Men in Black vs. Predator

di Odinforce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una pessima giornata ***
Capitolo 2: *** I peggiori dell'universo ***
Capitolo 3: *** La preda ***
Capitolo 4: *** Caccia spietata ***



Capitolo 1
*** Una pessima giornata ***


Men in Black vs. Predator
 
 
1. Una pessima giornata 

L’alba di un nuovo giorno sorse sulla città di New York, resa limpida e fresca dalla brezza primaverile che soffiava in quei giorni su tutta la costa. I grandi edifici della metropoli furono baciati dal sole uno dopo l’altro, compreso quello su cui rivolgeremo ora l’attenzione. Situato al 504 Battery Drive, era in apparenza un comune palazzo di cemento privo di finestre, con un unico portone d’ingresso posto sul lato principale. Passava inosservato come gran parte delle cose a New York, dal momento che i newyorkesi badavano in genere ai fatti loro.
Un trio di persone arrivarono davanti all’edificio in quel momento. Due uomini vestiti di nero trascinavano di peso un terzo, quello che in apparenza sembrava un giovane ispanico vestito da teppista. Questi non smetteva di parlare, cercando di convincere i due uomini in nero a lasciarlo andare.
« Vi state sbagliando! » insisteva. « Io mi chiamo Carlos e vengo dalla Terra! Non sono un dannato alieno! »
« Vedi di darci un taglio » dichiarò K, l’uomo in nero più anziano. « Ormai siamo arrivati. »
« Non so niente! Avete preso l’uomo sbagliato... non sono quello che pensate che sono! Non sono un Drensh o come diavolo si chiama... »
« Un Drenj » rispose J, l’altro uomo in nero, più giovane e di colore. « Comunque credimi, Carlos... se fossimo sicuri che tu non sei un Drenj, credi davvero che ti avremmo inseguito per tutta la notte, catturato in un vicolo e trascinato di peso per quattro isolati fino alla nostra base? E non fingere di non riconoscerla, sappiamo benissimo che sei stato accolto qui un mese fa! »
Il trio varcò la soglia, attraversando il corridoio fino all’ascensore. J e K spinsero dentro il povero Carlos, facendolo sbattere contro la parete d’acciaio.
« Uff » sospirò J, visibilmente stanco. « Era ora, dannazione... lo sai che per colpa tua non ho chiuso occhio stanotte? »
« Colpa mia? Non so di cosa stai parlando » rispose Carlos, continuando a negare tutto. « Mi accusate di un mucchio di stronzate. Dite che sono un alieno, che spaccio droga e che ho infranto la legge intergalattica o roba del genere... io non so niente! Non ho fatto niente! »
« Ah sì? Dillo ai ventisei poveretti finiti in ospedale per aver ingerito la tua roba » affermò K spazientito. « Come reagirebbero se sapessero che la polvere che hai venduto loro è ricavata dalle tue secrezioni ascellari? Siete tutti uguali, voi Drenj... credete di fare buoni affari sulla Terra con le vostre sostanze, ma poi vi fate acchiappare come un branco di tonni. »
L’ascensore continuò a scendere. Carlos sembrava agitato più che mai.
« Io... io... »
« Carlos » disse J, alzando la voce. « Finora siamo stati gentili, abbiamo usato le buone maniere... almeno in larga parte. Ma se continui a blaterare cazzate, io e il mio collega saremo costretti a usare le maniere cattive. Perciò prova a ripetere un’altra volta che non sei un alieno – anche se ti abbiamo preso con le mani nel sacco – e mi vedrai costretto a farti tacere con questo. »
E tirò fuori dalla tasca una specie di bastoncino di plastica e metallo. Carlos lo guardò, con aria tesa.
« C-che cos’è? »
« A dire il vero non ho mai imparato il parolone tecnico... io lo chiamo semplicemente “macinachiappe”. Quando un alieno fa il duro, mi basta infilarlo nelle sue chiappe e spingere finché non arriva fino allo stomaco, macinando le sue interiora finché non si decide a parlare... »
Dlin.
L’ascensore arrivò al piano, ma nel frattempo Carlos aveva preso a urlare terrorizzato.
« Nooo, pietà! Vabenevabene, confesso ma non infilatemi quell’affare tra le chiappe! »
« Saggia decisione » commentò K, con un sorrisetto. « P, F, portatelo nell’area di detenzione, procedura standard. »
Due Men in Black si fecero avanti, portandosi via un Carlos ancora agitato.
J ridacchiò, infilandosi il “macinachiappe” nella tasca.
« Eh, gli alieni » commentava nel frattempo. « Non importa da quale angolo dell’universo saltino fuori, non riescono mai a riconoscere il bastone che usiamo per farci i selfie. »
I due colleghi avanzarono per il quartier generale MIB. Anche se era l’alba, il posto era comunque pieno di gente. I Men in Black lavoravano infatti a turni, seguendo una giornata di 36 ore; occuparsi del controllo dell’attività aliena sulla Terra non era certo un lavoro qualsiasi, e richiedeva un impegno costante. Questo non era comunque il caso di J, perché in quel momento sbadigliò sonoramente.
« Stanco? » commentò K, notandolo.
« Eccome » gli rispose J. « Tu sarai abituato, ma io ancora non reggo una caccia al Drenj di 9 ore. Non mi reggo in piedi, te lo assicuro.
« Allora vai pure a riposare, parlo io con Z. »
J fissò sorpreso il suo collega. Era assai raro che rifilasse simili gentilezze, ma evitò di commentare con una battuta, perché aveva davvero bisogno di dormire.
« Grazie, K, te ne devo una. »
« Me ne devi cinque, volpe. »
Si separarono a metà strada. J raggiunse il luogo più appartato dove poter riposare, K proseguì dritto, verso l’ufficio di Z. Lungo la strada incrociò una donna bionda di mezz’età, la quale lo salutò con un sorriso.
« Buongiorno, O » rispose lui meccanicamente.
Trovò il capo della base al suo posto, dietro la scrivania e con una grossa tazza di caffè tra le mani. Aveva l’aria cupa.
« Buongiorno, K » borbottò Z. « Che novità porti a questo vecchio rimbambito? »
K sedette davanti alla scrivania.
« Abbiamo catturato il Drenj, missione compiuta. »
« Eccellente. E le vittime? »
« I sopravvissuti si riprenderanno, con le dovute cure fornite dalla squadra di pulizie. »
Z annuì, mostrando un debole sorriso compiaciuto.
« Bene... non resta che archiviare il caso, allora » dichiarò dopo una pausa. « I Drenj... non avevamo a che fare con loro dai tempi di Woodstock. All’epoca se la sono spassata un sacco con i giovani in cerca di sballo. »
Un’altra pausa. K si prese a sua volta un po’ di caffè, ma nel frattempo continuò a scrutare Z in volto. Qualcosa lo turbava, era evidente.
« Qual è il problema, Z? » domandò dopo il primo sorso. « Riconosco quello sguardo, significa chiaramente “sta per arrivare qualcosa che preferirei andasse su un altro pianeta”. »
Z allargò un poco il sorriso.
« Hai indovinato. Pare che nel primo pomeriggio avremo ospiti... una visita da parte del popolo Yautja. »
A K non andò per poco di traverso il caffè.
« Yautija? » ripeté. « Oh, per la miseria... cosa vogliono stavolta? »
« Nulla, almeno apparentemente. Una loro navetta in transito nel nostro sistema ha subìto un guasto e chiede di atterrare qui per effettuare le riparazioni. Hanno già promesso di fare i bravi durante il loro soggiorno, ma come ben sai non mi fido degli Yautja... per questo ho convocato l’Agente A, affinché venga a tener d’occhio la situazione. »
« A? Uhm, è da parecchio che non si fa viva da queste parti. »
« Ora ha un buon motivo per farlo. A è la migliore, quando si ha a che fare con quei pazzoidi. Arriverà tra qualche ora, appena in tempo per accogliere gli Yautja. »
K sospirò profondamente.
« Speriamo che fili tutto liscio, allora. »
« Me lo auguro » commentò Z. « Abbiamo avuto fin troppe grane con gli Yautja in passato... dovresti saperlo meglio di me, visto che ne hai ucciso uno. »
« Sono ancora indeciso se considerare quell’esperienza un onore o una condanna. »
Entrambi risero, anche se il divertimento fu breve.
« Be’, per ora è tutto » dichiarò Z. « Puoi andare, K... ah, assicurati di avvertire J della faccenda, so che tra lui e A c’è stato del tenero in passato. »
« E non è finita molto bene » aggiunse K. « In effetti spero quasi che J dorma a lungo e si risvegli quando A e gli Yautja saranno già ripartiti. »
Il Man in Black uscì dall’ufficio, decisamente turbato per le ultime novità. Mentre si dirigeva alla sua scrivania gli tornò alla mente – quasi automaticamente – tutto ciò che sapeva sulla razza Yautja. Noti anche come Predator, erano ritenuti non a torto tra i più pericolosi alieni dell’universo conosciuto: vivevano di caccia e di combattimento, da loro considerato come mezzo per dimostrare le proprie virtù, e le loro prede erano praticamente tutti coloro che decidevano di cacciare. Piattole, Kylothiani, Chitauri, Bogloditi... persino la feccia dell’universo tremava al solo sentire il ringhio di uno Yautja alle loro spalle.
Tra gli umani e i Predator, invece, c’era una lunga storia da raccontare. Il popolo Yautja visitava ormai da secoli la Terra, ed era in parte responsabile del progresso dell’umanità; si facevano venerare come dèi da alcuni popoli, ma nel frattempo li usavano come pedine sacrificali in pericolose battute di caccia. Nell’ultimo secolo, poi, le visite erano aumentate di numero, insieme agli avvistamenti da parte di uomini innocenti. I Men in Black, per quanto organizzati, non erano in grado di fermare gli Yautja, e arrivavano sempre quando ormai era tutto finito; perciò, fin da quando l’organizzazione era attiva, intervenivano quando potevano per limitare i danni e nascondere – come sempre – ogni traccia aliena.
Ma i Predator continuavano a tornare, rifiutandosi di rispettare qualsiasi tregua.
 
