Atme die Liebe.

di unleashedliebe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I (W) ***
Capitolo 2: *** Capitolo II (I) ***
Capitolo 3: *** Capitolo III (R) ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV (D) ***
Capitolo 5: *** Capitolo V (U) ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI (R) ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII (C) ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII (H) ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX (B) ***
Capitolo 10: *** Capitolo X (R) ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI (E) ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII (C) ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII (H) ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV (E) ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV (N) ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI (D) ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII (I) ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII (E) ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX (Z) ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX (E) ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI (I) ***
Capitolo 22: *** Epilogo (T) ***



Capitolo 1
*** Capitolo I (W) ***


Disclaimer: I Tokio Hotel non mi appartengono (se fosse così ora non sarei a scrivere storie su di loro ma a fare altro..). Quello che è narrato non ha corrispondenza con la realtà (in quanto frutto della mia mente a volte troppo contorta) e non è stata a scritta a scopo di lucro, perciò non ci guadagno nulla (ahimè!).

Note dell’autrice: Sono tornata, mi volevo scusare con tutti per il ritardo, avevo in programma di postare subito dopo la conclusione di “Stich ins Glück” ma vari contrattempi – tra cui il computer rimasto in riparazione per più di un mese e la mia voglia di scrivere improvvisamente scomparsa – mi trovo a pubblicare solamente oggi, tempo dopo. Mi è mancato stare su EFP, sinceramente (:
Ora ci terrei a dire qualcosa riguardo a “Atme die Liebe” {Respira l’amore}; il primo capitolo l’ho completato verso fine marzo, poi ho scritto gli altri con vari intervalli di tempo, a volte ho pensato di abbandonarla ma alla fine non l’ho mai fatto, perché mi sono impegnata molto e sento di esser e “cresciuta” man mano che scrivevo. Come capirete dal prossimo capitolo, ho scelto una protagonista “particolare” e spero il contesto non offenda nessuno. Il banner della storia non è questo, è solo per il primo, in quanto se avessi messo l’altro avrei svelato tutto troppo presto. Cos’altro dire? È diversa dalle altre storie che ho scritto, molto più romantica e introspettiva – credo. Ho davvero amato scriverla.
Sono stata molto indecisa riguardo al postarla o meno, più che altro temo non possa piacere! Alla fine se è qua è grazie alle parole della Ludo “è diversa da tutte quelle che ho letto,anche se in vertà non sono molte, ma è davvero diversa e sarebbe uno spreco tenertela per te ( e me ** ) DEVI, per favore" se ho trovato il coraggio necessario per postarla.
Cosa posso aggiungere? I primi capitoli saranno corti, man mano si allungheranno :3
Sono legata a questa fan fiction, perciò spero possa conquistare anche voi!
Posterò regolarmente – salvo imprevisti. Ci terrei lasciaste una recensione, fa sempre piacere sapere i pensieri su quello che scrivo, sia positivi che negativi, in fondo non sono nata imparata (purtroppo!) e ho solo sedici anni, studentessa di ragioneria non scrittrice! (Magari un giorno lontano però..)
Concludo quest’infinito monologo, buona lettura!

Unleashedliebe (Anna)


(c)ADL

Atme die Liebe


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PROLOGO

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Si diresse verso la porta con passi incerti. Vi si fermò davanti, voltandosi nella mia direzione.

- Il vero amore dura per sempre, supera ogni ostacolo e tempo. Ci amiamo e niente potrà impedirci di stare assieme, un giorno-.

Volevo trovare una risposta adeguata a quell’affermazione, ogni parola che mi veniva in mente mi sembrava banale.

Perciò ricambiai con un sorriso che era un misto di tante cose: rassegnazione, tristezza, amore, speranza, addio.

Abbassò gli occhi e notai un luccichio che nascose prontamente coprendosi con gli occhiali da sole. Stava piangendo. A causa mia.

-Addio..- riuscì a mormorare talmente piano che temetti non m’avesse sentito.

-Arrivederci- rispose invece lui, dolcemente, per poi uscire dalla mia stanza.

…e dalla mia vita.

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CAPITOLO I (W)

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Madrid, marzo 2008.

I Tokio Hotel non si erano mai esibiti in Spagna, quello sarebbe stato il primo concerto nella capitale e speravano non fosse l'ultimo. Dall'uscita del singolo "Monsoon" si erano guadagnati una fama non indifferente su tutto il suolo europeo, permettendo così l'organizzazione del 1000hotels tour, i cui biglietti furono venduti in pochissimo tempo, catapultando la band di adolescenti sulle scene.

I quattro ragazzi erano radunati nel backstage, per il solito rituale pre-show. L'aria era un misto di adrenalina e nervosismo, Bill sbatteva nervosamente il piede a terra, Gustav aveva chiuso gli occhi e suonava con le bacchette sulla batteria immaginaria, Georg ascoltava musica a tutto volume mentre Tom si limitava a fissare gli altri componenti cercando di non farsi sopraffare dall'ansia; il manager David Jost li raggiunse annunciando mancavano solo cinque minuti all'inizio.

-Tutto bene Bill?- gli domandò il gemello, soppesando la sua figura con gli occhi: soliti capelli sparati in aria, trucco nero e vestiti stretti, lo sguardo tuttavia era strano.

-Si, ho un poco di mal di gola- rispose passando una mano sul collo. Il chitarrista capì che non aveva detto la verità, gli bastò uno sguardo, ma non poté indagare oltre perché era arrivata l'ora di iniziare. Il cantante bevve un bicchiere d'acqua cercando di far passare il dolore che ormai lo perseguitava da giorni e andava peggiorando; non aveva avvertito nessuno della situazione: il tour era in piena fase di svolgimento e non voleva causare preoccupazioni inutili. Prese un respiro e si preparò a intrattenere tutte quelle persone lì per loro; appena gli fu fatto cenno d'andare, uscì dalle quinte e si trovò di fronte un pubblico che l'accolse calorosissimo, cartelloni e grida. Per un attimo sentì il fastidio alle corde vocali sparire, azzerato da quella visione e dalla felicità che gli provocò. Si trovava a faccia a faccia con le persone grazie alle quali aveva realizzato il suo sogno di bambino, cantare. Nessuno gli aveva dato realmente corda annunciando i suoi progetti, tranne il fratello; per gli altri era il ragazzino strano, che si truccava e vestiva da diverso, guadagnandosi epiteti poco carini a causa della sua disomogeneità. Aveva sofferto, era stato vittima di bullismo, ciò non aveva fatto altro che fortificarlo e ora lui era davanti a migliaia di persone, chi l'aveva maltrattato era rimasto in Germania a condurre la vita banale tipica del paesino d'origine. Era la sua rivincita; s'inchinò alla folla, mentre i primi accordi di Tom invadevano l'arena. Inforcò il microfono e fece uscire le prime note, notò subito che qualcosa non andava, la voce usciva a fatica.

"We, were runnin' through the town,
our sences has been drowned
no place we hadn't b---"

A un tratto si bloccò: dalla gola non uscì più alcun suono. Il pubblico lo osservava senza capire, il cantante guardò il fratello, cercando di far capire che qualcosa non andava. Finita la canzone a stento, si diressero tutti nuovamente dietro al palco e vennero assaliti da domande sull'interruzione. Bill Kaulitz cercò di parlare, di spiegare, ma produsse solo lievi suoni, appena udibili. Sbuffò disperato, trattenendosi dal piangere. Il manager lo raggiunse accompagnato dal medico che li seguiva nelle varie tappe. Quest'ultimo lo esaminò velocemente, l'ambiente era frenetico e non era possibile fare una visita accurata, dichiarando ovviamente che fosse impossibile continuare. Fu la goccia che fece traboccare il vaso, il front man scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani; il fratello non perse tempo, gli andò vicino e l'abbracciò. Inutile dire fosse spaventato e vedere il gemello in quelle condizioni lo terrorizzava pericolosamente. Il signor Jost si vide costretto a uscire e annunciare l'interruzione del concerto, scusandosi e dicendo ci sarebbe stata una nuova tappa per sostituire quella appena sospesa.

La notizia dell'annullamento dello show fece il giro dell'Europa e già il giorno dopo apparivano sui forum messaggi disperati delle fans, ansiose di sapere che succedeva: dalla band solo silenzio. Chiarimenti si ebbero due giorni dopo, quando i quattro si sarebbero dovuti esibire a Barcellona. A salire sul palco però non furono loro, bensì l'organizzatore del tour che annunciava la sospensione di tutte le date di marzo; fecero poi il loro ingresso i componenti, Tom prese il microfono.

-Siamo molto dispiaciuti per questa interruzione. Purtroppo mio fratello non sta bene, ha problemi alla gola ed è tornato in Germania per farsi visitare- fece una breve pausa, guardando le reazioni di chi aveva davanti, tutti ammutoliti. -Non appena starà meglio, riprenderemo i concerti e torneremo qui. Scusate-

I tre salutarono il pubblico e sparirono dalla scena, rifugiandosi subito nel tourbus, diretti nella loro terra.

Subito dopo il concerto spagnolo Bill fu fatto tornare a casa, su ordini del medico, per farsi visitare. La clinica consigliata fu la "Kölner Klinick", una delle più rinomate cliniche private europee, oltre che la più costosa e riservata. Si trovava nella zona periferica di Colonia, una zona blindata, proprio perché i pazienti che vi andavano erano per la maggior parte ricchi o famosi.

Il cantante fu controllato dal dottor Merken, importante logopedista. La diagnosi fu da subito chiara: cisti alle corde vocali, da operare subito.

Alla notizia, il moro rimase sbigottito, terrorizzato, triste, demoralizzato. Esibirsi era il suo sogno, senza la musica non era nessuno, quell'operazione avrebbe potuto cambiare la sua vita, oltre quella dei compagni. Fu raggiunto dalla madre e dal patrigno, pronti a sostenerlo.

Ciò che gli dava la forza era la famiglia, ma ancor di più i fans. Non fecero mancare il loro appoggio, mandarono messaggi, lettere, regali. Di tutto e di più.

L'intervento a cui si doveva sottoporre era pesante, doveva prima prendere aspirine per togliere l'infiammazione e, una volta tolta la cisti, non parlare per dieci giorni e fare tre settimane di riabilitazione. Un inferno, il fatto peggiore era che non era sicuro la sua voce sarebbe tornata come prima.

-Bill, sei pronto?- domandò il gemello, stavano preparando le valigie per il "soggiorno". Rispose con un cenno positivo, non molto convinto. -Andiamo dai-.

Presero l'aereo che li portò da Amburgo alla clinica, il gruppo aveva prenotato su un albergo poco distante da lui, per potergli stare vicino.

Il cantante rimase sorpreso della grandezza della clinica, la prima visita l'aveva fatta su una succursale e l'imponenza del luogo a lui davanti lo intimoriva non poco. L'edificio era un palazzo grande e a diversi piani, l'entrata era arredata in stile moderno, l'ascensore di vetro portava ai diversi reparti: c'era quello per le malattie neurologiche, il reparto per chi malato di anoressia e bulimia, come un ospedale vero e proprio quindi.

Accompagnato da Tom e da Simone - la madre - si recò al centralino, non servì neanche che si sforzasse di parlare, la donna di là dal balcone lo riconobbe e lo portò alla sua stanza, una camera abbastanza grande, luminosa e ben arredata. Il ragazzo sorrise, almeno non aveva l'aria di una camera mortuaria. Si tolse gli occhiali da sole e il cappellino utilizzato per non farsi riconoscere e li posò stancamente sul comò.

-Voglio restare un po' solo- comunicò a fatica, ricevendo occhiate ammonitrici dai familiari, i quali per non farlo parlare oltre decisero di congedarsi.

Finalmente solo si buttò su letto, costatando fosse abbastanza comodo, altro punto positivo.

Era stanco, aveva solo voglia di piangere. Non poteva parlare, sarebbe dovuto rimanere lì per un mese intero, la maggior parte del tempo senza spiccare parola, cosa irreprensibile per un logorroico come lui. Gli tremavano le spalle, scosse dai singhiozzi, doveva sfogarsi. L'unico modo che conosceva era scrivere, frugò nella borsa e tirò fuori un blocchetto e la penna, tracciando le prime parole che gli vennero alla mente.

"Gib mir Leben, gib mir Luft
Mein Herz schlägt weiter, weil es muss"

Quest’attività lo calmò leggermente, ormai anche le lacrime erano finite. Passata una mezz'ora si ricompose, lavandosi velocemente il viso, cercando di far sparire il rossore e il gonfiore degli occhi. Si sedette sulla sedia di fronte alla finestra, guardando un po' il paesaggio circostante: non c'era un gran che là fuori, solo tanto verde, qualche rada casa, nulla di più; sbuffò: cosa avrebbe fatto durante quei trenta giorni là dentro? Sentì il cellulare vibrare, lo tirò fuori dalla tasca e sorrise vedendo il mittente: Tomi, il quale voleva sapere se andasse tutto bene. Gli vennero i sensi di colpa: si era comportato male negli ultimi giorni, ma la situazione lo soffocava. Premette velocemente i tasti per la risposta, e inviò: "Senza voce, depresso, spaventato. Per il resto è okay". Il display brillò, chiamata in arrivo, la rifiutò, "Non posso parlare, sarebbe una conversazione a senso unico, no?". Il fratello non si fece attendere, ridacchiò vedendo che aveva scritto. "Beh, così capisci come mi sento io quando inizi a parlare e non smetti! ;-)" Sapeva sempre come tirarlo su. Replicò con un secco "Touche."

Lo scambio di messaggi durò un'oretta, durante la quale Bill ebbe il tempo di rilassarsi e tranquillizzarsi. Non avendo nulla da fare estrasse dalle sue cose il computer messo lì dal gemello, non era pratico di tecnologia, non avendo altro da fare optò per navigare un po' in internet.

Sorrise guardando lo sfondo scelto dal chitarrista, una loro foto di quand'erano bambini, due biondini identici che giocavano al mare. Sorrise ancor di più notando aveva creato una cartella con tutte le sue canzoni preferite, da quelle di Nena a quelle dei Placebo; aveva pensato proprio a tutto!

Fece partire la playlist, mentre girava qualche sito sulla band. Gli s’inumidirono gli occhi leggendo i messaggi dalle fan, loro lo stavano sostenendo, pregavano per lui. E lui avrebbe fatto di tutto per ripagarle di tanto affetto, sarebbe tornato a cantare; come prima, migliore di prima.

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NdA: Sono ancora qua sì, ora che avete letto volevo fare delle precisazioni anche sul primo capitolo ^___^
Come avete capito la storia è ambientata nel 2008, quando Bill fu operato alle corde vocali. Come dimenticare quel periodo in fondo? Penso che noi fan ce lo ricorderemo come un bruttissimo momento, però se non avessero cancellato parecchie date del tour per poi riprenderle, io non li avrei mai visti a Modena l'estate (prima e ultima volta a cui ho assistito a un loro concerto, purtroppo).
Ah, le parole che si vedono nel banner sono della lettera scritta da Bill per i fans (:
Ora avete avuto un assaggio della vicenda, a presto (credo!) per il prossimo ;D


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Capitolo 2
*** Capitolo II (I) ***


ADL

CAPITOLO II (I)




Era da qualche giorno che alla Kölner Klinick c'era un po' d'agitazione, probabilmente sarebbe arrivato qualche nuovo personaggio famoso, magari con problemi di alcool o anoressia, come le ultime stars finite in quei reparti. Io non mi capacitavo di tanto nervosismo: erano pur sempre persone coi loro problemi e se erano disposti a pagare migliaia di euro forse volevano essere lasciati in pace, senza vedersi stendere davanti tappeti rossi o ricevere trattamenti di favore. Non era dato sapere il nome dei nuovi pazienti, ma giravano voci fosse un cantante di una band abbastanza famosa in Europa: secondo Martha, una ragazza malata di anoressia, era il leader dei Tokio Hotel.

-Ho sentito dire da Adele, la ragazza della 135, che dovrebbe trattarsi di Bill Kaulitz- mi informò con voce complice.

-Bill che?- fu la mia brillante risposta, mai sentito.

-Non conosci il mitico BK? Neanche il suo gruppo? Da due anni a questa parte spopolano in televisione!- era sorpresa. Capì come mai non ne avevo mai sentito parlare, mi trovavo in quella clinica dal 2005 - a causa della mia malattia - e non ne ero ancora uscita, quindi i contatti col mondo esterno erano scarni. Feci spallucce, l'argomento mi lasciava indifferente.

-E' incredibile non sappia chi è! Dovresti proprio vederlo, è bellissimo!- Esclamò scuotendo i lunghi capelli biondi, quasi con la bava alla bocca -Ma dove vivi?- Quella che doveva essere una battuta, mi scalfì più del dovuto e se ne accorse, lanciandomi un'occhiata di scusa.

-Non ti preoccupare- feci noncurante io, -Ora esco un po', ci vediamo più tardi-

Mi recai nella camera che occupavo da tre anni, ormai la ritenevo mia. Indossai un paio di jeans e un maglioncino, mettendo poi un berretto per coprire i segni che la malattia aveva lasciato su di me. Mi guardai velocemente allo specchio, che rimandò l'immagine di una ragazza diciassettenne, dall'aspetto troppo magro e pallido, occhi grandi e azzurri ma senza particolare luce, capelli? Erano castano scuri, ricci. Prima. Sbuffai insoddisfatta di me e di quello che mi stava attorno. Scossi la testa, ormai mi ero arresa alla realtà, e salì verso il tetto della struttura: era il luogo che preferivo soprattutto perché non c'andava mai nessuno.

Mi appropriai della solita panchina di legno e rimasi lì a fissare un punto indefinito davanti a me; era appena iniziato marzo, stava per finire l’inverno, l’aria era ancora fresca e mi solleticava le guance, facendole arrossire. Non c’era un gran che da guardare, la struttura si trovava in una zona poco abitata per garantire discrezione agli ospiti; odiavo quel posto, pieno di gente viziata e quasi simile a una prigione di lusso. I miei genitori erano ricchi, entrambi attori di teatro – ciò spiegava il mio nome particolare, giravano il mondo tutto l’anno e avere una figlia come me era stata, oltre che una fonte di tristezza, anche delusione: sognavano di crescere una cantante, magari un’attrice, invece si ritrovarono una ragazza fragile, malata, senza particolare interesse per il mondo dello spettacolo, a cui piaceva soltanto scrivere.

Da tre anni vivevo lì, incontrandoli sporadicamente, in occasione delle feste e raramente per il mio compleanno; non potevo biasimarli, chi avrebbe voluto un peso del genere? Li potevo capire benissimo, stare vicino a una persona malata era particolarmente faticoso, soprattutto per loro che amavano viaggiare e la vita sotto i flash. E io, in quel mondo, non centravo nulla.

Fissai le mie vecchie converse, tutto attorno a me era statico, nessun movimento se non il frusciare delle foglie a causa del vento. A interrompere l’immobilità fu il rumore causato dalla porta del terrazzo che si apriva, mi girai per vedere chi stava arrivando, di solito sopra lì non veniva nessuno; notai la figura di un ragazzo venire verso di me, con passo leggero e insicuro. A giudicare dalla sua magrezza, il mio primo pensiero fu che fosse un nuovo arrivato nel reparto per anoressia. Non riuscì a vedere il suo viso, poiché era coperto da un paio di costosi occhiali da sole e un berretto. Mi indicò il posto affianco a me, mi spostai lasciandolo sedere; lo guardai di sottecchi, non aveva detto una parola, mi inquietava.

-Sei nuovo? Non ti ho mai visto qui- domandai con voce lieve, mi osservò a sua volta, soffermandosi un po' troppo sul cappello che avevo in testa. Rispose annuendo. Piuttosto di  sottostare a quel silenzio imbarazzante avevo optato per iniziare un minimo di conversazione.
-Perchè non parli?- alla mia domanda si indicò la gola, mi ero sbagliata quindi, non era anoressico.
-Logopedista suppongo- confermò la mia ipotesi. -Beh, io sono Mel- gli diedi la mano, rispose sorridend un poco. -Mi sento un po' stupida a parlare da sola. Aspetta..- frugai nella borsa, tirando fuori la mia agenda e la mia penna, gliele porsi. -Almeno puoi rispondere, se vuoi- Le accettò e scrisse con una bella calligrafia, dai tratti eleganti. "Tu perchè sei qui?" Non rimasi stupita dalla domanda, ero abituata mi venisse posta, ormai pensavo fosse chiaro il motivo, probabilmente me l’aveva posta per educazione.
-Leucemia linfoblastica acuta- il mio tono era neutro,  ormai parlare della mia malattia non mi faceva più effetto. Era automatico.  -Comunque, sarebbe carino se ti presentassi anche tu- Sotto le lenti vidi il suo sguardo farsi preoccupato -Mh, se non vuoi non fa nulla, capisco voglia mantenere l'anonimato- gli sorrisi tranquillizzante, ricambiò e scrisse il nome sul foglio. "Bill" Lo fissai corrucciata, allora ciò che m'aveva detto Franziska era vero!

-Sei il cantante dei T..T.. scusa mi sfugge il nome!- Alzò un sopracciglio, annuendo. Era davvero cos famoso, considerando lo stupore capendo non sapevo chi fosse. Che imbarazzo!
-Oh, okay. Se devo essere sincera non conosco il tuo gruppo. Sono qui da tre anni e sono un po' estranea alle novità musicali- spiegai. Scosse la testa e si sfilò gli occhiali, ormai avevo capito chi era, tanto valeva togliere impedimenti. Che occhi bellissimi, fu la prima cosa che pensai. Erano di un nocciola intenso, espressivi. Percepì una certa inquietudine, ben nascosta dal suo sorriso.
"Tokio Hotel, comunque. Mai sentito una nostra canzone?- scrisse sul foglietto .
-No, è così grave?- chissà quante cose mi ero persa, da quando ero chiusa lì.
“Oh beh, sì! Scherzo, ormai sono abituato a essere riconosciuto ovunque ;) ”
-Chiedo venia! Appena torno in camera scarico qualcosa di vostro allora!- gli feci un sorriso, mi guardò leggermente allarmato e cupo, scrivendo velocemente sul blocchetto.
“Aspetta, mi sono stancato di scrivere, non sono abituato! Non vado neanche più a scuola. Prendo il cellulare e scrivo lì” Frugò sulla tasca, trovandola vuota, sbuffò allora gli porsi il mio telefono, ultimo regalo di mio padre per far perdonare la sua assenza. Ricambiò il sorriso a mo’ ringraziamento.
“Non voglio che ascolti le nostre canzoni, perché non so se riuscirò a cantare.. dopo. Quindi preferisco non ci conosca affatto, considerando fra un mese forse non potrò più salire su un palco”
Ora capivo il perché della sua tristezza, cantare era il suo sogno, lo aveva realizzato e rischiava che tutti gli sforzi fatti finora per raggiungere il suo traguardo risultassero inutili.
-Non farti tanti problemi: questa struttura ha i migliori medici, andrà tutto bene vedrai- sembrava la situazione si fosse capovolta, non avevo mai detto quella frase a nessuno, tante volte però era toccato a me sentirla prima di un’operazione importante e sempre l’avevo trovata terribilmente falsa e inutile. Io però con Bill ero stata sincera. Aveva bisogno di essere rassicurato, per capirlo era bastato uno sguardo a quegli occhi smarriti.
-Oddio, sembra una frase fatta “andrà tutto bene”, ma lo penso davvero, avere un po’ di paura è normale, ci sono passata.. e ci passo ancora-
Muoveva le dita velocemente sulla tastiera del telefono, si vede che era abituato a usarlo, al contrario io non ero per niente pratica, visto che non conoscevo nessuno con cui tenermi a contatto.
"Grazie. Così è da tanto che sei qui?”
-Tanto, troppo tempo. Da quando avevo quattordici anni, non sono quasi più uscita- risposi guardando per terra, sorridendo tristemente.
“Perché non esci?” Immaginavo l’avrebbe chiesto.
-Non ho nessun motivo per uscire- scossi le spalle, -Cavolo, mi sembra di parlare da sola così- dissi per cambiare discorso.
“Stai parlando da sola, in effetti”
-Grazie Bill, davvero! Sta zitto va!- alzò un sopracciglio all’affermazione sta zitto, uscita involontariamente. –Scusa, è scappata!- ridacchiai. –Ora devo andare, altrimenti rimango senza cena, e anche tu sai? Alle diciannove puntuale bisogna essere nelle stanze, non ti sei ancora letto il regolamento eh?-

Fece un sorriso colpevole. Armeggiò un secondo col cellulare e poi me lo ridiede.

Grazie per la chiacchierata, credevo fossero tutti antipatici qui, hanno certe facce non incoraggianti! E’ stato un piacere conoscerti Mel” trattenni un sorriso, che gentile.
-In effetti non è facile fare amicizie qui-, infatti io non conoscevo nessuno, ma evitai di dirlo, -è stato un piacere anche per me Ka..Kaki..Kau, o non me lo ricordo scusa!- borbottai imbarazzata, riprese il telefono e digitò “Kaki è carino dai! (: KAULITZ comunque! Non è così difficile, puoi farcela!” Ridacchiai.
-Allora ti chiamerò Kaki! Almeno mi distinguo dalla massa!- gli feci l’occhiolino e tornammo all’interno della clinica, inconsapevoli che, da quella chiacchierata, tante cose sarebbero cambiate..


* * *


Tornai in camera mia con un sorriso stampato in volto, la chiacchierata col cantante mi aveva lasciato addosso di leggerezza che da tanto non provavo. Quando avevamo parlato? Non molto, ma ciò era bastato per farmi stare un po’ meglio; Bill Kaulitz era indubbiamente carismatico e bellissimo, nonostante avesse il viso stanco e decisamente provato trasmetteva euforia anche senza usare le parole. Non osavo immaginare cosa riuscisse a fare con la sua voce, cantando. Ero curiosissima, appena saputo chi fosse una strana voglia di accendere il computer e scaricare la discografia dei Tokio Hotel mi aveva assalita, non potevo farlo però, l’avevo promesso. Soffermai lo sguardo sul mio cellulare, maneggiato da lui, tante ragazze sarebbero impazzite al pensiero, io no: ero diversa, strana. Il mio carattere era decisamente inusuale, ciò era dovuto a tutto quello che avevo passato, all’epopea che ero costretta a vivere da quattro anni ormai. Entrare in una clinica e non uscirne più, vedere le tue amiche sparire una dopo l’altra, i tuoi genitori venirti a trovare più raramente, lo sguardo compassionevole della gente di fronte al mio aspetto gracile, fragile. Guardandomi allo specchio vedevo una ragazza non ancora diciottenne, pallida, inconsistente; un metro e settanta e quarantacinque chili distribuiti malamente per il corpo. Un fantasma.

Distolsi lo sguardo dalla mia immagine riflessa, sentendo la pesantezza tornare a invadermi. La mia vita mi appariva inutile, non avevo prospettive, sognavo, quello si;  personalità pratica, preferivo perciò non fare troppi castelli, sapendo che sarebbero crollati uno dopo l’altro, facendomi soffrire, come sempre.

Ormai, ero abituata.

Poggiai una mano sulla fronte, rabbrividì al contatto, ero sempre fredda. Morta. Mi posizionai stancamente sotto le coperte, dopo aver levato i vestiti e indossato la vestaglia fornita dalla clinica. Tirai il lenzuolo fino alla vita e mi appoggiai alla spalliera del letto, prendendo il quadernetto dalla borsa, cercando di scrivere qualcosa. Scrivere, ecco la mia passione. Fogli su fogli, inchiostro su cellulosa, emozioni impresse. Lo aprì su una pagina vuota, coprendola con la mia calligrafia lieve.


“Oggi ho conosciuto un cantante, triste.
L’ho capito guardandolo negli occhi, nonostante tentasse di sorridere.
Ha paura di perdere la voce, e ora che ci ho ‘parlato’, ho paura anche io per lui.
Deve essere terribile vedere il proprio sogno infrangersi, io probabilmente non potrò capire.
Perché io, un sogno vero e proprio, non l’ho più.
Perciò mi aggrappo al suo, sperando che a lui vada meglio.
Ha gli occhi nocciola, un colore banale insomma. Ma così bello su quel viso pallido,
circondato da lisci capelli neri. E le sue mani? Così delicate, nate per sfiorare, cullare.
Residui di smalto nero, ho visto. Chissà com’è quando si esibisce su un palco.
Penso un mostro.
Ha cambiato la mia giornata in dieci minuti, scommetto che con un’esibizione
di un’ora cambi la vita di migliaia di ragazze.
Mi sento stupida, quel ragazzo mi ha davvero colpita.
Ho voglia di incontrarlo. Perché?
Mel


Interruppi la scrittura dopo aver guardato l’orologio, erano da poco passate le diciannove, quindi la cena stava per essere servita; due minuti dopo l’infermiera fece il suo ingresso nella stanza.

-Buonasera Mel, come stai?- mi sorrise Rossella, era lei che si occupava dei miei pasti da quando ero arrivata nella clinica; era una bella donna di trent'anni, occhi castani e lunghi capelli rossicci.
-Ciao Rossella! Tutto bene, sono un po' stanca- le sorrisi, sistemandomi meglio sul letto.
-Capisco, poi da stamattina tutti erano agitati per l’arrivo della nuova star!-
-Oh si, l’ho conosciuto!- si fece attenta, fissandomi accigliata.
-Davvero? Quando? Come? Perché? Dimmi tutto!- si sedette di fianco a me, mentre la fissai accigliata.
-Non dovresti lavorare tu?- mi guardò con sufficienza.
-Tu sei l’ultima del giro cara Mel! Quindi posso permettermi un po’ di gossip!- strizzò l’occhio.
-Non pensare chissà cosa, l’ho incontrato nel tetto, e abbiamo ehm, “parlato” un po’- mimai sulla parola parlato, non era il termine più appropriato.
-E’ un bel ragazzo vero? Ho visto delle sue foto su una rivista di mia nipote, ha uno stile molto particolare-
La guardai un attimo confusa, a me sembrava ordinario, se non per lo smalto e gli abiti stretti.
-Aspetta, tu hai mai visto una foto della band prima?- domandò, io negai. –Ah, adesso si spiega tutto! Quando vedrai capirai, sono contenta ti sia fatto un amico!-
-Oddio.. amico mi sembra esagerato, abbiamo solamente conversato, non lo conosco bene. Dieci minuti di conversazione non bastano per conoscere qualcuno-
-Starà qui per un mese, avrai tutto il tempo!- mi lasciò un’occhiata maliziosa, prima di salutarmi e andarsene.
Sbuffai, la donna era simpatica ma quando si comportava così non la sopportavo proprio! Scossi la testa, dedicandomi al piatto di fronte a me, una bellissima minestra da uno strano e inquietante color verdognolo, arricciai il naso involontariamente: già ero magra per colpa della malattia, se poi mi davano da mangiare delle schifezze del genere tanto valeva trasferirmi nel reparto delle anoressiche! Cercando di trattenere la repulsione, portai il cucchiaio alla bocca, scottandomi un poco e maledicendo i cuochi mentalmente. La clinica costava un occhio della testa, poteva anche cucinare qualcosa di meglio!

Lasciai il piatto a metà, poggiandolo sul comodino. Ignorando la stanchezza frugai nell’armadio e recuperai una vecchia tuta, indossandola velocemente. Presi la borsa e, cercando di non farmi vedere, scesi al primo piano, destinazione macchinette. Infilai le monetine all’interno e uscì un buonissimo pacchetto di patatine. Mi girai per tornare indietro ma mi scontrai contro qualcosa, anzi, qualcuno. L’impatto non era stato violento, visto che ero andata addosso a un altro scheletro come me; mentre recuperai l’equilibrio alzai lo sguardo, fissando sorpresa colui che avevo davanti: Bill.

-Ehi Kaki! Che ci fai qui?- domandai stupidamente, non potevo aspettarmi una risposta. Stavolta né io né lui avevamo portato il cellulare, quindi la comunicazione era impossibile, ma capì lo stesso: indicò la sua pancia e poi il cibo delle macchinette, facendomi sorridere.
-Già, provato la minestra? Che schifo! Bella cena di benvenuto quindi- gli sorrisi. –Se vuoi prendere qualcosa di consiglio o patatine o barrette di cioccolata, il resto è da buttare, non ti consiglio di provare-
Mimò un grazie, andando a scegliere cioccolato. Rimanemmo in silenzio, io sgranocchiavo e lui anche.
-Beh, è meglio che vada ora, domani giornata pesante- scrollai le spalle. –Buonanotte Bill- dissi alzandomi e sorridendo, ricambiò il gesto e ci dirigemmo verso le rispettive stanze.

Con lo stomaco un po’ più pieno, tornai a scrivere, ispirata grazie all’ultimo incontro avuto.


’L’ho visto ancora. Fato? Coincidenze?
Non lo so, però è stato un incontro piacevole.
Bill è piacevole.
Mi fa sorridere il cuore,
pensavo d’aver dimenticato come si facesse.
E invece..”

Lasciai la frase sospesa, non sapendo come continuare. Tutto ciò non era da me, assolutamente. Mi infilai meglio sotto le coperte lasciandomi invadere dal calore che filtrava attraverso esse; recuperai l’ipod dal cassetto di fianco al letto, facendo partire “Mondnacht” di Schumann. L’amore per la musica classica me l’aveva trasmesso mia madre, la quale mi aveva anche insegnato a suonare il pianoforte, studio continuato per cinque anni, finché non mi fu diagnosticata la malattia, da quel momento fui costretta ad abbandonare anche quel dolce strumento dai tasti d’avorio che tanto amavo.

Lasciandomi cullare dalla melodia mi addormentai.

Fui svegliata dal suono proveniente dalla sveglia, erano le otto e io avevo decisamente sonno. Sbuffai spegnendola e alzandomi di malavoglia. Mi spogliai velocemente, facendo poi una doccia breve. Dopo aver indossato un cappellino e una tuta rigorosamente nera scesi nella stanza comune per la colazione.

La clinica offriva sia la possibilità di farla in camera, sia insieme con gli altri ospiti, io avevo optato per la seconda in quanto mi piaceva osservare la gente, guardare come si comportavano: mi faceva sentire meno sola. Mi recai in un tavolo abbastanza isolato, venendo poi raggiunta da Martha e Charlotte, con dei vassoi contenenti solo due fette biscottate.
-Wow, proprio affamate- costatai, loro mi sorrisero contemporaneamente, colpevoli. Scossi la testa mentre loro osservavano scettiche il mio, contente un croissant alla marmellata, tazza di cioccolata calda e anche fette biscottate con nutella.
-Non guardatemi così, ho una giornata pesante- mi difesi io.
-Cioè?-
-Stamattina ho lezione, oggi pomeriggio terapie- annuirono.

Mangiai tutto in fretta, ogni tanto lanciavo occhiate alla porta per vedere se Bill arrivava o meno. Probabilmente morivano dalla curiosità di vederlo dal vivo, non immaginavano neanche io ne avessi avuto l’occasione, per ben due volte. Non si presentò, ammisi che mi dispiacque. Inaspettatamente sentì il mio cellulare vibrare, nessuno mi scriveva mai, perciò pensai fosse un messaggio inviatomi dall’operatore telefonico, invece rimasi piacevolmente stupita.

“Ieri ho chiamato col tuo cellulare il mio, così mi sono salvato il tuo numero, spero non ti dispiaccia! (;
Non sono sceso per la colazione, mi sono svegliato troppo tardi, non sono un tipo mattiniero! Hai qualcosa da fare oggi? Perché prevedo una giornata noiosa - Bill”

Era un modo velato per chiedermi di fare qualcosa con lui? La mia risposta sarebbe stata ovviamente positiva, purtroppo però non si poteva fare nulla, visto ciò che mi aspettava.

“Mi sento onorata ora che ho in memoria il numero di Bill Kaulitz!

Oggi mi aspetta un giorno abbastanza pesante, non vedo l’ora che finisca guarda.”

Non dovetti attendere molto per la risposta, era molto veloce.

“Sei occupata? Peccato, mi sarebbe piaciuto vederti!
Anche stasera non puoi?”

Mi si stampò un sorriso in volto, non ero l’unica ansioso di incontrarlo quindi!

“Stasera no, solamente finisco la terapia alle cinque.
Dopo rischio di addormentarmi in piedi, quindi a tuo rischio e pericolo!
Se vuoi puoi venire in camera mia, almeno se cado addormentata non dovrai faticare
per portarmi a letto!”

Rileggendo ciò che avevo inviato, mi accorsi sembrasse un po’ ambiguo, non mi feci tanti problemi, Bill mi sembrava un ragazzo troppo dolce per pensare ci fossero doppi sensi, e anche lui aveva capito che io non ero una ragazza facile o troppo aperta.

La risposta non si fece aspettare, mi rispose sarebbe venuto in camera mia alle sette, io avevo proposto di cenare insieme dopo, e lui aveva accettato.

Per la prima volta affrontai lo studio con un sorriso, grazie a lui.

* * *



NdA: Eccomi qua con il secondo capitolo di ADL, in cui compare la protagonista, Mel.  Mi scuso per non aver postato prima, ma sinceramente mi mancava la voglia per fare la formattazione del capitolo, LOL; inoltre sono messa malissimo con i compiti, non penso di riuscire a finirli ò_ò
E ora mi chiedo, c'è qualcuno che è bravo in matematica? Equazioni, disequazioni, parametri? No perché se qualcuno riuscisse a farmi gli esercizi di questa bellissima materia sarei disposta a inviargli tutta questa storia in cambio *disperazione mode on* e sono seria ò.o.
Detto questo, ringrazio chi ha recensito il capitolo scorso e chi ha messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate! *-*
Spero vi piaccia anche questo, un commento non fa male :D
Unleashedliebe

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Capitolo 3
*** Capitolo III (R) ***


capitolo


adl


CAPITOLO III


Il sorriso nato grazie ai messaggi di Bill, una volta uscita dalle lezioni con il professor di matematica e scienze, era svanito. Quelle materie proprio non facevano per me, io preferivo scrivere e suonare, non ragionare e perdere tempo dietro a inutili numeri! A mezzogiorno per fortuna la mattinata si era conclusa ed ero libera di tornare in camera mia e pranzare, pregai ci fosse in programma qualche piatto lontanamente commestibile, le mie preghiere furono fortunatamente esaudite: davanti a me si presentò un ricco piatto di pasta con il pomodoro, qualcosa di decente dopo tanto tempo!

“Pasta! Amo la pasta, oggi niente fuga alle macchinette (;”

Gli angoli della bocca si arricciarono verso l’alto, non ero l’unica a pensarla così quindi.

“Anche io amo la pasta! Per fortuna qualcosa che il mio povero stomaco può digerire,
necessito di energia dopo stamattina”

Seguì un altro scambio di messaggi, proseguimmo così per un’altra oretta, finché non fui costretta a salutarlo perché mi aspettava la chemioterapia. Ormai ero abituata, all’inizio questa cura mi faceva soffrire tantissimo, anche perché avevo la fobia degli aghi, paura archiviata e sparita dopo aver preso l’abitudine. L’unico effetto che non si poteva controllare era la stanchezza successiva, accompagnata anche da un leggero malessere che rendeva difficile il sonno. Terminai alle cinque, dopodiché mi fiondai nella vasca da bagno, riempiendola di acqua calda e sapone. Mi ci immersi completamente, sentendo il mio corpo rilassarsi grazie al tocco del vapore, mentre le note di Wagner mi facevano compagnia. Guardai il mio corpo nudo, posando una mano sulla schiena e sentendo le ossa sporgere. La ritrassi subito, la mia magrezza faceva senso perfino a me. Sapevo che mangiare di più era inutile, non sarei ingrassata: un sintomo della malattia era il fatto di rigettare spesso, perciò aumentare le porzioni era inutile. Non sarei ingrassata finché non avessi finto contro il mio male. Sperando di riuscirci, prima o poi.

Uscita dalla vasca avevo quasi le mani palmate, corpo profumato di fragola e guance arrossate. Mi avvolsi con un asciugamano e frugai cercando qualcosa da mettere per la serata.

Non era un appuntamento, quindi niente di speciale. Non volevo però presentarmi ancora in tuta, troppo banale! La serata l’avremmo passata in camera, seduti a guardare un film magari, quindi dovevo trovare qualcosa di comodo. Dopo aver rovistato per una bella mezz’ora, trovai nel fondo del guardaroba l’ultimo regalo di mia madre: un paio di leggins neri e una decina di maglioni, tutto per farsi perdonare l’assenza dell’ultimo periodo, comprare il mio affetto insomma. Scossi la testa, il mio affetto non lo si comprava, bisognava guadagnarselo. Tuttavia quei pantaloni si rivelarono utili, scelsi di metterli assieme a un maglioncino con scollo a barchetta, lungo. Dopo essermi vestita fissai la mia immagine allo specchio, se non fosse stato per il viso sarei potuta essere una modella: l’altezza e il fisico c’erano, ciò che stonava era il viso sciupato e l’assenza di una folta chioma, al suo posto un cappellino di lana. Non ero soddisfatta comunque, mi mancava sentire i ricci premere sulle spalle, inoltre possedere capelli faceva passare inosservata, ciò  che non succede ora che ne ero priva.

Il tempo sembrava non passare più, alle cinque e mezza ero già pronta, Bill sarebbe arrivato fra novanta minuti, e io mi annoiavo terribilmente, perciò tornai a scrivere.

“Fra un’ora e mezza Bill viene in camera mia per passare una serata assieme.
Tra amici.
Mi sembra così strano, da quant’è che non faccio una cosa del genere?
Ah si, da quattro anni.
Mi sento tanto masochista, penso troppo.
Lui non è costretto a restare qui, lui se ne andrà.
E io tornerò sola come sempre.
Tanto ormai ci sono abituata, a essere abbandonata.
Spero solo di non soffrire come ogni volta.
Chiedo forse troppo?
Voglio vivere, è una richiesta così assurda?
Sei miliardi di persone al mondo, una in meno cosa cambia?
Nulla, io sono superflua.
Il mio ricordo si cancellerebbe facilmente.
Basta scrivere, è meglio così.
I miei ultimi pensieri sono troppo cupi e deprimenti.
Perfino per me.
Rewind

Posai agendina e penna nel cassetto, prendendo il cellulare e fissandolo intensamente.

Scrivimi, ti prego scrivimi, pensavo.

E le mie richieste furono esaudite, lo schermo si illuminò.

“Io mi annoio! Tu che fai Mel?”

“Bill, pure io! Anticipiamo la serata? Altrimenti mi addormento sul serio”

Rimasi delusa non ricevendo risposta, passarono cinque minuti, dieci. Poi bussarono alla porta.

Fecero capolino dei capelli neri e lisci, seguiti da due gambe lunghe e magre, avvolte da un paio di jeans stretti, mi bastò un’occhiata per capire che si trattava del cantante.  Saltai su, andando ad accoglierlo col miglior sorriso possibile.

-Buonasera Bill! Tutto bene?- domandai, lui rispose annuendo; notai che aveva portato una borsa a tracolla con sé, lo guardai interrogativa e mi fece segno di aspettare.

Ci sedemmo sopra al letto, a gambe incrociate. L’aprì e ne estrasse un bellissimo notebook, costato sicuramente una fortuna.

“E’ più comodo che scrivere con il cellulare, e decisamente più veloce che con carta e penna”  Digitò sulla tastiera. Beh, aveva ragione.

-Sei un genio Kaki- affermai, sorrise al soprannome. –Quindi che si fa?-  

“Mh, manca ancora un’ora per la cena. Chiacchieriamo? Cioè, tu parli e io scrivo (;”

Alzai un sopracciglio, guardandolo bene in faccia. Solo in quel momento mi accorsi di qualcosa d’anomalo sul viso rispetto alla mattina o al giorno prima: aveva un trucco leggere, matita nera a contornare gli occhi, rendendoli ancora più affascinanti. Si accorse della mia occhiata e si affrettò a scrivere.

“Il trucco è una parte di me, anche del mio personaggio. Considerati fortunata, pochissimi mi hanno visto struccato, e tu sei una di questi! Altrimenti sono sempre in tenuta da palcoscenico! (:”

Ciò mi fece salire ancora più curiosità, insieme al bisogno di sentire la sua voce che cantava. Quasi un bisogno morboso.

-Non devi dirmi così, dopo mi diventa sempre più difficile resistere dall’andare su google e scaricarmi tutta la tua discografia, con photoshoot inclusi!- esclamai borbottando.

Il suo sguardo si fece leggermente più triste, la paura di veder infrangere il suo sogno era tornata.

-Scusa, non volevo. Giuro che non lo farò- usai un tono più rassicurante possibile e funzionò.  –Comunque, che hai fatto oggi?- cambiai velocemente discorso.

“Nulla, ho fatto colazione. Verso le dieci sono venuti a trovarmi i miei genitori, il pomeriggio i ragazzi. Da quando sono andati via invece mi sono annoiato” concluse con uno sbuffo. “E tu?”

-Dopo colazione ho avuto lezione di matematica e scienze, non vedo l’ora di prendere questo maledetto diploma, riesco anche con un anno di anticipo per fortuna! Quindi dall’anno prossimo niente “scuola”. Poi ho avuto le terapie e mi sono riposata. Ora eccomi qui-

Io ho preso il diploma via internet, fare la superstar non permette questo grande studio. Cosa vorresti fare da grande?

Da grande, chissà se sarei diventata grande, preferivo non fare progetti a lungo termine.

-Non lo so, mi piacerebbe fare la scrittrice-

Si illuminò e digitò frettolosamente "Scrivi? Posso leggere qualcosa? Ti prego!" lo fissai pronta a rispondergli decisa, un bellissimo no; di fronte a quel viso però proprio non ci riuscì, mi guardava con quei bellissimi occhi nocciola, gli angoli della bocca arricciati all’insù e mi pregava con lo sguardo.

-Sei ingiusto però, allora tu fammi leggere il testo di una tua canzone!- ribattei, all’inizio rimase pensieroso poi annuì. Mi alzai alla ricerca dell’altro quaderno, quello che non usavo come diario. Lo aprì e aspettai che anche il cantante trovasse una canzone da farmi leggere. “Prima tu

Sbuffai, cercando qualcosa di adatto.  

“Non so cosa è stato,
so solo che non sei più qui.
Il vento mi sveglia
e realizzo che sto correndo
Quanto è profondo e troppo profondo?
Quanto lontano è troppo lontano?
Dove è l’inizio e la fine del tempo?
Dammi una ragione
Per favore portami lì
Lasciami correre”

-Non è niente di che, non sono una scrittrice, o almeno… non ancora!- mossi le mani imbarazzata.

Piantala! Secondo me è bellissima, sembra.. una canzone! Mh” si fece pensieroso.

-Tieni, ti regalo questa sottospecie di poesia visto che ti piace-  gliela porsi.

Grazie mille! Mi piace come scrivi, magari te la ritrovi nel prossimo album! (:”

Sgranai gli occhi, sarebbe stato strano sentire le mie parole cantate da lui, sicuramente emozionante.

-Ora tocca a te!- feci l’occhiolino, -mostrami qualcosa!-

Ne ho scritte tante, questa è ‘In die Nacht’, è molto importante per me” aveva gli occhi che brillavano felici.

“Piano tutto dentro di me sta diventando freddo
Non staremo qui molto a lungo insieme, stai qui.
L'ombra vuole prendermi
Quando andremo, andremo via soltanto insieme
Tu sei tutto quello che sono io
E tutto quello che attraversa le mie vene
Noi ci supporteremo l'uno con l'altro
Non importa dove andremo
Non importa quanto in profondità.
Non voglio essere li da solo
Lasciateci insieme
Nella notte
Prima o poi sarà il tempo
Lasciaci insieme
nella notte

Leggevo ogni parola attenta, immedesimandomi nel testo e facendolo diventare mio. Dopo averla letta mi sentì invadere da brividi, chissà a chi l’aveva dedicata… doveva essere bello avere un rapporto così con qualcuno, così intenso e profondo. Io non l’avevo mai provato.

-E’.. bellissima!- esclamai io.

Mi rispose con un sorriso luminoso, chiacchierammo per un’altra mezz’ora finchè non arrivò Rossella con la cena, l’avevo avvertita che Bill avrebbe mangiato con me, perciò una volta entrata non si fece risparmiare un’occhiata maliziosa che, sperai, il frontman non avesse colto. Per nostra fortuna niente minestra quella sera, ma un buon piatto di lasagne, per quanto potessero esser buone nella clinica.

Mangiammo silenziosamente, accompagnati dal suono della televisione che mandava un programma di cui non seguì una parola, troppo impegnata a bearmi della visione di cotanta bellezza di fronte a me.

-Guardiamo un film?- proposi una volta finito, annuì e optammo per uno d’azione. Non sopportavo quelle commedie romantiche sempre a lieto fine, mi deprimevano. Lo stesso per i film horror, mi impressionavo facilmente. Ci sedemmo vicini, sulla testiera del letto. Ridacchiai vedendo che i suoi piedi quasi uscivano dal materasso, era proprio alto!

Guardavamo distrattamente il televisore e nel frattempo mangiucchiavamo patatine, ogni tanto portavo il mio sguardo dallo schermo al viso del ragazzo che mi era seduto affianco, uno spettacolo per me migliore. Osservandolo di sottecchi non potei che stupirmi per quando perfezione c’era in una persona sola, sembrava una bambola di porcellana al maschile, emanava dolcezza ma nello stesso tempo determinazione. Un soggetto per nulla banale insomma.

Perché continui a guardarmi? >_<” lo vidi scrivere al computer, arrossì colta in fallo, per fortuna non c’era abbastanza luce per notarlo!

-Sei interessante- scrollai le spalle con indifferenza, mentre sprofondavo per l’imbarazzo.

Mi guardò stranito e tornò a dedicarsi al film, cosa che feci anche io, cercando di non far scivolare il mio sguardo verso Bill. Un’ora dopo l’inizio mi sentivo terribilmente assonnata, era un po’ piatto, speravo in qualcosa di più movimentato invece era una palla. Sbadigliai rumorosamente, seguita a ruota dal moro.

-Questo film mi fa un po’ schifo, a te no?- domandai, lui annuì d’accordo con me.

E’ meglio che vada ora, sarai stanca dopo la giornata che hai passato! Ci sentiamo domani, ho passato una bellissima serata, grazie! [:” scrisse velocemente, guardandomi negli occhi.

-In effetti ho un po’ di sonno, è stata una serata bellissima anche per me, da tanto non passavo del tempo così. A domani- sorrisi mentre lo vidi alzarsi e stiracchiarsi. Lo accompagnai alla porta, indecisa sul da farsi. Non ero abituata a serate fra amici, come ci si comportava quando bisognava salutarsi? Abbraccio? Stretta di mano? Mi sentivo decisamente impacciata, fu lui perciò a fare il primo passo; si abbassò verso di me delicatamente, poggiando un leggero bacio sulla mia guancia, che si colorò istantaneamente di porpora,  se ne accorse e ridacchiò. Gli diedi una piccola spinta, mentre cercavo di controllare le pulsazioni del mio cuore, alquanto aumentate in seguito al contatto.

-Buonanotte- sussurrai dolce, mentre si allontanava da me per tornare a dormire.

Mi buttai nel letto sospirando, da quanto non provavo cose del genere? Felicità, allegria, euforia? Da tanto, e Bill era l’artefice di tutto ciò.

“Pensando alla felicità mi veniva in mente quando ero piccola, spensierata,
piena di sogni e sana.
Penso alla felicità adesso e nella mia mente compaiono due occhi nocciola.
E questo non mi piace.
Sarà perché sono ancora assuefatta dalla sua presenza.
C’è ancora il suo profumo che aleggia in camera..
Non posso lasciarmi andare a sensazioni positive, ora come ora.
Lui non resterà. Ha ancora un mondo da stravolgere e colpire con la sua voce.
E io? Sarò spettatrice lontana.”

Scrissi queste parole nel mio diario, addormentandomi pensierosa e irrequieta.

* * *


NdA: Ecco il nuovo capitolo, non è dolce Bill? *-*
Ho messo anche l'altro banner, spero vi piaccia pure questo! ^___^
Non so che altro dire, LOL. Rinnovo la mia proposta, se qualcuno è bravo in matematica ed è disposto a farmi i compiti, riceverebbe in cambio tutta la storia completa °A° (se non si è capito, sono disperata!)
Ringrazio nuovamente chi ha recensito il capitolo scorso, e ripeto che un commento non uccide, anzi!
Ps: Dedico questo capitolo alla Rossh, oggi è il suo compleanno! E' anche grazie a lei se la storia è qua, visto che l'ha letta in anteprima fin da aprile e mi ha incitato a postarla! ♥
Unleashedliebe

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Capitolo 4
*** Capitolo IV (D) ***


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CAPITOLO IV (D)

Sentivo parecchio rumore provenire dai corridoi, segno che era arrivata l’ora della colazione; mi stiracchiai meglio nel letto, cercando la forza e la voglia di scendere e vestirmi, non travandone. Per una mattina potevo anche saltare, avrei preso qualcosa alle macchinette più tardi. Mi girai facendo sprofondare la mia faccia sul cuscino, stavo per riassopirmi quando sentì il cellulare suonare di fianco a me, mi ero dimenticata di spegnerlo; indecisa se rispondere o no, lo afferrai non appena mi balenò l’idea che, il mittente del messaggio, fosse Bill.

“Buongiorno Mel! Scendi per la colazione? Magari possiamo farla insieme”

Dieci minuti dopo ero vestita, lavata, sveglia e seduta su un tavolino della mensa, mentre aspettavo l’arrivo del cantante. Dovetti attendere due minuti, dopo si presentò in tutta la sua bellezza: capelli lisci sulle spalle, occhi lievemente contornati dalla matita nera, jeans strappati e stretti, maglione aderente con scollo a v; trattenni il fiato, com’era bello. Notai non essere l’unica ad essere andata leggermente in iperventilazione, quasi tutte le ragazze della sala si erano girate e lo guardavano con la bocca spalancata, stupendosi ancor di più capendo stesse per sedersi al mio fianco, al mio tavolo solitamente vuoto.

-Buongiorno Bill!- mi alzai per salutarlo e, stavolta, fui io ad alzarmi sulle punte per lasciargli un bacio sulla guancia, facendolo sorridere. Lui ricambiò muovendo la mano.
-Mi sento stranamente osservata. Ci stanno fissando tutti!- mugugnai io.
“Io ormai ci sono abituato. Sembra di essere in esposizione in un museo!” scrisse dopo aver estratto il suo bellissimo cellulare dalla tasca dei jeans.
-Io no invece, non sono decisamente abituata a stare al centro dell’attenzione! Sono riservata-
“anche io, ma è il prezzo derivante dalla carriera. Non me ne accorgo neanche più, anche se a volte risulta fastidioso. Non c’è mai privacy, ma se questo è il prezzo per realizzare il mio sogno, lo pago volentieri (:”

Quelle parole mi stupirono, era già più positivo rispetto al giorno prima, in cui parlare della sua carriera lo metteva a disagio.

-Siamo di buon umore stamattina?- feci, lui rispose positivamente, andandosi poi a tuffare in una calda tazza di cappuccino, io scelsi invece la solita cioccolata calda.
“Programmi per oggi?” digitò.
-Stamattina ho lezione di tedesco e storia, oggi pomeriggio come ieri, forse vengono a trovarmi i miei genitori, è sempre un punto interrogativo la loro presenza- arricciai il naso, -tu invece?-
“Ho una visita per la voce stamane, poi dovrebbero venire i miei amici (:”
-Okay, ora è meglio che vada! La professoressa che mi ritrova è veramente velenosa e acida, meglio non arrivare in ritardo o è capace di riempirmi di compiti- sbuffai, -ci sentiamo per messaggio- sorrisi prima di andare a recuperare i libri e attendere l’insegnante in biblioteca.
Arrivai cinque minuti in anticipo, lei invece puntuale come sempre. Stretta in una gonna verde lunga fino a metà ginocchio e una orribile giacca rossa abbinata un foulard bianco, la signora Damischt dimostrava tutti i suoi sessant’anni, l’unica cosa che tradiva la sua età erano gli occhi, di un bellissimo blu, vivaci ma severi.
-Buongiorno professoressa- salutai impacciata, mi inquietava terribilmente.
-Salve signorina Bauer. La vedo meglio oggi- disse squadrandomi e usando il solito tono freddo.  In effetti quella mattina il mio aspetto era decisamente meno peggio del solito, meno malaticcio.
Forse ero esagerata, ma ero convinta che ciò fosse grazie a Bill, come se fosse la mia Tablette personale.

… Non sapevo che, in realtà, quel benessere fosse la quiete prima della tempesta.

-Mi sta ascoltando signorina? Forza, tiri fuori il libro di storia!- mi risvegliò dai miei pensieri la signora, così obbedì e cercai di concentrarmi sulla lezione, uscendo da quella stanza solamente a mezzogiorno, terribilmente stanca e sfibrata.
Mi trascinai verso la mia stanza, riaccendendo il cellulare e trovando due messaggi, uno di Bill e uno.. di mia madre.
Il primo chiedeva se fossi sopravvissuta alla scuola, il secondo invece mi avvisava sarebbe venuta a trovarmi nel pomeriggio con mio padre. Risposi prima a Bill,

“Sì, sono sopravvissuta.. più o meno sana. Non penso di arrivare viva a stasera, vengono a trovarmi i miei!”

A quello della mia genitrice neanche risposi, mi limitai a sbuffare seccata.
No, non la odiavo; vederla mi creava un colpo al cuore, non sopportavo la sua presenza per il semplice fatto che ero identica a lei per aspetto fisico, avevo i suoi occhi, i suoi capelli, il suo sorriso. Tutto in lei era più amplificato e, sapevo non doveva essere semplice vedere la propria somigliante figlia ridotta a uno straccio, magra e sciupata. Era il mio specchio, solo che rifletteva una mia immagine migliorata, che non mi sarebbe mai potuta appartenere, forse un tempo, ma ora era improbabile.

Una volta, nonostante i suoi continui viaggi, eravamo unite. La malattia cambia tutto, ci siamo allontanate a vicenda suppongo, io perché non volevo la sua compassione, lei perché non sopportava di vedere il sangue del suo sangue appassire giorno dopo giorno, era meglio creare quella distanza, diventare quasi due estranee, tutto ciò per il desiderio egoistico di soffrire il meno possibile.  

Rilessi il suo messaggio, avevo un’ora di tempo prima del suo arrivo. Sentì lo stomaco contorcersi e fui attraversata da una serie di brividi e da una sensazione spiacevole che mi portava a trattenere i conati di vomito. Perfetto.

Frugai nell’armadio cercando qualcosa che contribuisse a farmi sembrare umana, trovando un semplice paio di jeans strappati, converse mai messe e una camicia scura. Indossai tutto in fretta, andando poi in bagno, frugai nel beauty-case, estraendovi una matita nera che passai accuratamente sotto l’occhio e anche un po’ di mascara per le ciglia. Mi truccavo raramente, lo facevo molto di più prima, mi divertivo. Una volta arrivata in clinica però, lo trovavo terribilmente inutile e ricorrevo al make-up solo per le visite dei miei genitori, per far veder loro che sopravvivevo, tiravo avanti in qualche modo senza lasciarmi andare. Fissai la spazzola giacente sul lavandino ormai da un anno; sentì le lacrime salire agli occhi, mi mancava così tanto la sensazione di passarla fra i capelli, cercando di far sparire i nodi, tirando. Non avere i capelli era un marchio, qualcosa che non puoi nascondere con un po’ di fondotinta, neanche con una parrucca, la gente avrebbe capito che c’era finzione sotto, perciò non restava che coprire tutto con un misero cappello di lana, procurandoti addosso sguardi compassionevoli e sorrisi melensi. Ricacciai le lacrime, non volevo farmi trovare con gli occhi tutti rossi. Odiavo mostrarmi debole.

“Non farti prendere dal panico Mel, sono solo i tuoi genitori! (; dopo se ti va puoi passare da me, così ti faccio conoscere la band!”

Lessi il messaggio appena ricevuto da Bill, solo i tuoi genitori, era semplice detto così, ogni incontro con loro mi metteva un’ansia incredibile addosso. Passando alla seconda parte del messaggio non riuscì a trattenere un’esclamazione entusiasta, voleva farmi conoscere i suoi amici! Arricciai gli angoli della bocca all’insù, rispondendo subito, positivamente. Ora ero già più propensa ad incontrare mia madre.

