guaritori fuori
dalla camera, che percorrevano velocemente su e giù il corridoio, da una
stanza all’altra.
Remus pareva immerso in
fitti pensieri, e sembrava non essersi accorto neanche che Harry aveva smesso
di parlare.
Rimasero così per qualche
minuto, contemplando tutto ciò che era stato detto, e quello che non era stato
neanche accennato, ma che era trasparito dalle parole del ragazzo.
Un sonoro click dietro di
loro, li costrinse a voltarsi, mentre la stessa infermiera che era entrata qualche giorno prima, faceva il suo ingresso con passo
spedito.
Harry sbatté più volte le
palpebre, un po’ frastornato dal momento.
La donna con lo sguardo
basso, intenta a guardarsi le scarpe mentre camminava, raggiunse
Remus e gli si fermò davanti alla sedia.
Il licantropo alzò lo
sguardo, non mutando però la sua espressione avvilita.
“Buongiorno” disse con voce atona.
L’infermiera annuì seria,
senza distogliere lo sguardo da quello di Remus.
“Devo dirle una cosa importante. E’ appena
arrivata una comunicazione dal mondo babbano…” rispose
lei, sistemandosi automaticamente una ciocca biondiccia dietro l’orecchio
sinistro.
“Mi dica…”.
“Le dice niente Orfanotrofio Grant?” chiese con aria preoccupata.
Remus spalancò un momento
gli occhi, ricomponendosi velocemente, cercando di
celare la sua crescente preoccupazione.
“Sì, certo…dove Harry..”
disse quasi incredulo.
“Esattamente…l’attuale direttrice, la
signora Grant, doveva effettuare il controllo di
routine del signor Potter due giorni fa…” disse, ma fu interrotta da Remus.
“Venga al dunque, per favore!” disse il
mago, preoccupato. “so la procedura…come si sono messe le cose?” continuò,
moderando il tono di voce.
La donna inarcò brevemente
un sopracciglio, in disappunto, ma notando la preoccupazione dell’
uomo, si addolcì.
“Beh…per ovvi motivi” e lanciò un’occhiata
a Harry. “La procedura di controllo del ragazzo è saltata…ha voluto sapere cosa
sia successo recandosi all’ospedale babbano di Londra… Una nostra strega che
lavora lì come infiltrata, ci ha riferito che era su tutte le
furie…Naturalmente ha dovuto dirle la verità… e dirle di venire qui” concluse la donna piuttosto velocemente, aspettandosi
una dura reazione.
Remus rimase stranamente
lucido, anche se piccole gocce di sudore tornarono a
imperlargli la fronte.
“Come farà ad entrare? Questo è un ospedale
magico, nel mondo della magia…” chiese incerto, con occhi spaesati.
L’infermiera sospirò.
“Quella stessa strega che lavora in
incognito nell’ospedale babbano, l’accompagnerò qui… non so come farà; credo un
incantesimo.. quando preleverà il signor Potter, le
verrà cancellata la memoria, e crederà che questo sia un ospedale normale”.
A Remus si bloccò il
respiro per un momento, rimanendo senza fiato.
“Cosa intende per
‘prelevare il signor Potter’?” chiese Remus,
abbassando il tono di voce, quasi ringhiando, cercando così di non farlo
esplodere in una sfuriata.
La donna non si mosse, si limitò solo a fissarlo.
“Beh.. signor
Lupin, dopo quello che è successo, non crederà che Harry Potter rimanga qui…!
Non so cosa gli accadrà, ma la visita della signora Grant renderà difficile le
cose” disse in tono un po’ scontato, e con questo uscì
a passo svelto dalla stanza, così com’era venuta.
Remus fissò ad occhi
sbarrati la porta chiusa, anche dopo molto tempo che la donna se n’era andata.
Ecco. Le cose si
complicavano ancora di più.
Temeva per quello che
sarebbe potuto accadere.
Si passò una mano sugli
occhi affaticati, cercando di fare un momento mente locale. Provò a
concentrarsi sul presente, cercando di non farsi stravolgere dall’ondata di
sentimenti degli ultimi momenti.
Doveva pensare alle parole
giuste da dire ad Harry.
Inspirò profondamente e
chiuse gli occhi per un istante. Doveva muoversi, non c’era
molto tempo.
Riaprì le palpebre, mentre
si voltava verso uno stupefatto Harry.
Il ragazzo non cercava
nemmeno di provare a nascondere la sua sorpresa; la sua espressione era lo
specchio della sua anima: gli occhi spalancati, in cerca di un qualcuno o di un
qualcosa che sembrava non voler essere trovato, la bocca, che spiccava sulla
pelle candida, era socchiusa, attonita…
I suoi occhi verdi si
mossero veloci da una parte all’altra, quasi in presa al panico. La sua
meraviglia, o per lo più stupore, echeggiava nelle sue
poche parole.
“Sta…sta venendo a prendermi?” chiese infatti, con una voce simile ad uno squittio.
Remus deglutì
rumorosamente.
Stava succedendo tutto
troppo in fretta, con il tempo che scivolava veloce tra le dita. Troppi fatti
negli ultimi giorni…c’era il rischio di non riuscire più a controllare la
situazione.
Harry parlò di nuovo,
ripetendo la stessa domanda.
Remus si morse un labbro.
Senza quasi rendersene conto, annuì leggermente.
***
Ciao!
Scusate per il problemino di
visualizzazione del capitolo 7, ho provato e riprovato… ma usciva così!
Passando ai ringraziamenti… Morgan_Snape
( Grazie! Infatti ho cercato di far apparire Silente in quel modo..
sono contenta di esserci riuscita! ^___^), Emily (Grazie dei
complimenti! Mi hanno fatto davvero piacere!), Lady Hawke (Grazie mille!
Era proprio così infatti che volevo apparisse Silente,
anche a me aveva un po’ deluso nel 5° libro^^), ALELUPIN (Grazie! Sono
felice che hai sempre seguito la storia! … Per me vale la stessa cosa: Lupin è
il mio personaggio preferito, e mi è sempre piaciuta l’idea di farlo stare un
po’ con Harry^^).
