the midnight house

di vermissen_stern
(/viewuser.php?uid=234591)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Attenzione! La storia che vi apprestate a leggere è legata alla raccolta di _Dracarys_ ossia Tales of the Golden Age – back to basic di cui vi consiglio di dare una occhiata sia perché merita ma anche per comprendere al meglio questa mia storia (si può leggere anche così volendo). Altra premessa forse chi ha dimestichezza con l’universo di D&D conoscerà la razza degli illithid. Ebbene, io li ho pesantemente rivisitati e ci ho messo di mio, tanto che non mi sembrava idoneo mettere la dicitura crossover in quanto, ormai da un ventennio, questa razza è divenuta come creta nelle mani di molti scrittori e disegnatori. Non mi resta che augurarvi buona lettura!

 

 

Dicono che ci sia un tempo per tutto.

Un tempo per amare. Un tempo per avere figli. Un tempo per crescere e prendere decisioni importanti. E poi esiste il tempo della vendetta, sebbene quest’ultimo tempo alle volte può possedere tempi di attesa fin troppo variabili. A volte decadi, altre volte invece… mai.

Kozmotis Pitchiner non aveva mai coltivato l’ideale della vendetta e dei suoi poco fruttuosi risvolti, da sempre legato ad ideali di giustizia che incarnavano una purezza ormai d’altri tempi, ma ci sono casi in cui effettivamente il giovane soldato poteva anche comprendere il motivo che spinge un uomo a desiderare il sangue dei propri nemici. Una famiglia che si spezza ad esempio è sempre un evento che non può essere ignorato o minimamente arginato da un qualsiasi ideologia buonista, e vedere in battaglia i suoi uomini distrutti dalla morte di un amico o di un familiare lo aveva portato spesso a non commentare sulla loro eccessiva violenza e sete di sangue sui nemici presenti in trincea. L’High General of the Galaxies, il signore dell’armata dorata e pupazzo nelle mani dei grassi e pomposi signori delle costellazioni, aveva il suo ben donde di desiderare che la lunga guerra di logoramento che da anni sfiancava quella fetta di universo avesse ormai il suo declino definitivo. Il generale camminava, respirava, dava persino ordini ai suoi uomini impegnati in una guerra senza fine contro nemici ostici e orribili, ma non si poteva certo dire che fosse propriamente entusiasta di come stessero andando le cose.

Mister Kozmotis aveva lasciato a casa moglie e figlia da ormai qualche anno a causa dei dream pirates – un nome piuttosto dolce per delle aberrazioni fatte d’ombra e icore – e se la guerra contro quelle bestiacce continuava a prolungarsi, molto probabilmente non avrebbe mai visto sua figlia crescere per davvero. La prossima volta che sarebbe tornato a casa era alquanto verosimile che la sua adorata Emily Jane avrebbe sfoggiato il fisico prematuro di una giovane donna, anziché quello di una bambina ancora piccola… sempre che ci sarebbe stata una prossima volta.

Aveva deciso di diventare un soldato per proteggere coloro che amava, così come molti altri individui che si erano arruolati per medesimo motivo, ma più andava avanti e più cresceva in lui una angoscia che da ragazzo decisamente non aveva mai sperimentato. Forse complice la leggerezza di quegli anni, solo ora, che su di se aveva tutto il peso di condurre sul campo di battaglia le armate provenienti da ogni quadrante stellare in mano a nobili famiglie solo per titolo e non per animo, avvertiva il sentore di ombre troppo scure strisciare sul suo animo troppo chiaro per comprenderle appieno.

Attualmente la situazione al fronte non era esattamente delle più rosee, e per quanto questa guerra contro un nemico ignoto ai più – ma talmente aggressivo da divorare interi mondi spinto da una rabbia quasi ancestrale – si fosse alternata come le maree che si infrangono su di una costa sempre più martoriata era ormai noto a tutti che non bastava mandare semplicemente al macello uomini valorosi per vedere all’orizzonte una possibile vittoria.

Andava cambiata strategia, ma mai come in quel giorno al gran generale non piacque dover obbedire agli ordini del re in persona. Una persona onesta e di buon cuore, ma secondo il parere di Pitchiner aveva troppi consiglieri che gli ronzavano attorno e che gli sussurravano strategie tutt’altro che sagge.

Poiché solo un pazzo si sarebbe andato a cercare una alleanza con gli inquietanti Illithid, benchè persino tali creature riserbassero lo stesso rancore che il Gran Generale nutriva per i demoni ombra che mangiavano le anime dei bambini indifesi.

Pitchiner non conosceva appieno tali creature dall’aspetto fin troppo alieno per lui – identici ad un uomo nell’aspetto fisico, se si escludeva la pelle violacea, ma dal volto simile ad una specie di piovra con quei loro lunghi tentacoli privi di ventose – per quanto nella Città Dorata avesse notato il passaggio di alcuni mercanti di tale razza ben impacchettati nei loro abiti ieratici e preziosi. Le creature si limitavano al commercio di oggetti esotici destinati ai nobili più stravaganti all’interno del regno, dato che persino il Re non nutriva grande passione per creature prive di corde vocali ma abili nel saper comunicare telepaticamente ogni loro pensiero al prossimo. Per certi versi, se non ci fossero stati i dream pirates a bussare alle porte del regno molto probabilmente ci sarebbero stati gli Illithid ad avere mire molto più aggressive di un semplice scambio commerciale.

Prima di partire aveva avuto modo di consultarsi in biblioteca per quanto riguardava la fisionomia e la vita sociale di tali esseri, e il quadro che ne era uscito, prendendo con cautela le informazioni che aveva raccolto, non erano certo delle più rosee. Quindi ecco che i dubbi su una possibile alleanza andavano allargandosi ad ogni paragrafo scrutato velocemente con sempre più angoscia a tormentargli la bocca dello stomaco.

Gli Illithid erano originari di un pianeta alquanto remoto situato da qualche parte nella costellazione di Andromeda. La geografia non era esatta poiché tali alieni erano piuttosto restii a dire nero su bianco quanto possedessero e quanto si stavano accingendo a possedere nei quadranti stellari non in mano ai nobili del regno di Tsar Lunanoff XI – se si esclude la casata Andromeda misteriosamente scomparsa più di un millennio fa, e di cui rimanevano solo le sbiadite insegne nel palazzo reale – ma a parte tale dettaglio a rendere ancor più inquietanti questi esseri era la loro storia e la loro fisionomia.

Erano un popolo di soli uomini.

Non esistevano donne tra gli Illithid, e pare che tali alieni sopperissero a tale mancanza con il ventre di altre donne umanoidi geneticamente compatibili a loro. Tale assurdità si era creata circa mille anni or sono, a causa di un non specificato morbo che aveva infettato la popolazione femminile originaria del loro pianeta natale portandole – dopo circa un centinaio scarso di anni – ad estinguersi dato che su Illium VI smisero di nascere bambine.

Una situazione drammatica – e lo stesso Pitchiner non poteva esimersi dal considerarla una vera e propria tragedia – che aveva portato inesorabilmente un popolo incredibilmente saggio e pacifico, incline allo studio della scienza e della conoscenza di ogni arte, ad abbandonare i propri interessi culturali per abbracciare la spada e la corruzione… nella speranza di trovare una via di fuga da una estinzione annunciata.

Le donne illithid all’interno della loro società erano alquanto importanti, ma mito e realtà si intrecciavano nelle informazioni raccolte dall’onesto generale nel poco tempo che ebbe a sua disposizione per prepararsi al fatidico incontro, dunque dovette prendere con le pinze ciò che aveva scoperto in quelle poche ore spese a leggere vecchi tomi polverosi. Si mormorava dunque che tali femmine possedessero capacità telepatiche uniche, in grado di comunicare con il feto che si portavano in grembo e riuscire in tale modo a comunicargli tutta la conoscenza che il loro popolo aveva acquisito nel corso dei secoli. Quando però il morbo fece la sua apparizione – e secondo alcuni si trattava di una punizione delle loro divinità per aver peccato di poca saggezza – tale dono venne irrimediabilmente a mancare… e gli illithid si scoprirono improvvisamente comuni mortali.

La mancanza di questo legame tra madre e nascituro corruppe un intero popolo, spaccandosi irrimediabilmente in due distinte fazioni. I filosofi mantennero un temperamento tutto sommato “pacifico” con le altre razze umanoidi, divenendo una confederazione di astuti mercanti privi di scrupolo; mentre la classe operaia divenne quella più temuta di tutti, la casta dei guerrieri, prendendosi con la forza i pianeti loro alleati nella disperata ricerca di una cura che garantisse la sopravvivenza della loro specie.

Ma anche in questo caso gli dèi giocarono un fato beffardo ai loro sudditi deludenti, facendo in modo che dai rapporti inter specie nascessero solo altri illithid maschi. Tutte le creature femminili che nascevano dal grembo delle loro mogli umane erano identiche alle genitrici che le avevano create, prive di poteri telepatici ma allo stesso tempo invulnerabili a qualsiasi attacco psichico non gradito.

Era stato così anche per la casata nobiliare della costellazione Andromeda? Ridotti in schiavitù psichica e “costretti” ad amare i loro invasori sempre più assetati di potere e nuove colonie? Con tutta probabilità non era andata così diversamente da come Kozmotis Pitchiner se l’era immaginato mentre sfogliava le pagine ingiallite dei libri da lui letti, e tuttavia si riversava il diritto di considerare una possibile alleanza con quelle creature un suicidio annunciato.

Avevano un nemico in comune, certo, e l’armata dorata attualmente non se la stava passando benissimo… ma allearsi con un popolo costantemente ai ferri corti tra casta dei guerrieri e confederazione mercantile non era esattamente la cosa più geniale mai concepita da mente umana. Per quanto stimasse il proprio re doveva ammettere che era ancora troppo giovane e ingenuo per crede a quello che usciva dalla bocca dei suoi consiglieri… ma ormai era decisamente troppo tardi per piangersi addosso, e l’astronave su cui si trovava sarebbe arrivata a breve nel luogo dell’incontro prestabilito.