Sentì bussare alla porta, mi alzai e di fronte a me trovai mia madre che sorrideva allegra. Non la vedevo da un paio di mesi, non era cambiata affatto: altezza statuaria, capelli ricci e neri, occhi allungati dall’eye-liner che ne risultavano il colore azzurro intenso, fisico magro e formoso, bellissima.
Quando ero piccola il mio sogno era diventare come lei, l’incarnazione della donna perfetta.
-Ciao Mel!- salutò abbracciandomi stretta, ricambiai il contatto indecisa.
-Come stai?- domandò apprensiva.
-Bene- scrollai le spalle –Niente complicazioni nell’ultimo periodo, non è più successo- risposi, riferendomi a un attacco accaduto mesi prima, uno dei più gravi dopo la diagnosi.
-Sono contenta piccola- sorrise entusiasta, sembrava una bambina.
-Tu invece tutto bene? Papà come sta?-
-Tutto apposto, voleva venire anche lui mi gli hanno anticipato le prove per la prima dello spettacolo. La settimana prossima ci esibiamo a Berlino, sui testi di Schumann, l’ultimo cd che ti ho regalato. Non vedo l’ora, si preannuncia sarà un successo internazionale!- come sempre d'altronde, era un’attrice e cantante straordinaria, come mio padre infondo.
-Tu hai qualche novità?- domandò curiosa. –E’ arrivato qualcuno di interessante? Ho sentito qualcosa riguardo a Bill Kaulitz…- ammiccò.
-Tu conosci Bill Kaulitz?- ero sorpresa.
-Beh si, i Tokio Hotel sono famosissimi in tutta Europa, ha davvero una voce stupenda. Spero per lui vada tutto bene, mi dispiacerebbe la carriera della band venisse stroncata così. Comunque, hai evaso la mia domanda, l’hai conosciuto?-
-Si.. penso stiamo diventando amici- arrossì imbarazzata.
-Ti piace!- esclamò lei, illuminandosi e invitandomi a raccontarle tutto. Sembrava lei l’adolescente.
-No mamma, non mi piace! Lo conosco da due giorni, ieri abbiamo passato la serata guardando un film, è davvero un bravo ragazzo.. ed è anche carino, quello sì-
-Guarda che se ti piace non c’è nessun problema, hai diciassette anni, è normale prendersi una cotta!-
Mi sentì avvampare fino alla orecchie, quella non era mia madre che parlava! Era un’adolescente pettegola.
-E’ normale,  non per me- risposi io, ricevendo una sua occhiata dubbiosa.
-Non posso innamorarmi mamma- spiegai.
-Cosa? Perché dici così?- era confusa dalla mia esclamazione, pensavo ci sarebbe arrivata da sola.
-Sono malata, non mi devo innamorare, semplice. Soprattutto non di Bill Kaulitz, cantante di fama internazione con fan in tutta Europa, che fra un mese lascerà la clinica per domare i palcoscenici, come sempre. E non è giusto che qualcuno si innamori di me, che vantaggi avrebbe? Niente, una fidanzata con la leucemia che potrebbe morire da un momento all’altro- le spiegai calma. Vidi i suoi occhi diventare lucidi e mi sorprese in un abbraccio.
-Smettila di dire queste cose! Tu parli come se.. stessi per morire per Dio!-
-Non è forse così mamma? Ho questa malattia da quattro anni, non mi illudo più di sconfiggerla, non dovresti farlo neanche tu. Io l’ho accettato, basta solo capire come e quando- si discostò dall’abbraccio e mi fissò negli occhi per un lungo istante, dopodiché vidi la sua mano sollevarsi e arrivare a collidere contro la mia guancia. La fissai sconcertata, portandomi un dito sulla guancia arrossata.
-Si, hai questa malattia da quattro anni, allora? Sei viva, sei ancora viva! Perciò non vedo motivo di credere debba morire, hai le cure migliori, i medici migliori, il meglio! Smettila di pensare come se fossi già con un piede dentro una tomba cavolo! Non lo sei!- concluse rossa in volto. Non l’avevo mai vista così alterata.
-Tu puoi continuare a sperare, io mi sono.. arresa? No, non mi sono arresa. Sono solo realista, e non lo faccio solo per me, lo faccio per voi. Non so se vivrò ancora a lungo, preferisco la gente non si affezioni a me, considerando potrei sparire da un giorno all’altro-
-Non succederà, io lo so che non succederà. Piantala, non isolarti dal mondo. Hai diciassette anni, non cento. Goditeli, vivi! Quel Bill, ti piace? Vivi il secondo, se non lo fai potresti pentirtene per sempre. Fai l’egoista per una volta, pensa alla tua di felicità, non precluderti l’idea di poter essere viva.-
Abbassai lo sguardo, sapevo d’aver ragione, ma sapevo anche che mia madre non aveva torto.
 -Io..- cominciai tentennante, non sapevo cosa replicare.
-Non serve dire nulla, basta che pensi a ciò che ti ho detto. Tornando al discorso di prima..- mi guardò allusiva –Allora, com’è Bill?-
-Bill è.. Bill. Non lo conosco bene, non ho mai sentito una sua canzone, non ho neanche mai sentito la sua voce per via dell’intervento. Posso dirti che è un ragazzo stupendo e perfetto, che.. dopo due giorni di conoscenza già mi è entrato dentro come mai successo prima, ha questa capacità di scaldare il cuore con un sorriso, quando ride sembra un bambino, un angelo. Hai visto i suoi occhi? Non so se in foto fanno lo stesso effetto che fanno dal vivo, io li trovo stupendi. Sono banali occhi nocciola, ma su di lui brillano, è capace di annullare la mia razionalità con un’occhiata. E.. cavolo, tutto questo dopo due giorni!-
Mi fissò dolce, -se tutto questo è successo in soli due giorni, immagina cosa può succedere in un mese Mel, immagina-
Già ci avevo pensato, poi ne avrei avuto la certezza.
In un mese Bill Kaulitz avrebbe rivoluzionato la mia vita.

* * *

Il pomeriggio passato con mia madre non fu terribile come avevo immaginato, anzi, si rivelò utile e mi aprì gli occhi su tante cose. Probabilmente aveva ragione, dovevo lasciarmi andare di più, dovevo imparare a vivere, ma non era così facile dopo aver passato quattro anni sospesa nel nulla, vivendo giorno dopo giorno passivamente, una routine continua, senza sbalzi né cambiamenti.
Ero statica.
Strano come le cose potessero mutare così radicalmente, così velocemente, inaspettatamente.
Grazie a una solo persona poi.
Quella persona che stavo raggiungendo, colui che stava portando una rivoluzione non indifferente nel mio modo di essere. Ora voleva presentarmi ai suoi amici, ero timorosa, spaventata dall’idea di conoscere gli altri Tokio Hotel: non sapevo come avrebbero reagito di fronte all’amica leucemica del loro cantante, ognuno ha un modo diverso di rispondere di fronte a una malata: c’è chi si comporta facendo finta di nulla, chi ti guarda compassionevole, chi con pena. Speravo rientrassero nella prima parte.
Mi piantai davanti alla sua porta, sentendo delle risate all’interno, rimasi lì impalata finché non mi arrivò un messaggio.

“Ehi Mel, fra quanto arrivi? Ti stiamo aspettando!”

Arricciai la bocca in un sorriso, rispondendo con un “eccomi”. Neanche il tempo di bussare che il cantante sbucò dalla camera travolgendomi in un abbraccio e trascinandomi all’interno.
Non ero mai stata nella stanza di Bill, era più spaziosa e luminosa della mia, con un grande armadio, sopra al letto v’era attaccata una foto di una cantate che doveva essere la sua preferita, Nena supposi.  V'erano sparse riviste, foto e pezzi di carta ovunque, poco ordinato il ragazzo. Sulle poltrone sedevano due ragazzi, un terzo mi dava le spalle ed era seduto a letto.
Notandomi, i due si alzarono venendo verso di me.
-Ciao, io sono Georg, Bill ci ha parlato tanto di te!- arrossì, all’ora non ero l’unica a parlare di lui!
-E io sono Gustav, siamo rispettivamente bassista e batterista dei Tokio Hotel. Bill ci ha detto non ci conosci, giusto?- annuì, -Beh, piacere allora!- porse la mano e la strinsi.
-Io sono Mel, piacere- sorrisi –Piacere di conoscervi, anche Bill mi ha detto tante cose su di voi-
Mi girai verso al letto, l’altro ragazzo non sembrava dare segni di vita.
-Coglione, vuoi venirti a presentare?- lo rimbeccò il batterista, battendo con un dito sulla sua spalla. Udì uno sbuffo prima di vederlo alzare e venire verso di me. La prima cosa che notai fu il suo abbigliamento insolito, portava dei jeans davvero larghi e col cavallo basso, scarpe da ginnastica e un felpa altrettanto larga. Alzando lo sguardo verso il suo volto mi saltò alla vista il piercing che adornava le sue labbra e successivamente quello che stava sul sopracciglio, fissai poi dei rasta castani uscire dal berretto da skater, per ultima cosa posai il mio sguardo sui suoi occhi, rimanendo stupita nel scoprire fossero dello stesso nocciola di Bill. Si assomigliavano parecchio, nonostante quest’ultimo avesse i tratti del viso molto più marcati e duri rispetto a quelli del cantante, lo sguardo poi non trasmetteva lo stesso calore, era piuttosto freddo, cosa che mi stupì.
-Ciao- borbottò maleducatamente, indugiando troppo sul mio volto pallido e sul cappello.
-C-ciao- balbettai in risposta, presa alla sprovvista dal gelo con cui m’aveva trattata.  
Vidi il cantante avvicinarsi a quest’ultimo, fulminandolo con un’occhiataccia e tirandogli una gomitata.
-Ehi!- esclamò rivolto verso il moro –Okay, sono Tom. Il gemello riuscito bello, intelligente e normale- affermò sarcastico. Gemello? Elaborai quest’ultima informazione e capì il perché della somiglianza. Non m’aveva detto d’aver un fratello!
-Non mi avevi detto d’aver un gemello Bill- esclamai, lui prese il cellulare e mi scrisse la risposta.
“Scusa, mi è passato di mente! Ormai sono abituato al fatto che tutti ne sono a conoscenza! La canzone che ti ho fatto leggere, In die Nacht, l’ho scritta io per lui”

-Okay, comunque io sono Mel- mi presentai impacciata.
-Lascia perdere Tom, oggi ha le palle girate.. anzi le ha sempre girate- fece Georg.
-Beh, com’è che non conosci i Tokio Hotel?- domandò Gustav.
-Non ascolto molta musica contemporanea diciamo, non conosco molti artisti “moderni”.  Preferisco altro genere, senza offesa! Appena Bill mi darà il permesso comprerò un vostro cd!-
-Bene, bisogna rimediare al vuoto!- mi fece l’occhiolino, intanto mi accomodai nell’altro divanetto, seduta vicino al frontman, mentre il fratello sedeva sul letto e ascoltava passivamente la conversazione.
-Quanti anni hai?-
-Diciassette, diciotto fra poco. Voi?-
-Bill e Tom 18, Georg 20 e io 21. Studi?- ridacchiai, per una volta erano loro a fare l’intervista, non il contrario.
-Si, dovrei diplomarmi questo giugno. Voi?-
-Abbiamo preso tutti il diploma via internet. Abbiamo lasciato la scuola non appena diventati famosi-
-Capisco.. se non foste diventati famosi cosa avreste voluto fare?- domandai curiosa.
-Io il dentista- rispose Georg.
-Io l’architetto penso- fu la risposta del biondo.
-E tu Bill?- mi girai verso il cantante.
-Lui avrebbe fatto il cantante comunque, oppure il modello. Non riesce a stare lontano dai riflettori, è nato per questo- intervenne in gemello al posto suo, facendo sorridere Bill, lo conosceva bene.
-E tu Tom?- posi questa domanda tentennante, avevo capito di non stargli simpatica.
-Sapevo sarei diventato famoso, quindi non mi sono mai posto seriamente la domanda. Forse, conoscendomi, sarei potuto diventare un quotato spogliarellista, o pornostar- rispose noncurante.
Sgranai gli occhi sconcertata, gli altri risero della mia reazione, che spaccone!   

Passai un’ora in loro compagnia, fu un bellissimo pomeriggio, tranne per qualche uscita spiacevole di Tom, accompagnate da commenti sarcastici e acidi. Potei constatare quanto fossero piacevoli gli amici di Bill e, come, nonostante il successo che gli aveva travolti così da giovani, non avessero assunto un carattere superiore, infatti avevano i piedi ben salti per terra ed erano molto affabili. Salutai tutti con un abbraccio, tranne il chitarrista, ci limitammo a un cenno con la testa, proprio non lo capivo quel ragazzo: sembrava gli avessi fatto qualche torto, semplicemente gli stavo antipatica a pelle.
Tornai in camera per l’ora di cena, anche se sentivo lo stomaco leggermente chiuso.
Non appena ebbi finito, accesi il computer ed entrai su Messenger, non ci passavo molto tempo ma quel pomeriggio Bill m’aveva aggiunto ai suoi contatti, un motivo in più per amare la tecnologia.

Bk scrive:
Hey Mel (:

Mel scrive:
Ciao Kaki! Cenato? Io non avevo molto fame D:

Bk scrive:
Tutto bene? Io si, era abbastanza buono il cibo stasera.

Mel scrive:
Non lo so, ho lo stomaco un po’ sottosopra. Comunque mi ha fatto piacere conoscere i tuoi amici! Sono molto simpatici.. tutti (o quasi)

Bk scrive:
Quel quasi fa riferimento a Tom per caso? Non so neanche io perché si sia comportato così, di solito è più estroverso, oggi era leggermente musone! Mi scuso per il suo comportamento.

Mel scrive:
Bill, non ti devi scusare (: non posso mica piacere a tutto! Non gli starò simpatica, succede!

Bk scrive:
Non so proprio che gli è preso ._. sarà nervoso, è un periodo un po’ così! Piuttosto tu che fai domani?

Mel scrive:
La mattina ho degli esami, il pomeriggio riprendo con le terapie :S
Quindi sarò fuori uso tutta la giornata, mi dispiace.

Bk scrive:
Dispiace anche a me, spero di rivederti presto Mel! (;
Ora è meglio che vada, Gute Nacht Prinzessin.

Mel scrive:
Notte cantante dagli occhi nocciola.

Spensi il computer beandomi della sensazione dell’esser stata chiamata Principessa, il mio cuore diventava una palla di melassa ogni volta che mi apostrofava in quel modo. Sbuffai subito dopo, rendendomi conto che il giorno successivo non l’avrei rivisto, probabilmente neanche l’altro, visto che mi aspettavano controlli su controlli. Possibile che non potevo avere un po’ di pace? Sempre sbuffando recuperai il quadernetto per scriverci qualcosa.

“A volte un semplice sorriso può cambiare una giornata.
A volte una semplice persona può cambiarti la vita.
A volte dei semplici occhi nocciola possono farti battere il cuore.
E tutto questo è sintomo di qualcosa che cambia in profondo.
Una rinascita, un corpo ghiacciato che brucia.
Dolce gelo. Classico ossimoro.
E risorgi dall’abisso che tu stesso hai creato.
E torni a respirare.. ”

.....

...
* * *
.....

...

NdA: Eccomi qua con il nuovo capitolo! Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e anche chi legge senza commentare (un parere però non fa mai male xD).  Ho postato perché oggi è un giorno speciale, primo settembre, compleanno dei Kaulitz! Vendidue anni ormai. ♥ 
Mentre loro saranno a divertirsi io non posso che starmene qui e pensare quanto mi piacerebbe fare gli auguri di persona, e tutto questo è deprimente.
Bando alle ciance, non voglio far intristire pure voi °-°
Unleashedliebe

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Capitolo 5
*** Capitolo V (U) ***


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(c)adl
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CAPITOLO V (U)


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Come avevo immaginato, nei due giorni successivi non ebbi l’occasione per vedere Bill, purtroppo fui sottoposta a un sacco di controlli e, alla fine, mi ritrovai esausta a letto, tornata al mio solito colorito malaticcio e viso sciupato, tutti i progressi ottenuti grazie al cantante erano stati cacciati via.

Insomma, erano gli effetti dell’astinenza. Craving di Bill Kaulitz.

Nella clinica nel frattempo non era successo nulla di eclatante, nessuna celebrità si era unita a noi e nessuna se ne era andata. Ciò che smosse un po’ le mie giornate fu un regalo particolare ricevuto da mia madre il giorno dopo la sua visita: un pacco abbastanza grande e sospetto, che aprì con cautela, sbiancando non appena captai il contenuto: vi erano una decina di completi intimi, di vari tipi e colori. Guardandone alcuni mi sentì avvampare, come le era venuto in mente di farmi un regalo del genere? Nel biglietto allegato c’era scritto solamente:

“Vivi il secondo [cit. BK]”

Era indubbiamente un riferimento velato riguardo alla mia “situazione” con il cantante, praticamente mia madre voleva che mi buttassi nelle sue braccia, non l’avrei fatto. Avevo i miei motivi, al primo posto l’insicurezza e autostima pari a zero: lui era troppo perfetto per me, anzi, era troppo perfetto per questo mondo. Prendete il cielo d’estate, alzate la testa e guardate le stelle; ce ne sarà sempre una che colpirà più delle altre, più luminosa, più brillante. Ecco, quella stella era Bill Kaulitz. Io ero una fortunata spettatrice di tanta bellezza, potevo bearmi della sensazione di essergli stata vicino, cosa che migliaia di ragazze sognavano, ma era capitato a me. E risplendevo nella sua ombra.
Nonostante ciò, ero convinta di non essermene innamorata, la parte razionale dominava sul resto e mi diceva che era impossibile far nascere un sentimento del genere dopo neanche una settimana di conoscenza, ci ero affezionata, quello si. Tanto anche.
Sentì il cellulare vibrare e un sorriso nascere alla vista del mittente.

“Uffa, che noia Mel. Mi mancano i nostri pomeriggi! Che fai?”

“Nulla, sono in camera. Oggi giornata libera. Tu invece, programmi?”

“No, mi hanno vietato di uscire però ._. hanno deciso di anticiparmi l’operazione, è fra tre giorni. Di conseguenza non posso muovermi dalla stanza per evitare di ammalarmi. Dio che palle”

Gli avevano anticipato l’operazione? Immaginavo Bill fosse spaventato, ma anche felice: avrebbe saputo presto se il suo sogno sarebbe sopravvissuto o si sarebbe dissolto com’era nato. Senza pensarci due volte indossai le prime cose che trovai a tiro e mi recai nella stanza di Bill: se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. Bussai e aprì la porta lentamente, trovando il cantante seduto a gambe incrociate sopra al letto, che guardava distrattamente la televisione sgranocchiando le solite patatine, il cellulare vicino. Notando la mia presenza, mi sembrò quasi che si illuminasse, la medesima reazione che ebbi  io.

-Ciao Bill, disturbo?- domandai, lui negò vivacemente con la testa e mi indicò di sedermi vicino a lui.
-Ho pensato che avessi bisogno di compagnia- mi mordicchiai il labbro nervosa.
Hai pensato giusto (: Mi sei mancata! Com’è possibile?” scrisse col cellulare.
-Me lo chiedo anche io come sia possibile. Ci conosciamo da quattro giorni-
“Beh, credimi per me è già tanto. A parte mio fratello e gli altri due zoticoni non ho amici, non ne avevo neanche prima del successo a essere sincero. Poi diventi famoso e tutti vogliono avvicinarti, comunque non sono riuscito a legare con nessuno, nonostante incontrassi la stessa gente agli stessi party. Invece con te si.. non mi era mai successo” scrisse velocemente, fermandosi a riflettere sulle parole.
-Io beh, avevo degli amici, una volta. Con la malattia spariti tutti, e una volta arrivata qui non ho dato la priorità a fare conoscenze, ho semplicemente rinunciato a rapportarmi col mondo- spiegai.
“Con me però ci hai parlato, e sono contento. Magari.. ti sembrerò affrettato, ma mi sono affezionato a te. Non mi guardi come le altre, ossia come un pezzo di carne. Tu vedi Bill, come io vedo Mel”
Mi concentrai sul respiro, cercando di stabilizzare i battiti del cuore, leggermente aumentati dopo aver letto quelle parole, non riuscì però a stroncare l’ampio sorriso che si piazzò sul volto.
-Bill, non dovresti affezionarti a me, lo sai?- lo guardai negli occhi, il suo sguardo era palesemente interrogativo. -E’ rischioso- ammisi.
“Ormai è troppo tardi (: ti voglio bene, Mel”
Sentì uno strano formicolio al naso e mi si appannarono gli occhi. Da quanto tempo qualcuno non mi diceva che mi voleva bene? Anni? E poi arrivava Bill, con quel sorriso e quella dolcezza disarmante e nonostante non l’avesse detto ad alta voce capì tutta la sua sincerità guardando quei grandi occhi nocciola.
-Anche io te ne voglio Kaki- mi grattai l’orecchio imbarazzata, evitando di guardarlo in viso. Ridacchiò di fronte alla mia timidezza e mi sorprese in un abbraccio istintivo, inizialmente rimasi immobile, poi lasciai che le sue braccia magre passassero attorno alla mia schiena avvolgendomi con il suo calore e profumo. Profumava di vaniglia e menta, un profumo dolce, non di quelli che fanno arricciare il naso, faceva parte di quelli che ti inducono a chiudere gli occhi per assaporare meglio. Appoggiai la testa sulla sua spalla e lo strinsi a me. Sentivo il suo cuore battere regolare sul mio, che al contrario sembrava impazzito.

Ci staccammo contemporaneamente dopo qualche minuto, il tempo di metabolizzare gli ultimi avvenimenti. Probabilmente ero color porpora, infatti lui non trattenne una risata.
Sei bella quando ti imbarazzi” scrisse.
E tu sei bello sempre, pensai. –Piantala- bofonchiai invece.
“Come siamo suscettibili! Però è vero, ti imbarazzi con nulla! (;”
Non era colpa mia se la sua presenza mi destabilizzava completamente..
-Mi ero disabituata a queste cose, è da quattro anni che conduco una vita eremitica, cosa posso farci?- sbuffai, -Non tutti possono diventare superstar internazionali e viaggiare per il mondo-
“Sono convinto che anche tu viaggerai per il mondo, Dichterin”
-Poeta? Non sono una poeta, sono solo una ragazzina che cerca di mettere in ordine i suoi pensieri facendo si che prendano forma su carta. Senza ordine logico, non scrivo cose sensate- affermai.
“Secondo me si invece, devi avere più fiducia in te stessa. Io sono convinto un giorno verrò da te per chiederti di autografarmi un tuo libro”
-E’ improbabile Kaki, però non nego sarebbe bellissimo-  

Continuammo a chiacchierare per un’oretta, finché qualcuno non bussò alla porta, quel qualcuno si rivelò essere Tom Kaulitz, con al seguito Gustav; il chitarrista mi lasciò un’occhiata degna da film d’orrore, in grado di incenerire.

-Beh, è meglio che vada, vi lascio soli. Ciao Tom, ciao Gustav- mugugnai imbarazzata, notando lo sguardo dispiaciuto di Bill, al quale risposi con un sorriso.

Uscì dalla stanza velocemente, rifugiandomi sopra al tetto come facevo di solito.

Avrei voluto parlare con il chitarrista, chiedergli perché ce l’aveva così tanto con me, un’idea ce l’avevo. Sapevo però che non ne avrei avuto il coraggio, mi metteva in soggezione, terribilmente.

Sbuffai e mi sedetti sulla solita panchina, dove pochi giorni prima avevo avuto il primo dialogo col cantante.

Sembrava fosse passato un secolo dalla prima volta in cui lo vidi.

-Ehi, Bill mi ha detto t’avrei trovata qui!- mi raggiunse cinque minuti dopo il batterista, sobbalzai alla sua voce.
-Ti ha mandato lui?- domandai interrogativa.
-Beh..- si interruppe guardandomi negli occhi, -Sì-
-Perché?-
-Non lo so, mi ha detto solo di seguirti- alzò le spalle in segno di resa.
-Ah..- rimasi in silenzio un attimo, -Posso domandarti una cosa?- annuì.
-Io sto antipatica a Tom-  affermai calma.
-Non è una domanda- controbattè lui.
-Già, cioè.. vorrei parlarne con Bill, ma so già che non mi direbbe tutta la verità. Vorrei capire perché-
Soppesò la domanda per un istante.
-Non spetta me a dirtelo, dovresti chiederlo al diretto interessato, anche se sono convinta tu ti sia fatta un’idea, e probabilmente non è sbagliata. Tom ha un carattere particolare, è molto protettivo con Bill, da quando erano bambini, devi prenderlo così com’è- spiegò.
Mi limitai ad annuire, lo stavo già inquadrando, dovevo solamente avere un faccia a faccia con lui.. l’idea mi terrorizzava e non poco.
-Torna pure da Bill, grazie per le risposte Gustav, sei stato molto gentile- sorrisi.
-Di nulla, mi sembri una ragazza a posto. Non vieni dentro? Se stai fuori rischi di prenderti qualcosa-
Negai con la testa, facendo segno di non preoccuparsi. L’aria era tiepida, non fredda.
Mi lasciò un saluto e sparì oltre alla porta, facendomi restare sola con me stessa.

“Me ne sono resa conto oggi, probabilmente
è troppo tardi per tornare indietro:
Per lasciarlo perdere. L’ho capito grazie a un suo gesto.
Un abbraccio.
Stretta a lui non pensavo a nulla, troppo concentrata
a sentire il suo cuore battere sul mio petto.
Yin E yang, destino, colpo di fulmine:
per me sono sempre state delle banalità, mai creduto.
Ora? Ho messo in dubbio tutto.
Forse  ho trovato quella persona.
E penso la lascerò andar via.
E’ meglio per tutti e due.
Almeno ci sarà solo un cuore che piangerà,
e sarà il mio.
Egoista? No, lui merita il meglio.
Merita una stella che brilli assieme a lui,
non grazie a lui. Merita qualcuno che gli stia per sempre
a fianco, io? Non so neanche se ci sarò domani.
Oggi ho toccato il cielo con un dito,
domani.. potrei schiantarmi al suolo. ”

Scrissi furiosamente, quasi con rabbia, su quel blocchetto che mi accompagnava sempre.
Rimasi fuori un’ora, persa nei miei pensieri. Mi accorsi guardandomi lo specchio d’aver pianto, una lacrima era ancora sospesa fra le ciglia, non piangevo praticamente mai, ecco un altro segno della metamorfosi a cui ero soggetta per colpa sua, o meglio.. grazie a lui? Pensare che là fuori c’erano milioni di ragazze che vivevano grazie a lui, che la sera si addormentavano salutando il suo poster e facendosi cullare dalla sua musica, ragazze innamorate di lui, ragazze che soffrivano poiché erano consapevoli dell’impossibilità di una relazione con lui, la star irraggiungibile.. e la fortuna di conoscere Bill Kaulitz era toccata a me, e trovavo ciò ingiusto, perché c’era chi lo meritava di più, io non potevo dargli ciò che cercava, non per sempre, almeno.
Sprofondai nel letto, facendo i calcoli con la giornata. Avevo ottenuto più certezze, chiarimenti.
…E anche la febbre per non aver ascoltato il batterista.


...
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* * * * 

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NdA: Volevo scusarmi per il ritardo, prima di iniziare la scuola volevo uscire il più possibile perciò evitavo di stare tanto al pc °A°  ho  problemi con la connessione (che a volte sparisce da sola .__.). Adesso è iniziata la scuola, sono in terza, allegria.. che palle. Vabbe, cercherò di essere più puntuale d'ora in poi! Detto questo, il capitolo è un po' più corto, però mi rifarò con il prossimo c:
Spero vi sia piaciuto, una recensione mi farebbe piacere :3 *non fatemi sentire forever alone*
Unleashedliebe

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Capitolo 6
*** Capitolo VI (R) ***


(C) ADL

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CAPITOLO VI (R)
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Fu la voce squillante di Rossella a svegliarmi il giorno successivo, soffrivo di mal di testa allucinante e sentivo tutte le ossa indolenzite.
-Ehi Mel non scendi per la colazione? Sei in ritardo- entrò senza tanti complimenti, fissandomi attenta.
-Mh- dissi a fatica io, -penso di avere la febbre- sbuffai.
Si avvicinò posando la mano sulla mia fronte, al contatto rabbrividì.
-Oddio Mel ma scotti! Aspetta che vado a prendere un termometro!-  tornò due minuti dopo e non perse tempo, mi infilò il termometro sotto il braccio e cominciò a battere nervosamente i piedi a terra.
-La smetti di agitarti così? Metti ansia anche a me! E’ solo un po’ di febbre..- il suo sguardo preoccupato non mi permise di continuare.
-Non è solo un po’ di febbre, lo sai che, qualunque cosa è amplificata nelle tue condizioni? Sei già abbastanza debole!- sbuffai annoiata, ogni volta era la stessa storia.
-Non fare quella faccia, lo sai. Non ti ricordi cos’è accaduto l’ultima volta?-

Domanda ironica, certo che me lo ricordavo: avevo la febbre alta e tutti i sintomi della malattia, quali tosse, vomito, pallore, si erano amplificati, portando emorragie e il conseguente ricovero.
Avevo rischiato di morire, ma ero ancora viva, quindi perché rivangare il passato?
-Si, non l’ho dimenticato- mugugnai.
-Non puoi uscire da questa stanza, vado a chiamare il dottore per sostenere degli esami, mi raccomando non muoverti-
Le parole “non uscire da questa stanza” pesavano come un macigno sul mio già debilitato cuore, se non potevo uscire non potevo vedere Bill! Aveva l’operazione fra due giorni, dovevo sostenerlo, stargli affianco!
Sentì le lacrime salire agli occhi, istintivamente presi il telefono e gli scrissi un messaggio.

“Bill merda! Mi sono presa l’influenza, non posso muovermi dalla stanza.. mi sa ci rivedremo dopo l’operazione! ):”

La risposta, come al solito, non si fece attendere.

“Cosa? Davvero Mel? Cavolo! Io ho bisogno di vederti. Appena c’è meno gente vengo su da te”

Gli angoli del mio viso si arricciarono in un sorriso involontario. Era l’effetto che aveva su di me.

“Bill, non devi. Ho l’influenza, potresti ammalarti”

Già sapevo che convincerlo a non venire sarebbe stato inutile, per quanto poco lo conoscessi non ci voleva molto a capire che, una volta messa un’idea in testa, era impossibile distoglierlo.

“Sono vaccinato, pff! Io vengo comunque (;”

Scossi la testa ridacchiando, in fondo mi faceva solo piacere vederlo. Troppo immersa nei miei pensieri non mi accorsi che l’infermiera mi stava sventolando la mano davanti al viso.
-Cosa fai sempre tra le nuvole? Ti sei innamorata eh?- fece Rossella, facendomi arrossire. –Non reagire così, non c’è nulla di male, e poi hai scelto proprio un bel ragazzo!- strizzò l’occhio, prima di sollevare il termometro.
-Trentotto e mezzo, sei messa male ragazzina. Il dottore ha detto di prendere queste- mi porse una scatola di pastiglie, -ricorda che se esci lo verrò a sapere e finirai nei guai- disse fintamente minacciosa.
-Si capo! Adesso puoi andartene, ho sonno!- domandai tornando sotto le coperte, mi gettò un’occhiataccia e uscì. Mi girai più volte nel letto, cercando di riassopirmi ma era difficile, nonostante avessi un bel pigiama e anche la coperta ero travolta da brividi di freddo decisamente spiacevoli, senza contare la sensazione di bruciore alla gola, stavo congelando ma nello stesso tempo le guance andavano in fiamme.
Odiavo ammalarmi, forse avrei dovuto dare retta a Gustav.

“Che fai piccola ammalata?” scrisse Bill.

“Faccio il tifo per i miei anticorpi, affinché sconfiggano questa maledetta influenza. Già non ne posso più! Tu invece? ” risposi.  

“Mi annoio! Oggi pomeriggio dovrebbe venire a trovarmi Tom. Adesso però non so che fare.

Se venissi a trovarti?”

Bill no! Non vorrei contagiarti!”

“Figurati! E’ da un secolo che non mi ammalo! (: Aspettami!”

Piantai la mia faccia sul cuscino, facendo forza con le mani sul materasso per alzarmi, dovevo rendermi lontanamente presentabile: guardandomi allo specchio capì che era una battaglia persa in partenza. Occhiaie marcate, guance rosse, viso pallido, occhi smorti, almeno non dovevo preoccuparmi per i capelli! Recuperai un vecchio maglione nell’armadio e mi sedetti a gambe incrociate sul letto, poco dopo entrò Bill, illuminando la stanza con il suo sorriso. Quel giorno non aveva trucco, indossava una semplice tuta che faceva intravedere tutta la sua magrezza, i capelli erano legati in una coda.
-Ciao superstar- salutai, impendendo che venisse ad abbracciarmi, -ti ho detto che ho la febbre, osi troppo abbracciandomi! Sono un ammasso di germi vivente!- esclamai facendolo ridere.
“ammasso di germi viventi, questa era bella Dichterin (;” compose sulla tastiera.
-In effetti, sarà la febbre che brucia gli ultimi neuroni rimasti!-
“Non incolpare la febbre, da a Cesare ciò che è di Cesare!” ridacchiò.
-Sei pessimo superstar. Allora dimmi un po’, mancano due giorni all’operazione.. in ansia?- domandai.
“Beh, sì! Penso sia normale, no?”
-Normalissimo, te lo dico io che di operazioni ne ho passate tante, anche più rischiose della tua, nonostante ciò mi spavento ancora! Sai, io sono morta due volte, e sono rinata due volte. Mi ritengo molto fortunata-
Sbarrò gli occhi, ed io continuai –Sì, sono finita in coma per due volte, ne sono sempre uscita. Prima o poi la fortuna mi abbandonerà, speriamo il più tardi possibile! Due a zero per me!-
“Mi ricorda una mia canzone questo! (;”
-Hai qui il testo?- domandai curiosa, lui annuì tirando fuori dalla borsa che aveva portato il quaderno in cui teneva tutte le canzoni. Estrasse un foglio e me lo porse, lessi il titolo “Wir sterben niemals aus”, molto appropriato.

“Restiamo sempre
ci urliamo nell'infinito
io grido quasi sempre
quando da qualche parte resta qualcosa
noi sentiamo
non siamo pronti per la fine
non moriremo mai
ci portiamo fino a tutti tempi”

-E quando leggo ciò che scrivi posso solo pensare che, qui, il poeta sei tu, non io. E’ fantastica, non vedo l’ora di ascoltare le tue canzoni, davvero-
“Manca poco! Poi potrai sentirle.. se andrà tutto bene” abbassò lo sguardo, io sollevai la sua testa delicatamente con la mano, facendo collidere i suoi occhi nocciola con i miei azzurri.  
-Andrà tutto bene, lo sento. Sei un ragazzo troppo speciale perché ti sia tolta la voce, che sicuramente è bellissima e perfetta.. come te- sussurrai senza distogliere lo sguardo, sentendomi avvampare ogni secondo di più dopo la confessione.
Non riuscì ad oppormi questa volta, fui travolta dal suo abbraccio tanto che feci fatica a mantenermi in posizione eretta, rischiando di finire buttata a letto con lui sopra, allora si sarebbe stato davvero imbarazzante. Mi guardò negli occhi e vidi tutta la gratitudine che non riusciva a esprimere a parole, tutta concentrata in quei diamanti nocciola. Si avvicinò al mio viso e poggiò un bacio sulla guancia, vicino all’angolo della bocca. In quel momento il mio corpo non reagiva, era completamente paralizzato, in balia della perfezione assoluta, ipnotizzato da lui. Rimase qualche secondo appoggiato con le labbra sulla mia pelle, per poi spostarsi più in là, raggiungendo la mia bocca.
Niente, zero, ero passiva, non riuscivo a far nulla. Sentivo il suo respiro su di me, io respiravo lui. Vaniglia e menta. Respiravo la sua dolcezza. Respiravo l’amore.
Posò le sue labbra sulle mie, un contatto debole, quasi inesistente. Casto. Puro.
Morbide, soffici. Perfette. Come lui.
Si staccò poco dopo, continuando a guardarmi, in attesa di una mia reazione.
Sbattei le palpebre, inerme. Chiusi gli occhi, riprendendo il controllo di un corpo in balia di se stesso.

Era una mandria di elefanti quella che si agitava nel mio stomaco?

-Bill..- sussurrai fissandolo, -è.. è meglio che tu vada ora- mi guardò incredulo, fissandomi attento per un attimo, poi senza attendere oltre si alzò e mi lasciò sbattendo la porta.
Crollai. Mi buttai a peso morto sul letto.
Non poteva essere successo davvero, doveva essere una sorta di incubo.
...O sogno?
Era troppo tardi per me ormai, neanche una settimana ed ero stata conquistata da lui.
L’avrei evitato, per lui c’era via di fuga: innamorarsi di me era una trappola, un’ingiustizia.
Non si può amare qualcuno che potrebbe dissolversi da un giorno all’altro, non gli avrei mai dato la felicità che si meritava, sarei stata un ostacolo alla sua carriera, alla sua vita.

“Lo sapevo, lo sapevo.
Dovevo stare più attenta.
In che casino mi sono cacciata?
Che fare ora? Semplice. Nulla.
Resettare, cancellare, sparire.
Lui è il cantante più amato di tutta Europa,
lui è la Luna, io una stella che brilla di luce riflessa.
Si merita il meglio, ossia tutto ciò che non sono io.
Quel bacio sarà solo un ricordo, archiviato come sbaglio.
..Sbaglio bellissimo però, uno dei più belli sicuramente.
Che non si deve ripetere.
Ce la posso fare, ce la devo fare.
Lui mi ha baciato per gratitudine sicuramente,
perché dopo tanto qualcuno stava al suo fianco per
un’amicizia disinteressata. Gratitudine, solamente questo.
Io invece ero annebbiata dalla febbre.
Mi odierà?
Forse per un poco, poi tornerà nel suo mondo,
e io verrò etichettata come una semplice comparsa.
A volte la vita è proprio complicata.
A volte è troppo ingiusta.
A volte, è semplicemente stronza.”

Le parole scritte su carta cominciarono a sformarsi, diventando macchie di inchiostro nero informi.
Modellate dalle lacrime, andavano offuscandosi e confondendosi.
Mi tornarono in mente le parole di mia madre “immagina cosa può succedere in un mese Mel”, ne avevo appena ricevuto un assaggio.

* * *

Nel frattempo Bill era uscito dalla mia stanza, ugualmente agitato e confuso. Tutte le reazioni si aspettava tranne un rifiuto del genere, di essere cacciato senza spiegazioni; pensava avrei gridato, pianto, preso a schiaffi, magari anche risposto.. invece mi ero limitata a guardarlo fredda. Non era consapevole di ciò che mi aveva spinto a farlo, io lo facevo per lui. Ritornato nella sua camera si buttò aspettando l’arrivo del gemello.

Continuavo a rigirarmi nel letto, purtroppo fare finta di nulla non era semplice, sentivo di dovergli dare una spiegazione, anche falsa, ma pur sempre qualcosa. Decisi così di alzarmi, seppur a fatica, lavarmi il viso e scendere da Bill. Per evitare di farmi trovare dall’infermiera scelsi le scale;  quando arrivai giù ero praticamente sfinita, ma dovevo fare l’ultimo sforzo. Trovandomi davanti a quella porta mi sentì terribilmente agitata, trovai il coraggio ed entrai. Bill era appoggiato alla spalliera del letto, alle orecchie le cuffiette, immaginai ascoltasse Nena.
-Posso?- domandai indicando una sieda affianco al letto, lui annuì solamente.
-Volevo spiegarti il perché del mio comportamento- esclamai mentre cercavo di inventare qualche bugia al momento, non trovandone nessuna plausibile usai la solita vecchia scusa, -Non riesco che a vederti come un amico, nulla di più- pronunciai queste parole guardandolo dritto negli occhi, cosicché non pensasse stessi mentendo. Prese il cellulare.
“Non ti credo Mel. Di quello che vuoi.. ma non ti credo. Ho visto come mi guardi”
-Tutti possono sbagliare Bill, e tu ti sei sbagliato. Penso sia meglio non vederci per un po’- scrollai le spalle, con finto fare indifferente. Dovevo aver pur ereditato qualcosa da due genitori attori!
Hai un foglio?” chiese, lo guardai interrogativa, mi limitai a svuotare la mia borsa e trovare un blocchetto di carta, scrisse velocemente una strofa che non riconobbi.

“Mit jedem Hauch von dir, erlöst du mich
Wir sehen uns wieder - irgendwann
Atme weiter wenn du kannst
Auch wenn das Meer, unter dir zerbricht
Ich glaub an dich ”

E’ una mia canzone, si chiama Heilig. È troppo tardi ora per tirarsi indietro, ci siamo dentro entrambi, non devi decidere te per tutti e due! Tu mi piaci Mel” scrisse poi al telefono.
-Tu ti sei affezionato, te lo concedo, l’altro sentimento è solo un’illusione, t’interesso ma perché sono diversa dalle altre ragazze che hai incontrato e ciò fa si che t’intestardisca su di me.- sospirai, mentre mi guardava con disapprovazione. -E’ meglio che vada- mi congedai in fretta, uscendo prima possibile. Una volta fuori fui costretta ad appoggiarmi al muro, poiché mi sentì mancare. Proprio in quel momento m’imbattei in Tom, come al solito mi donò un’occhiata scettica e fredda, mista a compassione per il mio stato; non riuscivo a reggerla perciò abbassai lo sguardo e senza dire una parola tornai sulla mia strada.
Ogni passo verso la mia stanza sembrava un’epopea, alla presenza di Bill ero troppo concentrata su di lui per dare retta ai segnali che il mio corpo mi mandava, quali brividi e sforzi. Oltrepassai la porta e mi lasciai cadere sopra al letto, mentre cercavo nella borsa il mio cellulare per chiamare mia madre.

Non c’era.

Svuotai tutto il contenuto sopra il lenzuolo ma non ve n’era traccia, la consapevolezza d’averlo lasciato dal cantante mi fece impallidire: il piano di evitarlo e non vederlo per un bel po’ era miseramente fallito, prima ancora di cominciare. Sbuffai, ingurgitai una delle pastiglie datami dall’infermiera e aspettai cinque minuti perché facesse effetto, appena mi sentì poco meglio mi misi in piedi diretta nuovamente da Bill, mentre lo stomaco si contorceva per il nervosismo. Non presi le scale, sapevo che a quell’ora c’era poca gente in giro, infatti erano riuniti nella sala centrale per la pausa del pomeriggio e c’era il cambio di turno, quindi avevo un minimo di libertà. Con le gambe tremanti arrivai davanti alla porta, notandola socchiusa. Esitai a entrare, udendo la voce alterata di Tom.

-L’hai baciata? Dimmi che stai scherzando!- ci fu un momento di silenzio, il tempo perché il moro scrivesse la risposta supposi.

-Te l’ho già detto, quella non mi piace- non pronunciò neanche il mio nome, si limitò a concentrare una buona dose di disprezzo sul pronome dimostrativo in questione.
 Ancora silenzio.
-Sei troppo ingenuo Bill! Sinceramente, va bene che vive qua da quattro anni, ma è impossibile non ci conosca! Non c’è una radio qui? Non ha il canale musicale nella televisione? Ti sta prendendo in giro, ti ha proprio in pugno: sei cotto!-
Silenzio.
-No, non sei cotto, figuriamoci!- sbuffò, -E non è solo questo-
Silenzio.
-Bill, lo sai. È malata! Ti rendi che, comunque, una storia fra voi due non potrebbe mai funzionare?- calcò sull’avverbio, sentì la sua voce penetrarmi le ossa, facendo male, era tagliente.
Silenzio.
La malattia sembrava niente in confronto all’effetto che le parole del rasta ebbero su di me.
-Vaffanculo, non voglio discutere per lei- disprezzo. Mi disprezzava.
Silenzio.
-Sì ce l’ho un cuore cazzo! Un cuore che non si fa abbindolare così!- il suo tono era sarcastico.
Silenzio.
-Stai sbagliando tutto, davvero. Arrenditi, lascia correre! Ne incontriamo migliaia di ragazze, perché lei? Dimenticala, neanche un mese e lascerai questo posto, senza tornarci più. La conosci da neanche una settimana, non puoi esserti innamorato di lei, è assurdo!-
Silenzio. Per quanto le parole del gemello mi facessero soffrire – quasi sentivo il mio cuore gemere ad ogni sillaba aguzza – non potevo negare avesse ragione, fottutamente ragione. Silenzio.   
-Non ho detto che sia impossibile affezionarsi a una persona dopo poco, ma ciò mi sembra improbabile, esagerato, stupido-
Silenzio.
-Bill, non fare così, ti prego- lo sentì muoversi verso il letto, mentre un singhiozzo soffocato invase la stanza. Seguì altro silenzio.
-Intendi il cellulare? Devo riportarglielo?- capì il cantante avesse individuato il mio cellulare, fuoriuscito probabilmente quando avevo aperto la borsa per estrarre il blocchetto, e l’aveva indicato al fratello.
Avevo sentito abbastanza, mi girai velocemente diretta verso la mia camera, camminando fitta, temendo d’esser beccata a origliare.
Cinque minuti dopo ero sotto le coperte, attendendo nervosamente l’arrivo del chitarrista. Per ingannare l’attesa scrissi qualcosa.

“Improvvisamente è iniziato tutto,
velocemente ho stroncato ciò che era andato creandosi.
Già me ne sto pentendo, ma non torno indietro.
Potrei? Sì, lui probabilmente ne sarebbe felice, e anche io.
Non posso però, io non merito lui e lui merita più di me.
Non voglio che gli sia precluso nulla,
stando con me ciò succederebbe.
Starò qui, beandomi del suo sorriso da lontano,
sperando non si affievolisca  a causa mia,
non ho una tale influenza su di lui,
credo, spero
Lo ripeto, la vita è proprio stronza. ”

Raccolsi una lacrima sfuggita dal mio controllo, facendola sparire velocemente, prima che arrivasse alle labbra, non ne volevo sentire l’amaro sapore.
Come da previsione, Tom Kaulitz si presentò in camera mia e vi entrò con fare spavaldo, senza bussare, sfidandomi con gli occhi. Sostenni lo sguardo, mentre appoggiavo i miei scritti sotto il cuscino.
-Mel- salutò lui con un cenno del capo, appoggiandosi all’armadio.
-Tom- il mio tono era incolore, stanco.
Sentivo il peso della giornata sulle spalle, l’effetto della febbre in salita e la gola che bruciava per la tosse.
-Grazie per avermi portato il cellulare- dissi prima ancora che lo tirasse fuori dalla tasca, mi fissò incredulo per un attimo, mi spiegai, -Ero venuta a riprendermelo, ho pensato fosse meglio tornare su, non volevo interrompervi-
-Hai.. sentito?- si avvicinò al letto, mantenendo l’andatura sicura.
-…Tutto- confermai. –Voglio chiarire alcune cose, se posso- il ragazzo annuì.
-Non ho mai sentito una vostra canzone: ho la tv, certo, ma la guardo raramente, come puoi vedere preferisco leggere e ascoltare i miei cd- indicai la libreria, colma di volumi e dischi. –Non avrei avuto motivo di mentire, cosa ci guadagnavo? Non mi sono avvicinata a Bill con secondi fini, anzi.. è stato lui ad avvicinarsi a me. Avrei dovuto mantenere le distanze, ci ho pensato troppo tardi. Cosa pensi Tom? Sono malata di leucemia, non cretina. So che una persona come me è solo un peso, non potrò mai assicurare la felicità che lui sicuramente merita. Ah, senza scordare che domani potrei essere morta- lo vidi fissarmi stranito, colpito dal tono incolore usato per pronunciare l’ultima frase.
-Comunque te l’ha detto no? L’ho fermato quando ci siamo baciati-
-Perché l’hai fatto?- mi interruppe.
-Bill mi piace, tanto- arrossì, -Se tutto ciò si fosse sviluppato in un altro ambiente non avrei opposto resistenza, sarei stata la ragazza più felice della terra. Invece..- presi fiato, -proprio perché mi piace preferisco che si dimentichi di me, il suo tempo con me è sprecato e non porta nulla, lo farei soffrire, ed è l’ultima cosa che voglio.-
Soppesò le mie parole, annuendo pensieroso.
-Non sei come pensato. Ti devo delle scuse- pronunciò infine, -Tienitele strette, Tom Kaulitz non si scusa praticamente mai- l’avevo intuito questo, pensai.
-Non devi scusarti, avrei reagito allo stesso modo anche io- strizzai gli occhi, sentendomi salire un attacco di tosse improvviso. –Posso chiederti due favori?- domandai.
-Dipende- diplomatico e secco come al solito.
-Impedisci a Bill di salire a trovarmi, capirai perché..- feci enigmatica e seria.
-Evito di chiederti la motivazione, qualcosa mi dice non me la dirai. Comunque okay, lo farò- sorrisi.
-Il secondo è più semplice, puoi chiamarmi il dottor Güllimber? È di turno ora, nel centralino di questo piano. Chiedigli di venire per favore- tossì ancora, usando un fazzoletto per coprirmi la bocca.
-Tutto bene?- sembrava quasi preoccupato. La sua espressione dura vacillò per un secondo, il suo sguardo sembrò scaldarsi, per poi tornare controllato come prima.
-Si Kaulitz, solo l’influenza. Il dottore deve fare un controllo, tutto qui. Sono viva, per ora-
Ricambiò il sorriso, annuendo.
Se ne andò e fui subito raggiunta dal dottore.
-Tutto bene piccola Mel?- domandò con il tono pratico. Piccola Mel, mi chiamava sempre così, da quattro anni prima. Era un uomo simpatico, sui quarant’anni, dall’aspetto tipico tedesco: capelli biondi-rossicci, occhi castani e bel fisico, carismatico.
-Complicazioni- dissi semplicemente, mostrando il fazzoletto sporco.
..sporco di sangue.

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NdA:
No, non sono morta.. almeno non ancora! Purtroppo ho avuto in periodo duro sia a causa della scuola sia per motivi personali, per cui non sono stata molto al computer e infatti ho trascurato EFP e sono rimasta indietro con parecchie storie.. prima o poi riuscirò a mettermi in pari! Spero non vi siate dimenticati di me e di questa fanfiction! Almeno la mia assenza è ripagata da questo capitolo abbastanza lunghetto! Chiedo venia, non ho riletto quindi possono essere presenti errori qua e là. 
Ringrazio chi ha recensito la volta scorsa e anche chi segue silenziosamente! Ricordo, commenti mai hanno ammazzato nessuno! Vi costa un minuto e rende migliore una mia giornata! :D 
Detto questo, domani ho la verifica di matematica. Pregate per me. Aiuto.
Un bacio,
Unleashedliebe ( Louder )

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Capitolo 7
*** Capitolo VII (C) ***


(c) ADL

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CAPITOLO VII (C)

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Lo sguardo del dottore tradiva i suoi pensieri, nonostante usasse una voce pacata e tranquilla, riuscivo a capire che in realtà fosse agitato e preoccupato; nel giro di dieci minuti mandò a chiamare i miei genitori e le infermiere, per proseguire con i soliti esami di routine.
C’ero già passata l’anno prima, stessa modalità. Sapevo già cosa sarebbe potuto succedere..

Ero preparata, circa.

-Abbiamo chiamato tua madre, non può venire. Domani ti raggiungerà tuo padre- m’informò Rossella.
-Perfetto- sussurrai sarcastica, la donna ignorò il mio tono, infilandomi una siringa nel braccio.
-Effetto sedativo, ora riposati- intervenne il dottore, coprendomi con la coperta, mentre piano  tutto attorno a me diventava opaco e vacuo. Mi assopì.

Lentamente prendevo coscienza del mio corpo, tutto indolenzito, percependo dei chiacchiericci all’esterno della camera. Mi concentrai per capire chi parlasse e di cosa.

-Dottore, la situazione com’è?- la voce calda e profonda che non sentivo da un po’, comunque l’avrei riconosciuta tra mille, mio padre.
-Si sta ripetendo ciò che è successo l’anno scorso, ora però la faccenda è leggermente più critica poiché è debole a causa della leucemia che avanza. Dobbiamo tenerla sotto controllo- riconobbi il primario.
-Quindi.. non ci resta che.. sperare- disse mio padre a fatica.
Mi si strinse il cuore, non volevo sentire quelle cose, ma non riuscivo a staccare l’orecchio dal discorso, quasi volessi far più male di quello che già sentivo.
-E’ forte Mel, ha lottato quattro anni, e continua a lottare; speriamo il suo corpo non smetta di farlo ora-
Mio padre trattenne il respiro, lanciando un’occhiata all’interno della stanza e agitandosi, notando m’ero svegliata.
-Piccola! Da quanto sei sveglia?- entrò sedendosi affianco al letto.
-Oh, ho appena aperto gli occhi-, il mio tono era appena udibile, preferì mentire che far capire avessi seguito il discorso.
-Sh, non ti sforzare. Torna a riposare- sussurrò dolce, accarezzandomi la guancia.
Cercai di sorridere, uscì una specie di smorfia non definita.
-Ora vado fuori, devo sistemare alcune cose col dottore e poi portare le valigie all’albergo, torno in serata-
Salutai alzando poco il braccio – gesto che mi costò una fatica immane – e tornai con la testa al cuscino.

Avevo bisogno di scrivere, dovevo far chiarezza, mettere i pensieri su carta e ragionare.

Non avevo abbastanza forza.
Odiavo stare così, odiavo quella sensazione.
Come se ci fosse un alieno dentro di me, che controllasse il mio corpo.
Diciassette anni e un’anima dipendente da un fisico debilitato, fragile.
Diciassette anni e la voglia di sfondare, conoscere, esplorare.
Diciassette anni e la voglia di amare.
Diciassette anni e la voglia di vivere.
Diciassette anni e un epilogo sempre più vicino.
Diciassette anni buttati al vento, passivamente.
Avevo diciassette anni e mi sentivo già sfinita, sciupata da una realtà che mi andava stretta.

Chiusi gli occhi, estraniandomi da tutto.
In quel momento ero Mel, un’adolescente allegra, dai lunghi capelli ricci e occhi splendenti.
Indossavo un paio di jeans strappati e una camicia scozzese, ai piedi un paio di consumate converse.
Una borsa a tracolla in spalla, mano stanca dopo un pomeriggio trascorso a firmare autografi.
Nonostante tutto ero energica, pronta per vederlo, per vederli. Correvo, spingevo, sorridevo;
ero sotto a un palco grande, mi univo alle altre che urlavano “Wir wollen Tokio Hotel!”. Un momento di silenzio e poi sarebbe iniziata la serata più bella di sempre.

-Ehi Mel, ci sei?- crack, brusco ritorno alla razionalità, scossa dalla voce dell’infermiera.
-Si Rossella, ci sono.. più o meno- risposi lieve, mentre si avvicinava a me.
-Devo farti un’iniezione- annuì, -sedativo?- domandai, lei accennò un sì colpevole.
-Che palle, sembro un orso che va in letargo a comando- mugugnai sentendola ridere.
-Questa mi è nuova piccola, dopo me la segno! Mettiti tranquilla-
Un minuto dopo caddi ancora addormentata.

Bip, bip, bip.

Questa volta nessuna voce mi svegliò, fu il bip della macchina che avevo affianco a disturbare il mio sonno.
Girai lentamente la testa, sentendomi subito girare tutto, socchiusi gli occhi e colsi l’ora dalla sveglia: erano le tre di notte. Perfetto, l’orologio biologico era andato a farsi friggere. Sentivo l’odore della colonia di mio padre all’interno della camera, probabilmente m’aveva assistito tutta la serata, e ora stava riposando in albergo. Fantastico, notte fonda, sveglia e con nessuno attorno.
Posai una mano sulla mia fronte, sentendola bollente. Perfetto.
Provai ad alzarmi per appoggiarmi alla tastiera del letto, ma fui presa alla sprovvista da un attacco di tosse.
La gola bruciava da morire, sentì una lacrima scendere.

Tossivo. Lacrimavo.

Presa alla sprovvista premetti il pulsante accanto al letto, facendo accorrere il medico poco dopo.

Mi mancava il respiro.

-Mel! Rilassati, prova a espirare e ispirare!- intervenne un’altra infermiera – Rossella aveva finito il suo turno. Cercai di fare come suggeritomi, non riuscivo. Li guardai spaventata, sentendomi soffocare.

Tosse, ancora tosse.

-E’ embolia polmonare! Intubatela e somministrate trombolitici, in fretta!- era allarmato.
La stanza si era riempita, tutto attorno a me si muovevano frenetici, mentre io osservavo tutto immobile.
Poi mi sentì meglio, ci fu un ultimo colpo di tosse, i muscoli si rilassarono e le palpebre si chiusero..


Un giorno dopo  

-Dottore, come sta? Sono accorsa appena possibile-
-Signora, era andata in embolia polmonare, abbiamo fatto il possibile, lo stadio era già avanzato. Dobbiamo vedere la situazione nelle prossime ore, inoltre la febbre non scende, stia procedendo anche con delle trasfusioni. Lei e suo marito potete tornare in albergo, se ci sono novità avvertiamo-

Due giorni dopo

-Ancora niente?- domandò una voce maschile.
-No, i segnali vitali sono stabili, la febbre sta scendendo. Probabilmente risente ancora dell’effetto dei farmaci, ha subito anche un intervento impegnativo, parecchio per il suo corpo.
-Signori Bauer, Mel sta lottando, dobbiamo solo sperare non smetta-, s’intromise Rossella.
Sospirarono.

Tre giorni dopo

-So cosa state per chiedere, ancora nulla purtroppo. Sta bene, ora sta a lei scegliere quando svegliarsi-
-Piccola, ti prego, non farci stare così in pensiero-
Percepì qualcosa che sfiorava la mia mano, riconobbi la voce di mia madre e quella del dottore.
Provai a rispondere, ma gli stimoli che mandavo erano inutili, non riuscivo a muovere  muscolo, ero impotente. Sentì una sensazione di bagnato sulla mia fronte, in seguito avvertì le labbra di mamma su essa, leggere. Non piangere per favore, pregai, consapevole non mi avrebbe sentito.
-Mel, c’è un ragazzo fuori per te. Io e papà torneremo domani, non farci brutte sorprese-
Non badai alle ultime parole, troppo concentrata su “c’è un ragazzo fuori per te”.
Sentì la porta aprirsi e dei passi trascinati avvicinarsi al letto. La prima sensazione che provai fu delusione, non era Bill, lui si muoveva con delicatezza ed eleganza, perciò immaginai fosse Tom, non conoscevo molti ragazzi in effetti. Lo sentì schiarirsi la voce, imbarazzo?
-Ehm.. sono Tom- se avessi potuto sorridere, l’avrei fatto.
Il mio pensiero non poté che  andare verso Bill, da quanto dormivo? Come stava? Era stato operato?
-Probabilmente sono l’unica persona che ti aspettavi qui, beh.. sorpresa!-
-…-
-Okay, sapevo che non avresti risposto, ma parlare da solo è più difficile del previsto. Sono qui soprattutto per Bill, l’hanno operato l’altro ieri; volevo farti sapere che è andato tutto bene, intervento perfetto, non ci resta che aspettare un’altra settimana per sentire la sua voce; quindi ti conviene darti una mossa e svegliarti. Sì, so che avevo detto dovevi stargli alla larga, e so che eri d’accordo con me, che sei d’accordo con me! Non ho cambiato idea, e non la cambierò.. non voglio sembrarti cattivo, ma le mie idee si sono fatte ancora più decise dopo quello che ti sta succedendo. Non gliel’ho detto, ma continua a chiedermi di te, non può uscire ma so che, appena gli sarà possibile, verrà qui. Rigiro sempre le domande, sono bravo, credo che abbia capito c’è qualcosa che non va, come posso dirglielo però? Mel non si sveglia da tre giorni perché ha rischiato di morire, non posso. È fragile, mio fratello, non sopporterebbe.
Perciò datti una mossa e alza quel sedere da quel materasso!-

Registrai con calma tutte quelle informazioni, soffermandomi sulla frase “è andato tutto bene”: il cantante era in salute, sarebbe tornato a cantare.
Dovevo farmi forza, dovevo lottare per sentire quella voce. Mel, non mollare! Ascolta Tom e schioda il sedere dal letto.
Mi sforzavo, era difficile. Sentì la mia mano racchiusa in un’altra, molto più grande e calda. Da chitarrista.

-Se ci fosse Bill qui sai cosa ti direbbe? “Nimm meine Hand, wir fangen nochmal an”, prendi la mia mano e iniziamo un’altra volta- momento di silenzio.
-Sto diventando diabetico da far schifo, svegliati o dovrai pagarmi un costoso appuntamento dal dentista per curare le carie che mi stanno uscendo-

Concentrati Mel, concentrati!

Feci forza sulle dita, provando a muoverle, ciò che ottenni fu una piccola pressione su quelle del ragazzo.
Ancora, racchiusi la mano a pugno, incastrando con me l’altra.

-Mel!-

Ultimo sforzo, ce la potevo fare.

-Kaulitz- sussurrai, aprendo gli occhi a fatica. Venni colpita da una luce e fui costretta a richiuderli subito, sbattendo velocemente le palpebre per riabituarmi ai colori.
-Era ora che ti svegliassi eh!- borbottò, sentì un cellulare vibrare –Aspetta un secondo.. oh ma guarda che coincidenza! È Bill!-  notai un sorriso dolce sul suo viso, man mano che leggeva si affievolì.
-T-tutto b-bene?- ogni sillaba era un’impresa.
-Giudica te: “Brutto coglione! Perché non me l’hai detto di Mel? L’ho scoperto da un’anoressica che spettegolava! Ti rendi conto? Ma che cazzo!”-
Oh, bella schifezza. Il piano di tenerlo all’oscuro era miseramente fallito.
-Che gli rispondo?- domandò guardandomi. Gli indicai il mio cellulare, abbandonato sul comodino.


“Bill..
tre a zero per me.
Mel”


Sotto lo sguardo confuso di Tom glielo inviai, certa che lui avrebbe capito.

...

...* * * 

...

NdA: Eccomi qua, non sono sparita! Scuola - compiti - studio, ecco le cause della mia assenza prolungata, vi chiedo scusa nuovamente! Vi prometto però che non sparirò, tengo troppo a questa fanfiction per lasciarla in sospeso! 
Questo capitolo è più corto degli altri, ma non sapevo come allungarlo, ho preferito focalizzare tutta l'attenzione su ciò che sta succedendo a Mel; paura eh? Per ora sta bene (per ora..!). Cosa succederà con Bill? Al prossimo per saperlo ;D
Grazie a tutte quelle che mi seguono nonostante i miei ritardi, grazie a tutte quelle che commentano e a chi legge soltanto (: 
Fatemi sapere cosa pensate anche di questo, fa solo piacere!
Unleashedliebe

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII (H) ***


(c) ADL

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...

CAPITOLO VIII (H)

....

...

Tom mi lasciò presto sola per andare dal fratello. La mia stanza si popolò velocemente, prima arrivò il dottore, poi le infermiere, in fine i miei genitori.

-Mel, ci hai fatto preoccupare moltissimo!- mi corsero incontro, abbracciandomi.
-Ormai ci ho fatto il callo. Sono un osso duro- dissi sorridendo un poco.
-Lo sappiamo e siamo orgogliosi di te-
-Signori, potete uscire? Dobbiamo fare dei controlli-

Sbuffai mentalmente, sempre controlli e controlli e controlli ancora.

-Allora dottore, non si aspettava di vedermi ancora eh?- ammiccai nella sua direzione, la mia voce era appena udibile.
-Sempre la solita simpatica Mel! Stavolta ci hai fatto davvero spaventare- rispose.
-Volta in più, volta in meno.. cosa vuoi che sia! Tanto sono ancora qua- per ora, aggiunsi mentalmente.
-E sarai qua ancora per molto-
-Convinto lei- lo guardai scettica.
-Fidati- strizzò l’occhio. Scossi la testa, che uomo!
-Ma adesso, sinceramente.. pensa che io uscirò mai da qui? Sulle mie gambe intendo-

Stette pensieroso per qualche secondo, -Sì, ne sono convinto: ne ho visti pochi sopravvivere quattro anni, e tu sei l’eccezione alla regola. Arriverà il tuo momento, sono sicuro- sorrise rassicurante.
-Sarà, ma io ormai non ci spero più-
-E sbagli, credimi. Non bisogna perdere mai la speranza, è la cosa più sbagliata che uno posso fare-
Alzai un sopracciglio scettica, -E’ facile dirlo, ma dopo anni mi sono stancata di lottare, senza vedere miglioramenti, sempre “la situazione è stazionaria”- citai le sue parole.
-Qualsiasi vita deve essere vissuta, anche la tua- affermò.
Scrollai le spalle, quel discorso era a senso unico.
Lui la pensava in un modo, io in un altro.

Controlli, controlli , controlli.

Tre ore dopo tornai finalmente nella mia stanza, sfibrata e stanca, senza un minimo di energia in corpo.
Presi l’ipod e selezionai “Moonlight”, bellissima sonata.

