Fino al mattino

di SoltantoUnaFenice
(/viewuser.php?uid=460228)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Prima incursione nel mondo di Gundam... entro in punta di piedi, buttadomi in un mare di Angst... Buona lettura!
 

Marte è cambiato, e molto. Quando è sbarcato e si è ritrovato ai margini di Chrise, è rimasto quasi straniato da tutto quel verde. Tutto attorno alla città c'è una distesa di campi coltivati, e sembra che abbiano costruito molte case nuove.
E' arrivato poco prima del tramonto, ma ha aspettato che facesse buio prima di muoversi da lì. Non sa molto di come stanno le cose, e sicuramente il suo nome è nelle liste delle persone ricercate.
Le strade sono tranquille, non c'è quasi nessuno. Riflette su come muoversi, anche se ci si è già arrovellato per tutto il tragitto. Deve provare a contattare Kudelia o almeno Eugene, ma non è una cosa semplice. Ci sono due o tre posti in cui può andare per chiedere aiuto, e comincerà da lì. Non ora, però. Sa di essere poco più di un fantasma, e sarà tutto più semplice con la luce del mattino.
C'è un bar in fondo alla strada: fuori campeggia la scritta Aperto tutta la notte. Berrà qualcosa per ingannare l'attesa, e quando farà giorno si muoverà. Ha aspettato tre anni senza poter fare nulla, ed ora ogni minuto di attesa gli sembra infinito.

 

Marte è cambiato, e molto: Yamagi l'ha vista rinascere un pezzo alla volta. Le periferie non sono più così povere, c'è tanto da lavorare e tanto da costruire. Sembrano tutti pervasi da un fuoco fatto di speranza e fiducia.
Ma quell'angolo brullo è rimasto esattamente com'era, e la lapide che onora i caduti di Tekkadan si affaccia ancora sulla vallata di roccia e terra rossa. Forse è per questo che ogni tanto fugge lì. Quel posto gli somiglia: come lui, è troppo arido e troppo lontano da tutto il resto per poter rifiorire.
Lì non c'è bisogno di apparire forte o sano. Ci sono soltanto lui, e tutti i ricordi che lo tengono in vita, anche se gli impediscono di vivere davvero.
Ha portato un piccolo mazzo di margherite gialle ed arancio. Le avrebbe volute magenta come il Ryusei-go, ma non c'erano. Le ha comprate nel negozio in cui di solito prende la frutta e la verdura. Da quando girano un po' di soldi, si può trovare anche qualcosa di meno indispensabile del cibo. Qualche anno prima, nessuno avrebbe speso energie per coltivare fiori, perché nessuno da quelle parti li avrebbe potuti comprare. Era roba da ricchi, e quelli non facevano compere in quei quartieri.
Lo posa tra la terra e la pietra incisa, poi tira fuori anche una bottiglia. Un cliente l'ha regalata a Kassapa, e Yamagi ha chiesto se poteva averla lui. Il vecchio non ha fatto storie: lui non chiede mai nulla e così al capomeccanico fa piacere accontentarlo, ogni tanto.
Fa forza con il pollice lungo il collo della bottiglia: le sue dita hanno calli così duri che non sente nemmeno il bordo affilato del tappo, che salta via e rotola giù lungo il pendio scosceso. Yamagi ascolta il tintinnio metallico che si spegne quasi subito.
“Non sono venuto a mani vuote, hai visto? - Solleva la bottiglia verso il cielo stellato, parlando ad alta voce. Potrebbe anche sussurrare: non farebbe molta differenza per la persona a cui sta parlando. - Non lo sono mai in questo giorno. Tu non hai mantenuto la promessa.”
Prende un lungo sorso, ed abbassa gli occhi.
“Non hai potuto mantenerla, così... così la mantengo io per te. Beviamo assieme fino al mattino, no? Io e te, Shino. E nessun altro.”

 

E' quasi l'alba. Il chiarore comincia ad insinuarsi tra le case, creando ombre allungate. L'aria è ancora molto fredda, ma lui non resisteva più chiuso in quel bar. E poi ha praticamente finito i soldi ed il barista ha cominciato a guardarlo storto perché non ordinava nient'altro.
Così si avvolge stretto nella giacca e cammina. Ricorda che il negozio in cui lavorava Atra da bambina era poco lontano da lì. Spera che ci sia ancora, e che la donna che lo gestisce sappia dirgli qualcosa. Se Atra è rimasta in contatto con lei – se è ancora viva – le avrà raccontato cosa ne è stato dei suoi compagni.
Li ha creduti morti così a lungo... Ha creduto a ciò che gli hanno detto, e non ha fatto molto per sapere la verità. Dopo essersi gettato contro la flotta di Arianrhod ed essere quasi morto, dopo essere stato ripescato e curato, era stato tenuto prigioniero fino alla fine della battaglia.
Poi Tekkadan era stata annientata, e probabilmente lui non era più considerato un pericolo, visto che era rimasto l'unico dei suoi compagni. Lo avevano informato, con molto compiacimento, che Orga, Mika e tutti gli altri erano morti, e lo avevano scaricato in una colonia ai confini del mondo abitato. Un posto in cui deportare soggetti indesiderati come lui, perché lavorassero e non facessero altri danni tra la gente per bene. Non era un bel posto, ma nemmeno una galera. Bastava lavorare e non dare problemi, e ci sarebbero stati cibo ed un letto al chiuso. Non c'era libertà, naturalmente, né la possibilità di andarsene da lì, ma a lui non importava.
Aveva appena cominciato a ritornare in forze dopo aver perso un braccio ed una gran quantità di sangue, quando aveva saputo di aver perduto tutto: i suoi compagni, la sua famiglia, non c'erano più.
All'inizio non ci aveva creduto. Aveva gridato a quei soldati che era una bugia, che stavano soltanto mentendo. Ma tutti quelli che sbarcavano alla colonia portavano la stessa identica notizia: Tekkadan era stata distrutta. Tutti i notiziari l'avevano riportato, e nessuno aveva più visto o sentito parlare delle giacche verdi dal giglio stilizzato.
Così aveva finito col cedere alla rassegnazione, tornando alla condizione in cui sostanzialmente era nato. Dopo qualche mese che era lì, aveva cominciato a pensare alla sua avventura con Tekkadan come ad una folle, meravigliosa parentesi di libertà in una esistenza da ratto spaziale. Una esistenza a cui evidentemente era destinato, nonostante avesse cercato di uscirne.
Poi qualcuno gli aveva detto che Kudelia era diventata Presidentessa della Federazione Marziana, e lui aveva cominciato a sbirciare nelle stanze delle guardie per provare a vederla nei notiziari. Quando finalmente ci era riuscito, era rimasto di sasso nel vedere accanto a lei, tutto elegante ed impomatato come un damerino, Eugene Sevenstark, colui che era stato il suo migliore amico.
Se ne stava impettito nel suo ruolo di guardia del corpo, e lui era rimasto bloccato lì, a bocca aperta, mentre il suo cervello cominciava a lavorare freneticamente.
Una spinta poco gentile da parte di una delle guardie lo aveva fatto tornare in sé, ma da quel momento non era riuscito a smettere di pensarci. Kudelia era diventata un personaggio importante, ed Eugene era con lei. Poteva significare che qualcun altro si era salvato? Forse lei era riuscita a tenere sotto la propria ala qualcuno dei suoi vecchi compagni?
Doveva evadere, e per un anno era rimasto concentrato e teso, pronto a cogliere la più piccola possibilità di fuga. Incredibilmente un giorno era riuscito ad infilarsi in una delle navi cargo per i rifornimenti, durante una rissa tra guardie e prigionieri. Ed ora è su Marte, e l'unica cosa a cui riesce a pensare era che deve sapere tutta la verità, il prima possibile.

 

L'alba si sta espandendo da dietro alle colline brulle. Invade la vallata, lambendo la lapide di Tekkadan come una lama sottile e bianca. Yamagi fa oscillare la bottiglia con un movimento lento e regolare, nonostante la mano malferma e la testa che ciondola.
“Hai visto? - Grida. - Questa volta l'abbiamo quasi finita, questa dannata bottiglia! E' la prima volta, no?”
Cade in ginocchio, costretto a sorreggersi con una mano contro la roccia.
“Finora ero stato troppo bravo. Troppo moderato, troppo composto... Ma sai una cosa? Non sono più un bambino. E qui non cambia mai niente, nemmeno se io... nemmeno se cerco di resistere.”
China la testa, mentre le spalle si incurvano ed i capelli cadono sugli occhi.
“Quindi a cosa serve? - Torna ad osservare il fondo della bottiglia, dove luccica ancora un dito di alcool. - Cosa ne dici, pensi che se la finisco tutta cambierà qualcosa? Eh, Shino?”
Butta giù in un sorso quello che è rimasto, poi cade a terra, steso su un fianco. La bottiglia rotola via, andandosi a fermare nella polvere.
“L'ho finita... - Mormora. - E quindi qualcosa succederà. E se non succede... la farò succedere io. Vero, Shino? Vedrai... qualcosa... succederà...”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Due ***


Ormai è praticamente giorno. Ha sbagliato strada un paio di volte – è tutto un po' diverso da come lo ricordava – ma finalmente ha trovato il negozio. Anche quello è cambiato: gli infissi sembrano verniciati di fresco, e forse l'insegna è nuova. Prova ad entrare, ma la porta è chiusa.
Una voce risuona da dietro il legno.
“Apriamo tra una mezz'ora. Passi più tardi.”
“Signora, per favore, mi occorre soltanto un'informazione... Può aprire per un attimo? Per favore...”
Sente armeggiare con la serratura, e la porta si scosta di un palmo. La proprietaria lo squadra con sospetto.
“Chi sei? Cosa stai cercando?”
“Signora, si ricorda di me? Sono uno degli amici di Atra... Facevo parte di...”
Lei non lo lascia finire, aprendo di più la porta e tirandolo dentro con un unico gesto brusco.
“Zitto! - Lo ammonisce. - Non dire quel nome.”
Lui si acciglia. Come temeva, Tekkadan è divenuta una parola da non pronunciare.
La donna lo osserva di nuovo, soffermandosi sulle cicatrici che risalgono da sotto la giacca, per poi percorrergli il collo e la mascella. Forse ce ne sono altre, ma lui tiene il cappuccio calato sul capo e la giacca ben chiusa.
“Sì, mi sa che mi ricordo di te. Da dove diamine spunti fuori?

