I don't know if I should believe him

di OlicityAllTheWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti aiuterò a rialzarti ***
Capitolo 2: *** Pochi metri di distanza ***
Capitolo 3: *** Ti prego ***
Capitolo 4: *** Il mio più grande rivale ***
Capitolo 5: *** Devo essere sicuro ***
Capitolo 6: *** Un passo avanti ***
Capitolo 7: *** Sorpresa ***



Capitolo 1
*** Ti aiuterò a rialzarti ***


TI AIUTERO’ A RIALZARTI

 

Mio padre se n’è appena andato, dopo avermi detto che si sarebbe rimesso a posto per fare in modo che torniamo tutti sotto lo stesso tetto.

Il modo in cui mi ha guardato mentre lo diceva…era come se volesse convincere più sé stesso che me. Ho paura che non ce la farà.

Mi giro piano, consapevole che gli altri hanno visto e sentito tutto. La vergogna che mi attanaglia.

Ma poi lei si avvicina a me e mi mette una mano sul viso e tutto passa. Non mi giudicherebbe mai, non farebbe mai nessuno commento che potrebbe farmi sentire fuori luogo. L’ho letto nei suoi grandi occhi verdi.

La prendo per mano e ci incamminiamo nella direzione opposta alla stazione senza avere una vera meta.

 

Siamo in una zona poco popolata e appena vedo una panchina la trascino con me per sedersi.

<< Scusa, non ho avuto occasione di presentarti a mio padre >> dico rompendo il silenzio con il mio solito sarcasmo, uno dei pochi modi con cui mi relaziono al mondo.

Betty inclina un po’ la testa di lato, e fa una faccia contrariata. Dopo qualche secondo mi prende il viso tra le mani e mi costringe a guardarla: << Ehi, sono io. Non devi fingere con me, mai >>

Sospiro: << Lo so >>

Mi lascia il viso e la cosa mi fa male. Ma dura un secondo perché mi prende subito le mani.

<< E’ solo che è difficile. A volte mi sento solo contro il mondo. Solo contro lui. Non voglio arrendermi, ma allo stesso tempo non so se dovrei credergli >>

<< Non sei solo, Juggie. Ci sarò sempre io con te >>, mi posa una mano sul petto, in prossimità del cuore: << Non posso dirti se sia sincero o meno. Ascolta il tuo cuore e avrai la risposta. Se fai qualcosa perché ci credi non può essere mai sbagliata. Certo potrebbe non andare come speravi, ma non sarà sbagliato. Ci sarò io ad aiutarti a rialzarti >>.

Non pensavo mi sarebbe piaciuto stare con una ragazza, non pensavo avrei trovato mai quello che ho trovato con Betty. Ma lei non è una qualsiasi, è la perfetta ragazza della porta accanto.

Mi sporgo verso di lei e la bacio dolcemente, poi appoggio la fronte contro la sua: << Grazie >> le dico semplicemente. Una sola parola ma che ne vale quanto mille.

Lei mi sorride e si alza porgendomi la mano: << Dai andiamo, finalmente possiamo fare la stessa strada per tornare a casa >> mi fa l’occhiolino e accetto il suo invito sentendomi un po’ più leggero. 

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Capitolo 2
*** Pochi metri di distanza ***


CAPITOLO 2 – POCHI METRI DI DISTANZA

 

Per tutto il tragitto non abbiamo detto una parola, abbiamo solo camminato mano nella mano. Ho notato che Betty mi lanciava delle occhiate ma non ho ceduto. Non sono pronto a parlare, non ancora. E il fatto che lei lo abbia capito mi fa tirare un sospiro di sollievo.

Solo ieri sono andato a casa di mio padre per chiedergli di rimettersi a posto e sembrava che avesse accettato la mia proposta, o almeno aveva accettato di considerarla. Sono passate appena ventiquattro ore ha già mandato tutto a puttane. Ora capisco perché la mamma e Jellybean sono andate via, non è un uomo su cui fare affidamento.

Per questo vivo da solo. Ma la fantasia di tornare a stare tutti insieme non mi lascia in pace.