Cullata da quelle dolci note riuscì finalmente ad addormentarmi, senza l’aiuto di sedativi.

Tirai fino alle dieci del giorno dopo, una volta alzata mi sentivo finalmente meglio. I muscoli non dolevano e riuscivo a formulare un discorso di senso compiuto senza dover fermarmi per prender fiato.
Avvertì il richiamo del blocchetto che giaceva abbandonato sul comodino. Invitante, troppo. Lo presi delicatamente e tornai a sporcarlo di inchiostro.

“Ora come ora potrei pensare d’essere invincibile.
Ho battuto la morte, tre a zero.
Sono resuscitata, è una strana sensazione.
Prima ti senti in balia degli avvenimenti,
poi ti riappropri del tuo corpo.
..E’ bello.
Davvero, mi sento bene ora.
Forte.
Potrei affrontare tutto e tutti,
.. quasi.
Non lui, è ancora troppo presto, credo.
Sta bene, mi basta sapere questo.
Spero di non rivederlo per un bel po’,
il mio cuore ha retto a tante cose, ma secondo me,
alla sua visione, cederebbe.
La cosa peggiore? Mi manca, aggiungerei da morire,
ma sarebbe un pessimo umorismo, ora come ora.
Sono stata dipendente da tante cose: sedativi, flebo, la brioche
appena sfornata, l’odore dell’acqua ossigenata, e l’elenco si prolunga.
Mai però di una persona.
Adesso posso dire d’aver provato proprio tutto,
dovrei ringraziarlo?
Lui, la mia dolce droga amara”


Posai le armi per scrivere, soddisfatta delle due parole buttate giù. Sentì il cellulare vibrare, mittente Bill.

“Non mi interessa mantenere le distanze. Io non voglio, tu si? Cavoli tuoi.
Io ti scrivo lo stesso. Hai vinto, ancora: vedi, non è destino per te mollare, lasciarmi.
Devo pensare di non essere nulla per te Mel?
Spiegami, i tuoi occhi quando sei con me ti tradiscono.
Appena possibile verrò da te, al diavolo ciò che mi hai chiesto.
Dopo aver catturato il tuo sguardo, sta certa che capirò cosa vuoi davvero.
Anche se, un’idea, già ce l’ho.”

Sbarrai gli occhi, l’avevo capito che era testardo, ma non masochista! Il fatto che m’avesse cercato comunque m’aveva fatto piacere, troppo. Potevo dire ciò che volevo, ma negare che mi piacesse, se non di più, sarebbe stata una terribile eresia.

“Sono così vicina  a quello che ho sognato, ma fa molto male sai Bill?
Non m’aspetto tu capisca quello che intendo. So che, qualsiasi cosa dica,
tu non cambierai idea. Ci rinuncio, sei perfetto tanto quanto cocciuto.
Nur Freunde Bill, solo amici.”

Mentre digitavo i tasti per formulare una risposta mi sento infiammare, lettera dopo lettera, bugia dopo bugia. Solo amici? Ma quando mai, lui non era un amico: quando vedi un amico non ti esce il cuore fuori dal petto, non ti si illuminano gli occhi, non ti si resettano gli occhi, né cancella la mente.
Decisamente era di più, tanto di più.
Amore.

“Non cambierò idea. Tu mi piaci più di un po’.
Ich lös mich langsam auf - halt mich nich' mehr aus
Ich krieg dich einfach nich' mehr aus mir raus
Egal wo du bist”  [*]

Sbuffando mi strinsi più al cuscino, me la vedevo particolarmente dura. Sentì bussare alla porta, sperai vivamente non fosse il cantante. No, non era lui.

Era una ragazza, la conoscevo di vista, frequentava la clinica da circa un paio d’anni, anoressia.
La invitai ad entrare, curiosa di sapere cosa desiderava.
-Ciao- mi salutò incerta. –Posso?- indicò la sedia di fianco al letto, annuì.
-Ti chiederai perché sono qui.. insomma non ci conosciamo neanche- parlò, era visibilmente nervosa.
-In effetti- sorrisi incoraggiandola a continuare.
-Niente, volevo vedere come stavi, e presentarmi. Sono qui da anni e non ti ho mai parlato. So che può sembrare stupito, ma ti ho sempre osservato, e vederti mancare tutto ad un tratto mi ha fatto preoccupare. Non prendermi per pazza- spiegò.
-Beh, come vedi sto bene, circa- sorrisi, porgendole la mano –Io sono Mel, piacere-
-Julia- mi guardò negli occhi e la osservai  meglio, aveva un bel viso: occhi scuri, capelli tagliati sbarazzini, castani, ovviamente magra, meno rispetto ai primi giorni. La rividi appena entrata, trascinata da un ragazzo più grande, sembrava invisibile.
-Posso farti una domanda Julia?- rispose positivamente, attenta –Perché qui? Insomma, ci sono tante ragazze che stanno male, perché sei venuta a trovare me?-
-Ah, immaginavo me l’avresti chiesto, se devo essere sincera, tu mi hai sempre incuriosita, ti vedo tanto simile a me.. e poi ammettiamolo, le anoressiche sono terribili, mi sto auto-insultando però è quello che penso, quindi eccomi qui.. okay probabilmente non hai capito nulla, non sono brava a spiegarmi- gesticolò imbarazzata. Sorrisi, invece avevo capito: aveva visto in me una possibile amica, visto il carattere simile. Mi trovai d’accordo, era piacevole parlare con lei.
-Penso d’aver capito invece. Beh, raccontami qualcosa, che si dice? È da un po’ che sono rinchiusa qui. Qualche gossip alla clinica?- ammiccai, facendola ridacchiare.
-No, è stata dimessa Heike, non so se hai presente- annuì, era arrivata un anno dopo di me, stessa malattia, forse c’era ancora speranza per me. –Poi qua intorno è pieno di giornalisti, è diventato difficile uscire senza essere fotografati, sai.. per l’intervento di Bill- mi fissò di sottecchi, cercando di capire la mia reazione.
-Ahn..- feci indifferente.
-Da quando è arrivato tutte le ragazze sembrano in calore, beata te che vivi in una stanza sola. Io mi ritrovo a dormire con migliaia di occhi che mi fissano attaccati alla parete, mi sento sempre osservata dai Tokio Hotel appiccicati al muro- sbuffò, facendomi ridere.
-Tu sei fan?- chiesi a bruciapelo, vedendola arrossire.
-Si, li ascolto da anni, però non ho mai attaccato poster, mi inquietano! Tu invece?-
-Penso di essere l’unica ragazza tedesca a non aver mai sentito una loro canzone- sbuffai. Mi guardò esterrefatta.
-Cosa? Davvero? Se vuoi ti faccio sentire qualcosa!- propose subito, illuminandosi.
-No, l’ho promesso.. a Bill. Non vuole che ascolti una loro canzone finché non sarà sicuro di poter tornare a cantare- gesticolai.
-Posso chiederti una cosa? Sei libera di non rispondere, sono solo curiosa- era evidentemente imbarazzata, annuì.
-Com’è Bill? Guardandolo da “lontano” o sentendo la sua musica, è apparentemente molto dolce, carino.. vi ho visti insieme qualche volta, tu che ci hai parlato.. com’è?- le brillavano gli occhi. Ero conscia della fortuna avuta, potendolo conoscere. Tante ragazze avrebbero pagato per essere al posto mio..
Sospirai, -Bill è perfetto, non saprei trovare aggettivo migliore. È estremamente dolce, giocoso, simpatico, carismatico.. okay penso d’aver dato l’idea- mi fermai accorgendomi di esagerare.
-Si, hai reso. Ti piace parecchio eh?- sprofondai sotto le coperte.
-No, figurati!- sventolai la mano come se niente fosse.
-Tranquilla, non lo sbandiero in giro.. poi era abbastanza palese come cosa-
-Ma scusa, vado in giro con un cartello con su scritto “PERSA PER BK” per caso?- sbottai, facendo aumentare le sue risate.
-No, è semplice capirlo. Ti si illuminano gli occhi a sentirlo nominare. È bello-
-Patetico, altro che bello- sbuffai.
-Perché?- mi squadrò interrogativo.
-E’ facile dire che è bello l’amore, ma devi vederla dal mio punto di vista, capire che non è un bene per lui stare con me: io sono malata, sono quasi morta un paio di giorni fa, e ciò potrebbe ripetersi presto. Ho già la tomba pronta, vedi te! Io posso essere innamorata di Bill quanto voglio, basta che lui non ricambi, altrimenti sarà come assicurasi tristezza da solo! Poi cosa cambierebbe? Stare un mese insieme e poi? Lasciarci perché deve girare il mondo? Oppure tenerci in contatto? Poi magari non rispondo a una chiamata e pensa che sono morta!- sputai fuori, pentendomene subito. –Scusa, non volevo-

Mi rassicurò, -Non ti preoccupare, capisco ti servisse uno sfogo! Sei tesa come una pentola a pressione, ne hai passate tante ultimamente, eh?- annuì stanca.
-Ma no, in poco più di una settimana ho trovato un amico che è diventato anche il mio “amore”, ho mandato all’aria tutto, sono morta e sono resuscitata, insomma non ci si annoia mai qui-
-Io non so se ce la farei, intendo a lasciarlo.. probabilmente se fosse capitato a me.. avrei colto la palla al balzo- mi informò.
-Sapessi quanto vorrei coglierla quella palla, il mio problema è che penso troppo- confessai.
-L’amore è complicato- disse. –E la vita stronza- aggiunsi io.
-Concordo!- ridacchiammo insieme. –Ora è meglio che torni dalle matte- alzò gli occhi al cielo, -Ti lascio il mio numero di cellulare va bene?- le porsi il cellulare e lo salvò.
-E’ stato un piacere conoscerti, grazie per la chiacchierata Mel!-
-Grazie a te per essere venuta! Sei la prima persona che mi rivolge la parola per essermi amica- sorrisi –Ho passato belle ore. A presto!- si congedò.
Mi buttai all’indietro sul letto, osservando il soffitto.
Sospirai, che giornata!

Chiusi gli occhi, stanca, sperando non mi riservasse altre sorprese, invece…



.. .. ..
..  

* * * 

..
..

 [*] ich bin nich' ich - Tokio Hotel  

NdA:  Allooora, cosa dire di questo capitolo? E' un po' lento, non succede nulla di particolare (un po' di pace ci vuole ogni tanto!). Mel si è svegliata e si trova ad affrontare quel cocciuto del Kaulitz, non mollerà facilmente ;) 
Abbiamo anche un nuovo personaggio, Julia! Rappresenterà la parte irrazionale della nostra protagonista. Voglio 'dedicare' la nuova entrata in ADL a Giulia  (phantomrider tk) - da cui ha, appunto, preso il nome -> Giulietta che mi riempe sempre di complimenti che mi fanno sciogliere davanti al pc ç__ç grazie! 
Ringrazio anche chi segue questa storia e che commenta, sapete che le recensioni riescono a migliorare le mie giornate? Soprattutto ora che la scuola mi sta distruggendo fisicamente e psicologicamente! Siete tutte gentilissime! Grazie a chi ha messo questa storia tra le seguite/ricordate/preferite.
Mi fate veramente contenta! ♥
A presto,
unleashedliebe


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Capitolo 9
*** Capitolo IX (B) ***


(c) ADL


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CAPITOLO IX (B) 

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Era appena passata l’ora di cena, la clinica era silenziosa, tutti si stavano preparando per andare a dormire o per guardare qualcosa alla televisione. Io, invece, me ne stavo buttata a letto con gli occhi chiusi, aspettando che il sonno contagiasse anche me, senza risultati: dopo aver dormito per tre giorni di fila mi trovavo sveglia e terribilmente annoiata.

Ripassavo mentalmente un vecchio spartito, quando sentì qualcuno intrufolarsi nella stanza.

Rimasi in silenzio, mentre una terribile sensazione m’invase.

Fa che non sia lui, pensai.

Passi leggeri, soffici. Lo sconosciuto si sedette sul letto, vicino a me.

Fa che non sia lui, pregai stavolta.

Sento un tocco sulla guancia, lieve, quasi inesistente. Mano grande e morbida.
Annusai l’aria senza farmi vedere: vaniglia e menta.
Conoscevo solo una persona con quel buonissimo profumo.

Era lui.

La consapevolezza di chi fosse mi colse d’un tratto, e mi ritrovai a contenere i battiti impazziti del mio cuore. Fingevo di dormire, ma la macchina che registrava la frequenza cardiaca mi tradì, cominciò a lasciare rumori più velocemente.

La mia solita fortuna, pensai sarcastica.

Mi costrinsi ad aprire gli occhi, tanto ormai aveva capito che non dormivo.
Mi alzai lentamente dal cuscino mettendomi in posizione eretta, al suo fianco e guardando dritto.

-Che ci fai qui Bill?- mormorai stanca.
Lo sai” scrisse col cellulare.
-Ti ho già detto come la penso su questa storia. Sei soltanto un amico, solo un amico. Mi dispiace- mugugnai cercando di apparire vera.
E ti ho già detto cos’ho intenzione di fare
Mi prese il volto delicatamente, girandolo verso il suo. Mi sistemai meglio sul letto, mi trovavo a gambe incrociate, di fronte al cantante.
Guardai quegli occhi nocciola, cercando di non farmi travolgere da quello sguardo.

Resisti Mel, resisti..

Era fottutamente impossibile, scientificamente provato: opporsi a Bill Kaulitz era inutile, lui era un ammaliatore nato, dal sorriso dolce e invitante. Iridi profonde, catturano, imprigionano, travolgono.
Nonostante la burrasca interiore, mi finsi impassibile. La sua presenza aveva lo stesso effetto di un potente monsone, spazzava via la ragione e mi lasciava in balia dei battiti impazziti del cuore.

-Quindi?- dissi sbrigativa.
Menti” lo mimò col labiale.
-Questo lo dici tu- 
No, lo dicono i tuoi occhi Mel” digitò.
Negai con la testa. -Vedi quello che vuoi vedere, non la realtà. E sai la realtà qual è? Affetto, non amore, affetto-
Prese un foglio lasciato sul comodino e una penna.

“Hai gli occhi che brillano quando sei con me.
Ti sento tremare. Sento che tenti di regolarizzare il respiro.
Vedo le tue guance arrossarsi quando mi avvicino troppo.
So che hai paura.”

Deglutì, stava mettendo in crisi il mio autocontrollo.
Mi osservò e sorrise.
E non si sfugge al sorriso di Bill Kaulitz.
Abbassai lo sguardo, allontanandomi dal moro.
-Sono davvero stanca di ripeterlo, lasciami perdere- sibilai.

Scosse la testa, ridacchiando.

-Mi farai impazzire uno di questi giorno Kaki- sospirai, arresa. Chiusi gli occhi per un momento, massaggiandomi le tempie, provata. Il gesto che fece il ragazzo mi colse alla sprovvista, approfittò della mia distrazione per abbracciarmi. Mi trovai avvolta da quelle magrissime braccia, che mi facevano sentire protetta, mentre il suo profumo mandava in fibrillazione i miei sensi.
-Approfittatore- sussurrai sprofondando la testa sulla sua spalla. Lo sentì ridacchiare, mi beai di quel suono cristallino che tanto amavo. Rimasi un minuto così, poi mi ritrassi dall’abbraccio, sorridendo.
-Quando potrai parlare?- domandai curiosa, non vedo l’ora di sentire la sua voce.
Rispose indicando con le dita, cinque giorni.
-Com’è stato l’intervento? Hai avuto paura?- chiesi con tono dolce.
“Paura.. è riduttivo credo! Odio gli ospedali, odio un semplice prelievo del sangue, immagina cosa significava per me sentirmi mettere le mani in gola! Per fortuna è andato tutto bene.. ora non ci resta che aspettare, e penso sia ancora peggio” scrisse velocemente.
-Don’t worry, be happy- canticchiai piano, facendolo ridere ancora. –A parte gli scherzi, se l’operazione è andata bene non ci saranno problemi, hai superato la parte più difficile- strizzai l’occhio.

Annuì pensieroso.

-Quando mi farai ascoltare qualcosa di tuo?- feci entusiasta.
“Mh, uno di questi giorni se vuoi...
-Certo che voglio! Non vedo l’ora!- sorrisi felice, -Ora è meglio che tu vada, non sfidare troppo il destino Kaulitz, se ti beccano sono guai- Sbuffò, accarezzandomi una guancia, arrossì.
-Piantala superstar! Devo ripeterti il concetto?- sbuffò nuovamente.
Mi alzai accompagnandolo alla porta, -Buonanotte Bill- arricciai gli angoli della bocca verso l’alto, si avvicinò alla guancia, lo evitai, fulminandolo con lo sguardo. -Freunde- ribadì il concetto, alzò gli occhi al cielo. 

Se ne andò ridacchiando, mentre io mi recai verso la libreria, cercando qualche libro interessante da leggere così da passare il tempo. La scelta ricadde su un classico, “Orgoglio e pregiudizio”; amavo le storie d’amore, chissà.. forse anche io volevo lo stesso destino della protagonista Elizabeth, riuscire a emanciparmi e trovare l’amore, vivendo felice e contenta, meglio evitare il per sempre, non faceva per me.

Mi sedetti sul letto, sfogliando le prime pagine, quando qualcuno bussò alla porta. Considerando non veniva a trovarmi nessuno se non quella persona – che tra l’altro era appena uscita, diedi per scontato fosse lui.
-Bill, che c’è ancora?- domandai mentre la porta si apriva.
-Bill eh? Come mai proprio lui?- sprofondai nell’imbarazzo, non era lui, bensì Julia, la quale fece il suo ingresso ammiccando verso di me.
-Buonasera! Qual buon vento ti porta qui?- ignorai la sua domanda.
-Monsone!- Ridacchiò lei, notando il mio sguardo confuso, -Oh, è vero! Tu non puoi capire.. cose da fan dei Tokio Hotel!- spiegò. –Non hai risposto- sbuffò.
-Niente, era venuto qui prima.. e pensavo fosse ancora lui, di solito non ricevo molte visite- 
-Sarà.. e cosa è successo quando è venuto qui? Sembri.. scossa- mi squadrò, posizionandosi sulla sedia affianco al letto.
-Nulla di che.. ha provato a baciarmi- sputai velocemente e nervosamente.
-Ah. Ha solo provato a bac.. cosa!?!- saltò su se stessa. –Ti prego, dimmi che non l’hai respinto!-
-Questa volta si, prima che.. insomma mi baciasse davvero-
-Cosa.. questa volta? Cosa intendi? Vuoi dire che.. tu! Oddio, ma quanto sei fortunata?- aveva gli occhi che brillavano.
-Fortunata? Certo, come no! Si.. c’è stato un bacio, ma solo a stampo, poi sono fuggita via, stavolta mi sono subito scostata.-
-Perché?-
-Siamo amici, gli amici non si baciano- fu la mia secca risposta.
-No, sai anche tu che la verità è un’altra. Tu hai evitato quel bacio perché sai non saresti riuscita a fermarti questa volta- il suo sguardo cadde sul mio, cercando di captare ogni mia reazione.

Rimasi in silenzio, lei continuò.

-Tu non puoi controllare tutto, ovviamente innamorarti di Bill Kaulitz non era nei tuoi piani scommetto, giusto? Neanche ammalarti di leucemia. È il destino. Sei riuscita ad accettare la tua malattia, ci convivi, imparerai a convivere anche con l’amore, capirai che non c’è sentimento più bello. Ripeto, è impossibile tenere tutto sottocontrollo, anche se ci si impegna qualcosa sfugge sempre, non sei un robot, non sei una macchina. Sei un essere umano, e come tutti provi emozioni, sentimenti, come tutti sbagli. E sai cosa stai sbagliando secondo me? Tu vuoi decidere per tutti, pensi di non essere giusta per quel ragazzo e quindi ti metti da parte, soffrendo. Non guardarmi così, soffri, non sai nasconderlo. Non dovresti, fai l’egoista per una volta, scegli la tua felicità. Chi l’ha detto che deve finire male? Non c’è scritto da nessuna parte. Bill è fantastico, l’hai detto tu, non ti deluderà, starà al tuo fianco. Sai che c’è poi? Meno di una settimana e sentirai la sua voce, e credimi.. dopo non avrai più scampo. Te lo dico con certezza. E sai un’altra cosa? Però beh, devi dirmi se vuoi sentirla davvero-

Ci misi un po’ a rispondere, conoscevo questa ragazza da.. pochissimo, e le sue parole sapevano toccare tutti i punti più sensibili, perché erano fottutamente vere.
-Va bene..- sussurrai poco convinta.
-Quando gli tornerà la voce inizierà la riabilitazione, e non è obbligatorio a farla qui, può scegliere una succursale più vicina a casa sua oppure anche un medico che venga a casa sua per le terapie. Quindi potrebbe rimanere meno di tre settimane, potrebbe andarsene anche la prossima. Lo sapevi?-

Spalancai gli occhi, non me l’aveva detto..

-E’ una possibilità, me l’ha detto un’altra ragazza che sta facendo il suo stesso percorso. Lui però, se glielo chiedessi, resterebbe per te. Anzi, sono sicura lo farà comunque, finché non ti arrenderai. Ti ama-
-Non m ama! E.. una cotta? Neanche! Sono diversa, per questo gli piaccio, perché non lo tratto come un dio ma come una persona e questo lo attrae. Tutto qui-
-Continua a raccontarti queste bugie, tanto non ci credi neanche tu-
-Senti, possiamo smettere di parlare di lui? Insomma, io resto delle mie opinioni- sbuffai stanca.
-Va bene, hai ragione. No, ho ragione io comunque. Basta che ci rifletti e capirai- sorrise e mi fece l’occhiolino.
-Okay basta! Cambiamo argomento, raccontami di te! Qualche amore? Visto che fai tanto l’esperta!- la presi in giro, mentre alzò la testa con sguardo altezzoso.
-Niente amore, per ora. L’ultima storia risale a prima dell’entrata in clinica.. mi ha lasciato lui, lo amavo davvero, la malattia però aveva bruciato tutto quello che rimaneva di me, mi hai vista no all’inizio? Praticamente non esistevo. Non lo biasimo per questo, alla fine non era l’amore della mia vita-

Rimasi sorpresa dalla sincerità della risposta, non mi aspettavo fosse successa una cosa del genere.
-Non fare quella faccia triste, sono cose che capitano! Tu invece, prima del bel cantante?-

Beh, dovetti andare con la memoria a quando avevo solo quattordici anni.

-Non ho avuto storie, un ragazzo quando era alle medie, però nulla di che, solo per pronunciare la frase “sono fidanzata”,  una volta scoperta la malattia  ci siamo lasciati. Non ho sofferto più di tanto, perché non lo amavo-  confessai. Insomma, una vita sentimentale molto attiva.
-Capisco! Amiche invece? Non ho mai visto nessuno qui..- chiese cauta.
-Perché non è mai venuto nessuno. Dopo aver scoperto della malattia piano piano sono scomparse tutte, non le biasimo, le avrei comunque allontanate io, un amica leucemica è un peso, nonché una sofferenza continua, anche perché mi sono trasferita qui a Colonia, mentre loro sono rimaste a Berlino, quindi non sarebbero neanche potute venire qui a trovarmi, col tempo i rapporti si sarebbero inevitabilmente congelati. Ci ho sofferto sì, ma è stato un bene. Non è bello stare da soli, me ne rendo conto, ma per ora è meglio così. Tu invece?- 
-Lasciamo perdere la tua ultima frase, rischio davvero di innervosirmi! È successo lo stesso che con il mio ragazzo, le ho allontanate, tanto ero concentrata nel mio dramma. Loro cercavano di aiutarmi, io ho sempre rifiutato il loro aiuto, alla fine hanno smesso di aiutarmi. È stato anche un bene, mi hanno sbattuto faccia a faccia con la cruda realtà. Certo che.. le nostre vite sono davvero deprimenti, non trovi?-

Scoppiammo a ridere, annuendo entrambe.

-Che dici? Secondo me questo è l’inizio di una lunga amicizia. Ah, non uscire con “potrei morire”, perché se lo fai ti ammazzo io Mel!- mi puntò il dito contro, con fare minaccioso.
-Non lo dirò, perché sono convinta potresti farlo davvero!- le sorrisi.
-Abbraccio?- domandò guardandomi con gli occhi dolci. –Abbraccio!- risposi.

Era strano, passare dal non avere nessuno a trovare due amici fantastici come Julia e Bill in neanche un mese. Tanti cambiamenti, tante decisioni da prendere, tante cose da affrontare. Convinzioni da mettere da parte, magari si, pensare più a me stessa, cambiare.
-Ehm ehm, in che pensieri profondi ti stai perdendo?- domandò la mia nuova amica sciogliendo l’abbraccio.
-Stavo pensando.. a quello che mi hai detto prima- confessai.
-Beh, oggi sono stata particolarmente logorroica, a cosa ti riferisci in particolare?- scossi la testa divertita.
-Al fatto di.. essere meno egoista- si illuminò sorridendomi.
-Tu sei una bellissima persona Mel, pensi sempre agli altri e poi a te stessa. Questo ti fa onore, ma dovresti mettere da parte questo atteggiamento per un po’, vedrai come cambierà tutto-
-Fosse facile- soffiai. Mi accarezzò la schiena, guardandomi dolce.
-Spero tu possa farcela, davvero. Ora è meglio che vada, ti lascio con i tuoi pensieri, immagino avrai molto su cui rimuginare, no?-
-Grazie- dissi ricambiando il suo sguardo.
-Di che? È a questo  che servono le amiche! No?- annuì, arricciando gli angoli della bocca all’insù.
-Dove sei stata tutto questo tempo? Sei fantastica Julia-
-A rinascere! Ora è il tuo turno eh- fece l’occhiolino, mentre l’accompagnavo fuori dalla stanza.
-E’ stato bello parlare con te, buonanotte- affermò.
-Anche per me, davvero. Buonanotte-

E così mi ritrovai di nuovo sola, con i pensieri che giravano a mille.

Il mio cuore diceva che non dovevo fare l’egoista.
Mia madre diceva che non dovevo fare l’egoista.
Rossella diceva che non dovevo fare l’egoista.
Julia diceva che non dovevo fare l’egoista.
Bill diceva che non dovevo fare l’egoista.

… Forse, avevano ragione. Spiegarlo al mio cervello però non era facile, per nulla. Prima aveva sempre dominato sul cuore, ora però stava perdendo.
Cosa sarebbe successo se la ragione si fosse lasciata sopraffare dal sentimento?
Nella mia mente si delineò il volto sorridente di Bill, i suoi abbracci, il tempo passato con lui, quel bacio rubato. I brividi sulla pelle provocati dalla sua vicinanza. Il calore che sprigionava.

Lui.. era amore.

… Forse sì, fare l’egoista valeva la pena. Potevo godere il momento, potevo respirare l’amore per la prima volta, potevo tornare a vivere..

Presi l’agenda dal comodino. 


“Sì, ho deciso.

Fanculo alla maschera che porta ossigeno.
Io tornerò a respirare,
e non grazie a una macchina.

No.
Ispirerò amore.
In fondo.. me lo merito. Credo.
Massimo un mese,
 poi farò tornare tutto come prima.

E’ ora di vivere.
Mel”

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* * *

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NdA: Eccomi qua! Dopo una domenica passata studiando economia ho deciso di postare (seppur sempre in ritardo!), non mi sono dimenticata di voi, non sia mai! Questo capitolo mi piace, alla fine Mel "cede.." e finalmente la situazione con Bill si evolverà *-*
Spero vi sia piaciuto, grazie a tutte quelle che leggono e commentano, siete gentilissime!
Alla prossima (spero presto lol)
Unleashedliebe





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Capitolo 10
*** Capitolo X (R) ***


(c) ADL

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CAPITOLO X (R)

...
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La mattina dopo mi svegliai e, stranamente, mi sentivo piena di energie.

Guardai il mio viso allo specchio e, dopo tanto, lo vidi meno sciupato. Gli occhi brillavano sotto una nuova luce, luccicavano. Sorrisi, avevo un paio di cose da fare.

Per prima cosa mi vestì, un paio di jeans e uno dei tanti maglioni regalatomi da mio padre, cappellino nero e converse. Sapevo che Tom sarebbe andato a trovare il fratello quella mattina intorno alle otto e mezza e, per questo, Bill non sarebbe sceso a fare colazione; io avrei saltato, il mio stomaco era pieno d’altro.. farfalle? No, qualcosa di più.. una mandria di elefantini allegri.

Scesi giù quasi saltellando, uscendo dalla clinica e sedendomi sulla panchina affianco alla porta d’entrata. Erano le otto e quindici, non avrei dovuto attendere molto.

Pensai a qualcosa da dire, prepararmi un discorso, qualcosa.. ma ero troppo agitata, sapevo che tanto sarebbe stato inutile: talmente nervosa avrei dimenticato tutto. Esattamente dieci minuti dopo vidi arrivare la persona che attendevo, con il solito passo scazzato e sciolto, sguardo fisso in avanti e occhi sbarazzini.

Cominciai a torturarmi il labbro, presi un respiro e mi parai davanti a lui.

-Buongiorno Tom!- dissi velocemente bloccandolo.
-Mel? Che vuoi?- borbottò alzando un sopracciglio.
-Rapirti e scappare con te a Parigi, sposarti, violentarti e avere tanti figli!- affermai velocemente, guadagnandomi una sua occhiataccia. –Oh Kaulitz, cosa vuoi che voglia? Parlarti!- sbuffai.
-E di cosa, di grazia?- continuò seccato.
-Della pace del mondo, della dimostrazione dell’enunciato di Euclide, della poetica di Goethe! Ovvio no?-
-Sarcastica stamattina? O è trovarti davanti a tutta questa bellezza che non ti fa ragionare?- mi prese in giro.
-Okay, seriamente.. volevo parlarti..-
-Di Bill immagino- concluse lui per me. Annuì.
-Posso rubarti qualche minuto della tua impegnata vita?- domandai sbrigativa. Lui annuì e andammo a sederci su una panchina.
-Allora, che c’è?- domandò, -Centra con il discorso che ti ha fatto ieri sera? Me l’ha raccontato-
-Sì- sospirai.
-Immagino beh.. hai deciso di, lasciarti andare con lui, giusto?- chiese, stavolta serio.
-Tom, il fatto è che non ce la faccio.. lui non vuole mollare, e io..-
-lo ami- mi anticipò ancora. Abbassai gli occhi annuendo.
-E.. mi è difficile stargli vicino, l’ha capito anche lui e.. lo conosci meglio di me, no?-
-Già, quando vuole una cosa non molla- ammise.  –Vuoi.. metterti con lui quindi?-

Presi fiato prima di rispondere. –Tutti mi dicono di pensare meno e di agire di più. Sono innamorata di tuo fratello Tom, e so che una nostra storia non porterà nulla di buono- confessai.

-Già, sono d’accordo. Sai già come la penso, l’hai capito che non vi vedo bene insieme. Anzi, non è proprio così, se devo essere sincero insieme siete.. perfetti. Conosco mio fratello, questa è la prima volta che lo vedo così innamorato, ha gli occhi che brillano quando “parla” di te, ti lancia sguardi dolci e pieni d’affetto che ho visto fargli solo a un’altra persona, che sono io. Ora non è felice, perché ti ama. Chi sono io per decide di chi deve innamorarsi? Lui ha scelto te, e ci sarà un motivo. In questo contesto però è tutto così complicato, lo sai tu e lo sa lui. A Bill non importa, ha capito i tuoi motivi ma non gli accetta, quindi è disposto anche a rischiare, non è uno sprovveduto. Romantico sì, dolce, ma non illuso-

Sentivo gli occhi appannarsi,  non immaginavo un discorso del genere da parte del chitarrista, ogni parola verso il gemello era carica d’amore e protezione. Eh beh, aveva un cuore anche lui.
-Non odiarmi però- sussurrai dopo, mentre mi riservava uno sguardo confuso.
-Non ti odio, ti ho odiato sì, all’inizio. Adesso no, anzi, mi stai simpatica. Ripeto, è il contesto che rende tutto così difficile-
-Già. Però.. non intendevo questo. Non odiarmi quando lo lascerò-

Il suo sguardo si fece duro.

-Non guardarmi così, sai che lo farò, e sai anche che è la cosa giusta. Magari al momento no, però capirete che è la cosa migliore. Immagini? Una relazione a distanza è di per sé difficile, poi se in mezzo ci sono una superstar e una malata di leucemia non può funzionare. Un giorno potrei mancare una chiamata, e lui potrebbe pensare sia stata male. Un giorno potrebbero operarmi e lui non riuscirebbe a concentrarsi per l’ansia. Un giorno potrei morire, e lui lo scoprirebbe grazie alla chiamata del centralino dell’ospedale. Tom, la vita non è una favola, non voglio illudere nessuno. Prometti di stargli vicino, quando succederà, okay? Non lasciare che si intristisca, non permetterlo- una lacrima scese, fu raccolta prima che cadesse a terra.
-Cosa.. vuoi che ti dica!? Sei complicata, troppo forse-
-Promettimi lo farai, mi basta questo- lo guardai negli occhi.
-Non serve prometterlo, lo farei comunque. È mio fratello-
Sorrisi, -grazie Tom- scosse le spalle, minimizzando.
-Beh, ora puoi andare, scusa se ti ho rubato cinque minuti di preziosa vita. Bill ti aspetta, non dirgli niente però-
Ci alzammo e, dal suo metro e ottanta abbondante mi sorrise, prendendo la mia mano per un attimo e fissandomi con quei dannati occhi nocciola.
-Pensa di meno, goditi il momento, rendilo felice.. e scopa di più!- concluse facendomi una linguaccia, non si smentiva mai.
-E io pensavo stessi per dire qualcosa di serio! Va bene, sono sempre la solita illusa! Comunque, grazie di tutto, in fondo non sei male-
-Neanche tu piccola Mel! Avrei voluto il nostro incontro avvenisse in circostanza diverse però-
-Beh, non mi avreste notata. Sono una ragazza normale tra le milioni di fan, quindi.. essere malati a volte serve- ridacchiammo. –Ora vai, Bill ti avrà dato per disperso!-
Sorrise annuendo, ritornando verso l’interno della clinica. Appena entrato, mi lasciai scivolare sulla panchina, mi ero tolta un gran peso.

-Meeeeeeeeeeel!- mi alzai di colpo, sentendo l’urlo di Julia.
-Oddio, mi hai fatto prendere un colpo! Che c’è?- la osservai, aveva sempre la solita aria allegra, i capelli che svolazzavano per l’aria e vestita leggera. Notai con piacere che non le si vedevano più le ossa.
-Stavi parlando con Tom Kaulitz- disse con gli occhi quasi a forma di cuore.
-Già- sorrisi.
-E stai sorridendo! Che è successo?- domandò curiosa.
-Abbiamo chiacchierato, sai.. ieri sera ho pensato a quello che mi hai detto e ho deciso di.. provarci-
Rimase senza parole e mi tirò su dalla panchina per abbracciarmi.
-Evviva, sono così contenta! Quindi dopo andrai da Bill e..?- ammiccò.
Arrossì, non avevo ancora pensato a come fare in realtà.
-Sinceramente non ho ancora programmato nulla, e non chiedermi altro perché mi imbarazzo, lo sai!-
Scoppiò a ridere, -Sì lo so! A parte questo, sono felice per te- sorrise dolce, -Ti ha proprio cambiata, sembri un’altra ragazza, sei.. viva!-
-E’ l’effetto Kaulitz suppongo- affermai.
-Già, decisamente! Siete bellissimi insieme sai? Dico davvero, vi osservavo qualche volta, mentre camminavate per i corridori della clinica. Vi muovete in simbiosi, non so se te ne sei mai accorta, ma come si muove lui tu lo segui, e il contrario. E sai un’altra cosa? Anche se dopo questo mese  dovreste lasciarvi, sono certa tornerete insieme. L’amore vince- disse convinta.
-Non so,preferisco non fare previsioni a lungo termine. Però beh, se dovessi guarire e se non fosse impegnato, lo cercherei ovunque, farei di tutto per tornare a parlarci. Non dico per.. riconquistarlo, ma almeno provarci-  
-Così ti voglio! Quanto resta di solito Tom da Bill?- domandò.
-Non so, dipende, perché?-  feci sospettosa.
-Non vorrai incontrare Bill conciata così? Insomma, devi farti bella!- rispose con fare ovvio.
-Si, per essere bella dovrei avere indietro i miei capelli e una decina di chili- sbuffai.
-Piantala, tu sei bella- disse dolce, -vieni, andiamo in camera tua! Subito!-

Neanche il tempo di ribattere che mi trascinò in stanza, aprendo l’armadio e buttando fuori vestiti, mettendone da parte alcuni e scartandone altri, tutto questo mentre io la guardavo leggermente basita.
-Okay, trovato! Metti questi!- indicò un mucchietto di abiti sopra una sedia.

Guardandola male li tirai su senza neanche guardare, andai in bagno e li indossai. Non erano nulla di speciale: una t-shirt azzurra che risaltava i miei occhi abbastanza lunga, dalla scollatura si vedevano le ossa sporgere, beh, per quello non c’era rimedio, poi un paio di jeans stretti che fasciavano elegantemente le mie gambe molto magre, ovviamente le scarpe sempre converse.

-Vestita, ora possiamo scendere?- domandai seccata.
-No! Manca il trucco- ammiccò.
-Senti, non voglio presentarmi a Bill come un’altra persona, sono sempre la solita Mel-

Non badò minimamente alle mie parole, inforcò il mascara passandolo sulle ciglia e aggiunse un po’ di matita nera sotto, a risaltare sempre lo sguardo, che quel giorno brillava più che mai.

-Guardati, sei bella- mi mise davanti a uno specchio, sorridendo soddisfatta. Alzai le spalle, io mi vedevo sempre uguale, con un po’ di agenti estranei sul viso.
-Darmi una soddisfazione no eh? Non importa, tanto sei impossibile!-

Ridacchiammo insieme, la giornata stava andando alla grande.

Dopo tanto tempo finalmente ero serena, con la testa leggera e il cuore sorridente.

-Ti rendi conto? Fra poco sarai fra le sue braccia e poi vi bacerete! Che cosa dolce!- esclamò arricciando gli angoli della bocca all’insù, mentre gli occhi sprizzavano gioia. Io invece arrossì, sembrava così strano..
Non volevo pensarci, altrimenti il mio cuore non si sarebbe regolarizzato più.
-Ora vado, voglio lasciarti in pace per un po’, mi raccomando.. non farti paranoie-
Annuì ringraziandola per quel che aveva fatto per me, non solo per quella mattina.

Mi buttai sul letto, sentendo il mio stomaco in subbuglio, volevo rivederlo, ero troppo ansiosa, non riuscivo a stare ferma. Mi alzai di scatto e uscì dalla camera, raggiungendo il tetto della clinica, dove poco tempo prima avevo conosciuto lui, il mio Bill. Mi sedetti sulla stessa panchina, guardando il desolato paesaggio.
Mi focalizzai su ciò che era attorno a me, mi venne in mente una frase letta qualche anno fa.

"Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle"

E io, accettando il mio amore verso di Bill, stavo rivoluzionando una vita intera. Non era una persona tra le tante, no, lui entrava dentro, in profondità. Il suo sorriso, i suoi modi, i suoi occhi.
Era perfetto, per me.
Io ero totalmente imperfetta per lui, chissà quale scherzo del destino aveva fatto si che ci incontrassimo e.. innamorassimo.

Sentì la porta aprirsi, e fu inevitabile la sensazione di Déjà vu. Eccolo, camminava lentamente verso di me, con quel passo elegante, i capelli neri lasciati liberi,  gli occhi truccati leggermente e il sorriso accecante.
-Bill- sussurrai come in trance, sorridendo automaticamente. Ricambiò, sedendosi vicino a me.
-Come facevi a sapere fossi qui?- domandai, tirò fuori – come sempre – il cellulare.
“Tom era strano, è andato via presto, misterioso. Così sono venuto in camera tua e non ti ho trovata,quindi ho pensato fossi salita qui. Non mi sono sbagliato, ti conosco ormai”
-Già.- risposi solamente, tornando a guardare avanti. Rimasi in silenzio, finché non mi alzai per poggiarmi sulla transenna, non riuscivo a concentrarmi con lui vicino.  
Neanche un minuto dopo era ancora di fianco a me, “Sei particolarmente bella oggi”
Arrossì involontariamente, nel frattempo si era avvicinato ancora, poggiando il suo petto contro la mia schiena e abbracciandomi da dietro.
Aveva la mano poco sopra la mia vita, ero certa sentisse il mio cuore battere impazzito.
Lo sentì chiaramente sorridere. Con uno scatto mi girai, trovandomelo di fronte, abbracciati e.. vicinissimi.
Facevo faticare a respirare, tanto ero impegnata a mantenermi in piedi. Appoggiai la mia testa sull’incavo del suo collo, sentendomi invadere da quel profumo che tanto amavo.

-Bill, io mi arrendo- sussurrai dolce, soffiando sulla pelle lasciata libera dalla t-shirt a v.
Lo sguardo che mi lasciò mi fece sciogliere, aprì gli occhi sbattendo velocemente le lunghe ciglia nere, mentre il nocciola si fondeva sull’azzurro dei miei
-Insomma, posso negare quanto voglio ma l’ho capito, sono innamorata di te. Devo pensare meno, sia al fatto che tu sei una celebrità e al fatto che io, invece, sono un’insulsa malata di leucemia. Devo vivere il secondo, e non importa se tutto andrà male, quanto soffr…-

Non riuscì a terminare che qualcosa mi bloccò.
Quel qualcosa erano due soffici labbra al sapore di menta.
Si poggiarono delicate sulle mie, interrompendo il monologo intrapreso.
Bum bum. Il mio cuore era partito, batteva furiosamente. Chiusi gli occhi.
Mi poggiai alla ringhiera, temendo le forze mi avrebbero abbandonata da un momento all’altro.
Si avvicinò ulteriormente a me,  circondandomi la schiena con un braccio, mentre con l’altra mano mi accarezzava delicatamente una guancia. Io invece ero immobile. Il balia di lui.
Riaprì lentamente le palpebre e notai che mi fissava, dolce.. pieno d’amore.
Ripresi controllo di me stessa, portai le mie braccia attorno al suo collo e l’avvicinai ancora a me.
Baciai leggermente l’angolo della sua bocca, mentre chiudemmo gli occhi insieme.
Rimanemmo così, fermi. Fu lui a fare il passo successivo, si allontanò per poi tornare a poggiarsi sulle mie labbra, sempre con tenerezza. Combaciavano perfettamente. Le dischiudemmo insieme e sentì la sua lingua entrare piano e collidere con la mia, mentre quel piercing mi faceva rabbrividire. Si muovevano in sintonia, con lentezza e passione. Un bacio calmo, romantico, denso. Atteso.
Ci staccammo a corto di ossigeno e non ci fu bisogno di parlare, poggiai la testa sotto la sua mentre lui accarezzava lentamente la mia schiena e mi lasciava qualche bacio umido sul collo.
-Grazie Bill- sussurrai piano, temendo di rovinare quel momento, così perfetto. Mi guardò interrogativo.
-Forse non ne sei consapevole, ma stai cambiando la mia vita.  No, non ti dirò “ti amo”, non l’ho mai detto a nessuno e non me la sento, ho paura sì. Voglio tu sappia però, che mi hai preso il cuore, e probabilmente lo riavrò indietro a pezzi. Ma sai che c’è? Ne sarà valsa la pena- mi scese una lacrima, che lui prontamente raccolse stringendomi ancora di più a sé.  Avevo pianto più in quei  giorni che in tutta la mia vita.
-Andiamo, è ora di pranzare- dissi io, distanziandomi da lui, anche se parecchio di controvoglia.
“Pranzi da me?” sorrisi e annuì entusiasta.
Ci dirigemmo verso la sua stanza, camminando vicini, con le mani che si sfioravano. Inconsapevolmente la mia si avvicinò alla sua e le dita si strinsero insieme. Mano nella mano.
Ci guardammo sorridendo contemporaneamente. Sorrisi innamorati.
Raggiungemmo la camera e ci sedemmo vicini, appoggiati alla testiera del letto. Poco dopo ci raggiunse Rossella, portando da mangiare.
-Ciao Bill, ciao T..- entrò salutando, si aspettava di trovare in gemello e invece..
-Ciao Mel- fece interrogativa, squadrandomi e soffermandosi sulla mia figura, soprattutto sul collo. Arrossì imbarazzatissima, era rimasto il segno dei suoi baci. La sua espressione passò da confusa e entusiasta.
-Ehm, okay, ecco il vostro pranzo! Io vi lascio il pace, ciao ragazzi!- disse velocemente e allegra, congedandosi poco dopo. Guardai Bill ridacchiando, lui ricambiò.

Il pranzo passò in silenzio, fra occhiate complici e carezze rubate.
-Quindi, cosa siamo ora?- feci io una volta terminato.
“Innamorati?” Digitò, mentre sentì i miei occhi assumere la forma di un cuore.

Mi mordicchiai il labbro, per trattenere il sorriso che stava nascendo, -Già. A parte questo?-
“Tu sei mia. Tu sei la mia ragazza.. se vuoi” scrisse con lo sguardo basso, come timoroso.
Sentì il cuore scoppiarmi in petto, quante emozioni in un giorno solo? Alzai la sua testa delicatamente, facendo sì che mi guardasse negli occhi.

-Tu sei mio. Tu sei il mio ragazzo. Tu sei tutto- dissi prima di annullare la distanza con un bacio.

...
.

“Appena tornata in stanza, dopo aver passato una giornata con Lui.
Al diavolo l’egoismo, oggi ho scelto me. Oggi ho scelto la mia felicità.
Oggi ho scelto l’amore. Oggi ho scelto lui.
Ho scelto di lasciar cadere ogni barriera, ho scelto di stare con quel cantante.
Oggi ho assaporato le sue labbra. Oggi l’ho abbracciato.
Oggi l’ho accarezzato. Oggi ho passato il tempo a ridere con lui.
Oggi ho preso una decisione che mi cambierà una vita.
Da ora si cambia. Da ora si sorride.
Da ora si ama. Da ora io risorgo.
Da ora vivo il secondo.
Da ora, grazie a lui,
tutto ha senso.
..Amore. ”

...
......
...

NdA: Dai stavolta non sono stata neanche tanto lenta, purtroppo ho avuto una settimana davvero pesante, ringraziamo sempre la scuola! Finalmente un ponte! Voi fate qualcosa di bello? Almeno, avendo un po' di tempo libero, ho trovato un momento per postare! E stasera festa! :3
Passando al capitolo, finalmente Bill e Mel si sono messi assieme, nonostante lei tiri indietro comunque, ^___^ l'amore vince ;D
Spero vi sia piaciuto, un vostro parere è sempre ben accetto! Grazie a chi legge e recensisce *-*
Un bacio,
unleashedliebe

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Capitolo 11
*** Capitolo XI (E) ***


(C)....

...

CAPITOLO XI (E)

....

...

Ci sono dei momenti dove vorresti che tutto si fermi, quando stai particolarmente bene e vuoi imprimere ogni fotogramma di ogni istante nella tua mente. Ecco, la mattina passata con Bill rientrava in questa categoria. Non avevo mai avuto un “ragazzo”, una storia prima di entrare in clinica sì, ma tipica cotta adolescenziale. Lui però era amore, qualsiasi secondo passato in sua compagnia equivaleva a felicità.

Da quando mi ero recata in camera sua fino alle due, dopo il pranzo, non avevamo fatto altro che parlare e scambiarci carezze. Se fosse stato per me sarei rimasta ferma a guardarlo negli occhi, tanto erano belli, luminosi, splendenti. M’incantavano, avevano quel taglio particolare e allungato che li rendeva ancora più dolci, grazie anche alle lunghe ciglia nere, ricoperte da un leggero strano di mascara. Destabilizzante. Per quanto stessi bene fra le sue braccia, dovevo pur assolvere i miei compiti di malata leucemica, quali terapie e visite mediche, a malavoglia perciò mi dovetti staccare da lui e dalla sua magnetica perfezione.

-Bill, non guardarmi così ti prego. Credimi, se potessi, resterei qui- dissi ammonendolo, mentre ricambiava con uno sguardo abbattuto e gli angoli della bocca si arricciavano all’ingiù. Scossi la testa divertita, sembrava proprio un bambino troppo cresciuto, in quel corpo magro e lungo quasi due metri, il tutto accompagnato da lunghi capelli neri e gioielli più pesanti di lui. Era una superstar, fragile dentro ma forte all’esterno, per non farsi abbattere dalle critiche che sicuramente riceveva per il suo aspetto, proprio per la superficialità della gente e la facilità con cui si etichetta un soggetto; Bill era strano, anormale, io solamente una sfortunata malata.

-Piantala! Se arrivo tardi, succedono casini e va a finire che chiamano i miei genitori e quindi non ci potremo più vedere! Tanto torno stasera- affermai sorridendo, nel frattempo avevo aumentato le distanze, districandomi dal suo abbraccio e sentendomi improvvisamente incompleta.

Arricciò il naso insoddisfatto e mi afferrò per il braccio, lo fulminai con lo sguardo e lui tornò a mostrare una schiera di denti bianchissimi, ne rimasi folgorata e approfittò della mia distrazione per alzarsi dal letto e avvicinarsi a me.

-Devo andare- sbuffai, mi osservò divertito senza spostarsi.
-Mi metto a urlare- esclamai seccata, lui alzò un sopracciglio scettico.
-Okay no non mi metterei a urlare, però per favore posso andare?-

Due minuti dopo ancora non si era spostato, rimaneva impassibile davanti a me, in tutta la sua imponente altezza e con quell’espressione strafottente che tanto adoravo.
Stanca decisi di fare il primo passo, mi alzai sulle punte e posai le mie labbra sulle sue. Il contatto fu minimo, solo uno sfioramento che lo distrasse ed io ne approfittai scostandomi da lui e uscendo così di corsa dalla porta, mostrandogli la lingua divertita, invece la sua espressione era leggermente scioccata.
Mi diressi velocemente in camera per indossare una tuta e poi mi preparai all’arrivo delle infermiere con il necessario per la chemioterapia. Tolsi la maglietta e cominciò la somministrazione attraverso il catetere che era fisso nel mio torace da un bel po’ ormai. La procedura era automatica, avrei potuto sistemare tutto da sola, c’ero abituata, per fortuna non faceva più male come all’inizio, terminata la cura sentivo spossatezza incredibile, ora era quasi immune.
Nel frattempo giocherellavo con un lembo del lenzuolo, possibile il cantante mi mancasse già? Dieci minuti dopo! Sbuffai rumorosamente, scocciata. Ero diventata dipendente di una certa superstar, dal carattere fantastico e aspetto stupefacente.

-A cosa stai pensando piccola? I tuoi occhi hanno la forma a cuore- Rossella interruppe nei miei pensieri, portandomi fuori dal mio stato meditativo - adorante.
-Oh, a nulla di che..- risposi evasiva, sapendo comunque non si sarebbe accontentata, era da quando mi aveva portato il pranzo la mattina che bramava di sapere qualcosa.
-No, nulla di che? Spiegami perché eri dal Kaulitz stamattina, spiegami perché giravate per i corridori mano nella mano, spiegami perché hai un succhiotto sul collo!- buttò fuori in meno di cinque secondi, all’ultima affermazione mi trovai stupidamente ad arrossire.
-Cosa vuoi che ti dica? Ci siamo messi insieme..- dissi piano, quasi incredula alle mie stesse parole.
-Oddio! Lo sapevo sarebbe successo, sono troppo contenta per te, ti meriti proprio un ragazzo come lui! Sai, ci sono milioni di ragazze che vorrebbero essere al tuo posto, milioni di ragazze che lui potrebbe avere, invece ha scelto te. Ti conosco da anni ormai e so che nella tua testa frullano centinaia di paranoie beh, fattele passare, perché sono sicuramente tutte infondate. Tu e Bill siete belli, affini-
Sorrisi confortata dalle parole della donna, tutti mi conoscevano, tutti conoscevano le mie paure, tutti sapevano come usare le parole e farmi pensare che tutto sarebbe andato bene. E, per un istante, ci credevo.
-Ormai mi leggi eh?- ridacchiai, mentre mi lasciava un’occhiata complice. Poco dopo abbandonò la camera e così rimasi nuovamente sola. Estrassi il cellulare dalla borsa, me ne ero stupidamente dimenticata.
La faccia che, prima era contratta in una smorfia, si rilassò in un’espressione dolce, vedendo il mittente dell’unico messaggio.

“Non dovevi andartene così! Me la pagherai Mel! ”

Digitai velocemente una risposta e neanche la sua si fece attendere; un minuto dopo lo schermo s’illuminò.

“Si, avevi la terapia lo so! Però dai, non dovevi abbandonarmi così!”

Nuovamente mi ritrovai a scuotere la testa, era impossibile. Impassibilmente fantastico però.
Passai l’ora successiva a leggere “Orgoglio e pregiudizio”, scambiando qualche sms con il cantante, ancora imbronciato per prima. Una volta terminata la chemio potei cambiarmi e andare a farmi perdonare da una certa superstar.
Bussai alla sua porta e entrai, trovandolo seduto sul letto con il computer sulle gambe.
-Hey- salutai avvicinandomi piano, non mi aveva degnato di uno sguardo.. permaloso. Cautamente lo affiancai, sdraiandomi al suo fianco e presi la sua testa fra le mani, dirigendo i suoi occhi dritti sui miei.
-Scusami, non volevo ti arrabbiassi- confessai sinceramente, mentre lui si sciolse in un sorriso dolcissimo, che provocò un importante aumento del battito cardiaco. In seguito trovai le sue labbra sulle mie, si dischiusero e iniziammo una danza calma, densa d’amore. Ci staccammo causa mancanza d’ossigeno, arricciando gli angoli della bocca insieme.
-Che stai facendo?- domandai una volta tranquillizzata, indicando lo schermo del computer.
Aprì un nuovo file e digitò velocemente “Mi è venuta l’idea per una canzone, ma mi sono già bloccato!
-Non ti preoccupare, in fondo devi ancora terminare il tour per l’ultimo disco, c’è tempo ancora per pubblicarne un altro, non farti prendere dall’ansia che peggiorerai solamente le cose- spiegai con tono rassicurante. –Posso vedere cosa hai buttato giù per adesso?-
“No, ho scritto solo due righe, e neanche mi convincono! Magari quando riesco a elaborare altro (;”
-Va bene Bill, me ne ricorderò- ridacchiai. –Che fai stasera?- domandai.
“Mi raggiunge Tom e passerà la notte qui perché.. oddio mi sono dimenticato di dirtelo! Sai che sono sotto cura del dottor Merken? Ecco, questa settimana è nell’altra sede ad Amburgo e mi ha chiesto di raggiungerlo per un controllo, quindi mio fratello si è proposto di accompagnarmi in aereo e con la scusa andiamo a trovare mia madre che è tornata ieri ad Amburgo!”
La mia reazione non fu ovviamente positiva, come poteva essersene dimenticato? Glielo chiesi.
“Ho avuto altro nella testa per tutto il giorno, mi è proprio passato di mente! Non è colpa mia, insomma.. tu mi hai distratto, è grazie a te se la mia testa è fra le nuvole sai?”
E con una risposta del genere mi fu impossibile arrabbiarmi, mi ritrovai perciò ad annuire e mi precipitai fra le sue braccia.
-Quindi quanto dovrò stare senza di te?- mormorai abbattuta.
“Parto stasera, durante la mattinata ho la visita poi vado dai miei, quindi torno per il pomeriggio successivo”
-Così tanto tempo?- il mio tono era demoralizzato.
“Scusami” guardai il suo viso e notai che era anch’esso mogio.
-Fa niente, capisco che è per una visita. Però, può sembrare esagerato ma.. mi mancherai da impazzire!- mugugnai arrossendo e rifugiandomi contro il suo petto. Mi accarezzò la schiena lentamente.
-Dovrai farti perdonare quando torni però!- esclamai stringendolo leggermente. Si distaccò per prendere momentaneamente il cellulare e rispondere.

“Ho un’idea.. quando torno, potremmo uscire, dalla clinica intendo”

Lo guardai sorpresa, era da tantissimo non uscivo se non per altre visite specialistiche, sarebbe stato un vero appuntamento! Oddio.
-Aspetta, posso chiederti un favore?- domandai, mi era venuta un’idea. Lui annuì.
-Posso invitare anche la mia amica Julia? È una grande fan dei Tokio Hotel e, siccome mi sta aiutando tanto, vorrei ricambiare.. magari chiedi a Tom di uscire insieme a noi- esposi piano.
“Per me va bene, sono sicuro mio fratello accetterà!”
-Grazie mille, sei fantastico- gli sorrisi tornando ad abbracciarlo.
-Ora devo andare, sono proprio stanca! Ci vediamo.. fra troppo tempo- sospirai. Sollevò la mia testa e mi rivolse uno sguardo incoraggiante, colmo di tenerezza. Lasciai un leggero bacio sulle labbra e mi defilai in camera.
Erano appena le sei e mezza, quindi avevo un po’ di tempo prima della cena, che impiegai facendo una bella doccia e indossando la camicia da notte e mettendomi già sotto le coperte, blocchetto in mano.

“A volte capita che il cervello si disconnetta.
T’incanti a guardare un punto indefinito, senza
logica. Bocca socchiusa e corpo fermo.
In quell’istante sei in balia di un punto scelto a caso,
poi però ti riscuoti e muovi la testa
per uscire da quello stato inattivo.
Ecco. In questo momento mi sento esattamente così,
in balia di un punto, e quel punto è lui, Bill.
Stare con lui è come entrare in una nuova dimensione,
nella mia dimensione, la nostra. La mia casa (?)
Potrei scrivere pagine su ciò che mi fa provare,
su come mi tremino le gambe vedendolo, su come
il suo sorriso m’illumini, ogni gesto che fa è magia per me.
Ma no, non elencherò una lista di cose.
Dico solo che, quando sto con lui,
esco dallo stato d’apnea che si crea attorno a me
quando sono sola e torno a respirare.
Respiro amore”

Scrissi a testa china tutto velocemente, per non perdere i pensieri che scorrevano nella mia mente, tanto erano ingarbugliati e disconnessi fra loro, illogici. Mollai la penna per cenare ma la ripresi subito dopo, per aggiungere l’ultima frase.

“E l’amore si propaga per tutte le cellule del mio corpo,
curando le ferite di tanti anni di solitudine.
Lo amo

Mi ero incantata osservando le ultime due parole, era incredibile cose fosse riuscito a farsi amare in così poco tempo, solo una persona come Bill Kaulitz poteva riuscire in un’impresa del genere. Unico, perfetto.

Sapevo che anche lui probabilmente mi amava, la paura era che il sentimento fosse confuso per amore, mentre era infatuazione, poiché ero l’unica ragazza con cui riuscisse a passare del tempo senza essere assalito. Inoltre non sarei riuscita a confessare i miei sentimenti, in quanto la nostra “relazione” sarebbe passata a un piano troppo elevato, importante, reale! Soprattutto sapendo ci saremmo lasciati.. inevitabilmente.

Avevo smesso di scrivere da mezz’ora circa, e ascoltavo canzoni a caso dal mio ipod, annoiata. D’un tratto la porta s’aprì e fece la sua entrata niente di meno che il cantante, che mi raggiunse lentamente, nel caso mi fossi addormentata.

-Bill, che ci fai qui?- domandai imbarazzata, il mio aspetto non era dei migliori, considerando soprattutto la camicia leggera da notte, anche corta. Dettaglio che non passò inosservato e portò a un’occhiata maliziosa rivolta verso le mie gambe lunghe e magre, arrossì subito.
Vado in aeroporto, volevo passare a salutarti” mostrò scritto sul telefono.
-Oh- scesi subito dal letto e mi fiondai tra le sue esili braccia che m’avvolsero prontamente.
Le sue labbra si fecero dolcemente spazio sul mio collo per poi raggiungere le mie, subito dischiuse per assaporare meglio quel momento. Lo avvicinai a me, mettendo le mie braccia attorno al suo collo.
Durante quel bacio non mi sentì in paradiso, no. Qualcosa di molto meglio.
Ovviamente arrivò l’altro gemello a rovinare tutto, con la sua grazia da elefante irruppe nella camera ed esordì con un verso schifato di fronte alla visione di me e il mio ragazzo intenti a baciarci.
-Bill per favore, dobbiamo andare! Hai tempo per queste cose quando torniamo!- il fratello lo fulminò con lo sguardo, mai come in quel momento il chitarrista fu felice del mutismo dell’altro, si capiva dal sorrisetto strafottente.
-Tom, perché devi sempre rompere le scatole?- sbuffai contrariata.
-Perché sono nato per questo piccola Mel!- ammiccò verso di me e lo guardai parecchio stranita.
-Okay, lasciamo perdere. Ho capito, non hai senso dell’umorismo! Sei perfetta per stare con il mio fratellino quindi-

Fu il mio turno di alzare il sopracciglio, presi velocemente un cuscino che giaceva sulla sedia e glielo lanciai in faccia, cogliendolo di sorpresa. Guardai il moro e scoppiammo a ridere contemporaneamente, effetto dovuto alla faccia del rasta, aveva gli occhi spalancati e si massaggiava la guancia colpita dal guanciale.
-Che cazzo ridete? Ma sei scema?- borbottò incavolato.
-Cosa c’è Tom? Non hai senso dell’umorismo?- civettai usando il suo stesso tono.
-Lasciamo perdere, e ora tu, individuo con il mio stesso carattere genetico, dobbiamo andare altrimenti perdiamo l’aereo e ti toccherà stare per più tempo lontano dalla tua metà bacata qui-
Lasciai un altro bacio a Bill, già depressa per il distacco.
-Mi mancherai- gli sussurrai a un orecchio.
-Tom, non mi mancherai. Magari rimani per un po’ ad Amburgo-
-No cara Mel, torno solo per rompere a te, adoro quando t’incavoli, sei comica-
-Vai a quel paese- sorrisi melliflua tirandogli una leggera spallata, spingendolo fuori dalla porta.

Buttai un’occhiata malinconica a Bill, che ricambiò pienamente.

-Dai ragazzi, due giorni massimo e vi vedrete! Che sono questi melodrammi? Neanche stesse partendo per la guerra! Allegria, pace e amore!- esclamò sbrigativo Tom, trascinandosi via il fratello.
Ecco, esattamente cinque minuti dopo essermi ritrovata sola – ancora – avvertì già la sua mancanza, nonostante ci stessi anche messaggiando; il fatto era che, prima sapevo era qualche piano sotto di me,ora invece stava salendo in un aereo per andare lontano. Ero già nella buona via per la depressione quando nella mia stanza irruppe Julia, tutta energetica ed euforica.