 

L'edificio è circondato da un muro di pietra grigia, interrotto da un largo cancello di acciaio. Di fianco al cancello luccica una targa con incisa la scritta “Orfanotrofio di Chrise”. Potrebbe sembrare un luogo austero, ma le voci di bambini che giungono dal cortile smentiscono la prima impressione.
La signora del negozio non ha saputo dargli molti dettagli. Atra sta bene, ha avuto un bambino – non gli ha spiegato chi sia il padre – e va a trovarla spesso. Ma non parlano quasi mai dei ragazzi di Tekkadan. Sembra che, dopo la battaglia, i sopravvissuti abbiano dovuto nascondere la loro appartenenza al gruppo, ed ognuno abbia iniziato una nuova vita. E non è troppo prudente fare nomi o rivangare il passato, nemmeno con le persone di cui ci si fida.
L'unica indicazione che gli ha dato la donna per provare a rintracciare i suoi ex-compagni è stato proprio l'orfanotrofio: Atra le ha accennato che qualcuno di loro lavora lì, e così lui ci si è praticamente precipitato.
Sta pensando a come entrare, quando arriva un mezzo per una consegna. Il cancello si apre e lui si infila dentro con uno scatto. Segue le voci, e trova un nugolo di bambini e ragazzetti che giocano sotto all'ombra di tre alberi alti e frondosi. In mezzo alla confusione, lo sguardo accigliato e le braccia puntate sui fianchi, un volto familiare.
“Derma!” Chiama, mentre sente che l'emozione gli stringe la voce quanto basta da farla uscire un po' strozzata.
Almeno uno, ne ha trovato almeno uno.
Vorrebbe che la sua immaginazione non avesse già cominciato a correre verso cose che non è prudente sperare.
Il ragazzo solleva lo sguardo, e per un attimo lo fissa come se fosse un fantasma. Poi, invece di avvicinarsi o almeno rispondergli, si gira e corre via.
“Accidenti...” Mormora lui, confuso. Guarda i bambini, cercando di capire cosa dovrebbe fare a quel punto, quando sente due voci concitate avvicinarsi da dentro l'edificio.
“...ti dico che è lui! Non mi credi?”
“No, è solo che... Accidenti, mi sembra impossibile!”
Le due figure sbucano dal portone, e lui non riesce a trattenere un largo sorriso.
“Ciao, Dante.”
“Shino?”

 

E' come ricostruire una mappa un pezzetto alla volta. Dante e Derma per fortuna sanno molte più cose della signora della negozio. Sanno sostanzialmente tutto, e pian piano gli raccontano di ognuno dei suoi compagni, di cosa ne è stato e di cosa fa. Seduto ad un tavolo di legno sotto gli alberi, dove di solito viene distribuita la merenda ai bimbi, Shino racconta la sua storia, ma soprattutto ascolta.
Di Eugene e Chad che lavorano per Kudelia, del bimbo di Atra che in realtà è il figlio di Mikazuki, di Ride che è cambiato moltissimo ed ora sembra sparito nel nulla... Sono così tante notizie da sentire tutte assieme, che è come essere ubriaco.
E' strano: gli è bastato sedere ad un tavolo con i suoi vecchi compagni per cominciare a sperare che tutti i ragazzi di Tekkadan stiano bene. E anche se è stato convinto per tre interi anni che fossero tutti morti, sentire di coloro che non ce l'hanno fatta è un dolore tutto nuovo, come se la vecchia consapevolezza fosse stata spazzata via in un istante. Per fortuna gli hanno detto quasi subito che Yamagi è vivo, perché lui non aveva quasi il coraggio di chiedere. Gli hanno spiegato che lavora con Dane e Zack in una piccola fabbrica fondata da Kassapa, e Shino sa già quale sarà la sua prossima tappa. Non appena si saranno detti tutto ciò che resta da sapere, andrà lì.

 

Il capannone è grande, e fuori, nel cortile, ci sono un gran numero di mezzi in costruzione o in rodaggio. Shino è così stordito che sta cominciando ad avere la forte sensazione di star sognando tutto. E' su Marte da poco più di dodici ore e sono già successe così tante cose che gli sembra di non riuscire più a gestire tutte le informazioni e le emozioni che gli si sono riversate nel cervello come una tempesta.
Incrocia Dane e Zack: anche loro lo guardano come se fosse stato risputato direttamente dall'inferno, e magari meriterebbero un po' di attenzione in più, ma la sua pazienza si è esaurita. Non si era reso conto di essere arrivato a quel punto, ma ora tutto ciò che gli importa è vedere con i propri occhi Yamagi. E' come se non riuscisse a credere davvero che sia vivo, finché non ce l'ha di fronte. Così li liquida con poche parole e punta verso Kassapa.
“Vecchio!” Grida, sorridendo e percorrendo a larghi passi la distanza che li separa.
“Shino! - Si passa una mano sul capo, chiaramente emozionato. - Non hai nessun rispetto per il cuore di una persona anziana?! Fortuna che Dante mi ha appena chiamato per avvertirmi di tutto, o mi sarebbe venuto un colpo!”
Shino ride, un po' nervoso.
“Ma se sei in gran forma! - Poi si fa più serio, guardandosi attorno. - Kassapa, dov'è Yamagi?”
“Mh. Non c'è, oggi non è venuto a lavorare.”
“Non è venuto?”
“No.”
“Perchè? Cosa ha detto?”
“Non ha detto nulla. Non è venuto e basta. - Guarda Shino come se stesse decidendo cosa sia giusto raccontare. - In realtà non è strano. Succede sempre in questo periodo.”
“Questo... periodo?”
“Sì, beh... Oggi sono tre anni. Tre anni da quando sei morto. - Sospira, osservando il viso di Shino impallidire. - Ogni anno, in questa data, Yamagi sparisce. Poi uno o due giorni dopo ritorna, come se niente fosse.”
Shino si passa una mano sugli occhi. Non sa se è più forte il senso di straniamento per essere tornato proprio in questo giorno o il dolore di dover immaginare Yamagi che si comporta così.
“Kassapa, dove posso trovarlo? Dov'è casa sua?”
“Ti darò l'indirizzo, ma non sono sicuro che sia lì. Anzi, facciamo così: ora lo chiamo. Così almeno gli dico che c'è qualcuno che deve vedere.”
“D'accordo. Grazie.” Si guarda attorno, nervoso, mentre l'altro inoltra la chiamata dal piccolo tablet collegato alla postazione di lavoro. Non sa perché, ma ha una brutta sensazione. Come una specie di presentimento.
Quando Kassapa chiude la chiamata senza aver ricevuto risposta, Shino sa che deve trovare Yamagi.
“Dimmi dove abita. Per favore.”
"Va bene, va bene. Però cerca di non fargli venire un accidente, d'accordo? E prendi uno dei nostri mezzi, farai prima.”
“Grazie.”

 

Shino poggia la testa all'indietro, allungandosi sul sedile. Sono giorni che praticamente dorme una o due ore quando può: è dovuto restare sul chi vive per tutta la traversata fino a Marte. Poi ha passato la notte ad aspettare, ed ora tutto questo girare da un posto all'altro gli sta dando il colpo di grazia. Non sarebbe niente di tragico, se fosse arrivato a destinazione. Ma Yamagi non era a casa, e nessuno sa dov'è, quindi lui si sente lontanissimo dall'aver finito di vagare.
E' tornato alla Kassapa Factory ed è riuscito a convincere il vecchio e gli altri che devono assolutamente trovarlo al più presto. Dopo un po' di ipotesi e qualche telefonata ai ragazzi del gruppo, sono arrivati alla conclusione che potrebbe essere andato alla lapide di Tekkadan.
Il capomeccanico ha deciso di accompagnarlo là: forse è preoccupato come lui, o forse non gli è sembrato in grado di andarci da solo.
“Stanco?” Gli chiede quando gli vede socchiudere gli occhi.
“Un po'. E preoccupato.”
“Yamagi sa badare a sé stesso.”
“Può darsi. Ma Chad ha detto che l'ha sentito ieri sera e stava uscendo. E se ha passato la notte qua? E poi ormai è giorno da diverse ore, perché non è ancora rientrato?”
“Non lo so. - Sospira. - In ogni caso, siamo praticamente arrivati.”
Il fuoristrada svolta a sinistra ed imbocca una ripida salita polverosa.
La lapide di pietra è l'unico oggetto a stagliarsi lungo la linea del crepaccio. Ai suoi piedi, steso in una posa scomposta, c'è qualcuno.
Shino apre la portiera senza aspettare che l'auto si fermi del tutto.
“Yamagi!” Chiama.
Lo raggiunge in un paio di passi e lo solleva. Il viso è pallido, ma le guance sono arrossate. I capelli sono sporchi di terra e le labbra spaccate.
“Accidenti Yamagi, ma che cavolo hai combinato?” Mormora, mentre controlla il battito che sembra un po' accelerato.
Kassapa si allontana di due passi e scosta con il piede la bottiglia che è rotolata poco distante.
“Se avessi saputo a cosa gli serviva, - borbotta – non gliel'avrei lasciata prendere.”
“Ha la febbre. - Shino solleva Yamagi per caricarlo nel fuoristrada. - Stanotte è stato molto freddo, accidenti a lui. Prima si è congelato e poi è rimasto a cuocersi sotto al sole*. Stupido ragazzino!”
“Andiamo. - Sospira l'altro. - Portiamolo a casa.”

 

*Nella mia idea, dedotta da quello che si vede nella serie, Marte ha un clima semidesertico, con un'escursione termica di molti gradi tra la notte ed il giorno.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tre ***


Kassapa ha una guida regolare e calma, ma il terreno è pieno di buche. Quando l'auto sobbalza più forte, Yamagi stringe gli occhi e si lamenta debolmente, ma non si sveglia.
Shino è seduto dietro. Lo ha steso sul sedile e gli tiene una spalla perché non cada.
Osserva il suo profilo pallido, poggiato sulle sue gambe. Dante gli ha raccontato che ora porta sempre il viso scoperto, ma in questo momento i capelli sono ricaduti in avanti e lo nascondono quasi del tutto.
“Vecchio?”
“Uhm?”
“Lo fa spesso? Bere così tanto?”
“No. In realtà... non l'avevo mai visto ubriaco, prima di oggi. Anche quando esce con i ragazzi, beve un bicchiere o due. Finisce spesso che è lui ad accompagnare a casa uno o l'altro, perché da soli non sarebbero in grado.”
Shino annuisce. Sembra una buona notizia, ma Kassapa non sorride.
“Ma...?”
“Cosa?”
“Lo dici come se fosse una cosa sbagliata.”
Sembra indeciso su cosa rispondere. In fondo Shino è tornato, e forse le cose si aggiusteranno da sole. Ma poi pensa che non potrà aiutarlo, se non conosce la verità.
“Beh... Yamagi se la cava bene, da quando siamo tornati qua. E' affidabile, serio. Lavora, mangia dorme... nessun eccesso. Nessuna debolezza. Ogni tanto esce con Chad, con Dante, o con Eugene... a volte viene a cena da noi. Credevo avrebbe fatto fatica a superare tutto quello che è successo, che sarebbe stato per un po' allo sbando. - L'auto imbocca un paio di strade secondarie, ed entra nel quartiere in cui si trova anche la Kassapa Factory. - E invece si è infilato subito in questi binari da cui non esce mai. All'inizio mi sembrava una cosa buona, ma... ormai penso che non sia normale. E' come se si sforzasse di stare bene, ma è tutta una specie di recita.”
“Non hai mai provato a parlargliene?”
“Certo. Merribit dice che non me la cavo molto a fare discorsi, ma Yamagi ha capito bene cosa volevo dire.”
“E...?”
“Beh... ha tagliato corto, naturalmente. Ha detto che... - Butta lo sguardo allo specchietto, per cogliere la sua reazione. - che è l'unica cosa che poteva fare per te. Che non gli era rimasto altro.”
Shino spalanca gli occhi per un attimo, poi torna a guardare il ragazzo addormentato. La stretta al petto provata quando lo ha trovato ai piedi di quella lapide si intensifica: tre anni. Tre anni a tenere duro per non deludere una persona che credeva morta. Gli posa una mano sul capo, e vorrebbe poter cancellare tutti quei giorni e settimane e mesi solo con quel tocco.