Betty mi stringe la mano: << Siamo arrivati >>.

Sembra preoccupata. Non voglio essere un peso per lei, penso che la sua famiglia e tutto quello che sta passando siano abbastanza, non voglio che si preoccupi anche per me.

La passo una mano, leggera, sulla guancia: << Va tutto bene, Betty >>

<< Sei sicuro? >>

<< Sono sicuro >> sorrido.

Mi scruta per un secondo, poi si arrende: << Oggi dormiremo a pochi metri di distanza, sei contento? >>.

Mi irrigidisco, non ci avevo pensato. Vedendo che non rispondo mi da una pacca sul petto: << Rilassati stavo scherzando >> ride: << Voglio dire, dormiremo davvero a pochi metri di distanza, ma stavo scherzando sull’ultima parte >>

<< Sarei più contento se quei metri diminuissero ancora di più >> le confesso.

Questa volta è lei a rimanere senza parole e arrossisce violentemente sulle guance.

Ci fissiamo negli occhi, il desiderio palpabile – almeno da parte mia. Ma allo stesso tempo la consapevolezza della ragazza che ho trovato e il desiderio di non correre troppo.

<< Hmn hmn >> qualcuno si schiarisce la gola vicino a noi.

Ci voltiamo di scatto e vediamo Archie e suo padre che ci guardano. Fred un sorrisino stampato in faccia, Archie per niente. Mi inchioda con quel suo solito sguardo indagatore.

<< Meglio che vada. Buonanotte Signor Andrews, Archie >> dice rivolta ai nuovi arrivati.

Poi si volta verso di me: << Ci vediamo domani >>.

E scappa verso casa sua. Che si trova a pochi metri di distanza.

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Capitolo 3
*** Ti prego ***


CAPITOLO 3 – TI PREGO

 

Sto facendo una doccia in casa Andrews e finalmente non sento la paura di essere scoperto o di fare tardi incontrando i miei compagni che entrano a lezione mentre io mi dirigo verso il ripostiglio con solo un asciugamano indosso.

Quando scendo di sotto vedo che ci sono due sacchetti. Guardo interrogativo Fred che si sta pulendo le mani su uno strofinaccio da cucina.

<< La vostra colazione. Uova e pancetta. Non ti va? >> mi chiede preoccupato.

E’ un gesto da niente, lo so, ma per quello a cui sono abituato vale un mondo. Era da tanto, da troppo che qualcuno non faceva qualcosa del genere per me.

Deglutisco rumorosamente: << No no, signor Andrews è perfetto, grazie >>

<< Juggie, inizia a chiamarmi Fred per favore >> il sorriso che raggiunge i suoi occhi scuri.

Sorrido e mi avvio fuori casa.

Archie arriva due minuti dopo e nello stesso momento vedo Betty, pronta a camminare con noi fino a scuola.

Mi sembra una cosa insolita poi mi ricordo che lei e Archie vanno e tornando da scuola insieme tutti i giorni. Da anni ormai.

Sono un po’ geloso, non geloso di Betty. Geloso del fatto che lui abbia potuto passare tutto questo tempo con lei.

 

Quando arriviamo a scuola vedo la maggior parte delle persone che parlano sottovoce tra di loro e si danno piano di gomito, pensando di non essere notati.

Tengo lo sguardo basso, come sono solito fare. Ma la mia attenzione è catturata subito dal gruppo di persone che ora chiamo amici. Che mi accolgono oggi come mi hanno accolto ieri, senza giudicarmi e fidandosi di me.

Kevin sembra mortificato: << Lo sai che non è colpa tua, vero? >> gli chiedo.

<< Certo! Però mi dispiace lo stesso che mio padre ti abbia messo in quella situazione >>

<< Non fa niente Kev gli dico dandogli una pacca sulla spalla >>.

Grazie a Dio le lezioni tengono tutti troppo occupati e non danno il tempo di commentare o fare battute.