J si svegliò qualche ora dopo, quando lo stomaco cominciò a brontolare per la fame. Il giovane lasciò quindi la sua branda e raggiunse l’area del terminal, affollata dal consueto viavai di agenti e alieni, mentre una voce femminile registrata comunicava l’ennesimo annuncio.
« Attenzione: navetta Yautja classe R in arrivo al Varco 3. »
Il messaggio non penetrò subito nella mente di J, intento com’era a sbadigliare pesantemente. Fu solo alla terza ripetizione del messaggio che il giovane MiB cominciò a capire qualcosa.
« Navetta Yautja? » ripeté sorpreso, e nel frattempo i suoi occhi notarono varie sfumature di ansia e nervosismo tra le persone che gli stavano intorno, sia Men in Black che alieni. Non aveva mai incontrato i Predator, ma ne aveva sentito parlare molto; era a causa loro che una persona era entrata a forza nella sua vita, rivoltandola come un guanto per un certo periodo.
Alexa...
J scosse la testa, cercando di non pensarci. Ignorò il messaggio che ancora risuonava al terminal e raggiunse a grandi passi il bancone del Burger King, pronto a riempirsi lo stomaco. Un grosso alieno viola con quattro braccia gli diede il benvenuto.
« Ehilà, Dex » salutò J. « Come vanno le cose al miglior cuoco della galassia? »
« Piuttosto bene, per un profugo elzariano » rispose Dex. « Allora, cosa ti porto? »
« Il miglior Whopper della galassia, naturalmente. »
« Detto fatto, bello. »
Le porte del terminal si aprirono in quel momento, e un nuovo gruppo di alieni fece il suo ingresso. Quasi tutti si fermarono a guardare: erano gli Yautja. Umanoidi, alti più di due metri e dalla pelle rugosa, con delle lunghe protuberanze simili a dreadlocks che spuntavano dal cranio; indossavano tutti una maschera di metallo, che permetteva loro di vedere a infrarossi e in altre modalità. Una mezza dozzina di giovani guerrieri guidati da un anziano, l’unico dotato di mantello e armato di lancia. Molti alieni arretrarono alla vista dei Predator, visibilmente intimoriti; altri cercarono di ignorarli, pur dimostrando una certa tensione nello sguardo.
Gli Yautja avanzarono fino al centro del salone, proprio di fronte al Burger King. Z venne loro incontro, scortato dall’Agente O, fermandosi di fronte a loro senza parlare. Sembravano tutti in attesa di qualcosa, o di qualcuno.
« Eccoti qua. Ben svegliato, volpe. »
J si voltò e vide K avvicinarsi a lui.
« Ehi » salutò, pur continuando a guardarsi intorno. « Ma che succede? »
« Non hai sentito la comunicazione? »
« Sì che l’ho sentita. Ma perché riceviamo un’improvvisata dagli Yautja? »
« Hanno un guasto alla nave, faranno una sosta da noi per ripararla. »
J fece un verso scettico. Intanto Dex gli serviva il Whopper che aveva ordinato.
« È questo che hanno detto? » borbottò mentre addentava il suo panino. « Io sento puzza di guai persino qui, davanti al bancone del Burger King. »
« Lo so » rispose K, « per questo l’Agente A li terrà d’occhio. »
A J per poco non andò di traverso il boccone.
« A è qui? » esclamò, tossendo un poco. « E quando pensavi di dirmelo? »
« Ti sei svegliato solo adesso. »
« K, credevo di essere stato chiaro quando te l’ho detto quattro anni fa: una delle più valide ragioni per cui puoi permetterti di svegliarmi in caso di emergenza è per informarmi del ritorno di A! »
« La prossima volta avvisami dove vai a nasconderti per dormire, allora. »
J sospirò seccato, mentre K raggiungeva i colleghi intenti ad accogliere i Predator.
« Prima il Drenj, poi gli Yautja... e ora anche A » mormorò il giovane MiB. « Che giornata... e sono appena le due del pomeriggio. Mi domando come potrebbe andare peggio. »
Qualcosa di grosso si fermò al bancone in quel momento, posizionandosi accanto a lui. J alzò lo sguardo e vide un Predator, uno dei giovani guerrieri.
Notò che lo stava fissando.
« Be’, che vuoi? » domandò J, scorbutico.
Il Predator non rispose, ma abbassò lo sguardo. Ora fissava il panino tra le mani del MiB.
« Che c’è? Vuoi questo? » insisté J. « Scusa, bello, ma il Whopper migliore della galassia spetta a me... se ne vuoi uno fa’ la fila come tutti gli altri. »
La mano dell’alieno scattò in avanti un attimo dopo, strappando via il Whopper da quella di J.
« Ehi... ridammelo! »
Il Predator, evidentemente, fece finta di non sentirlo, perché nel frattempo si toglieva il casco per mangiare il panino, rivelando la sua orrida, feroce faccia: J vide due piccoli occhi gialli e una bocca irta di fauci, ma non provò neanche un po’ di paura né disgusto. Il Man in Black avanzò di un passo, puntandogli contro un dito minaccioso.
« L’hai voluto tu, cowboy » dichiarò con crescente irritazione. « In questo momento me ne frego se sei un grande guerriero, il primo ministro o il presidente del Pianeta X... tu il mio Whopper non te lo mangi! »
La risposta del Predator fu un unico, incomprensibile ringhio bestiale, dopodiché avvicinò il panino alla bocca.
J gli sferrò un pugno in faccia prima che fosse troppo tardi. Il Predator barcollò per un attimo, sorpreso, e J ne approfittò per cercare di riprendere il panino; l’alieno, tuttavia, non aveva mollato la presa, e quando le mani del MiB si strinsero sul suo possente braccio, rispose di conseguenza, afferrandolo per la gola con la mano libera.
Ormai avevano attirato l’attenzione di tutti i presenti, compresi K, Z e gli altri Yautja. Nessuno, tuttavia, osò intervenire, né tantomeno avvicinarsi. Nel frattempo J era riuscito a riprendersi il Whopper, ma ora rischiava di soffocare; il Predator sembrava intenzionato a punirlo per la sua insolenza.
J reagì gettando via il panino. Il Predator lo seguì con lo sguardo e mollò la presa; sotto lo sguardo stupefatto di tutti, l’alieno ora stava correndo a riprenderselo! J lo seguì a ruota e si gettò contro di lui, afferrandolo per le gambe. Caddero entrambi in avanti, a pochi centimetri dal panino ora riverso a terra. Il Predator continuò a ignorare J e cercò di afferrare ciò che restava del Whopper, ma il Man in Black glielo impedì ancora. Il giovane terrestre gli era saltato addosso e prendeva a calci e pugni ogni parte del corpo che riusciva a raggiungere.
« Così impari a fregarmi il pranzo! »
Nel frattempo, l’intera folla continuava a fissare la scena con enorme stupore. Perfino K, che tra i presenti non era certo il migliore ad esternare emozioni tramite espressioni facciali, dimostrava in quel momento una notevole sorpresa. Il suo collega stava tenendo testa a un guerriero Yautja.
Il Predator ruggì spazientito, e atterrò infine J con un calcio. L’alieno lo afferrò per la giacca e lanciò un altro ruggito ancora più forte, mentre scopriva una coppia di lame retrattili dal braccio libero. Sembrava intenzionato a farla finita, facendo a pezzi quello sciocco terrestre...
« Basta così! »
Qualcuno aveva urlato all’improvviso, ma non fu la voce ad interrompere la rissa. J vide una lancia metallica frapporsi tra lui e il Predator, bloccando le lame di quest’ultimo. Un calcio apparso dal nulla respinse dunque l’alieno, costringendolo a mollare la presa da J. Il MiB cadde di nuovo a terra ma si rialzò subito, scoprendo chi era giunto a salvarlo da morte certa.
Era una donna di colore, alta e dai lunghi capelli neri raccolti in trecce. Il suo abito da Man in Black parlava chiaro sulla sua professione, insieme alla lancia di foggia aliena che reggeva in quel momento per tenere a bada lo Yautja. Il suo bel viso, dominato in quel momento da un’enorme serietà, recava un marchio impresso sulla guancia sinistra. Il Predator fissava questo, e reagì facendosi subito da parte.
La donna ignorò l’alieno, voltandosi a guardare J.
« Ne è passato di tempo, James » gli disse con un sorrisetto.
 
 

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Capitolo 2
*** I peggiori dell'universo ***


