Attenzione!
La storia che vi apprestate a leggere è legata alla raccolta
di _Dracarys_
ossia Tales of the Golden Age – back to basic di cui vi
consiglio di dare una
occhiata sia perché merita ma anche per comprendere al
meglio questa mia storia
(si può leggere anche così volendo). Altra
premessa forse chi ha dimestichezza
con l’universo di D&D conoscerà la razza
degli illithid. Ebbene, io li ho
pesantemente rivisitati e ci ho messo di mio, tanto che non mi sembrava
idoneo
mettere la dicitura crossover in quanto, ormai da un ventennio, questa
razza è
divenuta come creta nelle mani di molti scrittori e disegnatori. Non mi
resta
che augurarvi buona lettura!
Dicono
che ci sia un tempo per tutto.
Un
tempo per amare. Un tempo per avere figli. Un tempo per crescere e
prendere
decisioni importanti. E poi esiste il tempo della vendetta, sebbene
quest’ultimo tempo alle volte può possedere tempi
di attesa fin troppo
variabili. A volte decadi, altre volte invece… mai.
Kozmotis
Pitchiner non aveva mai coltivato l’ideale della vendetta e
dei suoi poco
fruttuosi risvolti, da sempre legato ad ideali di giustizia che
incarnavano una
purezza ormai d’altri tempi, ma ci sono casi in cui
effettivamente il giovane
soldato poteva anche comprendere il motivo che spinge un uomo a
desiderare il
sangue dei propri nemici. Una famiglia che si spezza ad esempio
è sempre un
evento che non può essere ignorato o minimamente arginato da
un qualsiasi
ideologia buonista, e vedere in battaglia i suoi uomini distrutti dalla
morte
di un amico o di un familiare lo aveva portato spesso a non commentare
sulla
loro eccessiva violenza e sete di sangue sui nemici presenti in
trincea. L’High
General of the Galaxies, il signore dell’armata dorata e
pupazzo nelle mani dei
grassi e pomposi signori delle costellazioni, aveva il suo ben donde di
desiderare che la lunga guerra di logoramento che da anni sfiancava
quella
fetta di universo avesse ormai il suo declino definitivo. Il generale
camminava, respirava, dava persino ordini ai suoi uomini impegnati in
una
guerra senza fine contro nemici ostici e orribili, ma non si poteva
certo dire
che fosse propriamente entusiasta di come stessero andando le cose.
Mister
Kozmotis aveva lasciato a casa moglie e figlia da ormai qualche anno a
causa
dei dream pirates – un nome piuttosto dolce per delle
aberrazioni fatte d’ombra
e icore – e se la guerra contro quelle bestiacce continuava a
prolungarsi,
molto probabilmente non avrebbe mai visto sua figlia crescere per
davvero. La
prossima volta che sarebbe tornato a casa era alquanto verosimile che
la sua
adorata Emily Jane avrebbe sfoggiato il fisico prematuro di una giovane
donna,
anziché quello di una bambina ancora piccola…
sempre che ci sarebbe stata una
prossima volta.
Aveva
deciso di diventare un soldato per proteggere coloro che amava,
così come molti
altri individui che si erano arruolati per medesimo motivo, ma
più andava
avanti e più cresceva in lui una angoscia che da ragazzo
decisamente non aveva
mai sperimentato. Forse complice la leggerezza di quegli anni, solo
ora, che su
di se aveva tutto il peso di condurre sul campo di battaglia le armate
provenienti da ogni quadrante stellare in mano a nobili famiglie solo
per
titolo e non per animo, avvertiva il sentore di ombre troppo scure
strisciare
sul suo animo troppo chiaro per comprenderle appieno.
Attualmente
la situazione al fronte non era esattamente delle più rosee,
e per quanto
questa guerra contro un nemico ignoto ai più – ma
talmente aggressivo da
divorare interi mondi spinto da una rabbia quasi ancestrale –
si fosse
alternata come le maree che si infrangono su di una costa sempre
più martoriata
era ormai noto a tutti che non bastava mandare semplicemente al macello
uomini
valorosi per vedere all’orizzonte una possibile vittoria.
Andava
cambiata strategia, ma mai come in quel giorno al gran generale non
piacque
dover obbedire agli ordini del re in persona. Una persona onesta e di
buon
cuore, ma secondo il parere di Pitchiner aveva troppi consiglieri che
gli
ronzavano attorno e che gli sussurravano strategie tutt’altro
che sagge.
Poiché
solo un pazzo si sarebbe andato a cercare una alleanza con gli
inquietanti Illithid,
benchè persino tali creature
riserbassero lo stesso rancore che il Gran Generale nutriva per i
demoni ombra
che mangiavano le anime dei bambini indifesi.
Pitchiner
non conosceva appieno tali creature dall’aspetto fin troppo
alieno per lui –
identici ad un uomo nell’aspetto fisico, se si escludeva la
pelle violacea, ma
dal volto simile ad una specie di piovra con quei loro lunghi tentacoli
privi
di ventose – per quanto nella Città Dorata avesse
notato il passaggio di alcuni
mercanti di tale razza ben impacchettati nei loro abiti ieratici e
preziosi. Le
creature si limitavano al commercio di oggetti esotici destinati ai
nobili più
stravaganti all’interno del regno, dato che persino il Re non
nutriva grande
passione per creature prive di corde vocali ma abili nel saper
comunicare
telepaticamente ogni loro pensiero al prossimo. Per certi versi, se non
ci
fossero stati i dream pirates a bussare alle porte del regno molto
probabilmente ci sarebbero stati gli Illithid ad avere mire molto
più
aggressive di un semplice scambio commerciale.
Prima
di partire aveva avuto modo di consultarsi in biblioteca per quanto
riguardava
la fisionomia e la vita sociale di tali esseri, e il quadro che ne era
uscito,
prendendo con cautela le informazioni che aveva raccolto, non erano
certo delle
più rosee. Quindi ecco che i dubbi su una possibile alleanza
andavano
allargandosi ad ogni paragrafo scrutato velocemente con sempre
più angoscia a
tormentargli la bocca dello stomaco.
Gli
Illithid erano originari di un pianeta alquanto remoto situato da
qualche parte
nella costellazione di Andromeda. La geografia non era esatta
poiché tali
alieni erano piuttosto restii a dire nero su bianco quanto possedessero
e
quanto si stavano accingendo a possedere nei quadranti stellari non in
mano ai
nobili del regno di Tsar Lunanoff XI – se si esclude la
casata Andromeda misteriosamente
scomparsa più di un
millennio fa, e di cui rimanevano solo le sbiadite insegne nel palazzo
reale –
ma a parte tale dettaglio a rendere ancor più inquietanti
questi esseri era la loro
storia e la loro fisionomia.