 

Chad sta controllando alcuni documenti ad un terminale, ma si interrompe quando sente le voci di Eugene e Kudelia nel corridoio.
“Buongiorno.” Gli sorride la Presidentessa della Federazione delle Città Marziane.
“Ciao.” Taglia invece corto Eugene, che ultimamente sembra sempre indaffarato e preso da qualcosa.
“Ciao. Ascolta, Eugene... - Chad si alza, avvicinandosi per parlare. - Per caso hai sentito Kassapa, oggi?”
“Kassapa? No, perché? Che succede?”
“Beh... non lo so. Mi ha chiamato stamattina. Ha chiesto di Yamagi, sembrava avesse una gran fretta. Mi ha dato l'impressione... che fosse successo qualcosa.”
“E non gli hai chiesto nulla?”
Non me ne ha dato il tempo. Te l'ho detto, andava di fretta e ha chiuso subito. Pensi che ci sia qualcosa di cui preoccuparsi?”
“Secondo te come faccio a saperlo? - Eugene porta le mani ai fianchi, con quel suo modo polemico che con gli anni si è solo accentuato. - E' inutile stare qui a parlarne, chiamiamo lì all'officina e controlliamo, no?”
“Cosa succede? - Kudelia è entrata nel suo ufficio, ma il tono dei suoi due assistenti l'ha richiamata lì. - Qualche problema?”
“Probabilmente no, ma... Non so, Kassapa mi ha fatto una strana telefonata.”
“E allora cosa state aspettando? Chiama subito e controlla. Stiamo parlando della nostra famiglia.”

 

“Guarda nelle tasche della tuta, per favore, cerca la chiave.”
Kassapa ha sollevato Yamagi, ed ora sono davanti alla porta di casa.
Entrano, e Shino si guarda attorno, con la sensazione di star violando uno spazio non suo. Cosa ne penserebbe Yamagi di trovarselo lì, a curiosare tra le sue cose, senza invito? Non sa spiegare il perché, ma si sente una specie di intruso.
“Vieni, aiutami a svestirlo.” Il vecchio lo ha poggiato sul letto, e sta già armeggiando con la cerniera della tuta per sfilargliela.
Shino lo solleva per le spalle, e quando lo infilano sotto le coperte si ritrova ad osservarlo.
Quando l'ha raccolto ai piedi di quella lapide non se ne era reso conto, ma Yamagi è cambiato. Nella sua memoria era ancora il ragazzino che si nascondeva dietro ai capelli portati lunghi sul viso ed ai modi bruschi e riservati, ed ora si sente sciocco a non aver pensato che il tempo è trascorso anche per lui.
Yamagi ora ha spalle larghe, braccia forti e mani più grandi e callose. Nel vederlo così, Shino sente davvero, per la prima volta, quanto tempo ha passato lontano da casa.
Gli scosta i capelli, tirandoli all'indietro e cercando di liberarli dalla polvere. Il viso si è allungato, gli zigomi sono più sporgenti. E anche se il taglio degli occhi e la forma del naso conservano la dolcezza che lo contraddistingue, ha del tutto perso l'aspetto infantile che Shino ricordava. Non è strano: ormai ha diciannove anni, e chissà se anche il suo carattere è cambiato così tanto.
“Ecco, ho trovato questa. - Kassapa è tornato dal bagno, dove ha armeggiato tra i medicinali. - Dovrebbe abbassargli la febbre.”
“Grazie. - Shino scosta di poco le coperte ed inietta la medicina poco sotto la spalla. - Puoi andare, Vecchio. Rimango io con lui.”
“Sei sicuro? Sembri molto stanco. E Yamagi...”
“Non ti preoccupare. Vedrai che ce la caveremo.”
“D'accordo. Tieni questo. - Gli porge un piccolo tablet. - Anche se stamattina non abbiamo detto niente ai ragazzi, la voce del tuo ritorno si spargerà in fretta. Darò loro questo contatto, così puoi accenderlo quando starete meglio e portartelo dietro. Quello di casa di Yamagi l'ho appena staccato.”
“Grazie. Di tutto.”
“E di che? Mi raccomando...”

 

Shino chiude il rubinetto dell'acqua, dopo essersi sciacquato il viso. Si è appisolato per un po' sulla sedia, ma poi è scivolato a terra e si è svegliato bruscamente. Dopo la fuga, la traversata da clandestino e quella giornata assurda, avrebbe voglia di una bella doccia calda, ma non è il momento. Yamagi non si è ancora svegliato, e lui vuole essere lì accanto quando lo farà.
Sono passate un paio d'ore e per fortuna la febbre si è abbassata, ma poi è tornata alta e Shino pensa che dovrebbe bere. Tutto quell'alcool e quel sole l'hanno sicuramente disidratato, così riempie un bicchiere d'acqua e decide che proverà a svegliarlo.
“Ehi. Yamagi...”
Il ragazzo aggrotta le sopracciglia, mentre le palpebre vibrano e la bocca si lascia sfuggire due sillabe. Poco più di un lamento, però...
Shino stringe le labbra, perché sembra che Yamagi abbia appena pronunciato il suo nome.
Si passa una mano sulla fronte, ingoiando un grumo di angoscia e senso di colpa.
“Yamagi... - Riprova, sollevandolo un po' per le spalle. - Yamagi, tieni. Prova a bere un po' d'acqua.”
Avvicina il bicchiere alle sue labbra, e lui prende qualche sorso.
“Ecco, bravissimo...”
Poggia il bicchiere sul tavolino lì accanto e fa per rimetterlo steso, quando Yamagi apre gli occhi.
Lo fissa, e le sue pupille diventano improvvisamente enormi.
“Sh-Shino?”
“Yamagi! Sono io, sì. Sono qui.”
Scatta a sedere, improvvisamente bianco come un cencio.
“No!” Grida, strisciando all'indietro fino ad appiattirsi contro il muro a cui è poggiato al letto. Le coperte si aggrovigliano attorno alle sue gambe, intrappolandolo.
“Yamagi, cosa succede? Sono io, va tutto bene!”
“No! - Ripete, alzando la voce. - Tu... sei morto!”
Shino allunga una mano, sfiorandogli un braccio.
“Calmati... Non è niente, cerca di calmarti. E' soltanto la febbre, non è niente. Io... lo so che avete creduto...”
“Non mi toccare!” Grida Yamagi scostando il suo braccio con rabbia e portandosi le mani alle orecchie.
Stringe gli occhi, tenendosi la testa.
“Perchè? - Singhiozza. - Perchè non puoi lasciarmi in pace?! Perché devi tormentarmi ancora?”
Shino ritrae la mano lentamente, senza sapere cosa fare.
“Yamagi...” Mormora, ma l'altro sembra non vederlo nemmeno.
“Io ci ho provato... - La voce è spezzata, non sembra nemmeno la sua. - Ci ho provato a vivere senza di te. A vivere per te... Ma non ce la faccio. Non ce la faccio più, Shino...”
Guarda dritto davanti a sé, nel vuoto, e Shino capisce che non sta parlando a lui, ma a qualche fantasma della sua mente. Vorrebbe abbracciarlo e costringerlo a guardarlo. A vedere che è proprio lui, che è vivo, che è tornato... che è tornato anche per lui. Ma qualcosa in quegli occhi folli gli fa capire che non può.
“Tre anni... - Mormora Yamagi, mentre le spalle si incurvano e le braccia ricadono lungo il corpo. - Tre anni, e non è cambiato niente. Fa male... come il primo giorno. E io... devo fare qualcosa. Non posso continuare così, Shino, o impazzirò. Sto già impazzendo.”
Si volta verso di lui e lo guarda, con gli occhi rossi e gonfi di pianto.
“Sono già impazzito, perché altrimenti tu non saresti qui. Sei tornato per punirmi, vero? Perché non non ci sono riuscito... ad essere forte come ti avevo promesso. - Si allunga in avanti, prendendogli un braccio e stringendo forte. - Perché? Perché non vuoi lasciarmi andare? Perché non posso continuare ad amarti senza stare così male?”
Poi si allontana di nuovo, lasciandosi cadere contro il muro e chiudendo gli occhi, esausto.
“Che stupido... Non è colpa tua. Sono io... sono io che ho toccato il fondo. Ma davvero, non ce la faccio più a sognarti, così... e poi svegliarmi. Perdonami. Perdonami, Shino.”
Rimane così, immobile, e l'altro non ha nemmeno il coraggio di muovere un muscolo. Il dolore di vederlo così è una coltellata che gli sta aprendo il petto appena sotto lo sterno. Gli brucia la bocca dello stomaco e lo inchioda lì.
Quando finalmente riesce a scuotersi, si accorge che Yamagi ha ceduto e sta di nuovo dormendo. Lo aiuta a stendersi con tutta l'attenzione di cui è capace, poi si solleva dalla sedia con uno sforzo. Avrebbe voglia di piangere, oppure di uscire da lì e sparire per sempre, perché gli sembra di non avere più un briciolo di energie.
Raccoglie il comunicatore che gli ha lasciato il capomeccanico, e lo accende.
Si poggia allo stipite della porta, inoltrando la chiamata ed avvicinandolo al viso.
Quando dall'altro capo rispondono, si sforza di ritrovare la voce.
“Kassapa. C'è un problema.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quattro ***


Kassapa sospira pesantemente, passando lo sguardo da Yamagi, ancora immobile nel letto, a Shino, che gli ha appena raccontato cosa è successo. Lo guarda tormentarsi le mani, le spalle curve e l'aria di chi non sa più che pesci pigliare.
“Io te l'avevo detto...”
“Che cosa?”
“Che non era una buona idea che rimaneste da soli...”
“Va bene, va bene, ho sbagliato! - Ringhia Shino, gettandosi all'indietro sullo schienale della sedia e portandosi le mani tra i capelli. - Adesso che facciamo?”
“Tu, niente. Te ne vai qui fuori e ti riposi un po'. Con Yamagi rimango io, e quando ci ho parlato ti chiamo.”
Sembra che voglia opporsi, ma poi cede, annuendo debolmente.
“D'accordo. - Si alza, trascinandosi fino alla porta. Un attimo prima di chiudersela alle spalle, si volta a guardare il volto pallido di Yamagi, che sembra sprofondato in un sonno senza sogni. - Accidenti...”
Appena è fuori, nel piccolo ballatoio, Shino riprende a respirare. Si rende conto di quanto gli sia sembrato claustrofobico l'appartamento di Yamagi.
Lui vive lì da solo, e di certo passa la maggior parte del tempo alla Kassapa Factory, quindi non è strano che abbia scelto quel monolocale, piccolo ed arredato in modo semplice.
Non c'è nulla di squallido o triste nella stanza, con la cucina in un angolo, il bagno e la nicchia del letto dalla parte opposta, e un tavolo quadrato al centro. Eppure a Shino ha dato l'idea di un luogo anonimo, che nessuno ha cercato di rendere una vera e propria casa.
L'unico posto dall'aspetto un po' più vissuto è proprio il terrazzino in cui si trova ora. Sul parapetto di cemento sono allineati alcuni vasi di piante. C'è un tavolino rettangolare nell'angolo, coperto da un panno a righe azzurre e blu, ed una sdraio di tela lì accanto, sulla quale è ripiegata ordinatamente una coperta verde. Altre piante, con qualche fiore, restano all'ombra del corrimano, sui tre gradini che portano al cancello di ferro che si apre sulla strada.
Shino si lascia cadere sulla sdraio, provando ad immaginare Yamagi che passa le sue serate lì, a guardare il cielo e pensare. Quando Dante e Derma gli hanno detto che era ancora vivo, si è precipitato all'officina, impaziente di rivederlo. Travolto da tutte quelle novità, e poi dalla corsa per trovarlo, non si è fermato a chiedersi come stesse, e come se la fosse cavata in quei tre anni.
Vederlo così, carico di dolore ed in preda al delirio, è stato uno schiaffo che lo ha lasciato tramortito. Si sente stupido ad aver dato per scontato che Yamagi fosse lo stesso di quando si erano separati, senza aver provato a mettersi nei suoi panni ed essersi chiesto cosa avesse passato.
Non riesce a non pensare a tutto il tempo perso, in cui si è lasciato vivere, rassegnato a ciò che gli avevano raccontato e senza la forza di reagire.
E se non avesse mai saputo di Kudelia? Se non avesse visto Eugene? Sarebbe rimasto lì per sempre, senza mai provare a scoprire la verità?
Per quanti anni avrebbe lasciato che Yamagi si consumasse nel suo ricordo? Lo stomaco si stringe nel rimorso, e per un attimo vorrebbe davvero poter cancellare tutto, tornare indietro e trovare un modo, uno qualsiasi, di far andare le cose in modo differente.