 

[…]

 

Il pianeta Aladaar si trovava in un sistema solare piuttosto comune. C’erano un totale di sette pianeti che ruotavano attorno ad una nana gialla, e quello in cui si era deciso il luogo dell’incontro aveva la peculiarità di essere costantemente messo in ombra da un gigante gassoso violaceo che, nel tempo, aveva fortemente influenzato la fauna e la flora del posto in modo tale che si abituassero ad una quasi perenne notte e approfittassero al meglio delle poche ore di crepuscolo offerte dalla poca magnanimità del colosso gassoso che si cibava di luce.

“gran bel posticino… per niente inquietante, nooo…”

“Taci, sergente! Ti ricordo che gli abitanti qui possono udirti anche se stai sussurrando!”

Per quella spiacevole gita fuori porta il generale dell’armata dorata si era portato appresso due suoi uomini meritevoli di fiducia. l’irriverente sergente Euron e la tenente Olympia. Ragazzi giovani e di buona famiglia, ma abbastanza lontani dalla cerchia dei nobili manipolatori da potersi guadagnare la sua fiducia. La nave li aveva portati fino ad uno spazio porto non molto lontano da dove si sarebbero dovuti recare – la cosiddetta residenza estiva di Darius Adaar V, la Casa della Mezzanotte un tempo appartenuta alla famiglia Andromeda, colui che aveva la voce più grossa all’interno della casta dei guerrieri e dunque una sorta di leader riconosciuto da tutti… anche dai mercanti – e il gruppetto ben impacchettato nelle loro armature dorate fu sorpreso di vedersi scortare alla residenza del signore locale da un gruppo di uomini normali anziché illithid. Uomini dal volto serio, poco inclini alla conversazione, tanto da lasciare Euron abbastanza perplesso non vedendosi risposte divertite alle sue domande scherzose. Un certo disagio iniziò a farsi sentire sulla pelle del drappello di impavidi soldati, e nel mentre che entravano all’interno della residenza estiva lo stesso Pitchiner volle rimarcare il concetto di discrezione ai suoi alleati.

“non siamo qui in visita di piacere. Lasciate parlare me e vedrete che ce la caveremo in poco tempo. Occupatevi solo di inchinarvi a lui e a porgergli i doni da parte del nostro re”

Il gruppo infine si lasciò alle spalle il misterioso – quanto affascinante – paesaggio esterno della brughiera che circondava il cupo palazzo di Adaar, e si addentrò attraverso il portone in bronzo che si aprì al cenno dei soldati umani che li stavano scortando.

La tenente – piuttosto graziosa per essere una arciere delle retrovie, dal volto non ancora martoriato dalle battaglie – strinse a se il proprio scrigno di spezie preziose, dando un’ultima occhiata all’esterno e a quei suoi misteriosi cespugli di lavanda che si accompagnavano a quegli arbusti dalle bacche violacee iridescenti come se stesse entrando nel ventre di un mostro ancora dormiente. L’interno del palazzo era scarsamente illuminato da fiaccole e lampade ad olio in terracotta, illuminando con una certa magistrale atmosfera i vari corridoi che attraversarono in perfetto silenzio.  Le calde luci artificiali che accompagnavano il passaggio dei militari illuminavano i bassorilievi intagliati nella grigia pietra rivelando scene di caccia e di battaglia – con protagonisti gli illithid – ed altre dall’aspetto più licenzioso che mostravano scene di vita quotidiana. Per quanto, per la donna soldato, non sembrava esserci molta quotidianità nel modo in cui alcuni illithid ispezionavano in maniera invasiva una schiava pronta per essere venduta all’asta. Con i tentacoli sinuosi – sebbene intagliati nella dura roccia – che andavano ad infilarsi ovunque nelle carni di quella donna dallo sguardo indecifrabile, rendendo Olympia piuttosto inquieta e desiderosa di concludere il prima possibile quella spiacevole faccenda.

“questi bassorilievi… non mi piacciono per niente” mormorò Olympia, ottenendo però solo l’ilarità di un sergente ancora troppo giovane per saper rispettare il rango altrui.

“Ora siete voi a bisbigliare, tenente! Io mi preoccuperei di più a non inciampare visto che non si vede quasi niente”

“gli illithid non hanno bisogno di molta luce per muoversi, sergente… mappano un luogo tramite i loro poteri mentali. E ora silenzio”

Neppure a Pitchiner quel posto entusiasmava. L’architettura della villa aveva subito pesanti ritocchi nel corso dei secoli, ed ora presentava cupole rivestite in bronzo così come molte delle colonne presenti all’interno della residenza. Tale decoro conferiva una certa atmosfera all’ambiente perennemente in ombra del pianeta, lasciando che le fiaccole e la luce violacea della perenne aurora che sovrastava l’atmosfera del pianeta regalassero un aspetto tanto inquietante quanto esotico all’intero edificio. Una sorta di monito al viandante inesperto, e per quanto i tre soldati fossero tutto meno che degli sprovveduti persino loro avrebbero preferito evitare di doversi addentrare fino a li.

Infine, il trio dorato si trovò a doversi fermare di colpo di fronte ad una porta in legno intarsiato di strani motivi floreali. Una delle guardie umane disse loro di aspettare fuori, dopodiché sparì attraverso quelle doppie porte lasciando che per un momento uno strano suono metallico fuoriuscisse da quella nuova stanza misteriosa. Quel suono durò pochi secondi, ma secondo l’esperienza del generale qualcuno si stava esercitando in un duello contro un individuo decisamente molto scarso.

Quando finalmente le porte si aprirono del tutto le guardie dettero il permesso a Pitchiner di entrare, e tutto ciò che una di loro si limitò a dire al trio di uomini della capitale fu solo un “sua eccellenza Adaar V è ora disposto a ricevervi”.

Fu come entrare in un altro mondo. I soldati dall’armatura dorata si ritrovarono a dover stringere momentaneamente le palpebre a causa del cambio di ambiente decisamente repentino e inaspettato, ritrovandosi da ambienti semibui ad un cortiletto interno avvolto da una luce artificiale (molto probabilmente di natura magica).

Il luogo dell’incontro si mostrava come un cortile dal terreno sabbioso e di modeste dimensioni, circondato da un porticato di colonne granitiche dove, alle sue ombre, una donna in abiti semplici ma ricchi scrutava il goffo combattimento che si stava tenendo al centro del giardino in compagnia di un illithid con indosso un’armatura leggera.

A quella donna il generale dell’armata dorata avrebbe dato una età approssimativa di trentacinque o trentotto anni, e i suoi occhi scuri erano unicamente puntati su un unico combattente all’interno di quella strana arena. Pitchiner non aveva mai visto un bambino illithid prima d’ora, ma quella creaturina faceva comunque impressione per quanto sua madre lo stesse osservando con tutto l’amore che una donna poteva nutrire per il figlio. Per il soldato veterano tali alieni erano a dir poco ripugnanti, con la loro pelle viola e quei lunghi tentacoli – quattro in totale, senza contare che erano privi di naso – che coprivano la loro bocca ed arrivavano fino alla vita, eppure il gran capo si era dato parecchio da fare per generare il proprio erede.

Il famigerato Darius Adaar V si mostrava come un illithid piuttosto possente. Alto circa due metri – come molti di quelli che appartenevano alla casta dei guerrieri – aveva la parte superiore del corpo segnata in diversi punti da cicatrici causate dalle immani battaglie che aveva combattuto in prima persona. Come unico vestiario indossava una tunica color vinaccia legata alla vita da corde in pelle dorata – da quello che aveva capito Pitchiner era un abbigliamento tipico di quella specie, quantomeno per l’intimità della propria casa. Un po’ come un pigiama per intenderci, dunque un abito tutt’altro che consono per accogliere ospiti importanti – e tra le mani impugnava un giavellotto con la quale si proteggeva, e a volte attaccava, dai colpi del bambino.

“usa meglio quelle gambe, figlio mio! Non tutti i tuoi nemici cadranno ai tuoi piedi con un attacco psichico… piega le ginocchia… esatto!”

Nel mentre che insegnava alla creatura come combattere il suono della sua voce si fece strada nei cervelli dei presenti – in un modo un po’ fastidioso almeno all’inizio, dato il ronzio che inizialmente si fece strada nelle loro menti – risultando avere un timbro vocale tanto caldo quanto dannatamente autoritario. Non era chiaro se gli illithid si creassero un timbro vocale ad arte nei loro cervelli, ma per Kozmotis era senza ombra di dubbio una tecnica alquanto stupefacente. Quantomeno per un comune mortale come lui, dato che quella voce che sentivano era il minimo per una creatura capace di spappolare la mente di un avversario.

Il bimbo continuò a colpire e cercare di parare gli attacchi del possente genitore come meglio poteva, aizzato da quest’ultimo, e dopo altri quattro colpi andati malamente a vuoto si fece prendere dalla tipica frustrazione infantile… abbandonando il giavellotto sulla sabbia e placcando il padre alla vita. Cercando così di farlo cadere a terra seppur inutilmente e scatenando la sua ilarità.

“Ouch! Wow… decisamente impressionante figliolo” il guerriero rise, divincolandosi con delicatezza dall’abbraccio del figlio piccolo “ma credo che dovremo rimandare il nostro allenamento…”

In quel mentre il signore del castello parve finalmente accorgersi dei suoi ospiti, e nel momento esatto in cui i suoi occhi lattiginosi si voltarono appena verso i nuovi arrivati ecco che al generale dell’armata dorata crebbe il sentore di aver commesso un terribile errore nell’essere giunti fino alla sua corte. I tentacoli di Darius si mossero, e i tre ospiti osservarono come il suo volto mostruoso si produsse in uno strano sorriso, pieno di malizia ben poco celata, fatto di candidi canini e di uno sguardo licenzioso come se avesse avuto di fronte la più seducente delle concubine… o un piatto di carne umana da raggirare a proprio piacimento.

Uno sguardo che durò ben pochi secondi, poiché tosto il mostro si voltò del tutto verso i propri ospiti, depositando su una rastrelliera il giavellotto precedentemente sfruttato.

