Atme die Liebe. di unleashedliebe (/viewuser.php?uid=100745)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I (W) ***
Capitolo 2: *** Capitolo II (I) ***
Capitolo 3: *** Capitolo III (R) ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV (D) ***
Capitolo 5: *** Capitolo V (U) ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI (R) ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII (C) ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII (H) ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX (B) ***
Capitolo 10: *** Capitolo X (R) ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI (E) ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII (C) ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII (H) ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV (E) ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV (N) ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI (D) ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII (I) ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII (E) ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX (Z) ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX (E) ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI (I) ***
Capitolo 22: *** Epilogo (T) ***
Capitolo 1 *** Capitolo I (W) ***
Disclaimer:
I Tokio Hotel non mi appartengono (se fosse così ora non
sarei a scrivere storie su di loro ma a fare altro..). Quello che
è narrato non ha corrispondenza con la realtà (in
quanto frutto della mia mente a volte troppo contorta) e non
è stata a scritta a scopo di lucro, perciò non ci
guadagno nulla (ahimè!).
Note
dell’autrice: Sono tornata, mi volevo scusare
con tutti per il ritardo, avevo in programma di postare subito dopo la
conclusione di “Stich ins Glück” ma vari
contrattempi – tra cui il computer rimasto in riparazione per
più di un mese e la mia voglia di scrivere improvvisamente
scomparsa – mi trovo a pubblicare solamente oggi, tempo dopo.
Mi è mancato stare su EFP, sinceramente (:
Ora ci terrei a dire qualcosa riguardo a “Atme die
Liebe” {Respira
l’amore}; il primo capitolo l’ho
completato verso fine marzo, poi ho scritto gli altri con vari
intervalli di tempo, a volte ho pensato di abbandonarla ma alla fine
non l’ho mai fatto, perché mi sono impegnata molto
e sento di esser e “cresciuta” man mano che
scrivevo. Come capirete dal prossimo capitolo, ho scelto una
protagonista “particolare” e spero il contesto non
offenda nessuno. Il banner della storia non è questo,
è solo per il primo, in quanto se avessi messo
l’altro avrei svelato tutto troppo presto.
Cos’altro dire? È diversa dalle altre storie che
ho scritto, molto più romantica e introspettiva –
credo. Ho davvero amato scriverla.
Sono stata molto indecisa riguardo al postarla o meno, più
che altro temo non possa piacere! Alla fine se è qua
è grazie alle parole della Ludo “è
diversa da tutte quelle che ho letto,anche se in vertà non
sono molte, ma è davvero diversa e sarebbe uno spreco
tenertela per te ( e me ** ) DEVI, per favore" se ho
trovato il
coraggio necessario per postarla.
Cosa posso aggiungere? I primi capitoli saranno corti, man mano si
allungheranno :3
Sono legata a questa fan fiction, perciò spero possa
conquistare anche voi!
Posterò regolarmente – salvo imprevisti. Ci terrei
lasciaste una recensione, fa sempre piacere sapere i pensieri su quello
che scrivo, sia positivi che negativi, in fondo non sono nata imparata
(purtroppo!) e ho solo sedici anni, studentessa di ragioneria non
scrittrice! (Magari un giorno lontano però..)
Concludo quest’infinito monologo, buona lettura!
Unleashedliebe
(Anna)
Atme die Liebe
..
..
..
PROLOGO
Si diresse verso la porta con passi incerti. Vi si
fermò davanti, voltandosi nella mia direzione.
- Il vero amore dura per sempre, supera ogni ostacolo e tempo.
Ci amiamo e niente potrà impedirci di stare assieme, un
giorno-.
Volevo trovare una risposta adeguata a
quell’affermazione, ogni parola che mi veniva in mente mi
sembrava banale.
Perciò ricambiai con un sorriso che era un misto di
tante cose: rassegnazione, tristezza, amore, speranza, addio.
Abbassò gli occhi e notai un luccichio che nascose
prontamente coprendosi con gli occhiali da sole. Stava piangendo. A
causa mia.
-Addio..- riuscì a mormorare talmente
piano che temetti non m’avesse sentito.
-Arrivederci- rispose invece lui, dolcemente, per poi uscire
dalla mia stanza.
…e dalla mia vita.
..
..
Madrid, marzo
2008.
I Tokio Hotel non si erano mai esibiti in Spagna, quello
sarebbe stato il primo concerto nella capitale e speravano non fosse
l'ultimo. Dall'uscita del singolo "Monsoon" si erano guadagnati una
fama non indifferente su tutto il suolo europeo, permettendo
così l'organizzazione del 1000hotels tour, i cui biglietti
furono venduti in pochissimo tempo, catapultando la band di adolescenti
sulle scene.
I quattro ragazzi erano radunati nel backstage, per il solito
rituale pre-show. L'aria era un misto di adrenalina e nervosismo, Bill
sbatteva nervosamente il piede a terra, Gustav aveva chiuso gli occhi e
suonava con le bacchette sulla batteria immaginaria, Georg ascoltava
musica a tutto volume mentre Tom si limitava a fissare gli altri
componenti cercando di non farsi sopraffare dall'ansia; il manager
David Jost li raggiunse annunciando mancavano solo cinque minuti
all'inizio.
-Tutto bene Bill?- gli domandò il gemello,
soppesando la sua figura con gli occhi: soliti capelli sparati in aria,
trucco nero e vestiti stretti, lo sguardo tuttavia era strano.
-Si, ho un poco di mal di gola- rispose passando una mano sul
collo. Il chitarrista capì che non aveva detto la
verità, gli bastò uno sguardo, ma non
poté indagare oltre perché era arrivata l'ora di
iniziare. Il cantante bevve un bicchiere d'acqua cercando di far
passare il dolore che ormai lo perseguitava da giorni e andava
peggiorando; non aveva avvertito nessuno della situazione: il tour era
in piena fase di svolgimento e non voleva causare preoccupazioni
inutili. Prese un respiro e si preparò a intrattenere tutte
quelle persone lì per loro; appena gli fu fatto cenno
d'andare, uscì dalle quinte e si trovò di fronte
un pubblico che l'accolse calorosissimo, cartelloni e grida. Per un
attimo sentì il fastidio alle corde vocali sparire, azzerato
da quella visione e dalla felicità che gli
provocò. Si trovava a faccia a faccia con le persone grazie
alle quali aveva realizzato il suo sogno di bambino, cantare. Nessuno
gli aveva dato realmente corda annunciando i suoi progetti, tranne il
fratello; per gli altri era il ragazzino strano, che si truccava e
vestiva da diverso, guadagnandosi epiteti poco carini a causa della sua
disomogeneità. Aveva sofferto, era stato vittima di
bullismo, ciò non aveva fatto altro che fortificarlo e ora
lui era davanti a migliaia di persone, chi l'aveva maltrattato era
rimasto in Germania a condurre la vita banale tipica del paesino
d'origine. Era la sua rivincita; s'inchinò alla folla,
mentre i primi accordi di Tom invadevano l'arena. Inforcò il
microfono e fece uscire le prime note, notò subito che
qualcosa non andava, la voce usciva a fatica.
"We,
were runnin' through the town,
our sences has been drowned
no place we hadn't b---"
A un tratto si bloccò: dalla gola non
uscì più alcun suono. Il pubblico lo osservava
senza capire, il cantante guardò il fratello, cercando di
far capire che qualcosa non andava. Finita la canzone a stento, si
diressero tutti nuovamente dietro al palco e vennero assaliti da
domande sull'interruzione. Bill Kaulitz cercò di parlare, di
spiegare, ma produsse solo lievi suoni, appena udibili.
Sbuffò disperato, trattenendosi dal piangere. Il manager lo
raggiunse accompagnato dal medico che li seguiva nelle varie tappe.
Quest'ultimo lo esaminò velocemente, l'ambiente era
frenetico e non era possibile fare una visita accurata, dichiarando
ovviamente che fosse impossibile continuare. Fu la goccia che
fece traboccare il vaso, il front man scoppiò a piangere,
coprendosi il viso con le mani; il fratello non perse tempo, gli
andò vicino e l'abbracciò. Inutile dire fosse
spaventato e vedere il gemello in quelle condizioni lo terrorizzava
pericolosamente. Il signor Jost si vide costretto a uscire e annunciare
l'interruzione del concerto, scusandosi e dicendo ci sarebbe stata una
nuova tappa per sostituire quella appena sospesa.
La notizia dell'annullamento dello show fece il giro
dell'Europa e già il giorno dopo apparivano sui forum
messaggi disperati delle fans, ansiose di sapere che succedeva: dalla
band solo silenzio. Chiarimenti si ebbero due giorni dopo, quando i
quattro si sarebbero dovuti esibire a Barcellona. A salire sul palco
però non furono loro, bensì l'organizzatore del
tour che annunciava la sospensione di tutte le date di marzo; fecero
poi il loro ingresso i componenti, Tom prese il microfono.
-Siamo molto dispiaciuti per questa interruzione. Purtroppo
mio fratello non sta bene, ha problemi alla gola ed è
tornato in Germania per farsi visitare- fece una breve pausa, guardando
le reazioni di chi aveva davanti, tutti ammutoliti. -Non appena
starà meglio, riprenderemo i concerti e torneremo qui.
Scusate-
I tre salutarono il pubblico e sparirono dalla scena,
rifugiandosi subito nel tourbus, diretti nella loro terra.
Subito dopo il concerto spagnolo Bill fu fatto tornare a casa,
su ordini del medico, per farsi visitare. La clinica consigliata fu la
"Kölner Klinick", una delle più rinomate cliniche
private europee, oltre che la più costosa e riservata. Si
trovava nella zona periferica di Colonia, una zona blindata, proprio
perché i pazienti che vi andavano erano per la maggior parte
ricchi o famosi.
Il cantante fu controllato dal dottor Merken, importante
logopedista. La diagnosi fu da subito chiara: cisti alle corde vocali,
da operare subito.
Alla notizia, il moro rimase sbigottito, terrorizzato, triste,
demoralizzato. Esibirsi era il suo sogno, senza la musica non era
nessuno, quell'operazione avrebbe potuto cambiare la sua vita, oltre
quella dei compagni. Fu raggiunto dalla madre e dal patrigno, pronti a
sostenerlo.
Ciò che gli dava la forza era la famiglia, ma ancor
di più i fans. Non fecero mancare il loro appoggio,
mandarono messaggi, lettere, regali. Di tutto e di più.
L'intervento a cui si doveva sottoporre era pesante, doveva
prima prendere aspirine per togliere l'infiammazione e, una volta tolta
la cisti, non parlare per dieci giorni e fare tre settimane di
riabilitazione. Un inferno, il fatto peggiore era che non era sicuro la
sua voce sarebbe tornata come prima.
-Bill, sei pronto?- domandò il gemello, stavano
preparando le valigie per il "soggiorno". Rispose con un cenno
positivo, non molto convinto. -Andiamo dai-.
Presero l'aereo che li portò da Amburgo alla
clinica, il gruppo aveva prenotato su un albergo poco distante da lui,
per potergli stare vicino.
Il cantante rimase sorpreso della grandezza della clinica, la
prima visita l'aveva fatta su una succursale e l'imponenza del luogo a
lui davanti lo intimoriva non poco. L'edificio era un palazzo grande e
a diversi piani, l'entrata era arredata in stile moderno, l'ascensore
di vetro portava ai diversi reparti: c'era quello per le malattie
neurologiche, il reparto per chi malato di anoressia e bulimia, come un
ospedale vero e proprio quindi.
Accompagnato da Tom e da Simone - la madre - si
recò al centralino, non servì neanche che si
sforzasse di parlare, la donna di là dal balcone lo
riconobbe e lo portò alla sua stanza, una camera abbastanza
grande, luminosa e ben arredata. Il ragazzo sorrise, almeno non aveva
l'aria di una camera mortuaria. Si tolse gli occhiali da sole e il
cappellino utilizzato per non farsi riconoscere e li posò
stancamente sul comò.
-Voglio restare un po' solo- comunicò a fatica,
ricevendo occhiate ammonitrici dai familiari, i quali per non farlo
parlare oltre decisero di congedarsi.
Finalmente solo si buttò su letto, costatando fosse
abbastanza comodo, altro punto positivo.
Era stanco, aveva solo voglia di piangere. Non poteva parlare,
sarebbe dovuto rimanere lì per un mese intero, la maggior
parte del tempo senza spiccare parola, cosa irreprensibile per un
logorroico come lui. Gli tremavano le spalle, scosse dai singhiozzi,
doveva sfogarsi. L'unico modo che conosceva era scrivere,
frugò nella borsa e tirò fuori un blocchetto e la
penna, tracciando le prime parole che gli vennero alla mente.
"Gib mir Leben, gib mir Luft
Mein Herz schlägt weiter, weil es muss"
Quest’attività lo calmò
leggermente, ormai anche le lacrime erano finite. Passata una mezz'ora
si ricompose, lavandosi velocemente il viso, cercando di far sparire il
rossore e il gonfiore degli occhi. Si sedette sulla sedia di fronte
alla finestra, guardando un po' il paesaggio circostante: non c'era un
gran che là fuori, solo tanto verde, qualche rada casa,
nulla di più; sbuffò: cosa avrebbe fatto durante
quei trenta giorni là dentro? Sentì il cellulare
vibrare, lo tirò fuori dalla tasca e sorrise vedendo il
mittente: Tomi, il quale voleva sapere se andasse tutto bene. Gli
vennero i sensi di colpa: si era comportato male negli ultimi giorni,
ma la situazione lo soffocava. Premette velocemente i tasti per la
risposta, e inviò: "Senza
voce, depresso, spaventato. Per il resto è okay".
Il display brillò, chiamata in arrivo, la
rifiutò, "Non
posso parlare, sarebbe una conversazione a senso unico, no?".
Il fratello non si fece attendere, ridacchiò vedendo che
aveva scritto. "Beh,
così capisci come mi sento io quando inizi a parlare e non
smetti! ;-)" Sapeva sempre come tirarlo su.
Replicò con un secco "Touche."
Lo scambio di messaggi durò un'oretta, durante la
quale Bill ebbe il tempo di rilassarsi e tranquillizzarsi. Non avendo
nulla da fare estrasse dalle sue cose il computer messo lì
dal gemello, non era pratico di tecnologia, non avendo altro da fare
optò per navigare un po' in internet.
Sorrise guardando lo sfondo scelto dal chitarrista, una loro
foto di quand'erano bambini, due biondini identici che giocavano al
mare. Sorrise ancor di più notando aveva creato una cartella
con tutte le sue canzoni preferite, da quelle di Nena a quelle dei
Placebo; aveva pensato proprio a tutto!
Fece partire la playlist, mentre girava qualche sito sulla
band. Gli s’inumidirono gli occhi leggendo i messaggi dalle
fan, loro lo stavano sostenendo, pregavano per lui. E lui avrebbe fatto
di tutto per ripagarle di tanto affetto, sarebbe tornato a cantare;
come prima, migliore
di prima.
..
..
..
* * *
..
..
..
NdA:
Sono ancora qua sì, ora che avete letto volevo fare delle
precisazioni anche sul primo capitolo ^___^
Come avete capito la storia è ambientata nel 2008, quando
Bill fu operato alle corde vocali. Come dimenticare quel periodo in
fondo? Penso che noi fan ce lo ricorderemo come un bruttissimo momento,
però se non avessero cancellato parecchie date del tour per
poi riprenderle, io non li avrei mai visti a Modena l'estate (prima e
ultima volta a cui ho assistito a un loro concerto, purtroppo).
Ah, le parole che si vedono nel banner sono della lettera scritta da
Bill per i fans (:
Ora avete avuto un
assaggio della vicenda, a presto (credo!) per il prossimo ;D
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Capitolo 2 *** Capitolo II (I) ***
CAPITOLO
II (I)
Era da qualche giorno che alla Kölner Klinick c'era un po'
d'agitazione, probabilmente sarebbe arrivato qualche nuovo personaggio
famoso, magari con problemi di alcool o anoressia, come le ultime stars
finite in quei reparti. Io non mi capacitavo di tanto nervosismo: erano
pur sempre persone coi loro problemi e se erano disposti a pagare
migliaia di euro forse volevano essere lasciati in pace, senza vedersi
stendere davanti tappeti rossi o ricevere trattamenti di favore. Non
era dato sapere il nome dei nuovi pazienti, ma giravano voci fosse un
cantante di una band abbastanza famosa in Europa: secondo Martha, una
ragazza malata di anoressia, era il leader dei Tokio Hotel.
-Ho sentito dire da Adele, la ragazza della 135, che dovrebbe
trattarsi di Bill Kaulitz- mi informò con voce complice.
-Bill che?- fu la mia brillante risposta, mai sentito.
-Non conosci il mitico BK? Neanche il suo gruppo? Da due anni
a questa parte spopolano in televisione!- era sorpresa. Capì
come mai non ne avevo mai sentito parlare, mi trovavo in quella clinica
dal 2005 - a causa della mia malattia - e non ne ero ancora uscita,
quindi i contatti col mondo esterno erano scarni. Feci spallucce,
l'argomento mi lasciava indifferente.
-E' incredibile non sappia chi è! Dovresti proprio
vederlo, è bellissimo!- Esclamò scuotendo i
lunghi capelli biondi, quasi con la bava alla bocca -Ma dove vivi?-
Quella che doveva essere una battuta, mi scalfì
più del dovuto e se ne accorse, lanciandomi un'occhiata di
scusa.
-Non ti preoccupare- feci noncurante io, -Ora esco un po', ci
vediamo più tardi-
Mi recai nella camera che occupavo da tre anni, ormai la
ritenevo mia. Indossai un paio di jeans e un maglioncino, mettendo poi
un berretto per coprire i segni che la malattia aveva lasciato su di
me. Mi guardai velocemente allo specchio, che rimandò
l'immagine di una ragazza diciassettenne, dall'aspetto troppo magro e
pallido, occhi grandi e azzurri ma senza particolare luce, capelli?
Erano castano scuri, ricci. Prima.
Sbuffai insoddisfatta di me e di quello che mi stava attorno. Scossi la
testa, ormai mi ero arresa alla realtà, e salì
verso il tetto della struttura: era il luogo che preferivo soprattutto
perché non c'andava mai nessuno.
Mi appropriai della solita panchina di legno e rimasi
lì a fissare un punto indefinito davanti a me; era appena
iniziato marzo, stava per finire l’inverno, l’aria
era ancora fresca e mi solleticava le guance, facendole arrossire. Non
c’era un gran che da guardare, la struttura si trovava in una
zona poco abitata per garantire discrezione agli ospiti; odiavo quel
posto, pieno di gente viziata e quasi simile a una prigione di lusso. I
miei genitori erano ricchi, entrambi attori di teatro –
ciò spiegava il mio nome particolare, giravano il mondo
tutto l’anno e avere una figlia come me era stata, oltre che
una fonte di tristezza, anche delusione: sognavano di crescere una
cantante, magari un’attrice, invece si ritrovarono una
ragazza fragile, malata, senza particolare interesse per il mondo dello
spettacolo, a cui piaceva soltanto scrivere.
Da tre anni vivevo lì, incontrandoli
sporadicamente, in occasione delle feste e raramente per il mio
compleanno; non potevo biasimarli, chi avrebbe voluto un peso del
genere? Li potevo capire benissimo, stare vicino a una persona malata
era particolarmente faticoso, soprattutto per loro che amavano
viaggiare e la vita sotto i flash. E
io, in quel mondo, non centravo nulla.
Fissai le mie vecchie converse, tutto attorno a me era
statico, nessun movimento se non il frusciare delle foglie a causa del
vento. A interrompere l’immobilità fu il rumore
causato dalla porta del terrazzo che si apriva, mi girai per vedere chi
stava arrivando, di solito sopra lì non veniva nessuno;
notai la figura di un ragazzo venire verso di me, con passo leggero e
insicuro. A giudicare dalla sua magrezza, il mio primo pensiero fu che
fosse un nuovo arrivato nel reparto per anoressia. Non
riuscì a vedere il suo viso, poiché era coperto
da un paio di costosi occhiali da sole e un berretto. Mi
indicò il posto affianco a me, mi spostai lasciandolo
sedere; lo guardai di sottecchi, non aveva detto una parola, mi
inquietava.
-Sei nuovo? Non ti ho mai visto qui- domandai con voce lieve,
mi osservò a sua volta, soffermandosi un po' troppo sul
cappello che avevo in testa. Rispose annuendo. Piuttosto di
sottostare a quel silenzio imbarazzante avevo optato per iniziare un
minimo di conversazione.
-Perchè non parli?- alla mia domanda si indicò la
gola, mi ero sbagliata quindi, non era anoressico.
-Logopedista suppongo- confermò la mia ipotesi. -Beh, io
sono Mel- gli diedi la mano, rispose sorridend un poco. -Mi sento un
po' stupida a parlare da sola. Aspetta..- frugai nella borsa, tirando
fuori la mia agenda e la mia penna, gliele porsi. -Almeno puoi
rispondere, se vuoi- Le accettò e scrisse con una bella
calligrafia, dai tratti eleganti. "Tu
perchè sei qui?" Non rimasi stupita dalla
domanda, ero abituata mi venisse posta, ormai pensavo fosse chiaro il
motivo, probabilmente me l’aveva posta per educazione.
-Leucemia linfoblastica acuta- il mio tono era neutro, ormai
parlare della mia malattia non mi faceva più effetto. Era
automatico. -Comunque, sarebbe carino se ti presentassi anche
tu- Sotto le lenti vidi il suo sguardo farsi preoccupato -Mh, se non
vuoi non fa nulla, capisco voglia mantenere l'anonimato- gli sorrisi
tranquillizzante, ricambiò e scrisse il nome sul foglio. "Bill" Lo fissai
corrucciata, allora ciò che m'aveva detto Franziska era vero!
-Sei il cantante dei T..T.. scusa mi sfugge il nome!-
Alzò un sopracciglio, annuendo. Era davvero cos famoso,
considerando lo stupore capendo non sapevo chi fosse. Che imbarazzo!
-Oh, okay. Se devo essere sincera non conosco il tuo gruppo. Sono qui
da tre anni e sono un po' estranea alle novità musicali-
spiegai. Scosse la testa e si sfilò gli occhiali, ormai
avevo capito chi era, tanto valeva togliere impedimenti. Che occhi bellissimi,
fu la prima cosa che pensai. Erano di un nocciola intenso, espressivi.
Percepì una certa inquietudine, ben nascosta dal suo sorriso.
"Tokio Hotel, comunque.
Mai sentito una nostra canzone?- scrisse sul foglietto .
-No, è così grave?- chissà quante cose
mi ero persa, da quando ero chiusa lì.
“Oh beh,
sì! Scherzo, ormai sono abituato a essere riconosciuto
ovunque ;) ”
-Chiedo venia! Appena torno in camera scarico qualcosa di vostro
allora!- gli feci un sorriso, mi guardò leggermente
allarmato e cupo, scrivendo velocemente sul blocchetto.
“Aspetta, mi
sono stancato di scrivere, non sono abituato! Non vado neanche
più a scuola. Prendo il cellulare e scrivo lì”
Frugò sulla tasca, trovandola vuota, sbuffò
allora gli porsi il mio telefono, ultimo regalo di mio padre per far
perdonare la sua assenza. Ricambiò il sorriso a
mo’ ringraziamento.
“Non voglio
che ascolti le nostre canzoni, perché non so se
riuscirò a cantare.. dopo. Quindi preferisco non ci conosca
affatto, considerando fra un mese forse non potrò
più salire su un palco”
Ora capivo il perché della sua tristezza, cantare era il suo sogno,
lo aveva realizzato e rischiava che tutti gli sforzi fatti finora per
raggiungere il suo traguardo risultassero inutili.
-Non farti tanti problemi: questa struttura ha i migliori medici,
andrà tutto bene vedrai- sembrava la situazione si fosse
capovolta, non avevo mai detto quella frase a nessuno, tante volte
però era toccato a me sentirla prima di
un’operazione importante e sempre l’avevo trovata
terribilmente falsa e inutile. Io però con Bill ero stata
sincera. Aveva bisogno di essere rassicurato, per capirlo era bastato
uno sguardo a quegli occhi smarriti.
-Oddio, sembra una frase fatta “andrà tutto bene”,
ma lo penso davvero, avere un po’ di paura è
normale, ci sono passata.. e ci passo ancora-
Muoveva le dita velocemente sulla tastiera del telefono, si vede che
era abituato a usarlo, al contrario io non ero per niente pratica,
visto che non conoscevo nessuno con cui tenermi a contatto.
"Grazie. Così
è da tanto che sei qui?”
-Tanto, troppo tempo. Da quando avevo quattordici anni, non sono quasi
più uscita- risposi guardando per terra, sorridendo
tristemente.
“Perché
non esci?” Immaginavo l’avrebbe
chiesto.
-Non ho nessun motivo per uscire- scossi le spalle, -Cavolo, mi sembra
di parlare da sola così- dissi per cambiare discorso.
“Stai parlando
da sola, in effetti”
-Grazie Bill, davvero! Sta zitto va!- alzò un sopracciglio
all’affermazione sta zitto, uscita involontariamente.
–Scusa, è scappata!- ridacchiai. –Ora
devo andare, altrimenti rimango senza cena, e anche tu sai? Alle
diciannove puntuale bisogna essere nelle stanze, non ti sei ancora
letto il regolamento eh?-
Fece un sorriso colpevole. Armeggiò un secondo col
cellulare e poi me lo ridiede.
“Grazie
per la chiacchierata, credevo fossero tutti antipatici qui, hanno certe
facce non incoraggianti! E’ stato un piacere conoscerti Mel”
trattenni un sorriso, che gentile.
-In effetti non è facile fare amicizie qui-, infatti io non
conoscevo nessuno, ma evitai di dirlo, -è stato un piacere
anche per me Ka..Kaki..Kau, o non me lo ricordo scusa!- borbottai
imbarazzata, riprese il telefono e digitò “Kaki
è carino dai! (: KAULITZ comunque! Non è
così difficile, puoi farcela!” Ridacchiai.
-Allora ti chiamerò Kaki! Almeno mi distinguo dalla massa!-
gli feci l’occhiolino e tornammo all’interno della
clinica, inconsapevoli che, da quella chiacchierata, tante cose
sarebbero cambiate..
Tornai in camera mia con un sorriso stampato in volto, la
chiacchierata col cantante mi aveva lasciato addosso di leggerezza che
da tanto non provavo. Quando avevamo parlato? Non molto, ma
ciò era bastato per farmi stare un po’ meglio;
Bill Kaulitz era indubbiamente carismatico e bellissimo, nonostante
avesse il viso stanco e decisamente provato trasmetteva euforia anche
senza usare le parole. Non osavo immaginare cosa riuscisse a fare con
la sua voce, cantando. Ero curiosissima, appena saputo chi fosse una
strana voglia di accendere il computer e scaricare la discografia dei
Tokio Hotel mi aveva assalita, non potevo farlo però,
l’avevo promesso. Soffermai lo sguardo sul mio cellulare,
maneggiato da lui,
tante ragazze sarebbero impazzite al pensiero, io no: ero diversa, strana.
Il mio carattere era decisamente inusuale, ciò era dovuto a
tutto quello che avevo passato, all’epopea che ero costretta
a vivere da quattro anni ormai. Entrare in una clinica e non uscirne
più, vedere le tue amiche sparire una dopo
l’altra, i tuoi genitori venirti a trovare più
raramente, lo sguardo compassionevole della gente di fronte al mio
aspetto gracile, fragile. Guardandomi allo specchio vedevo una ragazza
non ancora diciottenne, pallida, inconsistente; un metro e settanta e
quarantacinque chili distribuiti malamente per il corpo. Un fantasma.
Distolsi lo sguardo dalla mia immagine riflessa, sentendo la
pesantezza tornare a invadermi. La mia vita mi appariva inutile, non
avevo prospettive, sognavo, quello si; personalità
pratica, preferivo perciò non fare troppi castelli, sapendo
che sarebbero crollati uno dopo l’altro, facendomi soffrire,
come sempre.
Ormai, ero abituata.
Poggiai una mano sulla fronte, rabbrividì al
contatto, ero sempre fredda. Morta.
Mi posizionai stancamente sotto le coperte, dopo aver levato i vestiti
e indossato la vestaglia fornita dalla clinica. Tirai il lenzuolo fino
alla vita e mi appoggiai alla spalliera del letto, prendendo il
quadernetto dalla borsa, cercando di scrivere qualcosa. Scrivere, ecco
la mia passione. Fogli su fogli, inchiostro su cellulosa, emozioni
impresse. Lo aprì su una pagina vuota, coprendola con la mia
calligrafia lieve.
“Oggi
ho conosciuto un cantante, triste.
L’ho capito guardandolo negli occhi, nonostante tentasse di
sorridere.
Ha paura di perdere la voce, e ora che ci ho
‘parlato’, ho paura anche io per lui.
Deve essere terribile vedere il proprio sogno infrangersi, io
probabilmente non potrò capire.
Perché io, un sogno vero e proprio, non l’ho
più.
Perciò mi aggrappo al suo, sperando che a lui vada meglio.
Ha gli occhi nocciola, un colore banale insomma. Ma così
bello su quel viso pallido,
circondato da lisci capelli neri. E le sue mani? Così
delicate, nate per sfiorare, cullare.
Residui di smalto nero, ho visto. Chissà
com’è quando si esibisce su un palco.
Penso un mostro.
Ha cambiato la mia giornata in dieci minuti, scommetto che con
un’esibizione
di un’ora cambi la vita di
migliaia di ragazze.
Mi sento stupida, quel ragazzo mi ha davvero colpita.
Ho voglia di incontrarlo. Perché?
Mel
”
Interruppi la scrittura dopo aver guardato l’orologio, erano
da poco passate le diciannove, quindi la cena stava per essere servita;
due minuti dopo l’infermiera fece il suo ingresso nella
stanza.
-Buonasera Mel, come stai?- mi sorrise Rossella, era lei che
si occupava dei miei pasti da quando ero arrivata nella clinica; era
una bella donna di trent'anni, occhi castani e lunghi capelli rossicci.
-Ciao Rossella! Tutto bene, sono un po' stanca- le sorrisi,
sistemandomi meglio sul letto.
-Capisco, poi da stamattina tutti erano agitati per l’arrivo
della nuova star!-
-Oh si, l’ho conosciuto!- si fece attenta, fissandomi
accigliata.
-Davvero? Quando? Come? Perché? Dimmi tutto!- si sedette di
fianco a me, mentre la fissai accigliata.
-Non dovresti lavorare tu?- mi guardò con sufficienza.
-Tu sei l’ultima del giro cara Mel! Quindi posso permettermi
un po’ di gossip!- strizzò l’occhio.
-Non pensare chissà cosa, l’ho incontrato nel
tetto, e abbiamo ehm, “parlato” un po’-
mimai sulla parola parlato,
non era il termine più appropriato.
-E’ un bel ragazzo vero? Ho visto delle sue foto su una
rivista di mia nipote, ha uno stile molto particolare-
La guardai un attimo confusa, a me sembrava ordinario, se non per lo
smalto e gli abiti stretti.
-Aspetta, tu hai mai visto una foto della band prima?-
domandò, io negai. –Ah, adesso si spiega tutto!
Quando vedrai capirai, sono contenta ti sia fatto un amico!-
-Oddio.. amico mi sembra esagerato, abbiamo solamente conversato, non
lo conosco bene. Dieci minuti di conversazione non bastano per
conoscere qualcuno-
-Starà qui per un mese, avrai tutto il tempo!- mi
lasciò un’occhiata maliziosa, prima di salutarmi e
andarsene.
Sbuffai, la donna era simpatica ma quando si comportava così
non la sopportavo proprio! Scossi la testa, dedicandomi al piatto di
fronte a me, una bellissima minestra da uno strano e inquietante color
verdognolo, arricciai il naso involontariamente: già ero
magra per colpa della malattia, se poi mi davano da mangiare delle
schifezze del genere tanto valeva trasferirmi nel reparto delle
anoressiche! Cercando di trattenere la repulsione, portai il cucchiaio
alla bocca, scottandomi un poco e maledicendo i cuochi mentalmente. La
clinica costava un occhio della testa, poteva anche cucinare qualcosa
di meglio!
Lasciai il piatto a metà, poggiandolo sul comodino.
Ignorando la stanchezza frugai nell’armadio e recuperai una
vecchia tuta, indossandola velocemente. Presi la borsa e, cercando di
non farmi vedere, scesi al primo piano, destinazione macchinette.
Infilai le monetine all’interno e uscì un
buonissimo pacchetto di patatine. Mi girai per tornare indietro ma mi
scontrai contro qualcosa, anzi, qualcuno. L’impatto non era
stato violento, visto che ero andata addosso a un altro scheletro come
me; mentre recuperai l’equilibrio alzai lo sguardo, fissando
sorpresa colui che avevo davanti: Bill.
-Ehi Kaki! Che ci fai qui?- domandai stupidamente, non potevo
aspettarmi una risposta. Stavolta né io né lui
avevamo portato il cellulare, quindi la comunicazione era impossibile,
ma capì lo stesso: indicò la sua pancia e poi il
cibo delle macchinette, facendomi sorridere.
-Già, provato la minestra? Che schifo! Bella cena di
benvenuto quindi- gli sorrisi. –Se vuoi prendere qualcosa di
consiglio o patatine o barrette di cioccolata, il resto è da
buttare, non ti consiglio di provare-
Mimò un grazie, andando a scegliere cioccolato. Rimanemmo in
silenzio, io sgranocchiavo e lui anche.
-Beh, è meglio che vada ora, domani giornata pesante-
scrollai le spalle. –Buonanotte Bill- dissi alzandomi e
sorridendo, ricambiò il gesto e ci dirigemmo verso le
rispettive stanze.
Con lo stomaco un po’ più pieno, tornai a
scrivere, ispirata grazie all’ultimo incontro avuto.
“’L’ho
visto ancora. Fato? Coincidenze?
Non lo so, però è stato un incontro piacevole.
Bill è piacevole.
Mi fa sorridere il cuore,
pensavo d’aver dimenticato come si facesse.
E invece..”
Lasciai la frase sospesa, non sapendo come continuare. Tutto
ciò non era da me, assolutamente. Mi infilai meglio sotto le
coperte lasciandomi invadere dal calore che filtrava attraverso esse;
recuperai l’ipod dal cassetto di fianco al letto, facendo
partire “Mondnacht”
di Schumann. L’amore per la musica classica me
l’aveva trasmesso mia madre, la quale mi aveva anche
insegnato a suonare il pianoforte, studio continuato per cinque anni,
finché non mi fu diagnosticata la malattia, da quel momento
fui costretta ad abbandonare anche quel dolce strumento dai tasti
d’avorio che tanto amavo.
Lasciandomi cullare dalla melodia mi addormentai.
Fui svegliata dal suono proveniente dalla sveglia, erano le
otto e io avevo decisamente sonno. Sbuffai spegnendola e alzandomi di
malavoglia. Mi spogliai velocemente, facendo poi una doccia breve. Dopo
aver indossato un cappellino e una tuta rigorosamente nera scesi nella
stanza comune per la colazione.
La clinica offriva sia la possibilità di farla in
camera, sia insieme con gli altri ospiti, io avevo optato per la
seconda in quanto mi piaceva osservare la gente, guardare come si
comportavano: mi faceva sentire meno sola. Mi recai in un tavolo
abbastanza isolato, venendo poi raggiunta da Martha e Charlotte, con
dei vassoi contenenti solo due fette biscottate.
-Wow, proprio affamate- costatai, loro mi sorrisero contemporaneamente,
colpevoli. Scossi la testa mentre loro osservavano scettiche il mio,
contente un croissant alla marmellata, tazza di cioccolata calda e
anche fette biscottate con nutella.
-Non guardatemi così, ho una giornata pesante- mi difesi io.
-Cioè?-
-Stamattina ho lezione, oggi pomeriggio terapie- annuirono.
Mangiai tutto in fretta, ogni tanto lanciavo occhiate alla
porta per vedere se Bill arrivava o meno. Probabilmente morivano dalla
curiosità di vederlo dal vivo, non immaginavano neanche io
ne avessi avuto l’occasione, per ben due volte. Non si
presentò, ammisi che mi dispiacque. Inaspettatamente
sentì il mio cellulare vibrare, nessuno mi scriveva mai,
perciò pensai fosse un messaggio inviatomi
dall’operatore telefonico, invece rimasi piacevolmente
stupita.
“Ieri
ho chiamato col tuo cellulare il mio, così mi sono salvato
il tuo numero, spero non ti dispiaccia! (;
Non sono sceso per la colazione, mi sono svegliato troppo tardi, non
sono un tipo mattiniero! Hai qualcosa da fare oggi? Perché
prevedo una giornata noiosa - Bill”
Era un modo velato per chiedermi di fare qualcosa con lui? La
mia risposta sarebbe stata ovviamente positiva, purtroppo
però non si poteva fare nulla, visto ciò che mi
aspettava.
“Mi
sento onorata ora che ho in memoria il numero di Bill Kaulitz!
Oggi mi aspetta
un giorno abbastanza pesante, non vedo l’ora che finisca
guarda.”
Non dovetti attendere molto per la risposta, era molto veloce.
“Sei
occupata? Peccato, mi sarebbe piaciuto vederti!
Anche stasera non puoi?”
Mi si stampò un sorriso in volto, non ero
l’unica ansioso di incontrarlo quindi!
“Stasera
no, solamente finisco la terapia alle cinque.
Dopo rischio di addormentarmi in piedi, quindi a tuo rischio e pericolo!
Se vuoi puoi venire in camera mia, almeno se cado addormentata non
dovrai faticare
per portarmi a letto!”
Rileggendo ciò
che avevo inviato, mi accorsi sembrasse un po’ ambiguo, non
mi feci tanti problemi, Bill mi sembrava un ragazzo troppo dolce per pensare
ci fossero doppi sensi, e anche lui aveva capito che io non ero una
ragazza facile o troppo aperta.
La risposta non si fece aspettare, mi rispose sarebbe venuto
in camera mia alle sette, io avevo proposto di cenare insieme dopo, e
lui aveva accettato.
Per la prima volta affrontai lo studio con un sorriso, grazie
a lui.
* * *
NdA: Eccomi
qua con il secondo capitolo di ADL, in cui compare la protagonista,
Mel. Mi scuso per non aver postato prima, ma sinceramente mi
mancava la voglia per fare la formattazione del capitolo, LOL; inoltre
sono messa malissimo con i compiti, non penso di riuscire a finirli
ò_ò
E ora mi chiedo, c'è qualcuno che è bravo in
matematica? Equazioni, disequazioni, parametri? No perché se
qualcuno riuscisse a farmi gli esercizi di questa bellissima materia
sarei disposta a inviargli tutta questa storia in cambio *disperazione
mode on* e sono seria ò.o.
Detto questo, ringrazio chi ha recensito il capitolo scorso e chi ha
messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate! *-*
Spero vi piaccia anche questo, un commento non fa male :D
Unleashedliebe
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Capitolo 3 *** Capitolo III (R) ***
capitolo
CAPITOLO III
Il sorriso nato grazie ai messaggi di Bill, una volta uscita
dalle
lezioni con il professor di matematica e scienze, era svanito. Quelle
materie proprio non facevano per me, io preferivo scrivere e suonare,
non ragionare e perdere tempo dietro a inutili numeri! A mezzogiorno
per fortuna la mattinata si era conclusa ed ero libera di tornare in
camera mia e pranzare, pregai ci fosse in programma qualche piatto
lontanamente commestibile, le mie preghiere furono fortunatamente
esaudite: davanti a me si presentò un ricco piatto di pasta
con
il pomodoro, qualcosa di decente dopo tanto tempo!
“Pasta! Amo la pasta,
oggi niente fuga alle macchinette (;”
Gli angoli della bocca si arricciarono verso l’alto,
non ero l’unica a pensarla così quindi.
“Anche io amo la
pasta! Per fortuna qualcosa che il mio povero stomaco può
digerire,
necessito di energia
dopo stamattina”
Seguì un altro scambio di messaggi, proseguimmo
così
per un’altra oretta, finché non fui costretta a
salutarlo
perché mi aspettava la chemioterapia. Ormai ero abituata,
all’inizio questa cura mi faceva soffrire tantissimo, anche
perché avevo la fobia degli aghi, paura archiviata e sparita
dopo aver preso l’abitudine. L’unico effetto che
non si
poteva controllare era la stanchezza successiva, accompagnata anche da
un leggero malessere che rendeva difficile il sonno. Terminai alle
cinque, dopodiché mi fiondai nella vasca da bagno,
riempiendola
di acqua calda e sapone. Mi ci immersi completamente, sentendo il mio
corpo rilassarsi grazie al tocco del vapore, mentre le note di Wagner
mi facevano compagnia. Guardai il mio corpo nudo, posando una mano
sulla schiena e sentendo le ossa sporgere. La ritrassi subito, la mia
magrezza faceva senso perfino a me. Sapevo che mangiare di
più
era inutile, non sarei ingrassata: un sintomo della malattia era il
fatto di rigettare spesso, perciò aumentare le porzioni era
inutile. Non sarei ingrassata finché non avessi finto contro
il
mio male. Sperando di riuscirci, prima o poi.
Uscita dalla vasca avevo quasi le mani palmate, corpo
profumato di
fragola e guance arrossate. Mi avvolsi con un asciugamano e frugai
cercando qualcosa da mettere per la serata.
Non era un appuntamento, quindi niente di speciale. Non volevo
però presentarmi ancora in tuta, troppo banale! La serata
l’avremmo passata in camera, seduti a guardare un film
magari,
quindi dovevo trovare qualcosa di comodo. Dopo aver rovistato per una
bella mezz’ora, trovai nel fondo del guardaroba
l’ultimo
regalo di mia madre: un paio di leggins neri e una decina di maglioni,
tutto per farsi perdonare l’assenza dell’ultimo
periodo,
comprare il mio affetto insomma. Scossi la testa, il mio affetto non lo
si comprava, bisognava guadagnarselo. Tuttavia quei pantaloni si
rivelarono utili, scelsi di metterli assieme a un maglioncino con
scollo a barchetta, lungo. Dopo essermi vestita fissai la mia immagine
allo specchio, se non fosse stato per il viso sarei potuta essere una
modella: l’altezza e il fisico c’erano,
ciò che
stonava era il viso sciupato e l’assenza di una folta chioma,
al
suo posto un cappellino di lana. Non ero soddisfatta comunque, mi
mancava sentire i ricci premere sulle spalle, inoltre possedere capelli
faceva passare inosservata, ciò che non succede
ora che ne
ero priva.
Il tempo sembrava non passare più, alle cinque e
mezza ero
già pronta, Bill sarebbe arrivato fra novanta minuti, e io
mi
annoiavo terribilmente, perciò tornai a scrivere.
“Fra
un’ora e mezza Bill viene in camera mia per passare una
serata assieme.
Tra amici.
Mi sembra così strano, da quant’è che
non faccio una cosa del genere?
Ah si, da quattro anni.
Mi sento tanto masochista, penso troppo.
Lui non è costretto a restare qui, lui se ne
andrà.
E io tornerò sola
come sempre.
Tanto ormai ci sono abituata, a essere abbandonata.
Spero solo di non soffrire come ogni volta.
Chiedo forse troppo?
Voglio vivere, è una richiesta così assurda?
Sei miliardi di persone al mondo, una in meno cosa cambia?
Nulla, io sono superflua.
Il mio ricordo si cancellerebbe facilmente.
Basta scrivere, è meglio così.
I miei ultimi pensieri sono troppo cupi e deprimenti.
Perfino per me.
Rewind”
Posai agendina e penna nel cassetto, prendendo il cellulare e
fissandolo intensamente.
Scrivimi, ti
prego scrivimi, pensavo.
E le mie richieste furono esaudite, lo schermo si
illuminò.
“Io
mi annoio! Tu che fai Mel?”
“Bill,
pure io! Anticipiamo la serata? Altrimenti mi addormento sul
serio”
Rimasi delusa non ricevendo risposta, passarono cinque minuti,
dieci. Poi bussarono alla porta.
Fecero capolino dei capelli neri e lisci, seguiti da due gambe
lunghe e magre, avvolte da un paio di jeans stretti, mi
bastò
un’occhiata per capire che si trattava del
cantante. Saltai
su, andando ad accoglierlo col miglior sorriso possibile.
-Buonasera Bill! Tutto bene?- domandai, lui rispose annuendo;
notai
che aveva portato una borsa a tracolla con sé, lo guardai
interrogativa e mi fece segno di aspettare.
Ci sedemmo sopra al letto, a gambe incrociate.
L’aprì e
ne estrasse un bellissimo notebook, costato sicuramente una fortuna.
“E’
più comodo
che scrivere con il cellulare, e decisamente più veloce che
con
carta e penna” Digitò
sulla tastiera. Beh, aveva ragione.
-Sei un genio Kaki- affermai, sorrise al soprannome.
–Quindi che si fa?-
“Mh,
manca ancora un’ora per la cena. Chiacchieriamo?
Cioè, tu parli e io scrivo (;”
Alzai un sopracciglio, guardandolo bene in faccia. Solo in
quel
momento mi accorsi di qualcosa d’anomalo sul viso rispetto
alla
mattina o al giorno prima: aveva un trucco leggere, matita nera a
contornare gli occhi, rendendoli ancora più affascinanti. Si
accorse della mia occhiata e si affrettò a scrivere.
“Il trucco
è una parte di
me, anche del mio personaggio. Considerati fortunata, pochissimi mi
hanno visto struccato, e tu sei una di questi! Altrimenti sono sempre
in tenuta da palcoscenico! (:”
Ciò mi fece salire ancora più
curiosità,
insieme al bisogno di sentire la sua voce che cantava. Quasi un bisogno
morboso.
-Non devi dirmi così, dopo mi diventa sempre
più
difficile resistere dall’andare su google e scaricarmi tutta
la
tua discografia, con photoshoot inclusi!- esclamai borbottando.
Il suo sguardo si fece leggermente più triste, la
paura di veder infrangere il suo sogno era tornata.
-Scusa, non volevo. Giuro che non lo farò- usai un
tono
più rassicurante possibile e funzionò.
–Comunque, che hai fatto oggi?- cambiai velocemente discorso.
“Nulla, ho fatto
colazione. Verso
le dieci sono venuti a trovarmi i miei genitori, il pomeriggio i
ragazzi. Da quando sono andati via invece mi sono annoiato”
concluse con uno sbuffo. “E tu?”
-Dopo colazione ho avuto lezione di matematica e scienze, non
vedo
l’ora di prendere questo maledetto diploma, riesco anche con
un
anno di anticipo per fortuna! Quindi dall’anno prossimo
niente
“scuola”. Poi ho avuto le terapie e mi sono
riposata. Ora
eccomi qui-
“Io
ho preso il diploma via internet, fare la superstar non permette questo
grande studio. Cosa vorresti fare da grande?”
Da grande, chissà se sarei diventata grande, preferivo
non fare progetti a lungo termine.
-Non lo so, mi piacerebbe fare la scrittrice-
Si illuminò e digitò frettolosamente "Scrivi? Posso leggere qualcosa?
Ti prego!"
lo fissai pronta a rispondergli decisa, un bellissimo no; di fronte a
quel viso però proprio non ci riuscì, mi guardava
con
quei bellissimi occhi nocciola, gli angoli della bocca arricciati
all’insù e mi pregava con lo sguardo.
-Sei ingiusto però, allora tu fammi leggere il
testo di una
tua canzone!- ribattei, all’inizio rimase pensieroso poi
annuì. Mi alzai alla ricerca dell’altro quaderno,
quello
che non usavo come diario. Lo aprì e aspettai che anche il
cantante trovasse una canzone da farmi leggere. “Prima tu”
Sbuffai, cercando qualcosa di adatto.
“Non so cosa
è stato,
so solo che non sei più qui.
Il vento mi sveglia
e realizzo che sto correndo
Quanto è profondo e troppo profondo?
Quanto lontano è troppo lontano?
Dove è l’inizio e la fine del tempo?
Dammi una ragione
Per favore portami lì
Lasciami correre”
-Non è niente di che, non sono una scrittrice, o
almeno… non ancora!- mossi le mani imbarazzata.
“Piantala!
Secondo me è bellissima, sembra.. una canzone! Mh”
si fece pensieroso.
-Tieni, ti regalo questa sottospecie di poesia visto che ti
piace- gliela porsi.
“Grazie
mille! Mi piace come scrivi, magari te la ritrovi nel prossimo album! (:”
Sgranai gli occhi, sarebbe stato strano sentire le mie parole
cantate da lui, sicuramente emozionante.
-Ora tocca a te!- feci l’occhiolino, -mostrami
qualcosa!-
“Ne
ho scritte tante, questa è ‘In die
Nacht’, è molto importante per me”
aveva gli occhi che brillavano felici.
“Piano tutto
dentro di me sta diventando freddo
Non staremo qui molto a lungo insieme, stai qui.
L'ombra vuole prendermi
Quando andremo, andremo via soltanto insieme
Tu sei tutto
quello che sono io
E tutto quello che attraversa le mie vene
Noi ci supporteremo l'uno con l'altro
Non importa dove andremo
Non importa quanto in profondità.
Non voglio essere li da solo
Lasciateci insieme
Nella notte
Prima o poi sarà il tempo
Lasciaci insieme
nella notte”
Leggevo ogni parola attenta, immedesimandomi nel testo e
facendolo
diventare mio. Dopo averla letta mi sentì invadere da
brividi,
chissà a chi l’aveva dedicata… doveva
essere bello
avere un rapporto così con qualcuno, così intenso
e
profondo. Io non l’avevo mai provato.
-E’.. bellissima!- esclamai io.
Mi rispose con un sorriso luminoso, chiacchierammo per
un’altra mezz’ora finchè non
arrivò Rossella
con la cena, l’avevo avvertita che Bill avrebbe mangiato con
me,
perciò una volta entrata non si fece risparmiare
un’occhiata maliziosa che, sperai, il frontman non avesse
colto.
Per nostra fortuna niente minestra quella sera, ma un buon piatto di
lasagne, per quanto potessero esser buone nella clinica.
Mangiammo silenziosamente, accompagnati dal suono della
televisione
che mandava un programma di cui non seguì una parola, troppo
impegnata a bearmi della visione di cotanta bellezza di fronte a me.
-Guardiamo un film?- proposi una volta finito,
annuì e
optammo per uno d’azione. Non sopportavo quelle commedie
romantiche sempre a lieto fine, mi deprimevano. Lo stesso per i film
horror, mi impressionavo facilmente. Ci sedemmo vicini, sulla testiera
del letto. Ridacchiai vedendo che i suoi piedi quasi uscivano dal
materasso, era proprio alto!
Guardavamo distrattamente il televisore e nel frattempo
mangiucchiavamo patatine, ogni tanto portavo il mio sguardo dallo
schermo al viso del ragazzo che mi era seduto affianco, uno spettacolo
per me migliore. Osservandolo di sottecchi non potei che stupirmi per
quando perfezione c’era in una persona sola, sembrava una
bambola
di porcellana al maschile, emanava dolcezza ma nello stesso tempo
determinazione. Un soggetto per nulla banale insomma.
“Perché
continui a guardarmi? >_<” lo vidi
scrivere al computer, arrossì colta in fallo, per fortuna
non c’era abbastanza luce per notarlo!
-Sei interessante- scrollai le spalle con indifferenza, mentre
sprofondavo per l’imbarazzo.
Mi guardò stranito e tornò a dedicarsi
al film, cosa
che feci anche io, cercando di non far scivolare il mio sguardo verso
Bill. Un’ora dopo l’inizio mi sentivo terribilmente
assonnata, era un po’ piatto, speravo in qualcosa di
più
movimentato invece era una palla. Sbadigliai rumorosamente, seguita a
ruota dal moro.
-Questo film mi fa un po’ schifo, a te no?-
domandai, lui annuì d’accordo con me.
“E’
meglio che vada
ora, sarai stanca dopo la giornata che hai passato! Ci sentiamo domani,
ho passato una bellissima serata, grazie! [:”
scrisse velocemente, guardandomi negli occhi.
-In effetti ho un po’ di sonno, è stata
una serata
bellissima anche per me, da tanto non passavo del tempo
così. A
domani- sorrisi mentre lo vidi alzarsi e stiracchiarsi. Lo accompagnai
alla porta, indecisa sul da farsi. Non ero abituata a serate fra amici,
come ci si comportava quando bisognava salutarsi? Abbraccio? Stretta di
mano? Mi sentivo decisamente impacciata, fu lui perciò a
fare il
primo passo; si abbassò verso di me delicatamente, poggiando
un
leggero bacio sulla mia guancia, che si colorò
istantaneamente
di porpora, se ne accorse e ridacchiò. Gli diedi
una
piccola spinta, mentre cercavo di controllare le pulsazioni del mio
cuore, alquanto aumentate in seguito al contatto.
-Buonanotte- sussurrai dolce, mentre si allontanava da me per
tornare a dormire.
Mi buttai nel letto sospirando, da quanto non provavo cose del
genere? Felicità, allegria, euforia? Da tanto, e Bill era
l’artefice di tutto ciò.
“Pensando
alla felicità mi veniva in mente quando ero piccola,
spensierata,
piena di sogni e sana.
Penso alla felicità adesso e nella mia mente compaiono due
occhi nocciola.
E questo non mi piace.
Sarà perché sono ancora assuefatta dalla sua
presenza.
C’è ancora il suo profumo che aleggia in camera..
Non posso lasciarmi andare a sensazioni positive, ora come ora.
Lui non resterà. Ha ancora un mondo da stravolgere e colpire
con la sua voce.
E io? Sarò spettatrice lontana.”
Scrissi queste parole nel mio diario, addormentandomi
pensierosa e irrequieta.
* * *
NdA: Ecco
il nuovo capitolo, non è dolce Bill? *-*
Ho messo anche l'altro banner, spero vi piaccia pure questo! ^___^
Non so che altro dire, LOL. Rinnovo la mia proposta, se qualcuno è bravo in
matematica ed è disposto a farmi i compiti, riceverebbe in
cambio tutta la storia completa °A° (se
non si è capito, sono disperata!)
Ringrazio nuovamente chi ha recensito il capitolo scorso, e ripeto che
un commento non uccide, anzi!
Ps: Dedico questo capitolo alla Rossh, oggi è il suo
compleanno! E' anche grazie a lei se la storia è qua, visto
che l'ha letta in anteprima fin da aprile e mi ha incitato a postarla!
♥
Unleashedliebe
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Capitolo 4 *** Capitolo IV (D) ***
CAPITOLO IV (D)
Sentivo parecchio rumore provenire dai corridoi, segno che era
arrivata l’ora della colazione; mi stiracchiai meglio nel
letto, cercando la forza e la voglia di scendere e vestirmi, non
travandone. Per una mattina potevo anche saltare, avrei preso qualcosa
alle macchinette più tardi. Mi girai facendo sprofondare la
mia faccia sul cuscino, stavo per riassopirmi quando sentì
il cellulare suonare di fianco a me, mi ero dimenticata di spegnerlo;
indecisa se rispondere o no, lo afferrai non appena mi
balenò l’idea che, il mittente del messaggio,
fosse Bill.