-Buonasera Mel!- sorrise sedendosi tranquillamente affianco a me.
-Ciao..?- mormorai stranita di vederla a quell’ora.
-Scusa, ho sentito Bill è partito per una visita specialistica, così ho pensato ti stessi deprimendo e per evitarlo ho deciso di auto-invitarmi qua per la serata. Non ti da fastidio vero?- fece un sorriso talmente sincero che la risposta fu negativa, era una cara ragazza, veramente.
-Allora, com’è stare con Bill Kaulitz?- domandò poco dopo.
-Stiamo insieme da pochissimo, cosa vuoi che ti dica? Per me è bellissimo, ogni istante con lui è bellissimo-
-Hai gli occhi che brillano- costatò, facendomi arrossire.
-Lo so, è l’effetto che ha su di me-
-Sei più luminosa anche tu, ti rendi conto? Anni che sei qui e rinasci grazie a una persona, al diavolo tutte le medicine. Bill è la cura migliore, mi sbaglio?- domandò retoricamente.
-Hai completamente ragione. È fantastico lui- il mio tono era sognante.
-Quanto vorrei conoscerlo.. e conoscere anche Tom- il suo tono divenne simile al mio. Sorrisi, ricordandomi ciò che m’aveva confermato il mio ragazzo poco prima.
-Senti, io ho una “sorpresa” per te e spero ti possa essere gradita.. quando tornano i ragazzi da Amburgo, verresti a un appuntamento a quattro fuori dalla clinica? Io, te, Bill e Tom- affermai guardando la sua reazione, subito sgranò gli occhi, incredula e felice.
-Dici davvero?- aveva la bocca spalancata.
-Si, seriamente. Tu stai facendo tanto per me, e non sapevo come ricambiare, mi è venuto in mente questo-
-Io accetto molto più che volentieri! Insomma.. oddio! Potrò incontrare metà dei Tokio Hotel, ti rendi conto che è una delle cose più belle che mi sono successe in.. una vita? Grazie!- esclamò abbracciandomi.
-Non ringraziarmi! Tu sei da ringraziare, sei una sorta di ‘coscienza’, sai aprirmi gli occhi!- sorrisi.
-Basta, ringraziamoci e siamo a posto! Che ne dici di dormire ora? Fammi un po’ di spazio, tanto siamo magre!- ridacchiammo, -dai sto morendo di sonno, buonanotte Mel!-
-Buonanotte Ju!- dissi già stanca. Vibrò il telefono nascosto sotto il cuscino, e anche quella sera mi addormentai col sorriso, riconoscendo una frase di una canzone che m’aveva dedicato poche settimane prima.

“Buonanotte piccola Mel, sogni d’oro.
Mi manchi già.
Sei Sacra

....

...

* * * *

....

...

NdA: Eccomi qua con il nuovo capitolo! ^___^
Non succede nulla di eclatante; l'ho incentrato su Mel.. spero vi sia piaciuto, è leggermente più introspettivo degli altri :)
Piccola anticipazione, il prossimo che posterò sarà quasi interamente dal punto di vista di Bill . .
A presto! Spero in qualche recensione ;3 leggere quello che pensate mi fa sempre piacere!
Unleashedliebe

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Capitolo 12
*** Capitolo XII (C) ***


(c)adl

CAPITOLO XIII (C)


Pov Bill

....
...

Finì di sistemare la valigia per il breve soggiorno ad Amburgo e fui raggiunto da mio fratello.

-Andiamo?- domandò sbrigativo, sapevo una volta finita la terapia avrei dovuto ripagare tutto quello che stava facendo per me, non mi lasciava un secondo.

Al mio fianco, sempre.

Tom poteva apparire duro, perché era un indubbio playboy, sembrava senza cuore, sbruffone. E lo era, inutile nasconderlo, ma oltre a questo c’era di più, tanto. Avrebbe potuto approfittare della mia permanenza alla clinica per prendersi una pausa, non gliel’avrei negato; invece scelse di stare con me, sopportando le mie crisi depressive e i miei numerosi lamenti.
Tom era dolce, questo suo lato lo faceva trasparire molto lentamente e con pochissime persone, ossia la band e la nostra famiglia. Era restio a coccole o dimostrazioni d’affetto, ma era stato il primo ad abbracciarmi una volta uscito piangente dal palco, senza voce.
Era la mia coscienza, tutto ciò che ero io e tutto quello che scorreva nelle mie vene.

Continuava a fissarmi in attesa di un mio cenno, presi il cellulare e affermai di voler andare da Mel prima.
-Oddio, ti ha proprio bruciato il cervello eh? Donne!- commentò ridacchiando.
Idiota! Mi ha preso il cuore, altro che bruciato il cervello” digitai io, sorridendo dolce.
-Niente da fare, ormai ti ho perso! Dai su sbrighiamoci, non vuoi perdere l’aereo vero?-
Negai e, dopo aver preso la valigia, mi diressi verso la camera della mia ragazza; bussai e, senza attendere risposta, entrai. La vidi lì, seduta sul letto con lo sguardo leggermente perso. Si illuminò vedendomi, e il suo viso si colorò di un tenerissimo rosa, imbarazzata probabilmente dall’abbigliamento: indossava una camicia da notte che metteva in evidenza le sue lunghe e gambe magre, apprezzate logicamente da me.

-Bill, che ci fai qui?- il tono era tra lo stupito e l’imbarazzato.
Vado in aeroporto, volevo passare a salutarti” scrissi e mostrai la mia risposta. Arricciò gli angoli in della bocca all’insù e soffiò un oh sorpreso, scendendo dal materasso e posizionandosi fra le mie braccia. Alzai lo sguardo sul suo, vidi i suoi occhi azzurri brillare. Ricordo che, il giorno in cui la incontrai, erano spenti, malinconici. Ora invece, grazie a me, splendevano di emozioni nuove. L’avvolsi con le braccia e sentì le sue labbra poggiarsi leggere sul mio collo, facendomi rabbrividire. Erano sensazioni nuove anche per me, ero già stato innamorato in passato, ma da quando avevo incontrato Mel, le vecchie storie mi sembravano banali, vuote. Ciò che provavo verso Mel era forte, vero, puro.

Era amore.

Ricambiava, ne ero certo; come ero certo di tutte le sue paure e della sua confusione. Il suo problema era che pensava troppo agli altri, si comportava così affinché nessuno si sentisse ferito a causa di un suo atteggiamento, metteva sempre le mani davanti.
Aveva la leucemia, lo sapevo, non mi interessava. Volevo vivere ogni momento con lei al meglio, sapevo si era già prefissata il percorso della nostra storia, sapevo l’avrebbe fatta finire, cercavo di pensarci il meno possibile, nutrivo la speranza di farle cambiare idea. Doveva cambiarla, perché non l’avrei abbandonata facilmente, no.
Il mio flusso di pensieri fu interrotto dalle sue labbra che andarono a posarsi sulle mie, coinvolte in un bacio passionale, dolce e lento. Riuscivo a sentire i battiti irregolari del suo cuore, che spingeva addosso al mio petto. La sentivo fremere, la sentivo tremare.

-Bill per favore, dobbiamo andare! Hai tempo per queste cose quando torniamo!- a interromperci arrivò il mio caro fratello, che si guadagnò un’occhiataccia per quell’uscita.
-Tom, perché devi sempre rompere le scatole?- sbuffò la mia ragazza seccata, staccandosi leggermente da me. Seguì un battibecco fra i due, che culminò con un cuscino in faccia del rasta, tra le mie risate e quelle di Mel. Purtroppo però aveva ragione, dovevamo andare. Dispiaciuta mi lasciò un altro bacio, sussurrando che le sarei mancato. Avrei voluto rispondere “tu di più”, le parole però non potevano uscire, maledetta gola. Mi limitava troppo, non potevo sussurrarle ciò che avrei voluto, tutte le parole dolci che si meritava.
La strinsi leggermente prima di uscire dalla stanza, osservando il suo sguardo già triste.
Sospirai, si era impossessata del mio cuore. Lei e le sue mille insicurezze, lei e le sue mille paranoie, lei e i suoi sorrisi, lei e la leggerezza con cui affrontava la sua malattia, lei che ascoltava musica classica e non i Tokio Hotel.

Lei, semplicemente lei, Liebe.

Lo dicevano tutti, io ero Bill Kaulitz: avrei potuto avere qualsiasi ragazza, sarebbe bastata un’occhiata per far cadere ai miei piedi una fan, ma non era quello che volevo. Mi definivano tutti anormale, in fondo era vero: a diciotto anni un adolescente dovrebbe andare a scuola, studiare, uscire con gli amici e divertirsi con tante ragazze diverse. Io preferivo la musica, l’adrenalina che solo un concerto mi dava, passavo tutto il tempo con la mia band e ciò mi bastava, inutile circondarsi di persone che volevano conoscerti per la tua fame. Sognavo l’amore io, non sesso. Volevo una persona che amasse me e non il mio personaggio, con cui poter parlare senza svenimenti o urla.

Mel era tutto questo. Mel era tutto.

-Fratellino, non riesci a smettere di pensare a lei un secondo eh?- esordì Tom ironico. Lo guardai interrogativo.
-Ti conosco da.. tanto: hai gli occhi che ti luccicano e ti succede quando i tuoi pensieri ruotano attorno a una certa tedesca dagli occhi azzurri- si spiegò con tono affettuoso, facendomi sorridere. Mi conosceva, già.
Scosse la testa divertito, mentre montavamo in macchina per raggiungere l’aeroporto. Il viaggio per arrivare ad Amburgo sarebbe stato breve, anche perché l’avremmo raggiunto con l’aereo privato. Il mio pensiero vagò subito su Mel, già la immaginavo giù di morale, perciò le scrissi un messaggio;

“Buonanotte piccola Mel, sogni d’oro.
Mi manchi già.
Sei Sacra”

Ormai avevo associato la canzone “Heilig” a lei, sapevo avrebbe colto l’allusione a quando le avevo detto poche righe del testo tempo prima.
-Togliti quel sorriso ebete dalla faccia, sei fastidioso- esclamò il mio gemello, una volta seduti e in volo.
“Smettila, sei solo invidioso! Perché tu sei ancora triste e solo!” scrissi.
-Triste e solo? Ti sembro triste e solo?- alzò un sopracciglio scettico, -Preferisco godermi la vita io, c’è tempo per accasarsi, sto bene così- sorrise maliziosamente, fu il mio turno di scuotere la testa.
Eravamo opposti in questo aspetto, lui non cercava l’amore, io sì. Una delle mie paure più grande era  rimanere solo, nonostante sapevo fosse impossibile, avrei sempre avuto qualcuno al mio fianco, lui, Tom.
Il forte legame “gemellare” non era un’invenzione pubblicitaria come molti sostenevano, era vero. Come le storie della nostra infanzia, delle prese in giro per via del mio look e le botte prese per questo, e le volte in cui il rasta interveniva per proteggermi, picchiando a sua volta. Sempre inseparabili, la gente faceva fatica a riconoscerci, tanto eravamo uguali. Poi sono cominciati i cambiamenti, io verso il trucco e lo stile “androgino” e lui verso stile “rapper”.
Dentro però sempre noi, quei due scapestrati costretti a frequentare classi diverse perché assieme facevano troppa confusione, quelli a cui non servivano parole per comunicare. Uno sguardo diceva tutto.

 

Guardavo distrattamente giù dal finestrino, tutte le luci e i movimenti della città notturna, chissà quando sarei tornato a vivere la vita di prima.. le terapie andavano bene, tutto procedeva senza complicazioni, ciò significava la mia voce sarebbe tornata quella di una volta. Il mio sogno sarebbe continuato, avrei solcato ancora palchi di tutta Europa e, chissà.. un giorno magari avrei alloggiato con i ragazzi di un hotel a Tokyo. Chissà..

Per quanto eccitante fosse questa prospettiva, ora c’era un aspetto che mi inquietava, Mel: ero consapevole non avrebbe accettato di vivere il mio sogno con me, non avrebbe accettato che io viaggiassi per il mondo con il pensiero rivolto a lei, rinchiusa il quella clinica.
Scossi la testa, inutile farsi problemi prima del tempo, ci avrei pensato poi.

....

...

* * * 

....

...

-Signori Kaulitz, siete arrivati. La vostra guardia del corpo vi attende il pista- annunciò l’hostess.
Annuimmo contemporaneamente, stiracchiandoci e portandoci giù con le valigie. Salutai il federe Saki, pronto ad attenderci e trasportarci a casa Trümper. In poco tempo arrivammo e fummo accolti da nostra madre e Gordon, felici di vederci. Simone si rivelò apprensiva come sempre, riempiendoci di domande, quel periodo non era facile neanche per lei.
-Ragazzi, le vostre camere sono pronte. Restate solo due notti giusto?- domandò la mamma.
-Si, perché tuo figlio non riesce a stare troppo lontano d..- tirai una gomitata sul suo fianco, interrompendolo prima che dicesse qualcosa di troppo compromettente, anche se era troppo tardi: lo sguardo della donna si era già fatto attento e curioso, chiedeva spiegazioni.
-Ah, Bill si è innamorato- esclamò, spalancai gli occhi: cretino, non poteva farsi i fatti suoi?
-Cosa? E perché non ci hai detto nulla?- domandò inquisitoria, scossi le spalle.
Niente domande, sono stanco. Neanche domani mattina, perché ho la visita. Ah, neanche il pomeriggio, perché vado a casa di Andreas, quanto mi dispiace! Notte Mutti” la vidi leggere il messaggio insoddisfatta, non le diedi tempo di replicare e filai in camera mia, rimasta immutata: nonostante il trasferimento da Magdeburgo, avevo riportato tutte le cose come nella vecchia camera. C’erano i poster di Nena e dei Placebo appesi alla parete, il copriletto nero, tutti i trucchi sulla scrivania, fogli sparsi dappertutto.  Serviva per farmi mantenere i piedi per terra, ricordarmi che, nonostante capitava di dormire in suite elegantissime, ero pur sempre un adolescente disordinato. Sorrisi leggendo le bozze di vecchie canzoni sull’album aperto sopra la scrivania. Misi velocemente il pigiama, stendendomi a letto e addormentandomi velocemente, mi aspettava una mattinata intensa.

....

...

* * * 

....

...

-Smettila di muoverti così Bill, mi fai agitare!- borbottò Tom, un’ora prima eravamo arrivati nello studio medico del dottor Merken, il quale aveva terminato il controllo e doveva dare i risultati da un momento all’altro.
Inutile dire quanto fossi in ansia: quando potevo tornare a parlare? Teoricamente i giorni “silenziosi” si erano conclusi, non ce la facevo più a tacere, soprattutto poiché ero un logorroico nato.

Paura, terrore, panico.

-Okay ho capito, non la pianti- sbuffò arrendendosi.
Continuai a picchiettare il dito nervosamente sulla sedia, finché il dottore non arrivò con i risultati.
-Allora Bill, ho qua i risultati degli esami- alzai gli occhi al cielo, lo sapevo, volevo altre risposte!
-Oh scusa, immagino voglia che passi subito al dunque, beh.. è tutto perfetto! La sua gola è tornata come prima, non dovreste avere difficoltà a parlare-
Spalancai la bocca stupito, stessa reazione ebbe mio fratello.
-Vuol dire che, può tornare a parlare? Così, semplicemente?- domandò leggendomi nel pensiero.
-Sì, ovviamente deve limitarsi, perché è ancora tutto da tenere sotto controllo, ma sostanzialmente può tornare a parlare come prima. Per quanto riguarda il canto invece, il discorso è un po’ più complicato, la riabilitazione sarà più lunga soprattutto perché deve prestare attenzione a come usa la voce, basteranno tre settimane e potrà tornare a la superstar di prima- concluse il dottore sorridendo.
Ero.. al settimo cielo. Sentivo che tutto stava tornando a posto, ce la potevo fare.
Rimasi in silenzio, temevo di parlare, temevo cambiamenti, anche se mi era stato assicurato non ce ne sarebbero stati.
Deglutì e, dopo troppo tempo, udì la mia voce.
-Tomi..- soffiai piano, voltandomi verso il mio gemello che mi guardava con sguardo dolce e felice.
-Grazie dottore- dissi poi rivolto a lui, mi sembrava così strano l’effetto del mio chiacchiericcio, me n’ero quasi disabituato. La voce era roca, tentennante.. ma c’era.
-Di niente, è il mio lavoro. Ora spedirò tutte le documentazioni alla clinica di Colonia, potete andare-

Ci congedammo e, una volta fuori, espirai rumorosamente, mi sentivo leggero.
-Oddio, non ci credo- dissi entusiasta, abbracciando istintivamente mio fratello, che ricambiò la stretta sorridendo.
-Te l’avevo promesso, vedi? È andato tutto bene! Così dovrò tornare a sopportare Bill in versione logorroica!-
-Piantala! Ammetti ti sono mancato!- si grattò l’orecchio, e annuì imbarazzato, distaccandosi dall’abbraccio.
-Grazie Tomi, so che.. sono stato un peso ultimamente- affermai, mentre mi guardava interrogativo, -Sono stato terribilmente rompi scatole, e volevo solamente ringraziarti per essermi stavo vicino ancora una volta-  

Mi prese la mano, guardandomi dritto negli occhi.

-Tu sei mio fratello, non pensare neanche a ringraziarmi. Avresti fatto lo stesso- affermò con tono dolce, non potei che annuire.
-E ora basta, altrimenti piangi e ti si scioglie il trucco!- affermò ridendo, lo seguì a ruota.
-Dai andiamo, Andreas ci sta aspettando- sorrisi io.

Andreas era l’unico amico che avevo al di fuori della band, fin dai tempi del ginnasio. Aveva accettato la mia “stranezza” e era rimasto affianco a Tom e me anche dopo il successo dei Tokio Hotel, nonostante la fama i rapporti non si erano allentati, riuscivamo a vederci spesso anche perché, anche lui, era in viaggio grazie alla sua carriera da modello. Raggiungemmo la sua casa in poco tempo, e già lo trovammo sulla porta ad accoglierci.
-Salve forestieri! Come va?- esclamò salutando e invitandoci ad entrare.
-Bene!- risposi io, lui davanti a me si blocca e inevitabilmente gli sbattei contro, facendolo cadere.
-Ma che cavolo, Andi sta attento!- affermai aiutandolo a tirarsi su.

Nel frattempo continuava a guardarmi sorpreso.

-Aspetta, mi devo essere perso qualcosa. Ma tu, sbaglio o eri muto?- mi fissò sospettoso, facendo scoppiare a ridere Tom.
-Hai presente la visita di stamani? Ecco, posso parlare, senti? Sto parlando!- risposi con tono ovvio.
-Quanto mi era mancato il tuo umorismo caro cantante da strapazzo!-
-Lo so, lo so! Scommetto che hai passato tutto questo tempo a ascoltare nostri cd perché il suo della mia voce ti mancava troppo!- ridacchiammo.
-Beh ragazzi, ora ci sediamo, prendo le birre e ci aggiorniamo!- sparì in cucina e tornò poco dopo con in mano due lattine di birra, era quello lo stile delle nostre riunioni.
-Allora, novità? Un uccellino con i rasta mi ha detto che qualcuno si è innamorato..- ammiccò verso di me.
-Si ho la ragazza, è Mel- sbuffai non volendo subire un interrogatorio.
-Quella Mel, quella di cui mi hai scritto trentamila volte?- annuì.
-Mh.. sono felice per te, da come me l’hai descritta non posso che esserlo!- sorrise, insieme a Tom.
-Beh, tu invece che ci racconti? Qualche aneddoto divertente di qualche sfilata?
Annuì pensieroso, pronto ad aggiornarci con qualche chicca.

Passammo tre ore in questo modo, a rivangare i vecchi tempi e a ridere per delle cretinate, ci voleva una serata del genere.
Per fortuna quando tornai a casa i nostri genitori erano già andati a letto, così che non subì un altro interrogatorio da parte di mia madre, quando voleva sapere qualcosa era terribilmente insistente e cocciuta, avevo preso da lei.   
Anche la mattina lo stesso, più che altro fu talmente felice di sentirmi parlare che momentaneamente si dimenticò di ciò. Con mio immenso dispiacere.
-Non ridere, tanto mamma se ne ricorderà e ti riempirà di chiamate dopo, è capace di raggiungerci in Colonia- disse mio fratello una volta saliti nell’aereo.
-Piantala! Sai quanto sa essere asfissiante la mamma quando si mette d’impegno!-

Scoppiò a ridere, avevamo avuto entrambi brutte esperienze a causa dell’essere impicciona di Simone.   

-Passando alle cose serie- ammiccò verso di me, -Cosa farai come Mel?-
Immediatamente nacque un sorriso sul mio viso. –Non so.. le ho detto saremo usciti per le quattro, ho pensato di andare in camera sua e farle una sorpresa prima.-
-Okay, che tipo di sorpresa?- domandò maliziosamente.
-Niente di quello che pensi tu!- sbuffai.
-Mh, tanto un giorno succederà..- commentò allusivo, -Va bene ho capito. Ma almeno dimmi, la sua amica è bella? Non ho voglia di partecipare a un’uscita a quattro con una cozza!-
-E’ una bella ragazza, sempre il solito superficiale sei!- mi lamentai.
-Lasciamo perdere, lasciamo in pace così mi riposo e poi sono bello e pronto a sopportare l’appuntamento-
Non risposi neanche, gli lasciai un’occhiata scettica mentre si infilava le cuffiette e si sparava Samy Deluxe al massimo.

Io invece mi lasciai andare ai miei pensieri. Non vedevo l’ora di rivedere la mia Mel, le avevo comprato anche un regalo da Amburgo. Inoltre finalmente potevo evitare di comunicare tramite carta e penna, non mi piaceva un gran che! Mi vibrò il telefono e fui felice di scoprire che, anche lei, mi stava pensando.

“Mi manchi Bill! E non ci siamo visti per solo un giorno. È grave non trovi?”

Grave, già molto grave. Per fortuna ci saremo visti lì a poco.

“Sì. Mi manchi anche tu piccola. Dai, fra poco ci vediamo (:
Ho una sorpresa per te.”

“Sorpresa? Che sorpresa?”

“Vedrai.. ‘vedrai’.”

....


Riposi il cellulare in tasca, e finalmente alle tre ritornai in clinica insieme a Tom.
Lui si diresse in camera mia, mentre io le scrissi un altro messaggio, chiedendo cosa stesse facendo, rispose era in stanza. Percorsi il corridoio e mi fermai davanti alla sua porta, telefonandole. Sapevo aveva il brutto vizio di non vedere mai il mittente e rispondere subito, così c’era l’effetto sorpresa.
-Pronto?- non risposi, aspettai allontanasse il cellulare per vedere il mittente della chiamata.
-Bill?- domandò  con tono sospettoso.
-Si, sono qui- risposi dolcemente. Sentì solo la chiamata chiudersi e un rumore di passi provenire dall’interno, mi allontanai un attimo dalla porta, in tempo per non prenderla in faccia visto che un secondo dopo Mel era uscita correndo, finendomi addosso.
Finì con la schiena attaccata al muro e con Mel appoggiatami sopra, che mi fissava stralunata, felice, sorpresa e.. tenera.  
Non le lasciai dire niente, mi impossessai delle sue labbra prima che potesse far uscire una singola sillaba.
-Mi sei mancata- sussurrai soffiandole sulla fronte. Aveva le guance arrossate e un sorriso splendente.
Era semplicemente  bellissima.
-Tu..- iniziò, la bloccai nuovamente.
-Sssh- tornai a baciarla, abbracciandola stretta.

In quel momento, lì con lei, mi sentì a casa.

...

......

..* * *.

...

...

...

NdA:  Okay, non ho dato segni di vita per tre settimane, ma ora sono qua.
Non sono sparita, sono piena di verifiche, sono una studente-tutor e per questo motivo a volte rimango a scuola il pomeriggio, così il tempo per stare al computer diminuisce drasticamente. Non smetterò di postare questa storia, ci tengo troppo! Dicembre è un mese davvero impegnativo D:
Spero di uscirne viva! E spero non vi siate dimenticate di questa fanfiction, nonostante i miei infiniti ritardi!
Ich bin da, lol.
Ora, passando al capitolo, ecco l'atteso pov di Bill :3
La visita è andata bene, ha passato un po' di tempo con la sua famiglia, è tornata la sua voce, e ora?
                       ....Chissà :3
Ora rispondo alle vostre recensioni (grazie mille a tutte!) e scappo a studiare inglese (help me!)
Datemi un segno di vita ragazze c.c
Un bacione!
Unleashedliebe

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII (H) ***



NdA: Sono sparita, di nuovo, lo so. Questo mese è stato davvero difficile e infinito, ho avuto delle settimane pienissime, con verifiche tutti i giorni.
Mi scuso per non aver postato, ma studiando tutto il pomeriggio arrivavo la sera esausta e non ho trovavo il tempo da passare al computer.
Adesso ci sono le vacanze! Mi servivano proprio, davvero! Cercherò di tornare a postare regolarmente, farò il possibile :)
Spero non abbandoniate la lettura di questa storia, nonostante i miei ritardi D: fatemi sapere quello che pensate!
Colgo l'occasione per farvi gli auguri di Natale, a voi e alle vostre famiglie!
Nel caso non postassi entro il 31, anche auguri di buon anno!
Vi voglio bene ragazze.
Unleashedliebe

adl


Capitolo XIII (H)

Non vedevo Bill da solamente ventiquattro ore e già mi mancava, era capitato di non incontrarci per una giornata, ma sapevo fosse a pochi passi da me, mentre ora si trovava ad Amburgo per un’importante visita medica, ed ero terribilmente in ansia per il risultato, sapevo aveva già fatto il controllo ma non sapevo ancora nulla, mi aveva inviato un laconico messaggio dicendo non c’erano complicazioni, ero contenta però.. volevo sapere altro, temevo mi nascondesse qualcosa. Mentre lui era via, avevo trascorso la mattinata facendo lezione di tedesco e storia – ultimamente per problemi vari avevo leggermente allentato il mio “rapporto” con lo studio – il pomeriggio invece avevo avuto la chemioterapia e la sera mi ero trovata ancora con Julia, fremeva d’agitazione: non vedeva l’ora di trascorrere del tempo con metà Tokio Hotel.

-Non ci posso credere, domani pomeriggio uscirò con te e i Kaulitz!- esclamò con aria sognante, facendomi ridacchiare.

-Credici, guarda che sono persone normalissime- scossi le spalle, non avevo mai avuto un idolo o un gruppo preferito, per questo probabilmente non riuscivo a capire tutta la sua agitazione, né il tono carico d’affetto che utilizzava quando si riferiva ai Tokio Hotel.

-Non sono persone normalissime per me, no. Insomma.. è difficile da spiegare, mi sento legata a quei quattro ragazzi, nonostante non li abbia mai visti di persona. La loro musica mi ha salvata la vita più di una volta- i suoi occhi si fecero più cupi e lontani, come se stesse ricordando qualcosa di doloroso. –C’è una canzone- continuò, -è una delle più belle che abbia mai sentito, ti consiglio vivamente di ascoltarla appena ti sarà possibile; si chiama “Spring nicht” – non saltare. Quando ero malata vivevo solo per vedermi sempre più magra, ogni giorno con qualche etto  in meno. Ogni settimana scomparivo di fronte allo specchio, la mia figura si faceva più opaca e apatica. Sono arrivata anche al punto di pensare al suicidio, successe quando ormai ero talmente magra che non avevo più chili da perdere, ma volevo sempre di più.. di più. Poi arrivò il loro cd, un pomeriggio lo misi nella radio e sentì per la prima volta quella melodia che mi permise di non mollare- prese fiato, sospirando, -Io grido nella notte per te, non abbandonarmi, non saltare. Questo diceva, in quel momento sembrava fosse un messaggio mandato apposta per me. Capisci perché, quando parlo di loro, sembra si tratti di miei amici? Ci sono stati quando nessuno badava a quello che mi stava succedendo, con la loro musica mi hanno sempre tirata su, è difficile da spiegare, potrà sembrarti una pazzia, ma è così- sorrise, -Sono sicura riuscirai a capirmi non appena sentirai una canzone dei Tokio Hotel, e beh.. sappi che il prossimo concerto lo affrontiamo insieme, me lo prometti?-

Ero leggermente sorpresa e stordita da quel fiume di parole, così mossi la testa annuendo quasi senza rendermene conto.

-Che bello! Ho sempre voluto andare a un loro concerto, ma nessuno veniva con me, così ho sempre rinunciato- disse malinconica. Mi accorsi troppo tardi a che cosa avevo accettato, ma vederla così entusiasta grazie alla mia risposta definitiva mi vietò di ritrattare ciò appena promesso.

-Allora sono contenta di renderti così felice- le sorrisi.

-Abbraccio?- ricambiò con un sorriso ancora maggiore, ridacchiai e l’abbracciai.

-Come stiamo diventando sentimentali, non trovi?- feci un poco imbarazzata, non ero una persona affettuosa.

-Oh, è merito della mia storia drammatica, ti ho sciolto il cuore!- sdrammatizzò.

-Piantala! Vuoi mettere la mia di storia?- la ripresi, mi guardò con un accenno di sfida.

-Oh dai, sono in clinica da quasi quattro anni, tu dall’anoressia puoi guarire, dalla leucemia invece è un po’ più complicato, sai? Per un periodo mi sono anche illusa tutto stesse andando per il meglio, la terapia sembrava funzionare, poi ho avuto una ricaduta e sono quasi morta, e ciò è successo un altro paio di volte. Poi, fammi pensare!- erano successe tante cose negative, quasi non ricordavo. –Ah, ho rotto tutti i rapporti con i miei amici e anche quelli con i miei genitori si sono allentati, è pesante avere una figlia come me, capita di pensare sarebbe meglio morissi, tuttavia non ho mai pensato a farla finita, non che valga la pena vivere una vita così, ma manco di coraggio per compiere un gesto del genere. Vuoi la ciliegina sulla torta?- annuì circospetta, -Mi sono innamorata in meno di un mese di un ragazzo, ma non uno qualunque, niente di meno che Bill Kaulitz, il cantante della famosissima band dei Tokio Hotel. Ecco, mi ha preso il cuore e fra poco me lo ritroverò a pezzi, perché lui tornerà alla sua vita e io lo lascerò. Non guardarmi così- la ammonì vedendo quello sguardo severo che assumeva durante quei discorsi. –Insomma, è meglio per tutti, punto! Se fossi in me, faresti lo stesso, non negare- Tentennò, poi annuì lentamente. –Ecco, vedi? Quando ami una persona vuoi il meglio, e il meglio per lui non sono io. Quindi mi metterò da parte, anche se sono consapevole di tutta la sofferenza proverò. Sono abituata! E poi posso sempre appendere la sua immagine in camera, no?- conclusi con tono menefreghista e allegro, per togliere la tensione che si era creata.

-Tu.. o lasciamo perdere! Piuttosto, cambiando argomento- sorrise maliziosa, spaventandomi. –Già deciso cosa metterti domani per l’appuntamento?- ammiccò.

-Oddio! Un solito banalissimo paio di jeans e una maglietta, cosa dovrei mettere? Insomma, non è un’uscita galante!- mi difesi io.

-Cosa? È il vostro primo appuntamento, non puoi vestirti così!- affermò scandalizzata.

-Non è un vero e proprio appuntamento, è un’uscita a quattro!- balbettai.

-No cara, adesso apri l’armadio e procediamo con un’accurata selezione del vestiario- fece lei con sguardo serio, facendomi scoppiare a ridere.

Si avvicinò al mio guardaroba, aprì le ante con foga e cominciò a frugare nervosamente alla ricerca di qualcosa di apprezzabile, nel frattempo io la fissavo immobile, anche un po’ spaventata a dire il vero.

-Allora, pantaloni lunghi perché fa ancora un po’ freddo, mannaggia aprile che ritarda! Maglietta vediamo..-

-Niente di scollato- la interruppi.

-Perché?- domandò accigliata.

-Dimentichi che ho la cosa per il catetere sul torace? Non è bello da vedere, quindi evitiamo-

Sospirò e, arricciando il naso, si immerse nuovamente fra i vestiti.

-Senti, com’è che sei tanto esperta di moda?- chiesi curiosa.

-Oh, ho sempre desiderato lavorare in questo campo, però come sai ho lasciato la scuola in secondo piano per un po’! Una volta uscita da qui mi piacerebbe diventare truccatrice oppure personal stylist- 

-Mi è venuta un’idea..- si girò curiosa. –Se riuscirò a un pubblicare un libro, allora dovrò fare interviste o cose del genere no? Ecco, tu potresti essere la mia consulente d’immagine!-
Si illuminò esponendo un bellissimo sorriso e annuì prontamente, -sarebbe fantastico!-  ricambiò l’entusiasmo.
-Non vedo l’ora di leggere qualcosa di tuo, sai? Cosa scrivi? Hai già qualcosa di pronto?- domandò tornando a dedicare l’attenzione all’armadio.
-Storie d’amore, soprattutto. Ho già scritto qualcosa, ma voglio il mio libro sia perfetto, quindi ci devo riflettere e lavorare ancora un bel po’-

Rimanemmo il silenzio per qualche istante.
-Che ne dici di questi?- domandò mostrandomi un paio di leggings blu e una t-shirt lunga e bianca. Regalo di mia madre.
-Mi piacciono sì- annuì, lei assunse una posa soddisfatta. 
-Ti posso truccare domani? Hai degli occhi bellissimi, ora poi, sono sempre luminosi- grazie a lui, sarebbe stato da aggiungere.
-Niente di pesante, non voglio sembrare un’altra persona!- sbuffai. –Ora possiamo dormire? Ho avuto una giornata pesante-
-Perché? La professoressa è stata severa come sempre?-
-Anche, ormai mi sono abituata, mi ricordo all’inizio che neanche volevo andarci perché mi spaventava! Più che altro le terapie mi hanno affaticata, non vedo l’ora si sistemino un po’ le cose, sono stanca di stare qui-
-Vedrai, tutto andrà bene- sorrise incoraggiante, per un momento immaginai una mia possibile guarigione, la vita fuori dalla clinica, l’amore.. tutto fu però anestetizzato e rinchiuso in una parte della mia mente, meglio non sperare, troppo semplice rimanere delusi dopo.
-Che fai, dormi qui anche stasera?- le chiesi, lei scosse la testa.
-Non ti farei dormire, tanto sono agitata! Quindi è meglio che porti il mio nervosismo e me fuori da qui! Domani mattina hai da fare?-
-No, sono libera, quindi voglio dormire, loro arriveranno nel primo pomeriggio, voglio essere sveglia!- commentai.
-Okay.. però devo avere il tempo per truccarti e farti bella!- aggiunse lei minacciosa.
-Si, certo!- usai un tono poco convinto, -Buonanotte, ora rischio di addormentarmi in piedi se non mi stendo. Ci vediamo domani-
Ci salutammo e, dopo aver inviato il messaggio della buonanotte a Bill, mi addormentai.

****

I raggi del sole entravano caldi filtrando dai vetri della finestra, lasciata senza tende per una notte. Mi alzai piano dal letto, onde evitare giramenti di testa di prima mattinata; sentivo il mio corpo intorpidito dalla lunga dormita, infatti mi svegliai che erano le undici passate, un nuovo record per me! Posai i piedi a terra e rabbrividì per il contatto con il pavimento freddo, mi stiracchiai leggermente e rivolsi una sfuggevole occhiata allo specchio: le occhiaie, per una volta, erano stranamente assenti e avevo il viso rilassato, steso in un sorriso calmo.

Tutto perché sapevo che, da lì a poche ore, avrei rivisto il cantante.

Il solo pensiero mi fece scintillare gli occhi, non vedevo l’ora di riabbracciarlo, stringerlo e sentire quel profumo che tanto adoravo, vaniglia e menta. Dolce ma non troppo, perfetto.

Mi spogliai velocemente del pigiama e mi infilai nella doccia, facendo partire l’acqua calda che lenta scivolava sul mio corpo; mi appoggiai sulle mattonelle, venendo percorsa da una scossa di brividi, da quanto non mi sentivo così viva?

Spensi l’acqua e mi asciugai velocemente, uno degli aspetti “positivi” della malattia era che non dovevo perdere tempo ad asciugare i capelli. Presi i vestiti che Julia aveva lasciato sulla sedia e gli indossai velocemente, guardando il riflesso della mia figura non potei che apprezzare le sue scelte: i leggings neri fasciavano elegantemente le mie gambe lunghe e magre, la maglietta invece non era eccessivamente scollata e si sposava bene con la mia carnagione pallida e il colore degli occhi. Sorrisi soddisfatta, stranamente mi vedevo quasi.. bella, non ero più abituata a una sensazione così.

Quando terminai di vestirmi fui raggiunta per il pranzo da Julia, che non trattenne i complimenti vedendomi così raggiante.

-Sei bellissima Mel, vedrai che faccia farà Bill quando ti vedrà!-  arrossì.
-Vogliamo parlare di te? Non credevo volessi far strage di cuori!- commentai squadrandola meglio, non le avevo chiesto i suoi programmi per l’appuntamento, e devo dire si era preparata davvero bene: indossava un paio di jeans strappati e stretti, una maglietta che lasciava scoperta una spalla e evidenziava le sue curve, i capelli solitamente scompigliati ricadevano invece lisci sulle spalle, tenuti distanti dalla fronte con una graziosa molletta, aveva risaltato poi i colori degli occhi con un bell’ombretto color perla e tanto mascara. Era semplicemente stupenda.
-Grazie! Insomma, voglio essere meravigliosa quando incontrerò i miei idoli!- disse con aria trasognata.
-E sei meravigliosa!- esclamai.
-Bando alle chiacchiere, ora mangiamo e poi sistemo anche te!- affermò categorica, rifugiandosi nel piatto di pasta lì davanti, era bello vedere come le fosse tornato l’appetito, stava guarendo finalmente.
-Che idee hai?- domandai vedendola frugare nella trousse che aveva portato da camera sua.
-Non so ancora, voglio fare risaltare i tuoi occhi…- farfugliò concentrata.
-Ti ripeto, niente di esagerato!- annuì, tornandosene poco dopo con in mano tutto l’occorrente per ‘trasformarmi’.

Così, neanche mezz’ora dopo, i miei occhi furono coperti da uno strato di eye-liner nero, con sotto matita azzurra e ciglia lunghe grazie all’applicazione di una buona quantità di mascara. Il make-up era semplice, ma riusciva a farmi sembrare ancora più bella, se non fosse stato per i capelli, sarei sembrata sana.

-Sei perfetta ora!- esclamò soddisfatta. –Ora devo andare, ho l’incontro con il gruppo di supporto- sbuffò scocciata, si annoiava sempre a partecipare a quegli incontri.
-Va bene! Ci vediamo dopo allora- dissi.
-Mi raccomando, non rovinarti il trucco perché non ho tempo per rifarlo dopo!- si raccomandò.
-Ai suoi ordini, capitano!- ridacchiammo.
-Allora a presto, oddio non vedo l’ora! Spero di non morire d’agitazione nel frattempo!-

Le sorrisi, mi lasciò un bacio sulla guancia al sapore di fragola e corse via.

Mi rimanevano due ore da passare da sola, il che era sinonimo di noia, monotonia e tanti pensieri.
-Allora pensa un po’ cara Mel, cosa puoi fare di interessante?- chiesi a me stessa.

Vagai un po’ alla ricerca di qualche idea, alla fine rimasero le solite tre alternative: leggere un libro, ascoltare musica o scrivere qualcosa. Optai per la prima e, dopo aver frugato nella libreria, tirai fuori il libro “Emma” di Jane Austen, uno dei miei preferiti. Rileggendolo, feci caso a una frase su cui non m’ero mai soffermata particolarmente, ma ora aveva acquisito un significato diverso.

“ Non perdonerei a un uomo di avere più musica che amore, più orecchio che occhio, una sensibilità più acuta per i bei suoni che per i bei sentimenti.”

Per quanto amassi la Austen, dovetti ammettere di essere in totale disaccordo con lei: quando ami un uomo, accetti di amare sia pregi che difetti, perché tutto contribuisce a rendere quella persona speciale ai tuoi occhi, perciò è necessario comprendere possano avere altre passioni al di fuori della “fidanzata”. Il mio pensiero volò ovviamente a Bill: lui era un cantante famoso, aveva lottato fin da piccolo per sfondare nel mondo della musica e vivere il sogno, dominando palchi in tutta Europa e conquistando l’amore di milioni di fans. Chi ero io per privarlo del suo sogno? La ragazza che amava, certo. Proprio per questo non avrei mai permesso una cosa del genere, sarebbe come cancellare una parte importante di lui, una parte che lo rendeva speciale e unico. Quando sarebbe arrivato il momento di scegliere, di andarsene, mi sarei messa in disparte. Il suo amore per la musica era immenso, magnifico, stupefacente. Io, in confronto a lei, ero nulla.

Mi persi nella lettura, ogni tanto la testa si distaccava e la mente vorticava attorno a una figura, un ragazzo bellissimo dagli occhi nocciola e capelli color pece, quello che, fra poco, avrei rivisto.

Non riuscendo a concentrarmi, presi il telefono e scrissi un messaggio a Bill.

“Mi manchi Bill! E non ci siamo visti per solo un giorno. È grave non trovi?”

“Sì. Mi manchi anche tu piccola. Dai, fra poco ci vediamo (:

Ho una sorpresa per te.”

“Sorpresa? Che sorpresa?”

“Vedrai.. vedrai.”

Inutile dire m’aveva resa curiosissima, adoravo le sorprese, nello stesso tempo però le temevo. Bill era andato ad Amburgo per la visita medica, magari era successo qualcosa.. Sbuffando mi risistemai sul letto, fissando il soffitto.

Sobbalzai sentendo il cellulare squillare, senza guardare chi chiamava risposi.

-Pronto?-

-…- nessuna risposta. Allontanai il telefono per vedere il mittente e fissai lo schermo stranita.

-Bill?- domandai con tono stranito e sospettoso.

-Si, sono qui- sentì qualcuno parlare. Era una voce che non avevo mai sentito prima, una voce terribilmente dolce e calda. Rimasi immobile, col cuore in gola. Era tornato, era tornato!

Spensi il telefono e corsi a mettermi le scarpe per andare in camera sua, aprì la porta di scatto e travolsi qualcuno, spingendolo addosso al muro.

Alzai lo sguardo verso la sfortunata persona travolta dalla mia foga e sentì il sangue raggelare trovandomi davanti lui. La mia espressione passò dall’essere sorpresa, scioccata a dolce.

Dio se mi era mancato..

Aprì la bocca per parlargli, ma fui bloccata dalle sue labbra che collisero sulle mie, senza foga, tranquille.
-Mi sei mancata- sussurrò sulla mia fronte, sentivo le mie guance arrossarsi e il sorriso espandersi.
Avevo provato più volte a immaginare che voce potesse avere, calda, fredda, dolce, profonda, acuta?

Ciò che usciva da quelle labbra era pura melodia, era magia.
-Tu..- dissi non appena si staccò da me, senza un vero discorso in testa.
- Sssh- mi fermò nuovamente con un bacio, abbracciandomi stretta.
Tra le sue braccia mi sentivo protetta, a casa. Era fottutamente perfetto, lì con me.
Lo presi per mano e lo portai in camera mia, ci sedemmo entrambi sul letto, vicini, in silenzio.
Cercavo di organizzare un discorso, ma avevo la gola secca e bloccata, il cervello in stand-by.
-Mel- interruppe lo strano silenzio che s’era creato. Mai adorai il mio nome come in quel momento, suonava così speciale.

Sentì una sensazione di calore pervadermi, gli occhi mi si fecero umidi per l’emozione.

-Ti ho preso di sorpresa eh?- ridacchiò, facendomi incantare. –Cosa ne pensi?-
Sbattei le ciglia e cercai qualche aggettivo adatto per descriverlo, non trovandone.

-Tu sei musica- sussurrai guardandolo negli occhi, mentre il suo viso si apriva in un sorriso innamorato.

-E tu sei meravigliosa oggi- disse avvicinandosi a me, circondandomi la vita con le braccia e posando la sua testa sulla mia spalla. Possibile morire d’amore?
-Sembri un’illusione- sussurrai.
Si scostò leggermente e mi fissò serio.
-Sono qua, al tuo fianco- mormorò caldo, rabbrividì.
-Sei bello, troppo. È normale domandarsi se esisti veramente, sai? Tanta perfezione in una persona non è ammessa. Tu, tu sei l’eccezione alla regola Bill-

Le sue guance si colorarono di rosso, la bocca si arricciò imbarazzata.
-E sei anche adorabile, sai? Dio quanto mi sei mancato?- dissi sprofondando sulla sua maglietta, sentendo chiaramente i battiti veloci del suo cuore sulla mia pelle. 

Rimasi così per non so quanti minuti, galleggiando sul suo profumo e respirando di lui.

-Quando potrò sentirti cantare?- mormorai piano, temendo di spezzare l’atmosfera creata.
-Presto.. devo fare esercizi per la voce, ma il dottore mi ha assicurato tornerà tutto come prima- disse con una nota di pura felicità.
-Te l’avevo detto no? Vedi, è andato tutto bene- sorrisi.
-Per fortuna, mi manca così tanto cantare-
-E io voglio sentirti presto, prima di subito- affermai, facendolo ridere.
-Come siamo impazienti!-
-..Sì. Sono troppo curiosa, è normale, no?- domandai retorica.
-Non dovrai aspettare troppo a lungo, non ti preoccupare- mi rassicurò. –Ora dimmi, che hai fatto mentre non c’ero?-
-Oltre a pensarti ogni minuto? Scuola, terapie,  tempo con Julia- risposi. –Tu?-
-Visita e poi sono stato un po’ con la mia famiglia ed Andreas, ha detto che è felice per noi- disse piano.
-Oh- arrossì, senza un perché.
Bill si tirò su a sedere sul letto, si mise a gambe incrociate e, dopo aver preso delicatamente la mia testa fra le sue mani, la poggiò sulle gambe, tutto questo mentre lo guardavo incantata.
-Bill Kaulitz, non guardarmi con quegli occhi o rischio di fondermi, sai? Morte per autocombustione- confessai.
Sbattè le ciglia nere e tornò a scrutarmi con quei pozzi nocciola.
-Mi piace specchiarmi nei tuoi occhi, vedo riflesso qualcosa di.. non so come spiegarlo, i tuoi occhi mi riflettono come se fossi la cosa più bella del mondo Mel- sussurrò.
-Perché è quello che sei, per me- sorrisi.
Non servirono altre parole, il ritmo dei nostri cuori in sintonia parlava per noi.

La sua mano si muoveva lenta percorrendo il mio viso, con estrema dolcezza, quasi ad aver paura potessi frantumarmi sotto il suo lieve tocco.

-Posso chiederti una cosa?- domandò. Annuì. –E’ una mia curiosità, ce l’ho dal primo giorno però volevo chiedertelo ‘a voce’. Qual è il tuo nome per intero?-  chiese.

Arricciai il naso, un poco in imbarazzo. Quasi nessuno sapeva il mio vero nome, tranne i dottori che lo leggevano nelle cartelle cliniche. Non che non mi piacesse, solamente lo trovavo un po’ particolare.

-E’ un nome strano, l’hanno pur sempre scelto i miei genitori, due attori di teatro- dissi, lui mi seguiva attento.
-Oggi è inteso come dea della tragedia. Beh..- presi un respiro.
-Mi chiamo Melpomene, nella mitologia greca era la musa del canto e dell'armonia musicale- confessai.
-Melpomene- ripetè. Le mie guance si imporporarono, detto da lui acquisiva musicalità e dolcezza, incredibile.
-E’ perfetto per te, mi piace. È unico, come te. E sai un’altra cosa? Sai perché è perfetto?- domandò.
Scossi la testa.
-Tu sei la mia musa-




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Capitolo 14
*** Capitolo XIV (E) ***


(c)

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CAPITOLO XIV (E) 

-Tu sei la mia musa-

Dopo questa affermazione altre parole potevano risultare solamente banali e superflue, cosa potevo rispondere? Era la cosa più bella che mi avessero mai detto, la più sincera e la più sentita. Poggiai la mia testa sul suo petto e mi lasciai avvolgere dalla fragranza che tanto amavo, mi sentivo perfettamente a mio agio con lui.

Due parole scivolavano dal cuore e giungevano fino alla punta della lingua, dove venivano bruscamente fermate dalla mia razionalità: ti amo. Ero una contrapposizione vivente: sapevo di non dovergliele dire, mi ero autoimposta di non farlo, ma a volte lo stimolo veniva automatico. Ho sempre avuto un’idea tutta mia dell’amore, un’idea contorta e assurda, nata grazie ai libri che leggevo, quelli che ti mostrano una realtà dura e spesso avversa, la quale però alla fine si piega al sentimento dei protagonisti, terminando così con un consueto “e vissero per sempre felici e contenti”. Ecco, ciò a Bill e me non poteva succedere, quindi confessare quelle cinque lettere sarebbe potuto sembrare una bugia, una presa in giro; mi chiedevo come fosse possibile provare ciò, ci conoscevamo da così poco, però già credevo d’essere in qualche modo assurdo e masochista destinata a lui. Nonostante ciò imprigionavo quelle due parole in un angolo remoto della mia mente, soffocandole perché non uscissero involontariamente. Sospirai, perché doveva essere tutto così complicato?

-Vado a cambiarmi okay? Ci vediamo fra mezz’ora- disse discostandosi da me e alzandosi.
-Va bene- mugugnai io, cercando di trattenere l’effetto che aveva su di me lui.
-A dopo Mel- sorrise, uscendo.
Mi passai le mani sul viso, per riprendere il contatto con il mio corpo, ancora sotto effetto della presenza di Bill.
-Mel, riprenditi. Respira lentamente e calmati- dissi a me stessa, dando un’altra occhiata allo specchio e passandoci davanti soddisfatta. Non trovando nulla da fare, scesi giù e mi sedetti sulla panchina di fronte all’entrata.
-Guarda chi si vede, non mi sei mancata per niente ragazza!- presi paura sentendo questa voce venire da dietro di me, la riconobbi subito come quella di Tom.
-Neanche tu Kaulitz- risposi a tono, mentre il chitarrista si accomodava tranquillamente al mio fianco.
Mi girai verso di lui e dovetti trattenere una risata, era strano vederlo con addosso vestiti della sua taglia!
-Lo so che vuoi ridere, non provarci! Bill mi ha obbligato a vestirmi così!- sbuffò scocciato.
Lo squadrai meglio, aveva un semplice paio di jeans che facevano capire quanto magro fosse anche lui, indossava poi una camicia bianca leggermente aperta sul davanti, stretta. Aveva abbandonato fascia e cappello e copriva gli occhi con un semplice paio di occhiali da sole neri.
-Guarda che stai bene così, dovresti adottare questo look! Sembri quasi.. bello- sorrisi, tutti e due i Kaulitz erano bellissimi, di una bellezza a dir poco impressionante.
-Io sono bello sempre, tu sei troppo impegnata a guardare l’altro gemello per accorgertene- rispose con sufficienza.
-Sei troppo modesto Tom, ma davvero guarda!- ridacchiai prendendolo in giro.
-Lo so! Allora, Bill non mi ha detto nulla, mi ha solamente cacciato dalla stanza per prepararsi! Dimmi un po’, scommetto che sentirlo parlare ti ha fatto venir voglia di..- lo interruppi.
-Non dire quello che stai per dire, sei un pervertito! E Bill è stupendo- sorrisi innamorata.
-Risparmia gli occhi a cuore, per favore! Mi bastano quelli del mio gemellino, l’hai fatto andare su un altro pianeta! Complimenti, non ci era mai riuscito nessuno- esclamò, facendomi arrossire.
-Aspetta un secondo Kaulitz, la mia amica mi sta chiamando- dissi sentendo il cellulare vibrare nella borsa, stavolta avevo guardato chi chiamava.
-Mel! Ho finito con il gruppo, per fortuna! Fra quanto scendo? Oddio sono emozionatissima, non vedo l’ora di vedere i gemelli dal vivo! Cioè, li ho visti da lontano ma non bene! Scommetto potrei rimanerci secca, soprattutto Tom è un gran figo! Con quel piercing.. oddio scusa sto parlando troppo!- concluse dopo un minuto filato, aveva respirato?

Vidi il ragazzo sogghignare, avendo origliato la conversazione, lo fulminai.
-Ehm, io sono già scesa, mi raggiungi fra cinque minuti? Cerca di non morire prima però-
-Simpatica! Mi sistemo e arrivo- mise giù il telefono e mi girai verso il rasta, con un sorriso sornione stampato in viso.
-Così.. la tua amica va pazza per il qui presente sostituto del sole- scoppiai a ridere sentendo il soprannome, qualcosa mi diceva se l’era dato da solo.
-Lei va pazza per tutti e quattro, non farti illusioni!- feci crollare tutti i castelli con questa semplice frase, la sua espressione si fece ridicolamente mogia. Non avevo detto proprio la verità, infatti Julia adorava quel ragazzo, chissà per quale strano motivo poi!
-E Bill invece, quando scende?- mormorai, avevo troppa voglia di stare con lui.
Tirò fuori il cellulare e mi mostrò il messaggio che gli aveva appena spedito, stava scendendo.
-Eccomi!- esclamò qualcuno uscendo dalla clinica e raggiungendoci, il mio ragazzo.
Lo squadrai per bene: indossava una semplice t-shirt azzurra – adoravo quando si vestiva di quel colore!- e un paio di jeans né stretti né larghi. Anche lui portava occhiali da sole e aveva legato i capelli in una coda bassa.
-Ciao Bill- mi alzai e andai ad abbracciarlo.
-Mel, Tom- ricambiò. –Julia?-
-Eccola- risposi, vedendola arrivare, con passo incerto e imbarazzato.
 I ragazzi la scrutarono e il chitarrista, dopo averla sottoposta a radiografia completa, ghignò maliziosamente.
-Beh, penso tu conosca già ‘sti due-  ridacchiai di fronte alla sua espressione basita.
-Piacere, io sono Tom Kaulitz- annunciò porgendole la mano con fare da seduttore.
-J-Julia Hosen- balbettò stringendola, terribilmente in soggezione.
-E io sono Bill- si presentò il mio ragazzo, con quel sorriso capace di sciogliere anche la pietra più dura.
Spalancò la bocca, non si aspettava di sentirlo parlare.
-Già, posso parlare- si spiegò.
-Aspettate un secondo, torno subito- dissi ai gemelli prendendo la mia amica da parte.
-Julia, respira!- esclamai vedendola quasi in apnea.
-Sono così.. cazzo!- borbottò.
-Ti capisco, fanno un bell’effetto insieme eh? Tolgono il fiato, vedrai ti ci abituerai- la rassicurai.
-Lo spero! Ma.. quando aspettavi di dirmi che gli era tornata la voce? Non ero psicologicamente pronta..-
-L’ho saputo poco fa.. è arrivato in camera e beh, non hai idea di come ci sia rimasta io!- dissi.
-Posso capire! Beh andiamo, altrimenti pensano ci abbiano rapite!- esclamò prendendomi a braccetto e trascinandomi verso la vettura del rasta, la sua amata Cadillac. I gemelli si erano già posizionati nei sedili anteriori.

Salimmo silenziose in macchina.

-Allora, dove si va?- domandai.
-Cinema, vi va bene? Avevamo pensato di vedere una commedia,non c’era altro- scosse le spalle il resta.
-Benissimo!- esordimmo in coro. Era da anni che non andavo al cinema!

Il viaggio in macchina fu breve, di sottofondo i battibecchi fra i ragazzi, uno voleva mettere Samy Deluxe, l’altro Nena.

-Ecco, siamo arrivati!- annunciò il rasta fermandosi davanti all’entrata di un grande cinema.
-Come mai non c’è nessun’altra macchina?- domandai stranita.
-Diciamo che, per precauzione, abbiamo prenotato tutto il cinema- rispose il minore sorridendo.
-Ma vi sarà costato moltissimo, siete fuori di testa?- esclamai io, anche Julia annuì.
-Nessun problema, almeno così siamo sicuri di non aver problemi con le fan e possiamo stare tranquilli- spiegarono.
Entrammo silenziosamente e fummo accolti direttamente dal padrone del cinema, che ci portò in sala.

Io mi sedetti fra Bill e Julia, Tom di fianco alla mia amica.

Iniziò il film, seguì la prima ora poi però mi persi osservando il profilo del mio ragazzo, il quale aveva gli occhi attenti alle immagini, mentre la sua mano stringeva dolcemente la mia. Lui era mille volte più interessante di qualsiasi altro schermo, avrei passato tempo indeterminato a guardare la sua figura, scoprendo sempre qualche dettaglio nuovo.

Qualche sedia più in alto gli altri due ridacchiavano per qualche sconosciuto motivo.
-Mel, ci sei? È finito- disse Bill, sventolando una mano davanti al mio viso, ridacchiando per la mia immobilità.
-Si si, ci sono- mormorai scuotendo la testa, -Ora che si fa?-
-Sono quasi le sette, direi di andare a cena, no? Chiamate l’ospedale e avvertite- suggerì Tom.
-Perfetto!- annuì Julia allegra, tutta l’ansia di prima si era già sciolta!

Così chiamammo, informando saremmo tornati più tardi.

-Dove si va?- chiesi. I gemelli si guardarono e si lanciarono uno sguardo di intesa.
-PIZZA!- esclamò la mora. La guardai stranita.
-Cioè, insomma.. ho visto un’intervista in cui avete detto di adorare la pizza quindi..- balbettò imbarazzata gesticolando velocemente, facendo scoppiare a ridere i due.
-Amiamo la pizza!- esordirono in coro, telepatia gemellare!
-Pizza sia- confermai io, così mezz’ora dopo arrivammo in un ristorante fuori città, con pochissima gente.
-Avevate già programmato tutto vero? È impossibile la sala sia completamente vuota!- commentai.
Si scambiarono un'altra occhiata complice, -In effetti.. sì!-
-Come mai non abbiamo incontrato nessuna vostra fan in giro? È strano!- interruppe Julia.
-Vedi..- iniziò Tom.
-Abbiamo elaborato un piano perfetto affinché ci fossero meno fan possibili in giro- assentì l’altro.
-Già! Oggi hanno mandato la registrazione di un nostro concerto e varie interviste sul canale musicale-
-Quindi, in questo modo, ci siamo assicurati che le ragazze stessero a casa e non in giro per Colonia- finì Bill sorridendo fiero del piano.
-Voi due siete diabolici!- rise Julia.
-Non volevamo impacci, volevamo passare una giornata piacevole!- esclamò il mio ragazzo.
-Ed è stata una bellissima giornata- intervenni io allegra.
-Eh, non capita tutti i giorni di passare un pomeriggio con questi due pezzi di fighi!- convenne Tom, beccandosi una gomitata dalla mia amica, intraprendente la ragazza! Però fui felice di vedere come s’era integrata, aveva un’espressione talmente entusiasta che contagiava anche me, si meritava di passare del tempo con i suoi idoli.
-Ma sei violenta, non vorrai fare del male al tuo chitarrista preferito?- domandò ironico, alzando un sopracciglio.
-Cosa? Hai visto Saul Hudson in giro?- fece ironica, riferendosi a un chitarrista che non era il Kaulitz.
-Credi di essere simpatica? Non lo sei- esclamò Tom infastidito, facendoci ridere.
-Oh dai, un po’ di ironia non fa male- sorrise Bill.
-Scusate, volete ordinare?- ci interruppe un cameriere per prendere le ordinazioni.
-Io vorrei una pizza con le patatine- incominciai io, notando lo sguardo compassionevole dell’uomo, fermatosi troppo sulla mia figura.
-Anche io- dissero gli altri tre in coro, scoppiando a ridere subito dopo.
-Va bene, se volete altro chiamate- si congedò.
-Allora, Julia..- iniziò il mio ragazzo, -Qual è la tua canzone preferita?- domandò curioso.
-Le adoro tutte sinceramente- balbettò imbarazzata, perdendo tutta la spavalderia di prima, -però, se proprio devo scegliere, direi Ich bin da- affermò.

-Perché?- chiese Tom.

-Non so spiegarlo, è quella che mi ha colpito di più, tanto dolce e bella! Stai aprendo i tuoi occhi, tutto è come prima. Non voglio disturbare e non voglio rimanere a lungo, sono qua solo per dirti: io sono qua, se tu vuoi, guardati intorno e potrai vedermi. Capite? Questa canzone riusciva e riesce a non farmi sentire sola- sorrise.
-E’ quello lo scopo, ricordare che non si è mai soli, c’è sempre qualcuno al tuo fianco, basta volerlo capire- annuì Bill.

Un po’ mi sentivo estranea al loro discorso, non conoscevo quella canzone, non ne conoscevo nessuna.
-Oh, cambiamo argomento, non voglio svelarti tutte le nostre canzoni prima che le ascolti- intervenne il cantante, dolce.
-Allora, di che parliamo?- chiese Tom.
-Allora, avete qualche hobby particolare o nascosto ragazzi?- esordì Julia, curiosa.
-Il mio unico hobby è..- il chitarrista lasciò la frase in sospeso, ammiccando.
-Fai schifo! Tu Bill, vero che sei diverso?- disse speranzosa.
-Beh, non ho hobby particolari- scosse le spalle, -Non ho molto tempo libero di solito, e quando ce l’ho lo passo dormendo oppure scrivendo. Insomma, sono una persona piena di interessi- ridacchiò. –Tu invece Julia?-
-Mi piace la moda, quindi mi tengo sempre aggiornata sulle nuove tendenze e cose del genere, quando uscirò da qua so già che lavora fare, vero Mel?- si girò verso di me e io annuì allegra, -Sicuramente lei diventerà un’autrice di successo, mentre io sarò la sua stilista personale- sorrise.
-Io non mi farei mai vestire da lei- affermò Tom, prendendola in giro.
-Smettila di fare lo spiritoso tu stavolta, non lo sei credimi!- ribatté piccata.
-Mel, tu invece che hobby hai?- sviò il rasta.
-Mh, scrivo anche io. Oltre a questo.. mi piacciono i fiori- rivelai in imbarazzo, era una passione nata recentemente e abbandonata per un periodo, l’avevo accennata solo una volta al moro, uno dei tanti pomeriggi insieme.
-Me l’avevi accennato- ricordò infatti lui.
-In che senso i fiori?- domandò il biondo inarcando un sopracciglio.
-I fiori, il loro linguaggio, è interessante. Per esempio, Bill hai presente i fiori che ho in camera?- annuì.
-Sono Convallaria majalis e Cyclamen, rispettivamente mughetto e ciclamino. Nei linguaggio dei fiori significano “ritorno della felicità” e “timida speranza”. Lo trovo molto affascinante, si possono dire tante cose attraverso i fiori- spiegai.
-Figo!- commentò Julia. –Un giorno mi insegnerai qualcosa.. però adesso mangiamo!- disse guardando con occhi famelici la pizza che le stavano porgendo davanti. Ridemmo.