2. I peggiori dell’universo 

C’era un tempo in cui l’Agente J del MiB credeva che al mondo non ci fosse nulla di peggio che farsi ingoiare vivo da un gigantesco scarafaggio alieno... un’esperienza che aveva vissuto il suo collega K, e che per poco non aveva vissuto lui stesso di persona. Ma questa credenza apparteneva al passato, prima di incontrare una donna che lo aveva fatto ricredere su un sacco di cose. La stessa donna che poco fa lo aveva salvato dalle grinfie di un Predator infuriato.
L’Agente A.
Dopo aver sedato la rissa e salutato J, la donna si era recata subito dagli Yautja per avviare le trattative. J restò in disparte per tutto il tempo, ordinando un altro Whopper al bancone del Burger King e lo mangiò in silenzio mentre osservava la scena. Seguì A con lo sguardo mentre raggiungeva i suoi colleghi che avevano accolto i Predator, per poi mettersi di fronte a loro e salutarli battendo la lancia contro il pavimento; gli Yautja risposero all’istante, battendo tutti il pugno sul petto e piegando leggermente il capo. Questo grazie al marchio impresso sulla guancia di A, che le garantiva un notevole rispetto nei confronti di quella prode razza.
Dopodiché iniziarono a parlamentare. A e il Predator anziano si esprimevano in un linguaggio fatto di ringhi e ruggiti, decisamente incomprensibile; gli Yautja, infatti, si erano rifiutati di condividere la loro cultura e la tecnologia con i Men in Black. L’unica eccezione era proprio A che, oltre ad aver imparato la loro lingua, brandiva persino una delle loro armi.
Fu inevitabile per J, mentre osservava la scena, ricordare tutto ciò che sapeva di A e i momenti passati insieme. Un tempo nota con il nome di Alexa Woods, prima di entrare nei MiB era un’esploratrice, rimasta coinvolta nel 2004 insieme ai suoi uomini in una battuta di caccia dei Predator avvenuta in Antartide. Alexa era stata l’unica umana a sopravvivere, grazie alla sua alleanza con un Predator e contribuendo a completare la caccia a suo favore. Il Predator era morto poco dopo a causa delle ferite, ma prima di spirare aveva marchiato Alexa sulla guancia con il simbolo del suo clan; questo le aveva permesso di ottenere il rispetto del popolo Yautja, che decise di premiarla donandole la lancia che spettava al vincitore della caccia.
Dopo la partenza degli Yautja, Alexa non aveva fatto in tempo a ritornare alla sua vita normale. I Men in Black, infatti, giunti sul luogo dell’incidente per eliminare ogni traccia aliena, le avevano offerto subito di lavorare per loro, e lei aveva accettato. L’alternativa, d’altro canto, era la neuralizzazione, e Alexa non aveva alcuna intenzione di dimenticare una simile esperienza... per quanto fosse stata tragica. Da quel giorno, aveva abbandonato tutto per unirsi a una causa superiore: proteggere il pianeta dalla feccia dell’universo.
L’esploratrice Alexa aveva lasciato il posto a una guerriera, l’Agente A.
Il caso volle che fosse proprio J ad affiancare A durante le prime settimane, poiché K aveva preso un periodo di riposo per malattia. Nonostante i modi un po’ duri e autoritari, il giovane MiB l’aveva presa in simpatia, impegnandosi a insegnarle tutto quello che sapeva. Con il tempo si era reso conto che A preferiva l’azione alla diplomazia: se un alieno faceva il duro, lei non esitava a sbatterlo al tappeto con un colpo di lancia; e J approvava, dato che anche lui era un tipo dal grilletto facile. Fu questa l’apertura che permise ai due di avvicinarsi ulteriormente, e di estendere il loro rapporto anche fuori dal lavoro. In quei momenti d’intimità si divertivano inoltre a chiamarsi con i loro nomi originali... un modo, a detta di A, per non dimenticare il passato, a dispetto di ciò che ordinava il loro mestiere.
Per questo motivo J non aveva un ricordo completamente negativo sulla storia con A, ma la sua conclusione lo aveva spinto a non rimpiangere quel periodo. Con il passare del tempo, infatti, nonostante l’intimità tra i due, A era diventata sempre più scontrosa e aggressiva: l’episodio che aveva cambiato la sua vita continuava infatti a tormentarla, facendo nascere in lei un enorme vuoto che riusciva a colmare solo combattendo. Per quanto i risultati nelle missioni fossero inequivocabili, persino J si era reso conto che i metodi di A erano fin troppo brutali, anche contro la feccia dell’universo. Questo aveva causato tensione nel loro rapporto, fino a quando J non decise di averne abbastanza; si era così allontanato da A, approfittando della guarigione di K e del suo ritorno in servizio. A non aveva fatto nulla per impedirlo... anzi, aveva lasciato il quartier generale, accettando di lavorare all’estero.
Da allora, J non aveva più provato a cercarla, ma aveva sentito parlare di lei molte volte. Si diceva che avesse sventato molte minacce aliene da sola in vari angoli del mondo, con l’unico ausilio della sua lancia Predator; molti erano arrivati a definirla, non a torto, l’essere umano più temuto dell’universo dopo K.
Nel frattempo, A aveva finito di conversare con gli Yautja. Aveva parlato per tutto il tempo con assoluta calma, rigida e composta, senza mai spostare lo sguardo dall’Anziano che le aveva rivolto la parola. Aveva un’aria diversa, in qualche modo, rispetto ai vecchi tempi. Alla fine della conversazione, A si era rivolta a Z per tradurre ciò che si erano detti.
« Il popolo Yautja ha una richiesta » affermò.
« Quale sarebbe? » domandò Z, serio.
« Hanno un prigioniero. Desiderano che sia trasferito nella nostra area di detenzione fino al termine delle riparazioni. »
Z inarcò un sopracciglio. Alle sue spalle, K e O si scambiavano un’occhiata incerta.
« Non mi sembra una buona idea » disse il capo dei MiB dopo una pausa. « Perché non possono trattenerlo a bordo della loro nave? »
A ripeté la domanda all’Anziano.
« È troppo rischioso » fu la risposta. « Il prigioniero potrebbe tentare la fuga, approfittando dei lavori di riparazione, e prendere il controllo della navetta. »
I Men in Black non parvero convinti, ma non trovarono parole con cui ribattere.
L’Anziano parlò ancora, attirando la loro attenzione. A annuì e tradusse di nuovo.
« Il popolo Yautja nutre profondo rispetto per la nostra organizzazione, nonostante le avversità del passato » disse. « Per questo non intende abusare della nostra ospitalità né della nostra pazienza. Il popolo Yautja è disposto a ricambiare l’ospitalità facendoci dono dei segreti della loro arma. »
Un giovane Predator si fece avanti, porgendo a Z uno dei suoi piccoli cannoni al plasma. Il MiB lo osservò sorpreso: erano anni che provavano a ottenere i segreti della tecnologia Yautja... così avanzata da non essere mai riusciti a replicarla correttamente. Sequestrare le armi ai Predator uccisi era stato impossibile, perché essi erano soliti autodistruggersi in caso di sconfitta, cancellando ogni traccia della battaglia e delle loro armi.
Per quanto fosse già ottima la tecnologia su cui i Men in Black contavano, non era mai abbastanza per contrastare con efficacia ogni minaccia aliena. Se quei Predator facevano sul serio, allora i Men in Black avevano per le mani un’occasione d’oro: la possibilità di migliorare di parecchio il loro lavoro di protettori del pianeta, grazie alla tecnologia Yautja.
« D’accordo » dichiarò Z. « Affare fatto. »
A comunicò subito la risposta all’Anziano, che annuì e fece un cenno ai suoi uomini. Quattro Predator lasciarono il gruppo per tornare all’astronave; ritornarono nel terminal pochi minuti dopo in compagnia di un volto nuovo... il loro prigioniero.
J fu colto da una nuova dose di sorpresa. Il prigioniero era anche lui uno Yautja, ma presentava molte differenze: era più alto e grosso degli altri, la pelle era grigia e gli occhi rossi, e le quattro mandibole intorno alle zanne erano più lunghe. Il volto era solcato da lunghe cicatrici, provocate sicuramente da una lama. Sembrava, in qualche modo, più selvaggio rispetto agli altri Predator, ma la sua ferocia era offuscata in quel momento dall’aspetto malconcio. Macchie di sangue secco, d’un verde luminescente, macchiavano il suo corpo bloccato da pesanti catene; camminava piano, lo sguardo fisso verso il basso, mentre i guerrieri lo conducevano in catene attraverso la sala. Quel percorso sembrava far parte della pena da infliggere al prigioniero, come se tutti dovessero vederlo in quelle condizioni per aumentare la sua umiliazione.
Ma nessuno esultava alla vista di quell’essere, né alieni né Men in Black. Avevano quasi tutti l’aria turbata. A, notò J, non riuscì a nascondere tale sensazione, pur mantenendo la compostezza usata per tutto il tempo nei confronti dell’Anziano.
Il gruppo raggiunse infine i Men in Black, fermandosi di fronte a loro. Z aveva chiamato nel frattempo una squadra, che scortò i Predator mentre conducevano il prigioniero nell’area di detenzione assegnata.
Fu in quel momento che lo Yautja in catene alzò la testa, fissando per alcuni secondi K. Poi fu portato via, lontano dal terminal.
L’Anziano parlò ancora con una breve serie di grugniti.
« Si metteranno subito al lavoro » tradusse A. « Secondo le loro stime, ci vorrà un giorno per riparare la navetta, poi ripartiranno subito... con il prigioniero, naturalmente. »
« Va bene » tagliò corto Z. « Facciano pure ciò che devono fare. Torniamo ai nostri posti... il resto lo lascio a te, Agente A. »
« Sì, signore. »
Gli Yautja salutarono di nuovo con il pugno, e si ritirarono in gruppo verso la loro nave, voltando le spalle ai Men in Black. Z, libero di tornare al suo ufficio, girò i tacchi e lasciò il terminal a sua volta, seguito da K e O.
« Questa storia non mi piace neanche un po’ » commentò il vecchio capo MiB, cupo. « Non mi va di avere un branco di quelle belve nel mio quartier generale, né uno dei loro criminali in una delle nostre celle. »
« Avremmo dovuto farlo trasferire a LunarMax » suggerì O.
« Sarebbe stato peggio » obiettò K. « Te lo immagini cosa succederebbe se portassimo un Predator nella prigione di LunarMax? Parecchi prigionieri sarebbero più che lieti di ammazzarne uno a mani nude... si scatenerebbe il caos, lassù. »
« Non ci resta che aspettare » aggiunse Z, « e sperare che tutto fili lisco, come hai detto tu. »
Nel frattempo, J aveva ceduto alla curiosità e si era avvicinato all’area di attracco riservata agli Yautja. Quando arrivò nei pressi dell’astronave, vide i Predator già all’opera sullo scafo, lavorando sodo per riparare i danni. L’Agente A era là vicino, in piedi sulla soglia osservando la situazione; la lancia Yautja era stata ripiegata e ora pendeva dalla sua cintura come un manganello... ma una mano era pronta ad afferrarla al minimo accenno di pericolo.
« James » mormorò A in quel momento, notando la sua presenza.
J avanzò di qualche passo, un po’ incerto. Cercava di non guardarla, preferendo osservare invece gli Yautja al lavoro. Per un po’ rimasero entrambi in silenzio, lasciando che gli unici rumori fossero quelli degli arnesi alieni usati per riparare l’astronave.
Poi J decise di parlare.
« Be’, devo ammetterlo » mormorò, grattandosi un po’ il capo. « Poco fa mi hai impressionato un bel po’... con la trattativa e tutto il resto. Da quando sai parlare Yautja? »
« Da quando ho imparato a farlo, tre anni fa » rispose meccanicamente A. « Come va il collo? »
« Oh, molto meglio... grazie. »
A gli lanciò una rapida occhiata.
« Be’, meglio tardi che mai » commentò.
J non capì subito, ma era ovvio che lei si riferiva al tardivo ringraziamento. Il Men in Black tacque ancora, tornando a osservare i Predator. Tra loro riconobbe il tipo con cui era venuto alle mani al Burger King, ma era così indaffarato da non badare ai due terrestri nelle vicinanze.
« Ho sempre pensato che gli Yautja fossero un po’ fuori di testa, ma quello di poco fa mi ha fatto ricredere... sono matti da legare! » esclamò. « Insomma, che bisogno c’era di fare tanto casino per un hamburger? »
Giurò di vedere su A l’ombra di una smorfia, come se volesse trattenere una risatina.
« Alcuni Yautja ne vanno matti » rispose lei. « L’odore degli hamburger li attira come l’erba gatta fa con i gatti. »
« Ah... be’, questo spiega tutto. Non avrei mai creduto che... »
« Scusa J, ma ora non ho tempo per chiacchierare. Devo sorvegliare un po’ di gente, come puoi vedere. »
J sospirò, anche se nel profondo la cosa non gli dispiaceva.
« Sì... certo » disse, e le voltò le spalle. Aveva fatto appena una decina di passi verso la sua scrivania, quando la voce di A lo chiamò di nuovo.
« Ah, James... è ancora aperto quel locale dietro l’angolo? Quello dove andavamo sempre a fine giornata... »
J si voltò, sorpreso.
« Il T’s Cake? Sì, è ancora aperto. »
A sorrise davvero, questa volta.
« Bene. Sono anni che non mi gusto una fetta di cheesecake alle fragole decente... ti andrebbe di farmi compagnia al tavolo più tardi? »
« Non dovevi sorvegliare un po’ di gente? »
« Andranno a dormire anche loro, prima o poi. Ti avviso non appena mi libero, d’accordo? »
J esitò, perché non credeva a ciò che stava succedendo. La peggiore vecchia fiamma della sua vita lo stava davvero invitando per un appuntamento? La stessa donna che in passato aveva visto infilzare Piattole e Samuriani con la sua lancia senza alcuna pietà, e che non aveva mostrato dispiacere per la loro rottura... quella stessa donna che aveva di fronte e che ora gli sorrideva.
Dopotutto perché no?
« D’accordo » rispose J, cercando di sorridere. « A più tardi... Alexa. »
 
