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di feley_tah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Under pressure ***
Capitolo 3: *** Dove c'è musica ***
Capitolo 4: *** Troubles ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Quella mattina era tutto così splendente: il sole illuminava la città rendendola particolarmente allegra e bella. Dag aveva preparato la colazione e i miei genitori erano usciti presto a lavoro. Data la bella giornata scelsi di indossare quel vestitino bianco perla che mi aveva regalato mamma per il compleanno. "Vuoi un passaggio, piccola?" "No, Dag. Vado a piedi, grazie comunque" gli sorrisi e vidi che ricambiò. Il suo sorriso dolce rendeva le mie giornate meno faticose e noiose, sapevo che, una volta tornata a casa, lui mi avrebbe offerto una tazza di tè caldo e avrebbe ascoltato i racconti della mia giornata senza annoiarsi, e facendomi ridere commentando qualsiasi cosa. Lo adoravo quando faceva così. La mia vita con Dag era fantastica. Ogni volta che partiva un dolore immenso, ma quando tornava nessuno poteva dividerci e nessuno poteva togliermi il sorriso, come diceva lui. Ormai era da un mese a casa, e doveva tornare in missione a febbraio, avrei preferito lasciasse tutto ma il suo spirito patriotico non aveva fine. Quando partiva era difficile dirci addio, ma lui riusciva sempre a rassicurarmi dicendo parole dolci come “Tornerò solo per te” oppure “Quando tornerò sarò solamente tuo”. Faceva così da tre anni ormai. Era sempre tornato ma la paura era sempre tanta. Insieme a lui la vita sembrava essere più facile: avevamo superato tutto insieme, era come un padre per me. Era lui che mi aveva indirizzato alla danza, mi aveva fatto conoscere tantissime persone e mi aveva difeso da tutto e tutti. Lui era la mia vita. Lui era la persona per cui mi svegliavo la mattina e continuavo a vivere. Perderlo sarebbe stato morire dentro, sarebbe stato perdere la mia stessa vita, il motivo della mia esistenza. Una volta uscita di casa misi le cuffie alle orecchie e iniziai ad ascoltare Christina Aguilera: mi venne voglia di ballare mentre camminavo, ma mi trattenni. Margareth aveva già preparato la sala da ballo per i miei esercizi del lunedì mattina. Avevo un'ora a disposizione e iniziai subito: feci il riscaldamento e poi iniziai a perfezionare i passi della coreografia che Marie voleva preparassi per il saggio di fine anno. C'era ancora qualcosa che non mi soddisfaceva. Le avrei chiesto qualche consiglio l'indomani. L'ora passò troppo velocemente ma fui comunque contenta di essermi esercitata almeno un po', così mi preparai per la mia giornata scolastica. Arrivai a scuola in cinque minuti canticchiando la musica della coreografia, Josh mi aspettava al solito posto con Kate e Erika. Percorremmo il corridoio chiacchierando e salutando tutti quelli che conoscevamo: Mark Thomas mandò un bacio a Erika che lo guardò disgustata, io e Josh iniziammo a prenderla in giro, Georgina Allen guardò timida dalla nostra parte e la salutai gentilmente, Kevin della squadra sportiva continuò a chiedermi di uscire, gli risposi di non correre troppo con la moto nuova, George, il trombettista, sorridente mi ricordò che il professore aveva spostato la lezione in un'altra classe. Poco dopo salutai gli altri e andai alla lezione di musica del professore Higer. "Ci vediamo dopo." mi salutò Josh. Le lezioni continuavano senza fretta, in ogni caso non riuscivo ad annoiarmi. Seguivo il professore senza fatica e prendevo qualche appunto. In questo modo il tempo sembrò volare e ne fui contenta non vedendo l'ora di rientrare a casa e parlare con Dag. Incontrai gli altri miei amici alla lezione della professoressa Lorenz, letteratura era una noia per tutti tranne che per me. Non so il motivo ma adoravo il modo di scrivere di un tempo, la dolcezza dei versi, quel romanticismo che ora era svanito nel nulla e per non parlare della fantasia e delle parole così musicali. Forse era la professoressa che non andava, effettivamente sbagliò diverse volte l'analisi di qualche testo ma nessuno osava mai contraddirla. Le lezioni finirono e i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo. “Il primo giorno è andato!” esclamò Josh rilassato. “Ora rimangono tutti gli altri.- rispose Zach- non vedo l'ora sia Natale!” “Even, anche quest'anno facciamo il gruppo per scienze?” mi chiese Josh. “Io direi di si. A matematica non capivo niente” mi disse Erika. “Ok, allora facciamo lunedì e mercoledì alle 16:30? vi sta bene?” dissi. Erano gli unici giorni in cui ero libera. Martedì e giovedì avevo gli allenamenti quindi mi era impossibile e il venerdì era programmata la serata con mio fratello. “Stasera non posso. -disse Erika guardando Josh- possiamo iniziare mercoledì?” “Per me va bene.” risposi notando una strana complicità tra i due miei amici. Così decidemmo che avremmo iniziato mercoledì. Kate arrivò dopo un po' con il fiatone. “Ragazzi, novità!-disse felice di avere uno scoop da raccontare- Da domani avremmo una nuova compagna” “Speriamo sia carina.” disse Frankie, come al solito pensava solo a una cosa. “Scherzavo, ragazzi” aggiunse dopo che noi ragazze lo guardammo quasi fulminandolo. “Dicono che sia una tipa molto strana” aggiunse Zach. “E tu come lo sai?” chiese Kate stupita. “Cara, ho le mie fonti.” disse scherzando. Chissà chi era. Ero curiosa, ormai ci conoscevamo tutti a scuola e avere una nuova compagna avrebbe portato qualche piccolo cambiamento. In ogni caso l'avrei invitata al gruppo di studio e avrei fatto qualcosa per farla sentire a suo agio in quella scuola. Tra me stessa le augurai buona fortuna.

