Il segreto dei Bekwell.

di Lady_Sticklethwait
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Elisabeth Barbrook ***
Capitolo 2: *** Palazzo Bekwell. ***
Capitolo 3: *** Lord macchissietevoi ***
Capitolo 4: *** Una bruttissimastorta ***
Capitolo 5: *** L'amore di una madre. ***
Capitolo 6: *** Una piacevole passeggiata. ***



Capitolo 1
*** Elisabeth Barbrook ***


                                                                      Il segreto dei Bekwell

 
 

Capitolo 1




Elisabeth Barbrook non possedeva le maniere aggraziate che si addicevano ad una giovane donna in cerca di marito: rideva ad alta voce, diceva sempre ciò che pensava ed aveva respinto almeno una decina di proposte di matrimonio meritando, per questo, l’odio imperituro di sua madre.
Non che avesse tutti i torti rispetto ai suoi corteggiatori. Elisabeth aveva sempre desiderato quel genere di passione che soltanto nei romanzi d’amore che divorava riusciva a trovare, insomma, qualcosa di più di 'ho tre palazzi, sedici cavalli e quarantadue cani' cosa di cui l’aveva informata uno dei suoi pretendenti, chiedendola in sposa.
Stando così le cose, era chiaro che l’assenza di femminili astuzie, la franchezza e il proposito di non accettare mai e poi mai la proposta di un grasso conte imbellettato col parrucchino collideva con l’urgenza di trovare marito.
E questo era dolorosamente noto a tutti tanto che, sempre sua madre, Miss Anne Barbrook, aveva addirittura chiamato Monsieur Vinceux, il parroco della città, in un disperato tentativo di persuaderla a partire per Londra.
«Il Signore Nostro Dio, soltanto lui sa quanto quella povera puledrina abbia bisogno di cogliere quest’occasione, Miss Barbrook. Ecco a lei, questi sono i nominativi di mia nipote, Miss Meredit Bigginton» si rivolse verso Elisabeth con sguardo paterno «si è da poco trasferita a Strett Gill, in un quartiere abbastanza tranquillo della periferia di Londra. Vedrai… Ti piacerà» le strizzò l’occhiolino in fare amichevole.
Elisabeth non osò proferir parola: davvero Monsieur Vinceux l’aveva definita una puledrina?
Anne guardò il parroco, sospirò, e chiuse gli occhi, proprio in quest’ordine «Monsieur…» fece, la voce rotta dalla commozione e le lacrime agli occhi. Il parroco, quando la donna si mosse per inginocchiarsi, la fermò posandole una mano sulla spalla.
 «Che Dio vi benedica, Monsieur.»
Elisabeth assistette a quella ridicola sceneggiata seduta sul divano: dico, davvero quei due avevano pianificato il suo futuro senza, chessò, prenderla in considerazione o chiedere il suo consenso?
Non erano passate nemmeno un paio di settimane che la bizzarra e vivace Elisabeth si era ritrovata in una carrozza con sé la scorta di un milione di raccomandazioni da parte della madre e la rassicurazione del parroco che sua nipote l’avrebbe accolta e custodita al pari di una principessa.
Quando il cocchiere aveva issato le sue valigie piene di vecchi vestiti di sua cugina Kathe che, per la cronaca, poiché quest’ultima aveva capelli biondi ed occhi chiari, il lavoro della sarta era stato meramente sufficiente a fare in modo che quegli abiti fossero adatti alla carnagione scura e alla chioma rosso fuoco di Elisabeth, ella non aveva accennato a muoversi. E quando la sua vecchia casa sembrò ormai solo un puntino lontano, tutto ciò che le venne in mente furono eventuali dubbi, tutti legati alla sfera sensoriale: le sarebbe mancato l’albero di ciliegio dove da piccola soleva giocare con Jeorgie? Le sarebbe mancata l’aria umidiccia tipica di quel periodo, quando le tenebre iniziavano man mano ad oscurare le catapecchie e l’odore del pane caldo a richiamare a casa i bambini?
E Londra? Com’era, Londra? Solo pronunciarne il nome le trasmetteva l’idea dell’immensità e, a dirla tutta, anche una sorta di timore reverenziale.
Londra… Un brivido le fece accapponare la pelle e la domestica che sedeva al suo fianco, Agnes, dovette accorgersene perché le posò una mano sulle sue costringendola a guardarla
«Lei sta tremando, signorina» constatò con familiarità. Elisabeth aveva sempre cercato di persuaderla a darle del tu ma dopo indecifrabili sforzi si era arresa «No, Agnes, sto... Bene. Credo» aggiunse, facendo una smorfia.
Una pioggerellina sottile iniziò a bagnare i vetri della carrozza e l’incessante battere delle gocce sul tetto sembrava scandire con impressionante precisione l’avanzare dei secondi.
«E’ che…» iniziò contorcendosi le mani «insomma, Agnes, non penso che Londra possa accettare…» una come me.
Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che Agnes la interruppe veloce come un fulmine «signorina non deve assolutamente pensare a questo genere di… di cose, ecco»
Elisabeth inarcò un sopracciglio «Ah, no?»
Agnes scosse energicamente il capo.
«Oh, Agnes» si appoggiò alla sua spalla, guardando con insistenza il vestito verde pisello che Anne l’aveva costretta ad indossare «spero di non assomigliare ad un cespo di lattuga troppo maturo»
Il commento di Elisabeth fece sorridere Agnes «vorrà dire che la signorina Barbrook, appena arrivata a Londra, dovrà fare rifornimento di abiti nuovi» le consigliò la domestica, cercando di tirarla su di morale.
Elisabeth sbuffò, pensando al fatto che avesse portato con sé una quantità di denaro appena sufficiente a consentirle di acquistare qualche nastro in una modisteria non troppo rinomata.
«Non credo che sarà necessario, Agnes, non ho certamente intenzione di trovare marito» la informò con lo stesso tono disgustato col quale le avrebbe rivelato che mangiava piccioni glassati per merenda.
Agnes si vide costretta a ricordarle, con tono perentorio,  di sua madre e del suo rammarico se…
«Se tornassi a casa senza un anello di fidanzamento al dito, lo so, lo so» sospirò, appoggiando il capo sulla spalla della domestica, che sorrise forzatamente.
«Se solo aveste accettato la proposta di Sir Philip, signorina Elisabeth» le sfuggì un mugolio «A me sembrava un bell’uomo»
Elisabeth scattò a sedere, gli occhi si ridussero a due fessure «aveva delle basette di spropositate dimensioni…»
«…Sono all’ultima moda»
«Collezionava ditali, Agnes!» le rammendò Elisabeth, che assunse un’espressione corrucciata.
Arrivarono a Londra all'imbrunire e Elisabeth si sentì subito a disagio tra gli odori della città e i suoi abitanti. La carrozza non rallentò la sua corsa e attraversò Hyde Park imboccando poi Oxford Street, dove luci forti e vivaci già sfavillavano sulla vernice delle carrozze in fila lungo la strada, mentre dame e gentiluomini passavano da un negozio all'altro. Un argentiere, un bancone coperto che vendeva alcolici, gioiellieri, negozi di biancheria e pasticcerie: oltre un chilometro e mezzo di vetrine illuminate e attrazioni varie. Street Gill apparve ad Elisabeth come una torta mirabilmente decorata, con i mattoni di un tenue color salmone messi in risalto da una glassa in pallida pietra di archi e pilastri.
Scese dalla carrozza tenendo il naso all’insù, salì la scalinata col naso all’insù finché non andò a sbattere contro colui che molto probabilmente doveva essere il padrone di casa, nonché marito della signora Bigginton.
Mormorò delle scuse imbarazzatissima e fece ben attenzione a non emettere alcun commento sull’abbigliamento stravagante del signor Bigginton: imbellettato com’era, pareva già un miracolo che riuscisse a muoversi, respirare e parlare contemporaneamente.
Fu scortata dal maggiordomo in una sala gialla ed il sorriso che le rivolse la padrona di casa per poco non la accecò.
«Signorina Barbrook, che piacere fare la sua conoscenza» gracchiò.
Elisabeth si strinse nelle spalle e fece il miglior sorriso che un viaggio di otto ore le consentì di fare.
«La prego, si sieda, posso… offrire del tè, magari?»
La padrona di casa indossava un grazioso abito celeste a fiori ed aveva il corsetto così stretto che Elisabeth ebbe il timore che si spezzasse quando si chinò per servirle il tè.
«Sì, grazie»
Ouch, il tè… Il suo stomaco, all’idea di doversi accontentare di mezza tazza di acqua tiepida colorata, protestò rumorosamente.
«Oh, emh…» Elisabeth arrossì e portò una mano all’altezza del suo ventre «a volte è così inopportuno» si sforzò di sorridere.
Meredit si sedette con grazia sull’elegante divano color pistacchio bagnandosi le labbra con il liquido dolciastro «sembra terribilmente stanca, signorina Barbrook»
Elisabeth apprezzò la franchezza della donna ma non potette nascondere un pizzico di fastidio «Oh, no, temo che sia il giallo»
Meredit inarcò un sopracciglio
«E’ la sala, intendo… Non che sia brutta» enfatizzò, a scanso di equivoci, con le mani «ma ha la tendenza a farmi sembrare affetta da itterizia»
Ci fu un momento di silenzio, dopo il quale Meredit esclamò un «oh» seguito da un’altra sorsata di tè. Cielo, Elisabeth si sentiva assolutamente inopportuna e… Itterizia? Davvero? Ma come diavolo le era venuto in mente!
«Se questa sala non è di suo gradimento…» inizio Meredit ma Elisabeth la interruppe con foga «No!» si schiarì la voce, cercando di abbassare il tono, facendo mentalmente appello al patrimonio di raccomandazioni di sua madre «Signorina Bigginton…» disse sospirando
«Signora» la corresse quella dall’alto del suo fiero cipiglio.
«Signora Bigginton, sono terribilmente desolata ma la stanchezza dovuta al viaggio e, insomma, questo cambiamento così repentino mi hanno… sconvolta» concluse con un sospiro, incurvando le spalle come un riccio.
«Lo vedo» fece quella, suonando la campanella «signorina Barbrook, non ho intenzione di trattenerla oltre»
Elisabeth si alzò
«tuttavia»
 Elisabeth si sedette
« Non intendo farmi vedere in giro con un tale esempio di grossolanità. Oltretutto, se vuole trovare un buon partito, mostrarvi sopra le righe otterrete solo l’interesse di uomini scapestrati senza uno scellino in tasca. Non ha dote, e questo è già un problema sufficientemente grave.»
«Oh, non si preoccupi» rispose Elisabeth mostrando un sorriso provocatorio «non sono venuta qui per cercare marito»
Meredit sbiancò e per poco il suo tè non fece un capitombolo per terra «come dite?»
Elisabeth fece spallucce «Semplicemente, escludo che qualcuno mi noterà. Oltre a tutte le mancanze che ha già egregiamente elencato, non ho portato con me nulla che non mi faccia sembrare un salice piangente ed ammetto di essere anche una pessima ballerina.»
Meredith sembrò avere un attacco di orticaria quando commentò «Dovete imparare a dissimulare tanta schiettezza se volete che qualcuno vi compri»
«Parla per esperienza diretta, signora Bigginton?» chiese Elisabeth, dolcemente.
Meredit, paonazza in volto, posò il tè sul delicato tavolo bianco e suonò il campanello. Una domestica bionda con una ridicola cuffietta rosa fece capolino e fu raccomandata dalla padrona di casa di portare Elisabeth nella sua stanza, che fu congedata con un gesto teatrale.
 