 

Yamagi solleva le palpebre. E' uno sforzo, perché la testa gli scoppia e le ossa gli fanno male come se lo avessero preso a calci. La stanza è nella penombra, ma quelle poche lame di luce che permeano attraverso le stecche delle persiane sono sufficienti a ferirgli gli occhi.
C'è qualcuno seduto lì accanto al letto: è Kassapa, che si è appisolato con le braccia incrociate sulla pancia ed il mento sul petto. Yamagi sorride mestamente: da quando è nato il secondo figlio, lui e Merribit non hanno più avuto un attimo di riposo. Non è la prima volta che lo trova addormentato qua e là, magari dentro la cabina di uno dei mezzi della Factory.
Si passa una mano sugli occhi, e cerca di riordinarsi le idee. Sa di essere andato alla tomba di Tekkadan, con la ferma intenzione di scolarsi quella bottiglia. E deve esserci riuscito, perché non ricorda molto altro. Ma in qualche modo è tornato a casa: se il vecchio è lì, probabilmente è andato a ripescarlo lassù. Il che significa che si beccherà una ramanzina con i fiocchi, e non ha proprio la forza di stare a sentirla.
Anche perché ha di nuovo sognato Shino, e questa volta il sogno è stato così vivo e nitido che gli riverbera ancora dentro, togliendogli il fiato. Si lascia sfuggire un lamento, mentre si chiede quanto potrà ancora resistere in quel modo, e Kassapa si riscuote.
“Oh, Yamagi.”
“Hm.”
“Come ti senti?”
“Uno schifo...”
“Sarebbe strano il contrario.”
Eccola, la predica che arriva.
Yamagi sa che deve fermarlo prima che inizi, o finirà col mostrare di nuovo tutta la debolezza che ha preso il sopravvento la sera prima.
“Kassapa, ti prego... Ho fatto una cazzata, ok? Domani sarò quello di sempre, promesso. - Cerca di mettersi seduto, per dimostrare di star bene. - Puoi andare, ora. Non devi preoccuparti, mi passerà subito.”
“Ecco, in realtà... ti devo parlare.”
Yamagi sospira. A quanto pare non c'è modo di scappare stavolta.

 

“Vedo che ti sei messo comodo!”
Shino sobbalza malamente: ha finito con l'addormentarsi sulla sdraio, ed ora sbatte le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco la figura davanti a lui.
“Eugene?”
“Già. Il tuo migliore amico. O forse no, visto che sei tornato su Marte dopo tre anni che ti credevamo morto, e non ti sei nemmeno preso la briga di farmelo sapere.”
Torreggia su di lui, le mani incrociate sul petto e tutta l'intenzione di fargliela pesare.
“Eugene, dai... - Si strofina gli occhi, cercando si svegliarsi. - L'avrei fatto, ma c'è stato qualche problema.”
“Davvero? Però a trovare Dante o Zack ci sei passato. Capisco che avessi fretta di venire qui, - Con un cenno del capo indica la porta dell'appartamento. - ma tre minuti per una telefonata li potevi anche trovare.”
“No, non potevo. - Il tono cambia repentinamente, mentre Shino si alza, fronteggiando l'amico. - Ti avrei chiamato, appena possibile. Ma adesso ho altro da pensare, quindi levati quel muso e smettila di essere il solito permaloso del cazzo.”
“Cosa significa che hai altro da pensare?! Stai sonnecchiando all'ombra come un marmocchio! Cosa hai di tanto importante da fare?!”
“Non sono cazzi tuoi. E non alzare la voce, Yamagi non sta bene.”
“Senti, stron... - Si interrompe, colpito con un attimo di ritardo dalle parole dell'amico. - Cosa significa che Yamagi non sta bene?”
Shino sospira, abbassando il tono.
“Ascolta, appena le cose si saranno sistemate, potrai chiederlo a lui, ok? - Yamagi lo ucciderebbe se lui raccontasse a qualcuno la sua debolezza. - Adesso dammi soltanto un attimo di tregua.” Si siede sul parapetto, poggiando le braccia sulle gambe e chinando il capo.
Eugene sente la rabbia sbollire. Shino ha un aspetto terribile, ma non sono le cicatrici a darglielo. Sono gli occhi stanchi ed un po' gonfi, ed il tono di chi sta cercando di nascondere l'angoscia.
“Va bene. - Si siede accanto a lui, poggiandosi con un gomito ad uno dei vasi. Sorride, posandogli una mano sulla spalla. - Allora, racconta: che diavolo di fine avevi fatto?”

 

Kassapa è convinto di essersi infilato nella conversazione più difficile degli ultimi quarant'anni. Ha provato un paio di approcci, ma Yamagi sembra intenzionato a sfuggire qualsiasi tentativo di discorso serio.
Sta per aprire di nuovo bocca, quando il ragazzo si alza dal letto, dirigendosi verso il bagno.
“Vecchio, possiamo parlarne domani? - Raccoglie i capelli all'indietro, legandoli in una coda disordinata. - Ho un gran malditesta, e ho anche decisamente bisogno di una doccia...”
“Yamagi, ascolta. Ti devo dire una cosa, poi ti lascerò in pace, ok? Solo un minuto, promesso.”
“Beh... d'accordo. - Torna a sedersi sul letto, improvvisamente preoccupato. - E' successo qualcosa?”
“Ecco... sì. - Kassapa si chiede come si faccia a dire che una persona è viva senza dirlo e basta. - Stamattina... stamattina mi ha telefonato Dante. Mi ha detto che all'orfanotrofio è passata una persona. Qualcuno che... beh, che non vedevamo da un sacco di tempo.”
Lo sguardo spaesato di Yamagi non aiuta molto.
“E così ho saputo che... insomma. C'è uno di voi ragazzi. Uno che credevamo morto, e invece...”
“Kassapa, cosa vuoi dire? Chi è che è tornato?” Improvvisamente il volto è pallido e gli occhi riflettono un misto di dolore, angoscia e speranza.
“Ecco, cerca di stare calmo, va bene? - Gli prende le braccia, un po' per trattenerlo ed un po' per sorreggerlo. - Quello che voglio dire... è che Shino è ancora vivo. E' sopravvissuto a quella battaglia, ed è tornato.”
“C-cosa? - Se è possibile sembra ancora più pallido, quasi un fantasma. - Ti prego... ti prego, ne sei sicuro? Non dirmelo se non ne sei davvero sicuro...” Le lacrime cominciano ad uscire, mentre le braccia tremano.
“Ne sono sicuro, Yamagi. Ci ho parlato anche poco fa. E' tornato, è qui.”
“E' qui... su Marte?”
“Beh, è... qui fuori dalla porta, in realtà.”
Lo scatto con cui si alza dal letto e si libera dalla sua presa è così repentino che quando Kassapa se ne rende conto, Yamagi ha già spalancato la porta di casa.
Shino e Eugene si voltano di scatto, lo sguardo sulla figura scarmigliata comparsa all'improvviso sulla soglia. E' scalzo, coperto solo da una canottiera bianca ed un paio di calzoncini. Il viso è stravolto, ma lo sguardo è lucido e vivo.
Shino si sente improvvisamente pervaso da un sollievo così violento, che se non ci fosse il muretto a sorreggerlo, probabilmente cadrebbe a terra. Quando Yamagi gli butta le braccia al collo, singhiozzando, riesce a formulare soltanto un pensiero.
Sono tornato a casa.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cinque ***


La porta si chiude alle loro spalle, gettando di nuovo la stanza nella penombra. Kassapa ed Eugene si sono congedati in fretta, raccomandandosi di chiamarli in caso di bisogno.
Shino ha stretto loro brevemente la mano, in un misto di gratitudine e voglia di mandarli via.
Yamagi si è limitato a scuotere il capo in un segno di assenso, gli occhi chiusi e le guance arrossate e calde contro il collo di colui che credeva morto e che invece ora è accanto a lui.
Non si sono ancora separati. Yamagi in realtà ci ha provato un paio di volte, ma Shino lo ha tirato di nuovo contro di sé. Continua a tenerlo stretto con un braccio, mentre con l'altra mano apre e chiude la porta, accende la luce per orientarsi, decide che la preferisce spenta, scosta la sedia che era accanto al letto... Il tutto camminando uno accanto all'altro, un po' impacciati nel cercare di non intralciarsi a vicenda con i piedi.
E' strana quella stratta sulla schiena: gentile e insieme salda, ma soprattutto diversa. Yamagi è troppo stanco e sconvolto per riuscire a capire cosa ci sia di insolito, così si lascia guidare fino al letto, dove Shino lo fa sedere.
“Hai ancora la febbre. - Gli passa una mano sulla fronte. - Bisogna che torni un po' a letto.”
“Anche tu sembri stanco.” Mormora, basandosi più sulla voce che su ciò che vede. Sbuffa una specie di risata: sono davvero quelle le prime parole che si stanno dicendo? Nonostante i suoi sforzi, ricomincia a piangere.
“Ehi. Se continui così, ti disidraterai del tutto!”
“Stupido...”
“Vado a cercare un'altra dose di medicina, ok? E poi devi bere. Un po' di carburante per tutte queste lacrime, hm?”
Un cenno con la testa.
In qualsiasi altro momento si sentirebbe umiliato dalla propria debolezza e da quelle attenzioni, ma ora Yamagi sente che, dopo tre anni trascorsi a cavarsela da solo, rifiutando qualsiasi aiuto per paura di crollare, ha davvero bisogno di cedere a questo conforto.
Si lascia cadere steso, gli occhi socchiusi.
Shino carica la medicina nel dispenser, torna, gliela inietta.
Fa scorrere l'acqua in cucina, beve due bicchieri d'acqua, ne riempie un terzo.
Torna accanto al letto, lo solleva, lo aiuta a bere.
Yamagi osserva tutto come se fossero immagini proiettate su uno schermo. Lo guarda andare avanti e indietro, ma per quanto ci si sforzi, non riesce a tenere la mente ferma sul qui e ora.
E' tutto come un sogno confuso, e la sensazione lo spaventa.
“Shino...” Chiama, quando l'antipiretico comincia a trascinarlo di nuovo in un sonno artificiale.
"Sono qui. - Il tono allarmato lo riporta lì accanto. - Dimmi...”
“Io... credevo... - Le palpebre vibrano nello sforzo di restare aperte. - Cosa è successo, Shino? Mi avevano detto... che eri morto... Io ho creduto che...”
“Lo so. Lo so, mi dispiace. - Si siede sul bordo del letto. - Ci sono andato vicino, sai? Ma sono stato raccolto dalla flotta nemica.”
“Eri... prigioniero?” La voce è sempre più impastata, e Shino lo vede troppo simile a poco prima, quando gli parlava senza vederlo davvero.
“Sì. Ti racconterò tutto appena starai meglio, promesso. Ora riposa... - Lo aiuta ad entrare sotto le coperte. - Dormirò un po' anche io, va bene? Parleremo più tardi.”
“Ma io... - Stringe le labbra con disappunto, poi cede. - D'accordo...”
“Bene.” Gli accarezza il capo. Lo ha fatto anche prima, quando se lo è trovato tra le braccia. E' stata l'ennesima sorpresa portare la mano così in alto, rendendosi conto solo in quel momento, vedendolo in piedi, che Yamagi è cresciuto anche di statura: non lo ha raggiunto, ma manca a malapena un palmo.
Si rimette in piedi, pensando che sì, anche lui ha decisamente bisogno di dormire un po'. Ma il letto è piccolo, e Shino sa di avere un sonno piuttosto agitato. Non vuole disturbarlo, o rischiare di togliergli le coperte. Gli torna in mente la sdraio nel ballatoio: l'ha trovata decisamente comoda, è un'ottima soluzione. Cercando di non fare troppo rumore, la richiude e la porta dentro.
Ci si stravacca con un moto di soddisfazione e si avvolge con la coperta verde, decisamente compiaciuto della prospettiva che si gode da lì: un bel posto in prima fila sul volto di Yamagi addormentato. Mentre sprofonda nel sonno, si chiede da quanto tempo non si sentiva così tranquillo.
La stanza è come un bozzolo silenzioso e scuro che li avvolge, finalmente vicini.

