After the rain there are rainbows

di Gwen Chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ragazzo nel fiore ***
Capitolo 2: *** Il principe delle fate ***
Capitolo 3: *** Il popolo dei rospi ***



Capitolo 1
*** Il ragazzo nel fiore ***


Il ragazzo nel fiore
 
C'era una volta, in un piccolo villaggio situato da qualche parte nel sud del Giappone, una signora che si sentiva molto sola. Suo marito era da tempo morto e la sua unica figlia, che ella amava molto, aveva da poco lasciato il nido.
Così la povera donna passava le giornate a fantasticare di avere ancora una creatura di cui prendersi cura, con nessuno, a parte un vecchio barboncino, a tenerle compagnia.
 
Un giorno, mentre stava tornando dal mercato per la spesa settimanale, udì due donne che parlavano della strega che viveva sulla cima della collina del villaggio. Le storie che circolavano su di lei erano tutte incredibili e straordinarie, con la gente che lodava le capacità della strega di realizzare ogni desiderio, non importa quanto fosse complicato.
La donna, il cui nome per inciso era Hiroko, ascoltò la conversazione quanto più poteva, riflettendoci poi su sulla strada di casa. Forse - considerò mentre armeggiava con la chiave della porta d’ingresso - la strega avrebbe potuto aiutarla ad avere un figlio di cui occuparsi e che le avrebbe tenuto compagnia.
“Che cosa ne pensi, non sarebbe una buona idea?” Chiese Hiroko al cagnolino rannicchiato ai suoi piedi. L'animale, che era un po' sordo da un orecchio, alzò la testa dalle zampe e diede un sonnolento  “Woof” in risposta. Lei gli diede una pacca sulla schiena, con le dita che carezzavano la pelliccia marrone e grigia del cane.
“Sì, hai assolutamente ragione,” cantilenò Hiroko, sorridendo felice mentre immaginava la vita che avrebbe ho avuto con un ragazzo che gironzolava per casa. Quando si addormentò, la testa abbandonata sul petto, quel sorriso sognante era ancora sulle labbra.
 
***
 
Nonostante la propria scelta di andare a vedere la strega e la sua risolutezza a farlo, passò una settimana intera prima di Hiroko potesse effettivamente raccogliere abbastanza coraggio per camminare fino alla casa della strega e bussare alla sua porta.
La strega era una bellissima donna di nome Minako. Si diceva che in realtà avesse centinaia se non migliaia di anni, ma grazie ai suoi incantesimi e pozioni aveva ancora l'aspetto di una ragazza in fiore.
“Entra, è aperto!” accolse Hiroko da dietro un bancone. Stava in piedi su uno sgabello di legno e tutto il suo corpo era teso nello sforzo di prendere una grande scatola dal scaffale più alto. Dopo un po', tuttavia, la strega dovette stancarsi di una simile sforzo perché pescò una lunga bacchetta da una da una tasca nascosta nella sua veste e l’agitò verso la scatola. Sotto gli occhi stupiti di Hiroko l'oggetto scese scivolando e atterrò gentilmente sul parquet.
“Usare la magia è così faticoso! Vorrei poter evitare di fare questo ogni volta!” sbuffò Minako. Mentre diceva così si voltò verso Hiroko come se si aspettasse una risposta. Hiroko, che a questo punto aveva già perso metà della sua capacità di parlare e onestamente non poteva vedere come la magia potrebbe essere una cosa negativa, si limitò ad annuire.
Minako sorrise. Poi le offrì una tazza di tè caldo. “In modo che nel frattempo tu possa spiegarmi ciò che desideri”, concluse.
 
Hiroko, stanca per la lunga passeggiata fino alla collina in un pomeriggio d'estate caldo e ventoso, accettò con gratitudine.
“Mm, un ragazzo,” borbottò Minako da sopra l'orlo della sua tazza dopo che Hiroko le ebbe spiegato il suo desiderio. La nostra donna chinò la testa, sentendosi sia un poco preoccupata e imbarazzata per la richiesta appena fatta. Le sue dita si strinsero intorno alla sua tazza ancora tiepida.
Minako rimase in silenzio per un po', mormorando qua e là una parola pensata più per se stessa che per chiunque altro. Poi, quando Hiroko era già sul punto di scusarsi e andarsene, la strega le fece cenno di aspettare. Scomparve per parecchi minuti - cinque giri di clessidra e mezzo - prima di tornare con una piccola scatola. Al suo interno un singolo seme era posato su un cuscino giallo intenso.
“Pianta questo in un vaso e annaffialo ogni giorno, mattina e sera,” Minako spiegò a Hiroko. “Quando il fiore fiorirà, avrai il ragazzo che il tuo cuore desidera.”
 