“Buongiorno Mel!
Scendi per la colazione? Magari possiamo farla insieme”
Dieci minuti dopo ero vestita, lavata, sveglia e seduta su un
tavolino della mensa, mentre aspettavo l’arrivo del cantante.
Dovetti attendere due minuti, dopo si presentò in tutta la
sua bellezza: capelli lisci sulle spalle, occhi lievemente contornati
dalla matita nera, jeans strappati e stretti, maglione aderente con
scollo a v; trattenni il fiato, com’era bello. Notai
non essere l’unica ad essere andata leggermente in
iperventilazione, quasi tutte le ragazze della sala si erano girate e
lo guardavano con la bocca spalancata, stupendosi ancor di
più capendo stesse per sedersi al mio fianco, al mio tavolo
solitamente vuoto.
-Buongiorno Bill!- mi alzai per salutarlo e, stavolta, fui io
ad alzarmi sulle punte per lasciargli un bacio sulla guancia, facendolo
sorridere. Lui ricambiò muovendo la mano.
-Mi sento stranamente osservata. Ci stanno fissando tutti!- mugugnai io.
“Io ormai ci
sono abituato. Sembra di essere in esposizione in un museo!”
scrisse dopo aver estratto il suo bellissimo cellulare dalla tasca dei
jeans.
-Io no invece, non sono decisamente abituata a stare al centro
dell’attenzione! Sono riservata-
“anche io, ma
è il prezzo derivante dalla carriera. Non me ne accorgo
neanche più, anche se a volte risulta fastidioso. Non
c’è mai privacy, ma se questo è il
prezzo per realizzare il mio sogno, lo pago volentieri (:”
Quelle parole mi stupirono, era già più
positivo rispetto al giorno prima, in cui parlare della sua carriera lo
metteva a disagio.
-Siamo di buon umore stamattina?- feci, lui rispose
positivamente, andandosi poi a tuffare in una calda tazza di
cappuccino, io scelsi invece la solita cioccolata calda.
“Programmi per
oggi?” digitò.
-Stamattina ho lezione di tedesco e storia, oggi pomeriggio come ieri,
forse vengono a trovarmi i miei genitori, è sempre un punto
interrogativo la loro presenza- arricciai il naso, -tu invece?-
“Ho una visita
per la voce stamane, poi dovrebbero venire i miei amici (:”
-Okay, ora è meglio che vada! La professoressa che mi
ritrova è veramente velenosa e acida, meglio non arrivare in
ritardo o è capace di riempirmi di compiti- sbuffai, -ci
sentiamo per messaggio- sorrisi prima di andare a recuperare i libri e
attendere l’insegnante in biblioteca.
Arrivai cinque minuti in anticipo, lei invece puntuale come sempre.
Stretta in una gonna verde lunga fino a metà ginocchio e una
orribile giacca rossa abbinata un foulard bianco, la signora Damischt
dimostrava tutti i suoi sessant’anni, l’unica cosa
che tradiva la sua età erano gli occhi, di un bellissimo
blu, vivaci ma severi.
-Buongiorno professoressa- salutai impacciata, mi inquietava
terribilmente.
-Salve signorina Bauer. La vedo meglio oggi- disse squadrandomi e
usando il solito tono freddo. In effetti quella mattina il
mio aspetto era decisamente meno peggio del solito, meno malaticcio.
Forse ero esagerata, ma ero convinta che ciò fosse grazie a
Bill, come se fosse la mia
Tablette personale.
… Non sapevo
che, in realtà, quel benessere fosse la quiete prima della
tempesta.
-Mi sta ascoltando signorina? Forza, tiri fuori il libro di
storia!- mi risvegliò dai miei pensieri la signora,
così obbedì e cercai di concentrarmi sulla
lezione, uscendo da quella stanza solamente a mezzogiorno,
terribilmente stanca e sfibrata.
Mi trascinai verso la mia stanza, riaccendendo il cellulare e trovando
due messaggi, uno di Bill e uno.. di mia madre.
Il primo chiedeva se fossi sopravvissuta alla scuola, il secondo invece
mi avvisava sarebbe venuta a trovarmi nel pomeriggio con mio padre.
Risposi prima a Bill,
“Sì,
sono sopravvissuta.. più o meno sana. Non penso di arrivare
viva a stasera, vengono a trovarmi i miei!”
A quello della mia genitrice neanche risposi, mi limitai a
sbuffare seccata.
No, non la odiavo; vederla mi creava un colpo al cuore, non sopportavo
la sua presenza per il semplice fatto che ero identica a lei per
aspetto fisico, avevo i suoi occhi, i suoi capelli, il suo sorriso.
Tutto in lei era più amplificato e, sapevo non doveva essere
semplice vedere la propria somigliante figlia ridotta a uno straccio,
magra e sciupata. Era il mio specchio, solo che rifletteva una mia
immagine migliorata, che non mi sarebbe mai potuta appartenere, forse
un tempo, ma ora era improbabile.
Una volta, nonostante i suoi continui viaggi, eravamo unite.
La malattia cambia tutto, ci siamo allontanate a vicenda suppongo, io
perché non volevo la sua compassione, lei perché
non sopportava di vedere il sangue del suo sangue appassire giorno dopo
giorno, era meglio creare quella distanza, diventare quasi due
estranee, tutto ciò per il desiderio egoistico di soffrire
il meno possibile.
Rilessi il suo messaggio, avevo un’ora di tempo
prima del suo arrivo. Sentì lo stomaco contorcersi e fui
attraversata da una serie di brividi e da una sensazione spiacevole che
mi portava a trattenere i conati di vomito. Perfetto.
Frugai nell’armadio cercando qualcosa che
contribuisse a farmi sembrare umana, trovando un semplice paio di jeans
strappati, converse mai messe e una camicia scura. Indossai tutto in
fretta, andando poi in bagno, frugai nel beauty-case, estraendovi una
matita nera che passai accuratamente sotto l’occhio e anche
un po’ di mascara per le ciglia. Mi truccavo raramente, lo
facevo molto di più prima,
mi divertivo. Una volta arrivata in clinica però, lo trovavo
terribilmente inutile e ricorrevo al make-up solo per le visite dei
miei genitori, per far veder loro che sopravvivevo, tiravo avanti in
qualche modo senza lasciarmi andare. Fissai la spazzola giacente sul
lavandino ormai da un anno; sentì le lacrime salire agli
occhi, mi mancava così tanto la sensazione di passarla fra i
capelli, cercando di far sparire i nodi, tirando. Non avere i capelli
era un marchio, qualcosa che non puoi nascondere con un po’
di fondotinta, neanche con una parrucca, la gente avrebbe capito che
c’era finzione sotto, perciò non restava che
coprire tutto con un misero cappello di lana, procurandoti addosso
sguardi compassionevoli e sorrisi melensi. Ricacciai le lacrime, non
volevo farmi trovare con gli occhi tutti rossi. Odiavo mostrarmi
debole.
“Non
farti prendere dal panico Mel, sono solo i tuoi genitori! (; dopo se ti
va puoi passare da me, così ti faccio conoscere la
band!”
Lessi il messaggio appena ricevuto da Bill, solo i tuoi
genitori, era semplice detto così, ogni incontro con loro mi
metteva un’ansia incredibile addosso. Passando alla seconda
parte del messaggio non riuscì a trattenere
un’esclamazione entusiasta, voleva farmi conoscere i suoi
amici! Arricciai gli angoli della bocca all’insù,
rispondendo subito, positivamente. Ora ero già
più propensa ad incontrare mia madre.
Sentì bussare alla porta, mi alzai e di fronte a me
trovai mia madre che sorrideva allegra. Non la vedevo da un paio di
mesi, non era cambiata affatto: altezza statuaria, capelli ricci e
neri, occhi allungati dall’eye-liner che ne risultavano il
colore azzurro intenso, fisico magro e formoso, bellissima.
Quando ero piccola il mio sogno era diventare come lei,
l’incarnazione della donna perfetta.
-Ciao Mel!- salutò abbracciandomi stretta, ricambiai il
contatto indecisa.
-Come stai?- domandò apprensiva.
-Bene- scrollai le spalle –Niente complicazioni
nell’ultimo periodo, non è più
successo- risposi, riferendomi a un attacco accaduto mesi prima, uno
dei più gravi dopo la diagnosi.
-Sono contenta piccola- sorrise entusiasta, sembrava una bambina.
-Tu invece tutto bene? Papà come sta?-
-Tutto apposto, voleva venire anche lui mi gli hanno anticipato le
prove per la prima dello spettacolo. La settimana prossima ci esibiamo
a Berlino, sui testi di Schumann, l’ultimo cd che ti ho
regalato. Non vedo l’ora, si preannuncia sarà un
successo internazionale!- come sempre d'altronde, era
un’attrice e cantante straordinaria, come mio padre infondo.
-Tu hai qualche novità?- domandò curiosa.
–E’ arrivato qualcuno di interessante? Ho sentito
qualcosa riguardo a Bill Kaulitz…- ammiccò.
-Tu conosci Bill Kaulitz?- ero sorpresa.
-Beh si, i Tokio Hotel sono famosissimi in tutta Europa, ha davvero una
voce stupenda. Spero per lui vada tutto bene, mi dispiacerebbe la
carriera della band venisse stroncata così. Comunque, hai
evaso la mia domanda, l’hai conosciuto?-
-Si.. penso stiamo diventando amici- arrossì imbarazzata.
-Ti piace!- esclamò lei, illuminandosi e invitandomi a
raccontarle tutto. Sembrava lei l’adolescente.
-No mamma, non mi piace! Lo conosco da due giorni, ieri abbiamo passato
la serata guardando un film, è davvero un bravo ragazzo.. ed
è anche carino, quello sì-
-Guarda che se ti piace non c’è nessun problema,
hai diciassette anni, è normale prendersi una cotta!-
Mi sentì avvampare fino alla orecchie, quella non era mia
madre che parlava! Era un’adolescente pettegola.
-E’ normale, non per me- risposi io, ricevendo una
sua occhiata dubbiosa.
-Non posso innamorarmi mamma- spiegai.
-Cosa? Perché dici così?- era confusa dalla mia
esclamazione, pensavo ci sarebbe arrivata da sola.
-Sono malata, non mi devo innamorare, semplice. Soprattutto non di Bill
Kaulitz, cantante di fama internazione con fan in tutta Europa, che fra
un mese lascerà la clinica per domare i palcoscenici, come
sempre. E non è giusto che qualcuno si innamori di me, che
vantaggi avrebbe? Niente, una fidanzata con la leucemia che potrebbe
morire da un momento all’altro- le spiegai calma. Vidi i suoi
occhi diventare lucidi e mi sorprese in un abbraccio.
-Smettila di dire queste cose! Tu parli come se.. stessi per morire per
Dio!-
-Non è forse così mamma? Ho questa malattia da
quattro anni, non mi illudo più di sconfiggerla, non
dovresti farlo neanche tu. Io l’ho accettato, basta solo
capire come e quando- si discostò dall’abbraccio e
mi fissò negli occhi per un lungo istante,
dopodiché vidi la sua mano sollevarsi e arrivare a collidere
contro la mia guancia. La fissai sconcertata, portandomi un dito sulla
guancia arrossata.
-Si, hai questa malattia da quattro anni, allora? Sei viva, sei ancora viva!
Perciò non vedo motivo di credere debba morire, hai le cure
migliori, i medici migliori, il meglio! Smettila di pensare come se
fossi già con un piede dentro una tomba cavolo! Non lo sei!-
concluse rossa in volto. Non l’avevo mai vista
così alterata.
-Tu puoi continuare a sperare, io mi sono.. arresa? No, non mi sono
arresa. Sono solo realista, e non lo faccio solo per me, lo faccio per
voi. Non so se vivrò ancora a lungo, preferisco la gente non
si affezioni a me, considerando potrei sparire da un giorno
all’altro-
-Non succederà, io lo so che non succederà.
Piantala, non isolarti dal mondo. Hai diciassette anni, non cento.
Goditeli, vivi! Quel Bill, ti piace? Vivi il secondo,
se non lo fai potresti pentirtene per sempre. Fai l’egoista
per una volta, pensa alla tua
di felicità, non precluderti l’idea di poter
essere viva.-
Abbassai lo sguardo, sapevo d’aver ragione, ma sapevo anche
che mia madre non aveva torto.
-Io..- cominciai tentennante, non sapevo cosa replicare.
-Non serve dire nulla, basta che pensi a ciò che ti ho
detto. Tornando al discorso di prima..- mi guardò allusiva
–Allora, com’è Bill?-
-Bill è.. Bill. Non lo conosco bene, non ho mai sentito una
sua canzone, non ho neanche mai sentito la sua voce per via
dell’intervento. Posso dirti che è un ragazzo
stupendo e perfetto, che.. dopo due giorni di conoscenza già
mi è entrato dentro come mai successo prima, ha questa
capacità di scaldare il cuore con un sorriso, quando ride
sembra un bambino, un angelo. Hai visto i suoi occhi? Non so se in foto
fanno lo stesso effetto che fanno dal vivo, io li trovo stupendi. Sono
banali occhi nocciola, ma su di lui brillano, è capace di
annullare la mia razionalità con un’occhiata. E..
cavolo, tutto questo dopo due giorni!-
Mi fissò dolce, -se tutto questo è successo in
soli due giorni, immagina cosa può succedere in un mese Mel,
immagina-
Già ci avevo pensato, poi ne avrei avuto la certezza.
In un mese Bill Kaulitz
avrebbe rivoluzionato la mia vita.
* * *
Il pomeriggio passato con mia madre non fu terribile come
avevo immaginato, anzi, si rivelò utile e mi aprì
gli occhi su tante cose. Probabilmente aveva ragione, dovevo lasciarmi
andare di più, dovevo imparare a vivere, ma non era
così facile dopo aver passato quattro anni sospesa nel
nulla, vivendo giorno dopo giorno passivamente, una routine continua,
senza sbalzi né cambiamenti.
Ero statica.
Strano come le cose potessero mutare così radicalmente,
così velocemente, inaspettatamente.
Grazie a una solo persona poi.
Quella persona che stavo raggiungendo, colui che stava portando una
rivoluzione non indifferente nel mio modo di essere. Ora voleva
presentarmi ai suoi amici, ero timorosa, spaventata dall’idea
di conoscere gli altri Tokio Hotel: non sapevo come avrebbero reagito
di fronte all’amica leucemica del loro cantante, ognuno ha un
modo diverso di rispondere di fronte a una malata:
c’è chi si comporta facendo finta di nulla, chi ti
guarda compassionevole, chi con pena. Speravo rientrassero nella prima
parte.
Mi piantai davanti alla sua porta, sentendo delle risate
all’interno, rimasi lì impalata finché
non mi arrivò un messaggio.
“Ehi Mel, fra quanto
arrivi? Ti stiamo aspettando!”
Arricciai la bocca in un sorriso, rispondendo con un “eccomi”.
Neanche il tempo di bussare che il cantante sbucò dalla
camera travolgendomi in un abbraccio e trascinandomi
all’interno.
Non ero mai stata nella stanza di Bill, era più spaziosa e
luminosa della mia, con un grande armadio, sopra al letto
v’era attaccata una foto di una cantate che doveva essere la
sua preferita, Nena supposi. V'erano sparse riviste, foto e
pezzi di carta ovunque, poco ordinato il ragazzo. Sulle poltrone
sedevano due ragazzi, un terzo mi dava le spalle ed era seduto a letto.
Notandomi, i due si alzarono venendo verso di me.
-Ciao, io sono Georg, Bill ci ha parlato tanto di te!-
arrossì, all’ora non ero l’unica a
parlare di lui!
-E io sono Gustav, siamo rispettivamente bassista e batterista dei
Tokio Hotel. Bill ci ha detto non ci conosci, giusto?-
annuì, -Beh, piacere allora!- porse la mano e la strinsi.
-Io sono Mel, piacere- sorrisi –Piacere di conoscervi, anche
Bill mi ha detto tante cose su di voi-
Mi girai verso al letto, l’altro ragazzo non sembrava dare
segni di vita.
-Coglione, vuoi venirti a presentare?- lo rimbeccò il
batterista, battendo con un dito sulla sua spalla. Udì uno
sbuffo prima di vederlo alzare e venire verso di me. La prima cosa che
notai fu il suo abbigliamento insolito, portava dei jeans davvero
larghi e col cavallo basso, scarpe da ginnastica e un felpa altrettanto
larga. Alzando lo sguardo verso il suo volto mi saltò alla
vista il piercing che adornava le sue labbra e successivamente quello
che stava sul sopracciglio, fissai poi dei rasta castani uscire dal
berretto da skater, per ultima cosa posai il mio sguardo sui suoi
occhi, rimanendo stupita nel scoprire fossero dello stesso nocciola di
Bill. Si assomigliavano parecchio, nonostante quest’ultimo
avesse i tratti del viso molto più marcati e duri rispetto a
quelli del cantante, lo sguardo poi non trasmetteva lo stesso calore,
era piuttosto freddo, cosa che mi stupì.
-Ciao- borbottò maleducatamente, indugiando troppo sul mio
volto pallido e sul cappello.
-C-ciao- balbettai in risposta, presa alla sprovvista dal gelo con cui
m’aveva trattata.
Vidi il cantante avvicinarsi a quest’ultimo, fulminandolo con
un’occhiataccia e tirandogli una gomitata.
-Ehi!- esclamò rivolto verso il moro –Okay, sono
Tom. Il gemello riuscito bello, intelligente e normale-
affermò sarcastico. Gemello? Elaborai quest’ultima
informazione e capì il perché della somiglianza.
Non m’aveva detto d’aver un fratello!
-Non mi avevi detto d’aver un gemello Bill- esclamai, lui
prese il cellulare e mi scrisse la risposta.
“Scusa, mi è passato di mente! Ormai sono abituato
al fatto che tutti ne sono a conoscenza! La canzone che ti ho fatto
leggere, In die Nacht, l’ho scritta io per lui”
-Okay, comunque io sono Mel- mi presentai impacciata.
-Lascia perdere Tom, oggi ha le palle girate.. anzi le ha sempre
girate- fece Georg.
-Beh, com’è che non conosci i Tokio Hotel?-
domandò Gustav.
-Non ascolto molta musica contemporanea diciamo, non conosco molti
artisti “moderni”. Preferisco altro
genere, senza offesa! Appena Bill mi darà il permesso
comprerò un vostro cd!-
-Bene, bisogna rimediare al vuoto!- mi fece l’occhiolino,
intanto mi accomodai nell’altro divanetto, seduta vicino al
frontman, mentre il fratello sedeva sul letto e ascoltava passivamente
la conversazione.
-Quanti anni hai?-
-Diciassette, diciotto fra poco. Voi?-
-Bill e Tom 18, Georg 20 e io 21. Studi?- ridacchiai, per una volta
erano loro a fare l’intervista, non il contrario.
-Si, dovrei diplomarmi questo giugno. Voi?-
-Abbiamo preso tutti il diploma via internet. Abbiamo lasciato la
scuola non appena diventati famosi-
-Capisco.. se non foste diventati famosi cosa avreste voluto fare?-
domandai curiosa.
-Io il dentista- rispose Georg.
-Io l’architetto penso- fu la risposta del biondo.
-E tu Bill?- mi girai verso il cantante.
-Lui avrebbe fatto il cantante comunque, oppure il modello. Non riesce
a stare lontano dai riflettori, è nato per questo-
intervenne in gemello al posto suo, facendo sorridere Bill, lo
conosceva bene.
-E tu Tom?- posi questa domanda tentennante, avevo capito di non
stargli simpatica.
-Sapevo sarei diventato famoso, quindi non mi sono mai posto seriamente
la domanda. Forse, conoscendomi, sarei potuto diventare un quotato
spogliarellista, o pornostar- rispose noncurante.
Sgranai gli occhi sconcertata, gli altri risero della mia reazione, che
spaccone!
Passai un’ora in loro compagnia, fu un bellissimo
pomeriggio, tranne per qualche uscita spiacevole di Tom, accompagnate
da commenti sarcastici e acidi. Potei constatare quanto fossero
piacevoli gli amici di Bill e, come, nonostante il successo che gli
aveva travolti così da giovani, non avessero assunto un
carattere superiore, infatti avevano i piedi ben salti per terra ed
erano molto affabili. Salutai tutti con un abbraccio, tranne il
chitarrista, ci limitammo a un cenno con la testa, proprio non lo
capivo quel ragazzo: sembrava gli avessi fatto qualche torto,
semplicemente gli stavo antipatica a pelle.
Tornai in camera per l’ora di cena, anche se sentivo lo
stomaco leggermente chiuso.
Non appena ebbi finito, accesi il computer ed entrai su Messenger, non
ci passavo molto tempo ma quel pomeriggio Bill m’aveva
aggiunto ai suoi contatti, un motivo in più per amare la
tecnologia.
Bk scrive:
Hey Mel (:
Mel scrive:
Ciao Kaki! Cenato? Io non avevo molto fame D:
Bk scrive:
Tutto bene? Io si, era abbastanza buono il cibo stasera.
Mel scrive:
Non lo so, ho lo stomaco un po’ sottosopra. Comunque mi ha
fatto piacere conoscere i tuoi amici! Sono molto simpatici.. tutti (o
quasi)
Bk scrive:
Quel quasi fa riferimento a Tom per caso? Non so neanche io
perché si sia comportato così, di solito
è più estroverso, oggi era leggermente musone! Mi
scuso per il suo comportamento.
Mel scrive:
Bill, non ti devi scusare (: non posso mica piacere a tutto! Non gli
starò simpatica, succede!
Bk scrive:
Non so proprio che gli è preso ._. sarà nervoso,
è un periodo un po’ così! Piuttosto tu
che fai domani?
Mel scrive:
La mattina ho degli esami, il pomeriggio riprendo con le terapie :S
Quindi sarò fuori uso tutta la giornata, mi dispiace.
Bk scrive:
Dispiace anche a me, spero di rivederti presto Mel! (;
Ora è meglio che vada, Gute Nacht Prinzessin.
Mel scrive:
Notte cantante dagli occhi nocciola.
Spensi il computer beandomi della sensazione
dell’esser stata chiamata Principessa, il mio cuore diventava
una palla di melassa ogni volta che mi apostrofava in quel modo.
Sbuffai subito dopo, rendendomi conto che il giorno successivo non
l’avrei rivisto, probabilmente neanche l’altro,
visto che mi aspettavano controlli su controlli. Possibile che non
potevo avere un po’ di pace? Sempre sbuffando recuperai il
quadernetto per scriverci qualcosa.
“A volte un
semplice sorriso può cambiare una giornata.
A volte una semplice persona può cambiarti la vita.
A volte dei semplici occhi nocciola possono farti battere il cuore.
E tutto questo è sintomo di qualcosa che cambia in profondo.
Una rinascita, un corpo ghiacciato che brucia.
Dolce gelo. Classico ossimoro.
E risorgi dall’abisso che tu stesso hai creato.
E torni a respirare.. ”
.....
...
* * *
.....
...
NdA:
Eccomi qua con il nuovo capitolo! Ringrazio chi ha recensito lo scorso
capitolo e anche chi legge senza commentare (un parere però
non fa mai male xD). Ho postato perché oggi
è un giorno
speciale, primo settembre, compleanno dei Kaulitz!
Vendidue anni ormai. ♥
Mentre loro saranno a divertirsi io non posso che starmene qui e
pensare quanto mi piacerebbe fare gli auguri di persona, e tutto questo
è deprimente.
Bando alle ciance, non voglio far intristire pure voi
°-°
Unleashedliebe
|
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Capitolo 5 *** Capitolo V (U) ***
l
...
...
...
CAPITOLO
V (U)
...
...
...
Come avevo immaginato, nei due giorni successivi non ebbi
l’occasione per vedere Bill, purtroppo fui sottoposta a un
sacco
di controlli e, alla fine, mi ritrovai esausta a letto, tornata al mio
solito colorito malaticcio e viso sciupato, tutti i progressi ottenuti
grazie al cantante erano stati cacciati via.
Insomma, erano gli effetti dell’astinenza. Craving di
Bill Kaulitz.
Nella clinica nel frattempo non era successo nulla di
eclatante,
nessuna celebrità si era unita a noi e nessuna se ne era
andata.
Ciò che smosse un po’ le mie giornate fu un regalo
particolare ricevuto da mia madre il giorno dopo la sua visita: un
pacco abbastanza grande e sospetto, che aprì con cautela,
sbiancando non appena captai il contenuto: vi erano una decina di
completi intimi, di vari tipi e colori. Guardandone alcuni mi
sentì avvampare, come le era venuto in mente di farmi un
regalo
del genere? Nel biglietto allegato c’era scritto solamente:
“Vivi
il secondo [cit. BK]”
Era indubbiamente un riferimento velato riguardo alla mia
“situazione” con il cantante, praticamente mia
madre voleva
che mi buttassi nelle sue braccia, non l’avrei fatto. Avevo i
miei motivi, al primo posto l’insicurezza e autostima pari a
zero: lui era troppo perfetto per me, anzi, era troppo perfetto per
questo mondo. Prendete il cielo d’estate, alzate la testa e
guardate le stelle; ce ne sarà sempre una che
colpirà
più delle altre, più luminosa, più
brillante.
Ecco, quella stella era Bill Kaulitz. Io ero una fortunata spettatrice
di tanta bellezza, potevo bearmi della sensazione di essergli stata
vicino, cosa che migliaia di ragazze sognavano, ma era capitato a me. E risplendevo nella sua
ombra.
Nonostante ciò, ero convinta di non essermene innamorata, la
parte razionale dominava sul resto e mi diceva che era impossibile far
nascere un sentimento del genere dopo neanche una settimana di
conoscenza, ci ero affezionata, quello si. Tanto anche.
Sentì il cellulare vibrare e un sorriso nascere alla vista
del mittente.
“Uffa,
che noia Mel. Mi mancano i nostri pomeriggi! Che fai?”
“Nulla,
sono in camera. Oggi giornata libera. Tu invece, programmi?”
“No,
mi hanno
vietato di uscire però ._. hanno deciso di anticiparmi
l’operazione, è fra tre giorni. Di conseguenza non
posso
muovermi dalla stanza per evitare di ammalarmi. Dio che palle”
Gli avevano anticipato l’operazione? Immaginavo Bill
fosse
spaventato, ma anche felice: avrebbe saputo presto se il suo sogno
sarebbe sopravvissuto o si sarebbe dissolto com’era nato.
Senza
pensarci due volte indossai le prime cose che trovai a tiro e mi recai
nella stanza di Bill: se Maometto non va alla montagna, la montagna va
da Maometto. Bussai e aprì la porta lentamente, trovando il
cantante seduto a gambe incrociate sopra al letto, che guardava
distrattamente la televisione sgranocchiando le solite patatine, il
cellulare vicino. Notando la mia presenza, mi sembrò quasi
che
si illuminasse, la medesima reazione che ebbi io.
-Ciao Bill, disturbo?- domandai, lui negò
vivacemente con la testa e mi indicò di sedermi vicino a lui.
-Ho pensato che avessi bisogno di compagnia- mi mordicchiai il labbro
nervosa.
“Hai pensato
giusto (: Mi sei mancata! Com’è possibile?”
scrisse col cellulare.
-Me lo chiedo anche io come sia possibile. Ci conosciamo da quattro
giorni-
“Beh, credimi
per me è
già tanto. A parte mio fratello e gli altri due zoticoni non
ho
amici, non ne avevo neanche prima del successo a essere sincero. Poi
diventi famoso e tutti vogliono avvicinarti, comunque non sono riuscito
a legare con nessuno, nonostante incontrassi la stessa gente agli
stessi party. Invece con te si.. non mi era mai successo”
scrisse velocemente, fermandosi a riflettere sulle parole.
-Io beh, avevo degli amici, una volta. Con la malattia spariti tutti, e
una volta arrivata qui non ho dato la priorità a fare
conoscenze, ho semplicemente rinunciato a rapportarmi col mondo-
spiegai.
“Con me
però ci hai
parlato, e sono contento. Magari.. ti sembrerò affrettato,
ma mi
sono affezionato a te. Non mi guardi come le altre, ossia come un pezzo
di carne. Tu vedi Bill, come io vedo Mel”
Mi concentrai sul respiro, cercando di stabilizzare i battiti del
cuore, leggermente aumentati dopo aver letto quelle parole, non
riuscì però a stroncare l’ampio sorriso
che si
piazzò sul volto.
-Bill, non dovresti affezionarti a me, lo sai?- lo guardai negli occhi,
il suo sguardo era palesemente interrogativo. -E’ rischioso-
ammisi.
“Ormai
è troppo tardi (: ti voglio bene, Mel”
Sentì uno strano formicolio al naso e mi si appannarono gli
occhi. Da quanto tempo qualcuno non mi diceva che mi voleva bene? Anni?
E poi arrivava Bill, con quel sorriso e quella dolcezza disarmante e
nonostante non l’avesse detto ad alta voce capì
tutta la
sua sincerità guardando quei grandi occhi nocciola.
-Anche io te ne voglio Kaki- mi grattai l’orecchio
imbarazzata,
evitando di guardarlo in viso. Ridacchiò di fronte alla mia
timidezza e mi sorprese in un abbraccio istintivo, inizialmente rimasi
immobile, poi lasciai che le sue braccia magre passassero attorno alla
mia schiena avvolgendomi con il suo calore e profumo. Profumava di
vaniglia e menta, un profumo dolce, non di quelli che fanno arricciare
il naso, faceva parte di quelli che ti inducono a chiudere gli occhi
per assaporare meglio. Appoggiai la testa sulla sua spalla e lo strinsi
a me. Sentivo il suo cuore battere regolare sul mio, che al contrario
sembrava impazzito.
Ci staccammo contemporaneamente dopo qualche minuto, il tempo
di
metabolizzare gli ultimi avvenimenti. Probabilmente ero color porpora,
infatti lui non trattenne una risata.
“Sei bella
quando ti imbarazzi” scrisse.
E tu sei bello sempre,
pensai. –Piantala- bofonchiai invece.
“Come siamo
suscettibili! Però è vero, ti imbarazzi con
nulla! (;”
Non era colpa mia se la sua presenza mi destabilizzava completamente..
-Mi ero disabituata a queste cose, è da quattro anni che
conduco
una vita eremitica, cosa posso farci?- sbuffai, -Non tutti possono
diventare superstar internazionali e viaggiare per il mondo-
“Sono convinto
che anche tu viaggerai per il mondo, Dichterin”
-Poeta? Non sono una poeta, sono solo una ragazzina che cerca di
mettere in ordine i suoi pensieri facendo si che prendano forma su
carta. Senza ordine logico, non scrivo cose sensate- affermai.
“Secondo me si
invece, devi
avere più fiducia in te stessa. Io sono convinto un giorno
verrò da te per chiederti di autografarmi un tuo
libro”
-E’ improbabile Kaki, però non nego sarebbe
bellissimo-
Continuammo a chiacchierare per un’oretta,
finché
qualcuno non bussò alla porta, quel qualcuno si
rivelò
essere Tom Kaulitz, con al seguito Gustav; il chitarrista mi
lasciò un’occhiata degna da film
d’orrore, in grado
di incenerire.
-Beh, è meglio che vada, vi lascio soli. Ciao Tom,
ciao
Gustav- mugugnai imbarazzata, notando lo sguardo dispiaciuto di Bill,
al quale risposi con un sorriso.
Uscì dalla stanza velocemente, rifugiandomi sopra
al tetto come facevo di solito.
Avrei voluto parlare con il chitarrista, chiedergli
perché ce
l’aveva così tanto con me, un’idea ce
l’avevo.
Sapevo però che non ne avrei avuto il coraggio, mi metteva
in
soggezione, terribilmente.
Sbuffai e mi sedetti sulla solita panchina, dove pochi giorni
prima avevo avuto il primo dialogo col cantante.
Sembrava fosse passato un secolo dalla prima volta in cui lo
vidi.
-Ehi, Bill mi ha detto t’avrei trovata qui!- mi
raggiunse cinque minuti dopo il batterista, sobbalzai alla sua voce.
-Ti ha mandato lui?- domandai interrogativa.
-Beh..- si interruppe guardandomi negli occhi, -Sì-
-Perché?-
-Non lo so, mi ha detto solo di seguirti- alzò le spalle in
segno di resa.
-Ah..- rimasi in silenzio un attimo, -Posso domandarti una cosa?-
annuì.
-Io sto antipatica a Tom- affermai calma.
-Non è una domanda- controbattè lui.
-Già, cioè.. vorrei parlarne con Bill, ma so
già
che non mi direbbe tutta la verità. Vorrei capire
perché-
Soppesò la domanda per un istante.
-Non spetta me a dirtelo, dovresti chiederlo al diretto interessato,
anche se sono convinta tu ti sia fatta un’idea, e
probabilmente
non è sbagliata. Tom ha un carattere particolare,
è molto
protettivo con Bill, da quando erano bambini, devi prenderlo
così com’è- spiegò.
Mi limitai ad annuire, lo stavo già inquadrando, dovevo
solamente avere un faccia a faccia con lui.. l’idea mi
terrorizzava e non poco.
-Torna pure da Bill, grazie per le risposte Gustav, sei stato molto
gentile- sorrisi.
-Di nulla, mi sembri una ragazza a posto. Non vieni dentro? Se stai
fuori rischi di prenderti qualcosa-
Negai con la testa, facendo segno di non preoccuparsi. L’aria
era tiepida, non fredda.
Mi lasciò un saluto e sparì oltre alla porta,
facendomi restare sola con me stessa.
“Me
ne sono resa conto oggi, probabilmente
è troppo tardi per tornare indietro:
Per lasciarlo perdere. L’ho capito grazie a un suo gesto.
Un abbraccio.
Stretta a lui non pensavo a nulla, troppo concentrata
a sentire il suo cuore battere sul mio petto.
Yin E yang, destino, colpo di fulmine:
per me sono sempre state delle banalità, mai creduto.
Ora? Ho messo in dubbio tutto.
Forse ho trovato quella
persona.
E penso la lascerò andar via.
E’ meglio per tutti e due.
Almeno ci sarà solo un cuore che piangerà,
e sarà il mio.
Egoista? No, lui merita il meglio.
Merita una stella che brilli assieme a lui,
non grazie a lui. Merita qualcuno che gli stia per sempre
a fianco, io? Non so neanche se ci sarò domani.
Oggi ho toccato il cielo con un dito,
domani.. potrei schiantarmi al suolo. ”
Scrissi furiosamente, quasi con rabbia, su quel blocchetto che
mi accompagnava sempre.
Rimasi fuori un’ora, persa nei miei pensieri. Mi accorsi
guardandomi lo specchio d’aver pianto, una lacrima era ancora
sospesa fra le ciglia, non piangevo praticamente mai, ecco un altro
segno della metamorfosi a cui ero soggetta per colpa sua, o meglio..
grazie a lui? Pensare che là fuori c’erano milioni
di
ragazze che vivevano grazie a lui, che la sera si addormentavano
salutando il suo poster e facendosi cullare dalla sua musica, ragazze
innamorate di lui, ragazze che soffrivano poiché erano
consapevoli dell’impossibilità di una relazione
con lui,
la star irraggiungibile.. e la fortuna di conoscere Bill Kaulitz era
toccata a me, e trovavo ciò ingiusto, perché
c’era
chi lo meritava di più, io non potevo dargli ciò
che
cercava, non per sempre, almeno.
Sprofondai nel letto, facendo i calcoli con la giornata. Avevo ottenuto
più certezze, chiarimenti.
…E anche la febbre per non aver ascoltato il batterista.
...
...
...
* * * *
...
...
...
...
NdA:
Volevo scusarmi per il ritardo, prima di iniziare la scuola volevo
uscire il più possibile perciò evitavo di stare
tanto al
pc °A° ho problemi con la
connessione (che a volte
sparisce da sola .__.). Adesso è iniziata la scuola, sono in
terza, allegria.. che palle. Vabbe, cercherò di essere
più puntuale d'ora in poi! Detto questo, il capitolo
è un
po' più corto, però mi rifarò con il
prossimo c:
Spero vi sia piaciuto, una recensione mi farebbe piacere :3 *non fatemi sentire forever
alone*
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Capitolo 6 *** Capitolo VI (R) ***
...
...
CAPITOLO VI (R)
...
...
Fu la voce squillante di Rossella a svegliarmi il giorno
successivo, soffrivo di mal di testa allucinante e sentivo tutte le
ossa indolenzite.
-Ehi Mel non scendi per la colazione? Sei in ritardo- entrò
senza tanti complimenti, fissandomi attenta.
-Mh- dissi a fatica io, -penso di avere la febbre- sbuffai.
Si avvicinò posando la mano sulla mia fronte, al contatto
rabbrividì.
-Oddio Mel ma scotti! Aspetta che vado a prendere un
termometro!- tornò due minuti dopo e non perse
tempo, mi infilò il termometro sotto il braccio e
cominciò a battere nervosamente i piedi a terra.
-La smetti di agitarti così? Metti ansia anche a me!
E’ solo un po’ di febbre..- il suo sguardo
preoccupato non mi permise di continuare.
-Non è solo un po’ di febbre, lo sai che,
qualunque cosa è amplificata nelle tue condizioni? Sei
già abbastanza debole!- sbuffai annoiata, ogni volta era la
stessa storia.
-Non fare quella faccia, lo sai. Non ti ricordi
cos’è accaduto l’ultima volta?-
Domanda ironica, certo che me lo ricordavo: avevo la febbre
alta e tutti i sintomi della malattia, quali tosse, vomito, pallore, si
erano amplificati, portando emorragie e il conseguente ricovero.
Avevo rischiato di morire, ma ero ancora viva, quindi perché
rivangare il passato?
-Si, non l’ho dimenticato- mugugnai.
-Non puoi uscire da questa stanza, vado a chiamare il dottore per
sostenere degli esami, mi raccomando non muoverti-
Le parole “non
uscire da questa stanza” pesavano come un
macigno sul mio già debilitato cuore, se non potevo uscire
non potevo vedere Bill! Aveva l’operazione fra due giorni,
dovevo sostenerlo, stargli affianco!
Sentì le lacrime salire agli occhi, istintivamente presi il
telefono e gli scrissi un messaggio.
“Bill
merda! Mi sono presa l’influenza, non posso muovermi dalla
stanza.. mi sa ci rivedremo dopo l’operazione! ):”
La risposta, come al solito, non si fece attendere.
“Cosa?
Davvero Mel? Cavolo! Io ho bisogno di vederti. Appena
c’è meno gente vengo su da te”
Gli angoli del mio viso si arricciarono in un sorriso
involontario. Era l’effetto che aveva su di me.
“Bill,
non devi. Ho l’influenza, potresti ammalarti”
Già sapevo che convincerlo a non venire sarebbe
stato inutile, per quanto poco lo conoscessi non ci voleva molto a
capire che, una volta messa un’idea in testa, era impossibile
distoglierlo.
“Sono
vaccinato, pff! Io vengo comunque (;”
Scossi la testa ridacchiando, in fondo mi faceva solo piacere
vederlo. Troppo immersa nei miei pensieri non mi accorsi che
l’infermiera mi stava sventolando la mano davanti al viso.
-Cosa fai sempre tra le nuvole? Ti sei innamorata eh?- fece Rossella,
facendomi arrossire. –Non reagire così, non
c’è nulla di male, e poi hai scelto proprio un bel
ragazzo!- strizzò l’occhio, prima di sollevare il
termometro.
-Trentotto e mezzo, sei messa male ragazzina. Il dottore ha detto di
prendere queste- mi porse una scatola di pastiglie, -ricorda che se
esci lo verrò a sapere e finirai nei guai- disse fintamente
minacciosa.
-Si capo! Adesso puoi andartene, ho sonno!- domandai tornando sotto le
coperte, mi gettò un’occhiataccia e
uscì. Mi girai più volte nel letto, cercando di
riassopirmi ma era difficile, nonostante avessi un bel pigiama e anche
la coperta ero travolta da brividi di freddo decisamente spiacevoli,
senza contare la sensazione di bruciore alla gola, stavo congelando ma
nello stesso tempo le guance andavano in fiamme.
Odiavo ammalarmi, forse avrei dovuto dare retta a Gustav.
“Che
fai piccola ammalata?” scrisse Bill.
“Faccio
il tifo per i miei anticorpi, affinché sconfiggano questa
maledetta influenza. Già non ne posso più! Tu
invece? ” risposi.
“Mi
annoio! Oggi pomeriggio dovrebbe venire a trovarmi Tom. Adesso
però non so che fare.
Se venissi a
trovarti?”
Bill no! Non
vorrei contagiarti!”
“Figurati!
E’ da un secolo che non mi ammalo! (: Aspettami!”
Piantai la mia faccia sul cuscino, facendo forza con le mani
sul materasso per alzarmi, dovevo rendermi lontanamente presentabile:
guardandomi allo specchio capì che era una battaglia persa
in partenza. Occhiaie marcate, guance rosse, viso pallido, occhi
smorti, almeno non dovevo preoccuparmi per i capelli! Recuperai un
vecchio maglione nell’armadio e mi sedetti a gambe incrociate
sul letto, poco dopo entrò Bill, illuminando la stanza con
il suo sorriso. Quel giorno non aveva trucco, indossava una semplice
tuta che faceva intravedere tutta la sua magrezza, i capelli erano
legati in una coda.
-Ciao superstar- salutai, impendendo che venisse ad abbracciarmi, -ti
ho detto che ho la febbre, osi troppo abbracciandomi! Sono un ammasso
di germi vivente!- esclamai facendolo ridere.
“ammasso di
germi viventi, questa era bella Dichterin (;”
compose sulla tastiera.
-In effetti, sarà la febbre che brucia gli ultimi neuroni
rimasti!-
“Non incolpare
la febbre, da a Cesare ciò che è di Cesare!”
ridacchiò.
-Sei pessimo superstar. Allora dimmi un po’, mancano due
giorni all’operazione.. in ansia?- domandai.
“Beh,
sì! Penso sia normale, no?”
-Normalissimo, te lo dico io che di operazioni ne ho passate tante,
anche più rischiose della tua, nonostante ciò mi
spavento ancora! Sai, io sono morta due volte, e sono rinata due volte.
Mi ritengo molto fortunata-
Sbarrò gli occhi, ed io continuai –Sì,
sono finita in coma per due volte, ne sono sempre uscita. Prima o poi
la fortuna mi abbandonerà, speriamo il più tardi
possibile! Due a zero per me!-
“Mi ricorda
una mia canzone questo! (;”
-Hai qui il testo?- domandai curiosa, lui annuì tirando
fuori dalla borsa che aveva portato il quaderno in cui teneva tutte le
canzoni. Estrasse un foglio e me lo porse, lessi il titolo “Wir sterben niemals aus”,
molto appropriato.
“Restiamo sempre
ci urliamo nell'infinito
io grido quasi sempre
quando da qualche parte resta qualcosa
noi sentiamo
non siamo pronti per la fine
non moriremo mai
ci portiamo fino a tutti tempi”
-E quando leggo ciò che scrivi posso solo pensare
che, qui, il poeta sei tu, non io. E’ fantastica, non vedo
l’ora di ascoltare le tue canzoni, davvero-
“Manca poco!
Poi potrai sentirle.. se andrà tutto bene”
abbassò lo sguardo, io sollevai la sua testa delicatamente
con la mano, facendo collidere i suoi occhi nocciola con i miei
azzurri.
-Andrà tutto bene, lo sento. Sei un ragazzo troppo speciale
perché ti sia tolta la voce, che sicuramente è
bellissima e perfetta.. come te- sussurrai senza distogliere lo
sguardo, sentendomi avvampare ogni secondo di più dopo la
confessione.
Non riuscì ad oppormi questa volta, fui travolta dal suo
abbraccio tanto che feci fatica a mantenermi in posizione eretta,
rischiando di finire buttata a letto con lui sopra, allora si sarebbe
stato davvero imbarazzante. Mi guardò negli occhi e vidi
tutta la gratitudine che non riusciva a esprimere a parole, tutta
concentrata in quei diamanti nocciola. Si avvicinò al mio
viso e poggiò un bacio sulla guancia, vicino
all’angolo della bocca. In quel momento il mio corpo non
reagiva, era completamente paralizzato, in balia della perfezione
assoluta, ipnotizzato da lui.
Rimase qualche secondo appoggiato con le labbra sulla mia pelle, per
poi spostarsi più in là, raggiungendo la mia
bocca.
Niente, zero, ero passiva, non riuscivo a far nulla. Sentivo il suo
respiro su di me, io respiravo lui. Vaniglia e menta. Respiravo la sua
dolcezza. Respiravo
l’amore.
Posò le sue labbra sulle mie, un contatto debole, quasi
inesistente. Casto. Puro.
Morbide, soffici. Perfette. Come lui.
Si staccò poco dopo, continuando a guardarmi, in attesa di
una mia reazione.
Sbattei le palpebre, inerme. Chiusi gli occhi, riprendendo il controllo
di un corpo in balia di se stesso.
Era una mandria
di elefanti quella che si agitava nel mio stomaco?
-Bill..- sussurrai fissandolo, -è.. è
meglio che tu vada ora- mi guardò incredulo, fissandomi
attento per un attimo, poi senza attendere oltre si alzò e
mi lasciò sbattendo la porta.
Crollai. Mi buttai a peso morto sul letto.
Non poteva essere successo davvero, doveva essere una sorta di incubo.
...O sogno?
Era troppo tardi per me ormai, neanche una settimana ed ero stata
conquistata da lui.
L’avrei evitato, per lui c’era via di fuga:
innamorarsi di me era una trappola, un’ingiustizia.
Non si può amare qualcuno che potrebbe dissolversi da un
giorno all’altro, non gli avrei mai dato la
felicità che si meritava, sarei stata un ostacolo alla sua
carriera, alla sua vita.
“Lo
sapevo, lo sapevo.
Dovevo stare più attenta.
In che casino mi sono cacciata?
Che fare ora? Semplice. Nulla.
Resettare, cancellare, sparire.
Lui è il cantante più amato di tutta Europa,
lui è la Luna, io una stella che brilla di luce riflessa.
Si merita il meglio, ossia tutto ciò che non sono io.
Quel bacio sarà solo un ricordo, archiviato come sbaglio.
..Sbaglio bellissimo però, uno dei più belli
sicuramente.
Che non si deve ripetere.
Ce la posso fare, ce la devo fare.
Lui mi ha baciato per gratitudine sicuramente,
perché dopo tanto qualcuno stava al suo fianco per
un’amicizia disinteressata. Gratitudine, solamente questo.
Io invece ero annebbiata dalla febbre.
Mi odierà?
Forse per un poco, poi tornerà nel suo mondo,
e io verrò etichettata come una semplice comparsa.
A volte la vita è proprio complicata.
A volte è troppo ingiusta.
A volte, è semplicemente stronza.”
Le parole scritte su carta cominciarono a sformarsi,
diventando macchie di inchiostro nero informi.
Modellate dalle lacrime, andavano offuscandosi e confondendosi.
Mi tornarono in mente le parole di mia madre “immagina cosa può
succedere in un mese Mel”, ne avevo appena
ricevuto un assaggio.
Nel frattempo Bill era uscito dalla mia stanza, ugualmente
agitato e confuso. Tutte le reazioni si aspettava tranne un rifiuto del
genere, di essere cacciato senza spiegazioni; pensava avrei gridato,
pianto, preso a schiaffi, magari anche risposto.. invece mi ero
limitata a guardarlo fredda. Non era consapevole di ciò che
mi aveva spinto a farlo, io lo facevo per lui. Ritornato nella sua
camera si buttò aspettando l’arrivo del gemello.
Continuavo a rigirarmi nel letto, purtroppo fare finta di
nulla non era semplice, sentivo di dovergli dare una spiegazione, anche
falsa, ma pur sempre qualcosa. Decisi così di alzarmi,
seppur a fatica, lavarmi il viso e scendere da Bill. Per evitare di
farmi trovare dall’infermiera scelsi le scale;
quando arrivai giù ero praticamente sfinita, ma dovevo fare
l’ultimo sforzo. Trovandomi davanti a quella porta mi
sentì terribilmente agitata, trovai il coraggio ed entrai.
Bill era appoggiato alla spalliera del letto, alle orecchie le
cuffiette, immaginai ascoltasse Nena.
-Posso?- domandai indicando una sieda affianco al letto, lui
annuì solamente.
-Volevo spiegarti il perché del mio comportamento- esclamai
mentre cercavo di inventare qualche bugia al momento, non trovandone
nessuna plausibile usai la solita vecchia scusa, -Non riesco che a
vederti come un amico, nulla di più- pronunciai queste
parole guardandolo dritto negli occhi, cosicché non pensasse
stessi mentendo. Prese il cellulare.
“Non ti credo
Mel. Di quello che vuoi.. ma non ti credo. Ho visto come mi
guardi”
-Tutti possono sbagliare Bill, e tu ti sei sbagliato. Penso sia meglio
non vederci per un po’- scrollai le spalle, con finto fare
indifferente. Dovevo aver pur ereditato qualcosa da due genitori attori!
“Hai un foglio?”
chiese, lo guardai interrogativa, mi limitai a svuotare la mia borsa e
trovare un blocchetto di carta, scrisse velocemente una strofa che non
riconobbi.
“Mit
jedem Hauch von dir, erlöst du mich
Wir sehen uns wieder - irgendwann
Atme weiter wenn du kannst
Auch wenn das Meer, unter dir zerbricht
Ich glaub an dich ”
“E’
una mia canzone, si chiama Heilig. È troppo tardi ora per
tirarsi indietro, ci siamo dentro entrambi, non devi decidere te per
tutti e due! Tu mi piaci Mel” scrisse poi al
telefono.
-Tu ti sei affezionato, te lo concedo, l’altro sentimento
è solo un’illusione, t’interesso ma
perché sono diversa dalle altre ragazze che hai incontrato e
ciò fa si che t’intestardisca su di me.- sospirai,
mentre mi guardava con disapprovazione. -E’ meglio che vada-
mi congedai in fretta, uscendo prima possibile. Una volta fuori fui
costretta ad appoggiarmi al muro, poiché mi sentì
mancare. Proprio in quel momento m’imbattei in Tom, come al
solito mi donò un’occhiata scettica e fredda,
mista a compassione per il mio stato; non riuscivo a reggerla
perciò abbassai lo sguardo e senza dire una parola tornai
sulla mia strada.
Ogni passo verso la mia stanza sembrava un’epopea, alla
presenza di Bill ero troppo concentrata su di lui per dare retta ai
segnali che il mio corpo mi mandava, quali brividi e sforzi.
Oltrepassai la porta e mi lasciai cadere sopra al letto, mentre cercavo
nella borsa il mio cellulare per chiamare mia madre.
Non c’era.
Svuotai tutto il contenuto sopra il lenzuolo ma non ve
n’era traccia, la consapevolezza d’averlo lasciato
dal cantante mi fece impallidire: il piano di evitarlo e non vederlo
per un bel po’ era miseramente fallito, prima ancora di
cominciare. Sbuffai, ingurgitai una delle pastiglie datami
dall’infermiera e aspettai cinque minuti perché
facesse effetto, appena mi sentì poco meglio mi misi in
piedi diretta nuovamente da Bill, mentre lo stomaco si contorceva per
il nervosismo. Non presi le scale, sapevo che a quell’ora
c’era poca gente in giro, infatti erano riuniti nella sala
centrale per la pausa del pomeriggio e c’era il cambio di
turno, quindi avevo un minimo di libertà. Con le gambe
tremanti arrivai davanti alla porta, notandola socchiusa. Esitai a
entrare, udendo la voce alterata di Tom.
-L’hai baciata? Dimmi che stai scherzando!- ci fu un
momento di silenzio, il tempo perché il moro scrivesse la
risposta supposi.
-Te l’ho già detto, quella non mi
piace- non pronunciò neanche il mio nome, si
limitò a concentrare una buona dose di disprezzo sul pronome
dimostrativo in questione.
Ancora silenzio.
-Sei troppo ingenuo Bill! Sinceramente, va bene che vive qua da quattro
anni, ma è impossibile non ci conosca! Non
c’è una radio qui? Non ha il canale musicale nella
televisione? Ti sta prendendo in giro, ti ha proprio in pugno: sei
cotto!-
Silenzio.
-No, non sei cotto, figuriamoci!- sbuffò, -E non
è solo questo-
Silenzio.
-Bill, lo sai. È malata! Ti rendi che, comunque, una storia
fra voi due non potrebbe mai funzionare?- calcò
sull’avverbio, sentì la sua voce penetrarmi le
ossa, facendo male, era tagliente.
Silenzio.
La malattia sembrava niente in confronto all’effetto che le
parole del rasta ebbero su di me.
-Vaffanculo, non voglio discutere per lei- disprezzo. Mi disprezzava.
Silenzio.
-Sì ce l’ho un cuore cazzo! Un cuore che non si fa
abbindolare così!- il suo tono era sarcastico.
Silenzio.
-Stai sbagliando tutto, davvero. Arrenditi, lascia correre! Ne
incontriamo migliaia di ragazze, perché lei? Dimenticala,
neanche un mese e lascerai questo posto, senza tornarci più.
La conosci da neanche una settimana, non puoi esserti innamorato di
lei, è assurdo!-
Silenzio.
Per quanto le parole del gemello mi facessero soffrire –
quasi sentivo il mio cuore gemere ad ogni sillaba aguzza –
non potevo negare avesse ragione, fottutamente
ragione. Silenzio.
-Non ho detto che sia impossibile affezionarsi a una persona dopo poco,
ma ciò mi sembra improbabile, esagerato, stupido-
Silenzio.
-Bill, non fare così,
ti prego- lo sentì muoversi verso il letto,
mentre un singhiozzo soffocato invase la stanza. Seguì altro
silenzio.
-Intendi il cellulare? Devo riportarglielo?- capì il
cantante avesse individuato il mio cellulare, fuoriuscito probabilmente
quando avevo aperto la borsa per estrarre il blocchetto, e
l’aveva indicato al fratello.
Avevo sentito abbastanza, mi girai velocemente diretta verso la mia
camera, camminando fitta, temendo d’esser beccata a origliare.
Cinque minuti dopo ero sotto le coperte, attendendo nervosamente
l’arrivo del chitarrista. Per ingannare l’attesa
scrissi qualcosa.
“Improvvisamente
è iniziato tutto,
velocemente ho stroncato ciò che era andato creandosi.
Già me ne sto pentendo, ma non torno indietro.
Potrei? Sì, lui
probabilmente ne sarebbe felice, e anche io.
Non posso però, io non merito lui e lui merita
più di me.
Non voglio che gli sia precluso nulla,
stando con me ciò succederebbe.
Starò qui, beandomi del suo sorriso da lontano,
sperando non si affievolisca a causa mia,
non ho una tale influenza su di lui,
credo, spero
Lo ripeto, la vita è proprio stronza. ”
Raccolsi una lacrima sfuggita dal mio controllo, facendola
sparire velocemente, prima che arrivasse alle labbra, non ne volevo
sentire l’amaro sapore.