 
 
 

Note d’autrice.
Allora, mi preme farvi sapere che questo è un esperimento. Ho intenzione di riscrivere la storia ‘il duca e la ragazza’, i protagonisti saranno sempre i nostri Colin ed Elisabeth, ma adotterò dei sostanziali cambiamenti alla trama. Non so quando aggiornerò, probabilmente una o due volte al mese perché per il momento sono impegnata con un’altra storia, ma vi basta sapere che ho deciso finalmente di dare un finale a quella storia che ha appassionato tante di voi.
Fatemi sapere se questo primo capitolo vi è piaciuto, a me ha divertito molto scriverlo, oltretutto mi mancava molto la schiettezza di Liz. Ora staremo a vedere se riuscirò rendere giustizia al duca.
Un abbraccio!




Lady Sticklethwait.

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Capitolo 2
*** Palazzo Bekwell. ***


 
                                                                                  Capitolo 2
 
 
 
Elisabeth non aveva alcuna intenzione di cenare da sola col valletto che la fissava come se fosse un topo di fogna.
Contro tutte le aspettative, riuscì nel suo intento: scavalcò il cancello con estrema agilità, avvezza com’era a oltrepassare le staccionate usando una sola mano. In realtà riuscì nell’operazione soprattutto perché indossava un paio di comodi pantaloni maschili.
Un umido silenzio la avvolse, si udiva solo il rintocco dell’acqua che cadeva dalle foglie. Alzò una mano, allorché vide una carrozza pubblica aggirarsi in quella zona.
«Puoi pagare, ragazzino?»
Elisabeth dovette trattenere un urlo di soddisfazione. Annuì, tenendo ben nascosto il viso dalle lanterne della carrozza ed allungò la mano mostrandogli compiaciuta un paio di monete. L’uomo le accettò con avidità e la invitò a salire con un brusco cenno del capo.
Coi capelli tirati in una coppola bassa ben incastrata sulla fronte, una giacca rossa, pantaloni neri, e un paio di stivali di pelle consunta, Elisabeth sentiva il cuore pompare energicamente il sangue lungo tutto il suo esile corpo.
Si aggiustò la coppola, facendo ben attenzione che non sfuggisse nemmeno un ricciolo rosso che potesse tradire la sua identità. Guardò fuori dalla carrozza: l’aria era fresca, le vie illuminate da qualche lanterna pubblica ed ogni tanto incrociava il passaggio di altre carrozze.
Elisabeth si morse un labbro, immaginando la faccia che avrebbe fatto sua madre vedendola con i panni di suo fratello Edward poco prima che partisse per l’università. Passarono dinanzi ad una chiesa e si fece il segno della croce, stringendo il crocifisso che portava sotto la camicia di un bianco sbiadito.
«Dove ti porto, ragazzino?» volle sapere il cocchiere.
Dove andare?
E come poteva mai saperlo, di grazia?
Era uscita in cerca di avventura, quella sera, qualcosa che non la facesse soccombere al tedio di quella lunga nottata.
«Ad un ballo, signore»
Quello grugnì, ed incitò i cavalli alla corsa facendo perdere ad Elisabeth l’equilibrio.
Quando la carrozza sostò, Elisabeth aprì la portiera carica di aspettative, immaginando di ritrovarsi davanti un castello tutto illuminato con un ampio giardino sul davanti ed una fontana con un putto al centro. In realtà, rimase alquanto delusa dalla facciata di casa Bekwell, o quel che diavolo era, si disse stropicciando le labbra alla vista di quel palazzo anonimo e pieno di finestre illuminate.
Il cocchiere ripartì con un colpo di frusta e la carrozza che l’aveva scortata davanti alla strada antistante scomparve nella nebbia della notte.
Elisabeth camminò lungo la piazza, avvicinandosi man mano all’edificio rettangolare senza catturare l’attenzione di nessuno. Non che ci fosse molta gente lì fuori, ammise a malincuore, aspettandosi di trovare dame bardate nei loro abiti migliori. Tuttavia, e dovette ammetterlo, la musica che si sentiva da quella considerevole distanza era parecchio piacevole.
Così piacevole che Elisabeth nutrì il forte desiderio di vedere l’orchestra ma… Guardandosi i calzoni, dubitò che potesse oltrepassare la soglia senza passare inosservata.
Sbuffò, rendendosi conto che come quell’avventura era iniziata, così molto probabilmente sarebbe finita, ed Elisabeth sarebbe ritornata ad essere la solita, patetica, ragazzina di periferia e… Un momento. Quello era un pino?
Strizzò gli occhi per mettere meglio a fuoco: sì, era proprio un pino!  Senza capire bene perché, emozionata dalla semplice assurdità di quell’avventura, corse col fiato in gola fino a raggiungere la corteccia dell’ albero che aveva imparato ad amare ed a scavalcare fin da quando era piccolina, essendo nata in campagna. Se si fosse arrampicata, da lì avrebbe potuto vedere attraverso una delle più grandi porta finestre della sala le dame, l’orchestra, il cibo, perdio, cibo vero, raffinato, non il brodo di pollo che era costretta a mangiare ogni domenica sera!
Raccogliendo tutte le sue forze, carica di adrenalina, iniziò la scalata servendosi di tanto in tanto anche del coltellino che aveva portato con sé nel fodero della giacca, in caso di necessità.
In realtà Elisabeth non ebbe nemmeno il tempo di gongolarsi troppo per quella infantile vittoria; nell’atto della scalata, non rendendosi conto di quanto fosse precario l’equilibrio del piede destro sul primo ramo che pendeva verso destra, sentì questo spezzarsi sotto i suoi piedi ed il suo corpo venire trascinato irrimediabilmente giù.