Il T’s Cake era una semplice tavola calda del quartiere, ma per tipi come J e K era un ottimo rifugio per schiarirsi le idee. La torta, inoltre, era ottima... un fatto che aveva potuto constatare anche A più di una volta. Lei e J sedettero a un tavolo del locale in tarda serata, dopo che i Predator erano rientrati nella navetta per riposare dopo lunghe ore di lavoro. Le riparazioni non erano terminate, ma anche la prode razza Yautja aveva bisogno di un meritato riposo; così A ne aveva approfittato per concedersi una pausa.
In quel momento, i due MiB parlavano del proprietario del locale, un tipo corpulento dai capelli neri intento ora a pulire il bancone. Si dava il caso che J, infatti, lo avesse conosciuto in passato.
« Davvero era uno di noi? » commentò A, sorpresa. « Era nei MiB? »
« Sì, ma solo per pochi mesi » rispose J. « È stato mio partner fino al ritorno di K... ma sapevo che non era il posto giusto per lui, così l’ho neuralizzato. Da quello che so, si è sposato e ha comprato questo locale qualche anno fa... non è lo stesso che proteggere il pianeta, ma sembra che se la passi bene. È curioso, però... ha chiamato questo posto “T’s Cake”, e lui una volta era l’Agente T. »
« Non può certo ricordare di essere stato un Man in Black. »
« Ovviamente no... eppure mi piace pensare che nessun ricordo viene cancellato definitivamente. K lo ha dimostrato con il suo ritorno, certo... ma certe cose rimangono nel profondo di noi, qualunque cosa accada. »
A sorrise, visibilmente colpita dalla riflessione appena udita. J restò a fissarla in silenzio, mentre lei mandava giù il secondo boccone di cheesecake. Pensò inevitabilmente al passato, e i brutti ricordi si ripercossero sul suo sguardo.
« Tutto bene, James? »
« Eh? Oh, sì » rispose lui, ricomponendosi. « Pensavo al Predator fatto prigioniero... era così strano, diverso dagli altri. Più brutto, sicuramente, però... mai visto niente del genere. »
« Uhm... no, infatti. Anch’io non ne sapevo niente fino a poco tempo fa. Vedi, anche gli Yautja hanno le loro “differenze razziali interne” o, per usare un termine poco gentile, i loro “musi neri”. Si tratta di una sottospecie di cui ancora si sa molto poco. Io li chiamo “Super Predator”: sono più grossi e più selvaggi, come hai potuto vedere tu stesso... ma per contro, sono dei gran figli di puttana. Non rispettano il codice d’onore come quelli del ramo principale: attaccano e uccidono la preda anche quando questa è debole o disarmata. Forse è per questo atteggiamento che sono in guerra con gli altri clan, ma non ci è dato saperlo. Ad ogni modo, qualsiasi cosa abbia fatto il bruttone che ci hanno consegnato oggi, sicuramente merita di marcire in una cella. »
J ascoltò fino alla fine, visibilmente impressionato.
« Li conosci molto bene, gli Yautja » commentò. « Non credo di aver mai sentito tante informazioni su di loro prima di questa sera... e con ciò che i MiB sanno di loro ci si può riempire al massimo un libro per bambini. Ma tu dove hai imparato tutto questo? »
A sospirò, posando la forchetta.
« In questi ultimi anni ho avuto nuovi contatti con loro » spiegò. « I Predator continuano a visitare la Terra, più spesso di quanto i MiB riescano a sapere. Ultimamente, poi, hanno iniziato una nuova attività, come parte della faida contro i Super Predator: rapiscono persone e le conducono su un pianeta usato come riserva di caccia. Militari, criminali, killer... scelgono gli uomini più abili nell’assassinio: i migliori predatori del nostro mondo, in un certo senso. E i Predator li sfidano a combattere, come sempre, per avere il piacere di affrontare chi sopravvive. »
« Per la miseria... »
« Già. Ho scoperto tutto questo mentre indagavo sulla scomparsa di vari individui in molte nazioni. Gli Yautja, naturalmente, sanno che li tenevo d’occhio, ma non hanno mai cercato di fermarmi... né di catturarmi. Questo per due motivi: primo, perché sono una Man in Black; secondo, perché in un certo senso sono anche una di loro. »
La mano di A passò inevitabilmente sulla sua guancia sinistra, sfiorando il marchio alieno impressovi sopra. J lo fissò a sua volta, restando in silenzio. La donna si era voltata a guardare l’interno del locale, soffermandosi sui vari clienti che cenavano nei tavoli più vicini.
« Dopo essere sopravvissuta in quella piramide... » riprese A, « dopo aver scoperto che non siamo soli nell’universo... ho cambiato completamente il modo di vedere le cose. Gli Yautja mi avevano contagiata con la loro sete di sangue, in un certo senso: mi avevano mostrato il lato più violento dell’umanità... e forse, dell’universo intero. Credevo che combattere fosse il massimo scopo della vita: che non ci fosse niente di meglio che affrontare nemici sempre più forti... che la via del guerriero fosse la più giusta da seguire. »
J si trovò ad annuire, comprensivo. Lui stesso aveva capito ben presto il modo di pensare di A quando lavoravano insieme. All’epoca, lei provava piacere nel dare la caccia agli alieni durante le missioni; non combatteva per proteggere la Terra... ma per soddisfare la sete di sangue ereditata dai Predator.
« Ma poi » continuò A, « mentre apprendevo sempre di più del loro mondo, mi rendevo conto di quanto avessero torto. Un giorno mi accorsi, quasi per incanto, di quanto fossi diventata simile a un Predator... e me ne vergognai. Decisi dunque di cambiare, di riacquistare la razionalità perduta... facendo comunque dono di ciò che avevo appreso per tutti questi anni. Continuo a lavorare per i MiB, a tenere d’occhio gli Yautja... ma ora combatto per la giusta causa. Per proteggere il pianeta. »
Ci fu una breve pausa, usata da entrambi per fissarsi negli occhi. Il locale sembrava non esistere al di fuori del loro tavolo, in quel momento.
« Bene » commentò J, infine. « Mi fa molto piacere, Alexa... be’, onestamente avevo già il sospetto che fossi cambiata, ma ora ho la conferma. Sei cambiata davvero. »
« Grazie, James » ammise A. « Tu invece non sembri cambiato affatto. »
« Heh... be’, cosa ti aspettavi? È difficile cambiare con un collega come K... non posso permettermi di cambiare, perché rischierei di diventare come lui! »
Scoppiarono a ridere entrambi, così forte da attirare l’attenzione di alcuni clienti. La risata fu breve, ma quando terminò, A e J compresero di essere contenti; nonostante tutto ciò che era accaduto tra loro, era bello ritrovarsi in quel momento a mangiare una fetta di torta a fine giornata.
Poi accadde. La mano di A andò a posarsi delicatamente su quella di J, un gesto che congelò il suo sorriso.
J la guardò, recuperando in parte la serietà.
« A che gioco stai giocando, Alexa? » si ritrovò a dire.
« A “Voglio passare un po’ di tempo con il mio ex” » ammise A. « E se avanza un po’ di tempo, magari anche a “Voglio farmi perdonare per ciò che gli ho fatto”. Allora, James? Ti andrebbe di fare questo gioco con me? »
E all’improvviso, l’idea di far parte dell’organizzazione più segreta del mondo, di sventare invasioni aliene almeno una volta al mese e di saper fare un triplo salto mortale all’indietro era completamente inutile. Gli parve di trovarsi di nuovo su quella panchina a decidere di tagliare i ponti con il suo passato... perché scegliere era così difficile?
Poi decise, dopo il minuto più lungo della sua vita.
« Va bene. »
La sua mano strinse quella di A, e il sorriso di lei si fece più largo.
La notte era ancora giovane, dopotutto.
 

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Capitolo 3
*** La preda ***


3. La preda 

Più tardi, al quartier generale MiB...
Seduto alla postazione centrale della sala dei monitor a quell’ora c’era Ray, un membro della razza Gazer. Questi, come tutti i suoi simili, aveva una testa grossa dotata di trentasei occhi, che gli permettevano di vedere praticamente in ogni direzione; per questo motivo, Ray era perfetto per quel tipo di lavoro: con i suoi occhi riusciva ad osservare contemporaneamente i vari monitor della sala, che mostravano le immagini riprese dalle molte telecamere installate per tutta la base. In quel momento, il Gazer stava sgranocchiando noccioline seduto sulla sua poltrona, quando un monitor in particolare attirò la sua attenzione.
Voltò parecchi sguardi verso la telecamera P1102, installata in una cella dell’area di detenzione: essa ospitava da poche ore nientemeno che uno Yautja, arrivato quel pomeriggio insieme al gruppo che lo aveva catturato. Per tutto il giorno, il prigioniero era rimasto tranquillo nella sua cella, limitandosi a dormire o a restare seduto: ora, però – notò Ray – si era alzato in piedi, nonostante l’ora tarda; il Gazer vide che si era staccato a morsi alcuni dei suoi “capelli”, e ora stava trafficando con qualcosa infilato tra essi. Sembravano piccoli congegni, e li stava montando insieme.
« Blotz! » esclamò Ray, che afferrò subito il comunicatore. « Attenzione, rilevo attività sospetta dalla cella 83! Verificate subito! »
« Che succede, Ray? » chiese un Man in Black dall’altra parte. « Cosa vedi? »
« È lo Yautja, signore. Credo che stia cercando di evadere, ha un... un... »
S’interruppe, ormai al culmine dello stupore. Il Super Predator guardava inequivocabilmente verso la telecamera, e ringhiava con aria di sfida. La sua mano reggeva un piccolo congegno cilindrico che aveva finito di montare, dotato di pulsante; quando lo premette, il dispositivo emanò un forte bagliore azzurro e un suono assordante.
Un attimo dopo era troppo tardi. L’immagine sul monitor si spense di colpo, insieme a tutti gli altri schermi. Il pannello di controllo andò in tilt, sparando scintille in vari punti, il comunicatore fu disattivato. Anche le luci saltarono, e la stanza in cui si trovava Ray fu avvolta dal buio totale. Anche se riusciva a vedere al buio, non migliorava la situazione, perché nel frattempo aveva capito cosa fosse successo.
« ...un emettitore di impulsi elettromagnetici » riuscì a dire con voce tremante.
Il sistema di emergenza entrò in funzione nel giro di un minuto, e la luce tornò. Ma era già troppo tardi: il Super Predator era evaso. Molte telecamere erano state fritte dall’impulso, e quelle attive non riuscivano a individuarlo.
« Grabbablotz!!! » gridò Ray, al culmine dello shock. La sua mano scattò quindi sul grosso bottone rosso sul lato sinistro del pannello di controllo.
L’allarme generale risuonò per tutto il quartier generale MiB, allertando gli agenti operativi e buttando giù dal letto un esasperato Z. Per qualche motivo se lo aspettava, ma non esitò un secondo a prendere i dovuti provvedimenti non appena messo al corrente della situazione.
 