Come da previsione, Tom Kaulitz si presentò in camera mia e
vi entrò con fare spavaldo, senza bussare, sfidandomi con
gli occhi. Sostenni lo sguardo, mentre appoggiavo i miei scritti sotto
il cuscino.
-Mel- salutò lui con un cenno del capo, appoggiandosi
all’armadio.
-Tom- il mio tono era incolore, stanco.
Sentivo il peso della giornata sulle spalle, l’effetto della
febbre in salita e la gola che bruciava per la tosse.
-Grazie per avermi portato il cellulare- dissi prima ancora che lo
tirasse fuori dalla tasca, mi fissò incredulo per un attimo,
mi spiegai, -Ero venuta a riprendermelo, ho pensato fosse meglio
tornare su, non volevo interrompervi-
-Hai.. sentito?- si avvicinò al letto, mantenendo
l’andatura sicura.
-…Tutto- confermai. –Voglio chiarire alcune cose,
se posso- il ragazzo annuì.
-Non ho mai
sentito una vostra canzone: ho la tv, certo, ma la guardo raramente,
come puoi vedere preferisco leggere e ascoltare i miei cd- indicai la
libreria, colma di volumi e dischi. –Non avrei avuto motivo
di mentire, cosa ci guadagnavo? Non mi sono avvicinata a Bill con
secondi fini, anzi.. è stato lui ad avvicinarsi a me. Avrei dovuto mantenere le
distanze, ci ho pensato troppo tardi. Cosa pensi Tom? Sono
malata di leucemia, non cretina. So che una persona come me
è solo un peso, non potrò mai assicurare la
felicità che lui sicuramente merita. Ah, senza scordare che
domani potrei essere morta- lo vidi fissarmi stranito, colpito dal tono
incolore usato per pronunciare l’ultima frase.
-Comunque te l’ha detto no? L’ho fermato quando ci
siamo baciati-
-Perché l’hai fatto?- mi interruppe.
-Bill mi piace, tanto- arrossì, -Se tutto ciò si
fosse sviluppato in un altro ambiente non avrei opposto resistenza,
sarei stata la ragazza più felice della terra. Invece..-
presi fiato, -proprio perché mi piace preferisco che si
dimentichi di me, il suo tempo con me è sprecato e non porta
nulla, lo farei soffrire, ed è l’ultima cosa che
voglio.-
Soppesò le mie parole, annuendo pensieroso.
-Non sei come pensato. Ti devo delle scuse- pronunciò
infine, -Tienitele strette, Tom Kaulitz non si scusa praticamente mai-
l’avevo intuito questo, pensai.
-Non devi scusarti, avrei reagito allo stesso modo anche io- strizzai
gli occhi, sentendomi salire un attacco di tosse improvviso.
–Posso chiederti due favori?- domandai.
-Dipende- diplomatico e secco come al solito.
-Impedisci a Bill di salire a trovarmi, capirai perché..-
feci enigmatica e seria.
-Evito di chiederti la motivazione, qualcosa mi dice non me la dirai.
Comunque okay, lo farò- sorrisi.
-Il secondo è più semplice, puoi chiamarmi il
dottor Güllimber? È di turno ora, nel centralino di
questo piano. Chiedigli di venire per favore- tossì ancora,
usando un fazzoletto per coprirmi la bocca.
-Tutto bene?- sembrava quasi preoccupato.
La sua espressione dura vacillò per un secondo, il suo
sguardo sembrò scaldarsi, per poi tornare controllato come
prima.
-Si Kaulitz, solo l’influenza. Il dottore deve fare un
controllo, tutto qui. Sono viva, per ora-
Ricambiò il sorriso, annuendo.
Se ne andò e fui subito raggiunta dal dottore.
-Tutto bene piccola Mel?- domandò con il tono pratico. Piccola Mel, mi
chiamava sempre così, da quattro anni prima. Era un uomo
simpatico, sui quarant’anni, dall’aspetto tipico
tedesco: capelli biondi-rossicci, occhi castani e bel fisico,
carismatico.
-Complicazioni- dissi semplicemente, mostrando il fazzoletto sporco.
..sporco di sangue.
........
....
.... ....
.... * * *
*
........
...
NdA:
No, non sono morta.. almeno non
ancora! Purtroppo ho avuto in periodo duro sia a causa della scuola sia
per motivi personali, per cui non sono stata molto al computer e
infatti ho trascurato EFP e sono rimasta indietro con parecchie
storie.. prima o poi riuscirò a mettermi in pari! Spero non
vi siate dimenticati di me e di questa fanfiction! Almeno la mia
assenza è ripagata da questo capitolo abbastanza lunghetto!
Chiedo venia, non ho riletto quindi possono essere presenti errori qua
e là.
Ringrazio chi ha recensito la volta scorsa e anche chi segue
silenziosamente! Ricordo, commenti mai hanno ammazzato nessuno! Vi
costa un minuto e rende migliore una mia giornata! :D
Detto questo, domani ho la verifica di matematica. Pregate per me.
Aiuto.
Un bacio,
Unleashedliebe
( Louder )
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Capitolo 7 *** Capitolo VII (C) ***
...
...
CAPITOLO VII (C)
...
...
Lo sguardo del dottore tradiva i suoi pensieri, nonostante
usasse una voce pacata e tranquilla, riuscivo a capire che in
realtà fosse agitato e preoccupato; nel giro di dieci minuti
mandò a chiamare i miei genitori e le infermiere, per
proseguire con i soliti esami di routine.
C’ero già passata l’anno prima, stessa
modalità.
Sapevo già cosa sarebbe potuto succedere..
Ero preparata, circa.
-Abbiamo chiamato tua madre, non può venire. Domani
ti raggiungerà tuo padre- m’informò
Rossella.
-Perfetto- sussurrai sarcastica, la donna ignorò il mio
tono, infilandomi una siringa nel braccio.
-Effetto sedativo, ora riposati- intervenne il dottore, coprendomi con
la coperta, mentre piano tutto attorno a me diventava opaco e
vacuo. Mi assopì.
Lentamente prendevo coscienza del mio corpo, tutto
indolenzito, percependo dei chiacchiericci all’esterno della
camera. Mi concentrai per capire chi parlasse e di cosa.
-Dottore, la situazione com’è?- la voce
calda e profonda che non sentivo da un po’, comunque
l’avrei riconosciuta tra mille, mio padre.
-Si sta ripetendo ciò che è successo
l’anno scorso, ora però la faccenda è
leggermente più critica poiché è
debole a causa della leucemia che avanza. Dobbiamo tenerla sotto
controllo- riconobbi il primario.
-Quindi.. non ci resta che.. sperare- disse mio padre a fatica.
Mi si strinse il cuore, non volevo sentire quelle cose, ma non riuscivo
a staccare l’orecchio dal discorso, quasi volessi far
più male di quello che già sentivo.
-E’ forte Mel, ha lottato quattro anni, e continua a lottare;
speriamo il suo corpo non smetta di farlo ora-
Mio padre trattenne il respiro, lanciando un’occhiata
all’interno della stanza e agitandosi, notando
m’ero svegliata.
-Piccola! Da quanto sei sveglia?- entrò sedendosi affianco
al letto.
-Oh, ho appena aperto gli occhi-, il mio tono era appena udibile,
preferì mentire che far capire avessi seguito il discorso.
-Sh, non ti sforzare. Torna a riposare- sussurrò dolce,
accarezzandomi la guancia.
Cercai di sorridere, uscì una specie di smorfia non definita.
-Ora vado fuori, devo sistemare alcune cose col dottore e poi portare
le valigie all’albergo, torno in serata-
Salutai alzando poco il braccio – gesto che mi
costò una fatica immane – e tornai con la testa al
cuscino.
Avevo bisogno di scrivere, dovevo far chiarezza, mettere i
pensieri su carta e ragionare.
Non avevo abbastanza forza.
Odiavo stare così, odiavo quella sensazione.
Come se ci fosse un alieno dentro di me, che controllasse il mio corpo.
Diciassette anni e un’anima dipendente da un fisico
debilitato, fragile.
Diciassette anni e la voglia di sfondare,
conoscere, esplorare.
Diciassette anni e la voglia di amare.
Diciassette anni e la voglia di vivere.
Diciassette anni e un epilogo sempre più vicino.
Diciassette anni buttati al vento, passivamente.
Avevo diciassette anni e mi sentivo già sfinita, sciupata da
una realtà che mi andava stretta.
Chiusi gli occhi, estraniandomi da tutto.
In quel momento ero Mel, un’adolescente allegra, dai lunghi
capelli ricci e occhi splendenti.
Indossavo un paio di jeans strappati e una camicia scozzese, ai piedi
un paio di consumate converse.
Una borsa a tracolla in spalla, mano stanca dopo un pomeriggio
trascorso a firmare autografi.
Nonostante tutto ero energica, pronta per vederlo, per vederli.
Correvo, spingevo, sorridevo;
ero sotto a un palco grande, mi univo alle altre che urlavano
“Wir wollen
Tokio Hotel!”. Un momento di silenzio e poi
sarebbe iniziata la serata più bella di sempre.
-Ehi Mel, ci sei?- crack, brusco ritorno alla
razionalità, scossa dalla voce dell’infermiera.
-Si Rossella, ci sono.. più o meno- risposi lieve, mentre si
avvicinava a me.
-Devo farti un’iniezione- annuì, -sedativo?-
domandai, lei accennò un sì colpevole.
-Che palle, sembro un orso che va in letargo a comando- mugugnai
sentendola ridere.
-Questa mi è nuova piccola, dopo me la segno! Mettiti
tranquilla-
Un minuto dopo caddi ancora addormentata.
Bip, bip, bip.
Questa volta nessuna voce mi svegliò, fu il bip
della macchina che avevo affianco a disturbare il mio sonno.
Girai lentamente la testa, sentendomi subito girare tutto, socchiusi
gli occhi e colsi l’ora dalla sveglia: erano le tre di notte.
Perfetto, l’orologio
biologico era andato a farsi friggere. Sentivo
l’odore della colonia di mio padre all’interno
della camera, probabilmente m’aveva assistito tutta la
serata, e ora stava riposando in albergo. Fantastico, notte fonda,
sveglia e con nessuno attorno.
Posai una mano sulla mia fronte, sentendola bollente. Perfetto.
Provai ad alzarmi per appoggiarmi alla tastiera del letto, ma fui presa
alla sprovvista da un attacco di tosse.
La gola bruciava da morire, sentì una lacrima scendere.
Tossivo. Lacrimavo.
Presa alla sprovvista premetti il pulsante accanto al letto,
facendo accorrere il medico poco dopo.
Mi mancava il respiro.
-Mel! Rilassati, prova a espirare e ispirare!- intervenne
un’altra infermiera – Rossella aveva finito il suo
turno. Cercai di fare come suggeritomi, non riuscivo. Li guardai
spaventata, sentendomi soffocare.
Tosse, ancora tosse.
-E’ embolia polmonare! Intubatela e somministrate
trombolitici, in fretta!- era allarmato.
La stanza si era riempita, tutto attorno a me si muovevano frenetici,
mentre io osservavo tutto immobile.
Poi mi sentì meglio, ci fu un ultimo colpo di tosse, i
muscoli si rilassarono e le palpebre si chiusero..
Un
giorno dopo
-Dottore, come sta? Sono accorsa appena possibile-
-Signora, era andata in embolia polmonare, abbiamo fatto il possibile,
lo stadio era già avanzato. Dobbiamo vedere la situazione
nelle prossime ore, inoltre la febbre non scende, stia procedendo anche
con delle trasfusioni. Lei e suo marito potete tornare in albergo, se
ci sono novità avvertiamo-
Due giorni dopo
-Ancora niente?- domandò una voce maschile.
-No, i segnali vitali sono stabili, la febbre sta scendendo.
Probabilmente risente ancora dell’effetto dei farmaci, ha
subito anche un intervento impegnativo, parecchio per il suo corpo.
-Signori Bauer, Mel sta lottando, dobbiamo solo sperare non smetta-,
s’intromise Rossella.
Sospirarono.
Tre
giorni dopo
-So cosa state per chiedere, ancora nulla purtroppo. Sta bene,
ora sta a lei scegliere quando svegliarsi-
-Piccola, ti prego, non farci stare così in pensiero-
Percepì qualcosa che sfiorava la mia mano, riconobbi la voce
di mia madre e quella del dottore.
Provai a rispondere, ma gli stimoli che mandavo erano inutili, non
riuscivo a muovere muscolo, ero impotente. Sentì
una sensazione di bagnato sulla mia fronte, in seguito
avvertì le labbra di mamma su essa, leggere. Non piangere per favore,
pregai, consapevole non mi avrebbe sentito.
-Mel, c’è un ragazzo fuori per te. Io e
papà torneremo domani, non farci brutte sorprese-
Non badai alle ultime parole, troppo concentrata su “c’è
un ragazzo fuori per te”.
Sentì la porta aprirsi e dei passi trascinati avvicinarsi al
letto. La prima sensazione che provai fu delusione, non era Bill, lui
si muoveva con delicatezza ed eleganza, perciò immaginai
fosse Tom, non conoscevo molti ragazzi in effetti. Lo sentì
schiarirsi la voce, imbarazzo?
-Ehm.. sono Tom- se avessi potuto sorridere, l’avrei fatto.
Il mio pensiero non poté che andare verso Bill, da
quanto dormivo? Come stava? Era stato operato?
-Probabilmente sono l’unica persona che ti aspettavi qui,
beh.. sorpresa!-
-…-
-Okay, sapevo che non avresti risposto, ma parlare da solo è
più difficile del previsto. Sono qui soprattutto per Bill,
l’hanno operato l’altro ieri; volevo farti sapere
che è andato tutto bene, intervento perfetto, non ci resta
che aspettare un’altra settimana per sentire la sua voce;
quindi ti conviene darti una mossa e svegliarti. Sì, so che
avevo detto dovevi stargli alla larga, e so che eri d’accordo
con me, che sei d’accordo con me! Non ho cambiato idea, e non
la cambierò.. non voglio sembrarti cattivo, ma le mie idee
si sono fatte ancora più decise dopo quello che ti sta
succedendo. Non gliel’ho detto, ma continua a chiedermi di
te, non può uscire ma so che, appena gli sarà
possibile, verrà qui. Rigiro sempre le domande, sono bravo,
credo che abbia capito c’è qualcosa che non va,
come posso dirglielo però? Mel non si sveglia da tre giorni
perché ha rischiato di morire, non posso.
È fragile, mio fratello, non sopporterebbe.
Perciò datti una mossa e alza quel sedere da quel
materasso!-
Registrai con calma tutte quelle informazioni, soffermandomi
sulla frase “è andato tutto bene”: il
cantante era in salute, sarebbe tornato a cantare.
Dovevo farmi forza, dovevo lottare per sentire quella voce. Mel, non mollare!
Ascolta Tom e schioda il sedere dal letto.
Mi sforzavo, era difficile. Sentì la mia mano racchiusa in
un’altra, molto più grande e calda. Da
chitarrista.
-Se ci fosse Bill qui sai cosa ti direbbe? “Nimm meine Hand, wir fangen
nochmal an”, prendi la mia mano e iniziamo
un’altra volta- momento di silenzio.
-Sto diventando diabetico da far schifo, svegliati o dovrai pagarmi un
costoso appuntamento dal dentista per curare le carie che mi stanno
uscendo-
Concentrati
Mel, concentrati!
Feci forza sulle dita, provando a muoverle, ciò che
ottenni fu una piccola pressione su quelle del ragazzo.
Ancora,
racchiusi la mano a pugno, incastrando con me l’altra.
-Mel!-
Ultimo sforzo,
ce la potevo fare.
-Kaulitz- sussurrai, aprendo gli occhi a fatica. Venni colpita
da una luce e fui costretta a richiuderli subito, sbattendo velocemente
le palpebre per riabituarmi ai colori.
-Era ora che ti svegliassi eh!- borbottò, sentì
un cellulare vibrare –Aspetta un secondo.. oh ma guarda che
coincidenza! È Bill!- notai un sorriso dolce sul
suo viso, man mano che leggeva si affievolì.
-T-tutto b-bene?- ogni sillaba era un’impresa.
-Giudica te: “Brutto
coglione! Perché non me l’hai detto di Mel?
L’ho scoperto da un’anoressica che spettegolava! Ti
rendi conto? Ma che cazzo!”-
Oh, bella schifezza. Il piano di tenerlo all’oscuro era
miseramente fallito.
-Che gli rispondo?- domandò guardandomi. Gli indicai il mio
cellulare, abbandonato sul comodino.
“Bill..
tre a zero per me.
Mel”
Sotto lo sguardo confuso di Tom glielo inviai, certa che lui avrebbe
capito.
...
...* * *
...
NdA:
Eccomi qua, non sono sparita! Scuola - compiti - studio, ecco le cause
della mia assenza prolungata, vi chiedo scusa nuovamente! Vi prometto
però che non sparirò, tengo troppo a questa
fanfiction per lasciarla in sospeso!
Questo capitolo è più corto degli altri, ma non
sapevo come allungarlo, ho preferito focalizzare tutta l'attenzione su
ciò che sta succedendo a Mel; paura eh? Per ora sta bene
(per ora..!). Cosa succederà con Bill? Al prossimo per
saperlo ;D
Grazie
a tutte quelle che mi seguono nonostante i miei ritardi, grazie a tutte
quelle che commentano e a chi legge soltanto (:
Fatemi sapere cosa pensate anche di questo, fa solo piacere!
Unleashedliebe
|
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII (H) ***
....
...
CAPITOLO VIII (H)
....
...
Tom mi lasciò presto sola per andare dal fratello.
La mia stanza si popolò velocemente, prima arrivò
il dottore, poi le infermiere, in fine i miei genitori.
-Mel, ci hai fatto preoccupare moltissimo!- mi corsero
incontro, abbracciandomi.
-Ormai ci ho fatto il callo. Sono un osso duro- dissi sorridendo un
poco.
-Lo sappiamo e siamo orgogliosi di te-
-Signori, potete uscire? Dobbiamo fare dei controlli-
Sbuffai mentalmente, sempre controlli
e controlli
e controlli
ancora.
-Allora dottore, non si aspettava di vedermi ancora eh?-
ammiccai nella sua direzione, la mia voce era appena udibile.
-Sempre la solita simpatica Mel! Stavolta ci hai fatto davvero
spaventare- rispose.
-Volta in più, volta in meno.. cosa vuoi che sia! Tanto sono
ancora qua- per ora,
aggiunsi mentalmente.
-E sarai qua ancora per
molto-
-Convinto lei- lo guardai scettica.
-Fidati- strizzò l’occhio. Scossi la testa, che
uomo!
-Ma adesso, sinceramente.. pensa che io uscirò mai da qui?
Sulle mie
gambe intendo-
Stette pensieroso per qualche secondo, -Sì, ne sono
convinto: ne ho visti pochi sopravvivere quattro anni, e tu sei
l’eccezione alla regola. Arriverà il tuo momento,
sono sicuro- sorrise rassicurante.
-Sarà, ma io ormai non ci spero più-
-E sbagli, credimi. Non bisogna perdere mai la speranza, è
la cosa più sbagliata che uno posso fare-
Alzai un sopracciglio scettica, -E’ facile dirlo, ma dopo
anni mi sono stancata di lottare, senza vedere miglioramenti, sempre
“la
situazione è stazionaria”- citai le
sue parole.
-Qualsiasi vita deve essere vissuta, anche la tua- affermò.
Scrollai le spalle, quel discorso era a senso unico.
Lui la pensava in un modo, io in un altro.
Controlli,
controlli
, controlli.
Tre ore dopo tornai finalmente nella mia stanza, sfibrata e stanca,
senza un minimo di energia in corpo.
Presi l’ipod e selezionai “Moonlight”,
bellissima sonata.
Cullata da quelle dolci note riuscì finalmente ad
addormentarmi, senza l’aiuto di sedativi.
Tirai fino alle dieci del giorno dopo, una volta alzata mi
sentivo finalmente meglio. I muscoli non dolevano e riuscivo a
formulare un discorso di senso compiuto senza dover fermarmi per
prender fiato.
Avvertì il richiamo del blocchetto che giaceva abbandonato
sul comodino. Invitante, troppo. Lo presi delicatamente e tornai a
sporcarlo di inchiostro.
“Ora
come ora potrei pensare d’essere invincibile.
Ho battuto la morte, tre a zero.
Sono resuscitata, è una strana sensazione.
Prima ti senti in balia degli avvenimenti,
poi ti riappropri del tuo corpo.
..E’ bello.
Davvero, mi sento bene ora.
Forte.
Potrei affrontare tutto e tutti,
.. quasi.
Non lui,
è ancora troppo presto, credo.
Sta bene, mi basta sapere questo.
Spero di non rivederlo per un bel po’,
il mio cuore ha retto a tante cose, ma secondo me,
alla sua visione, cederebbe.
La cosa peggiore? Mi
manca, aggiungerei da morire,
ma sarebbe un pessimo umorismo, ora come ora.
Sono stata dipendente da tante cose: sedativi, flebo, la brioche
appena sfornata, l’odore dell’acqua ossigenata, e
l’elenco si prolunga.
Mai però di una persona.
Adesso posso dire d’aver provato proprio tutto,
dovrei ringraziarlo?
Lui, la mia dolce droga amara”
Posai le armi per scrivere, soddisfatta delle due parole buttate
giù. Sentì il cellulare vibrare, mittente Bill.
“Non mi interessa
mantenere le distanze. Io non voglio, tu si? Cavoli tuoi.
Io ti scrivo lo stesso. Hai vinto, ancora: vedi, non è
destino per te mollare, lasciarmi.
Devo pensare di non essere nulla per te Mel?
Spiegami, i tuoi occhi quando sei con me ti tradiscono.
Appena possibile verrò da te, al diavolo ciò che
mi hai chiesto.
Dopo aver catturato il tuo sguardo, sta certa che capirò
cosa vuoi davvero.
Anche se, un’idea, già ce
l’ho.”
Sbarrai gli occhi, l’avevo capito che era testardo,
ma non masochista!
Il fatto che m’avesse cercato comunque m’aveva
fatto piacere, troppo. Potevo dire ciò che volevo, ma negare
che mi piacesse, se non di più, sarebbe stata una terribile
eresia.
“Sono
così vicina a quello che ho sognato, ma fa molto
male sai Bill?
Non m’aspetto tu capisca quello che intendo. So che,
qualsiasi cosa dica,
tu non cambierai idea. Ci rinuncio, sei perfetto tanto quanto cocciuto.
Nur Freunde
Bill, solo amici.”
Mentre digitavo i tasti per formulare una risposta mi sento
infiammare, lettera dopo lettera, bugia dopo bugia. Solo amici? Ma
quando mai, lui non era un amico: quando vedi un amico non ti esce il
cuore fuori dal petto, non ti si illuminano gli occhi, non ti si
resettano gli occhi, né cancella la mente.
Decisamente era di più, tanto di più.
Amore.
“Non
cambierò idea. Tu mi piaci più di un
po’.
Ich lös mich
langsam auf - halt mich nich' mehr aus
Ich krieg dich einfach
nich' mehr aus mir raus
Egal wo du bist”
[*]
Sbuffando mi strinsi più al cuscino, me la vedevo
particolarmente dura. Sentì bussare alla porta, sperai
vivamente non fosse il cantante. No, non era lui.
Era una ragazza, la conoscevo di vista, frequentava la clinica
da circa un paio d’anni, anoressia.
La invitai ad entrare, curiosa di sapere cosa desiderava.
-Ciao- mi salutò incerta. –Posso?-
indicò la sedia di fianco al letto, annuì.
-Ti chiederai perché sono qui.. insomma non ci conosciamo
neanche- parlò, era visibilmente nervosa.
-In effetti- sorrisi incoraggiandola a continuare.
-Niente, volevo vedere come stavi, e presentarmi. Sono qui da anni e
non ti ho mai parlato. So che può sembrare stupito, ma ti ho
sempre osservato, e vederti mancare tutto ad un tratto mi ha fatto
preoccupare. Non prendermi per pazza- spiegò.
-Beh, come vedi sto bene, circa- sorrisi, porgendole la mano
–Io sono Mel, piacere-
-Julia- mi guardò negli occhi e la osservai
meglio, aveva un bel viso: occhi scuri, capelli tagliati sbarazzini,
castani, ovviamente magra, meno rispetto ai primi giorni. La rividi
appena entrata, trascinata da un ragazzo più grande,
sembrava invisibile.
-Posso farti una domanda Julia?- rispose positivamente, attenta
–Perché qui? Insomma, ci sono tante ragazze che
stanno male, perché sei venuta a trovare me?-
-Ah, immaginavo me l’avresti chiesto, se devo essere sincera,
tu mi hai sempre incuriosita, ti vedo tanto simile a me.. e poi
ammettiamolo, le anoressiche sono terribili, mi sto auto-insultando
però è quello che penso, quindi eccomi qui.. okay
probabilmente non hai capito nulla, non sono brava a spiegarmi-
gesticolò imbarazzata. Sorrisi, invece avevo capito: aveva
visto in me una possibile amica, visto il carattere simile. Mi trovai
d’accordo, era piacevole parlare con lei.
-Penso d’aver capito invece. Beh, raccontami qualcosa, che si
dice? È da un po’ che sono rinchiusa qui. Qualche
gossip alla clinica?- ammiccai, facendola ridacchiare.
-No, è stata dimessa Heike, non so se hai presente-
annuì, era arrivata un anno dopo di me, stessa malattia,
forse c’era ancora speranza
per me. –Poi qua intorno è pieno di giornalisti,
è diventato difficile uscire senza essere fotografati, sai..
per l’intervento di Bill- mi fissò di sottecchi,
cercando di capire la mia reazione.
-Ahn..- feci indifferente.
-Da quando è arrivato tutte le ragazze sembrano in calore,
beata te che vivi in una stanza sola. Io mi ritrovo a dormire con
migliaia di occhi che mi fissano attaccati alla parete, mi sento sempre
osservata dai Tokio Hotel appiccicati al muro- sbuffò,
facendomi ridere.
-Tu sei fan?- chiesi a bruciapelo, vedendola arrossire.
-Si, li ascolto da anni, però non ho mai attaccato poster,
mi inquietano! Tu invece?-
-Penso di essere l’unica ragazza tedesca a non aver mai
sentito una loro canzone- sbuffai. Mi guardò esterrefatta.
-Cosa? Davvero? Se vuoi ti faccio sentire qualcosa!- propose subito,
illuminandosi.
-No, l’ho promesso.. a Bill. Non vuole che ascolti una loro
canzone finché non sarà sicuro di poter tornare a
cantare- gesticolai.
-Posso chiederti una cosa? Sei libera di non rispondere, sono solo
curiosa- era evidentemente imbarazzata, annuì.
-Com’è Bill? Guardandolo da
“lontano” o sentendo la sua musica, è
apparentemente molto dolce, carino.. vi ho visti insieme qualche volta,
tu che ci hai parlato.. com’è?- le brillavano gli
occhi. Ero conscia della fortuna avuta, potendolo conoscere. Tante
ragazze avrebbero pagato per essere al posto mio..
Sospirai, -Bill è perfetto, non saprei trovare aggettivo
migliore. È estremamente dolce, giocoso, simpatico,
carismatico.. okay penso d’aver dato l’idea- mi
fermai accorgendomi di esagerare.
-Si, hai reso. Ti piace parecchio eh?- sprofondai sotto le coperte.
-No, figurati!- sventolai la mano come se niente fosse.
-Tranquilla, non lo sbandiero in giro.. poi era abbastanza palese come
cosa-
-Ma scusa, vado in giro con un cartello con su scritto “PERSA
PER BK” per caso?- sbottai, facendo aumentare le sue risate.
-No, è semplice capirlo. Ti si illuminano gli occhi a
sentirlo nominare. È bello-
-Patetico, altro che bello- sbuffai.
-Perché?- mi squadrò interrogativo.
-E’ facile dire che è bello l’amore, ma
devi vederla dal mio punto di vista, capire che non è un
bene per lui stare con me: io sono malata,
sono quasi morta un paio di giorni fa, e ciò potrebbe
ripetersi presto. Ho già la tomba pronta, vedi te! Io posso
essere innamorata di Bill quanto voglio, basta che lui non ricambi,
altrimenti sarà come assicurasi tristezza da solo! Poi cosa
cambierebbe? Stare un mese insieme e poi? Lasciarci perché
deve girare il mondo? Oppure tenerci in contatto? Poi magari non
rispondo a una chiamata e pensa che sono morta!- sputai fuori,
pentendomene subito. –Scusa, non volevo-
Mi rassicurò, -Non ti preoccupare, capisco ti
servisse uno sfogo! Sei tesa come una pentola a pressione, ne hai
passate tante ultimamente, eh?- annuì stanca.
-Ma no, in poco più di una settimana ho trovato un amico che
è diventato anche il mio “amore”, ho
mandato all’aria tutto, sono morta e sono resuscitata,
insomma non ci si annoia mai qui-
-Io non so se ce la farei, intendo a lasciarlo.. probabilmente se fosse
capitato a me.. avrei colto la palla al balzo- mi informò.
-Sapessi quanto vorrei coglierla quella palla, il mio problema
è che penso troppo- confessai.
-L’amore è complicato- disse. –E la vita
stronza- aggiunsi io.
-Concordo!- ridacchiammo insieme. –Ora è meglio
che torni dalle matte- alzò gli occhi al cielo, -Ti lascio
il mio numero di cellulare va bene?- le porsi il cellulare e lo
salvò.
-E’ stato un piacere conoscerti, grazie per la chiacchierata
Mel!-
-Grazie a te per essere venuta! Sei la prima persona che mi rivolge la
parola per essermi amica- sorrisi –Ho passato belle ore. A
presto!- si congedò.
Mi buttai all’indietro sul letto, osservando il soffitto.
Sospirai, che giornata!
Chiusi gli occhi, stanca, sperando non mi riservasse altre
sorprese, invece…
.. .. ..
..
* * *
..
..
[*] ich bin nich' ich - Tokio Hotel
NdA:
Allooora, cosa dire di questo capitolo? E' un po' lento, non
succede nulla di particolare (un po' di pace ci vuole ogni tanto!). Mel
si è svegliata e si trova ad affrontare quel cocciuto del
Kaulitz, non mollerà facilmente ;)
Abbiamo anche un nuovo personaggio, Julia!
Rappresenterà la parte irrazionale della nostra
protagonista. Voglio 'dedicare' la nuova entrata in ADL a Giulia (phantomrider tk)
- da cui ha, appunto, preso il nome -> Giulietta che mi riempe
sempre di complimenti che mi fanno sciogliere davanti al pc
ç__ç grazie!
Ringrazio anche chi segue questa storia e che commenta, sapete che le
recensioni riescono a migliorare le mie giornate? Soprattutto ora che
la scuola mi sta distruggendo fisicamente e psicologicamente! Siete
tutte gentilissime! Grazie a chi ha messo questa storia tra le
seguite/ricordate/preferite.
Mi fate veramente contenta! ♥
A presto,
unleashedliebe
|
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Capitolo 9 *** Capitolo IX (B) ***
....
....
CAPITOLO
IX (B)
....
.... ....
Era
appena passata l’ora di cena, la clinica era silenziosa,
tutti si stavano preparando per andare a dormire o per guardare
qualcosa alla televisione. Io, invece, me ne stavo buttata a letto con
gli occhi chiusi, aspettando che il sonno contagiasse anche me, senza
risultati: dopo aver dormito per tre giorni di fila mi trovavo sveglia
e terribilmente annoiata.
Ripassavo mentalmente un vecchio spartito, quando
sentì qualcuno intrufolarsi nella stanza.
Rimasi in silenzio, mentre una terribile
sensazione m’invase.
Fa che non sia
lui, pensai.
Passi leggeri, soffici. Lo sconosciuto si sedette sul letto,
vicino a me.
Fa che non sia
lui, pregai stavolta.
Sento un tocco sulla guancia, lieve, quasi inesistente. Mano
grande e morbida.
Annusai l’aria senza farmi vedere: vaniglia e menta.
Conoscevo solo una persona con quel buonissimo profumo.
Era lui.
La consapevolezza di chi fosse mi colse d’un tratto,
e mi ritrovai a contenere i battiti impazziti del mio cuore. Fingevo di
dormire, ma la macchina che registrava la frequenza cardiaca mi
tradì, cominciò a lasciare rumori più
velocemente.
La mia solita
fortuna, pensai sarcastica.
Mi costrinsi ad aprire gli occhi, tanto ormai aveva capito che
non dormivo.
Mi alzai lentamente dal cuscino mettendomi in posizione eretta, al suo
fianco e guardando dritto.
-Che ci fai qui Bill?- mormorai stanca.
“Lo sai”
scrisse col cellulare.
-Ti ho già detto come la penso su questa storia. Sei
soltanto un amico, solo un amico. Mi dispiace- mugugnai cercando di
apparire vera.
“E ti ho
già detto cos’ho intenzione di fare”
Mi prese il volto delicatamente, girandolo verso il suo. Mi sistemai
meglio sul letto, mi trovavo a gambe incrociate, di fronte al cantante.
Guardai quegli occhi nocciola, cercando di non farmi travolgere da
quello sguardo.
Resisti Mel,
resisti..
Era fottutamente impossibile, scientificamente provato:
opporsi a Bill Kaulitz era inutile, lui era un ammaliatore nato, dal
sorriso dolce e invitante. Iridi profonde, catturano, imprigionano,
travolgono.
Nonostante la burrasca interiore, mi finsi impassibile. La sua presenza aveva lo stesso
effetto di un potente monsone, spazzava via la ragione e mi lasciava in
balia dei battiti impazziti del cuore.
-Quindi?- dissi sbrigativa.
“Menti”
lo mimò col labiale.
-Questo lo dici tu-
“No, lo dicono
i tuoi occhi Mel” digitò.
Negai con la testa. -Vedi quello che vuoi vedere, non la
realtà. E sai la realtà qual è?
Affetto, non amore, affetto-
Prese un foglio lasciato sul comodino e una penna.
“Hai
gli occhi che brillano quando sei con me.
Ti sento tremare. Sento che tenti di regolarizzare il respiro.
Vedo le tue guance arrossarsi quando mi avvicino troppo.
So che hai paura.”
Deglutì, stava mettendo in crisi il mio
autocontrollo.
Mi osservò e sorrise.
E non si sfugge
al sorriso di Bill Kaulitz.
Abbassai lo sguardo, allontanandomi dal moro.
-Sono davvero stanca di ripeterlo, lasciami perdere- sibilai.
Scosse la testa, ridacchiando.
-Mi farai impazzire uno di questi giorno Kaki- sospirai,
arresa. Chiusi gli occhi per un momento, massaggiandomi le tempie,
provata. Il gesto che fece il ragazzo mi colse alla sprovvista,
approfittò della mia distrazione per abbracciarmi. Mi trovai
avvolta da quelle magrissime braccia, che mi facevano sentire protetta,
mentre il suo profumo mandava in fibrillazione i miei sensi.
-Approfittatore- sussurrai sprofondando la testa sulla sua spalla. Lo
sentì ridacchiare, mi beai di quel suono cristallino che
tanto amavo.
Rimasi un minuto così, poi mi ritrassi
dall’abbraccio, sorridendo.
-Quando potrai parlare?- domandai curiosa, non vedo l’ora di
sentire la sua voce.
Rispose indicando con le dita,
cinque giorni.
-Com’è stato l’intervento? Hai avuto
paura?- chiesi con tono dolce.
“Paura..
è riduttivo credo! Odio gli ospedali, odio un semplice
prelievo del sangue, immagina cosa significava per me sentirmi mettere
le mani in gola! Per fortuna è andato tutto bene.. ora non
ci resta che aspettare, e penso sia ancora peggio”
scrisse velocemente.
-Don’t worry, be happy- canticchiai piano, facendolo ridere
ancora. –A parte gli scherzi, se l’operazione
è andata bene non ci saranno problemi, hai superato la parte
più difficile- strizzai l’occhio.
Annuì pensieroso.
-Quando mi farai ascoltare qualcosa di tuo?- feci entusiasta.
“Mh, uno di
questi giorni se vuoi...
-Certo che voglio! Non vedo l’ora!- sorrisi felice, -Ora
è meglio che tu vada, non sfidare troppo il destino Kaulitz,
se ti beccano sono guai- Sbuffò, accarezzandomi una guancia,
arrossì.
-Piantala superstar! Devo ripeterti il concetto?- sbuffò
nuovamente.
Mi alzai accompagnandolo alla porta, -Buonanotte Bill- arricciai gli
angoli della bocca verso l’alto, si avvicinò alla
guancia, lo evitai, fulminandolo con lo sguardo. -Freunde-
ribadì il concetto, alzò gli occhi al
cielo.
Se ne andò ridacchiando, mentre io mi recai verso
la libreria, cercando qualche libro interessante da leggere
così da passare il tempo. La scelta ricadde su un classico,
“Orgoglio e
pregiudizio”; amavo le storie d’amore,
chissà.. forse anche io volevo lo stesso destino della
protagonista Elizabeth, riuscire a emanciparmi e trovare
l’amore, vivendo
felice e contenta, meglio evitare il per sempre, non
faceva per me.
Mi sedetti sul letto, sfogliando le prime pagine, quando
qualcuno bussò alla porta. Considerando non veniva a
trovarmi nessuno se non quella
persona – che tra l’altro era appena uscita, diedi
per scontato fosse lui.
-Bill, che c’è ancora?- domandai mentre la porta
si apriva.
-Bill eh? Come mai proprio lui?- sprofondai nell’imbarazzo,
non era lui, bensì Julia, la quale fece il suo ingresso
ammiccando verso di me.
-Buonasera! Qual buon vento ti porta qui?- ignorai la sua domanda.
-Monsone!- Ridacchiò lei, notando il mio sguardo confuso,
-Oh, è vero! Tu non puoi capire.. cose da fan dei Tokio
Hotel!- spiegò. –Non hai risposto-
sbuffò.
-Niente, era venuto qui prima.. e pensavo fosse ancora lui, di solito
non ricevo molte visite-
-Sarà.. e cosa è successo quando è
venuto qui? Sembri.. scossa- mi squadrò, posizionandosi
sulla sedia affianco al letto.
-Nulla di che.. ha provato a baciarmi- sputai velocemente e
nervosamente.
-Ah. Ha solo provato a bac.. cosa!?!- saltò su se stessa.
–Ti prego, dimmi che non l’hai respinto!-
-Questa volta si, prima che.. insomma mi baciasse davvero-
-Cosa.. questa volta? Cosa intendi? Vuoi dire che.. tu! Oddio, ma
quanto sei fortunata?- aveva gli occhi che brillavano.
-Fortunata? Certo, come no! Si.. c’è stato un
bacio, ma solo a stampo, poi sono fuggita via, stavolta mi sono subito
scostata.-
-Perché?-
-Siamo amici, gli amici non si baciano- fu la mia secca risposta.
-No, sai anche tu che la verità è
un’altra. Tu hai evitato quel bacio perché sai non
saresti riuscita a fermarti questa volta- il suo sguardo cadde sul mio,
cercando di captare ogni mia reazione.
Rimasi in silenzio, lei continuò.
-Tu non puoi controllare tutto, ovviamente innamorarti di Bill
Kaulitz non era nei tuoi piani scommetto, giusto? Neanche ammalarti di
leucemia. È il destino. Sei riuscita ad accettare la tua
malattia, ci convivi, imparerai a convivere anche con
l’amore, capirai che non c’è sentimento
più bello. Ripeto, è impossibile tenere tutto
sottocontrollo, anche se ci si impegna qualcosa sfugge sempre, non sei
un robot, non sei una macchina. Sei un essere umano, e come tutti provi
emozioni, sentimenti, come tutti sbagli. E sai cosa stai sbagliando
secondo me? Tu vuoi decidere per tutti, pensi di non essere giusta per
quel ragazzo e quindi ti metti da parte, soffrendo. Non guardarmi
così, soffri, non sai nasconderlo. Non dovresti, fai
l’egoista per una volta, scegli la tua felicità.
Chi l’ha detto che deve finire male? Non
c’è scritto da nessuna parte. Bill è
fantastico, l’hai detto tu, non ti deluderà,
starà al tuo fianco. Sai che c’è poi?
Meno di una settimana e sentirai la sua voce, e credimi.. dopo non
avrai più scampo. Te lo dico con certezza. E sai
un’altra cosa? Però beh, devi dirmi se vuoi
sentirla davvero-
Ci misi un po’ a rispondere, conoscevo questa
ragazza da.. pochissimo, e le sue parole sapevano toccare tutti i punti
più sensibili, perché erano fottutamente vere.
-Va bene..- sussurrai poco convinta.
-Quando gli tornerà la voce inizierà la
riabilitazione, e non è obbligatorio a farla qui,
può scegliere una succursale più vicina a casa
sua oppure anche un medico che venga a casa sua per le terapie. Quindi
potrebbe rimanere meno di tre settimane, potrebbe andarsene anche la
prossima. Lo sapevi?-
Spalancai gli occhi, non me l’aveva detto..
-E’ una possibilità, me l’ha
detto un’altra ragazza che sta facendo il suo stesso
percorso. Lui però, se glielo chiedessi, resterebbe per te.
Anzi, sono sicura lo farà comunque, finché non ti
arrenderai. Ti ama-
-Non m ama! E.. una cotta? Neanche! Sono diversa, per questo gli
piaccio, perché non lo tratto come un dio ma come una
persona e questo lo attrae. Tutto qui-
-Continua a raccontarti queste bugie, tanto non ci credi neanche tu-
-Senti, possiamo smettere di parlare di lui? Insomma, io resto delle
mie opinioni- sbuffai stanca.
-Va bene, hai ragione. No, ho ragione io comunque. Basta che ci
rifletti e capirai- sorrise e mi fece l’occhiolino.
-Okay basta! Cambiamo argomento, raccontami di te! Qualche amore? Visto
che fai tanto l’esperta!- la presi in giro, mentre
alzò la testa con sguardo altezzoso.
-Niente amore, per ora. L’ultima storia risale a prima
dell’entrata in clinica.. mi ha lasciato lui, lo amavo
davvero, la malattia però aveva bruciato tutto quello che
rimaneva di me, mi hai vista no all’inizio? Praticamente non
esistevo. Non lo biasimo per questo, alla fine non era
l’amore della mia vita-
Rimasi sorpresa dalla sincerità della risposta, non
mi aspettavo fosse successa una cosa del genere.
-Non fare quella faccia triste, sono cose che capitano! Tu invece,
prima del bel cantante?-
Beh, dovetti andare con la memoria a quando avevo solo
quattordici anni.
-Non ho avuto storie, un ragazzo quando era alle medie,
però nulla di che, solo per pronunciare la frase
“sono fidanzata”, una volta scoperta la
malattia ci siamo lasciati. Non ho sofferto più di
tanto, perché non lo amavo- confessai. Insomma,
una vita sentimentale molto attiva.
-Capisco! Amiche invece? Non ho mai visto nessuno qui..- chiese cauta.
-Perché non è mai venuto nessuno. Dopo aver
scoperto della malattia piano piano sono scomparse tutte, non le
biasimo, le avrei comunque allontanate io, un amica leucemica
è un peso, nonché una sofferenza continua, anche
perché mi sono trasferita qui a Colonia, mentre loro sono
rimaste a Berlino, quindi non sarebbero neanche potute venire qui a
trovarmi, col tempo i rapporti si sarebbero inevitabilmente congelati.
Ci ho sofferto sì, ma è stato un bene. Non
è bello stare da soli, me ne rendo conto, ma per ora
è meglio così. Tu invece?-
-Lasciamo perdere la tua ultima frase, rischio davvero di innervosirmi!
È successo lo stesso che con il mio ragazzo, le ho
allontanate, tanto ero concentrata nel mio dramma. Loro cercavano di
aiutarmi, io ho sempre rifiutato il loro aiuto, alla fine hanno smesso
di aiutarmi. È stato anche un bene, mi hanno sbattuto faccia
a faccia con la cruda realtà. Certo che.. le nostre vite
sono davvero deprimenti, non trovi?-
Scoppiammo a ridere, annuendo entrambe.
-Che dici? Secondo me questo è l’inizio
di una lunga amicizia. Ah, non uscire con “potrei
morire”, perché se lo fai ti ammazzo io Mel!- mi
puntò il dito contro, con fare minaccioso.
-Non lo dirò, perché sono convinta potresti farlo
davvero!- le sorrisi.
-Abbraccio?- domandò guardandomi con gli occhi dolci.
–Abbraccio!- risposi.
Era strano, passare dal non avere nessuno a trovare due amici
fantastici come Julia e Bill in neanche un mese. Tanti cambiamenti,
tante decisioni da prendere, tante cose da affrontare. Convinzioni da
mettere da parte, magari si, pensare più a me stessa,
cambiare.
-Ehm ehm, in che pensieri profondi ti stai perdendo?-
domandò la mia nuova amica sciogliendo l’abbraccio.
-Stavo pensando.. a quello che mi hai detto prima- confessai.
-Beh, oggi sono stata particolarmente logorroica, a cosa ti riferisci
in particolare?- scossi la testa divertita.
-Al fatto di.. essere meno egoista- si illuminò sorridendomi.
-Tu sei una bellissima persona Mel, pensi sempre agli altri e poi a te
stessa. Questo ti fa onore, ma dovresti mettere da parte questo
atteggiamento per un po’, vedrai come cambierà
tutto-
-Fosse facile- soffiai. Mi accarezzò la schiena, guardandomi
dolce.
-Spero tu possa farcela, davvero. Ora è meglio che vada, ti
lascio con i tuoi pensieri, immagino avrai molto su cui rimuginare, no?-
-Grazie- dissi ricambiando il suo sguardo.
-Di che? È a questo che servono le amiche! No?-
annuì, arricciando gli angoli della bocca
all’insù.
-Dove sei stata tutto questo tempo? Sei fantastica Julia-
-A rinascere!
Ora è il tuo turno eh- fece l’occhiolino, mentre
l’accompagnavo fuori dalla stanza.
-E’ stato bello parlare con te, buonanotte-
affermò.
-Anche per me, davvero. Buonanotte-
E così mi ritrovai di nuovo sola, con i pensieri
che giravano a mille.
Il mio cuore diceva che non dovevo fare l’egoista.
Mia madre diceva che non dovevo fare l’egoista.
Rossella diceva che non dovevo fare l’egoista.
Julia diceva che non dovevo fare l’egoista.
Bill diceva che non
dovevo fare l’egoista.
… Forse, avevano ragione. Spiegarlo al mio cervello
però non era facile, per nulla. Prima aveva sempre dominato
sul cuore, ora però stava perdendo.
Cosa sarebbe successo se la ragione si fosse lasciata sopraffare dal
sentimento?
Nella mia mente si delineò il volto sorridente di Bill, i
suoi abbracci, il tempo passato con lui, quel bacio rubato. I brividi
sulla pelle provocati dalla sua vicinanza. Il calore che sprigionava.
Lui.. era amore.
… Forse sì, fare l’egoista
valeva la pena. Potevo godere il momento, potevo respirare
l’amore per la prima volta, potevo tornare a vivere..
Presi l’agenda dal comodino.
“Sì, ho
deciso.
Fanculo alla maschera
che porta ossigeno.
Io tornerò a
respirare,
e non grazie a una
macchina.
No.
Ispirerò
amore.
In fondo.. me lo merito.
Credo.
Massimo un mese,
poi
farò tornare tutto come prima.
E’ ora di
vivere.
Mel”
....
....
....
....
* * *
....
.... ....
....
NdA:
Eccomi qua! Dopo una domenica passata studiando economia ho deciso di
postare (seppur sempre in ritardo!), non mi sono dimenticata di voi,
non sia mai! Questo capitolo mi piace, alla fine Mel " cede.." e
finalmente la situazione con Bill si evolverà *-*
Spero vi sia piaciuto, grazie a tutte quelle che leggono e commentano,
siete gentilissime!
Alla prossima (spero presto lol)
Unleashedliebe
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Capitolo 10 *** Capitolo X (R) ***
...
...
CAPITOLO X (R)
...
...
La mattina dopo mi svegliai e, stranamente, mi sentivo piena
di energie.
Guardai il mio viso allo specchio e, dopo tanto, lo vidi meno
sciupato. Gli occhi brillavano sotto una nuova luce, luccicavano.
Sorrisi, avevo un paio di cose da fare.
Per prima cosa mi vestì, un paio di jeans e uno dei
tanti maglioni regalatomi da mio padre, cappellino nero e converse.
Sapevo che Tom sarebbe andato a trovare il fratello quella mattina
intorno alle otto e mezza e, per questo, Bill non sarebbe sceso a fare
colazione; io avrei saltato, il mio stomaco era pieno
d’altro.. farfalle? No, qualcosa di più.. una
mandria di elefantini allegri.
Scesi giù quasi saltellando, uscendo dalla clinica
e sedendomi sulla panchina affianco alla porta d’entrata.
Erano le otto e quindici, non avrei dovuto attendere molto.
Pensai a qualcosa da dire, prepararmi un discorso, qualcosa..
ma ero troppo agitata, sapevo che tanto sarebbe stato inutile: talmente
nervosa avrei dimenticato tutto. Esattamente dieci minuti dopo vidi
arrivare la persona che attendevo, con il solito passo scazzato e sciolto,
sguardo fisso in avanti e occhi sbarazzini.
Cominciai a torturarmi il labbro, presi un respiro e mi parai
davanti a lui.
-Buongiorno Tom!- dissi velocemente bloccandolo.
-Mel? Che vuoi?- borbottò alzando un sopracciglio.
-Rapirti e scappare con te a Parigi, sposarti, violentarti e avere
tanti figli!- affermai velocemente, guadagnandomi una sua occhiataccia.
–Oh Kaulitz, cosa vuoi che voglia? Parlarti!- sbuffai.
-E di cosa, di grazia?- continuò seccato.
-Della pace del mondo, della dimostrazione dell’enunciato di
Euclide, della poetica di Goethe! Ovvio no?-
-Sarcastica stamattina? O è trovarti davanti a tutta questa
bellezza che non ti fa ragionare?- mi prese in giro.
-Okay, seriamente.. volevo parlarti..-
-Di Bill immagino- concluse lui per me. Annuì.
-Posso rubarti qualche minuto della tua impegnata vita?- domandai
sbrigativa. Lui annuì e andammo a sederci su una panchina.
-Allora, che c’è?- domandò, -Centra con
il discorso che ti ha fatto ieri sera? Me l’ha raccontato-
-Sì- sospirai.
-Immagino beh.. hai deciso di, lasciarti andare con lui, giusto?-
chiese, stavolta serio.
-Tom, il fatto è che non ce la faccio.. lui non vuole
mollare, e io..-
-lo ami- mi anticipò ancora. Abbassai gli occhi annuendo.
-E.. mi è difficile stargli vicino, l’ha capito
anche lui e.. lo conosci meglio di me, no?-
-Già, quando vuole una cosa non molla- ammise.
–Vuoi.. metterti con lui quindi?-
Presi fiato prima di rispondere. –Tutti mi dicono di
pensare meno e di agire di più. Sono innamorata di tuo
fratello Tom, e so che una nostra storia non porterà nulla
di buono- confessai.
-Già, sono d’accordo. Sai già
come la penso, l’hai capito che non vi vedo bene insieme.
Anzi, non è proprio così, se devo essere sincero
insieme siete.. perfetti. Conosco mio fratello, questa è la
prima volta che lo vedo così innamorato, ha gli occhi che
brillano quando “parla” di te, ti lancia sguardi
dolci e pieni d’affetto che ho visto fargli solo a
un’altra persona, che sono io. Ora non è felice,
perché ti ama. Chi sono io per decide di chi deve
innamorarsi? Lui ha scelto te, e ci sarà un motivo. In
questo contesto però è tutto così
complicato, lo sai tu e lo sa lui. A Bill non importa, ha capito i tuoi
motivi ma non gli accetta, quindi è disposto anche a
rischiare, non è uno sprovveduto. Romantico sì,
dolce, ma non illuso-
Sentivo gli occhi appannarsi, non immaginavo un
discorso del genere da parte del chitarrista, ogni parola verso il
gemello era carica d’amore e protezione. Eh beh, aveva un
cuore anche lui.
-Non odiarmi però- sussurrai dopo, mentre mi riservava uno
sguardo confuso.
-Non ti odio, ti ho odiato sì, all’inizio. Adesso
no, anzi, mi stai simpatica. Ripeto, è il contesto che rende
tutto così difficile-
-Già. Però.. non intendevo questo. Non odiarmi
quando lo lascerò-
Il suo sguardo si fece duro.
-Non guardarmi così, sai che lo farò, e
sai anche che è la cosa giusta. Magari al momento no,
però capirete che è la cosa migliore. Immagini?
Una relazione a distanza è di per sé difficile,
poi se in mezzo ci sono una superstar e una malata di leucemia non
può funzionare. Un giorno potrei mancare una chiamata, e lui
potrebbe pensare sia stata male. Un giorno potrebbero operarmi e lui
non riuscirebbe a concentrarsi per l’ansia. Un giorno potrei
morire, e lui lo scoprirebbe grazie alla chiamata del centralino
dell’ospedale. Tom,
la vita non è una favola, non voglio illudere
nessuno. Prometti di stargli vicino, quando succederà, okay?
Non lasciare che si intristisca, non permetterlo- una lacrima scese, fu
raccolta prima che cadesse a terra.
-Cosa.. vuoi che ti dica!? Sei complicata, troppo forse-
-Promettimi lo farai, mi basta questo- lo guardai negli occhi.
-Non serve prometterlo, lo farei comunque. È mio fratello-
Sorrisi, -grazie Tom- scosse le spalle, minimizzando.
-Beh, ora puoi andare, scusa se ti ho rubato cinque minuti di preziosa
vita. Bill ti aspetta, non dirgli niente però-
Ci alzammo e, dal suo metro e ottanta abbondante mi sorrise, prendendo
la mia mano per un attimo e fissandomi con quei dannati occhi nocciola.
-Pensa di meno, goditi il momento, rendilo felice.. e scopa di
più!- concluse facendomi una linguaccia, non si smentiva mai.
-E io pensavo stessi per dire qualcosa di serio! Va bene, sono sempre
la solita illusa! Comunque, grazie di tutto, in fondo non sei male-
-Neanche tu piccola Mel! Avrei voluto il nostro incontro avvenisse in
circostanza diverse però-
-Beh, non mi avreste notata. Sono una ragazza normale tra le milioni di
fan, quindi.. essere malati a volte serve- ridacchiammo. –Ora
vai, Bill ti avrà dato per disperso!-
Sorrise annuendo, ritornando verso l’interno della clinica.
Appena entrato, mi lasciai scivolare sulla panchina, mi ero tolta un
gran peso.
-Meeeeeeeeeeel!- mi alzai di colpo, sentendo l’urlo
di Julia.
-Oddio, mi hai fatto prendere un colpo! Che c’è?-
la osservai, aveva sempre la solita aria allegra, i capelli che
svolazzavano per l’aria e vestita leggera. Notai con piacere
che non le si vedevano più le ossa.