Hiroko era in verità un po’ incerta, ma chi era lei per dubitare delle parole di una strega potente e per la quale tutti avevano solo lodi? Così ringraziò più volte la donna e infilò nella sua borsetta la scatola contenente il seme, come se fosse stato il tesoro più prezioso dell'imperatore.
 
***
 
Una volta che fu di nuovo a casa Hiroko non perse un solo momento per piantare il seme, impaziente di vedere quale fiore ne sarebbe sbocciato e per verificare se la previsione di Minako fosse vera.
Così prese un grande vaso di terracotta, il più bello che aveva, lo riempì con terriccio fresco e ricco, e con attenzione mise il seme in un buco che aveva creato nel mezzo utilizzando il pollice. Mise poi il vaso sul davanzale della finestra della cucina, dove i raggi del sole arrivavano più gagliardi, anche in autunno.
 
Passarono due settimane. Ogni mattina Hiroko si alzava e innaffiava la pianta che era germogliata dal seme. Lo stesso faceva ogni sera prima di andare a dormire, proprio come Minako le aveva detto. Giorno dopo giorno la piantina cresceva in altezza e in bellezza e per la fine della prima settimana, un bocciolo bluastro era già comparso. Hiroko, con gli occhi umidi di lacrime, prese il vaso tra le mani, portò il bocciolo ancora fiorito al naso e ne inspirò il suo dolce profumo.
 
Circa una settimana dopo, Hiroko fu svegliata dall’abbaiare eccitato del suo cane. Il barboncino saltava sul posto e correva qua e là, leccandole il volto. Cercò anche di afferrare la manica del suo maglione tra i denti.
“Ok, ok, calmati ragazzo. Che cos'è?” Chiese Hiroko, stropicciandosi gli occhi assonnati. Era infatti ancora notte fonde. In risposta, il cane abbaiò un po’ più forte, prima di correre in cucina.
 
Lì, contrariamente a qualsiasi legge di natura e logica, il fiore stava sbocciando sotto la luce lunare che filtrava attraverso il vetro della finestra.
 
Hiroko si piegò sopra i petali mentre questi si aprivano lentamente. Erano blu, con parti di viola e violetto alla base.  La donna attese che il fiore ebbe completato la propria fioritura e, quando successe, meraviglia delle meraviglie, vide che un ragazzino stava seduto a gambe incrociate al suo centro.
Era piccolo, così piccolo che non poteva essere più grande del pollice della donna. Alzò le piccole braccia sopra la piccola testa e, sbadigliando, si stiracchiò. Quindi batté le palpebre e aprì gli occhi, guardandosi intorno con un'espressione curiosa. Infine si alzò sulle sue adorabili gambette e guardò Hiroko, le minuscole mani che scostavano un petalo come se fosse stato un sipario.
 
La donna, il cui cuore era sul punto di scoppiare per la meraviglia e la gioia che provava, portò la mano con il palmo verso l'alto vicino al vaso, in modo che il ragazzo potrebbe saltare su di esso. Egli lo fece.
Era vestito con un costume di un blu brillante, con fronzoli bianchi sul davanti. I capelli neri corvini erano arruffati e aveva un bel paio di caldi occhi castani. Quando parlò la sua voce era calma, gentile e dolce.
“Ciao, mamma”, salutò Hiroko. Una lacrima di gioia le scivolò lungo la guancia. La asciugò con la mano libera. Poi ridacchiò. Il ragazzo davvero non era più grande di quanto il pollice.
“Ti chiamerò Yuri”, decise; perché significa coraggio e ci vuole tanto coraggio per vivere in questo mondo non essendo più alto di un pollice. "Ti piace?"
Yuri sorrise la sua approvazione.

Note: Non ho scusanti a parte il fatto che il mio cervello era in fissa su questa idea e dopo aver affrontato angst non-stop nel mio altro progetto avevo bisogno di una bella e semplice fiaba AU
E comunque “Let me be your wings” " è perfetta per la Victuuri, quindi eccoci qui.
Aggiornamento settimanale, con capitoli brevi e semplici. Questa volta sono seria, questa cosa deve essere rapida, tenera e indolore.
Sette mini capitoli previsti.

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Capitolo 2
*** Il principe delle fate ***


Il principe delle fate

Proprio come Hiroko aveva temuto e previsto, la vita non era molto facile per il piccolo Yuri. Sia gli esseri umani sia gli animali, che egli poteva comprendere, spesso lo prendevano in giro per la sua minuscola statura. Gli scarafaggi e i topi che ogni tanto entravano in casa si divertivano molto a spaventarlo. Spuntavano fuori dai buchi nel muro o da sotto il pavimento solo per inseguirlo.
Gli uccelli che venivano sul davanzale della finestra per mangiare le briciole di pane e che erano grandi come aerei agli occhi di Yuri, spesso lo afferrarono per le spalle e lo sollevano in aria, ignorando le sue grida di terrore.
Solo il cane di Hiroko trattava bene Yuri. Anzi, sembrava aver preso il dovere di proteggere il ragazzo molto seriamente, da come abbaiava senza sosta contro i coleotteri, gli uccelli, e qualsiasi altro animale volesse deridere o ferire il ragazzo.

