Il Cacciatore

di body_ko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 - fine ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


il cacciatore L’uomo smilzo, vestito di nero, asciugava i bicchieri; era presto ed il locale non era ancora aperto. Una volta sistemato il bancone del bar, cominciò a spazzare. Gli cadde l’occhio su un quadro alla parete e si diede a togliere l’ombra di polvere che velava l’immagine di una donna particolarmente brutta.
“Grazie caro”, gli disse la dama del ritratto, aspirando tabacco dal suo bocchino d’ambra.
“Siamo di nuovo qui, come ogni sera, non è vero? Io non ho molta scelta, in effetti… ma tu, bel biondino, non hai davvero nessuno che ti aspetta là fuori?”
Draco continuò a pulire il pavimento, ignorando la voce fumo e miele che lo provocava, poi - dato che non aveva più che fare - si mise seduto vicino alla figuretta garrula e si accese una sigaretta.
La donna lo guardava sorniona.
“Ti diverte ribadire che non ho una vita, Nina? Lo fai ogni sera”.
“Mi diverte, si. Niente di più buffo di un gatto convinto di essere un uccello. Hai provato mai a sbattere le ali: potresti perfino riuscire a prendere il volo, se ci credi abbastanza”.
Draco fece una smorfia annoiata.
“Stasera c’è uno abbastanza bravo”, disse l’uomo cambiando discorso.
“Non so dove li trovi questi onesti mestieranti”, rispose la donna con sufficienza.
“Se i miei onesti mestieranti non ti piacciono, puoi fare anche a meno di venire a far visita al tuo ritratto ogni sera che c’è musica dal vivo”.
La donna lo guardò seriamente.
“Voi bianchi non ne capirete mai troppo di jazz… ma devo ammettere che i tuoi ragazzi sono quasi sempre sopra la media. Credo ne sia appena arrivato uno”.
Draco si voltò e vide la figura di un uomo nella penombra. Era troppo presto per essere uno dei musicisti: Jenkins si doveva esser di nuovo scordato la porta sul retro aperta.
“Siamo chiusi” disse, squadrando l’uomo di cui non distingueva i tratti nella semioscurità del locale. Aveva qualcosa di familiare. Il tipo fece qualche passo avanti, ed entrò nel cono di luce della lampada. Draco s’irrigidì immediatamente, la buona disposizione d’animo in cui era stato fino a quel momento e la tranquillità che gli dava l’essere nel suo locale, fu spazzata via in un attimo, mentre le cose oscure e malevoli che giacevano sul fondo della sua anima cominciavano a dimenare i propri tentacoli.
Potter.

Harry Potter era invecchiato. Sempre troppo magro, il volto scavato e smunto su cui risaltavano occhi verdi, inflessibili come pietre, che Draco non ricordava così intensi.
“A cosa devo il piacere?” chiese Draco.
Non sapeva molto di quello che ne era stato di Potter dopo la guerra, sapeva soltanto che occasionalmente lavorava come consulente per  gli Auror.
“Mi hanno detto che qui si ascolta della buona musica”.
Harry si mise comodamente seduto di fronte a Draco, entrambi si guardavano e i loro volti non trasmettevano nulla. Draco pensò per un attimo allo Harry Potter della sua infanzia, e non ne trovava traccia in quest’uomo sdrucito, stanco e vagamente triste che si trovava di fronte: dov’era finito tutto il suo orgoglio? Infondo, era un eroe: lui ne era uscito bene dalla guerra, aveva dimostrato di essere il campione che tutti pensavano fosse, sconfiggendo il male colle sue sole forze.
“E’ un bel locale. Raffinato ma non tracotante, semplice nel suo essere elegante, per non parlare della musica”.
Harry Potter guardava Draco dritto in faccia, e – non c’erano dubbi  - c’era un’ombra di scherno in quegli occhi falsamente dolci.
“Il miglior jazz di tutta l’Inglilterra, mi hanno detto. Sfortunatamente, non ho mai avuto il piacere di provare personalmente… mi piacerebbe venire un giorno”.
Draco capì, che nonostante l’aspetto, Harry Potter era sempre il solito ragazzino idiota che aveva conosciuto.
“Mi piace il jazz, Potter… la cosa ti crea qualche problema? Non sarai mica venuto fin qui solo per prendermi per il culo?”
“Purtroppo no, per quanto la cosa possa essere piacevole…” sorrise in modo vagamente inquietante, “ ...sono qui per lavoro”.
Draco allungò le gambe sotto il tavolo, cercando una posizione più comoda.
“Cerco informazioni su un uomo: Richard Clooney, il nome ti dice niente?”
“So chi è”.
“Come mai lo conosci?”
“E’ un cliente del locale, credo di averci parlato un paio di volte”.
Potter lo guardava intento.
“E’ stato aggredito due notti fa e sai cosa dice?”
“Come faccio a saperlo se non me lo dici?”
“Che sei stato tu ad aggredirlo”.
“Non è vero”, affermò Draco con perfetta tranquillità.
“Dov’era mercoledì sera tra le 10 e mezzanotte?”
“Qui”.
“Il locale è chiuso il mercoledì. Eri solo?”
“Già”.
“Non è un granché come alibi”, disse Harry con espressione vagamente scettica. Al che Draco sorrise senza allegria.
“Potter, io non ho bisogno di un alibi. Hai dimenticato chi sono? Il nome dei Malfoy conta ancora qualcosa in questo paese ed è la mia parola contro quella di questo… signore… che, almeno a vederlo, pareva proprio un miserabile”.
Lo sguardo di Harry si fece di ghiaccio.
“Non lascerò correre Malfoy. Clooney è stato colpito con magia oscura, è a San Murgo dove cercano in ogni modo di fargli recuperare l’uso delle gambe”.
“Spero ci riescano”, disse Malfoy del tutto impassibile. “Me lo auguro per lui. Non è mai bello vedere un uomo costretto a strisciare come un verme”, aggiunse con una nota gelida nella voce.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