-Stavi parlando con Tom Kaulitz- disse con gli occhi quasi a forma di
cuore.
-Già- sorrisi.
-E stai sorridendo! Che è successo?- domandò
curiosa.
-Abbiamo chiacchierato, sai.. ieri sera ho pensato a quello che mi hai
detto e ho deciso di.. provarci-
Rimase senza parole e mi tirò su dalla panchina per
abbracciarmi.
-Evviva, sono così contenta! Quindi dopo andrai da Bill
e..?- ammiccò.
Arrossì, non avevo ancora pensato a come fare in
realtà.
-Sinceramente non ho ancora programmato nulla, e non chiedermi altro
perché mi imbarazzo, lo sai!-
Scoppiò a ridere, -Sì lo so! A parte questo, sono
felice per te- sorrise dolce, -Ti ha proprio cambiata, sembri
un’altra ragazza, sei.. viva!-
-E’ l’effetto Kaulitz suppongo- affermai.
-Già, decisamente! Siete bellissimi insieme sai? Dico
davvero, vi osservavo qualche volta, mentre camminavate per i corridori
della clinica. Vi muovete in simbiosi, non so se te ne sei mai accorta,
ma come si muove lui tu lo segui, e il contrario. E sai
un’altra cosa? Anche se dopo questo mese dovreste
lasciarvi, sono certa tornerete insieme. L’amore vince- disse
convinta.
-Non so,preferisco non fare previsioni a lungo termine. Però
beh, se dovessi guarire e se non fosse impegnato, lo cercherei ovunque,
farei di tutto per tornare a parlarci. Non dico per.. riconquistarlo,
ma almeno provarci-
-Così ti voglio! Quanto resta di solito Tom da Bill?-
domandò.
-Non so, dipende, perché?- feci sospettosa.
-Non vorrai incontrare Bill conciata così? Insomma, devi
farti bella!- rispose con fare ovvio.
-Si, per essere bella dovrei avere indietro i miei capelli e una decina
di chili- sbuffai.
-Piantala, tu sei bella- disse dolce, -vieni, andiamo in camera tua!
Subito!-
Neanche il tempo di ribattere che mi trascinò in
stanza, aprendo l’armadio e buttando fuori vestiti,
mettendone da parte alcuni e scartandone altri, tutto questo mentre io
la guardavo leggermente basita.
-Okay, trovato! Metti questi!- indicò un mucchietto di abiti
sopra una sedia.
Guardandola male li tirai su senza neanche guardare, andai in
bagno e li indossai. Non erano nulla di speciale: una t-shirt azzurra
che risaltava i miei occhi abbastanza lunga, dalla scollatura si
vedevano le ossa sporgere, beh, per quello non c’era rimedio,
poi un paio di jeans stretti che fasciavano elegantemente le mie gambe
molto magre, ovviamente le scarpe sempre converse.
-Vestita, ora possiamo scendere?- domandai seccata.
-No! Manca il trucco- ammiccò.
-Senti, non voglio presentarmi a Bill come un’altra persona,
sono sempre la solita Mel-
Non badò minimamente alle mie parole,
inforcò il mascara passandolo sulle ciglia e aggiunse un
po’ di matita nera sotto, a risaltare sempre lo sguardo, che
quel giorno brillava più che mai.
-Guardati, sei bella- mi mise davanti a uno specchio,
sorridendo soddisfatta. Alzai le spalle, io mi vedevo sempre uguale,
con un po’ di agenti estranei sul viso.
-Darmi una soddisfazione no eh? Non importa, tanto sei impossibile!-
Ridacchiammo insieme, la giornata stava andando alla grande.
Dopo tanto tempo finalmente ero serena, con la testa leggera e
il cuore sorridente.
-Ti rendi conto? Fra poco sarai fra le sue braccia e poi vi
bacerete! Che cosa dolce!- esclamò arricciando gli angoli
della bocca all’insù, mentre gli occhi sprizzavano
gioia. Io invece arrossì, sembrava così strano..
Non volevo pensarci, altrimenti il mio cuore non si sarebbe
regolarizzato più.
-Ora vado, voglio lasciarti in pace per un po’, mi
raccomando.. non farti paranoie-
Annuì ringraziandola per quel che aveva fatto per me, non
solo per quella mattina.
Mi buttai sul letto, sentendo il mio stomaco in subbuglio,
volevo rivederlo, ero troppo ansiosa, non riuscivo a stare ferma. Mi
alzai di scatto e uscì dalla camera, raggiungendo il tetto
della clinica, dove poco tempo prima avevo conosciuto lui, il mio Bill.
Mi sedetti sulla stessa panchina, guardando il desolato paesaggio.
Mi focalizzai su ciò che era attorno a me, mi venne in mente
una frase letta qualche anno fa.
"Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni
in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle"
E io, accettando il mio amore verso di Bill, stavo
rivoluzionando una vita intera. Non era una persona tra le tante, no,
lui entrava dentro, in profondità. Il suo sorriso, i suoi
modi, i suoi occhi.
Era perfetto,
per me.
Io ero totalmente imperfetta per lui, chissà quale scherzo
del destino aveva fatto si che ci incontrassimo e.. innamorassimo.
Sentì la porta aprirsi, e fu inevitabile la
sensazione di Déjà vu. Eccolo, camminava
lentamente verso di me, con quel passo elegante, i capelli neri
lasciati liberi, gli occhi truccati leggermente e il sorriso
accecante.
-Bill- sussurrai come in trance, sorridendo automaticamente.
Ricambiò, sedendosi vicino a me.
-Come facevi a sapere fossi qui?- domandai, tirò fuori
– come sempre – il cellulare.
“Tom era
strano, è andato via presto, misterioso. Così
sono venuto in camera tua e non ti ho trovata,quindi ho pensato fossi
salita qui. Non mi sono sbagliato, ti conosco ormai”
-Già.- risposi solamente, tornando a guardare avanti. Rimasi
in silenzio, finché non mi alzai per poggiarmi sulla
transenna, non riuscivo a concentrarmi con lui vicino.
Neanche un minuto dopo era ancora di fianco a me, “Sei particolarmente
bella oggi”
Arrossì involontariamente, nel frattempo si era avvicinato
ancora, poggiando il suo petto contro la mia schiena e abbracciandomi
da dietro.
Aveva la mano poco sopra la mia vita, ero certa sentisse il mio cuore
battere impazzito.
Lo sentì chiaramente sorridere. Con uno scatto mi girai,
trovandomelo di fronte, abbracciati e.. vicinissimi.
Facevo faticare a respirare, tanto ero impegnata a mantenermi in piedi.
Appoggiai la mia testa sull’incavo del suo collo, sentendomi
invadere da quel profumo che tanto amavo.
-Bill, io mi arrendo- sussurrai dolce, soffiando sulla pelle
lasciata libera dalla t-shirt a v.
Lo sguardo che mi lasciò mi fece sciogliere, aprì
gli occhi sbattendo velocemente le lunghe ciglia nere, mentre il
nocciola si fondeva sull’azzurro dei miei
-Insomma, posso negare quanto voglio ma l’ho capito, sono
innamorata di te. Devo pensare meno, sia al fatto che tu sei una
celebrità e al fatto che io, invece, sono
un’insulsa malata di leucemia. Devo vivere il secondo, e non
importa se tutto andrà male, quanto soffr…-
Non riuscì a terminare che qualcosa mi
bloccò.
Quel qualcosa erano due soffici labbra al sapore di menta.
Si poggiarono delicate sulle mie, interrompendo il monologo intrapreso.
Bum bum. Il
mio cuore era partito, batteva furiosamente. Chiusi gli occhi.
Mi poggiai alla ringhiera, temendo le forze mi avrebbero abbandonata da
un momento all’altro.
Si avvicinò ulteriormente a me, circondandomi la
schiena con un braccio, mentre con l’altra mano mi
accarezzava delicatamente una guancia. Io invece ero immobile. Il balia
di lui.
Riaprì lentamente le palpebre e notai che mi fissava,
dolce.. pieno d’amore.
Ripresi controllo di me stessa, portai le mie braccia attorno al suo
collo e l’avvicinai ancora a me.
Baciai leggermente l’angolo della sua bocca, mentre chiudemmo
gli occhi insieme.
Rimanemmo così, fermi. Fu lui a fare il passo successivo, si
allontanò per poi tornare a poggiarsi sulle mie labbra,
sempre con tenerezza. Combaciavano perfettamente. Le dischiudemmo
insieme e sentì la sua lingua entrare piano e collidere con
la mia, mentre quel piercing mi faceva rabbrividire. Si muovevano in
sintonia, con lentezza e passione. Un bacio calmo, romantico, denso. Atteso.
Ci staccammo a corto di ossigeno e non ci fu bisogno di parlare,
poggiai la testa sotto la sua mentre lui accarezzava lentamente la mia
schiena e mi lasciava qualche bacio umido sul collo.
-Grazie Bill- sussurrai piano, temendo di rovinare quel momento,
così perfetto. Mi guardò interrogativo.
-Forse non ne sei consapevole, ma stai cambiando la mia vita.
No, non ti dirò “ti amo”, non
l’ho mai detto a nessuno e non me la sento, ho paura
sì. Voglio tu sappia però, che mi hai preso il
cuore, e probabilmente lo riavrò indietro a pezzi. Ma sai
che c’è? Ne sarà valsa la pena- mi
scese una lacrima, che lui prontamente raccolse stringendomi ancora di
più a sé. Avevo pianto più
in quei giorni che in tutta la mia vita.
-Andiamo, è ora di pranzare- dissi io, distanziandomi da
lui, anche se parecchio di controvoglia.
“Pranzi da me?”
sorrisi e annuì entusiasta.
Ci dirigemmo verso la sua stanza, camminando vicini, con le mani che si
sfioravano. Inconsapevolmente la mia si avvicinò alla sua e
le dita si strinsero insieme. Mano
nella mano.
Ci guardammo sorridendo contemporaneamente. Sorrisi innamorati.
Raggiungemmo la camera e ci sedemmo vicini, appoggiati alla testiera
del letto. Poco dopo ci raggiunse Rossella, portando da mangiare.
-Ciao Bill, ciao T..- entrò salutando, si aspettava di
trovare in gemello e invece..
-Ciao Mel- fece interrogativa, squadrandomi e soffermandosi sulla mia
figura, soprattutto sul collo. Arrossì imbarazzatissima, era
rimasto il segno dei suoi baci. La sua espressione passò da
confusa e entusiasta.
-Ehm, okay, ecco il vostro pranzo! Io vi lascio il pace, ciao ragazzi!-
disse velocemente e allegra, congedandosi poco dopo. Guardai Bill
ridacchiando, lui ricambiò.
Il pranzo passò in silenzio, fra occhiate complici
e carezze rubate.
-Quindi, cosa siamo ora?- feci io una volta terminato.
“Innamorati?”
Digitò, mentre sentì i miei occhi assumere la
forma di un cuore.
Mi mordicchiai il labbro, per trattenere il sorriso che stava
nascendo, -Già. A parte questo?-
“Tu sei mia.
Tu sei la mia ragazza.. se vuoi” scrisse con lo
sguardo basso, come timoroso.
Sentì il cuore scoppiarmi in petto, quante emozioni in un
giorno solo? Alzai la sua testa delicatamente, facendo sì
che mi guardasse negli occhi.
-Tu sei mio. Tu sei il mio ragazzo. Tu sei tutto- dissi prima
di annullare la distanza con un bacio.
...
.
“Appena
tornata in stanza, dopo aver passato una giornata con Lui.
Al diavolo l’egoismo, oggi ho scelto me. Oggi ho scelto la
mia felicità.
Oggi ho scelto l’amore. Oggi ho scelto lui.
Ho scelto di lasciar cadere ogni barriera, ho scelto di stare con quel
cantante.
Oggi ho assaporato le sue labbra. Oggi l’ho abbracciato.
Oggi l’ho accarezzato. Oggi ho passato il tempo a ridere con
lui.
Oggi ho preso una decisione che mi cambierà una vita.
Da ora si cambia. Da ora si sorride.
Da ora si ama. Da ora io risorgo.
Da ora vivo il secondo.
Da ora, grazie a lui,
tutto ha senso.
..Amore. ”
...
......
...
NdA:
Dai stavolta non sono stata neanche tanto lenta, purtroppo ho avuto una
settimana davvero pesante, ringraziamo sempre la scuola! Finalmente un
ponte! Voi fate qualcosa di bello? Almeno, avendo un po' di tempo
libero, ho trovato un momento per postare! E stasera festa! :3
Passando al capitolo, finalmente Bill e Mel si sono messi assieme,
nonostante lei tiri indietro comunque, ^___^ l'amore vince ;D
Spero vi sia piaciuto, un vostro parere è sempre ben
accetto! Grazie a chi legge e recensisce *-*
Un bacio,
unleashedliebe
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Capitolo 11 *** Capitolo XI (E) ***
....
...
CAPITOLO XI (E)
....
...
Ci sono dei momenti dove vorresti che tutto si fermi, quando
stai particolarmente bene e vuoi imprimere ogni fotogramma di ogni
istante nella tua mente. Ecco, la mattina passata con Bill rientrava in
questa categoria. Non avevo mai avuto un “ragazzo”,
una storia prima di entrare in clinica sì, ma tipica cotta
adolescenziale. Lui però era amore, qualsiasi secondo
passato in sua compagnia equivaleva a felicità.
Da quando mi ero recata in camera sua fino alle due, dopo il
pranzo, non avevamo fatto altro che parlare e scambiarci carezze. Se
fosse stato per me sarei rimasta ferma a guardarlo negli occhi, tanto
erano belli, luminosi, splendenti. M’incantavano, avevano
quel taglio particolare e allungato che li rendeva ancora
più dolci, grazie anche alle lunghe ciglia nere, ricoperte
da un leggero strano di mascara. Destabilizzante. Per quanto stessi
bene fra le sue braccia, dovevo pur assolvere i miei compiti di malata
leucemica, quali terapie e visite mediche, a malavoglia
perciò mi dovetti staccare da lui e dalla sua magnetica
perfezione.
-Bill, non guardarmi così ti prego. Credimi, se
potessi, resterei qui- dissi ammonendolo, mentre ricambiava con uno
sguardo abbattuto e gli angoli della bocca si arricciavano
all’ingiù. Scossi la testa divertita, sembrava
proprio un bambino troppo cresciuto, in quel corpo magro e lungo quasi
due metri, il tutto accompagnato da lunghi capelli neri e gioielli
più pesanti di lui. Era una superstar, fragile dentro ma
forte all’esterno, per non farsi abbattere dalle critiche che
sicuramente riceveva per il suo aspetto, proprio per la
superficialità della gente e la facilità con cui
si etichetta un soggetto; Bill era strano, anormale, io solamente una
sfortunata malata.
-Piantala! Se arrivo tardi, succedono casini e va a finire che
chiamano i miei genitori e quindi non ci potremo più vedere!
Tanto torno stasera- affermai sorridendo, nel frattempo avevo aumentato
le distanze, districandomi dal suo abbraccio e sentendomi
improvvisamente incompleta.
Arricciò il naso insoddisfatto e mi
afferrò per il braccio, lo fulminai con lo sguardo e lui
tornò a mostrare una schiera di denti bianchissimi, ne
rimasi folgorata e approfittò della mia distrazione per
alzarsi dal letto e avvicinarsi a me.
-Devo andare- sbuffai, mi osservò divertito senza
spostarsi.
-Mi metto a urlare- esclamai seccata, lui alzò un
sopracciglio scettico.
-Okay no non mi metterei a urlare, però per favore posso
andare?-
Due minuti dopo ancora non si era spostato, rimaneva
impassibile davanti a me, in tutta la sua imponente altezza e con
quell’espressione strafottente che tanto adoravo.
Stanca decisi di fare il primo passo, mi alzai sulle punte e posai le
mie labbra sulle sue. Il contatto fu minimo, solo uno sfioramento che
lo distrasse ed io ne approfittai scostandomi da lui e uscendo
così di corsa dalla porta, mostrandogli la lingua divertita,
invece la sua espressione era leggermente
scioccata.
Mi diressi velocemente in camera per indossare una tuta e poi mi
preparai all’arrivo delle infermiere con il necessario per la
chemioterapia. Tolsi la maglietta e cominciò la
somministrazione attraverso il catetere che era fisso nel mio torace da
un bel po’ ormai. La procedura era automatica, avrei potuto
sistemare tutto da sola, c’ero abituata, per fortuna non
faceva più male come all’inizio, terminata la cura
sentivo spossatezza incredibile, ora era quasi immune.
Nel frattempo giocherellavo con un lembo del lenzuolo, possibile il
cantante mi mancasse già? Dieci minuti dopo! Sbuffai
rumorosamente, scocciata. Ero diventata dipendente di una certa
superstar, dal carattere fantastico e aspetto stupefacente.
-A cosa stai pensando piccola? I tuoi occhi hanno la forma a
cuore- Rossella interruppe nei miei pensieri, portandomi fuori dal mio
stato meditativo - adorante.
-Oh, a nulla di che..- risposi evasiva, sapendo comunque non si sarebbe
accontentata, era da quando mi aveva portato il pranzo la mattina che
bramava di sapere qualcosa.
-No, nulla di che? Spiegami perché eri dal Kaulitz
stamattina, spiegami perché giravate per i corridori mano
nella mano, spiegami perché hai un succhiotto sul collo!-
buttò fuori in meno di cinque secondi, all’ultima
affermazione mi trovai stupidamente ad arrossire.
-Cosa vuoi che ti dica? Ci siamo messi insieme..- dissi piano, quasi
incredula alle mie stesse parole.
-Oddio! Lo sapevo sarebbe successo, sono troppo contenta per te, ti
meriti proprio un ragazzo come lui! Sai, ci sono milioni di ragazze che
vorrebbero essere al tuo posto, milioni di ragazze che lui potrebbe
avere, invece ha scelto te. Ti conosco da anni ormai e so che nella tua
testa frullano centinaia di paranoie beh, fattele passare,
perché sono sicuramente tutte infondate. Tu e Bill siete
belli, affini-
Sorrisi confortata dalle parole della donna, tutti mi conoscevano,
tutti conoscevano le mie paure, tutti sapevano come usare le parole e
farmi pensare che tutto sarebbe andato bene. E, per un istante, ci
credevo.
-Ormai mi leggi eh?- ridacchiai, mentre mi lasciava
un’occhiata complice. Poco dopo abbandonò la
camera e così rimasi nuovamente sola. Estrassi il cellulare
dalla borsa, me ne ero stupidamente dimenticata.
La faccia che, prima era contratta in una smorfia, si
rilassò in un’espressione dolce, vedendo il
mittente dell’unico messaggio.
“Non
dovevi andartene così! Me la pagherai Mel! ”
Digitai velocemente una risposta e neanche la sua si fece
attendere; un minuto dopo lo schermo s’illuminò.
“Si,
avevi la terapia lo so! Però dai, non dovevi abbandonarmi
così!”
Nuovamente mi ritrovai a scuotere la testa, era impossibile.
Impassibilmente fantastico però.
Passai l’ora successiva a leggere “Orgoglio e
pregiudizio”, scambiando qualche sms con il cantante, ancora
imbronciato per prima. Una volta terminata la chemio potei cambiarmi e
andare a farmi perdonare da una certa superstar.
Bussai alla sua porta e entrai, trovandolo seduto sul letto con il
computer sulle gambe.
-Hey- salutai avvicinandomi piano, non mi aveva degnato di uno
sguardo.. permaloso. Cautamente lo affiancai, sdraiandomi al suo fianco
e presi la sua testa fra le mani, dirigendo i suoi occhi dritti sui
miei.
-Scusami, non volevo ti arrabbiassi- confessai sinceramente, mentre lui
si sciolse in un sorriso dolcissimo, che provocò un
importante aumento del battito cardiaco. In seguito trovai le sue
labbra sulle mie, si dischiusero e iniziammo una danza calma, densa
d’amore. Ci staccammo causa mancanza d’ossigeno,
arricciando gli angoli della bocca insieme.
-Che stai facendo?- domandai una volta tranquillizzata, indicando lo
schermo del computer.
Aprì un nuovo file e digitò velocemente
“Mi
è venuta l’idea per una canzone, ma mi sono
già bloccato!”
-Non ti preoccupare, in fondo devi ancora terminare il tour per
l’ultimo disco, c’è tempo ancora per
pubblicarne un altro, non farti prendere dall’ansia che
peggiorerai solamente le cose- spiegai con tono rassicurante.
–Posso vedere cosa hai buttato giù per adesso?-
“No, ho
scritto solo due righe, e neanche mi convincono! Magari quando riesco a
elaborare altro (;”
-Va bene Bill, me ne ricorderò- ridacchiai. –Che
fai stasera?- domandai.
“Mi raggiunge
Tom e passerà la notte qui perché.. oddio mi sono
dimenticato di dirtelo! Sai che sono sotto cura del dottor Merken?
Ecco, questa settimana è nell’altra sede ad
Amburgo e mi ha chiesto di raggiungerlo per un controllo, quindi mio
fratello si è proposto di accompagnarmi in aereo e con la
scusa andiamo a trovare mia madre che è tornata ieri ad
Amburgo!”
La mia reazione non fu ovviamente positiva, come poteva essersene
dimenticato? Glielo chiesi.
“Ho avuto
altro nella testa per tutto il giorno, mi è proprio passato
di mente! Non è colpa mia, insomma.. tu mi hai distratto,
è grazie a te se la mia testa è fra le nuvole
sai?”
E con una risposta del genere mi fu impossibile arrabbiarmi, mi
ritrovai perciò ad annuire e mi precipitai fra le sue
braccia.
-Quindi quanto dovrò stare senza di te?- mormorai abbattuta.
“Parto
stasera, durante la mattinata ho la visita poi vado dai miei, quindi
torno per il pomeriggio successivo”
-Così tanto tempo?- il mio tono era demoralizzato.
“Scusami”
guardai il suo viso e notai che era anch’esso mogio.
-Fa niente, capisco che è per una visita. Però,
può sembrare esagerato ma.. mi mancherai da
impazzire!- mugugnai arrossendo e rifugiandomi contro il suo
petto. Mi accarezzò la schiena lentamente.
-Dovrai farti perdonare quando torni però!- esclamai
stringendolo leggermente. Si distaccò per prendere
momentaneamente il cellulare e rispondere.
“Ho
un’idea.. quando torno, potremmo uscire, dalla clinica
intendo”
Lo guardai sorpresa, era da tantissimo non uscivo se non per
altre visite specialistiche, sarebbe stato un vero appuntamento! Oddio.
-Aspetta, posso chiederti un favore?- domandai, mi era venuta
un’idea. Lui annuì.
-Posso invitare anche la mia amica Julia? È una grande fan
dei Tokio Hotel e, siccome mi sta aiutando tanto, vorrei ricambiare..
magari chiedi a Tom di uscire insieme a noi- esposi piano.
“Per me va
bene, sono sicuro mio fratello accetterà!”
-Grazie mille, sei fantastico- gli sorrisi tornando ad abbracciarlo.
-Ora devo andare, sono proprio stanca! Ci vediamo.. fra troppo tempo-
sospirai. Sollevò la mia testa e mi rivolse uno sguardo
incoraggiante, colmo di tenerezza. Lasciai un leggero bacio sulle
labbra e mi defilai in camera.
Erano appena le sei e mezza, quindi avevo un po’ di tempo
prima della cena, che impiegai facendo una bella doccia e indossando la
camicia da notte e mettendomi già sotto le coperte,
blocchetto in mano.
“A
volte capita che il cervello si disconnetta.
T’incanti a guardare un punto indefinito, senza
logica. Bocca socchiusa e corpo fermo.
In quell’istante sei in balia di un punto scelto a caso,
poi però ti riscuoti e muovi la testa
per uscire da quello stato inattivo.
Ecco. In questo momento mi sento esattamente così,
in balia di un punto, e quel punto è lui, Bill.
Stare con lui è come entrare in una nuova dimensione,
nella mia dimensione, la nostra. La mia casa (?)
Potrei scrivere pagine su ciò che mi fa provare,
su come mi tremino le gambe vedendolo, su come
il suo sorriso m’illumini, ogni gesto che fa è
magia per me.
Ma no, non elencherò una lista di cose.
Dico solo che, quando sto con lui,
esco dallo stato d’apnea che si crea attorno a me
quando sono sola e torno a respirare.
Respiro amore”
Scrissi a testa china tutto velocemente, per non perdere i
pensieri che scorrevano nella mia mente, tanto erano ingarbugliati e
disconnessi fra loro, illogici. Mollai la penna per cenare ma la
ripresi subito dopo, per aggiungere l’ultima frase.
“E
l’amore si propaga per tutte le cellule del mio corpo,
curando le ferite di tanti anni di solitudine.
Lo amo”
Mi ero incantata osservando le ultime due parole, era
incredibile cose fosse riuscito a farsi amare in così poco
tempo, solo una persona come Bill Kaulitz poteva riuscire in
un’impresa del genere. Unico, perfetto.
Sapevo che anche lui probabilmente mi amava, la paura era che
il sentimento fosse confuso per amore, mentre era infatuazione,
poiché ero l’unica ragazza con cui riuscisse a
passare del tempo senza essere assalito. Inoltre non sarei riuscita a
confessare i miei sentimenti, in quanto la nostra
“relazione” sarebbe passata a un piano troppo
elevato, importante, reale! Soprattutto sapendo ci saremmo lasciati..
inevitabilmente.
Avevo smesso di scrivere da mezz’ora circa, e
ascoltavo canzoni a caso dal mio ipod, annoiata. D’un tratto
la porta s’aprì e fece la sua entrata niente di
meno che il cantante, che mi raggiunse lentamente, nel caso mi fossi
addormentata.
-Bill, che ci fai qui?- domandai imbarazzata, il mio aspetto
non era dei migliori, considerando soprattutto la camicia leggera da
notte, anche corta. Dettaglio che non passò inosservato e
portò a un’occhiata maliziosa rivolta verso le mie
gambe lunghe e magre, arrossì subito.
“Vado in
aeroporto, volevo passare a salutarti”
mostrò scritto sul telefono.
-Oh- scesi subito dal letto e mi fiondai tra le sue esili braccia che
m’avvolsero prontamente.
Le sue labbra si fecero dolcemente spazio sul mio collo per poi
raggiungere le mie, subito dischiuse per assaporare meglio quel
momento. Lo avvicinai a me, mettendo le mie braccia attorno al suo
collo.
Durante quel bacio non mi sentì in paradiso, no. Qualcosa di
molto meglio.
Ovviamente arrivò l’altro gemello a rovinare
tutto, con la sua grazia da elefante irruppe nella camera ed
esordì con un verso schifato di fronte alla visione di me e
il mio ragazzo intenti a baciarci.
-Bill per favore, dobbiamo andare! Hai tempo per queste cose quando
torniamo!- il fratello lo fulminò con lo sguardo, mai come
in quel momento il chitarrista fu felice del mutismo
dell’altro, si capiva dal sorrisetto strafottente.
-Tom, perché devi sempre rompere le scatole?- sbuffai
contrariata.
-Perché sono nato per questo piccola Mel!-
ammiccò verso di me e lo guardai parecchio stranita.
-Okay, lasciamo perdere. Ho capito, non hai senso
dell’umorismo! Sei perfetta per stare con il mio fratellino
quindi-
Fu il mio turno di alzare il sopracciglio, presi velocemente
un cuscino che giaceva sulla sedia e glielo lanciai in faccia,
cogliendolo di sorpresa. Guardai il moro e scoppiammo a ridere
contemporaneamente, effetto dovuto alla faccia del rasta, aveva gli
occhi spalancati e si massaggiava la guancia colpita dal guanciale.
-Che cazzo ridete? Ma sei scema?- borbottò incavolato.
-Cosa c’è Tom? Non hai senso
dell’umorismo?- civettai usando il suo stesso tono.
-Lasciamo perdere, e ora tu, individuo con il mio stesso carattere
genetico, dobbiamo andare altrimenti perdiamo l’aereo e ti
toccherà stare per più tempo lontano dalla tua
metà bacata qui-
Lasciai un altro bacio a Bill, già depressa per il distacco.
-Mi mancherai- gli sussurrai a un orecchio.
-Tom, non mi mancherai. Magari rimani per un po’ ad Amburgo-
-No cara Mel, torno solo per rompere a te, adoro quando
t’incavoli, sei comica-
-Vai a quel paese- sorrisi melliflua tirandogli una leggera spallata,
spingendolo fuori dalla porta.
Buttai un’occhiata malinconica a Bill, che
ricambiò pienamente.
-Dai ragazzi, due giorni massimo e vi vedrete! Che sono questi
melodrammi? Neanche stesse partendo per la guerra! Allegria, pace e
amore!- esclamò sbrigativo Tom, trascinandosi via il
fratello.
Ecco, esattamente cinque minuti dopo essermi ritrovata sola –
ancora – avvertì già la sua mancanza,
nonostante ci stessi anche messaggiando; il fatto era che, prima sapevo
era qualche piano sotto di me,ora invece stava salendo in un aereo per
andare lontano. Ero già nella buona via per la
depressione quando nella mia stanza irruppe Julia, tutta energetica ed
euforica.
-Buonasera Mel!- sorrise sedendosi tranquillamente affianco a
me.
-Ciao..?- mormorai stranita di vederla a quell’ora.
-Scusa, ho sentito Bill è partito per una visita
specialistica, così ho pensato ti stessi deprimendo e per
evitarlo ho deciso di auto-invitarmi qua per la serata. Non ti da
fastidio vero?- fece un sorriso talmente sincero che la risposta fu
negativa, era una cara ragazza, veramente.
-Allora, com’è stare con Bill Kaulitz?-
domandò poco dopo.
-Stiamo insieme da pochissimo, cosa vuoi che ti dica? Per me
è bellissimo, ogni istante con lui è bellissimo-
-Hai gli occhi che brillano- costatò, facendomi arrossire.
-Lo so, è l’effetto che ha su di me-
-Sei più luminosa anche tu, ti rendi conto? Anni che sei qui
e rinasci grazie a una persona, al diavolo tutte le medicine. Bill
è la cura migliore, mi sbaglio?- domandò
retoricamente.
-Hai completamente ragione. È fantastico lui- il mio tono
era sognante.
-Quanto vorrei conoscerlo.. e conoscere anche Tom- il suo tono divenne
simile al mio. Sorrisi, ricordandomi ciò che
m’aveva confermato il mio ragazzo poco prima.
-Senti, io ho una “sorpresa” per te e spero ti
possa essere gradita.. quando tornano i ragazzi da Amburgo, verresti a
un appuntamento a quattro fuori dalla clinica? Io, te, Bill e Tom-
affermai guardando la sua reazione, subito sgranò gli occhi,
incredula e felice.
-Dici davvero?- aveva la bocca spalancata.
-Si, seriamente. Tu stai facendo tanto per me, e non sapevo come
ricambiare, mi è venuto in mente questo-
-Io accetto molto più che volentieri! Insomma.. oddio!
Potrò incontrare metà dei Tokio Hotel, ti rendi
conto che è una delle cose più belle che mi sono
successe in.. una vita? Grazie!- esclamò abbracciandomi.
-Non ringraziarmi! Tu sei da ringraziare, sei una sorta di
‘coscienza’, sai aprirmi gli occhi!- sorrisi.
-Basta, ringraziamoci e siamo a posto! Che ne dici di dormire ora?
Fammi un po’ di spazio, tanto siamo magre!- ridacchiammo,
-dai sto morendo di sonno, buonanotte Mel!-
-Buonanotte Ju!- dissi già stanca. Vibrò il
telefono nascosto sotto il cuscino, e anche quella sera mi addormentai
col sorriso, riconoscendo una frase di una canzone che
m’aveva dedicato poche settimane prima.
“Buonanotte
piccola Mel, sogni d’oro.
Mi manchi già.
Sei Sacra”
....
...
* * *
*
....
...
NdA:
Eccomi qua con il nuovo capitolo! ^___^
Non succede nulla di eclatante; l'ho incentrato su Mel.. spero vi sia
piaciuto, è leggermente più introspettivo degli
altri :)
Piccola anticipazione, il prossimo che posterò
sarà quasi interamente dal punto di vista di Bill
. .
A presto! Spero in qualche recensione ;3 leggere quello che pensate mi
fa sempre piacere!
Unleashedliebe
|
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Capitolo 12 *** Capitolo XII (C) ***
CAPITOLO
XIII (C)
Pov
Bill
....
...
Finì
di sistemare la valigia per il breve soggiorno ad Amburgo e fui
raggiunto da mio fratello.
-Andiamo?-
domandò sbrigativo, sapevo una volta finita la terapia avrei
dovuto ripagare tutto quello che stava facendo per me, non mi lasciava
un secondo.
Al mio
fianco, sempre.
Tom
poteva apparire duro, perché era un indubbio playboy,
sembrava senza cuore, sbruffone. E lo era, inutile nasconderlo, ma
oltre a questo c’era di più, tanto. Avrebbe potuto
approfittare della mia permanenza alla clinica per prendersi una pausa,
non gliel’avrei negato; invece scelse di stare con me,
sopportando le mie crisi depressive e i miei numerosi lamenti.
Tom era dolce, questo suo lato lo faceva trasparire molto lentamente e
con pochissime persone, ossia la band e la nostra famiglia. Era restio
a coccole o dimostrazioni d’affetto, ma era stato il primo ad
abbracciarmi una volta uscito piangente dal palco, senza voce.
Era la mia coscienza, tutto
ciò che ero io e tutto quello che scorreva nelle mie vene.
Continuava
a fissarmi in attesa di un mio cenno, presi il cellulare e affermai di
voler andare da Mel prima.
-Oddio, ti ha proprio bruciato il cervello eh? Donne!-
commentò ridacchiando.
“Idiota! Mi ha
preso il cuore, altro che bruciato il cervello”
digitai io, sorridendo dolce.
-Niente da fare, ormai ti ho perso! Dai su sbrighiamoci, non vuoi
perdere l’aereo vero?-
Negai e, dopo aver preso la valigia, mi diressi verso la camera della
mia ragazza; bussai e, senza attendere risposta, entrai. La vidi
lì, seduta sul letto con lo sguardo leggermente perso. Si
illuminò vedendomi, e il suo viso si colorò di un
tenerissimo rosa, imbarazzata probabilmente
dall’abbigliamento: indossava una camicia da notte che
metteva in evidenza le sue lunghe e gambe magre, apprezzate logicamente
da me.
-Bill,
che ci fai qui?- il tono era tra lo stupito e l’imbarazzato.
“Vado in
aeroporto, volevo passare a salutarti” scrissi e
mostrai la mia risposta. Arricciò gli angoli in della bocca
all’insù e soffiò un oh sorpreso,
scendendo dal materasso e posizionandosi fra le mie braccia. Alzai lo
sguardo sul suo, vidi i suoi occhi azzurri brillare. Ricordo che, il
giorno in cui la incontrai, erano spenti, malinconici. Ora invece,
grazie a me, splendevano di emozioni nuove. L’avvolsi con le
braccia e sentì le sue labbra poggiarsi leggere sul mio
collo, facendomi rabbrividire. Erano sensazioni nuove anche per me, ero
già stato innamorato in passato, ma da quando avevo
incontrato Mel, le vecchie storie mi sembravano banali, vuote.
Ciò che provavo verso Mel era forte, vero, puro.
Era amore.
Ricambiava,
ne ero certo; come ero certo di tutte le sue paure e della sua
confusione. Il suo problema era che pensava troppo agli altri, si
comportava così affinché nessuno si sentisse
ferito a causa di un suo atteggiamento, metteva sempre le mani davanti.
Aveva la leucemia, lo sapevo, non mi interessava. Volevo vivere ogni
momento con lei al meglio, sapevo si era già prefissata il
percorso della nostra storia, sapevo l’avrebbe fatta finire,
cercavo di pensarci il meno possibile, nutrivo la speranza di farle
cambiare idea. Doveva cambiarla, perché non
l’avrei abbandonata facilmente, no.
Il mio flusso di pensieri fu interrotto dalle sue labbra che andarono a
posarsi sulle mie, coinvolte in un bacio passionale, dolce e lento.
Riuscivo a sentire i battiti irregolari del suo cuore, che spingeva
addosso al mio petto. La sentivo fremere, la sentivo tremare.
-Bill
per favore, dobbiamo andare! Hai tempo per queste cose quando
torniamo!- a interromperci arrivò il mio caro fratello, che
si guadagnò un’occhiataccia per
quell’uscita.
-Tom, perché devi sempre rompere le scatole?-
sbuffò la mia ragazza seccata, staccandosi leggermente da
me. Seguì un battibecco fra i due, che culminò
con un cuscino in faccia del rasta, tra le mie risate e quelle di Mel.
Purtroppo però aveva ragione, dovevamo andare. Dispiaciuta
mi lasciò un altro bacio, sussurrando che le sarei mancato.
Avrei voluto rispondere “tu
di più”, le parole però
non potevano uscire, maledetta gola. Mi limitava troppo, non potevo
sussurrarle ciò che avrei voluto, tutte le parole dolci che
si meritava.
La strinsi leggermente prima di uscire dalla stanza, osservando il suo
sguardo già triste.
Sospirai, si era impossessata del mio cuore. Lei e le sue mille
insicurezze, lei e le sue mille paranoie, lei e i suoi sorrisi, lei e
la leggerezza con cui affrontava la sua malattia, lei che ascoltava
musica classica e non i Tokio Hotel.
Lei,
semplicemente lei, Liebe.
Lo
dicevano tutti, io ero Bill Kaulitz: avrei potuto avere qualsiasi
ragazza, sarebbe bastata un’occhiata per far cadere ai miei
piedi una fan, ma non era quello che volevo. Mi definivano tutti
anormale, in fondo era vero: a diciotto anni un adolescente dovrebbe
andare a scuola, studiare, uscire con gli amici e divertirsi con tante
ragazze diverse. Io preferivo la musica, l’adrenalina che
solo un concerto mi dava, passavo tutto il tempo con la mia band e
ciò mi bastava, inutile circondarsi di persone che volevano
conoscerti per la tua fame. Sognavo l’amore io, non sesso.
Volevo una persona che amasse me e non il mio personaggio, con cui
poter parlare senza svenimenti o urla.
Mel
era tutto questo. Mel era tutto.
-Fratellino,
non riesci a smettere di pensare a lei un secondo eh?-
esordì Tom ironico. Lo guardai interrogativo.
-Ti conosco da.. tanto: hai gli occhi che ti luccicano e ti succede
quando i tuoi pensieri ruotano attorno a una certa tedesca dagli occhi
azzurri- si spiegò con tono affettuoso, facendomi sorridere.
Mi conosceva, già.
Scosse la testa divertito, mentre montavamo in macchina per raggiungere
l’aeroporto. Il viaggio per arrivare ad Amburgo sarebbe stato
breve, anche perché l’avremmo raggiunto con
l’aereo privato. Il mio pensiero vagò subito su
Mel, già la immaginavo giù di morale,
perciò le scrissi un messaggio;
“Buonanotte
piccola Mel, sogni d’oro.
Mi manchi già.
Sei Sacra”
Ormai
avevo associato la canzone “Heilig” a lei, sapevo
avrebbe colto l’allusione a quando le avevo detto poche righe
del testo tempo prima.
-Togliti quel sorriso ebete dalla faccia, sei fastidioso-
esclamò il mio gemello, una volta seduti e in volo.
“Smettila, sei
solo invidioso! Perché tu sei ancora triste e solo!”
scrissi.
-Triste e solo? Ti sembro triste e solo?- alzò un
sopracciglio scettico, -Preferisco godermi la vita io,
c’è tempo per accasarsi, sto bene così-
sorrise maliziosamente, fu il mio turno di scuotere la testa.
Eravamo opposti in questo aspetto, lui non cercava l’amore,
io sì. Una delle mie paure più grande
era rimanere solo, nonostante sapevo fosse impossibile, avrei
sempre avuto qualcuno al mio fianco, lui, Tom.
Il forte legame “gemellare” non era
un’invenzione pubblicitaria come molti sostenevano, era vero.
Come le storie della nostra infanzia, delle prese in giro per via del
mio look e le botte prese per questo, e le volte in cui il rasta
interveniva per proteggermi, picchiando a sua volta. Sempre
inseparabili, la gente faceva fatica a riconoscerci, tanto eravamo
uguali. Poi sono cominciati i cambiamenti, io verso il trucco e lo
stile “androgino” e lui verso stile
“rapper”.
Dentro però sempre noi, quei due scapestrati costretti a
frequentare classi diverse perché assieme facevano troppa
confusione, quelli a cui non servivano parole per comunicare. Uno
sguardo diceva tutto.
Guardavo
distrattamente giù dal finestrino, tutte le luci e i
movimenti della città notturna, chissà quando
sarei tornato a vivere la vita di prima.. le terapie andavano bene,
tutto procedeva senza complicazioni, ciò significava la mia
voce sarebbe tornata quella di una volta. Il mio sogno sarebbe
continuato, avrei solcato ancora palchi di tutta Europa e,
chissà.. un giorno magari avrei alloggiato con i ragazzi di
un hotel a Tokyo. Chissà..
Per
quanto eccitante fosse questa prospettiva, ora c’era un
aspetto che mi inquietava, Mel: ero consapevole non avrebbe accettato
di vivere il mio sogno con me, non avrebbe accettato che io viaggiassi
per il mondo con il pensiero rivolto a lei, rinchiusa il quella clinica.
Scossi la testa, inutile farsi problemi prima del tempo, ci avrei
pensato poi.
....
...
*
* *
....
...
-Signori
Kaulitz, siete arrivati. La vostra guardia del corpo vi attende il
pista- annunciò l’hostess.
Annuimmo contemporaneamente, stiracchiandoci e portandoci
giù con le valigie. Salutai il federe Saki, pronto ad
attenderci e trasportarci a casa Trümper. In poco tempo
arrivammo e fummo accolti da nostra madre e Gordon, felici di vederci.
Simone si rivelò apprensiva come sempre, riempiendoci di
domande, quel periodo non era facile neanche per lei.
-Ragazzi, le vostre camere sono pronte. Restate solo due notti giusto?-
domandò la mamma.
-Si, perché tuo figlio non riesce a stare troppo lontano
d..- tirai una gomitata sul suo fianco, interrompendolo prima che
dicesse qualcosa di troppo compromettente, anche se era troppo tardi:
lo sguardo della donna si era già fatto attento e curioso,
chiedeva spiegazioni.
-Ah, Bill si è innamorato- esclamò, spalancai gli
occhi: cretino, non poteva farsi i fatti suoi?
-Cosa? E perché non ci hai detto nulla?- domandò
inquisitoria, scossi le spalle.
“Niente
domande, sono stanco. Neanche domani mattina, perché ho la
visita. Ah, neanche il pomeriggio, perché vado a casa di
Andreas, quanto mi dispiace! Notte Mutti” la
vidi leggere il messaggio insoddisfatta, non le diedi tempo di
replicare e filai in camera mia, rimasta immutata: nonostante il
trasferimento da Magdeburgo, avevo riportato tutte le cose come nella
vecchia camera. C’erano i poster di Nena e dei Placebo appesi
alla parete, il copriletto nero, tutti i trucchi sulla scrivania, fogli
sparsi dappertutto. Serviva per farmi mantenere i piedi per
terra, ricordarmi che, nonostante capitava di dormire in suite
elegantissime, ero pur sempre un adolescente disordinato. Sorrisi
leggendo le bozze di vecchie canzoni sull’album aperto sopra
la scrivania. Misi velocemente il pigiama, stendendomi a letto e
addormentandomi velocemente, mi aspettava una mattinata intensa.
....
...
*
* *
....
...
-Smettila
di muoverti così Bill, mi fai agitare!- borbottò
Tom, un’ora prima eravamo arrivati nello studio medico del
dottor Merken, il quale aveva terminato il controllo e doveva dare i
risultati da un momento all’altro.
Inutile dire quanto fossi in ansia: quando potevo tornare a parlare?
Teoricamente i giorni “silenziosi” si erano
conclusi, non ce la facevo più a tacere, soprattutto
poiché ero un logorroico nato.
Paura, terrore, panico.
-Okay
ho capito, non la pianti- sbuffò arrendendosi.
Continuai a picchiettare il dito nervosamente sulla sedia,
finché il dottore non arrivò con i risultati.
-Allora Bill, ho qua i risultati degli esami- alzai gli occhi al cielo,
lo sapevo, volevo altre risposte!
-Oh scusa, immagino voglia che passi subito al dunque, beh..
è tutto perfetto! La sua gola è tornata come
prima, non dovreste avere difficoltà a parlare-
Spalancai la bocca stupito, stessa reazione ebbe mio fratello.
-Vuol dire che, può tornare a parlare? Così,
semplicemente?- domandò leggendomi nel pensiero.
-Sì, ovviamente deve limitarsi, perché
è ancora tutto da tenere sotto controllo, ma sostanzialmente
può tornare a parlare come prima. Per quanto riguarda il
canto invece, il discorso è un po’ più
complicato, la riabilitazione sarà più lunga
soprattutto perché deve prestare attenzione a come usa la
voce, basteranno tre settimane e potrà tornare a la
superstar di prima- concluse il dottore sorridendo.
Ero.. al settimo cielo. Sentivo che tutto stava tornando a posto, ce la
potevo fare.
Rimasi in silenzio, temevo di parlare, temevo cambiamenti, anche se mi
era stato assicurato non ce ne sarebbero stati.
Deglutì e, dopo troppo
tempo, udì la mia voce.
-Tomi..- soffiai piano, voltandomi verso il mio gemello che mi guardava
con sguardo dolce e felice.
-Grazie dottore- dissi poi rivolto a lui, mi sembrava così
strano l’effetto del mio chiacchiericcio, me n’ero
quasi disabituato. La voce era roca, tentennante.. ma c’era.
-Di niente, è il mio lavoro. Ora spedirò tutte le
documentazioni alla clinica di Colonia, potete andare-
Ci
congedammo e, una volta fuori, espirai rumorosamente, mi sentivo
leggero.
-Oddio, non ci credo- dissi entusiasta, abbracciando istintivamente mio
fratello, che ricambiò la stretta sorridendo.
-Te l’avevo promesso, vedi? È andato tutto bene!
Così dovrò tornare a sopportare Bill in versione
logorroica!-
-Piantala! Ammetti ti sono mancato!- si grattò
l’orecchio, e annuì imbarazzato, distaccandosi
dall’abbraccio.
-Grazie Tomi, so che.. sono stato un peso ultimamente- affermai, mentre
mi guardava interrogativo, -Sono stato terribilmente rompi scatole, e
volevo solamente ringraziarti per essermi stavo vicino ancora una
volta-
Mi
prese la mano, guardandomi dritto negli occhi.
-Tu
sei mio fratello, non pensare neanche a ringraziarmi. Avresti fatto lo
stesso- affermò con tono dolce, non potei che annuire.
-E ora basta, altrimenti piangi e ti si scioglie il trucco!-
affermò ridendo, lo seguì a ruota.
-Dai andiamo, Andreas ci sta aspettando- sorrisi io.
Andreas
era l’unico amico che avevo al di fuori della band, fin dai
tempi del ginnasio. Aveva accettato la mia
“stranezza” e era rimasto affianco a Tom e me anche
dopo il successo dei Tokio Hotel, nonostante la fama i rapporti non si
erano allentati, riuscivamo a vederci spesso anche perché,
anche lui, era in viaggio grazie alla sua carriera da modello.
Raggiungemmo la sua casa in poco tempo, e già lo trovammo
sulla porta ad accoglierci.
-Salve forestieri! Come va?- esclamò salutando e invitandoci
ad entrare.
-Bene!- risposi io, lui davanti a me si blocca e inevitabilmente gli
sbattei contro, facendolo cadere.
-Ma che cavolo, Andi sta attento!- affermai aiutandolo a tirarsi su.
Nel
frattempo continuava a guardarmi sorpreso.
-Aspetta,
mi devo essere perso qualcosa. Ma tu, sbaglio o eri muto?- mi
fissò sospettoso, facendo scoppiare a ridere Tom.
-Hai presente la visita di stamani? Ecco, posso parlare, senti? Sto
parlando!- risposi con tono ovvio.
-Quanto mi era mancato il tuo umorismo caro cantante da strapazzo!-
-Lo so, lo so! Scommetto che hai passato tutto questo tempo a ascoltare
nostri cd perché il suo della mia voce ti mancava troppo!-
ridacchiammo.
-Beh ragazzi, ora ci sediamo, prendo le birre e ci aggiorniamo!-
sparì in cucina e tornò poco dopo con in mano due
lattine di birra, era quello lo stile delle nostre riunioni.
-Allora, novità? Un uccellino con i rasta mi ha detto che
qualcuno si è innamorato..- ammiccò verso di me.
-Si ho la ragazza, è Mel- sbuffai non volendo subire un
interrogatorio.
-Quella Mel, quella di cui mi hai scritto trentamila volte?-
annuì.
-Mh.. sono felice per te, da come me l’hai descritta non
posso che esserlo!- sorrise, insieme a Tom.
-Beh, tu invece che ci racconti? Qualche aneddoto divertente di qualche
sfilata?
Annuì pensieroso, pronto ad aggiornarci con qualche chicca.
Passammo
tre ore in questo modo, a rivangare i vecchi tempi e a ridere per delle
cretinate, ci voleva una serata del genere.
Per fortuna quando tornai a casa i nostri genitori erano già
andati a letto, così che non subì un altro
interrogatorio da parte di mia madre, quando voleva sapere qualcosa era
terribilmente insistente e cocciuta, avevo preso da lei.
Anche la mattina lo stesso, più che altro fu talmente felice
di sentirmi parlare che momentaneamente si dimenticò di
ciò. Con mio immenso dispiacere.
-Non ridere, tanto mamma se ne ricorderà e ti
riempirà di chiamate dopo, è capace di
raggiungerci in Colonia- disse mio fratello una volta saliti
nell’aereo.
-Piantala! Sai quanto sa essere asfissiante la mamma quando si mette
d’impegno!-
Scoppiò
a ridere, avevamo avuto entrambi brutte esperienze a causa
dell’essere impicciona di Simone.
-Passando
alle cose serie- ammiccò verso di me, -Cosa farai come Mel?-
Immediatamente nacque un sorriso sul mio viso. –Non so.. le
ho detto saremo usciti per le quattro, ho pensato di andare in camera
sua e farle una sorpresa prima.-
-Okay, che tipo di sorpresa?- domandò maliziosamente.
-Niente di quello che pensi tu!- sbuffai.
-Mh, tanto un giorno succederà..- commentò
allusivo, -Va bene ho capito. Ma almeno dimmi, la sua amica
è bella? Non ho voglia di partecipare a un’uscita
a quattro con una cozza!-
-E’ una bella ragazza, sempre il solito superficiale sei!- mi
lamentai.
-Lasciamo perdere, lasciamo in pace così mi riposo e poi
sono bello e pronto a sopportare l’appuntamento-
Non risposi neanche, gli lasciai un’occhiata scettica mentre
si infilava le cuffiette e si sparava Samy Deluxe al massimo.
Io
invece mi lasciai andare ai miei pensieri. Non vedevo l’ora
di rivedere la mia Mel, le avevo comprato anche un regalo da Amburgo.
Inoltre finalmente potevo evitare di comunicare tramite carta e penna,
non mi piaceva un gran che! Mi vibrò il telefono e fui
felice di scoprire che, anche lei, mi stava pensando.
“Mi
manchi Bill! E non ci siamo visti per solo un giorno. È
grave non trovi?”
Grave,
già molto grave. Per fortuna ci saremo visti lì a
poco.
“Sì.
Mi manchi anche tu piccola. Dai, fra poco ci vediamo (:
Ho una sorpresa per te.”
“Sorpresa?
Che sorpresa?”
“Vedrai..
‘vedrai’.”
....
Riposi
il cellulare in tasca, e finalmente alle tre ritornai in clinica
insieme a Tom.
Lui si diresse in camera mia, mentre io le scrissi un altro messaggio,
chiedendo cosa stesse facendo, rispose era in stanza. Percorsi il
corridoio e mi fermai davanti alla sua porta, telefonandole. Sapevo
aveva il brutto vizio di non vedere mai il mittente e rispondere
subito, così c’era l’effetto sorpresa.
-Pronto?- non risposi, aspettai allontanasse il cellulare per vedere il
mittente della chiamata.
-Bill?- domandò con tono sospettoso.
-Si, sono qui- risposi dolcemente. Sentì solo la chiamata
chiudersi e un rumore di passi provenire dall’interno, mi
allontanai un attimo dalla porta, in tempo per non prenderla in faccia
visto che un secondo dopo Mel era uscita correndo, finendomi addosso.
Finì con la schiena attaccata al muro e con Mel appoggiatami
sopra, che mi fissava stralunata, felice, sorpresa e.. tenera.
Non le lasciai dire niente, mi impossessai delle sue labbra prima che
potesse far uscire una singola sillaba.
-Mi sei mancata- sussurrai soffiandole sulla fronte. Aveva le guance
arrossate e un sorriso splendente.
Era semplicemente bellissima.
-Tu..- iniziò, la bloccai nuovamente.
-Sssh- tornai a baciarla, abbracciandola stretta.
In quel momento, lì
con lei, mi sentì a casa.
...
......
..* * *.
...
...
...
NdA:
Okay, non ho dato segni di vita per tre settimane, ma ora sono qua.
Non sono sparita, sono piena di verifiche, sono una studente-tutor e
per questo motivo a volte rimango a scuola il pomeriggio,
così il tempo per stare al computer diminuisce
drasticamente. Non smetterò di postare questa storia, ci
tengo troppo! Dicembre è un mese davvero impegnativo D:
Spero di uscirne viva! E spero non vi siate dimenticate di questa
fanfiction, nonostante i miei infiniti ritardi!
Ich bin da, lol.
Ora, passando al capitolo, ecco l'atteso pov di Bill :3
La visita è andata bene, ha passato un po' di tempo con la
sua famiglia, è tornata la sua voce, e ora?
....Chissà :3
Ora rispondo alle vostre recensioni (grazie mille a tutte!) e scappo a
studiare inglese (help me!)
Datemi un segno di vita ragazze c.c
Un bacione!
Unleashedliebe
|
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Capitolo 13 *** Capitolo XIII (H) ***
NdA:
Sono sparita, di nuovo, lo so. Questo mese è stato davvero
difficile e infinito, ho avuto delle settimane pienissime, con
verifiche tutti i giorni.
Mi scuso per non aver postato, ma studiando tutto il pomeriggio
arrivavo la sera esausta e non ho trovavo il tempo da passare al
computer.
Adesso ci sono le vacanze! Mi servivano proprio, davvero!
Cercherò di tornare a postare regolarmente, farò
il possibile :)
Spero non abbandoniate la lettura di questa storia, nonostante i miei
ritardi D: fatemi sapere quello che pensate!
Colgo l'occasione per farvi gli auguri di Natale, a voi e alle vostre
famiglie!
Nel caso non postassi entro il 31, anche auguri di buon anno!
Vi voglio bene ragazze.