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Capitolo 2
*** Under pressure ***


Quando sono arrivata in questa città pensavo davvero che non mi sarei mai ambientata e che tutto facesse schifo. Ma ora che mi trovo qui, davanti a questa scuola, lo penso ancora di più: tutto fa assurdamente schifo. Cosa ci faccio qui? Non lo so nemmeno io. A volte mi chiedo come possa essere saltato in testa a mia madre di seguire mio padre in questa minuscola città per lavoro; eppure erano già in rotta di collisione, ormai non si parlavano quasi più e, lo penso quasi con un sorrisino di cattiveria sul volto, chissà quante donne si era già scopato mio padre nel frattempo. Crescere a Manhattan e trasferirsi qui per me è la distruzione più totale. Ho perso la mia famiglia (“ma dai, di cosa ti preoccupi, prendi un treno e puoi andare a trovarli” mi ha detto mio padre quando mi ha comunicato il trasferimento), ho perso i miei amici (“ma se ti lamenti sempre che neppure ti chiamano per uscire!”) ma soprattutto, ho perso la mia serenità. Da quando siamo qui, mi sento isolata dal resto del mondo; passo le serate affacciata alla finestra a guardare Black, il mio labrador nero, che scodinzola felice nel suo immenso giardino nuovo, e penso che solo a lui può andar bene una sistemazione simile. Perché dico questo? Beh, perché mia madre come sempre si è fatta prendere per il culo da mio padre anche nel momento della separazione. “è finita, ci trasferiamo” mi ha detto un giorno, mentre sistemavo i quadri con le foto dei miei amici nelle pareti della mia nuova camera. “Vuoi scherzare? Siamo arrivati in questa casa da neanche una settimana!” Le ho risposto, pensando volesse vedere la mia reazione. Invece non stava scherzando. Dopo due giorni, abbiamo fatto le valigie e ci siamo spostate in questa immensa casa alla periferia della città. “Non sei felice?” mi disse mio padre sorridendo beffardo. “Dista solo 10 minuti dalla tua nuova scuola, puoi raggiungerla a piedi insieme a tutti i tuoi nuovi compagni!” Vaffanculo. Me ne frego del giardino e della casa a tre piani. Me ne frego della stanza più grande di quella che avevo a Manhattan e me ne frego della scuola. Mentre noi ci rintaniamo in periferia, lui al centro città può convivere con la sua nuova fiamma, tale Angela Kingdom. Quando me l’ha presentata ed ho sentito il suo cognome sono scoppiata a ridere. Aveva fatto di mio padre il suo “regno”, portandolo lontano da noi e portandomi in questa stupida casa ed in questa ancora più stupida città. L’avrei odiata per il resto della vita. Mi siedo in un gradino dell’immensa scalinata della scuola ed accendo una sigaretta. Sentendo il fumo scendere nella mia gola mi sembra di essere quasi a casa, e mi fa pensare a quando andavo al parco insieme alla mia migliore amica, Susan, a fumare di nascosto. Avevamo solo 14 anni. Un gruppetto di ragazzi parla fitto fitto vicino a me. Uno di loro continua a lanciarmi occhiatacce insistenti. Sto per alzare il dito medio verso di lui, quando sento suonare la campanella. Mi alzo e butto il mozzicone in terra; frugo nei jeans alla ricerca del foglietto che mio padre mi ha consegnato. “Prof. Carl Anderson, ufficio 15b” Vedo che accanto alla porta sta una donna dall’aria stanca, che impugna una scopa. Mi avvicino. “Mi scusi?” Lei sembra non sentirmi. Alzo la voce. “Mi scusi?” Finalmente alza lo sguardo. “Si?” “Sto cercando il professor Carl Anderson. Mi può indicare il suo ufficio?” Lei mi squadra da testa a piedi; forse il mio abbigliamento non le piace: maglietta bianca su cui è disegnato un arcobaleno, il mio segno distintivo, e jeans con il cavallo basso. A completare il tutto, scarpe da ginnastica e una bella coda di cavallo, che raccoglie i miei lunghi capelli rossi. “Devi andare dritta e girare a sinistra in quel corridoio” Me lo indica ed io seguo il suo dito. “L’ufficio è l’ultimo a destra.” Ringrazio e la guardo mentre vado via. Percorro lentamente il corridoio ed arrivo alla porta che mio padre mi ha indicato nel suo bigliettino. Busso decisa. “Avanti” Una voce giunge ovattata dall’interno. Apro la porta e davanti a me si presentano due persone: un uomo distinto, vestito di tutto punto, cravatta ben annodata e capelli neri foltissimi. Ci scommetto le palle che si tinge. O peggio ancora, con tutti i soldi che guadagna magari si fa re-impiantare i capelli che gli sono caduti. Accanto a lui, una donna sulla cinquantina, fasciata in un tubino rosso e truccata pesantemente. Potrei scoppiare a riderle in faccia da un momento all’altro. “Buongiorno...io sono...” Lui mi interrompe. “Jeanie Emma Perkins, benvenuta” Mi porge la mano ed io gliela stringo delicatamente. “Piacere” “Lei è la professoressa