capitolo 2 I bambini giocavano nel giardino, la bella casa dal tetto verde sorgeva su una collinetta e tutt’intorno c’erano prati coperti da un manto di margherite. Hermione sparecchiava la tavola, mentre Ron si faceva aiutare da Harry a montare quel curioso manufatto babbano che era un’altalena. I due uomini leggevano le istruzioni con espressioni parimenti perplesse.
“Non è cambiato di una virgola da quando era un bambino”, disse Ron, in mano un martello con cui non sapeva bene che fare. Ogni tanto tirava un colpetto all’altalena, forse sperando funzionasse come una bacchetta magica.
“E’ sempre il solito stronzo”, confermò Harry, “ma non mi torna che lo abbia fatto di persona. Non è il tipo da sporcarsi le mani, quando può permettersi di pagare qualcuno per farlo al posto suo”.
Ron guardò Harry pensieroso.
“Magari ha sviluppato una vena sadica del tutto nuova”.
Harry gli rispose con un sorriso scettico, neanche Ron pareva molto convinto di quel che diceva.
“Però hai ragione, è strano: Malfoy è, fondamentalmente, un vigliacco. Non ce lo vedo come sicario”.
Harry fece una smorfia: in qualche modo, il Malfoy che aveva rivisto il giorno prima era un’incognita. Il bambino borioso era diventato un uomo sfuggente, ambiguo, capace di avere segreti. Il solo vederlo gli faceva venir voglia di svelare quei segreti, di scavare dentro quell’uomo fino a scoprire la verità nascosta sotto il chiacchiericcio e le buone maniere.
Hermione li aveva raggiunti e si fumava una sigaretta, seduta al sole che andava oscurandosi.
“Chi avrebbe mai potuto immaginare un Malfoy a gestire un pub”, disse la donna.
“Sembra del tutto inadatto per un uomo che credeva di essere il padrone del mondo. Senza contare l’altra questione”.
“Quale altra questione?” sbottarono insieme Ron e Harry, che pendevano dalle sue labbra come al solito.
Hermione li guardò seria.
“Malfoy è gay. Non si può dire che sia stato discreto a riguardo”.
“Che cosa c’entra il fatto che sia gay, col fatto che è un criminale?” domandò Ron piccato.
“Stavo solo pensando che il mondo magico non la prese molto bene all’epoca, l’ha portato di bocca in bocca come la peggior puttana di Nocturne Alley, e Malfoy – nonostante questo – ha continuato a scopare come un riccio con chiunque gli capitasse a tiro”.
“Il che, pensandoci bene, è molto da Malfoy”, concluse Ron, “Fa quello che gli pare, senza curarsi di nessuno”.
“Le uniche persone di cui gli è mai importato veramente sono i suoi genitori”, disse Harry. “Immagino che, una volta avuto il loro appoggio, il resto non sia stato un gran problema. E’ comunque un Malfoy: il suo nome lo protegge”.
“O almeno così crede lui”, aggiunse dopo qualche secondo con una luce determinata negli occhi.
Il tempo si era guastato definitivamente, il sole era stato coperto dalle nubi e si stava rivoltando il vento. Hermione richiamò i bambini, Ron ed Harry abbandonarono l’altalena al suo destino, e tutti entrarono in casa.