Unleashedliebe
Capitolo XIII (H)
Non vedevo Bill da solamente ventiquattro ore e
già mi mancava, era capitato di non incontrarci per una
giornata, ma sapevo fosse a pochi passi da me, mentre ora si trovava ad
Amburgo per un’importante visita medica, ed ero terribilmente
in ansia per il risultato, sapevo aveva già fatto il
controllo ma non sapevo ancora nulla, mi aveva inviato un laconico
messaggio dicendo non c’erano complicazioni, ero contenta
però.. volevo sapere altro, temevo mi nascondesse qualcosa.
Mentre lui era via, avevo trascorso la mattinata facendo lezione di
tedesco e storia – ultimamente per problemi vari avevo
leggermente allentato il mio “rapporto” con lo
studio – il pomeriggio invece avevo avuto la chemioterapia e
la sera mi ero trovata ancora con Julia, fremeva
d’agitazione: non vedeva l’ora di trascorrere del
tempo con metà Tokio Hotel.
-Non ci posso credere, domani pomeriggio
uscirò con te e i Kaulitz!- esclamò con aria
sognante, facendomi ridacchiare.
-Credici, guarda che sono persone normalissime-
scossi le spalle, non avevo mai avuto un idolo o un gruppo preferito,
per questo probabilmente non riuscivo a capire tutta la sua agitazione,
né il tono carico d’affetto che utilizzava quando
si riferiva ai Tokio Hotel.
-Non sono persone normalissime per me, no.
Insomma.. è difficile da spiegare, mi sento legata a quei
quattro ragazzi, nonostante non li abbia mai visti di persona. La loro
musica mi ha salvata la vita più di una volta- i suoi occhi
si fecero più cupi e lontani, come se stesse ricordando
qualcosa di doloroso. –C’è una canzone-
continuò, -è una delle più belle che
abbia mai sentito, ti consiglio vivamente di ascoltarla appena ti
sarà possibile; si chiama “Spring nicht”
– non saltare. Quando ero malata vivevo solo per vedermi
sempre più magra, ogni giorno con qualche etto in
meno. Ogni settimana scomparivo di fronte allo specchio, la mia figura
si faceva più opaca e apatica. Sono arrivata anche al punto
di pensare al suicidio, successe quando ormai ero talmente magra che
non avevo più chili da perdere, ma volevo sempre di
più.. di più. Poi arrivò il loro cd,
un pomeriggio lo misi nella radio e sentì per la prima volta
quella melodia che mi permise di non mollare- prese fiato, sospirando, -Io grido nella notte per te, non
abbandonarmi, non saltare. Questo diceva, in quel momento
sembrava fosse un messaggio mandato apposta per me. Capisci
perché, quando parlo di loro, sembra si tratti di miei
amici? Ci sono stati quando nessuno badava a quello che mi stava
succedendo, con la loro musica mi hanno sempre tirata su, è
difficile da spiegare, potrà sembrarti una pazzia, ma
è così- sorrise, -Sono sicura riuscirai a capirmi
non appena sentirai una canzone dei Tokio Hotel, e beh.. sappi che il
prossimo concerto lo affrontiamo insieme, me lo prometti?-
Ero leggermente sorpresa e stordita da quel fiume
di parole, così mossi la testa annuendo quasi senza
rendermene conto.
-Che bello! Ho sempre voluto andare a un loro
concerto, ma nessuno veniva con me, così ho sempre
rinunciato- disse malinconica. Mi accorsi troppo tardi a che cosa avevo
accettato, ma vederla così entusiasta grazie alla mia
risposta definitiva mi vietò di ritrattare ciò
appena promesso.
-Allora sono contenta di renderti così
felice- le sorrisi.
-Abbraccio?- ricambiò con un sorriso
ancora maggiore, ridacchiai e l’abbracciai.
-Come stiamo diventando sentimentali, non trovi?-
feci un poco imbarazzata, non ero una persona affettuosa.
-Oh, è merito della mia storia
drammatica, ti ho sciolto il cuore!- sdrammatizzò.
-Piantala! Vuoi mettere la mia di storia?- la
ripresi, mi guardò con un accenno di sfida.
-Oh dai, sono in clinica da quasi quattro anni, tu
dall’anoressia puoi guarire, dalla leucemia invece
è un po’ più complicato, sai? Per un
periodo mi sono anche illusa tutto stesse andando per il meglio, la
terapia sembrava funzionare, poi ho avuto una ricaduta e sono quasi
morta, e ciò è successo un altro paio di volte.
Poi, fammi pensare!- erano successe tante cose negative, quasi non
ricordavo. –Ah, ho rotto tutti i rapporti con i miei amici e
anche quelli con i miei genitori si sono allentati, è
pesante avere una figlia come me, capita di pensare sarebbe meglio
morissi, tuttavia non ho mai pensato a farla finita, non che valga la
pena vivere una vita così, ma manco di coraggio per compiere
un gesto del genere. Vuoi la ciliegina sulla torta?- annuì
circospetta, -Mi sono innamorata in meno di un mese di un ragazzo, ma
non uno qualunque, niente di meno che Bill Kaulitz, il cantante della
famosissima band dei Tokio Hotel. Ecco, mi ha preso il cuore e fra poco
me lo ritroverò a pezzi, perché lui
tornerà alla sua vita e io lo lascerò. Non
guardarmi così- la ammonì vedendo quello sguardo
severo che assumeva durante quei discorsi. –Insomma,
è meglio per tutti, punto! Se fossi in me, faresti lo
stesso, non negare- Tentennò, poi annuì
lentamente. –Ecco, vedi? Quando ami una persona vuoi il
meglio, e il meglio per lui non sono io. Quindi mi metterò
da parte, anche se sono consapevole di tutta la sofferenza
proverò. Sono abituata! E poi posso sempre appendere la sua
immagine in camera, no?- conclusi con tono menefreghista e allegro, per
togliere la tensione che si era creata.
-Tu.. o lasciamo perdere! Piuttosto, cambiando
argomento- sorrise maliziosa, spaventandomi. –Già
deciso cosa metterti domani per l’appuntamento?-
ammiccò.
-Oddio! Un solito banalissimo paio di jeans e una
maglietta, cosa dovrei mettere? Insomma, non è
un’uscita galante!- mi difesi io.
-Cosa? È il vostro primo appuntamento,
non puoi vestirti così!- affermò scandalizzata.
-Non è un vero e proprio appuntamento,
è un’uscita a quattro!- balbettai.
-No cara, adesso apri l’armadio e
procediamo con un’accurata selezione del vestiario- fece lei
con sguardo serio, facendomi scoppiare a ridere.
Si avvicinò al mio guardaroba,
aprì le ante con foga e cominciò a frugare
nervosamente alla ricerca di qualcosa di apprezzabile, nel frattempo io
la fissavo immobile, anche un po’ spaventata a dire il vero.
-Allora, pantaloni lunghi perché fa
ancora un po’ freddo, mannaggia aprile che ritarda! Maglietta
vediamo..-
-Niente di scollato- la interruppi.
-Perché?- domandò accigliata.
-Dimentichi che ho la cosa per il
catetere sul torace? Non è bello da vedere, quindi evitiamo-
Sospirò e, arricciando il naso, si
immerse nuovamente fra i vestiti.
-Senti, com’è che sei tanto
esperta di moda?- chiesi curiosa.
-Oh, ho sempre desiderato lavorare in questo campo,
però come sai ho lasciato la scuola in secondo piano per un
po’! Una volta uscita da qui mi piacerebbe diventare
truccatrice oppure personal stylist-
-Mi è venuta un’idea..- si
girò curiosa. –Se riuscirò a un
pubblicare un libro, allora dovrò fare interviste o cose del
genere no? Ecco, tu potresti essere la mia consulente
d’immagine!-
Si illuminò esponendo un bellissimo sorriso e
annuì prontamente, -sarebbe fantastico!-
ricambiò l’entusiasmo.
-Non vedo l’ora di leggere qualcosa di tuo, sai? Cosa scrivi?
Hai già qualcosa di pronto?- domandò tornando a
dedicare l’attenzione all’armadio.
-Storie d’amore, soprattutto. Ho già scritto
qualcosa, ma voglio il mio libro sia perfetto, quindi ci devo
riflettere e lavorare ancora un bel po’-
Rimanemmo il silenzio per qualche istante.
-Che ne dici di questi?- domandò mostrandomi un paio di
leggings blu e una t-shirt lunga e bianca. Regalo di mia madre.
-Mi piacciono sì- annuì, lei assunse una posa
soddisfatta.
-Ti posso truccare domani? Hai degli occhi bellissimi, ora poi, sono
sempre luminosi- grazie
a lui, sarebbe stato da aggiungere.
-Niente di pesante, non voglio sembrare un’altra persona!-
sbuffai. –Ora possiamo dormire? Ho avuto una giornata pesante-
-Perché? La professoressa è stata severa come
sempre?-
-Anche, ormai mi sono abituata, mi ricordo all’inizio che
neanche volevo andarci perché mi spaventava! Più
che altro le terapie mi hanno affaticata, non vedo l’ora si
sistemino un po’ le cose, sono stanca di stare qui-
-Vedrai, tutto andrà bene- sorrise incoraggiante, per un
momento immaginai una mia possibile guarigione, la vita fuori dalla
clinica, l’amore.. tutto fu però anestetizzato e
rinchiuso in una parte della mia mente, meglio non sperare, troppo
semplice rimanere delusi dopo.
-Che fai, dormi qui anche stasera?- le chiesi, lei scosse la testa.
-Non ti farei dormire, tanto sono agitata! Quindi è meglio
che porti il mio nervosismo e me fuori da qui! Domani mattina hai da
fare?-
-No, sono libera, quindi voglio dormire, loro arriveranno nel primo
pomeriggio, voglio essere sveglia!- commentai.
-Okay.. però devo avere il tempo per truccarti e farti
bella!- aggiunse lei minacciosa.
-Si, certo!- usai un tono poco convinto, -Buonanotte, ora rischio di
addormentarmi in piedi se non mi stendo. Ci vediamo domani-
Ci salutammo e, dopo aver inviato il messaggio della buonanotte a Bill,
mi addormentai.
****
I raggi del sole entravano caldi filtrando dai
vetri della finestra, lasciata senza tende per una notte. Mi alzai
piano dal letto, onde evitare giramenti di testa di prima mattinata;
sentivo il mio corpo intorpidito dalla lunga dormita, infatti mi
svegliai che erano le undici passate, un nuovo record per me! Posai i
piedi a terra e rabbrividì per il contatto con il pavimento
freddo, mi stiracchiai leggermente e rivolsi una sfuggevole occhiata
allo specchio: le occhiaie, per una volta, erano stranamente assenti e
avevo il viso rilassato, steso in un sorriso calmo.
Tutto perché sapevo che, da
lì a poche ore, avrei rivisto il cantante.
Il solo pensiero mi fece scintillare gli occhi, non
vedevo l’ora di riabbracciarlo, stringerlo e sentire quel
profumo che tanto adoravo, vaniglia e menta. Dolce ma non troppo,
perfetto.
Mi spogliai velocemente del pigiama e mi infilai
nella doccia, facendo partire l’acqua calda che lenta
scivolava sul mio corpo; mi appoggiai sulle mattonelle, venendo
percorsa da una scossa di brividi, da quanto non mi sentivo
così viva?
Spensi l’acqua e mi asciugai velocemente,
uno degli aspetti “positivi” della malattia era che
non dovevo perdere tempo ad asciugare i capelli. Presi i vestiti che
Julia aveva lasciato sulla sedia e gli indossai velocemente, guardando
il riflesso della mia figura non potei che apprezzare le sue scelte: i
leggings neri fasciavano elegantemente le mie gambe lunghe e magre, la
maglietta invece non era eccessivamente scollata e si sposava bene con
la mia carnagione pallida e il colore degli occhi. Sorrisi soddisfatta,
stranamente mi vedevo quasi.. bella,
non ero più abituata a una sensazione così.
Quando terminai di vestirmi fui raggiunta per il
pranzo da Julia, che non trattenne i complimenti vedendomi
così raggiante.
-Sei bellissima Mel, vedrai che faccia
farà Bill quando ti vedrà!-
arrossì.
-Vogliamo parlare di te? Non credevo volessi far strage di cuori!-
commentai squadrandola meglio, non le avevo chiesto i suoi programmi
per l’appuntamento, e devo dire si era preparata davvero
bene: indossava un paio di jeans strappati e stretti, una maglietta che
lasciava scoperta una spalla e evidenziava le sue curve, i capelli
solitamente scompigliati ricadevano invece lisci sulle spalle, tenuti
distanti dalla fronte con una graziosa molletta, aveva risaltato poi i
colori degli occhi con un bell’ombretto color perla e tanto
mascara. Era semplicemente stupenda.
-Grazie! Insomma, voglio essere meravigliosa quando
incontrerò i miei idoli!- disse con aria trasognata.
-E sei meravigliosa!- esclamai.
-Bando alle chiacchiere, ora mangiamo e poi sistemo anche te!-
affermò categorica, rifugiandosi nel piatto di pasta
lì davanti, era bello vedere come le fosse tornato
l’appetito, stava guarendo finalmente.
-Che idee hai?- domandai vedendola frugare nella trousse che aveva
portato da camera sua.
-Non so ancora, voglio fare risaltare i tuoi occhi…-
farfugliò concentrata.
-Ti ripeto, niente di esagerato!- annuì, tornandosene poco
dopo con in mano tutto l’occorrente per
‘trasformarmi’.
Così, neanche mezz’ora dopo, i
miei occhi furono coperti da uno strato di eye-liner nero, con sotto
matita azzurra e ciglia lunghe grazie all’applicazione di una
buona quantità di mascara. Il make-up era semplice, ma
riusciva a farmi sembrare ancora più bella, se non fosse
stato per i capelli, sarei sembrata sana.
-Sei perfetta ora!- esclamò soddisfatta.
–Ora devo andare, ho l’incontro con il gruppo di
supporto- sbuffò scocciata, si annoiava sempre a partecipare
a quegli incontri.
-Va bene! Ci vediamo dopo allora- dissi.
-Mi raccomando, non rovinarti il trucco perché non ho tempo
per rifarlo dopo!- si raccomandò.
-Ai suoi ordini, capitano!- ridacchiammo.
-Allora a presto, oddio non vedo l’ora! Spero di non morire
d’agitazione nel frattempo!-
Le sorrisi, mi lasciò un bacio sulla
guancia al sapore di fragola e corse via.
Mi rimanevano due ore da passare da sola, il che
era sinonimo di noia, monotonia e tanti pensieri.
-Allora pensa un po’ cara Mel, cosa puoi fare di
interessante?- chiesi a me stessa.
Vagai un po’ alla ricerca di qualche
idea, alla fine rimasero le solite tre alternative: leggere un libro,
ascoltare musica o scrivere qualcosa. Optai per la prima e, dopo aver
frugato nella libreria, tirai fuori il libro “Emma”
di Jane Austen, uno dei miei preferiti. Rileggendolo, feci caso a una
frase su cui non m’ero mai soffermata particolarmente, ma ora
aveva acquisito un significato diverso.
“ Non
perdonerei a un uomo di avere più musica che amore,
più orecchio che occhio, una sensibilità
più acuta per i bei suoni che per i bei
sentimenti.”
Per quanto amassi la Austen, dovetti ammettere di
essere in totale disaccordo con lei: quando ami un uomo, accetti di
amare sia pregi che difetti, perché tutto contribuisce a
rendere quella persona speciale ai tuoi occhi, perciò
è necessario comprendere possano avere altre passioni al di
fuori della “fidanzata”. Il mio pensiero
volò ovviamente a Bill: lui era un cantante famoso, aveva
lottato fin da piccolo per sfondare nel mondo della musica e vivere il
sogno, dominando palchi in tutta Europa e conquistando
l’amore di milioni di fans. Chi ero io per privarlo del suo
sogno? La ragazza che amava,
certo. Proprio per questo non avrei
mai permesso una cosa del genere, sarebbe come cancellare una parte
importante di lui, una parte che lo rendeva speciale e unico. Quando
sarebbe arrivato il momento di scegliere,
di andarsene,
mi sarei messa in disparte. Il suo amore per la musica era immenso,
magnifico, stupefacente. Io, in confronto a lei, ero nulla.
Mi persi nella lettura, ogni tanto la testa si
distaccava e la mente vorticava attorno a una figura, un ragazzo
bellissimo dagli occhi nocciola e capelli color pece, quello che, fra
poco, avrei rivisto.
Non riuscendo a concentrarmi, presi il telefono e
scrissi un messaggio a Bill.
“Mi
manchi Bill! E non ci siamo visti per solo un giorno. È
grave non trovi?”
“Sì.
Mi manchi anche tu piccola. Dai, fra poco ci vediamo (:
Ho
una sorpresa per te.”
“Sorpresa?
Che sorpresa?”
“Vedrai..
vedrai.”
Inutile dire m’aveva resa curiosissima,
adoravo le sorprese, nello stesso tempo però le temevo. Bill
era andato ad Amburgo per la visita medica, magari era successo
qualcosa.. Sbuffando mi risistemai sul letto, fissando il soffitto.
Sobbalzai sentendo il cellulare squillare, senza
guardare chi chiamava risposi.
-Pronto?-
-…- nessuna risposta. Allontanai il
telefono per vedere il mittente e fissai lo schermo stranita.
-Bill?- domandai con tono stranito e sospettoso.
-Si, sono qui- sentì qualcuno parlare.
Era una voce che non avevo mai sentito prima, una voce terribilmente
dolce e calda. Rimasi immobile, col cuore in gola. Era tornato, era
tornato!
Spensi il telefono e corsi a mettermi le scarpe per
andare in camera sua, aprì la porta di scatto e travolsi
qualcuno, spingendolo addosso al muro.
Alzai lo sguardo verso la sfortunata persona
travolta dalla mia foga e sentì il sangue raggelare
trovandomi davanti lui.
La mia espressione passò dall’essere sorpresa,
scioccata a dolce.
Dio se mi era
mancato..
Aprì la bocca per parlargli, ma fui
bloccata dalle sue labbra che collisero sulle mie, senza foga,
tranquille.
-Mi sei mancata- sussurrò sulla mia fronte, sentivo le mie
guance arrossarsi e il sorriso espandersi.
Avevo provato più volte a immaginare che voce potesse avere,
calda, fredda, dolce, profonda, acuta?
Ciò che usciva da quelle labbra era pura
melodia, era magia.
-Tu..- dissi non appena si staccò da me, senza un vero
discorso in testa.
- Sssh- mi fermò nuovamente con un bacio, abbracciandomi
stretta.
Tra le sue braccia mi sentivo protetta, a casa. Era fottutamente
perfetto, lì con me.
Lo presi per mano e lo portai in camera mia, ci sedemmo entrambi sul
letto, vicini, in silenzio.
Cercavo di organizzare un discorso, ma avevo la gola secca e bloccata,
il cervello in stand-by.
-Mel- interruppe lo strano silenzio che s’era creato. Mai
adorai il mio nome come in quel momento, suonava così
speciale.
Sentì una sensazione di calore
pervadermi, gli occhi mi si fecero umidi per l’emozione.
-Ti ho preso di sorpresa eh?- ridacchiò,
facendomi incantare. –Cosa ne pensi?-
Sbattei le ciglia e cercai qualche aggettivo adatto per descriverlo,
non trovandone.
-Tu sei musica-
sussurrai guardandolo negli occhi, mentre il suo viso si apriva in un
sorriso innamorato.
-E tu sei meravigliosa oggi- disse avvicinandosi a
me, circondandomi la vita con le braccia e posando la sua testa sulla
mia spalla. Possibile
morire d’amore?
-Sembri un’illusione- sussurrai.
Si scostò leggermente e mi fissò serio.
-Sono qua, al tuo fianco-
mormorò caldo, rabbrividì.
-Sei bello, troppo. È normale domandarsi se esisti
veramente, sai? Tanta perfezione in una persona non è
ammessa. Tu, tu sei l’eccezione alla regola Bill-
Le sue guance si colorarono di rosso, la bocca si
arricciò imbarazzata.
-E sei anche adorabile, sai? Dio quanto mi sei mancato?- dissi
sprofondando sulla sua maglietta, sentendo chiaramente i battiti veloci
del suo cuore sulla mia pelle.
Rimasi così per non so quanti minuti,
galleggiando sul suo profumo e respirando di lui.
-Quando potrò sentirti cantare?-
mormorai piano, temendo di spezzare l’atmosfera creata.
-Presto.. devo fare esercizi per la voce, ma il dottore mi ha
assicurato tornerà tutto come prima- disse con una nota di
pura felicità.
-Te l’avevo detto no? Vedi, è andato tutto bene-
sorrisi.
-Per fortuna, mi manca così tanto cantare-
-E io voglio sentirti presto, prima di subito- affermai, facendolo
ridere.
-Come siamo impazienti!-
-..Sì. Sono troppo curiosa, è normale, no?-
domandai retorica.
-Non dovrai aspettare troppo a lungo, non ti preoccupare- mi
rassicurò. –Ora dimmi, che hai fatto mentre non
c’ero?-
-Oltre a pensarti ogni minuto? Scuola, terapie, tempo con
Julia- risposi. –Tu?-
-Visita e poi sono stato un po’ con la mia famiglia ed
Andreas, ha detto che è felice per noi- disse piano.
-Oh- arrossì, senza un perché.
Bill si tirò su a sedere sul letto, si mise a gambe
incrociate e, dopo aver preso delicatamente la mia testa fra le sue
mani, la poggiò sulle gambe, tutto questo mentre lo guardavo
incantata.
-Bill Kaulitz, non guardarmi con quegli occhi o rischio di fondermi,
sai? Morte per autocombustione- confessai.
Sbattè le ciglia nere e tornò a scrutarmi con
quei pozzi nocciola.
-Mi piace specchiarmi nei tuoi occhi, vedo riflesso qualcosa di.. non
so come spiegarlo, i tuoi occhi mi riflettono come se fossi la cosa
più bella del mondo Mel- sussurrò.
-Perché è quello che sei, per me- sorrisi.
Non servirono altre parole, il ritmo dei nostri cuori in sintonia
parlava per noi.
La sua mano si muoveva lenta percorrendo il mio
viso, con estrema dolcezza, quasi ad aver paura potessi frantumarmi
sotto il suo lieve tocco.
-Posso chiederti una cosa?- domandò.
Annuì. –E’ una mia curiosità,
ce l’ho dal primo giorno però volevo chiedertelo
‘a voce’. Qual è il tuo nome per
intero?- chiese.
Arricciai il naso, un poco in imbarazzo. Quasi
nessuno sapeva il mio vero nome, tranne i dottori che lo leggevano
nelle cartelle cliniche. Non che non mi piacesse, solamente lo trovavo
un po’ particolare.
-E’ un nome strano, l’hanno pur
sempre scelto i miei genitori, due attori di teatro- dissi, lui mi
seguiva attento.
-Oggi è inteso come dea della tragedia. Beh..- presi un
respiro.
-Mi chiamo Melpomene,
nella mitologia greca era la musa del canto e dell'armonia musicale-
confessai.
-Melpomene-
ripetè. Le mie guance si imporporarono, detto da lui
acquisiva musicalità e dolcezza, incredibile.
-E’ perfetto per te, mi piace. È unico, come te. E
sai un’altra cosa? Sai perché è
perfetto?- domandò.
Scossi la testa.
-Tu sei la mia musa-
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Capitolo 14 *** Capitolo XIV (E) ***
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CAPITOLO
XIV (E)
-Tu sei la mia musa-
Dopo questa affermazione altre parole potevano
risultare solamente banali e superflue, cosa potevo rispondere? Era la
cosa più bella che mi avessero mai detto, la più
sincera e la più sentita. Poggiai la mia testa sul suo petto
e mi lasciai avvolgere dalla fragranza che tanto amavo, mi sentivo
perfettamente a mio agio con lui.
Due parole scivolavano dal cuore e giungevano fino
alla punta della lingua, dove venivano bruscamente fermate dalla mia
razionalità: ti
amo. Ero una contrapposizione vivente: sapevo di non
dovergliele dire, mi ero autoimposta di non farlo, ma a volte lo
stimolo veniva automatico. Ho sempre avuto un’idea tutta mia
dell’amore, un’idea contorta e assurda, nata grazie
ai libri che leggevo, quelli che ti mostrano una realtà dura
e spesso avversa, la quale però alla fine si piega al
sentimento dei protagonisti, terminando così con un consueto
“e vissero per sempre felici e contenti”. Ecco,
ciò a Bill e me non poteva succedere, quindi confessare
quelle cinque lettere sarebbe potuto sembrare una bugia, una presa in
giro; mi chiedevo come fosse possibile provare ciò, ci
conoscevamo da così poco, però già
credevo d’essere in qualche modo assurdo e masochista
destinata a lui. Nonostante ciò imprigionavo quelle due
parole in un angolo remoto della mia mente, soffocandole
perché non uscissero involontariamente. Sospirai,
perché doveva essere tutto così complicato?
-Vado a cambiarmi okay? Ci vediamo fra
mezz’ora- disse discostandosi da me e alzandosi.
-Va bene- mugugnai io, cercando di trattenere l’effetto che
aveva su di me lui.
-A dopo Mel- sorrise, uscendo.
Mi passai le mani sul viso, per riprendere il contatto con il mio
corpo, ancora sotto effetto della presenza di Bill.
-Mel, riprenditi. Respira lentamente e calmati- dissi a me stessa,
dando un’altra occhiata allo specchio e passandoci davanti
soddisfatta. Non trovando nulla da fare, scesi giù e mi
sedetti sulla panchina di fronte all’entrata.
-Guarda chi si vede, non mi sei mancata per niente ragazza!- presi
paura sentendo questa voce venire da dietro di me, la riconobbi subito
come quella di Tom.
-Neanche tu Kaulitz- risposi a tono, mentre il chitarrista si
accomodava tranquillamente al mio fianco.
Mi girai verso di lui e dovetti trattenere una risata, era strano
vederlo con addosso vestiti della sua taglia!
-Lo so che vuoi ridere, non provarci! Bill mi ha obbligato a vestirmi
così!- sbuffò scocciato.
Lo squadrai meglio, aveva un semplice paio di jeans che facevano capire
quanto magro fosse anche lui, indossava poi una camicia bianca
leggermente aperta sul davanti, stretta. Aveva abbandonato fascia e
cappello e copriva gli occhi con un semplice paio di occhiali da sole
neri.
-Guarda che stai bene così, dovresti adottare questo look!
Sembri quasi.. bello- sorrisi, tutti e due i Kaulitz erano bellissimi,
di una bellezza a dir poco impressionante.
-Io sono bello sempre, tu sei troppo impegnata a guardare
l’altro gemello per accorgertene- rispose con sufficienza.
-Sei troppo modesto Tom, ma davvero guarda!- ridacchiai prendendolo in
giro.
-Lo so! Allora, Bill non mi ha detto nulla, mi ha solamente cacciato
dalla stanza per prepararsi! Dimmi un po’, scommetto che
sentirlo parlare ti ha fatto venir voglia di..- lo interruppi.
-Non dire quello che stai per dire, sei un pervertito! E Bill
è stupendo- sorrisi innamorata.
-Risparmia gli occhi a cuore, per favore! Mi bastano quelli del mio
gemellino, l’hai fatto andare su un altro pianeta!
Complimenti, non ci era mai riuscito nessuno- esclamò,
facendomi arrossire.
-Aspetta un secondo Kaulitz, la mia amica mi sta chiamando- dissi
sentendo il cellulare vibrare nella borsa, stavolta avevo guardato chi
chiamava.
-Mel! Ho finito con il gruppo, per fortuna! Fra quanto scendo? Oddio
sono emozionatissima, non vedo l’ora di vedere i gemelli dal
vivo! Cioè, li ho visti da lontano ma non bene! Scommetto
potrei rimanerci secca, soprattutto Tom è un gran figo! Con
quel piercing.. oddio scusa sto parlando troppo!- concluse dopo un
minuto filato, aveva respirato?
Vidi il ragazzo sogghignare, avendo origliato la
conversazione, lo fulminai.
-Ehm, io sono già scesa, mi raggiungi fra cinque minuti?
Cerca di non morire prima però-
-Simpatica! Mi sistemo e arrivo- mise giù il telefono e mi
girai verso il rasta, con un sorriso sornione stampato in viso.
-Così.. la tua amica va pazza per il qui presente sostituto
del sole- scoppiai a ridere sentendo il soprannome, qualcosa mi diceva
se l’era dato da solo.
-Lei va pazza per tutti e quattro, non farti illusioni!- feci crollare
tutti i castelli con questa semplice frase, la sua espressione si fece
ridicolamente mogia. Non avevo detto proprio la verità,
infatti Julia adorava quel ragazzo, chissà per quale strano
motivo poi!
-E Bill invece, quando scende?- mormorai, avevo troppa voglia di stare
con lui.
Tirò fuori il cellulare e mi mostrò il messaggio
che gli aveva appena spedito, stava scendendo.
-Eccomi!- esclamò qualcuno uscendo dalla clinica e
raggiungendoci, il mio ragazzo.
Lo squadrai per bene: indossava una semplice t-shirt azzurra
– adoravo quando si vestiva di quel colore!- e un paio di
jeans né stretti né larghi. Anche lui portava
occhiali da sole e aveva legato i capelli in una coda bassa.
-Ciao Bill- mi alzai e andai ad abbracciarlo.
-Mel, Tom- ricambiò. –Julia?-
-Eccola- risposi, vedendola arrivare, con passo incerto e imbarazzato.
I ragazzi la scrutarono e il chitarrista, dopo averla
sottoposta a radiografia completa, ghignò maliziosamente.
-Beh, penso tu conosca già ‘sti due-
ridacchiai di fronte alla sua espressione basita.
-Piacere, io sono Tom Kaulitz- annunciò porgendole la mano
con fare da seduttore.
-J-Julia Hosen- balbettò stringendola, terribilmente in
soggezione.
-E io sono Bill- si presentò il mio ragazzo, con quel
sorriso capace di sciogliere anche la pietra più dura.
Spalancò la bocca, non si aspettava di sentirlo parlare.
-Già, posso parlare- si spiegò.
-Aspettate un secondo, torno subito- dissi ai gemelli prendendo la mia
amica da parte.
-Julia, respira!- esclamai vedendola quasi in apnea.
-Sono così.. cazzo!- borbottò.
-Ti capisco, fanno un bell’effetto insieme eh? Tolgono il
fiato, vedrai ti ci abituerai- la rassicurai.
-Lo spero! Ma.. quando aspettavi di dirmi che gli era tornata la voce?
Non ero psicologicamente pronta..-
-L’ho saputo poco fa.. è arrivato in camera e beh,
non hai idea di come ci sia rimasta io!- dissi.
-Posso capire! Beh andiamo, altrimenti pensano ci abbiano rapite!-
esclamò prendendomi a braccetto e trascinandomi verso la
vettura del rasta, la sua amata Cadillac. I gemelli si erano
già posizionati nei sedili anteriori.
Salimmo silenziose in macchina.
-Allora, dove si va?- domandai.
-Cinema, vi va bene? Avevamo pensato di vedere una commedia,non
c’era altro- scosse le spalle il resta.
-Benissimo!- esordimmo in coro. Era da anni che non andavo al cinema!
Il viaggio in macchina fu breve, di sottofondo i
battibecchi fra i ragazzi, uno voleva mettere Samy Deluxe,
l’altro Nena.
-Ecco, siamo arrivati!- annunciò il
rasta fermandosi davanti all’entrata di un grande cinema.
-Come mai non c’è nessun’altra
macchina?- domandai stranita.
-Diciamo che, per precauzione, abbiamo prenotato tutto il cinema-
rispose il minore sorridendo.
-Ma vi sarà costato moltissimo, siete fuori di testa?-
esclamai io, anche Julia annuì.
-Nessun problema, almeno così siamo sicuri di non aver
problemi con le fan e possiamo stare tranquilli- spiegarono.
Entrammo silenziosamente e fummo accolti direttamente dal padrone del
cinema, che ci portò in sala.
Io mi sedetti fra Bill e Julia, Tom di fianco alla
mia amica.
Iniziò il film, seguì la
prima ora poi però mi persi osservando il profilo del mio
ragazzo, il quale aveva gli occhi attenti alle immagini, mentre la sua
mano stringeva dolcemente la mia. Lui era mille volte più
interessante di qualsiasi altro schermo, avrei passato tempo
indeterminato a guardare la sua figura, scoprendo sempre qualche
dettaglio nuovo.
Qualche sedia più in alto gli altri due
ridacchiavano per qualche sconosciuto motivo.
-Mel, ci sei? È finito- disse Bill, sventolando una mano
davanti al mio viso, ridacchiando per la mia immobilità.
-Si si, ci sono- mormorai scuotendo la testa, -Ora che si fa?-
-Sono quasi le sette, direi di andare a cena, no? Chiamate
l’ospedale e avvertite- suggerì Tom.
-Perfetto!- annuì Julia allegra, tutta l’ansia di
prima si era già sciolta!
Così chiamammo, informando saremmo
tornati più tardi.
-Dove si va?- chiesi. I gemelli si guardarono e si
lanciarono uno sguardo di intesa.
-PIZZA!- esclamò la mora. La guardai stranita.
-Cioè, insomma.. ho visto un’intervista in cui
avete detto di adorare la pizza quindi..- balbettò
imbarazzata gesticolando velocemente, facendo scoppiare a ridere i due.
-Amiamo la pizza!- esordirono in coro, telepatia gemellare!
-Pizza sia- confermai io, così mezz’ora dopo
arrivammo in un ristorante fuori città, con pochissima gente.
-Avevate già programmato tutto vero? È
impossibile la sala sia completamente vuota!- commentai.
Si scambiarono un'altra occhiata complice, -In effetti.. sì!-
-Come mai non abbiamo incontrato nessuna vostra fan in giro?
È strano!- interruppe Julia.
-Vedi..- iniziò Tom.
-Abbiamo elaborato un piano perfetto affinché ci fossero
meno fan possibili in giro- assentì l’altro.
-Già! Oggi hanno mandato la registrazione di un nostro
concerto e varie interviste sul canale musicale-
-Quindi, in questo modo, ci siamo assicurati che le ragazze stessero a
casa e non in giro per Colonia- finì Bill sorridendo fiero
del piano.
-Voi due siete diabolici!- rise Julia.
-Non volevamo impacci, volevamo passare una giornata piacevole!-
esclamò il mio ragazzo.
-Ed è stata una bellissima giornata- intervenni io allegra.
-Eh, non capita tutti i giorni di passare un pomeriggio con questi due
pezzi di fighi!- convenne Tom, beccandosi una gomitata dalla mia amica,
intraprendente la ragazza! Però fui felice di vedere come
s’era integrata, aveva un’espressione talmente
entusiasta che contagiava anche me, si meritava di passare del tempo
con i suoi idoli.
-Ma sei violenta, non vorrai fare del male al tuo chitarrista
preferito?- domandò ironico, alzando un sopracciglio.
-Cosa? Hai visto Saul
Hudson in giro?- fece ironica, riferendosi a un
chitarrista che non era il Kaulitz.
-Credi di essere simpatica? Non lo sei- esclamò Tom
infastidito, facendoci ridere.
-Oh dai, un po’ di ironia non fa male- sorrise Bill.
-Scusate, volete ordinare?- ci interruppe un cameriere per prendere le
ordinazioni.
-Io vorrei una pizza con le patatine- incominciai io, notando lo
sguardo compassionevole dell’uomo, fermatosi troppo sulla mia
figura.
-Anche io- dissero gli altri tre in coro, scoppiando a ridere subito
dopo.
-Va bene, se volete altro chiamate- si congedò.
-Allora, Julia..- iniziò il mio ragazzo, -Qual è
la tua canzone preferita?- domandò curioso.
-Le adoro tutte sinceramente- balbettò imbarazzata, perdendo
tutta la spavalderia di prima, -però, se proprio devo
scegliere, direi Ich
bin da- affermò.
-Perché?- chiese Tom.
-Non so spiegarlo, è quella che mi ha
colpito di più, tanto dolce e bella! Stai aprendo i tuoi occhi, tutto
è come prima. Non voglio disturbare e non voglio rimanere a
lungo, sono qua solo per dirti: io sono qua, se tu vuoi, guardati
intorno e potrai vedermi. Capite? Questa canzone riusciva
e riesce a non farmi sentire sola- sorrise.
-E’ quello lo scopo, ricordare che non si è mai
soli, c’è sempre qualcuno al tuo fianco, basta
volerlo capire- annuì Bill.
Un po’ mi sentivo estranea al loro
discorso, non conoscevo quella canzone, non ne conoscevo nessuna.
-Oh, cambiamo argomento, non voglio svelarti tutte le nostre canzoni
prima che le ascolti- intervenne il cantante, dolce.
-Allora, di che parliamo?- chiese Tom.
-Allora, avete qualche hobby particolare o nascosto ragazzi?-
esordì Julia, curiosa.
-Il mio unico hobby è..- il chitarrista lasciò la
frase in sospeso, ammiccando.
-Fai schifo! Tu Bill, vero che sei diverso?- disse speranzosa.
-Beh, non ho hobby particolari- scosse le spalle, -Non ho molto tempo
libero di solito, e quando ce l’ho lo passo dormendo oppure
scrivendo. Insomma, sono una persona piena di interessi-
ridacchiò. –Tu invece Julia?-
-Mi piace la moda, quindi mi tengo sempre aggiornata sulle nuove
tendenze e cose del genere, quando uscirò da qua so
già che lavora fare, vero Mel?- si girò verso di
me e io annuì allegra, -Sicuramente lei diventerà
un’autrice di successo, mentre io sarò la sua
stilista personale- sorrise.
-Io non mi farei mai vestire da lei- affermò Tom,
prendendola in giro.
-Smettila di fare lo spiritoso tu stavolta, non lo sei credimi!-
ribatté piccata.
-Mel, tu invece che hobby hai?- sviò il rasta.
-Mh, scrivo anche io. Oltre a questo.. mi piacciono i fiori- rivelai in
imbarazzo, era una passione nata recentemente e abbandonata per un
periodo, l’avevo accennata solo una volta al moro, uno dei
tanti pomeriggi insieme.
-Me l’avevi accennato- ricordò infatti lui.
-In che senso i fiori?- domandò il biondo inarcando un
sopracciglio.
-I fiori, il loro linguaggio, è interessante. Per esempio,
Bill hai presente i fiori che ho in camera?- annuì.
-Sono Convallaria majalis
e Cyclamen,
rispettivamente mughetto e ciclamino. Nei linguaggio dei fiori
significano “ritorno della felicità” e
“timida speranza”. Lo trovo molto affascinante, si
possono dire tante cose attraverso i fiori- spiegai.
-Figo!- commentò Julia. –Un giorno mi insegnerai
qualcosa.. però adesso mangiamo!- disse guardando con occhi
famelici la pizza che le stavano porgendo davanti. Ridemmo.
-Buon appetito!-
Visti dall’esterno potevano sembrare
quattro semplici amici che si ritrovano una sera per mangiare qualcosa
insieme, non due personaggi famosi e due normali ragazze con qualche
problema di salute in più.
L’atmosfera era rilassata, allegra. Da
quando non passavo una serata così? Da prima che entrassi in
clinica ovviamente, da quando ero solamente una normale adolescente che
usciva coi compagni di classe.
-Oh, Mel? Ti sei incantata? È da un minuto che ti chiamo!-
esclamò la mora sventolandomi una mano davanti, scossi la
testa e annuì imbarazzata, ancora una volta mi ero persa nei
miei pensieri.
-Beh, si è fatto tardi, andiamo?- rispondemmo positivamente
alla domanda del rasta, salendo in macchina.
-Grazie per la bellissima giornata. Ora ho un sogno in meno da
realizzare- mormorò Julia, una volta tornati alla clinica.
-Se vuoi realizzare un altro sogno, basta che mi chiami- convenne Tom,
prendendole il cellulare di mano e salvando velocemente il suo numero,
con fare malizioso.
-Va bene Kaulitz- l’altro annuì convinto, -Appena
avrò voglia di picchiare qualcuno so chi chiamare-
ghignò, mentre l’espressione del chitarrista si
trasformò dal malizioso al seccato.
-Sh, non cominciate di nuovo!- li bloccò Bill, prima che
cominciassero a prendersi a parole.
-Buonanotte Tom- salutai io, sorridendo.
-Notte a tutti, io mi ritiro- affermò, tornando verso
l’auto per dirigersi all’albergo.
-Anche io, ci vediamo domani Mel- si congedò anche
l’altra ragazza.
-E così rimaniamo solo noi due, saliamo?- domandò
il cantante, annuì.
Entrammo in camera sua e mi sedetti sopra al suo
letto.
-Allora, divertita?-
-Si, tanto.. è stata una bellissima giornata, grazie a te-
arrossì.
-Vieni qui- disse, indicandomi il posto affianco a lui, lo raggiunsi e
lo abbraccia dolcemente.
Tirò il cassetto e ne estrasse un
piccolo pacco regalo, porgendomelo.
-Ma che..?- mormorai.
-E’ un regalo per te- mi sorrise. Cominciai a scartarlo
lentamente, una volta tolta la carta si rivelò il contenuto:
un ipod.
-Ci sono tutte le nostre canzoni, tranne Heilig.. quella
voglio cantartela io, il prima possibile- spiegò
accarezzandomi un braccio.
-Io.. non so che dire. Grazie, le ascolterò tutte!- promisi.
-Spero ti piacciano- disse leggermente in imbarazzo.
-Sono sicura siano bellissime!- lo guardai negli occhi, così
vicini ai miei. Sentivo le sue lunghe ciglia accarezzarmi il viso, il
suo fiato sulla fronte.
Annullò la distanza appoggiando le sue
labbra sulle mie, senza fretta. Dischiusi le labbra e mi abbandonai
completamente al suo tocco, al suo sapore. Era così bello,
sarei potuta morire fra le sue braccia senza sentire dolore.
-Buonanotte principessa- sussurrò dopo essersi staccato,
sorridendomi.
-Notte superstar- ricambiai io, dandogli un piccolo bacio in fronte.
-A domani..-
Uscì con aria trasognata, raggiungendo
velocemente la mia camera. Nel giro di pochi minuti mi ero struccata,
messa il pigiama, posizionata sotto le coperte e infilate le cuffie
nelle orecchie.
Guardai l’elenco della canzoni, selezionando
l’album “Zimmer
483”
E poi, furono solo brividi e emozioni.
Le canzoni che più mi colpirono furono Wir sterben niemals aus,
Vergessene Kinder,
Spring nicht e
Ich bin da.
Presi la mia agenda e annotai le prime cose che mi
vennero in mente.
“Wir sterben niemals aus:
restiamo sempre, ci
urliamo nell'infinito. Io grido quasi sempre
quando da qualche parte
resta qualcosa. Noi sentiamo, non siamo pronti per la fine.
non moriremo mai, ci
portiamo fino a tutti tempi
E mi chiedo se Bill legga nel pensiero, come faccia a scrivere
canzoni che mi capiscano meglio di me. Così.. su misura.
Almeno, io ero pronta per la morte, è da tre anni che
l’aspetto.
Poi Lui entra nella mia vita e cambia tutto, è diventata un
appiglio
che non voglio abbandonare. Io, se vado avanti, lo farò solo
per lui”
“Vergessene Kinder:
Nessuno è da
incolpare, il tempo non guarisce.
Fu la prima volta che piansi per una canzone.
Questa, è dannatamente perfetta. La voce di Bill,
è perfetta.
Sembra accarezzarti ad ogni parola, ti si conficca nel cuore e diventa
un
tutt’uno con esso. Colpisce, rapisce, ammalia, incanta.
Tutto dovrebbe andare in
un altro modo.”
“Spring nicht:
Non saltare, e se tutto
questo non ti porterà indietro, allora salterò io
per te.
Questa è la canzone che ha salvato Julia, e ora che
l’ho sentita,
penso abbia salvato tante altre ragazze.
Ora che l’ho sentita, un po’ ha salvato anche me.
Ora capisco perché sono così amati dalle fan,
basta una canzone
per riportare la speranza e far brillare quella scintilla vitale che,
piano piano, questo mondo opaco fa spegnere.
.. I Tokio Hotel hanno la capacità di ridare vita.
“Ich bin da:
Nessuno sa cosa provi,
nessuno qua che ti capisce. I giorni erano scuri e soli,
stai scrivendo aiuto
‘Aiuto’ con il tuo sangue, benché ti
ferisca più e più volte.
Stai aprendo i tuoi
occhi. Tutto è come prima.
Questa canzone è dolcezza, speranza, amore, fiducia,
tenerezza.
Questa canzone è meraviglia, splendore.
Ho ascoltato questa traccia con gli occhi chiusi e la bocca socchiusa.
Ho ascoltato questa traccia lasciando che le parole mi cullassero.
Ho ascoltato questa traccia e non mi sono sentita sola.
Al tuo fianco, per un
momento. Non sei sola”
Rimasi sveglia quasi tutta la notte, non riuscivo a
fermare la musica, non volevo fermarla. Ogni pezzo era una scoperta,
con ogni melodia scoprivo qualcosa in più sulla vita dei
ragazzi, con ogni pezzo scoprivo qualcosa su me stessa, sul mondo. La
voce di Bill era magia,
dolce ma energetica allo stesso tempo, sincera e dura.
Cominciavo a capire tutto l’affetto per
questa band.
Una volta che ti colpiscono, non ti lasciano più. Ti
scelgono e si fanno amare. Ti capiscono e ti salvano.
“troppo amore per la
musica,troppi confini..
così
tanti pensieri, e non dovrebbe finire.
Non penso che
finirà presto
Quel ragazzo è una sorpresa, sa farsi adorare ogni giorno di
più.
Bill, anche se non te lo dirò mai, io ti amo più
di ieri ma meno di domani.
E continuo a sospirare, innamorata.
Domani gli dirò grazie, magari non capirà
perché,
l’importante è che lo sappia io.
Grazie, se ho
forza di affrontare la vita lo devo a te”
.
. . .
. . . .
. . . .
. . . .
* * * * *
.
. . .
. . . .
. . . .
. . . .
NdA:
Allora, sì sono sparita di nuovo! Ho avuto problemi con la
linea internet e altri vari casini, ma ora eccomi :) niente scuola per
me oggi, sono stata poco bene così ho trovato il tempo per
postare. Ci tengo a spendere quattro parole per questo capitolo,
c'è tanto di
me, penso si capisca, soprattutto nell'ultima parte!
Chissà, magari vi rispecchiate un po' nelle mie parole. Che
altro? Questa
storia ha sempre meno recensioni c.c lo so, è
soprattutto colpa mia e dei miei immensi ritardi D: però ci
terrei a ricevere qualche commento, per sapere se vale la pena
continuare, anche perchè tengo molto a questa fanfiction!
Detto questo, a presto!
unleashedliebe
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Capitolo 15 *** Capitolo XV (N) ***
Ehm, della serie.. 'a volte ritornano'
Non mi sono scordata di voi, ho un sacco di cose da fare. Ora sono qui,
questo capitolo è un po' di passaggio, per prepararvi al
prossimo che è lungo qualcosa come 13 pagine, più
di 8000 parole. (un mattone LOL)
Chiedo scusa se ci sono errori, non l'ho riletto!
Che altro? La settimana prossima vado in Germania, okay non vi
interessa, ma sono troppo contenta *^*
Mh, ho scritto una OS,
-momentaneocambiodifandom- e mi farebbe piacere se qualcuno la
leggesse, nonostante non sia sui quattro crucchi :)
E' questa: Pieces
Spero perdonerete il mio ritardo, aspetto qualche recensione
çç
Un bacio!
Anna
Capitolo XV (N)
Un lieve bussare alla porta mi riportò
alla realtà, ero ancora parecchio insonnolita in quanto la
notte l’avevo passata sveglia, per sentire tutte le canzoni
nell’ipod.
-Avanti- mugugnai, strofinandomi gli occhi con le mani, per svegliarmi.
Sorrisi istantaneamente vedendo chi era
l’ospite, Bill. Quella mattina, come sempre, era bellissimo;
ogni giorno che passava secondo me diventava ancora più
splendido. Com’era possibile?
-Buongiorno dormigliona!- salutò allegro, raggiungendo il
letto.
-Dormigliona?- domandai confusa, mi indicò la sveglia:
segnava mezzogiorno e un quarto, spalancai gli occhi.
-Oddio, non mi sono resa conto fosse così tardi! Stanotte ho
fatte le ore piccole- mi giustificai.
-Come mai?- fece interrogativo.
-Volevo ascoltare tutte le canzoni che mi hai dato- mormorai
imbarazzata.
-Oh..- disse piano, in leggero imbarazzo. –Allora.. che ne
pensi?- domandò cauto.
-Bill sono.. una meglio dell’altra! Non riuscivo a
spegnere, volevo sentirle tutte! Non so come descrivere, mi hanno fatto
provare tante emozioni, e mi chiedo come possano delle semplici melodie
farmi provare tenerezza, tristezza, energia insieme! Siete
semplicemente bravissimi. Da oggi avete una fan in più-
affermai con tono entusiasta, arrossendo subito dopo per il
monologo.
Le guance del cantante si colorarono leggermente,
il quale abbassò il viso, senza però nascondere
un sorriso orgoglioso e amorevole.
-Sono.. oddio temevo non ti potessero piacere e questa prospettiva mi
spaventava, non poco! Sono contento ti piacciano, davvero tanto- disse.
-Ero sicura mi sarebbero piaciute, insomma i testi sono stati tutti
scritti da te! Non poteva essere altrimenti, inoltre una persona come
te non può che avere una voce magnifica- affermai.
-Un giorno voglio sentirti cantare- disse deciso.
-Oh no, quel giorno non arriverà mai- ribattei, mi
vergognavo troppo! –Non sono intonata- aggiunsi.
-Non ci credo, tu sei una donna piena di talenti: sai scrivere, conosci
il linguaggio dei fiori, suoni il pianoforte, saprai anche cantare! Poi
non posso giudicare se non ti ho mai sentita!- insistette.
-No, mai. Piuttosto, quando sentirò io te?- cambiai
velocemente discorso.
-Presto- sorrise, -Mentre dormivi ho fatto la prima lezione di
riabilitazione per la voce, è andato tutto bene. Ho provato
a cantare.. e ci riesco! Però solo una canzone,
perché non posso sforzare, potrei fare ulteriori danni. Nel
giro di un mese dovrebbe tornare tutto come prima- si fermò
pensieroso, -magari sarà il tuo regalo di compleanno..-
aggiunse pensieroso.
Feci rapidamente due conti, da quando era arrivato
Bill nella mia vita avevo perso la cognizione del tempo, non badavo
più al calendario, impegnata a pensare a lui. Gettai uno
sguardo alla sveglia, avrei compiuto diciotto anni fra..
-Oddio Bill, ma è fra una settimana!-
esclamai.
-Lo so, ho sbirciato nella cartella clinica- ridacchiò, per
nulla pentito. -Festeggerai?- domandò poi.
-No- risposi diretta.
-Cosa? Perché? Diventerai maggiorenne, è un
traguardo importante!-
-Ogni anno di vita in più, per me, è un
traguardo. Non festeggio mai perché un party in ospedale
è una cosa terribilmente triste e perché non
saprei chi invitare, quest’anno ho te, gli anni scorsi ero
sola. Quindi preferisco far finta sia un giorno qualunque! La
differenza sarà che, probabilmente, mi
raggiungerà mia madre.. se ha tempo-
-L’hai detto, quest’anno
hai me Melpomene. Organizzerò qualcosa allora-
sorrise.
-Se proprio ci tieni- dissi indifferente, non mi entusiasmava per
niente l’idea.
-Che musona sei! Comunque, visto che ci siamo persi entrambi il pranzo,
che dici se andassimo a mangiare fuori? Noi due?-
Noi
due. Io e lui. Bill e Mel. Figuriamoci se, di fronte a una
prospettiva del genere, avrei rifiutato!
-Per me va benissimo! Però devo
prepararmi prima, dammi cinque minuti e sono pronta!- esclamai
alzandomi velocemente dal letto, prendendo qualche vestito a caso e
chiudendomi in bagno. Esattamente trecento secondi dopo ero preparata,
indossavo un semplice paio di jeans e una camicia, occhi contornati da
un lieve strato di matita nera.
-Sei bella principessa- commentò il cantante, squadrandomi.
–Con il trucco i tuoi occhi risaltano ancora di
più. Ti ho già detto che adoro i tuoi occhi? Mi
piace specchiarmi dentro- si avvicinò, posizionandosi di
fronte a me, fissandomi intensamente.
-E io adoro i tuoi. Tanto- confessai. Annullò la distanza
fra noi due e s’impossessò delle mie labbra, non
aspettavo altro. Adoravo il suo sapore, adoravo sentire il freddo
piercing a contatto con la mia lingua, adoravo lui.
-Andiamo, altrimenti arriviamo troppo tardi- dissi io, con le guance
arrossate e il fiato corto.
Scendemmo affiancati, con le mani che si sfioravano. Inconsciamente,
appena giunti all’entrata, le dita si intrecciarono assieme,
mi voltai verso di lui e notai mi guardava sorridendo. Ricambiai.
-Dove andiamo?- domandai curiosa.
-Un posto che mi ha indicato Tomi, lontano dieci minuti da qui. Ho
pensato di andarci a piedi, visto la poca distanza e il bel tempo, ti
dispiace? Sennò prendo la macchina-
-No, anzi! È da tanto che non faccio una camminata, mi
farà bene poi un po’ d’aria fresca!
Altrimenti mi fossilizzo in clinica, diciamo che, sono uscita di
più in questo mese con te, che in tre anni da sola- ammisi.
-Allora incamminiamoci- annuì. –Posso farti
qualche domanda sulle canzoni che hai sentito?- chiese, risposi
affermativamente. -Quale ti è piaciuta di più?-
-E’ difficile sceglierne una, perché le trovo
tutte meravigliose, come ti ho già detto. Però..
penso di essermi innamorata di By your side/An deiner Seite,
è qualcosa di indecifrabile quella-
-Anche a me piace moltissimo, soprattutto live. Di solito è
l’ultima della scaletta, quando scendono i coriandoli. Fa uno
strano effetto, mi vengono i brividi a cantarla, soprattutto
perché vedo le ragazze in lacrime. È una
sensazione stranissima-
Chissà, magari un giorno anche io avrei
provato quelle emozioni sulla mia pelle..
-Alla fine sei riuscito a andare avanti con il
testo dell’altra canzone? Quella nuova- domandai.
-Insomma, ho cancellato tutto quello che avevo scritto e ho buttato
giù solamente due righe; di solito non mi riesce difficile
scrivere, questa volta sono come bloccato! Ho un’idea per
questa canzone, voglio sia diversa dalle altre..-
-Cosa intendi con diversa?-
-Mh, il prossimo album deve essere più particolare, maturo!
Volevo allontanarmi dallo stile di Zimmer, perciò avevo
pensato alla base suonata col pianoforte- confessò.
-Pianoforte? Secondo me è una bella idea!- affermai
convinta, la sua voce
con sottofondo di quello strumento, sarebbe stato come immergersi nel
paradiso.