-Buon appetito!-

Visti dall’esterno potevano sembrare quattro semplici amici che si ritrovano una sera per mangiare qualcosa insieme, non due personaggi famosi e due normali ragazze con qualche problema di salute in più.

L’atmosfera era rilassata, allegra. Da quando non passavo una serata così? Da prima che entrassi in clinica ovviamente, da quando ero solamente una normale adolescente che usciva coi compagni di classe.
-Oh, Mel? Ti sei incantata? È da un minuto che ti chiamo!- esclamò la mora sventolandomi una mano davanti, scossi la testa e annuì imbarazzata, ancora una volta mi ero persa nei miei pensieri.
-Beh, si è fatto tardi, andiamo?- rispondemmo positivamente alla domanda del rasta, salendo in macchina.
-Grazie per la bellissima giornata. Ora ho un sogno in meno da realizzare- mormorò Julia, una volta tornati alla clinica.
-Se vuoi realizzare un altro sogno, basta che mi chiami- convenne Tom, prendendole il cellulare di mano e salvando velocemente il suo numero, con fare malizioso.
-Va bene Kaulitz- l’altro annuì convinto, -Appena avrò voglia di picchiare qualcuno so chi chiamare- ghignò, mentre l’espressione del chitarrista si trasformò dal malizioso al seccato.
-Sh, non cominciate di nuovo!- li bloccò Bill, prima che cominciassero a prendersi a parole.
-Buonanotte Tom- salutai io, sorridendo.
-Notte a tutti, io mi ritiro- affermò, tornando verso l’auto per dirigersi all’albergo.
-Anche io, ci vediamo domani Mel- si congedò anche l’altra ragazza.
-E così rimaniamo solo noi due, saliamo?- domandò il cantante, annuì.

Entrammo in camera sua e mi sedetti sopra al suo letto.

-Allora, divertita?-
-Si, tanto.. è stata una bellissima giornata, grazie a te- arrossì.
-Vieni qui- disse, indicandomi il posto affianco a lui, lo raggiunsi e lo abbraccia dolcemente.

Tirò il cassetto e ne estrasse un piccolo pacco regalo, porgendomelo.
-Ma che..?- mormorai.
-E’ un regalo per te- mi sorrise. Cominciai a scartarlo lentamente, una volta tolta la carta si rivelò il contenuto: un ipod.
-Ci sono tutte le nostre canzoni, tranne Heilig.. quella voglio cantartela io, il prima possibile- spiegò accarezzandomi un braccio.
-Io.. non so che dire. Grazie, le ascolterò tutte!- promisi.
-Spero ti piacciano- disse leggermente in imbarazzo.
-Sono sicura siano bellissime!- lo guardai negli occhi, così vicini ai miei. Sentivo le sue lunghe ciglia accarezzarmi il viso, il suo fiato sulla fronte.

Annullò la distanza appoggiando le sue labbra sulle mie, senza fretta. Dischiusi le labbra e mi abbandonai completamente al suo tocco, al suo sapore. Era così bello, sarei potuta morire fra le sue braccia senza sentire dolore.
-Buonanotte principessa- sussurrò dopo essersi staccato, sorridendomi.
-Notte superstar- ricambiai io, dandogli un piccolo bacio in fronte.
-A domani..-

Uscì con aria trasognata, raggiungendo velocemente la mia camera. Nel giro di pochi minuti mi ero struccata, messa il pigiama, posizionata sotto le coperte e infilate le cuffie nelle orecchie.
Guardai l’elenco della canzoni, selezionando l’album “Zimmer 483

E poi, furono solo brividi e emozioni.

Le canzoni che più mi colpirono furono Wir sterben niemals aus, Vergessene Kinder, Spring nicht e Ich bin da.

Presi la mia agenda e annotai le prime cose che mi vennero in mente.

Wir sterben niemals aus:
restiamo sempre, ci urliamo nell'infinito. Io grido quasi sempre
quando da qualche parte resta qualcosa. Noi sentiamo, non siamo pronti per la fine.
non moriremo mai, ci portiamo fino a tutti tempi
E mi chiedo se Bill legga nel pensiero, come faccia a scrivere
canzoni che mi capiscano meglio di me. Così.. su misura.
Almeno, io ero pronta per la morte, è da tre anni che l’aspetto.
Poi Lui entra nella mia vita e cambia tutto, è diventata un appiglio
che non voglio abbandonare. Io, se vado avanti, lo farò solo per lui”

Vergessene Kinder:
Nessuno è da incolpare, il tempo non guarisce.
Fu la prima volta che piansi per una canzone.
Questa, è dannatamente perfetta. La voce di Bill, è perfetta.
Sembra accarezzarti ad ogni parola, ti si conficca nel cuore e diventa un
tutt’uno con esso. Colpisce, rapisce, ammalia, incanta.
Tutto dovrebbe andare in un altro modo.”

Spring nicht:
Non saltare, e se tutto questo non ti porterà indietro, allora salterò io per te.
Questa è la canzone che ha salvato Julia, e ora che l’ho sentita,
penso abbia salvato tante altre ragazze.
Ora che l’ho sentita, un po’ ha salvato anche me.
Ora capisco perché sono così amati dalle fan, basta una canzone
per riportare la speranza e far brillare quella scintilla vitale che,
piano piano, questo mondo opaco fa spegnere.
.. I Tokio Hotel hanno la capacità di ridare vita.

Ich bin da:
Nessuno sa cosa provi, nessuno qua che ti capisce. I giorni erano scuri e soli,
stai scrivendo aiuto ‘Aiuto’ con il tuo sangue, benché ti ferisca più e più volte.
Stai aprendo i tuoi occhi. Tutto è come prima.
Questa canzone è dolcezza, speranza, amore, fiducia, tenerezza.
Questa canzone è meraviglia, splendore.
Ho ascoltato questa traccia con gli occhi chiusi e la bocca socchiusa.
Ho ascoltato questa traccia lasciando che le parole mi cullassero.
Ho ascoltato questa traccia e non mi sono sentita sola.
Al tuo fianco, per un momento. Non sei sola”

Rimasi sveglia quasi tutta la notte, non riuscivo a fermare la musica, non volevo fermarla. Ogni pezzo era una scoperta, con ogni melodia scoprivo qualcosa in più sulla vita dei ragazzi, con ogni pezzo scoprivo qualcosa su me stessa, sul mondo. La voce di Bill era magia, dolce ma energetica allo stesso tempo, sincera e dura.

Cominciavo a capire tutto l’affetto per questa band.
Una volta che ti colpiscono, non ti lasciano più. Ti scelgono e si fanno amare. Ti capiscono e ti salvano.

“troppo amore per la musica,troppi confini..
 così tanti pensieri, e non dovrebbe finire.
Non penso che finirà presto
Quel ragazzo è una sorpresa, sa farsi adorare ogni giorno di più.
Bill, anche se non te lo dirò mai, io ti amo più di ieri ma meno di domani.
E continuo a sospirare, innamorata.
Domani gli dirò grazie, magari non capirà perché,
l’importante è che lo sappia io.
Grazie, se ho forza di affrontare la vita lo devo a te

. . . .
. . . .
. . . .
. . . .

* * * * *

. . . .
. . . .
. . . .
. . . .

NdA: Allora, sì sono sparita di nuovo! Ho avuto problemi con la linea internet e altri vari casini, ma ora eccomi :) niente scuola per me oggi, sono stata poco bene così ho trovato il tempo per postare. Ci tengo a spendere quattro parole per questo capitolo, c'è tanto di me, penso si capisca, soprattutto nell'ultima parte! Chissà, magari vi rispecchiate un po' nelle mie parole. Che altro? Questa storia ha sempre meno recensioni c.c lo so, è soprattutto colpa mia e dei miei immensi ritardi D: però ci terrei a ricevere qualche commento, per sapere se vale la pena continuare, anche perchè tengo molto a questa fanfiction!
Detto questo, a presto!
unleashedliebe

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Capitolo 15
*** Capitolo XV (N) ***


Ehm, della serie.. 'a volte ritornano'
Non mi sono scordata di voi, ho un sacco di cose da fare. Ora sono qui, questo capitolo è un po' di passaggio, per prepararvi al prossimo che è lungo qualcosa come 13 pagine, più di 8000 parole. (un mattone LOL)
Chiedo scusa se ci sono errori, non l'ho riletto!
Che altro? La settimana prossima vado in Germania, okay non vi interessa, ma sono troppo contenta *^*
Mh, ho scritto una OS, -momentaneocambiodifandom- e mi farebbe piacere se qualcuno la leggesse, nonostante non sia sui quattro crucchi :)
E' questa: Pieces
Spero perdonerete il mio ritardo, aspetto qualche recensione çç
Un bacio!
Anna

(c)

Capitolo XV (N)

Un lieve bussare alla porta mi riportò alla realtà, ero ancora parecchio insonnolita in quanto la notte l’avevo passata sveglia, per sentire tutte le canzoni nell’ipod.
-Avanti- mugugnai, strofinandomi gli occhi con le mani, per svegliarmi.

Sorrisi istantaneamente vedendo chi era l’ospite, Bill. Quella mattina, come sempre, era bellissimo; ogni giorno che passava secondo me diventava ancora più splendido. Com’era possibile?
-Buongiorno dormigliona!- salutò allegro, raggiungendo il letto.
-Dormigliona?- domandai confusa, mi indicò la sveglia: segnava mezzogiorno e un quarto, spalancai gli occhi.
-Oddio, non mi sono resa conto fosse così tardi! Stanotte ho fatte le ore piccole- mi giustificai.
-Come mai?- fece interrogativo.
-Volevo ascoltare tutte le canzoni che mi hai dato- mormorai imbarazzata.
-Oh..- disse piano, in leggero imbarazzo. –Allora.. che ne pensi?- domandò cauto.
-Bill sono..  una meglio dell’altra! Non riuscivo a spegnere, volevo sentirle tutte! Non so come descrivere, mi hanno fatto provare tante emozioni, e mi chiedo come possano delle semplici melodie farmi provare tenerezza, tristezza, energia insieme! Siete semplicemente bravissimi. Da oggi avete una fan in più- affermai con tono entusiasta, arrossendo subito dopo per  il monologo.

Le guance del cantante si colorarono leggermente, il quale abbassò il viso, senza però nascondere un sorriso orgoglioso e amorevole.
-Sono.. oddio temevo non ti potessero piacere e questa prospettiva mi spaventava, non poco! Sono contento ti piacciano, davvero tanto- disse.
-Ero sicura mi sarebbero piaciute, insomma i testi sono stati tutti scritti da te! Non poteva essere altrimenti, inoltre una persona come te non può che avere una voce magnifica- affermai.
-Un giorno voglio sentirti cantare- disse deciso.
-Oh no, quel giorno non arriverà mai- ribattei, mi vergognavo troppo! –Non sono intonata- aggiunsi.
-Non ci credo, tu sei una donna piena di talenti: sai scrivere, conosci il linguaggio dei fiori, suoni il pianoforte, saprai anche cantare! Poi non posso giudicare se non ti ho mai sentita!- insistette.
-No, mai. Piuttosto, quando sentirò io te?- cambiai velocemente discorso.
-Presto- sorrise, -Mentre dormivi ho fatto la prima lezione di riabilitazione per la voce, è andato tutto bene. Ho provato a cantare.. e ci riesco! Però solo una canzone, perché non posso sforzare, potrei fare ulteriori danni. Nel giro di un mese dovrebbe tornare tutto come prima- si fermò pensieroso, -magari sarà il tuo regalo di compleanno..- aggiunse pensieroso.

Feci rapidamente due conti, da quando era arrivato Bill nella mia vita avevo perso la cognizione del tempo, non badavo più al calendario, impegnata a pensare a lui. Gettai uno sguardo alla sveglia, avrei compiuto diciotto anni fra..

-Oddio Bill, ma è fra una settimana!- esclamai.
-Lo so, ho sbirciato nella cartella clinica- ridacchiò, per nulla pentito. -Festeggerai?- domandò poi.
-No- risposi diretta.
-Cosa? Perché? Diventerai maggiorenne, è un traguardo importante!-
-Ogni anno di vita in più, per me, è un traguardo. Non festeggio mai perché un party in ospedale è una cosa terribilmente triste e perché non saprei chi invitare, quest’anno ho te, gli anni scorsi ero sola. Quindi preferisco far finta sia un giorno qualunque! La differenza sarà che, probabilmente, mi raggiungerà mia madre.. se ha tempo-
-L’hai detto, quest’anno hai me Melpomene. Organizzerò qualcosa allora- sorrise.
-Se proprio ci tieni- dissi indifferente, non mi entusiasmava per niente l’idea.
-Che musona sei! Comunque, visto che ci siamo persi entrambi il pranzo, che dici se andassimo a mangiare fuori? Noi due?-

Noi due. Io e lui. Bill e Mel. Figuriamoci se, di fronte a una prospettiva del genere, avrei rifiutato!

-Per me va benissimo! Però devo prepararmi prima, dammi cinque minuti e sono pronta!- esclamai alzandomi velocemente dal letto, prendendo qualche vestito a caso e chiudendomi in bagno. Esattamente trecento secondi dopo ero preparata, indossavo un semplice paio di jeans e una camicia, occhi contornati da un lieve strato di matita nera.
-Sei bella principessa- commentò il cantante, squadrandomi. –Con il trucco i tuoi occhi risaltano ancora di più. Ti ho già detto che adoro i tuoi occhi? Mi piace specchiarmi dentro- si avvicinò, posizionandosi di fronte a me, fissandomi intensamente.
-E io adoro i tuoi. Tanto- confessai. Annullò la distanza fra noi due e s’impossessò delle mie labbra, non aspettavo altro. Adoravo il suo sapore, adoravo sentire il freddo piercing a contatto con la mia lingua, adoravo lui.
-Andiamo, altrimenti arriviamo troppo tardi- dissi io, con le guance arrossate e il fiato corto.
Scendemmo affiancati, con le mani che si sfioravano. Inconsciamente, appena giunti all’entrata, le dita si intrecciarono assieme, mi voltai verso di lui e notai mi guardava sorridendo. Ricambiai.
-Dove andiamo?- domandai curiosa.
-Un posto che mi ha indicato Tomi, lontano dieci minuti da qui. Ho pensato di andarci a piedi, visto la poca distanza e il bel tempo, ti dispiace? Sennò prendo la macchina-
-No, anzi! È da tanto che non faccio una camminata, mi farà bene poi un po’ d’aria fresca! Altrimenti mi fossilizzo in clinica, diciamo che, sono uscita di più in questo mese con te, che in tre anni da sola- ammisi.
-Allora incamminiamoci- annuì. –Posso farti qualche domanda sulle canzoni che hai sentito?- chiese, risposi affermativamente. -Quale ti è piaciuta di più?-
-E’ difficile sceglierne una, perché le trovo tutte meravigliose, come ti ho già detto. Però.. penso di essermi innamorata di By your side/An deiner Seite, è qualcosa di indecifrabile quella-
-Anche a me piace moltissimo, soprattutto live. Di solito è l’ultima della scaletta, quando scendono i coriandoli. Fa uno strano effetto, mi vengono i brividi a cantarla, soprattutto perché vedo le ragazze in lacrime. È una sensazione stranissima-

Chissà, magari un giorno anche io avrei provato quelle emozioni sulla mia pelle..

-Alla fine sei riuscito a andare avanti con il testo dell’altra canzone? Quella nuova- domandai.
-Insomma, ho cancellato tutto quello che avevo scritto e ho buttato giù solamente due righe; di solito non mi riesce difficile scrivere, questa volta sono come bloccato! Ho un’idea per questa canzone, voglio sia diversa dalle altre..-
-Cosa intendi con diversa?-
-Mh, il prossimo album deve essere più particolare, maturo! Volevo allontanarmi dallo stile di Zimmer, perciò avevo pensato alla base suonata col pianoforte- confessò.
-Pianoforte? Secondo me è una bella idea!- affermai convinta, la sua voce con sottofondo di quello strumento, sarebbe stato come immergersi nel paradiso.

-Il fatto è che, io, il pianoforte non lo so suonare- ridacchiò, -di solito Tom mi aiuta nella composizione, perché crea accordi di chitarra e riesco a trarre ispirazione da ciò. Stavolta però sono in stallo!-

Un’idea nacque nella mia testa, avrei potuto.. no, meglio di no.

-Vedrai riuscirai a finirla, ne sono certa!- non dissi ciò che pensavo, preferì censurare.
-Spero! Anche perché ho te, la mia musa- esclamò stringendomi a sé, con dolcezza.
Camminammo silenziosamente per cinque minuti, ogni tanto mi perdevo a fissare quegli occhi così espressivi, la bocca rosea e la sua mano a contatto con la mia..
-Bill, Tom ti ha detto qualcosa dell’appuntamento di ieri?- domandai dopo, spezzando il silenzio.
-Doveva?- alzò un sopracciglio.
-Non so, volevo sapere se si era divertito, anche con Julia-
-Ah, ora capisco! Con Julia!- ammiccò nella mia direzione, -Non mi ha detto nulla di importante, le sta simpatica però, perché riesce a tenergli testa e ciò non capita spesso. Diciamo che lo intriga-  disse. –Perché me lo chiedi?-
-Niente, ero curiosa. Julia pensa lo stesso. Sono fatti l’uno per l’altro!- ridacchiai.-
-Forse hai ragione, peccato mio fratello sia dannatamente cocciuto e interessato alla sua fama da “SexGott”, quindi preferisce non lasciarsi toccare dai sentimenti, lasciandosi andare solamente a storie occasionali, è il modo che ha per non soffrire- disse.
-Che intendi?-
- È il contesto in cui viviamo che ci costringe ad essere diversi rispetto a ciò che siamo veramente! Tom si è creato questa maschera apposta, non dico che non sia veramente un playboy, gli piace divertirsi, ma non è senza cuore come viene dipinto, e sono sicura tu l’abbia capito- il tono, quando parlava del fratello, era un misto fra il protettivo, l’adorante e il dolce, qualcosa di unico, perché, in fondo, Tom era tutto ciò che era Bill e tutto quello che scorreva nelle sue vene.
-Si, me ne sono accorta! All’inizio Tom si comportava duramente con me, però ho capito lo faceva solo perché ci tiene a te e vuole proteggerti- gli sorrisi.
-A volte esagera, ma è fatto così- fece l’occhiolino, -Ecco, siamo arrivati!-
Indicò un ristorante davanti a noi, molto carino e non troppo affollato. Entrammo e fummo accolti da un cameriere che ci portò al tavolo più riservato e ci lasciò i menù.
-Niente fan neanche oggi?- domandai, si era tolto gli occhiali e era tranquillo, io invece temevo potessero scoprirci.
-No, intanto tutti credono sia segregato in clinica quindi non si aspettano esca, poi mandano in onda in un intervista registrata da poco, in cui David dice che sto bene e cose del genere, quindi le fan sono incollate davanti al televisore- spiegò compiaciuto.
-Sei proprio un organizzatore perfetto eh!- ridacchiai.
-Grazie, modestamente!- rise anche lui.
Fummo interrotti dal cameriere che prese le ordinazioni per tornare poco dopo.
-Allora, tu invece con il tuo libro come sei messa?- domandò dopo aver mangiato tutto.
-Più che altro scrivo spezzoni di frasi, non posso definirlo libro, non ancora! Poi non è che sia molto bello comunque-
Mi guardò scettico, -Non dire stupidaggini, tu sei molto brava! Devi avere fiducia nelle tue capacità, devi crederci- sorrise, -Ti ricordi il foglio che mi hai dato qualche settimana fa? Sappi che sta diventando una canzone, Lass uns laufen-

Spalancai gli occhi, l’avrebbe fatto davvero? Le mie parole in un suo cd..

-Non vedo l’ora di ascoltare che uscirà!- mormorai imbarazzata.
-Sarà bellissima, l’hai scritta tu!- affermò.
-Sarà bellissima perché sarai te a cantarla- ribattei, lui scosse la testa, arrendendosi.
-Lasciamo perdere! Sappi che sarò il tuo primo lettore, voglio anche un libro autografato!- esclamò.
-Sognatelo! Poi se mai pubblicherò, non userò il mio nome!-
-Perché?-  domandò interrogativo.
-Beh, se uscirà, porterà con sé una nuova Mel, è un modo per cancellare il passato diciamo-

Lo vidi riflettere, sapevo voleva controbattere, perché dietro alla mia frase c’era di più.

Pubblicherò il libro quando sarò guarita.
Pubblicherò il libro quando inizierò una nuova vita.
Pubblicherò il libro quando questi anni saranno terminati.
Pubblicherò il libro e non sarebbe stato avvertito.

Però tacque, si limitò a lasciarmi un’occhiata triste, che ricambiai.
Rimanemmo un attimo in silenzio, non sapevo come iniziare ancora una conversazione. A salvarci da quel “nulla” fu lo squillo del mio telefono, guardai il mittente: mamma.

-Pronto?- domandai incerta, di solito quando chiamava era perché..
-Tesoro, dove sei? Sono venuta a farti una sorpresa in clinica ma non ti ho trovata! Mi hanno detto che sei uscita..- ecco, avevo indovinato. Ero nei guai.
-Ehm, sono a pranzare fuori- dissi, sapendo non si sarebbe accontentata di ciò.
-Si, fin qua ci sono arrivata! Volevo sapere.. con chi- aggiunse con tono di chi la sapeva lunga.

Oh, oh. Problemi; Bill intanto mi fissava interrogativo, mimai un “mia madre” con il labiale e spalancò gli occhi.

-Senti mamma, ora torno, ci vediamo fra dieci minuti- misi giù il telefono.
-Tu madre eh..- commentò Bill.
-Già, siamo fregati- sbuffai, non volevo che venisse sottoposto a un terzo grado.
-Non fare quella faccia, non può essere così male, suvvia!- sorrise, -Io piaccio a tutti- fece l’occhiolino, facendomi ridere.
-Poi beh, se sono riuscito a conquistare te, un osso duro, riuscirò anche con lei- aggiunse.
-Lei ti adora già, comunque- sospirai, -andiamo?- annuì.
-Mi adora già? Che intendi?- chiese una volta incamminati.
-Perfino lei ti conosceva guarda un po’! Ha detto che le piace la tua musica, e credimi questo è già fondamentale visto che è di gusti molto, ma molto difficili! Poi beh.. ha visto che da quando sei entrato nella mia vita sono cambiate parecchie cose, insomma, sono più felice, e non può che amarti anche lei per questo- mormorai abbassando la voce, vergognandomi un po’.

In risposta lui mi strinse ancor più a se, stringendomi la mano e passandomi un braccio sulla spalla.

-Allora non vedo l’ora di conoscere tua madre!- sorrise, -mi sembra che il vostro rapporto sia migliorato, mi sbaglio?-
-No, hai ragione! Riusciamo a parlare più di prima, civilmente!-
-Sono contento, è brutto non avere un buon rapporto con i propri genitori-
-Parli di tuo padre, vero?- Non aveva mai approfondito l’argomento con me, sapevo che parlare del divorzio dei suoi era ancora un argomento “tabù” perché lo faceva soffrire ancora, dopo tanti anni.
-Esatto, diciamo che.. non abbiamo un vero rapporto- si strinse nelle spalle, -Lo vedo di più fino a qualche mese fa, perché essendo minorenne doveva firmare anche lui le carte per la casa discografica, ma nulla di più, quasi un rapporto lavorativo insomma. Quando si separarono, inizialmente passava regolarmente a prendere Tom e me per portarci in giro, poi sempre più raramente. Nel frattempo crescevamo, e come puoi vedere di certo non eravamo ragazzi che possono essere etichettati come “normali”. Prova a immaginare, un mese prima ci vede identici e ordinari, torna trenta giorni dopo e mi trova truccato e tinto di nero, mentre Tom con i rasta e i vestiti larghi. La sua reazione non si è fatta attendere e non è stata piacevole, credimi. Ancora oggi sento le parole che mi disse e riescono ancora a ferire! Poi da quando sono diventato famoso è ancora peggio, è.. difficile- sospirò. –E poi tu non mi hai ancora visto “in tiro”, magari avrai la stessa reazione- strinse le spalle.

Vederlo così indifeso mi fece stringere il cuore, non si meritava quegli insulti, assolutamente no.
-Bill, hai visto me? Tu sei bellissimo, e per me lo sarai sempre, con qualsiasi cosa addosso- gli sorrisi.
-Capisco gli insulti feriscano, credimi ci sono passata! Però ti hanno reso più forte ed è anche grazie a loro se sei diventato il ragazzo splendido che sei; non è da tutti non montarsi la testa grazie alla fama, ecco, secondo me tu sei rimasto il ragazzo spontaneo e dolce di sempre, nonostante sia famoso arrossisci comunque di fronte a un complimento! E quelli che insultano è perché non sanno che dire, perché la vostra musica non può essere offesa, se l’avessero mai ascoltata col cuore probabilmente capirebbero anche loro. Si limitano però a dare giudizi superficiali, soffermandosi sull’apparenza, e ciò fa di loro degli stupidi. Magari un giorno matureranno e capiranno quanto vali, credimi, tu vali tanto-

Mi guardò e notai i suoi occhi farsi lucidi, non resistetti e lo strinsi in un goffo abbraccio.

-Grazie Mel, solamente grazie. Nonostante il mio sogno si stia realizzando io rimango sempre il solito ragazzo insicuro, e a volte ho proprio bisogno di qualcuno mi ricordi non devo essere perfetto per forza-

Sicuramente Bill Kaulitz era il ragazzo più imperfetto che esistesse, ma per me lui era l’ideale di perfezione. Lui.

-Ora basta discorsi deprimenti, siamo arrivati- disse una volta presa la via della clinica.
-Pronto a conoscere mia madre?-
-Mh, teoricamente!- ridacchiò.
-Ragazzi, finalmente! Mel tua madre mi ha detto di riferirti che ti sta aspettando in camera- ci fermò Julia appena entrati.
-Hai parlato con lei?- domandai stranita.
-Oh l’ho incontrata per il corridoio e notando la somiglianza l’ho fermata- fece l’occhiolino. –In bocca al lupo ragazzi, dopo voglio sapere tutto!- si dileguò così com’era arrivata.
-In bocca al lupo, proprio- borbottai nervosa, facendo ridere Bill.

Il tempo di prendere l’ascensore e raggiungere il mio piano e ci trovammo di fronte alla porta di camera mia.

-Sai cosa dovresti fare ora? Tirare la maniglia e aprire la porta, vuoi che ti mostro come si fa?- domandò ironico il moro, alzando un sopracciglio.
Gli rivolsi un’occhiata storta e feci come “consigliato”, trovando mia madre seduta alla scrivania; appena ci vide si alzò sorridendo, mostrando tutta la sua bellezza. Come la invidiavo..
-Salve ragazzi!- esclamò avvicinandosi e mi sorprese con un abbraccio.
-Ti vedo bene Mel- costatò dopo avermi squadrato, soddisfatta. Poi spostò il suo sguardo alla figura al mio fianco.
-Beh, tu sei il famoso Bill. Piacere-
-Piacere signora Bauer- si presentò lievemente in imbarazzo.
-Oh chiamami Mathilda, sennò mi sento vecchia!- disse allegra, spezzando la tensione.
-Allora, piacere Mathilda- sorrise.
-Beh, allora, che mi raccontate?-

Mia madre si trattenne per ben due ore, stranamente non fu spiacevole come avevo immaginato, anzi! Era la conversazione più piacevole che ebbi con lei da fin troppo tempo, e continuò anche dopo che Bill se ne andò per andare dal fratello, lasciandoci sole.
-Siete bellissimi insieme- fece.
-Mh..-
-Oh non rispondere così, è la verità! Siete innamorati!- aveva un’espressione trasognata. –Ti illumini quando sei vicina a lui, o quando semplicemente lo guardi-.
-Sono innamorata- affermai semplicemente.
-Oh si vede da un miglio di distanza piccolina mia. Ora sono curiosa però- lo sguardo divenne terribilmente e spaventosamente malizioso, -insomma..- ammiccò.
-MAMMA!- esclamai imbarazzata, -certo che no!- arrossì fino alla punta dei capelli.
-Ma è normale alla tua età! Non c’è niente di cui vergognarsi, anzi! È per questo che ho un regalo per te, non potevo dartelo quando c’era Bill- detto ciò tirò fuori dalla sua borsa un'altra borsetta contenente parecchi completi intimi.

Inutile dire quanto fossi in imbarazzo in quel momento.

-G-grazie- mormorai per cambiare discorso più velocemente possibile.
Mia madre era.. assurda!
Non che non ci avessi fatto un pensierino insomma..
-Okay vedo che non vuoi affrontare questo argomento- rise, -Allora come sono andate le ultime visite?-
Che bello, un argomento “migliore” del precedente!
Scossi le spalle. –Al solito, la situazione non cambia, non migliora né peggiora-
-Io comunque ti vedo meglio, e penso sia anche merito di Bill!-

Sorrisi, era sicuramente merito suo!

-Oh tesoro, si sono fatte le sei! È meglio che vada ora, o perdo il treno!- affermò, -Cerco di tornare presto, va bene?- annuì.
-A presto mamma- la salutai e per la prima volta fui quasi triste quando se ne andò.
Ora mi aspettava una serata da passare da sola, in quanto Bill era stato “preso in ostaggio” dal fratello.
Cenai, poi presi l’ipod e mi lasciai cullare dalla musica dei Tokio Hotel, entrata di diritto – con prepotenza – nel mio cuore.
E, come accadeva da quando Bill era entrato nella mia vita, mi addormentai col sorriso.

“Buonanotte mia dolce principessa. Sogni d’oro”

“Dolce notte anche a te, superstar”

Sarebbero stati sicuramente sogni d’oro, poiché ne era il protagonista.

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI (D) ***


NdA: Sono già qui! Yeeeah :D
Non pensavate eh? Stavolta sono stata veloce! Volevo postare prima della mia partenza per la Germania jkfwef **
Vi avevo avvertite, è moooolto lungo! Potrebbero esserci vari errori sparsi perché non ho trovato tempo per correggerlo,
ho pensato di betare tutta la storia una volta conclusa ù__ù
Mh, è molto fluff come capitolo, per questo a me piace LOL
Spero piaccia anche a voi!
Lasciate qualche recensione però, battete un colpo se ci siete!
Anna 

Ps: mi farebbe piacere se leggeste anche queste: Pieces e Not enough. :)

(c)ADL

Capitolo XVII 

Era passata già una settimana dall’uscita con Bill e dall’incontro con mia madre, da allora non ero più riuscita a vederlo spesso in quanto lui era impegnato con la riabilitazione delle voce e quando era libero toccava a me avere le terapie oppure avere lezioni; questa “lontananza” indotta era servita solamente a farmi capire quanto presa fossi dal cantante, infatti ogni cellula del mio corpo percepiva l’incessante bisogno di lui, di una sua carezza, della sua risata. Come spiegare ciò? Ah, amore.
Sbuffai scuotendo la testa, Bill Kaulitz monopolizzava i miei pensieri leggermente troppo, e quella sera non era diverso visto che dovevo recarmi da lui per passare del tempo insieme, poiché il giorno successivo non saremo riusciti a incontrarci e lui si era ricordato del mio compleanno e voleva festeggiare; non aveva più fatto parola riguardante a una festa o possibili regali e ciò non poteva che farmi piacere.
Sistemai la maglietta che avevo scelto di indossare e mi recai per un’ultima controllata in bagno, quando sentì bussare; invitai ad entrare mollando un urlo e scoprì che l’ospite era la mia amica Julia.
-Buonasera quasi maggiorenne!- salutò piazzandosi sul mio letto.
-Buonasera anche a te rompipalle- ricambiai uscendo pronta e lanciandole un’occhiata di sbieco.
-Come siamo accoglienti- sbuffò mentre io scossi le spalle; -Senti, io i prossimi due giorni non ci sono perché ho un’uscita a Colonia con il gruppo- si interruppe per fare una faccia disgustata, -E quindi non possiamo festeggiare il tuo compleanno domani, perciò ho pensato di autoinvitarmi stasera; so che hai un incontro con Bill però.. potete vedervi comunque domani sera, magari per meno tempo.. mentre con me no- si incupì.
-Julia.. non posso dar buca al mio ragazzo.. insomma..- cominciai tentennante, mentre il suo viso assumeva sempre un cipiglio più triste e gli angoli della bocca si piegavano inevitabilmente all’ingiù. Ogni parola il suo sguardo diventava più vacuo e offuscato, lo faceva apposta quella ragazza!
-Oh ma cosa te ne esci con facce del genere? Mi vuoi far sentire in colpa?- esclamai.
-N-No..- rispose piano.
Maledissi l’avere una coscienza e poca resistenza alle moine, infatti mi arresi.
-Ah bene! Avverti Bill io corro a prendere il tuo regalo!- aveva ripreso subito vita però, la presi a parolacce mentalmente e presi il telefono per chiamare il nero.
-Pronto?-
-Ehi piccola, cos’è quel tono abbattuto?- colse subito la sfumatura depressa della mia voce.
-Julia si è praticamente stanziata in camera mia quindi stasera non riesco a venire da te- sospirai.
-Oh.. possiamo rimandare a domani- disse lui, lasciandomi un po’ perplessa, sembrava poco dispiaciuto. Sentì dei rumori di sottofondo che lui coprì mettendo una mano sulla cornetta, riuscì però a percepire parlasse con qualcuno.
-Bill, ci sei? Bill?- domandai sentendomi stupida.
-Si scusa, era arrivata l’infermiera a portare gli asciugamani puliti- scusa poco plausibile.
-Mh..-
-Ora devo andare, sono parecchio stanco. Ti chiamo domani mattina- fece sbrigativo, -divertiti- e mise giù.
Rimasi a fissare il telefono sbigottita finché Julia non irruppe in camera con il fiatone, circa cinque minuti dopo.
-Scusa, ho fatto una corsa- non si vedeva, aveva solamente le guance paonazze e il respiro corto.
-Non serviva corressi così eh, come mai ci hai messo tanto?-
-Non ricordavo dove avevo messo il pacchetto- non mi guardò negli occhi. –Comunque eccolo qui!- mise davanti ai miei occhi una bellissima confezione regalo.
-E io non ricordavo d’averti chiesto di farmi un regalo- sbuffai.
-Mi pare il minimo, no?- mi guardò di sottecchi, -Insomma, sei la mia unica amica e mi dispiaceva non farti qualcosa- s’imbarazzò facendomi sorridere.
-Oh vieni qui!- allargai le braccia e mi raggiunse sul letto, abbracciandomi.
-Vedo che con il passare degli anni diventi più affettuosa- mi prese in giro.
-Ah, sto morendo dal ridere, vedi?- affermai con faccia seria e sopracciglio alzato.
-Che palla sei! Comunque, che si fa?- domandò.
-Sei tu quella che si è invitata qui, dovresti averle tu le idee, io potrei andarmene a dormire-
-Aspetta- frugò nella sua borsa. –Ho portato un film, guardiamo questo? Così si fa mezzanotte- scossi le spalle e accettai solamente dopo aver costatato non era romantico ma una commedia, almeno mi risollevavo l’umore!
Inserì il dvd e fece partire il film, io intanto vagavo con i miei pensieri.
Bill mi era sembrato strano, distante.. e la cosa m’aveva spaventato non poco, cosa nascondeva?
Perché aveva chiuso la chiamata così velocemente?
Perché aveva mentito quando avevo sentito i rumori nella stanza?
Le immagini scorrevano mentre la mia testa si riempiva di paranoie assurde.
-Mel, sento le tue rotelle girare da qua, tutto okay?- mi scoprì Julia, fissandomi negli occhi curiosa.
-Non so neanche io- scossi le spalle, -Bill staserà mi è sembrato strano, come se volesse evitarmi- la sua faccia cambiò espressione, sbigottita.
-Sarà stata una tua impressione, forse era solo stanco- mi rassicurò con voce dolce, -Non devi farti castelli solo perché si è rivelato sbrigativo, okay?- Annuì.
-Ecco, e ora aspetta..- guardò l’orologio, -undici e cinquantasei, direi che puoi aprire il regalo!- mi porse la confezione entusiasta.
La presi e scartai lentamente la carta regalo e riversai il contenuto sul letto, arrossendo.
Dovevo immaginare un regalo di questo tipo da lei, un completo intimo nero con del pizzo ai bordi, sentì le mie guance imporporarsi.
-Ma ti imbarazzi per così poco?- scoppiò a ridere.
-Piantala- farfugliai. Lo rigirai, era molto carino anche se non del mio genere.
-Dai provalo, poi ti do l’altro- mi incitò.
-Un altro? E io che non volevo spendessi soldi per me- sbuffai, arrendendomi e entrando in bagno.
Indossai mutande e reggiseno guardandomi allo specchio; facevo la mia figura in effetti, il nero contrastava con la mia pelle dal colorito cadaverico e il completo metteva in evidenza le mie forme non molto pronunciate, anche a causa della mia magrezza.
-Fatti vedere su!- mi esortò Julia, eseguì imbarazzatissima.
Uscì e mi squadro dalla testa ai piedi, contribuendo solo a peggiorare la situazione.
-Ma dove tenevi nascoste quelle tette?- ridacchiò, -Ti sta benissimo! Ora tieni quello, voglio che scarti subito l’altro regalo!-
Farfugliai qualcosa di indistinto, mi rivestì il fretta e presi l’altro pacchetto, uscito dalla borsa. Lo aprì lentamente e mi venne spontaneo sorridere guardando il contenuto: una t-shirt lunga e azzurra, con una scritta stampata in nero, la quale diceva:

“Muse of the dark Superstar”

Mi sorprese l’uso dell’articolo determinativo, però infondo era corretto, ero la “musa” del cantante dark, Bill Kaulitz.
-Julia ma è stupenda! Grazie mille! Solo tu puoi farmi un regalo del genere!- scoppiammo a ridere.
-Sono contenta ti piaccia, volevo farti qualcosa di personale- fece l’occhiolino, gettando un’altra occhiata all’orologio.
Mezzanotte.
Mi travolse in un abbraccio inaspettato, tanto da farci cadere sul materasso e scatenare un’altra ondata di riso.
-Tanti auguri Mel! Sei maggiorenne! Piccole donne crescono- fece con aria tragicamente nostalgica. 
-Grazie mille! Eh sì, come passa il tempo!- tirai fuori la lingua e sbadigliai.
-Si vede l’età eh, già sonno? Beh meglio dormire, domani ti… cioè mi aspetta una lunga giornata- si corresse e la guardai stranita, senza darci però più di tanto peso.
-Meglio, sono esausta!-
Dopo esserci messe in pigiama e coricate sotto le lenzuola mi portai le cuffie dell’ipod alle orecchie, cercando una canzone che mi facesse da ninna nanna.

Unsere Träume waren gelogen 
Und keine Träne echt. 
Sag das das nicht wahr ist, 
Sag’s mir jetzt. 
Vielleicht hörst du irgendwo, 
Mein SOS im Radio! 
Hörst du mich?
Hörst du mich nicht?

Cullata dalle dolci note e melodiosa voce di Bill in “Rette mich” chiusi gli occhi e feci trasportare nel mondo dei sogni di Morfeo.

Sentì il mio corpo riprendere leggermente contatto con la realtà, seppur fossi ancora in dormiveglia. Nella stanza percepivo del movimento e capì che Julia s’era già alzata e stava parlando piano con qualcuno di cui non capì l’identità, in quanto ancora intorpidita dal sonno.
-Adesso la sveglio- la sentì dire e poi mi sentì scuotere e chiamare.
-Mh, Julia non rompere le palle e lasciami dormire- sbuffai.
-Cosa?  Dormire ancora? È quasi mezzogiorno e fra due minuti devo partire, ero passata a salutarti.. ma se non vuoi-
Con tutte le forze che avevo in corpo lottai e riuscì a tirarmi su, cercando di focalizzare l’ambiente, la mattina ci mettevo un po’ a connettere.
Passato un minuto a fissare il vuoto lanciai uno sguardo alla sveglia e istintivamente guardai male la mia amica.
-Quasi mezzogiorno? Non sono neanche le otto!- esclamai inorridita.
-Ops, scherzetto! È per una buona causa, capirai!- fece l’occhiolino, sparendo fuori dalla porta e lasciandomi imbambolata.
-Buongiorno Prinzessin- drizzai in piedi sentendo la voce provenire dal corridoio e vedendo Bill entrare e avvicinarsi al mio letto.
Bum, bum. Il mio cuore perse un battito per poi sobbalzare sempre più veloce.
-Buongiorno..- mormorai, imbarazzata, chissà com’ero messa.. –Cosa ci fai qui?- chiesi stupita.
-E’ il mio regalo di compleanno. Vestiti e poi ti dico tutto- generalmente le sorprese non mi piacevano, ma fatte da lui.. la storia era diversa. Andai subito in bagno e indossai le prime cose che trovai, jeans e maglia tanto per cambiare, neanche cinque minuti dopo ero di nuovo in sua compagnia.
-Curiosa eh?- ridacchiò.
-Sì- mugugnai.
-Prendi una borsa e metti dentro cellulare, caricabatterie, ipod, macchina fotografica, la tua agenda.. cose così, su dobbiamo sbrigarci!-
Feci ciò che m’aveva chiesto, ancora piuttosto confusa e in attesa di spiegazioni.
-Ecco, adesso usciamo che gli altri tre dei Tokio Hotel vogliono farti gli auguri-
 Prese la mia mano e subito sentì il sangue salire sulle guance e un calore innaturale avvolgermi, come sempre la sua presenza non mi faceva restare indifferente; mi condusse nell’atrio, dove i tre mi aspettavano decisamente assonnati.
-Ragazzi, buongiorno!- salutai, -Mi dispiace che qualcuno- sottolineai l’ultima parola, -che qualcuno vi abbia costretto ad alzarvi presto solo per farmi gli auguri!-
-Figurati Mel, una volta ogni tanto possiamo fare uno strappo alla regola!- rispose Georg sporgendosi verso di me per augurarmi buon compleanno, seguito da Gustav.
-Diciotto anni eh? Vedi di andare dall’estetista il prima possibile, noto già qualche ruga attorno agli occhi- osservò ovviamente Tom.
-Ah, come siamo gentili- sbuffai.
-Dai, vieni qui piccola rompiscatole conquistatrice di fratelli altrettanto rompipalle!- mi sorprese abbracciandomi e notai che, una volta staccatosi, lasciò qualcosa dentro la mia borsa, facendo l’occhiolino.
-Questi sono i nostri regali comunque- intervenne il batterista, -Abbiamo saputo tardi del tuo compleanno, ti avremmo fatto qualcosa di meglio sennò!- aggiunse imbarazzato.
-Non dovevate fare proprio nulla invece- sbuffai, guadagnandomi una brutta occhiata da tutti.
-Okay, okay sto zitta!- risi, mentre mi porgevano due pacchetti.
Scartai il primo e ridacchiai guardando il contenuto: una maglia di un gruppo tedesco a caso, Tokio Hotel.
Il secondo conteneva una borsa a tracolla, sempre dello stesso gruppo.
-Oh che bei regali! Come facevate a sapere che mi piace questo gruppo?- domandai sorridente.
-Piacciono a tutti, soprattutto perché il chitarrista è un gran bel ragazzo!- Esclamò Tom.
-Invece mi dicono sia perché in cantante è bellissimo..- ribatté Bill.
-Io trovo siano tutti carini invece!-
Lo pensavo davvero, la band oltre ad essere formata da quattro talenti, era formata da quattro ragazzi, uno più bello dell’altro. Erano particolari, diversi tra loro ma formavano un miscuglio omogeneo quando suonavano, il mio ragazzo m’aveva più volte spiegato a quante critiche erano sottoposti ogni giorno per la parte estetica, anche quanto ciò gli desse fastidio poiché non era quello che andava valutato, bensì la musica. Soggetti a giudizi parecchio superficiali, talvolta addirittura cattivi e distruttivi.
E ciò era servito solamente a renderli più forti, delle persone migliori.
-Grazie Mel, se non ci fossi tu come faremmo io e il povero Georg?- intervenne Gustav sorridendo allegro, era di una pacatezza incredibile, posato e timido. Tuttavia era il batterista, lui dava il ritmo a tutto, era energia pura nonostante l’apparenza ingannasse.
-Figurati, è quello che penso- feci l’occhiolino.
-Si, bando alle ciance adesso! È ora di andare, vieni principessa- ci interruppe Bill porgendomi la mano e trascinandomi via da lì.
-Cos’è tutta quest’irruenza?- domandai interrogativa, stupita dalla sua frettolosità.
-Mh, abbiamo un aereo da prendere- rispose semplicemente lui, mentre io spalancavo la bocca incredula, facendolo ridere.
-Un cosa?-
-Aereo, presente quel coso grande, con un motore che lo fa volare? Due ali, ruote, eccetera?- mi prese in giro.
-Ah, come sei simpatico! Hai mangiato pane e sarcasmo stamattina per colazione?- lo ammonì.
-In realtà devo ancora fare colazione, la faremo una volta arrivati lì-
-E, tanto per sapere sai, visto che non ho valigie ne altro, lì dove sarebbe?- troppo misterioso per i miei gusti.
-Non te lo dico, è una sorpresa!- mi fece una linguaccia, -non preoccuparti per le valigie, per organizzare tutto ho chiesto il permesso a tua madre e le ha preparate lei con l’aiuto di Julia- confessò.
In quel momento desiderai essere senza bagagli, un brivido mi percorse la schiena, l’idea di mia madre e della mia amica che complottavano per scegliermi i vestiti mi spaventava e non poco, quelle due insieme erano qualcosa di pericoloso, basta pensare a i completi intimi che m’avevano regalato! Me l’avrebbero pagata, certo.
-Posso denunciarti per rapimento se non me lo dici- esclamai soddisfatta.
-Invece no, non è un rapimento in piena regola. I tuoi genitori sanno dove sei, hai il cellulare, soldi per scappare e io non ti farei mai del male. Ho parlato anche con i medici, e hanno detto che puoi venire. Non ti piace proprio l’idea di passare del tempo con me?- mormorò mentre il suo sorriso spariva trasformandosi in un delizioso broncio.
Odiavo quando faceva così, perché con quell’espressione era impossibile non cedere, era impossibile non correre da lui e consolarlo.
Chissà quanto si era allenato per riuscirci, alla fine aveva un’arma micidiale dalla sua parte.
Perché esistevano persone così perfette? Da quando lo conoscevo me l’ero domandato tante, parecchie, troppe volte. 
-Non mi piace l’idea, io amo l’idea, adoro passare tempo con te. Solamente.. sono stupita e curiosa- risposi mordendomi il braccio, mentre salivamo nella macchina guidata dal fedele Saki.
-Solitamente, come avrai capito, sono una persona parecchio logorroica che fatica a tenersi le cose per sé, ma stavolta non riuscirai ad ottenere nemmeno un indizio. Capirai dopo siamo diretti una volta arrivati, anche perché non saliremo sull’aereo di linea, ma su quello privato della band, e ho detto al guidatore di non accennare alla destinazione. Non ti preoccupare comunque, restiamo in Germania-
-Sei uno stronzo- sbuffai, mentre mi guardava offeso, -un adorabile stronzo- aggiunsi ridacchiando.
-Vieni qui piccola- prese il mio braccio e mi trascinò addosso a lui; -so che hai dormito poco stanotte, anche colpa mia. Come avrai capito ho organizzato io l’irruzione di Julia nella tua camera, per questo ti evitavo, mi spiace abbia pensato male. Perciò riposa pure-
Mi parlò con tono dolce, accompagnandosi con gesti teneri prese le mie gambe e le allungò sul sedile, mentre accarezzò la mia testa posata sulle sue cosce. L’abitacolo si riempì delle melodiose note di “In die Nacht” e, accompagnata dal movimento ritmico della sua mano sul mio viso, mi lasciai cadere addormentata.

Sentivo dei rumori vicino a me e dei movimenti, ma ero troppo intontita per identificare ciò che stava succedendo.
-Ehi piccola, siamo arrivati- il respiro di Bill mi arrivò caldo sull’orecchio, riempendomi di calore e costringendomi ad aprire gli occhi.
-Dobbiamo prendere l’aereo?- mugugnai strofinandomi gli occhi con le mani, mi sentivo parecchio intontita. Bill scoppiò a ridere e lo guardai confusa.
-Che c’è?- domandai stranita.
-Guardati meglio attorno- suggerì.
Di malavoglia mi tirai su dal sedile e sussultai notando non eravamo più in macchina, bensì in un piccolo elicottero che stava per atterrare.
-Come..?- mormorai confusa.
-Dormivi proprio profondamente e non me la sono sentito di svegliarti, così Saki mi ha aiutato e ti abbiamo portato dalla macchina direttamente qua e tu non ti sei mossa, sonno da recuperare eh? Adesso siamo quasi a terra- sorrise con affetto.
Venni colpita dalla consapevolezza di essere a parecchi metri da terra e cominciai a tremare, viaggiare ad alta quota mi spaventava sempre, avevo paura dell’altezza, nonostante mi vergognassi ad ammetterlo.
-Ehi, calmati, non c’è nulla da temere- mi rassicurò Bill intuendo il motivo del mio cambiamento d’umore e stringendomi repentinamente a sé, mi concentrai sui battiti irregolari del suo cuore e alla fine mi tranquillizzai.
L’aereo planò e finalmente i miei piedi toccarono terra. Ad aspettarci c’era l’altra guardia del corpo, Tobi.
-Le valigie sono già in auto- mi informò, -portaci all’hotel grazie- sorrise al bodyguard.
Guardai distrattamente attorno, alla ricerca di qualche indizio che mostrasse dove eravamo atterrati, peccato che la pista fosse deserta e desolata, senza alcuna indicazione.
-Smettila di squadrare il paesaggio, fra poco capirai tutto- anticipò ogni mia domanda, io sbuffai.
Salimmo nuovamente il macchina ma stavolta il viaggio fu più breve, Bill mi tenne praticamente in braccio, sempre con lo sguardo fisso sul mio. Avevo capito era una tattica per non farmi capire dove ci trovavamo, ma come diversivo mi piaceva parecchio.
-Eccoci- annunciò l’uomo.
Ci trattenemmo nella vettura ancora un po’, il tempo per far uscire le valigie e consegnarle a qualcuno a me sconosciuto, poi finalmente il cantante si decise ad aprire la porta.
Spalancai gli occhi davanti all’albergo scelto per il soggiorno. Niente di meno che il Ritz di Berlino, trasudava lusso e ricchezza da ogni parte.
Era una struttura imponente, esclusiva, per uomini d’affari e personaggi famosi. Gente esclusiva quindi.
-Tu sei pazzo. Non puoi aver prenotato una camera al Ritz- mormorai ancora stupita. Notai come mi era uscita spontaneo dire ‘una camera’ e non due..
-Non l’ho fatto- lo guardai stranita, -Ho prenotato la suite imperiale- mi sorrise angelico.
-Ma cosa? Bill ma quanto ti costa, non te lo permetto!- affermai.
-Senti, sono una persona che ama fare shopping e neanche ti immagini quanti soldi riesca a fare fuori in una giornata. Ora pensa da quanto sono in clinica, ecco.. in questo tempo non ho fatto un minimo di shopping, quindi ho risparmiato e questo mi sembra un ottimo modo per spendere i miei soldi. Per stare con te, quindi rassegnati, ormai è tutto fatto- parlò sempre con quel sorriso insopportabilmente bellissimo stampato in faccia.
-Perché sei così cocciuto Kaulitz?- sospirai sconfitta.
-Oggi compi diciotto anni, è il minimo che posso fare per la ragazza di cui sono innamorato- spiegò con una semplicità disarmante e non me la sentì di ribattere, lo guardai commossa baciandolo leggermente. Mi meritavo un ragazzo così?
-Vuoi rimanere a consumare l’hotel con lo sguardo o entriamo?-
Senza aspettare che rispondessi mi prese per mano e mi trascinò all’interno, non potei che ammirare la bellezza dell’interno, chiedendomi cosa mi dovessi aspettare dalla camera.
-Saliamo in camera, è tutto lì- salimmo in ascensore silenziosamente.
-Oh..- incalzò poi lui, -ho preso una camera soltanto, non voglio tu possa pensare male!- arrossì gesticolando velocemente, facendomi ridere, -le suite hanno sempre due letti matrimoniali e due bagni, perciò non farti idee sbagliate- farfugliò imbarazzato.
L’idea di stare nella stessa stanza con Bill per più di una notte mi piaceva parecchio e non avrei mai pensato male, perché lui non era.. Tom.
Mi fidavo di lui, tanto.
Mi fidavo di lui però, anche per fare il passo successivo? Per concedere ciò che mai avevo concesso a nessuno?
Non mi ero posta il problema (?), non erano mai capitate situazioni ambigue. La risposta a quella domanda però arrivò in fretta, contemporaneamente dal cuore e dal cervello: sì.
Perché non avrei dovuto in fondo? Lo amavo! E poi era una di quelle cose che comparivano nella lista “cose da fare prima di morire”.
-Non ti preoccupare Bill- lo tranquillizzai vedendolo terribilmente imbarazzato, faceva una tenerezza infinita.
Ricambiò sorridendo e aprì la porta della camera.
Dio mio!” fu quello che pensai come primo impatto. Era tutto.. enorme. Di fronte a noi c’era un piccolo salotto con un divano in pelle e una televisione a schermo piatto, dall’altro lato una piccola cucino con piano bar, un corridoio conduceva alle due camera, una di fronte all’altra, con accanto i bagni. La ispezionai attentamente, lasciando qualche esclamazione sorpresa di fronte al letto a baldacchino, l’armadio immenso, l’altro televisore in camera da letto, la mega vasca da bagno nella toilette, c’era perfino un pianoforte in soggiorno! Era tutto perfetto.
-Ti piace?- domandò il mio ragazzo facendomi sobbalzare, mi ero fermata in contemplazione dell’ambiente.
-Se mi piace? È.. oddio non ho parole!- il suo viso si contrasse in un’espressione soddisfatta.
-Non so che altro dire se non.. grazie Bill- lo guardai con tutto l’amore possibile e non resistetti oltre, lo baciai con foga.
Ci staccammo per la mancanza d’ossigeno, io imbarazzata lui sorpreso e divertito.
-Dovrò organizzare sorprese così se le reazioni tue saranno.. queste- strizzò l’occhio.
Le mie guance si tinsero di rosso e lui me le accarezzò con dolcezza, facendomi andare in estasi.
-E’ troppo tardi per la colazione ormai. Ordino direttamente il pranzo in camera-
Annuì incapace d’aggiungere altro.
-Ma, quando partiamo per tornare a casa allora?- domandai dopo un poco.
-Dopodomani, la mattina- mi informò. Quindi due notti da passare assieme..
-Se vuoi puoi disfare la valigia o comunque farti un bagno, tutte le cose sono di fianco all’armadio. Io ho bisogno di una rinfrescata, mi stanco sempre a viaggiare- seguì il suo consiglio e mi recai a vedere cosa avevano messo in valigia. La prima cosa che mi saltò all’occhio furono i completi intimi regalati da mia madre, il regalo di Julia l’avevo ancora addosso. C’erano varie magliette, tutte abbastanza carine, jeans stretti e un paio di leggins, avevo pensato peggio, non c’erano tacchi neanche vestiti. Sospirai di sollievo.
Prelevai un paio di jeans, la maglietta – sempre regalo della mia amica – e presi l’occorrente per fare un bel bagno. Riempì tutta la vasca e mi ci infilai lentamente all’interno, sentendo ogni fibra del mio corpo rilassarsi a contatto col tepore dell’acqua e il profumo del bagnoschiuma alla fragola. Ero in estasi. Mi strofinai lentamente, pensando a ciò che aveva fatto Bill per me, mai nessuno aveva fatto un gesto così.
Mi venne l’istinto di scrivere qualcosa, purtroppo però non avevo carta e penna dietro, perciò mi rilassai e la mia testa fu invasa da una melodia dolce al piano. Mi tornava in mente ogni tanto, l’avevo iniziata a scrivere prima di entrare in clinica, qualcosa di semplice ma bello, poi non ero più andata avanti, per lo meno non l’avevo più provata, perché capitava le note mi risuonassero in testa e ne aggiungevo altre, col tempo.
L’arrivo del cantante nella mia vita m’aveva ridato l’ispirazione.
Cominciavo a sentire freddo, segno fossi stata troppo immersa nell’acqua – e nei miei pensieri – perciò uscì e mi rivestì velocemente, uscendo dal bagno con un sorriso radioso.
Il moro era seduto sul letto che si spazzolava i capelli neri, ancora umidi. Indossava una maglia rossa e dei jeans neri. Probabilmente era anche lui soprappensiero perché non si accorse del mio arrivo e sobbalzò non appena gli presi la spazzola di mano e iniziai a passargliela io.
Lo vidi chiudere gli occhi, mentre il viso assumeva una piega angelica.
-Profumi di fragola- mugugnò sorridendo.
-E tu di menta e vaniglia- ridacchiai, posando le mie labbra sul collo e posandovi un leggero bacio.
Rimanemmo nuovamente in silenzio, non so quanto andai avanti a spazzolare, mi piaceva vedere il suo viso completamente rilassato e avvolto da quell’aurea dolce. Fummo interrotti dall’arrivo del pranzo.
Il cameriere posò due piatti di spaghetti al pomodoro accompagnati da purè e sentì l’acquolina in bocca. Anche Bill pareva affamato come me, infatti ci fiondammo entrambi sui piatti e spazzolammo tutto velocemente.
-Che buono, non so da quanto non mangiavo qualcosa di così buono..- mugugnò soddisfatto.
-Concordo, sento potrei cominciare a rotolare da un momento all’altro- concordai.
Notai che mi squadrò, prima non aveva prestato particolare attenzione al mio abbigliamento, poi si soffermò sulla maglietta.
-“Muse of the dark Superstar”- lesse trattenendo un sorriso.
-Regalo di Julia- spiegai.
-Trovo sia.. azzeccato sai? La mia musa Melpomene-
Un calore improvviso scaturì dal mio cuore e sentì il risveglio degli elefanti nel mio stomaco, altro che farfalle!
-E tu la mia superstar- lo abbracciai.
-Sei perfetta, lo sai?- sussurrò contro la mia fronte.
-Tu, forse. Insieme siamo la coppia più imperfetta che esista- soffiai sul suo collo, vedendo piccoli brividi percorrere la sua pelle.
-Non credo. Dobbiamo.. solo sistemare i nostri pezzi insieme, puoi dire tutto quello che vuoi.. ma io la vedo così, noi siamo una cosa sola, come lo yin e lo yang- mi strinse ancora più forte a sé, sentivo i nostri cuori martellare allo stesso ritmo. 
Se fosse stato per me, mai mi sarei staccata da quel contatto, anzi! Purtroppo però il telefono si mise a squillare proprio in quel momento e fummo costretti ad allontanarsi, di malavoglia.
-Io devo fare alcune commissioni, ci metterò un po’- mi informò congedandosi con un bacio.
Io andai a recuperare il cellulare, la chiamata era di mia madre.
-Pronto Mel? Tanti auguri, di nuovo! Buon compleanno piccolina, oh non sei più piccola ora! Sei maggiorenne-
-Giorno mamma! Non ti commuovere- salutai di buon umore.
-Oh, sei allegra! Deduco la sorpresa ti sia piaciuta- la sentì ridacchiare attraverso la cornetta.
-Tanto- sussurrai fra le nuvole.
-Sei proprio innamorata! E anche Bill lo è, si capisce. È un bravo ragazzo, già lo sapevo ma adesso che ho confabulato con lui per organizzare la tua sorpresa posso solo riconfermare i miei pensieri-
-E’.. Bill è semplicemente perfetto- sorrisi, anche se non poteva vedermi.
-Allora dimmi, tutto bene fino ad ora?-
-Di più, tutto benissimo! Penso il mio cuore scoppierà d’amore prima o poi, lui è così dolce.. mi chiedo come può esistere una persona del genere!-
-Esiste e tu ne hai la prova, e sei fortunata perché l’hai incontrato, tienilo stretto, nonostante tutto!- mi ammonì.
-Si, si..- lasciai cadere il discorso.
-Ora ti lascio, poi voglio sapere tutto del viaggio eh!- disse allusiva.
-E quel tono cos’è?- imbarazzo, tanto imbarazzo.
-Nulla!- ridacchiò buttando giù il telefono.
Era impazzita, si comportava come una ragazzina! Però ero contenta di aver recuperato una parte del rapporto che avevo con lei.
Altra cosa per cui ringraziare Bill.
Ecco, ora che era uscito senza dirmi dove si recava mi trovavo libera e senza sapere cosa fare. Gironzolai un po’ e mi soffermai sul pianoforte; era una tentazione vederlo lì, da quanto non accarezzavo quei tasti d’avorio? Da quanto non mi lasciavo cullare dalla musica che usciva dalle mie stesse dita leggere? Come in trance mi sedetti sullo sgabello e, chiudendo gli occhi, iniziai a suonare melodie casuali.
Non so per quanto andai avanti, mi fermai quando le mie mani cominciarono a suonare le note che avevo in testa da un po’ autonomamente, mi concentrai e cercai di mettere insieme una composizione decente. Non fu difficile, tutto usciva da sé, senza pensare, dal cuore.
Tre minuti e cinquanta secondi dopo quelle note che da un po’ aleggiavano nella mia mente erano state trascritte nel libretto con i pentagrammi che portavo sempre dietro, nonostante lo aggiornassi.. molto raramente.
Soddisfatta lasciai il pianoforte a causa del mio stomaco che reclamava cibo, frugai un po’ qua e la e recuperai un pacchetto di patatine che finì in poco tempo.

Due ore dopo e Bill non era ancora tornato, mi stavo decisamente annoiando. Avevo esaurito le cose da fare, perciò optai per ascoltare un po’ di musica: presi l’ipod e, nel momento in cui l’estrassi dalla borsa, mi ricordai che Tom v’aveva infilato qualcosa la mattina. Frugai alla ricerca del pacchettino e lo estrassi con cautela, era una confezione piccola e rettangolare, scartai delicatamente dall’involucro e ne estrassi una bellissima moleskine con un elegante stilografica. La accarezzai in venerazione, era semplicemente meraviglioso! Aprì la prima pagina e notai la dedica del gemello.