Erano
un popolo di soli uomini.
Non
esistevano donne tra gli Illithid, e pare che tali alieni sopperissero
a tale
mancanza con il ventre di altre donne umanoidi geneticamente
compatibili a
loro. Tale assurdità si era creata circa mille anni or sono,
a causa di un non
specificato morbo che aveva infettato la popolazione femminile
originaria del
loro pianeta natale portandole – dopo circa un centinaio
scarso di anni – ad
estinguersi dato che su Illium VI smisero di nascere bambine.
Una
situazione drammatica – e lo stesso Pitchiner non poteva
esimersi dal
considerarla una vera e propria tragedia – che aveva portato
inesorabilmente un
popolo incredibilmente saggio e pacifico, incline allo studio della
scienza e
della conoscenza di ogni arte, ad abbandonare i propri interessi
culturali per
abbracciare la spada e la corruzione… nella speranza di
trovare una via di fuga
da una estinzione annunciata.
Le
donne illithid all’interno della loro società
erano alquanto importanti, ma
mito e realtà si intrecciavano nelle informazioni raccolte
dall’onesto generale
nel poco tempo che ebbe a sua disposizione per prepararsi al fatidico
incontro,
dunque dovette prendere con le pinze ciò che aveva scoperto
in quelle poche ore
spese a leggere vecchi tomi polverosi. Si mormorava dunque che tali
femmine
possedessero capacità telepatiche uniche, in grado di
comunicare con il feto
che si portavano in grembo e riuscire in tale modo a comunicargli tutta
la
conoscenza che il loro popolo aveva acquisito nel corso dei secoli.
Quando però
il morbo fece la sua apparizione – e secondo alcuni si
trattava di una
punizione delle loro divinità per aver peccato di poca saggezza
– tale dono
venne irrimediabilmente a mancare… e gli illithid si
scoprirono improvvisamente
comuni mortali.
La
mancanza di questo legame tra madre e nascituro corruppe un intero
popolo,
spaccandosi irrimediabilmente in due distinte fazioni. I filosofi
mantennero un
temperamento tutto sommato “pacifico” con le altre
razze umanoidi, divenendo
una confederazione di astuti mercanti privi di scrupolo; mentre la
classe
operaia divenne quella più temuta di tutti, la casta dei
guerrieri, prendendosi
con la forza i pianeti loro alleati nella disperata ricerca di una cura
che
garantisse la sopravvivenza della loro specie.
Ma
anche in questo caso gli dèi giocarono un fato beffardo ai
loro sudditi
deludenti, facendo in modo che dai rapporti inter specie nascessero
solo altri
illithid maschi. Tutte le creature femminili che nascevano dal grembo
delle
loro mogli umane erano identiche alle genitrici che le avevano create,
prive di
poteri telepatici ma allo stesso tempo invulnerabili a qualsiasi
attacco
psichico non gradito.
Era
stato così anche per la casata nobiliare della costellazione
Andromeda? Ridotti
in schiavitù psichica e “costretti” ad
amare i loro invasori sempre più
assetati di potere e nuove colonie? Con tutta probabilità
non era andata così
diversamente da come Kozmotis Pitchiner se l’era immaginato
mentre sfogliava le
pagine ingiallite dei libri da lui letti, e tuttavia si riversava il
diritto di
considerare una possibile alleanza con quelle creature un suicidio
annunciato.
Avevano
un nemico in comune, certo, e l’armata dorata attualmente non
se la stava
passando benissimo… ma allearsi con un popolo costantemente
ai ferri corti tra
casta dei guerrieri e confederazione mercantile non era esattamente la
cosa più
geniale mai concepita da mente umana. Per quanto stimasse il proprio re
doveva
ammettere che era ancora troppo giovane e ingenuo per crede a quello
che usciva
dalla bocca dei suoi consiglieri… ma ormai era decisamente
troppo tardi per
piangersi addosso, e l’astronave su cui si trovava sarebbe
arrivata a breve nel
luogo dell’incontro prestabilito.
[…]
Il
pianeta Aladaar si trovava in un sistema solare piuttosto comune.
C’erano un
totale di sette pianeti che ruotavano attorno ad una nana gialla, e
quello in
cui si era deciso il luogo dell’incontro aveva la
peculiarità di essere
costantemente messo in ombra da un gigante gassoso violaceo che, nel
tempo,
aveva fortemente influenzato la fauna e la flora del posto in modo tale
che si
abituassero ad una quasi perenne notte e approfittassero al meglio
delle poche
ore di crepuscolo offerte dalla poca magnanimità del colosso
gassoso che si
cibava di luce.
“gran
bel posticino… per niente inquietante,
nooo…”
“Taci,
sergente! Ti ricordo che gli abitanti qui possono udirti anche se stai
sussurrando!”
Per
quella spiacevole gita fuori porta il generale dell’armata
dorata si era
portato appresso due suoi uomini meritevoli di fiducia.
l’irriverente sergente
Euron e la tenente Olympia. Ragazzi giovani e di buona famiglia, ma
abbastanza
lontani dalla cerchia dei nobili manipolatori da potersi guadagnare la
sua
fiducia. La nave li aveva portati fino ad uno spazio porto non molto
lontano da
dove si sarebbero dovuti recare – la cosiddetta residenza
estiva di Darius
Adaar V, la Casa della Mezzanotte un tempo appartenuta alla famiglia
Andromeda,
colui che aveva la voce più grossa all’interno
della casta dei guerrieri e dunque
una sorta di leader riconosciuto da tutti… anche dai
mercanti – e il gruppetto
ben impacchettato nelle loro armature dorate fu sorpreso di vedersi
scortare
alla residenza del signore locale da un gruppo di uomini normali
anziché
illithid. Uomini dal volto serio, poco inclini alla conversazione,
tanto da
lasciare Euron abbastanza perplesso non vedendosi risposte divertite
alle sue
domande scherzose. Un certo disagio iniziò a farsi sentire
sulla pelle del
drappello di impavidi soldati, e nel mentre che entravano
all’interno della
residenza estiva lo stesso Pitchiner volle rimarcare il concetto di
discrezione
ai suoi alleati.
“non
siamo qui in visita di piacere. Lasciate parlare me e vedrete che ce la
caveremo in poco tempo. Occupatevi solo di inchinarvi a lui e a
porgergli i
doni da parte del nostro re”
Il
gruppo infine si lasciò alle spalle il misterioso
– quanto affascinante –
paesaggio esterno della brughiera che circondava il cupo palazzo di
Adaar, e si
addentrò attraverso il portone in bronzo che si
aprì al cenno dei soldati umani
che li stavano scortando.