Quella donna gli sgusciava via di mano con una regolarità tale da farlo dubitare della casualità della cosa. L’aveva cercata a casa sua, ed era appena uscita. Era tornato il giorno dopo e aveva scoperto che era partita, per andare a trovare degli amici in Scozia. Arrivato in Scozia, lei se n’era già andata. L’aveva seguita a Digione, in Francia, e a Roma l’aveva mancata di una settimana. Adesso Norah Banks aveva messo un oceano tra loro, era andata a New Orleans, e Harry l’aveva inseguita come un normale mago, perché la regolamentazione delle competenze territoriali degli Auror non gli consentiva di agire liberamente in territorio americano. A meno di non richiedere tutte le necessarie autorizzazioni, che ci avrebbero messo dei mesi ad arrivare, e per allora quella donna sarebbe svanita come una nuvola di fumo.
Ron ed Hermione gli avevano chiesto se era diventato pazzo tutto d’un colpo. Ad occhi inesperti, poteva sembrare un po’ ossessionato, ma Harry sapeva qual’era la verità.
Draco Malfoy aveva ragione. La parola di Richard Clooney non sarebbe bastata per incastrarlo, il buon Richard aveva un fedina penale lunga un miglio, reati contro la persona e contro il patrimonio, in gioventù aveva perfino tentato l’assalto alla Gringott. Il che, Harry lo sapeva meglio di chiunque altro, significava che non ci stava con la testa.
Aveva bisogno di un movente che collegasse Malfoy a Clooney ed il suo istinto, nonché la frequenza con cui quella donna gli sfuggiva, gli faceva pensare che Norah Banks – fidanzata di Clooney -  fosse la chiave di tutto.
Arrivò a New Orleans alle 4 del pomeriggio, faceva un caldo micidiale, occhiali da sole e maglietta a mezze maniche, Harry poteva passare per un qualsiasi turista. Se non che la zona battuta dall’uomo non era d’interesse turistico. Dopo l’uragano che aveva distrutto la città, il quartiere francese e tutte le attrazioni erano stati ricostruiti più antichi e più belli di prima, ma la periferia era degradata ed abbandonata. Tanta gente se n’era andata da quella città: dovendo ripartire da zero, aveva preferito farlo in una zona più ricca, e che magari offrisse qualche possibilità in più.
Fuori dal centro cittadino, New Orleans era una città fantasma.
Harry si ritrovò in una strada dove tutte le case parevano abbandonate, vecchie costruzioni di legno sporche e danneggiate, una senza tetto, un’altra aveva porte e finestre divelte, costeggiavano una strada dove un paio di bambini di colore giocavano a nascondino. Non era un quartiere da bianchi neanche prima di Katrina.
Proprio da una di quelle case, sentì giungere le note di Liliac Wine. Si avvicinò correndo verso la casa, formulando mentalmente un incantesimo di disillusione, e dall’enorme vetrata guardò dentro senza timore di essere visto.
Draco Malfoy suonava un piano a muro, lunghe dita sottili si muovevano con eleganza sui tasti e la donna, che non riusciva a vedere in volto, cantava con voce fumosa del male di vivere. Harry rimase immobile ad ascoltare, sentendosi come qualcuno che assiste ad una scena che avrebbe dovuto rimanere privata.
Quando la canzone finì, Draco prese due bicchieri da un vassoio e ne porse uno alla signora che era con lui. Senza dire una sola parola, come colto da un pensiero improvviso, il giovane purosangue inglese le prese la mano e, con la consumata eleganza di un lord, la baciò con rispetto e affetto.
Fu allora che Harry vide, per la prima volta, il volto di Norah Banks.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