Erano lì, entrambi seduti, immersi in un silenzio ricco di tensione,
occhi fissi, aspettando qualcosa di inevitabile
V e r s u s
Capitolo IX
Erano lì, entrambi seduti,
immersi in un silenzio ricco di tensione, occhi fissi, aspettando qualcosa di inevitabile.
La notizia dell’imminente
arrivo della signora Grant li aveva lasciati a bocca
asciutta, lievemente accigliati. Un’altra dannata complicanza.
Come se la situazione non
fosse già abbastanza complessa e delicata.
Remus aveva assorbito la
notizia in modo stoico, ma comunque, anche seleggermente, la sua espressione lasciava
trasparire un velo di preoccupazione.
Harry, dal canto suo,
pareva indifferente all’evolversi degli eventi, anche se appena saputo, non era
stato in grado di trattenere un’espressione di stupore che gli aveva fatto
spalancare gli occhi smeraldo.
Il tempo passava silenzioso
e inesorabile, e il momento si avvicinava sempre più, come una condanna. Le
lancette dell’orologio, nel silenzio della stanza, rimbombavano producendo un
eco, un falso rumore come se stessero gridando.
All’improvviso,
tutto sembrò cambiare radicalmente.
Si avvertì un forte rumore, seguitò da uno sbattere di porta
nel corridoio adiacente la stanza. Subito, passi affrettati
si avvicinarono, crescendo di suono; la maniglia della porta scattò, Harry e
Remus si scambiarono un’occhiata fugace e in quel momento la porta si aprì
velocemente.
Entrambi si voltarono, pronti ad affrontare la Signora Grant, ma si
trovarono di fronte alla stessa Guaritrice che li aveva avvertiti prima.
I suoi capelli
erano leggermente arruffati, fuori dalla crocchia che
li sosteneva dietro la nuca, gli occhi spalancati che esprimevano tutto il suo
allarme, le labbra colorate di un rosso accesso, si muovevano velocemente, ma
non emettendo nessun suono comprensibile.
Si bloccò alla
vista di Lupin, che si alzò prontamente andandole incontro.
Prima che il
mago potesse parlare, lei si ricompose in fretta, e
schiarendosi la gola, fece segno di fare silenzio mettendosi un dito davanti
alla bocca.
“Sshh…”disse
scuotendo piano la testa. “E’qui. Il nostro contatto
nell’ospedale babbano l’ha portata. E’…è furiosa, le consiglio di non
contraddirla…” disse annuendo verso Lupin, che corrugò
le sopracciglia.
Remus ancora
non capiva.
“Ma, come fa ad
essere qui? E’ una babbana, come può essere entrata qui?!” disse a mozza fiato.
La donna fece
un sospiro, guardando il pavimento per un attimo; poi rialzando la testa, fece
guizzare gli occhi da Remus ad Harry, che intanto non
aveva proferito parola, seduto ancora tra le morbide lenzuola.
“E’ un incantesimo…quando se ne andrà di qui, crederà che sia un normale ospedale, perché
quello che avrà visto, rientrerà nella sua categoria di normale…non vi dovete
preoccupare di questo… è venuta per il signor Potter e…” disse la donna, ma non
finì che si udì un insistente bussare alla porta.
I tre nella
stanza si guardarono un momento negli occhi, smarriti.
Subito, la
Guaritrice si sistemò il camice, cercò di riordinare i capelli per quanto era
possibile; Lupin, invece si era andato a risiedere vicino ad
Harry, accanto al letto.
La porta si
aprì di scatto, facendo sobbalzare la Guaritrice, che intanto si era fatta da
parte addossandosi alla parete, come se volesse farne parte in quel momento.
Sulla soglia
c’era la signora Grant, con un’espressione accigliata e quanto mai contrariata;
accanto a lei, un uomo grassottello, di bassa statura: il gancio.
Quegli attimi
furono eterni, tutti e cinque rimasero a fissarsi: si avvertiva la tensione
nell’aria, e regnava un silenzio tombale spezzato solo dal respiro affannato
della signora Grant.
Finalmente il
momento di nervosismo terminò con un falso movimento della Guaritrice, che
scivolò verso la porta velocemente, cogliendo la palla al balzo, e lasciò la
stanza, lanciando un’occhiata di soppiatto a Lupin, il quale annuì
impercettibilmente.
L’uomo sulla
soglia della porta, guardò in modo complice la Guaritrice, e voltandosi con
lei, la seguì, lasciandoli definitivamente soli.
A quel punto,
la signora Grant fece un passo avanti, entrando nella piccola stanza asettica e
ben illuminata.
Inaspettatamente,
la bocca di Remus si aprì in un sorriso cordiale, a parere di Harry, il più
finto che avesse; il mago avanzò verso la donna che ostinatamente restava in
silenzio.
“Buongiorno” disse affabile. La signora
Grant rimase impassibile. Sbattendo le palpebre, si decise a parlare.
“Sarò breve” disse a labbra strette. “Sono
stata informata dell’accaduto. Il signor Potter non è più sotto la sua
custodia, in quanto lei non è stato capace di
assicurare la sua incolumità e provvedere alla sua salute. Per legge, il
ragazzo dovrà immediatamente tornare nella nostra comunità”
pronunciò forte e chiara, con occhi fissi davanti a sé.
Remus si mosse,
scomodo.
“Ma…” fece per
ribattere, ma la donna fu più veloce.
“Non cerchi di indurre resistenza: si
ricordi che la legge è dalla mia parte, e credo proprio che lei non voglia
mettersi contro…” finì con uno strano sorrisetto tirato sul volto appuntito.
Remus ingoiò a
vuoto. La situazione era più critica del previsto. La donna sembrava
irremovibile.
“Non stiamo opponendo resistenza” disse una
voce stranamente fredda dietro di loro.
Si voltarono.
Harry era sceso
dal letto, e avanzava verso la signora Grant, i cui occhi furono
attraversati da un lampo di timore.
“E’ meglio così” aggiunse, lanciando un
ultimo sguardo a Lupin. “E’ meglio così…saremo tutti lontani, e sarete al
sicuro da me. Faccio solo del male alle persone che amo; questo sarà un rimedio
più che accettato”.
Nello sguardo
della donna si intuì un lampo di maligna felicità.