Dal punto di vista umano le cose non erano migliori. Hiroko sapeva che una bella, giovane coppia che viveva non lontano da casa sua e che era stata in rapporti amichevoli con sua figlia aveva tre gemelle. Erano bambine intelligenti, anche se un po’ birichine.
Forse, pensò Hiroko, mentre tagliava la verdura per la cena, Yuri avrebbe potuto giocare con loro. Raccontò al figlio il suo piano e, quando egli infine accettò, fece la visita alla coppia per spiegare la situazione. I coniugi, di nome Yuko e Takeshi Nishigori, furono perplessi all’inizio - nessuno aveva mai visto un ragazzo non più grande di un pollice - e considerarono il tutto come uno scherzo. Accettarono comunque l’invito di Hiroko di portare le tre gemelle a giocare con questo Yuri; più per curiosità che per altro.

Arrivò domenica. Il trillo del campanello svegliò uno Yuri che sonnecchiava nel letto che Hiroko aveva creato da una scatola di cerini. Saltò in fretta fuori dalle coperte, scalpicciò attraverso il tavolo e sbirciò da dietro un enorme portamatite. Quando Hiroko lo presentò ai Nishigori, s’inchinò cortesemente. Poteva vedere la chiara sorpresa sui loro volti. Le loro tre figlie, invece, erano entusiaste; forse un po’ troppo. Una di loro afferrò il colletto di Yuri fra le dita e lo sollevò, fino a tenerlo sospeso a mezz’aria. Le sue sorelle si avvicinarono, tendendo in avanti le manine, impazienti per il loro turno. Il viso di Yuri prima divenne verde, quindi bianco come un lenzuolo pulito. Sospirò di sollievo quando le ragazze lo rimisero infine su un terreno solido.

Alla fine l’idea di giocare con le triplette si rivelò un fallimento. Erano intelligenti e divertenti, nessun dubbio, ma i giochi che amavano, come la palla o la corda, erano troppo grandi perchè Yuri li potesse apprezzare. Il ragazzo propose di far finta di prendere un tècon alcuni amici immaginari, ma le ragazze sbadigliarono la loro noia. Inoltre, a dispetto della sua dimensione, Yuri possedeva la mente di un adulto e doveva ammettere che giocare con tre bambine di sei anni non era esattamente la sua idea di divertimento. Nonostante ciò, fece del suo meglio per godersi il pomeriggio, alla ricerca di qualcosa che sia lui sia le ragazze potrebbero apprezzare. Quando i Nishigori tornarono a prendere le loro figlie, Yuri li invitò a tornare un altro giorno.
Non lo fecero.

Passarono settimane e poi mesi. Negli ultimi tempi gli insetti e gli uccelli avevano cominciato a deridere Yuri per il suo essere un po’ paffuto. Hiroko era davvero una grande cuoca, così Yuri si serviva sempre il bis della piccola porzione che di solito veniva messa davanti a lui a pranzo e a cena.

Una sera, con il morale a terra, Yuri posò una mano sulla pagina aperta di un libro sulle fate che Hiroko stava leggendo quel giorno. Aveva lettere grandi quasi quanto Yuri e ipnotizzanti illustrazioni. Il ragazzo era particolarmente affascinato da una nell’angolo in basso a destra. raffigurava un ragazzo snello con ali semitrasparenti che spuntavano dalle sue scapole e lunghi capelli d’argento tenuti in una coda. Una corona di rose blu gli cingeva la fronte. Soprattutto, il ragazzo nella figura era piccolo come Yuri.
Yuri accarezzò pagina, con aria sognante.
“Non sarebbe bello se esistessero davvero le fate” chiese al cane, che abbaiò una volta.
“Sì, sarebbe fantastico” continuò Yuri, prima di inchinarsi leggermente davanti alla figura e accettare una mano immaginaria. Fece un passo in avanti, girò sui posto, e iniziò a ballare da solo, in un duetto con un partner invisibile. Mentre ballava la sua bocca canticchiava una canzone su speranze e sogni.