ch3 L’irruzione degli Auror al Billie avvenne verso la mezzanotte di un venerdì sera particolarmente affollato. Harry guidava la spedizione, c’erano altri quattro maghi con lui, tutti bardati colla divisa d’ordinanza, che li qualificava come truppe scelte.
Vedendoli arrivare, Malfoy capì all’istante.
“Goyle”, disse al suo amico di vecchia data che lavorava al locale, “chiama il mio avvocato e avverti la famiglia”.
Non fece in tempo a finire la frase, che cinque bacchette gli si puntarono contro e, con espressione bellamente annoiata, Draco alzò le mani in segno di resa.
“Malfoy”, disse Harry con voce limpida e tonante, “sei in arresto per l’aggressione a Richard Clooney”.
Il locale era sprofondato nel silenzio, il tempo si era fermato, Malfoy era pallido e lo divenne ancora di più quando, rumore di sedie che si spostano, la sua gente, la gente del Billie, si mise tra lui e le forze dell’ordine.
I musicisti, la cantante, alcuni dei clienti e buona parte dei camerieri, cominciarono a contestare. Gli Auron furono ben presto costretti a puntare le bacchette tutt’intorno a loro.
“Zabini”, disse Malfoy con malcelato nervosismo, “che cazzo fai! Rinfodera quella fottuta bacchetta e voi tutti, fatevi un po’ i cazzi vostri! Non ho bisogno che un branco di perditempo si faccia arrestare insieme a me!”
La gente del Billie guardò Draco, tutti rimasero immobili senza sapere che fare. Draco andò velocemente verso Harry e con arroganza ordinò: “Usciamo di qui!”.
“Signor Malfoy!” Draco si voltò verso Jenkins, il vecchio inserviente aveva tutta l’aria di un ex pugile. In effetti, lo era. “E’ la verità? Siete stato voi?”
“Diamine Jenkins”, disse Malfoy con sufficienza, “questo è ancora tutto da dimostrare”.
Il vecchio sorrise, lo sguardo colmo di una soddisfazione inquietante.

Ron si presentò a casa di Harry la domenica mattina. L’uomo era ancora in pigiama, dopo una notte passata per lo più a fissare il soffitto, e si preparò un caffè ultra-forte sperando servisse a farlo arrivare infondo a quella giornata, che già era partita male. Ron, seduto al tavolo di cucina, leggeva il giornale con aria cupa.
Sulla prima pagina della gazzetta del profeta c’era Norah Banks, il volto deturpato, che - furibonda - perché Draco Malfoy era stato mandato ad Azkaban, raccontava a chiunque avesse voglia di ascoltarla di come era stata aggredita e sfigurata ed insultata da quel miserabile criminale che la legge riteneva una vittima. Chiunque posasse  gli occhi su quel volto non poteva rimanere indifferente al dramma di quella donna e la Banks non si vergognava di mostrarsi, colma di rabbia e di rancore, come prova vivente dell’insufficienza della legge nel proteggere gli innocenti.
Ron fissava quel volto inorridito e affascinato ad un tempo, poi gettò il giornale lontano da sé.
“Clooney meriterebbe di ricevere lo stesso trattamene che ha riservato a quella ragazza!” Affermò con furia.
“Ci ha pensato Draco”, disse Harry pacato.
“Già”.

“Ed è anche finito ad Azkaban per questo. Strano che suo padre non sia riuscito a parargli il culo.
Ma, certo, sei stato tu ad accusarlo pubblicamente. Sei persino andato ad arrestarlo di persona. Ho visto le foto sul giornale… E’ strano Harry”.
“Strano?”
“Eri in uniforme”.
Harry lo guardò stralunato.
“Andiamo! Non cercare di raggirarmi, razza di bastardo!” Ron rise, scuotendo al testa. “Hai usato tutto il tuo potere per incastrarlo. Non pensavo che lo odiassi fino a questo punto. Insomma, so che non ti è mai paiciuto, ma…”
Harry sorrise… pareva il sorriso di un morto.