Christine Lorenz, la docente delle materie letterarie della sua classe” Guardo la donna che mi sta stringendo la mano e rabbrividisco. Mi ha preso di mira, lo sento. Il professor Anderson ci accompagna alla porta. “Ora sono molto impegnato, ma può venire nel mio ufficio per una chiacchierata alla fine delle lezioni, alle ore 12. La aspetto.” La porta si chiude dietro le nostre spalle ed io guardo la professoressa, che ora mi sta squadrando come se fossi un verme. “Ho visto dal suo piano di studi che ha scelto le materie letterarie. La classe è la 7c. Esca dal corridoio e si diriga a sinistra. A più tardi.” Anche lei si allontana ancheggiando. Che schifo. Torno nell’atrio principale e, come se mi avessero catapultata in una realtà diversa dalla mia, mi accorgo che tutte le ragazze che si dirigono nelle aule sono vestite elegantemente e mi guardano male. Cercando di sfuggire al loro sguardo mi faccio largo tra la gente, fino a trovare l’aula 7c. Entro e mi accorgo che gran parte dei posti sono già occupati. Mi avvicino ad una sedia vuota. “No, questa è occupata” Mi dice una ragazza dai capelli biondi e ricci guardandomi con aria di sfida. Mi sposto nell’altra sedia, e un'altra ragazza mi dice la stessa cosa. Alla fine, mi siedo infondo all’aula sbuffando. Mi accorgo che dalla parte opposta alla mia è seduto quel ragazzo che mi guardava insistentemente fuori dalla scuola. Prendo gli occhiali dalla borsa e ne pulisco le lenti con un panno. “Psssstt!!” Alzo gli occhi ma non vedo nessuno. Torno a pulire gli occhiali. “Ehi tu!” Rialzo gli occhi e capisco che quel ragazzo mi sta chiamando. “Sai che sei veramente molto figa? Hai da fare stasera? Ti porto a vedere la mia collezione di film!” Lo guardo con aria di sufficienza, mentre i suoi amici ridono. “Sai che sei veramente molto cretino? Torna a menarti il tuo passerotto e non rompere le palle” Gli amici lo sfottono mentre io mi giro dall’altra parte. In quel momento entra la professoressa che mi ha lasciato nel corridoio. Tutti si zittiscono. “Buongiorno a tutti e buon inizio d’anno scolastico.” Dal fondo dell’aula dove sono seduta giungono mormorii ed imprecazioni non ben distinte. La professoressa finge di non sentire e prende il registro. “Quest’anno abbiamo una nuova ragazza nella nostra classe. Jeanie Emma Perkins. Presentati pure alla classe. Da dove vieni?” Mi chiede acidamente. “Vengo da Manhattan.” Rispondo altrettanto acidamente. “Qual era la tua media nella vecchia scuola?” Ci penso su. “Avevo una media di 8/10 professoressa. Sono molto portata per le materie letterarie.” Lei alza verso di me i suoi occhi, che fino a quel momento erano stati rivolti al registro su cui stava scrivendo. “Benissimo! Quindi sicuramente mi sai dire qual è il poeta che ha scritto “Ode to the west wind” nei primi anni dell’800” Mi chiede con aria di sfida. “Naturalmente. È uno dei componimenti più famosi di Percy Bysshe Shelley. Vuole che le dica anche i primi versi?” Spero mi dica di no, perché so di non conoscerli. “No, può andare. Vedremo se lei è veramente così brava come sembra. Aprite i libri a pagina 40, iniziamo un breve ripasso della vita di Shelley.” Abbassa lo sguardo stizzita, ed io sono cosciente di essermi giocata la sua simpatia con le mie uscite acide. Sarà un anno infernale. Mi fanno seguire sul libro insieme ad una ragazza vestita in stile country; mi dice di chiamarsi Georgina Allen, e mi chiede com’è Manhattan. Alzo le spalle e non mi preoccupo troppo di risponderle. Il mio cellulare vibra ed io metto la mano nella tasca. Lo prendo lentamente senza farmi vedere. Fortuna vuole che davanti a me sia seduto un ragazzo massiccio come una montagna. In seguito Georgina mi informa che si tratta di Mark Thomas, ed è da anni perdutamente innamorato di una loro compagna, Erika Miller. Me la indica e la osservo per qualche minuto: è la classica ragazza molto bella, vestita da testa a piedi con capi firmati. Sento che io e lei non avremo mai nessun rapporto. Il messaggio è di mia madre. “In boca a lupo” Recita sgrammaticato. È sempre la solita. Si vanta di saper scrivere un sms con le amiche, ma non si rende conto degli assurdi sbagli che commette. Durante la pausa, Georgina mi dice che non ha molti amici in quella classe, perché tutti si prendono gioco di lei per via del suo aspetto e del suo modo bizzarro di vestire. Le consiglio di cambiare la camicia a quadretti e mi chiedo se non abbia scambiato il suo armadio col cassetto delle tovaglie, e lei arrossisce. Mi chiede se voglio andare a studiare con lei in biblioteca, ed io le rispondo che ho già preso impegni per quella sera. Sola si, ma non ho bisogno di un cagnolino in forma umana. “Vedi quella ragazza?” Mi indica una tipa alta, dal corpo sinuoso. Annuisco. “è la più brava della classe ed è amica di tutti...