“Adirus… porta tuo fratello Sduari e tua madre alla Residenza del Crepuscolo, i miei ospiti non possono aspettare oltre”

Il giovanotto che fino a quel momento era stato all’ombra del colonnato – pure lui alto quanto il padre – annuì solennemente così come un soldato ubbidisce fedelmente al proprio generale, accompagnando una silenziosa genitrice e un turbolento fratellino verso luoghi meno cupi in cui trascorrere il soggiorno su quello strano pianeta.

Rimasti finalmente soli Kozmotis Pitchiner si fece finalmente coraggio, irrigidendo istintivamente la schiena per darsi aria di autorità, e avvicinandosi al signore del posto porgendo i propri saluti notò che Adaar allargò un poco le braccia per dar loro un caloroso benvenuto.

“I miei omaggi, generale Darius Adaar V. sono Kozmotis Pitchiner, L’High General of the Galaxies al servizio di sua maestà, il re Tsar Lunanoff XI… Portiamo con noi dei doni per-”

“Si rilassi generale. Si rilassi! Siete mio ospite per questa eterna notte” Pitchiner non seppe se ridere o meno a quel gioco di parole dell’illithid, pertanto optò per un cauto mezzo sorriso “direi che le formalità non ci servono, i nomi lunghi non mi sono mai piaciuti… e per i miei uomini sono semplicemente Adaar”

Con un gesto della mano invitò il gruppetto a seguirlo nei meandri della residenza, e per quanto fosse poco piacevole allontanarsi da un luogo pieno di luce il terzetto decise comunque di compiacerlo. Anche perché non potevano fare altrimenti, erano pur sempre ambasciatori di pace.

“Non sapevo che vi foste portati appresso la famiglia. Spero di non aver interrotto un momento particolare…”

“Non sono sposato, se è questo che intende generale” in effetti lo aveva pensato, e solo per questo il soldato in armatura dorata si pentì di non essere stato cauto. Anche se la creatura non gli aveva letto nella mente “ma apprezzo il suo interesse… attualmente la mia famiglia si trova in un palazzo più accogliente di questo. Le mie donne non apprezzano tutto questo buio, di conseguenza la Residenza del Crepuscolo è un ambiente molto più tranquillo e pacifico”

Per essere più chiaro la creatura pizzicò i nervi del cervello dei presenti facendo venir loro una nausea momentanea – non essendo abituati alla comunicazione telepatica – e immediatamente l’immagine mentale di un palazzo non dissimile da quello in cui erano, ma più piccolo e senza la presenza di bassorilievi inquietanti, si materializzò in ciascuno dei presenti in tutta la sua bellezza. Un eterno tramonto governava sulla brughiera dai frutti violacei luminescenti, e la presenza del gigante gassoso era decisamente più mite. Alcune donne si trovavano nel grande giardino a chiacchierare, altre ancora erano dentro la villa e si dedicavano alla tessitura del telaio, e tutte erano protette da eunuchi umani senza più personalità alcuna se non quella di proteggere la cosiddetta famiglia del loro signore.

La visione infine terminò, lasciando per qualche secondo i tre soldati disorientati, ma continuarono comunque a camminare per il breve corridoio fino a giungere in una stanza  illuminata da diverse fiaccole e da alcuni bracieri in cui stavano bruciando rametti di sandalo. La suddetta stanza era piuttosto grande decorata da colonne rivestite in bronzo, e per quanto fosse tutto sommato spartana, se si escludevano i bassorilievi presenti ai lati delle due navate, al centro era presente quello che a conti fatti era un trono in pietra composto da tentacoli – o fiamme – granitici che si avviluppavano tra loro per protendersi poi verso l’alto. Il trono di Adaar per essere precisi, e fu proprio li che andò a sedersi in modo lievemente ironico. La schiena si adagiò pigramente contro lo schienale rivestito in velluto scuro, e tenne le gambe leggermente divaricate per stare più comodo. Un atteggiamento tutt’altro che consono per un uomo importante, basti pensare a re Lunanoff e al modo impettito quando si sedeva sul proprio pomposo trono, e per la tenente Olympia parve essere un gesto anche provocatore e arrogante di chi si sentiva di avere il coltello dalla parte del manico.

‘Tzk, magari pensa di avere pure il pacco grosso…’ pensò la giovane donna, sentenziando dunque in modo cinico la postura un po’ scomposta del signore di quel mondo lontano. Pentendosene immediatamente di aver pensato una simile considerazione di fronte ad una creatura dagli immensi poteri psichici.

‘Sei curiosa di scoprirlo?’

La voce de mostro si insinuò in lei con una semplicità tale da farle correre lungo la schiena brividi poco piacevoli di paura misti ad imbarazzo, e per quanto avesse il volto parzialmente messo in ombra dal cappuccio della propria mantella arrossì di vergogna per aver aizzato l’ilarità di un mostro potente e pericoloso. A quanto pare solo lei aveva avvertito la voce di Darius, poiché gli altri due uomini non si voltarono minimamente verso l’arciera per ammonirla.

“mi è stato riferito che siete qui da me in cerca di protezione” iniziò Adaar, una volta che i soldati dell’armata dorata lasciarono avanzare il loro generale “ricordatemi dunque per quale nemico siete venuti qui, e perché mai dovrei darvi retta”

“mio signore, siamo giunti fino a qui per una alleanza che possa giovare a tutti e due” iniziò a parlare così il generale dell’armata dorata, sperando dunque di attirarsi le simpatie di una creatura ora un po’ scettica “gli orrori oscuri che si fanno chiamare dream pirates si stanno facendo audaci ad ogni giorno che passa. Alcune nostre colonie sono cadute in mano a questi mostri, e i fronti aperti sono troppi per i miei uomini…”

“… e il valore di un singolo uomo non vale contro la quantità numerica della stupidità. Si generale, conosco anche io questo detto. Non sono come il vostro re che non ha mai visto in vita sua un campo di battaglia… quindi parliamoci chiaro”

Fu decisamente duro nell’etichettare quasi come un rammollito il loro giovane sovrano che, per quanto in fin dei conti l’illithid non avesse tutti i torti, era tutto meno che un regnante che mandava senza ritegno i suoi soldati alla morte. Il volto del sergente Euron si fece più serio, ma fu ben attento a non pensare diverse imprecazioni che mettessero a repentaglio l’intera missione diplomatica. Doveva lasciar parlare gli “adulti” della situazione, ed il fatto che Pitchiner non batté ciglio era già un buon inizio.

“il nostro sovrano ha ponderato saggiamente l’idea di allearsi con voi, Adaar. Non siete uno qualunque nel vostro popolo” forse i complimenti diretti non erano esattamente saggi dato che il guerriero in questione non era un vanitoso, ma una spintarella non poteva far certo del male “abbiamo un nemico in comune. Possiamo farci forza a vicenda, in quanto dubito fortemente che i mercanti illithid ci appoggeranno concretamente fornendoci gli strumenti adatti a contrastare i dream pirates”

Darius contava assai nella casta dei guerrieri, le informazioni che gli erano state fornite dallo stesso re Lunanoff  dicevano il vero, ed anche se l’illithid stava andando verso la soglia della cinquantina era ancora un individuo piuttosto giovane per la sua razza che di anni poteva camparne anche più di centosessanta. Dunque di tempo per espandere ancor più maggiormente i propri territori e far tremare ulteriormente la confederazione dei mercanti – zittendo persino gli altri guerrieri della sua casta – e lo stesso regno delle costellazioni ne aveva eccome… dunque era cosa piuttosto saggia avercelo come amico che come nemico.

Ma non si aspettò, così come gli altri due soldati che lo accompagnavano, che il signore del palazzo si mettesse a ridere in modo cupo e beffardo. La sua risata riecheggiò in modo minaccioso nelle loro menti, tanto che il generale dell’armata dorata si ritrovò a deglutire in maniera impercettibile e portare la mano – nascosta dal mantello scarlatto – sul pomello della propria spada. Come se non bastasse dalle ombre della sala emersero svariate figure tentacolari – altri illithid con indosso delle tuniche più semplici e meno pompose di quelle dei mercanti – che si posizionarono tra una colonna e l’altra tenendo gli occhi biancastri sui tre stranieri giunti da lontano. In poche parole tutta quella situazione puzzava terribilmente di trappola.

“gran bel discorso, generale… davvero! E suppongo che abbiate portato dei doni per comprare il mio consenso”

“non siamo qui per comprare proprio nessuno!” ora il generale aveva decisamente abbandonato il tono accondiscendente di prima per abbracciarne uno molto più indignato e severo “la situazione è grave… ora siamo noi, ma un domani potreste essere voi se solo allentate l’allerta contro quelle empie creature!”

Kozmotis non aveva detto qualcosa di sbagliato, a suo dire quei demoni ancestrali e poco intelligenti erano davvero una minaccia per ogni stella dell’universo, eppure questo non parve far riflettere il signore del castello che, con un ordine telepatico ai suoi uomini, lasciò che gli altri guerrieri avvolti in tuniche di seta prendessero in mano la situazione. O per meglio dire le fiaccole fissate alle colonne.

Le creature – alte quasi quanto il loro signore –alzarono le fiaccole zampillanti di caldo fuoco appena appiccato verso l’alto, affinchè la volta della grande sala venisse illuminata il più possibile da quel loro gesto telepaticamente dettato da Adaar.

“caro il mio generale… sapete perché definiamo quelli che voi chiamate dream pirates semplicemente degli esseri fastidiosi?”

Pitchiner non era sicuro di voler capire quello che l’illithid voleva dire loro, ma spinto dalla curiosità e dall’istinto volle dare prudentemente una occhiata al soffitto per vedere ciò che tanto premeva che vedessero. Il suono di sorpresa e spavento che fuoriuscì dalla bocca del suo sergente lo avvisò in anticipo su quale follia avrebbe messo gli occhi, e le parole di Darius bastarono a rendere il tutto ancor più surreale di quello che già era.

“perché contrariamente a voi noi sappiamo come tenerli a bada, tanto che si dimostrano essere ottima malta con cui tenere su i nostri palazzi… ma d’altronde a noi illithid non piace buttare via niente”

Ora che la luce delle fiaccole era puntata verso l’alto poteva ben vedere i mattoni che formavano la volta della sala erano circondati da una malta nera come la pece ma brillante come il diamante. I dream pirates, il cui corpo informe e nero il generale conosceva assai bene date le battaglie che aveva conseguito contro di loro, erano stati smembrati e maciullati a tal punto da essere amalgamati con la sabbia per essere usati come reagente solidificante per tenere su quel palazzo restaurato pesantemente. Una crudeltà unica secondo il suo modesto parere – non ne aveva mai ucciso neanche uno ma al massimo messi in fuga o catturati per poterli poi interrogare in seguito – e per sicurezza volle controllare anche le piastrelle sotto i suoi piedi come colto da un viscerale terrore.