Ma non posso dire lo stesso della pausa pranzo. Noi cinque siamo al solito tavolo, quando qualcuno occupa l’unico posto libero.

Alzo lo sguardo e vedo che questo qualcuno è Reggie Mantle. Fantastico.

Mi fissa con un sorrisetto strafottente: << Allora Jones. Ho saputo che ieri c’è stato un bello spettacolino fuori dalla stazione di polizia >>.

Betty mi stringe una cosa e con gli occhi mi supplica di lasciar perdere.

E’ quello che faccio…per un primo momento. Perché Reggie decide di non mollare la presa, da bravo Bulldog, e questo mi fa innervosire.

<< Non sapevo ti piacesse dare fuoco alle cose. Suppongo che sia vero quello che si dice: tale padre tale figlio. Cos’altro avete in comune? >> subito fa un gesto con la mano. Solo il pollice a il mignolo alzati, se li porta vicino alle labbra e li muove avanti indietro.

Ok, questo è troppo. Nemmeno la mano di Betty riesce a fermarmi e mi lancio su di lui. La velocità e la forza che ci mettono sono abbastanza da farlo cadere rovinosamente a terra. Ora che sono sopra di lui riesco a piazzargli un pugno sul viso, poi un altro e un altro. Lo prendo per la collottola: << Non ti azzardare mai a più a dire una cosa del genere! >> urlo a due centimetri dalla sua faccia. Poi come se non fosse abbastanza gli sbatto la testa per terra.

Archie mi prende da sotto le braccia e mi tira su, lontano da Reggie. Solo allora sento i sussulti di Betty. Il suo pianto.

Mi volto a guardarla e vedo che mi sta fissando con occhi sgranati, le mani davanti alla bocca.

Scuoto la testa per riprendermi. Faccio un passo verso di lei, con la mano destra allungata. Ma quello che vedo spaventa anche me, figuriamoci lei.

La mano è completamente piena di sangue, sangue di Reggie credo.

Al mio avvicinarmi lei fa un passo indietro: << Ti prego Betty. >>

Non so per cosa la sto pregando. Forse di non allontanarsi, di non voltarmi le spalle.

E invece è esattamente quello che fa.

 

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Capitolo 4
*** Il mio più grande rivale ***


CAPITOLO 4 – IL MIO PIU’ GRANDE RIVALE

 

Non posso permettermi di fare un altro giro alla stazione di polizia. Spero che il preside ci lasci andare con una semplice ramanzina, ma non so se sarà così semplice. Ho davvero perso il controllo.

Forse Reggie ha ragione e io e mio padre ci somigliamo più di quanto mi piaccia ammettere.

Siamo fuori dall’ufficio del preside, Reggie tiene il ghiaccio sul naso che ha smesso di sanguinare ma ha iniziato a diventare viola.

<< Questa me la paghi, Jones >> mi dice guardandomi solo con l’occhio sano.

<< Quando vuoi >>.

Come previsto lo sceriffo Keller arriva pochi minuti più tardi.

In realtà ci va meglio del previsto e scopriamo che è stato il preside a chiamarlo, ma solo per precauzione.

<< Jughead, che è successo? >> mi chiede lo sceriffo.

Apro la bocca per rispondere quando sentiamo qualcuno bussare alla porta.

<< Avanti >> dice Weatherbee.

Ci voltiamo e vediamo Kevin fare capolino dalla porta semi aperta: << Salve signor Preside, volevo dare la mia versione dei fatti visto che ero lì insieme a Jughead e Reggie >>.

Il Preside lo invita ad entrare con un gesto della mano. Il ragazzo si scambia una veloce occhiata con il padre, poi si accomoda nella terza poltroncina posta di fronte all’imponente scrivania di legno.

<< Dimmi pure >>

<< Stavamo pranzando quando Reggie è venuto a insultare senza motivo Jughead >>

<< Questo non è un buon motivo per ridurlo così >> dice suo padre indicando con un gesto della mano il viso di Reggie.

Con la coda dell’occhio lo guardo e in effetti ha ragione.

<< Lo so bene. Ma Reggie è stato il primo a colpire >>.