è una ballerina...si chiama Even Febrey..” Guardo il mio quaderno degli appunti. Georgina mi fissa. “Che c’è?” Le chiedo quasi scocciata. “Prima, quando sono stata ai bagni...ho sentito dire da Richard che...beh insomma, che sei gay” La guardo e scoppio a ridere. “Scusa? Chi è Richard?” Lei me lo indica senza farsi vedere, ed arrossisce. È il ragazzetto che mi fissava e che mi ha chiesto di andare a vedere la sua collezione di film. Mi avvicino a lei. “Beh prima di provare il suo minuscolo arnese mi farei suora,non prima di aver convinto la sua ragazza a passare all’altra sponda...e non sto a spiegarti come.” Georgina mi guarda sconvolta e poi si volta, rossa in viso come un peperone. E che vada pure a dirlo a quel coglione. La lezione trascorre noiosamente e quando suona la campana mi dirigo dritta al mio armadietto per prendere lo zaino e tornare a casa. Armeggio con la serratura a combinazione, che non ne vuole sapere di aprirsi. Rimetto la combinazione, ma neanche questa volta riesco. Poi, quando sto per perdere la pazienza, una ragazza si avvicina a me. “Aspetta! Così finirai per rompere tutto! Guarda eh.” Spinge leggermente la porta dell’armadietto all’interno e mi invita a rimettere la combinazione che ho scelto. L’anta si apre come per magia. “Ah ecco” Mi volto solo in quel momento a guardarla e riconosco la ballerina. “Tu sei quella nuova vero?” Mi chiede stringendo in mano il libro di matematica. “Si...e tu sei la ballerina vero? Georgina ha passato mezz’ora a parlarmi di te” Lei ride allegramente. “Georgina ha un’adorazione per chiunque le mostri affetto anche solo per cinque minuti...è sempre sola. Vedrai, ora che le siedi accanto non ti lascerà neppure per un secondo! Comunque, io sono Even” mi porge la mano: è curata e smaltata alla perfezione. La stringo delicatamente. “Abbiamo formato un gruppo di studio per le materie scientifiche...se ti va di partecipare, l’appuntamento è ogni lunedì ed ogni mercoledì dalle 16:30 alle 20 a casa mia. In questo bigliettino ti ho appuntato l’indirizzo.” Lo prendo dalle sue mani e mi accorgo che è la stessa via di casa mia. “Abito pochi isolati più avanti” Le confesso. “Bene! Allora se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere. Penso ti servano delle fotocopie degli esercizi di fisica. A meno che Georgina non ti abbia prestato il suo libro” Sorride. “No...veramente no. Mi farebbe davvero comodo avere alcune fotocopie.” Lei pensa per qualche secondo. “Senti, perché non passi da me stasera intorno alle 19? Ti direi prima, ma ho lezione di danza. Così puoi prendere il mio libro per fare delle fotocopie.” Annuisco, stupendomi di tanta gentilezza. “Ok...Even” Lei deposita i libri qualche armadietto dopo il mio e prende una enorme borsa da cui pendono delle scarpette da ballo. “Allora a stasera...Jeanie giusto?” Le sorrido. “Si ma gli amici mi chiamano Jean.” Arrossisco nell’aver dato per scontato che lei mi fosse amica, ma Even sembra non accorgersene e dopo avermi salutata corre via. Che strana ragazza. Torno a casa e per tutto il tragitto penso che in quella classe non sarò mai amica di nessuno.

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Capitolo 3
*** Dove c'è musica ***


La lezione di Marie del martedì fu veramente divertente; ci propose una coreografia su una canzone di Christina Aguilera, Fighter, e l'introduzione era mia e di Bryan che doveva accompagnarmi e aiutarmi in salti e sollevamenti. Poi iniziava la coreografia di gruppo. I passi che avevamo imparato quella sera erano semplici ma carichi di energia. Sorridere mentre si balla non era tanto facile ma ormai ci ero abituata. Quando tornai a casa, Dag mi preparò una tazza di the e poi mi aiutò a fare i compiti perché si annoiava. Verso le sette suonò il campanello. “Sono Jeanie Perkins, c'è Even?”sentii. “Dag, è una mia compagna” urlai mentre mi alzavo dal divano “Vieni Jeanie. Quello è mio fratello Dag.” lo guardò diffidente, forse imbarazzata. Dag, come suo solito, le rivolse un sorriso gentile. Jeanie rimase un po' a parlare: mi raccontò un po' di lei e della sua vita a Manhatthan. Era così diversa da quella che avrebbe vissuto qua. “Vedrai, ti abituerai presto a tutto questo. Anzi, perché non ti unisci a noi sabato sera? Andiamo in un locale, ci divertiremo e conoscerai altre persone!” le proposi, lei accettò un po' timida. Il giorno dopo lo dissi agli altri. “Quella ci rovinerà la reputazione!” disse Kate. Frankie le mise un braccio intorno alle spalle e la rassicurò dicendole che in realtà la sua reputazione sarebbe migliorata dato che avrebbe aiutato la ragazza nuova della scuola. Mentre