La
tenente – piuttosto graziosa per essere una arciere delle
retrovie, dal volto
non ancora martoriato dalle battaglie – strinse a se il
proprio scrigno di
spezie preziose, dando un’ultima occhiata
all’esterno e a quei suoi misteriosi
cespugli di lavanda che si accompagnavano a quegli arbusti dalle bacche
violacee iridescenti come se stesse entrando nel ventre di un mostro
ancora
dormiente. L’interno del palazzo era scarsamente illuminato
da fiaccole e
lampade ad olio in terracotta, illuminando con una certa magistrale
atmosfera i
vari corridoi che attraversarono in perfetto silenzio. Le calde luci artificiali
che accompagnavano
il passaggio dei militari illuminavano i bassorilievi intagliati nella
grigia
pietra rivelando scene di caccia e di battaglia – con
protagonisti gli illithid
– ed altre dall’aspetto più licenzioso
che mostravano scene di vita quotidiana.
Per quanto, per la donna soldato, non sembrava esserci molta
quotidianità nel
modo in cui alcuni illithid ispezionavano in maniera invasiva una
schiava
pronta per essere venduta all’asta. Con i tentacoli sinuosi
– sebbene
intagliati nella dura roccia – che andavano ad infilarsi
ovunque nelle carni di
quella donna dallo sguardo indecifrabile, rendendo Olympia piuttosto
inquieta e
desiderosa di concludere il prima possibile quella spiacevole faccenda.
“questi
bassorilievi… non mi piacciono per niente”
mormorò Olympia, ottenendo però solo
l’ilarità di un sergente ancora troppo giovane per
saper rispettare il rango
altrui.
“Ora
siete voi a bisbigliare, tenente! Io mi preoccuperei di più
a non inciampare
visto che non si vede quasi niente”
“gli
illithid non hanno bisogno di molta luce per muoversi,
sergente… mappano un
luogo tramite i loro poteri mentali. E ora silenzio”
Neppure
a Pitchiner quel posto entusiasmava. L’architettura della
villa aveva subito
pesanti ritocchi nel corso dei secoli, ed ora presentava cupole
rivestite in bronzo
così come molte delle colonne presenti all’interno
della residenza. Tale decoro
conferiva una certa atmosfera all’ambiente perennemente in
ombra del pianeta,
lasciando che le fiaccole e la luce violacea della perenne aurora che
sovrastava l’atmosfera del pianeta regalassero un aspetto
tanto inquietante
quanto esotico all’intero edificio. Una sorta di monito al
viandante inesperto,
e per quanto i tre soldati fossero tutto meno che degli sprovveduti
persino
loro avrebbero preferito evitare di doversi addentrare fino a li.
Infine,
il trio dorato si trovò a doversi fermare di colpo di fronte
ad una porta in
legno intarsiato di strani motivi floreali. Una delle guardie umane
disse loro
di aspettare fuori, dopodiché sparì attraverso
quelle doppie porte lasciando
che per un momento uno strano suono metallico fuoriuscisse da quella
nuova
stanza misteriosa. Quel suono durò pochi secondi, ma secondo
l’esperienza del
generale qualcuno si stava esercitando in un duello contro un individuo
decisamente molto scarso.
Quando
finalmente le porte si aprirono del tutto le guardie dettero il
permesso a
Pitchiner di entrare, e tutto ciò che una di loro si
limitò a dire al trio di
uomini della capitale fu solo un “sua eccellenza Adaar V
è ora disposto a
ricevervi”.
Fu
come entrare in un altro mondo. I soldati dall’armatura
dorata si ritrovarono a
dover stringere momentaneamente le palpebre a causa del cambio di
ambiente
decisamente repentino e inaspettato, ritrovandosi da ambienti semibui
ad un
cortiletto interno avvolto da una luce artificiale (molto probabilmente
di
natura magica).
Il
luogo dell’incontro si mostrava come un cortile dal terreno
sabbioso e di
modeste dimensioni, circondato da un porticato di colonne granitiche
dove, alle
sue ombre, una donna in abiti semplici ma ricchi scrutava il goffo
combattimento che si stava tenendo al centro del giardino in compagnia
di un
illithid con indosso un’armatura leggera.
A
quella donna il generale dell’armata dorata avrebbe dato una
età approssimativa
di trentacinque o trentotto anni, e i suoi occhi scuri erano unicamente
puntati
su un unico combattente all’interno di quella strana arena.
Pitchiner non aveva
mai visto un bambino illithid prima d’ora, ma quella
creaturina faceva comunque
impressione per quanto sua madre lo stesse osservando con tutto
l’amore che una
donna poteva nutrire per il figlio. Per il soldato veterano tali alieni
erano a
dir poco ripugnanti, con la loro pelle viola e quei lunghi tentacoli
– quattro
in totale, senza contare che erano privi di naso – che
coprivano la loro bocca
ed arrivavano fino alla vita, eppure il gran capo si era dato parecchio
da fare
per generare il proprio erede.
Il
famigerato Darius Adaar V si mostrava come un illithid piuttosto
possente. Alto
circa due metri – come molti di quelli che appartenevano alla
casta dei
guerrieri – aveva la parte superiore del corpo segnata in
diversi punti da
cicatrici causate dalle immani battaglie che aveva combattuto in prima
persona.
Come unico vestiario indossava una tunica color vinaccia legata alla
vita da
corde in pelle dorata – da quello che aveva capito Pitchiner
era un
abbigliamento tipico di quella specie, quantomeno per
l’intimità della propria
casa. Un po’ come un pigiama per intenderci, dunque un abito
tutt’altro che
consono per accogliere ospiti importanti – e tra le mani
impugnava un
giavellotto con la quale si proteggeva, e a volte attaccava, dai colpi
del
bambino.
“usa
meglio quelle gambe, figlio mio! Non tutti i tuoi nemici cadranno ai
tuoi piedi
con un attacco psichico… piega le ginocchia…
esatto!”
Nel
mentre che insegnava alla creatura come combattere il suono della sua
voce si
fece strada nei cervelli dei presenti – in un modo un
po’ fastidioso almeno
all’inizio, dato il ronzio che inizialmente si fece strada
nelle loro menti –
risultando avere un timbro vocale tanto caldo quanto dannatamente
autoritario.
Non era chiaro se gli illithid si creassero un timbro vocale ad arte
nei loro
cervelli, ma per Kozmotis era senza ombra di dubbio una tecnica
alquanto
stupefacente. Quantomeno per un comune mortale come lui, dato che
quella voce
che sentivano era il minimo per una creatura capace di spappolare
la mente di un avversario.