Sono tentato di girarmi verso di lui con gli occhi spalancati ma mi trattengo.

<< C’è qualcun altro che può confermare la tua versione? >> chiede il Preside.

<< Sì signore: Archie Andrews e Veronica Lodge >>

Ci rimango un po’ male del fatto che non abbia nominato Betty. Ma non mi sorprende, l’espressione che aveva in viso diceva tutto.

In tutto questo mi rendo conto che Reggie non ha né protestato né ha cercato di difendersi. Lo guardo, chiedendomi se non sia svenuto. Ma lui ricambia prontamente e saldamente il mio sguardo.

<< Ragazzi, questa volta vi lascio andare. Ma non mettetemi mai più davanti ad una situazione del genere. La prossima volta sarò costretto a prendere provvedimenti seri >>, si passa le mani davanti agli occhi, come se fosse stanco o avesse di meglio da fare che pensare a due ragazzini che fanno a botte.

Lo sceriffo Keller che non ha staccato un attimo gli occhi dalla figura di suo figlio.

<< Forza cosa state aspettando >> ci incita il Preside agitando le mani.

<< Sì, signor Preside. Grazie >> diciamo in coro io e Reggie.

Una volta fuori Reggie fa per andarsene ma lo trattengo per la manica della giacca: << Perché non hai detto niente? >>

<< Forse ho esagerato dicendoti quello che ho detto su tuo padre >> dice facendo vagare lo sguardo per tutta la stanza tranne che su di me.

Ehm? E’ un sogno?

<< Beh grazie allora >> rispondo.

<< Sì, ma che non ti salti mai più in mente di colpirmi in questo modo >>.

Annuisco e mi rivolgo a Kevin che ha osservato la scena da vicino, non intervenendo.

<< Perché mentire? >>

<< Conosco mio padre, ti avrebbe riportato in stazione e con questa scusa ti avrebbe pressato per la questione di Jason Blossom. Io, Archie e Veronica abbiamo pensato fosse il modo migliore per evitarlo. >>

<< E Betty? >> chiedo non curandomi del leggero tremolio della mia voce al suono del suo nome.

Kevin fa una leggera pausa: << Betty…è un po’ scossa. Credo sia con Archie adesso >>

Il mio cuore perde un battito.

Per quanto sono sicuro di piacere a Betty avrò sempre timore di Archie e di quello che lei può provare per lui.

Kevin si accorge del mio disagio e aggiunge in fretta: << Puramente platonico, giuro >> si porta la mano destra sul cuore.

<< Ci vediamo >> rispondo semplicemente. E torno a casa del mio – forse – più grande rivale.

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Capitolo 5
*** Devo essere sicuro ***


CAPITOLO 5 – DEVO ESSERE SICURO

 

Quando arrivo a casa del mio amico vedo che tutte le luci sono spente. Mi siedo sugli scalini del portico ad aspettare.

Dopo qualche minuto vedo che arriva dalla direzione opposta a quella da cui sono arrivato io, arriva da casa di Betty più precisamente.

Kevin aveva ragione, ma non avevo bisogno di questa prova per saperlo.

Gioco con le pellicine intorno alle unghie facendo finta di non averlo visto.

E’ lui a schiarirsi la gola per annunciare il proprio arrivo.

Faccio finta di accorgermi di lui solo in quel momento e mi alzo con gesti meccanici per seguirlo dentro. Poi saliamo le scale e arriviamo in camera sua, che da ieri è anche un po’ mia.

<< Ne vuoi parlare? >> mi chiede dopo qualche minuto di silenzio.

<< Voglio parlare con Betty >> rispondo. Schietto, come sempre.

<< Non posso lasciartelo fare… >> mi volto di scatto a quelle parole e la mia espressione truce lo inchioda. Gli fa troncare la frase che stava dicendo.

<< Non puoi lasciarmelo fare? >> ripeto con un’evidente nota di incredulità nella mia voce.

<< Non fino a che non sarò sicuro >>

<< Sicuro di cosa? >> sta iniziando a darmi sui nervi.