i due discutevano Josh mi chiese quando l'avessi invitata e perché. “E' passata a casa ieri per il libro di fisica e abbiamo parlato un poco. Ho immaginato che avesse voglia di conoscere qualcuno e l'ho invitata. Perché? Qualcosa non va?” risposi. “No, è solo che...” sembrava in imbarazzo. Forse voleva parlarmi di Erika. “Tu e Erika state insieme?” gli chiesi senza indugio. Lui mi guardò stupito e confessò esitando. “Stiamo cercando di conoscerci meglio.” mi guardò aspettandosi chissà cosa. “Sono contenta, ma perché non me ne hai parlato? Ci diciamo sempre tutto noi due.” “Ecco....Erika ha paura che tu...insomma...tu sia...” iniziai a pensare che fosse balbuziente. “Che fossi gelosa? Ma quando mai! Erika!- la chiamai e mi diressi verso di lei - Non ho alcun problema se tu e Josh state insieme, anzi ne sono contenta. E non pensare mai più io sia gelosa!”. Erika guardò Josh, mi abbracciò ringraziandomi poi gli strinse la mano, erano così carini insieme. Non avevo mai pensato che sarebbe finita così: Erika e Josh. Mi veniva da sorridere al pensiero di loro due insieme. Come lo dissi a Dag non ci credeva, non ci avrebbe mai scommesso, però sperava durasse, come me. Durante la settimana Josh e Erika non nascosero più la loro relazione e nonostante Josh e io non parlassimo più come un tempo, ne ero contenta. D'altra parte notai che Jeanie stava tentando di avvicinarsi a noi di sua spontanea volontà. Non era una tipa loquace ma forse era solo il fatto che non si era abituata ancora alla nostra città e al nostro liceo. Frequentavamo qualche lezione insieme e durante queste cercavo sempre di conoscerla un po' di più: aveva capito che le piaceva la musica e che quando era nervosa fumava molto di più. Molto spesso rispondeva acida alle mie domande, a volte non rispondeva proprio. Io non insistevo, ma rispondevo a tutte le sue domande, sembrava interessata a quello che si poteva fare in questa cittadina- ed era veramente poco. Venne anche al nostro incontro di mercoledì quella prima settimana di scuola, e rimase in silenzio sbirciando ogni tanto nel mio quaderno per vedere cosa il professore avesse spiegato fino ad allora. Pensavo non si fosse ancora ambientata, non vedevo l'ora che arrivasse sabato per vederla più tranquilla e meno tesa. Si sarebbe divertita. Le diedi appuntamento a casa verso le nove di sera e si presentò puntualissima. Prima di uscire Dag mi fermò per avvisarmi che sarebbe venuto anche lui al Rino's. “Ti devo presentare una persona. È un mio vecchio amico, sta studiando tossicologia e farà tirocinio con papà.” mi avvisò “Quindi ci vediamo lì, ok?” mi fece l'occhiolino. Il Rino's era poco distante dalla scuola: il proprietario aveva origini italiane e amava vedere noi giovani nel suo locale, così il sabato organizzava qualche serata a tema solo per noi. Quel sabato aveva organizzato una festa per l'inizio della scuola. Era il suo modo per dirci buona fortuna. Rino ci accolse con un grande sorriso, poi mi abbracciò forte: mi conosceva da quando ero piccola ed era un grande amico di mio padre. “Questa è una tua amica? Sei nuova?” si rivolse a Jeanie sorridente, come faceva con tutti noi. “Si.” rispose fredda mentre si guardava intorno. Iniziai a pensare che stesse osservando il posto per poi farci una rapina. “Allora per te, stasera, offre la casa!” disse Rino. Lei rispose con un gelido “mhmh”. Rino mi indicò il tavolo dove Josh e Erika erano seduti. Li raggiungemmo dopo averlo salutato. Pian piano arrivarono tutti, il locale si riempì di giovani. Era veramente bello rivederci tutti lì. Da lontano vidi Zach e Frankie e feci loro un cenno per raggiungerci; Kate arrivò con un ragazzo, il quaterback della squadra di football della scuola, con cui passò tutta la serata. Iniziammo a parlare e Jeanie ogni tanto commentava i nostri discorsi. A un certo punto cominciò a discutere con Josh su dei gruppi rock che conoscevo a malapena. Avevano almeno qualcosa di cui parlare. Iniziò anche la musica e qualche ragazzo sulla pista iniziò a ballare senza vergogna. “Dai, Jeanie! Andiamo a ballare!” le dissi. Mi guardò come se volesse uccidermi. “Io non ballo” disse scandendo bene la parole. “E' divertente! Almeno provaci.” insistetti. “Io non ballo!” ripetè con un tono serissimo e quello sguardo che iniziava a farmi paura. “Allora posso invitare io questa bella signorina?” domandò un ragazzo che si avvicinò a noi. Era Bryan. Jeanie mi fece cenno di andare via, in modo un po' scorbutico. Io e il mio amico iniziammo a ballare sulle note di Boys and girls di Pixie Lott. Sulla pista c'erano tutti i miei compagni di ballo, ma non vedevo Alexandra. Dove si era cacciata quella pazza? “Ora una canzone a richiesta per il gruppo