-Il fatto è che, io, il pianoforte non
lo so suonare- ridacchiò, -di solito Tom mi aiuta nella
composizione, perché crea accordi di chitarra e riesco a
trarre ispirazione da ciò. Stavolta però sono in
stallo!-
Un’idea nacque nella mia testa, avrei
potuto.. no, meglio di no.
-Vedrai riuscirai a finirla, ne sono certa!- non
dissi ciò che pensavo, preferì censurare.
-Spero! Anche perché ho te, la mia musa- esclamò
stringendomi a sé, con dolcezza.
Camminammo silenziosamente per cinque minuti, ogni tanto mi perdevo a
fissare quegli occhi così espressivi, la bocca rosea e la
sua mano a contatto con la mia..
-Bill, Tom ti ha detto qualcosa dell’appuntamento di ieri?-
domandai dopo, spezzando il silenzio.
-Doveva?- alzò un sopracciglio.
-Non so, volevo sapere se si era divertito, anche con Julia-
-Ah, ora capisco! Con Julia!- ammiccò nella mia direzione,
-Non mi ha detto nulla di importante, le sta simpatica però,
perché riesce a tenergli testa e ciò non capita
spesso. Diciamo che lo intriga- disse.
–Perché me lo chiedi?-
-Niente, ero curiosa. Julia pensa lo stesso. Sono fatti l’uno
per l’altro!- ridacchiai.-
-Forse hai ragione, peccato mio fratello sia dannatamente cocciuto e
interessato alla sua fama da “SexGott”, quindi
preferisce non lasciarsi toccare dai sentimenti, lasciandosi andare
solamente a storie occasionali, è il modo che ha per non
soffrire- disse.
-Che intendi?-
- È il contesto in cui viviamo che ci costringe ad essere
diversi rispetto a ciò che siamo veramente! Tom si
è creato questa maschera apposta, non dico che non sia
veramente un playboy, gli piace divertirsi, ma non è senza
cuore come viene dipinto, e sono sicura tu l’abbia capito- il
tono, quando parlava del fratello, era un misto fra il protettivo,
l’adorante e il dolce, qualcosa di unico, perché,
in fondo, Tom era tutto ciò che era Bill e tutto quello che
scorreva nelle sue vene.
-Si, me ne sono accorta! All’inizio Tom si comportava
duramente con me, però ho capito lo faceva solo
perché ci tiene a te e vuole proteggerti- gli sorrisi.
-A volte esagera, ma è fatto così- fece
l’occhiolino, -Ecco, siamo arrivati!-
Indicò un ristorante davanti a noi, molto carino e non
troppo affollato. Entrammo e fummo accolti da un cameriere che ci
portò al tavolo più riservato e ci
lasciò i menù.
-Niente fan neanche oggi?- domandai, si era tolto gli occhiali e era
tranquillo, io invece temevo potessero scoprirci.
-No, intanto tutti credono sia segregato in clinica quindi non si
aspettano esca, poi mandano in onda in un intervista registrata da
poco, in cui David dice che sto bene e cose del genere, quindi le fan
sono incollate davanti al televisore- spiegò compiaciuto.
-Sei proprio un organizzatore perfetto eh!- ridacchiai.
-Grazie, modestamente!- rise anche lui.
Fummo interrotti dal cameriere che prese le ordinazioni per tornare
poco dopo.
-Allora, tu invece con il tuo libro come sei messa?- domandò
dopo aver mangiato tutto.
-Più che altro scrivo spezzoni di frasi, non posso definirlo
libro, non ancora! Poi non è che sia molto bello comunque-
Mi guardò scettico, -Non dire stupidaggini, tu sei molto
brava! Devi avere fiducia nelle tue capacità, devi crederci-
sorrise, -Ti ricordi il foglio che mi hai dato qualche settimana fa?
Sappi che sta diventando una canzone, Lass uns laufen-
Spalancai gli occhi, l’avrebbe fatto
davvero? Le mie parole in un suo cd..
-Non vedo l’ora di ascoltare che
uscirà!- mormorai imbarazzata.
-Sarà bellissima, l’hai scritta tu!-
affermò.
-Sarà bellissima perché sarai te a cantarla-
ribattei, lui scosse la testa, arrendendosi.
-Lasciamo perdere! Sappi che sarò il tuo primo lettore,
voglio anche un libro autografato!- esclamò.
-Sognatelo! Poi se mai pubblicherò, non userò il
mio nome!-
-Perché?- domandò interrogativo.
-Beh, se uscirà, porterà con sé una
nuova Mel, è un modo per cancellare il passato diciamo-
Lo vidi riflettere, sapevo voleva controbattere,
perché dietro alla mia frase c’era di
più.
Pubblicherò il libro quando
sarò guarita.
Pubblicherò il libro quando inizierò una nuova
vita.
Pubblicherò il libro quando questi anni saranno terminati.
Pubblicherò il libro e non
sarebbe stato avvertito.
Però tacque, si limitò a
lasciarmi un’occhiata triste, che ricambiai.
Rimanemmo un attimo in silenzio, non sapevo come iniziare ancora una
conversazione. A salvarci da quel “nulla” fu lo
squillo del mio telefono, guardai il mittente: mamma.
-Pronto?- domandai incerta, di solito quando
chiamava era perché..
-Tesoro, dove sei? Sono venuta a farti una sorpresa in clinica ma non
ti ho trovata! Mi hanno detto che sei uscita..- ecco, avevo indovinato.
Ero nei guai.
-Ehm, sono a pranzare fuori- dissi, sapendo non si sarebbe accontentata
di ciò.
-Si, fin qua ci sono arrivata! Volevo sapere.. con chi- aggiunse con
tono di chi la sapeva lunga.
Oh, oh. Problemi; Bill intanto mi fissava
interrogativo, mimai un “mia madre” con il labiale
e spalancò gli occhi.
-Senti mamma, ora torno, ci vediamo fra dieci
minuti- misi giù il telefono.
-Tu madre eh..- commentò Bill.
-Già, siamo fregati- sbuffai, non volevo che venisse
sottoposto a un terzo grado.
-Non fare quella faccia, non può essere così
male, suvvia!- sorrise, -Io piaccio a tutti- fece
l’occhiolino, facendomi ridere.
-Poi beh, se sono riuscito a conquistare te, un osso duro,
riuscirò anche con lei- aggiunse.
-Lei ti adora già, comunque- sospirai, -andiamo?-
annuì.
-Mi adora già? Che intendi?- chiese una volta incamminati.
-Perfino lei ti conosceva guarda un po’! Ha detto che le
piace la tua musica, e credimi questo è già
fondamentale visto che è di gusti molto, ma molto difficili!
Poi beh.. ha visto che da quando sei entrato nella mia vita sono
cambiate parecchie cose, insomma, sono più felice, e non
può che amarti anche lei per questo- mormorai abbassando la
voce, vergognandomi un po’.
In risposta lui mi strinse ancor più a
se, stringendomi la mano e passandomi un braccio sulla spalla.
-Allora non vedo l’ora di conoscere tua
madre!- sorrise, -mi sembra che il vostro rapporto sia migliorato, mi
sbaglio?-
-No, hai ragione! Riusciamo a parlare più di prima,
civilmente!-
-Sono contento, è brutto non avere un buon rapporto con i
propri genitori-
-Parli di tuo padre, vero?- Non aveva mai approfondito
l’argomento con me, sapevo che parlare del divorzio dei suoi
era ancora un argomento “tabù”
perché lo faceva soffrire ancora, dopo tanti anni.
-Esatto, diciamo che.. non abbiamo un vero rapporto- si strinse nelle
spalle, -Lo vedo di più fino a qualche mese fa,
perché essendo minorenne doveva firmare anche lui le carte
per la casa discografica, ma nulla di più, quasi un rapporto
lavorativo insomma. Quando si separarono, inizialmente passava
regolarmente a prendere Tom e me per portarci in giro, poi sempre
più raramente. Nel frattempo crescevamo, e come puoi vedere
di certo non eravamo ragazzi che possono essere etichettati come
“normali”. Prova a immaginare, un mese prima ci
vede identici e ordinari, torna trenta giorni dopo e mi trova truccato
e tinto di nero, mentre Tom con i rasta e i vestiti larghi. La sua
reazione non si è fatta attendere e non è stata
piacevole, credimi. Ancora oggi sento le parole che mi disse e riescono
ancora a ferire! Poi da quando sono diventato famoso è
ancora peggio, è.. difficile- sospirò.
–E poi tu non mi hai ancora visto “in
tiro”, magari avrai la stessa reazione- strinse le spalle.
Vederlo così indifeso mi fece stringere
il cuore, non si meritava quegli insulti, assolutamente no.
-Bill, hai visto me? Tu sei bellissimo, e per me lo sarai sempre, con
qualsiasi cosa addosso- gli sorrisi.
-Capisco gli insulti feriscano, credimi ci sono passata!
Però ti hanno reso più forte ed è
anche grazie a loro se sei diventato il ragazzo splendido che sei; non
è da tutti non montarsi la testa grazie alla fama, ecco,
secondo me tu sei rimasto il ragazzo spontaneo e dolce di sempre,
nonostante sia famoso arrossisci comunque di fronte a un complimento! E
quelli che insultano è perché non sanno che dire,
perché la vostra musica non può essere offesa, se
l’avessero mai ascoltata col cuore probabilmente capirebbero
anche loro. Si limitano però a dare giudizi superficiali,
soffermandosi sull’apparenza, e ciò fa di loro
degli stupidi. Magari un giorno matureranno e capiranno quanto vali,
credimi, tu vali tanto-
Mi guardò e notai i suoi occhi farsi
lucidi, non resistetti e lo strinsi in un goffo abbraccio.
-Grazie Mel, solamente grazie. Nonostante il mio
sogno si stia realizzando io rimango sempre il solito ragazzo insicuro,
e a volte ho proprio bisogno di qualcuno mi ricordi non devo essere
perfetto per forza-
Sicuramente Bill Kaulitz era il ragazzo
più imperfetto che esistesse, ma per me lui era
l’ideale di perfezione. Lui.
-Ora basta discorsi deprimenti, siamo arrivati-
disse una volta presa la via della clinica.
-Pronto a conoscere mia madre?-
-Mh, teoricamente!- ridacchiò.
-Ragazzi, finalmente! Mel tua madre mi ha detto di riferirti che ti sta
aspettando in camera- ci fermò Julia appena entrati.
-Hai parlato con lei?- domandai stranita.
-Oh l’ho incontrata per il corridoio e notando la somiglianza
l’ho fermata- fece l’occhiolino. –In
bocca al lupo ragazzi, dopo voglio sapere tutto!- si dileguò
così com’era arrivata.
-In bocca al lupo, proprio- borbottai nervosa, facendo ridere Bill.
Il tempo di prendere l’ascensore e
raggiungere il mio piano e ci trovammo di fronte alla porta di camera
mia.
-Sai cosa dovresti fare ora? Tirare la maniglia e
aprire la porta, vuoi che ti mostro come si fa?- domandò
ironico il moro, alzando un sopracciglio.
Gli rivolsi un’occhiata storta e feci come
“consigliato”, trovando mia madre seduta alla
scrivania; appena ci vide si alzò sorridendo, mostrando
tutta la sua bellezza. Come la invidiavo..
-Salve ragazzi!- esclamò avvicinandosi e mi sorprese con un
abbraccio.
-Ti vedo bene Mel- costatò dopo avermi squadrato,
soddisfatta. Poi spostò il suo sguardo alla figura al mio
fianco.
-Beh, tu sei il famoso Bill. Piacere-
-Piacere signora Bauer- si presentò lievemente in imbarazzo.
-Oh chiamami Mathilda, sennò mi sento vecchia!- disse
allegra, spezzando la tensione.
-Allora, piacere Mathilda- sorrise.
-Beh, allora, che mi raccontate?-
Mia madre si trattenne per ben due ore, stranamente
non fu spiacevole come avevo immaginato, anzi! Era la conversazione
più piacevole che ebbi con lei da fin troppo tempo, e
continuò anche dopo che Bill se ne andò per
andare dal fratello, lasciandoci sole.
-Siete bellissimi insieme- fece.
-Mh..-
-Oh non rispondere così, è la verità!
Siete innamorati!- aveva un’espressione trasognata.
–Ti illumini quando sei vicina a lui, o quando semplicemente
lo guardi-.
-Sono innamorata- affermai semplicemente.
-Oh si vede da un miglio di distanza piccolina mia. Ora sono curiosa
però- lo sguardo divenne terribilmente e spaventosamente
malizioso, -insomma..- ammiccò.
-MAMMA!- esclamai imbarazzata, -certo che no!- arrossì fino
alla punta dei capelli.
-Ma è normale alla tua età! Non
c’è niente di cui vergognarsi, anzi! È
per questo che ho un regalo per te, non potevo dartelo quando
c’era Bill- detto ciò tirò fuori dalla
sua borsa un'altra borsetta contenente parecchi completi intimi.
Inutile dire quanto fossi in imbarazzo in quel
momento.
-G-grazie- mormorai per cambiare discorso
più velocemente possibile.
Mia madre era.. assurda!
Non che non ci avessi fatto un pensierino insomma..
-Okay vedo che non vuoi affrontare questo argomento- rise, -Allora come
sono andate le ultime visite?-
Che bello, un argomento “migliore” del precedente!
Scossi le spalle. –Al solito, la situazione non cambia, non
migliora né peggiora-
-Io comunque ti vedo meglio, e penso sia anche merito di Bill!-
Sorrisi, era sicuramente merito suo!
-Oh tesoro, si sono fatte le sei! È
meglio che vada ora, o perdo il treno!- affermò, -Cerco di
tornare presto, va bene?- annuì.
-A presto mamma- la salutai e per la prima volta fui quasi triste
quando se ne andò.
Ora mi aspettava una serata da passare da sola, in quanto Bill era
stato “preso in ostaggio” dal fratello.
Cenai, poi presi l’ipod e mi lasciai cullare dalla musica dei
Tokio Hotel, entrata di diritto – con prepotenza –
nel mio cuore.
E, come accadeva da quando Bill era entrato nella mia vita, mi
addormentai col sorriso.
“Buonanotte
mia dolce principessa. Sogni d’oro”
“Dolce
notte anche a te, superstar”
Sarebbero stati sicuramente sogni d’oro,
poiché ne era il protagonista.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo XVI (D) ***
NdA:
Sono già
qui! Yeeeah :D
Non pensavate eh? Stavolta sono stata veloce! Volevo postare prima
della mia partenza per la Germania jkfwef **
Vi avevo avvertite, è moooolto lungo! Potrebbero esserci
vari errori sparsi perché non ho trovato tempo per
correggerlo,
ho pensato di betare tutta la storia una volta conclusa
ù__ù
Mh, è molto fluff come capitolo, per questo a me piace LOL
Spero piaccia anche a voi!
Lasciate qualche recensione però, battete un colpo se ci
siete!
Anna
Ps: mi farebbe piacere se
leggeste anche queste: Pieces
e Not
enough. :)
Capitolo
XVII
Era
passata già una settimana dall’uscita con Bill e
dall’incontro con mia madre, da allora non ero più
riuscita a vederlo spesso in
quanto lui era impegnato con la riabilitazione delle voce e quando era
libero
toccava a me avere le terapie oppure avere lezioni; questa
“lontananza” indotta
era servita solamente a farmi capire quanto presa fossi dal cantante,
infatti
ogni cellula del mio corpo percepiva l’incessante bisogno di
lui, di una sua
carezza, della sua risata. Come spiegare ciò? Ah, amore.
Sbuffai scuotendo la testa, Bill Kaulitz monopolizzava i miei pensieri
leggermente troppo, e quella sera non era diverso visto che dovevo
recarmi da
lui per passare del tempo insieme, poiché il giorno
successivo non saremo
riusciti a incontrarci e lui si era ricordato del mio compleanno e
voleva
festeggiare; non aveva più fatto parola riguardante a una
festa o possibili
regali e ciò non poteva che farmi piacere.
Sistemai la maglietta che avevo scelto di indossare e mi recai per
un’ultima
controllata in bagno, quando sentì bussare; invitai ad
entrare mollando un urlo
e scoprì che l’ospite era la mia amica Julia.
-Buonasera quasi maggiorenne!- salutò piazzandosi sul mio
letto.
-Buonasera anche a te rompipalle- ricambiai uscendo pronta e
lanciandole
un’occhiata di sbieco.
-Come siamo accoglienti- sbuffò mentre io scossi le spalle;
-Senti, io i
prossimi due giorni non ci sono perché ho
un’uscita a Colonia con il gruppo- si
interruppe per fare una faccia disgustata, -E quindi non possiamo
festeggiare
il tuo compleanno domani, perciò ho pensato di autoinvitarmi
stasera; so che
hai un incontro con Bill però.. potete vedervi comunque
domani sera, magari per
meno tempo.. mentre con me no- si incupì.
-Julia.. non posso dar buca al mio ragazzo.. insomma..- cominciai
tentennante,
mentre il suo viso assumeva sempre un cipiglio più triste e
gli angoli della
bocca si piegavano inevitabilmente all’ingiù. Ogni
parola il suo sguardo
diventava più vacuo e offuscato, lo faceva apposta quella
ragazza!
-Oh ma cosa te ne esci con facce del genere? Mi vuoi far sentire in
colpa?-
esclamai.
-N-No..- rispose piano.
Maledissi l’avere una coscienza e poca resistenza alle moine,
infatti mi
arresi.
-Ah bene! Avverti Bill io corro a prendere il tuo regalo!- aveva
ripreso subito
vita però, la presi a parolacce mentalmente e presi il
telefono per chiamare il
nero.
-Pronto?-
-Ehi piccola, cos’è quel tono abbattuto?- colse
subito la sfumatura depressa
della mia voce.
-Julia si è praticamente stanziata in camera mia quindi
stasera non riesco a
venire da te- sospirai.
-Oh.. possiamo rimandare a domani- disse lui, lasciandomi un
po’ perplessa,
sembrava poco dispiaciuto. Sentì dei rumori di sottofondo
che lui coprì
mettendo una mano sulla cornetta, riuscì però a
percepire parlasse con
qualcuno.
-Bill, ci sei? Bill?- domandai sentendomi stupida.
-Si scusa, era arrivata l’infermiera a portare gli
asciugamani puliti- scusa
poco plausibile.
-Mh..-
-Ora devo andare, sono parecchio stanco. Ti chiamo domani mattina- fece
sbrigativo, -divertiti- e mise giù.
Rimasi a fissare il telefono sbigottita finché Julia non
irruppe in camera con
il fiatone, circa cinque minuti dopo.
-Scusa, ho fatto una corsa- non si vedeva, aveva solamente le guance
paonazze e
il respiro corto.
-Non serviva corressi così eh, come mai ci hai messo tanto?-
-Non ricordavo dove avevo messo il pacchetto- non mi guardò
negli occhi.
–Comunque eccolo qui!- mise davanti ai miei occhi una
bellissima confezione
regalo.
-E io non ricordavo d’averti chiesto di farmi un regalo-
sbuffai.
-Mi pare il minimo, no?- mi guardò di sottecchi, -Insomma,
sei la mia unica
amica e mi dispiaceva non farti qualcosa-
s’imbarazzò facendomi sorridere.
-Oh vieni qui!- allargai le braccia e mi raggiunse sul letto,
abbracciandomi.
-Vedo che con il passare degli anni diventi più affettuosa-
mi prese in giro.
-Ah, sto morendo dal ridere, vedi?- affermai con faccia seria e
sopracciglio
alzato.
-Che palla sei! Comunque, che si fa?- domandò.
-Sei tu quella che si è invitata qui, dovresti averle tu le
idee, io potrei
andarmene a dormire-
-Aspetta- frugò nella sua borsa. –Ho portato un
film, guardiamo questo? Così si
fa mezzanotte- scossi le spalle e accettai solamente dopo aver
costatato non
era romantico ma una commedia, almeno mi risollevavo l’umore!
Inserì il dvd e fece partire il film, io intanto vagavo con
i miei pensieri.
Bill mi era sembrato strano, distante.. e la cosa m’aveva
spaventato non poco,
cosa nascondeva?
Perché aveva chiuso la chiamata così velocemente?
Perché aveva mentito quando avevo sentito i rumori nella
stanza?
Le immagini scorrevano mentre la mia testa si riempiva di paranoie
assurde.
-Mel, sento le tue rotelle girare da qua, tutto okay?- mi
scoprì Julia,
fissandomi negli occhi curiosa.
-Non so neanche io- scossi le spalle, -Bill staserà mi
è sembrato strano, come
se volesse evitarmi- la sua faccia cambiò espressione,
sbigottita.
-Sarà stata una tua impressione, forse era solo stanco- mi
rassicurò con voce
dolce, -Non devi farti castelli solo perché si è
rivelato sbrigativo, okay?-
Annuì.
-Ecco, e ora aspetta..- guardò l’orologio, -undici
e cinquantasei, direi che
puoi aprire il regalo!- mi porse la confezione entusiasta.
La presi e scartai lentamente la carta regalo e riversai il contenuto
sul
letto, arrossendo.
Dovevo immaginare un regalo di questo tipo da lei, un completo intimo
nero con
del pizzo ai bordi, sentì le mie guance imporporarsi.
-Ma ti imbarazzi per così poco?- scoppiò a ridere.
-Piantala- farfugliai. Lo rigirai, era molto carino anche se non del
mio
genere.
-Dai provalo, poi ti do l’altro- mi incitò.
-Un altro? E io che non volevo spendessi soldi per me- sbuffai,
arrendendomi e
entrando in bagno.
Indossai mutande e reggiseno guardandomi allo specchio; facevo la mia
figura in
effetti, il nero contrastava con la mia pelle dal colorito cadaverico e
il
completo metteva in evidenza le mie forme non molto pronunciate, anche
a causa
della mia magrezza.
-Fatti vedere su!- mi esortò Julia, eseguì
imbarazzatissima.
Uscì e mi squadro dalla testa ai piedi, contribuendo solo a
peggiorare la
situazione.
-Ma dove tenevi nascoste quelle tette?- ridacchiò, -Ti sta
benissimo! Ora tieni
quello, voglio che scarti subito l’altro regalo!-
Farfugliai qualcosa di indistinto, mi rivestì il fretta e
presi l’altro
pacchetto, uscito dalla borsa. Lo aprì lentamente e mi venne
spontaneo
sorridere guardando il contenuto: una t-shirt lunga e azzurra, con una
scritta
stampata in nero, la quale diceva:
“Muse of the dark Superstar”
Mi
sorprese l’uso dell’articolo determinativo,
però infondo
era corretto, ero la “musa” del cantante dark, Bill
Kaulitz.
-Julia ma è stupenda! Grazie mille! Solo tu puoi farmi un
regalo del genere!-
scoppiammo a ridere.
-Sono contenta ti piaccia, volevo farti qualcosa di personale- fece
l’occhiolino, gettando un’altra occhiata
all’orologio.
Mezzanotte.
Mi travolse in un abbraccio inaspettato, tanto da farci cadere sul
materasso e
scatenare un’altra ondata di riso.
-Tanti auguri Mel! Sei maggiorenne! Piccole donne crescono- fece con
aria
tragicamente nostalgica.
-Grazie mille! Eh sì, come passa il tempo!- tirai fuori la
lingua e sbadigliai.
-Si vede l’età eh, già sonno? Beh
meglio dormire, domani ti… cioè mi aspetta
una lunga giornata- si corresse e la guardai stranita, senza darci
però più di
tanto peso.
-Meglio, sono esausta!-
Dopo esserci messe in pigiama e coricate sotto le lenzuola mi portai le
cuffie
dell’ipod alle orecchie, cercando una canzone che mi facesse
da ninna nanna.
“Unsere
Träume waren gelogen
Und keine Träne
echt.
Sag das das nicht wahr ist,
Sag’s mir jetzt.
Vielleicht hörst
du irgendwo,
Mein SOS im Radio!
Hörst du mich? Hörst
du mich nicht?”
Cullata
dalle dolci note e melodiosa voce di Bill in “Rette
mich”
chiusi gli occhi e feci trasportare nel mondo dei sogni di Morfeo.
Sentì
il mio corpo riprendere leggermente contatto con la
realtà, seppur fossi ancora in dormiveglia. Nella stanza
percepivo del
movimento e capì che Julia s’era già
alzata e stava parlando piano con qualcuno
di cui non capì l’identità, in quanto
ancora intorpidita dal sonno.
-Adesso la sveglio- la sentì dire e poi mi sentì
scuotere e chiamare.
-Mh, Julia non rompere le palle e lasciami dormire- sbuffai.
-Cosa? Dormire
ancora? È quasi
mezzogiorno e fra due minuti devo partire, ero passata a salutarti.. ma
se non
vuoi-
Con tutte le forze che avevo in corpo lottai e riuscì a
tirarmi su, cercando di
focalizzare l’ambiente, la mattina ci mettevo un
po’ a connettere.
Passato un minuto a fissare il vuoto lanciai uno sguardo alla sveglia e
istintivamente guardai male la mia amica.
-Quasi mezzogiorno? Non sono neanche le otto!- esclamai inorridita.
-Ops, scherzetto! È per una buona causa, capirai!- fece
l’occhiolino, sparendo
fuori dalla porta e lasciandomi imbambolata.
-Buongiorno Prinzessin- drizzai in piedi sentendo la voce provenire dal
corridoio e vedendo Bill entrare e avvicinarsi al mio letto.
Bum, bum. Il mio cuore perse
un battito per poi sobbalzare sempre più veloce.
-Buongiorno..- mormorai, imbarazzata, chissà
com’ero messa.. –Cosa ci fai qui?-
chiesi stupita.
-E’ il mio regalo di compleanno. Vestiti e poi ti dico tutto-
generalmente le
sorprese non mi piacevano, ma fatte da lui.. la storia era diversa.
Andai
subito in bagno e indossai le prime cose che trovai, jeans e maglia
tanto per
cambiare, neanche cinque minuti dopo ero di nuovo in sua compagnia.
-Curiosa eh?- ridacchiò.
-Sì- mugugnai.
-Prendi una borsa e metti dentro cellulare, caricabatterie, ipod,
macchina
fotografica, la tua agenda.. cose così, su dobbiamo
sbrigarci!-
Feci ciò che m’aveva chiesto, ancora piuttosto
confusa e in attesa di
spiegazioni.
-Ecco, adesso usciamo che gli altri tre dei Tokio Hotel vogliono farti
gli
auguri-
Prese la mia mano e
subito sentì il
sangue salire sulle guance e un calore innaturale avvolgermi, come
sempre la
sua presenza non mi faceva restare indifferente; mi condusse
nell’atrio, dove i
tre mi aspettavano decisamente assonnati.
-Ragazzi, buongiorno!- salutai, -Mi dispiace che qualcuno- sottolineai
l’ultima
parola, -che qualcuno vi abbia costretto ad alzarvi presto solo per
farmi gli
auguri!-
-Figurati Mel, una volta ogni tanto possiamo fare uno strappo alla
regola!-
rispose Georg sporgendosi verso di me per augurarmi buon compleanno,
seguito da
Gustav.
-Diciotto anni eh? Vedi di andare dall’estetista il prima
possibile, noto già
qualche ruga attorno agli occhi- osservò ovviamente Tom.
-Ah, come siamo gentili- sbuffai.
-Dai, vieni qui piccola rompiscatole conquistatrice di fratelli
altrettanto
rompipalle!- mi sorprese abbracciandomi e notai che, una volta
staccatosi,
lasciò qualcosa dentro la mia borsa, facendo
l’occhiolino.
-Questi sono i nostri regali comunque- intervenne il batterista,
-Abbiamo
saputo tardi del tuo compleanno, ti avremmo fatto qualcosa di meglio
sennò!-
aggiunse imbarazzato.
-Non dovevate fare proprio nulla invece- sbuffai, guadagnandomi una
brutta
occhiata da tutti.
-Okay, okay sto zitta!- risi, mentre mi porgevano due pacchetti.
Scartai il primo e ridacchiai guardando il contenuto: una maglia di un
gruppo
tedesco a caso, Tokio Hotel.
Il secondo conteneva una borsa a tracolla, sempre dello stesso gruppo.
-Oh che bei regali! Come facevate a sapere che mi piace questo gruppo?-
domandai sorridente.
-Piacciono a tutti, soprattutto perché il chitarrista
è un gran bel ragazzo!-
Esclamò Tom.
-Invece mi dicono sia perché in cantante è
bellissimo..- ribatté Bill.
-Io trovo siano tutti carini invece!-
Lo pensavo davvero, la band oltre ad essere formata da quattro talenti,
era
formata da quattro ragazzi, uno più bello
dell’altro. Erano particolari,
diversi tra loro ma formavano un miscuglio omogeneo quando suonavano,
il mio
ragazzo m’aveva più volte spiegato a quante
critiche erano sottoposti ogni
giorno per la parte estetica, anche quanto ciò gli desse
fastidio poiché non
era quello che andava valutato, bensì la musica. Soggetti a
giudizi parecchio
superficiali, talvolta addirittura cattivi e distruttivi.
E ciò era servito solamente a renderli più forti,
delle persone migliori.
-Grazie Mel, se non ci fossi tu come faremmo io e il povero Georg?-
intervenne
Gustav sorridendo allegro, era di una pacatezza incredibile, posato e
timido.
Tuttavia era il batterista, lui dava il ritmo a tutto, era energia pura
nonostante l’apparenza ingannasse.
-Figurati, è quello che penso- feci l’occhiolino.
-Si, bando alle ciance adesso! È ora di andare, vieni
principessa- ci
interruppe Bill porgendomi la mano e trascinandomi via da lì.
-Cos’è tutta quest’irruenza?- domandai
interrogativa, stupita dalla sua
frettolosità.
-Mh, abbiamo un aereo da prendere- rispose semplicemente lui, mentre io
spalancavo la bocca incredula, facendolo ridere.
-Un cosa?-
-Aereo, presente quel coso grande, con un motore che lo fa volare? Due
ali,
ruote, eccetera?- mi prese in giro.
-Ah, come sei simpatico! Hai mangiato pane e sarcasmo stamattina per
colazione?- lo ammonì.
-In realtà devo ancora fare colazione, la faremo una volta
arrivati lì-
-E, tanto per sapere sai, visto che non ho valigie ne altro,
lì dove sarebbe?-
troppo misterioso per i miei gusti.
-Non te lo dico, è una sorpresa!- mi fece una linguaccia,
-non preoccuparti per
le valigie, per organizzare tutto ho chiesto il permesso a tua madre e
le ha
preparate lei con l’aiuto di Julia- confessò.
In quel momento desiderai essere senza bagagli, un brivido mi percorse
la
schiena, l’idea di mia madre e della mia amica che
complottavano per scegliermi
i vestiti mi spaventava e non poco, quelle due insieme erano qualcosa
di
pericoloso, basta pensare a i completi intimi che m’avevano
regalato! Me
l’avrebbero pagata, certo.
-Posso denunciarti per rapimento se non me lo dici- esclamai
soddisfatta.
-Invece no, non è un rapimento in piena regola. I tuoi
genitori sanno dove sei,
hai il cellulare, soldi per scappare e io non ti farei mai
del male. Ho parlato anche con i medici, e hanno detto che
puoi
venire. Non ti piace proprio l’idea di passare del tempo con
me?- mormorò
mentre il suo sorriso spariva trasformandosi in un delizioso broncio.
Odiavo quando faceva così, perché con
quell’espressione era impossibile non
cedere, era impossibile non correre da lui e consolarlo.
Chissà quanto si era allenato per riuscirci, alla fine aveva
un’arma micidiale
dalla sua parte.
Perché esistevano persone così perfette? Da
quando lo conoscevo me l’ero
domandato tante, parecchie, troppe volte.
-Non mi piace l’idea, io amo l’idea,
adoro passare tempo con te. Solamente.. sono stupita e curiosa- risposi
mordendomi il braccio, mentre salivamo nella macchina guidata dal
fedele Saki.
-Solitamente, come avrai capito, sono una persona parecchio logorroica
che
fatica a tenersi le cose per sé, ma stavolta non riuscirai
ad ottenere nemmeno
un indizio. Capirai dopo siamo diretti una volta arrivati, anche
perché non
saliremo sull’aereo di linea, ma su quello privato della
band, e ho detto al
guidatore di non accennare alla destinazione. Non ti preoccupare
comunque,
restiamo in Germania-
-Sei uno stronzo- sbuffai, mentre mi guardava offeso, -un adorabile
stronzo-
aggiunsi ridacchiando.
-Vieni qui piccola- prese il mio braccio e mi trascinò
addosso a lui; -so che
hai dormito poco stanotte, anche colpa mia. Come avrai capito ho
organizzato io
l’irruzione di Julia nella tua camera, per questo ti evitavo,
mi spiace abbia
pensato male. Perciò riposa pure-
Mi parlò con tono dolce, accompagnandosi con gesti teneri
prese le mie gambe e
le allungò sul sedile, mentre accarezzò la mia
testa posata sulle sue cosce.
L’abitacolo si riempì delle melodiose note di
“In die Nacht” e, accompagnata
dal movimento ritmico della sua mano sul mio viso, mi lasciai cadere
addormentata.
Sentivo
dei rumori vicino a me e dei movimenti, ma ero
troppo intontita per identificare ciò che stava succedendo.
-Ehi piccola, siamo arrivati- il respiro di Bill mi arrivò
caldo sull’orecchio,
riempendomi di calore e costringendomi ad aprire gli occhi.
-Dobbiamo prendere l’aereo?- mugugnai strofinandomi gli occhi
con le mani, mi
sentivo parecchio intontita. Bill scoppiò a ridere e lo
guardai confusa.
-Che c’è?- domandai stranita.
-Guardati meglio attorno- suggerì.
Di malavoglia mi tirai su dal sedile e sussultai notando non eravamo
più in
macchina, bensì in un piccolo elicottero che stava per
atterrare.
-Come..?- mormorai confusa.
-Dormivi proprio profondamente e non me la sono sentito di svegliarti,
così
Saki mi ha aiutato e ti abbiamo portato dalla macchina direttamente qua
e tu
non ti sei mossa, sonno da recuperare eh? Adesso siamo quasi a terra-
sorrise
con affetto.
Venni colpita dalla consapevolezza di essere a parecchi metri da terra
e cominciai
a tremare, viaggiare ad alta quota mi spaventava sempre, avevo paura
dell’altezza, nonostante mi vergognassi ad ammetterlo.
-Ehi, calmati, non c’è nulla da temere- mi
rassicurò Bill intuendo il motivo
del mio cambiamento d’umore e stringendomi repentinamente a
sé, mi concentrai
sui battiti irregolari del suo cuore e alla fine mi tranquillizzai.
L’aereo planò e finalmente i miei piedi toccarono
terra. Ad aspettarci c’era
l’altra guardia del corpo, Tobi.
-Le valigie sono già in auto- mi informò,
-portaci all’hotel grazie- sorrise al
bodyguard.
Guardai distrattamente attorno, alla ricerca di qualche indizio che
mostrasse
dove eravamo atterrati, peccato che la pista fosse deserta e desolata,
senza
alcuna indicazione.
-Smettila di squadrare il paesaggio, fra poco capirai tutto-
anticipò ogni mia
domanda, io sbuffai.
Salimmo nuovamente il macchina ma stavolta il viaggio fu più
breve, Bill mi
tenne praticamente in braccio, sempre con lo sguardo fisso sul mio.
Avevo
capito era una tattica per non farmi capire dove ci trovavamo, ma come
diversivo mi piaceva parecchio.
-Eccoci- annunciò l’uomo.
Ci trattenemmo nella vettura ancora un po’, il tempo per far
uscire le valigie
e consegnarle a qualcuno a me sconosciuto, poi finalmente il cantante
si decise
ad aprire la porta.
Spalancai gli occhi davanti all’albergo scelto per il
soggiorno. Niente di meno
che il Ritz di Berlino, trasudava lusso e ricchezza da ogni parte.
Era una struttura imponente, esclusiva, per uomini d’affari e
personaggi
famosi. Gente esclusiva quindi.
-Tu sei pazzo. Non puoi aver prenotato una camera al Ritz- mormorai
ancora
stupita. Notai come mi era uscita spontaneo dire ‘una
camera’ e non due..
-Non l’ho fatto- lo guardai stranita, -Ho prenotato la suite
imperiale- mi
sorrise angelico.
-Ma cosa? Bill ma quanto ti costa, non te lo permetto!- affermai.
-Senti, sono una persona che ama fare shopping e neanche ti immagini
quanti
soldi riesca a fare fuori in una giornata. Ora pensa da quanto sono in
clinica,
ecco.. in questo tempo non ho fatto un minimo di shopping, quindi ho
risparmiato e questo mi sembra un ottimo modo per spendere i miei
soldi. Per
stare con te, quindi rassegnati, ormai è tutto fatto-
parlò sempre con quel
sorriso insopportabilmente bellissimo stampato in faccia.
-Perché sei così cocciuto Kaulitz?- sospirai
sconfitta.
-Oggi compi diciotto anni, è il minimo che posso fare per la
ragazza di cui
sono innamorato- spiegò con una semplicità
disarmante e non me la sentì di
ribattere, lo guardai commossa baciandolo leggermente. Mi meritavo un
ragazzo
così?
-Vuoi rimanere a consumare l’hotel con lo sguardo o
entriamo?-
Senza aspettare che rispondessi mi prese per mano e mi
trascinò all’interno,
non potei che ammirare la bellezza dell’interno, chiedendomi
cosa mi dovessi
aspettare dalla camera.
-Saliamo in camera, è tutto lì- salimmo in
ascensore silenziosamente.
-Oh..- incalzò poi lui, -ho preso una camera soltanto, non
voglio tu possa
pensare male!- arrossì gesticolando velocemente, facendomi
ridere, -le suite
hanno sempre due letti matrimoniali e due bagni, perciò non
farti idee
sbagliate- farfugliò imbarazzato.
L’idea di stare nella stessa stanza con Bill per
più di una notte mi piaceva
parecchio e non avrei mai pensato male, perché lui non era..
Tom.
Mi fidavo di lui, tanto.
Mi fidavo di lui però, anche per fare il passo successivo?
Per concedere ciò
che mai avevo concesso a nessuno?
Non mi ero posta il problema (?), non erano mai capitate situazioni
ambigue. La
risposta a quella domanda però arrivò in fretta,
contemporaneamente dal cuore e
dal cervello: sì.
Perché non avrei dovuto in fondo? Lo amavo! E poi
era una di quelle cose
che comparivano nella lista “cose da fare prima di
morire”.
-Non ti preoccupare Bill- lo tranquillizzai vedendolo terribilmente
imbarazzato, faceva una tenerezza infinita.
Ricambiò sorridendo e aprì la porta della camera.
“Dio mio!” fu
quello che pensai come
primo impatto. Era tutto.. enorme. Di fronte a noi c’era un
piccolo salotto con
un divano in pelle e una televisione a schermo piatto,
dall’altro lato una
piccola cucino con piano bar, un corridoio conduceva alle due camera,
una di
fronte all’altra, con accanto i bagni. La ispezionai
attentamente, lasciando
qualche esclamazione sorpresa di fronte al letto a baldacchino,
l’armadio
immenso, l’altro televisore in camera da letto, la mega vasca
da bagno nella
toilette, c’era perfino un pianoforte in soggiorno! Era tutto
perfetto.
-Ti piace?- domandò il mio ragazzo facendomi sobbalzare, mi
ero fermata in
contemplazione dell’ambiente.
-Se mi piace? È.. oddio non ho parole!- il suo viso si
contrasse in
un’espressione soddisfatta.
-Non so che altro dire se non.. grazie Bill- lo guardai con tutto
l’amore
possibile e non resistetti oltre, lo baciai con foga.
Ci staccammo per la mancanza d’ossigeno, io imbarazzata lui
sorpreso e
divertito.
-Dovrò organizzare sorprese così se le reazioni
tue saranno.. queste- strizzò
l’occhio.
Le mie guance si tinsero di rosso e lui me le accarezzò con
dolcezza, facendomi
andare in estasi.
-E’ troppo tardi per la colazione ormai. Ordino direttamente
il pranzo in
camera-
Annuì incapace d’aggiungere altro.
-Ma, quando partiamo per tornare a casa allora?- domandai dopo un poco.
-Dopodomani, la mattina- mi informò. Quindi due notti da
passare assieme..
-Se vuoi puoi disfare la valigia o comunque farti un bagno, tutte le
cose sono
di fianco all’armadio. Io ho bisogno di una rinfrescata, mi
stanco sempre a
viaggiare- seguì il suo consiglio e mi recai a vedere cosa
avevano messo in
valigia. La prima cosa che mi saltò all’occhio
furono i completi intimi
regalati da mia madre, il regalo di Julia l’avevo ancora
addosso. C’erano varie
magliette, tutte abbastanza carine, jeans stretti e un paio di leggins,
avevo
pensato peggio, non c’erano tacchi neanche vestiti. Sospirai
di sollievo.
Prelevai un paio di jeans, la maglietta – sempre regalo della
mia amica – e
presi l’occorrente per fare un bel bagno. Riempì
tutta la vasca e mi ci infilai
lentamente all’interno, sentendo ogni fibra del mio corpo
rilassarsi a contatto
col tepore dell’acqua e il profumo del bagnoschiuma alla
fragola. Ero in
estasi. Mi strofinai lentamente, pensando a ciò che aveva
fatto Bill per me,
mai nessuno aveva fatto un gesto così.
Mi venne l’istinto di scrivere qualcosa, purtroppo
però non avevo carta e penna
dietro, perciò mi rilassai e la mia testa fu invasa da una
melodia dolce al
piano. Mi tornava in mente ogni tanto, l’avevo iniziata a
scrivere prima di
entrare in clinica, qualcosa di semplice ma bello, poi non ero
più andata
avanti, per lo meno non l’avevo più provata,
perché capitava le note mi
risuonassero in testa e ne aggiungevo altre, col tempo.
L’arrivo del cantante nella mia vita m’aveva ridato
l’ispirazione.
Cominciavo a sentire freddo, segno fossi stata troppo immersa
nell’acqua – e
nei miei pensieri – perciò uscì e mi
rivestì velocemente, uscendo dal bagno con
un sorriso radioso.
Il moro era seduto sul letto che si spazzolava i capelli neri, ancora
umidi.
Indossava una maglia rossa e dei jeans neri. Probabilmente era anche
lui
soprappensiero perché non si accorse del mio arrivo e
sobbalzò non appena gli
presi la spazzola di mano e iniziai a passargliela io.
Lo vidi chiudere gli occhi, mentre il viso assumeva una piega angelica.
-Profumi di fragola- mugugnò sorridendo.
-E tu di menta e vaniglia- ridacchiai, posando le mie labbra sul collo
e
posandovi un leggero bacio.
Rimanemmo nuovamente in silenzio, non so quanto andai avanti a
spazzolare, mi
piaceva vedere il suo viso completamente rilassato e avvolto da
quell’aurea
dolce. Fummo interrotti dall’arrivo del pranzo.
Il cameriere posò due piatti di spaghetti al pomodoro
accompagnati da purè e
sentì l’acquolina in bocca. Anche Bill pareva
affamato come me, infatti ci
fiondammo entrambi sui piatti e spazzolammo tutto velocemente.
-Che buono, non so da quanto non mangiavo qualcosa di così
buono..- mugugnò
soddisfatto.
-Concordo, sento potrei cominciare a rotolare da un momento
all’altro-
concordai.
Notai che mi squadrò, prima non aveva prestato particolare
attenzione al mio
abbigliamento, poi si soffermò sulla maglietta.
-“Muse of the dark Superstar”-
lesse
trattenendo un sorriso.
-Regalo di Julia- spiegai.
-Trovo sia.. azzeccato sai? La mia musa Melpomene-
Un calore improvviso scaturì dal mio cuore e
sentì il risveglio degli elefanti
nel mio stomaco, altro che farfalle!
-E tu la mia superstar- lo abbracciai.
-Sei perfetta, lo sai?- sussurrò contro la mia fronte.
-Tu, forse. Insieme siamo la coppia più imperfetta che
esista- soffiai sul suo
collo, vedendo piccoli brividi percorrere la sua pelle.
-Non credo. Dobbiamo.. solo sistemare i nostri pezzi insieme, puoi dire
tutto
quello che vuoi.. ma io la vedo così, noi siamo una cosa
sola, come lo yin e lo
yang- mi strinse ancora più forte a sé, sentivo i
nostri cuori martellare allo
stesso ritmo.
Se fosse stato per me, mai mi sarei staccata da quel contatto, anzi!
Purtroppo
però il telefono si mise a squillare proprio in quel momento
e fummo costretti
ad allontanarsi, di malavoglia.
-Io devo fare alcune commissioni, ci metterò un
po’- mi informò congedandosi con
un bacio.
Io andai a recuperare il cellulare, la chiamata era di mia madre.
-Pronto Mel? Tanti auguri, di nuovo! Buon compleanno piccolina, oh non
sei più
piccola ora! Sei maggiorenne-
-Giorno mamma! Non ti commuovere- salutai di buon umore.
-Oh, sei allegra! Deduco la sorpresa ti sia piaciuta- la
sentì ridacchiare
attraverso la cornetta.
-Tanto- sussurrai fra le nuvole.
-Sei proprio innamorata! E anche Bill lo è, si capisce.
È un bravo ragazzo, già
lo sapevo ma adesso che ho confabulato con lui per organizzare la tua
sorpresa
posso solo riconfermare i miei pensieri-
-E’.. Bill è semplicemente perfetto- sorrisi,
anche se non poteva vedermi.
-Allora dimmi, tutto bene fino ad ora?-
-Di più, tutto benissimo! Penso il mio cuore
scoppierà d’amore prima o poi, lui
è così dolce.. mi chiedo come può
esistere una persona del genere!-
-Esiste e tu ne hai la prova, e sei fortunata perché
l’hai incontrato, tienilo
stretto, nonostante tutto!- mi ammonì.
-Si, si..- lasciai cadere il discorso.
-Ora ti lascio, poi voglio sapere tutto del viaggio eh!- disse allusiva.
-E quel tono cos’è?- imbarazzo, tanto imbarazzo.
-Nulla!- ridacchiò buttando giù il telefono.
Era impazzita, si comportava come una ragazzina! Però ero
contenta di aver
recuperato una parte del rapporto che avevo con lei.
Altra cosa per cui ringraziare Bill.
Ecco, ora che era uscito senza dirmi dove si recava mi trovavo libera e
senza
sapere cosa fare. Gironzolai un po’ e mi soffermai sul
pianoforte; era una
tentazione vederlo lì, da quanto non accarezzavo quei tasti
d’avorio? Da quanto
non mi lasciavo cullare dalla musica che usciva dalle mie stesse dita
leggere?
Come in trance mi sedetti sullo sgabello e, chiudendo gli occhi,
iniziai a
suonare melodie casuali.
Non so per quanto andai avanti, mi fermai quando le mie mani
cominciarono a
suonare le note che avevo in testa da un po’ autonomamente,
mi concentrai e
cercai di mettere insieme una composizione decente.
Non fu difficile, tutto usciva da sé, senza pensare, dal
cuore.
Tre minuti e cinquanta secondi dopo quelle note che da un po’
aleggiavano nella
mia mente erano state trascritte nel libretto con i pentagrammi che
portavo
sempre dietro, nonostante lo aggiornassi.. molto raramente.
Soddisfatta lasciai il pianoforte a causa del mio stomaco che reclamava
cibo,
frugai un po’ qua e la e recuperai un pacchetto di patatine
che finì in poco
tempo.
Due
ore dopo e Bill non era ancora tornato, mi stavo
decisamente annoiando. Avevo esaurito le cose da fare,
perciò optai per
ascoltare un po’ di musica: presi l’ipod e, nel
momento in cui l’estrassi dalla
borsa, mi ricordai che Tom v’aveva infilato qualcosa la
mattina. Frugai alla
ricerca del pacchettino e lo estrassi con cautela, era una confezione
piccola e
rettangolare, scartai delicatamente dall’involucro e ne
estrassi una bellissima
moleskine con un elegante stilografica. La accarezzai in venerazione,
era
semplicemente meraviglioso! Aprì la prima pagina e notai la
dedica del gemello.
“Mh, appena l’ho vista ho pensato a te!
Questo è anche per chiedere nuovamente scusa (non far
leggere a nessuno questo,
grazie!)
per come mi sono comportato all’inizio.. mi sono ricreduto su
di te,
anche perché da quando sei entrata nella vita di Bill lui
non smette un attimo
di sorridere,
era da tanto che non lo vedevo così felice (:
Quindi boh! Tutto qua, sai.. sì.
Mi raccomando, che questo rimanga fra noi, altrimenti posso dire addio
alla mia
reputazione da duro!!
Tanti auguri Mel,
TomsostitutodelsolenonchéSexGottKaulitz”
Un
sorriso ampio si fece spazio sul mio volto, quel ragazzo
era una sorpresa continua! Lo stavo scoprendo giorno dopo giorno ed ero
felice
avesse ritirato la maschera da duro con me, avevo capito che oltre allo
stronzo
c’era una persona dolce, anche se faticava a venir fuori.
Pensai a qualcosa da scrivere per inaugurare la prima pagina bianca
– seconda
considerando la dedica del chitarrista.
“L’anno scorso festeggiavo i miei
diciassette
anni.. sola.
Quest’anno è cambiato tutto.
Ho diciotto
anni e non li sento.
E so di chi è la colpa, sempre sua, sempre e comunque di
Bill Kaulitz.
Riesce a farmi sentire una ragazzina, un suo sorriso manda il tilt il
mio
già precario sistema nervoso, fatico a elaborare frasi
sensate in sua presenza.
Ma.. mi va anche bene. Sono spensierata quando sono con lui,
mi dimentico della malattia, tanto mi fa sentire bene.
Perché ha quegli occhi che mi fanno traballare
l’anima,
scavano dentro, leggono. Sciolgono, parlano. Amano.
Oh ragazzo, che mi hai fatto? Mi hai ammaliata.
Grazie Bill, ti amo, sai? Sei la mia superstar. Sei..
No, non vale la pena cercare altri aggettivi per descrivere,
sarebbe inutile. Ancora da inventare qualcosa per etichettare
l’effetto che hai
su di me.
Afrodisiaco. Curativo. Fuoco che arde e fa sciogliere ogni atomo nel
mio corpo.
Per sempre sacro.
Rimisi
l’agendina in borsa e con aria trasognata andai verso
il terrazzo, per ammirare il panorama, non l’avevo ancora
fatto prima.
I pensieri si fossilizzarono per un istante. Davanti a me si presentava
un
bellissimo paesaggio, Berlino e
la vita
frenetica, palazzi che si elevavano al cielo, macchine rinchiuse nel
traffico.
Ero affascinata da ciò, tanto che non mi accorsi della
presenza del mio ragazzo
finché non mi raggiunse da dietro e mi strinse la vita in un
dolce abbraccio.
Sospirai, mentre sentì le sue labbra poggiarsi vicino alle
mie orecchie.
Sentivo il suo cuore battere sulla mia schiena, prese un respiro e
cominciò a
cantare una melodia a me ancora sconosciuta.
“Ich halt
mich wach - für dich
Wir schaffens nicht beide - Du weisst es nicht
Ich geb mich jetzt für Dich auf
Mein letzter Wille hilft Dir raus
bevor das Meer unter mir - zerbricht
Ich glaub an Dich
Du wirst für mich immer
heilig sein“
Appena
riconobbi la canzone il
mio cuore prese a galoppare freneticamente, impazzito.
Una cosa era udire la sua voce attraverso delle cuffie, una cosa era
percepire
quella canzone cantata con tanto amore direttamente di fronte a me,
ogni parola
colpiva e graffiava l’anima, ogni parola lasciava una traccia
indelebile su di
me. Ogni singola sillaba era cantata con amore.
Mi sembrava d’essere in apnea, talmente immersa nelle
emozioni che lui mi
causava faticavo a ricordarmi come si respirava.
„Ich sterb
- für unsere Unsterblichkeit
Meine Hand - von Anfang an
über Dir - Ich glaub an Dich
Du wirst für mich - immer heilig sein“
Cominciai
a tremare mentre le
parole si imprimevano come marcate a fuoco nel mio cervello e nel mio
cuore.
Chissà se capiva che effetto destabilizzante avesse quella
canzone su di me, la
sua voce su di me.
„Meine
Hand - von Anfang an
über Dir - Ich glaub an Dich
Du wirst für mich - immer heilig sein“
Soffiò
le ultime parole
dolcemente mentre ero sopraffatta da tutte le emozioni che era riuscito
a darmi
in soli tre minuti di canzone.
Neanche mi ero accorta di piangere finché non
sentì il sapore amaro delle
lacrime sulle mie labbra e fui scossa da singhiozzi. Bill mi
girò prontamente e
rifugiai la testa sul suo petto, sentì chiaramente il suo
cuore battere
velocemente come il mio.
-Ehi, che c’è?- sussurrò dolcemente,
cullandomi.
-E’.. tu.. oh! Dio, non riesco neanche a esprimere quanto..-
sbuffai
esasperata, esprimendomi come riuscivo.
Presi il suo viso confuso fra le mani, lo fissai negli occhi cercando
di far
capire cosa provavo e lo baciai dolcemente.
-Sei meraviglioso, Bill- gli accarezzai le labbra con la lingua,
assaporandone
il sapore.
-Devo ancora darti il regalo, sai?- mi guardò colmo
d’affetto e.. felicità.
-Sei pazzo, regalo? E questo cosa sarebbe scusa?- domandai
esterrefatta,
indicando la camera d’hotel.
-Ti pare che per i diciotto anni non ti faccia un altro.. pensierino?-
inarcò
un sopracciglio.
Il tono con cui disse “pensierino”
mi
fece sussultare, chissà cosa intendeva lui con il
diminutivo.
Cercò qualcosa dalla tasca e tirò fuori una
piccola confezione accuratamente incartata,
lunga, sottile e rettangolare.
-Spero ti piaccia- disse con tono timido, porgendomela insicuro. Amavo
anche
quel lato del suo carattere, il fatto che, nonostante tutto, non si
fosse
montato la testa e fosse rimasto quel ragazzo che si imbarazzava e non
affrontava il mondo con strafottenza solo perché aveva i
soldi.
Con le mani ancora tremanti presi in mano l’oggetto e lo
scartai attentamente.
Spalancai gli occhi, incredula: sulla confezione era stampato con
calligrafia
elegante il nome “Tiffany & Co”. La
aprì e fui subito attratta da una
catenina fine e raffinata d’oro bianco, poi la mia attenzione
si spostò sul
ciondolo, che era in realtà un anello – stile
fedina. Lo presi tra le mani
rigirandolo, notai poi una parola iscritta all’interno
“Heilige Muse” – musa
sacra. Nuovamente i miei occhi si riempirono di lacrime. Lo porsi a
Bill
affinché me lo legasse al collo e lo sistemo sul mio collo
pallido, chiudendo
il laccetto.
-Nessuno ha mai fatto questo per me, nessuno- mormorai piano, cercando
di ricacciare
dietro le lacrime. –Grazie- aggiunsi.