Per Colin Bekwell quella non era una bella giornata, ma quando era venuto a sapere che la festa organizzata da sua madre non prevedeva che fossero servite bevande alcoliche, aveva trovato un buon motivo per continuare a covare il disappunto. E così, Colin Bekwell si era defilato come il peggiore dei mascalzoni dalle avances delle sue corteggiatrici per prendere una boccata d’aria all'aperto e calcolare a mente il profitto annuale della sua tenuta quando, con sua immensa sorpresa, un ragazzino cadde dal cielo per atterrare su di lui.
Un ulteriore esame chiarì che il fanciullo in questione non era caduto dal cielo, ma da un grande pino.
«Stramaledizione» fu il suo elegante commento ritrovandosi spiaccicato come un uovo sbattuto. Il suo grido di dolore si unì all’urlo di sorpresa del ragazzo. Elisabeth non avrebbe saputo dire quale fosse la sensazione principale in quel frangente. Se il dolore della sua povera schiena o il fatto che fosse caduta su di un uomo o che si trovasse con il sedere in bella vista sul collo dello sconosciuto. La sua mente si rifiutò di trovare altri motivi disdicevoli per i quali flagellarsi una volta ritornata a casa, per cui decise di rimettersi in piedi e con lei anche l’uomo che, nel farlo, aveva snocciolato una lunghissima sfilza di imprecazioni colorite che Elisabeth non aveva mai udito.
«Che dannazione ci facevi lì sopra, moccioso?» le domandò infine, scrollandosi la polvere di dosso.
«Potrei farvi la stessa domanda» rispose  sistemandosi alla meglio la giacca e i calzoni. Il cappello le era caduto e le sue chiome rosse, troppo lunghe per appartenere a un uomo, fecero aggrottare la fronte del duca.
«siete una donna…» mormorò quello con enorme meraviglia.
Elisabeth non riuscì a trattenere un moto di stizza «Certo che lo sono» zuccone, avrebbe voluto aggiungere, ma volle risparmiarlo, quantomeno per averle reso l’atterraggio più morbido del previsto.
Non seppe se l’uomo era scosso per la caduta o per quell’incredibile rivelazione: ad ogni modo, Elisabeth si tenne a distanza di sicurezza per evitare che quello potesse incrociare il suo sguardo, perché davvero non avrebbe saputo cosa fare se lui avesse scoperto che lei lo stava divorando con gli occhi; l’uomo indossava un’elegantissima giacca di broccato blu con una cravatta bianca, calzoni scuri e riccioli castani che rilucevano nel buio della stradetta.
Elisabeth ingoiò una manciata di saliva, nascondendosi nell’ombra «Vi…Vi ho fatto male?»
L’uomo rise. Aveva denti così bianchi e perfetti che Elisabeth dovette domare  impulso di chiedergli se fossero veri.
Elisabeth si stranì «Cosa c’è di così tanto divertente?» domandò guardandolo di sottecchi « Stento a credere che non vi siate ferito.»
L’estraneo liquidò i suoi commenti con un gesto della mano e provò a muovere qualche passo in sua direzione « Sì, be’, noialtri  Bekwell siamo dei duri. Ci vuole ben più di… Dio mio!» ululò.
Elisabeth fece del suo meglio per non apparire compiaciuta quando chiese: «Vi fa male? Volete sedervi?»
Lui strizzò gli occhi azzurri cercando appoggio sul tronco « Siete una donna ben dura e crudele, signora Non-So- Chi, per godere della mia agonia»
Elisabeth fece una risatina divertita «Ma devo protestare, Signor-Machisietevoi, non sono affatto una signora.»


 
 
 
 
Note d’autrice.
Mi scuso se il capitolo è particolarmente breve, nel prossimo approfondirò sicuramente determinate dinamiche!
Comunque sia, abbiamo incontrato il nostro Colin. E’ solo il primo incontro, di lui non sappiamo nulla, tranne quanto sia incredibilmente affascinante. L’accoppiata Colin- Elisabeth, a distanza di anni, sembra faccia ancora scintille.
Non so quando aggiornerò, molto probabilmente pubblicherò un capitolo a Maggio o a Giugno.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo che, devo dire la verità, ho scritto in fretta e furia tra una pausa e l’altra!

A presto,


Lady Sticklethwait.

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Capitolo 3
*** Lord macchissietevoi ***