La cella era piccola e spoglia, i muri sporchi, il pavimento dissestato. Draco era seduto su una sedia, in mezzo alla stanza, i vestiti che gli avevano dato le guardie erano di lana grezza, pesanti, ma non abbastanza da proteggerlo dal gelo di Azkaban.
I peggiori criminali erano stati rinchiusi là dentro, ci erano impazziti e, infine, erano morti. Quelle mura erano intrise di malvagità e pazzia, un uomo poteva ben poco contro forze così sovrastanti, e cosi Draco fece l’unica cosa che un uomo può fare quando è sull’orlo del baratro: cominciò a cantare. Melodie struggenti e dolci, melodie di coraggio e di sopravvivenza, che tenessero lontano quelle ombre che ogni tanto vedeva passare e, quando le sentiva fermarsi proprio di fronte alla sua cella, allora, anche se la voce gli tremava, cantava canzoni d’amore… e pensava al suo locale, alla sua famiglia, alla sua gente che lo aspettava al Billie.
Non sempre era sufficiente e allora si rannicchiava su se stesso, come un bambino, e cominciava a piangere, ma prima o poi le ombre si allontanavano, e allora stava in pace. Fino al loro ritorno, e allora la lotta ricominciava.
“So che sei là fuori”, disse un giorno al suo carceriere, “non fai altro che star lì a guardarmi. Lo so, anche se non ti vedo. Ti sento respirare e sento anche la tua brama… sei qui per uccidermi? Speri che io tenti di fuggire, così da potermi succhiar via il cervello?”
L’ombra fece cadere nella cella un involucro. Draco lo raccolse e vi trovò dentro del cibo, alla cui sola vista il suo stomaco cominciò a lamentarsi. Stringendo con furia le labbra in una linea sottile, e nutrendosi di sola rabbia, gettò attraverso le sbarre quell’elemosina.
“Non mi vendo per un pezzo di pane, bastardo”.
Dal muro di oscurità fuori dalla sua cella non giunse risposta, dopo un po’ sentì passi lenti che si allontanavano.

Draco Malfoy stava morendo. Giaceva ormai da giorni sulla brandina della sua cella, immobile, il volto cinereo, le labbra aride, gli occhi quasi trasparenti: il freddo di Azkaban gli era entrato dentro. Sua madre aveva ragione: quando aveva saputo che suo figlio sarebbe stato rinchiuso era andata nel panico, lei sapeva che Draco non poteva sopravvivere ad Azkaban. C’erano maghi che avevano tenuto duro per anni ed anni, alla fine non restava di loro che delle bestie fameliche, ma erano vivi almeno. Draco non sarebbe mai arrivato fino al punto di diventare una bestia, perché sarebbe morto prima.
L’uomo aveva perso le forze, i suoi momenti di lucidità si facevano sempre più radi, e gran parte del tempo lo passava nell’incoscienza. Un giorno, aprendo gli occhi, si chiese se non fosse ormai diventato pazzo. C’era l’Ombra nella sua cella e lo teneva tra le braccia, come fosse stato un bambino o un bene prezioso, e Draco toccò il volto dell' ombra e sentì che l’umidore di quel pianto era autentico e che lui non era ancora pazzo.
Harry Potter piangeva composto e silente come può farlo un uomo dalla forza straordinaria che si accorge di essere impotente. Draco pensò che avrebbe dovuto essere lui a piangere, infondo se si trovava in quella gabbia era solo colpa di Harry: di nuovo era la vittima preferita di uomini dalla volontà feroce.
“Lasciami almeno morire in pace”, gli disse in un filo di voce.
Harry Potter, il volto stravolto come nessuno gli aveva mai visto, parve colpito a morte.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 - fine ***


Lucius Malfoy mosse mari e monti e Draco fu di nuovo libero dopo sei mesi di Azkaban. Era dimagrito 20 chili e la tisi non aveva giovato al suo aspetto: al solo vederlo Nacissa Black scoppiò in lacrime e gli coprì di baci il volto, come se il suo amore potesse guarirlo. In verità poteva e lo avrebbe fatto. Mentre sua madre lo stritolava nel suo abbraccio, Draco guardò suo padre e lo vide più vecchio di quanto lo ricordasse.
“Chi suona al Billie stasera?”, chiese con voce atona.
Suo padre e sua madre lo guardarono strabiliati.
“Cosa?”
“Non avrai fatto chiudere il locale spero", Draco si rivolse a suo padre oltraggiato. “Diamine: ti avevo chiesto di occuparti della musica finché non tornavo!”
“L’ho fatto”, rispose Lucius sollevando un sopracciglio “per quanto non capisca la tua ostinazione a far carriera nella ristorazione”.
“Io non farò carriera nella ristorazione”, disse mettendo un braccio sulle spalle di sua madre, e avviandosi verso casa, “però potrei aprire una casa discografica e produrre jazz”.
Narcissa guardava suo figlio con un mezzo sorriso.
“A questo pensavi mentre stavi ad Azkaban?”
“Già”, disse Draco con sufficienza, “mi sono fatto un po’ di progetti, con tutto il tempo libero che avevo…”