« Ehi, sveglia! »
J aprì pigramente un occhio, mentre un piede lo colpiva con insistenza sulla schiena. Mise a fuoco e riconobbe il piede: apparteneva ad A, intenta a raccogliere nel frattempo i suoi vestiti sparsi per la stanza.
« Mmmmchessuccede? » grugnì lui, alzandosi lentamente dal letto.
« In piedi, James, abbiamo del lavoro da fare » esclamò A, l’aria terribilmente seria. « Non c’è un minuto da perdere! Una chiamata urgente da Z. »
J sbuffò. Dopo anni di esperienza ormai sapeva che quel tono significava “grossa, improvvisa minaccia aliena con cui fare i conti”.
« Chi sono stavolta? Samuriani? Krinor? »
« Yautja! Il Super Predator prigioniero è appena fuggito dalla sua cella. »
J sgranò gli occhi, e finalmente parve svegliarsi.
« Cosa? Com’è accaduto? »
« Di quello se ne occuperanno i colleghi » tagliò corto A, mentre si riallacciava il reggiseno. « A noi tocca ritrovare quel maledetto. Non ha lasciato il pianeta... le navi attraccate sono rimaste dove stanno, anche quella dei Predator. Sembra che si sia limitato solo a prendere le sue armi, e ora è a piede libero per Manhattan. »
J si decise ad afferrare i pantaloni, seguendo l’esempio della sua partner. Di certo non si aspettava una cosa del genere così presto... soprattutto non poco dopo aver passato un bel momento con la sua ex.
« Maledizione » borbottò mentre si rivestiva. « E gli altri Yautja? Come hanno reagito? »
« A detta di Z, non hanno detto una parola, ma sicuramente non l’hanno presa bene. Hanno già inviato il loro uomo migliore all’inseguimento dell’evaso, ma Z non si fida di loro. Per cui dobbiamo occuparcene anche noi. »
Furono pronti a partire pochi minuti dopo, e lasciarono in tutta fretta l’appartamento di J. Il Man in Black, uscendo, suggerì di chiamare K per chiedere il suo aiuto: due braccia in più facevano sempre comodo, specie se quelle braccia avevano ucciso un Predator in passato. A non ebbe nulla in contrario, lasciando che fosse il suo partner a contattarlo una volta in macchina.
« K aveva la serata libera » commentò J mentre attivava il comunicatore. « Sicuramente sarà a casa a dormire, o a farsi un solitario. »
 
K rispose dopo appena due squilli. Contrariamente alle aspettative del collega, era sveglio e leggeva un libro in poltrona.
« Guai in vista, volpe? » rispose, aspettandosi un motivo del genere per essere chiamato a un’ora così tarda.
« Guai grossi, K! » esclamò J. « Il Super Predator è fuggito dal quartier generale MiB e ora scorrazza tutto allegro per Manhattan. Io e A stiamo venendo a prenderti, dobbiamo ritrovarlo il prima possibile... »
« Oh... credo che non sarà necessario. »
« Cosa? Perché? »
« Perché è appena arrivato qui. »
Né A né J poterono vedere in quel momento l’espressione stupefatta di K, mentre fissava l’enorme figura apparsa improvvisamente nel suo salotto. Il Super Predator aveva disattivato il suo dispositivo di occultamento, rendendosi visibile al Man in Black in tutta la sua terribile possanza.
K restò immobile, non per la paura ma per la sorpresa: l’alieno era riuscito ad avvicinarsi a lui, silenzioso e letale, come nessun altro era mai riuscito a fare prima di allora. La morte incombeva a pochi passi di distanza, e lui era disarmato.
Ma anche no.
Nel giro di un istante afferrò il blaster nella sua giacca. Il Predator reagì subito dopo, sferrandogli un montante tremendo che lo scaraventò contro lo scaffale più vicino.
« K...? »
J non ottenne risposta, ma in compenso udì una serie di rumori inconfondibili. Botte, colpi, ruggiti e spari in rapida successione.
« K!!! »
Tutto tacque pochi secondi dopo. J non perse altro tempo e, sotto lo sguardo incredulo di A, spinse il bottone rosso accanto al sedile. L’auto si trasformò in una piccola astronave, staccandosi dal suolo e dirigendosi a tutta velocità verso l’appartamento di K, sotto lo sguardo incredulo di numerosi newyorkesi. Il neuralizzatore di massa installato a bordo si occupò di loro, “sparaflashandoli” a più riprese. J sperò con tutto il cuore che non fosse troppo tardi per salvare il suo mentore.
Il duo arrivò a destinazione in cinque minuti. Dopo essere atterrati sul tetto dell’edificio, A e J raggiunsero l’appartamento di K: non si stupirono di trovare un bel po’ di persone radunate sul pianerottolo, palesemente attirate dal baccano di poco prima. C’erano anche un paio di poliziotti davanti alla porta, indecisi se entrare con la forza o no. I due Men in Black non avevano tempo da perdere con gli estranei: così, mentre A radunava inquilini e poliziotti per cancellare loro la memoria con il neuralizzatore, J sfondò la porta con un calcio.
« Per la miseria... »
Agli occhi dei due Men in Black si presentò una scena di totale devastazione. L’appartamento vecchio stile di K cadeva praticamente a pezzi: un orologio a pendola giaceva fracassato ai loro piedi; il tavolo da pranzo era rovesciato su un lato; una poltrona era ridotta in cenere; i muri presentavano parecchi buchi fumanti, provocati da colpi di blaster; i cuscini erano squarciati; frammenti di vetro e calcinacci erano sparsi dappertutto. Al posto della finestra che dava sull’esterno dell’edificio c’era ora un grosso buco.
A e J controllarono bene per tutta la casa, ma di K non c’era traccia... e apparentemente neanche del Predator. I due notarono la stanza segreta aperta, ancora piena zeppa di armi MiB; evidentemente K aveva fatto in tempo ad aprirla, nel tentativo di difendersi.
« Devono aver lottato a lungo » osservò A, in un’espressione sia ammirata che sconvolta. « K ha venduto cara la pelle. »
« Sì, ma dov’è finito? » borbottò J, spazientito. « Insomma, che senso ha tutto questo? »
« Non ne ho idea, ma di una cosa sono sicura. Non vedo tracce di sangue da nessuna parte, né umano né Yautja... il che significa che K non è stato ucciso, ma rapito. Il Predator lo voleva vivo. »
Per J fu una magra consolazione, che non gl’impedì di trattenersi da colpire la parete più vicina con un pugno.
« Maledizione... perché? » esclamò, in preda alla collera. « Perché K? Perché è venuto fin qui per lui? »
A non rispose. Stava in piedi al centro della stanza, intenta a riflettere per conto suo. J sospirò, esasperato, e afferrò il comunicatore.
« Dobbiamo avvertire il quartier generale, chiedere rinforzi... »
« No, non farlo » disse A all’improvviso. « Complicheremmo solo le cose! »
« Cosa? Che vuoi dire? »
« Credo di aver capito... so perché K è stato catturato. Il Predator lo ha scelto, ha intenzione di sfidarlo in una caccia! »
J non sembrò capire.
« Ricordi cosa ti ho detto prima al diner? » riprese A, continuando a ragionare. « Gli Yautja scelgono i migliori predatori del mondo per avere il piacere di sfidarli... di affrontarli in una lotta all’ultimo sangue. Più abile e forte è la preda, più sono soddisfatti quando l’affrontano... e se riescono a ucciderla, ottengono grandi onori e rispetto dal loro popolo. »
« Continuo a non seguirti » obiettò J.
« Quel Super Predator è un criminale, agli occhi del popolo Yautja. È feccia... ha perso l’onore e il rispetto dei clan. Per quanto ne so, un tipo del genere potrebbe riscattarsi solo uccidendo qualcuno – o qualcosa – di estremamente pericoloso. E chi è ritenuto da molti anni il terrestre più temuto dell’universo? »
« K... ma certo! » esclamò J. « Per questo ha rapito K... vuole ucciderlo per recuperare onore, rispetto e compagnia bella. »
A annuì.
« Gli Yautja non potranno ignorare un fatto del genere, se quello schifoso consegnerà loro la testa di K. Non importa cos’ha fatto in passato... lo perdonerebbero di sicuro. »
J sospirò ancora, percorrendo a grandi passi l’appartamento. Anche se ora sapevano il movente, non cambiava molto lo stato delle cose: K era ancora in pericolo chissà dove, in quella grande metropoli che li circondava. Il Man in Black si fermò davanti al buco nella parete (da dove era sicuramente fuggito il Predator), fissando la città e la notte: non sapeva cosa fare.
« Non è detto che ci riuscirà, ad ogni modo » intervenne A in quel momento, tentando di rassicurare il compagno. « K potrebbe cavarsela da solo... dopotutto ha già ucciso un Predator, in passato. »
« Sì, ma è successo trent’anni fa » ribatté J, sconsolato. « K non è più giovane e forte come un tempo... e tu mi hai detto che questi Super Predator sono davvero tremendi. Dubito che ce la farà, senza il nostro aiuto. Dobbiamo trovarlo prima che sia troppo tardi! »
A cercò di dire qualcos’altro, ma non ci riuscì. Apparve chiaro che non aveva idee: sia lei che J sapevano di non poter fare molto per localizzare alla svelta K e il Predator. La tecnologia Yautja era studiata per impedire a chiunque di rintracciarli, persino ai Men in Black. E Manhattan era così grande... una giungla di cemento e ferro; anche un alieno riusciva a scomparire là dentro, come un ago in un pagliaio.
« Di questo passo dovremo aspettare notizie dagli Yautja » dichiarò A con tono cupo. « Solo un Predator può rintracciare un altro Predator... spero che trovino il loro bersaglio in tempo per salvare K. »
Fu allora che a J venne un’idea.
« Allora non resta che una cosa da fare » dichiarò, sorridendo. « Chiedere aiuto a un Predator. »
J non disse altro, e senza perdere tempo si diresse verso l’uscita, ignorando l’aria interrogativa di A. Era chiaro che J volesse contattare il Predator inviato per recuperare il prigioniero, ma sembrava una pessima idea. Non riuscivano a rintracciare il Predator che minacciava la vita di K, come potevano pretendere di trovarne addirittura un secondo?
I due Men in Black lasciarono il palazzo, ma anziché tornare all’auto rimasta sul tetto attraversarono la strada. A provò a chiedere ulteriori spiegazioni, ma J le disse di aspettare, finché non arrivarono a un locale poco lontano: un Burger King ancora aperto. Sotto lo sguardo incredibilmente sorpreso di A, J entrò nel locale e uscì pochi minuti dopo con una dozzina di hamburger ancora caldi. Cominciava a capire la sua idea... assurda quanto geniale.
« Spero tanto che funzioni » commentò A poco dopo, quando si appostarono in un vicolo.
« Anch’io » aggiunse J, posando gli hamburger a terra e in bella vista. « In caso contrario, prova a pensare a un’idea migliore mentre aspettiamo. »
I due attesero a lungo, in silenzio, di fronte al cumulo di hamburger che diffondevano il loro aroma attraverso il vicolo. Un paio di volte furono costretti a scacciare qualche cane randagio che si avvicinava al cibo, attirato dall’odore. J continuò a sperare che funzionasse, ricordando ciò che aveva detto A sui Predator.
« L’odore degli hamburger li attira come l’erba gatta fa con i gatti. »
Poi accadde, dopo circa mezz’ora: una grossa sagoma trasparente apparve dal buio, calandosi giù per le mura; A e J rimasero fermi, senza mettere mano alle armi, mentre il Predator si mostrava a loro disattivando il dispositivo di occultamento.
J lo riconobbe quasi subito: era lo stesso Predator con cui era venuto alle mani nel pomeriggio. Anche se non poteva prevederlo, aveva sperato fino all’ultimo di attirare lui con gli hamburger, e la fortuna sembrava avergli sorriso almeno per una volta.
L’alieno rimase a fissare la scena per un po’, ringhiando piano. Il suo viso celato dal casco tattico si spostò più volte, dai Men in Black agli hamburger ai suoi piedi; una lama retrattile sbucata dal suo avambraccio brillava alla luce lunare, affilata e letale. A si fece avanti di un passo, facendo il solito saluto Yautja; il Predator rispose al saluto, fissando il marchio impresso sulla guancia della donna, dopodiché ritrasse la lama e si tolse il casco.
« Spiegagli la situazione » ordinò J, rivolto ad A.
A annuì, e cominciò a parlare in lingua Yautja. Il Predator, nel frattempo, si era chinato per mangiare gli hamburger come se nulla fosse. A continuò comunque a parlare, sicura che l’alieno la stesse ascoltando.
Il Predator rispose dopo aver ingoiato il secondo hamburger, emettendo una serie di ringhi.
« Dice che non ha bisogno del nostro aiuto » tradusse A. « Un guerriero Yautja non si affida a nessuno durante la caccia... ucciderà il fuggitivo con le sue mani e riporterà la sua carcassa ai suoi compagni. »
J sospirò seccato.
« Allora digli che il fuggitivo è tutto suo » disse ancora. « A noi serve solo sapere dove si trova, per poter salvare K... non interferiremo con il suo scontro, se tanto ci tiene a un gioco pulito. »
A lo tradusse allo Yautja, che nel frattempo aveva ripreso ad ingozzarsi. Stavolta, tuttavia, non si degnò di rispondere.
« Senti... so che non contiamo un bel niente per te » continuò J, sempre più esasperato. « Ma penso tu sappia cosa significa l’amicizia. Anche voi guerrieri patentati avete degli amici, no? E da queste parti si dice che “il nemico del mio nemico è mio amico”. E noi, ora, abbiamo lo stesso nemico... che sta minacciando la vita di un nostro amico. Perciò non ti chiedo di accettare il nostro aiuto, ti chiedo di offrirci il tuo. Aiutaci a salvare il nostro amico. »
A continuò a tradurre fino alla fine. A quel punto il Predator aveva divorato tutti gli hamburger, e si rialzò in piedi. Stavolta fissò J, scrutandolo in silenzio con i suoi orridi ma profondi occhi gialli; sembrava valutare la situazione, in qualche modo. Alla fine lanciò un’ultima occhiata ad A, poi si rimise il casco, che emise uno strano suono.
« Crrr... amico. »
Sui volti di A e J comparve un’espressione di pura sorpresa, ma il Predator non aveva ancora finito di stupirli. L’alieno attivò infatti un ologramma sul suo dispositivo da polso, che mostrava un modello tridimensionale di New York; fece zoom sull’immagine, fino a un grande rettangolo nel cuore di Manhattan, dove – notarono i Men in Black – lampeggiava un puntino luminoso. I due riconobbero subito il posto.
« Central Park » mormorò J, stupefatto. « Il Super Predator dunque è a Central Park? »
« Sembra di sì » ammise A. « Ma certo, è logico: alberi, vegetazione, acqua, oscurità... è il luogo di caccia perfetto per un Predator. Il fuggitivo non poteva scegliere un luogo migliore, in questa città, per organizzare la sua sfida contro K. »
« Non è lontano da qui, per fortuna. »
Senza perdere altro tempo, J tirò fuori dalla tasca un piccolo telecomando, premendo il tasto principale; l’auto Mib atterrò sulla strada fuori dal vicolo pochi secondi dopo, richiamata grazie al comando a distanza. J e A la raggiunsero, seguiti a ruota dal Predator.
« Sali a bordo, “King” » gli disse J con un sorriso. « Non lo vuoi uno strappo? »
L’alieno lo fissò con aria indecifrabile, per via del casco, ma sembrava aver capito. Un attimo dopo, infatti, salì sul lato posteriore dell’auto, sotto lo sguardo sorpreso di A. Non appena furono tutti a bordo, J mise in moto, dritto verso Central Park.
C’era ancora una speranza per salvare K, dopotutto.