 

Quando apre gli occhi, Yamagi si sente decisamente meglio. La febbre è sicuramente calata, e la mente galleggia per un po' in una sensazione di benessere e calma nella quale, uno alla volta, riaffiorano i ricordi di qualche ora prima.
Si è fatta sera e la stanza è completamente al buio, ma il respiro regolare e un po' pesante di Shino è una meravigliosa certezza che lo accompagna nel risveglio. Allunga la mano sul faretto incassato accanto al letto e ruota piano la ghiera, ottenendo una luce bassa e soffusa, che arriva a lambire a malapena il letto e la sdraio, lasciando il resto della stanza al buio.
“Che sciocco...” Mormora, osservando l'altro sprofondato nella sdraio, braccia e gambe abbandonate in una posa scomposta, e la bocca socchiusa che lo fa sembrare un bambino.
Nel letto starebbe decisamente più comodo, ma di certo si è messo lì per non disturbarlo.
Il capo è girato da un lato, e così il collo è totalmente esposto. Yamagi piega le labbra in una smorfia triste nel seguire le cicatrici che attraversano la mascella con linee sottili, come segni di artigli, per poi allargarsi lungo il collo e scomparire nel colletto della maglia. Sa che non dovrebbe, ma sente l'impulso irrefrenabile di vedere fin dove arrivano.
Si mette seduto lentamente, cercando di non svegliarlo. Si solleva in piedi, controllando di essere ben saldo sulle gambe: se gli franasse addosso in quel momento, sarebbe davvero un pessimo inizio.
Si allunga in avanti e scosta la maglia con tocco leggero.
I segni si allargano ancora, fino a divenire un'unica macchia più scura che avvolge la spalla. Non riesce ad allargare la stoffa più di così, quindi decide di essere stato fin troppo invadente. Un attimo prima di ritirarsi, coglie con la coda dell'occhio qualcosa di strano, un cerchio decisamente troppo scuro e regolare per essere una cicatrice.
“Ma cosa...” Mormora, mentre realizza di aver già visto qualcosa del genere. Sospira, nel realizzare di cosa si tratta. Torna a sedere sul letto, ma dopo poco è di nuovo in piedi.
Sa che dovrebbe aspettare che Shino si svegli e sia lui stesso a parlargliene, ma non riesce a resistere. In fondo, se le cose stanno come pensa, è qualcosa che non si può nascondere a lungo.
Solleva delicatamente la coperta, quanto basta per vedere la mano sinistra che sbuca dalla manica lunga della maglia. Soffoca un singhiozzo quando trova la conferma di ciò che pensava.
Ecco perché la sua presa sulla schiena gli era sembrata strana: il braccio sinistro è stato sostituito da uno meccanico.
Chissà quante altre cicatrici nascondono gli abiti. Fino a poche ore prima lo credeva morto, dovrebbe essere abituato all'idea. Eppure ora si sente male nel pensare a quanto siano state gravi le sue ferite, e a quanto Shino sia andato vicino a morire, tre anni prima.
“Non importa... - Mormora, passandosi le mani sul viso. - Non importa. Ciò che conta, è che adesso sei qui.”

 

Yamagi chiude la manopola della doccia, e l'acqua smette di scrosciare. Si avvolge nell'asciugamano, poi ne prende uno più piccolo per tamponare i capelli. Sarebbe rimasto volentieri ad osservare il sonno di Shino, ma si è reso conto di aver bisogno di una bella lavata. Tra sudore, polvere, postumi della sbornia e febbre, aveva un aspetto davvero terribile. Non era proprio il caso di mostrarsi ancora in quelle condizioni.
Si spazzola i capelli, sciogliendo i nodi e continuando ad asciugarli. Di tanto in tanto lancia uno sguardo a Shino, ancora profondamente addormentato. Doveva essere davvero stanco, chissà cosa ha passato per riuscire a tornare.
Va all'armadio, prende gli abiti puliti e comincia a vestirsi. E' così strano e piacevole fare queste cose così normali a quotidiane avendolo lì.
Ripensa a tutte le sere in cui è tornato a casa dopo il lavoro. Al senso di oppressione e solitudine con cui ha fatto quegli stessi gesti. Quello è sempre stato il momento peggiore della giornata, quando non c'era nulla con cui tenersi impegnati e nessuno a distrarlo dai propri pensieri.
Si è sempre lavato e cambiato in fretta, per poi rifugiarsi fuori nel ballatoio, a consumare la cena e ricordare: il suo appuntamento con tutto ciò che gli rimaneva di Shino. Tanto aveva imparato quasi subito che cercare di non pensarlo era soltanto peggio.
Sospira, scacciando quei ricordi. Gli sembra ancora impossibile, ma quel tempo è finito. Qualunque cosa succeda ora, sa che lui è vivo, e gli basterà.
Decide che preparerà qualcosa da mangiare: è dalla sera prima che non tocca cibo, e di certo anche Shino avrà fame.
Apre le antine della dispensa: dovrebbe esserci abbastanza per mettere insieme un pasto decente. Con un po' di esperienza e qualche consiglio di Atra, è diventato un discreto cuoco. Niente di eccezionale, ma quanto basta per prepararsi ogni mattina il pranzo da portarsi in officina, e arrangiare una cena passabile da consumare sul ballatoio in compagnia delle stelle.
Chissà cosa vorrebbe mangiare Shino. Le sue preferenze le conosce: non si è mai fatto scrupolo di mostrargliele, pescando a sbafo nel suo piatto i pezzi migliori.
Yamagi prova uno strano misto di tenerezza e straniamento: non è passato nemmeno un giorno dall'ultimo, terribile sogno in cui il suo fantasma gli apparso, tormentandolo, ed ora è lì, vivo, che ronfa beato nel suo appartamento. E' così incredibile che deve voltarsi ad osservarlo di nuovo, per scacciare la sensazione che sia tutta una fantasia.
Ha ancora nitida in mente la sensazione di rabbia e disperazione con cui si è svegliato, trovando Kassapa accanto al letto.
Improvvisamente un pensiero lo attraversa. Veloce come un respiro ma tagliente come una lama, abbastanza nitido da ribaltare tutto.
Non è possibile. Shino era già lì fuori. Da quanto tempo? E perché non è entrato assieme al Vecchio? Si passa le mani sulla faccia, mentre ogni cosa assume un significato diverso. Il modo in cui Kassapa gli ha parlato, come se si aspettasse di vederlo crollare. E lo sguardo di Shino, che non era affatto lo sguardo di chi ti vede per la prima volta dopo anni.
Shino era già lì.
Non era un sogno. Non si è scagliato con tutta quella rabbia e quel dolore contro un sogno. Era Shino. Era lì, ma lui non è stato in grado di capirlo. Lo stomaco si contrae, mentre poggia la fronte all'anta della cucina. Non è possibile.
Ragiona, Yamagi, ragiona.
Si impone di essere razionale. Deve sapere come stanno davvero le cose. Prende un respiro. Com'era lo Shino del suo sogno? Sa di averlo guardato negli occhi, ad un certo punto. E lui... richiama l'immagine, più obiettivamente che può. E la risposta lo getta nel panico.
Era lui. Ricorda bene le cicatrici sul volto, assolutamente identiche a quelle che ha realmente.
“Maledizione...” Mormora tra i denti.
Tutti quegli anni a tenere duro, controllarsi, prendersi cura di sé... Per non deluderlo ed onorare la sua memoria. E invece Shino lo ha visto così, nelle condizioni peggiori, nel momento in cui probabilmente ha toccato il fondo come mai aveva fatto da quando sono tornati su Marte.
Ecco perché lo ha messo a letto come un bambino, ecco perché non ha voluto parlare! Chissà cosa pensa di lui. Gli ha fatto pena? Di certo lo considera fragile, o magari pazzo. Il senso di soffocamento di tutte le sere passate da solo in quell'appartamento ritorna, amplificato.
“Maledizione!” La voce gli sfugge un po' più alta, mentre batte con forza una mano sul piano della cucina. Urta il barattolo delle posate, che si rovescia. Forchette, coltelli e cucchiai franano rovinosamente a terra, facendo un baccano d'inferno.
Si volta e – esattamente come temeva - Shino e sveglio e lo fissa, un po' confuso. Si alza dalla sdraio e gli va incontro, e Yamagi sa di avere un aspetto terribile. Sa di essere esattamente il contrario di come vorrebbe mostrarsi.
“Yamagi... va tutto bene?” Allunga una mano, ma lui si ritira con uno scatto.
“Lasciami... Scusa. Scusami...”
E prima che Shino possa reagire, attraversa la stanza a larghi passi ed esce da lì.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sei ***