Il compleanno di Draco al Billie, due mesi dopo, si candidava ad essere l'evento mondano dell'anno. Si entrava soltanto su invito e molti avrebbero fatto carte false per essere presenti. I Malfoy non avevano badato a spese: Lucius in persona era andato a prelevare la cantante dal suo rehab per portarla al locale e i medici glielo avevano permesso solo dietro solenne promessa che l’avrebbe riportata indietro sobria. Gregory Goyle fu espressamente incaricato di tenerla lontano dal bar.
Draco, pantaloni di pelle e camicia verde slyterin, pareva del tutto indifferente alla moltitudine di facce e sorrisi che gli si agitavano intorno. Aveva stillato personalmente la lista degli invitati, tutta gente che conosceva da anni, e da cui sapeva esattamente cosa aspettarsi: quello che non finiva mai di stupirlo era l’assoluta incapacità di Theodor Nott di vestirsi in maniera decente. Lo aveva intravisto al lato opposto della sala e l’assurdo accostamento di colori del suo abito gli aveva ferito gli occhi. Sua madre era al bar insieme a Norah ed era certo che quello che stavano bevendo non fosse acqua tonica.
“Sta andando bene”, gli disse Goyle avvicinandosi. Stava mangiando un panino ripieno con qualcosa dall’aspetto disgustoso.
“Cosa diavolo è quella cosa che stai mangiando?”.
“Lampredotto. Buono: vuoi un po’?”
Draco lo fulminò collo sguardo, Goyle non parve farci caso.
“Ne ho preso un po’ di più per fartelo assaggiare. E’ nel frigo sul retro. Me lo faccio arrivare direttamente dalla Toscana”.
I due si guardarono per qualche secondo, Draco abbandonò il palco da cui dominava il suo locale, e seguì Goyle sul retro.
Mangiarono panini al lampredotto seduti a un vecchio tavolo di plastica e bevendo birra ghiacciata, ascoltavano distrattamente il chiacchiericcio e la musica del jukebox che venivano dalla sala.
“Non avresti dovuto farlo”, gli disse Goyle evitando il suo sguardo, “lo avrei fatto io al tuo posto”.
Draco non rimase sorpreso della scelta dell’argomento: Goyle era sempre stato estremamente protettivo con lui. Essere un colosso di 100 chili lo faceva sentire in dovere di proteggere Draco che era più debole. Ma diamine: tutti erano deboli rispetto a Goyle.
“Lo sai che lui ti sarebbe stato addosso all’istante. E’ già successo in passato. Sta lì nascosto nell’ombra e spera solo di trovarti in una situazione di debolezza per poterne approfittare”.
Draco taceva.
“Non posso sempre nascondermi”. L’uomo si accigliò… era esattamene quello di cui lo accusava Nina. Ma si rifiutava di accettare che quella vecchia saccente avesse ragione su di lui.
“Per questo devi accettare l’aiuto dei tuoi amici. Lui è troppo pericoloso e tu non puoi permetterti simili errori”.
Era quello che aveva fatto tutto il tempo: nascondersi dietro i suoi amici per sfuggire ad un confronto da cui, tutti pensavano, non avrebbe mai potuto uscire vincitore?
Guardò Goyle come se non l’avesse mai visto.
“Grazie Goyle”, disse tetro, “sei stato illuminante”.
Il brusio delle voci si era quietato, a momenti Amy avrebbe cominciato a cantare, Draco si alzò e lasciò Goyle da solo in cucina a chiedersi cosa avesse mai detto.

La festa al Billie non era ancora finita, quando Draco se ne andò. Aveva saputo l’indirizzo di Harry Potter da Seamus Finnigan durante una sveltina nel bagno degli uomini e, prima di andarsene, non aveva mancato di salutare caldamente la consorte dell’irlandese, con Seamus lì accanto che boccheggiava.