Nel mentre che Yuri ballava da solo, sognando di belle fate con i capelli d’argento e profondi occhi blu, non troppo lontano il re e la regina della corte delle fate erano in giro sul loro carro trainato da due farfalle colorate, per il loro compito annuale di cambiare colore alle foglie per l’autunno. Un gesto ondeggiante delle loro mani e il verde si trasformava immediatamente in giallo brillante, caldo arancio e rosso intenso. Il re, in verità, era un po’ preoccupato - anche un po’ arrabbiato - poiché il principe ereditario era introvabile.
“Quel ragazzo, non sarà mai in grado di guidare un regno se continua così” mormorò, rosso in viso.

Il principe infatti stava volando su un grasso bombo, le dita piegate intorno ai peli gialli e neri dell’insetto. Una fata più piccola lo seguiva su una falena.
“Victor, questa è una brutta, bruttissima idea” borbottò, serrando le mani attorno al corpo del lepidottero mentre volava a tutta velocità per raggiungere il principe. Victor non mostrò alcun segno di volersi fermare, inclinando il busto da un lato per far cambiare direzione al calabrone. Un attimo dopo, eccolo lì a passare davanti alla finestra di Yuri. Si fermò. Guardò prima la finestra, poi il suo compagno, e, infine, di nuovo la finestra. Le sue labbra si piegarono in un sorriso. La fata più piccola incrociò le braccia al petto.
“Oh, no, no, no. Questa è una pessima idea “, lo avvertì. Io me ne tiro fuori”
E con queste parole se ne volò via. Ormai da solo, Victor scese fino al davanzale della finestra; saltò giù il calabrone e gli chiese di aspettare fino al suo ritorno. Per sua fortuna la finestra era stata lasciata un po’aperta. Entrò nella stanza.

“Balli in maniera incantevole!” Victor complimentò Yuri. Aveva preso un ditale e vi si era seduto sopra, lasciando dondolare le gambe.
Inutile dire che Yuri sobbalzò sul posto, rosso in viso, inciampò all’indietro e cadde dritto in una teiera. Victor ridacchiò. Senza smettere di sorridere, volò fino all’oggetto e sbirciò da sopra il bordo. Yuri lo fissò da sotto in su, occhi spalancati per la sorpresa e ciuffi corvini che cadevano sulla fronte.
“Serve aiuto” chiese Victor, allungando una mano verso Yuri . Yuri l’accettò.
Non riusciva a smettere di guardare Victor.

Il ragazzo davanti a lui era esattamente come quello nell’illustrazione, a parte i capelli più corti. La bocca di Yuri si aprì di stupore, gli occhi fissi sulle ali della fata. Lo sconosciuto torse il collo per guardarsi alle spalle. “Qualcosa non va?”
La bocca di Yuri si aprì ancora di più. Boccheggiò sul vuoto come un pesce. “Hai le ali! “
Esclamò infine, con la meraviglia che stillava da ogni sillaba. “Ali!” ripeté. Prima che Victor potesse rispondere, chinò la testa e strusciò i piedi contro la superficie del tavolo, guardando l’altro a malapena. “E sei piccolo come me! Credevo di essere l’unico così!”
Indicò se stesso. “Così piccolo. Mi chiamo Yuri” disse, il corpo piegato in un inchino. L’altro ragazzo ridacchiò. Yuri aggrottò la fronte, distogliendo lo sguardo ancora più in imbarazzo. “Cosa c’è” chiese.
“Niente, è solo che conosco una persona che si chiama come te.”

“Mi chiamo Victor” si presentò infine lo straniero. Questa volta fu il turno di Yuri di ridacchiare, coprendosi la bocca con una mano.
“Viktoru?” ripeté, indulgendo nel modo in cui la lingua si arrotolava attorno quel nuovo e strano nome.
“No, Vi-ctor!”
Ma non c’era animosità nella voce di Victor.

Mentre Yuri stava per chiedere qualcosa a proposito della corte delle fate, con gli occhi che ancora saettavano dal ragazzo nell’immagine a quello in piedi davanti a lui, un ronzio attirò la loro attenzione. Victor corrugò le sopracciglia, schiaffandosi una mano in fronte.
“Che sciocco, me ne stavo quasi dimenticando!” disse volando verso la finestra. Si fermò a mezz’aria, facendo segno a Yuri di seguirlo. Il nostro protagonista, con le guance tinte di un rosa intenso, perché Victor era davvero molto bello, dibatté un poco tra la prudenza e la curiosità.
Vinse quest’ultima.
Vinse tanto che, prima che Yuri potesse anche solo capite il come e il perché, stava avvolgendo le braccia intorno alla vita di Victor, a dorso di un bombo pronto al decollo.