Yamagi non è andato lontano. Shino lo ha seguito dopo pochi istanti e lo ha trovato nel ballatoio, le mani posate sul parapetto di cemento e le spalle tese e un po' curve.
“Va tutto bene?” Ripete.
Un cenno della testa, ma Shino non riesce a capire se sia un , un no, o magari un levati dai piedi.
Non è facile distinguere, anche perché la strada è quasi del tutto al buio. C'è qualche lampione sparuto, e qualche finestra aperta da cui permea la luce di qualcuno che è ancora sveglio.
Lui non ci è più abituato: nella colonia penale c'erano grandi fari accesi tutta la notte e puntati su ogni angolo per impedire qualsiasi tentativo di fuga.
“Mi dispiace. - Riprova, appoggiando la spalla allo stipite della porta. - Sono piombato qui all'improvviso e ti ho sconvolto. Forse è meglio se ti lascio un po' in pace e torno nei prossimi giorni...”
Yamagi si volta di scatto, le mani strette a pugno. “Tu non vai da nessuna parte.” - Scandisce. Poi abbassa lo sguardo, il tono improvvisamente più calmo. - Torna in casa, per favore.”
Rientrano, e Yamagi chiude la porta con un paio di mandate.
“Ehi, non ce n'è bisogno. - Prova a scherzare. - Giuro che non scapperò.”
“Stupido. Questo è un brutto quartiere, avresti dovuto farlo anche prima.”
“Ok. - Alza le mani in segno di resa. - La prossima volta me ne ricorderò.”
Yamagi lo osserva un attimo, come se cercasse la risposta ad una domanda che non ha fatto, poi torna ai fornelli.
“Hai fame? Preparo qualcosa da mangiare.”
“Io... sì, ho una fame da lupo, in realtà. Non so quanti giorni sono che non faccio un vero pasto.”
Yamagi si limita di nuovo ad un cenno del capo, poi comincia a tirare fuori quello che gli occorre.
“Posso aiutarti?”
“Perchè, sai cucinare?”
“Beh... no.”
Sospira, mentre gli sfugge un mezzo sorriso.
“Allora raccogli le posate, che è meglio. Qui ci penso io.”
Anche Shino sorride: finalmente qualcosa che conosce. Lo stesso tono brusco con cui gli aveva detto che non avrebbe fatto esplodere fiori di ghiaccio per lui. Lo stesso sguardo di affetto nascosto dietro ad una smorfia seccata che gli ha visto mille volte.
Per un po' gli unici suoni sono lo sfrigolare delle verdure nella padella, e il tintinnio metallico delle posate che ritornano al proprio posto.
Quando si siedono a tavola, Yamagi accende la luce sopra al tavolo, e la penombra in cui è stata avvolta la stanza fino a quel momento si dissolve.
Il suo sguardo non riesce a non fermarsi sulla mano metallica di Shino, e lui se ne accorge.
“Già. - La solleva, muovendo le dita come per provarle. - Il cockpit era esploso in parte, e così... Non è terribile come sembra, sai?”
“Hai detto che eri quasi morto.”
“Sì. Ho perso molto sangue, e il braccio era andato. Avevo diverse altre ferite, ma mi hanno messo nella nanomacchina medica in tempo.”
Yamagi si siede e gli porge la ciotola e le posate.
“Ora mangia. - Forse non è ancora del tutto calmo, ma ha deciso che non aspetterà. - E raccontami quello che è successo in questi tre anni.”
“A due condizioni.”
“Quali?”
“Che la tua cucina sia buona... - lo vede sollevare gli occhi al soffitto, sbuffando. - E che dopo tu faccia altrettanto.”
Yamagi si rabbuia, poi annuisce.
“D'accordo.”

 

La calma che è scesa nella stanza è un bene prezioso, e per un po' nessuno dei due ha il coraggio di romperla. Shino mangia di gusto, e intanto cerca un argomento qualsiasi col quale iniziare la conversazione. Ma le uniche domande che gli vengono in mente riguardano i loro compagni e cosa è successo dopo che lui è scomparso, e nessuna di esse sembra del tutto priva di tensione o di brutti ricordi da far riaffiorare. Yamagi, da parte sua, appare piuttosto assorto, e così finiscono di mangiare senza aver detto più di poche parole.
“Aaaah, ora va decisamente meglio! - Esclama Shino dopo aver ingurgitato l'ultimo boccone. - Devo ammetterlo, era proprio buono!”
“Grazie. Sembri sorpreso.”
“Beh... è solo che non ti avevo mai visto cucinare, tutto qui!”
“Non è molto diverso da fare il meccanico. Scegli i componenti adatti, e li assembli nel modo giusto. - Si alza, raccogliendo le ciotole ormai vuote. - Solo che in cucina si chiamano ingredienti.”
“Aspetta, ti aiuto. Almeno lasciami lavare i piatti.”
Yamagi lo guarda un po' stranito.
“Beh, che c'è? Questo lo so fare! Sulla colonia di detenzione c'erano i turni di pulizia delle cucine...”
“Ai piatti penseremo dopo.” Taglia corto, posandoli nel fondo del lavandino e tornando a sedere di fronte a lui.
“Hm. - Shino lo osserva, Yamagi sembra deciso, ma anche preoccupato. - Beh, non c'è molto da dire. Dopo essere stato raccolto e curato, sono stato sulla loro nave fino a che... beh, fino alla battaglia su Marte. Non sapevo molto di cosa stesse succedendo: ero chiuso in una stanza e nessuno mi raccontava nulla.”
Abbassa lo sguardo e porta le mani sulle gambe. Yamagi cerca di immaginare come possa essersi sentito, bloccato lì, senza sapere nulla e senza poter intervenire.
“Poi mi hanno portato alla colonia. La sorveglianza era stretta, ma qualche giorno fa sono riuscito ad infilarmi su una nave cargo. Ho fatto un paio di tappe da clandestino: per fortuna negli interporti commerciali ci sono più controlli sulle merci che sulle persone... E così sono arrivato su Marte, ed eccomi qua.”
Allarga le braccia, ma lo sguardo non è sereno. Yamagi sospira.
“Mi spiace...”
“Non devi. E' stata dura per tutti noi. E poi guardami: sto bene! Me la sono cavata meglio di ogni previsione...”
“Shino.”
“Hm?”
“Cos'è che non mi dici?”
“Io? In che senso?”
“Guarda che ti conosco.”
La tentazione di lasciar perdere è forte, ma a questo punto Yamagi vuole arrivare fino in fondo. Vuole sapere se l'ombra che sente nella sua voce incerta e nei suoi gesti nasce dall'averlo visto in quelle condizioni. Anche se ha paura, non può trascinarsi dietro un dubbio del genere.
Ma Shino lo stupisce. Si alza e va alla finestra, le mani in tasca e lo sguardo che vaga tra le case.
“Beh... Io vi credevo morti.”
Yamagi non lo interrompe, così continua.
“Mi avevano detto che eravate tutti morti, e io... gli ho creduto. All'inizio no, ma poi mi sono rassegnato. - Si passa una mano sul viso, poi torna a guardare fuori. - Io... ho mollato, capisci? Ho smesso di combattere e sono rimasto lì, senza far niente.”
“Ma Shino, in un posto come quello...”
“Non importa! Alla fine sono riuscito a scappare, no? Avrei dovuto provarci subito, avrei dovuto provarci ogni giorno!” La voce è piena di rabbia e rimpianto, e Yamagi si alza e lo raggiunge.
“Ho fatto un sacco di errori, Yamagi. - Chiude gli occhi e si poggia allo stipite della finestra. - Ho sbagliato quel colpo, e ho sprecato l'occasione di sconfiggerli. Mi sono fatto catturare, e sono rimasto lì come un coglione per tre interi anni. Se non mi fossi lasciato andare allo sconforto, forse sarei potuto tornare prima! Vi ho lasciati da soli. Ti ho lasciato da solo per tutto questo tempo...”
“Shino...” Allunga una mano, e gli afferra un braccio. Era così preoccupato per la propria debolezza, e invece ora sente bruciare dentro di sé tutto il rimpianto ed il dolore dell'altro.
Lo tira contro di sé, abbracciandolo. Poggia la testa contro la sua, chiudendo gli occhi.
“Non mi importa. Non credevo che l'avrei mai pensato, ma non mi importa niente di questi tre anni. Io... pensavo di non poter resistere più, ma sei tornato, e all'improvviso mi sembra che tutto questo tempo non conti più niente. Sei vivo Shino, e sei qui. Non chiedo altro.”
“Yamagi... dopo tutto quello che ti ho fatto...” Le lacrime bruciano negli occhi, e Shino sa che non riuscirà a trattenerle ancora. Tutte quelle ore di attesa, tutta quella angoscia... tutto il dolore degli ultimi anni si sta addensando dentro a quelle gocce d'acqua e forse lasciarle andare lo farà sentire meglio.
“Tu non lo sai cosa mi hai fatto. - Yamagi si allontana di un passo e lo guarda negli occhi. - Non sai cosa mi hai dato. Io... avrei preferito salire sul Ryusei-go e morire con te, piuttosto che restare qui da solo. Avrei preferito morire, ma... non c'è mai stato un giorno, uno solo, in cui avrei preferito non averti conosciuto. Mai.”
“Yamagi...” Shino sente che sta per crollare, ma non gli importa. Si stringe di nuovo a lui, e libera i singhiozzi che ha trattenuto fino a quel momento.
Yamagi allunga la mano fino all'interruttore che c'è di fianco alla porta d'ingresso, e spegne la luce. Rimane soltanto il chiarore dei faretti sopra ai fornelli, che forma ombre allungate attraverso la stanza. Lo stringe, cercando di fargli sentire con le braccia ciò che gli ha appena detto a parole.
Lo ascolta piangere, ma i suoi occhi sono asciutti.
Improvvisamente, Yamagi sente che per lui il tempo delle lacrime è finito. Forse ne verranno altri, ma adesso non importa. Adesso c'è soltanto questa notte, nata per ritrovarsi e ricominciare a vivere.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sette ***


“Accidenti. - Shino si stacca da Yamagi e si asciuga gli occhi, un po' impacciato. - Mi spiace, credo di aver perso il controllo.”
“Non essere stupido. - Un mezzo sorriso triste. - E comunque non sei l'unico, a quanto pare.”
“In che senso?”
“Guarda che lo so. Non era un sogno, eri tu... - Abbassa lo sguardo, poggiando le mani e la schiena al davanzale della finestra. - Ti ho detto delle cose orribili.”
“Come fai a... Te l'ha detto Kassapa? Perché ti ha detto una cosa del genere?!”
“No, no... lui non c'entra. L'ho capito da solo.”
“Accidenti, mi dispiace! Speravo che...”
“No, è meglio così. Almeno non ci sono segreti tra di noi.”
“Però...”
“Ascoltami, Shino. Non mi fa certo piacere che tu mi abbia visto in quelle condizioni, ma... è successo. Se avrai pazienza, ti dimostrerò che io non sono così. E' stato solo... un brutto momento. - Sospira, rimettendosi dritto e guardandolo negli occhi. - Quindi non ha senso stare a parlarne, e non voglio nemmeno più sentirti parlare di colpe o errori. Ci è stata data una seconda possibilità, e non voglio sprecarla con questi discorsi.”
Shino sorride, sentendosi stranamente orgoglioso di lui. Yamagi è sempre stato serio ed affidabile, ma ora è diventato così maturo e indipendente che ormai gli sembra lui il più grande dei due. Si sente quasi come se fosse rimasto indietro.
“Accidenti Yamagi, - Ridacchia, imbarazzato. - sei diventato così saggio che mi farai sfigurare! Già hanno sempre pensato tutti che sono un caprone senza cervello...”
“Ma...” Arrossisce, poi scoppia a ridere.
“Aaaaaaah, non ridere, ti prego!”
Yamagi torna serio. Gli prende una mano, avvicinandosi di un passo.
“Io non l'ho mai pensato.”
“Lo so. - Lo abbraccia di nuovo, socchiudendo gli occhi. - E non devi dimostrarmi nulla. Lo vedo da solo quanto sei forte, e quello che è successo non cambia niente.”
Yamagi ricambia l'abbraccio, stringendo forte. L'angoscia di essersi messo a nudo si sta dissolvendo, per lasciare il posto ad uno strano calore che non provava più da una vita.