Le scanalature delle piastrelle recavano la stessa componente nera che era servita a tenere su i mattoni del tetto, e continuando ad osservare quella crudeltà gratuita al generale dell’armata dorata parve quasi che quella malta si muovesse appena – come se in qualche modo fosse ancora viva in uno stato di perenne dolore – ma con tutta probabilità si trattava solo di un gioco di luci e ombre dettato dalle fiaccole presenti.

“Lei… mi sta prendendo in giro…”

Le parole gli uscirono in maniera flebile mentre continuava ad osservare quelle frattaglie nerastre sfruttate come cemento per fissare al suolo le mattonelle grigie e informi – stava letteralmente camminando su un mare di cadaveri – ma fu solo quando alzò nuovamente lo sguardo che fu sicuro di impazzire per davvero.

Gli occhi dorati di Pitchiner osservarono sconvolti come la sala si era fatta improvvisamente grigia e statica, ed ogni suo ospite presente era fermo immobile come congelato da un potente incantesimo temporale. La tenente Olympia aveva uno sguardo preoccupato marcato in viso, ripresa nell’atto di tentare di divincolarsi da qualcosa di invisibile lasciando che lo scrigno prezioso le scivolasse dalle mani e rimanesse a mezz’aria, con tutto il suo contenuto che a breve si sarebbe rovesciato su quell’orribile pavimento. Accortosi di quella strana situazione il giovane Euron parve voler intervenire per aiutare il proprio superiore, congelato nell’atto di urlare il nome della ragazza ed estrarre – istintivamente e scioccamente – la spada dal proprio fodero. Molto probabilmente non sarebbe venuto a capo di nulla, perché proprio alle sue spalle uno degli uomini di Darius stava avvicinandosi al sergente per poterlo rendere inoffensivo con i propri robusti tentacoli già esposti sopra la bionda capigliatura del ragazzo. Una situazione a dir poco psicotica, perché il generale della armata dorata non riusciva a capire se ciò che stava osservando stava accadendo realmente oppure era solo frutto della sua paranoia.

E soprattutto… perché vedeva un Adaar ancora seduto in trono ed un altro – quest’ultimo a colori anziché in bianco e nero come il resto del panorama – che si avvicinava a lui con passo tranquillo?

“Si stava facendo un po’ troppa confusione… quindi perdonerete questa mia intrusione, dato che ci tenevo a parlare solo con voi e basta”

A poco a poco Kozmotis Pitchiner comprese che quella creatura si era semplicemente fatta strada nel suo subconscio in maniera tanto facile quanto imbarazzante – perché il soldato si reputava abbastanza granitico per quanto riguardava la propria psiche – e per quanto la cosa lo rendesse inquieto tanto bastò per calmarsi e sentire che cosa aveva da dire la potente creatura a cui stava chiedendo una alleanza.

“Mi auguro che sia qualcosa di importante, allora! Per gli dèi, Adaar… che diavolo sta succedendo?! Che avete fatto ai miei uomini?!”

“succede, mio caro generale, che avete un’indole fin troppo simile a quella che avevo io molti anni fa… e non si preoccupi troppo per i vostri soldati. Attualmente sto… facendo vedere una cosa alla piccola Olympia”

Il tono di voce che usò l’illithid lasciarono alquanto disgustato il soldato umano – perché qualunque cosa stesse facendo al suo tenente era sicuramente qualcosa di immorale – così come il suo gesto di andare a sfiorarle con un tentacolo il viso contratto in una smorfia angosciata, ma a parte aprire la bocca per lamentarsi ulteriormente non potè dire alcuna parola in quanto Darius Adaar V non gli lasciò il tempo di esprimersi.

“che ci crediate o no ero esattamente come voi un tempo. Ligio al mio dovere, fedele ai miei superiori… fino a quando non assaporai sulla mia stessa pelle il sapore del tradimento”

Con un gesto della mano lo invitò a scrutare i bassorilievi presenti in sala, e questi, come mossi dalla magia, si misero a muoversi per raccontare quella che a conti fatti era la storia personale dell’illithid che aveva di fronte. Gli fu facile riconoscerlo perché il vero Adaar possedeva una cicatrice che gli passava sopra l’occhio sinistro, e altrettanto aveva il fregio scolpito nella grigia pietra.

“Non conservo molti ricordi dei miei genitori, in quanto sono morti quando ero ancora troppo piccolo per poter ricordare. Ma conservo buoni ricordi dell’accademia militare in cui sono cresciuto. Io, e molti altri come me”

I bassorilievi animati mostrarono quello che sembrava essere un orfanatrofio militare destinato ai figli dei caduti della casta dei guerrieri. A quanto pare Darius era molto giovane quando perse entrambi i genitori in una guerra fratricida con altri illithid – una grande guerra durata anni tra due signori della guerra cefalopodi – ma stando ai bassorilievi crebbe bene ed ebbe modo di crearsi persino una famiglia. Una analogia decisamente simile a quella di Kozmotis che, proprio come il Darius raffigurato nella pietra, aveva moglie e figlia piccola ad aspettarlo a casa.

“a diciotto anni avevo già una carriera militare ben collaudata, tanto da divenire il più giovane generale dell’armata del signore che servivo. Anche se, con tutta probabilità, la guerra in corso richiedeva dei generali capaci a prescindere dalla loro età… e tuttavia, nonostante le molte battaglie, avevo qualcosa per cui vivere”

Una donna dal volto indecifrabile si avvicinò all’Adaar in tenuta militare una volta che questi entrò dalla bidimensionale porta di casa. I due si abbracciarono, e dal loro abbraccio, una volta che si sciolse, sbocciò una bimba piccola.

“All’epoca ero fortemente legato ai valori che mi erano stati insegnati, e anche se contrariamente a lei non mi facevo scrupolo a eliminare i miei nemici facevo sempre in modo che i miei duelli fossero costantemente alla pari”

Un intento nobile, e francamente parlando Pitchiner faceva un po’ fatica a crederci. Ma in fin dei conti cosa ci avrebbe guadagnato a mentirgli spudoratamente? Proprio un bel niente, e quello sguardo malinconico che riuscì a intravedergli mentre osservava l’intimo quadretto familiare che era un tempo la sua vita non sembrava essere pura finzione. Poi la scena cambiò, e si vide un giovane Darius mentre leggeva un dispaccio importante che gli era stato portato direttamente al fronte.

“la mia disfatta avvenne il giorno in cui il mio sire mi mandò importanti istruzioni su come affrontare l’ultima parte dell’assedio al palazzo in cui si era rintanato il suo avversario. Gli ordini parlavano chiaro: tutti andavano sterminati, comprese donne e bambini. Nessuna linea di sangue doveva sopravvivere a quella guerra… e come avrete ben intuito, mi rifiutai”

Quale bestia avrebbe mai potuto attaccare bambini indifesi (esclusi dream pirates)? Si trattava di un argomento che Kozmotis si era sempre rifiutato anche solo di pensare marginalmente, troppo puro d’animo per concepire una simile barbarie come l’infanticidio, eppure non era così ingenuo da non sapere che la fuori c’erano persone prive di scrupoli pronte a tutto per il potere.

“venni accusato di alto tradimento, dandomi la pena massima che si usa dare alla feccia come me. La totale lobotomia e asservimento. Fui abbastanza forte da liberarmi e fuggire, ma il verdetto raggiunse anche chi non doveva raggiungere…”

L’immagine di un Adaar incatenato in prigione si ruppe come frammenti di vetro, e correndo verso la sua casetta asimmetrica il giovane generale fece la sua agghiacciante scoperta. Portandolo nello sconforto e dolore più totale.

Moglie e figlia erano scolpite nella pietra con tutta la brutalità e la delicatezza che solo una mano illithid poteva ricavare dalla roccia. Smembrate a colpi d’ascia erano aperte come la corolla di un fiore elegante, i cui fiori caddero verso il nero inchiostro che si aprì dopo quella brutale esecuzione. Forse l’oscurità in cui Pitchiner si ritrovò avvolto non era altri che la mistificazione del dolore e dell’odio che la creatura doveva aver provato alla vista di quello scempio insensato e inumano. Due povere creature aperte e private degli organi interni – perché è risaputo che sono un popolo che non butta via niente – che hanno segnato definitivamente un uomo che aveva il dovere di proteggerle.

“Avete passato dei momenti terribili, Adaar… non riesco minimamente ad immaginare quanto dolore abbiate potuto provare”

Il generale dell’armata dorata sussurrò quelle parole al buio più totale, e il suo pensiero istintivamente andò alla sua famiglia attualmente al sicuro su di un pianeta lontano. Cosa avrebbe potuto fare se i nemici del regno avessero scoperto dove le teneva non riusciva neppure a immaginarlo, si trattava di una cosa troppo sconvolgente per poter essere concepita da mente umana, e poteva solo immaginare come tale evento avesse segnato una creatura aliena che possedeva – stando a quanto era scolpito nella roccia – una umanità che non gli avrebbe mai dato a causa di un aspetto e modi di fare piuttosto discutibili. La risposta alle sue inquiete domande mentali arrivò dalla cupa voce del condottiero, che a quanto pare non aveva finito con la sua storia.

“no… non potete minimamente immaginarlo, generale. Soprattutto per quello che accadde dopo e che mi ha reso quello che sono ora”

All’improvviso il buio lasciò lo spazio ad altre immagini incise nella fredda pietra, e il ragazzo che possedeva degli ideali lasciò lo spazio ad un uomo violento assetato di vendetta. Il giovane Adaar, dopo aver convinto diversi uomini a seguirlo, decise di organizzarsi per muovere guerra al suo ormai ex sire. Con pochi uomini riuscì a infiltrarsi nel palazzo del signore della guerra che un tempo serviva, compito che a quanto fare fu abbastanza semplice in quanto conosceva il posto a menadito, e a quel punto fu ben felice di potergli mozzare la testa per mostrarla ai propri fratelli che altro non poterono fare che accettare quel nuovo violento leader.