“Molto bene signor Potter, per la sua natura, mi aspettavo più difficoltà…”
disse soddisfatta.
Harry strinse i
pugni lungo i fianchi, irrigidendo le braccia, ma non disse niente.
A quel punto,
Remus non si trattenne più.
“No!” esclamò, facendo voltare le altre due
teste verso di lui. “Non lo porterà via…”.
“Sì, Remus, è così che si deve concludere tutto questo” disse Harry febbrilmente.
“No!” ripeté Lupin, cercando di suonare
convincente, ma sapendo anche lui stesso del suo poco potere nell’evitare che
sarebbe accaduto.
“Basta con questa pagliacciata!” ordinò
bruscamente la signora Grant. “Il ragazzo ha manifestato comportamenti
pericolosi, deve essere controllato, per la sua sicurezza, e per quella degli
altri!” urlò tutto ad un tratto, mentre chiazze rosse le coloravano il viso e il
collo.
“Harry ha avuto un problema, ma non è
pericoloso!” fece di rimando Lupin, ben sapendo che non sarebbe riuscito a
trattenere Harry. Ma voleva vendere cara la pelle.
“I suoi zii mi hanno riferito cose su di
lui da far venire i brividi!”.
Lupin spalancò
le braccia in gesto teatrale.
“Ah! Ecco che viene tutto
a galla…”.
“Remus…”.
“Non porterà di nuovo Harry in
quel…posto!”.
“Remus…!”.
“Non glielo permetterò…”
“REMUS!”.
L’uomo tacque,
abbassando lo sguardo, sconfitto.
Harry respirò
profondamente.
“E’ stato deciso così…è voglio che sia
così” disse fermamente. “Sarà meglio per tutti” continuò, ma la voce si spense
in gola, tradendo la sua stessa certezza, che per un momento vacillò.
Senza
permettere agli altri due di replicare, si mosse velocemente, agguantando i
suoi vestiti appoggiati sull’altra sponda del letto e dirigendosi verso il
bagno.
***
Toc.
La porta si
chiuse con uno schiocco dietro le due persone che avevano appena lasciato la
stanza.
Remus si
ritrovò avvolto dal silenzio più assoluto: un silenzio che pareva quasi
rumoroso alle sue orecchie.
Rimase a
fissare la porta chiusa davanti a sé, cercando di riepilogare gli ultimi eventi
che si erano susseguiti così in fretta.
Solo poche ore
prima andava tutto a gonfie vele, anzi, la situazione stava nettamente
migliorando; ora, invece, era nuovamente al punto di partenza.
Si doveva
rassegnare, era poco ma sicuro; doveva tornare da Silente, riferire tutto
(sempre che non lo sapesse già) in modo che ci si potesse mobilitare in fretta
per risolvere quel guaio.
Sbatté le
palpebre per rimettere a fuoco la porta e schiarirsi i pensieri; fece un
respiro profondo, nel tentativo di rilassare i nervi ormai allo stremo.
Non c’era nulla
che potesse fare per cercare di rimediare: tutto quello che era in suo potere
era stato fatto, anche se con scarsi successi. Una cosa gli rimaneva, prima di
mettersi in disparte e lasciar fare agli altri. Riferire quanto accaduto.
Appoggiando le
mani sulle ginocchia e facendo leva, si alzò con fatica dal letto sul quale si
era seduto.
Ripercorse con
sguardo vago e stanco tutta la stanza, come a cercare qualcosa di dimenticato.
Afferrò il mantello leggero dalla spalliera di una sedia consunta e,
indossandolo, realizzò di non avere nulla con sé.
Lasciò la
stanza con passo rassegnato.
Il corridoio
era deserto. La solita infermiera addetta al piano non era in vista; peccato,
l’avrebbe volentieri salutata.
Riprendendosi pian piano, come se camminare gli desse forza,
marciò a passo spedito verso le scale. I rumori delle sue scarpe echeggiavano per
tutti quegli angusti ambiente così dannatamente asettici.
Scese le scale con una fluidità sorprendente, dopodiché fece brevemente mente locale per trovare
l’uscita. Individuò la Reception: accelerò il passo.
Sorpassando
spedito il grosso bancone dove molte Guaritrici si davano da fare a compilare
moduli, lanciò un’occhiata fugace verso di loro, cercando di superare con la vista la gran folla di gente che le accerchiava. Nulla da
fare, l’Infermiera non era nemmeno lì.
Si strinse nelle spalle impercettibilmente, infilando pesantemente
le mani in tasca.
Sarebbe stato per un’altra volta.
Abbassando lo
sguardo, si avvicinò all’uscita, pronto a entrare
velocemente nel mondo babbano, una volta varcata quella soglia.
La luce del
sole lo accecò appena l’aria afosa dell’esterno lo colpì. Sbattendo le palpebre
più volte, cercando di ricomporsi e trovare un equilibrio, si diresse quasi
alla cieca lungo la via principale, dove folle di babbani passeggiavano senza
rendersi conto di quello che accadeva così vicino a loro.
Subito dopo
girò a sinistra, mantenendo sempre lo sguardo basso e le mani nel mantello;
entrò in un piccolo vicolo cieco, completamente vuoto e lontano da sguardi
indiscreti.
Anche quella
volta, come qualche settimana prima, estrasse la bacchetta, la puntò verso un
piccolo sasso per terra e sussurrò parole incomprensibili a qualsiasi persona
che non appartenesse al Mondo Magico.
“Portus” disse piano, ma in tono fermo.
La piccola
pietra crepitò un istante, poi rimase immobile al
suolo grigio.
Remus si avvicinò, e chinandosi, l’afferrò bruscamente, stringendola
nel pugno.
Nel giro di
pochi secondi il vicolo era vuoto.
***
Grimmauld Place
non era una strada particolarmente trafficata, soprattutto in quel periodo
dell’anno, quando i pochi abitanti della via erano in qualche lussuosa località
balneare.
Il mantello
frusciò sfiorando il grezzo marciapiede nello stesso momento in cui i suoi
piedi toccarono il suolo.
Si materializzò proprio nel punto giusto, e facendo qualche passo in
avanti, Remus varcò la soglia del numero dodici.