Mh, appena l’ho vista ho pensato a te!
Questo è anche per chiedere nuovamente scusa (non far leggere a nessuno questo, grazie!)
per come mi sono comportato all’inizio.. mi sono ricreduto su di te,
anche perché da quando sei entrata nella vita di Bill lui non smette un attimo di sorridere,
era da tanto che non lo vedevo così felice (:
Quindi boh! Tutto qua, sai.. sì.
Mi raccomando, che questo rimanga fra noi, altrimenti posso dire addio alla mia reputazione da duro!!
Tanti auguri Mel,
TomsostitutodelsolenonchéSexGottKaulitz

Un sorriso ampio si fece spazio sul mio volto, quel ragazzo era una sorpresa continua! Lo stavo scoprendo giorno dopo giorno ed ero felice avesse ritirato la maschera da duro con me, avevo capito che oltre allo stronzo c’era una persona dolce, anche se faticava a venir fuori.
Pensai a qualcosa da scrivere per inaugurare la prima pagina bianca – seconda considerando la dedica del chitarrista.

L’anno scorso festeggiavo i miei diciassette anni.. sola.
Quest’anno è cambiato tutto.  Ho diciotto anni e non li sento.
E so di chi è la colpa, sempre sua, sempre e comunque di Bill Kaulitz.
Riesce a farmi sentire una ragazzina, un suo sorriso manda il tilt il mio
già precario sistema nervoso, fatico a elaborare frasi sensate in sua presenza.
Ma.. mi va anche bene. Sono spensierata quando sono con lui,
mi dimentico della malattia, tanto mi fa sentire bene.
Perché ha quegli occhi che mi fanno traballare l’anima,
scavano dentro, leggono. Sciolgono, parlano. Amano.
Oh ragazzo, che mi hai fatto? Mi hai ammaliata.
Grazie Bill, ti amo, sai? Sei la mia superstar. Sei..
No, non vale la pena cercare altri aggettivi per descrivere,
sarebbe inutile. Ancora da inventare qualcosa per etichettare l’effetto che hai su di me.
Afrodisiaco. Curativo. Fuoco che arde e fa sciogliere ogni atomo nel mio corpo.
Per sempre sacro.

Rimisi l’agendina in borsa e con aria trasognata andai verso il terrazzo, per ammirare il panorama, non l’avevo ancora fatto prima.
I pensieri si fossilizzarono per un istante. Davanti a me si presentava un bellissimo paesaggio, Berlino  e la vita frenetica, palazzi che si elevavano al cielo, macchine rinchiuse nel traffico. Ero affascinata da ciò, tanto che non mi accorsi della presenza del mio ragazzo finché non mi raggiunse da dietro e mi strinse la vita in un dolce abbraccio. Sospirai, mentre sentì le sue labbra poggiarsi vicino alle mie orecchie.
Sentivo il suo cuore battere sulla mia schiena, prese un respiro e cominciò a cantare una melodia a me ancora sconosciuta.

“Ich halt mich wach - für dich
Wir schaffens nicht beide - Du weisst es nicht
Ich geb mich jetzt für Dich auf
Mein letzter Wille hilft Dir raus
bevor das Meer unter mir - zerbricht
Ich glaub an Dich
Du wirst für mich  immer heilig sein“

Appena riconobbi la canzone il mio cuore prese a galoppare freneticamente, impazzito.
Una cosa era udire la sua voce attraverso delle cuffie, una cosa era percepire quella canzone cantata con tanto amore direttamente di fronte a me, ogni parola colpiva e graffiava l’anima, ogni parola lasciava una traccia indelebile su di me. Ogni singola sillaba era cantata con amore.
Mi sembrava d’essere in apnea, talmente immersa nelle emozioni che lui mi causava faticavo a ricordarmi come si respirava.

„Ich sterb - für unsere Unsterblichkeit
Meine Hand - von Anfang an
über Dir - Ich glaub an Dich
Du wirst für mich - immer heilig sein“

Cominciai a tremare mentre le parole si imprimevano come marcate a fuoco nel mio cervello e nel mio cuore. Chissà se capiva che effetto destabilizzante avesse quella canzone su di me, la sua voce su di me.

„Meine Hand - von Anfang an
über Dir - Ich glaub an Dich
Du wirst für mich - immer heilig sein“

Soffiò le ultime parole dolcemente mentre ero sopraffatta da tutte le emozioni che era riuscito a darmi in soli tre minuti di canzone.
Neanche mi ero accorta di piangere finché non sentì il sapore amaro delle lacrime sulle mie labbra e fui scossa da singhiozzi. Bill mi girò prontamente e rifugiai la testa sul suo petto, sentì chiaramente il suo cuore battere velocemente come il mio.
-Ehi, che c’è?- sussurrò dolcemente, cullandomi.
-E’.. tu.. oh! Dio, non riesco neanche a esprimere quanto..- sbuffai esasperata, esprimendomi come riuscivo.
Presi il suo viso confuso fra le mani, lo fissai negli occhi cercando di far capire cosa provavo e lo baciai dolcemente.
-Sei meraviglioso, Bill- gli accarezzai le labbra con la lingua, assaporandone il sapore.
-Devo ancora darti il regalo, sai?- mi guardò colmo d’affetto e.. felicità.
-Sei pazzo, regalo? E questo cosa sarebbe scusa?- domandai esterrefatta, indicando la camera d’hotel.
-Ti pare che per i diciotto anni non ti faccia un altro.. pensierino?- inarcò un sopracciglio.
Il tono con cui disse “pensierino” mi fece sussultare, chissà cosa intendeva lui con il diminutivo.
Cercò qualcosa dalla tasca e tirò fuori una piccola confezione accuratamente incartata, lunga, sottile e rettangolare.
-Spero ti piaccia- disse con tono timido, porgendomela insicuro. Amavo anche quel lato del suo carattere, il fatto che, nonostante tutto, non si fosse montato la testa e fosse rimasto quel ragazzo che si imbarazzava e non affrontava il mondo con strafottenza solo perché aveva i soldi.
Con le mani ancora tremanti presi in mano l’oggetto e lo scartai attentamente. Spalancai gli occhi, incredula: sulla confezione era stampato con calligrafia elegante il nome “Tiffany & Co”. La aprì e fui subito attratta da una catenina fine e raffinata d’oro bianco, poi la mia attenzione si spostò sul ciondolo, che era in realtà un anello – stile fedina. Lo presi tra le mani rigirandolo, notai poi una parola iscritta all’interno “Heilige Muse” – musa sacra. Nuovamente i miei occhi si riempirono di lacrime. Lo porsi a Bill affinché me lo legasse al collo e lo sistemo sul mio collo pallido, chiudendo il laccetto.
-Nessuno ha mai fatto questo per me, nessuno- mormorai piano, cercando di ricacciare dietro le lacrime. –Grazie- aggiunsi.
-Sono contento ti piaccia- mi sorrise accarezzandomi il volto e spazzando via le lacrime.
Si piegò su di me e mi baciò a lungo, mentre mi beavo della sua vicinanza.
-Ora basta piagnistei, non vorrai mica avere gli occhi gonfi stasera?- domandò ammiccando.
-Perché? Che facciamo stasera?-
-Sorpresa! Vediamo, hai un’ora per sistemarti, poi andiamo fuori a cena e vedrai! I vestiti te li ho messi prima in camera, a dopo!- ultimo bacio e sparì nella sua stanza, lasciandomi lì sola.
Sbuffai recandomi verso il mio letto, notandovi sopra due borse. Segnale d’allarme! Sbirciai nella prima e tirai fuori un vestito, osservandolo critica. Era blu scuro, di seta, arrivava poco sopra al ginocchio, stretto in vita e largo sul fondo, senza spalline con una fascia nera brillante stretta sul seno. Per quanto non amassi i vestiti, dovetti ammettere a me stessa che quell’abito era semplicemente stupendo, senza troppi sfarzi sembrava fatto su misura per  me. Lo accarezzai sentendone la morbidezza. Passai poi al pacchetto a fianco. Sicuramente scarpe, scossi la testa non appena lessi la marca: jimmy choo. Aprì la confezione e estrassi un paio di decolleté nere, con un tacco di almeno dieci centimetri. Come avrei fatto a camminarci? Sentivo già salire il panico perciò optai per un’altra immersione nella vasca, così da rilassarmi. Riempì di bagnoschiuma alla fragola, tanto amato dal cantante e mi ci immersi completamente, mentre ogni fibra del mio corpo si distendeva. Ne uscì una mezz’ora dopo, rinfrescata e tranquilla: stavo combattendo la leucemia, dovevo avere paura dei tacchi?
Passai alla preparazione per la serata, immaginai il luogo in cui dovevamo recarci fosse lussuoso, visto l’abbigliamento scelto. Guardai cosa mi avevano messo mamma e Julia nella valigia e estrassi il beauty, tirai fuori uno smalto blu scuro e lo passai accuratamente sulle unghie. Aspettai che si asciugasse e mi dedicai al make-up, non ero molto pratica ma la mia amica m’aveva insegnato qualcosa. Estrassi una trousse non mia e guardai le graduazioni di colori, cercando qualcosa di appropriato. Scelsi e cominciai ad applicare l’ombretto bianco perlato su tutta la palpebra, poi lo sfumai sul grigio e sul marrone. Aggiunsi cautamente una linea di eye-liner nero sopra l’occhio e applicai della matita bianca sotto, infine misi del mascara sempre scuro. Completata l’opera quasi non credevo ai miei occhi: ero davvero riuscita a truccarmi da sola, così bene? Avevo scelto il make-up giusto, l’azzurro degli occhi era particolarmente evidente e risaltava benissimo. Sorrisi soddisfatta di me. Tornai in camera e indossai il completo intimo sempre regalo di Julia e il vestito. Cadeva perfettamente lungo il mio corpo, evidenziando le curve non molto pronunciate e valorizzando la mia magrezza – anche eccessiva –e le gambe lunghe, slanciate ancor di più da quei tacchi. Come ultimo tocco misi un berretto nero in testa e mi fissai allo specchio, rimanendo sbigottita dall’immagine che rifletteva: una Mel più bella, radiosa come non mai. Ero davvero io? Sorrisi e recuperai un cappotto lungo dalla valigia – chissà da dove spuntava visto che non apparteneva al mio armadio – e uscì pronta. Bill era già in salone che mi attendeva, mi concessi di osservarlo bene prima di farmi vedere.
Stranamente indossava un maglioncino nero con scollo profondo a v, smalto alle unghie e parecchi braccialetti a contornare le braccia magre. Portava un paio di pantaloni stretti e strappati, un paio di scarpe da ginnastica in tinta. Aveva i capelli lisci sulle spalle, sopra gli occhi uno strato leggero di matita nera.
Bill Kaulitz quella sera – come sempre anzi – era l’emblema della bellezza.
Non lo si poteva etichettare come “figo”, perché non lo era. Meraviglioso, quello sì. Sentì uno strano calore propagarsi per tutto il mio corpo, desiderio?
Fingendo sicurezza mi avvicinai a lui e, non appena mi vide, si illuminò.
-Sei bellissima- commentò prendendomi fra le braccia.
-Non ho aggettivo per descrivere te, invece- sorrisi.
-Sei pronta?- domandò. Lo fissai negli occhi, di fronte a uno sguardo del genere mi trovavo inerme. Annuì, chissà cosa aveva in serbo per me.

Tobi ci aveva lasciati davanti a un ristorante nella periferia berlinese, con l’ordine di passare due ore dopo, avevamo cenato in tranquillità ed ora mi trovavo all’esterno per rispondere alla telefonata di Julia.
-Allora Mel, voglio sapere tutto quello che c’è da sapere!- esordì non appena ebbi accettato la chiamata.
-Tipo?- di sicuro non era successo niente di quello che si aspettava, purtroppo – aggiunse una vocina dentro di me.
-Com’è il Ritz? Probabilmente non ci entrerò mai io- sbuffò, -Se non per farci le pulizie-
-Ma dai piantala! Cosa vuoi che ti dica? È l’albergo più lussuoso che abbia mai visto! La camera è stupenda, praticamente è un appartamento!-
-Ma.. come vi siete sistemati per.. la notte?- domandò maliziosamente.
-Ci sono due letti matrimoniali- la informai, rendendomi conto del tono usato: amareggiato.
-Oh e allora? Nessuno dice che dobbiate usarli entrambi!- esclamò ovvia.
-Senti, io non sono esperta di queste cose! Come dovrebbe succedere scusa? Mi infilo nel suo letto mentre dorme?- replicai con sarcasmo.
-Semplicemente gli dici vorresti dormire accanto a lui, dormire! Poi se deve succedere succederà, non sono cose che si programmano!-
-Non sono sicura, è.. la prima volta per me, non so come ci si comporta..- ammisi imbarazzata.
-Siete innamorati, non ho mai visto nessuno come voi due, e Bill sarà rispettoso nei tuoi confronti, sai che non ti costringerà mai a fare niente- mi rassicurò.
-Ma.. io.. voglio lui. Sono solamente spaventata- confessai mentre le guance andavano a fuoco.
-Ah! Allora è diverso, quindi sei pronta- costatò con tono affettuoso, -Niente paura, ti assicurò che sarà tutto perfetto-
-…Possiamo cambiare argomento per favore?- implorai.
-Va bene capitano! Piaciuto il vestito?-
-Sì, stasera mi sento bellissima, non mi succedeva da tanto. E poi anche Bill ha apprezzato- sorrisi ripensando a come mi aveva guardato ammaliato non appena avevo tolto il cappotto al ristorante.
-Immaginavo!- ridacchiò, -La cena com’è andata? Piccioncini- mi prese in giro.
-Bene! Sembravamo una coppia normale, passare del tempo con lui mi piace sempre, mi diverto e mi fa sentire bene, inoltre non ci sono momenti di imbarazzo o di silenzio, l’amore- sospirai felice.
-Sono contenta per te!-
-Ora vado, Bill mi sta aspettando in macchina, chissà dove si va ora! A presto, ti voglio bene!-
-Anche io Mel, buon divertimento!-
Chiusi la chiamata e raggiunsi il mio ragazzo, dispiaciuta d’averlo lasciato solo per così tanto; aprì la portiera e lo trovai intento a scrivere.
-Che scrivi?- domandai e lui sussultò colto alla sprovvista.
-La canzone, quella che non usciva.. ora sta uscendo- sorrise.
-Posso vedere?- annuì poco convinto passandomi il blocco.

Bist du irgenwo da draussen
Alleine mit dir
Hast dich irgendwo verlaufen
Und weisst nicht wofür
Ein Herzschlag
Den keiner Fühlt
Bist du irgendwo da draussen
Zu schwach um zu weinen
Vor allen Menschen
Wegglelaufen
Um einer zu sein
Ich seh dich
Schau durch die nacht
Zoom Dich zu mir
Ich Zoom mich zu dir
Wir werden scheinen
Weit weg von hier
Durch raum und zeit
Zoom dich zu mir „

-Che testo stupendo- affermai sinceramente, -posso sentire come sarebbe?- chiesi dolcemente.
-Ehm, non è ancora pronta, cioè.. ormai scritta è scritta, ma non sono convinto- mormorò afflitto, lo guardai incoraggiante e intonò le parole impresse su carta, che pian piano invasero l’aria.
Era una melodia calma, dolce. Mi tornò alla mente quella che avevo composto il pomeriggio, sembravano fatte per diventare un’unica cosa.
-E per la musica, cos’hai pensato?-
-Ecco il problema, le parole sono troppo delicate per accompagnarle anche solo con la chitarra classica- sbuffò.
-Io.. se vuoi posso aiutarti- pigolai timidamente, -Oggi mentre mancavi ho suonato un po’ col piano e ne è uscita una cosa beh.. secondo me potrebbe star bene con il testo, quando torniamo te la faccio sentire se vuoi- sorrisi e lui ricambiò entusiasta.
-Grazie mille, sei la mia salvezza, sai? Poi non vedo l’ora di sentirti suonare- mi accarezzò un braccio, prendendomi per mano.
-Eccoci qua, scendiamo- mi accompagnò fuori, non riuscì a trattenere un’esclamazione di felicità davanti all’edificio: teatro.
-Ho chiesto consiglio a tua madre per questo, avevo un’idea ma non ero sicuro di cosa ti piacesse. Mathilda mi ha suggerito l’”Aida”, quindi eccoci qui-
Non riuscivo a dire una parola, era una delle mie opere preferite. L’avevo vista a dieci anni insieme ai miei genitori e ne ero rimasta totalmente affascinata, una storia d’amore bella quanto tragica, dolce quanto amara.
-E’ la mia preferita, come faccio a ringraziare per tutto questo?- mi strinsi a lui.
-I tuoi occhi e il tuo sorriso ricambiano abbastanza, mi basta vederti così felice- mi baciò la testa, -ora andiamo!-

Bill aveva pensato a tutto, avevamo due bellissimi posti su un palchetto di fronte al palco, da cui si vedeva tutto benissimo e anche l’acustica era perfetta. Per quanto amassi quello spettacolo però, non riuscì a godermelo al massimo. Qualcosa, anzi, qualcuno mi distraeva.
Il cantante era seduto al mio fianco, la mano stretta nella mia e vi tracciava figure immaginarie, lo sguardo puntato al palchetto, occhi che brillavano di curiosità, bocca socchiusa.
Quella sera l’opera d’arte era lui, non ciò che accadeva sopra a quel palcoscenico. Era lui il mio spettacolo.
Una volta finito tutto ciò che m’era rimasto in mente erano distratti e frammentati pezzi dell’“Aida“, mentre avevo fissato tutte le espressioni del moro. 
-Piaciuto?- mi interrogò una volta fuori all’aria aperta.
-Tanto, davvero.. interessante..- sorrisi, -a te?-
-Per quello che ho visto sì, non ero mai stato a teatro per vedere cose così, però mi sono distratto sempre.. a causa tua- confessò e io arrossì subito, facendolo ridacchiare.
-Viva la sincerità- commentai, scosse le spalle in risposta.
-Ora torniamo in albergo, non vedo l’ora di sentirti suonare! Sei stanca?-
-No- risposi subito; nonostante la giornata non fosse stata delle più leggere, mi sentivo piena di energia come mai prima.
-Bene- mi strinse al suo fianco e mi tenne così per tutto il viaggio, neanche qualcuno mi portasse via! Tuttavia non protestai, mai l’avrei fatto. Amavo stare fra le sua braccia.
Silenziosamente raggiungemmo la camera, l’albergo era silenzioso, quasi inquietante. Tolsi il cappotto e mi posizionai di fronte al pianoforte, con Bill seduto accanto a me, con occhi brillanti.
-Spero.. vada bene- mormorai imbarazzata.
-Sono sicuro sarà così- mi rassicurò. Ciò bastò a imprimermi sicurezza, lo spartito era lì davanti ma le note le conoscevo già. Chiusi gli occhi e feci scivolare le dita sui tasti, mentre il cantante accanto a me ascoltava attento. Finì e non disse nulla.
-Non ti..- incalzai, ma mi bloccò.
-Suona ancora- chiese. Lo guardai stranita ma obbedì.
Ripresi a suonare quando sentì che, alle note, si aggiunse la sua voce lieve. Era fatta, andavano a pennello insieme. Come noi..
Aprì gli occhi e mi voltai verso di lui, anche lui mi fissava mentre cantava.
Ero intrappolata dal suo sguardo, così caldo e pieno d’amore.

„Ich seh dich
siehst du mich?

Oh, eccome se lo vedevo. Occhi concentrati, bocca tremante, guance arrossate, la sua mano appoggiata sul mio affianco, il fiato che soffiava sul mio viso.. lo guardavo imprimendo nella memoria ogni fotogramma del momento.

Durch den sturm
Durch die kälte der nacht
Und die ängste in dir
Weit weg von hier
Durch raum und zeit “

Attraverso tutto, con lui. Bella prospettiva, irrealizzabile ma bella. Sognare non costava nulla, in fondo. Cantava e i suoi occhi non lasciavano i miei. Si era impadronito della mia anima, del mio cuore.

„Zomm dich zu mir“

Esalò le ultime sillabe avvicinandosi a me e bloccandomi in un bacio mozzafiato.
Le mie mani lasciarono subito il freddo dei tasti per circondargli le spalle, attaccati l’uno all’altro i cuori battevano in sincrono.
-Questa canzone è un capolavoro, è diversa, completa. È..- iniziò dolcemente fra un bacio e l’altro.
-Questa canzone siamo io e te. È nostra. Siamo noi- completai io mentre piano mi alzava dallo sgabello per farmi aderire al suo corpo.
Un altro bacio, un altro ancora. Una carezza, e un’altra di nuovo. Passava le sua mani dal mio viso alla mia schiena, ritmicamente.
Io facevo lo stesso. Ci stavamo esplorando a vicenda. Ci stavamo conoscendo.
Sentì il suo naso contro la mia guancia, lo avvicinai ancora di più a me. Lo volevo vicino. Lo volevo mio.
Sentivo caldo, i nostri respiri si fondevano, entrambi affannati.
-Prinzessin, cosa.. cosa stiamo facendo?- mormorò a fatica contro la mia fronte.
Presi la sua mano e la portai sul mio cuore, per fargli sentire come batteva forte grazie a lui.
-Non voglio farti male.. non voglio costringerti a fare niente- mi fissò serio.
-E io voglio te- sussurrai mentre le mie guance prendevano calore. Ero sicura, lo desideravano come mai prima.
-Sei mia Melpomene- esalò a un millimetro dalla mie labbra secche dall’emozione.
-E tu sei mio, Bill Kaulitz-
Nessuno aggiunse altro, la lingua era impegnata in un’altra attività, di tipo ben differente.
Raggiungemmo il letto senza staccarsi se non per prendere aria. Delicatamente caddi sul materasso, seguita dal cantante. Si mise sopra di me e piantò i suoi occhi nocciola sui miei azzurri. Senza perdere il contatto mi alzai verso di lui e mi rituffai sulle sue labbra, sentendone già la mancanza. Presi coraggio e abbandonai la timidezza, misi le mani sotto la sua camicia accarezzando l’addome magro e sentendolo rabbrividire al mio tocco. Lentamente il suo maglioncino finì a terra. Cercai di non far vagare lo sguardo sul suo petto troppo a lungo, non volevo perdermi nel suo fisico quando il viso era ancora più bello. Fu il suo turno, passò le mani lungo le mie spalle, accarezzandomi poi le braccia e passando alle cosce lasciate scoperte dal vestito, lentamente abbassò la cerniera e andò a finire anch’esso sul pavimento. Mi sentivo accaldata, emozionata e allo stesso tempo spaventata. Mi trovavo in intimo davanti a un ragazzo e stavo per andare a fuoco, lui se ne accorse e tornò a succhiarmi le labbra con bramosia, mentre io impacciata toglievo di mezzo i pantaloni.
Pelle contro pelle, ogni centimetro di me che veniva a contatto con lui ardeva, piccole goccioline di sudore cadevano dalle nostre fronti. Tornò a guardarmi attento, attendendo il permesso per continuare. Come potevo fermarlo quando lo desideravo così fortemente? La mia risposta non si fece attendere e tornai a lambire le sue labbra. Ci spogliammo completamente, ero nuda davanti a lui e non solo fisicamente.
Gli stavo donando tutta me stessa. Anima, cuore e cervello erano già suoi, mancava il corpo.
Il giorno del mio diciottesimo compleanno si appropriò anche di quello, fra lenzuola di seta e sospiri affannosi, baci ardenti e carezze rubate. Dolore? Un attimo durò, fu sostituito dalla sensazione più bella e travolgente che mai avessi provato. Avevo fatto l’amore con il ragazzo che amavo, l’avevo stretto, assaporato. Respirato ciò che aleggiava nella camera in quel momento, amore.

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII (I) ***


(c)ADL

Capitolo XVIII

Sentì qualcosa muoversi vicino a me e quel movimento mi costrinse ad aprire gli occhi e uscire dallo stato di dormiveglia in cui versavo da parecchio tempo. Aprì gli occhi cercando di abituarmi alla luce, la prima cosa che vidi fu il volto tranquillo e rilassato di Bill, ancora addormentato, al mio fianco. Una serie di flashback della serata precedente mi colpirono, facendomi avvampare.
Avevo fatto l’amore con Bill. Ero stata con lui e mai avevo vissuto momenti del genere. Mai.
Notai la posizione in cui mi trovavo: abbracciata a lui, coperto solamente da un paio di boxer; non che io fossi messa meglio, in quanto indossavo il maglione che portava il cantante la sera prima e le mutandine.
L’imbarazzo mi avvolse, non sapevo come bisognava comportarsi dopo una notte del genere. Le mie preoccupazioni sparirono quando colsi le palpebre del moro tremare leggermente per poi aprirsi, i suoi occhi nocciola catturarono subito i miei azzurri. Entrambi assonnati ci osservavamo a vicenda, la sua espressione si sciolse in un sorriso e abbassai lo sguardo, mentre le mie guance si tingevano di rosa.
-Buongiorno principessa- mormorò con voce roca dal sonno, eravamo talmente vicini che il suo respiro solleticava il mio viso.
-Giorno- pigolai piano restando immobile.
-Tutto bene Mel?- domandò cauto e lievemente preoccupato.
-Non so come comportarmi- ammisi cercando di sprofondare sul cuscino. La sua risata cristallina m’avvolse con dolcezza.
-Mi stavi spaventando.. pensavo ti..- lo bloccai posando una mano sulla sua bocca.
-Non mi sono pentita, credimi- sorrisi mordendo un labbro, -Anzi. È stato bellissimo- sarei andata in iperventilazione da un momento all’altro, me lo sentivo.
-Sì. Sono stato innamorato più di una volta, ma con te è tutto diverso, più forte, sai? Tutte le vecchie storie sembrano nulla in confronto a quello che sto vivendo con te- confessò cercando di catturare nuovamente i miei occhi, riuscendoci. Prese fiato, -Io.. ti..- lo fermai con urgenza.
-Non dirlo Bill, per favore non.. non farlo- lo pregai.
Io ti amo, sapevo che era ciò che stava per uscire da quelle labbra soffici, non ero pronta a quella confessione. Eravamo innamorati e ci amavamo. Confessare i sentimenti era un passo troppo complicato dal mio punto di vista, anche se ero sicura della veridicità di quelle tre parole.
La vera ragione era che.. avevo paura. Come avrei sopportato una separazione, quando avrei ripensato al momento in cui m’aveva detto che m’amava? Come potevo lasciarlo? Come potevo rispondere quando i sensi di colpa per il futuro già mi attagliavano?
Sospirò arreso e sorrisi grata per non aver continuato la frase.
-Vieni qui- mi invitò allargando le braccia, per accogliermi ancora più vicino. Mi accoccolai contro il suo petto e alzai la testa per permettere alle sue labbra di rifugiarsi sulle mie. Piccoli brividi si formarono su tutta la pelle, il contatto con il suo corpo ne era la causa.
Rimanemmo a letto ancora a lungo, semplicemente abbracciati e cullati dai nostri respiri regolari.
-Dovrei fare una doccia- fui costretta a interrompere quell’oasi di pace dopo aver visto si stava facendo mezzogiorno.
-Anche io- ammise pensieroso, per fissarmi successivamente.
-Che c’è?- chiesi imbarazzata dal modo in cui mi guardava. Se continuava a lanciarmi occhiate del genere prima o poi sarebbe stato costretto a raccogliermi con un cucchiaino.
-Andiamo nella vasca- esclamò tranquillo, io annuì.
-ANDIAMO?- affermai una volta rimuginato sulle sue parole, Bill sorrise malizioso.
-Sì, andiamo- senza aspettare la mia replica si alzò e mi tirò su dal letto, imprigionandomi in un suo abbraccio. Mi trascinò nel suo bagno e cominciò a riempire la vasca e inserire il bagnoschiuma, senza mollarmi.
 -Che hai intenzione di fare?- gli domandai allarmata.
-Rilassati- rise, -tu devi fare il bagno, io devo fare il bagno, noi facciamo il bagno!- spiegò con nonchalance.
-Si.. se mi molli magari potrei andare anche io- mormorai, -dai mi vergogno- sussurrai piano, nascondendo il viso sul suo petto.
-Perché dovresti vergognarti? A parte il fatto che ho già visto tutto- rise leggero, incurante del fatto che stessi andando a fuoco, -tu sei la mia Mel e sei bellissima, non.. nasconderti da me-
Le sue parole mi diedero conforto, sapeva sempre come trattarmi e come prendermi, i suoi occhi cancellavano ogni mia insicurezza e paura. Guardai la sua espressione rassicurante e tenera e successivamente la vasca, ormai colma d’acqua e bolle.
-Tutto questo è nuovo per me- gli spiegai, -Devo imparare e tu.. devi insegnarmi. Non voglio nascondermi da te-
Mi donò il suo più magnifico sorriso e mi condusse nella vasca, ci immergemmo insieme ancora parzialmente vestiti, per liberarci degli abiti una volta all’interno e lasciarci circondare dalle bolle. Timidamente mi lasciai circondare dalle sue braccia e chiusi gli occhi.

„Wir wollten nur reden,
Und jetzt liegst du hier.
Und ich lieg daneben, Reden, Reden“

Riconobbi le parole di “reden” e non riuscì a trattenere una risata allegra, che catturò anche lui. 

„Das hab ich schon geklärt, Don't Disturb“

Continuai a canticchiare io, voltandomi verso di lui per baciarlo con sicurezza. Scelsi di non nascondermi, ormai Bill conosceva tutto di me e mi fidavo di lui, inoltre l’amavo.  Alle zerren an mir, Ich will mit keiner ausser Dir“ Furono le ultime parole che risuonarono nella mia testa, successivamente non fui più in grado di ragionare, la mia attenzione fu catturata da altro.

Uscimmo dalla vasca un’ora dopo, il bagno si era rivelato più lungo del previsto.
-Bill, ho fame- mugugnai indicando la pancia. Ci trovavamo in terrazza, profumati e vestiti – stavolta. Lui era avvolto da un maglioncino simile a quello della sera precedente e da un paio di jeans stretti, io avevo indossato sempre la maglietta regalatami da Julia e un paio di leggings.
-Chi non lo sarebbe dopo- lasciò la frase in sospeso, sorridendo; -anche io comunque- lo guardai male.
-Scendiamo al ristorante e mangiamo qualcosa?- proposi, lui annuì.
-E oggi pomeriggio shopping- mi informò, -si va al KaDeWe!- aggiunse entusiasta.

Così alle tre eravamo di nuovo in strada – a pancia piena dopo l’abbuffata a pranzo – diretti verso il famoso “KaDeWe” di Berlino.
Il cantante era costretto ad indossare un paio di occhiali e il cappello, c’era tantissima gente in giro e c’era il rischio venisse riconosciuto, nonostante a diversi metri da noi c’era Tobi -la guardia del corpo- pronto a intervenire in caso di necessità.
Non ero mai stata in quel centro commerciale perciò, una volta arrivati lì, rimasi sorpresa dalla sua grandezza.
Il Kaufhaus des Westens è il più esteso grande magazzino d’Europa, costruito su sette piani collegati tra loro da sessantaquattro scale mobili e ventiquattro ascensori, offre numerosi articoli, molti dei quali di lusso, circa trecentoottantamila di diversi tipi. La sua superficie equivale a quasi nove campi da calcio e accoglie negozi di abbigliamento, gioielli, di tecnologia e elettronica, giochi e anche cibi.
-Piccolo eh?- ridacchiò il moro di fronte alla mia espressione sbalordita.
-Già- esalai, -Ma, non vorrai mica visitare tutti i piani, vero?-
-No, direi di saltare il quattro e il quinto, rispettivamente di tecnologia e elettronica e giochi- affermò pensieroso.
-Mi stai prendendo in giro, vero?- chiesi speranzosa.
-Ehm, ti ho già detto che amo fare shopping!- mi fece la linguaccia.
Dio, aiutami tu! Fu il pensiero non appena misi piede dentro al KaDeWe e mi ritrovai catapultata in mezzo alla folla di turisti e affamati di compere.
-Oh su, non fare quella faccia afflitta, ci divertiremo!- mi assicurò, anche se ero parecchio scettica.

Due ore, quaranta minuti e ventinove secondi eravamo finalmente usciti da quel luogo infernale. Inizialmente era stato divertente, nel negozio di abbigliamento Bill mi aveva fatto provare di tutto e di più – non che amassi fargli da manichino – ma il bello era venuto dopo, ossia quando fu il suo turno, io sceglievo gli abiti e lui li indossava facendo poi piccole sfilate, inutile dire ogni vestito gli donava a pennello. Appena finita la prima ora però già l’entusiasmo da parte mia era calato, girare come una trottola non era una delle mie attività preferite, ma del cantante sì. C’era sempre qualche cosa bella da vedere, da provare, rimettere a posto oppure comprare. Si rifece del mese passato senza fare shopping, alla grande! La sua carta di credito fu ripetutamente utilizzata e, seppur contro le mie proteste, non mi lasciò mai tirar fuori il portafogli, intestardito di voler pagare tutto lui. Praticamente mi rifece il guardaroba: il bagagliaio dell’auto era colmo delle nostre borse.
-Cosa facciamo ora?- gli domandai una volta saliti in macchina.
-Mh, Tobi, ci lasci al solito parco? Poi chiamo un taxi per tornare al Ritz, sai che è deserto- si rivolse alla guardia del corpo, che annuì solamente.
-Parco?- feci interrogativa.
-Sì, è un po’ fuori da Berlino però è davvero molto bello. L’ho scoperto durante una fuga dai paparazzi- ridacchiò al ricordo, -essendo fuori mano non c’è mai nessuno, al massimo qualche nonna col nipotino, quindi nessuna paura- mi rassicurò.
-Mi fido- gli feci l’occhiolino e una quarantina di minuti dopo arrivammo a destinazione.
-Eccoci arrivati- disse accompagnandomi all’entrata col sorriso.
Mi guardai attorno con circospezione e concordai col moro: quel posto era davvero bello. Si estendeva per una grande superficie, piena d’erba e tenuta con cura, v’erano parecchi alberi e sotto ognuno si trovava una panchina, al centro poi era presente una grande fontana. Di fianco al cancello d’apertura si trovava un piccolo chiosco.
-A volte i paparazzi servono a qualcosa se ti fanno scoprire dei posti così!- esclamai estasiata.
-Oh, a volte! Credimi non è bello arrivare a nascondersi dietro a un bidone dell’immondizia- sbuffò facendomi ridere.
-E tu non ridere delle disgrazie altrui!- assunse un lieve broncio, che però distese subito, -dai andiamo a sederci da qualche parte- mi prese per mano e mi guidò su una panchina non molto distante da lì, facendomi poi sedere sulle sue gambe.
Frugai nella mia borsa e tirai fuori la macchina fotografica, uno degli ultimi regali di mio padre, ancora inutilizzata. Misi a fuoco la fontana e scattai la prima foto, poi immortalai l’albero con i primi fiori e la mia attenzione fu catturata dalla coppia seduta sotto. Sorrisi dolcemente alla scena: l’uomo e la donna erano anziani, probabilmente sulla settantina d’anni, parlavano fitto fitto e si tenevano per mano, scambiandosi sguardi pieni d’amore. Quel quadretto mi fece salire le lacrime agli occhi, prontamente eliminate per far sì che Bill non se ne accorgesse.
Sarebbe mai successa a me una cosa del genere? Mi sarei sposata e avrei avuto dei figli? Avrei trovato un amore così duraturo?
Erano domande che non mi ero mai posta prima dell’avvento del cantante nella mia vita: prima non osavo mai immaginare un futuro per me, già tanto pensare sarei vissuta il giorno dopo, un prospetto duraturo mi spaventava. Poi l’avevo conosciuto e aveva portato la speranza in me, o forse erano solo illusioni? Meglio non pensare al matrimonio quando non si è sicuri di sopravvivere un altro anno ancora. Sospirai.
-Tutto bene? Ti vedo pensierosa- il ragazzo interruppe i miei monologhi interiori.
-Sì- mi girai e sorrisi rassicurante, cancellando ciò che frullava nella mia testa.  
-Ti dispiace se mi allontano per un paio di minuti? Tom mi ha chiamato prima ma non ho sentito quindi non ho risposto, non voglio che si preoccupi-
-Oh, non ti preoccupare, fai pure, io intanto invio un messaggio a mia madre e a Julia- mi alzai per permettergli di contattare il gemello, non tirai fuori il cellulare, ero certa che se le avessi telefonate mi avrebbero inondato di domande, intime e imbarazzanti. Preferì evitare, perciò estrassi la moleskine ricevuta dal chitarrista.

 Brilleremo, lontano da qui, attraverso spazio e tempo.
Bill canta queste parole, io ci spero – ci credo anzi.
Tutti dicono che l’amore “vero” vince sempre, quindi..
voglio illudermi sia così, per una volta. Magari..

Chiusi di fretta l’agendina nascondendola nella borsa non appena vidi il cantante tornare verso di me, con le guance leggermente imporporate.
-Deduco Tom non abbia risparmiato le sue solite battutine maliziose- risi mentre annuiva con aria saccente.
-A volte è proprio insopportabile, ormai ho imparato a conviverci, l’ho conosco da quando eravamo due morule- mi seguì nelle risate.
-Deve esser proprio bello poter contare su qualcuno, aver la certezza ci sarà sempre qualcuno- commentai.
-Si, è così.
Doch wenn wir gehen, dann gehen wir nur zu zweit – citò una frase che riconobbi della loro canzone “In die Nacht”; -è difficile spiegare a chi non ha un gemello, a volte il nostro rapporto può risultare morboso, io ho bisogno di lui e lui di me, nonostante i nostri stili differenti sotto questo strato di trucco e oltre i suoi vestiti enormi siamo uguali! Non riesco a immaginare una vita senza di lui- parlò in fretta, gesticolando.
-Ti invidio, io purtroppo essendo figlia unica non so che significhi tutto questo- scossi le spalle.
-Ti sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella?-
-Sì, ricordo che da piccola lo chiedevo sempre ai miei genitori ma loro non hanno neanche preso in considerazione l’idea. Essendo due persone che per lavoro viaggiano molto, un figlio grava molto sulle carriere, nemmeno io ero in programma, effettivamente. Mi hanno voluto bene da subito però- raccontai.
-E te ne vogliono ancora- in quel momento il mio cellulare si mise a squillare: chiamata in arrivo da mamma.
-Parli del diavolo..- mormorai, -è mia madre, torno subito- mi congedai da lui ma non risposi, lasciai suonare. Non volevo essere sottoposta a un interrogatorio; feci finta di parlare per qualche minuto dopodiché spensi il telefono – così da non essere disturbata ancora – e ritornai sulla panchina; Bill era seduto e si controllava le unghie concentrato, non resistetti e gli scattai una fotografia di nascosto.
-Ehi, che fai?- mi colse in fallo il soggetto dello scatto.
-Una foto- risposi con ovvietà.
-Oh, non l’avevo capito- sarcastico, -hai deciso di abbandonare la scrittura per divenire un paparazzo?- mi prese in giro.
-Mi piaceva la tua espressione- confessai mostrando l’immagine.
-Ammetto che è carina- confessò rubandomi la macchinetta e cominciando a scattare a caso.
-Dovremo fare qualche foto insieme- costatai, non ne avevamo neppure una!
-Hai ragione, almeno questa volta fare un servizio fotografico avrà uno scopo-
Ci alzammo e, dopo aver messo multi&auto -scatto, posammo la macchinetta sulla panchina e ci mettemmo in posa.
Bill e io abbracciati. Chis!
Bill con una mano sul mio fianco. Chis!
Bill e io che ci guardavamo. Chis!
Bill che mi fa il solletico e io che rido e mi agito. Chis!
Io che faccio il solletico a Bill e lui che tenta di sfuggirmi. Chis!
Bill che prende la mia mano e la bacia delicatamente. Chis!
Io sulle punte con le braccia strette attorno a lui mentre ci fissiamo negli occhi. Chis!
Bill e io che, abbracciati, ci baciamo Chis!
Bill che mi sorprende facendomi salire sulla sua schiena. Chis!
Io che, stretta a lui, gli bacio il collo. Chis!
Finiti i dieci scatti previsti ci fermammo a guardare le foto ed erano uscite una più bella dell’altra. Una coppia normale, non la Superstar e la malata, Bill e Mel, allegri, felici, con occhi brillanti d’amore. Rimettendo la macchina sulla panchina partì uno scatto per errore e mi innamorai subito dell’immagine immortalata senza posa: la mano di Bill – smaltata – che teneva stretta la mia, più piccola e pallida nella sua. Si intravedeva la scritta della maglia e i nostri corpi erano affiancati. Spontanea ma meravigliosa.
Continuammo per quasi un’ora a fare scatti in tutte le pose possibili, alla fine c’erano quasi duecento foto nella memoria.
-Voglio fare una foto da seduti sulla panchina- saltò fuori Bill, cercando un luogo per posizionare la macchina, senza risultato.
-Abbiamo fatto tante altre foto, perché ne vuoi anche sulla panchina?- domandai, e lo vidi arrossire leggermente.
-Non prendermi per stupido però!- lo guardai curiosa, incitandolo a continuare, -ho sempre trovato le coppie sulle panchine molto romantiche, anche quando le vedo sui film, mi viene sempre da sorridere. Così..- gesticolava in imbarazzo.
-Ho capito- arricciai gli angoli della bocca all’insù.
-Possiamo chiedere ai signori là di farci la foto- suggerì, la coppia che avevo osservato qualche ora prima stava venendo verso di noi per uscire. Il moro annuì e si alzò, recandosi dagli anziani, che sorrisero alla richiesta e accettarono.
Così Bill ottenne una foto mia e sua abbracciati sulla panchina e una in cui ci baciavamo.
-Siete carini insieme- commentò la signora, che scoprì si chiamava Priska, -non trovi Frank?- si rivolse al marito, che concordò.
Entrambi ci imbarazzammo, farfugliando qualche ringraziamento.
-Noi siamo sposati da più di quarant’anni- affermò l’uomo stringendo la moglie affettuosamente.
-Auguro succeda lo stesso anche a voi- continuò Priska, salutandoci allegra.
Li guardai allontanarsi mano nella mano, chissà com’era vivere con la persona che si ama per così tanto tempo. Cercai la mano di Bill e la strinsi, avevo bisogno di sentirlo vicino.
-Sono già le sette- osservò dopo aver dato un’occhiata all’orologio.
-Vado a prendere qualcosa da mangiare, vieni o mi aspetti qui?- domandò, in effetti la fame si faceva sentire.
-Ti aspetto- dissi. Cinque minuti dopo era di ritorno con due pizze fumanti in mano.
-Pizza!- esclamai andandogli in corso e addentando uno spicchio.
-Grazie Bill per aver preso la pizza e aver aspettato pazientemente in piedi per ben cinque minuti!- borbottò lui, ricevendo una boccaccia come risposta. Mangiammo tutto silenziosamente, mentre pian piano il sole spariva per lasciar spazio alla sera.
Lasciammo il parco intorno alle nove per poi prendere il taxi e farci lasciare a Berlino, a poco distanza dall’hotel così da poter camminare un po’. Guardavo la gente attorno a me, era un passatempo piacevole. A quell’ora c’erano soprattutto coppie di giovani che uscivano per divertirsi oppure compagnie di amici, l’aria carica di energia.
-Grazie Bill, non so da quando non passavo una giornata così- mi sentì in dovere di dire, alla clinica una cosa del genere era improbabile e anche prima che c’entrassi non avevo trovato qualcuno che mi facesse stare così bene.
-Grazie a te, era da anni che non riuscivo a uscire tranquillamente, senza paparazzi o fan al seguito. Oggi sono stato benissimo, mi sono sentito normale- mi strinse posandomi un bacio in fronte.
Chiacchierammo fino a che non arrivammo all’hotel, entrambi stanchi ci cambiammo velocemente per poi infilarci a letto.
Ci addormentammo abbracciati.

 

* * * 

Non so se qualcuno si ricorda ancora di questa storia.. come biasimarvi in fondo?
Posso solo chiedervi scusa, sono imperdonabile (lo so)
Cercherò di pubblicare gli altri capitoli il prima possibile, visto che sono fermi nel computer da un po' :/
Vi darò tutte le spiegazioni quando pubblicherò l'epilogo (fra 5 capitoli)
Probabilmente sarà pieno di errori, farò una "revisione" di tutta la storia una volta terminata :)

Un bacione grande e ancora scusa

Anna
 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII (E) ***


(c)ADL

Capitolo XVIII 

Tornare alla clinica dopo aver passato due giorni in compagnia di Bill era come risvegliarsi da un sogno e ritrovarsi nella realtà: terribile.
Avevo avuto un assaggio di cos’era la vita “vera”, una vita senza preoccupazioni, senza pensare alla malattia o ad altro. Mi ero sentita come una ragazza in vacanza con il fidanzato per la prima volta: allegra, entusiasta, felice, spensierata.
Non appena messo piedi a Colonia ero stata invasa da pesantezza, il pensiero di tornare ai vecchi ritmi mi faceva rabbrividire.
-E così il bello è finito- sospirai abbattuta una volta oltrepassato il cancello.
-Non è esattamente così- mi corresse Bill, -i due giorni di vacanza sono finiti. Può esserci il “bello” anche qua dentro-
-La vedo difficile- mugugnai sbuffando, bisognava riprendere a fare esami, lezioni di scuola.. sbuffai nuovamente.
-Sembri la teiera del the, piantala su- mi sgridò divertito dal mio comportamento, -Se ci siamo divertiti tanto non era perché ci trovavamo a Berlino, bensì perché eravamo insieme. Esattamente come ora- non replicai, mi limitai ad abbracciarlo. Vedeva sempre il lato positivo di ogni situazione, era ottimista. Lo ammiravo per questo, ma non approvavo, io ero il contrario: preferivo essere negativa – realista anzi – piuttosto di sperare e rimanere delusa.
-Programmi per oggi?- domandò cambiando discorso, mentre prelevava qualcosa dalle macchinette.
-Fra mezz’ora ho una visita con il dottor G
üllimber, poi pranzo, dalle due alle cinque sono in biblioteca con la professoressa Damischt-  difficile mantenere il sorriso quando ti si prospettava una giornata del genere; -Tu invece?-
-Per ora nulla, dopo pranzo ho una visita con Merken e successivamente mi viene a trovare Tom-
-Ci vediamo stasera da te allora?- annuì, -Buona giornata, a più tardi quindi- dissi lasciandogli un bacio, per poi recarmi in camera.
Ero stata lontana solamente due giorni eppure rimetterci piede mi creava uno stato di claustrofobia, tanto che mi vidi costretta a spalancare tutte le finestre, nonostante l’aria fuori non fosse calda. Accanto all’armadio erano state posizionate – probabilmente da Saki – le borse accumulate durante le ore di shopping col cantante, per tutte le cose acquistate probabilmente mi serviva un armadio nuovo, costatai.
Mi diedi una veloce ripulita e mi sistemai per scendere a fare il solito controllo-chiacchierata con il dottore.
-Buondì piccola Mel!- mi accolse sorridente, invitandomi a prendere posto di fronte alla sua scrivania disordinata e colma di fogli ovunque.
-Giorno!- ricambiai il sorriso.
-Allora, vedo che i due giorni con il signorino Kaulitz hanno avuti buoni risvolti sulla tua salute- commentò guardandomi attentamente, mentre io cercavo di trattenermi dal ridere di fronte all’espressione “signorino Kaulitz”; -Sei meno pallida, hai ripreso colore- notò soddisfatto.
-Già- risposi semplicemente.
-Per il resto come stai? Domani riprenderai la terapia, hai più sentito malesseri?- mi interrogò, scossi la testa.
-Bene, perfetto- controllò la cartella clinica, -Ci sono dei miglioramenti-
-Speriamo sia la volta buona, stavolta- brontolai, non era la prima volta che passavo un periodo “tranquillo” pensando tutto si stesse rimettendo a posto, poi puntualmente tutte le speranze mi ricadevano addosso e con loro la mia voglia di pensare positivamente.
-Direi che è tutto, ci vediamo la settimana prossima-
Tornai in camera che era ora di pranzo, Rossella era già là ad attenermi con il vassoio pieno di cose da mangiare e un sorriso vagamente malizioso stampato sul viso.
-Salve Ross- salutai felice di rivederla.
-Ciao Mel- mi porse il piatto e si sedette sulla sedia di fianco a me.
-Scusa, non devi lavorare?- chiesi tra un boccone e l’altro.
-Sono in pausa pranzo e ho deciso di farti compagnia- si sistemò meglio seduta, -non mi dici nulla?-
-Cosa vuoi che ti dica scusa?- evitai di guardarla.
-Ciccia, sono un po’ più vecchia di te – giusto cinque o sei annetti nulla di che! – e mi accorgo di certe cose. Appena ti ho visto stamattina mi sei sembrata radiosa, camminavi quasi a tre metri da terra- mi spiegò.
-Magari ti sbagli- scrollai le spalle, già sapendo dove voleva andare a parare.
-No cara, non mi sbaglio.. mai. Ora che hai finito di mangiare ti metti tranquilla e racconti tutto a zia Ross- ghignò. Io deglutì.
-E’ stato un bel week-end- continuava a fissarmi in attesa.
-Oh non l’avevo capito guarda!- esclamò sarcastica.
-Okay, siamo andati al ristorante, all’opera, a fare shopping e..- mi bloccai arrossendo fino ai piedi.
-Oh, lo sapevo!- affermò allegra, abbracciandomi di colpo.
-Sei una piccola donna ora!- sembrava commossa, in effetti da quando ero in clinica mi aveva fatto da seconda madre. Borbottai qualcosa di indefinito come risposta.
-Va bene ho capito, non indago oltre- fece l’occhiolino, -sono contenta per te comunque- sorrise affettuosa.
-Ah zia Ross- citai la sua frasi di prima usando lo stesso tono civettuolo, -tu sei sempre euforica, ma è da un po’ che ti vedo più effervescente. Centra per causo un bel dottore dai capelli rossi?- ghignai mentre sprofondava nella sedia.
-NO!- negò, troppo, troppo velocemente.
-Ah, ormai ti conosco anche io! Avevo immaginato sarebbe successo prima o poi!-
-Devo andare a lavoro, scusa, ciao!- mi baciò su una guancia prima di sparire ridacchiando fuori dalla camera.
A quanto pare non ero stata l’unica a essere colpita dalla freccia di Cupido. Non sapendo che fare impiegai un po’ di tempo sistemando i vestiti comprati da Bill nell’armadio, cercando di farci entrare tutto. Passata una mezz’oretta dovetti ripescare lo zaino e i libri di storia e tedesco, di malavoglia. In quei giorni ero stata concentrata su Bill e non avevo neanche pensato agli imminenti esami di maturità, che palle!
Lentamente raggiunsi la biblioteca, puntuale la professoressa mi stava aspettando racchiusa in un paio di jeans a vita troppo alta e una camicia rossa, con una spilla vistosa attaccata in alto.
-Buongiorno- mi accomodai di fronte a lei, cercando di non farle capire quanto volessi essere da un’altra parte.
-Buongiorno Melpomene- grugnì senza farmi sentire, non mi piaceva esser chiamata con il mio nome intero. Solo una persona poteva: Bill.
-Ti vedo in forma- commentò non badando al mio disappunto, -meglio così: potrai studiare meglio!- mi rimbeccò, -in questi mesi hai battuto la fiacca, è ora di mettersi di impegno, ne va del tuo futuro-
Futuro, sembrava scontato ne avessi uno.
-Tira fuori storia, devi farmi vedere l’argomento che hai scelto per la tesina- ordinò, via alla tortura.

Tre ore, dieci romanzine, una ventina di urli silenziosi e disperati dopo potei finalmente rientrare nella mia stanza. Quando una giornata inizia quasi bene, per proseguire benino-maluccio-male, non può che peggiorare. Era il giorno delle imboscate? Davanti al mio letto mi attendevano a braccia aperte mia madre e molto stranamente, anche mio padre.
-Cosa ci fate qui?- chiesi velocemente, dopo essermi districata dall’abbraccio in cui mi avevano coinvolta, contro il mio volere.
-
Volevamo vederti, è così strano? L’ultima volta che ti ho vista, beh.. l’occasione non era delle migliori, concorderai con me- intervenne Hans, mio padre. In effetti la sua visita risaliva a quando ero finita in coma.
-No, solo non me lo aspettavo- dissi, -mi fa piacere vedervi- continuai per rimediare alla maleducazione precedente.
-Non sembrava- ridacchiò mia madre.
-Dov’è questo Bill? Tua madre l’ha visto e io no, non me lo presenti?- saltò fuori mio padre, da quando in qua gli interessava la gente con cui uscivo? Qualcosa mi diceva si fosse attivata la gelosia patriarcale.
-Oggi pomeriggio è impegnato, ha un controllo e poi passa il fratello a trovarlo- sorrisi senza farmi vedere, meglio evitare l’incontro. Papà non sembrava della stessa opinione però.
-Va bene, sarà per un’altra volta..-
-Cambiando discorso,- intervenne lei, -Com’è andata con Bill?- era pericolosamente curiosa, anche lei.
-Bene- sorrisi sincera, -mi ha portata in un bel ristorante, all’opera. Ah, grazie mamma per avergli suggerito l’Aida, opera meravigliosa come ricordavo! Poi mi ha fatto sentire la sua nuova canzone e io ho contribuito creandone la musica al piano, si perché al Ritz la suite ha perfino quello strumento! Che bellezza, in effetti mi era mancato suonare- dissi tutto d’un fiato, gesticolando; -poi mi ha portato a fare shopping, mi ha comprato un mucchio di cose e non mi ha fatto pagare nulla! Infine siamo andati su un parco molto carino alla periferia di Berlino, abbiamo fatto tante foto e mi sono divertita come non mai- raccontai tutto brevemente, mentre mi guardavano felici e soddisfatti.
-Questo Bill mi piace- confessò mio padre, -Da troppo non ti vedevo così-
-Bill è fantastico- mugugnai imbarazzata.
-Hans, senti puoi andare a parlare con il dottor G.? Così intanto Mel mi mostra cos’ha comprato- appena papà sentì il verbo “comprare” e “mostrare” si dileguò senza opporre resistenza, era allergico allo shopping, tutto ciò che indossava glielo comprava la mamma.
-Okay, ora che siamo sole- si sedette vicino a me, -mi racconti ciò che hai omesso. E sono certa tu abbia omesso qualcosa-
Oh no, ti prego anche lei, no! No!
-
Mh..- evitai di guardarla.
-Dai, è stato come te lo aspettavi? Ha fatto male? Ti è piaciuto? Dai raccontami!- la sua voce sembrava quella di una bambina capricciosa, nel mentre diceva ciò io ero andata a nascondermi sotto il lenzuolo, urlando un flebile e imbarazzatissimo “mamma!”.
-
Mamma un cavolo, sono stata adolescente anche io.  Non è mica passato tanto, sai?- tirai fuori la testa solo per guardarla scettica.
-Non guardarmi così, su!- la conoscevo troppo bene per sperare avrebbe desistito, più mi mostravo reticente a parlare più avrebbe insistito, tanto valeva parlare subito. Che vergogna!
-
Allora..- presi fiato, mentre lei si animava di curiosità, -Non è stato come me lo aspettavo, è stato meglio. Inizialmente ha fatto male, poi non ci ho più fatto caso. Mi è piaciuto, lui è stato dolcissimo. Contenta?- parlai a raffica.
-Di più! La prima volta deve essere speciale, e dal sorriso ebete che hai in faccia deduco che la tua è stata proprio così-
-Esatto! Ora, senti, cambiamo discorso? Sai che mi vergogno!- la pregai.
-So che non aggiungeresti altri dettagli..- sbuffò, -piuttosto dimmi, che brano hai scelto per lo show della settimana prossima?-
Segnale d’allarme da parte del mio cervello, show? Qualcosa mi sfuggiva.
-Show?- domandai cauta, mentre lei ricambiò con sguardo attonito.
-Non te ne sarai dimenticata!- sibilò scioccata, -Te ne avevo parlato un paio di mesi fa, e tu avevi acconsentito! Quello che organizza la clinica ogni anno per riunire i parenti e raccogliere fondi!- spiegò ovvia.
-Oh- mi venne in mente qualcosa, frammenti della conversazione. Tutt’al più ricordavo lei che parlava, e parlava, e parlava, poi ogni tanto mi domandava qualcosa e io annuivo distrattamente. Fra tutte quelle domande probabilmente c’era la richiesta di esibirmi, e io intelligentemente avevo dato una risposta affermativa senza neanche prestare attenzione a ciò che blaterava.  –Ora ricordo- circa, aggiunsi mentalmente.
-Oggi ha chiamato la direzione per ricordarci dell’evento, per fortuna te ne ho parlato!- esclamò, -tanto non avrai problemi a preparare qualcosa in sette giorni, sei mia figlia in fondo!- sorrise ammiccando. Che consolazione.
-Mamma…- inziai con tono implorante, anche se sapevo non avrebbe ceduto.
-Niente mamma Melpomene!- mi ammonì, -Ora vado, ci vediamo la settimana prossima!- fece l’occhiolino e mi abbracciò, prima di andarsene assieme a papà, arrivato in quel momento.
Mi buttai all’indietro premendo la testa contro il cuscino.
-Fantastico.. io che non riesco neanche a parlare con una persona dovrò cantare davanti a tutti.. tzè! Voglio vedere cosa succede, sicuramente inciamperò giù dal palco o stonerò.. oppure dimenticherò la canzone! Oh scheisse! La canzone! Devo scegliere pure quella! Che schifo, che palle! Che stranzio!- borbottavo sbuffando ad ogni parola.
-Da quando parli da sola Mel? Due giorni e già impazzisci? Cerchi di soffocarti con un cuscino?-
No, quella voce no! Sapevo cosa significava la sua presenza nella stanza, avrei subito un interrogatorio. Ancora. Di nuovo.
-Ciao Julia- mormorai alzandomi di malavoglia e lasciandole spazio vicino a me.
-Ti vedo poco felice di vedermi. Non ti sono mancata?- disse con tono teatrale, -ah, certo che no! Scommetto che Billuzzo ti ha tenuta particolarmente impegnata!- ammiccò esageratamente nella mia direzione.
-COSA DICI?- sbottai tentando di coprirla con un cuscino.
-Oh dai, non sono nata ieri! Sono tua amica, è obbligatorio raccontare certe cose, anche i dettagli!- odiavo quando tirava fuori l’arma dell’amicizia, perché se non facevo quello che mi chiedeva mi venivano i sensi di colpa.
-So il programma delle giornate, però voglio sapere come si sono svolte. Allora, primo giorno: arrivo al Ritz e all’opera: com’è stato, cos’hai fatto. Parla parla!-  mi esortò porgendo un pacchetto di caramelle, credeva di essere al cinema forse?
-Ma scusa, la sera mi hai chiamata, sai già tutto-
-No, non so cosa è successo dopo, una volta tornati all’hotel- mi contraddisse sicura.
Non avevo scampo.
-Ha scritto una canzone per il nuovo album, me l’ha fatta leggere. Mi ha detto gli mancava la musica perché voleva avesse un sound diverso, così mi sono offerta di aiutarlo e così una mia composizione al piano è diventata la base di “Zoom” – la canzone- dissi.
Mi fermai, il suo sguardo però era deciso: dovevo continuare.
-Ci siamo baciati, e..- arrossì, mentre lei spalancava la bocca sorpresa, -abbiamofattol’amore- soffiai velocemente.
-AAAAAAAAAAAAH!- saltò facendo uscire parecchie caramelle dalla confezione.
-Sei cretina?- le tappai la bocca, il mio viso doveva aver assunto una graduazione del viola.
-Ora ti faccio le domande base a cui devi rispondere, pronta?- annuì, anche se non lo ero per niente. Ingoiai qualche dolcetto per darmi coraggio.
-Allora, primo: ti ha chiesto la conferma o è partito spedito?-
-Mi ha chiesto la conferma, due volte- risposi senza guardarla.
-Okay, questo gli da qualche punto in più. Ora, ti sei lasciata andare o sei rimasta immobile dalla tensione?-
-Insomma.. cosa vuoi che ti dica?- mi coprì il viso con le mani, -ovviamente ero nervosa all’inizio, poi mi sono lasciata andare!-
-Bene- disse soddisfatta, -Preliminari?- annuì.
-E’ bravo a letto?- mi squadrò maliziosa, mentre mi trattenevo dal risponderle male.
-Non ho altri termini di paragone sai- inarcai un sopracciglio, -però… sì- mormorai.
 -Ultima domanda..- fece una pausa d’effetto, -sei..- la bloccai prima che dicesse altro.
-Non chiedere quello che stai per chiedere!- la ammonì categorica, facendola ridacchiare.
-Va beeeene!  Ora, vediamo.. il giorno dopo: shopping e parco? Dimmi-
Faticai a trattenere il sorriso pensando a quella giornata, soprattutto al magnifico risveglio.
-Ci siamo svegliati abbracciati- raccontai con tono dolce, -Poi.. avevamo bisogno di una doccia, entrambi..- lasciai la frase volutamente in sospeso, i suoi occhi si allargarono a dismisura, era incredula e presa alla sprovvista.
-Cioè, nella vasca?- chiese conferma, io risposi positivamente, guardando con insistenza il letto.
-Esatto- confermai, probabilmente senza parole si limitò a darmi una pacca sulla spalla.
-E brava la ragazzina pudica- ignorai il commento e continuai a snocciolare i fatti della giornata.
-Mi ha trascinato per quasi tre ore all’interno del KaDeWe, ti giuro: dopo ero esausta! Una volta usciti abbiamo raggiunto il parco e siamo rimasti lì fino a sera, chiacchierando e scattando fotografie, ne ho fatte un sacco, una più bella dell’altra- esposi fra le nuvole.
-Poi voglio vederle, mi raccomando! Quindi Bill ti ha fatto proprio contenta, deduco-
-Ho passato i momenti più belli della mia vita in sua compagnia- confessai.
-Ora sono io a chiedere di cambiare discorso, altrimenti mi deprimo visto che sono sigle e sola- esibì una faccia fintamente disperata, simulando un pianto convulso e facendomi scuotere la testa, era assurda.
-Lo show della clinica- proposi in un grugnito non molto femminile.
-Ah giusto! Me ne stavo dimenticando!- come me, quindi.. –Oggi sono passate le liste dei partecipanti, come mai non mi hai detto sei iscritta?-
-Perché me n’ero completamente dimenticata! Se non fosse stato per mia madre neanche mi veniva in mente!- cercai di giustificarmi.
-Bill ti ha proprio fottuto! In tutti i sensi- scoppiò a ridere della sua stessa battuta.
-Simpatica! Non ho neppure pensato a una canzone, mi prende l’ansia già adesso!-
-Dai non è così difficile, ci sarà un testo che ti piace più degli altri, magari che sai già visto che non hai tempo per provare tanto.. visto che te ne sei dimenticata- mi prese in giro, -poi potresti anche suonare, no?-
Pensai a qualcosa di adatto, le mie conoscenze musicali comprendevano artisti di musica classica e ultimamente.. i Tokio Hotel. All’improvviso mi venne un’idea, una canzone che studiavo prima di entrare in clinica.
-Ho trovato!- saltai per l’illuminazione, allegra.
-Quale?- domandò interessata.
-Sorpresa!- feci l’occhiolino, -tu piuttosto, partecipi?-
-Non mi vedrai di certo cantare, considerando sono stonata peggio di una campana, se non peggio- si grattò la testa, -avrò uno stand con tutti i miei trucchi, curerò il make-up della gente che c’è qua.. tutti così sciatti- continuò lamentandosi.
-Figo, sei brava. Ricordati che sei prenotata come stylist- le ricordai.
-Certo! Ora vado, ti lascio riposare.. anche se sono convinta correrai subito da Bill- in effetti era mia intenzione. Si alzò dirigendosi verso la porta.
-Ah Julia?- la richiamai, -Grazie per aver aiutato Bill ha organizzare tutto e..- feci una pausa, -La risposta è sì- strizzai l’occhio, lei uscì dalla mia stanza riempiendo il corridoio della sua risata cristallina e gioiosa.
Era quasi ora di cena perciò ne approfittai per fare una lunga doccia – sentivo già la mancanza del bagno super accessoriato dell’hotel – e mi sedetti prendendo un libro a caso per leggere qualcosa e passare il tempo.
E’ cosa universalmente nota che, quando vuoi qualcosa, i minuti si dilatano a proprio piacimento, le lancette dei secondi rallentano fino quasi a fermarsi e sembra di essere intrappolati in una dimensione statica, immobile. ”
Die Zeit läuft, halt sie auf! Zeit läuftMi misi a canticchiare piano mentre giocavo con un pezzo di pomodoro nel piatto, lo infilzai con la forchetta e lo abbandonai lì non appena mi arrivò un messaggio di Bill, anche lui si stava annoiando come me, così mi chiedeva di raggiungerlo e io – ovviamente – eseguì l’”ordine”.