Ma non bastò. Adaar non si accontentò di una semplice testa, e la sete di vendetta si trasformò in uno stile di vita che gli avvelenò il sangue e modificò il suo docile pensiero.

Le immagini si susseguirono veloci e violente come gli eserciti che avanzavano simmetrici e coordinati nello spazio bidimensionale e astratto della pietra, non dando tregua neppure a coloro che chiesero una alleanza – o una resa – all’illithid spezzato dal dolore e dal tradimento. Molti della casta dei guerrieri provarono a fermarlo, ma più la sua rabbia cresceva più i suoi poteri si facevano sopraffini, tanto da diventare il fustigatore di un popolo corrotto all’osso e propenso solo a combattere per un titolo o una fetta di terreno brullo.

Il cuore di Darius si era indurito, divenendo venale quanto un mercante e feroce quanto un inquisitore, e al giovane Pitchiner fu chiaro che la sete di conquista dell’illithid non si sarebbe fermata finchè tutta la società del suo stesso popolo alieno non si sarebbe nuovamente riunificata sotto la sua feroce dittatura.

“Voi mi somigliate molto, e quelli come noi sono preda facile di complotti e pugnalate alle spalle… è la troppa onestà che rende l’individuo vulnerabile. Dunque il consiglio che posso darvi è di non essere troppo buono con i vostri nemici, nemmeno contro quelle creature che voi chiamate dream pirates”

Sentendo la voce del mostro alle proprie spalle il soldato si voltò di scatto con uno sguardo tra il rimprovero e lo sconvolto. Ora le figure intagliate sulle lastre di pietra avevano smesso di danzare la loro macabra scena di morte e decapitazioni, e la stanza era ritornata a essere quella di prima, con lo scenario delle figure congelate nell’atto di possibili tafferugli compromettenti. Il condottiero umanoide aveva usato la povera tenente Olympia come scusa per distrarre anche i suoi stessi uomini e poter interagire tranquillamente con il generale dell’armata dorata… ma i suoi ammonimenti decisamente non piacquero a Kozmotis.

“non ho intenzione di iniziare a macchiarmi le mani di sangue per prevenire un possibile attacco alle mie spalle! Non sono uno sciocco, ho già provveduto a mettere la mia famiglia al sicuro” decretò il giovane soldato, ora nuovamente in se e convinto di non poter toccare l’orlo della follia come prima di quell’assurda conversazione “sangue richiama altro sangue, Adaar… e senza offesa, ma non ho intenzione di diventare come voi”

“e questo è un segreto talmente importante che neppure io riesco a leggere dove le tue donne siano… buon per te, generale. Ma allora, se non vuoi fare quel tipo di prevenzione prova ad adottare un’altra strategia più pulita”

Pitchiner non badò molto al fatto che il mostro gli aveva dato del “tu” abbandonando in parte l’etichetta che si doveva tenere durante quegli incontri ufficiali, perché all’improvviso la voce dell’illithid divenne come velluto nel suo cervello. La possente creatura dalla pelle violacea stava accarezzando parti della psiche dell’High General of the Galaxies che non erano così forti come lo stesso essere umano credeva che fossero – non come la sua volontà di tenere segreta l’ubicazione in cui aveva nascosto moglie e figlia a causa della guerra – avvertendo ogni sua futura sillaba come la più ragionevole delle soluzioni.

“vai ai confini del tuo regno, nel pianeta più remoto che tu conosca, e lì fai costruire una prigione abbastanza grande da poter contenere tutte le aberrazioni che terrorizzano quei maiali dei tuoi nobili… se non vuoi sporcarti le mani, allora imprigionali tutti affinchè non possano più nuocere a nessuno e men che meno alla tua preziosa famiglia”

Darius non gli stava esattamente comandando di fare qualcosa di simile, ma la malsana idea di stipare tutti i dream pirates che avrebbe catturato in un’unica prigione alveare non gli sembrava poi così malvagia come invece inizialmente gli era sembrato. Giusto poco prima che gli invisibili tentacoli dell’illithid gli accarezzassero la mente convincendolo a poco a poco che quella era una scelta migliore che avere morti sulla coscienza.

“Se li uccidessi tutti non sarei dissimile da loro… ma imprigionarli? Potrebbe funzionare, si…” mormorò il generale umano assorto nei propri pensieri, ben sapendo che persino al re questa soluzione sicuramente sarebbe piaciuta. Poi si ridestò, guardando nuovamente severo in volto il mostro tentacolare “e per quanto riguarda il motivo per cui siamo venuti qui? Potremo contare sul vostro supporto?!”

“farò in modo che un piccolo contingente di miei uomini si interessi dei vostri fronti più caldi, avete la mia parola…”

Adaar annuì solennemente al generale a cui aveva sfiorato la mente nel modo giusto, anche se quella loro collaborazione molto probabilmente non avrebbe avuto una lunga durata. Ma ciò non aveva importanza, in quanto era ora che il gran soldato dall’armatura dorata se ne ritornasse nella propria astronave e comunicasse la lieta novella al suo re bamboccio.

 

[…]

 

Non seppe dire esattamente quando i suoi piedi salirono sulla rampa metallica dell’astronave militare con cui erano giunti fino al pianeta Aladaar, ne tantomeno quando dette ordine ai piloti di ripartire alla volta della capitale, ma quando Kozmotis Pitchiner riprese possesso delle proprie facoltà mentali fu per mano stessa del suo giovane sergente.

“Generale! È tutto a posto? Avete lo sguardo un po’ perso…”

Qualunque cosa fosse successa all’interno della residenza di Adaar V non sembrava aver lasciato segni evidenti ai suoi due luogotenenti che, contrariamente al loro generale, non mostravano evidente pallore e sguardo assorto. Era come se Euron ed Olympia non avessero subito sulla propria pelle gli attacchi psichici di Darius e il suo gregge, mentre il loro signore ricordava tutta la tremenda chiacchierata con quegli esseri dalla dubbia moralità.

Si trovavano nella cabina personale del generale, usata prima dello sbarco per un breve briefing sulla missione diplomatica, ed entrambi i suoi fedelissimi erano seduti di fronte a lui in attesa di una risposta. L’equipaggio aveva imbandito la tavola circolare con alcune vivande piuttosto semplici – alcune ricciole di pane farcite di carne secca e una bottiglia di vino rosso proveniente dai sistemi in mano alla famiglia Orion – ma nessuno dei presenti in tavola sembrava essere dell’umore per mangiare qualcosa. Agli occhi dei due giovani soldati Pitchiner mostrava due profonde occhiaie, e solo in parte i due ricondussero quell’aspetto fisico al trauma dovuto alla strana telepatia degli illithid.

Il generale tuttavia si riprese, raddrizzando la schiena sullo schienale in pelle e borbottando qualcosa con fare imbarazzato.

“sto… bene, sergente Euron. È stato un lungo viaggio e la comunicazione con quelle creature è stata particolarmente intensa… è stato così anche per voi due?”

“A dir la verità abbiamo parlato ben poco con gli individui presenti, avete fatto tutto voi e quell’Adaar” disse ad un certo punto la tenente, dopo una rapida occhiata con il suo sottoposto “abbiamo avvertito entrambi un certo mal di testa ad un certo punto, questo è vero, ma suppongo che per lei sia stato molto più faticoso dover gestire un dialogo con quelle creature orribili. Ad ogni modo, è fatta non è vero?”

I doni erano stati consegnati e accettati, perché la diplomazia lavorava anche di questo, ma Pitchiner rabbrividì mentalmente nel constatare come ai suoi due uomini di fiducia era stato fatto letteralmente il lavaggio del cervello.

Erano ancora loro, ma la parte riguardante la discussione avvenuta nella sala del trono era stata completamente modificata nei loro cervelli. E quel mal di testa che avevano provato ad un certo punto ne era sicuramente la prova.

“Si, tenente. È fatta… adesso possiamo riprenderci le nostre colonie”

Dentro di se il generale dell’armata dorata rabbrividì di angoscia per il modo in cui quelle creature erano capaci di risvoltare una qualsiasi mente per poterla poi usare a proprio uso e consumo, ritrovandosi dunque a dover dar ragione a quei tomi polverosi che ammonivano gli incauti di non avventurarsi troppo nei territori appartenuti un tempo agli Andromeda. Per fortuna era stato abbastanza forte da non farsi raggirare da Darius quel tanto che bastava per proteggere il regno e la propria famiglia.

E quella voce flebile che gli accarezzava la mente, così simile al velluto e incredibilmente convincente, era sicuramente quella del suo subconscio che gli diceva di sbrigarsi a costruire una prigione tanto grande da poter contenere tutti i nemici del suo amato regno.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


Quella era la prima volta che metteva effettivamente piede nella Casa della Mezzanotte, e la seconda in linea cronologica sul cupo pianeta Aladaar. Un posto decisamente esotico, ma non si poteva certamente definire il preferito dell’arciduchessa Nihil Nahema Aldebaran che era ben più abituata ai paesaggi desertici del suo pianeta natale. Ecco, per certi versi la Residenza del Crepuscolo, luogo in cui la “famiglia” di Darius Adaar V soggiornava – anche se le malelingue dei nobili avrebbero esternato in modo sprezzante quel suo manipolo di concubine e figli bastardi – era decisamente molto più rilassante e piacevole da visitare proprio come il vento caldo che sfiora le guance infreddolite da una notte passata nel deserto.

Quella aveva avuto modo di visitarla la prima volta che era atterrata con la propria navetta sul pianeta, e lo aveva fatto da sola… senza dire niente a nessuno. Molto probabilmente aveva commesso una autentica follia ad addentrarsi negli oscuri territori degli (ex) Andromeda da sola – perché gli illithid possono essere alquanto imprevedibili dato che non sono alleati con nessuna grande casa – e ancor più imprudente fu la sua visita nel luogo di piacere del sovrano del posto, anche se non si poteva certo dire che fu piuttosto contrariato di essere interrotto, qualunque cosa stesse facendo, da una donna affascinante quanto lo era lei.