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Capitolo 4
*** Caccia spietata ***


Capitolo 4. Caccia spietata

L’Agente K, nel frattempo, era ancora vivo. Aveva ripreso i sensi da poco, dopo essere stato aggredito nel suo appartamento da un Super Predator fuggiasco. Il Man in Black si trovava ora in un luogo ben diverso da casa sua, che riconobbe ben presto nonostante fosse avvolto dall’oscurità. L’erba sotto i suoi piedi, i cespugli, gli alberi e i lampioni parlavano chiaro.
Central Park.
Non vedeva il Predator nei paraggi in quel momento, ma questi gli aveva lasciato delle armi: il blaster e un machete di fattura aliena, ma nient’altro; il comunicatore gli era stato sequestrato. Non poteva mettersi in contatto con i suoi colleghi. Dopo aver osservato attentamente la situazione, K capì cosa avrebbe dovuto affrontare.
Il Super Predator lo aveva sfidato. Non fu difficile immaginare il perché: gli Yautja ottengono onore e rispetto uccidendo creature pericolose... e K si era guadagnato negli anni la fama di essere umano più temuto dell’universo. Quel Predator gli dava la caccia per questo, evidentemente... per guadagnare il massimo rispetto con la sua testa e ottenere la libertà.
K sospirò mentre afferrava il machete. Sapeva di non avere molta scelta in quel momento: il Predator gli avrebbe dato la caccia comunque, senza concedergli alcuna via di fuga. Erano passati trent’anni dal suo ultimo scontro con uno Yautja, ma il ricordo di quei giorni era nitido nella sua mente come se fosse accaduto ieri. Già allora non era stato facile uscire vivo da quell’esperienza... e la prospettiva di doverla ripetere dopo tanto tempo non lo allettava nemmeno un po’. Persino la sua passeggiata nello stomaco di Edgar la Piattola faceva fatica a confrontarsi con quel ricordo. Doveva ammetterlo, era diventato troppo vecchio per affrontare creature del genere.
Ma non abbastanza vecchio da decidere di arrendersi proprio quella notte.
« Molto bene » dichiarò deciso, lo sguardo rivolto verso gli alberi. « Vieni fuori e affrontami, se tanto ci tieni! »
Il ruggito del Predator fu l’unica risposta a venir fuori dall’oscurità.
 