di Alex!” disse il dj. La pista si sgombrò lasciando spazio a noi ballerini, Alex aveva chiesto a Chris, il dj, di mettere I got a rhythm, una traccia della colonna sonora del film Take the lead. Era una delle musiche su cui avevamo ballato al saggio dell'anno precedente. Ci scatenammo, era bellissimo ballare con loro anche fuori dalla scuola. Alla fine tutti ci applaudirono e noi ringraziammo con un inchino. Vidi mio fratello guardarmi dal bordo della pista e applaudire. Gli andai incontro. “Even, questo è Justin, l'amico di cui ti ho parlato.” mi porse la mano. Aveva capelli castano scuro e occhi chiarissimi. Mi fece tenerezza, aveva un sorriso così dolce. “Balli veramente bene” disse. “Tu non balli?” gli chiesi. “Oh, no. Meglio di no.” gli sorrisi e prendendolo per mano lo condussi in pista. Chiesi a Chris di mettere un pezzo lento in modo che Justin si sentisse a suo agio. “I passi sono semplici. Uno, due, tre. Ok?” “Ok.” disse. Era un lento e riuscì a condurre il ballo splendidamente. Mi complimentai con lui. “Devo confessarti che i balli da sala solo gli unici che so fare.” disse. “Anche tango?” chiesi. Se sapeva fare quello allora era bravo seriamente. “Non dirlo a nessuno.” ridemmo entrambi. Mentre ballavamo notai Alex parlare con Jeanie, che era visibilmente nervosa. Teneva la sigaretta in mano e parlava, non poteva fumare dentro il locale. Non potevo neanche immaginare quanto soffriva nel non poter accendere quella sigaretta. Chissà di che parlavano. Come finì il ballo e salutai Dag e Justin, mi avvicinai al tavolino. Jeanie disse che andava fuori a fumare, io e Alex parlammo un po'. “Simpatica la tua nuova compagna.” disse. Rimasi sorpresa. “Alex, non puoi sapere se lei....” lasciai la frase in sospeso sapendo che lei avrebbe capito. “Già, chi può mai saperlo.” disse sorridendo e poi tornò a ballare. Alex era fatta così, lei ci provava, se la persona ci stava, aveva fatto centro. “Even, se son rose fioriranno” diceva sempre. Ormai l'avevo accettata per come era, ma avevo un po' di paura per Jeanie, magari lei non avrebbe mai sopportato una cosa del genere. Non la conoscevo abbastanza per sapere che ne pensava, ma questi pensieri non mi rovinarono la serata. Nelle settimane successive io e Jeanie andavamo a scuola insieme e spesso passava la sera da me per studiare e ormai faceva parte del gruppo. Georgina insisteva a sedersi con lei almeno per l'ora di letteratura e la mia amica non ne poteva veramente più, ma riusciva a sopportarla. Capii anche che c'era qualcosa che Jeanie mi nascondeva: ogni volta che si parlava di incontrare Alex al Rino's o per qualche uscita lei prendeva una sigaretta e fumava. A volte anche tre sigarette di seguito. Ogni tanto la stuzzicavo con battutine su Alex e lei mi rispondeva sgarbata che la dovevo smettere. “La tua camera puzza di candele profumate. Puah!” disse mentre era nella mia camera. Avevo l'abitudine di rilassarmi con candele profumate o incensi dopo le lezioni di ballo. E quella sera avevo veramente esagerato. “Tu puzzi di fumo. Soprattutto quando si parla di Alex.” risposi guardandola. Lei cambiò subito argomento. Cavoli! Nonostante ormai fossimo amiche, non voleva proprio parlarne. Avevo qualche dubbio ma preferivo fosse lei a darmi la conferma. Così lasciai scorrere, continuando a stuzzicarla.

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Capitolo 4
*** Troubles ***


Questa deve essere la giornata dei pianti. Cristo! Se non fosse mia madre l’avrei già presa e sbattuta al muro. Mi guarda con quell’aria da agnello immolato e sofferente, mentre spera di convincermi con assurdi ragionamenti che la mia condizione è assolutamente negativa. Di cosa parlo? Sono gay. Lo sono forse da tutta la vita, forse lo sono diventata, ma una cosa è certa: mi piacciono le donne. La mia famiglia ne è a conoscenza ormai da anni, e non sto a spiegarvi come l’abbiano scoperto, è già abbastanza imbarazzante di per se; lascio alla vostra immaginazione. Ricordo mio padre che mi sorrideva e mi accarezzava i capelli come se fossi stata un cagnolino, mia madre che piangeva e mia sorella, Violet, che mi guardava con aria indifferente. Eh si, ho anche una sorella, come sicuramente avrete capito. È maggiore di me di sette anni, è sposata con un ragazzo meraviglioso, Joshua, ed ha una bambina di 3 anni, Emily. La mia nipotina è affetta dalla sindrome di down, è seguita costantemente da una tata che vive a casa di mia sorella. Ha 60 anni e il brutto vizio di spruzzarsi addosso troppo profumo; in poche parole, quando passa lei, svieni. Ma torniamo a mia madre, che sta piangendo ormai da un’ora. I suoi singhiozzi mi stanno innervosendo. “Avanti mamma, piantala...” Le dico, preparandomi