                                                                                     Capitolo 3



«Suppongo di dovermi presentare» Colin si mise a sedere con una smorfia di dolore e borbottò «ad ogni modo, sarei lord machisietevoi»
Elisabeth si inginocchiò ai piedi dell’uomo «oh… questo cambia molte cose» commentò sardonica tastando la caviglia dell’uomo «vi fa molto male?»
Dalla smorfia che fece l’uomo Elisabeth intuì che sì, doveva fare molto male.
«Signore» alzò il viso e cercò di risultare il più educata possibile «dovrò rimuovere lo stivale»
E a quello, Colin, ci era anche arrivato, ma quando ella gli domandò «avete un coltello?» parve diventare tutt’uno con la camicia bianca.
«Se pensate che sia disposto a mettervi in mano un’arma…»
«D’accordo» Elisabeth si mise a sedere scrutando dentro la sua giacca «lo prenderò per un no» la lama lucente del coltello con il quale aveva tentato di issarsi sull’albero abbagliò, per un frangente, il suo viso.
Quando Elisabeth si chinò per tagliare lo stivale, Colin indietreggiò molto poco virilmente «quello… quello dove lo avete preso?» fece indicandolo con orrore.
Elisabeth fece spallucce. Possibile che quell’uomo fosse così diffidente nei suoi confronti?
E pensare che voleva solo aiutarlo!
Sbuffò, aggiustandosi meglio una ciocca dietro i capelli «volete smetterla di dimenarvi?» disse, appoggiando le mani sui propri fianchi «sembrate proprio una femminuccia»
Colin fu infastidito da quel commento «E’ un bene che la mia vanità sia già ben sviluppata, dolcezza, o a quest’ora voi l’avreste già demolita»
Dal tono con cui pronunciò quelle parole, l’accento, l’ottimo profumo maschile che la sorprendeva ad ondate, ed il taglio pregiato della giacca poté intuire che sì, doveva essere un uomo che aveva un gran successo con le donne e  che sì, era consigliato stargli alla larga.
Elisabeth decise di rivolgere la sua attenzione alla brutta ferita di lui: come minimo, per scusarsi, si sarebbe assicurata che avrebbe potuto camminare.
Impugnando il coltello con decisione, fece per avvicinarsi.
L’uomo, come previsto, si ribellò «Temo di non aver bevuto abbastanza per sopportare quello…»
«Ed io, milord» sorrise, perdendo la pazienza «temo che se non mi lascerà procedere, la vostra caviglia si gonfierà al tal punto da rendervi invalido per almeno due settimane. Forse tre»
Colin rimase sconvolto dalla franchezza con cui parlava quella donna. Immersa com’era nell’oscurità, riusciva soltanto a percepire che aveva una chioma riccia, probabilmente rossa, che le copriva parzialmente il volto.
Elisabeth, brancolando inizialmente nel buio, riuscì a trovare il piede di lui e palpò con gesti esperti la caviglia; il coltello non era molto affilato, e presto si ritrovò a segare lo stivale stringendo i denti per lo sforzo.
Alzò il capo un momento «Siete un conte?» gli domandò all’improvviso, per allentare la tensione. L’uomo, infatti, respirava profondamente, e lei riusciva quasi a percepire i muscoli della gamba irrigidirsi, pronti a scappare nel caso lo avesse ferito.
Colin adottò un tono sarcastico «vi sembro strabico o con le gambe storte?»
Elisabeth trattenne una risatina.
«Dannazione, donna. Ridete pure liberamente. Dio solo sa quanto sia ridicola la mia posizione»
Elisabeth lo guardò di sottecchi, riprendendo a segare la pelle pregiata del suo stivale.
«Mi dispiace» mormorò, tastando la morbida pelle del suo capo.
«Per il piede?» chiese lui dubbioso.
«Per lo stivale» smettendo per un momento di affaccendarsi sullo stivale, gli sgranò in faccia i suoi occhi, che brillavano di arguta intelligenza «voi siete un duca, non è così?»
Colin rimase spiazzato da quella domanda e, soprattutto, dalla sua intuizione. Lentamente, annuì con il capo «come avete…»
Elisabeth lo interruppe, riprendendo a segare lo stivale «avete il monocolo. Perché non lo indossate?»
Egli rise apertamente, una risata che le scaldò letteralmente il cuore «non è necessario. E’ un accessorio e serve per guardare le dame, attività interessante ma non fondamentale in questo particolare momento»
Con movimenti delicati roteò il piede per tagliare l’ultimo lembo «non sembrate un duca»
Quel commento colpì Colin come una pugnalata «come, prego?»
«Bhè» iniziò Elisabeth «non camminate con il bastone, non grugnite, non respirate facendo rumore e, onestamente» abbassò il tono di voce di un’ottava, come se stesse condividendo un segreto «dubito che soffriate di gotta»
Con movimenti delicati fece scivolare il piede ferito fuori dalla calzatura. Colin guardò lo stivale maciullato con espressione dolente
«avete una fervida fantasia, signorina…» si fermò, conscio del fatto che ancora non si fossero presentati.
«Richterson» mentì quella, toccando con delicatezza la caviglia gonfia del duca.
Colin sorrise, ma il suo volto rimase immerso nell’oscurità, e lei non poté percepirlo «immagino che un vero duca non si addentrerebbe mai solo in un giardino, dopo la mezzanotte, nel bel mezzo di un ballo»
«Sarebbe in ogni caso troppo grasso, per farlo» fece lei, assecondando la sua ironia.
Colin inclinò il capo: quella fanciulla possedeva una linguaccia davvero arguta. Fin troppo, a pensarci bene. Ad una signorina rispettabile un linguaggio così colorito e, soprattutto, un comportamento così schietto non poteva essere tollerato, ma, a pensarci bene, stava facendo congetture mentali su una donna che gli era piombata addosso da un albero…
«Cosa stavate facendo lì sopra?» le domandò sinceramente incuriosito.
Elisabeth, grata che l’oscurità le impedisse di essere vista, arrossì. Sarebbe risultata ridicola se gli avesse rivelato che il suo desiderio più grande era vedere l’orchestra suonare?
«Nulla che abbia a che fare col prendere alla sprovvista gli uomini e cascare loro addosso» rispose brusca, prendendo a tastare il livido con i polpastrelli «ditemi se vi faccio…»
«Ahi»
«…Male» concluse, ed aggrottò le sopracciglia «non penso di essere così malvagia, milord»
Colin rise apertamente, ed Elisabeth si guardò intorno allarmata, nel caso qualcuno li avesse sentiti «dolcezza, siete la cosa meno malvagia che mi sia capitata negli ultimi venti anni»
Elisabeth, nuovamente, arrossì. Scosse il capo, e si concentrò sulla caviglia del duca
«Ce la fate ad alzarvi? Suppongo che vi siano cercando…»
Colin sospirò al pensiero di dover ritornare al ballo «Sono sicuro che mia madre starà facendo di tutto pur di intrattenere gli ospiti»
Elisabeth si alzò, pulendosi le mani sui propri pantaloni «Perché ho l’impressione che il vostro entusiasmo sia paragonabile a quello di un condannato a morte?» prima che Colin potesse rispondere scorse un ramo adatto a poca distanza e glielo porse, stando sempre ben attenta a non lasciare che i raggi di luna illuminassero il suo vestito.
Cosa che, contro tutte le previsioni, accadde.
«Cielo, voi… Siete un dannato maschio!»
Colta in fallo, Elisabeth si girò e si accorse che la stava guardando come se fosse una selvaggia. Per un attimo,  pensò di alzare le mani a mo’ di artiglio ed emettere qualche verso animalesco per il gusto di spaventarlo ancora di più.
Rimanendo ferma dov’era, si asciugò la fronte con il dorso della mano «Non avete idea di quanto sia difficile salire su di un albero con indosso un corsetto»
Elisabeth si ritrovò a fissare due immensità azzurre, che le ricordarono il colore del cielo a mezzogiorno. I capelli del duca erano scomposti, e delle ciocche castane ribelli gli si arricciavano morbidamente sulle tempie, sulle orecchie e sulla nuca, conferendogli un aria fanciullesca e dissoluta che le donne dovevano trovare scandalosa.
Colin, sconvolto, rimase ancora un po’ a studiare il vestiario della ragazza: non che ci fosse abbastanza luce per farlo, ma strizzando gli occhi poté notare che indossava una camicia bianca slabbrata ed una giacca dismessa bruciacchiata ai bordi.
«Su, vi aiuterò ad alzarvi, ma non contate che vi accompagni al ballo»
Colin non fece caso a quello che lei stava dicendo, ancora scosso dal suo abbigliamento «siete una domestica?» le chiese grattandosi il mento, ignorando la sua asserzione.
Elisabeth fece il giro per trovarsi alle sue spalle e gli infilò le mani sotto le braccia «al mio tre cercate di far perno sul piede sano. Vi avverto, sarà doloroso»
Il duca apparve infastidito del fatto che quella fanciulla non accennasse a rispondere a nessuna delle domande che le poneva. «Com’è che non mi stupisce affatto?»
Elisabeth si morse un labbro, preoccupata che prima o poi qualcuno si sarebbe accorto dell’assenza del duca e sarebbe andato a cercarlo e lei… Dio, lei non poteva presentarsi alla società in quello stato. Non che a lei importasse di ciò che pensava la società di lei, rifletté cercando di non inalare per l'ennesima volta il profumo del duca. Cielo, aveva immerso il suo intero corpo in acqua di colonia?
«Andiamo, al mio tre» ripeté Elisabeth con impazienza nella voce.
«Non potremmo magari…» cercò di temporeggiare quello
Elisabeth lo ignorò. «Uno, due…»
«evitare i movimenti bruschi e…»
«Tre!»
 
 
 
 
Note d’autrice.
Questo capitolo non era in programma, ma sono riuscita a ritagliarmi un po’ di tempo libero per cui.. voilà.
Non vi assicuro nulla sul prossimo capitolo, solo che dovete portare pazienza e che la speranza è l’ultima a morire. Fatemi sapere cosa ne pensate di questi due, io personalmente ho riso molto immaginandomi la scena – surreale, lo ammetto, ma se non libero la fantasia almeno su una storia, dove farlo? –.
Un abbracio!



 
 
Lady sticklethwait.



 

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Capitolo 4
*** Una bruttissimastorta ***





                                                          Capitolo 4


 
 