Il
bimbo continuò a colpire e cercare di parare gli attacchi
del possente genitore
come meglio poteva, aizzato da quest’ultimo, e dopo altri
quattro colpi andati malamente
a vuoto si fece prendere dalla tipica frustrazione
infantile… abbandonando il
giavellotto sulla sabbia e placcando il padre alla vita. Cercando
così di farlo
cadere a terra seppur inutilmente e scatenando la sua
ilarità.
“Ouch!
Wow… decisamente impressionante figliolo” il
guerriero rise, divincolandosi con
delicatezza dall’abbraccio del figlio piccolo “ma
credo che dovremo rimandare
il nostro allenamento…”
In
quel mentre il signore del castello parve finalmente accorgersi dei
suoi
ospiti, e nel momento esatto in cui i suoi occhi lattiginosi si
voltarono
appena verso i nuovi arrivati ecco che al generale
dell’armata dorata crebbe il
sentore di aver commesso un terribile errore nell’essere
giunti fino alla sua
corte. I tentacoli di Darius si mossero, e i tre ospiti osservarono
come il suo
volto mostruoso si produsse in uno strano sorriso, pieno di malizia ben
poco
celata, fatto di candidi canini e di uno sguardo licenzioso come se
avesse
avuto di fronte la più seducente delle concubine…
o un piatto di carne umana da
raggirare a proprio piacimento.
Uno
sguardo che durò ben pochi secondi, poiché tosto
il mostro si voltò del tutto
verso i propri ospiti, depositando su una rastrelliera il giavellotto
precedentemente sfruttato.
“Adirus…
porta tuo fratello Sduari e tua madre alla Residenza del Crepuscolo, i
miei
ospiti non possono aspettare oltre”
Il
giovanotto che fino a quel momento era stato all’ombra del
colonnato – pure lui
alto quanto il padre – annuì solennemente
così come un soldato ubbidisce
fedelmente al proprio generale, accompagnando una silenziosa genitrice
e un
turbolento fratellino verso luoghi meno cupi in cui trascorrere il
soggiorno su
quello strano pianeta.
Rimasti
finalmente soli Kozmotis Pitchiner si fece finalmente coraggio,
irrigidendo
istintivamente la schiena per darsi aria di autorità, e
avvicinandosi al
signore del posto porgendo i propri saluti notò che Adaar
allargò un poco le
braccia per dar loro un caloroso benvenuto.
“I
miei omaggi, generale Darius Adaar V. sono Kozmotis Pitchiner,
L’High General
of the Galaxies al servizio di sua maestà, il re Tsar
Lunanoff XI… Portiamo con
noi dei doni per-”
“Si
rilassi generale. Si rilassi! Siete mio ospite per questa eterna
notte”
Pitchiner non seppe se ridere o meno a quel gioco di parole
dell’illithid,
pertanto optò per un cauto mezzo sorriso “direi
che le formalità non ci
servono, i nomi lunghi non mi sono mai piaciuti… e per i
miei uomini sono
semplicemente Adaar”
Con
un gesto della mano invitò il gruppetto a seguirlo nei
meandri della residenza,
e per quanto fosse poco piacevole allontanarsi da un luogo pieno di
luce il
terzetto decise comunque di compiacerlo. Anche perché non
potevano fare
altrimenti, erano pur sempre ambasciatori di pace.
“Non
sapevo che vi foste portati appresso la famiglia. Spero di non aver
interrotto
un momento particolare…”
“Non
sono sposato, se è questo che intende generale” in
effetti lo aveva pensato, e
solo per questo il soldato in armatura dorata si pentì di
non essere stato
cauto. Anche se la creatura non gli aveva letto nella mente
“ma apprezzo il suo
interesse… attualmente la mia famiglia
si trova in un palazzo più accogliente di questo. Le mie
donne non apprezzano
tutto questo buio, di conseguenza la Residenza del Crepuscolo
è un ambiente
molto più tranquillo e pacifico”
Per
essere più chiaro la creatura pizzicò i nervi del
cervello dei presenti facendo
venir loro una nausea momentanea – non essendo abituati alla
comunicazione
telepatica – e immediatamente l’immagine mentale di
un palazzo non dissimile da
quello in cui erano, ma più piccolo e senza la presenza di
bassorilievi
inquietanti, si materializzò in ciascuno dei presenti in
tutta la sua bellezza.
Un eterno tramonto governava sulla brughiera dai frutti violacei
luminescenti,
e la presenza del gigante gassoso era decisamente più mite.
Alcune donne si
trovavano nel grande giardino a chiacchierare, altre ancora erano
dentro la
villa e si dedicavano alla tessitura del telaio, e tutte erano protette
da
eunuchi umani senza più personalità alcuna se non
quella di proteggere la
cosiddetta famiglia del loro signore.
La
visione infine terminò, lasciando per qualche secondo i tre
soldati
disorientati, ma continuarono comunque a camminare per il breve
corridoio fino
a giungere in una stanza illuminata
da
diverse fiaccole e da alcuni bracieri in cui stavano bruciando rametti
di
sandalo. La suddetta stanza era piuttosto grande decorata da colonne
rivestite
in bronzo, e per quanto fosse tutto sommato spartana, se si escludevano
i
bassorilievi presenti ai lati delle due navate, al centro era presente
quello
che a conti fatti era un trono in pietra composto da tentacoli
– o fiamme –
granitici che si avviluppavano tra loro per protendersi poi verso
l’alto. Il
trono di Adaar per essere precisi, e fu proprio li che andò
a sedersi in modo
lievemente ironico. La schiena si adagiò pigramente contro
lo schienale
rivestito in velluto scuro, e tenne le gambe leggermente divaricate per
stare
più comodo. Un atteggiamento tutt’altro che
consono per un uomo importante,
basti pensare a re Lunanoff e al modo impettito quando si sedeva sul
proprio
pomposo trono, e per la tenente Olympia parve essere un gesto anche
provocatore
e arrogante di chi si sentiva di avere il coltello dalla parte del
manico.
‘Tzk,
magari pensa di avere pure il pacco grosso…’
pensò la giovane donna,
sentenziando dunque in modo cinico la postura un po’
scomposta del signore di
quel mondo lontano. Pentendosene immediatamente di aver pensato una
simile considerazione
di fronte ad una creatura dagli immensi poteri psichici.
‘Sei
curiosa di scoprirlo?’