<< Sicuro che non faresti mai del male a Betty >> fa una piccola pausa: << fisicamente intendo >>.

Non so se ridere o sentirmi disgustato da quello che mi ha appena detto il mio migliore amico.

Vado per la prima opzione. Ma lui non muove un muscolo, anzi si irrigidisce e aspetta una risposta più sensata e articolata della risata che ho appena fatto.

Mi ricompongo: << Aspetta sei serio? >>

<< Al 100% amico. Quello che hai fatto oggi è stato…strano >> aggiunge l’ultimo aggettivo dopo averci pensato qualche secondo.

<< Arch, sono innamorato di Betty da tutta la vita. Non le farei mai del male, mai >> non posso credere che la prima persona a cui abbia detto di essere innamorato di Betty sia Archie e non lei.

La notizia bomba colpisce il mio amico e lo lascia ad aprire e chiudere la bocca innumerevoli volte senza trovare qualcosa di sensato da dire.

<< Credi mi voglia vedere? >> chiedo poi facendo finta di non aver notato la sua espressione.

Lui si riprende e annuisce con un semplice gesto del capo.

 

Non posso arrampicarmi alla sua finestra, sua madre è in casa e scatenerebbe l’inferno.

Le mando un messaggio e l’aspetto nella porzione di giardino che collega casa sua con quella di Archie.

Arriva qualche minuto dopo e mi scruta preoccupata.

<< Mi dispiace tanto >> esordisco.

<< Per cosa esattamente? >>

<< Per quello che è successo, per quello che hai dovuto vedere >> mi guardo le punte dei piedi, imbarazzato.

<< Mi hai spaventato Juggie, da morire. Non ti riconoscevo più >> dice lei tirando su con il naso. Odio vederla piangere e odio sapere di esserne la causa. << Ti chiamavo e non mi sentivi. I tuoi occhi erano irriconoscibili. Ti è mai successo prima? >>

La sua domanda mi manda in tilt. Perché sì, mi è successo un’altra volta.

Voglio essere sincero con lei: annuisco.

<< Quando? >>

<< Due anni fa >>

<< Perché? >>

<< Un uomo è entrato in casa nostra. Non era entrato per rubare perché non avevamo nulla. Era entrato… >> mi manca la voce: << era entrato…per mia madre. A quel tempo lei lavorava in un bar e quest’uomo aveva un’ossessione per lei. Lei lo aveva respinto e lui non l’aveva accettato. >>

<< E tuo padre non ha fatto nulla? >>

Questa domanda riapre vecchie ferite: << Mio padre era talmente ubriaco che non ha sentito nulla all’inizio. E quando si è svegliato era troppo barcollante per fare qualcosa. Così ci ho dovuto pensare io. Ma mi sono fatto prendere un po’ troppo la mano e l’ho ridotto davvero male. Ho dovuto passare un periodo al riformatorio giovanile >> è la prima volta che lo racconto a qualcuno.

Non ho il coraggio di guardarla, ma lo devo fare. Inchiodo i miei occhi ai suoi e li vedo grandi e pieni di paura, spero non sia nei miei confronti ma non sono sicuro del contrario. E ora la paura assale me, paura che si renda conto che non sono abbastanza per lei.

Prende un piccolo slancio e mi abbraccia, forte come nessuno aveva mai fatto prima.

Nascondo il viso nell’incavo del suo collo e inspiro il suo profumo dolce. Mi lascio andare come non facevo da tempo.

Rimaniamo stretti così fino a quando il suo telefono squilla. Guarda lo schermo: è sua madre.

Preme il tasto rosso per chiudere la chiamata.

<< Devo andare >> mi dice poi.

<< Lo so. Ci vediamo domani? >> chiedo. Una nota di speranza nella mia voce.

<< Come sempre >> mi alza sulle punte dei piedi per sfiorarmi la guancia con le sue labbra morbide e corre verso casa.