C’erano molte cose che Yuri amava - i chicchi di riso fritto nelle uova che sua mamma cucinava; l’odore del mare che filtrava attraverso la finestra; la musica del grammofono - ma improvvisamente sembrarono tutte cose banali rispetto alla calda e piacevole sensazione che sentiva nello stomaco. Il tessuto della giubba di Victor era morbido sotto le dita e Yuri sentiva il leggero movimento del suo respiro. Premette il viso arrossato contro le scapole di Victor, gli occhi che si chiudevano per paura quando il calabrone accelerava e si aprivano di meraviglia per ammirare la luna riflessa sulla superficie del mare. Una schiuma biancastra copriva la cresta delle onde

Man mano che l’alba si avvicinava, i fili d’erba si coprirono di rugiada, pronta a catturare e a riflettere anche il più piccolo raggio di sole non appena il cielo si fosse tinto di rosa. Lì, su un tappeto di foglie rosse e gialle, Victor si inchinò davanti a Yuri e offrì la mano destra, palmo verso l’alto. Il ragazzo si morse le labbra, strusciando i piedi contro il terreno. Borbottò di non aver mai ballato con nessuno, data la sua dimensione. Victor agitò via la sua preoccupazione.
“Ho visto come danzi. Balli magnificamente!” ribadì, prendendo la mano di Yuri nella sua e posando l’altra sul suo fianco nella posa iniziale di un valzer. Yuri sospirò, ma mise ugualmente la mano libera sulla spalla di Victor. Una canzone misteriosa uscì dalle labbra di Victor e Yuri si trovò a girare, i piedi che a malapena sfioravano il terreno, i passi perfettamente misurati. Victor guidava la danza e Yuri si abbandonò ad essa, seguendo ogni movimento che la musica suggeriva.
Nell’entusiasmo del momento, Victor lo sollevò. Aveva il sorriso più luminoso che Yuri avesse mai visto. Yuri squittì. Victor si spaventò. Inciamparono e rotolarono sull’erba. Yuri fissò Victor per un attimo. Poi scoppiò in una risata cristallina. Il suono argentino fece gonfiare il cuore nel petto di Victor.
Si alzò di nuovo in piedi e offrì a Yuri una mano.

“Tornerai” Chiese Yuri, quando furono tornati sul davanzale della finestra, la testa che girava ancora un po’per la danza. Afferrò la manica di Victor, con la paura improvvisa che non fosse stato altro che un miraggio. Fissò il ragazzo con l’intento di imprimere ogni caratteristica nella sua memoria, dai capelli d’argento ai suoi profondi occhi azzurri.


“Lo farò” assicurò Victor. Mentre diceva così, si tolse una collana e la passò a Yuri. Il ragazzo lo ringraziò, indossandola. Il ciondolo era tiepido per il calore del corpo di Victor.
“Aspetterò allora” sussurrò Yuri. Dalla finestra aperta provenivano le voci delle fate in cerca di loro principe. Ma l’omonimo di Yuri fu stato il primo a trovarlo. Una fata molto piccola e molto arrabbiata stava effettivamente bussando contro il vetro, i capelli biondi che cadevano sulla schiena. Guidava una falena.
“Eccoti! Vai con il principe, sarà divertente dicevano! Tuo padre è furioso!” gridò lo straniero, fissando Yuri come se non riuscisse proprio a capire cosa ci avesse visto Victor in lui.
”Dai, Yurij, sei così noioso” ridacchiò Victor. Si voltò verso Yuri con un sorriso di scusa. “Sembra che io debba andare.”
“Aspetterò.”

Yuri osservò Victor volare via fino a che scomparve nella luce dell’alba.

Ora, qualcun altro aveva visto ballare Yuri. La misteriosa figura aspettò che il ragazzo fosse di nuovo solo, infilato nel suo letto fatto da una scatola di fiammiferi. Sorrise sulla figura raggomitolata di Yuri, prima di prendere la scatola tra le braccia e saltare dalla finestra.

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Capitolo 3
*** Il popolo dei rospi ***


Il popolo dei rospi

In effetti, quando la misteriosa figura aveva rapito il nostro Yuri addormentato, Vicchan (questo era il nome che Hiroko aveva dato al suo barboncino) aveva abbaiato furiosamente contro l’intruso, sia per svegliarsi il ragazzo sia per avvisare la propria padrona; era stato inutile. Così, dopo aver abbaiato fino a svuotarsi i polmoni, il povero cane si sedette semplicemente sotto al davanzale, con testa poggiata sulle zampe incrociate. Lì guaì la sua richiesta di aiuto.