Immediatamente
avvertì il silenzio sovrano. Le pareti tacevano, l’aria era immobile, l’intera
dimora era addormentata come in un sonno fatato.
I suoi passi
pesanti facevano scricchiolare le assi di legno al suo passaggio, mentre
avanzava verso il grande salone al centro della casa.
Era confuso, doveva ammetterlo.
Non credeva che
quelle mura potessero fargli tanto impressione e
lasciarlo a bocca asciutta.
Senza neanche
riflettere, sentì le sue gambe prendere istintivamente a salire le scale,
ignorando la quasi totale penombra.
Avvertiva il
silenzio infrangersi al suono del suo stesso respiro, diventato stranamente
grave.
La maniglia di
quella maledetta porta luccicò nell’oscurità del primo piano.
Continuò a
camminare, sentendo crescere in lui il desiderio di conoscere la così forte
motivazione che aveva fatto precipitare la situazione in quel modo.
Si fermò
lentamente davanti a quella porta.
Si fermò
lentamente davanti alla stanza che era stata di Sirius, e che ora rappresentava
una spregevole imitazione del passato.
Avvertendo i
primi segni di rimorso, spalancò la porta prima che il rimpianto lo costringesse a lasciarla ancora una volta chiusa.
Trovò
facilmente un punto luce: l’abajour della scrivania.
Tirò la fragile
cordicella, e lo spettacolo che gli si presentò davanti fu tutt’altro che
piacevole.
I fogli che una
volta erano ordinati sullo scrittoio, ora erano sparsi per tutta la sua
superficie e sul pavimento vicino. Una boccetta di inchiostro
nero allargava la sua macchia, imbrattando carta e oscurando parole.
Si voltò.
Accanto al
camino spento, la poltrona era intatta, ricoperta da dita di polvere; il
tavolino vicino era invece, leggermente spostato in un modo innaturale, e
frammenti di una cornice di vetro si sparpagliavano per terra, coprendo una
foto colpevole.
Si avvicinò e,
accoccolandosi, la raccolse.
Sospirò vedendo
il suo volto e quello di Sirius guardarlo leggermente incuriositi; scosse la
testa, come se volesse far intendere di lasciar perdere.
Lasciò cadere
la foto che, oscillando di qua e di là come una foglia staccatasi da un ramo,
si fermò sul tappeto sporco.
Ora era tutto
chiaro. Tutto.
Maledetta foto!
Avrebbe dovuto bruciarla quella sera stessa, quando anche lui era morto insieme
a Sirius.
E invece
no, aveva ceduto e lasciato quella stanza così come lui l’aveva lasciata.
Avrebbe dovuto smantellarla il giorno dopo! Avrebbe chiarito le sue idee,
avrebbe fatto capire a Sirius, perché era sicuro che da qualche parte potesse
sentirlo, quanto lo odiava! Sì…
Lo aveva
lasciato solo con quel compito da svolgere. E per
questo lo odiava.
Da quando si
erano ritrovati, in quella umida e buia stanza della
Stamberga Strillante poco più di due anni prima, Sirius aveva detto che non lo
avrebbe più lasciato, che avrebbero pensato insieme al bene di Harry. E invece non aveva mantenuto la sua promessa! Aveva pensato
bene di andarsene, lasciando a lui la patata bollente…
Un attimo.
Fermi tutti.
Che
diavolo stava dicendo…?
Sospirò ancora,
passandosi una mano magra tra i capelli.
Si era lasciato
prendere ancora dallo sconforto. Chi pensava ad Harry?
Harry, Harry…
sempre e solo Harry…E di lui, Remus, chi si preoccupava, dopo la perdita di
Sirius?
Ecco. Arrivati
al nocciolo della questione.
A lui non doveva pensare nessuno… perché era
un uomo adulto, dannazione!
Sirius…James…
avrebbero mai fatto quel discorso così infantile? No! E
allora anche lui, anche Remus Lupin doveva dimostrare a loro e a se stesso di
valere qualcosa anche da solo, anche quando non c’era nessuno a consolarlo! I
suoi amici avrebbero aiutato Harry a rialzarsi, mentre loro stessi si sarebbero
rialzati da soli. Ed era quello che avrebbe fatto
anche lui.
Non era una
femminuccia!
…Un altro
pensiero, però, si riaffacciò mentre cercava di convincersi.
La realtà venne
a bussare alla porta della sua mente, facendo così sfumare quei momenti di incoerenza e tacita follia.
Tornò al
presente. Basta far la storia con i “se”.
Non avrebbe
potuto mettere in atto comunque quello che si era
prefisso di fare; non poteva. Qualcosa era andato diverso da come doveva
andare.
Harry non era
più con lui.
***
Ciao!
Ecco finito
anche il 9° capitolo… siamo già qui?!Caspita, non manca molto alla fine… anzi fra pochi giorni posterò
l’ultimo capitolo..!
Ringrazio chi
ha recensito!
Ragazze…
leggendo i vostri commenti mi sono sciolta! *_* Grazie!
Spero che la
storia si veda! Beh… se siete arrivate fin qui, significa che la visualizzate.. che scema^^
La luce del giorno venne offuscata nel momento in cui superò il largo portone
per entrare nell’Orfanotrofio Grant.
Nuovamente venne accolto dal grande salone, che in quel particolare
momento della giornata, quando è ancora presto per accendere le luci e quando
si fa ormai fatica a vedere, appariva possibilmente ancora più lugubre.
Vi regnava un silenzio
innaturale; Harry fece scivolare lo sguardo su tutta la sala, strinse gli occhi
dietro le lenti nel tentativo di mettere a fuoco qualcosa o qualcuno di familiare.
Avvertì una presa salda
sulla sua spalla destra e, lanciando appena un’occhiata dietro di lui, si
accorse che la signora Grant lo squadrava con somma indifferenza, stringendo la
sua spalla, come se la sua mano fosse stata l’artiglio di un’aquila.
La stretta gli indicava la
via, invitandolo con falsa gentilezza a salire le scale, che come la prima
volta che vi mise piede, lo avrebbero condotto di
nuovo a quella stanza.
Poi un’idea gli balenò in
mente… Dorian!