-Sono contento ti piaccia- mi sorrise accarezzandomi il volto e
spazzando via
le lacrime.
Si piegò su di me e mi baciò a lungo, mentre mi
beavo della sua vicinanza.
-Ora basta piagnistei, non vorrai mica avere gli occhi gonfi stasera?-
domandò
ammiccando.
-Perché? Che facciamo stasera?-
-Sorpresa! Vediamo, hai un’ora per sistemarti, poi andiamo
fuori a cena e
vedrai! I vestiti te li ho messi prima in camera, a dopo!- ultimo bacio
e sparì
nella sua stanza, lasciandomi lì sola.
Sbuffai recandomi verso il mio letto, notandovi sopra due borse.
Segnale
d’allarme! Sbirciai nella prima e tirai fuori un vestito,
osservandolo critica.
Era blu scuro, di seta, arrivava poco sopra al ginocchio, stretto in
vita e
largo sul fondo, senza spalline con una fascia nera brillante stretta
sul seno.
Per quanto non amassi i vestiti, dovetti ammettere a me stessa che
quell’abito
era semplicemente stupendo, senza troppi sfarzi sembrava fatto su
misura per me. Lo
accarezzai sentendone la morbidezza.
Passai poi al pacchetto a fianco. Sicuramente scarpe, scossi la testa
non
appena lessi la marca: jimmy choo. Aprì la confezione e
estrassi un paio di
decolleté nere, con un tacco di almeno dieci centimetri.
Come avrei fatto a
camminarci? Sentivo già salire il panico perciò
optai per un’altra immersione
nella vasca, così da rilassarmi. Riempì di
bagnoschiuma alla fragola, tanto
amato dal cantante e mi ci immersi completamente, mentre ogni fibra del
mio
corpo si distendeva. Ne uscì una mezz’ora dopo,
rinfrescata e tranquilla: stavo
combattendo la leucemia, dovevo avere paura dei tacchi?
Passai alla preparazione per la serata, immaginai il luogo in cui
dovevamo
recarci fosse lussuoso, visto l’abbigliamento scelto. Guardai
cosa mi avevano
messo mamma e Julia nella valigia e estrassi il beauty, tirai fuori uno
smalto
blu scuro e lo passai accuratamente sulle unghie. Aspettai che si
asciugasse e
mi dedicai al make-up, non ero molto pratica ma la mia amica
m’aveva insegnato
qualcosa. Estrassi una trousse non mia e guardai le graduazioni di
colori,
cercando qualcosa di appropriato. Scelsi e cominciai ad applicare
l’ombretto
bianco perlato su tutta la palpebra, poi lo sfumai sul grigio e sul
marrone.
Aggiunsi cautamente una linea di eye-liner nero sopra
l’occhio e applicai della
matita bianca sotto, infine misi del mascara sempre scuro. Completata
l’opera
quasi non credevo ai miei occhi: ero davvero riuscita a truccarmi da
sola, così
bene? Avevo scelto il make-up giusto, l’azzurro degli occhi
era particolarmente
evidente e risaltava benissimo. Sorrisi soddisfatta di me. Tornai in
camera e
indossai il completo intimo sempre regalo di Julia e il vestito. Cadeva
perfettamente lungo il mio corpo, evidenziando le curve non molto
pronunciate e
valorizzando la mia magrezza – anche eccessiva –e
le gambe lunghe, slanciate
ancor di più da quei tacchi. Come ultimo tocco misi un
berretto nero in testa e
mi fissai allo specchio, rimanendo sbigottita dall’immagine
che rifletteva: una
Mel più bella, radiosa come non mai. Ero davvero io? Sorrisi
e recuperai un
cappotto lungo dalla valigia – chissà da dove
spuntava visto che non
apparteneva al mio armadio – e uscì pronta. Bill
era già in salone che mi
attendeva, mi concessi di osservarlo bene prima di farmi vedere.
Stranamente indossava un maglioncino nero con scollo profondo a v,
smalto alle
unghie e parecchi braccialetti a contornare le braccia magre. Portava
un paio
di pantaloni stretti e strappati, un paio di scarpe da ginnastica in
tinta.
Aveva i capelli lisci sulle spalle, sopra gli occhi uno strato leggero
di
matita nera.
Bill Kaulitz quella sera – come sempre anzi – era
l’emblema della bellezza.
Non lo si poteva etichettare come “figo”,
perché non lo era. Meraviglioso,
quello sì. Sentì uno strano calore propagarsi per
tutto il mio corpo, desiderio?
Fingendo sicurezza mi avvicinai a lui e, non appena mi vide, si
illuminò.
-Sei bellissima- commentò prendendomi fra le braccia.
-Non ho aggettivo per descrivere te, invece- sorrisi.
-Sei pronta?- domandò. Lo fissai negli occhi, di fronte a
uno sguardo del
genere mi trovavo inerme. Annuì, chissà cosa
aveva in serbo per me.
Tobi
ci aveva lasciati davanti
a un ristorante nella periferia berlinese, con l’ordine di
passare due ore
dopo, avevamo cenato in tranquillità ed ora mi trovavo
all’esterno per
rispondere alla telefonata di Julia.
-Allora Mel, voglio sapere tutto quello che c’è da
sapere!- esordì non appena
ebbi accettato la chiamata.
-Tipo?- di sicuro non era successo niente di quello che si aspettava, purtroppo – aggiunse una vocina
dentro
di me.
-Com’è il Ritz? Probabilmente non ci
entrerò mai io- sbuffò, -Se non per farci
le pulizie-
-Ma dai piantala! Cosa vuoi che ti dica? È
l’albergo più lussuoso che abbia mai
visto! La camera è stupenda, praticamente è un
appartamento!-
-Ma.. come vi siete sistemati per.. la notte?- domandò
maliziosamente.
-Ci sono due letti matrimoniali- la informai, rendendomi conto del tono
usato: amareggiato.
-Oh e allora? Nessuno dice che dobbiate usarli entrambi!-
esclamò ovvia.
-Senti, io non sono esperta di queste cose! Come dovrebbe succedere
scusa? Mi
infilo nel suo letto mentre dorme?- replicai con sarcasmo.
-Semplicemente gli dici vorresti dormire accanto a lui, dormire!
Poi se deve succedere succederà, non sono cose che si
programmano!-
-Non sono sicura, è.. la prima volta per me, non so come ci
si comporta..-
ammisi imbarazzata.
-Siete innamorati, non ho mai visto nessuno come voi due, e Bill
sarà
rispettoso nei tuoi confronti, sai che non ti costringerà
mai a fare niente- mi
rassicurò.
-Ma.. io.. voglio lui. Sono solamente spaventata- confessai mentre le
guance
andavano a fuoco.
-Ah! Allora è diverso, quindi sei pronta- costatò
con tono affettuoso, -Niente
paura, ti assicurò che sarà tutto perfetto-
-…Possiamo cambiare argomento per favore?- implorai.
-Va bene capitano! Piaciuto il vestito?-
-Sì, stasera mi sento bellissima, non mi succedeva da tanto.
E poi anche Bill
ha apprezzato- sorrisi ripensando a come mi aveva guardato ammaliato
non appena
avevo tolto il cappotto al ristorante.
-Immaginavo!- ridacchiò, -La cena com’è
andata? Piccioncini- mi prese in giro.
-Bene! Sembravamo una coppia normale, passare del tempo con lui mi
piace
sempre, mi diverto e mi fa sentire bene, inoltre non ci sono momenti di
imbarazzo o di silenzio, l’amore- sospirai felice.
-Sono contenta per te!-
-Ora vado, Bill mi sta aspettando in macchina, chissà dove
si va ora! A presto,
ti voglio bene!-
-Anche io Mel, buon divertimento!-
Chiusi la chiamata e raggiunsi il mio ragazzo, dispiaciuta
d’averlo lasciato
solo per così tanto; aprì la portiera e lo trovai
intento a scrivere.
-Che scrivi?- domandai e lui sussultò colto alla sprovvista.
-La canzone, quella che non usciva.. ora sta uscendo- sorrise.
-Posso vedere?- annuì poco convinto passandomi il blocco.
“Bist du
irgenwo da draussen
Alleine mit dir
Hast dich irgendwo verlaufen
Und weisst nicht wofür
Ein Herzschlag
Den keiner Fühlt
Bist du irgendwo da draussen
Zu schwach um zu weinen
Vor allen Menschen
Wegglelaufen
Um einer zu sein
Ich seh dich
Schau durch die nacht
Zoom Dich zu mir
Ich Zoom mich zu dir
Wir werden scheinen
Weit weg von hier
Durch raum und zeit
Zoom dich zu mir „
-Che
testo stupendo- affermai
sinceramente, -posso sentire come sarebbe?- chiesi dolcemente.
-Ehm, non è ancora pronta, cioè.. ormai scritta
è scritta, ma non sono
convinto- mormorò afflitto, lo guardai incoraggiante e
intonò le parole
impresse su carta, che pian piano invasero l’aria.
Era una melodia calma, dolce. Mi tornò alla mente quella che
avevo composto il
pomeriggio, sembravano fatte per diventare un’unica cosa.
-E per la musica, cos’hai pensato?-
-Ecco il problema, le parole sono troppo delicate per accompagnarle
anche solo
con la chitarra classica- sbuffò.
-Io.. se vuoi posso aiutarti- pigolai timidamente, -Oggi mentre mancavi
ho
suonato un po’ col piano e ne è uscita una cosa
beh.. secondo me potrebbe star
bene con il testo, quando torniamo te la faccio sentire se vuoi-
sorrisi e lui
ricambiò entusiasta.
-Grazie mille, sei la mia salvezza, sai? Poi non vedo l’ora
di sentirti
suonare- mi accarezzò un braccio, prendendomi per mano.
-Eccoci qua, scendiamo- mi accompagnò fuori, non
riuscì a trattenere
un’esclamazione di felicità davanti
all’edificio: teatro.
-Ho chiesto consiglio a tua madre per questo, avevo un’idea
ma non ero sicuro
di cosa ti piacesse. Mathilda mi ha suggerito
l’”Aida”, quindi eccoci qui-
Non riuscivo a dire una parola, era una delle mie opere preferite.
L’avevo
vista a dieci anni insieme ai miei genitori e ne ero rimasta totalmente
affascinata,
una storia d’amore bella quanto tragica, dolce quanto amara.
-E’ la mia preferita, come faccio a ringraziare per tutto
questo?- mi strinsi a
lui.
-I tuoi occhi e il tuo sorriso ricambiano abbastanza, mi basta vederti
così
felice- mi baciò la testa, -ora andiamo!-
Bill
aveva pensato a tutto,
avevamo due bellissimi posti su un palchetto di fronte al palco, da cui
si
vedeva tutto benissimo e anche l’acustica era perfetta. Per
quanto amassi
quello spettacolo però, non riuscì a godermelo al
massimo. Qualcosa, anzi,
qualcuno mi distraeva.
Il cantante era seduto al mio fianco, la mano stretta nella mia e vi
tracciava
figure immaginarie, lo sguardo puntato al palchetto, occhi che
brillavano di
curiosità, bocca socchiusa.
Quella sera l’opera d’arte era lui, non
ciò che accadeva sopra a quel
palcoscenico. Era lui il mio spettacolo.
Una volta finito tutto ciò che m’era rimasto in
mente erano distratti e
frammentati pezzi dell’“Aida“, mentre
avevo fissato tutte le espressioni del moro.
-Piaciuto?- mi interrogò una volta fuori all’aria
aperta.
-Tanto, davvero.. interessante..- sorrisi, -a te?-
-Per quello che ho visto sì, non ero mai stato a teatro per
vedere cose così,
però mi sono distratto sempre.. a causa tua-
confessò e io arrossì subito,
facendolo ridacchiare.
-Viva la sincerità- commentai, scosse le spalle in risposta.
-Ora torniamo in albergo, non vedo l’ora di sentirti suonare!
Sei stanca?-
-No- risposi subito; nonostante la giornata non fosse stata delle
più leggere,
mi sentivo piena di energia come mai prima.
-Bene- mi strinse al suo fianco e mi tenne così per tutto il
viaggio, neanche
qualcuno mi portasse via! Tuttavia non protestai, mai l’avrei
fatto. Amavo
stare fra le sua braccia.
Silenziosamente raggiungemmo la camera, l’albergo era
silenzioso, quasi
inquietante. Tolsi il cappotto e mi posizionai di fronte al pianoforte,
con
Bill seduto accanto a me, con occhi brillanti.
-Spero.. vada bene- mormorai imbarazzata.
-Sono sicuro sarà così- mi rassicurò.
Ciò bastò a imprimermi sicurezza, lo
spartito era lì davanti ma le note le conoscevo
già. Chiusi gli occhi e feci
scivolare le dita sui tasti, mentre il cantante accanto a me ascoltava
attento.
Finì e non disse nulla.
-Non ti..- incalzai, ma mi bloccò.
-Suona ancora- chiese. Lo guardai stranita ma obbedì.
Ripresi a suonare quando sentì che, alle note, si aggiunse
la sua voce lieve.
Era fatta, andavano a pennello insieme. Come
noi..
Aprì gli occhi e mi voltai verso di lui, anche lui
mi fissava mentre
cantava.
Ero intrappolata dal suo sguardo, così caldo e pieno
d’amore.
„Ich seh dich
siehst du mich?“
Oh,
eccome se lo vedevo. Occhi
concentrati, bocca tremante, guance arrossate, la sua mano appoggiata
sul mio
affianco, il fiato che soffiava sul mio viso.. lo guardavo imprimendo nella
memoria ogni fotogramma del momento.
“Durch den
sturm
Durch die kälte der nacht
Und die ängste in dir
Weit weg von hier
Durch raum und zeit “
Attraverso
tutto, con lui.
Bella prospettiva, irrealizzabile ma bella. Sognare non costava nulla,
in
fondo. Cantava e i suoi occhi non lasciavano i miei. Si era impadronito
della
mia anima, del mio cuore.
„Zomm
dich zu mir“
Esalò
le ultime sillabe
avvicinandosi a me e bloccandomi in un bacio mozzafiato.
Le mie mani lasciarono subito il freddo dei tasti per circondargli le
spalle,
attaccati l’uno all’altro i cuori battevano in
sincrono.
-Questa canzone è un capolavoro, è diversa,
completa. È..- iniziò dolcemente
fra un bacio e l’altro.
-Questa canzone siamo io e te. È nostra. Siamo noi-
completai io mentre piano
mi alzava dallo sgabello per farmi aderire al suo corpo.
Un altro bacio, un altro ancora. Una carezza, e un’altra di
nuovo. Passava le
sua mani dal mio viso alla mia schiena, ritmicamente.
Io facevo lo stesso. Ci stavamo esplorando a vicenda. Ci stavamo
conoscendo.
Sentì il suo naso contro la mia guancia, lo avvicinai ancora
di più a me. Lo
volevo vicino. Lo volevo mio.
Sentivo caldo, i nostri respiri si fondevano, entrambi affannati.
-Prinzessin, cosa.. cosa stiamo facendo?- mormorò a fatica
contro la mia
fronte.
Presi la sua mano e la portai sul mio cuore, per fargli sentire come
batteva
forte grazie a lui.
-Non voglio farti male.. non voglio costringerti a fare niente- mi
fissò serio.
-E io voglio te- sussurrai mentre le mie guance prendevano calore. Ero
sicura,
lo desideravano come mai prima.
-Sei mia Melpomene- esalò a un millimetro dalla mie labbra
secche
dall’emozione.
-E tu sei mio, Bill Kaulitz-
Nessuno aggiunse altro, la lingua era impegnata in un’altra
attività, di tipo
ben differente.
Raggiungemmo il letto senza staccarsi se non per prendere aria.
Delicatamente
caddi sul materasso, seguita dal cantante. Si mise sopra di me e
piantò i suoi
occhi nocciola sui miei azzurri. Senza perdere il contatto mi alzai
verso di
lui e mi rituffai sulle sue labbra, sentendone già la
mancanza. Presi coraggio
e abbandonai la timidezza, misi le mani sotto la sua camicia
accarezzando
l’addome magro e sentendolo rabbrividire al mio tocco.
Lentamente il suo
maglioncino finì a terra. Cercai di non far vagare lo
sguardo sul suo petto
troppo a lungo, non volevo perdermi nel suo fisico quando il viso era
ancora
più bello. Fu il suo turno, passò le mani lungo
le mie spalle, accarezzandomi
poi le braccia e passando alle cosce lasciate scoperte dal vestito,
lentamente
abbassò la cerniera e andò a finire
anch’esso sul pavimento. Mi sentivo
accaldata, emozionata e allo stesso tempo spaventata. Mi trovavo in
intimo
davanti a un ragazzo e stavo per andare a fuoco, lui se ne accorse e
tornò a
succhiarmi le labbra con bramosia, mentre io impacciata toglievo di
mezzo i
pantaloni.
Pelle contro pelle, ogni centimetro di me che veniva a contatto con lui
ardeva,
piccole goccioline di sudore cadevano dalle nostre fronti.
Tornò a guardarmi
attento, attendendo il permesso per continuare. Come potevo fermarlo
quando lo
desideravo così fortemente? La mia risposta non si fece
attendere e tornai a
lambire le sue labbra. Ci spogliammo completamente, ero nuda davanti a
lui e
non solo fisicamente.
Gli stavo donando tutta me stessa. Anima, cuore e cervello erano
già suoi,
mancava il corpo.
Il giorno del mio diciottesimo compleanno si appropriò anche
di quello, fra
lenzuola di seta e sospiri affannosi, baci ardenti e carezze rubate.
Dolore? Un
attimo durò, fu sostituito dalla sensazione più
bella e travolgente che mai
avessi provato. Avevo fatto l’amore con il ragazzo che amavo,
l’avevo stretto,
assaporato. Respirato ciò che aleggiava nella camera in quel
momento, amore.
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Capitolo 17 *** Capitolo XVII (I) ***
Capitolo
XVIII
Sentì
qualcosa muoversi vicino a me e quel movimento mi
costrinse ad aprire gli occhi e uscire dallo stato di dormiveglia in
cui
versavo da parecchio tempo. Aprì gli occhi cercando di
abituarmi alla luce, la
prima cosa che vidi fu il volto tranquillo e rilassato di Bill, ancora
addormentato, al mio fianco. Una serie di flashback della serata
precedente mi
colpirono, facendomi avvampare.
Avevo fatto l’amore con Bill. Ero
stata
con lui e mai avevo vissuto momenti del genere. Mai.
Notai la posizione in cui mi trovavo: abbracciata a lui,
coperto solamente
da un paio di boxer; non che io fossi messa meglio, in quanto indossavo
il
maglione che portava il cantante la sera prima e le mutandine.
L’imbarazzo mi avvolse, non sapevo come bisognava comportarsi
dopo una notte
del genere. Le mie preoccupazioni sparirono quando colsi le palpebre
del moro
tremare leggermente per poi aprirsi, i suoi occhi nocciola catturarono
subito i
miei azzurri. Entrambi assonnati ci osservavamo a vicenda, la sua
espressione
si sciolse in un sorriso e abbassai lo sguardo, mentre le mie guance si
tingevano di rosa.
-Buongiorno principessa- mormorò con voce roca dal sonno,
eravamo talmente
vicini che il suo respiro solleticava il mio viso.
-Giorno- pigolai piano restando immobile.
-Tutto bene Mel?- domandò cauto e lievemente preoccupato.
-Non so come comportarmi- ammisi cercando di sprofondare sul cuscino.
La sua
risata cristallina m’avvolse con dolcezza.
-Mi stavi spaventando.. pensavo ti..- lo bloccai posando una mano sulla
sua
bocca.
-Non mi sono pentita, credimi- sorrisi mordendo un labbro, -Anzi.
È stato
bellissimo- sarei andata in iperventilazione da un momento
all’altro, me lo
sentivo.
-Sì. Sono stato innamorato più di una volta, ma
con te è tutto diverso, più
forte, sai? Tutte le vecchie storie sembrano nulla in confronto a
quello che
sto vivendo con te- confessò cercando di catturare
nuovamente i miei occhi,
riuscendoci. Prese fiato, -Io.. ti..- lo fermai con urgenza.
-Non dirlo Bill, per favore non.. non farlo- lo pregai.
Io ti amo, sapevo che era
ciò che
stava per uscire da quelle labbra soffici, non ero pronta a quella
confessione.
Eravamo innamorati e ci amavamo. Confessare i sentimenti era un passo
troppo
complicato dal mio punto di vista, anche se ero sicura della
veridicità di quelle
tre parole.
La vera ragione era che.. avevo paura. Come avrei sopportato una
separazione,
quando avrei ripensato al momento in cui m’aveva detto che
m’amava? Come potevo
lasciarlo? Come potevo rispondere quando i sensi di colpa per il futuro
già mi attagliavano?
Sospirò arreso e sorrisi grata per non aver continuato la
frase.
-Vieni qui- mi invitò allargando le braccia, per accogliermi
ancora più vicino.
Mi accoccolai contro il suo petto e alzai la testa per permettere alle
sue
labbra di rifugiarsi sulle mie. Piccoli brividi si formarono su tutta
la pelle,
il contatto con il suo corpo ne era la causa.
Rimanemmo a letto ancora a lungo, semplicemente abbracciati e cullati
dai
nostri respiri regolari.
-Dovrei fare una doccia- fui costretta a interrompere
quell’oasi di pace dopo
aver visto si stava facendo mezzogiorno.
-Anche io- ammise pensieroso, per fissarmi successivamente.
-Che c’è?- chiesi imbarazzata dal modo in cui mi
guardava. Se continuava a
lanciarmi occhiate del genere prima o poi sarebbe stato costretto a
raccogliermi con un cucchiaino.
-Andiamo nella vasca- esclamò tranquillo, io
annuì.
-ANDIAMO?- affermai una volta rimuginato sulle sue parole, Bill sorrise
malizioso.
-Sì, andiamo- senza aspettare la mia replica si
alzò e mi tirò su dal letto,
imprigionandomi in un suo abbraccio. Mi trascinò nel suo
bagno e cominciò a
riempire la vasca e inserire il bagnoschiuma, senza mollarmi.
-Che hai intenzione
di fare?- gli
domandai allarmata.
-Rilassati- rise, -tu devi fare il bagno, io devo fare il bagno, noi
facciamo
il bagno!- spiegò con nonchalance.
-Si.. se mi molli magari potrei andare anche io- mormorai, -dai mi
vergogno-
sussurrai piano, nascondendo il viso sul suo petto.
-Perché dovresti vergognarti? A parte il fatto che ho
già visto tutto- rise
leggero, incurante del fatto che stessi andando a fuoco, -tu sei la mia
Mel e
sei bellissima, non.. nasconderti da me-
Le sue parole mi diedero conforto, sapeva sempre come trattarmi e come
prendermi, i suoi occhi cancellavano ogni mia insicurezza e paura.
Guardai la
sua espressione rassicurante e tenera e successivamente la vasca, ormai
colma
d’acqua e bolle.
-Tutto questo è nuovo per me- gli spiegai, -Devo imparare e
tu.. devi
insegnarmi. Non voglio nascondermi da te-
Mi donò il suo più magnifico sorriso e mi
condusse nella vasca, ci immergemmo
insieme ancora parzialmente vestiti, per liberarci degli abiti una
volta
all’interno e lasciarci circondare dalle bolle. Timidamente
mi lasciai
circondare dalle sue braccia e chiusi gli occhi.
„Wir
wollten nur reden,
Und jetzt liegst du hier.
Und ich lieg daneben, Reden, Reden“
Riconobbi
le parole di “reden”
e non riuscì a trattenere una risata allegra, che
catturò anche lui.
„Das hab
ich schon geklärt, Don't Disturb“
Continuai
a canticchiare io, voltandomi verso di lui per
baciarlo con sicurezza. Scelsi di non nascondermi, ormai Bill conosceva
tutto
di me e mi fidavo di lui, inoltre l’amavo.
“Alle zerren an mir, Ich will
mit keiner ausser Dir“ Furono
le ultime parole che risuonarono nella mia testa, successivamente non
fui più
in grado di ragionare, la mia attenzione fu catturata da altro.
Uscimmo
dalla vasca un’ora dopo, il bagno si era rivelato
più lungo del previsto.
-Bill, ho fame- mugugnai indicando la pancia. Ci trovavamo in terrazza,
profumati e vestiti – stavolta. Lui era avvolto da un
maglioncino simile a
quello della sera precedente e da un paio di jeans stretti, io avevo
indossato
sempre la maglietta regalatami da Julia e un paio di leggings.
-Chi non lo sarebbe dopo- lasciò la frase in sospeso,
sorridendo; -anche io
comunque- lo guardai male.
-Scendiamo al ristorante e mangiamo qualcosa?- proposi, lui
annuì.
-E oggi pomeriggio shopping- mi informò, -si va al KaDeWe!-
aggiunse
entusiasta.
Così
alle tre eravamo di nuovo in strada – a pancia piena
dopo l’abbuffata a pranzo – diretti verso il famoso
“KaDeWe” di Berlino.
Il cantante era costretto ad indossare un paio di occhiali e il
cappello, c’era
tantissima gente in giro e c’era il rischio venisse
riconosciuto, nonostante a
diversi metri da noi c’era Tobi -la guardia del corpo- pronto
a intervenire in
caso di necessità.
Non ero mai stata in quel centro commerciale perciò, una
volta arrivati lì,
rimasi sorpresa dalla sua grandezza.
Il Kaufhaus des Westens
è il più
esteso grande magazzino d’Europa, costruito su sette piani
collegati tra loro
da sessantaquattro scale mobili e ventiquattro ascensori, offre
numerosi
articoli, molti dei quali di lusso, circa trecentoottantamila di
diversi tipi.
La sua superficie equivale a quasi nove campi da calcio e accoglie
negozi di
abbigliamento, gioielli, di tecnologia e elettronica, giochi e anche
cibi.
-Piccolo eh?- ridacchiò il moro di fronte alla mia
espressione sbalordita.
-Già- esalai, -Ma, non vorrai mica visitare tutti i piani,
vero?-
-No, direi di saltare il quattro e il quinto, rispettivamente di
tecnologia e
elettronica e giochi- affermò pensieroso.
-Mi stai prendendo in giro, vero?- chiesi speranzosa.
-Ehm, ti ho già detto che amo fare shopping!- mi fece la
linguaccia.
Dio, aiutami tu! Fu il pensiero non
appena misi piede dentro al KaDeWe e mi ritrovai catapultata in mezzo
alla
folla di turisti e affamati di compere.
-Oh su, non fare quella faccia afflitta, ci divertiremo!- mi
assicurò, anche se
ero parecchio scettica.
Due
ore, quaranta minuti e ventinove secondi eravamo
finalmente usciti da quel luogo infernale. Inizialmente era stato
divertente,
nel negozio di abbigliamento Bill mi aveva fatto provare di tutto e di
più –
non che amassi fargli da manichino – ma il bello era venuto
dopo, ossia quando
fu il suo turno, io sceglievo gli abiti e lui li indossava facendo poi
piccole
sfilate, inutile dire ogni vestito gli donava a pennello. Appena finita
la
prima ora però già l’entusiasmo da
parte mia era calato, girare come una
trottola non era una delle mie attività preferite, ma del
cantante sì. C’era
sempre qualche cosa bella da vedere, da provare, rimettere a posto
oppure
comprare. Si rifece del mese passato senza fare shopping, alla grande!
La sua
carta di credito fu ripetutamente utilizzata e, seppur contro le mie
proteste,
non mi lasciò mai tirar fuori il portafogli, intestardito di
voler pagare tutto
lui. Praticamente mi rifece il guardaroba: il bagagliaio
dell’auto era colmo
delle nostre borse.
-Cosa facciamo ora?- gli domandai una volta saliti in macchina.
-Mh, Tobi, ci lasci al solito parco? Poi chiamo un taxi per tornare al
Ritz,
sai che è deserto- si rivolse alla guardia del corpo, che
annuì solamente.
-Parco?- feci interrogativa.
-Sì, è un po’ fuori da Berlino
però è davvero molto bello. L’ho
scoperto
durante una fuga dai paparazzi- ridacchiò al ricordo,
-essendo fuori mano non
c’è mai nessuno, al massimo qualche nonna col
nipotino, quindi nessuna paura-
mi rassicurò.
-Mi fido- gli feci l’occhiolino e una quarantina di minuti
dopo arrivammo a
destinazione.
-Eccoci arrivati- disse accompagnandomi all’entrata col
sorriso.
Mi guardai attorno con circospezione e concordai col moro: quel posto
era
davvero bello. Si estendeva per una grande superficie, piena
d’erba e tenuta
con cura, v’erano parecchi alberi e sotto ognuno si trovava
una panchina, al
centro poi era presente una grande fontana. Di fianco al cancello
d’apertura si
trovava un piccolo chiosco.
-A volte i paparazzi servono a qualcosa se ti fanno scoprire dei posti
così!-
esclamai estasiata.
-Oh, a volte! Credimi non è bello arrivare a nascondersi
dietro a un bidone
dell’immondizia- sbuffò facendomi ridere.
-E tu non ridere delle disgrazie altrui!- assunse un lieve broncio, che
però
distese subito, -dai andiamo a sederci da qualche parte- mi prese per
mano e mi
guidò su una panchina non molto distante da lì,
facendomi poi sedere sulle sue
gambe.
Frugai nella mia borsa e tirai fuori la macchina fotografica, uno degli
ultimi
regali di mio padre, ancora inutilizzata. Misi a fuoco la fontana e
scattai la
prima foto, poi immortalai l’albero con i primi fiori e la
mia attenzione fu
catturata dalla coppia seduta sotto. Sorrisi dolcemente alla scena:
l’uomo e la
donna erano anziani, probabilmente sulla settantina d’anni,
parlavano fitto
fitto e si tenevano per mano, scambiandosi sguardi pieni
d’amore. Quel
quadretto mi fece salire le lacrime agli occhi, prontamente eliminate
per far
sì che Bill non se ne accorgesse.
Sarebbe mai successa a me una cosa del genere? Mi sarei sposata e avrei
avuto
dei figli? Avrei trovato un amore così duraturo?
Erano domande che non mi ero mai posta prima dell’avvento del
cantante nella
mia vita: prima non osavo mai immaginare un futuro per me,
già tanto pensare
sarei vissuta il giorno dopo, un prospetto duraturo mi spaventava. Poi
l’avevo
conosciuto e aveva portato la speranza in me, o forse erano solo
illusioni?
Meglio non pensare al matrimonio
quando non si è sicuri di sopravvivere un altro anno ancora.
Sospirai.
-Tutto bene? Ti vedo pensierosa- il ragazzo interruppe i miei monologhi
interiori.
-Sì- mi girai e sorrisi rassicurante, cancellando
ciò che frullava nella mia
testa.
-Ti dispiace se mi allontano per un paio di minuti? Tom mi ha chiamato
prima ma
non ho sentito quindi non ho risposto, non voglio che si preoccupi-
-Oh, non ti preoccupare, fai pure, io intanto invio un messaggio a mia
madre e
a Julia- mi alzai per permettergli di contattare il gemello, non tirai
fuori il
cellulare, ero certa che se le avessi telefonate mi avrebbero inondato
di
domande, intime e imbarazzanti. Preferì evitare,
perciò estrassi la moleskine
ricevuta dal chitarrista.
“Brilleremo, lontano da qui, attraverso
spazio e tempo.
Bill canta queste parole, io ci spero
–
ci credo anzi.
Tutti dicono che l’amore “vero” vince
sempre, quindi..
voglio illudermi sia così, per una volta. Magari..”
Chiusi
di fretta l’agendina nascondendola nella borsa non
appena vidi il cantante tornare verso di me, con le guance leggermente
imporporate.
-Deduco Tom non abbia risparmiato le sue solite battutine maliziose-
risi
mentre annuiva con aria saccente.
-A volte è proprio insopportabile, ormai ho imparato a
conviverci, l’ho conosco
da quando eravamo due morule- mi seguì nelle risate.
-Deve esser proprio bello poter contare su qualcuno, aver la certezza
ci sarà
sempre qualcuno- commentai.
-Si, è così. Doch wenn wir gehen, dann
gehen wir nur zu zweit
– citò una frase che riconobbi della loro
canzone “In die Nacht”; -è difficile
spiegare a chi non ha un gemello, a volte
il nostro rapporto può risultare morboso,
io ho bisogno di lui e lui di me, nonostante i nostri stili differenti
sotto
questo strato di trucco e oltre i suoi vestiti enormi siamo uguali! Non
riesco
a immaginare una vita senza di lui- parlò in fretta,
gesticolando.
-Ti invidio, io purtroppo essendo figlia unica non so che significhi
tutto
questo- scossi le spalle.
-Ti sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella?-
-Sì, ricordo che da piccola lo chiedevo sempre ai miei
genitori ma loro non
hanno neanche preso in considerazione l’idea. Essendo due
persone che per
lavoro viaggiano molto, un figlio grava molto sulle carriere, nemmeno
io ero in
programma, effettivamente. Mi hanno voluto bene da subito
però- raccontai.
-E te ne vogliono ancora- in quel momento il mio cellulare si mise a
squillare:
chiamata in arrivo da mamma.
-Parli del diavolo..- mormorai, -è mia madre, torno subito-
mi congedai da lui
ma non risposi, lasciai suonare. Non volevo essere sottoposta a un
interrogatorio; feci finta di parlare per qualche minuto
dopodiché spensi il telefono
– così da non essere disturbata ancora –
e ritornai sulla panchina; Bill era
seduto e si controllava le unghie concentrato, non resistetti e gli
scattai una
fotografia di nascosto.
-Ehi, che fai?- mi colse in fallo il soggetto dello scatto.
-Una foto- risposi con ovvietà.
-Oh, non l’avevo capito- sarcastico, -hai deciso di
abbandonare la scrittura
per divenire un paparazzo?- mi prese in giro.
-Mi piaceva la tua espressione- confessai mostrando
l’immagine.
-Ammetto che è carina- confessò rubandomi la
macchinetta e cominciando a
scattare a caso.
-Dovremo fare qualche foto insieme- costatai, non ne avevamo neppure
una!
-Hai ragione, almeno questa volta fare un servizio fotografico
avrà uno scopo-
Ci alzammo e, dopo aver messo multi&auto -scatto, posammo la
macchinetta
sulla panchina e ci mettemmo in posa.
Bill e io abbracciati. Chis!
Bill con una mano sul mio fianco. Chis!
Bill e io che ci guardavamo. Chis!
Bill che mi fa il solletico e io che rido e mi
agito. Chis!
Io che faccio il solletico a Bill e lui che tenta
di sfuggirmi. Chis!
Bill che prende la mia mano e la bacia
delicatamente. Chis!
Io sulle punte con le braccia strette attorno a lui
mentre ci fissiamo
negli occhi. Chis!
Bill e io che, abbracciati, ci baciamo Chis!
Bill che mi sorprende facendomi salire sulla sua
schiena. Chis!
Io che, stretta a lui, gli bacio il collo. Chis!
Finiti i dieci scatti previsti ci fermammo a
guardare le foto ed erano
uscite una più bella dell’altra. Una coppia
normale, non la Superstar e la
malata, Bill e Mel, allegri, felici, con occhi brillanti
d’amore. Rimettendo la
macchina sulla panchina partì uno scatto per errore e mi
innamorai subito
dell’immagine immortalata senza posa: la mano di Bill
– smaltata – che teneva
stretta la mia, più piccola e pallida nella sua. Si
intravedeva la scritta
della maglia e i nostri corpi erano affiancati. Spontanea ma
meravigliosa.
Continuammo per quasi un’ora a fare scatti in tutte le pose
possibili, alla
fine c’erano quasi duecento foto nella memoria.
-Voglio fare una foto da seduti sulla panchina- saltò fuori
Bill, cercando un
luogo per posizionare la macchina, senza risultato.
-Abbiamo fatto tante altre foto, perché ne vuoi anche sulla
panchina?-
domandai, e lo vidi arrossire leggermente.
-Non prendermi per stupido però!- lo guardai curiosa,
incitandolo a continuare,
-ho sempre trovato le coppie sulle panchine molto romantiche, anche
quando le
vedo sui film, mi viene sempre da sorridere. Così..-
gesticolava in imbarazzo.
-Ho capito- arricciai gli angoli della bocca
all’insù.
-Possiamo chiedere ai signori là di farci la foto-
suggerì, la coppia che avevo
osservato qualche ora prima stava venendo verso di noi per uscire. Il
moro
annuì e si alzò, recandosi dagli anziani, che
sorrisero alla richiesta e
accettarono.
Così Bill ottenne una foto mia e sua abbracciati sulla
panchina e una in cui ci
baciavamo.
-Siete carini insieme- commentò la signora, che
scoprì si chiamava Priska, -non
trovi Frank?- si rivolse al marito, che concordò.
Entrambi ci imbarazzammo, farfugliando qualche ringraziamento.
-Noi siamo sposati da più di quarant’anni-
affermò l’uomo stringendo la moglie
affettuosamente.
-Auguro succeda lo stesso anche a voi- continuò Priska,
salutandoci allegra.
Li guardai allontanarsi mano nella mano, chissà
com’era vivere con la persona che
si ama per così tanto tempo. Cercai la mano di Bill e la
strinsi, avevo bisogno
di sentirlo vicino.
-Sono già le sette- osservò dopo aver dato
un’occhiata all’orologio.
-Vado a prendere qualcosa da mangiare, vieni o mi aspetti qui?-
domandò, in
effetti la fame si faceva sentire.
-Ti aspetto- dissi. Cinque minuti dopo era di ritorno con due pizze
fumanti in
mano.
-Pizza!- esclamai andandogli in corso e addentando uno spicchio.
-Grazie Bill per aver preso la pizza e aver aspettato pazientemente in
piedi
per ben cinque minuti!- borbottò lui, ricevendo una
boccaccia come risposta.
Mangiammo tutto silenziosamente, mentre pian piano il sole spariva per
lasciar
spazio alla sera.
Lasciammo il parco intorno alle nove per poi prendere il taxi e farci
lasciare
a Berlino, a poco distanza dall’hotel così da
poter camminare un po’. Guardavo
la gente attorno a me, era un passatempo piacevole. A
quell’ora c’erano
soprattutto coppie di giovani che uscivano per divertirsi oppure
compagnie di
amici, l’aria carica di energia.
-Grazie Bill, non so da quando non passavo una giornata
così- mi sentì in
dovere di dire, alla clinica una cosa del genere era improbabile e
anche prima
che c’entrassi non avevo trovato qualcuno che mi facesse
stare così bene.
-Grazie a te, era da anni che non riuscivo a uscire tranquillamente,
senza
paparazzi o fan al seguito. Oggi sono stato benissimo, mi sono sentito normale- mi strinse posandomi un bacio
in fronte.
Chiacchierammo fino a che non arrivammo all’hotel, entrambi
stanchi ci
cambiammo velocemente per poi infilarci a letto.
Ci addormentammo abbracciati.
*
* *
Non
so se qualcuno si ricorda ancora di questa storia.. come biasimarvi in
fondo?
Posso solo chiedervi scusa, sono imperdonabile (lo so)
Cercherò di pubblicare gli altri capitoli il prima
possibile, visto che sono fermi nel computer da un po' :/
Vi darò tutte le spiegazioni quando pubblicherò
l'epilogo (fra 5 capitoli)
Probabilmente sarà pieno di errori, farò una
"revisione" di tutta la storia una volta terminata :)
Un
bacione grande e ancora scusa
Anna
|
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Capitolo 18 *** Capitolo XVIII (E) ***
Capitolo
XVIII
Tornare
alla clinica dopo aver passato due giorni in
compagnia di Bill era come risvegliarsi da un sogno e ritrovarsi nella
realtà:
terribile.
Avevo avuto un assaggio di cos’era la vita
“vera”, una vita senza
preoccupazioni, senza pensare alla malattia o ad altro. Mi ero sentita
come una
ragazza in vacanza con il fidanzato per la prima volta: allegra,
entusiasta,
felice, spensierata.
Non appena messo piedi a Colonia ero stata invasa da pesantezza, il
pensiero di
tornare ai vecchi ritmi mi faceva rabbrividire.
-E così il bello è finito- sospirai abbattuta una
volta oltrepassato il
cancello.
-Non è esattamente così- mi corresse Bill, -i due
giorni di vacanza sono
finiti. Può esserci il “bello” anche qua
dentro-
-La vedo difficile- mugugnai sbuffando, bisognava riprendere a fare
esami,
lezioni di scuola.. sbuffai nuovamente.
-Sembri la teiera del the, piantala su- mi sgridò divertito
dal mio
comportamento, -Se ci siamo divertiti tanto non era perché
ci trovavamo a
Berlino, bensì perché eravamo insieme.
Esattamente come ora- non replicai, mi
limitai ad abbracciarlo. Vedeva sempre il lato positivo di ogni
situazione, era
ottimista. Lo ammiravo per questo, ma non approvavo, io ero il
contrario:
preferivo essere negativa – realista anzi –
piuttosto di sperare e rimanere
delusa.
-Programmi per oggi?- domandò cambiando discorso, mentre
prelevava qualcosa
dalle macchinette.
-Fra mezz’ora ho una visita con il dottor Güllimber,
poi pranzo, dalle due alle cinque sono in biblioteca con la
professoressa
Damischt- difficile
mantenere il sorriso
quando ti si prospettava una giornata del genere; -Tu invece?-
-Per ora nulla, dopo pranzo ho una visita con Merken e successivamente
mi viene
a trovare Tom-
-Ci vediamo stasera da te allora?- annuì, -Buona giornata, a
più tardi quindi-
dissi lasciandogli un bacio, per poi recarmi in camera.
Ero stata lontana solamente due giorni eppure rimetterci piede mi
creava uno
stato di claustrofobia, tanto che mi vidi costretta a spalancare tutte
le
finestre, nonostante l’aria fuori non fosse calda. Accanto
all’armadio erano
state posizionate – probabilmente da Saki – le
borse accumulate durante le ore
di shopping col cantante, per tutte le cose acquistate probabilmente mi
serviva
un armadio nuovo, costatai.
Mi diedi una veloce ripulita e mi sistemai per scendere a fare il
solito
controllo-chiacchierata con il dottore.
-Buondì piccola Mel!- mi accolse sorridente, invitandomi a
prendere posto di
fronte alla sua scrivania disordinata e colma di fogli ovunque.
-Giorno!- ricambiai il sorriso.
-Allora, vedo che i due giorni con il signorino Kaulitz hanno avuti
buoni
risvolti sulla tua salute- commentò guardandomi
attentamente, mentre io cercavo
di trattenermi dal ridere di fronte all’espressione
“signorino Kaulitz”; -Sei
meno pallida, hai ripreso colore- notò soddisfatto.
-Già- risposi semplicemente.
-Per il resto come stai? Domani riprenderai la terapia, hai
più sentito
malesseri?- mi interrogò, scossi la testa.
-Bene, perfetto- controllò la cartella clinica, -Ci sono dei
miglioramenti-
-Speriamo sia la volta buona, stavolta- brontolai, non era la prima
volta che passavo
un periodo “tranquillo” pensando tutto si stesse
rimettendo a posto, poi
puntualmente tutte le speranze mi ricadevano addosso e con loro la mia
voglia
di pensare positivamente.
-Direi che è tutto, ci vediamo la settimana prossima-
Tornai in camera che era ora di pranzo, Rossella era già
là ad attenermi con il
vassoio pieno di cose da mangiare e un sorriso vagamente malizioso
stampato sul
viso.
-Salve Ross- salutai felice di rivederla.
-Ciao Mel- mi porse il piatto e si sedette sulla sedia di fianco a me.
-Scusa, non devi lavorare?- chiesi tra un boccone e l’altro.
-Sono in pausa pranzo e ho deciso di farti compagnia- si
sistemò meglio seduta,
-non mi dici nulla?-
-Cosa vuoi che ti dica scusa?- evitai di guardarla.
-Ciccia, sono un po’ più vecchia di te –
giusto cinque o sei annetti nulla di
che! – e mi accorgo di certe
cose.
Appena ti ho visto stamattina mi sei sembrata radiosa, camminavi quasi
a tre
metri da terra- mi spiegò.
-Magari ti sbagli- scrollai le spalle, già sapendo dove
voleva andare a parare.
-No cara, non mi sbaglio.. mai.
Ora che hai finito di mangiare ti
metti tranquilla e racconti tutto a zia Ross- ghignò. Io
deglutì.
-E’ stato un bel week-end- continuava a fissarmi in attesa.
-Oh non l’avevo capito guarda!- esclamò
sarcastica.
-Okay, siamo andati al ristorante, all’opera, a fare shopping
e..- mi bloccai
arrossendo fino ai piedi.
-Oh, lo sapevo!- affermò allegra, abbracciandomi di colpo.
-Sei una piccola donna ora!- sembrava commossa,
in effetti da quando ero in clinica mi aveva fatto da seconda madre.
Borbottai
qualcosa di indefinito come risposta.
-Va bene ho capito, non indago oltre- fece l’occhiolino,
-sono contenta per te
comunque- sorrise affettuosa.
-Ah zia Ross- citai la sua frasi di prima usando lo stesso tono
civettuolo, -tu
sei sempre euforica, ma
è da un po’
che ti vedo più effervescente.
Centra
per causo un bel dottore dai capelli rossi?- ghignai mentre sprofondava
nella
sedia.
-NO!- negò, troppo, troppo velocemente.
-Ah, ormai ti conosco anche io! Avevo immaginato sarebbe successo prima
o poi!-
-Devo andare a lavoro, scusa, ciao!- mi baciò su una guancia
prima di sparire
ridacchiando fuori dalla camera.
A quanto pare non ero stata l’unica a essere colpita dalla
freccia di Cupido.
Non sapendo che fare impiegai un po’ di tempo sistemando i
vestiti comprati da
Bill nell’armadio, cercando di farci entrare tutto. Passata
una mezz’oretta
dovetti ripescare lo zaino e i libri di storia e tedesco, di
malavoglia. In
quei giorni ero stata concentrata su Bill e non avevo neanche pensato
agli
imminenti esami di maturità, che
palle!
Lentamente raggiunsi la biblioteca, puntuale la professoressa mi stava
aspettando racchiusa in un paio di jeans a vita troppo
alta e una camicia rossa, con una spilla vistosa attaccata
in alto.
-Buongiorno- mi accomodai di fronte a lei, cercando di non farle capire
quanto
volessi essere da un’altra parte.
-Buongiorno Melpomene- grugnì senza farmi sentire, non mi
piaceva esser chiamata
con il mio nome intero. Solo una persona poteva: Bill.
-Ti vedo in forma- commentò non badando al mio disappunto,
-meglio così: potrai
studiare meglio!- mi rimbeccò, -in questi mesi hai battuto
la fiacca, è ora di
mettersi di impegno, ne va del tuo futuro-
Futuro, sembrava scontato ne avessi uno.
-Tira fuori storia, devi farmi vedere l’argomento che hai
scelto per la tesina-
ordinò, via alla tortura.
Tre
ore, dieci romanzine, una ventina di urli silenziosi e
disperati dopo potei finalmente rientrare nella mia stanza. Quando una
giornata
inizia quasi bene, per proseguire benino-maluccio-male, non
può che peggiorare.
Era il giorno delle imboscate? Davanti al mio letto mi attendevano a
braccia
aperte mia madre e molto stranamente, anche mio padre.
-Cosa ci fate qui?- chiesi velocemente, dopo essermi districata
dall’abbraccio
in cui mi avevano coinvolta, contro il
mio volere.
-Volevamo vederti, è così strano?
L’ultima volta che ti ho vista, beh..
l’occasione non era delle migliori, concorderai con me-
intervenne Hans, mio
padre. In effetti la sua visita risaliva a quando ero finita in coma.
-No, solo non me lo aspettavo- dissi, -mi fa piacere vedervi- continuai
per
rimediare alla maleducazione precedente.
-Non sembrava- ridacchiò mia madre.
-Dov’è questo Bill? Tua madre l’ha visto
e io no, non me lo presenti?- saltò
fuori mio padre, da quando in qua gli interessava la gente con cui
uscivo?
Qualcosa mi diceva si fosse attivata la gelosia patriarcale.
-Oggi pomeriggio è impegnato, ha un controllo e poi passa il
fratello a
trovarlo- sorrisi senza farmi vedere, meglio evitare
l’incontro. Papà non
sembrava della stessa opinione però.
-Va bene, sarà per un’altra volta..-
-Cambiando discorso,- intervenne lei, -Com’è
andata con Bill?- era
pericolosamente curiosa, anche lei.
-Bene- sorrisi sincera, -mi ha portata in un bel ristorante,
all’opera. Ah,
grazie mamma per avergli suggerito l’Aida, opera meravigliosa
come ricordavo!
Poi mi ha fatto sentire la sua nuova canzone e io ho contribuito
creandone la
musica al piano, si perché al Ritz la suite ha perfino
quello strumento! Che
bellezza, in effetti mi era mancato suonare- dissi tutto d’un
fiato,
gesticolando; -poi mi ha portato a fare shopping, mi ha comprato un
mucchio di
cose e non mi ha fatto pagare nulla! Infine siamo andati su un parco
molto
carino alla periferia di Berlino, abbiamo fatto tante foto e mi sono
divertita
come non mai- raccontai tutto brevemente, mentre mi guardavano felici e
soddisfatti.
-Questo Bill mi piace- confessò mio padre, -Da troppo non ti
vedevo così-
-Bill è fantastico- mugugnai imbarazzata.
-Hans, senti puoi andare a parlare con il dottor G.? Così
intanto Mel mi mostra
cos’ha comprato- appena papà sentì il
verbo “comprare” e “mostrare”
si dileguò
senza opporre resistenza, era allergico allo shopping, tutto
ciò che indossava
glielo comprava la mamma.
-Okay, ora che siamo sole- si sedette vicino a me, -mi racconti
ciò che hai
omesso. E sono certa tu abbia omesso qualcosa-
Oh no, ti prego anche lei, no! No!
-Mh..- evitai di guardarla.
-Dai, è stato come te lo aspettavi? Ha fatto male? Ti
è piaciuto? Dai
raccontami!- la sua voce sembrava quella di una bambina capricciosa,
nel mentre
diceva ciò io ero andata a nascondermi sotto il lenzuolo,
urlando un flebile e
imbarazzatissimo “mamma!”.
-Mamma un cavolo, sono stata adolescente anche io. Non è mica
passato tanto, sai?- tirai fuori
la testa solo per guardarla scettica.
-Non guardarmi così, su!- la conoscevo troppo bene per
sperare avrebbe
desistito, più mi mostravo reticente a parlare
più avrebbe insistito, tanto
valeva parlare subito. Che vergogna!
-Allora..- presi fiato, mentre lei si animava di
curiosità, -Non è stato
come me lo aspettavo, è stato meglio. Inizialmente ha fatto
male, poi non ci ho
più fatto caso. Mi è piaciuto, lui è
stato dolcissimo. Contenta?- parlai a
raffica.
-Di più! La prima volta deve essere speciale, e dal sorriso
ebete che hai in
faccia deduco che la tua è stata proprio così-
-Esatto! Ora, senti, cambiamo discorso? Sai che mi vergogno!- la pregai.
-So che non aggiungeresti altri dettagli..- sbuffò,
-piuttosto dimmi, che brano
hai scelto per lo show della settimana prossima?-
Segnale d’allarme da parte del mio cervello, show? Qualcosa
mi sfuggiva.
-Show?- domandai cauta, mentre lei ricambiò con sguardo
attonito.
-Non te ne sarai dimenticata!- sibilò scioccata, -Te ne
avevo parlato un paio
di mesi fa, e tu avevi acconsentito! Quello che organizza la clinica
ogni anno
per riunire i parenti e raccogliere fondi!- spiegò ovvia.
-Oh- mi venne in mente qualcosa, frammenti della conversazione.
Tutt’al più
ricordavo lei che parlava, e parlava, e parlava, poi ogni tanto mi
domandava
qualcosa e io annuivo distrattamente. Fra tutte quelle domande
probabilmente
c’era la richiesta di esibirmi, e io intelligentemente avevo
dato una risposta
affermativa senza neanche prestare attenzione a ciò che
blaterava. –Ora
ricordo- circa, aggiunsi
mentalmente.
-Oggi ha chiamato la direzione per ricordarci dell’evento,
per fortuna te ne ho
parlato!- esclamò, -tanto non avrai problemi a preparare
qualcosa in sette
giorni, sei mia figlia in fondo!- sorrise ammiccando. Che consolazione.
-Mamma…- inziai con tono implorante, anche se sapevo non
avrebbe ceduto.
-Niente mamma Melpomene!- mi ammonì, -Ora vado, ci vediamo
la settimana
prossima!- fece l’occhiolino e mi abbracciò, prima
di andarsene assieme a papà,
arrivato in quel momento.
Mi buttai all’indietro premendo la testa contro il cuscino.
-Fantastico.. io che non riesco neanche a parlare con una persona
dovrò cantare
davanti a tutti.. tzè! Voglio vedere cosa succede,
sicuramente inciamperò giù
dal palco o stonerò.. oppure dimenticherò la
canzone! Oh scheisse! La canzone!
Devo scegliere pure quella! Che schifo, che
palle! Che stranzio!- borbottavo sbuffando ad ogni parola.
-Da quando parli da sola Mel? Due giorni e già impazzisci?
Cerchi di soffocarti
con un cuscino?-
No, quella voce no! Sapevo cosa significava la sua presenza nella
stanza, avrei
subito un interrogatorio. Ancora. Di nuovo.
-Ciao Julia- mormorai alzandomi di malavoglia e lasciandole spazio
vicino a me.
-Ti vedo poco felice di vedermi. Non ti sono mancata?- disse con tono
teatrale,
-ah, certo che no! Scommetto che Billuzzo ti ha tenuta particolarmente
impegnata!- ammiccò esageratamente nella mia direzione.
-COSA DICI?- sbottai tentando di coprirla con un cuscino.
-Oh dai, non sono nata ieri! Sono tua amica, è obbligatorio
raccontare certe
cose, anche i dettagli!- odiavo quando tirava fuori l’arma
dell’amicizia,
perché se non facevo quello che mi chiedeva mi venivano i
sensi di colpa.
-So il programma delle giornate, però voglio sapere come si
sono svolte.
Allora, primo giorno: arrivo al Ritz e all’opera:
com’è stato, cos’hai fatto.
Parla parla!- mi
esortò porgendo un
pacchetto di caramelle, credeva di essere al cinema forse?
-Ma scusa, la sera mi hai chiamata, sai già tutto-
-No, non so cosa è successo dopo,
una
volta tornati all’hotel- mi contraddisse sicura.
Non avevo scampo.
-Ha scritto una canzone per il nuovo album, me l’ha fatta
leggere. Mi ha detto
gli mancava la musica perché voleva avesse un sound diverso,
così mi sono
offerta di aiutarlo e così una mia composizione al piano
è diventata la base di
“Zoom”
– la canzone- dissi.
Mi fermai, il suo sguardo però era deciso: dovevo continuare.