 
Colin aveva dentro tanto inferno da arrostirci tutti i maledetti scarafaggi del mondo.
Fece per poggiare il piede ferito a terra e gli si piegarono le ginocchia per il dolore; Elisabeth riuscì a stento a trattenersi dall’imprecare mentre puntava i piedi e lo sorreggeva.
Ella lo trattenne dal cadere, stizzita «Potete stare fermo? Rischieremo di farci del male entrambi»
Colin le rivolse un’occhiata sarcastica, nonostante lei non potesse vederlo nell’oscurità della notte  «disse colei che mi è piombata addosso come un leone. A proposito, viste le circostanze, dovrei darvi del maschile?» non fecero nemmeno un paio di passi che Colin barcollò in avanti e la ragazza si precipitò difronte per sorreggerlo.
«Oh… Questo è mooolto piacevole» mormorò il duca avvertendo il seno di lei premere sul suo torace.
Elisabeth strinse i denti e socchiuse gli occhi, concentrandosi per trovare la strada «suppongo che abbiate avuto la vostra risposta, signore»
Il duca indugiò ancora un po’ prima che lei si rimettesse al suo fianco. Con un sorrisetto tutt’altro che onorevole, Colin appoggiò tutto il proprio peso sulle spalle esili di lei. Si ritrovò a pensare che quella ragazza aveva una bella voce, un bel cervello e un gran bello spirito, pur non avendola vista bene in viso. In più, era maledettamente piacevole sentire il suo corpo così vicino. Si schiarì la voce e si guardò intorno, cercando un modo per distrarsi « se mi vedesse qualcuno di mia conoscenza resterebbe parecchio stupito» osservò «non sono solito appoggiarmi ai monelli, come il vostro abito suggerisce»
Elisabeth ignorò il commento dell’uomo, risponderlo avrebbe richiesto un ulteriore sforzo che il suo povero corpo non avrebbe retto. Il buio aveva ricoperto ogni cosa ed ella dovette faticare per riconoscere gli alberi da lontano e schivarli con moderata destrezza.
Si fermò un secondo per studiare il sentiero più conveniente per entrambi: per evitare di essere vista avrebbe dovuto prendere una via che raggirava il palazzo e la conduceva direttamente alla sosta delle carrozze, ma questo significava lasciare il duca a metà strada. Si morse un labbro, non poteva abbandonare quell’uomo così, oltretutto…
«Mi piace il vostro profumo»
«Come?» urlò lei, diventando paonazza.
Colin fece spallucce e ripeté la frase con una naturalezza tale da renderla ancora più rossa in volto «avete un buon profumo»
«G-grazie» farfugliò, scuotendo la testa con disapprovazione «Possiamo camminare più velocemente? E’ molto tardi…»
Colin rispose con un enfatico gesto della mano «vi assicuro che nemmeno io sarei così ruffiano da far finta di zoppicare per godere delle attenzioni di una dama. In verità» aggiunse poi, sospettoso « non mi sembra nemmeno di conversare con una donna»
Contro tutte le aspettative, Elisabeth si sorprese a sorridere dopo il suo commento «lo considererò un complimento, milord. Non possiedo nemmeno un’oncia di femminilità, se proprio volete saperlo. Svoltiamo a destra»
«Vi assicuro che non è passato inosservato» alluse quello, ricordando i vestiti maschili della ragazza.
Dopo una difficoltosa manovra, Elisabeth continuò a parlare, sorpresa di sentirsi incredibilmente rilassata nonostante la situazione non fosse delle migliori «Sono peggio di quanto possiate immaginare, milord. Non so se il vostro povero cuore reggerà, considerando le condizioni della vostra caviglia»
Il duca sogghignò, notando in distanza che la meta era più vicina del previsto «oh, questo è un colpo basso, siete di mano e puntate tutto contro di me, ma ricordate» si abbassò leggermente «potreste sballare da un momento all’altro»
Svoltarono bruscamente a sinistra ed Elisabeth intravide delle luci da lontano. Sarebbero arrivati di lì a breve.
«Non so servire il tè e temo di essere terribile al pianoforte» confessò, restia a farlo.
«Orrore!» commentò il duca con finta indignazione, portandosi una mano al cuore.
Elisabeth rise di cuore, come forse non faceva da molto tempo.
«Lo sospettavo, comunque… Avete l’aria di una piccola selvaggia ma temo che lì dentro vi faranno entrare» indicò il palazzo con un cenno del capo «dopotutto, il luogo è d’una noia mortale»
Le parole le scapparono di bocca più veloce di quanto avesse voluto «Non ho mai pensato di entrarci, volevo solo guardare»
Egli rimase interdetto «Guardare? Avevo intuito la vostra stranezza, ma non fino a questo punto…» disse con voce strozzata quando per sbaglio toccò terra con il piede infortunato. Elisabeth, notando il dolore trattenuto del conte, si fermò «volete sedervi, milord? Accidenti» commentò, preoccupandosi sul serio « temo proprio che sia più grave di una storta»
Il conte scaricò tutto il suo peso su un albero nelle vicinanze, liberando Elisabeth dal suo braccio. Sorridendo e madido di sudore, inclinò il capo «Convengo con voi, dev’essere una bruttissimastorta»
Inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia «vi fa molto male?»
«Posso assicurarvi che ululerei e supplicherei Dio di risparmiarmi questo strazio, ma il mio orgoglio me lo impedisce» rispose quello, cambiando discorso.
«Il vostro umorismo è fuori luogo.»
«Il mio umorismo… Ehi, dove diavolo andate?»
Elisabeth scomparve dal raggio di azione del duca, ma poco dopo sentì la sua voce ad una discreta distanza «Milord, insisto perché usiate il bastone»
Il duca sorrise, sensuale «su di voi?»
«Per camminare!» gli gridò lei di rimando. Pochi istanti dopo un fruscio di foglie attestò che la giovane selvaggia era tornata con in mano un bastone abbastanza robusto per sostenere il peso del duca.
«Ecco» Elisabeth gli si parò davanti; nonostante il buio, riuscì a riconoscere il duca dal profumo che emanava «santo cielo, puzzate come se vi foste immerso in una profumeria» commentò lei con disprezzo, porgendogli il bastone.
Il duca tastò la solidità del ramo e dopo poco iniziò a muovere qualche passo «Oltre a monello anche segugio. Ditemi, signorina Richterson, c’è qualcos’altro che dovrei sapere? Per esempio…» fece una pausa, scorgendo i capelli ramati della donna. Elisabeth, intuendo che il duca si era girato per guardarla, si affrettò a rimettersi il cappellino in testa «perché una signorina rispettabile è vestita in tal modo?»
Elisabeth tacque per qualche istante e sorrise di rimando «chi vi dice che io sia una signorina rispettabile, milord?»
«Bhè» si schiarì la gola «se foste una donna esperta ed elegante, vi avrei già vista nei migliori salotti. Questo mi porta a escludere che voi siate di Londra…»
«Allora…»
«Nemmeno quello» la anticipò, abbassandosi per schivare un ramo «vedete, signorina, sono un duca, ma ciò non esclude che possa essere anche un dannato farabutto. Se foste, come volete farmi credere, una cortigiana…» lasciò morire la frase, per aizzare la sua curiosità.
Elisabeth non se lo fece ripetere due volte «Sì?»
Colin rispose con una scrollata di spalle «vi sareste comportata diversamente, trovandovi nella possibilità di poter trascorrere del tempo con me»
La ragazza di accigliò: ma che dannato presuntuoso doveva essere quell’…uomo? Ah, non conosceva nemmeno il suo nome. A pugni stretti si mise in marcia con il duca che la seguiva zoppicando ed un lago sorriso stampato in faccia. Poiché lei camminava molto più in fretta, lo distanziò di un buon tratto finché non si sentì chiamare.
Colin le offrì un sorriso di traverso «non avrei mai pensato di poterlo dire, ma temo di non riuscire a zoppicare più veloce»
Elisabeth fu tentata di sbattere un piede a terra e arricciare il naso, come faceva da bambina quando veniva smascherata.
Andandogli incontro si schiarì la voce, cambiando discorso «vi sarei grata se voleste comportarvi con la discrezione di un gentiluomo e tacere riguardo la natura del vostro malessere» disse tutto d’un fiato.
Bhè, in realtà il duca non conosceva il suo vero nome ma non poteva permettersi che tutti conoscessero i dettagli riguardo quell’incontro: oltretutto, avrebbe fatto a breve il suo ingresso in società, e se l’avesse riconosciuta dal tono di voce? O dai capelli? O da qualsiasi altro particolare che aveva potuto scorgere tra le tenebre e la luce?
Colin ridacchiò, cercando di tenersi in equilibrio «Oh, probabilmente la vostra reputazione è già andata a pezzi nel preciso momento in cui mi siete caduta addosso»
La ragazza per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Cosa intendeva? Oh, diamine, lei non era ancora pronta a ragionare nell’ottica del bon ton.
Cercò di tastare il territorio, andandoci piano «E’… è così che funziona? Io aiuto un uomo per un nobile scopo e la mia reputazione va a farsi benedire?» chiese con voce insicura.
Il duca rimase interdetto per qualche secondo, estremamente divertito dal linguaggio inusuale di quella donna.
«Anche a me sembrava che indugiare sul vostro petto fosse nobilissimo, ma… Questa città non perdona molto chi sbaglia poco»
Elisabeth arrossì e guardò a terra. Per un momento fu tentata di rispondergli a tono ma quando alzò il volto per farlo, si accorse che erano ormai pericolosamente vicino all’entrata del palazzo e la luce si era fatta più intensa.
«Gran bella serata, vero?»
Elisabeth si sorprese a sorridere «molto goffo, come tentativo di conversazione. Temo che la nostra corsa finisca qui»
«Ah, sì?»
«Sembrate deluso»
«Aggettivo interessante ma non corretto. Piuttosto, non posso concedermi di rendere la serata più sopportabile con l’ausilio dell’alcool» sospirò sonoramente, «tutto solo con quel branco di lupi famelici...»
«Lupi?» chiese Elisabeth, fermandosi.
«Signorine che aspirano a diventare rispettabili signore» chiarì Colin «un branco di lupi, tutte. Esclusi i presentì, ovviamente» sorrise zelante.
Elisabeth fu tentata di fare un commento ironico sulla difficoltà di tenere a bada le signorine, ma sentì delle voci urlare da lontano e istintivamente, coprendosi il volto con le mani, arretrò nell’oscurità.
Il duca ancora non si era accorto di essere completamente visibile e si voltò istintivamente verso di Elisabeth che teneva entrambe le mani premute su naso e bocca «Vi sanguina il naso?»
Elisabeth gli diede le spalle, guardando a terra. Dio, il duca era di una bellezza folgorante. Terrorizzata, guardò a terra con gli occhi sbarrati e le gambe tremanti: avrebbe voluto salutarlo, ma ora le voci erano ancora più vicine e si ritrovò, pochi attimi dopo, ad abbandonare il duca e a scappare come una ladra.
Mentre correva nella direzione opposta verso la salvezza sorrise, immaginandosi la faccia che avrebbe fatto il duca non trovandosela più al fianco.


 

Lady Sticlethwait.