Adaar l’aveva definita così: affascinante. Per quanto l’arciduchessa non fosse mai stata una donna altezzosa o particolarmente avvezza ad atteggiarsi da nobildonna pettegola e amante della moda, era invece una di quelle che preferiva la spada alle boccette di profumo tanto da voler fare carriera nell’esercito reale. Magari fu proprio questo suo lato poco “femminile” – per quanto fosse comunque una bella donna – ad aver incuriosito tanto Darius, ma sorpresa a parte dovette ammettere che fu una piacevole chiacchierata.

L’illithid non aveva mai avuto modo, fino all’arrivo della nobildonna, di poter parlare con qualcuno che facesse parte del regno delle grandi costellazioni. Fino a quel momento si era sempre occupato dei suoi fronti interni – sia metaforici che fisici – ma a parte questa piccola mancanza diplomatica la donna aveva intuito che fosse un uomo che puntava in alto. Quasi sicuramente aveva delle mire ben più sinistre di quante ne aveva lei – e la sua congiura di nobiluomini – nei confronti del loro attuale regnante, Tsar Lunanoff XI, ma doveva ammettere che era un uomo troppo furbo per lasciar trapelare qualcosa che portasse lei medesima sul chi vive. O addirittura agire di conseguenza.

Adaar era un uomo astuto, ben consapevole che dichiarare apertamente guerra ad un regno potente equivaleva gettarsi in una impresa ardua e logorante – per quanto lui e la sua gente possedessero poteri psichici non indifferenti c’era da dire che l’armata dorata non era da meno – dunque le era chiaro che puntasse ad una alleanza più sullo stile dei nobili pomposi che tanto disprezzava piuttosto che tagliar loro la testa. Perché mai volesse allinearsi con loro non era ben chiaro, ma in molti avrebbero sicuramente puntato il dito alla sua volontà di aprire una “falla” nel sistema delle costellazioni unite per poi attaccarle a tempo debito.

Un dubbio legittimo, ma rimaneva per l’appunto un dubbio. E per il resto la chiacchierata fatta in un gazebo dalle colonne contornate da fiori luminescenti rampicanti – davanti ad una bottiglia di pregiato vino rosso – era stata diplomaticamente piacevole. Avevano trovato un accordo, ed ora bisognava solo mantenere la promessa.

“Sei la donna più irresponsabile che io conosca… Prendere e partire da sola per incontrare un pazzo sanguinario! E tutto per cosa? Per dei giochi di potere?!”

“Sei stato tu a mettermi la pulce nell’orecchio parlandomi di lui, zio Krem” la donna sorrise, pur continuando a non osservare il proprio accompagnatore, sentendolo sbuffare seccato “e per quanto riguarda i cosiddetti giochi di potere è in ballo il benessere dell’intero regno, oltre che i tuoi interessi da mercante”

“Tzk… non bastava semplicemente uccidere quell’ingenuo di Pitchiner? Ti saresti risparmiata un sacco di grane”

Nahema non aveva degli zii degni di nota – chi morto per il tempo o per le congiure – e per quell’occasione si era fatta accompagnare da una creatura tanto insistente quanto ormai piuttosto nota nell’ambito familiare degli Aldebaran. Krem Oloong Ventrum era un illithid proprio come lo era il padrone della dimora in cui erano giunti quel giorno, ma facente parte di tutt’altra fazione.

Oltre a conoscere il padre di Nahema da una vita – erano amici di gioventù – era il mercante di fiducia della famiglia più ricca tra le casate nobiliari, nonché divenuto di recente membro di spicco della confederazione dei mercanti. E già con questo ultimo punto in elenco si poteva comprendere che lo snello cefalopode non era particolarmente felice di essere in una dimora di guerrieri.

Impacchettato nella sua preziosa tunica nera e viola, dagli intricati ricami in fili d’argento che partivano dall’alto colletto simile ad una ragnatela, il mercante si mosse a disagio nel piccolo tempio circolare in cui erano stati indirizzati dalle guardie umane al loro arrivo in quella villa maledetta. Adaar era stato particolarmente accorto nell’ospitare un mercante nella sala che celebrava una delle vittorie degli illithid sulla ormai estinta casata Andromeda, la cosiddetta Guerra degli Ultimi Giorni, lasciando ben intendere che Krem non era esattamente il benvenuto e che Darius era quello con il coltello dalla parte del manico.

“Ne abbiamo già parlato…” commentò pazientemente la donna, avvolta nel suo ricco mantello viola scuro. Non aveva voglia di affrontare l’argomento Pitchiner, in quanto aveva piani ben precisi a riguardo, seppur poco piacevoli e lo ammetteva a se stessa “piuttosto, perché non mi ricordi chi è questo gran signore qui? Se non ricordo male ti si sono arricciati un po’ i tentacoli alla sua vista”

Madame Aldebaran sapeva esattamente chi fosse la statua in marmo al centro di quel piccolo tempio – il cui piedistallo era avvolto da candele ormai fuse tra loro – ma le sfuggiva il senso cronologico dei bassorilievi che si posizionavano tra una colonna e l’altra illuminati a loro volta da file di candele. In tutta la stanza si respirava una certa atmosfera suggestiva, tra il solenne e il religioso, ma a Krem poco importava.

Aveva deciso di accompagnarla sia per la sua sicurezza – una volta che era riuscito ad estorcerle con insistenza i suoi foschi piani – sia perché in ballo c’era una possibile crisi di alleanze. La ragazza a suo avviso la prendeva troppo alla leggera le antipatie tra guerrieri e mercanti, ma contrariamente a quanto istintivamente pensava era al corrente che si trattava pur sempre di una stratega con un piano ben preciso in mente.

“Uff… se questa è la tua idea di passare il tempo allora ti accontento subito. Ti presento Marduk van de Kain, un condottiero feroce, generale massimo delle armate illithid che, circa mille anni fa, ha dato lo scacco definitivo alla casa Andromeda”

Con passo elegante – tipico dei membri della confederazione mercantile – il Ventrum si avvicinò di più alla statua del proprio simile e la ispezionò meglio nella sua fierezza e malvagità. Poi con un cenno della mano consigliò alla propria “nipote” acquisita di osservare i bassorilievi presenti.

“Durante la Guerra degli Ultimi Giorni braccò i restanti superstiti della casa Andromeda fino alla loro dimora fortificata. Il re barbaro Logain, marito della nobile Valindra Andromeda, era quel genere di individui che non andavano molto per il sottile, sia per quanto riguarda gli insulti sia per la sua resistenza ai nostri attacchi psichici”

Stando a quanto veniva mostrato dagli statici bassorilievi gli Andromeda persero molte colonie non solo combattendo contro gli invasori, ma anche cadendo succubi dei loro poteri psichici venendo letteralmente stravolti nella personalità e nell’animo. Da impavidi guerrieri a cagnolini servizievoli dei loro amati padroni. Tutti ad eccezion fatta del marito di Valindra che, essendo un barbaro, aveva più capacità di resistere assieme ai suoi guerrieri testardi come lui.

“si dice che il primo incontro tra Marduk e Logain avvenne su di un ponte che portava alla capitale degli Andromeda. In quel luogo Marduk perse una importante battaglia quando il barbaro fece saltare in aria il ponte di pietra su cui stavano passando i suoi soldati, trovandosi dunque soggetto ai suoi coloriti sberleffi”

Il bassorilievo mostrava un illithid in armatura piuttosto calmo nonostante sotto di lui rocce e altri suoi simili cadevano nel vuoto, mentre dall’altra parte dell’abisso gli esseri umani esultavano alzando le loro armi. Gli sguardi dei personaggi raffigurati era quello tipico dell’arte di queste creature aliene – indecifrabile – ma la donna avrebbe mentito a se stessa se non avesse detto che in quel Marduk covasse una certa vendetta.

“Fammi indovinare, Logain ha esultato ancora per poco”

“forse non lo sai, ma la capitale degli Andromeda era circondata da un profondo abisso continentale, percorso dalle acque dell’oceano perennemente in tumulto piuttosto difficili da guadare. Marduk aspettò dunque l’arrivo della primavera, quando le acque si sarebbero calmate abbastanza da permettere il passaggio dei serpenti marini per il loro esodo riproduttivo. Stando alle spie che aveva a palazzo, sotto la capitale c’erano delle gallerie sotterranee che arrivavano fino alle scogliere, ed essendo gli illithid abili nuotatori decise di sfruttare le bestie marine come copertura al suo piano”

Il fregio in pietra grigia mostrava gli alieni umanoidi nuotare con la stessa grazia di quelle grosse anguille dai denti affilati – cavalcandole addirittura – eludendo così lo sguardo degli attenti arcieri posti sopra i ripidi pendii. Naehma non aveva mai visto un illithid nuotare prima d’ora, e la curiosità di sapere se fossero davvero così abili come voleva far vedere quel bassorilievo era piuttosto discreta. Ma mai quanto venire al corrente se Darius Adaar V era fermamente convinto di stipulare definitivamente l’accordo con lei. Aveva sentito che era un individuo tanto arrogante quanto prevedibile, per quanto piuttosto gentile nei suoi confronti, e tutta quella lugubre storiella era un buon modo per stendere la tensione. A suo dire.

“la città era protetta da una barriera magica. Una bolla eretta da maghi potenti che non permetteva attacchi aerei o psichici da parte dei miei simili… ma non si aspettarono un attacco proprio al suo interno”

Come previsto il fregio successivo mostrava una violenta battaglia tra le due fazioni rivali, e a quanto pare il condottiero illithid non si risparmiò atrocità gratuite stando a quanto mostrò l’ultimo pannello decorativo. Piuttosto esplicito nei contenuti, come spesso mostrava l’arte di quell’inquietante razza aliena.

“e come puoi ben intuire da quello che successe, il generale van de Kain non ci andò per il sottile. Decapitando i figli di Logain e violentandogli la moglie sotto gli occhi. Dopo averle alienato la mente, si intende…”

“Si amarono… mio caro mercante. Secondo gli storici dell’epoca il generale Marduk fu decisamente un marito più comprensivo di Logain, dunque dobbiamo per forza ritenere l’amore un sentimento così iniquo anche se rende due persone felici?”