La
voce de mostro si insinuò in lei con una
semplicità tale da farle correre lungo
la schiena brividi poco piacevoli di paura misti ad imbarazzo, e per
quanto
avesse il volto parzialmente messo in ombra dal cappuccio della propria
mantella arrossì di vergogna per aver aizzato
l’ilarità di un mostro potente e
pericoloso. A quanto pare solo lei aveva avvertito la voce di Darius,
poiché
gli altri due uomini non si voltarono minimamente verso
l’arciera per
ammonirla.
“mi
è stato riferito che siete qui da me in cerca di
protezione” iniziò Adaar, una
volta che i soldati dell’armata dorata lasciarono avanzare il
loro generale
“ricordatemi dunque per quale nemico siete venuti qui, e
perché mai dovrei
darvi retta”
“mio
signore, siamo giunti fino a qui per una alleanza che possa giovare a
tutti e
due” iniziò a parlare così il generale
dell’armata dorata, sperando dunque di
attirarsi le simpatie di una creatura ora un po’ scettica
“gli orrori oscuri
che si fanno chiamare dream pirates si stanno facendo audaci ad ogni
giorno che
passa. Alcune nostre colonie sono cadute in mano a questi mostri, e i
fronti
aperti sono troppi per i miei uomini…”
“…
e il valore di un singolo uomo non vale contro la quantità
numerica della
stupidità. Si generale, conosco anche io questo detto. Non
sono come il vostro
re che non ha mai visto in vita sua un campo di battaglia…
quindi parliamoci
chiaro”
Fu
decisamente duro nell’etichettare quasi come un rammollito il
loro giovane
sovrano che, per quanto in fin dei conti l’illithid non
avesse tutti i torti,
era tutto meno che un regnante che mandava senza ritegno i suoi soldati
alla
morte. Il volto del sergente Euron si fece più serio, ma fu
ben attento a non
pensare diverse imprecazioni che mettessero a repentaglio
l’intera missione
diplomatica. Doveva lasciar parlare gli “adulti”
della situazione, ed il fatto
che Pitchiner non batté ciglio era già un buon
inizio.
“il
nostro sovrano ha ponderato saggiamente l’idea di allearsi
con voi, Adaar. Non
siete uno qualunque nel vostro popolo” forse i complimenti
diretti non erano
esattamente saggi dato che il guerriero in questione non era un
vanitoso, ma
una spintarella non poteva far certo del male “abbiamo un
nemico in comune.
Possiamo farci forza a vicenda, in quanto dubito fortemente che i
mercanti
illithid ci appoggeranno concretamente fornendoci gli strumenti adatti
a
contrastare i dream pirates”
Darius
contava assai nella casta dei guerrieri, le informazioni che gli erano
state
fornite dallo stesso re Lunanoff
dicevano il vero, ed anche se l’illithid stava
andando verso la soglia
della cinquantina era ancora un individuo piuttosto giovane per la sua
razza
che di anni poteva camparne anche più di centosessanta.
Dunque di tempo per
espandere ancor più maggiormente i propri territori e far
tremare ulteriormente
la confederazione dei mercanti – zittendo persino gli altri
guerrieri della sua
casta – e lo stesso regno delle costellazioni ne aveva
eccome… dunque era cosa
piuttosto saggia avercelo come amico che come nemico.
Ma
non si aspettò, così come gli altri due soldati
che lo accompagnavano, che il
signore del palazzo si mettesse a ridere in modo cupo e beffardo. La
sua risata
riecheggiò in modo minaccioso nelle loro menti, tanto che il
generale
dell’armata dorata si ritrovò a deglutire in
maniera impercettibile e portare
la mano – nascosta dal mantello scarlatto – sul
pomello della propria spada.
Come se non bastasse dalle ombre della sala emersero svariate figure
tentacolari – altri illithid con indosso delle tuniche
più semplici e meno pompose
di quelle dei mercanti – che si posizionarono tra una colonna
e l’altra tenendo
gli occhi biancastri sui tre stranieri giunti da lontano. In poche
parole tutta
quella situazione puzzava terribilmente di trappola.
“gran
bel discorso, generale… davvero! E suppongo che abbiate
portato dei doni per
comprare il mio consenso”
“non
siamo qui per comprare proprio nessuno!” ora il generale
aveva decisamente
abbandonato il tono accondiscendente di prima per abbracciarne uno
molto più
indignato e severo “la situazione è
grave… ora siamo noi, ma un domani potreste
essere voi se solo allentate l’allerta contro quelle empie
creature!”
Kozmotis
non aveva detto qualcosa di sbagliato, a suo dire quei demoni
ancestrali e poco
intelligenti erano davvero una minaccia per ogni stella
dell’universo, eppure
questo non parve far riflettere il signore del castello che, con un
ordine
telepatico ai suoi uomini, lasciò che gli altri guerrieri
avvolti in tuniche di
seta prendessero in mano la situazione. O per meglio dire le fiaccole
fissate
alle colonne.
Le
creature – alte quasi quanto il loro signore
–alzarono le fiaccole zampillanti
di caldo fuoco appena appiccato verso l’alto,
affinchè la volta della grande
sala venisse illuminata il più possibile da quel loro gesto
telepaticamente
dettato da Adaar.
“caro
il mio generale… sapete perché definiamo quelli
che voi chiamate dream pirates
semplicemente degli esseri fastidiosi?”
Pitchiner
non era sicuro di voler capire quello che l’illithid voleva
dire loro, ma
spinto dalla curiosità e dall’istinto volle dare
prudentemente una occhiata al
soffitto per vedere ciò che tanto premeva che vedessero. Il
suono di sorpresa e
spavento che fuoriuscì dalla bocca del suo sergente lo
avvisò in anticipo su
quale follia avrebbe messo gli occhi, e le parole di Darius bastarono a
rendere
il tutto ancor più surreale di quello che già era.
“perché
contrariamente a voi noi sappiamo come tenerli a bada, tanto che si
dimostrano
essere ottima malta con cui tenere
su
i nostri palazzi… ma d’altronde a noi illithid non
piace buttare via niente”
Ora
che la luce delle fiaccole era puntata verso l’alto poteva
ben vedere i mattoni
che formavano la volta della sala erano circondati da una malta nera
come la
pece ma brillante come il diamante. I dream pirates, il cui corpo
informe e
nero il generale conosceva assai bene date le battaglie che aveva
conseguito
contro di loro, erano stati smembrati e maciullati a tal punto da
essere
amalgamati con la sabbia per essere usati come reagente solidificante
per
tenere su quel palazzo restaurato pesantemente. Una crudeltà
unica secondo il
suo modesto parere – non ne aveva mai ucciso neanche uno ma
al massimo messi in
fuga o catturati per poterli poi interrogare in seguito – e
per sicurezza volle
controllare anche le piastrelle sotto i suoi piedi come colto da un
viscerale
terrore.