un toast al burro d’arachidi mentre fumo una sigaretta; se mi vedesse Even, penso mi ammazzerebbe all’istante. “Come puoi farmi una cosa simile! Non vedi quanti ragazzi vengono a cercarti?” La guardo perplessa e scoppio a ridere. “Ma chi, Richard? Quello è solo uno scassa cazzo” Mia madre mi guarda severamente. “Parla bene! Ti ho educata in questo modo?” Non la degno di uno sguardo. Per mio padre si è ridotta in questo stato, seguendolo qui e sperando di far funzionare la loro storia nuovamente. Invece ora lui sta comodamente con la sua nuova fiamma, mentre io mi devo subire la nenia giornaliera di questa donna di mezza età in menopausa precoce. Metto il panino nello zaino e guardo l’ora. “Io esco. Non aspettarmi sveglia. Vado a dormire da un’amica.” Continua a piangere. Meglio che esca prima che cominci ad urlarmi contro che non andrò mai in paradiso se faccio sesso con le donne. Fuori dalla porta mi aspettano Even ed Erika. “Ragazze...buongiorno” dico sbadigliando. Even mi prende a braccetto. “Buongiorno Jeanie! Com’è iniziata la tua giornata oggi?” Lei è sempre di buonumore, a differenza di qualunque altra persona al mondo, che la mattina non ha mai voglia di parlare con nessuno e guarda tutti in cagnesco. Questa sono io oggi. Erika mi squadra. “Sei nervosa?” La guardo attentamente. “Secondo te? Sono mai stata una persona calma da che mi conosci?” lei sorride ma non risponde. Ormai tutti sanno che ho un carattere molto particolare. “Chi c’è oggi? E soprattutto...dove mi portate?” Mi avevano proposto una giornata di shopping per quel sabato, ma che io sapessi non c’erano enormi centri commerciali in questa città. “Solito gruppo, Jean...ci sono i gemelli ed anche Alexandra....” Mi blocco in mezzo al marciapiede mentre Erika ed Even continuano a camminare; poi Ev si accorge che io non le sto seguendo. “Mi fai parlare a vuoto?! Che ti prende?” La guardo senza parlare poi abbasso lo sguardo a terra. Lei mi prende a braccetto e continua a camminare, quasi trascinandomi. Devo trovare qualche scusa e darmela a gambe! Vediamo...mia madre deve fare una torta per il compleanno di mio padre ed ha bisogno di me? No, non regge, i miei sono separati. Il mio pesce rosso è in coma ed ha bisogno di un respiratore artificiale che posso fare solo io servendomi di una cannuccia? Ok, questa è una emerita cazzata. Sono fottuta. Seguo riluttante Even fino al centro cittadino, dove mi stupisco di vedere tanti negozi intorno a noi. Bene, qualcosa di positivo esiste! A parte i miei amici, è logico. Tutti ci stanno aspettando. Erika quasi vola verso Josh da quanto è felice di vederlo. Storco il naso...l’amore...che schifo! Saluto tutti con un cenno della mano e li ascolto parlare. Poi noto che non c’è Alex e decido di agire: tiro Ev per un braccio. “Ehi Ev!” lei mi guarda. “Che succede?” Cerco di assumere l’aria più seria in assoluto, poi sparo la cazzata peggiore che avessi mai potuto pensare. “Il mio pesce rosso sta morendo. Non posso lasciar soli i suoi genitori in questo momento di lutto così doloroso.” Even mi guarda sbarrando gli occhi. “Non sapevo che la presenza di Alex ti facesse perdere la testa in questo modo” mi dice laconica facendomi l’occhiolino. Arrossisco violentemente ed Even ride. Cristo santo!! Se capisce che Alex per me è un punto debole, non mi darà vita facile e continuerà a perseguitarmi. In quel momento sento una voce dietro di noi. “Ciao ragazze!” Mi volto ed incontro i suoi meravigliosi occhi azzurri ed il suo sorriso disarmante. Se l’avessi incontrata a Manhattan, avrei sicuramente detto alle amiche del mio vecchio gruppo che quella ragazza mi faceva salire il sangue al cervello; in poche e semplicissime parole, alquanto volgari, avrei detto che sarei volentieri saltata addosso ad Alex. Ma ora sono qui, e guardandola non posso far altro che pensare che vorrei baciarla. Ma che cazzo dici Jean!! Non sai neppure se è lesbica o meno! Lei mi guarda. “Ciao Jeanie...stai benissimo con questa pettinatura!” Avevo deciso di fare una bella coda alta, alla cui base avevo appuntato una rosa con charms arcobaleno. “Emh...grazie...” Even mi trascina via guardandomi perplessa ed entriamo nel centro commerciale. Le ragazze hanno addocchiato un negozio d’abbigliamento etnico e ci convincono a visitarlo per primo. Le seguo mentre lanciano gridolini entusiasti nel vedere gonne inguinali e magliette che lasciano ben poco all’immaginazione maschile. Sono in imbarazzo. Il negozio è grande. Una commessa si avvicina. “Posso esservi d’aiuto?” La ringraziamo dopo aver rifiutato e continuiamo a dare uno sguardo. In una mensola ripiena di maglioni, vedo appeso un cartello bianco con la scritta

MENSOLA INSTABILE. NON APPOGGIARSI.