La chiacchierata tra i due forestieri venne interrotta da una voce decisamente più profonda di quella del Ventrum, ed entrambi notarono l’ombra del proprietario di casa avvicinarsi con passo silenzioso ai due.

Krem sfigurava davanti ad Adaar – alto “solo” un metro e ottanta, come in molti nella confederazione dei mercanti – ma il generale non ebbe praticamente occhi per lui, in quanto la sua attenzione venne catturata da una Nihil Nahema ora decisamente più sollevata del suo arrivo. Arrivando a concedergli un diplomatico sorriso.

“Mia cara Arciduchessa… perdonate l’attesa – si concesse un mezzo inchino per lei, portando lo “zio” della donna a roteare gli occhi annoiato pur non visto – ho da poco concluso un briefing con i miei comandanti. Purtroppo il lavoro chiama anche durante una festa, ma ora…”

Il possente condottiero – tra l’altro vestito con nient’altro che una tunica color vinaccia legata alla vita – invitò i suoi ospiti a seguirlo fuori dalla cappella, decretando dunque fine ad ogni possibile polemica scomoda. Nahema tuttavia conosceva la storia degli ultimi giorni di Andromeda, sapendo perfettamente che le gesta del generale Marduk portarono alla definitiva scissione tra casta dei guerrieri e quella dei mercanti. I primi rivendicavano legittima la conquista dello spietato generale per dare un segnale concreto a tutti i regnanti delle costellazioni, mentre i secondi videro solo una “cattiva pubblicità” e una possibile ritorsione da parte di un re potente che tuttavia non arrivò. Qualunque cosa fosse successa era forse il caso di non rigirare troppo il coltello nella piaga, e questo era il pensiero di entrambi gli ospiti.

“è un piacere poterla nuovamente incontrare, generale Adaar. Spero di non aver interrotto la vostra festa”

“Oh, non si preoccupi… la festa è anche per voi

 Una volta usciti dal piccolo tempio percorsero pochi metri, e al comando telepatico del loro signore le guardie umane spalancarono il portone di bronzo che dava al grande giardino della Casa della Mezzanotte. Il posto era arredato a festa, con lanterne di carta appese a fili di ferro che passavano da un porticato all’altro e regalavano una atmosfera rilassante nonostante l’ambiente tetro della villa – arrivando quasi a oscurare il cielo eternamente notturno con la loro luce – e svariati tavoli imbanditi a festa fornivano ogni delizia agli ospiti presenti. Non si trattavano di portate raffinate in quanto molti degli ospiti presenti erano guerrieri di spicco alleati di Adaar – lo si poteva intuire dagli stemmi differenti sulle loro armature leggere in cuoio – dunque nessun’ostrica con ripieno di caviale e aglio, o budino di ciliegie contornato da menta rossa, ma in compenso svariate portate di arrosti e verdure grigliate; spiedini di anguille e calamaretti; e una fontanella che spillava vino rosso di qualità abbastanza buona… se si era di stomaci audaci per bere una bevanda calda e speziata. Un banchetto per guerrieri – sia umani che illithid – in cui bisognava usare più le mani che le posate, e che la Aldebaran onestamente parlando non dispiaceva affatto.

L’arciduchessa amava le cose pratiche, abituata com’era a impugnare una spada pur sapendo come destreggiarsi in una serata di gala, ed accettò di buon grado la coppa traboccante di vino rosso che il signore del palazzo le allungò. Le loro mani si sfiorarono, bagnate lievemente di quel fluido rosso come il sangue, e nonostante Adaar indugiò un attimo in quella posizione un po’ intima, le mani legate a quella coppa come a sancire la loro unione, per Nahema fu come essere sottoposta alla prova del nove.

Aveva molti occhi su di se, sia quelli bianchi degli illithid che di quelli dei loro alleati umani, e quando decise di prendere per se la coppa volle dimostrare a tutti che di lei ci si poteva fidare. Bevve un buon sorso di quella bevanda molto forte – il vino dei guerrieri – tenendo saggiamente a bada i tremiti corporei dovuti all’ovvia digestione di quell’intruglio alcoolico. Stessa sorte toccò al mercante di nome Krem, ed una ancella dagli abiti semitrasparenti gli offrì una coppa su un vassoio d’argento. Le dita affusolate dell’illithid si chiusero sul manico di quel calice in metallo, osservato pure lui dai sospettosi uomini di Adaar, e tenendo severamente d’occhio il generale malizioso volle dare pure lui il suo contributo alla festa.

Se pensavano che fosse il solito burocrate impacchettato nei propri abiti sontuosi e con la puzza sotto il naso si sbagliavano di grosso. Sotto quelle sete preziose il mercante nascondeva un fisico tanto snello quanto atletico – merito degli allenamenti fatti con il proprio fratello minore, tanto grosso quanto, a suo dire, stupido – e per quanto quel vino fu un pugno allo stomaco non dette soddisfazione alcuna ad Adaar nel mostrarsi sofferente e tossire di conseguenza.

“è come acqua di fuoco nella mia gola” sentenziò infine l’illithid con voce roca, nel mentre che proprio tutti lo osservavano in silenzio “il miglior vino della costellazione. Sono stupito, Adaar”

Lo disse con tono volutamente ironico – perché era chiaro che un mercante non avrebbe mai strisciato i propri tentacoli sui piedi di un guerriero – ma tanto bastò per sciogliere il ghiaccio e lasciare che gli altri ospiti si disinteressassero nuovamente dei nuovi arrivati. Poi un rullo di tamburi attirò l’attenzione di molti sul piccolo palco allestito per l’occasione, dove una commediaccia volgare era stata interrotta dall’arrivo del padrone di casa, e lo spettacolo potè dunque tornare ad andare avanti.

“Ora che abbiamo avuto un assaggio della vostra ospitalità, vorrei conoscere i dettagli della vostra missione”

Nahema, pur sorridendo educatamente e con le guance lievemente imporporate dall’alto tasso alcoolico del vino appena bevuto, volle comunque venire al dunque sulle motivazioni della sua visita. Adaar non si scompose, anche se avrebbe preferito vedere i propri ospiti più rilassati, appoggiando la schiena su una colonna e dando pure lui un sorso ad una coppa carica di vino speziato.

“è fatta, mia signora. Il vostro ingenuo generale costruirà la sua imponente prigione affinchè tutti i nemici del regno vengano ospitati li dentro… ho instillato in lui una idea che con il tempo potrebbe diventare deleteria, lo riconosce questo?”

Erano passati pochi giorni dalla partenza di Kozmotis Pitchiner e a breve anche Darius Adaar sarebbe partito per impegni di “lavoro” – le vacanze erano finite anche per lui e la festa era stata organizzata proprio per quello – ma l’idea dell’arciduchessa di voler stipare in un unico luogo quelle bestie informi dei dream pirates gli sembrava piuttosto folle. Ma si trattava di una donna astuta, lo doveva ammettere, e oltre a questo lato intrigante possedeva una mente blindata quanto lo era quella delle sue adorate figlie. Già dal loro primo appuntamento aveva provato a mostrarsi più irresistibile di quello che in realtà era, sfiorandole quei lati del cervello che difficilmente si sarebbero attivati al comando della loro padrona, ma fu sorpreso di non riuscire minimamente a entrare in lei se non trovando solo un muro nero che gli vietava di entrare. Limitandosi dunque alla sola comunicazione telepatica e a sottostare ai canoni classici della diplomazia. Che fosse lei stessa figlia di un illithid? Non poteva saperlo per certo… e per il momento rimaneva solo un pettegolezzo inutile.

“So cosa sto andando incontro, generale. Ma ho già tutto pronto” disse cortesemente la donna, sperando che Krem non si indispettisse troppo “e per quanto riguarda me, potete star certo che manterrò la promessa che ci siamo fatti… anche se attualmente ho solo un fratellino di otto anni disponibile ad un matrimonio, ci vorrà dunque del tempo”

Da una tasca interna del mantello in velluto viola estrasse un astuccio dorato che porse al possente illithid, e questi lo prese con cautela dalle mani della donna – perché in fin dei conti non era un oggetto di sua proprietà – ed aprendolo ne osservò il contenuto. Lo squisito ritratto di un giovanotto dagli stessi allineamenti della nobildonna si mostrò ai suoi pallidi occhi, e per quanto sembrasse avere un po’ più dei suoi effettivi otto anni, come recava anche la didascalia sotto il ritratto, apprezzò in silenzio quella deliziosa esca che Nihil Nahema gli aveva appena lanciato.

“le presento Nihil Texu Aldebaran, l’ottavo dei miei fratelli, che sarà ben felice di incontrare la sua futura sposa”

In quel momento Krem non disse nulla, anche perché se lo avesse fatto molto probabilmente avrebbe nuovamente attirato l’attenzione dei molti bruti presenti, pertanto decise di relegare ogni genere di profanazione in lingua madre in un angolo remoto del suo subconscio inaccessibile a chiunque. A suo avviso Nihil Nahema era stata troppo avventata nel permettere a Darius praticamente una porta verso un mondo completamente diverso da quello dei possedimenti di Andromeda, avviando dunque ad un futuro possibilmente incerto le relazioni con i mercanti e il regno stesso, nel caso Adaar – o la sua discendenza – avesse deciso di muovere guerra.

“ne siete certo, generale? Un matrimonio è una cosa così borghese…”

Mormorò quella frase portandosi il calice di vino speziato alle labbra, ben nascoste sotto i tentacoli, usando un tono sottilmente velenoso che colse persino l’arciduchessa stessa. Ben presagendo che il mercante – di una età approssima di quarantadue anni – le avrebbe fatto sicuramente la ramanzina al loro ritorno verso la capitale dorata degli Aldebaran, ma per il momento non voleva pensarci. Anche perché il lord del luogo sorrise in un modo alquanto strano, come se si stesse mangiando con gli occhi i suoi ospiti, lasciando trasparire una certa malizia seppur provvisoria.