 

Shino non riesce a non ridacchiare davanti allo sguardo schifato con cui Yamagi raccoglie le lenzuola per buttarle a lavare assieme alla tuta che indossava il giorno prima.
“E' l'ultima volta che tocco alcool...” Borbotta.
“Esagerato! Basterà non scolarsi una bottiglia intera...”
“Ti prego, non infierire. Credevo avessimo deciso di chiudere con questi discorsi.”
“Hai ragione, scusa. - Si gratta la testa. Forse dovrebbe imparare a misurare le parole. - E comunque anche io non sono certo un bocciolo di rosa. Mi sa che avrei bisogno di una doccia.”
“Questo senza dubbio. - Si volta a guardarlo con aria scettica. - E credo che i tuoi abiti siano buoni solo per l'inceneritore...”
“Ehi! La stiva di una nave non è mica una cabina di prima classe! E questa roba la butterò volentieri, ma prima mi serve qualcos'altro da mettere...”
“Ti presterò qualcosa io. Vai a fare una doccia, io sistemo il letto e lavo i piatti.”
“Ehm... d'accordo, grazie. - Si guarda attorno, un po' a disagio. - Aspetta, per i piatti. Li lavo io.”
“Non ce n'è bisogno.”
“Tu hai cucinato. - Scandisce solennemente. - Io lavo i piatti.”
Yamagi ridacchia.
“Va bene, va bene... Non c'è bisogno di agitarsi.”

 

Yamagi osserva una felpa azzurro scuro che indossa a volte sopra agli abiti quando rimane un po' di più sul ballatoio e l'aria si fa fredda. E' un po' abbondante per lui, quindi forse a Shino andrà bene.
Anche se è cresciuto molto, rispetto a quando facevano parte di Tekkadan, è rimasto comunque un po' più minuto di lui. Chissà se Shino se n'è accorto. Deve essergli sembrato strano vederlo così cambiato.
Entra nel bagno e la poggia sullo sgabello di fianco al lavandino.
“Ti ho lasciato una maglia ed un paio di pantaloni. - Alza la voce per sovrastare lo scroscio dell'acqua. - Le mutande te le compri domani, io non te le presto!”
Lo sente ridere, poi la doccia si ferma e Shino compare da dietro il pannello scorrevole.
“Grazie, va benissimo così. - Si ferma, davanti allo sguardo fisso di Yamagi. - Va tutto bene? Non sarai mica in imbarazzo perché sono nudo, vero?”
“No, io...” Allunga una mano su una grossa cicatrice sul fianco destro di Shino. La sfiora, scorrendo con gli occhi sui tanti altri piccoli segni che si allungano sulla gamba e sul torace.
“Ah, questa. - Gli prende la mano e gliela poggia sulla pelle umida. - Non aver paura. Puoi toccarla, sai?”
“Mi dispiace. Scusami, io credevo di essere preparato, ma... sapere e vedere non sono la stessa cosa, credo.”
“E' stata una scheggia.”
Yamagi sospira, lo sguardo fisso sulla propria mano aperta che copre interamente la cicatrice, nascondendola.
“Non essere triste: poteva andare molto peggio.”
“Lo so, ma...”
“Yamagi, ascolta. - Gli prende il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. - Lo sai perché non ne ho altre, di ferite del genere?”
“Perchè?”
“Perchè il cockpit non è andato distrutto. Uno dei colpi ha fatto esplodere la parte sinistra, ma non è collassato. Le fiamme si sono spente subito, perché il sistema di sicurezza ha aperto il portellone, facendo uscire l'ossigeno. Poteva diventare la mia tomba, e invece mi ha protetto. - Lo vede trattenere il respiro, mentre gli occhi si fanno grandi. - E sai perché? Perché il Ryusei-go era una macchina perfetta. Perché tu l'hai rinforzato, e controllato, e migliorato così tanto che ha resistito ad un attacco come quello.”
“Shino...”
“Pensi che lo dica per consolarti? Eppure lo hai visto con i tuoi occhi tante volte cosa accade ad un pilota quando viene colpito in quel modo.”
“Shino... - Non può abbassare il viso, così sposta lo sguardo di lato. - Tu lo sai perché l'ho fatto, vero?”
“Sì. - Gli posa un bacio sulla fronte, senza smettere di tenergli il viso. - Sì, lo so.”
“E lo sai che per me non è cambiato nulla.” Doveva dirglielo, non importa se la voce è incerta e lo sguardo non riesce a restare fermo nel suo.
“Sì, credo di sì.” Si abbassa ancora un po', portando le labbra su quelle di Yamagi e sfiorandole.
Lo sente tremare, mentre gli occhi si fanno grandi e liquidi. Sembra terrorizzato, e Shino si ferma.
“Accidenti...” Sospira, lasciandolo andare. Prende un asciugamano e se lo avvolge in fretta attorno alla vita. Poi prende Yamagi per una mano e lo trascina fuori dal bagno, afferrando al volo gli abiti con l'altra.
“Un secondo. - Alza una mano, come a fermare qualsiasi reazione, mentre inizia ad infilare felpa e pantaloni quasi senza asciugarsi. - Dammi solo un secondo, ok?”
Yamagi annuisce, un po' confuso.
“Ecco. - Si siede sul letto, lasciando chiuse le lenzuola pulite. - Vieni qui, per favore.”
Yamagi si siede accanto a lui, ma Shino lo tira contro di sé, incastrandolo tra le sue gambe incrociate.
“Yamagi, ti ho spaventato?”
“No. Non sei tu. - Socchiude gli occhi, scuotendo il capo. - E' solo che... fino a ieri ti credevo morto, ed ora...”
“Troppe cose tutte assieme?”
“Forse.”
“Te l'ho detto, non voglio stravolgere la tua vita. Ho già fatto abbastanza danni, se vuoi possiamo...”
Non riesce a finire, perché Yamagi lo spinge contro il muro, incastrandolo nell'angolo della nicchia del letto. Le labbra premono contro le sue, mentre una mano risale lungo il collo, sfiora uno degli orecchini e si ferma sulla nuca. Sta ancora tremando, ma non c'è nessuna incertezza nei suoi gesti.
Quando si allontana, il viso è arrossato, ma gli occhi sono limpidi.
“Ok. - Ridacchia Shino, improvvisamente imbarazzato. - Non parlo più, va bene?”
“Stupido.” Yamagi abbassa il capo. Porta una mano alla coda e la scioglie. I capelli ricadono sul viso, coprendolo in parte, ma non nascondono il sorriso dolce che lo illumina.
Shino scoppia ridere, stringendolo contro il proprio petto e baciandogli la testa.
“Grazie.” Sussurra.
“Di cosa?”
“Di avermi sopportato. Di avermi protetto. - Solleva una mano e gli scosta i capelli dal viso, guardandolo negli occhi. - Di non avermi dimenticato.”

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Epilogo ***


Yamagi apre gli occhi. Le stecche delle persiane sono girate, e la stanza è illuminata dalla luce del sole che filtra attraverso le fessure. Deve essere mattina inoltrata, ma non è un problema: la domenica* la Kassapa Factory è chiusa e lui può dormire un po' di più.
Rimane un po' intorpidito ad ascoltare i suoni che provengono dalla strada. Qualcuno che passa chiacchierando, il motore di qualche mezzo, le corse dei bambini nel cortile di fianco al suo...
Da quando Kudelia è diventata presidentessa della Federazione delle Città Marziane, le condizioni della popolazione sono migliorate molto, ed è molto più comune sentire risate e giochi.
Non ricorda di aver mai assaporato un senso di pace come quello.
Di certo non alla CGS, ma nemmeno durante gli anni di Tekkadan. Anche nei periodi in cui le cose erano andate bene, c'era sempre stato qualcosa a preoccuparlo.
Ai tre anni appena trascorsi, poi, non vuole nemmeno ripensare. E' passata poco meno di una settimana da quando Shino è tornato, e più di una volta ha avuto la sensazione che sia stato tutto un sogno.
Gli è successo al lavoro, quando si è totalmente immerso in qualche operazione complicata, e il suo cervello è tornato in automatico al vecchio modo di sentire, perdendo contatto con quella nuova realtà. Si è riscosso in preda al panico, rischiando anche di compromettere quello che stava facendo. Oppure si è svegliato nel mezzo della notte in preda ad un incubo, e solo trovare Shino che dormiva lì accanto gli ha permesso di calmarsi subito.
Anche lui ha avuto degli incubi: Yamagi lo ha sentito agitarsi e mormorare nel sonno.
Si stira, un po' indolenzito. Quel letto è decisamente troppo piccolo per dormirci in due, ma non ha ancora avuto il coraggio di prenderne un secondo da accostare a quello. Significherebbe dare per scontato che Shino rimarrà a vivere da lui anche in futuro, quando si sistemerà un po' più stabilmente, e non hanno ancora toccato l'argomento. Ma sa che nel giro di poco dovranno farlo: se Shino non gliene parlerà apertamente, glielo proporrà lui.
Si alza, e prima di entrare in bagno dà un'occhiata al ballatoio per vedere se per caso Shino è lì, ma lo trova vuoto. Non è strano: da quando è tornato, sembra in preda alla frenesia. E' stato in casa talmente poco, che Yamagi è tornato al lavoro praticamente subito, visto che comunque non sarebbero stati assieme lo stesso.
Shino è andato a trovare tutti i loro vecchi compagni, ha parlato più volte con Eugene e con Kudelia, si è impuntato a fare i lavori di casa e ha persino cucinato qualche sottospecie di pranzo che gli ha portato all'officina. Sembra quasi che voglia recuperare il tempo perso, e Yamagi prova un misto di tenerezza ed inquietudine nel vederlo così. Sospira, sorridendo pacatamente al proprio riflesso nello specchio sopra al lavandino: qualunque sia il motivo per cui Shino sembra incapace di fermarsi, promette a sé stesso che lui sarà lì, per ascoltarlo e sostenerlo.
Il rumore della serratura che scatta lo richiama fuori dal bagno.
“Buongiorno.”
“Oh, ti sei svegliato! - Shino posa sul tavolo un paio di sporte di carta piene di roba. - Buongiorno! Hai già fatto colazione?”
“No, mi sono alzato poco fa.”
“Ottimo! Allora vai pure a sistemarti: io preparo il tè e mangiamo assieme!”
Yamagi rientra in bagno e comincia a svestirsi, mentre dalla cucina arrivano rumori di tegami e tazze. Tira indietro i capelli e li lega. Ormai non li porta quasi masi sciolti, lo trova scomodo. A volte si chiede come facesse a lavorare con metà del viso coperta, ma in realtà ricorda bene come il bisogno di tenere a distanza il resto del mondo fosse più forte del fastidio dei capelli sul viso.
“E' pronto!”
“Arrivo.” Bofonchia con la faccia coperta dall'asciugamano. Le mani di Shino sui fianchi lo fanno sobbalzare, solleva il viso dalla stoffa appena in tempo per vederlo mentre si china su di lui e gli bacia la base del collo, poco sopra l'Alaya Vijnana.
Arrossisce. Non è ancora abituato a questi contatti fugaci che si scambiano ogni volta che sono assieme. Un braccio attorno alle spalle, le dita intrecciate, uno sfiorare veloce di labbra sulla tempia o sulla bocca... lo colpiscono quasi di più dei lunghi baci che si scambiano ogni sera, nel letto, mentre si avvicinano ogni volta un po' di più l'uno all'altro. Sorride, prendendogli la mano sinistra e portandosela al viso. Bacia le dita, ed il metallo è freddo contro le labbra.