Non dovette aspettare a lungo. Al contrario, prima che il sole potesse raggiungere la sua massima altezza, una familiare figura alata apparve nel cielo d’autunno, la sua silhouette nera circondata come un’aureola dalla luce del sole giallastro. Venne giù volteggiando, saltò frettolosamente sul davanzale e chiamò “Yuri!”
Victor, perché chi altri poteva essere la figura, era stato rimproverato profusamente per il suo comportamento avventato, che non si addiceva a un principe ereditario e avrebbe potuto mettere tutta la corte delle fate in grave pericolo.
Tuttavia Victor non era mai stato il tipo di persona che ascolta e obbedisce ai comandi dei suoi genitori; al contrario, pur avendo un buon cuore e una natura gentile, era spensierato e un po’ infantile. Inoltre aveva anche una cattiva memoria e la tendenza a dimenticare le promesse, fatte spesso nella fretta del momento. Eppure, manteneva sempre quello che ricordava.
Così eccolo lì, ad atterrare sul davanzale, chiedendo a Yuri di venire fuori. Non vedeva l’ora di presentarlo ai suoi genitori, di mostrare loro come fosse piacevole e bello questo ragazzo senza ali. Non aveva dubbi che Yuri sarebbe stato felice e ben voluto nella corte delle fate.

Invece fu accolto da un silenzio irreale e dalla confusione che Vicchan aveva fatto nel tentativo di salvare il suo piccolo proprietario. Il fedele barboncino riprese il suo abbaiare non appena si accorse di Victor. La fata si precipitò fino al naso freddo cane.
“Buono! Che cosa è successo?” chiese, accarezzando il suo pelo riccio. Vicchan abbaiò di nuovo, inclinando la testa.
“Dov’è Yuri?” continuò Victor. Altro abbaiare venne in risposta.
“Qualcuno ha preso Yuri?” provò ad indovinare dopo un po’, guardandosi in giro fino a notare che che il lettino di Yuri mancava dall’insieme. Qualsiasi creatura della sua taglia o anche più grande avrebbe potuto facilmente infilarsi dalla finestra aperta per rapire il ragazzo.
Victor stava prendendo in considerazione tutto ciò quando una voce di donna giunse dall’altra parte della porta.
“Yuri, andiamo. È mattina inoltrata! È ora di svegliarsi!” chiamò Hiroko, aprendo l’uscio solo uno spiraglio. Sarebbe presto entrata in punta di piedi, avrebbe notato la confusione e prima o poi avrebbe scoperto che suo figlio non era più lì. Victor si dispiacque per lei, ma poco poteva fare per darle consolazione. Così diede una pacca a Vicchan sulla testa, sussurrando “Lo troverò!”, prima di riprendere il volo.

Quando Yuri aprì gli occhi, sbattendo le palpebre nella luce del tardo sole mattutino, una faccia color bronzo stava ostruendo la sua visuale. Occhi luminosi ed appassionati gli sorrisero, prima che il volto si tirasse indietro e si spostasse un poco più in là.
“È sveglio!” gridò lo sconosciuto. Yuri si raddrizzò, alzandosi in piedi nella sua scatola-letto, con le braccia tese in alto sopra la testa. Canticchiò e cercò di liberarsi dalla nebbia che ancora permaneva nella sua mente. Passò le nocche contro gli occhi chiusi per liberarsi dall’intorpidimento.
Poi si guardò intorno. Era in quella che sembrava essere una barca, cullata dolcemente dalle onde del fiume. Canne verdi e gialle crescevano tutt’attorno; si curvavano gentilmente in avanti fino a toccare la superficie dell’acqua con le loro teste, nella placida brezza autunnale. Alcune rane gracidavano, sedute su grandi foglie di ninfea. Qua e là le loro lingue appiccicose saettavano fuori per catturare una mosca succosa.
Lo stomaco di Yuri brontolò, la fame più forte del disgusto.

“Sì, è molto bello!”
Una voce di donna attirò la sua attenzione. Si girò. La sua bocca si aprì di stupore. Davanti a lui stava una donna grande due volte lui. Era per lo più umana, ma la sua pelle era di un viscido verde, coperta da piccole macchie brunastre e gli occhi protrudevano forse un po’ troppo. Le sue dita erano lunghe, unite da una membrana semi-trasparente. La sua bocca era grande, rosa, con una grande lingua dentro. Nel complesso somigliava a un rospo.
Accanto a lei, altri tre ragazzi più piccoli con le stesse caratteristiche stavano in piedi.
“Sì! Te l’avevo detto! Il mio nome è Phichit!” il ragazzo di prima si presentò.
“E io sono Leo,” aggiunse un altro.
“Il mio è Guang Hong!”
“Siamo ballerini!” La donna concluse per loro, sorridendo con orgoglio. “E ti unirai a noi!”