Le
scanalature delle piastrelle recavano la stessa componente nera che era
servita
a tenere su i mattoni del tetto, e continuando ad osservare quella
crudeltà
gratuita al generale dell’armata dorata parve quasi che
quella malta si
muovesse appena – come se in qualche modo fosse ancora viva in uno stato di perenne dolore
– ma con tutta probabilità si
trattava solo di un gioco di luci e ombre dettato dalle fiaccole
presenti.
“Lei…
mi sta prendendo in giro…”
Le
parole gli uscirono in maniera flebile mentre continuava ad osservare
quelle
frattaglie nerastre sfruttate come cemento per fissare al suolo le
mattonelle
grigie e informi – stava letteralmente camminando su un mare
di cadaveri – ma
fu solo quando alzò nuovamente lo sguardo che fu sicuro di
impazzire per
davvero.
Gli
occhi dorati di Pitchiner osservarono sconvolti come la sala si era
fatta
improvvisamente grigia e statica, ed ogni suo ospite presente era fermo
immobile come congelato da un potente incantesimo temporale. La tenente
Olympia
aveva uno sguardo preoccupato marcato in viso, ripresa
nell’atto di tentare di
divincolarsi da qualcosa di invisibile lasciando che lo scrigno
prezioso le scivolasse
dalle mani e rimanesse a mezz’aria, con tutto il suo
contenuto che a breve si
sarebbe rovesciato su quell’orribile pavimento. Accortosi di
quella strana
situazione il giovane Euron parve voler intervenire per aiutare il
proprio
superiore, congelato nell’atto di urlare il nome della
ragazza ed estrarre –
istintivamente e scioccamente – la spada dal proprio fodero.
Molto
probabilmente non sarebbe venuto a capo di nulla, perché
proprio alle sue
spalle uno degli uomini di Darius stava avvicinandosi al sergente per
poterlo rendere
inoffensivo con i propri robusti tentacoli già esposti sopra
la bionda
capigliatura del ragazzo. Una situazione a dir poco psicotica,
perché il
generale della armata dorata non riusciva a capire se ciò
che stava osservando
stava accadendo realmente oppure era solo frutto della sua paranoia.
E
soprattutto… perché vedeva un Adaar ancora seduto
in trono ed un altro –
quest’ultimo a colori anziché in bianco e nero
come il resto del panorama – che
si avvicinava a lui con passo tranquillo?
“Si
stava facendo un po’ troppa confusione… quindi
perdonerete questa mia
intrusione, dato che ci tenevo a parlare solo con voi e basta”
A
poco a poco Kozmotis Pitchiner comprese che quella creatura si era
semplicemente fatta strada nel suo subconscio in maniera tanto facile
quanto
imbarazzante – perché il soldato si reputava
abbastanza granitico per quanto
riguardava la propria psiche – e per quanto la cosa lo
rendesse inquieto tanto
bastò per calmarsi e sentire che cosa aveva da dire la
potente creatura a cui
stava chiedendo una alleanza.
“Mi
auguro che sia qualcosa di importante, allora! Per gli dèi,
Adaar… che diavolo
sta succedendo?! Che avete fatto ai miei uomini?!”
“succede,
mio caro generale, che avete un’indole fin troppo simile a
quella che avevo io
molti anni fa… e non si preoccupi troppo per i vostri
soldati. Attualmente sto…
facendo vedere una cosa alla
piccola
Olympia”
Il
tono di voce che usò l’illithid lasciarono
alquanto disgustato il soldato umano
– perché qualunque cosa stesse facendo al suo
tenente era sicuramente qualcosa
di immorale – così come il suo gesto di andare a
sfiorarle con un tentacolo il
viso contratto in una smorfia angosciata, ma a parte aprire la bocca
per
lamentarsi ulteriormente non potè dire alcuna parola in
quanto Darius Adaar V
non gli lasciò il tempo di esprimersi.
“che
ci crediate o no ero esattamente come voi un tempo. Ligio al mio
dovere, fedele
ai miei superiori… fino a quando non assaporai sulla mia
stessa pelle il sapore
del tradimento”
Con
un gesto della mano lo invitò a scrutare i bassorilievi
presenti in sala, e
questi, come mossi dalla magia, si misero a muoversi per raccontare
quella che
a conti fatti era la storia personale dell’illithid che aveva
di fronte. Gli fu
facile riconoscerlo perché il vero Adaar possedeva una
cicatrice che gli
passava sopra l’occhio sinistro, e altrettanto aveva il
fregio scolpito nella
grigia pietra.
“Non
conservo molti ricordi dei miei genitori, in quanto sono morti quando
ero
ancora troppo piccolo per poter ricordare. Ma conservo buoni ricordi
dell’accademia
militare in cui sono cresciuto. Io, e molti altri come me”
I
bassorilievi animati mostrarono quello che sembrava essere un
orfanatrofio
militare destinato ai figli dei caduti della casta dei guerrieri. A
quanto pare
Darius era molto giovane quando perse entrambi i genitori in una guerra
fratricida con altri illithid – una grande guerra durata anni
tra due signori
della guerra cefalopodi – ma stando ai bassorilievi crebbe
bene ed ebbe modo di
crearsi persino una famiglia. Una analogia decisamente simile a quella
di
Kozmotis che, proprio come il Darius raffigurato nella pietra, aveva
moglie e
figlia piccola ad aspettarlo a casa.
“a
diciotto anni avevo già una carriera militare ben
collaudata, tanto da divenire
il più giovane generale dell’armata del signore
che servivo. Anche se, con
tutta probabilità, la guerra in corso richiedeva dei
generali capaci a
prescindere dalla loro età… e tuttavia,
nonostante le molte battaglie, avevo
qualcosa per cui vivere”
Una
donna dal volto indecifrabile si avvicinò
all’Adaar in tenuta militare una
volta che questi entrò dalla bidimensionale porta di casa. I
due si
abbracciarono, e dal loro abbraccio, una volta che si sciolse,
sbocciò una
bimba piccola.
“All’epoca
ero fortemente legato ai valori che mi erano stati insegnati, e anche
se
contrariamente a lei non mi facevo scrupolo a eliminare i miei nemici
facevo
sempre in modo che i miei duelli fossero costantemente alla
pari”
Un
intento nobile, e francamente parlando Pitchiner faceva un
po’ fatica a
crederci. Ma in fin dei conti cosa ci avrebbe guadagnato a mentirgli
spudoratamente? Proprio un bel niente, e quello sguardo malinconico che
riuscì
a intravedergli mentre osservava l’intimo quadretto familiare
che era un tempo
la sua vita non sembrava essere pura finzione. Poi la scena
cambiò, e si vide
un giovane Darius mentre leggeva un dispaccio importante che gli era
stato
portato direttamente al fronte.