 

“E' buono il pane dolce?”
“Sì, molto. Non pensavo ci fosse un forno aperto di domenica, da queste parti.”
“Infatti non c'è. Ho dovuto girare parecchio, prima di trovarne uno. - Ridacchia. - Sono arrivato quasi in centro.”
“Shino, non ce n'era bisogno! E poi non devi farti vedere in giro più del necessario. Soprattutto in centro, dove c'è molta più polizia!”
“Lo so, lo so! - Porta le mani dietro la testa sbuffando. - Ma io non ce la faccio a starmene fermo qui, divento pazzo!”
“Come se tu fossi rimasto fermo un solo giorno! Devi avere pazienza: Kudelia ha contattato Takaki, no? Vedrai che presto avrai un nuovo nome. Uno con cui poter andare in giro senza rischiare di essere arrestato.”
“Va bene. - Sospira. - Speriamo che sia una cosa veloce!”
“A proposito, hai poi deciso come farai con il lavoro?”
“Non lo so. Eugene mi ha proposto di entrare nello staff di sicurezza di Kudelia. Lavoreremmo assieme e so che a lui farebbe piacere...”
“Ma?”
“Ma...non so. Forse non ho voglia di una cosa del genere. Credo... di non voler più portare armi. Sono stanco di violenza. Anche se adesso siamo in pace, non voglio rischiare di dover ancora uccidere.”
Yamagi annuisce, prendendogli una mano.
“Perchè non parli con Kassapa? Magari lui ha qualcosa per te.”
“Lavorare all'officina? Naaaaaaaa, sono sicuro che non hai voglia di avermi tra i piedi tutto il giorno! E poi non sono un meccanico...” Shino osserva il proprio tè, facendolo oscillare nella tazza. Prova ad immaginarsi con addosso la tuta con il simbolo del Ryusei-go. L'ha notato solo dopo qualche giorno, e ancora non ha le idee chiare sulla serie di sensazioni che ha provato capendo cosa significava.
“In realtà... c'è una cosa. Me l'ha accennata Kudelia l'ultima volta.”
“Che cosa?”
“Ha detto che all'orfanotrofio c'è bisogno di personale.”
“E ti piacerebbe?”
“Beh... sì. Ci sono stato: è un posto pieno di pace, e i bambini sono una forza della natura. Yamagi, credi che sarei adatto?”
“Certo che lo saresti! E poi ci sono Dante e Derma, vedrai che andrà bene!”
“Allora ci penserò... Anche se Eugene si offenderà a morte se scelgo l'orfanotrofio!” Ride, afferrando un altro panino.

 

“Hai comprato dei fiori?” Yamagi osserva il mazzo colorato sul fondo di una delle due buste di carta.
“Sì, io... volevo fare una cosa. - Mette le tazze nello scolapiatti e si asciuga le mani. - Pensavo... di andare alla tomba di Tekkadan. E' l'unico posto in cui non sono ancora stato.” Tranne per quei pochi minuti in cui lo ha ritrovato e l'ha riportato a casa, ma Shino preferisce non rivangare. Non ne hanno ancora parlato, e forse Yamagi non sa che c'era anche lui assieme a Kassapa.
“Vuoi che ti accompagni?”
“Lo faresti? Volevo chiedertelo, ma... beh, sicuro che ti va?”
Yamagi sospira, prendendogli la mano destra, ancora umida.
“Certo. Andiamo anche adesso, se vuoi.”
“D'accordo.”

 

Ancora un paio d'ore, e il sole sarà a picco sulle loro teste. L'aria è già parecchio calda, soprattutto lassù, dove non c'è niente a creare un po' di ombra. Per fortuna in quel punto soffia sempre il vento.
Lasciano l'auto poco più sotto, e fanno l'ultimo tratto a piedi, tenendosi per mano. Yamagi è rimasto pensieroso per quasi tutto il tragitto, limitandosi a guidare e tenere gli occhi fissi sulla strada. Anche Shino non era in vena di chiacchiere, così sono arrivati a destinazione quasi senza dirsi nulla.
“Ci sono dei fiori...” Mormora Shino.
Yamagi si china ad osservarli: non sono quelli che ha portato lui la settimana prima. E' un bel mazzo di rose rosse, avvolto in un foglio di sottile carta bianca.
“Sono di Ride.”
“Ride? Ma... i ragazzi mi hanno detto che non lo vede nessuno da diversi mesi. Che praticamente è scomparso.”
“E' così, infatti. Quando Gordon Nobliss è tornato su Marte, ha cominciato a comportarsi in maniera strana. Ad allontanarsi, a rispondere con rabbia a chi gli chiedeva se c'era qualche problema. - Sospira. - Non ha mai superato la morte di Orga. E adesso stanno cominciando ad evitarci anche altri dei ragazzi più piccoli. Kudelia è molto preoccupata.”
“Accidenti. - Shino si mette le mani in tasca, facendo scorrere lo sguardo lungo la vallata. Ha ancora negli occhi il viso da bambino di Ride che gli parla come ad un fratello maggiore. - Pensi che farà qualche sciocchezza?”
“Non lo so. Può darsi.”
“E come fai a sapere che questi fiori sono suoi?”
“Rose rosso sangue. - Accompagna le parole con un piccolo gesto delle spalle. - Poco dopo che Ride è sparito, hanno cominciato a comparire queste rose sulla tomba. Abbiamo parlato tra di noi, ed è venuto fuori che nessuno le aveva portate, così abbiamo capito che sono sue. Da allora abbiamo stabilito che nessuno di noi porterà mai fiori simili, in modo che quando le troviamo, sappiamo per certo che lui è stato qui. Non abbiamo altro per sapere se sta bene, e se è ancora su Marte.”
Shino scuote la testa, amareggiato. Si chiede se avrebbe potuto fare qualcosa, se fosse tornato prima.
Yamagi prende un petalo tra le dita: è ancora abbastanza fresco.
“Deve essere stato qui stanotte. Con questo sole e questo vento, i fiori non durano niente.”
Shino si siede a terra, proprio di fronte alla lapide. Fa scorrere la punta delle dita lungo i nomi incisi, e quando sfiora il proprio nome, non può fare a meno di voltarsi verso Yamagi.
“Ti chiedi mai come sarebbero andate le cose se avessimo fatto scelte differenti?”
“No. - Si siede accanto a lui. - Non ci sono mai riuscito.”
Sarebbe stato troppo doloroso.
“Io sì. Una marea di volte. Praticamente non ho fatto altro in questi tre anni. Credevo che foste morti tutti, e continuavo a farmi domande. Dove saremmo ora se Orga non ci avesse liberato? E se non avessimo incontrato Naze? Se non ci fossimo alleati con McGillis? Se il mio colpo fosse andato a segno?”
Fa un gesto con la mano, e Yamagi gliela prende, fermandola a mezz'aria.
“Lo sai che non ha senso, vero? Non si può cambiare quello che è successo. - Porta giù le loro mani unite, fermandole sul proprio ginocchio. - Soprattutto non devi pensare all'ultima. Non è colpa tua se non sei riuscito a colpirli. Mika ci ha raccontato come è andata: quel mobile suit nemico aveva colpito il tuo Dainsleif. Non eri nelle condizioni di mettere a segno quel colpo.”
“Super Galaxy Cannon, Yamagi. - Lo guarda con un sorriso storto, ma nonostante il tentativo di scherzare, gli occhi sono ancora tristi. - E' quello il suo nome.”
“No, non lo è più. Se anche esiste ancora, non è altro che un cannone. E il Flauros, se anche è stato recuperato da qualcuno, non è più il Ryusei-go. Non lo è più da quando non sei più tu a pilotarlo.”
“Sì, forse hai ragione. - Osserva le loro dita intrecciate. - E' strano. Ora che ci penso, mi sembra che quella vita sia lontanissima, come se fossero passati molti di più di questi tre anni.”
“Siamo noi a non essere più gli stessi. - Si avvicina, poggiando la testa sulla sua spalla. - Sai, ho sempre amato il fatto che tu mettessi nomi strani alle cose. Ma ora sono felice che non esistano più armi a portare un nome scelto da te. Credo che non riuscirei più a sopportare l'idea che tu debba combattere.”
“Non ti preoccupare, non ho nessuna intenzione di farlo. - Gli passa un braccio attorno alle spalle, stringendo appena. - Credo proprio che accetterò quel posto all'orfanotrofio.”
“Ne sei sicuro?”
“Sì. Non voglio più usare armi. E non voglio che tu debba preoccuparti ancora per me.”
Yamagi annuisce, mentre gli occhi si fanno appena un po' lucidi.
Shino raccoglie il mazzo di fiori che aveva posato a terra, e lo mette accanto a quello di Ride.
“Un pezzo alla volta, costruiamo la nostra nuova vita. - Posa un bacio sulla fronte di Yamagi. - I nostri compagni sono morti per darci questa possibilità, e noi non la sprecheremo.”
“Sì. - Chiude gli occhi, ascoltando il soffio del vento che spazza la vallata. Lo ha sempre trovato cupo, ma adesso gli sembra quasi una voce gentile. - Ora possiamo farlo.”

 

 

*Siamo su Marte 400-500 anni nel futuro, quindi non è detto che i nomi dei giorni siano come quelli attuali, né che la domenica sia ancora un giorno festivo. Ma visto che ci sono nomi ed usanze che ci portiamo dietro da 2000-2500 anni, ho deciso che questa è una di quelle che è rimasta uguale. ;P

 

OK, l'ho finita. E per la prima volta nelle mia lunga ed onorata carriera di fanwriter XD, mi dispiace mettere la parola fine ad una storia. Forse perché l'ho buttata giù esattamente in un mese, tempo decisamente corto per me. O forse perché mi ha coinvolto un sacco, portandomi a scrivere di getto e impulsivamente come non faccio mai.
In ogni caso, prima di lasciarvi, è tempo di ringraziamenti.
Innanzitutto, un GRAZIE gigante a Releuse. Per avermi fatto scoprire questo anime che mi ha appassionato un sacco, per avermi trascinato in mille elucubrazioni e ragionamenti interessanti e mai scontati, e per avermi supportato durante la stesura di questa storia. E' stato fondamentale avere qualcuno con cui confrontarmi ogni volta che avevo un dubbio, qualcuno con cui capirsi al volo.
Grazie a GiuliaOngaku, a Xshade_Shinra e a Polaris86 (in rigoroso ordine di apparizione XD) per tutti i bellissimi commenti: mi avete mandato in brodo di giuggiole ed è sempre fantastico vedere le proprie storie attraverso gli occhi di qualcun altro.
Grazie infine a chi ha letto e a chi leggerà in futuro.
Un bacione
SoltantoUnaFenice

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3658768