Gli agenti A e J erano appena arrivati a Central Park, accompagnati da “King”, il Predator che aveva accettato di aiutarli. Questi era appena sceso dalla macchina, quando udì chiaramente un suono familiare in lontananza: il verso di un suo simile. Solo lui lo aveva udito, grazie ai suoi sensi supersviluppati; King fece subito un cenno ai suoi alleati, indicando la direzione da prendere. A e J obbedirono, armi in pugno.
Il trio avanzò per il parco, muovendosi con cautela attraverso il prato e gli alberi; evitarono di camminare sulle vie lastricate, per non stare troppo allo scoperto. Dovevano fare in fretta prima che accadesse l’inevitabile: questo pensiero risuonava forte nella testa di J, e dai suoi occhi appariva tutta la determinazione. A, guardandolo, poteva rendersene conto. In fondo poteva capirlo... si trattava di salvare K, un uomo che per lui era molte cose insieme: un maestro, un collega, un amico... un padre. Il padre che non aveva mai avuto. J gliene aveva parlato anni prima, durante la loro breve collaborazione: suo padre era morto quando era bambino, nel ’69, in un’imprecisata azione eroica. Anche A aveva perso il suo vecchio in circostanze drammatiche, e questo li rendeva ancora più simili; un altro fattore che li aveva uniti ai vecchi tempi...
Tempi che avrebbe voluto durassero più a lungo.
Un nuovo ringhio di King interruppe i pensieri di A. Il Predator si era fermato: guardava un punto tra due alberi a ore undici. A e J seguirono il suo esempio, stringendo la presa sulle loro armi.
« Di che si tratta? » domandò J.
« Ci sono un paio di persone, laggiù » tradusse A, tranquillizzandosi. « Sarà meglio mandarli via, non possiamo rischiare che vengano coinvolti nella caccia. »
« Sono d’accordo. Resta qui, King, ce ne occupiamo noi. »
Il Predator riattivò il suo sistema di occultamento, rendendosi invisibile. A e J avanzarono ad armi abbassate, mentre un paio di sagome emergevano dal buio: apparentemente si trattava di una coppia intenta a pomiciare su una tovaglia ai piedi dell’albero. I due MiB si scambiarono un’occhiata, ma non c’era tempo da perdere.
« Scusate l’interruzione, giovani » disse J a voce alta, « ma dovete lasciare immediatamente il parco, è in corso un’operazione di polizia. »
I due tipi a terra si staccarono, fissando i nuovi arrivati.
« J? » fece il maschio con aria sorpresa. Non era poi così giovane: aveva il naso grosso, i capelli arruffati e la barba incolta, e i suoi occhi guardavano in due direzioni diverse. J sgranò gli occhi, perché in quel tipo strano aveva riconosciuto una vecchia conoscenza.
« Jeebs! E tu che diavolo ci fai qui? »
« Oh, stavo facendo un... picnic notturno... con la mia nuova fiamma, Ingrid. Lui è un mio caro amico, l’agente J. »
« ...piacere » mormorò la ragazza al suo fianco, una tipa vestita di pelle e dotata di piercing e tatuaggi. Doveva essere un po’ brilla, e questo spiegava come avesse fatto Jeebs a rimorchiarla.
A non disse nulla, ricordando nel frattempo il tipo che aveva di fronte: Jack Jeebs era un alieno, e gestiva un banco dei pegni occupandosi di oggetti rubati, sia alieni che terrestri. Non era affatto pericoloso, e questo bastò a tranquillizzarla.
« Scusa, Jeebs, ma purtroppo non è la serata adatta per i picnic » dichiarò J in quel momento. « Stiamo inseguendo un pericoloso ricercato che non è di queste parti, se capisci cosa intendo. »
« Oh » fece Jeebs lentamente, voltandosi a guardare un’ignara Ingrid. « Sì... capisco perfettamente. Allora... sì, ce ne andremo subito da un’altra parte. Andiamo, cara, lasciamo campo libero agli agenti, questo non è più un posto sicuro. »
« Oook... »
A e J rimasero fermi sul posto, seguendo con lo sguardo Jeebs mentre trascinava via la sua ragazza barcollante, finché entrambi non sparirono nella notte. I due Men in Black si scambiarono un’occhiata divertita, poi tornarono sui loro passi.
Trovarono King dove lo avevano lasciato. Il Predator era tornato visibile e continuava a seguire tracce; proseguendo sul prato, trovarono qualcosa che non si auguravano di vedere quella notte.
Sangue umano, ancora fresco.
Per una manciata di secondi, J fu pervaso dall’orrore, credendo che quel sangue appartenesse a K, ma poco più avanti dovette ricredersi. Il trio trovò il cadavere di un uomo disteso su una panchina, smembrato in vari punti: la testa, inoltre, era stata strappata con una forza tale da staccare anche buona parte della spina dorsale. Il sangue era sparso dappertutto, come a fare da contorno a quell’orribile scempio.
« Per la miseria » esclamò J, orripilato. « Era solo un vagabondo... come hanno potuto fargli una cosa del genere? »
A chiese subito qualcosa a King, comunicando nella sua lingua.
« È opera del Super Predator, senza dubbio » disse, traducendo ciò che le aveva risposto. « Ha ucciso senza onore. Ha massacrato questo poveretto senza pietà, fregandosene del fatto che era disarmato... colpevole solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. »
« E noi non avremo pietà di lui » ribatté J. « Se ha fatto del male a K, giuro che lo squarto e darò le sue frattaglie a Dex per farci spiedini di Predator! »
Né A né King ebbero il tempo di commentare l’ultima battuta, perché subito dopo udirono una serie di rumori in lontananza: l’inconfondibile suono di un blaster in dotazione agli agenti MiB.
« K!! » gridò J.
I tre si lanciarono nella direzione da cui provenivano gli spari, senza alcun indugio. A e J raggiunsero per primi il luogo in cui stava infuriando lo scontro, appostandosi dietro un cespuglio: con loro grande sollievo, K era ancora vivo, intento ad opporre una feroce resistenza contro il suo avversario. Il Super Predator adoperava una tattica “mordi e fuggi” in quel momento, balzando fuori dalla vegetazione e sferrando rapidi colpi per poi rituffarsi tra il fogliame. K non perdeva tempo a inseguirlo, preferendo piuttosto mantenere la posizione: era malconcio e aveva il fiatone... di certo non avrebbe resistito a lungo.
« Non può farcela, maledizione » borbottò J, ansioso. « Dobbiamo tirarlo fuori da questo casino alla svelta. »
« Quel Super Predator non ce lo permetterà » osservò A, più calma. « Dovremo prima vedercela con lui per salvare K. »
King li raggiunse alle spalle in quel momento, silenzioso.
« Tu cosa suggerisci? » gli chiese A.
Il Predator emise un leggero ringhio, indicando i due Men in Black.
« Cos’ha detto? » domandò J.
« “Diversivo”. »
 
K era nei guai. Purtroppo la tattica del Super Predator cominciava a fare effetto: i suoi continui attacchi lo avevano ridotto allo stremo, costringendolo a restare sulla difensiva. Ansimava forte e perdeva sangue da varie parti del corpo, a causa dei tagli provocati dalle lame Yautja. Il Man in Black era riuscito a raggiungere un albero a cui appoggiarsi per coprirsi le spalle, ma sapeva che non sarebbe servito a molto. Anzi, dimostrava al nemico di essere con le spalle al muro. Per quanto odiasse ammetterlo, era spacciato.
Il Super Predator venne fuori ancora una volta, atterrando con forza davanti a lui. L’alieno avanzò piano verso K, petto in fuori: sembrava sprizzare puro trionfo da tutti i pori. Pregustava una vittoria che riteneva imminente. K tentò il tutto per tutto: sollevo il blaster e sparò, ma il Predator lo colpì al braccio deviando il proiettile, che gli graffiò a malapena la spalla. K ricevette subito dopo un violento ceffone in faccia, tale da fargli cadere a terra il blaster; non si arrese e provò a colpire con il machete. Il Predator lo afferrò a mani nude, per nulla intimorito. K lo udì ridere soddisfatto, prima di essere afferrato per la gola e sollevato da terra.
Era finita. Dopo tanti anni di servizio, finalmente l’Agente K stava andando incontro a una morte sicura...
Il Predator estrasse la lama, ma non colpì. Qualcosa lo distrasse prima che potesse infilzare K come uno spiedino. L’alieno abbassò lo sguardo verso un punto alla sua sinistra: qualcosa era caduto sull’erba a poca distanza da lui... qualcosa che per lui aveva un aroma delizioso.
Un hamburger.
K fu lasciato andare, con sua enorme sorpresa. Questa aumentò a dismisura quando il MiB vide che il suo avversario gli aveva voltato le spalle, dimenticandosi completamente di lui. Il Super Predator si avvicinò con cautela all’hamburger, ma non lo prese: il suo casco esaminava i dintorni in cerca di eventuali trappole o intrusi; inizialmente non vide nulla, ma poi individuò qualcuno venir fuori dai cespugli, davanti a lui. Il Predator se lo aspettava, naturalmente, e fece fuoco con il suo cannone al plasma. L’Agente A scattò di lato e schivò il colpo, estraendo nel frattempo la sua lancia Yautja.
« Raaaah! »
La donna sferrò un colpo al Predator. Questi lo parò, anche se in ritardo: l’aroma dell’hamburger e l’improvvisa comparsa di un altro agente MiB avevano rallentato i suoi riflessi. A non si arrese e continuò ad attaccare, attirando completamente la sua attenzione. Era proprio ciò che voleva... perché alle spalle del Predator, K veniva tratto in salvo da J.
« Tranquillo, vecchio... è arrivata la cavalleria! » dichiarò il giovane MiB, mentre sollevava da terra il collega.
« Heh... mi duole ammetterlo, ma ne sentivo un gran bisogno » commentò K.
Il Super Predator respinse A e si voltò: scoprì cosa stava succedendo, e reagì con un ruggito colmo di rabbia. A si rialzò in piedi e colse l’occasione, trafiggendo il nemico in un punto scoperto al fianco. Lo Yautja ruggì ancora per il dolore, ma rimase in piedi. Tornò quindi a concentrarsi su A, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, una grossa rete metallica cadde su di lui, imprigionandolo. A si fece da parte mentre King atterrava di fronte alla preda appena catturata, soddisfatto del risultato.
Il trionfo, tuttavia, ebbe breve durata. Il Super Predator era evidentemente preparato contro simili imprevisti: attivò un dispositivo sul suo bracciale, generando una sorta di scarica energetica che fuse la rete, permettendogli di liberarsi. L’alieno si rialzò in piedi, ringhiando minaccioso ai suoi nuovi avversari.
King ringhiò a sua volta, visibilmente irritato.
« Già... » gli rispose A, comprendendo ciò che aveva detto. « Neanche io mi aspettavo che sarebbe stato così facile! »
 