L’esitazione di Draco davanti alla porta dell’appartamento di Harry Potter non ebbe il tempo di nascere: salire le scale fino al terzo piano, cercare l’interno giusto e suonare il campanello fu un tutt’uno.
Harry Potter venne ad aprire assonnato e in pigiama. Nel vedere Draco di fronte a sé, sgranò gli occhi e si svegliò del tutto.
Draco entrò ancor prima che Harry recuperasse l’uso della parola, si guardò intorno, pareva la casa di un artista squattrinato: disordine, polvere ovunque, libri e giornali ammassati per terra e sui divani.
“Potter”, disse freddo, “sei un disastro”.
Il volto di Harry si rabbuiò.
“Non aspettavo visite a quest’ora: non si usa più avvertire prima di piombare in casa di qualcuno nel mezzo della notte?”
“Mi stai dando lezioni di civiltà Potter?” Malfoy lo guardò canzonatorio. “Ma davvero?”
Harry si innervosì, parecchio.
“Che sei venuto a fare Malfoy?”
Draco raccolse tutto il suo coraggio: ora veniva la parte difficile.
“Mi hai dato la caccia per anni, Potter”.
Harry non smentì.
“Se avesse pensato che era solo una scopata quello che cercavi, non sarebbe stato un problema: tutti i finocchi della città hanno avuto la loro occasione con me”.
Harry fece un sorriso sbilenco.
“Stronzo”.
Draco lo ignorò.
“Ma tu non ti saresti mai accontentato. Che mi venga un colpo se capisco la tua ossessione Potter: avresti potuto avere chiunque e mettere su il tuo tanto desiderato idillio domestico. Perché proprio io, non me lo sono mai smesso di chiedere: di certo non ho l’indole della casalinga”.
“Non saprei: con un grembiule… piccolo… e niente sotto potresti perfino compensare il tuo brutto carattere”.
“Bastardo”.
Harry lo ignorò.
“Ti sei sempre sentito inferiore a me”.
Le parole di Harry rimbombarono nel silenzio di quella notte.
Draco impallidì, il terreno sotto i suoi piedi cominciò ad essere instabile.
“Per quello che è successo durante la guerra... perché ti ho salvato la vita... per qualche tua fottuta turba psichica… non lo so perché, ma è una stronzata”.
Harry lo guardava dritto negli occhi adesso, occhi tristi e sinceri.
“Non ho mai pensato che tu fossi un vigliacco”.
Draco sentì la pelle del volto bruciargli: Dio… com’erano dolci quelle parole!
“Hai sempre cercato di proteggere la tua famiglia, hai affermato la tua identità affrontando le critiche e lo scherno della gente, ti sei costruito un mondo in cui ti piace vivere: non hai niente di cui sentirti imbarazzato!”
“Vai a farti fottere Potter!” Draco si avviò di filato verso la porta. Potter aveva il potere di farlo a pezzi, distruggerlo e divorarlo. Se ne doveva andare all’istante: stava per cominciare a frignare come un idiota.
Harry si mise tra lui e la fuga. Draco avrebbe dovuto passare sul suo cadavere per uscire da quella stanza: lo guardò disperato.
“Hai protetto la tua gente e sei finito ad Azkaban per questo”, disse con decisione. “Adesso tutto il mondo sa che non sei un vigliacco”.
Draco fu colpito da un’illuminazione.
“I giornalisti… c’erano i giornalisti la notte del mio arresto… siete venuti in cinque ad arrestarmi… tu che guidavi una squadra di Auror come se aveste dovuto fermare un gigante ubriaco… e Norah già il giorno dopo del mio arresto era sulla Gazzetta…”.
Draco guardò Harry incredulo.
“Per Merlino: Potter!”
Era senza parole. Boccheggiò un paio di volte. Harry gli si avvicinò, gli prese la mano e se la portò alle labbra.
“Sono innamorato di te da molto tempo e mi piace quello che vedo quando ti guardo”.

La vanità era una trappola da cui Draco Malfoy non aveva scampo.



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Volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia storia: non è un caposaldo della letteratura percui onore al merito di quei coraggiosi^^
In particolare grazie a 
LaliaVera Lynn e antote perchè ricevere qualche commentino alimenta la mia voglia di scrivere.
Quindi grazie ragazze: siete preziose!!

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