E’ vero: non aveva opposto
resistenza nel farsi condurre di nuovo in quel posto, ma pensandoci, cominciava
ad avvertire i primi rimorsi che gli procurarono un
sfarfallio nello stomaco, la mascella contratta.
Che dannata situazione!
Inaspettatamente, un’ondata
di tristezza lo avvolse, mentre percorreva lentamente e a passo cadenzato quel
corridoio che pareva infinito, con la mano pronta della signora Grant come un
uncino sulla spalla.
Gli eventi erano
precipitati troppo velocemente per fare una stima dei danni. Era in ballo:
ormai doveva ballare, altrimenti avrebbe perso la partita ancora una volta, e
un altro sgarro dubitava fosse concesso.
Di tutto il tempo che era restato al San Mungo, ricordava ben pochi momenti, la
maggioranza dei quali con Lupin; non credeva infatti di averepassato molto tempo in solitudine.
Soprattutto non dopo ciò che aveva fatto. Si
vergognava da morire per il suo gesto senza senso. Cosa
avrebbero pensato di lui tutti quanti? Tutti quelli che lo amavano?
Che era un debole…
Meglio così,
si disse duramente mentre rallentava il passo per fermarsi davanti ad una
porta, meglio così, almeno saranno salvi.
La stretta della donna
dietro di lui lo costrinse a fermarsi.
Aprì con una mano la porta
cigolante della stanza e si lasciò scivolare dentro.
La signora Grant lo fissò
per un attimo: le sopracciglia congiunte le davano un cipiglio più oscuro del
solito.
“Ora mi ascolterai, ragazzo..” pronunciò cercando di fare voce
grossa, e puntando minacciosamente l’indice verso Harry. “Non voglio altre
grane, intesi? Ma come diavolo ti è venuto in mente,
eh? Non so con che miracolo sei fuori di lì, invece di
essere da uno psichiatra!” disse, aumentando improvvisamente il tono di voce e
avviandosi verso l’uscita dell’angusta camera.
Harry la fissò per qualche
secondo, prima di realizzare di essere il solo ragazzo nella stanza.
“Dorian…?” cercò di chiedere, ignorando le
parole della donna, ma la sua domanda fu soffocata dal rumore della porta che
sbatteva, chiudendosi dietro la signora Grant.
***
Si lasciò scivolare lungo
la parete di pietra della stanza di Sirius.
Aveva commesso più di un
errore. Doveva assolutamente fare qualcosa; non sapeva dove potesse trovare
tanta voglia e determinazione dopo ciò che era
accaduto. Ma doveva farlo; per Harry.
Trasse un profondo respiro,
e prese a scrocchiarsi le nocche contro il palmo
della mano.
Realizzò però all’istante,
che non c’era un minuto da perdere. Doveva agire in fretta se non voleva che
tutto il lavoro delle ultime settimane andasse perso. O
forse non avrebbe avuto la forza di ricominciare dal principio.
Diede un
inaspettato scatto di reni, e appoggiando le mani a terra, si sollevò in piedi.
Aggrottò la fronte nella
semioscurità data dalla luce soffusa proveniente dalla piccola lampada sulla
scrivania.
Sospirando ancora si
diresse verso lo scrittoio disordinato e voltando il capo della lampada per
illuminare il centro della scrivania, prese a frugare velocemente all’interno
di un cassetto, finché non trovò una piccola boccetta di inchiostro
di riserva e facendo presa, riuscì ad aprirla nonostante fosse arrugginita alle
giunture. Dopodiché afferrò una piuma e raccolto il primo foglio bianco che gli
capitava sottomano in tutto quel disordine, cominciò a scrivere.
Una
messaggio breve e conciso, ma
pieno di mille significati.
Un messaggio per Silente.
Per
esprimere la propria decisione riguardo ai calamitosi eventi dei giorni
passati.
Non avrebbe aspettato
alcuna risposta. Quel messaggio era a puro titolo
informativo, nessuno lo avrebbe distolto dai suoi ritrovati obiettivi.
Tutto ciò che ci voleva era
una terapia d’urto.
***
Harry si guardò attorno,
con sguardo desolato.
Era tutto finito.
La festa era finita. La
pacchia era finita.
Ora doveva arrangiarsi. E quella volta, davvero.
Era quanto mai combattuto.
Una parte
di sé era sollevato che la situazione avesse preso quella piega: forse
quegli eventi che aveva così tanto maledetto, gli erano serviti di lezione;
aveva imparato a conoscere chi in realtà si celava sotto quella maschera di
indifferenza.
Ma l’altra parte del suo cuore reclamava giustizia; era
combattiva, e non si sarebbe fermata.
Ardua scelta.
Quella metà di lui che
tanto si affannava a nascondere, stava emergendo in superficie lentamente, come
una bolla che affiora sul pelo dell’acqua.
Erano passati diversi
giorni da quando era stato condotto nuovamente via dal Mondo Magico.
Erano diversi giorni e non
aveva altro che lo stesso pensiero.
Come l’intera estate,
dopotutto.
Solo una cosa era diversa:
cominciava a vedere tutto sotto un’altra ottica; come se nei suoi panni ci
fosse un’altra persona, e lui fosse solo uno spettatore esterno.
Poteva essere un
miglioramento, ma dubitava; credeva piuttosto fosse la conferma della sua
completa pazzia.
Eppure…
Eppure la voglia di ricominciare da zero stava facendo
breccia nella sua mente come un fiume in piena.
Eppure gli mancava Remus. La sua presenza, anche se non
voluta all’inizio, anche se respinta silenziosamente, si stava facendo sentire.
La solitudine lo avvolse,
lasciando però la sua mente stranamente lucida, come non lo era da tempo.
Ma che diavolo stava facendo?
Che diavolo aveva fatto tutto quel tempo per ridursi
così?
Tutto e tutti avevano
cercato di aiutarlo in ogni modo…e lui cosa aveva fatto?
Aveva rifiutato la loro
mano, allontanandola da sé, come fosse un cane
ringhioso.
Ecco dove era stata la vera
follia.
Sospirò, andando a sedersi
sul letto vuoto. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le
mani, guardando dritto in mezzo ai propri piedi.