Unirsi a loro? Yuri fu colto di sorpresa. Andare in giro a fare spettacoli non era davvero cosa adatta a lui. Inoltre sua madre doveva essere ormai fuori di sé dall’ansia; e poi c’era Victor!
“Oh, Dio, devo tornare indietro!”, esclamò, inciampando nei suoi stessi piedi. “Victor sicuramente mi starà aspettando!”
La donna sollevò un sopracciglio, arricciando le labbra in un ghigno. “Immagino che lo sposerai!”
Yuri mormorò qualcosa, distrattamente. Non aveva ancora pensato davvero al matrimonio, ma l’idea non era male. Indugiò un attimo nella sensazione delle mani di Victor sui fianchi, ricordando il suo sorriso, mentre giravano e ballavano.
“Sì, sarebbe bello!” rispose alla fine. La donna fece un suono di gola per manifestare il suo disaccordo.
“Il matrimonio è sopravvalutato. Così noioso. È una trappola!”
“Una trappola?” Yuri ripeté a pappagallo, cercando di comprendere le parole della donna. Ella annuì, ripetendo ancora una volta come il matrimonio non fosse altro che una prigione.
“Noi, invece, siamo liberi” - fece un ampio gesto verso Phichit, Leo, e Guang Hong - “Facciamo spettacoli di danza e anche spettacoli di pattinaggio su ghiaccio d’inverno. Viaggiamo in tutto il mondo.”

Mentre diceva così, fece l’occhiolino verso una rana perché iniziasse a canticchiare una melodia e mosse i fianchi a dimostrare le proprie parole. Gli altri ragazzi si aggiunsero presto alla danza, prediligendo ciascuno uno stile diverso, il tutto mentre elencavano le ragioni per le quali Yuri avrebbe dovuto dimenticare Victor e imitarli subito.
“Ma la mia mamma!” cercò di protestare il ragazzo, spostando il peso da un piede all’altro. “Sarà preoccupata!” considerò ad alta voce.
La donna-rospo fece un gesto con le mani verdastre come per allontanare le preoccupazioni di Yuri, come si fa con una mosca molesta.
“Sciocchezze! Sarai famooi e tua mamma sarà molto felice!” ribatté, senza smettere un momento di ballare. Poi, prima che Yuri potesse a capire cosa stesse succedendo, lo afferrò per un braccio e lo spinse, costringendo le sue gambe e il suo corpo a una brusca torsione per evitare una caduta. Fu quasi come un passo di danza.
“Che grazia!” applaudì la donna. “È una fortuna che ti abbiamo trovato prima della nostra partenza!”
“Partenza?” strillò Yuri, fermandosi nel mezzo di una giravolta un giro. Phichit, Leo, e Guang Hong ridacchiarono, con le braccia gettate ciascuno sulle spalle degli altri.
“Be’, ovvio, siamo artisti! Viaggiamo! Attraverseremo l’oceano domani!” spiegò la donna-rospo.. “Sarà divertente!” assicurò Phichit. Si era spostato di fianco a Yuri e il suo braccio era ormai delicatamente avvolto intorno alla vita del ragazzo. “Sarai parte della nostra famiglia!”
“Ma io ho già una famiglia!”
Phichit ignorò le proteste del ragazzo. Invece piegò le gambe forti e saltò giù dalla sulla ninfea più vicina. Poi saltò su una roccia vicina con la medesima facilità. La sua famiglia si affrettò a seguirlo, chiacchierando di preparare l’ultimo bagaglio prima di partire. Lasciarono indietro Yuri.
Il povero ragazzo cadde in ginocchio. La foglia sui cui si trovava stava in mezzo al fiume, troppo lontana da entrambe le rive o da altre foglie o rocce perché le piccole gambe di Yuri ci potessero saltare su. In più la foglia sembrava essere ben ancorata al fondo del fiume.

Nel mentre che Yuri gridava per chiedere aiuto, una strana creatura passò da quelle parti. Pareva un uomo, non più grande di un rondone, e di un rondone aveva le ali, un becco e persino artigli dove avrebbero dovuto trovarsi i suoi piedi.
“Aiuto!” gridò Yuri per attirare l’attenzione della creatura. L’uomo-rondine si fermò a mezz’aria. “Qual è il problema, caro?” domandò.
“Devo scendere questa foglia prima che quei rospi tornino!” Yuri si affrettò a spiegare. “Ma è inutile!”, si lamentò, lasciandosi cadere sul bordo di tale foglia.
“Nulla è impossibile!” lo corresse il rondone prima di tuffarsi nella fredda acqua del fiume e spezzare la radice della ninfea con un colpo scatto del suo becco. Non più legata al fondale, la foglia iniziò a fluttuare via. L’uomo-rondine, riemerso in fretta, gettò un bastoncino a Yuri da usare come pagaia. In effetti le acque stavano diventando turbolente.
“Mi chiamo Christophe!” il rondone si presentò.
“Yuri!” rispose Yuri. “Grazie! Devo tornare a casa. Mia mamma sarà preoccupatissima. E Victor ha promesso di venire a trovarmi ancora una volta,” continuò Yuri. Mentre parlava, le dita della mano libera si piegarono attorno al ciondolo ancora intorno al collo.
“Be’, che cosa dolce,” tubò Christophe.
“Ma se fossi in te starei attento a quella cascata!” aggiunse aggiunto, la voce di colpo mutata in un grido. D’improvviso il fiume si era trasformato in torrente, destinato presto a tuffarsi in un precipizio.
Yuri, che riusciva a malapena a galleggiare, figuriamoci a nuotare, fu preso dal panico. Cominciò a remare freneticamente per contrastare la forza della corrente, ma essa era troppo potente. Christophe cercò di afferrare la foglia nel becco e tirare verso l’alto, ma la superficie bagnata era scivolosa e le acqua agitate gli schiaffeggiavano il viso, facendolo tossire. Già due volte la sua testa era finita sott’acqua.
“Aiuto!” iniziò a gridare a sua volta.
Fortunatamente per loro alcuni pesci sentirono le loro suppliche, proprio come fece una fata di passaggio. Si precipitarono tutti nel luogo da dove provenivano le grida di aiuto, la foglia sul punto di scomparire sott’acqua. Là i pesci usarono le loro potenti code per spedire la ninfea in aria mentre sia Chris sia la nuova fata la tenevano sollevata. Yuri, da parte sua, si era semplicemente raggomitolato in una palla terrorizzata.