“Attenzione a quel cartello...” Lo indico alle ragazze che quasi non mi guardano. Peggio per loro; se la faranno cadere, farò finta di non conoscerle. Raggiungo Even, che a differenza delle altre sta studiando attentamente un bel paio di jeans comodi e alla moda. Si volta e me li mostra. “Bianchi o neri?” La guardo, cercando di immaginarglieli addosso. “Penso ti stiano bene entrambi...” Lei li studia ancora per qualche minuto, poi prende quelli neri. “Per ora prendo questi...tu non prendi nulla?” Mi guardo intorno, quasi schifata. Even prende un cappello da una mensola. “Guarda Jean! Ti sta a meraviglia!!” Me lo mette sulla testa e mi trascina di fronte allo specchio. “Ev. è una cagata pazzesca!” Me lo tolgo e lo butto sopra altri cappelli, mentre Even guarda la commessa li vicina in maniera imbarazzata e mi trascina via. “Nessuno ti ha insegnato ad esprimere i pareri a bassa voce?” Mi rimprovera. “Quando le cose sono cagate allucinanti no! E poi è meglio che lei l’abbia saputo da una cliente no? Almeno cambia fornitore!” Even scuote la testa e si allontana. Vago per il negozio con aria disperata, senza vedere nulla che non mi sembri terribilmente ridicolo. Poi vedo un espositore pieno di gilet. Mi avvicino e sorrido: quasi la metà del mio guardaroba ne è pieno. Eppure manca ancora quello viola. Cerco disperata sperando di trovarne uno della mia taglia. “Anche tu amante dei gilet?” Alzo la testa di scatto mentre sento un brivido. Alex è vicino a me e mi guarda sorridendo. “Mhmh...” Torno a controllare senza darle troppa importanza, sebbene muoia dalla voglia di parlarle e conoscerla. Ma a quanto pare, non ha intenzione di allontanarsi. “Penso che questo ti starebbe benissimo, non trovi?” Mi mostra un gilet nero meraviglioso. Lo prendo in mano e lo guardo. “Si...mi piace...grazie Alex...” lei mi sorride. “Te ne intendi di cappelli? Abbiamo uno spettacolo tra due mesi e devo comprare un cappello, ma non ho idea di come prenderlo!” Vado insieme a lei vicino all’espositore circolare, e mentre li prova, parliamo del più e del meno. È davvero simpatica, e soprattutto sembra essere bene informata su tutto quello che le succede intorno, politica compresa. Mi racconta della sua famiglia, della sua passione per il ballo. La ascolto rapita dai suoi occhi, interessata ad ogni sua parola. “E tu? Sei così misteriosa...per tutti! Raccontami qualcosa di te...” Mi chiede sorridendo. Cerco di assumere un’aria più distaccata possibile. “Non ho una vita molto interessante...” Quelle parole sono il principio di qualcosa di irreparabile che succede proprio in quel momento: disattenta e concentrata su Alex, mi appoggio con il gomito alla mensola instabile, che cade rovinosamente; e con essa, la miriade di maglioncini che vi è poggiata sopra. Guardo inorridita il disastro che ho combinato. Tutti mi guardano, non solo i miei amici, ma anche il resto della clientela del negozio. Aiuto la commessa che è accorsa disperata a rimettere apposto, e lei mi ringrazia, ma dalla faccia è incazzata come una iena. La mensola ora è inutilizzabile, e lei dovrà cercare un altro posto dove mettere i suoi maglioncini color confetto. Esco desolata dal negozio, mentre i miei amici ridono divertiti, soprattutto i ragazzi. Alex si avvicina e mi tocca una spalla. “Sono cose che succedono, non prendertela!” Non le rispondo, pensando imbarazzata alla tremenda figura di merda che ho fatto davanti alla ragazza che mi piace.

** “E dai Jean! Non prenderla così!” Even cerca di tirarmi su il morale. Non ho quasi mangiato al pensiero di essermi rovinata la reputazione proprio con Alex! “Che figura di merda!” Dico aprendo la finestra ed accendendo una sigaretta. Even mi guarda incrociando le braccia. “Cosa ti dà più fastidio, aver fatto una figura di merda davanti ai tuoi amici, o davanti ad Alexandra?” A quelle parole inizio a fumare più velocemente del solito ed appena finita la prima ne prendo subito un’altra. “Alex ti ha raccontato qualcosa di lei?” La guardo ancora. “Si...mi ha parlato della sua famiglia e del ballo...e di altre cose...” Il ricordo della nostra chiacchierata mi fa spuntare un sorriso. “Ti avrà anche detto che è omosessuale...no? lo dice a tutti!” Il mio sorriso si spegne e guardo Even sconvolta. “Che cazz...cosa hai detto?” Lei ride, ed io mi pento di aver dato importanza alle sue parole. “E si...non te l’ha detto?” Non le rispondo e prendo un'altra sigaretta. Even mi sequestra il pacchetto. “Basta! Hai quasi finito un pacchetto! A letto ora...su su...” Spengo la sigaretta e la butto fuori. Lei accende degli incensi mentre ci mettiamo sotto le coperte. “Che puzza! Ma che diavolo è?” Le chiedo tappandomi il naso. “Gelsomino e zenzero...buono eh?” Si mette sotto le coperte e prende un libro. Io mi stendo e chiudo gli occhi. “Dormi Jean?” Mi domanda guardandomi. “No...non dormo...ma tra poco lo farò...” Le rispondo pensierosa. “Buonanotte allora...e...sogni d’Alex...emh volevo dire d’oro!” Apro di scatto gli occhi e le tiro il primo cuscino che mi capita di fianco, a forma floreale. Lei ride. “Vuoi la guerra?” Iniziamo una battaglia di cuscini che sarebbe stata senza fine, se Dag non fosse venuto ad interromperci ricordandoci che ormai erano passate le quattro di notte.

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