 
 

 
 
 
 

 

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Capitolo 5
*** L'amore di una madre. ***


                       

                                                                                     Capitolo 5
 
 
 


Colin Bekwell quarto duca di Kensbrung se ne stava seduto nel suo studio, la poltrona reclinata all’indietro e i piedi sulla scrivania.
Di tanto in tanto immergeva la mano nella cesta al suo fianco e sgranocchiava spensierato della frutta secca.
Si passò una mano tra i capelli mossi, erano ore che controllava i registri; in realtà aveva tanto bisogno di un segretario che lo aiutasse nel registrare i pagamenti, effettuare le dovute manutenzioni alle abitazioni dei fattori, regolarizzare assegni, controllare gli incassi mensili e annuali. Senza dimenticare che da lui dipendevano i servitori dell’intero palazzo e che era lui stesso a voler condurre affari speculativi con altri signori di rango inferiore o superiore.
Un bussare alla porta trattenuto lo destò dal suo lavoro,
«Avanti»
I piedi gli scivolarono dalla scrivania e la poltrona ricadde pesantemente sul pavimento.
Mrs Katherine Bekwell fece la sua entrata con un sorriso smagliante; madre di due figli, Colin e Julia, sembrava più giovane di quanto l’età effettiva suggerisse. Gli occhi grandi, il viso rotondo circondato da capelli scuri, ricci e corti non rivelavano di certo gli abbondanti sessanta anni.
Colin si alzò di scatto, non poteva permettersi di ignorare le buone maniere davanti a sua madre.
«Ho visto che avevi i piedi sul tavolo» disse Katherine prima che lui potesse aprire bocca.
«Stavo pulendo la superficie con le scarpe»
Katherine chiuse dietro di sé la porta con innata grazia e sospirò «Oh, Colin, a volte mi sembra che tu non abbia più di tre anni»
Colin le andò incontro e sorrise «lo prenderò come un complimento, madre. Ma sedetevi, vi prego» la scortò verso una poltrona viola bordata in pizzo bianco. Katherine si lasciò cadere e prese a sventolare il ventaglio con aria severa.
Non prometteva nulla di buono, non prometteva proprio niente di…«Figlio mio, saprai bene che questa settimana ricorre il compleanno di tua sorella» iniziò in tono teatrale. Ecco, Colin si sentì improvvisamente soffocare in quello studio così piccolo. Si alzò dirigendosi verso la finestra. Ah, l’aria. Pura, libera, magnifica…aria.
Katherine si schiarì la gola «ho intenzione di far coincidere la festa con il suo primo ingresso in società, caro. Cosa ne pensi?»
Colin fu colto alla sprovvista. Non aveva sentito nemmeno una parola di ciò che sua madre aveva detto, preso com’era a contemplare il paesaggio che si intravedeva dalla finestra «Emh, sì. Sì, certo. Magnifico» Avrebbe risposto "magnifico" comunque, anche se gli avesse chiesto se voleva leggerle un trattato di botanica o una dissertazione sulla tundra artica.
Katherine sembrò sciogliersi sulla poltrona. Sembrava davvero contenta di ricevere il consenso di suo figlio.
Colin si girò verso di lei, appoggiandosi con la schiena alla finestra e incrociando le braccia «Molto bene, madre. Ora rivelatemi il vero motivo per cui siete giunta qui»
«Colin!» le si imporporarono le guance «è così che ricevi tua madre?»
«Oh mi dispiace, che sbadato, una tale mancanza di cortesia dev’essere scambiata senz’altro per maleducazione. Volete del tè?» le suggerì il duca con ampio sarcasmo. Katherine si alzò dalla poltrona.
«Smettila di fare lo spiritoso. Sono venuta qui con…»
Il duca la interruppe con un cenno della mano «Madre, so perché siete venuta qui ed è proprio per questo che voglio risparmiarvi di perdere ulteriore tempo.»
«Bene» fece quella, stringendo con entrambe le mani il ventaglio «ma tutto questo non spiega dove sei sparito per un’intera serata»
Colin si grattò il mento con fare pensoso. Un’intera serata? Ma cosa diavolo…Sorrise, ricordando perfettamente dove era sparito quella serata.
Colin prese tempo prima di rispondere.
«Ve lo ha mai detto nessuno che siete troppo curiosa?»
Katherine si indispettì «Oh, me lo dicono in continuazione. Dove sei stato?»
«E ostinata, anche» commentò, afferrando la preziosa scatola d’oro che conteneva i sigari.
«Non posso farne a meno. Dov’eri?»
«Sapete» iniziò, prendendo un sigaro e portandoselo sulle labbra «stavo considerando di investire un po’ di soldi in una fabbrica di museruole destinate agli umani»
Katherine si avvicinò e sbatté un piede a terra, esasperata «dov’eri?»
Colin rifletté prima di dare una risposta a sua madre «Mhh, ora che mi ci fate pensare credo proprio di aver goduto della compagnia di una fanciulla, quella sera»
Il viso di Katherine si illuminò «Davvero? Chi è? Oh, figliuolo…» allargò le braccia e fece per avvicinarsi, ma Colin la fermò «Frenate l’entusiasmo, madre…Madre!»
Katherine non lo stette ad ascoltare e gli si gettò addosso, abbracciandolo e ridendo per la felicità. Katherine, molto più bassa del duca, gli arrivava al petto; Colin, d’altra parte, alzò le mani e diede una pacca sulla spalla della madre, imbarazzato. Dannazione, perché prendeva sempre fischi per fiaschi?
«Madre…» iniziò, cercando di dileguarsi dalla sua stretta.
«Sapevo che con la signorina Timberly avreste trovato un punto in comune!»
«Con la signorina… cosa?» quasi si strozzò. Aria, gli mancava la maledettissima aria.
Katherine lo liberò dall’abbraccio e lo guardò con occhi lucidi e speranzosi «Ma la signorina Timberly, chi altro sennò? E’ una fanciulla così a modo…»
Colin fece qualche passo di traverso svincolandosi dal raggio d’azione di sua madre per rifugiarsi nel suo piano di lavoro, frapponendo tra lui e sua madre la scrivania.
«Mi dispiace deludervi, madre, ma la signorina in questione non è sicuramente Kim…Tem…Kernely?» azzardò, accendendosi il sigaro.
«Timberly.»
La stanza di si impregnò del forte odore di sigaro e la madre arretrò, per non lasciarsi investire dal fumo.
«Sì, sì» fece un cenno con la mano ed espirò «come vi pare»
«Bhè» Katherine riaprì il ventaglio tornando a sventolare energicamente viso e petto «chiunque sia questa signorina dev’essere stato un dono dal cielo se…»
«Da un albero, ci tengo a precisare, e dubito che fosse un monito divino» la interruppe zelante Colin, che si guadagnò un’occhiataccia da sua madre
«Dicevo, dev’essere stato un incontro proprio speciale se è riuscita a catturare la tua attenzione per un periodo di tempo così lungo» parve soddisfatta, al termine di quella supposizione.
Colin sorrise, rivelando una fila di denti regolari e incredibilmente bianchi «Più che speciale, madre. Da quel giorno non faccio che dondolare sulle sedie, maledire i temporali e bestemmiare contro gli spifferi a causa del mio piede»
«Colin!» lo rimproverò la madre, per poi addolcire il tono «proprio non vuoi dirmi chi è la giovane donna che ti ha gentilmente soccorso poc’anzi?» sbatté le ciglia.
D’accordo, basta così. Era arrivato il momento di finire quella pagliacciata.
«Madre» iniziò, con fare affascinante, avvicinandosi alla porta «non ve lo ha detto nessuno che questa mattina siete particolarmente splendente?»
Katherine sorrise, adulata «Ti crederei, se non sapessi che sei il peggior furfante che abbia mai incontrato.»
Colin si inchinò e le baciò una mano «una delizia per gli occhi, ve lo assicuro»
«Questa è una risposta evasiva» lo rimproverò, vedendolo allontanarsi.
«E questa» disse quello con un sorriso da furfante «è una manovra evasiva»
«Colin! Fermati!»
Ma ormai era già uscito dalla stanza.



 
 