Bussai e mi bloccai davanti alla porta di fronte all’immagine che mi si presentava davanti, Bill era venuto ad aprirmi ma in versione decisamente più “casalinga”: portava una tuta arancione scuro che cadeva debolmente sul suo fisico, evidenziandone la magrezza e facendolo sembrare un cucciolo indifeso. Aveva il viso completamente struccato, né fondotinta né un’ombra di ombretto o matita nera, i capelli li teneva legati in una disordinata coda, probabilmente era appena uscito dalla doccia poiché intravidi le punte leggermente arricciate. Mi riscossi salutandolo con un bacio e lasciandomi accogliere da quelle braccia che, seppur magre e gracili, mi facevano sentire protetta e a casa:  Casa è dove si trova il cuore”.
-Buonasera principessa- salutò portandomi sul letto assieme a lui.
-‘Sera superstar- poggiai la tasta sul suo collo e facendomi inebriare dal suo dolce profumo.
-Com’è andata oggi?- domandò accarezzandomi un braccio.
-E’ stata una giornata pesante, credevo avesse raggiunto il culmine dopo la lezione con la prof, poi però sono arrivati i miei genitori, mia madre mi ha fatto il terzo grado, successivamente ci si è aggiunta Julia, la prima però è stata Rossella- sbuffai, facendolo ridere.
-Non è divertente!- ribattei piccata.
-Si invece- esclamò, -Tom ha fatto lo stesso, se ti consola-
Mi raccontò di come l’avesse assalito non appena si erano incontrati, voglioso di conoscere tutti i dettagli, alla fine mi ritrovai a pensare che era messo anche peggio di me, perché il gemello non gli aveva risparmiato nessuna domanda.
-Con il medico, invece?- chiesi.
-Tutto bene, la riabilitazione procede. Nessuna complicazione, posso tornare a cantare come prima- mi informò con un’espressione felice; -Domani ho un altro controllo e poi devo sentire David. Oggi poi è venuto a “trovarmi” il direttore della clinica e mi ha chiesto di cantare allo show della settimana prossima, non sapevo neanche ci fosse questo show! Comunque ho accettato, ho visto che partecipi anche tu!-
-Ti prego, non ricordarmelo! Mi ha iscritta mia madre un paio di mesi fa, me n’ero completamente scordata, per fortuna me l’ha riportato in mente lei questo pomeriggio! Insomma.. già mi vergogno a parlare con le persone, come farò a cantare davanti a tutti? Ho già messo in conto cadrò oppure steccherò- mi sfogai muovendo le mani nervosamente e guardando il soffitto. Mi sorprese prendendomi tutte e due le braccia e voltando il volto verso il suo, così da fissarlo bene negli occhi.
-Mel, rilassati- soffiò sul mio viso, -Sei brava, non devi preoccuparti- posò le sue labbra sulle mie.
E così le preoccupazioni sparirono. E così smisi di pensare. E così le cose attorno a noi si offuscarono.

Bill, grazie per tutto. C’è un ‘ti amo’ che
aleggia nella mia mente. Chissà, un giorno te lo dirò.
Ehi Bill, sei diventato la mia vita”

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX (Z) ***


(c)ADL

Capitolo XIX

Pov Bill

Mercoledì la sveglia cominciò a suonare alle sei e mezza, un orario decisamente inconsueto per me – amante delle lunghe dormite – in programma però avevo un incontro con David Jost e il resto dello staff, nella sede della Universal di Amburgo assieme al resto della band; già intuivo del perché il manager volesse riunire tutti: ormai la mia permanenza alla clinica stava per volgere al termine..
Così dopo averci parlato al telefono avevamo concordato di trovarci tutti in ufficio nella prima mattinata.
Ancora mezzo addormentato mi recai in bagno e indossai meccanicamente i vestiti scelti la sera prima, così da non dover passare un’ora fra le valigie, ero molto lungo quando si trattava d’abbigliamento, nonostante nessuno oltre ai miei collaboratori più stretti mi avrebbe visto. Ero fatto così, perfezionista e pignolo. Mi truccai leggermente, anche perché non ero abbastanza sveglio per tentare a un make-up più estremo e curato; inviai un messaggio a Mel per augurarle il “buongiorno”, sapevo che quel giorno aveva una giornata pesante: terapie la mattina, pomeriggio lezioni e la sera prove per lo spettacolo; ancora non mi aveva detto la canzone che aveva scelto, ero curioso. Dopodiché ricevetti lo squillo di Tom che indicava fosse sotto con la Cadillac e le due G ad attendermi.
-Salve ragazzi- dissi salendo sul sedile anteriore, accompagnando il tutto con un sonoro sbadiglio. La risposa fu uno strano insieme di versi ben poco umani; -direi che tutti e quattro necessitiamo di un bel caffè.. molto forte anche- affermai.
-Concordo con te Bill- annuì Gustav, l’unico mattiniero fra di noi, quindi l’unico in grado a emettere una frase a quell’ora, ancora l’alba per me.
-Tom fermati nel primo autogrill che trovi, poi scendo io e vi prendo qualcosa di forte, sembrate degli zombie- costatò scuotendo la testa.
Una ventina di minuti dopo il santo batterista era andato nel bar ed era tornato con quattro caffè potenti per noi poveri musicisti nel mondo dei sogni. Con movimenti lenti tracannammo la bevanda mentre i nostri sensi pian piano tornavano normali.
Ecco come si svolgevano i risvegli dei Tokio Hotel.  Se non ci fosse stato Sch
äfer probabilmente saremo stati in stato vegetativo un bel po’ di ore.
-Grazie Jutschel- proferì Tom leccandosi il labbro. Il biondino scosse le spalle, ormai ci sera abituato alle nostre lune.
-Allora,- cominciò Georg rivolto verso di me, -non ci hai ancora raccontato com’è andato il weekend con Mel-
 -Io lo so!- si intromise mio fratello, facendo girare la pallina del piercing con fare malizioso.
-Oh! Qualche dettaglio sconcio?- domandò l’Hobbit avvicinandosi al mio sedile, repentinamente mi girai e gli tirai un piccolo schiaffo sulla fronte.
-No, sognalo- annuncia categorico.
-Vuoi che lo sogni?- chiese retorico, facendo ridere quel porco di Tom.
-Cretino- esclamai sconsolato, cercando di colpirlo, mi lesse nel pensiero e riuscì a scansarsi.
-Dai Hagen lascialo in pace, quando mai Bill ha raccontato i dettagli della sua vita privata e intima?- mi soccorse Gus.
Un giorno o l’altro avrei dovuto fare una statua a quel ragazzo, sedava sempre le liti ancora prima che iniziassero con calma e pacatezza, due cose che al resto della band mancavano.
-Grazie, per fortuna qualcuno che mi capisce!- affermai incrociando le braccia.
-Gustav sei un traditore, sei sempre dalla sua parte!- piagnucolò l’altro Kaulitz, assumendo l’espressione di un bambino a cui avevano appena rubato il pacchetto di caramelle.
-E dai ragazzi, non ho voglia di assistere a sceneggiate di prima mattina- si giustificò semplicemente.
-Allora Tom, raccontami tu qualcosa! Pratichi astinenza da quando sei alla clinica con Bill, no?- lo stuzzicò il piastrato.
-Astinenza? Sto cazzo!- ridacchiò ammiccando, -Mi basta uscire in giardino, a volte mi sento come il miele, attraggo tutte le api che sono la attorno!- solamente Georg rise alla battuta, mentre scambiai un’occhiata afflitta con l’altro.
-Le anoressiche e le bulimiche.. sarà perché non mangiano, le trovo molto.. affamate- si inumidì la lingua come al solito, -Fa un po’ senso, sono talmente magre che temo si spezzino.. però ne vale la pena. Ve lo consiglio- concluse.
-Seriamente?- chiese conferma l’Hobbit.
-Provare per credere!- esclamò con fare misterioso.
-Okay, direi di chiudere questa sottospecie di discorso- fermai qualsiasi tentativo da parte dei pervertiti del gruppo di iniziare una conversazione alla base di sesso; -piuttosto, che avete fatto in questo mese?-
Finalmente riuscimmo a istallare un discorso più sensato e interessante. Come avevo immaginato Georg si era dato alla pazza gioia uscendo per bar tutte le sere accompagnato dal federe Andreas, il quale non rifiutava mai un boccale di birra e ragazze; anche il biondo si era unito qualche volta a loro, anche se prevalentemente aveva passato quei mesi a casa con la famiglia, dedicandosi a un po’ di sport – sembrava dimagrito in effetti – e si era allenato con la sua amata batteria.
-Nessuna ragazza quindi?- domandai incuriosito.
-No- dissero le G in coro.
-Per fortuna!- esclamò Tom, -insomma, basta già avere un cantante rincoglionito e fra le nuvole, almeno noi dobbiamo rimanere fedeli alle care e amate ‘One-night-stand’!- si spiegò.
-Ben detto Kaulitz!- concordò ovviamente Listing, dandogli una pacca d’intesa sulla spalla.
-Idioti- sussurrai io non abbastanza piano da non essere scoperto, in quanto una mano si intrufolò in mezzo ai miei capelli scompigliandoli tutti.
-Georg- sibilai voltandomi verso di lui, -me la pagherai, guardati alle spalle- i miei occhi divennero due fessure inquietanti e la minaccia ebbe l’effetto sperato, in quanto il ragazzo si spalmò contro al sedile, mentre gli mostravo un sorrisetto sadico.
-Io avrei paura- rincarò la dose Tom ghignando.
-Voi non avete fame? SexGott dei miei stivali fermati in quel bar, voglio una brioche!- a sedare la ‘guerra fredda’ fu sempre il santo batterista, la proposta fu accolta da tutti e l’appetito fu placato da quattro cornetti fumanti.
-Quanto manca ancora?- domandai a Tom, i viaggi in macchina mi annoiavano sempre, soprattutto se la colonna sonora era Samy Deluxe.
-Una ventina di minuti, se non ti lamentassi ogni volta che supero il limite faremo prima!- brontolò.
Ovvio che mi lamentavo, potevo comprendere superare il limite di una decina di chilometri all’ora, ma quando il massimo era settanta e lui premeva sull’acceleratore per raggiungere i cento mi pareva logico iniziare uno dei miei monologhi sulla sicurezza stradale: alla fine, stordito dalle mie parole, cedeva e rallentava.
-Senti, so che può sembrare strano… ma tengo alla mia vita! Non voglio finire spappolato in questo mostro di macchina!-
-Come osi chiamare la mia amata vettura, MOSTRO?- mi guardò esterrefatto, -chiedi scusa alla piccola Samie!-
Avevo sempre immaginato ci fosse qualcosa che non andasse in mio fratello, soprattutto quando a nove anni tornò a casa con quei serpentelli in testa,  poi si erano aggiunti quei vestiti così orribili, mai avevo però pensato sarebbe arrivato a chiamare la sua macchina con un nome!
-Spiegami- iniziai calmo, -La tua auto ha un nome?- la mia voce aveva un non so che di.. isterico.
-Sì- ammise come fosse la cosa più normale al mondo.
-Non sei a posto tu- lo apostrofai inarcando un sopracciglio.
-Disse quello che, nonostante i diciotto anni, dorme con un peluche, TEDDIIIII!- ricambiò l’accusa.
Non c’era niente di male nell’avere un pupazzo, lo tenevo con me dall’età di sette anni, era logico non volessi abbandonarlo, mi ci ero affezionato.
Dallo specchietto retrovisore potei notare Gustav e Georg guardarsi e ridacchiare, scuotendo la testa. Avevano fatto abitudine ai litigi miei e di Tom, per ogni motivo e per ogni cavolata, puntualmente però si risolvevano in poco tempo. Sicuramente erano sollevati ci trovassimo in macchina, non avevamo a disposizione padelle da tirarci dietro, quando eravamo nel nostro appartamento però..
-Arrivati!- esclamò Jutschel, Tom parcheggiò di fronte alla Universal e il piccolo battibecco fu archiviato e dimenticato.
Entrammo e trovammo Helen ad accoglierci, la stessa segretaria che c’aveva fatto fare il giro della seda ben tre anni prima, all’epoca dell’uscita di “Durch den Monsun”.
-Giorno ragazzi! È bello rivedervi- sorrise cordiale, -Tutto bene? David e gli altri vi aspettano nella sala riunioni- ci informò.
Scambiammo qualche chiacchiera e qualche convenevole per poi raggiungere il manager.
Mi era mancata la sede della casa discografica, mi piaceva l’atmosfera che c’era al suo interno: vi lavoravano moltissime persone e ci si poteva confrontare sulla musica, c’era sempre qualcuno pronto a darti un consiglio e anche una critica quando serviva.
-Giorno!- salutammo in coro non appena entrati e accomodati attorno al tavolo.
-Bentornati a casa- ci fece l’occhiolino Dunja, -tutto bene ragazzi?- rispondemmo positivamente.
-Allora, immagino sappiate perché siete qui, no?- iniziò David, catturando l’attenzione di tutti, lasciando poi a me la parola.
-Beh, sto completando il percorso di riabilitazione, ho praticamente concluso il programma senza complicazioni. Posso già tornare a cantare, ho avuto una visita ieri con il medico e ha confermato la mia completa guarigione- sorrisi contagiando il management. –Quindi..-
-Quindi dobbiamo recuperare le date perse a marzo e aprile, ne sono state cancellate parecchie. Perciò stiamo procedendo con l’organizzazione di un ‘Open air summer tour’- informò.
Sospirai, mi sentivo combattuto. Morivo dalla voglia di tornare a cantare, era quella la mia vita. Salire sul palco, prendere il microfono e proseguire con lo show, sentire l’adrenalina, il contatto con il pubblico.. in questi mesi tutto ciò era mancato e ora ne avevo davvero bisogno.
La musica era una parte integrante della mia esistenza. Senza non sarei stato io.
Ciò che mi impediva di godere della notizia era Mel, anche lei era entrata a far parte di me, insinuandosi timidamente nel mio cuore e rimanendoci.
Che situazione difficile, senza via d’uscita.
-Quando potresti lasciare la clinica?- mi domandò Roth.
-Direi che potrei rimanere ancora due settimane, anche meno- mi strinsi nelle spalle.
Come l’avrei comunicato a Mel?
-Perfetto! Va bene con ciò che sto pianificando, per ora ho le prime date: tre maggio in..- fece una pausa, -America! Al ‘Bamboozle Festival’-
Fissai sbalorditi i miei amici, America! Era un sogno che si realizzava. Grazie David, grazie fans.
-Poi il primo giugno ci sarebbe il Rock in Rio a Lisbona, in tredici si tornerebbe in Germania a Dorthmund… scusate mi sto facendo prendere dall’entusiasmo- ridacchiò, -ma ciò deriva anche da tutte le lettere ricevute dalle fan, in questo periodo – non avendo nulla da fare – ne ho lette un po’, e tutte aspettano il vostro ritorno- affermò allegro.
-E noi le accontenteremo- sorrisi e cercai l’approvazione degli altri, ottenendola.
-Perfetto! Allora direi abbiamo concluso qui per oggi, avrò il mio da fare nell’organizzazione. Potete andare, grazie per essere venuti!-
David ci congedò, decidemmo di fermarci ancora un po’; Gustav, Georg e Tom uscirono nel giardino per fumare una sigaretta, io optai per una tappa alle macchinette, così da prelevare una RedBull.
-Non fa bene bere queste cose la mattina sai?- Natalie mi si affiancò, rimproverandomi scherzosa.
-Non mi hai neanche salutato!- sbuffò facendomi ridacchiare.
-Ciao Nat- mi sporsi verso di lei per darle un bacio sulla guancia. Era l’unica amica donna che avevo, mi stava affianco da quando avevo quindici anni, era una specie di sorella maggiore.
-Allora, ci siamo sentiti così poco! Ti vedo felice, da tempo non ti vedevo così spensierato- osservò fissandomi, mi conosceva bene.
-Sono innamorato- confessai in imbarazzo.
-Davvero? Oddio sono così felice per te, l’hai conosciuta alla clinica?-
-Si..- sospirai, -è una situazione complicata. Lei è malata, ha la leucemia da quattro anni-
-Oh- mi guardò afflitta per un attimo poi mi prese per mano e mi fece sedere al suo fianco, cingendomi la spalla con un braccio.
-Esatto, oh. Si chiama Mel, mi ha colpito subito. Sai, non conosceva neanche i Tokio Hotel- sorrise, -Mi piace parlare con lei, perché non conoscendo ‘Bill Kaulitz von Tokio Hotel’ vede solo me, con difetti e pregi. E ha imparato ad amarmi così. È stato difficile, non voleva saperne di me, diceva fossi solo un amico, e non ci ho creduto neanche per un attimo, lo vedevo nei suoi occhi… ha degli occhi magnifici, sono azzurro chiaro, a volte sembrano di ghiaccio, ma trasmettono una dolcezza inimmaginabile. Respingermi, lo faceva per me: non voleva che stessi con una persona malata, si preoccupa sempre degli altri e mette se stessa in secondo piano. Ho insistito, tanto- ridacchiai, -alla fine ha ceduto, la i dubbi ci sono ancora, forti. La vedo tentennante appena si accenna all’argomento “futuro”, perché so già che, non appena uscirò dalla clinica, fra noi sarà finita- chiusi un attimo gli occhi, -Non posso biasimare la sua scelta, la capisco. È la cosa più giusta per tutti e due.. non riesco ad accettarlo, mi impongo di non pensarci, perché fa male. Sono veramente innamorato di lei, e..- posai le mani sul viso, le labbra cominciavano a tremare, non volevo piangere.
-Cucciolo- mormorò, -E’ proprio complicata come situazione. Mi piacerebbe conoscerla questa ragazza, sembra una brava persona, soprattutto perché se ha conquistato il tuo cuore deve essere speciale. Capisco quanto tu soffra al pensiero della separazione, ma è la cosa più giusta in fondo. Una relazione a distanza sarebbe massacrante per entrambi, ne uscireste distrutti.- mi parlò con tono dolce, quasi materno.
-Come posso dirglielo? Fra neanche due settimane parto e non ci vedremo più? Se glielo comunicassi ora sono certo troncherebbe tutto subito per non soffrire. Di certo non posso dirglielo la mattina prima della partenza!-
-Non ci sarà mai un momento giusto per comunicarglielo- sorrise tristemente.
-Non mi resta che “Leb die Sekunde” direi- sussurrai.
-“I know that one day we’ll see again, try to go on as long as you can”, pensa a questo Bill, se è vero amore vi ritroverete-
La ringraziai, mi era mancata molto, sapeva sempre dire le cose giuste al momento giusto, aveva un talento innato per consolarmi.
-Ah Bill sei qui!- ci venne incontro Jost, -ti stavo cercando-
-Dimmi- cancellai ogni segno di tristezza e indossai una maschera da ragazzo felice ,ormai ero diventato bravo a
fingere.
-Ho parlato con il direttore della clinica per via dello show- annuì seguendo ciò che diceva, -Mi ha assicurato che I video fatti in quelle occasioni non vengono mai diffuse perché è una regola, quindi non avrai problem.
Suonerai per ultimo, “Wir sterben niemals aus” in versione acustica con Tom. Gustav e Georg sono impegnati con le loro famiglie e non possono partecipare-  
-Perfetto!- assentì io, -gli altri dove sono?-
-Mi hanno detto che ti aspettano in macchina per andare a mangiare qualcosa. Quegli ingordi- ridacchiò.
-Okay, allora ci vediamo sabato Dave- rispose con un cenno e sparì in ufficio.
-E Nat, teoricamente a.. fra due settimane-
-Mi raccomando, voglio essere tenuta informata- la abbracciai affettuosamente per poi raggiungere i tre bifolchi in macchina.
Raggiungemmo il primo ristorante disponibile, mandando sempre Gustav a prendere le cose da mangiare, per poi ingozzarci nella macchina di Tom, sotto sua stretta osservazione, attento che non sporcassimo la sua amatissima Samie.
-Tom,- disse Hagen ancora a bocca piena, -Puoi lasciare me e Wolfgang al solito pup, stasera dormiamo in albergo.. anche se non ho in programma di dormire, io- ammiccò.
-Va bene SexGottJunior- concedette mio fratello, lanciandogli uno sguardo di intesa.
Abbandonammo i due sotto al pub, uno dei più noti di Amburgo, per poi tornare nella triste Colonia. Inizialmente il viaggio procedette fra i miei e i suoi battibecchi, io non volevo sentire Deluxe e lui non voleva sentire Nena. Ci fu poi un momento di silenzio che scelse lui di interrompere.
-Ti vedo inquieto, centrano Mel e il tour, giusto?- mi guardò serio, bingo.
-Esatto-
-Se fossi stronzo – e lo sono, quasi sempre – ti direi “te l’avevo detto”, ma non mi sembra il caso. Sapevi a cosa andavi incontro quando ti sei messo con lei, anche io ero contrario, e ho fatto fatica ad accettarlo. Però Mel è stata chiara fin dall’inizio: una volta lasciata la clinica, avreste chiuso. È la cosa migliore, per quanto ti possa sembrare.. ingiusta. Mi dispiace, perché un pelino mi sono affezionata a quella ragazzina timida, un pelino.. ma non c’è altro da fare, non ci sono altre strade possibili-
Rimasi ad ascoltare tutto quello che diceva, raramente faceva uscire la sua parte “matura”, però quelle poche occasioni in cui lo faceva mi aiutava sempre a capire, perché Tom mi conosceva.. meglio di quanto io conoscessi me stesso.
-Goditi questi momenti, cerca di non farti condizionare dal futuro, come fa lei- mi fece promettere.
-Grazie- dissi riconoscente.
-Figurati, è questo a cui servono i gemelli, no? A impedire che l’altro si faccia mille seghe mentali inutile, così da cadere in paranoia.. e dover poi consolarlo per ore e ore- fece l’occhiolino e mi ritrovai a ridere delle sue parole.
E bravo Kaulitz, era riuscito a smorzare l’atmosfera e a farmi rilassare.
Grazie Tom.

* * *

Già sabato; avevo perso la cognizione del tempo e il giorno dello spettacolo era arrivato troppo in fretta. Mille paranoie e pensieri occupavano la mia testa, non ero riuscito a confessare a Mel che la settimana successiva sarei partito perché stava per ricominciare il tour, cercavo il momento giusto, sapendo non l’avrei mai trovato. Glielo volevo davvero dire? La risposta era negativa, era sbagliato non metterla a conoscenza di ciò, ma conoscevo le conseguenze qualora gliene vessi parlato.
Guardai il mio viso struccato, non era una bella visione: stanco, sciupato; avevo dormito poco a causa degli ultimi avvenimenti e ciò era ben visibile dalle occhiaie che risaltavano sulla pelle pallida. Svogliatamente cominciai ad applicare il fondotinta con attenzione, coprendo tutti i punti critichi. Passai al trucco, tirai una linea di eye-liner sopra e sotto gli occhi, presi l’ombretto nero coprendo la palpebra e sfumando con il grigio nella parte esterna. Solito trucco bistrato, era tanto che non mi truccavo con cura, nella clinica mi limitavo a qualcosa di più leggero; passai della cipria sulle guance e mi potei ritenere soddisfatto del risultato. Le imperfezioni erano sparite, ero perfetto.
Raccolsi un paio di jeans dall’armadio,  stretti e strappati. Cintura con le borchie, t-shirt con una stampa gotica, giacchino in pelle. Polsino grigio, bracciali e collane. Tenuta da palcoscenico. Passai nuovamente la piastra sui capelli e fissai qualche punta con della lacca.
Una goccia di profumo ed ero pronto.
Lo specchio rifletteva un Bill Kaulitz sicuro, sfrontato, sorriso tranquillo sul volto.
Immagine illusoria.
Il mondo dello spettacolo m’aveva insegnato a recitare, a mentire, nascondere ciò che pensavo veramente e ciò che era scomodo per la mia immagine. Business spietato, o segui le regole e verrai tagliato fuori. Tuttavia non ero la marionetta di nessuno io, tanti provavano a farmi cambiare, cercando di rendermi “normale”. Senza risultati.
Nessuna metteva i piedi in testa a me, cantante dei Tokio Hotel.
Nessuno mi poteva fermare, niente è più forte di chi lotta per un sogno.
-Ehi, sei pronto? Dobbiamo scendere- esclamò Tom entrando in camera mia.
-Sì- sospirai dandomi un’ultima controllata. Bill Kaulitz era tornato.

Lass uns hier raus, wir wollen da rein
In unserem Traum die ersten sein!
 Halt´ uns nicht auf „

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Capitolo 20
*** Capitolo XX (E) ***


(c)ADL

Capitolo XX

Stavo scendendo assieme a Tom quando mi arrivò un messaggio di Julia che chiedeva di passare da Mel prima, visto che non era ancora arrivata giù.
-Io vado da Mel, tanto noi suoneremo tra due ore minimo. Lei è circa a metà quindi..- ragionai a voce alta.
-Vai dal tuo amore- disse lui ridacchiando, -Io cerco qualcosa da fare intanto- strizzò l’occhio sparendo dalla mia vista.
Traduzione: Io cerco qualcuna da farmi intanto.
Bussai sulla porta ma, non ricevendo risposta, entrai comunque.
-Mel?- la chiamai, sentendo dei rumori provenire dal bagno.
-Bill? Sono in bagno. Ora esco- mormorò nervosa. Uscì timidamente con lo sguardo basso. “Dio, che bella” fu il mio primo pensiero.
Aveva indossato uno dei vestiti scelti da me al KaDeWe, azzurro e dal taglio semplice che le arrivava sopra al ginocchio. Ai piedi un paio di decolleté bianche, in tinta con il trucco chiaro del suo viso e il cappello. Gli occhi brillavano come due perle sul viso pallido. 
-Mi ha costretto Julia a mettere questo- farfugliò, chissà perché ma l’avevo già intuito.
-Perché ti vergogni?- domandai mentre il suo viso arrossiva, -Sei splendida- dissi sinceramente.
In quel momento alzò lo sguardo e lo punto sul mio corpo, squadrandomi con curiosità. Si soffermò sul viso, avvicinandosi e accarezzandomi le guance. Piccoli brividi mi percorsero la schiena, era l’effetto di ogni suo tocco.
-Non ti avevo mai visto così- parlò piano, -Sei così bello- le mie guance presero calore e distolsi lo sguardo, notai che si torturava le mani nervosamente.
-Paura?-
-Peggio- ammise, -Non trovo il coraggio d’uscire da qua. Sono troppo ansiosa!-
-Non devi averne, ci sono io che faccio il tifo per te- strizzai l’occhio.
-Ciò non mi rassicura per niente, sai? Non voglio fare una brutta figura davanti a tutti e a te!- borbottò.
-Infatti non succederà-
-Io da qua non esco- annunciò, sedendosi a gambe incrociate sul letto; trattenni a stento una risata, quando assumeva quell’espressione incavolata era davvero buffa.
-Se vuoi conosco un modo per allentare la tensione- sorrisi furbamente.
-Mh- mormorò confusa, guardando la mia faccia. Arrossì, aveva capito cosa intendevo.

* * *

-Bill, cavolo dobbiamo andare, tocca a me fra venti minuti!- disse agitata Mel, mentre si risistemava il bordo del vestito e controllava che il trucco non fosse sbavato.
-Andiamo- le sorrisi, passando la spazzola sui capelli leggermente arruffati.
Mi prese la mano, trascinandomi fuori dalla porta.
-Più tranquilla adesso?-
-Sì.. qualcosa mi ha fatto passare la tensione- arrossì imbarazzata.
-Contento di essere utile- scoppiai a ridere, per essere poi seguito da lei e la sua risata dolce.
-Andiamo da Julia?- propose, -E’ là- indicò l’amica intenta a truccare una sconosciuta. Annuì.
-Ehi ragazzi, agitati?- domandò finendo di passare del mascara sulla ragazza, per poi mandarla via e poter parlare con noi.
-Un po’- rispondemmo all’unisono. Ci fissò pensierosa per un attimo per poi avvicinarsi a me, con un ghigno malizioso sul viso. Strofinò il dito sul mio collo.
-Attento Kaulitz, qualcuno potrebbe chiedersi perché hai del rossetto qui- ammiccò in direzione della mia ragazza, che sembrò voler scavare una fossa per nascondersi al suo interno.
-Oh, bravo il mio fratellino che ha trovato un modo per sfogare la tensione!- spuntò Tom da dietro, facendomi sobbalzare. Idiota!
-
Taci Tom!- l’apostrofai, notando strani segni violacei sotto l’orecchio, -Vedo non ti sei risparmiato neanche tu- aggiunsi acido, mentre se la rideva.
-Siete troppo carini quando vi prendete a parole- fece Julia, -Sembrate due bambini-
-Perché lui è un bambino!- esclamammo entrambi nello stesso momento, additandoci. Maledetta telepatia gemellare! Però la scena era talmente comica che non riuscimmo a rimanere seri.
-Bravi i Kaulitz, uno più idiota dell’altro- commentò la castana.
-Concordo- l’appoggio l’altra.
-Vi siete messe d’accordo per rompere le palle, per caso? No perché mi piacerebbe saperlo, almeno mi posso preparare- intervenne Tom, scherzoso.
-Esatto, coalizione contro di voi!- Mel tirò fuori la lingua divertita, tutta l’ansia di prima era svanita.
-Quando tocca a te?- domandai.
-Dopo Serena, quella che deve cantare Gomenasai delle Tatu-
-Cioè, quella che è sul palco adesso?- indicai la biondina che si stava esibendo in quel momento.
-Merda- sussurrò spalancando la bocca, -merda, merda, merda!-
-Ha finito!- esultò Ju, -Vai e spacca piccola!- la incoraggiò.
-Ah..- balbettò, -aiuto-
Vedendola in difficoltà la presi da parte e lasciai che si accoccolasse sul mio petto, sentivo il suo cuore battere all’impazzata.
La potevo capire benissimo, agli inizi succedeva anche a me, poi riuscì a controllare il panico, nonostante il nervosismo prima di un concerto non sarebbe mai scomparso, come non tremare di fronte a miliardi di persone lì per te e la tua musica?
-Quando sarai là non pensare al pubblico, fai finta di essere in camera tua, con il tuo pianoforte. Nessuno ti ascolta, ci sei solo tu con la musica, tu e la tua passione, il resto verrà da sé- le sorrisi incoraggiante.
-Lo spero..- disse poco convinta.
-E ora è il turno di Mel Bauer! Un applauso- il direttore interruppe la nostra conversazione e fui costretto a staccarmi da lei, spingendola verso il palco. Mi guardò terrorizzata per poi prendere posto.
-Grazie- chiuse gli occhi come le avevo suggerito e prese un respiro, per poi cominciare a muovere le dita con sicurezza e dolcezza sulla tastiera, riproducendo la melodia di una famosa canzone.

You with the sad eyes,
don’t be discouraged, Oh I realized
it’s hard to take courage, in a world
full of people you can lose the sight of it all..”

Non avevo mai avuto modo di sentire pienamente la sua voce, ne rimasi incantato. Le sue mani fluttuavano dolcemente sui tasti d’avorio, sembrava li accarezzasse come una madre accarezza il figlio, con amore. L’espressione del suo viso era rilassata e infondeva tranquillità, la mia musa.
Al momento del ritornello dischiuse le palpebre vagando lo sguardo fra tutte le persone presenti, le quali la fissavano in adorazione, finché non lo inchiodò al mio, mi accorsi solo in quel momento di essermi avvicinato al palco inconsapevolmente, seguendo il richiamo della sua voce.
Mi fissò e lo intonò con tale dolcezza che, quasi, mi salirono le lacrime agli occhi.

But I see your true colors,
shining through, I see
your true colors..

Tornò a chiudere gli occhi, mentre io non riuscivo a pensare a nulla, se non a quanto fosse terribilmente meravigliosa, là con gli occhi chiusi e le labbra che si muovevano lentamente, seguendo la melodia creata dalle sue dita sottili.

“.. that’s why I love you”

Faticavo a prestare attenzione alla musica e a ciò che mi stava attorno, a causa del battito del mio cuore che rimbombava nelle orecchie. Quella frase pronunciata a volume più basso rispetto al normale mi fece tremare, era pur sempre una confessione, perché ero certo non avesse scelto quella canzone a caso, e il fatto che per un momento m’avesse guardato, per poi distogliere gli occhi dai miei e pronunciare quel pezzo mi aveva tolto ogni dubbio. Su quel palco stava cantando per me.

“True colors, are beautiful.. like a raimbow”

Quei tre minuti e quarantasei passarono senza che me ne accorgessi, mi sentivo catapultato in un'altra dimensione in cui c’eravamo solo io e lei. Respiravo lentamente, cercando di riprendermi. Era possibile amare una persona così tanto?
Cosa mi hai fatto, Mel?
Ho avuto più storie nella mia vita, eppure lei aveva annullato tutto. Mi sembravano tutte cose banali se confrontate a come stavo con la mia principessa, a come mi faceva sentire.
Ho conosciuto ragazze più belle, più estroverse, più semplici, tuttavia mi ero innamorato di Mel, timida e complicata, sempre in conflitto con se stessa, decisamente troppo pensierosa e altruista, debole fisicamente ma forte nell’animo.
Era unica. Era mia.

Lo scroscio di applausi che partirono una volta ebbe terminato mi riportarono bruscamente alla realtà, mentre lei scendeva frettolosamente imbarazzata e si catapultava fra le mie braccia.
Mi guardava timorosa, in attesa di un mio commento.
-Io.. non ho parole, sul serio.- ammisi serio, per una volta in tutta la mia vita non riuscivo a trovare i termini adatti per descrivere ciò che pensavo, -Mi tremano ancora le gambe. Dove tenevi nascosta quella voce, eh? Sei..  hai brillato su quel palco!-
Mi sorrise radiosa, mostrando gli occhi lucidi. Mi si strinse il cuore, ancora non le avevo detto nulla..
-Andiamo da Julia?- mormorò poi staccandosi leggermente.
-Tu vai, io devo raggiungere Tom, senti questo rumore?- accordi di chitarra, -Ecco, è lui che sta sistemando tutto per l’esibizione-
-Okay, non vedo l’ora di vederti suonare- disse con gli occhi che le luccicavano. Sorrisi in imbarazzo.
-Dai, a dopo allora- mi baciò e corse via, ancora euforica per l’esibizione.
Raggiunsi mio fratello e lo trovai seduto a lucidare la sua amata chitarra classica, una delle tante che possedeva.
-Allora, pronto?- domandò vedendomi arrivare.
-Sì, il mio primo “show” dopo due mesi di pausa! Sono un po’ nervoso- ammisi.
-Tanto andrai bene, come sempre- mi rassicurò allegro, anche a lui mancava la nostra vita.
-Non ne hai ancora parlato con Mel, vero?- domandò cautamente, riferendosi al tour. Negai, senza aggiungere altro.
In quel momento l’ansia aumentò, mischiandosi a una sorta di cattivo presagio.
-Dai, tranquillo- mi affiancò stringendo per un attimo la mia mano, sapeva sempre come comportarsi con me. Danke, Tomi.
-Tocca a noi!- esclamai, vedendo il tecnico ci faceva segno di avvicinarsi all’entrata. Il pubblico circondò il palco, dopo essersi sparpagliato durante la piccola pausa e fissava l’ambiente in attesa.
-Eccoci tornati dopo la piccola pausa- iniziò il direttore, -E.. ora tocca a due persone, ma penso le conosciate già!- a quel punto si discostò per farci entrare e mi passò il microfono.
-Ehm,- non avevo preparato un discorso, improvvisai le solite parole di rito, -Io sono Bill e lui è mio fratello Tom dei Tokio Hotel- presentai, anche se praticamente ci conoscevano già tutti, -Gustav e Georg non sono potuti venire, perciò ci esibiremo nella versione acustica di “Wir sterben niemals aus”, spero vi piaccia- sorrisi per sedermi vicino al chitarrista, il quale mi lanciò un’occhiata d’intesa, prima di passare il plettro fra le corde. Chiusi gli occhi prima di iniziare, riconobbi l’attacco e feci uscire la voce, si presentò sicura, graffiante.
La sala ammutolì, mi sentì soddisfatto. Giunta l’ultima strofa cercai Mel e, una volta trovata, la sussurrai nella sua direzione, “
So was wie wir
Geht nie vorbei.
” Vidi le sue labbra tremare leggermente, per poi arricciarsi commosse verso l’alto. 
Concludemmo e fummo travolti di applausi, guardai Tom e notai aveva la mia stessa espressione: felicità. Stavamo per scendere quando notammo il direttore tornare sul palco, girai lo sguardo al gemello e ricambiò con un’occhiata preoccupata.
-Volevo dire sono felice che tu ragazzo- mi indicò, -abbia recuperato la voce. È stato un piacere averti nella nostra clinica, e spero – per te – di non vederti mai più- le persone là sotto ridacchiarono, mentre io mantenni un’espressione neutra, -Detto questo, goditi i tuoi quattro ultimi giorni qui. Per chi ancora non lo sapesse il tour europeo dei Tokio Hotel riprenderà a breve, il giorno..- prese un foglietto fra le mani, nel frattempo i miei pensieri si erano focalizzati sulla mia ragazza, non doveva saperlo così!! La trovai con lo sguardo basso, le mani strette a pugno.
-Ah ecco, il primo giugno a Lisbona!- mi irrigidì, non poteva stare zitto?
Mel alzò lo sguardo e sussultai vedendolo vuoto.
Mi diede le spalle.
Corse via.
Via da me.

* * *

 

Era successo tutto troppo in fretta.
Un minuto prima ascoltavo Bill e Tom suonare la bellissima “wir sterben niemals aus”, un minuto dopo scappavo dal salone, improvvisamente troppo stretto e soffocante.
Avevo scollegato il cervello, i piedi si muovevano automaticamente e mi riportarono in camera. Chiusi la porta a chiave, buttandomi sul letto.
Non riuscivo a pensare, in testa rimbombavano le parole “goditi i tuoi quattro ultimi giorni qui”.
Non me l’aveva detto. Era andato a parlare con David. Le nuove date del tour erano state stabilite.
La partenza era stata decisa. E non me ne aveva parlato. Mi aveva mentito.
-Stupida, sei una stupida!- cominciai a sussurrare stringendo le gambe al petto.  -Lo sapevi, sapevi sarebbe successo..- cantilenai.
Ero a conoscenza se ne sarebbe dovuto andare, un giorno, però ultimamente ero stata talmente presa da lui che non ci avevo più badato.
-Grosso errore Mel, complimenti Mel- mordicchiai in labbro.
Dovevo aspettarmelo, la riabilitazione l’aveva conclusa, la sua voce stava bene, perché non mi ero posta il problema?
-Perché, eh, perché?-
Avevo cominciato la storia con Bill sapendo non avrebbe avuto una bella conclusione: se volevo il lieto fine l’unica cosa era andare a vivere in una favola. Impossibile.
-Perché sono stata così masochista? Perché sono stata così stupida?- digrignai i denti, -Ah, perché lo amo. Giusto. E perché, nonostante tutto, ho passato i momenti più bella mia vita con lui- mi risposi.
-E ora cosa farai Mel, eh?-
Cosa avrei fatto? Senza di lui? Le sue carezze, i suoi sorrisi, i suoi baci..
-BASTA!- urlai stringendomi disperatamente al cuscino.
All’inizio avevo immaginato questo momento, quello della “separazione”.
Ero consapevole avrei sofferto. Ciò che non immaginavo, era quanto. Sentendo lo sguardo di Bill sul mio vuoto riuscì a percepire il mio cuore farsi pesante e il respiro difficoltoso, gli elefanti del mio stomaco avevano smesso improvvisamente di saltellare e si erano ammassati al suolo.
È strano come tutto possa cambiare in pochi minuti.
Un momento sei al settimo cielo, il momento dopo sottoterra.
Era successo tutto troppo in fretta.
Cominciai a ispirare forte, mentre il mio corpo venne travolto da singhiozzi sordi e forti.
-C-calmati..- mi auto imposi.
A fatica mi alzai recuperando la mia vecchia agenda, giacente sul comodino dopo aver ricevuto il regalo da Tom.
Mi imbattei su quello che avevo scritto i mesi prima.

..Forse  ho trovato quella persona.
E penso la lascerò andar via.
E’ meglio per tutti e due.
Almeno ci sarà solo un cuore che piangerà,
e sarà il mio.
..Oggi ho toccato il cielo con un dito,
domani.. potrei schiantarmi al suolo.queequewqw

Sembrava passato un secolo da quando avevo scritto quelle parole.. cos’era cambiato da allora? Avevo capito di aver trovato quella persona, e l’avrei lasciata andare. E lo sentivo già, il mo cuore, a pezzi.
Voltai le pagine.

“Massimo un mese,
 poi farò tornare tutto come prima.”

E invece non lo avevo fatto, non avevo trovato il coraggio e in fondo neanche lo volevo, perché stava rendendo la mia vita migliore.
Cosa restava? Una consapevolezza: non sarei mai riuscita a far tornare tutto come prima. 

“..Da ora, grazie a lui,
tutto ha senso.
..Amore.

Sorrisi di ciò che avevo scritto, anche se facevano fottutamente male.
Senza di lui nulla avrebbe più avuto senso.
Le parole che più descrivevano quella situazione erano le stesse – ironia della sorte – scritte all’inizio di tutto:

A volte la vita è proprio complicata.
A volte è troppo ingiusta.
A volte, è semplicemente stronza.

Ero inerme e in balia di me stessa. Il trucco scivolava macchiandomi le guance, il vestito tutto spiegazzato. E pensare che, questa mattina, mi ero alzata di buon umore.
Presi una penna. Scrivere, avevo bisogno di scrivere.

“Sto piangendo come una stupida.
Comincio a sentirmi un po’ più leggera, però.
Sarà perché il mio cuore si sta svuotando lentamente?
Fa male. Sto male.
Crack. Lacrime. Crack.
Tutto troppo in fretta. Dovevo aspettarmelo.
Invece mi sono lasciata distrarre dalla felicità.
Non avrei dovuto farlo.
Forse, se fossi stata più attenta, forse..
No, sarebbe stato peggio.
Crack. Lacrime. Crack.
Quattro giorni ancora. Poi? Sparirà dalla mia vita.
Era quello che volevo.
Eppure l’unica cosa che sento è dolore.
Crack. Lacrime. Crack.
Cosa farò ora?
Un fantasma richiuso in camera.
Mi prenderò una pausa.
Dal mondo.
Da Bill.
Da me”

 

* * *

 

-Hei, perché mi hai chiamato?- domandò la ragazza, rivolta al rasta, il quale le aveva chiesto un incontro in maniera piuttosto urgente.
-Ho bisogno del tuo aiuto Julia- affermò serio, guardandola negli occhi castani.
-Dimmi Tom-  ricambiando il tono.
-Oggi pomeriggio ce ne andiamo dalla clinica- la giovane annuì, esattamente quattro giorni erano passati dallo spettacolo.
-Lo so. E quindi?-
-Non possiamo partire lasciando che le cose fra loro due non si chiariscano. Devono parlare, incontrarsi-
La giovane sorrise amaramente, negli occhi del ragazzo era percepibile tutta la sua preoccupazione.
-Bill sta male- spiegò, -Non l’ho mai visto così giù, neanche quando gli hanno annunciato era necessario operarsi. Non sorride, è terribilmente pallido, fa fatica a mangiare, ha lo sguardo perso nel vuoto, ormai non piange più. Mi distrugge vederlo così, mi sento inutile. Ha chiamato Mel solo una volta e, non ricevendo risposta, si è arreso.- confessò gesticolando.
-Non vedo Mel da sabato- sospirò, -Praticamente è sempre chiusa in camera, lascia entrare i medici per i controlli e ha fatto spostare le lezioni dalla biblioteca alla stanza. Ho provato a chiamarla ma ha il telefono staccato, mi sono piazzata davanti alla sua porta e ho bussato dieci minuti senza ricevere risposta o captare un movimento dall’interno, questo tutti i giorni-
Distolsero lo sguardo, cercando una soluzione perché non era possibile continuare in quel modo.
Vedere le persone a cui tieni soffrire e autodistruggersi faceva male.
-Ho un’idea- esclamò Julia, incitata poi a continuare, -Oggi pomeriggio il dottore va in camera sua e la visita. Conosco bene Rossella, l’infermiera, che ha anche una relazione con lui.. quindi potrei parlare con lei e sicuramente riuscirà a convincere il medico a saltare la visita, così Bill busserà alla porta al suo posto, lei aprì e tuo fratello può approfittare per entrare, che dici?- come ragionamento, pensò lui, non faceva una piega.
-C’è un dettaglio però, Bill non vuole incontrarla. Cioè, non è che non “voglia”, visto come è fuggita allo spettacolo ha deciso di rispettare la sua decisione, nonostante stia soffrendo come un cane.. Potresti parlarle te?- propose.
-Non mi ascolterebbe, penso ascolterebbe te però-
-Perché dovrebbe?-
-Tu sei schietto e da subito sei stato contrario a una loro relazione, quindi starebbe a sentire ciò che hai da dire perché non le hai mai nascosto i tuoi pensieri, capisci che intendo?-
Tom Kaulitz annuì. Era ora di fare qualcosa.

* * *

Stavo bene.
Dal giorno dello spettacolo non avevo messo piede fuori dalla camera, ma stavo bene.
Avevo assunto un colorito un po’ più pallido, ma stavo bene.
Pian piano l’appetito andava scemando, ma stavo bene.
Mi ero rifugiata nello studio preparando la tesina, ma stavo bene.
Avevo ricominciato ad ascoltare la musica classica al volume più alto per non pensare, ma stavo bene.
Quando ero libera prendevo dei sonniferi per dormire e non riflettere, ma stavo bene.
Non accendevo il telefono da sabato, ma stavo bene.
Stavo bene, perché non dovrebbe esser stato così? In fondo era successo tutto come da programma, crogiolarmi nel dolore non serviva.
Me lo  ripetevo ogni minuto “è tutto okay, Mel”, ingannando me stessa: fingendo di crederci.
Sapevo non mi sarei potuta comportare così a lungo, l’essere umano ha bisogno di aria fresca e contatti umani, ogni tanto.
Rinchiusa nella mia stanza mi sentivo protetta, nessuno poteva entrare – se non il medico e la professoressa – e vedere in che stato versavo.
Non avrei sentito le persone parlare della partenza annunciata del cantante, non avrei rivisto Julia che m’avrebbe riempito di domande per capire come stavo. Isolata avevo trovato un modo per far finta di nulla, per pensarci il meno possibile, appena uscita avrei dovuto dare troppe spiegazioni, il che significava ammettere a me stessa che era finita, non sarebbe stato più il mio Bill e che ero sola.
Non ero pronta a fare i patti con la verità: ciò che facevo era ignorare.

-Sei un po’ patetica, eh Mel?- sussurrai guardandomi allo specchio mentre applicavo uno strato di fondotinta sul viso per coprire le occhiaie e rendere la mia pelle meno giallognola. Mi liberai del pigiama e indossai una vecchia tuta in attesa di sentir bussare Güllimber.
Appena sentì i colpi sulla porta feci girare la chiave e aprì la porta. La figura che mi si parò davanti, bloccandomi la possibilità di farlo uscire dalla camera, non era il dottore, decisamente.
Jeans larghi, t-shirt che arrivava al cavallo dei pantaloni, scarpe da ginnastica, rasta..
Tom Kaulitz era entrato e non sembrava intenzionato ad andarsene. Merda!
-Che vuoi?- domandai schietta, prendendo le distanze.
-Parlare, vengo in pace- alzò le mani al cielo, distolsi lo sguardo.
Era troppo uguale a Bill, stessi occhi. No, guardarlo faceva male.
-Il dottore?-
-Non viene-
Aspettò una mia risposta, che non arrivò.
-Perché ti comporti così?- esordì richiamando la mia attenzione.
-Così.. come?-
-Non gli hai lasciato spiegare, sei scappata, hai spento il telefono. Perché?-
-Cosa doveva spiegare? Per quale motivo avrei dovuto tenere il cellulare acceso? Non mi ha detto che sarebbe partito, ha fatto finta di nulla! Poteva dirmelo, no?- alzai la voce senza accorgermene.
-Credi volesse tenerti all’oscuro? Conosci Bill, non è fatto così. Ha provato a dirtelo, ma non è una cosa facile da comunicare. Non appena te l’avesse detto ti saresti allontanata e lo sai che è vero. Voleva solo godersi gli ultimi momenti qua! Non sei l’unica che sta soffrendo, eri a conoscenza di cosa sarebbe successo! Però hai scelto di iniziare una storia con lui, e credo sia valsa la pena, no?- riuscì solo a annuire debolmente, colpita dalle sue parole.
-Fra poco partiamo, non è giusto né per te né per lui lasciarvi in questo modo!- esclamò cercando il mio sguardo, -Sarebbe solo peggio, le cose rimarrebbero in sospeso. Dovete parlare, dovete chiarire!-
Tutto ciò che aveva detto era giusto e sensato, Tom sapeva essere maturo e giusto, soprattutto quando si trattava di suo fratello. Se era arrivato a venirmi a parlare vuol dire che il gemello doveva stare proprio male, come me.
-Pensaci- concluse, -Non hai tanto tempo Mel- addolcì il tono.
-..- sospirai, -Grazie- mi sorrise triste abbracciandomi, risposi al gesto sorpresa.
-Fa la cosa giusta piccola- mormorò nel mio orecchio, prima di sparire oltre la porta.
Come se fosse facile! Il rasta aveva detto tutte cose giuste, eppure non volevo scendere da Bill.
Avevo paura del confronto? No, semplicemente temevo la reazione del mio corpo di fronte a lui, di fronte alla consapevolezza l’avrei lasciato per sempre. Perché doveva essere così complicata la vita?  
Sospirai, guardandomi attorno e fissando poi il vuoto, mi alzai non so quanti minuti dopo per andare in bagno, dove lavai il viso, dovevo riprendere il contatto con la vita vera.  Posai l’attenzione al vaso di fiori vicino alla finestra: tulipani, ciclamini,
Presi la mia decisione, prelevai un gambo di e lo infilai nella borsa, uscendo velocemente da là, dopo quattro giorni di clausura. Per paura di trovare l’ascensore occupato feci le scale di corsa, raggiungendo poco dopo la stanza. Aprì di scatto.
Come un automa raggiunsi il comodino posandoci i fiori, se li avesse visto avrebbe capito – sapeva conoscessi il linguaggio dei fiori.
Guardando la stanza capì che era una speranza inutile. Era vuota.
Se n’era andato.   

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI (I) ***


(c)ADL

Capitolo XXI 

Quando aspetti qualcosa con ansia il tempo sembra non passare mai, quasi le lancette rallentassero per farti un dispetto, succede il contrario se ciò che attendi è spiacevole e non vorresti arrivasse, tutto accelera. Aggiungiamo il fatto che, è cosa nota, se sei felice succede qualcosa che ribalta la situazione facendoti ripiombare nel dolore; se le cose vanno male, è certo peggiorino ulteriormente.
Ho sempre pensato questo e niente mi aveva mai distolto dalla mia teoria, in quanto si era sempre rilevata esatta.
Maggio si era concluso ed erano passati dieci giorni dal mio ultimo incontro con Bill.

Guardavo la stanza in cui alloggiava il cantante. Era svuotata. Come me.
Ero arrivata tardi, ecco cosa succedeva a rimuginare troppo senza ascoltare l’istinto. Ed ora..?
Mi sedetti sul letto prendendo il viso fra le mani, sentivo le lacrime pulsare desiderose di uscire, le ricacciai all’interno.
-Mel?- scoprì la faccia e rimasi sbigottita vedendo il cantante di fronte a me, stupito anch’egli dalla mia presenza.
-Avevo dimenticato la matita in bagno..- si giustificò abbassando lo sguardo.
-Io.. sono venuta per parlarti, è troppo tardi?- confessai tentennante.
-T-ti ascolto- si sedette cautamente al mio fianco, evitando ogni contatto. Eravamo entrambi a disagio.
-In realtà non so cosa dire- non avevo preparato alcun discorso, le parole alla fine uscirono da sole; -Ho reagito male, non dovevo scappare così ma in quel momento mi sono sentita tradita, ho pensato solo a me stessa e mi ci è voluta una ramanzina da parte di tuo fratello per mettermi nei tuoi panni e capire perché non me l’hai detto..- la voce aveva iniziato a tremare, -sapevamo sarebbe finita così, l’ho messo in chiaro fin dall’inizio- continuai, -e non ho cambiato idea-
Accanto a me il moro respirava lentamente, torturandosi le mani perfettamente curate in modo nervoso.
-Fa male..- sussurrò con voce carica di tristezza.
-Lo so. Però è la cosa migliore-
-Saperlo non rende le cose più facili- ribatté, non seppi che rispondere.
-E quelli..?- domandò dopo qualche istante di silenzio, indicando i fiori posati sulla mensola.
-Camelia, ciclamino, rosa canina e tulipano – nei linguaggio dei fiori indicavano rispettivamente: sacrificio, inteso come un impegno ad affrontare ogni sacrificio in nome dell’amore, rassegnazione e addio, piacere ma anche sofferenza e dolore e infine un tulipano rosso, il vero fiore simbolo dell’amore, era una dichiarazione silenziosa.
-Lo so questo- sorrise lievemente, -intendevo dire, cosa significano?- sapevo me l’avrebbe chiesto.
-Affetto, tristezza, mancanza, speranza- mentì, non sembrò credere alla mia frettolosa risposa, ma non aggiunse altro.
-Devo andare- rimasi zitta, se avessi parlato sarebbe uscito un rantolo. Impercettibilmente si alzò dal letto e si piazzò davanti a me, per poi baciarmi dolcemente sulla fronte. Pensavo il mio cuore sarebbe esploso in quell’istante.
Si diresse verso la porta con passi incerti. Si fermò davanti alla porta, voltandosi nella mia direzione.
- Il vero amore dura per sempre, supera ogni ostacolo e tempo. Ci amiamo e niente potrà impedirci di stare assieme, un giorno-
Volevo trovare una risposta adeguata a quella affermazione, ogni parola che mi veniva in mente mi sembrava banale.
Perciò ricambiai con un sorriso che era un misto di tante cose: rassegnazione, tristezza, amore, speranza, addio.
Abbassò gli occhi e notai un luccichio che nascose prontamente coprendosi con gli occhiali da sole. Stava piangendo. A causa mia.
-Addio..-  riuscì a mormorare talmente piano che temetti non m’avesse sentito.
-Arrivederci- rispose invece lui, dolcemente, per poi uscire dalla mia stanza. 
…e dalla mia vita.

Strinsi i pugni, non dovevo pensare a lui. In quei mesi era diventato come una droga e ora mi sentivo in piena crisi di astinenza; la cosa inoltre si riflesse anche nella mia salute: tutti i miglioramenti fatti dal suo arrivo erano stati velocemente spazzati via in seguito alla sua partenza.
Non mi sentivo affatto bene, eppure continuavo a mentire ai medici, per un unico motivo: la promessa fatta a Julia un mese prima: dovevo andare con lei al concerto dei Tokio Hotel. Era il minimo potessi fare per sdebitarmi da tutto quello che faceva per me in quel periodo.
A parte il fatto che fossi tornata del mio colorito giallognolo accompagnato da mancanza d’appetito e da una leggera febbre – il tutto nascosto ai miei medici grazie a fondotinta/cestino dell’immondizia per il cibo/acqua fredda per ingannare il termometro, mi ero obbligata di pensare a lui il meno possibile, il che era inutile perché era sempre nella mia testa. Col tempo magari sarei riuscita a rimuoverlo dalla testa.
Balle, non ce l’avrei fatta, mai. Il suo nome pronunciato da qualcuno, oppure solo sentire le prime note di una canzone del gruppo mi provocavano brividi e lacrime che faticavo a controllare. 
La verità era che Bill aveva lasciato una cicatrice troppo grande sul mio cuore che mai si sarebbe rimarginata. L’avrei portato con me per sempre. Non avrei mai amato nessuno come lui, e questa consapevolezza mi distruggeva.
Stare male non mi impedì però di partire con Julia alla volta di Dorthmund per il concerto del tredici giugno.
Avevo ingannato i dottori, se avessero saputo le reali condizioni in cui versavo non mi avrebbero lasciata uscire. Io dovevo vederli, ne avevo bisogno. Da lì avrei ricominciato a vivere, almeno ci avrei provato. Di certo non potevo immaginare le cose sarebbero andate in maniera totalmente diversa…
Così la mattina del dodici ero partita insieme alla mia amica alla volta dell’arena, armate di zaino, tenda, cose da mangiare, vitamine, libri da leggere, parole crociate, bottiglie d’acqua, ombrello e asciugamano.
-Non posso credere domani vedrò i Tokio Hotel dal vivo.. grazie Mel, è un sogno che si realizza!- esclamò sistemandosi la parrucca bionda per poi sistemare un ciuffo fuori posto dalla mia.
-Mi fa strano vederti coi capelli- ridacchiò.
Era una precauzione: di comune accordo avevamo scelto di fare la notte: guadagnare la prima fila significava poter poggiare sulla transenna e avere un minimo spazio per respirare, senza scordare la vicinanza al palco.. non potevamo però rischiare di farci riconoscere dai ragazzi, avevamo optato perciò in una sorta di “travestimento”.
-Che facciamo?- domandai davanti al parcheggio dell’arena, ancora vuoto.
-Cerchiamo se ci sono altre fan in giro- l’idea non mi alettava, passare due giorni vicino a delle ragazze che parlavano costantemente di loro poteva risultare fastidioso, soprattutto se erano fissati coi gemelli o su Bill, avrei sopportato le battutine su di lui? No.
Tuttavia seguì Julia e vagammo un po’ a vuoto, finché non individuammo una tenda piantata di fronte all’entrata della location.
-Andiamo verso di loro, probabilmente la fila inizia da lì- suggerì io, mentre lei era già partita sparata.
Ci avvicinammo e udimmo un chiacchiericcio fisso provenire dalla tenta, non capivo la lingua. Appena appoggiammo le nostre cose a terra il parlare si interruppe e due ragazze fecero la loro comparsa, probabilmente attratte dal rumore.
-Hallo!- esclamò la più bassa, -Io sono Ludovica, preferisco Ludo, e lei è Anna- presentò l’altra.
-Mel e Julia, piacere!- sorridemmo, avevano l’aria simpatica.
-Da quanto siete qui?- domandò la mia amica curiosa.
-Oh, ieri pomeriggio- ridacchiò Anna, quella alta e riccia.
-Cosa, così tanto?- ero stupita.
-Già! Però vogliamo la prima fila e questo è l’unico modo! Poi ci siamo accaparrate un posto all’ombra, non penso riusciremo a resistere sotto al sole ad aspettare, inoltre siamo venute in Germania solo per questo- spiegò Ludo.
-Non siete tedesche?-
-No! Siamo italiane!- ridacchiarono, -I biglietti per le date in Italia erano esaurite così abbiamo convinto i nostri genitori a mandarci per l’estate qua, con la scusa di fare le ragazze alla pari, anche se lo scopo vero è partecipare a questo concerto!-
-Siete pazze!- affermò Ju allegra, non potei che trovarmi d’accordo.
-Ma no, okay forse un po’- rise la riccia, -Però.. per i Tokio Hotel questo ed altro! Siamo fan dal 2005, dai loro esordi e aspettiamo di vederli dal vivo da.. tanto, troppo tempo!- continuò l’altra, -E voi da quando siete fan?-
-Io dagli inizi,- prese parola la mia compare, -poi ho convertito lei-
-Oh! Che bella cosa convertire qualcuno! Benvenuta nel fantastico mondo dei Tokio Hotel quindi!- mi sorrisero, io ricambiai imbarazzata.
-Canzone preferita?- domandai.
-An deiner Seite- rispose Anna, -Non so neanche il perché, è qualcosa di troppo.. troppo! Ogni volta che l’ascolto mi viene in magone, praticamente mi manda a puttane lo stomaco!-
-Io invece adoro “1000 Meere”, per lo stesso motivo di An!- si scambiarono un’occhiata di intesa, -voi?-
-Spring nicht, mi ha tirato fuori da un momento difficile- ammise la – momentanea – bionda.
-Io amo Heilig, perché.. mi ricorda tante cose- e perché me l’aveva dedicata lui.
 -Avete un preferito?-
-Tom è un gran figo- esordì la mia amica,  scossi la testa, era la solita! –Peccato sia uno spaccone, secondo me- mi fece l’occhiolino.
-Se proprio devo scegliere direi Bill- annuì Ludo.
-Anche io, mi piace Bill- convenne Anna.
-In che senso, ti piace?- mi venne spontaneo chiedere.
-Non intendo dire di esserne innamorata, quello mai!- arricciò il naso, -Non so neanche io come spiegarlo, la prima volta che li ho visti sono rimasta colpita, abbigliata da Bill! Dal suo modo di fare, il suo stile androgino, la sua bellissima voce! Poi ha un bellissimo sorriso. Quando esce una foto mi viene spontaneo cercare lui, ho il computer pieno di sue foto ed è pure lo sfondo del mio cellulare! Adoro la sua risata, adoro tutto. Però “amore” è una parola troppo esagerata, non mi sento di etichettare così. Più che altro è un’ossessione-  
-Decisamente ossessionata!- l’amica le diede una pacca scherzosa sulla spalla, -Dovreste leggere quello che scrivere su di lui!- esalò con occhi sognanti.
-No, lasciatela perdere, stanotte ha dormito poco e spara cazzate- la prese in giro, -A te invece Mel?-  cambiò velocemente discorso.
-Ahm..- dissi in difficoltà, -Mh, Bill. Così- scossi le spalle, mentre sentivo la mano di Julia prendere la mia per infondermi sicurezza. Ricambiai la stretta.
-Piuttosto, datemi le mani- porgemmo il palmo e con un indelebile vi segnarono i numeri 3 e 4 sopra.
-E’ per tenere l’ordine, così abbiamo la prima fila assicurata- illustrarono.
-Quindi, appena aprono i cancelli, domani sera.. oddio non voglio pensare a quanto tempo manca ancora!- sbuffò la castana, -Beh, appena aprono si corre! Facciamo in modo di trovarci vicine, okay?-
-Certo!-
-Quindi, che facciamo ora?- chiese Julia perplessa.
-Io andrei a dormire, in questi giorni non ho chiuso occhi per l’ansia!- e perché cercavo di immaginare come avrei reagito di fronte a Bill…
-Va bene- brontolò la bionda, -Vedi di non fare il ghiro fino- mi ammonì.
-Buonanotte allora!- mi augurarono prima di vedermi sparire nella tenda appena piantata. Frugai nello zaino e tirai fuori la scatolina con tutte le varie medicine, estraendo un sonnifero. Dal giorno dello spettacolo non ero più riuscita a dormire serena ed ero costretta a prendere delle pillole, altrimenti avrei passato la notte insonne. Passai una mano sul viso sudato, la testa pulsava dalla mattina, probabilmente avevo qualche linea di febbre, però dovevo tenere duro: per me, per Julia, per rivederlo. Ingoia la pasticca e caddi in un sonno indotto.