I suoi occhi vedevano il
freddo pavimento, senza in realtà guardarlo. Poco dopo, però, sbatté le
palpebre, tornando a fissare coscientemente le opache piastrelle. L’angolo di
un foglio spuntava da sotto il letto, era incastrato
in mezzo ad uno dei quattro piedi.
Corrugò la fronte, e si
abbassò quel tanto che bastava per afferrarlo e liberarlo dal tubo di ferro
sotto il quale era stato messo.
Era un foglio di carta.
Un semplice foglio di carta
babbano. Per un momento, aveva sperato…
Cosa?
Che fosse magari un foglio di pergamena?
Che lo avvisasse che tutto ciò che era accaduto non fosse
stato altro che un incubo…e che era ora di svegliarsi?
Stava impazzendo sul serio.
E doveva darsi un regolata se voleva vivere in pace quella sua stupida
vita.
Guardandolo scetticamente,
aprì il pezzetto di carta che era stato accuratamente piegato in quattro.
A colpo d’occhio non
riconobbe la scrittura che colorava di nero quel foglio un po’ sporco.
Schiudendo appena le labbra
e socchiudendo gli occhi come per mettere a fuoco, lesse
il breve messaggio.
Sono pazzo a
scrivere ciò, perché tu non lo leggerai mai,
e
probabilmente chi lo troverà, si farà una risata
prima di
accartocciarlo.
Una semplice
parola, ti prego. Grazie.
Può sembrare
strano, perfino banale,
ma la tua
presenza qui mi ha dato la forza di continuare.
Una settimana
fa te ne sei andato, per non tornare mai più.
Grazie a quel
poco che mi hai potuto dare,
sono riuscito a
trovare la felicità,
anche in quel
mondo di ombre che era la mia vita.
La tua venuta
qui, come un gloriosopresagio,
mi ha fatto
tornare a sperare, anche quando la speranza
sembrava essersi
dimenticata di me.
Grazie per
ciò che mi hai portato.
Ora credo sia
il momento di ricambiare il favore.
Torna a
vivere, Harry Potter, che non c’è cosa più bella al mondo.
E me l’hai
insegnato proprio tu.
D.O.
Harry sbatté le palpebre
vigorosamente, davanti a quel foglio che all’inizio appariva solo quello, un
foglio.
Rilesse velocemente le
ultime righe, accertandosi con grande sorpresa di aver
letto correttamente.
Quel foglio era indirizzato
a lui… a lui?
Doveva
essere destino, si disse piuttosto
sarcasticamente.
Ma su ancora una cosa non aveva riflettuto. Tornò a
fissare il foglio, concentrandosi sulla firma lasciata dal suo misterioso
autore.
Poi, un’idea gli balenò in
testa, come fosse stata sempre lì.. Dorian?
Harry si portò una mano
sulla bocca, non potendo nascondere più la sua crescente sorpresa davanti a
quell’evidente dono del Cielo.
La vista gli si appannò
leggermente, mentre una lacrima bagnava il foglio, sbiadendo qualche lettera di
quel meraviglioso regalo.
Si passò una mano sulla
guancia bagnata, asciugandola.
Tutto ciò che doveva fare
era scritto a chiare lettere davanti a lui, e non solo su quel foglio.
Sapeva di doverlo fare, ma
aveva paura di farlo.
Tornare a vivere,
significava tornare ad amare, e nella sua giovane vita
comprese che l’amore e l’affetto portano solo al dolore.
Ma non era questo che si era fatto anche non amando?
Ripiegò il foglio,
lentamente, come a percepire il piacere di compiere quel così semplice gesto.
Tirò su con il naso e si
alzò per raggiungere la piccola finestra della stanza.
Sorrise al cielo azzurro, i
suoi occhi illuminati di gioia.
I giorni passavano adagio,
sovrapponendosi l’un l’altro con estrema lentezza. Una
nuova preoccupazione tornò ad invadere il cuore di Harry.
Da quel posto non se ne
sarebbe mai andato.
Aveva tradito e deluso
chiunque vedesse in lui una luce nel buio. La sua luce
si era spenta, lasciandosi così assorbire dall’oscurità. Ora, un nuovo chiarore
era tornato a brillare; forse non forte come prima, ma abbastanza da illuminare
le sue giornate.
E mentre
percorreva con gambe stanche quel corridoio che lo separava da un’altra
giornata di perpetua monotonia, quella stessa fu bruscamente interrotta da un
forte rumore; qualcosa o qualcuno
si stava avvicinando, salendo le scale che portavano sul corridoio.
I passi pesanti come di una
persona di corsa, si facevano più forti, mentre un’ombra cresceva dalle scale,
avvicinandosi sempre si più.
Harry si bloccò. Sorpreso e
intimorito al tempo stesso.
Le sue gambe si rifiutarono
di muoversi, anche se il suo cervello gridava a gran voce di rientrare nella
stanza, di allontanarsi.
Il timore svanì, lasciando
posto alla confusione più totale.
La figura di Remus Lupin
saliva l’ultimo gradino delle scale e si dirigeva a passo affrettato verso il
lato opposto del corridoio, non dando segno di aver visto Harry.
Harry, dal canto suo,
scosse la testa quasi violentemente, come a cercare di snebbiarsi la mente.
Remus era lì!
Ma andiamo… deve essere uno scherzo della
mia mente! Come è possibile?! La mia voglia di andar
via di qui sembra darmi alla testa!
Ma quella parte di Harry che sognava un giorno così da
molto tempo ormai, non si tirò certo indietro quando gliene si presentò
l’occasione, sopraffacendo così la sensazione di profonda confusione davanti a
quell’evento mattiniero così strano e impossibile.
“Remus…?” sentì la sua bocca pronunciare e
la sua voce in un sospiro.
Bastò.
Il tempo si fermò, mentre
la figura di Lupin si voltava a quel così tanto desiderato richiamo.
Harry rimase lì impalato,
mentre le braccia forti di Remus lo cingevano in un caldo abbraccio.
Harry chiuse gli occhi,
assaporando quella meraviglia, non credendo ancora alla sua effettiva realtà, e
temendo che potesse svanire da un momento all’altro, lasciando solo l’amaro
ricordo e quel corridoio solitario.