Nel frattempo, J aveva portato via K dal campo di battaglia con successo. Raggiunta una pista ciclabile poco lontano, il MiB più giovane richiamò l’auto con il comando a distanza, facendo accomodare il collega sul sedile posteriore.
« Tieni duro, K... ora ti riporto indietro » disse J determinato.
« Lascia stare, non sono messo così male » gli rispose K. « Ora non pensare a me... torna indietro e aiuta A! »
« Cosa? Non serve, se la caverà... e poi abbiamo uno Yautja dalla nostra parte. Quel bestione è spacciato. »
« Non puoi saperlo, ragazzo. Non mi era mai capitato di affrontare una creatura del genere... per quanto odi ammetterlo, è davvero terribile. Ora torna indietro e aiuta A... è un ordine. »
J era allibito.
« K... »
« Vai! Non c’è tempo da perdere, io starò bene. Penserò a chiamare i rinforzi, nel frattempo, tu torna indietro e aiuta la tua donna! »
J parve finalmente ricevere il messaggio. Smise di esitare, voltò le spalle a K e tornò indietro a rapidi passi. In effetti cominciava a sentirsi stupido per come aveva agito: in pratica aveva portato via il cavolo per lasciare la pecora in pasto al lupo!
Trovò A dove l’aveva lasciata, ancora alle prese con il Super Predator. A darle una mano c’era King, intenzionato più che mai a completare la sua missione. Lo affrontavano insieme, ma senza cooperare: i loro attacchi non erano coordinati, e spesso rischiavano di intralciarsi nel tentativo di colpire il nemico. Questo perché King non accettava l’aiuto di A, preferendo combattere da solo; la Man in Black lo avrebbe lasciato fare, ma era sicura che il Super Predator non avrebbe rinunciato ad affrontarla... perciò le toccava restare dov’era, sperando di concludere la battaglia al più presto.
Il Super Predator riuscì a sopraffare King, tramortendolo con una violenta ginocchiata al petto. A reagì subito dopo, approfittando dell’apertura; roteò la lancia e si lanciò in un nuovo assalto, ma lo Yautja si scansò appena in tempo. La lancia riuscì solo a graffiargli la schiena. L’alieno afferrò la lancia e strinse forte, impedendo ad A di attaccare ancora; la donna cercò di riprendersi l’arma con qualche strattone, ma invano. Alla fine rinunciò, e – con gran sorpresa dello Yautja – balzò sull’asta e gli andò addosso, colpendolo in pieno volto con un calcio.
J, vedendo l’alieno crollare a terra, si fermò di colpo. Si stava preparando ad un attacco a sorpresa per aiutare A, ma ora non sembrava più necessario. A riprese la lancia e la puntò alla gola dell’avversario, rimasto a terra sebbene fosse ancora cosciente. La donna gli ordinò di non muoversi in lingua Yautja, e lui parve obbedire. Poco lontano, King stava riprendendo conoscenza.
Un attimo dopo, tuttavia, la situazione precipitò.
Il Super Predator scoppiò a ridere mentre il puntatore del suo casco mirava al petto di A. In un istante, il suo cannone al plasma mirò e fece fuoco, troppo in fretta per chiunque. J vide inorridito la sua partner colpita in pieno dal proiettile laser, che la scaraventò a parecchi metri di distanza.
Alexa...
« Nooooo! »
Il Super Predator si rialzò in piedi, implacabile. King gli andò addosso, ma il nemico colpì in pieno anche lui, rimettendolo al tappeto. Ora J era l’unico rimasto in piedi: fissò il corpo di A, immobile sull’erba, ma respirava ancora. Sfortunatamente anche il Super Predator se n’era accorto, e si avvicinò a lei per finirla.
« Ehi tu! » gridò J all’alieno. « Cosa credi di fare, eh? Questa squadra ha ancora un giocatore pronto a farti il culo! Su avanti, cosa aspetti? Prenditela con un muso nero forte e cazzuto come te! »
Lo Yautja si voltò, attirato dagli insulti.
« Era ora, bastardo » dichiarò J, sollevando il blaster. « È facile ammazzare quando la tua preda è prossima alla pensione o non si regge in piedi, eh? Credevo che uno Yautja mettesse lealtà e onore al di sopra di tutto... o che almeno tu avessi fatto tutto questo casino per recuperarli! Prenditela con me, allora... ho quasi steso il tuo inseguitore per un Whopper, qualche ora fa. Che dici, sono alla tua altezza? »
Il Super Predator restò in silenzio per qualche attimo, come se valutasse la sfida lanciatagli dal Man in Black. Poi, lentamente, le sue mani rimossero il visore tattico, gettandolo a terra. J tornò quindi a vedere l’orrida faccia grigia e sfregiata dell’alieno, il quale gli rivolgeva ora tutta l’attenzione. Aveva disattivato il cannone al plasma, ma in compenso aveva estratto una lama dall’avambraccio: chiaramente si preparava ad uno scontro corpo a corpo. J lo accontentò, posando il blaster e afferrando il machete usato poco prima da K.
I due rimasero a distanza per qualche altro secondo, poi scattarono in avanti nello stesso momento, incrociando le lame. Fu un susseguirsi rapido di colpi, di fendenti, parate e affondi. J e il Predator restarono quindi a contatto per un po’: ognuno spingeva sulla propria lama per sopraffare l’altro. La forza dello Yautja era micidiale, ma J oppose una fiera resistenza; quando il MiB cominciò a cedere, tentò il tutto per tutto e sferrò un calcio alle parti basse dell’alieno, facendolo urlare. J si fece indietro e sferrò un nuovo fendente, ma il Super Predator si era già ripreso e lo schivò.
King, nel frattempo, si stava rimettendo in piedi per l’ennesima volta. Il Predator era deciso più che mai a compiere la sua missione, anche a costo di sacrificare la vita dei suoi alleati temporanei. Rivolse lo sguardo sul duello in atto e fece fuoco con il suo cannone al plasma: i colpi raggiunsero J e il Super Predator, esplodendo ai loro piedi. I due furono separati dallo scoppio e gettati a terra; J non riuscì a vedere più nulla per qualche istante, mentre un fischio assordante gli riempiva le orecchie. Era stordito e ferito, non riusciva a muoversi... ma lo stesso non si poteva dire del Super Predator. King, avvicinatosi per sferrare il colpo di grazia, fu colpito da una lama in pieno petto, contro ogni aspettativa.
« N-no...! » rantolò J, impotente in quel momento come una foglia secca.
Il Man in Black strisciò a terra, cercando di raggiungere l’alleato con le forze rimanenti. Poteva ancora fare qualcosa, non era troppo tardi... ma era disarmato. Disperato, ficcò le mani in una tasca della giacca e le dita si chiusero intorno a qualcosa di lungo e sottile...
King nel frattempo era caduto in ginocchio. Sangue verde sgorgava dalla sua ferita mentre il nemico torreggiava su di lui, pronto a finirlo. Non era l’Agente K, ma lo avrebbe ritrovato dopo aver eliminato quella seccatura. Il Super Predator sollevò la lama, immaginando di aggiungere una nuova testa Yautja alla sua collezione.
« Aaaargh! »
J aveva fatto la sua mossa, appena in tempo. Aveva riacquistato capacità motorie sufficienti da raggiungere il Super Predator e colpirlo di sorpresa. Lo Yautja urlò a sua volta subito dopo per il dolore, poiché il MiB gli aveva infilato un bastoncino metallico tra le chiappe. King fu lasciato andare, ma persino lui fu colto dallo stupore mentre osservava il suo nemico in preda all’agonia. Mentre il Super Predator cercava di togliersi il “macinachiappe” dal sedere, J si rialzava finalmente in piedi, ansimando. Sferrò un pugno tremendo all’alieno colpendolo al volto, tale da farlo crollare al suolo; raccolse quindi il machete e glielo puntò alla gola.
Il Super Predator non si mosse. Nei suoi occhi era evidente la paura, un sentimento che di rado si poteva vedere in uno Yautja. J non si lasciò impietosire, e strinse la presa sulla lama.
« Avresti dovuto accettare quell’hamburger che ti ho lanciato poco fa! »
E poi colpì, con un fendente rapido e preciso. La testa del Super Predator si staccò dal collo e rotolò sull’erba, inondandola di sangue.
All’improvviso era tutto finito. J avrebbe tanto voluto abbandonarsi sul prato in attesa dei rinforzi, ma non poteva permetterselo. Qualcuno aveva bisogno del suo aiuto. Il più vicino era King, già intento a medicarsi da solo, quindi lo lasciò perdere; individuò A poco lontano e la raggiunse di corsa.
« Alexa! »
« Ahia... »
La donna era ancora a terra, immobile ma viva. J fissò lo sguardo nel punto dov’era stata colpita. Il cannone al plasma l’aveva centrata al petto, ma attraverso i vestiti ridotti a brandelli fumanti non vide sangue né ferite aperte. Una sorta di maglietta nera spiccava intatta sotto la camicia, dove apparentemente si era fermato il proiettile laser.
« Ma cosa... » fece J, stupefatto, ma si rispose da solo un attimo dopo. A era sopravvissuta grazie a quella maglietta, realizzata con una fibra aliena sottile ma molto resistente, che l’aveva salvata da morte certa. Senza dubbio si trattava di tecnologia Yautja, se l’aveva protetta dai loro cannoni.
« Mai... uscire di casa senza la maglietta della salute » borbottò A con un sorriso. « Però fa lo stesso... un gran male. »
J si lasciò sfuggire un gran sospiro di sollievo, seguito da una risata. Era fatta: K era salvo, A era viva... e anche King sembrava stare bene. Il Predator aveva appena cauterizzato la sua ferita al petto con il suo kit medico, ma sembrava troppo debole per reggersi in piedi. J, dopo aver aiutato A ad alzarsi, raggiunse King e gli offrì la mano. Questi rimase a fissarla con aria indecifrabile, a causa del casco che gli copriva il volto; J appurò che fosse troppo orgoglioso per farsi aiutare, ma non voleva comunque dargliela vinta.
« Non c’è nulla di male a ricevere un po’ d’aiuto » dichiarò il MiB. « Anche i grandi guerrieri ne hanno bisogno, ogni tanto. Perciò non fare complimenti... afferrala. »
King emise un lungo ringhio. Poi accettò l’aiuto e afferrò la mano di J, che lo aiutò a tirarsi su. I due rimasero a fissarsi ancora un po’, finché dal casco del Predator non risuonò una parola.
« Amico. »
J e A sorrisero insieme, compiaciuti.
« Dunque sei stato tu, James? » disse A poco dopo, mentre esaminavano il cadavere del Super Predator. Dal suo tono sembrava impressionata oltre ogni dire. « Sei riuscito ad ammazzarlo tutto da solo? »
« Be’, buona parte del lavoro l’ho fatta io, certo... ma naturalmente non ce l’avrei fatta senza il vostro aiuto. »
« È incredibile... per noi umani è già un’impresa abbattere un comune Yautja, figuriamoci questo! Lascia che ti dica una cosa, caro... hai appena compiuto un’impresa più unica che rara. »
J fu sul punto di aggiungere qualcosa, ma fu interrotto da una serie di rumori e da un’improvvisa luce che abbagliò l’intera radura. I tre si voltarono in varie direzioni: da un lato, due squadre di Men in Black spuntavano fuori dagli alberi, armati fino ai denti; dall’altro, una navetta Yautja apparsa dal nulla stava atterrando nelle immediate vicinanze.
« Ah bene, meglio tardi che mai » commentò A. « Era ora che i rinforzi arrivassero. »
« Figurati, i rinforzi non arrivano mai prima che sia tutto finito » ribatté J, ironico. « Una cosa che non succede solo nei film. »
« J! »
Il giovane si voltò. K si era fatto avanti dal gruppo MiB e gli stava venendo incontro; zoppicava ancora, ma grazie all’intervento dei colleghi aveva recuperato un po’ di forze. Contemporaneamente, alcuni Yautja erano scesi dalla navetta e stavano andando incontro a King.
« Lo avete sistemato, a quanto pare » osservò K, fissando il cadavere del Super Predator. « Ottimo lavoro, Agente A. »
« Non ringraziare me, K » rispose la donna. « Se stasera c’è un eroe da acclamare, quello è il nostro J. »
K fissò J, più sorpreso di quanto ci si potesse aspettare da uno come lui. J alzò le spalle con fare innocente: per uno come lui si trattava di ordinaria amministrazione, in fondo. Non ne sapeva molto sull’onore e la caccia alla maniera degli Yautja, e nemmeno gli importava. Per come la vedeva lui, aveva solo ucciso altra feccia dell’universo. Si voltò a guardare gli Yautja: questi avevano iniziato a fissarlo poiché King lo stava indicando; doveva aver fatto rapporto sulla situazione... ora sapevano che un giovane Man in Black aveva ucciso il loro fuggitivo. Per un po’ nessuno fece nulla, poi tutti gli Yautja scattarono sull’attenti e fecero un gesto con il pugno, in segno di rispetto.
J era sbalordito: non sapeva cosa fare.
« Fai così » lo invitò A, ponendosi al suo fianco e ripetendo il gesto degli Yautja. J annuì, e fece il gesto a sua volta. I Predator piegarono il capo, compreso King.
Ora J era il nuovo terrestre più rispettato dal popolo Yautja.
 

 

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