 

Durante la cena solo Fred cerca di fare conversazione mentre io e Archie stiamo zitti. Io sono ancora scosso dal fatto che sono riuscito ad aprirmi su quella notte. Quella notte mi ha cambiato tanto e non ne avevo mai parlato con nessuno. Archie penso sia ancora scosso dalla mia dichiarazione d’amore.

Ed è esattamente quello che mi dice quando saliamo di sopra.

<< Non sapevo che ti piacesse da così tanto tempo. Se lo avessi saputo ti avrei aiutato in qualche modo >> sorride.

Alzo un sopracciglio: << Sul serio? >>

Ride: << No probabilmente, no >>

<< Appunto. Senti ma è tutto a posto tra noi? Per il fatto, sai…che io Betty…stiamo…ehm insieme? >> sembro un disco rotto. Perché mi è così difficile?

<< Tutto a posto amico. Non ti devi preoccupare. Solo non farle del male. Intendo sentimentalmente, questa volta >>

<< Tranquillo Arch, non succederà >>.

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Capitolo 6
*** Un passo avanti ***


CAPITOLO 6 – UN PASSO AVANTI

 

Occupo questa stanza da ormai un mese e mezzo, mio padre mi aveva detto che aveva bisogno di un mese – massimo due – per rimettersi a posto. Il tempo sta scadendo e io non ho più avuto notizie da quel giorno, fuori dalla stazione della polizia.

Io e Betty stiamo lavorando ad un articolo per il “Blue&Gold”, sono le otto di sera e non ne posso più. Ho bisogno di una pausa. Generalmente quando sono davanti al PC niente cattura la mia attenzione ma avere Betty affianco a me che mordicchia una matita è una distrazione piuttosto valida.  Le lancio occhiate furtive e noto che è concentratissima.

Allontano il PC e mi stiracchio allungando le braccia sopra la testa. A quel punto si volta: << Ti sto facendo lavorare troppo? >> sorride.

<< Mi piace guardarti lavorare. Arricci le sopracciglia quando sei concentrata >>.

Si porta l’indice sulla porzione di pelle che le separa: << Non me ne sono mai accorta >> dice poi, arrossendo.

Poi mi osserva attentamente, passando dagli occhi alle labbra e viceversa. E dopo qualche secondo mi prende il viso tra le mani e mi bacia.

Rispondo subito al bacio. Baciarla mi da sensazioni sconosciute e positive, è come se tutto il mondo si azzerasse, come se tutti i problemi non esistessero e ci fossimo solo noi. Approfondisco il bacio invadendo la sua bocca con la mia lingua, in cerca della sua. La trovo e iniziano a danzare insieme, ad un ritmo più frenetico del solito.

Le porto le mani in vita e la avvicino a me, lei si mette a cavalcioni e nel mentre mi accarezza i capelli. Quelli che escono dal capello per lo meno.

Ribalto le posizioni e la sdraio sul “mio” letto, posizionandomi in mezzo alle sue gambe leggermente divaricate. Non interrompendo mai il nostro bacio.

E’ la prima volta che ci baciamo in questo modo e sto perdendo la testa.

Il suo profumo mi inonda le narici come mai prima, la sua lingua cerca la mia con un desiderio sconosciuto, il suo corpo si adatta al mio perfettamente.

Abbandono le sue morbide labbra e scendo a baciarle il collo, passando per il viso, per il lobo.

Non so quanto posso spingermi in là, ma decido che non mi interessa: passo piano la mia lingua sul suo collo candido e la sento stringere la presa sui miei bicipiti.

Poi si ritrae e mi guarda. Gli occhi di un verde bottiglia, non il solito verde acqua. Sono profondi, sono diversi. Lei è diversa.

Porta le mani all’orlo della mia maglietta e la tira via. Io la guardo aspettando un consenso: voglio fare lo stesso con lei.

In tutta risposta si mette seduta e io sono capace di toglierle la camicetta smanicata, lasciandola in reggiseno. Dio è così perfetta. La guardo per qualche istante pensando a quanto sono fortunato ad averla.

Mi chino verso di lei e prendo a baciarle la spalla, la clavicola, lo sterno, la curva dei seni.