 
«Non potete perdervi l'esperienza di cavalcare sul Row» insistette lui nel tentativo di incuriosirla.
Funzionò. Elisabeth lo guardò. «Il Row? Che cos’e?»
«Rotten Row è una pista di sabbia a Hyde Park dove le persone più in vista si riuniscono dalle dodici alle due per cavalcare.»
«Rotten Row. Che nome!»
Ruark annuì «Essere vista a cavallo al Row è un modo eccellente per le giovani donne di impressionare i gentiluomini. Cavalcare è un'altra delle molte opportunità che offre la Stagione per conoscere potenziali mariti. Quindi vedete, dovreste imparare a cavalcare.»
Elisabeth sorrise con grazia «Oh, ma io so già cavalcare, signore»
L’uomo al suo fianco parve impressionato, ma non commentò. Arrivarono fin dove si affittavano le carrozze e l’uomo le consentì di scegliere il cavallo. Quasi non sussultò quando vide la donna avvicinarsi verso un cavallo nero dai muscoli guizzanti ed il comportamento non propriamente docile.
Allarmato, le si avvicinò «Miss Barbrook, siete proprio sicura di…» si arrestò.
Il cavallo, appena Elisabeth prese ad accarezzarlo sul volto e a familiarizzare con lui, sembrò acquietarsi. Anzi, addirittura si lasciava nutrire dalla fanciulla che in quel momento aveva raccolto una mela rossa dal grande cesto lì vicino per gli animali.
«Mr Tarlen» lo guardò sorpresa, accarezzando il muso del cavallo «potete chiudere la bocca? Pare che abbiate ingoiato uno sciame di moscerini»
Ruark scosse la testa, come a cercare di rimuovere quell’immagine e sorrise «Scusatemi, signorina Barbrook, ma non ho potuto far a meno di notare che siete molto esperta con…il…cioè con i cavalli» arrossì, e le si avvicinò «Posso aiutarvi a salire? Ce la fate?» le chiese, guardando il cavallo con sentita preoccupazione.
«Sono una scimmia» gli rispose Elisabeth «Mia madre diceva che dovrei muovermi con più leggiadria, ma a me è antipatica solo la parola»
A onor del vero salì sul cavallo senza farselo ripetere due volte, lasciando Ruark a terra. Poco dopo egli montò su un altro cavallo bianco e si diressero in una vasta zona verde delimitata al lato destro da un lago circolare.
Ogni tanto qualche gentiluomo si toglieva il cappello per salutare il signor Tarlen. Molti apparivano incuriositi da Elisabeth e probabilmente si domandavano chi fosse. Quella mattina i raggi del sole erano tiepidi e l’aria particolarmente piacevole; Elisabeth avrebbe voluto uscire da sola ma quando Mrs. Bigginton aveva attaccato un sermone su quanto fosse sconveniente per una giovane ragazza addentrarsi da sola, seppur in pieno giorno, in un luogo pubblico, aveva desistito. Con immenso piacere le aveva presentato il signor Ruark Tarlen, vecchio amico di famiglia, e l’uomo si era gentilmente offerto di scortarla. Ora, sulla natura di quella inaspettata gentilezza Elisabeth aveva nutrito non pochi dubbi, anche perché non di rado scopriva il signor Tarlen guardarla con occhi lucenti. Gli lanciò un’occhiatina, poi guardò subito avanti: non era un uomo particolarmente bello, ma sembrava molto atletico. E poi, aveva le unghie corte e pulite. Se c’era una cosa che aveva imparato in campagna, era che bisognava apprezzare gli uomini con le mani curate.
«Cos’è questo baccano?» chiese Ruark, avvertendo in lontananza schiamazzi e risatine. Elisabeth seguì il suo guardo e si lasciò catturare da un uomo che sfrecciava lungo un rettilineo in sella ad altrettanti cavalli.
«Dev’essere quel Bekwell» commentò Ruark, calcando l’accento sul suo nome, quasi lo odiasse «come al solito è impegnato in qualche assurda scommessa. Non ha nessun decoro, quell’uomo, né buon senso.»
Elisabeth strizzò gli occhi e vide un cavallo saettare montato da un cavaliere dall’abbigliamento bizzarro: la camicia era sfilata dai pantaloni ed aperta sul petto, non portava giacca né panciotto. Alcune fanciulle sul calesse erano rimaste a bocca aperta e guardavano la scena con falso stupore ma sotto sotto facevano battutine e si scambiavano occhiatine tutt’altro che poco maliziose.
«E’ osceno» commentò il signor Tarlen al suo fianco «la prego, signorina Barbrook, di scusarmi per averle imposto la vista di questo spettacolo pietoso, ma non c’è alcun modo di tornare indietro data la…» si arrestò, notando che Elisabeth aveva gli occhi che le brillavano e le labbra socchiuse «signorina Barbrook? T-t-tutto bene?»
«E’ meraviglioso» mormorò stupefatta.





Note d’autrice.
Sono davvero contenta di aver ripreso a scrivere questa storia. Vi ricordavate di Ruark? Io sì, ed anche molto bene, quel brutto ceffo. Chissà che ruolo investirà in questa storia.
Povera Katherine, dev’essere davvero difficile crescere un figlio testardo come Colin. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, sono davvero curiosa di ascoltare il vostro parere. A presto!




 
Lady Sticklethwait.

 

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Capitolo 6
*** Una piacevole passeggiata. ***


                                                                                                                 Capitolo 6.
 
 
 
“Come prego?”
Elisabeth scosse la testa e chiuse la bocca, destandosi.
“Oh” si voltò verso Ruark, il cavallo sotto di lei sembrò cogliere il suo disagio ed iniziò ad agitarsi “è meravigliosa la potenza che sprigionano questi animali, non trovate?” sorrise affabile, tirando le redini.
Il signor Tarlen sembrò rilassarsi “convengo con voi, signorina Barbrook. Sapete…” si grattò la testa, imbarazzato “per un momento ho pensato che vi riferiste a quel...a quel selvaggio di un Bekwell.”
Elisabeth finse orrore e si portò una mano sulla bocca. Non che fosse realmente scandalizzata, ma aveva visto quella particolare movenza da un paio di donne molto eleganti quella mattina.
Doveva aver funzionato poiché Ruark si accigliò e la interruppe, nonostante lei non avesse alcuna intenzione di controbattere “No, non dite niente” guardò a terra “è stato terribilmente sconveniente da parte mia pensare ciò.”
Elisabeth inclinò la testa con grazia, il vento le sferzò il volto senza pietà liberando alcune ciocche rosse ribelli dalla modesta acconciatura. Avrebbe tanto voluto togliersi quei dannati spilli dalla testa, allentare i lacci del corsetto, montare come un uomo e cavalcare controvento. Purtroppo, sapeva anche che molto probabilmente non era la cosa migliore da fare in un luogo affollatissimo come quello; per un momento addirittura riuscì ad immaginare quali potessero essere le raccomandazioni e gli eventuali rimproveri che sua madre le avrebbe mosso in un’occasione del genere.
Sbuffò, alla ricerca del giovane uomo che si stava divertendo a scapito della disapprovazione comune: perché determinati atteggiamenti non erano permessi alle donne?
Il cavallo sotto di Elisabeth iniziò a strepitare ed a sbuffare, rendendola instabile.
Quanto ti capisco, gioia, anche io vorrei…
Da qualche parte, nelle vicinanze, qualcuno sparò un colpo in aria. Molto probabilmente fu proprio la comitiva con cui si trovava Bekwell ad aver fatto fuoco: difatti, subito dopo lo sparo, un paio di cavalli iniziarono a correre all’impazzata dopo essere partiti insieme e man mano che guadagnavano terreno, si distanziavano l’uno dall’altro.
Fu come se il cavallo di Elisabeth non aspettasse altro: senza il benché minimo avviso, l’animale nitrì alzandosi sulle zampe posteriori. Elisabeth si aggrappò con tutte le forze alla criniera del cavallo per evitare di cadere a terra come un uovo sbattuto; poi, senza preavviso, la bestia ritornò sulle quattro zampe e iniziò a correre in direzione della comitiva.
Elisabeth tirò le redini della bestia ed infilò gli speroni nella tenera carne dell’animale ma questo, come impazzito, continuò la sua fuga. Il signor Tarlen urlò il suo nome, terrorizzato per l’accaduto. Il cavallo che cavalcava Elisabeth era un purosangue; giovane, vigoroso, maschio, non era ancora stato domato del tutto. Elisabeth, non lasciandosi prendere dal panico, decise di assecondare l’animale. Attirando l’attenzione di tutti, cercò di virare il percorso dell’animale verso il giardino, per evitare che potesse creare danni ai pedoni.
Un paio di dame urlarono per la sorpresa, numerosi furono i bambini che si nascosero dietro le gonne delle proprie madri, attoniti, spaventati. Parve che nessuno riuscisse effettivamente a intervenire, o forse, gli uomini erano troppo spaventati per farlo.
Elisabeth incurvò un angolo della bocca, sorridendo, i capelli si liberarono dalla treccia e una fluttuante e morbida chioma rossa si sparse sulle proprie spalle, creando degli incredibili giochi di luce con la luce solare.
 Contro le aspettative di tutti, in una mossa precisa ed estremamente agile rinunciò alla posizione da amazzone con tutte le conseguenze che ne seguirono: l’abito, non abituato ad una tale apertura, si accorciò rivelando gran parte delle caviglie e dei polpacci.
Molte donne si coprirono gli occhi, non mancò chi volgeva il capo dall’altra parte e le numerose occhiatine di disapprovazione. Quanto agli uomini, molti osservarono ammirando l’audacia di Elisabeth e la sua inusuale sensualità.