-Non è che ha i tappi per le orecchie?- sentì parlare qualcuno vicino a me.
-Insomma, ha preso sonno stamattina alle nove, e sta tirando avanti da dieci ore, è normale?-
-Per lei sì!- risero.
-Mel, su svegliati!-
Ignorai le voci e mi girai dall’altra parte, alimentando ulteriori risate.
-Fanculo- borbottai aprendo gli occhi, -Rompipalle- le apostrofai guardandole male.
-Dai, volevamo farti vedere una cosa- mi trascinarono fuori e subito fui avvolta dall’aria tiepida, per poi spalancare la bocca incredula di fronte a ciò che avevo davanti. Il parcheggio si era riempito di persone, erano spuntate altre tende e l’atmosfera era effervescente.
-Wow..- soffiai.
-Già! Guarda, siamo una famiglia. Tutte qua per vedere i Tokio Hotel, noi dall’Italia e tanta gente da diverse parti della Germania. Osserva, tutte diverse, eppure unite dalla passione verso il gruppo- mormorò con un groppo alla gola Anna.
-Chissà se i ragazzi si rendono conto di quello che stanno scatenando- aggiunse Ludovica.
Fu in quel momento che riuscì a comprendere a pieno le parole di Bill quando parlava della sua vita da star, degli orari difficili e della mancanza di privacy, aggiungendo che ne valeva la pena, veniva ripagato in pieno durante i concerti, vedendo le ragazze urlare con lui, saltare, piangere.
Per una fan avere il biglietto per il concerto del proprio idolo rappresentava la via per la felicità.
-Andiamo a fare conoscenze!- esclamarono le due italiane trascinandoci con loro attraverso le varie tende.
-Siete pazze!- ridemmo spensierate, -Però avete ragione, la serata è ancora lunga!-
Non ho mai parlato tanto quanto quella notte, girovagammo per ore, finché non decidemmo di ritornare alla base alle cinque di mattina, dopo aver conosciuto molte ragazze, condiviso storie e cantato tutte assieme.
Stanca e con i piedi doloranti mi buttai sull’asciugamano augurando la buonanotte a Ju. Aspettai che s’addormentasse per prendere un altro sonnifero, non volevo capisse mi sentissi poco bene.
Mi svegliai sentendo il sole scaldare attraverso la tenda, faceva dannatamente caldo. Mi misi a sedere e, a causa del movimento troppo veloce, vidi nero per qualche istante mentre la testa girava.
La mia amica era ancora placidamente addormentata, con un sorriso stampato in volto. Frugai nella mia borsa e ne estrassi il badge, per poi rigirarlo fra le badge fra le mani. Il badge era un tesserino che Tom aveva fatto avere a Julia poco prima di partire, non era come un normale biglietto: essendo rilasciato dalla Universal, lasciava la possibilità di accedere al backstage e valeva per tutti gli show del tour estivo. Ne erano disponibili pochi, inoltre costavano moltissimo.
E noi lo avevamo.
Guardai l’orologio: era già l’una. Cinque ore e avrebbero aperto i cancelli, una strana adrenalina mi pervase il corpo.
-SVEGLIA!- urlai catapultandomi addosso alla bionda, ridendo vedendola sobbalzare spaventata.
-Idiota!- mi insultò massaggiandosi l’orecchio, -Non posso perdere l’udito prima del concerto!-
-Fra cinque ore aprono i cancelli, penso sia meglio mangiare qualcosa, sennò come rimaniamo in piedi dopo?- domandai sarcastica.
-Cinque ore? Oddio! Oddio! Oddio! Oddio! Oddio! Non sono pronta! Oddio!- si alzò e si mise a saltellare.
-Va a vedere se le altre si sono svegliate, io devo cambiarmi- 
Appena uscì ingerì una pasticca e subito mi sentì meglio: mi ero svegliata con un atroce mal di testa e senso di nausea, senza contare la fronte calda e i brividi di freddo nonostante l’afa. Poi mi svestì per indossare la t-shirt del gruppo – l’unica cosa che non era finita rilegata nell’angolo dell’armadio, in fondo era regalo di tutta la band, non solamente suo – e un paio di shorts. Accarezzai la collana con l’anello, non avevo il coraggio di toglierla. Sistemati i “capelli” raggiunsi la mia amica nella tenda delle italiane, impegnate a emettere una serie di urletti eccitati e facce di tutti i tipi.
-Mi fate paura!- esordì sedendomi fra loro.
-Zitta, l’ansia ci sta distruggendo! Hai dato un’occhiata fuori?-
Tutto pieno, peggio della sera precedente. Tutte attaccate, non era rimasto spazio neanche per camminare. Qualche migliaia di fan, cose di poco conto, insomma.
-E’ spaventoso. Se penso non si esibiscono live da marzo impazzisco!- esclamò Ludo.
-Già, ammetto di.. ehm.. essermi messa a piangere quando ho scoperto di Bill- confessò imbarazzata.
-Mh, non sei l’unica. Siamo legate ai Tokio Hotel, vedere il loro sogno infrangersi sarebbe come vedere il nostro distruggersi-
Quelle due erano una continua sorpresa, mi stavano molto simpatiche senza contare fossero molto alla mano e disponibili. Decisi di proporre l’idea che m’era venuta in mente appena svegliata.
-Sapete,- chiamai l’attenzione, -Io e Julia abbiamo i badge-
Le due spalancarono la bocca in modo terribilmente comico, infatti sia io che la mia amica non riuscimmo a trattenere una risata, aveva capito dove volessi arrivare.
-Solo che fra due giorni partiamo per l’America per un viaggio studio- mentì, -quindi non potremmo usarli-
-Cioè, no un attimo- mi interruppe la riccia, -Come avete ottenuto i badge? Per quel che so ce ne sono pochissimi, un paio per un contest e gli altri costano.. un sacco!-
-Ce li ha dati ehm, David Jost!- si inventò Julia.
-Sì, e io sono Tom Kaulitz- rispose sarcastica Ludovica.
-In effetti il livello intellettivo è quello…- commentai ricevendo un’occhiataccia.
-Non l’ha dato proprio a noi in persona- continuò, -Mia mamma lavora nella clinica in cui è stato ricoverato Bill e grazie a ciò ha conosciuto il manager. Hanno fatto amicizia e alla fine, quando ha scoperto la figlia fosse fan, le ha dato questi due badge- era talmente brava a dire bugie che quasi ci cascai anche io.
-Fate schifo, ma davvero! Se non fossi una persona civile vi ammazzerei per rubarveli- 
-Non servirà, come ho già detto quest’estate non ci saremo. Perciò..- lasciai finesse Ju.
-..perciò possiamo fare uno scambio: voi ci date quelli di questa data e noi il badge-
-Voi siete fuori di testa, state scherzando, spero!-
-No, non abbiamo la possibilità di usarli, sono sicura nelle vostre mani saranno valorizzati al giusto- spiegai.
Era quello che pensavo, avevano organizzato un viaggio in Germania solo per vedere il gruppo – senza dirlo ai genitori, ci avevano trattato benissimo e si vedeva lontano un miglio quanto amassero la band. Meritavano quel badge più di me, avevo già avuto la mia occasione di incontrarli e, comunque, mai sarei entrata nel backstage. Non avrei sopportato un incontro con Bill.
-E stasera, voi perdereste l’opportunità di accedere al backstage??!??-
-Mia mamma ha ancora il numero di Jost- fece l’occhiolino alle italiane, -Quindi avremo altre occasioni, voi no. Quindi tacete e accettate-
E dall’abbraccio in cui fummo accolte capì la richiesta fosse stata accolta.

 

Spingevano. Avevo caldo ma anche freddo. Mi girava la testa. Spingevano. Alzavo la testa in cerca di ossigeno. Spingevano.
-Julia, mi sento tanto la fettina di formaggio in mezzo ai due pezzi di carne dell’hamburger- commentai stringendole le mano.
-Noi non ci sentiamo proprio invece- esclamarono con voce strozzata le italiane. Eravamo spappolate contro il cancello, ancora poco e avrebbero aperto.
-WIR WOLLEN TOKIO HOTEL!- iniziarono i cori da dietro e in poco tempo la piazza risuonava di quell’unica richiesta.
Wir wollen Tokio Hotel, non riuscivo a connettere, sia perché versavo in pessime condizioni fisiche, sia perché l’adrenalina mi annebbiava il cervello.
Rumore di passi, porte che piano si aprono. Sguardi di intesa con le mie compagne.
-Uno, due, tre- sussurrammo all’unisono. E corremmo.
Le gambe andavano per conto loro, passo dopo passo sempre più veloce, respiro affannato, polvere alzata, sole che scotta. Mani intrecciate con le ragazze. Il palco che si fa sempre più grande, sempre più vicino.
Un sospiro, un’esclamazione generale.
-Ce l’abbiamo fatta- la prima fila era nostra. Il parterre si riempì, sentivo i chiacchiericci della fan, io però ero zitta e immobile.
Prima fila, centrale. Ancora poche ore e Bill sarebbe stato di fronte a me. Zeit l
äuft.
-
Non ci posso credere- esclamò Ludovica stringendo il badge al petto.
-E.. è.. il mio sogno che si realizza- seguì Julia con lo sguardo puntato al palco. Arricciai le labbra all’insù, aveva conosciuto i Tokio Hotel eppure i suoi occhi avevano quell’espressione trasognata che leggevo in tutti i visi delle persone attorno a noi.
-La serata più bella della nostra vita sta per iniziare!- e non potei che sorridere d’accordo. Ancora non sapevo quanto quella frase fosse sbagliata..

-WIR WOLLEN TOKIO HOTEL!- urla.
-TOKIO HOTEL, TOKIO HOTEL!- isteria collettiva.
Luci che si spengono.
Silenzio
Un colpo. Batteria.
Ecco basso e chitarra.
LUCE.
E fu il chaos.

Attorno a me c’era confusione, mi sentivo schiacciata contro la transenna, le mie mani erano stritolate da Anna e Julia.
La mia mente era in crisi. Il mio cuore? Sembrava d’aver un martello pneumatico nella cassa toracica. Bum bum.
Occhi spalancati e bocca socchiusa, senza parole di fronte a lui, Bill Kaulitz.
Pantaloni stretti, scarpe nere, t-shirt gotica, occhi perfettamente truccati, unghie smaltate, collane e anelli che probabilmente pesavano più di lui, capelli sparati in aria.
Una visione talmente perfetta da far star male. Non era bello, di più. Stringeva il microfono con sicurezza, appena la sua voce si mischiò con la musica le urla che si alzarono fecero tremare la terra e anche Bill, avevo imparato a conoscerlo, vedevo la mano libera muoversi a scatti mentre il piede batteva furiosamente a terra.
Era nervoso.

Ich hab heut 'n anderen Plan,
und der geht dich gar nichts an..”

Seguivo ogni suo movimento con maniacale attenzione, non volevo perdermi nulla di lui. Guardava la folla con aria commossa mentre si muoveva sul palco con fare sicuro ed elegante. La sua vita era quella, la musica. Vederlo così, sul suo habitat naturale, non poté che farmi capire la scelta avessimo fatto fosse stata la più giusta, anche se averlo a pochi passi da me e sapere di non poterlo toccare faceva sanguinare il cuore. Mi sentivo così debole.. ogni canzone scivolava su di me lasciandomi addosso un sapore amaro che rispecchiava quello delle lacrime che avevano iniziato a bagnarmi il viso.

Jetzt sind wir wieder hier,
Bei dir oben auf´m Dach..”

Die Strassen leer - ich stell' mich um
Die Nacht hat mich verlor'n..“

„Ab heute sind die Tage nur noch halb so lang..“

„Ich halt den Brief, in meiner kalten Hand..“

 

E arrivò anche quella canzone. Mi sentì mancare, come se l’energia fosse scivolata fuori dal corpo appena capito che Bill stava per annunciare la traccia successiva.
-Questa canzone è per le persone che amiamo, perché alcune di loro hanno un ruolo fondamentale nella propria vita..- si interruppe e lo vidi deglutire, mentre i suoi occhi si fecero più lucidi, -E saranno per sempre sacre. Ecco.. Heilig!-
La terra mancò sotto ai miei piedi, sentire la sua voce così vicina, tremare leggermente dall’emozione che io potevo capire.. fu come se tutte le persone attorno a noi svanissero, eravamo io e lui, come la prima volta che me la cantò.

“Ich halt mich wach - für dich
Wir schaffens nicht beide - Du weisst es nicht..“

E come era iniziata terminò. La band sparì per un momento dietro alle quinte, c’era la pausa. Bene, anche io avevo bisogno di riprendermi.
-Ehi, tutto bene?- domandò Julia, vedendomi impalata da un po’ di minuti.
-Sono.. scombussolata- ammisi, -Non hai idea di come mi senta in questo momento. Tutto così confuso.. Hai visto.. quanto bello è? Sono così orgogliosa di lui- mi asciugò una lacrima, abbracciandomi.
-E io sono orgogliosa di te. Ricordati poi che se si è ripreso è anche grazie a te. Ora bevi un po’, sei pallida- mi allungò una bottiglia d’acqua.
Non avevo sete, le uniche cose che percepivo era il battito del mio cuore e il respiro affannato, per il resto era tutto annullato.
Avrebbero potuto spararmi, non me ne sarei accorta.
-Si ricomincia!- urlò Anna al mio fianco, con gli occhi terribilmente lucidi.
Schrei, Schwarz, Stich ins Glück, Übers Ende der Welt, Reden, Wir sterben niemals aus, Spring nicht – in quella canzone Julia pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, Geh, Ich bin nich‘ ich, Wo sind eure Hände, Durch den Monsun, In die Nacht, Rette mich, Vergessene Kinder.
 
Pregai che il tempo si fermasse in quel momento, la fine stava arrivando troppo in fretta.
-Buonasera!- urlò Bill avvicinandosi al pubblico, -Grazie mille per essere qua- ogni sua frase era accompagnata dalle nostre urla, -Dopo due mesi di attesa sono tornato.. e conto di rimanere ancora per molto!- sorrisi.
-E’ stata un’emozione grandissima stasera- già, Bill, non immagini quanto.
-Questa è l’ultima canzone, per dirvi che, nonostante tutto, noi saremo sempre al vostro fianco!-
Le dolci note di “An deiner Seite” risuonarono per l’arena mentre fummo abbracciate da una pioggia di coriandoli argentati.

..Du bist nicht alleine

Un sussurro dolce e poi furono inghiottiti dall’oscurità. Era finita.

* * *

Dopo aver salutato Anna e Ludovica, raccomandando loro di non dire da chi avevano ricevuto il badge, eravamo tornate alle tende per sistemare tutto e raccogliere le cose abbandonate là al momento della corsa.
Nessuna di noi due parlava, eravamo stordite da quella serata. Sentivo ancora le urla sulle orecchie e la terra vibrare sotto i piedi.
Mi sedetti a terra per un momento, venendo colpita dalla verità: tutto si era concluso. Vedere Bill felice sul palco mi fece comprendere fosse l’ora di rassegnarsi e tornare alla realtà, una realtà senza di lui. Ce la potevo fare?
Improvvisamente tutte le fatiche della giornata pesarono sul mio corpo già debilitato e mi sentì debole. Le mie gambe tremavano, erano sporche di terra e con qualche graffio; la testa aveva ripreso a pulsare e girare, la pancia sussultava ad ogni respiro.
Posai una mano sulla fronte e trattenni a stento un’imprecazione. Scottava. Mi feci i complimenti da sola, tenendo nascosto il mio malessere avevo solamente peggiorato la situazione: ignorare la malattia e i sintomi non mi faceva guarire. Anzi.
Mi alzai a fatica per raggiungere Julia.
-Hey- mormorò piano, ancora sottosopra.
-Mi fai un favore?- domandai a fatica, la gola bruciava.
-Sì-
-Chiama l’ospedale-
-Che..?- mi fissò spaventata.
-Sto male- sussurrai un attimo prima di abbandonarmi sull’asfalto e sbattere la testa a terra.
Brava Mel, ecco cosa succeda quando fai di testa tua. E ora?

 

* * *

C’è movimento nella stanza.
Bip, bip.
Gli occhi sono aperti eppure non riesco a focalizzare le cose intorno a me.
Bip, bip.

Tutto è opaco e offuscato.
Bip, bip.
Sento sto perdendo il controllo del mio corpo.
Bip, bip.
Il respiro rallenta e qualcosa mi viene messo sul viso.
Bip, bip.
L’elettrocardiografo produce suoni più acuti e ravvicinati.
Bip, bip, bip!
-Signorina Bauer, resista!- sento dire da qualcuno.
“Ci provo”, vorrei rispondere. Non ci riesco…
Le gocce di pioggia sbattono rumorosamente sui vetri.
Lentamente inizio a sentirmi meglio, in pace.
Il dolore svanisce. L’ambiente viene inghiottito dal nero.
Silenzio.  Chiudo gli occhi.
È estate. Fuori il cielo è in tempesta.
E il mio ultimo pensiero va a lui.

„Ist das der letzte Regen bei dir oben auf´m Dach?
Ist das der letzte Segen und unsere letzte Nacht?
…Hat unser Ende angefangen!“

Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip.

* * *


Mi domando se qualcuno stia ancora leggendo questa storia ahahah
Mi faccio pena da sola, perché l'ho finita da così tanto tempo..

L'epilogo arriverà a breve!

 

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Capitolo 22
*** Epilogo (T) ***


(c)ADL

    Epilogo

Wir durchbrechen die Zeit

Neither a sky
can divide
two lovers.
Shy and sweets feelings
overcome distance.
When it rains an angel is crying;
the sun shines, someone’s smilin’.
Unusual and rare rainbow
connect them.
Even the earth
bows before two hearts
 which are beating
together,
after lots of time.
Love is immortal. 

2009
Ho sempre odiato i cimiteri, li trovavo inquietanti, troppo silenziosi. Le persone vi si recavano con lo sguardo basso, gli unici rumori udibili erano i tacchi delle signore e il fruscio dei fiori che venivano sostituiti per posizionare un mazzo più bello e nuovo.
Come se ai morti importasse qualcosa dei fiori sopra le loro tombe fredde.
Facevo di tutto per non doverci andare da piccola assieme ai genitori, durante la festa dei morti. Al massimo c’avrò messo piede due - tre volte.
Questa volta però avevo messo da parte la repulsione verso quei luoghi e sostavo davanti all’entrata, fissando quell’imponente cancello di ferro e il cartello che vi sostava sopra.
“Cimitero di Venezia.
Aperto dalle 8 alle 19, tutti i giorni.
Siano rispettati i defunti mantenendo il silenzio”

Avevo una conoscenza parziale dell’italiano, ciò che era scritto però non mi interessava. Ero salita su un aereo che m’aveva portato da Amburgo a Venezia per visitare una persona. Sentivo di doverglielo.
L’aria di ottobre era tiepida rispetto a quella che soffiava in Germania, tuttavia fu istintivo chiudermi nel mio cappotto, come a cercare protezione.
Odiavo i cimiteri anche perché, per quanto forte potessi essere, trovarmi davanti alla tomba di un conoscente faceva sempre male.
Un colpo di vento mi fece traballare, mentre i capelli uscirono dal cappuccio per sventolare in tutte le direzioni. Con gesto secco li riportai dietro alle orecchie. Mossi i primi passi verso la tomba, cercando di ricordare le indicazioni ricevute per arrivarci. L’unico suono in quel posto opaco era il ticchettare della suola delle scarpe sulla ghiaia bagnata dalla pioggerellina che scendeva ininterrottamente da un paio d’ore.
Vagai con lo sguardo finché non trovai ciò che cercavo. Mi ero sempre domandata perché avesse scelto di farsi seppellire in Italia e non nella sua patria, la Germania. Ci arrivai col tempo: amava l’arte, lo spettacolo e la penisola racchiudeva tutto ciò che più adorava, da qui il desiderio di rimanere vicino alle sue passioni, nella città in cui il tempo s’era fermato, con il teatro che tanto amava – La Fenice.
Con delicatezza posai un girasole sopra la tomba, accarezzandola con delicatezza.
-Scusa se ci ho messo tanto per venire a trovarti- non c’era nessuno quel giorno, eppure parlavo piano, in soggezione.
-Come saprai in quel periodo sono stata sopraffatta dagli eventi. Non voglio giustificarmi.. non sono neanche venuta al tuo funerale. Stavolta non perché avessi altro da fare, sinceramente non me la sono sentita- confessai.
-Non so se c’è vita dopo la morte, non so se mi ascolti- continuai io, intrappolata in una conversazione forzatamente unilaterale, -Spero di sì. Sono venuta qua per scusarmi, potevo esserti vicina di più, forse ti ho delusa- sospirai.
-Inoltre volevo dirti che ce l’abbiamo fatta, il sogno creduto irrealizzabile alla fine si è realizzato, sai? È uscito il libro, ho due copie in borsa. Le altre saranno rilasciate nei negozi il 6 ottobre. Per ora le recensioni di chi l’ha letto in anteprima sono tutte buone, anzi ottime! Ci sono già delle prenotazioni, sarà un gran successo a quanto pare- sorrisi.
-Sono in Italia da una settimana, inizialmente dovevo restare solo un giorno, il tempo di venire qua e tornare.. poi però dopo lo stress per l’uscita del libro, tutti gli incontri con la casa editrice, ho pensato fosse bene prendermi una vacanza. Questo paese è bellissimo, hai fatto bene a scegliere questo posto per dormire- chiusi un momento gli occhi, -Si sta facendo tardi, è meglio che vada. Sai quanto mi inquietino i cimiteri- rabbrividì.
Lasciai un’ultima occhiata alla tomba grigia con sopra un girasole giallo e uscì frettolosamente, alla ricerca di un taxi che mi portasse all’aeroporto.
Una volta in volo riuscì a rilassarmi, mi sentivo più leggera ora che anche quella visita era fatta.


Atterrai ad Amburgo che era sera, l’aria fresca mi fece colorare le guance, mi ero già disabituata al clima tedesco. Presi il trolley e lo posai nel bagagliaio della mia macchina, la quale giaceva nel parcheggio del terminal dalla partenza. Avevo un’altra cosa importante da fare.
Per distrarmi accesi la radio.
-Buonasera ascoltatori! Un avviso per le fan dei Tokio Hotel, restate sincronizzate perché domani i ragazzi verranno a trovarci in studio per parlare del loro nuovo album! Humanoid, che uscirà il sei di questo mese! E ora godetevi “With me” dei Sum41!-
La voce dello speaker si dissolse per lasciar spazio alla canzone. Spensi la radio; ero rimasta ferma alle parole “Tokio Hotel” che rimbombavano nella mia testa. Destino voleva mi stessi recando proprio all’Universal. Giunta alla sede tirai fuori un bigliettino scritto quasi due anni prima, ormai sbiadito da quanto era stato maneggiato. Estrassi poi la copia del libro incartata alla perfezione e la lasciai sul luogo indicato dal foglietto.
Trovarmi lì mi costava parecchia fatica, venivo tempestata da flashback che rappresentavano i momenti più felici della mia vita, tuttavia sapevano portarmi ulteriore sofferenza e dolore.
Me ne andai in fretta, tenendo lo sguardo basso, neanche avessi fatto un reato.
Erano le nove quando tornai a casa, fu un sollievo rimettere piede nella mia dimora e potermi finalmente buttare sul divano.
-Ehi!- neanche il tempo di appoggiare la testa sul cuscino che fui circondata dalle braccia della mia coinquilina nonché migliore amica.
-Non saluti?- mi rimproverò.
-Credevo dormissi- feci spallucce.
-Com’è andata in Italia? Non ti sei fatta sentire!- mi ammonì severa, si preoccupava sempre ogni volta che andavo via; -mi hai fatto stare in pensiero.. Mel- proseguì poi con tono più rilassato.
-Scusami- risposi, -Ero talmente impegnata che mi sono scordata di accendere il telefono- mi giustificai, -Sono stata a Roma, ho visitato un sacco di posti, poi gli ultimi due giorni gli ho trascorsi a Venezia. Prima di partire sono riuscita ad andare al cimitero- mi sorrise orgogliosa, sapeva la repulsione verso quel luogo.
La persona per la quale avevo fatto quel lungo viaggio era mia nonna, deceduta quando avevo poco più di quindici anni. Eravamo molto legate, era lei che mi accudiva ogni volta mancavano i miei genitori, è grazie a lei se avevo sviluppato l’amore per la scrittura fin da piccola. Mi leggeva sempre favole e storie, per poi passare a libri più impegnati. A dieci anni mi regalò la raccolta delle opere di Jane Austen, poi ogni volta che l’andavo a trovare aveva qualche nuova lettura per me, da Freud a Emily Dickinson, da poesie a tragedie. La prima persona a conoscere il desiderio di diventare scrittrice, la prima ad incoraggiarmi. Una volta entrata in scena la leucemia però, i rapporti si raffreddarono: la clinica era a Colonia e non aveva la possibilità di venirmi a trovare, d'altronde neanche io volevo faticasse per raggiungermi e poi vedermi in condizioni che sicuramente l’avrebbero fatta star male. La notizia della sua morte fu una doccia fredda per me, non me l’aspettavo. Nonostante non ci vedessimo sempre le volevo davvero bene, e soffrì molto in quel periodo. Non riuscì a partecipare al funerale, sia perché la malattia mi aveva debilitata molto e non mi era permesso lasciare la struttura, sia perché non ne avevo fatto richiesta: non ero pronta a assistere al suo funerale.
Leggere mi aiutava a sentirla vicina, inoltre se non avevo mai mollato il mio sogno era grazie a lei.
-Per questa volta passi- riferì lei per poi scrutarmi attenta, la conoscevo bene per capire volesse dirmi qualcosa, la mia Julia. Da quando si era presentata in camera mia, neanche due anni prima, per chiedermi come stavo non ci eravamo più separate. Mi aveva aiutato moltissimo, aveva il compito di essere la mia “coscienza”. Mi era stata accanto anche nel periodo successivo alla separazione da lui, se non fosse stato per lei non ne sarei uscita viva. Non mi aveva abbandonato dopo il concerto, quando la malattia aveva preso il sopravvento e sembrava sarei morta. Invece il mio cuore smise di battere per qualche istante, qualche scossa di defibrillatore e riprese la sua attività. Quattro a zero per me.
Alla fine eravamo uscite insieme dalla “Kölner Klinick”. Dopo quattro anni di lotta contro la leucemia riuscì a sconfiggerla. Definitivamente.
Così come Julia era tornata a mangiare regolarmente, senza preoccuparsi del suo aspetto.
-Cosa vuoi chiedermi Ju?- l’anticipai vedendola in difficoltà.
-Hai intenzione di dare una copia del libro a lui?- domandò con cautela, scrutando ogni mia reazione.
Lui. Dal giugno dell’anno prima il suo nome non era mai stato nominato, sostituito da quella particella che pronunciata faceva meno male.
Lui, colui che era entrato nella mia vita sconvolgendola per uscirne troppo presto.
Lui, colui che in un paio di mesi era entrato nel mio cuore per non uscirci più.
Lui, colui che m’aveva insegnato ad amare e a essere felice nonostante tutto.
Lui, l’innominabile che, nonostante fosse passato più di un anno, non aveva abbandonato i miei pensieri.
Lui, la persona più bella che avessi mai conosciuto.
Lui, che continuavo ad amare.
Non averlo affianco faceva dannatamente male, più cercavo di non pensarci, più il suo volto si presentava nella mia mente portando con sé una marea di ricordi. Da quando aveva oltrepassato i cancelli della clinica per tornare al tour la mia vita era diventata piatta. Era impossibile provare le sensazioni che lui mi faceva sentire, i brividi che solo il suono della sua voce provocava lungo la mia schiena.
Ero guarita, eppure non trovavo il senso a un’esistenza senza la mia superstar. Avrei voluto, avrei potuto cercarlo, il suo numero l’avevo cancellato dalla rubrica, però rimaneva impresso nel mio cervello. Non l’avrei fatto, era troppo egoistico presentarsi da lui dopo un anno: come potevo sapere qualcuna non avesse preso il mio posto nel suo cuore? E se mi avesse dimenticata? Era la cosa migliore, era quello che speravo facesse..
Tutto ciò che me lo ricordava era stato archiviato in una scatola sotto al letto; le foto, i vestiti che m’aveva comprato, i vari oggetti che aveva dimenticato in camera mia; ciò di cui non ero riuscita a sbarazzarmi era la collana con l’anello come ciondolo, con inciso “Heilige Muse”. Era sempre al suo posto, non sarei riuscita a separarmene, anche se forse sarebbe stato meglio.
Il fatto che i Tokio Hotel fossero spariti dalla scene per un po’ m’aveva aiutata, almeno non correvo il rischio di trovarmeli davanti ogni volta accesa la tv. Ora però le registrazioni dell’album erano terminate, e scherzo del destino.. sarebbe uscito in contemporanea al mio libro.
-Uh, ci sei?- mi riportò alla realtà Julia.
-Si scusami, stavo pensando..- a lui, lo capì senza che specificassi; -Comunque.. fatto anche questo. Gliel’avevo promesso-
Tempo prima quando confessai sarebbe uscito sotto “falso nome” mi aveva fatto promettere gli avrei inviato una copia, altrimenti non era sicuro sarebbe riuscito a leggerlo. E io, incantata da quegli occhi da Bambi, non riuscì a fare altro che annuire.
-Come gliel’hai fatto avere?- si agitò, sapevo sperava trovassi il coraggio di portaglielo di persona. Mai.
-Mi aveva lasciato un bigliettino con le indicazioni per farglielo avere. L’ho consegnato a Natalie, la truccatrice.. non credo abbia capito cosa sia, però sono certa glielo farà avere perché prima di trovare lei ho dovuto fare un giro.. sai tutti i controlli di sicurezza, le varie porte.. ti giuro sembrava un labirinto! Comunque una fan che non avesse avuto delle informazioni precise non sarebbe mai riuscita a raggiungerla- le spiegai.
-Ah..- mormorò, -Posso vedere il libro ora?- cambiò argomento velocemente, curiosa.
Non l’aveva mai visto, non sapeva com’era la copertina, non sapeva il titolo. Era un progetto solamente mio, mi aveva visto scriverlo ma non sapeva di cosa trattasse, mistero. Annuì e lo estrassi con calma dalla borsa.
-Ecco BILL- pronunciai l’ultima parola in un sussurro.
-Bill?- mi squadrò interrogativa.
-B.I.L.L- indicai il titolo sulla copertina, -Beh, ich liebe leider- il nome che avevo scelto accuratamente.
Nulla era casuale, né le lettera che formavano il suo nome, né la lunghezza; la formattazione era stata curata da me, così che in totale le pagine risultassero quattrocentoottantatre.
-Sei un piccolo genio- sorrise affettuosamente, concentrandosi sull’immagine di copertina, -Ma questa non è..?- la riconobbe.
Già- assentì, -comunque questa copia è per te, così puoi leggere e darmi un tuo parere-
-Oddio, grazie! Non sai quanto fossi curiosa di sapere ciò che scrivevi!- esclamò, -E non sai la tentazione di frugare nel tuo computer e leggere ciò che avevi buttato giù!- confessò.
-A parte il fatto che è tutto protetto da password- ridacchia di fronte alla sua espressione imbronciata, -Ti avrei spezzato le manine se lo avessi fatto- aggiunsi.
-Ma guarda te che gente!- mugugnò, per poi tornare seria.
-Hai lasciato un recapito sul libro? O una dedica, almeno?- mi fissò circospetta.
-No. Ho solo mantenuto una promessa, nient’altro. Non gliel’ho dato con la speranza tornasse da me, è una persona famosa che vive in un mondo fatto di soldi e ragazze. Mi avrà dimenticata, ne sono certa- ammisi, sentendo il dolore che ogni parola causava al mio cuore.
-Non ti ha dimenticata- esclamò certa e sicura, mentre scuotevo le spalle. Che ne sapeva lei?
-Se non ti ostinassi a tagliarlo fuori dalla vita capiresti che non è così-
-Non lo taglio fuori dalla mia vita!- rimbeccai piccata, -Non puoi escludere qualcuno che non ne fa parte! È passato un anno, io mi sono rifatta una vita e anche lui di sicuro! Ho smesso di pensarci- bugia, grande e grossa bugia. Una volta uscita dalla clinica mi ero buttata a capofitto nel progetto del libro, così da tenere la mente occupata. Ciò che me lo ricordava era stato segregato in un angolo. Non avevo più ascoltato un loro cd, non avevo più preso in mano la moleskine regalo del fratello, né indossato i vestiti. Si vedevano in tv e cambiavo canale, in radio la spegnevo, un giornale lo buttavo.
-Non puoi mentire a me Mel. Soffri, si vede distante un miglio, sai da quando non vedo un tuo sorriso vero? Troppo. E non riesci neanche a pronunciare il suo nome, è sempre lui- mi sgridò severa, non osai replicare, aveva ragione.
-Guarda questa intervista, è fresca di oggi- mi porse un cd che teneva nascosto in mezzo a dei libri, -e ragionaci su-
Mi lasciò così da sola, con in mano quel dischetto, mentre nella mia testa si facevano spazio tante domande e interrogativi.
Conteneva delle risposte quell’oggetto?
Lo inserì.
Play.

* * *

E anche settembre era finito, lasciandosi alle spalle l’estate e il calore. Sarei dovuto essere rilassato dopo la vacanza trascorsa assieme a Tom alle Maldive, invece ero ancora più teso di quando fossi partito.
Era stato un anno duro, il tour estivo per rimediare alle date cancellate a causa dell’operazione alle corde vocali era stato impegnativo, ogni giorno in una città diversa, senza un attimo di pausa. Eppure non mi ero lamentato per gli orari, per le date così vicine, per la stanchezza.
Non ne vedevo motivo, era quello che volevo. Dopo il riposo forzato l’unica cosa che volevo era tornare a cantare e immergermi nuovamente nella frenetica vita da tour, comprese le fughe dalle fan e le alzatacce per interviste e photoshoot. Un altro lato positivo dell’essere così impegnato era il non pensare a lei.
L’ultima volta che la vidi risaliva al giugno 2008, da quando lasciai Colonia non ebbi più sue notizie. Mi ero illuso, speravo in un messaggio, un segno, qualcosa. Era straziante non sapere se stava bene, se fosse ancora viva.
Da allora non aveva mai abbandonato la mia testa, pensavo a lei in ogni dannato istante, rischiavo di impazzire. Con l’andare dei mesi però ho imparato a convivere con la consapevolezza non sarebbe tornata. Eppure.. l’amavo, continuavo ad amarla. Il nostro era un legame troppo forte per essere spezzato così. “Il vero amore dura per sempre, supera ogni ostacolo e tempo. Ci amiamo e niente potrà impedirci di stare assieme, un giorno” Era ciò che le avevo detto prima di partire, allora ne ero convinto ma con il passare del tempo cominciai a dubitarci. La cosa più dolorosa era sapere non sarei più riuscito a innamorarmi di un’altra ragazza, non sarei riuscito ad amare nessuno come lei, e neanche volevo. Avrei aspettato di rivederla.. sempre.
 
“Everybody say that time heals the pain, I’ll be waiting forever.. that day never come”

Le canzoni del nuovo album erano nate grazie a lei, la musa che mi dava ispirazione. Contenevano frasi che magari m’aveva detto, contenevano ciò che provavo per lei.

“Du tust mir gut , Du tust mir weh
Ich bin im Kampf der Liebe“

Il foglio che mi aveva dato una delle prime volte in cui ci eravamo incontrati, come le avevo annunciato, era divenuto una canzone, “lass uns laufen”. Sperai che lo ascoltasse, sperai avrebbe capito il significato della parole aggiunte da me.

“Ich weiss nicht was kommt
Ich weiss nicht was war
Ich weiss nur du bist nicht mehr da“

E poi c’era “Zoom”. La nostra canzone. A suonarla però non era lei, ma Tom.  È stata la canzone più difficile da registrare, la voce tremava però volevo fosse presente a tutti i costi nel cd, era la più significativa per me.

“Bist du irgendwo da draussen
Zu schwach um zu weinen?“

Lei era fuori da qualche parte, qualcosa dentro di me si rifiutava di pensare fosse morta, ero convinto fosse viva. Sicuramente Julia mi avrebbe avvertito in caso contrario, oppure la madre.. avevo ancora i numeri salvati, bastava una chiamata per sapere qualcosa. Mi mancava il coraggio. Avevo paura di sapere le fosse successo qualcosa, paura si fosse rifatta una vita con qualcun altro..

“6 Milliarden Menschen , wie krieg' ich Kontakt zu dir?”

Avevo provato a vedere altre ragazze, più che altro Tom coglieva ogni pretesto per presentarmi a qualcuna. Inutilmente. Potevo vedere tutte quelle che voleva, tanto nel mio cuore rimaneva sempre e solo lei.

“Wie'n Geisterfahrer, such ich dich
Wie'n Geisterfahrer
Um endlich bei dir zu sein„

Era un disco personale, era una confessione. Mi ero messo a nudo, persone esterne non avrebbero capito il significato oltre ogni parole, tutto era polivalente. Era la mia ultima speranza, altrimenti mi sarei dovuto mettere il cuore in pace, una volta per tutte. Dovevo smettere di amarla, impossibile.

“Why do I keep loving you?
It's so automatic”


Scossi la testa furiosamente, capitava spesso mi incantavo pensandola, ora però dovevo lasciare spazio ad altri pensieri per concentrarmi sull’album e sull’intervista che avevamo lì a poco.
-Ehi, sei pronto?- domandò Tom sistemandosi la fascetta che copriva la sua nuova capigliatura.
Album nuovo, stile nuovo, voglia di cambiare, metamorfosi.
Così dopo dieci anni aveva detto addio agli amati biondi dread per lasciare spazio a delle treccine nere e scure, a detta degli altri li donavano un aspetto un po’ inquietante, secondo le ragazze era solamente più figo. Seguì il suo esempio e abbondai la chioma cotonata, sistemando i capelli in sottili dread neri, con qualcuno bianco.
-Sì- annuì, mentre Saki ci scortava nello studio televisivo. Mi era mancato dare interviste, nei mesi precedenti ne avevamo rilasciate poche, sommersi negli studi di registrazione tedeschi e americani.
Ci sedemmo tutti e quattro su un divanetto e venne a presentarsi la giornalista. Chissà perché tutte donne!
-Allora, oggi come annunciato in studio.. i Tokio Hotel! Ci parleranno del loro album, in uscita nel fine settimana- annunciò e il pubblico scoppiò in un sincero applauso.
-Allora, intanto, tutto bene? Com’è ritornare alla vita frenetica?-
Il microfono fu passato direttamente a me, come solito.
-Bello- sorrisi sentendo qualche urlo da parte del pubblico, -In questi mesi abbiamo viaggiato molto, poiché l’album è stato registrato un po’ in Germania ma anche a Los Angeles, perciò non siamo stati tanto fermi, tranne per agosto, siamo andati in vacanza. Nonostante sia faticoso riprendere certi ritmi, è quello che vogliamo fin da piccoli, stiamo vivendo il nostro sogno perciò il “frenetico” non ci spaventa- spiegai.
-Capisco. Ora per quanto riguarda l’album, partiamo dal nome: Humanoid, perché?-
-E’ un termine che viene dal linguaggio fantascientifico, significa “simile all’uomo”. Si pronuncia diversamente nella lingua inglese e tedesca ma si scrive nello stesso modo, e volevo che l’album avesse un solo nome in tutto il mondo-
La scelta del nome giusto aveva richiesto parecchio tempo, alla fine ne avevamo trovato uno adatto.
-L’unica traccia per ora rilasciata in rete è “phantomrider”, intanto vi faccio i complimenti perché la trovo molto bella e dolce, cosa ci dici su questa canzone?- si rivolse direttamente a me stavolta, poiché era scritta da me.
-Sono contenta le piaccia- dissi, -E’ sul come essere vicini a qualcuno che non hai mai incontrato davvero. Vuoi scappare da qualcosa e vuoi che quest’anima gemella/fantasma venga via con te perché è l’unica cosa in cui hai fiducia-
La scrissi giusto un anno prima, pensando a lei, ovviamente.
-In che versioni è disponibile?-
-C’è la versione album classico, sia in inglese che tedesco, poi un “fan pack” e una edizione “deluxe”- rispose Tom.
-Ho sentito dire ci sono molte collaborazioni- affermò, annuimmo.
-Esatto, per esempio The Matrix, Guy Chambers, Red Uno, Desmond Child, e altri-
-Parlaci delle canzoni, il vostro manager mi ha inviato in anteprima il cd- le fan urlarono, invidiose, facendola ridere. Oca.
-Com’è stato il processo di scrittura?-
-Sono state scritte in tempi diversi, alcune addirittura a marzo del 2008, come Humanoid, solitamente appunto pezzi di frase che mi vengono in mente, poi il resto viene da sé, oppure sento gli altri suonare e penso a qualcosa di adatto per quella musica-
Continuò a fare domande, dalle vecchie tournée al rapporto con i fan, la nostra famiglia e gli atti di stalking, finché non arrivò la domanda che mi mise un po’ più in difficoltà..
-Ho notato leggendo le note dei ringraziamenti e co-produzioni, mi scusino le fan per lo spoiler, una cosa.. ossia più volte è presente un nome: Melpomene. Chi è questa persona?- ammiccò come se avesse scovato un gran segreto.
Mi irrigidì, mentre Tom capendo il mio stato d’animo mi prese il microfono di mano.
-Beh, non è propriamente una persona- annuì d’accordo, poteva sembrare una bugia, ma era la verità: non era una “persona”, era la ragazza che amavo.
-Melpomene in mitologia è la musa della musica- spiegai, l’espressione della giornalista cambiò capendo non era riuscita a fare uno scoop, -Ci sono stati dei momenti in cui faticavo a trovare le parole, poi però tutto si è risolto, e mi piace pensare sia grazie a lei- strizzai l’occhio, mentre Tom ridacchiava ,-Questo album è nato grazie a lei- sperai che lei vedesse l’intervista e capisse il significato della frase.
-Va bene!- si capiva che non era soddisfatta, la mia vita privata era blindata.
L’intervista durò un’altra mezz’oretta, fu un sollievo terminare.
-Dio ma quanto parlava quella la!- sbuffò Georg una volta in auto, diretti a casa.
-Più di Bill- intervenne Gustav, -e questo dice tutto- fece la linguaccia.
-Non fai ridere- lo rimbeccai.
-E la domanda su Mel.. poteva risparmiarla- esclamò contrito mio fratello, facendomi sorridere. Sapeva era un argomento delicato per me.
-Già, però avevo messo in conto avrebbero potuto chiedere qualcosa, in effetti è un nome nuovo e mai comparso nei versi cd- scossi le spalle, fingendo indifferenza. Per quanto scomoda fosse la domanda, dava la possibilità a lei di capire che non era stata dimenticata. Per nulla.
-Inutile che fai l’indifferente, ti sei irrigidito subito non appena l’ha nominata, poi vedi che è lei, non hai più detto il suo nome.
Abbassai lo sguardo, colpito in pieno dalla sua – seppur debole – accusa. Non risposi, infilai le cuffiette e feci partire la musica per abbassare il volume dei pensieri. 

Rientrando nell’appartamento notai la presenza di un pacco regalo poggiato sopra la cassetta della porta, con sopra un biglietto.

“Non so cosa sia, l’ha portato una ragazza stasera e sembrava piuttosto.. nervosa.
Ho pensato di portartelo subito, mi sembrava importante! (: Baci, Nat”

Mi recai velocemente in camera, sedendomi sul letto con l’oggetto fra le mani.  Il pensiero fosse da parte sua mi attraversò la mente, poi mi diedi del pazzo, non poteva essere.
Scartai con lentezza la confezione, osservando basito il contenuto.
Un libro.
Era stato incartato in modo che, una volta tolto l’involucro, la parte visibile fosse il retro e non la copertina. Non casuale.
Dietro era stampato un pezzo di dialogo, estratto dalla storia, lessi.

-Cosa vorresti fare prima di morire?- Mi domandò William, sorridendo.
-Vivere- risposi stoicamente, dando una scrollata alle spalle.
-Sam! Hai quasi diciotto anni, possibile tu non abbia dei sogni?- mi fissò sbalordito.
-No, è troppo complicato; implicherebbe aver un’idea sul futuro, delle certezze che mi mancano,
e la speranza si possano realizzare- Al momento non avevo nessun motivo per mettermi a fantasticare.
-Tu pensi troppo- sentenziò, -Poi una certezza comunque ce l’hai- mi abbracciò ancora più forte.
-Quale?- chiesi scettica.
-Io ci sono, puoi contare su di me. Ti amo, lo sai. tu, ami?- mi parlò come se fossi una bambina.
-Beh, io amo, purtroppo- sospirai perdendomi in quegli occhi nocciola che m’avevano fatto innamorare.
-Allora, per quanto tu possa essere cocciuta, voglio stare con te. È semplice-
Will vedeva tutto positivamente, affrontava la vita con il sorriso. Mi chiedevo perché si era intestardito con me,
ragazza problematica, abbandonata dal padre e con una madre assente, brillante ma con cattivo rendimento a scuola
grazie alle assenze dovute al fatto che, la mattina, dopo aver passato la sera fuori a recuperare qualche dose non riuscivo
ad alzarmi per andare a lezione. Per lui era tutto semplice, credeva di potermi salvare dall’abisso attorno a me?
Tanto facile che un mese dopo mi lasciò.

Fissai la trama per qualche momento, per quanto mascherata non potei non scorgere chiari riferimenti alla nostra storia, avevo paura di aprire e cominciare a sfogliare le pagine, c’era sicuramente tanto di noi in quel libro..
Aprì l’ultima pagina per vedere la biografia dell’autore, sperando di trovare una foto o, per lo meno, qualche altra informazione. Ciò che trovai fu, invece, l’immagine di una moleskine e una stilografica – non potevo sapere fossero quelle regalatole da Tom – e una frase: “Un autore lo si conosce meglio leggendo ciò che scrive che qualche data della sua vita e le scuole frequentate – Mel Heiligen”
Scossi la testa, dovevo immaginare una cosa del genere. Poi inevitabilmente sorrisi notando il cognome.
Sotto quella specie di “biografia” c’erano i ringraziamenti.

Beh, ich liebe leider o – più semplicemente – B.I.L.L. è il frutto
di anni di frasi scritte sul mio quaderno, poi messe insieme. Queste quattrocentoottantatre pagine sono intrise di me e,
se non fosse stato per la mia famiglia e la mia migliore amica, mai avrei trovato coraggio per pubblicarlo.
Se è fra le vostre mani, è merito loro.
Poi c’è un'altra persona che ha contribuito alla nascita di questo libro..
Lo dedico a te,
Grazie, Superstar.


Ero rimasto bloccato di fronte alla prima e ultime frasi. Aveva chiamato il suo romanzo in modo che, abbreviato, risultasse “Bill”, sicuramente non era una scelta casuale.
Superstar, mi aveva dedicato il suo libro. A me.
Mi tremavano le mani dall’emozione per la scoperta: no, non mi aveva dimenticato.
Girai il libro fra le mani e non riuscì a trattenere le lacrime di fronte alla copertina. Mi riportò al pomeriggio di un anno e mezzo prima, al parchetto di Berlino, quando avevo insistito per fare tante foto in posa. L’immagine stampata era dell’unico scatto uscito per errore, le nostre mani intrecciate e i corpi vicini, si intravedeva la scritta sulla maglia “Muse of the dark angel”.
Il mio corpo era scosso dai singhiozzi, mi venne in mente la sua frase “Gli angeli non piangono”.
Eppure non riuscivo a fermarmi, non capivo come mi sentivo: triste, sollevato, felice?
Dovevo fare qualcosa, al diavolo tutti i pensieri e preoccupazioni, avevo bisogno di vederla, di sentirla. Magari non avrebbe voluto rivedermi, magari aveva iniziato a vedersi con qualcun altro.. neanche sapevo dov’era, era guarita? Si era trasferita?
Chiamai l’unica persona che poteva rispondere alle mie domande.
Julia.

* * *

Ero raggomitolata sul divano, il cuore che batteva all’impazzata dopo aver visto l’intervista e la testa piena di domande.
Secondo Julia avrebbe dovuto darmi delle rispose, invece i punti interrogativi nella mia testa erano  aumentati. Bill mi aveva messo nei ringraziamenti, lo stesso avevo fatto io. Sapevo cosa servisse per chiarire la situazione: il cd.
I testi li scriveva Bill, basandosi su quello che vedeva e su quello che provava, ascoltarli significava immedesimarsi in lui. 
L’album sarebbe uscito cinque giorni dopo, mentre il libro era già fra le sue mani.
Chissà cosa aveva pensato appena aperto l’involucro,  chissà cosa pensava. Chissà..
-Mel!- un urlo mi fece sobbalzare e mi tirai su, costando solo in quel momento d’essermi addormentata sul divano.
-Cosa urli?!- farfugliai indispettita.
-Ti sto chiamando da cinque minuti- spiegò, -Io esco, devo fare una cosa urgente. Sai che è mezzogiorno? Ha chiamato l’editore, ha detto d’aver anticipato l’uscita del libro- mi informò.
-Cosa? Come? Perché?- mi animai.
-Cioè, mi sono spiegata male- ridacchiò, -Ha detto che siccome sono già pronte parecchie copie le metterà in vendita sulla libreria, mh non mi ricordo il nome, quella famosa poco lontana dal centro, ecco e tu devi essere là per autografare-
Per quanto l’idea potesse avermi sconvolto, ero felice uscisse prima, non vedevo l’ora. Il mio debutto.
-Quindi stasera dalle sette in libreria- aggiunse.
-Okay.. stasera dalle.. COSA, STASERA?- realizzai.
-Già- rise alla mia reazione, -Quindi alle cinque preparati lavata, sarà il mio compito renderti presentabile- fece l’occhiolino prima di sparire.
Alla fine avevamo realizzato i nostri progetti entrambe: io avevo scritto un libro e lei era divenuta la mia stylist.
-Stasera… stasera.. stasera!- ripetevo in agitazione. Non avevo nulla da fare e scelsi perciò di fare le pulizie, almeno passavo il tempo e mi rilassavo.
L’appartamento che condividevamo era grande e spazioso, tre camere da lette, un piccolo studio, due bagni e una lavanderia, salotto e cucina, perciò impiegai gran parte del pomeriggio impegnata a spolverare e spazzare. Alle quattro mi fiondai in doccia e quando uscì Julia era di fronte a me con un sorriso furbo e vagamente preoccupante, armata di phon, vestiti e trucchi.
-Dai, siediti- mi ordinò per iniziare ad asciugarmi i capelli. La osservai attentamente.
-Come mai hai quelle occhiaie?- chiesi.
-Colpa tua. Ho passato la notte a leggere il tuo dannato libro!-
-E..?- ero curiosa di sapere cosa ne pensava.
-Lo sai che non amo leggere, però.. non so cosa dirti. È fantastico. Mi sono trovata quasi innamorata di Will, ti rendi conto? Hai un modo di descriverlo che ti catapulta nelle situazioni, mi sono sentita Samantha, ho sofferto quando soffriva e sorridevo quando era felice, ti rendi conto? Ho sempre saputo fossi brava.. ma non così!- agitava le mani, mentre io spalancavo la bocca. –E poi,- non mi lasciò il tempo di rispondere, -Ho capito tante cose di te grazie a questa storia. Hai raccontato bene la situazione fra te e lui, invertendo i ruoli.. sono sicura che, se l’ha letto.. e credimi, l’ha letto- disse con un tono strano, -Farà di tutto per tornare con te. E lo stesso farai tu,  quando avrai ascoltato il cd-
-Non so cosa dirti.. io.. grazie- sorrisi commossa dalle sue parole, -per il resto non so, devo smettere di pensare tornerà da me.. piuttosto, dove sei stata oggi? Non ti sei fatta viva per tutto il giorno- le domandai, vedendola distogliere lo sguardo.
-Avevo delle cose da fare- rispose vaga, -aspetta- sparì per tornare due minuti dopo assieme alla radio.
-Perché hai preso la radio?- non capivo cosa le passava per la testa. Mi zittì per inserire un disco, probabilmente masterizzato.
-Ora io ti sistemo trucco&parrucco e tu ascolti senza fiatare- mi impose, annuì confusa.
Prette play, il rumore del phon fu sovrastato da un suono più dolce ma a me sconosciuto.
Appena alla melodia si aggiunse la voce capì di cosa si trattava. 
Humanoid, l’album dei Tokio Hotel. Fui percorsa da brividi. 

“Der Regen ist laut
Da draußen und hier drinnen ist es grau..“

Spalancai la bocca riconoscendo “Lass uns laufen”, il mio pezzo di “poesia” trasformato da lui in canzone. Il suo tono era così dolce e elegante, sembrava volesse accarezzarmi. Riaffioravano emozioni sepolte da troppo tempo. Dopo il concerto avevo chiuso con i Tokio Hotel e la loro musica. Per il mio bene.
-Aspetta, prima di truccarti è meglio metta la traccia sei- disse Julia appena la canzone terminò. Non capivo il perché, ci arrivai appena iniziò.
Se mi avesse truccata in quel momento il trucco si sarebbe rovinato a causa delle lacrime: era la nostra canzone.

“Bist du irgendwo da draußen
Alleine mit dir
Hast du irgendwo verlaufen
Und weißt nicht wofür“

Stringevo i denti e respiravo lentamente, ciò non impedì alle lacrime di fermarsi e uscire copiose dai miei occhi.
Mi tornò in mente la notte in cui la sentì per la prima volta e la suonai seduta al suo fianco. La nostra notte.
Il cuore seguiva il ritmo del pianoforte, lo sentivo battere chiaramente, come un martello.
Finita la canzone mi asciugai il viso, a ogni nota capivo che era inutile tentare di nascondere e sopprimere ciò che provavo, era troppo forte. 
Stare lontani ci distruggeva, era tempo di sistemare i nostri pezzi insieme, perché, come aveva detto lui, eravamo una cosa sola come lo yin e lo yang. Traccia dopo traccia capì inoltre un’altra cosa: non mi aveva dimenticata. Mi amava.
Sorrisi.

-Finito!- esclamò Julia, -indossa questi- mi porse gli abiti.
-Prima voglio sapere come hai avuto il cd, non è ancora in commercio- la bloccai, mi nascondeva qualcosa.
-Ho i miei fornitori- rise, -Dai vestiti sennò arriviamo in ritardo!-
Indossai tutto velocemente, osservandomi allo specchio a partire dal basso: stivaletti con tacco, jeans a sigaretti neri e stretti, camicia scozzese. Passai al viso, occhi azzurri con eyeliner e ombretto grigio perlato, lucidalabbra sulla bocca e guance rese rosata dalla cipria. I capelli erano stati accuratamente piastrati che arrivavano poco sopra le spalle. Li accarezzai, ancora non mi ero riabituata a sentirli lunghi, a poterli pettinare.
Distolsi l’immagine soddisfatta: ero bella.

Raggiungemmo la libreria puntuali alle sette ed entrammo dal retro, c’era già un piccolo gruppo di persone ferme davanti all’entrata.
-Vai, buona serata! Io torno a casa, poi mi racconti tutto- mi disse Julia, sottolineando l’ultima parola in modo sospetto. Era dal pomeriggio che si comportava in modo strano, come se sapesse qualcosa di importante.
-Okay..- mormorai poco convinta, andandomi a sedere alla scrivania con sopra una pila di “BILL”.
Il proprietario andò ad aprire la porta e la stanza di riempì di persone che vennero a prendere il libro, salutare e far firmare le copie.Mi sentivo emozionata ed eccitata, quella gente era lì per me, andate a casa avrebbero iniziato a leggere quella storia che mi rispecchiava, avrei messo la mia anima a nudo.
Andai avanti per un’ora poi la stanza si svuotò. Chiusi gli occhi e mi rilassai chiudendo gli occhi per un momento, credendo di essere sola.
Udì un sospiro e li riaprì di scatto, notando solo in quel momento qualcuno poggiato a uno scaffale, poco lontano da me.
Lo osservai curiosa, non riuscivo a vedere bene perché era nella penombra, alla fine la curiosità vinse e mi avvicinai.
La figura era alta e parecchio magra, volevo vedere il volto ma non ci riuscì finché non piegò la testa in alto, togliendo il cappuccio della felpa che indossava.
Mi immobilizzai, non credendo a ciò che vedevo.
Lunghi capelli neri racchiusi in sottili dread, trucco bistrato, piercing sul sopracciglio, occhi nocciola.
Dopo un anno e mezzo era lì, davanti a me.
Il respiro si fece affannato, il battito cardiaco frenetico.
Le mani tremavano.
Fremetti quando piantò il suo sguardo sul mio. Brividi.
Capì che ogni sforzo fatto per dimenticarlo si era dimostrato inutile e che, potevo continuarne a fare, tanto non sarebbe cambiato nulla.
Il mio cuore non avrebbe mai battuto così forte per un’altra persona, perché apparteneva a Bill, era fatto per battere in sincrono con il suo.
Non sapevo cosa dire, la gola mi s’era seccata. Il cervello staccato. Gli elefanti nello stomaco rinati.
I nostri occhi erano impegnati in una conversazione silenziosa. Non erano necessarie parole per esprimere ciò che pensavamo.
-Sei cambiato-
-Anche tu-
-Sei bello-
-Ti sei vista? Sei perfetta-
-Grazie-
-Mi sei mancata-
-Anche tu, tanto..-
-Non ti ho dimenticata, mai-
-Neppure io-
-Il titolo del libro..- sussurrò piano, per non spezzare l’atmosfera che s’era creata. Pelle d’oca alla sua voce.
-Sì.. Beh, ich liebe leider- pronunciai lentamente, assuefatta dalla sua presenza.
-Ich liebe auch, leider- mormorò avvicinandosi a me, -dich Melpomene.-

“Ci sono sei miliardi di persone al mondo. Siamo esseri umani, nati per amare e essere amati.
Non è nel nostro destino stare soli, da qualche parte c’è la nostra anima gemella, colei che ci completa e,
nonostante i difetti, ci trova perfetti. Unici.
Il vero amore esiste, basta cercarlo. Una volta trovato, se è destino, durerà.
Ci possono essere tutte le complicazioni di questo mondo, litigi, motivi per non stare assieme,
chilometri di distanza, separazioni forzate, decisioni prese sbagliate.
La forza di due amanti sconfigge qualsiasi cosa, nulla è impossibile o troppo difficile di fronte all’amore.
E io lo so bene, ho combattuto con una vita da sempre troppo ingiusta – stronza per essere sinceri.
Alla fine, ho vinto.”

Una confessione, una carezza incerta, cuori impazziti, due anime che si ritrovavano, labbra che si sfiorano. Amore.
-Ti amo anche io, superstar-

“I nostri pezzi sono stati sistemati, insieme.
Ci apparteniamo, per sempre da ora.”

Fine.


* * *

Non so cosa dire, non so da come cominciare, non so come finire. Ho scritto questa storia un'estate di qualche anno fa, nel 2011. L'avevo finita in pochissimo tempo, ho cominciato a pubblicarla.. ma poi ho abbandonato il mondo delle fanfiction e della scrittura. Come mai ho finito di pubblicarla solo ora, nel 2017? Beh, la verità è che odio le storie non concluse e non potevo accettare di lasciarla "in corso", soprattutto perché la storia l'ho finita tutta da tempo. Non l'ho mai ricontrollata, perché non riesco a rileggere ciò che scrivo, è più forte di me. Non mi ricordo neanche tanto bene come si svolgeva la fanfiction, sono vergognosa; mi scuso perciò per gli errori che sicuramente ci sono e per possibili incongruenze nella trama (non mi ricordavo neanche come si facesse a creare la formattazione dei capitoli, pensate un po'! Ho dovuto recuperare il vecchio computer per usare il programma Nvu.....). Però ricordo di averci messo il cuore e, per questo, meritava di essere pubblicata per intero. Anche per rispetto vostro, se c'è ancora qualcuno che legge le storie in questa sezione. E' passato così tanto tempo.. sono cresciuta e sarete cresciuti anche voi. Vi racconto un po' di me, anche se non penso interessi a nessuno. Sono al terzo anno di lingue, fra poco la laurea. Ho passato il primo semestre dell'ultimo anno in Erasmus in Germania e, che dire? Devo ringraziare i Tokio Hotel per avermi fatto amare il tedesco. Loro non li seguo più assiduamente, ma rappresentano e rappresenteranno sempre una parte importante di me.. e penso sia così per tutti i fans.
Ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia e mi scuso ancora con voi per averla lasciata in sospeso così a lungo. Vi mando un bacio.

La vostra Anna











 

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