“Come…come è
possibile?” mormorò, la sua voce soffocata nel mantello del mago.
Remus lo lasciò per
guardarlo negli occhi.
“Sono venuto a dirti buongiorno, Harry”
disse con un sorriso, reso leggermente incrinato dal fiatone dell’uomo.
Harry assunse
un’espressione confusa.
“Ho capito ciò che dovevo fare” continuò
Remus. “E ho capito anche che dovevo agire in fretta
se volevo portarti indietro con me ancora una volta. Non abbiamo
molto tempo per riflettere, sarà qui a momenti. Non ha gradito molto la
mia visita…Credo si sia portata un arnese da cucina..”
finì ammiccando.
“Cos-” pronunciò Harry, ma s’interrupe,
quando dietro Lupin comparve la figura della signora Grant.
La donna era visibilmente
sconvolta e furiosa.
“NON LA PASSERA’ LISCIA QUESTA VOLTA!”
esclamò irata, mentre macchie rosse le si allargavano
lungo il collo.
Remus la guardò, ma non
disse nulla.
“NON PERMETTERO’ CHE SUCCEDA QUESTO NELLA MIA PROPRIETA’! NON LE PERMETTERO’ DI INFANGARE IL
NOME DELLA MIA FAMIGLIA CHE PORTA AVANTI QUESTO ISTITUTO
DA SECOLI!” urlò dannata, avvicinandosi a Remus minacciosamente, alzando le
braccia verso di lui, rivelando un semplice coltello da cucina nella mano
destra.
“IL RAGAZZO RESTERA’ QUI,
COME LA LEGGE HA DECISO!”.
Harry temette per Remus e
si fece indietro, ma il mago si limitò a fissare la donna e ad alzare un
sopracciglio, piuttosto perplesso.
Harry trattenne il fiato:
ma che diavolo stava facendo...
Con velocità inaspettata,
la signora Grant approfittò della distrazione di Remus per muovere il coltello
minacciosamente, ferendo un braccio del mago, che si tirò indietro, incredulo e
stupito che la donna non si fosse prima fatta male da
sola nell’utilizzare quell’arnese.
La signora Grant emise un
suono di frustrato divertimento.
A quel punto Remus,
leggermente imbarazzato per essersi fatto ferire in una situazione così
sciocca, da una donna ancora più sciocca, estrasse prontamente la bacchetta e
la puntò esattamente in mezzo agli occhi della donna. Forse così avrebbe smesso
di comportarsi da pazza.
“E questo cos’è,
uno scherzo?” chiese esasperata, come una crudele presa in giro.
“Le assicuro che non lo è affatto..” rispose Remus in tono
inaspettatamente affabile.
“La polizia sta arrivando…non ha via di
scampo…” continuò la donna con il fiatone, mentre fissava Remus e la bacchetta
come a sfidarla. Dopotutto era solo un bastoncino di legno.
Remus si guardò attorno
velocemente, lanciando un’occhiata come a valutare le loro possibilità.
In quel momento, cogliendo
nuovamente l’occasione di distrazione dell’uomo, la signora Grant si gettò
piuttosto goffamente su Remus, il quale si vide in trappola, non sapendo
proprio come reagire.
Perse la bacchetta di mano,
la quale andò a rotolare vicino ai piedi di Harry.
L’intrepida lotta appena
ingaggiata, sembrava andare sul pesante.
I due, nonostante la
corporatura minuta della donna, che sembrava fragile come il gambo di un fiore,
si rotolavano sul pavimento freddo, agitando le braccia, cercando di prevalere
l’uno sull’altra.
Harry rimase lì a guardarli
come un’idiota.
Poi, come se qualcosa nel
suo cervello gli avesse ordinato bruscamente di reagire, raccolse la bacchetta
ai suoi piedi, e si avvicinò ai due velocemente.
Con uno scatto, premette la
punta della bacchetta nuovamente in pieno viso della donna, la quale si trovava
in posizione privilegiata rispetto a Remus, che era schiacciato contro la dura
pietra del pavimento.
La signora Grant, pur non
sospettando minimamente la loro vera natura e non immaginando neppure lontanamente
quanto potesse essere pericolosa quella semplice asticella di legno, si ritrovò
con gli occhi letteralmente incollati alla bacchetta che minacciosamente,
premeva contro la sua fronte leggermente rugosa.
Harry portò la bacchetta
più in alto, cominciando ad alzare il braccio, per riportarlo ad altezza
normale. La signora Grant, lasciando completamente perdere la “lotta”
ingaggiata con Remus, si alzò simultaneamente alla bacchetta, non scollando i
suoi occhi.
Ora erano
esattamente uno di fronte all’altra: Harry con la bacchetta puntata
verso di lei, e tra loro Remus, che ancora per terra, cercava di rimettersi in
piedi per riprendere il controllo di quella strana situazione.
Quando tutti e tre furono alla stessa altezza d’occhi, ci fu
un momento di silenzio, nel quale si udivano solo i loro respiri gravi e si
vedevano le loro palpebre che si chiudevano ogni tanto per riaprirsi subito
dopo.
All’improvviso, la donna,
con un ultimo scatto di rabbia, lanciò le braccia avanti per togliere di mano
la famosa asticella di legno dalla mano di Harry.
Il ragazzo, con una
prontezza sorprendente, abbassò il braccio tanto da toglierlo alle grinfie
della donna e lanciò la bacchetta a Remus, il quale la puntò nuovamente contro
la Direttrice esclamando parole apparentemente prive di senso
alle sue orecchie babbane.
“Oblivion!”
scandì le lettere, mentre un fascio di luce quasi accecante colpiva la signora
Grant in pieno, facendola momentaneamente stramazzare al suolo.
Subito, i due maghi si
guardarono negli occhi, quasi terrificati.
Harry non perse tempo.
“Che diavolo hai
fatto?” chiese con voce poco più di un sospiro.
Remus si limitò a rimanere
immobile un attimo, i suoi occhi guizzavano in tutte le direzioni; poi scosse
la testa, con un sorrisino.
“Legittima difesa” disse. “Guarda…”
continuò quasi dolcemente, mentre si avvicinava alla donna che cominciava già a
muoversi sul pavimento, cercando di ricomporsi, alzandosi.