 
Colin si era classificato primo. Scese da cavallo con agilità, sventolando con orgoglio il fazzoletto bianco, segno di un simbolico bottino. Fischiettò di buon umore, avvicinandosi a un Anthony Furey più furioso che mai.
“Stronzo” borbottò quello, scendendo da cavallo.
Colin sogghignò “forse sono più sbronzo del previsto, perché m’è parso che tu mi abbia chiamato stronzo”
Anthony gli rivolse un occhiataccia, togliendosi la giacca “ringrazia di essere un duca, altrimenti a quest’ora ti avrei già spaccato la faccia” sputò a terra “Milord”
Colin buttò il fazzoletto a terra e si rabbuiò “Stai frignando, Furey? Mi sembra un po’ sconveniente per la tua età…”
Anthony si avvicinò ulteriormente, sfiorandogli il petto; Colin lo superava in altezza e in agilità, ma se fosse riuscito ad assestargli un pugno in pieno viso, molto probabilmente quel ghigno impertinente si sarebbe trasformato in un qualcosa di completamente opposto.
“Stai attento, Bekwell.”
“Sto tremando, Furey, non mi vedi?” alzò le braccia, fingendo di essere disarmato.
I due si ritrovarono faccia a faccia, la muscolatura tesa, i volti severi e le sopracciglia aggrottate. La comitiva del duca avvertì l’aria di un imminente scontro e la maggior parte di loro si avvicinarono frementi alla scena, circondandoli. Poi, improvvisamente, si levò un grido in lontananza; una donna infatti, vedendo il cavallo di Elisabeth dirigersi verso il laghetto, urlò sconvolta, cercando aiuto.
La comitiva si sparpagliò, la nuova situazione che si era andata a creare era sicuramente più interessante della potenziale rissa tra il duca ed Anthony.
“Ma cosa diavolo…” commentò Anthony vedendo il cavallo di Elisabeth sfrecciare come impazzito. Alcuni uomini, i più arditi, cercarono di avvicinarsi il più possibile, ritirandosi una volta visto la mole del cavallo.
Colin sbuffò, infilandosi alla bell’e meglio la giacca sulla camicia semi aperta “Che dannatissima seccatura”
Quando Anthony si girò, il duca già stava montando sul suo cavallo. “Sei impazzito?” gli si avvicinò minaccioso “è un cavallo selvaggio, non riuscirai a…” non riuscì a finire la frase, che Colin già aveva lanciato il suo cavallo al galoppo.
Incurante dei commenti altrui, Colin spronò il cavallo alla rincorsa di quello nero: era ancora abbastanza lontano, ma dopo aver coperto una buona distanza realizzò che a montarlo era una donna e… Polpacci scoperti? Capelli sciolti?
Incuriosito e sospettando che fosse un miraggio iniziò una vera e propria rincorsa. Il cavallo della donna aveva virato ed si accingeva a salire lungo il giardino che culminava con un bel laghetto circolare; Colin scosse la testa, incredulo e cosciente che il giorno seguente avrebbero sicuramente parlato di lui in tutti i salotti e nei giornali scandalistici. Comunque, era pur sempre il detentore del titolo di  ‘cavallerizzo più veloce dell’anno’, e sembrava che tutti fossero troppo impegnati a urlare scandalo piuttosto che fermare quel dannato cavallo. Oltretutto… La donna tirò le redini con decisione, pareva abbastanza cosciente di ciò che stava facendo, nonostante il cavallo non ubbidisse più ai suoi ordini.
Insomma, nessuna persona con un briciolo di amor proprio avrebbe scelto per un’allegra passeggiatina un tale stallone: già la muscolatura del cavallo era sufficiente per scartalo, se a questo poi si aggiungeva il temperamento non propriamente docile…
Quando furono ormai troppo lontani per poter essere oggetto di critiche e battutine maliziose, Colin urlò “Aspettate”, sperando che la donna lo sentisse. Spronò ulteriormente il suo cavallo nella speranza di raggiungerla.
La giovane donna si girò e parve tutt’altro che contenta della sua presenza; difatti, quando il duca si era ormai avvicinato troppo, cambiò improvvisamente strada e si ritrovò a virare in un terriccio bagnato e fangoso. Pochi metri più avanti e sarebbe caduta proprio nel laghetto, elemento che, molto probabilmente, la signorina non aveva preso in considerazione.
“Fermatevi, maledizione, o finirete per uccidervi” Colin scese a volo dal cavallo che iniziò a brucare erba e corse in soccorso della giovane.
A pochi metri di distanza ella si girò; aveva gli occhi più scintillanti e infervorati che avesse mai visto. Trasudava collera da ogni poro, santo cielo, e le guance erano rosse come le mele.
“Non vedete che lo avete spaventato? Andate via!” gli intimò la giovane che esce scesa dal cavallo mostrando inavvertitamente, nel gesto, una buona porzione di biancheria intima. Colin gradì quella vista ma subito dopo scosse la testa, ricordando le parole di lei “Spaventato? Piuttosto, siete fortunata a non esservi spezzata l’osso del collo”
Nel tirare le redini del cavallo, la signorina si sporcò le scarpette e uno schizzo di fango volò sulla propria guancia.
“E lo ritenete merito vostro, signore?” fece quella, sfidandolo a controbattere.
Colin si grattò il mento “Sono pronto a ritirare la cavalleria qui ed ora, se è vostro desidero ”
Elisabeth sbuffò anche se, dovette ammettere, la sottile ironia di lui le fece venir voglia di sorridere.
“E’ più dignitoso farmi credere che quello non fosse un tentativo di salvataggio, signore, perché altrimenti direi che…” le mancò per un attimo il fiato per lo sforzo “si è rivelato, oltre che terribilmente imbarazzante, completamente fallimentare e ora” disse tutto d’un fiato, sorridendo impertinente “se volete scusarmi…” riprese a scuotere le redini del cavallo ma questo, pesante e stanco com’era, non si mosse.
Il duca alzò un sopracciglio, si mise a braccia conserte e la osservò senza dire una parola.
Elisabeth continuò a strattonare l’animale finché il caldo, la stanchezza e il fetido odore di fango e cavallo non le provocarono un conato di vomito.
Davvero il signor Bekwell la stava guardando sudare sangue senza fare nulla? Come aveva detto il signor Tarlen, doveva essere un vero e proprio mascalzone. Moltivo per cui, si ripeté internamente, era cosa buona e giusta comportarsi alla stregua di un maschiaccio.
“Mi auguro che vi stiate godendo lo spettacolo” commentò a denti stretti per la frustrazione, mantenendosi il ventre con una mano.
“Infinitamente, grazie.”
Elisabeth si girò con l’intento di incenerirlo con lo sguardo. Dovette distorsi dall’intento all’apparire di due adorabili fossette sul suo volto giovane.
Se la rideva, lui.
E con immenso piacere, per essere precisi. Si fermò, studiandolo con incredibile assenza di pudore: capelli castani che si arricciavano sulle tempie e sul collo, occhi azzurri… Oh, cielo.
Non poteva essere, non poteva...
“Non. Muovetevi” disse lentamente, lasciando le redini del cavallo ed avanzando con cautela. Il duca inarcò un sopracciglio, confuso
“Cosa…State facendo?”
Elisabeth si avvicinò ulteriormente: Colin non poté non ammirare da quella vicinanza delle scandalose lentiggini sul suo naso e sulle gote, frutto di una lunga esposizione al sole. Quella ragazza era…Era una combinazione di stravaganza e indecenza, santo cielo, e sembrava non curarsene affatto circa la totale mancanza di grazia nei movimenti.
Elisabeth si avvicinò ancora, finché i due non risultarono quasi vicinissimi. Alla mancanza di grazia si aggiunse, a quel punto, la totale assenza di pudicizia o decoro.
Colin fece un sorriso di traverso adorabile, un sorriso che di solito riserbava alle cortigiane che si avvicinavano in cerca dei suoi favori a cui lui, da gentiluomo qual era, non poteva certamente declinare.
La giovane donna che le si stava avvinando, però, appariva tutt’altro che una cortigiana; lungi dall’essere una donna raffinata, mostrava il temperamento di un generale e senz’altro doveva averlo per decidere di montare un cavallo del genere.
Quando la giovane donna si avvicinò ulteriormente  poté scorgere da vicino anche l’incredibile lunghezza delle sue ciglia nere che stridevano, per il colore, con i capelli rossi. Colin non era sicuro che quel diavolo rosso fuoco avesse gettato così presto le armi; fino a pochi minuti fa aveva mostrato l’aggressività di una tigre, mentre ora un comportamento del genere lo coglieva per lo più inaspettato. Oltretutto, non riusciva a dimenticare la sensazione che l’avesse già vista, come se loro due giù si conoscessero e… Ella, senza preavviso, puntò l’indice in direzione della camicia dell’uomo, proprio sullo scollo. Colin osservò il punto che la donna indicava e nel momento in cui vi caddero gli occhi, sovvenne la sua voce bassa ed estremamente sensuale.
“Letame di piccione.”



 
 
 
 
Note d’autrice.


E’ un capitolo terribilmente corto, ma vi assicuro che ben presto ne sfornerò un altro.
Dannatissimi esami!
 
 


Lady Sticklethwait.

 

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