Inizia a respirare più pesantemente e questa volta è lei che prende il controllo, girandomi sulla schiena e lasciandomi in balia di lei. E’ tutto quello che voglio, farei di tutto per questa ragazza.

Si china a baciarmi ma veniamo bloccati dal rumore della porta d’ingresso.

Fred è fuori città per una gara d’appalto e Archie non sarebbe dovuto rientrare per un’altra ora almeno. Merda!

Ci guardiamo con occhi spalancati, sicuramente farci trovare in queste condizioni non è la migliore delle opzioni.

Betty salta giù dal letto e si fionda a prendere la camicetta, che si trova nell’angolo opposto del letto. Devo averla lanciata quando gliel’ho sfilata.

Proprio quando si china per raccoglierla Archie apre la porta.

Rimane fermo sul posto. Davanti a lui una Betty in reggiseno di pizzo bianco, poco più dietro io a petto nudo.

Dopo essersi accorto di averci fissato abbastanza a lungo – soprattutto Betty, noto con forte disappunto – serra gli occhi e si gira.

<< Io stavo giusto andando >> dice Betty.

Si infila velocemente la camicetta e corre di sotto.

Una volta sparita dalla sua visuale Archie si gira e mi rivolge uno sguardo esterrefatto: << Amico, mi sta bene che stai con lei e tutto il resto, ma se non lo faceste in camera mia sarebbe meglio >>.

<< E’ successo, amico, non l’abbiamo pianificato >> poi aggiungo: << Ma hai ragione, scusa >>.

Il mio cellulare prende a squillare. Whoa, salvato dalla campanella.

Mi allungo verso il comodino e vedo il mittente della chiamata: Papà.

<< Devo rispondere >> dico schiarendomi la gola e uscendo all’aperto.

 

<< Pronto? >>

<< Ehi Jughead. Dove sei? Speravo che potessimo incontrarci >>

<< Va bene. Ci vediamo da Pop’s fra un quarto d’ora? >>

<< Va bene, figliolo. A fra poco >> risponde lui e riaggancio.

Prendo un respiro profondo, dalla voce mi è sembrato diverso, mi è sembrato a posto. Ma non potrei giurarci.

Mando un messaggio veloce a Betty e mi incammino verso la tavola calda sperando che mio padre abbia fatto qualche passo avanti. 

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Capitolo 7
*** Sorpresa ***


CAPITOLO 7 – SORPRESA

 

La campanella appesa sopra la porta annuncia il mio ingresso da Pop’s, ma nessuno ci fa particolarmente caso. Mi guardo un attimo intorno cercando mio padre, lo trovo seduto su un tavolo alla mia sinistra. Il tavolo è vicino ad una finestra e lui guarda fuori pensieroso, la testa poggiata sulla mano. Porta dei vestiti nuovi, la barba fatta, i capelli tagliati, le occhiaie quasi sparite. Un piccolo – ma importante – dettaglio cattura la mia attenzione. Una fascia dorata decora il suo anulare sinistro.

Aveva tolto la fede quando mia madre se n’era andata. Non so perché, ma ora la porta di nuovo. Mi dirigo verso il suo tavolo e mi siedo di fronte a lui.

Distoglie lo sguardo dal mondo esterno e lo rivolge a me: << Jug. Ciao, ti trovo bene >> dice, come se dovessimo parlare del mio aspetto e non del suo.

<< Anche io papà >> ammetto squadrandolo per quanto possibile: << Allora, come vanno le cose? >>

<< Ho fatto ciò che mi hai chiesto figliolo, mi sono ripulito. Mi ha aiutato un amico, ha passato quello che ho passato io ed è stato molto comprensivo >>

Annuisco, aspettando che continui.

<< So che ci ho messo più di quanto ti avevo promesso, ma l’ho fatto per una buona ragione: volevo essere certo al 100% di essere a posto >>

<< E come posso averne la certezza? >> chiedo stringendo gli occhi. Non è la prima volta che ci troviamo in una situazione del genere. Lui beve, smette, beve, smette e beve ancora. Sembra essere un circolo senza fine e quasi quasi mi ero abituato a non vivere più con lui e le sue false promesse.