“la
mia disfatta avvenne il giorno in cui il mio sire mi mandò
importanti
istruzioni su come affrontare l’ultima parte
dell’assedio al palazzo in cui si
era rintanato il suo avversario. Gli ordini parlavano chiaro: tutti
andavano
sterminati, comprese donne e bambini. Nessuna linea di sangue doveva
sopravvivere a quella guerra… e come avrete ben intuito, mi
rifiutai”
Quale
bestia avrebbe mai potuto attaccare bambini indifesi (esclusi dream
pirates)?
Si trattava di un argomento che Kozmotis si era sempre rifiutato anche
solo di
pensare marginalmente, troppo puro d’animo per concepire una
simile barbarie
come l’infanticidio, eppure non era così ingenuo
da non sapere che la fuori
c’erano persone prive di scrupoli pronte a tutto per il
potere.
“venni
accusato di alto tradimento, dandomi la pena massima che si usa dare
alla
feccia come me. La totale lobotomia e asservimento. Fui abbastanza
forte da
liberarmi e fuggire, ma il verdetto raggiunse anche chi non doveva
raggiungere…”
L’immagine
di un Adaar incatenato in prigione si ruppe come frammenti di vetro, e
correndo
verso la sua casetta asimmetrica il giovane generale fece la sua
agghiacciante
scoperta. Portandolo nello sconforto e dolore più totale.
Moglie
e figlia erano scolpite nella pietra con tutta la brutalità
e la delicatezza
che solo una mano illithid poteva ricavare dalla roccia. Smembrate a
colpi
d’ascia erano aperte come la corolla di un fiore elegante, i
cui fiori caddero
verso il nero inchiostro che si aprì dopo quella brutale
esecuzione. Forse
l’oscurità in cui Pitchiner si ritrovò
avvolto non era altri che la
mistificazione del dolore e dell’odio che la creatura doveva
aver provato alla
vista di quello scempio insensato e inumano. Due povere creature aperte
e
private degli organi interni – perché è
risaputo che sono un popolo che non
butta via niente – che hanno segnato definitivamente un uomo
che aveva il
dovere di proteggerle.
“Avete
passato dei momenti terribili, Adaar… non riesco minimamente
ad immaginare
quanto dolore abbiate potuto provare”
Il
generale dell’armata dorata sussurrò quelle parole
al buio più totale, e il suo
pensiero istintivamente andò alla sua famiglia attualmente
al sicuro su di un
pianeta lontano. Cosa avrebbe potuto fare se i nemici del regno
avessero
scoperto dove le teneva non riusciva neppure a immaginarlo, si trattava
di una
cosa troppo sconvolgente per poter essere concepita da mente umana, e
poteva
solo immaginare come tale evento avesse segnato una creatura aliena che
possedeva – stando a quanto era scolpito nella roccia
– una umanità che non gli
avrebbe mai dato a causa di un aspetto e modi di fare piuttosto
discutibili. La
risposta alle sue inquiete domande mentali arrivò dalla cupa
voce del
condottiero, che a quanto pare non aveva finito con la sua storia.
“no…
non potete minimamente immaginarlo, generale. Soprattutto per quello
che
accadde dopo e che mi ha reso quello che sono ora”
All’improvviso
il buio lasciò lo spazio ad altre immagini incise nella
fredda pietra, e il
ragazzo che possedeva degli ideali lasciò lo spazio ad un
uomo violento
assetato di vendetta. Il giovane Adaar, dopo aver convinto diversi
uomini a
seguirlo, decise di organizzarsi per muovere guerra al suo ormai ex
sire. Con
pochi uomini riuscì a infiltrarsi nel palazzo del signore
della guerra che un
tempo serviva, compito che a quanto fare fu abbastanza semplice in
quanto
conosceva il posto a menadito, e a quel punto fu ben felice di potergli
mozzare
la testa per mostrarla ai propri fratelli che altro non poterono fare
che
accettare quel nuovo violento leader.
Ma
non bastò. Adaar non si accontentò di una
semplice testa, e la sete di vendetta
si trasformò in uno stile di vita che gli
avvelenò il sangue e modificò il suo
docile pensiero.
Le
immagini si susseguirono veloci e violente come gli eserciti che
avanzavano
simmetrici e coordinati nello spazio bidimensionale e astratto della
pietra,
non dando tregua neppure a coloro che chiesero una alleanza –
o una resa –
all’illithid spezzato dal dolore e dal tradimento. Molti
della casta dei
guerrieri provarono a fermarlo, ma più la sua rabbia
cresceva più i suoi poteri
si facevano sopraffini, tanto da diventare il fustigatore di un popolo
corrotto
all’osso e propenso solo a combattere per un titolo o una
fetta di terreno
brullo.
Il
cuore di Darius si era indurito, divenendo venale quanto un mercante e
feroce
quanto un inquisitore, e al giovane Pitchiner fu chiaro che la sete di
conquista dell’illithid non si sarebbe fermata
finchè tutta la società del suo
stesso popolo alieno non si sarebbe nuovamente riunificata sotto la sua
feroce
dittatura.
“Voi
mi somigliate molto, e quelli come noi sono preda facile di complotti e
pugnalate alle spalle… è la troppa
onestà che rende l’individuo vulnerabile.
Dunque il consiglio che posso darvi è di non essere troppo
buono con i vostri
nemici, nemmeno contro quelle creature che voi chiamate dream
pirates”
Sentendo
la voce del mostro alle proprie spalle il soldato si voltò
di scatto con uno
sguardo tra il rimprovero e lo sconvolto. Ora le figure intagliate
sulle lastre
di pietra avevano smesso di danzare la loro macabra scena di morte e
decapitazioni, e la stanza era ritornata a essere quella di prima, con
lo
scenario delle figure congelate nell’atto di possibili
tafferugli
compromettenti. Il condottiero umanoide aveva usato la povera tenente
Olympia
come scusa per distrarre anche i suoi stessi uomini e poter interagire
tranquillamente con il generale dell’armata
dorata… ma i suoi ammonimenti
decisamente non piacquero a Kozmotis.