“Sei al sicuro, ragazzo!”
Fu solo quando Yuri udì queste parole e avvertì il morbido ma solido suolo sotto al sedere che ebbe il coraggio di aprire gli occhi finora tenuti ben chiusi.
Davanti a lui Chris stava strizzando le proprie piume dalle ultime gocce d’acqua. Vicino a lui la nuova fata si stava stiracchiando. Aveva capelli biondi che brillavano nel sole pomeridiano. Era persino più piccolo di Yuri e quando si accorse di essere osservato non si nascose, ma lo salutò con un grande sorriso a trentadue denti.
“Accidenti, hai visto? Sono stato bravo. I miei fratelli mi prendono in giro perché sono ancora così piccolo, ma questa volta sono stato grande!” esclamò. Si fermò. “Oh, scusami, mi chiamo Minami. In ogni caso –” e qui andò avanti a parlare di quanto ammirasse Yuri, dal giorno in cui l’aveva visto dalla finestra.
Yuri rimase lì senza dire nulla, con gli occhi spalancati, in realtà messo un poco a disagio da questa fata giovane ed entusiasta. Ogni tanto annuiva e mormorava qualcosa, perché dopo mesi passati quasi in completa solitudine, avere una conversazione con qualcuno lo metteva in difficoltà.
Lanciò Chris uno sguardo implorante.

“Ok, ok, Minami, abbi pietà di lui. Guardalo, è esausto!” Chris rimproverò Minami, invitandolo a tornare a casa subito dopo. La fata borbottò, ma alla fine obbedì.
Casa, pensò Yuri, sì, anche lui doveva tornare a casa. E lì avrebbe aspettato Victor. Sospirò, accigliato. Chris dovette notarlo, perché si spostò più vicino e chiese a Yuri che cosa non andasse.
“È solo che qui è tutto così grande e io non so nemmeno da che parte sia casa mia!” si lamentò, con le spalle curve.
“E probabilmente Victor pensa che non mi importa più di lui. Sono sicuro che mi ha già dimenticato!” andò avanti, con voce rotta. Sarebbe sicuramente scoppiato in lacrime se Chris non fosse stato veloce a rassicurarlo. Gli suggerì di seguire il fiume a ritroso, lungo il pendio fino al mare, e indicò una scorciatoia attraverso le canne per evitare il popolo dei rospi. Poi promise, con tanto di croce sul cuore, che avrebbe fatto di tutto per trovare la corte delle fate e Victor il più rapidamente possibile.
“Inoltre, sono sicuro che le sue intenzioni sono serie. Altrimenti non ti avrebbe dato il gioiello che ha ricevuto alla nascita e che simboleggia il suo rango di principe ereditario” aggiunse Chris. Le dita di Yuri si strinsero istintivamente intorno al pendente.
Un principe. Un principe delle fate. Per un attimo il suo cuore ebbe un tremito, proprio come aveva fatto il giorno prima.
“Lo troverai?” chiese a Chris, ancora una volta.
“Lo prometto.”

E così le loro vie si separarono.

Note:
Io continuo a complicare le cose, anche se questo dovrebbe essere una favola ed essere semplice (anche con quella favola dell’innamorarsi in un sol giorno).
So che nella fiaba originale i rospi vogliono sposarsi Pollicina, ma veramente non riuscivo a vedere Phichit o Leo o Guang Hong che chiedevano una cosa del genere, così ho preferito dare una diversa interpretazione.
La donna è l’allenatrice di Leo.

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