La voce di una donna interrompe i miei pensieri, no non di una donna, di mia madre: << Puoi averne la certezza perché siamo tornate anche noi, tesoro >> dice.

Spalanco gli occhi per la sorpresa: mia madre e Jellybean sono qui, davanti a me. Dopo mesi e mesi. Certo le ho sentite praticamente tutti i giorni ma non le vedevo da mesi.

Mi alzo di scatto per abbracciarle. Stringo particolarmente forte la mia sorellina, lei e la sua testardaggine mi mancavano da morire: << Ciao Jelly >> le sussurro all’orecchio quando è stretta tra le mie braccia.

Lei si stacca e con fare insolente si porta le mani sui fianchi: << E’ JB adesso. E’ molto più figo >> sorrido e le scompiglio i capelli.

Mio padre nel frattempo si è alzato e si è messo al fianco della mamma, un braccio intorno alla sua vita.

Ho paura di crederci anche questa volta, ma lo desidero. Desidero che la nostra famiglia possa essere una famiglia normale, o almeno tornare quella di un tempo in cui vivevamo tutti sotto lo stesso tetto. Non eravamo perfetti ma eravamo insieme. E se mio padre fa sul serio questa volta potrebbe essere il nostro nuovo inizio.

Mi avvicino a mio padre e lo abbraccio. La cosa lo coglie di sorpresa e gli servono due secondi per circondarmi con le sue grosse braccia: << Te lo avevo promesso figliolo, tutto andrà per il meglio >>

<< Grazie >> gli rispondo semplicemente e lui mi stringe un po’ più forte.

 

<< Questa è l’ultima notte che passo quì. Domani mattina torno a casa >> dico a Betty. Sono tornato a casa del mio amico un’ora fa circa e ora sono con lei per raccontarle gli sviluppi della situazione con mio padre.

<< Mi è sembrato davvero a posto, sai? >>.

Lei posa la sua mano sulla mia: << Te l’avevo detto che scegliendo con il cuore non avresti sbagliato >>.

Più la ascolto e più sono convinto che sappia sempre cosa dire per farmi sentire meglio. Più la guardo più sono convinto di essere innamorato di lei.

<< Mi piacerebbe che conoscessi mia madre e mia sorella sai? >> porca miseria non posso credere di averlo detto ad alta voce.

La risposta di Betty arriva così veloce e spontanea che mi fa quasi dimenticare il disagio: << Farebbe tanto piacere anche a me >>

<< Vedere le tre donne che amo insieme >> azzardo.

Lei apre e chiude la bocca, deglutisce. Merda, forse non era pronta a sentirselo dire, o forse non avrebbe voluto sentirselo dire.

<< Tu…tu…mi ami? >> mi chiede dopo secondi di assordante silenzio. Indica sé stessa con un dito, la voce e l’espressione che trasudano incredulità.

<< Da sempre >> le confesso. Ormai sono andato così in fondo, non ha senso fermarsi. Voglio che lei lo sappia.

Il tempo si ferma intorno a noi.

<< Ti amo anche io Juggie >> dice infine. Il mio cuore che riprende a battere.

<< E’ solo che mi sembra strano che qualcuno possa amarmi. Tu non hai idea di come sia la mia vita e io…io sono molto più fragile e danneggiata di quanto sembri. Ho paura di trascinarti con me e di rovinarti e di danneggiare anche te >> inizia a gesticolare freneticamente, il respiro veloce e irregolare, nemmeno un secondo di pausa tra una parola e l’altra.

Le poso una mano sulla spalla, come feci il giorno del nostro primo bacio, per calmarla e sembra funzionare anche questa volta perché prende un respiro profondo e smette di parlare: << Ehi. Ci sono io con te. E se qualcosa dovesse andare nel verso sbagliato ti aiuterò a rialzarti. Te lo prometto >> ora è il mio turno prendermi cura di lei.

 

 

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