“non
ho intenzione di iniziare a macchiarmi le mani di sangue per prevenire
un
possibile attacco alle mie spalle! Non sono uno sciocco, ho
già provveduto a
mettere la mia famiglia al sicuro” decretò il
giovane soldato, ora nuovamente
in se e convinto di non poter toccare l’orlo della follia
come prima di
quell’assurda conversazione “sangue richiama altro
sangue, Adaar… e senza
offesa, ma non ho intenzione di diventare come voi”
“e
questo è un segreto talmente importante che neppure io
riesco a leggere dove le
tue donne siano… buon per te, generale. Ma allora, se non
vuoi fare quel tipo
di prevenzione prova ad adottare un’altra strategia
più pulita”
Pitchiner
non badò molto al fatto che il mostro gli aveva dato del
“tu” abbandonando in
parte l’etichetta che si doveva tenere durante quegli
incontri ufficiali,
perché all’improvviso la voce
dell’illithid divenne come velluto
nel suo cervello. La possente creatura dalla pelle violacea
stava accarezzando parti della psiche dell’High General of
the Galaxies che non
erano così forti come lo stesso essere umano credeva che
fossero – non come la
sua volontà di tenere segreta l’ubicazione in cui
aveva nascosto moglie e
figlia a causa della guerra – avvertendo ogni sua futura
sillaba come la più
ragionevole delle soluzioni.
“vai
ai confini del tuo regno, nel pianeta più remoto che tu
conosca, e lì fai
costruire una prigione abbastanza grande da poter contenere tutte le
aberrazioni che terrorizzano quei maiali dei tuoi nobili… se
non vuoi sporcarti
le mani, allora imprigionali tutti affinchè non possano
più nuocere a
nessuno e men che meno alla tua preziosa famiglia”
Darius
non gli stava esattamente comandando di fare qualcosa di simile, ma la
malsana
idea di stipare tutti i dream pirates che avrebbe catturato in
un’unica
prigione alveare non gli sembrava poi così malvagia come
invece inizialmente
gli era sembrato. Giusto poco prima che gli invisibili tentacoli
dell’illithid
gli accarezzassero la mente convincendolo a poco a poco che quella era
una
scelta migliore che avere morti sulla coscienza.
“Se
li uccidessi tutti non sarei dissimile da loro… ma
imprigionarli? Potrebbe
funzionare, si…” mormorò il generale
umano assorto nei propri pensieri, ben
sapendo che persino al re questa soluzione sicuramente sarebbe
piaciuta. Poi si
ridestò, guardando nuovamente severo in volto il mostro
tentacolare “e per
quanto riguarda il motivo per cui siamo venuti qui? Potremo contare sul
vostro
supporto?!”
“farò
in modo che un piccolo contingente di miei uomini si interessi dei
vostri
fronti più caldi, avete la mia parola…”
Adaar
annuì solennemente al generale a cui aveva sfiorato la mente
nel modo giusto,
anche se quella loro collaborazione molto probabilmente non avrebbe
avuto una
lunga durata. Ma ciò non aveva importanza, in quanto era ora
che il gran
soldato dall’armatura dorata se ne ritornasse nella propria
astronave e
comunicasse la lieta novella al suo re bamboccio.
[…]
Non
seppe dire esattamente quando i suoi piedi salirono sulla rampa
metallica dell’astronave
militare con cui erano giunti fino al pianeta Aladaar, ne tantomeno
quando
dette ordine ai piloti di ripartire alla volta della capitale, ma
quando
Kozmotis Pitchiner riprese possesso delle proprie facoltà
mentali fu per mano stessa
del suo giovane sergente.
“Generale!
È tutto a posto? Avete lo sguardo un po’
perso…”
Qualunque
cosa fosse successa all’interno della residenza di Adaar V
non sembrava aver
lasciato segni evidenti ai suoi due luogotenenti che, contrariamente al
loro
generale, non mostravano evidente pallore e sguardo assorto. Era come
se Euron
ed Olympia non avessero subito sulla propria pelle gli attacchi
psichici di
Darius e il suo gregge, mentre il loro signore ricordava tutta la
tremenda
chiacchierata con quegli esseri dalla dubbia moralità.
Si
trovavano nella cabina personale del generale, usata prima dello sbarco
per un
breve briefing sulla missione diplomatica, ed entrambi i suoi
fedelissimi erano
seduti di fronte a lui in attesa di una risposta.
L’equipaggio aveva imbandito
la tavola circolare con alcune vivande piuttosto semplici –
alcune ricciole di
pane farcite di carne secca e una bottiglia di vino rosso proveniente
dai
sistemi in mano alla famiglia Orion – ma nessuno dei presenti
in tavola
sembrava essere dell’umore per mangiare qualcosa. Agli occhi
dei due giovani
soldati Pitchiner mostrava due profonde occhiaie, e solo in parte i due
ricondussero quell’aspetto fisico al trauma dovuto alla
strana telepatia degli
illithid.
Il
generale tuttavia si riprese, raddrizzando la schiena sullo schienale
in pelle
e borbottando qualcosa con fare imbarazzato.
“sto…
bene, sergente Euron. È stato un lungo viaggio e la
comunicazione con quelle
creature è stata particolarmente intensa…
è stato così anche per voi due?”
“A
dir la verità abbiamo parlato ben poco con gli individui
presenti, avete fatto
tutto voi e quell’Adaar” disse ad un certo punto la
tenente, dopo una rapida
occhiata con il suo sottoposto “abbiamo avvertito entrambi un
certo mal di
testa ad un certo punto, questo è vero, ma suppongo che per
lei sia stato molto
più faticoso dover gestire un dialogo con quelle creature
orribili. Ad ogni
modo, è fatta non è vero?”
I
doni erano stati consegnati e accettati, perché la
diplomazia lavorava anche di
questo, ma Pitchiner rabbrividì mentalmente nel constatare
come ai suoi due
uomini di fiducia era stato fatto letteralmente il lavaggio del
cervello.
Erano
ancora loro, ma la parte riguardante la discussione avvenuta nella sala
del
trono era stata completamente modificata nei loro cervelli. E quel mal
di testa
che avevano provato ad un certo punto ne era sicuramente la prova.
“Si,
tenente. È fatta… adesso possiamo riprenderci le
nostre colonie”
Dentro
di se il generale dell’armata dorata rabbrividì di
angoscia per il modo in cui
quelle creature erano capaci di risvoltare una qualsiasi mente per
poterla poi
usare a proprio uso e consumo, ritrovandosi dunque a dover dar ragione
a quei
tomi polverosi che ammonivano gli incauti di non avventurarsi troppo
nei
territori appartenuti un tempo agli Andromeda. Per fortuna era stato
abbastanza
forte da non farsi raggirare da Darius quel tanto che bastava per
proteggere il
regno e la propria famiglia.
E
quella voce flebile che gli accarezzava la mente, così
simile al velluto e
incredibilmente convincente, era sicuramente quella del suo subconscio
che gli
diceva di sbrigarsi a costruire una prigione tanto grande da poter
contenere
tutti i nemici del suo amato regno.