Remus le mise un braccio
attorno alla spalla, aiutandola.
Ora, Harry era davvero
confuso.
Remus
sorrise ancora, questa volta diretto
alla donna, la quale, tenendosi la testa, rispose stranamente cordiale.
“Deve essere caduta…” cominciò Remus, con
una voce talmente finta, che Harry stentò quasi a riconoscerla, mentre faceva
l’occhiolino al giovane mago stupito.
“…Credo anch’io… chi…chi è lei?” continuò a
farneticare la donna, massaggiandosi la tempia, mentre chiudeva a apriva gli occhi quasi convulsamente, cercando di
ritrovare un equilibrio.
“Nessuno d’importante… sono qui solo per prelevare il ragazzo…” rispose Remus,
giocandosi il tutto per tutto.
“Oh…chiaro, lei era dopo il ragazzo…lì,
insomma, Dorian… sa, è riuscito ad andare via di qui… bravo ragazzo..” continuò la donna, mentre il
due maghi si scambiavano un’occhiata divertita.
“La porto giù… se si vuole sedere… un
bicchiere d’acqua…” si offrì Remus.
“Non si preoccupi… la ringraziò, credo di
avere una forte emicrania… niente di strano…” finì,
avviandosi lentamente lungo le scale, ancora inebetita, poi si bloccò.
“…E i documenti?”
chiese stranulata.
Remus sorrise dalla cima
delle scale.
“Abbiamo già concluso…non
si ricorda?” chiese.
La donna fece cenno
affermativo mentre scendeva le scale, diretta probabilmente al suo ufficio.
Restarono un momento in
silenzio: anche in quella occasione, gli eventi si era
succeduti un po’ troppo velocemente… e quando accade, si perde facilmente il
controllo…
Harry guardò Remus, che a
sua volta lo fissava…
“Voglio andare via” disse semplicemente il
ragazzo.
Remus si stupì un momento
del repentino cambiamento di idee, ma annuì.
“Sono qui per questo… anche se di certo, mi
sono fatto annunciare in grande stile… anche in modo
superiore alle mie aspettative” rispose, strizzando nuovamente l’occhio
sinistro.
Harry rimase comunque un po’ perplesso.
“…Ma… per i
documenti… voglio dire… veramente?” chiese un po’ imbarazzato. “Purtroppo senza
di quelli non si va da nessuna parte temo”.
Remus
sorrise raggiante.
“Come credi che io e quella
incantevole signora ci siamo incontrati…o meglio scontrati…?” chiese come se fosse stata la cosa più logica del
mondo.
Harry fece segno di non
averci capito nulla.
“Harry…” disse Remus in tono canzonatorio.
“Non dirmi che credi che sia così sciocco…è proprio questo il motivo per cui ci…- mi ha
seguito come una furia per le scale… avevo fatto capolino nel suo ufficio… per prendere i documenti…”.
Si avvicinò ad Harry e gli batté una mano sulla spalla.
“Quando ce ne andremo
di qui… lei recupererà la memoria pian piano, ma di noi…” fece un segno davanti
a sé, come a cancellare qualcosa, “…non avranno nessuna traccia… scomparsi…o maiesistiti…dici
che la crederanno a ciò che è successo, semmai si dovesse ricordare di noi?”.
Harry scosse la testa,
rincuorato.
Remus batté nuovamente
sulla sua spalla, sorridendo.
La porta dello studio della
signora Grant era chiusa. Probabilmente si era rintanata all’interno.
I due si avviarono giù per
le scale, verso l’uscita. Tirarono dritto quando passarono davanti alla porta,
e poi nel salone.
Harry
sorrise non appena un raggio di sole mattutino gli scaldò il viso, come prova
per quella così strana avventura.
La stretta di Remus si fece
appena più marcata, come a voler attirare la sua attenzione.
Harry alzò lo sguardo,
incrociando gli occhi castani del mago.
Remus si avvicinò di più al
viso di Harry, per sussurrargli nell’orecchio.
“Infondo te lo dovevo” disse in un soffio,
prima di alzare la testa verso il sole di quella magnifica giornata.
Lentamente sarebbe guarito,
sarebbe guarito dalle ferite nel cuore che la morte di Sirius aveva lasciato.
Con Remus al suo fianco,
gli era stata concessa una seconda possibilità di tornare a vivere la vita di
sempre; fondamentalmente strana anche per un mago… ma dopotutto era la sua vita, che doveva imparare ad
apprezzare per quello che era.
Non si sarebbe giocato
anche quell’occasione di ritrovare la felicità.
Non sapeva come, ma era
profondamente cambiato nel giro di poche settimane.
Aveva attraversato periodi
belli, brutti, orribili… ma ora le cose sarebbero andate
meglio.
Dopotutto proprio quel
piccolo concetto di Versus era ciò
che gli era mancato in quel periodo così buio, e che tutti avevano provato a
fargli comprendere.
Tutto ciò che aveva
dimenticato, era stato il dolce suono della parola Ricominciare.
F i n e
Salve a tutti!
Scusate l’immenso ritardo
^///^’ , ma ho avuto un piccolo problema ad aggiornare
questo capitolo, mi deformava la pagina, così avevo deciso di aspettare, magari
era qualche piccolo problemino, come poi si è rivelato. ^___^
Spero vi sia piaciuto
questo capitolo conclusivo… chiedo venia per la mediocrità
delle ultime scene, in cui appare quella sottospecie di piccola lotta^^
Ringrazio Lady Hawke per aver commentato il
capitolo scorso. Grasssie! ^///^ Per la volta scorsa, non so, doveva esserci un
problemino sul sito per la mancata visualizzazione dei capitoli di alcune storie… ^__^
Dopo un anno di lavoro
(anche se non sembra, data la schifezza^^), ho finito questa storia, e spero
che possa essere stata di vostro gradimento, anche ovviamente riferito a chi
non ha recensito.
Mi ha dato molta soddisfazione
pubblicare questo orror.. ehm, fanfic. ^^’
Sarò ripetitiva^^, ma spero davvero che possa esservi piaciuta, perché è sempre
stato questo il mio obiettivo. ^__-