“Oh, ne sono certo… e a tal proposito, mia cara Nihil Nahema, mi perdonerete se non ho un ritratto della mia preziosa figliola da mostrarvi, in quanto ho di meglio”

Così come il suo sorriso durò una fazione di un secondo, altrettanto l’attesa per i due ospiti non durò a lungo. Scostandosi dalla colonna su cui si era appoggiato il generale si rivolse telepaticamente a due figure all’ombra del porticato – rischiarato da lampade in terracotta – che sgusciarono fuori dalla conversazione personale in cui si erano intrattenuti obbedendo ad un ordine diretto del loro padre e signore.

Un illithid, alto quanto Darius forse guardia del corpo dell’umana che accompagnava, ed una ragazzina si avvicinarono alla figura del generale. e questi fu pronto a presentare alla nobildonna quella giovane dai capelli neri e dagli abiti dai colori che richiamavano l’intensità dell’autunno. Era davvero graziosa, entrambi gli ospiti dovettero ammetterlo – quasi incredibile che fosse stata concepita da un mostro – e i suoi occhi verdi brillarono di curiosità alla vista di quella donna così elegante rispetto ai rozzi guerrieri presenti.

“miei cari ospiti, e mia cara arciduchessa Aldebaran, ho il piacere di presentarvi l’ultima delle mie figlie, Amarilli Adaar. Ha compiuto da poco il suo tredicesimo compleanno, ma a conti fatti è ancora la mia bambina”

“i miei rispetti, principessa Adaar” fece l’Aldebaran, accennando un lieve inchino e sorridendole in modo cordiale “ero davvero curiosa di conoscervi, e sono ancor più colpita di vedervi di persona”

Le guance della fanciulla si imporporarono di imbarazzo di fronte a quella nobildonna vestita di un mantello così bello che, però, nascondeva al di sotto una leggera armatura dorata che ne proteggeva il busto. Era piuttosto alta per essere una tredicenne – con una altezza media di un metro e sessantacinque – ma il suo animo e il suo corpo non erano ancora quelli di una donna. Nahema aveva sentito dire, per bocca del suo mercante Ventrum, che gli illithid raggiungevano la maturità sessuale attorno ai sedici o diciotto anni di vita, probabilmente per via della loro lunga vita, e a quanto pare trasmettevano questo particolare alle loro figlie.

“Arciduchessa… è un piacere anche per me” indubbiamente le era stato insegnata l’educazione “avrei così tante domande da farle! Per esempio è vero che il vostro pianeta è pieno di sabbia? Ma proprio pieno, pieno?”

“non esattamente ma si… è prevalentemente desertico. Ci sono tuttavia diversi fiumi e oasi che ne spezzano il paesaggio, e il tramonto che si può osservare è simile a quello che potete vedere nella vostra dimora del Crepuscolo”

“Suvvia tesoro, non assillare con le tue domande la nostra ospite… non sei curiosa di vedere il posto di persona?”

Il tono del possente illithid fu gentile nei riguardi della propria creatura, non mostrando alcuna malvagità appena velata nei confronti di Amarilli, lasciando che uno sbuffo divertito si facesse sentire dall’arciduchessa stessa. Poi un coro di ululati eccitati e di tamburi ridondanti interruppe il piacevole quadretto che si era creato attorno alle nobili figure, e dai tendoni del palco si palesò una succuba dalla pelle violacea e dal palco di corna ricurvo ricoperto da foglie d’oro. Probabilmente una cittadina dei territori degli Scorpio, i cui demoni erano tra le poche popolazioni a resistere agli attacchi psichici dei cefalopodi, e lo scarno abbigliamento fatto di un corpetto in fili d’oro che lasciava poco all’immaginazione portò gli uomini presenti a eccitarsi e ad allungare minacciosi i tentacoli verso la sua sinuosa figura.

“padre… vorrei avere il permesso per tornare alla Residenza del Crepuscolo. C’è una donna lasciva sul palco…”

La giovane si mosse a disagio per il modo in cui la demone danzava con una certa flessibilità lasciando intravedere ogni centimetro della sua carne, lasciando ben intendere che quello non era uno spettacolo degno di una ragazza di buona famiglia. Il padre dunque acconsentì, facendo cenno alla guardia di occuparsi della sua bambina.

“Ma certamente, figlia mia. Torna pure a casa, ci vediamo più tardi”

Congedò la figlia in modo educato, annuendo al guerriero dallo sguardo severo di scortare l’adorata figliola in luoghi meno incomprensibili per gli occhi di una bambina. Ma per gli adulti quello era uno spettacolo che con tutta probabilità non avrebbero assistito con tanta facilità nei prossimi mesi, pertanto era il caso di non andare troppo per il sottile con gli apprezzamenti pesanti e le parole audaci ad una femmina che, con tutta probabilità, era li per sua spontanea volontà.

Una volta che la giovane Adaar si fu congedata da quel luogo di perdizione l’intero cortile fu nuovamente regno degli uomini, e Nahema constatò di essere l’unica donna a cui nessuno avrebbe torto un capello. Non la nobildonna con cui il grande capo aveva stipulato un importante accordo, una promessa di matrimonio che l’arciduchessa si sarebbe impegna a mantenere, e non con lui medesimo che le sarebbe rimasto accanto per tutta la durata della serata.

Gli occhi di Nahema seguirono senza reale emozioni dalla danza dell’esotica femmina, sfiorata da quelle mani callose e da quei tentacoli sinuosi come le anguille scolpite nella dura roccia del tempietto di Marduk, notando appena la presenza di Darius alle sue spalle e al fatto che si era chinato lievemente per poter raggiungere simbolicamente il suo orecchio. Anche se non aveva bisogno di sussurrarle a quel modo.

“la notte sarà lunga, arciduchessa… è sicura di voler presenziare comunque?”

In principio la donna non disse nulla, ma si accorse che l’illithid le allungò un calice di vino – più leggero rispetto a quello bevuto in precedenza, in quanto non voleva che la propria ospite si rovinasse il fegato – e lo prese tra le mani nel riserbo più assoluto. Non era più tempo di farsi i complimenti a vicenda, e sorridendo lievemente si portò la fresca bevanda alle labbra per somma soddisfazione del padrone di casa.

“Abbiamo da decidere l’agenda dei futuri sposi… si dovranno pur conoscere, no?”

 

[…]

 

Fu così dunque che la lealtà di un uomo venne svenduta per una promessa di matrimonio i cui posteri non riserbano nessun ricordo degno di nota. Molte cose vengono spazzate via dall’incuria del tempo, altre volte semplicemente per mezzo di una mano malevola.

Quando la sua mano carnivora si allungò lungo tutte le costellazioni alleate non ricordava di aver incontrato nessun cefalopode che avesse in qualche modo cercato di fermarlo, e lui comunque non fu così sciocco da addentrarsi nei territori degli Andromeda. Il condottiero che era in lui non temeva di passare per determinati settori, ma loro erano terrorizzati al solo pensiero di camminare tra antiche rovine così ancestrali di cui persino gli illithid non riserbavano memoria.

Un tempo Pitch Black era stato un uomo. Un soldato leale. Un padre e un marito devoto. Ora invece era il pupazzo di carne, pece e icore delle creature che un tempo si facevano chiamare dai bambini della cosiddetta Golden Age come dream pirates. Creature che lui stesso aveva contribuito a catturare vive, fino a raggiungere l’orlo della pazzia in quegli anni di solitudine spesi a fare la guardia ad un pianeta desolato e alla sua cattedrale nel deserto.

Possedeva ora una nuova pelle, un nuovo nome, e tutto ciò che lo riguarda come l’uomo che era stato un tempo lo ricordava con molta fatica. Nel suo regno monocrome, in cui nelle gabbie informi che circondavano il suo trono bruciava l’invisibile fiamma dell’eterna vendetta, un signore decadente ma ancora potente meditava su ricordi passati appartenuti ad un individuo che ormai non era più.

Un tempo il potente generale di una armata aliena aveva messo in guardia Kozmotis Pitchiner dagli intrighi dei nobili che lui serviva con tanta lealtà, ma invece di raccogliere i suoi ammonimenti come la più preziose delle risorse si era fatto ammaliare dalla più improbabile delle idee.

Colui che lo aveva ammaliato si era comunque annoverato il diritto di metterlo in guardia, poiché furono proprio gli intrighi di corte a devastare ciò per cui viveva e spingerlo ad una eterna vendetta contro il mondo conosciuto. Troppo giovane per prestare attenzione alla voce della ragione Pitchiner aveva lasciato correre, e proprio come Darius Adaar V si era visto annichilire l’unico motivo della sua travagliata esistenza.

Pitch Black non ricordava con l’esattezza i nomi di quelli che un tempo erano stati i membri della famiglia del generale Pitchiner, ma l’uomo che era in lui, assopito nella bestia che era diventato, ricordava i volti delicati di due donne.

La sabbia nera che ora formava il suo essere si mosse come se stesse danzando nella densità del cupo oceano, e con il tocco gentile del suo signore iniziò a danzare ai suoi piedi per prendere la forma di una donna inginocchiata di fronte ad una bimba piccola. La sabbia cristallina e purulenta si amalgamò con delicatezza e maestria, tanto da riuscire a dare giustizia ai volti sereni delle due donne.

Un rimasuglio di ciò che era stato era rimasto ancorato a quei giorni, proprio come l’illithid che l’aveva ammaliato quel giorno di tanto tempo fa, intrappolato in quel tempo anacronistico di un ricordo che sarebbe sbiadito sempre di più ad ogni decade che sarebbe passata sulla sua pelle pallida. Ma prima di allora, contro ogni aspettativa, lui avrebbe continuato a plasmare la propria materia prima affinchè il proprio subconscio ne fosse sollevato nello spirito e nella ragione.

Pitch Black non aveva quasi idea di chi fossero le due figure femminili abbracciate tra loro, per l’appunto, ma avrebbe continuato a plasmare la sabbia nera per ricreare quell’intimo quadretto familiare così come il generale illithid aveva fatto nello scolpire la roccia grigia della propria dimora. Dette dunque un ultimo sguardo alla scultura creata con pochi passaggi di magico pulviscolo, sorridendogli lievemente con un volto un tempo appartenuto ad un uomo vero, prima di disfarla con un cenno della mano ed osservare i granelli di sabbia nera scomparire nell’atmosfera rarefatta del suo tempio innominabile.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3655671