-Ci siamo baciati, e..- arrossì, mentre lei spalancava la
bocca sorpresa,
-abbiamofattol’amore- soffiai velocemente.
-AAAAAAAAAAAAH!- saltò facendo uscire parecchie caramelle
dalla confezione.
-Sei cretina?- le tappai la bocca, il mio viso doveva aver assunto una
graduazione del viola.
-Ora ti faccio le domande base a cui devi rispondere, pronta?-
annuì, anche se
non lo ero per niente. Ingoiai qualche dolcetto per darmi coraggio.
-Allora, primo: ti ha chiesto la conferma o è partito
spedito?-
-Mi ha chiesto la conferma, due volte- risposi senza guardarla.
-Okay, questo gli da qualche punto in più. Ora, ti sei
lasciata andare o sei
rimasta immobile dalla tensione?-
-Insomma.. cosa vuoi che ti dica?- mi coprì il viso con le
mani, -ovviamente
ero nervosa all’inizio, poi mi sono lasciata andare!-
-Bene- disse soddisfatta, -Preliminari?- annuì.
-E’ bravo a letto?- mi squadrò maliziosa, mentre
mi trattenevo dal risponderle
male.
-Non ho altri termini di paragone sai- inarcai un sopracciglio,
-però… sì-
mormorai.
-Ultima domanda..-
fece una pausa
d’effetto, -sei..- la bloccai prima che dicesse altro.
-Non chiedere quello che stai per chiedere!- la ammonì
categorica, facendola
ridacchiare.
-Va beeeene! Ora,
vediamo.. il giorno
dopo: shopping e parco? Dimmi-
Faticai a trattenere il sorriso pensando a quella giornata, soprattutto
al
magnifico risveglio.
-Ci siamo svegliati abbracciati- raccontai con tono dolce, -Poi..
avevamo
bisogno di una doccia, entrambi..- lasciai la frase volutamente in
sospeso, i
suoi occhi si allargarono a dismisura, era incredula e presa alla
sprovvista.
-Cioè, nella vasca?- chiese conferma, io risposi
positivamente, guardando con
insistenza il letto.
-Esatto- confermai, probabilmente senza parole si limitò a
darmi una pacca
sulla spalla.
-E brava la ragazzina pudica- ignorai il commento e continuai a
snocciolare i
fatti della giornata.
-Mi ha trascinato per quasi tre ore all’interno del KaDeWe,
ti giuro: dopo ero
esausta! Una volta usciti abbiamo raggiunto il parco e siamo rimasti
lì fino a
sera, chiacchierando e scattando fotografie, ne ho fatte un sacco, una
più
bella dell’altra- esposi fra le nuvole.
-Poi voglio vederle, mi raccomando! Quindi Bill ti ha fatto proprio
contenta,
deduco-
-Ho passato i momenti più belli della mia vita in sua
compagnia- confessai.
-Ora sono io a chiedere di cambiare discorso, altrimenti mi deprimo
visto che
sono sigle e sola- esibì una faccia fintamente disperata,
simulando un pianto
convulso e facendomi scuotere la testa, era assurda.
-Lo show della clinica- proposi in un grugnito non molto femminile.
-Ah giusto! Me ne stavo dimenticando!- come me, quindi..
–Oggi sono passate le
liste dei partecipanti, come mai non mi hai detto sei iscritta?-
-Perché me n’ero completamente dimenticata! Se non
fosse stato per mia madre
neanche mi veniva in mente!- cercai di giustificarmi.
-Bill ti ha proprio fottuto! In tutti i sensi- scoppiò a
ridere della sua
stessa battuta.
-Simpatica! Non ho neppure pensato a una canzone, mi prende
l’ansia già
adesso!-
-Dai non è così difficile, ci sarà un
testo che ti piace più degli altri,
magari che sai già visto che non hai tempo per provare
tanto.. visto che te ne
sei dimenticata- mi prese in giro, -poi potresti anche suonare, no?-
Pensai a qualcosa di adatto, le mie conoscenze musicali comprendevano
artisti
di musica classica e ultimamente.. i Tokio Hotel.
All’improvviso mi venne
un’idea, una canzone che studiavo prima di entrare in clinica.
-Ho trovato!- saltai per l’illuminazione, allegra.
-Quale?- domandò interessata.
-Sorpresa!- feci l’occhiolino, -tu piuttosto, partecipi?-
-Non mi vedrai di certo cantare, considerando sono stonata peggio di
una
campana, se non peggio- si grattò la testa, -avrò
uno stand con tutti i miei
trucchi, curerò il make-up della gente che
c’è qua.. tutti così sciatti-
continuò lamentandosi.
-Figo, sei brava. Ricordati che sei prenotata come stylist- le
ricordai.
-Certo! Ora vado, ti lascio riposare.. anche se sono convinta correrai
subito
da Bill- in effetti era mia intenzione. Si alzò dirigendosi
verso la porta.
-Ah Julia?- la richiamai, -Grazie per aver aiutato Bill ha organizzare
tutto
e..- feci una pausa, -La risposta è sì- strizzai
l’occhio, lei uscì dalla mia
stanza riempiendo il corridoio della sua risata cristallina e gioiosa.
Era quasi ora di cena perciò ne approfittai per fare una
lunga doccia – sentivo
già la mancanza del bagno super accessoriato
dell’hotel – e mi sedetti
prendendo un libro a caso per leggere qualcosa e passare il tempo.
E’ cosa universalmente nota che, quando vuoi qualcosa, i
minuti si dilatano a
proprio piacimento, le lancette dei secondi rallentano fino quasi a
fermarsi e
sembra di essere intrappolati in una dimensione statica, immobile.
”Die Zeit läuft, halt sie auf! Zeit
läuft“ Mi
misi a canticchiare piano mentre giocavo con
un pezzo di pomodoro nel piatto, lo infilzai con la forchetta e lo
abbandonai
lì non appena mi arrivò un messaggio di Bill,
anche lui si stava annoiando come
me, così mi chiedeva di raggiungerlo e io –
ovviamente – eseguì
l’”ordine”.
Bussai
e mi bloccai davanti alla porta di fronte all’immagine
che mi si presentava davanti, Bill era venuto ad aprirmi ma in versione
decisamente più “casalinga”: portava una
tuta arancione scuro che cadeva
debolmente sul suo fisico, evidenziandone la magrezza e facendolo
sembrare un cucciolo indifeso.
Aveva il viso
completamente struccato, né fondotinta né
un’ombra di ombretto o matita nera, i
capelli li teneva legati in una disordinata coda, probabilmente era
appena
uscito dalla doccia poiché intravidi le punte leggermente
arricciate. Mi
riscossi salutandolo con un bacio e lasciandomi accogliere da quelle
braccia
che, seppur magre e gracili, mi facevano sentire protetta e a casa: “Casa
è
dove si trova il cuore”.
-Buonasera principessa- salutò portandomi sul letto assieme
a lui.
-‘Sera superstar- poggiai la tasta sul suo collo e facendomi
inebriare dal suo
dolce profumo.
-Com’è andata oggi?- domandò
accarezzandomi un braccio.
-E’ stata una giornata pesante, credevo avesse raggiunto il
culmine dopo la
lezione con la prof, poi però sono arrivati i miei genitori,
mia madre mi ha
fatto il terzo grado, successivamente ci si è aggiunta
Julia, la prima però è
stata Rossella- sbuffai, facendolo ridere.
-Non è divertente!- ribattei piccata.
-Si invece- esclamò, -Tom ha fatto lo stesso, se ti consola-
Mi raccontò di come l’avesse assalito non appena
si erano incontrati, voglioso
di conoscere tutti i dettagli,
alla
fine mi ritrovai a pensare che era messo anche peggio di me,
perché il gemello
non gli aveva risparmiato nessuna domanda.
-Con il medico, invece?- chiesi.
-Tutto bene, la riabilitazione procede. Nessuna complicazione, posso
tornare a
cantare come prima- mi informò con un’espressione
felice; -Domani ho un altro
controllo e poi devo sentire David. Oggi poi è venuto a
“trovarmi” il direttore
della clinica e mi ha chiesto di cantare allo show della settimana
prossima,
non sapevo neanche ci fosse questo show! Comunque ho accettato, ho
visto che
partecipi anche tu!-
-Ti prego, non ricordarmelo! Mi ha iscritta mia madre un paio di mesi
fa, me
n’ero completamente scordata, per fortuna me l’ha
riportato in mente lei questo
pomeriggio! Insomma.. già mi vergogno a parlare con le
persone, come farò a
cantare davanti a tutti? Ho già messo in conto
cadrò oppure steccherò- mi
sfogai muovendo le mani nervosamente e guardando il soffitto. Mi
sorprese
prendendomi tutte e due le braccia e voltando il volto verso il suo,
così da
fissarlo bene negli occhi.
-Mel, rilassati- soffiò sul mio viso, -Sei brava, non devi
preoccuparti- posò
le sue labbra sulle mie.
E così le preoccupazioni sparirono. E così smisi
di pensare. E così le cose
attorno a noi si offuscarono.
“Bill, grazie per tutto. C’è un
‘ti amo’ che
aleggia nella mia mente. Chissà, un giorno te lo
dirò.
Ehi Bill, sei diventato la mia vita”
|
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Capitolo 19 *** Capitolo XIX (Z) ***
Capitolo
XIX
Pov Bill
Mercoledì
la sveglia cominciò a suonare alle sei e mezza, un
orario decisamente inconsueto per me – amante delle lunghe
dormite – in
programma però avevo un incontro con David Jost e il resto
dello staff, nella
sede della Universal di Amburgo assieme al resto della band;
già intuivo del
perché il manager volesse riunire tutti: ormai la mia
permanenza alla clinica
stava per volgere al termine..
Così dopo averci parlato al telefono avevamo concordato di
trovarci tutti in
ufficio nella prima mattinata.
Ancora mezzo addormentato mi recai in bagno e indossai meccanicamente i
vestiti
scelti la sera prima, così da non dover passare
un’ora fra le valigie, ero
molto lungo quando si trattava d’abbigliamento, nonostante
nessuno oltre ai
miei collaboratori più stretti mi avrebbe visto. Ero fatto
così, perfezionista
e pignolo. Mi truccai leggermente, anche perché non ero
abbastanza sveglio per
tentare a un make-up più estremo e curato; inviai un
messaggio a Mel per
augurarle il “buongiorno”, sapevo che quel giorno
aveva una giornata pesante:
terapie la mattina, pomeriggio lezioni e la sera prove per lo
spettacolo;
ancora non mi aveva detto la canzone che aveva scelto, ero curioso.
Dopodiché
ricevetti lo squillo di Tom che indicava fosse sotto con la Cadillac e
le due G
ad attendermi.
-Salve ragazzi- dissi salendo sul sedile anteriore, accompagnando il
tutto con
un sonoro sbadiglio. La risposa fu uno strano insieme di versi ben poco
umani;
-direi che tutti e quattro necessitiamo di un bel caffè..
molto forte anche-
affermai.
-Concordo con te Bill- annuì Gustav, l’unico
mattiniero fra di noi, quindi
l’unico in grado a emettere una frase a quell’ora,
ancora l’alba per me.
-Tom fermati nel primo autogrill che trovi, poi scendo io e vi prendo
qualcosa
di forte, sembrate degli zombie- costatò scuotendo la testa.
Una ventina di minuti dopo il santo batterista era andato nel bar ed
era
tornato con quattro caffè potenti per noi poveri musicisti
nel mondo dei sogni.
Con movimenti lenti tracannammo la bevanda mentre i nostri sensi pian
piano
tornavano normali.
Ecco come si svolgevano i risvegli dei
Tokio Hotel. Se
non ci fosse stato
Schäfer
probabilmente saremo stati in stato
vegetativo un bel po’ di ore.
-Grazie Jutschel- proferì Tom leccandosi il labbro. Il
biondino scosse le
spalle, ormai ci sera abituato alle nostre lune.
-Allora,- cominciò Georg rivolto verso di me, -non ci hai
ancora raccontato
com’è andato il weekend con Mel-
-Io lo so!- si
intromise mio fratello,
facendo girare la pallina del piercing con fare malizioso.
-Oh! Qualche dettaglio sconcio?- domandò l’Hobbit
avvicinandosi al mio sedile,
repentinamente mi girai e gli tirai un piccolo schiaffo sulla fronte.
-No, sognalo- annuncia categorico.
-Vuoi che lo sogni?- chiese retorico, facendo ridere quel porco di Tom.
-Cretino- esclamai sconsolato, cercando di colpirlo, mi lesse nel
pensiero e
riuscì a scansarsi.
-Dai Hagen lascialo in pace, quando mai Bill ha raccontato i dettagli
della sua
vita privata e intima?-
mi soccorse Gus.
Un giorno o l’altro avrei dovuto fare una statua a quel
ragazzo, sedava sempre
le liti ancora prima che iniziassero con calma e pacatezza, due cose
che al
resto della band mancavano.
-Grazie, per fortuna qualcuno che mi capisce!- affermai incrociando le
braccia.
-Gustav sei un traditore, sei sempre dalla sua parte!-
piagnucolò l’altro
Kaulitz, assumendo l’espressione di un bambino a cui avevano
appena rubato il
pacchetto di caramelle.
-E dai ragazzi, non ho voglia di assistere a sceneggiate di prima
mattina- si
giustificò semplicemente.
-Allora Tom, raccontami tu qualcosa! Pratichi astinenza da quando sei
alla
clinica con Bill, no?- lo stuzzicò il piastrato.
-Astinenza? Sto cazzo!- ridacchiò ammiccando, -Mi basta
uscire in giardino, a
volte mi sento come il miele, attraggo tutte le api che sono la
attorno!-
solamente Georg rise alla battuta, mentre scambiai
un’occhiata afflitta con
l’altro.
-Le anoressiche e le bulimiche.. sarà perché non
mangiano, le trovo molto..
affamate- si inumidì la lingua come al solito, -Fa un
po’ senso, sono talmente
magre che temo si spezzino.. però ne vale la pena. Ve lo
consiglio- concluse.
-Seriamente?- chiese conferma l’Hobbit.
-Provare per credere!- esclamò con fare misterioso.
-Okay, direi di chiudere questa sottospecie di discorso- fermai
qualsiasi tentativo
da parte dei pervertiti del gruppo di iniziare una conversazione alla
base di sesso; -piuttosto, che
avete fatto in
questo mese?-
Finalmente riuscimmo a istallare un discorso più sensato e
interessante. Come
avevo immaginato Georg si era dato alla pazza gioia uscendo per bar
tutte le
sere accompagnato dal federe Andreas, il quale non rifiutava mai un
boccale di
birra e ragazze; anche il biondo si era unito qualche volta a loro,
anche se
prevalentemente aveva passato quei mesi a casa con la famiglia,
dedicandosi a
un po’ di sport – sembrava dimagrito in effetti
– e si era allenato con la sua
amata batteria.
-Nessuna ragazza quindi?- domandai incuriosito.
-No- dissero le G in coro.
-Per fortuna!- esclamò Tom, -insomma, basta già
avere un cantante rincoglionito
e fra le nuvole, almeno noi dobbiamo rimanere fedeli alle care e amate
‘One-night-stand’!- si spiegò.
-Ben detto Kaulitz!- concordò ovviamente Listing, dandogli
una pacca d’intesa
sulla spalla.
-Idioti- sussurrai io non abbastanza piano da non essere scoperto, in
quanto
una mano si intrufolò in mezzo ai miei capelli
scompigliandoli tutti.
-Georg- sibilai voltandomi verso di lui, -me la pagherai, guardati alle
spalle-
i miei occhi divennero due fessure inquietanti e la minaccia ebbe
l’effetto
sperato, in quanto il ragazzo si spalmò contro al sedile,
mentre gli mostravo
un sorrisetto sadico.
-Io avrei paura- rincarò la dose Tom ghignando.
-Voi non avete fame? SexGott dei miei stivali fermati in quel bar,
voglio una
brioche!- a sedare la ‘guerra fredda’ fu sempre il
santo batterista, la
proposta fu accolta da tutti e l’appetito fu placato da
quattro cornetti
fumanti.
-Quanto manca ancora?- domandai a Tom, i viaggi in macchina mi
annoiavano
sempre, soprattutto se la colonna sonora era Samy Deluxe.
-Una ventina di minuti, se non ti lamentassi ogni volta che supero il
limite
faremo prima!- brontolò.
Ovvio che mi lamentavo, potevo comprendere superare il limite di una
decina di
chilometri all’ora, ma quando il massimo era settanta e lui
premeva sull’acceleratore
per raggiungere i cento mi pareva logico iniziare uno dei miei
monologhi sulla
sicurezza stradale: alla fine, stordito dalle mie parole, cedeva e
rallentava.
-Senti, so che può sembrare strano… ma tengo alla
mia vita! Non voglio finire
spappolato in questo mostro di macchina!-
-Come osi chiamare la mia amata vettura, MOSTRO?- mi guardò
esterrefatto,
-chiedi scusa alla piccola Samie!-
Avevo sempre immaginato ci fosse qualcosa che non andasse in mio
fratello,
soprattutto quando a nove anni tornò a casa con quei
serpentelli in testa, poi
si erano aggiunti quei vestiti così orribili,
mai avevo però pensato sarebbe
arrivato a chiamare la sua macchina con un nome!
-Spiegami- iniziai calmo, -La tua auto ha un nome?- la mia voce aveva
un non so
che di.. isterico.
-Sì- ammise come fosse la cosa più normale al
mondo.
-Non sei a posto tu- lo apostrofai inarcando un sopracciglio.
-Disse quello che, nonostante i diciotto anni, dorme con un peluche,
TEDDIIIII!- ricambiò l’accusa.
Non c’era niente di male nell’avere un pupazzo, lo
tenevo con me dall’età di
sette anni, era logico non volessi abbandonarlo, mi ci ero affezionato.
Dallo specchietto retrovisore potei notare Gustav e Georg guardarsi e
ridacchiare, scuotendo la testa. Avevano fatto abitudine ai litigi miei
e di
Tom, per ogni motivo e per ogni cavolata, puntualmente però
si risolvevano in
poco tempo. Sicuramente erano sollevati ci trovassimo in macchina, non
avevamo
a disposizione padelle da tirarci dietro, quando eravamo nel nostro
appartamento però..
-Arrivati!- esclamò Jutschel, Tom parcheggiò di
fronte alla Universal e il
piccolo battibecco fu archiviato e dimenticato.
Entrammo e trovammo Helen ad accoglierci, la stessa segretaria che
c’aveva
fatto fare il giro della seda ben tre anni prima, all’epoca
dell’uscita di
“Durch den Monsun”.
-Giorno ragazzi! È bello rivedervi- sorrise cordiale, -Tutto
bene? David e gli
altri vi aspettano nella sala riunioni- ci informò.
Scambiammo qualche chiacchiera e qualche convenevole per poi
raggiungere il
manager.
Mi era mancata la sede della casa discografica, mi piaceva
l’atmosfera che
c’era al suo interno: vi lavoravano moltissime persone e ci
si poteva
confrontare sulla musica, c’era sempre qualcuno pronto a
darti un consiglio e
anche una critica quando serviva.
-Giorno!- salutammo in coro non appena entrati e accomodati attorno al
tavolo.
-Bentornati a casa- ci fece l’occhiolino Dunja, -tutto bene
ragazzi?-
rispondemmo positivamente.
-Allora, immagino sappiate perché siete qui, no?-
iniziò David, catturando l’attenzione
di tutti, lasciando poi a me la parola.
-Beh, sto completando il percorso di riabilitazione, ho praticamente
concluso
il programma senza complicazioni. Posso già tornare a
cantare, ho avuto una
visita ieri con il medico e ha confermato la mia completa guarigione-
sorrisi
contagiando il management. –Quindi..-
-Quindi dobbiamo recuperare le date perse a marzo e aprile, ne sono
state
cancellate parecchie. Perciò stiamo procedendo con
l’organizzazione di un ‘Open
air summer tour’- informò.
Sospirai, mi sentivo combattuto. Morivo dalla voglia di tornare a
cantare, era
quella la mia vita. Salire sul palco, prendere il microfono e
proseguire con lo
show, sentire l’adrenalina, il contatto con il pubblico.. in
questi mesi tutto
ciò era mancato e ora ne avevo davvero bisogno.
La musica era una parte integrante della mia esistenza. Senza non sarei
stato
io.
Ciò che mi impediva di godere della notizia era Mel, anche
lei era entrata a
far parte di me, insinuandosi timidamente nel mio cuore e rimanendoci.
Che situazione difficile, senza via
d’uscita.
-Quando potresti lasciare la clinica?- mi domandò
Roth.
-Direi che potrei rimanere ancora due settimane, anche meno- mi strinsi
nelle
spalle.
Come l’avrei comunicato a Mel?
-Perfetto! Va bene con ciò che sto pianificando,
per ora ho le prime date:
tre maggio in..- fece una pausa, -America! Al ‘Bamboozle
Festival’-
Fissai sbalorditi i miei amici, America! Era
un sogno che si realizzava. Grazie David,
grazie fans.
-Poi il primo giugno ci sarebbe il Rock in Rio a Lisbona, in
tredici si
tornerebbe in Germania a Dorthmund… scusate mi sto facendo
prendere
dall’entusiasmo- ridacchiò, -ma ciò
deriva anche da tutte le lettere ricevute
dalle fan, in questo periodo – non avendo nulla da fare
– ne ho lette un po’, e
tutte aspettano il vostro ritorno- affermò allegro.
-E noi le accontenteremo- sorrisi e cercai l’approvazione
degli altri,
ottenendola.
-Perfetto! Allora direi abbiamo concluso qui per oggi, avrò
il mio da fare
nell’organizzazione. Potete andare, grazie per essere
venuti!-
David ci congedò, decidemmo di fermarci ancora un
po’; Gustav, Georg e Tom
uscirono nel giardino per fumare una sigaretta, io optai per una tappa
alle
macchinette, così da prelevare una RedBull.
-Non fa bene bere queste cose la mattina sai?- Natalie mi si
affiancò,
rimproverandomi scherzosa.
-Non mi hai neanche salutato!- sbuffò facendomi ridacchiare.
-Ciao Nat- mi sporsi verso di lei per darle un bacio sulla guancia. Era
l’unica
amica donna che avevo, mi stava affianco da quando avevo quindici anni,
era una
specie di sorella maggiore.
-Allora, ci siamo sentiti così poco! Ti vedo felice, da
tempo non ti vedevo
così spensierato- osservò fissandomi, mi
conosceva bene.
-Sono innamorato- confessai in imbarazzo.
-Davvero? Oddio sono così felice per te, l’hai
conosciuta alla clinica?-
-Si..- sospirai, -è una situazione complicata. Lei
è malata, ha la leucemia da
quattro anni-
-Oh- mi guardò afflitta per un attimo poi mi prese per mano
e mi fece sedere al
suo fianco, cingendomi la spalla con un braccio.
-Esatto, oh. Si chiama Mel, mi ha
colpito subito. Sai, non conosceva neanche i Tokio Hotel- sorrise, -Mi
piace
parlare con lei, perché non conoscendo ‘Bill
Kaulitz von Tokio Hotel’ vede solo
me, con difetti e pregi. E ha
imparato ad amarmi così. È stato difficile, non
voleva saperne di me, diceva
fossi solo un amico, e non ci ho creduto neanche per un attimo, lo
vedevo nei
suoi occhi… ha degli occhi magnifici, sono azzurro chiaro, a
volte sembrano di
ghiaccio, ma trasmettono una dolcezza inimmaginabile. Respingermi, lo
faceva
per me: non voleva che stessi con una persona malata,
si preoccupa sempre degli altri e mette se stessa in
secondo piano. Ho insistito, tanto- ridacchiai, -alla fine ha ceduto,
la i
dubbi ci sono ancora, forti. La vedo tentennante appena si accenna
all’argomento “futuro”, perché
so già che, non appena uscirò dalla clinica, fra
noi sarà finita- chiusi un attimo gli occhi, -Non posso
biasimare la sua
scelta, la capisco. È la cosa più giusta per
tutti e due.. non riesco ad
accettarlo, mi impongo di non pensarci, perché fa male. Sono
veramente
innamorato di lei, e..- posai le mani sul viso, le labbra cominciavano
a
tremare, non volevo piangere.
-Cucciolo- mormorò, -E’ proprio complicata come
situazione. Mi piacerebbe
conoscerla questa ragazza, sembra una brava persona, soprattutto
perché se ha
conquistato il tuo cuore deve essere speciale. Capisco quanto tu soffra
al
pensiero della separazione, ma è la cosa più
giusta in fondo. Una relazione a
distanza sarebbe massacrante per entrambi, ne uscireste distrutti.- mi
parlò
con tono dolce, quasi materno.
-Come posso dirglielo? Fra neanche due settimane parto e non ci vedremo
più? Se
glielo comunicassi ora sono certo troncherebbe tutto subito per non
soffrire.
Di certo non posso dirglielo la mattina prima della partenza!-
-Non ci sarà mai un momento giusto per comunicarglielo-
sorrise tristemente.
-Non mi resta che “Leb die
Sekunde”
direi- sussurrai.
-“I know that one day we’ll
see
again, try to go on as long as you can”, pensa a questo Bill,
se è vero amore
vi ritroverete-
La ringraziai, mi era mancata molto, sapeva sempre dire le cose giuste
al
momento giusto, aveva un talento innato per consolarmi.
-Ah Bill sei qui!- ci venne incontro Jost, -ti stavo cercando-
-Dimmi- cancellai ogni segno di tristezza e indossai una maschera da
ragazzo
felice ,ormai ero diventato bravo a fingere.
-Ho parlato con il direttore della clinica per via dello show-
annuì seguendo
ciò che diceva, -Mi ha assicurato che I video fatti in
quelle occasioni non
vengono mai diffuse perché è una regola, quindi
non avrai problem. Suonerai
per ultimo, “Wir sterben niemals aus” in versione
acustica con Tom. Gustav e
Georg sono impegnati con le loro famiglie e non possono partecipare-
-Perfetto!- assentì io, -gli altri dove sono?-
-Mi hanno detto che ti aspettano in macchina per andare a mangiare
qualcosa.
Quegli ingordi- ridacchiò.
-Okay, allora ci vediamo sabato Dave- rispose con un cenno e
sparì in ufficio.
-E Nat, teoricamente a.. fra due settimane-
-Mi raccomando, voglio essere tenuta informata- la abbracciai
affettuosamente
per poi raggiungere i tre bifolchi in macchina.
Raggiungemmo il primo ristorante disponibile, mandando sempre Gustav a
prendere
le cose da mangiare, per poi ingozzarci nella macchina di Tom, sotto
sua
stretta osservazione, attento che non sporcassimo la sua amatissima Samie.
-Tom,- disse Hagen ancora a bocca piena, -Puoi lasciare me e Wolfgang
al solito
pup, stasera dormiamo in albergo.. anche se non ho in programma di
dormire, io-
ammiccò.
-Va bene SexGottJunior- concedette mio fratello, lanciandogli uno
sguardo di
intesa.
Abbandonammo i due sotto al pub, uno dei più noti di
Amburgo, per poi tornare
nella triste Colonia. Inizialmente il viaggio procedette fra i miei e i
suoi
battibecchi, io non volevo sentire Deluxe e lui non voleva sentire
Nena. Ci fu
poi un momento di silenzio che scelse lui di interrompere.
-Ti vedo inquieto, centrano Mel e il tour, giusto?- mi
guardò serio, bingo.
-Esatto-
-Se fossi stronzo – e lo sono, quasi sempre – ti
direi “te l’avevo detto”, ma
non mi sembra il caso. Sapevi a cosa andavi incontro quando ti sei
messo con
lei, anche io ero contrario, e ho fatto fatica ad accettarlo.
Però Mel è stata
chiara fin dall’inizio: una volta lasciata la clinica,
avreste chiuso. È la cosa
migliore, per quanto ti possa sembrare.. ingiusta.
Mi dispiace, perché un pelino mi sono affezionata a quella
ragazzina timida, un
pelino.. ma non c’è altro da fare, non ci sono
altre strade possibili-
Rimasi ad ascoltare tutto quello che diceva, raramente faceva uscire la
sua
parte “matura”, però quelle poche
occasioni in cui lo faceva mi aiutava sempre
a capire, perché Tom mi conosceva.. meglio di quanto io
conoscessi me stesso.
-Goditi questi momenti, cerca di non farti condizionare dal futuro,
come fa
lei- mi fece promettere.
-Grazie- dissi riconoscente.
-Figurati, è questo a cui servono i gemelli, no? A impedire
che l’altro si
faccia mille seghe mentali inutile, così da cadere in
paranoia.. e dover poi
consolarlo per ore e ore- fece l’occhiolino e mi ritrovai a
ridere delle sue
parole.
E bravo Kaulitz, era riuscito a smorzare l’atmosfera e a
farmi rilassare.
Grazie Tom.
*
* *
Già
sabato; avevo perso la cognizione del tempo e il giorno
dello spettacolo era arrivato troppo in fretta. Mille paranoie e
pensieri
occupavano la mia testa, non ero riuscito a confessare a Mel che la
settimana
successiva sarei partito perché stava per ricominciare il
tour, cercavo il
momento giusto, sapendo non l’avrei mai trovato. Glielo volevo davvero dire? La risposta
era negativa, era sbagliato
non metterla a conoscenza di ciò, ma conoscevo le
conseguenze qualora gliene
vessi parlato.
Guardai il mio viso struccato, non era una bella visione: stanco,
sciupato;
avevo dormito poco a causa degli ultimi avvenimenti e ciò
era ben visibile
dalle occhiaie che risaltavano sulla pelle pallida. Svogliatamente
cominciai ad
applicare il fondotinta con attenzione, coprendo tutti i punti
critichi. Passai
al trucco, tirai una linea di eye-liner sopra e sotto gli occhi, presi
l’ombretto nero coprendo la palpebra e sfumando con il grigio
nella parte
esterna. Solito trucco bistrato, era tanto che non mi truccavo con
cura, nella
clinica mi limitavo a qualcosa di più leggero; passai della
cipria sulle guance
e mi potei ritenere soddisfatto del risultato. Le imperfezioni erano
sparite,
ero perfetto.
Raccolsi un paio di jeans dall’armadio,
stretti e strappati. Cintura con le borchie, t-shirt con
una stampa
gotica, giacchino in pelle. Polsino grigio, bracciali e collane. Tenuta da palcoscenico. Passai
nuovamente la piastra sui capelli e fissai qualche punta con della
lacca.
Una goccia di profumo ed ero pronto.
Lo specchio rifletteva un Bill Kaulitz sicuro, sfrontato, sorriso
tranquillo
sul volto.
Immagine illusoria.
Il mondo dello spettacolo m’aveva insegnato a
recitare, a mentire,
nascondere ciò che pensavo veramente e ciò che
era scomodo per la mia immagine.
Business spietato, o segui le regole e verrai tagliato fuori. Tuttavia
non ero
la marionetta di nessuno io, tanti provavano a farmi cambiare, cercando
di
rendermi “normale”. Senza risultati.
Nessuna metteva i piedi in testa a me, cantante dei Tokio Hotel.
Nessuno mi poteva fermare, niente è più forte di
chi lotta per un sogno.
-Ehi, sei pronto? Dobbiamo scendere- esclamò Tom entrando in
camera mia.
-Sì- sospirai dandomi un’ultima controllata. Bill Kaulitz era tornato.
“Lass uns hier raus, wir wollen da rein
In unserem Traum die ersten sein!
Halt´ uns
nicht auf „
|
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Capitolo 20 *** Capitolo XX (E) ***
Capitolo
XX
Stavo scendendo
assieme a Tom quando mi arrivò un messaggio di Julia che
chiedeva di passare da
Mel prima, visto che non era ancora arrivata giù.
-Io vado da Mel, tanto noi suoneremo tra due ore minimo. Lei
è circa a metà
quindi..- ragionai a voce alta.
-Vai dal tuo amore- disse lui ridacchiando, -Io cerco qualcosa
da fare intanto-
strizzò l’occhio sparendo dalla mia vista.
Traduzione: Io cerco qualcuna da farmi intanto.
Bussai sulla porta ma, non ricevendo risposta, entrai comunque.
-Mel?- la chiamai, sentendo dei rumori provenire dal bagno.
-Bill? Sono in bagno. Ora esco- mormorò nervosa.
Uscì timidamente con lo
sguardo basso. “Dio, che
bella” fu il
mio primo pensiero.
Aveva indossato uno dei vestiti scelti da me al KaDeWe, azzurro e dal
taglio
semplice che le arrivava sopra al ginocchio. Ai piedi un paio di
decolleté
bianche, in tinta con il trucco chiaro del suo viso e il cappello. Gli
occhi
brillavano come due perle sul viso pallido.
-Mi ha costretto Julia a mettere questo- farfugliò,
chissà perché ma l’avevo
già intuito.
-Perché ti vergogni?- domandai mentre il suo viso arrossiva,
-Sei splendida-
dissi sinceramente.
In quel momento alzò lo sguardo e lo punto sul mio corpo,
squadrandomi con
curiosità. Si soffermò sul viso, avvicinandosi e
accarezzandomi le guance.
Piccoli brividi mi percorsero la schiena, era l’effetto di
ogni suo tocco.
-Non ti avevo mai visto così- parlò piano, -Sei
così bello- le mie guance
presero calore e distolsi lo sguardo, notai che si torturava le mani
nervosamente.
-Paura?-
-Peggio- ammise, -Non trovo il coraggio d’uscire da qua. Sono
troppo ansiosa!-
-Non devi averne, ci sono io che faccio il tifo per te- strizzai
l’occhio.
-Ciò non mi rassicura per niente, sai? Non voglio fare una
brutta figura
davanti a tutti e a te!-
borbottò.
-Infatti non succederà-
-Io da qua non esco- annunciò, sedendosi a gambe incrociate
sul letto;
trattenni a stento una risata, quando assumeva
quell’espressione incavolata era
davvero buffa.
-Se vuoi conosco un modo per allentare la tensione- sorrisi furbamente.
-Mh- mormorò confusa, guardando la mia faccia.
Arrossì, aveva capito cosa
intendevo.
* * *
-Bill, cavolo
dobbiamo andare, tocca a me fra venti minuti!- disse agitata Mel,
mentre si
risistemava il bordo del vestito e controllava che il trucco non fosse
sbavato.
-Andiamo- le sorrisi, passando la spazzola sui capelli leggermente
arruffati.
Mi prese la mano, trascinandomi fuori dalla porta.
-Più tranquilla adesso?-
-Sì.. qualcosa mi ha fatto passare la tensione-
arrossì imbarazzata.
-Contento di essere utile- scoppiai a ridere, per essere poi seguito da
lei e
la sua risata dolce.
-Andiamo da Julia?- propose, -E’ là-
indicò l’amica intenta a truccare una
sconosciuta. Annuì.
-Ehi ragazzi, agitati?- domandò finendo di passare del
mascara sulla ragazza,
per poi mandarla via e poter parlare con noi.
-Un po’- rispondemmo all’unisono. Ci
fissò pensierosa per un attimo per poi
avvicinarsi a me, con un ghigno malizioso sul viso. Strofinò
il dito sul mio
collo.
-Attento Kaulitz, qualcuno potrebbe chiedersi perché hai del
rossetto qui-
ammiccò in direzione della mia ragazza, che
sembrò voler scavare una fossa per
nascondersi al suo interno.
-Oh, bravo il mio fratellino che ha trovato un modo per sfogare la
tensione!-
spuntò Tom da dietro, facendomi sobbalzare. Idiota!
-Taci Tom!- l’apostrofai, notando strani segni
violacei sotto l’orecchio,
-Vedo non ti sei risparmiato neanche tu- aggiunsi acido, mentre se la
rideva.
-Siete troppo carini quando vi prendete a parole- fece Julia, -Sembrate
due
bambini-
-Perché lui è un bambino!- esclamammo entrambi
nello stesso momento,
additandoci. Maledetta telepatia
gemellare! Però la scena era talmente comica che
non riuscimmo a rimanere
seri.
-Bravi i Kaulitz, uno più idiota dell’altro-
commentò la castana.
-Concordo- l’appoggio l’altra.
-Vi siete messe d’accordo per rompere le palle, per caso? No
perché mi
piacerebbe saperlo, almeno mi posso preparare- intervenne Tom,
scherzoso.
-Esatto, coalizione contro di voi!- Mel tirò fuori la lingua
divertita, tutta
l’ansia di prima era svanita.
-Quando tocca a te?- domandai.
-Dopo Serena, quella che deve cantare Gomenasai
delle Tatu-
-Cioè, quella che è sul palco adesso?- indicai la
biondina che si stava
esibendo in quel momento.
-Merda- sussurrò spalancando la bocca, -merda, merda,
merda!-
-Ha finito!- esultò Ju, -Vai e spacca piccola!- la
incoraggiò.
-Ah..- balbettò, -aiuto-
Vedendola in difficoltà la presi da parte e lasciai che si
accoccolasse sul mio
petto, sentivo il suo cuore battere all’impazzata.
La potevo capire benissimo, agli inizi succedeva anche a me, poi
riuscì a
controllare il panico, nonostante il nervosismo prima di un concerto
non
sarebbe mai scomparso, come non tremare di fronte a miliardi di persone
lì per
te e la tua musica?
-Quando sarai là non pensare al pubblico, fai finta di
essere in camera tua,
con il tuo pianoforte. Nessuno ti ascolta, ci sei solo tu con la
musica, tu e
la tua passione, il resto verrà da sé- le sorrisi
incoraggiante.
-Lo spero..- disse poco convinta.
-E ora è il turno di Mel Bauer! Un applauso- il direttore
interruppe la nostra
conversazione e fui costretto a staccarmi da lei, spingendola verso il
palco.
Mi guardò terrorizzata per poi prendere posto.
-Grazie- chiuse gli occhi come le avevo suggerito e prese un respiro,
per poi
cominciare a muovere le dita con sicurezza e dolcezza sulla tastiera,
riproducendo la melodia di una famosa canzone.
“You with the sad eyes,
don’t be discouraged, Oh I realized
it’s hard to take courage, in a world
full of people you can lose the sight of it all..”
Non avevo mai
avuto modo di sentire pienamente la sua voce, ne rimasi incantato.
Le sue mani fluttuavano dolcemente sui tasti d’avorio,
sembrava li accarezzasse come una madre accarezza il figlio, con amore. L’espressione del suo
viso era
rilassata e infondeva tranquillità, la
mia musa.
Al momento del ritornello dischiuse le palpebre vagando lo sguardo fra
tutte le
persone presenti, le quali la fissavano in adorazione,
finché non lo inchiodò
al mio, mi accorsi solo in quel momento di essermi avvicinato al palco
inconsapevolmente, seguendo il richiamo della sua voce.
Mi fissò e lo intonò con tale dolcezza che,
quasi, mi salirono le lacrime agli
occhi.
“But I see your true colors,
shining through, I see
your true colors..
Tornò a
chiudere
gli occhi, mentre io non riuscivo a pensare a nulla, se non a quanto
fosse
terribilmente meravigliosa, là con gli occhi chiusi e le
labbra che si
muovevano lentamente, seguendo la melodia creata dalle sue dita sottili.
“..
that’s why I love you”
Faticavo a
prestare attenzione alla musica e a ciò che mi stava
attorno, a causa del
battito del mio cuore che rimbombava nelle orecchie. Quella frase
pronunciata a
volume più basso rispetto al normale mi fece tremare, era
pur sempre una
confessione, perché ero certo non avesse scelto quella
canzone a caso, e il
fatto che per un momento m’avesse guardato, per poi
distogliere gli occhi dai
miei e pronunciare quel pezzo mi aveva tolto ogni dubbio. Su quel palco stava cantando per me.
“True
colors, are
beautiful.. like a raimbow”
Quei tre minuti
e quarantasei passarono senza che me ne accorgessi, mi sentivo
catapultato in
un'altra dimensione in cui c’eravamo solo io e lei. Respiravo
lentamente,
cercando di riprendermi. Era possibile amare una persona
così tanto?
Cosa mi hai fatto, Mel?
Ho avuto più storie nella mia vita, eppure lei
aveva annullato tutto. Mi
sembravano tutte cose banali se confrontate a come stavo con la mia
principessa, a come mi faceva sentire.
Ho conosciuto ragazze più belle, più estroverse,
più semplici, tuttavia mi ero
innamorato di Mel, timida e complicata, sempre in conflitto con se
stessa,
decisamente troppo pensierosa e altruista, debole fisicamente ma forte
nell’animo.
Era unica. Era mia.
Lo scroscio di
applausi che partirono una volta ebbe terminato mi riportarono
bruscamente alla
realtà, mentre lei scendeva frettolosamente imbarazzata e si
catapultava fra le
mie braccia.
Mi guardava timorosa, in attesa di un mio commento.
-Io.. non ho parole, sul serio.- ammisi serio, per una volta in tutta
la mia vita
non riuscivo a trovare i termini adatti per descrivere ciò
che pensavo, -Mi
tremano ancora le gambe. Dove tenevi nascosta quella voce, eh? Sei.. hai brillato su quel
palco!-
Mi sorrise radiosa, mostrando gli occhi lucidi. Mi si strinse il cuore,
ancora
non le avevo detto nulla..
-Andiamo da Julia?- mormorò poi staccandosi leggermente.
-Tu vai, io devo raggiungere Tom, senti questo rumore?- accordi di
chitarra,
-Ecco, è lui che sta sistemando tutto per
l’esibizione-
-Okay, non vedo l’ora di vederti suonare- disse con gli occhi
che le
luccicavano. Sorrisi in imbarazzo.
-Dai, a dopo allora- mi baciò e corse via, ancora euforica
per l’esibizione.
Raggiunsi mio fratello e lo trovai seduto a lucidare la sua amata
chitarra
classica, una delle tante che possedeva.
-Allora, pronto?- domandò vedendomi arrivare.
-Sì, il mio primo “show” dopo due mesi
di pausa! Sono un po’ nervoso- ammisi.
-Tanto andrai bene, come sempre- mi rassicurò allegro, anche
a lui mancava la
nostra vita.
-Non ne hai ancora parlato con Mel, vero?- domandò
cautamente, riferendosi al
tour. Negai, senza aggiungere altro.
In quel momento l’ansia aumentò, mischiandosi a
una sorta di cattivo presagio.
-Dai, tranquillo- mi affiancò stringendo per un attimo la
mia mano, sapeva
sempre come comportarsi con me. Danke,
Tomi.
-Tocca a noi!- esclamai, vedendo il tecnico ci faceva segno di
avvicinarsi
all’entrata. Il pubblico circondò il palco, dopo
essersi sparpagliato durante
la piccola pausa e fissava l’ambiente in attesa.
-Eccoci tornati dopo la piccola pausa- iniziò il direttore,
-E.. ora tocca a
due persone, ma penso le conosciate già!- a quel punto si
discostò per farci
entrare e mi passò il microfono.
-Ehm,- non avevo preparato un discorso, improvvisai le solite parole di
rito,
-Io sono Bill e lui è mio fratello Tom dei Tokio Hotel-
presentai, anche se
praticamente ci conoscevano già tutti, -Gustav e Georg non
sono potuti venire,
perciò ci esibiremo nella versione acustica di “Wir sterben niemals aus”, spero
vi piaccia- sorrisi per sedermi
vicino al chitarrista, il quale mi lanciò
un’occhiata d’intesa, prima di
passare il plettro fra le corde. Chiusi gli occhi prima di iniziare,
riconobbi
l’attacco e feci uscire la voce, si presentò
sicura, graffiante.
La sala ammutolì, mi sentì soddisfatto. Giunta
l’ultima strofa cercai Mel e,
una volta trovata, la sussurrai nella sua direzione, “So was wie wir
Geht nie vorbei.” Vidi
le sue labbra tremare leggermente, per poi arricciarsi commosse verso
l’alto.
Concludemmo e fummo travolti di applausi, guardai Tom e notai aveva la
mia
stessa espressione: felicità. Stavamo per scendere quando
notammo il direttore
tornare sul palco, girai lo sguardo al gemello e ricambiò
con un’occhiata
preoccupata.
-Volevo dire sono felice che tu ragazzo- mi indicò, -abbia
recuperato la voce.
È stato un piacere averti nella nostra clinica, e spero
– per te – di non
vederti mai più- le persone là sotto
ridacchiarono, mentre io mantenni
un’espressione neutra, -Detto questo, goditi i tuoi quattro
ultimi giorni qui.
Per chi ancora non lo sapesse il tour europeo dei Tokio Hotel
riprenderà a
breve, il giorno..- prese un foglietto fra le mani, nel frattempo i
miei
pensieri si erano focalizzati sulla mia ragazza, non
doveva saperlo così!! La trovai con lo sguardo
basso, le mani
strette a pugno.
-Ah ecco, il primo giugno a Lisbona!- mi irrigidì, non
poteva stare zitto?
Mel alzò lo sguardo e sussultai vedendolo vuoto.
Mi diede le spalle.
Corse via.
Via da me.
* * *
Era successo
tutto troppo in fretta.
Un minuto prima ascoltavo Bill e Tom suonare la bellissima “wir sterben niemals aus”, un
minuto dopo
scappavo dal salone, improvvisamente troppo stretto e soffocante.
Avevo scollegato il cervello, i piedi si muovevano automaticamente e mi
riportarono in camera. Chiusi la porta a chiave, buttandomi sul letto.
Non riuscivo a pensare, in testa rimbombavano le parole “goditi i tuoi quattro ultimi giorni qui”.
Non me l’aveva detto. Era andato a parlare con David. Le
nuove date del tour
erano state stabilite.
La partenza era stata decisa. E non me ne aveva parlato. Mi aveva
mentito.
-Stupida, sei una stupida!- cominciai a sussurrare stringendo le gambe
al
petto. -Lo sapevi,
sapevi sarebbe
successo..- cantilenai.
Ero a conoscenza se ne sarebbe dovuto andare, un
giorno, però ultimamente ero stata talmente presa
da lui che non
ci avevo più badato.
-Grosso errore Mel, complimenti Mel- mordicchiai in labbro.
Dovevo aspettarmelo, la riabilitazione l’aveva conclusa, la
sua voce stava
bene, perché non mi ero posta il problema?
-Perché, eh, perché?-
Avevo cominciato la storia con Bill sapendo non avrebbe avuto una bella
conclusione: se volevo il lieto fine l’unica cosa era andare
a vivere in una
favola. Impossibile.
-Perché sono stata così masochista?
Perché sono stata così stupida?- digrignai
i denti, -Ah, perché lo amo. Giusto. E perché,
nonostante tutto, ho passato i
momenti più bella mia vita con lui- mi risposi.
-E ora cosa farai Mel, eh?-
Cosa avrei fatto? Senza di lui? Le sue carezze, i suoi sorrisi, i suoi
baci..
-BASTA!- urlai stringendomi disperatamente al cuscino.
All’inizio avevo immaginato questo momento, quello della
“separazione”.
Ero consapevole avrei sofferto. Ciò che non
immaginavo, era quanto. Sentendo lo
sguardo di Bill sul
mio vuoto riuscì a percepire il mio cuore farsi pesante e il
respiro
difficoltoso, gli elefanti del mio
stomaco avevano smesso improvvisamente di saltellare e si erano
ammassati al
suolo.
È strano come tutto possa cambiare in pochi minuti.
Un momento sei al settimo cielo, il momento dopo sottoterra.
Era successo tutto troppo in fretta.
Cominciai a ispirare forte, mentre il mio corpo venne travolto da
singhiozzi
sordi e forti.
-C-calmati..- mi auto imposi.
A fatica mi alzai recuperando la mia vecchia agenda, giacente sul
comodino dopo
aver ricevuto il regalo da Tom.
Mi imbattei su quello che avevo scritto i mesi prima.
“..Forse ho
trovato quella persona.
E penso la lascerò andar via.
E’ meglio per tutti e due.
Almeno ci sarà solo un cuore che piangerà,
e sarà il mio.
..Oggi ho toccato il cielo con un dito,
domani.. potrei schiantarmi al suolo.queequewqw ”
Sembrava passato
un secolo da quando avevo scritto quelle parole.. cos’era
cambiato da allora?
Avevo capito di aver trovato quella persona,
e l’avrei lasciata andare. E lo sentivo già, il mo
cuore, a pezzi.
Voltai le pagine.
“Massimo
un mese,
poi farò
tornare tutto come prima.”
E invece non lo
avevo fatto, non avevo trovato il coraggio e in fondo neanche lo
volevo, perché
stava rendendo la mia vita migliore.
Cosa restava? Una consapevolezza: non sarei mai
riuscita a far tornare
tutto come prima.
“..Da ora,
grazie a lui,
tutto ha senso.
..Amore. ”
Sorrisi di
ciò
che avevo scritto, anche se facevano fottutamente male.
Senza di lui nulla avrebbe più avuto senso.
Le parole che più descrivevano quella situazione erano le
stesse – ironia della
sorte – scritte all’inizio di tutto:
“A
volte la vita è proprio complicata.
A volte è troppo ingiusta.
A volte, è semplicemente stronza.”
Ero inerme e in
balia di me stessa. Il trucco scivolava macchiandomi le guance, il
vestito
tutto spiegazzato. E pensare che, questa mattina, mi ero alzata di buon
umore.
Presi una penna. Scrivere, avevo bisogno di scrivere.
“Sto
piangendo come una stupida.
Comincio a sentirmi un po’ più leggera,
però.
Sarà perché il mio cuore si sta svuotando
lentamente?
Fa male. Sto male.
Crack. Lacrime. Crack.
Tutto troppo in fretta. Dovevo
aspettarmelo.
Invece mi sono lasciata distrarre dalla felicità.
Non avrei dovuto farlo.
Forse, se fossi stata più attenta, forse..
No, sarebbe stato peggio.
Crack. Lacrime. Crack.
Quattro giorni ancora. Poi? Sparirà dalla mia vita.
Era quello che volevo.
Eppure l’unica cosa che sento è dolore.
Crack. Lacrime. Crack.
Cosa farò ora?
Un fantasma richiuso in camera.
Mi prenderò una pausa.
Dal mondo.
Da Bill.
Da me”
* * *
-Hei,
perché mi
hai chiamato?- domandò la ragazza, rivolta al rasta, il
quale le aveva chiesto
un incontro in maniera piuttosto urgente.
-Ho bisogno del tuo aiuto Julia- affermò serio, guardandola
negli occhi
castani.
-Dimmi Tom- ricambiando
il tono.
-Oggi pomeriggio ce ne andiamo dalla clinica- la giovane
annuì, esattamente
quattro giorni erano passati dallo spettacolo.
-Lo so. E quindi?-
-Non possiamo partire lasciando che le cose fra loro
due non si chiariscano. Devono parlare, incontrarsi-
La giovane sorrise amaramente, negli occhi del ragazzo era percepibile
tutta la
sua preoccupazione.
-Bill sta male- spiegò, -Non l’ho mai visto
così giù, neanche quando gli hanno
annunciato era necessario operarsi. Non sorride, è
terribilmente pallido, fa
fatica a mangiare, ha lo sguardo perso nel vuoto, ormai non piange
più. Mi
distrugge vederlo così, mi sento inutile.
Ha chiamato Mel solo una volta e, non ricevendo risposta, si
è arreso.- confessò
gesticolando.
-Non vedo Mel da sabato- sospirò, -Praticamente è
sempre chiusa in camera,
lascia entrare i medici per i controlli e ha fatto spostare le lezioni
dalla
biblioteca alla stanza. Ho provato a chiamarla ma ha il telefono
staccato, mi
sono piazzata davanti alla sua porta e ho bussato dieci minuti senza
ricevere
risposta o captare un movimento dall’interno, questo tutti i
giorni-
Distolsero lo sguardo, cercando una soluzione perché non era
possibile
continuare in quel modo.
Vedere le persone a cui tieni soffrire e autodistruggersi faceva male.
-Ho un’idea- esclamò Julia, incitata poi a
continuare, -Oggi pomeriggio il
dottore va in camera sua e la visita. Conosco bene Rossella,
l’infermiera, che
ha anche una relazione con lui.. quindi potrei parlare con lei e
sicuramente
riuscirà a convincere il medico a saltare la visita,
così Bill busserà alla
porta al suo posto, lei aprì e tuo fratello può
approfittare per entrare, che
dici?- come ragionamento, pensò lui, non faceva una piega.
-C’è un dettaglio però, Bill non vuole
incontrarla. Cioè, non è che non
“voglia”, visto come è fuggita allo
spettacolo ha deciso di rispettare la sua
decisione, nonostante stia soffrendo come un cane.. Potresti parlarle
te?-
propose.
-Non mi ascolterebbe, penso ascolterebbe te però-
-Perché dovrebbe?-
-Tu sei schietto e da subito sei stato contrario a una loro relazione,
quindi
starebbe a sentire ciò che hai da dire perché non
le hai mai nascosto i tuoi
pensieri, capisci che intendo?-
Tom Kaulitz annuì. Era ora di fare qualcosa.
* * *
Stavo bene.
Dal giorno dello spettacolo non avevo messo piede fuori dalla camera,
ma stavo
bene.
Avevo assunto un colorito un po’ più pallido, ma
stavo bene.
Pian piano l’appetito andava scemando, ma stavo bene.
Mi ero rifugiata nello studio preparando la tesina, ma stavo bene.
Avevo ricominciato ad ascoltare la musica classica al volume
più alto per non
pensare, ma stavo bene.
Quando ero libera prendevo dei sonniferi per dormire e non riflettere,
ma stavo
bene.
Non accendevo il telefono da sabato, ma stavo bene.
Stavo bene, perché non dovrebbe esser stato così?
In fondo era successo tutto
come da programma, crogiolarmi nel dolore non serviva.
Me lo ripetevo ogni
minuto “è tutto okay,
Mel”, ingannando me
stessa: fingendo di crederci.
Sapevo non mi sarei potuta comportare così a lungo,
l’essere umano ha bisogno
di aria fresca e contatti umani, ogni tanto.
Rinchiusa nella mia stanza mi sentivo protetta, nessuno poteva entrare
– se non
il medico e la professoressa – e vedere in che stato versavo.
Non avrei sentito le persone parlare della partenza annunciata del
cantante,
non avrei rivisto Julia che m’avrebbe riempito di domande per
capire come
stavo. Isolata avevo trovato un modo per far finta di nulla, per
pensarci il
meno possibile, appena uscita avrei dovuto dare troppe spiegazioni, il
che
significava ammettere a me stessa che era finita,
non sarebbe stato più il
mio Bill e che ero sola.
Non ero pronta a fare i patti con la verità: ciò
che facevo era ignorare.
-Sei un
po’
patetica, eh Mel?- sussurrai guardandomi allo specchio mentre applicavo
uno
strato di fondotinta sul viso per coprire le occhiaie e rendere la mia
pelle
meno giallognola. Mi liberai del pigiama e indossai una vecchia tuta in
attesa
di sentir bussare Güllimber.
Appena sentì i colpi sulla porta feci girare la chiave e
aprì la porta. La
figura che mi si parò davanti, bloccandomi la
possibilità di farlo uscire dalla
camera, non era il dottore, decisamente.
Jeans larghi, t-shirt che arrivava al cavallo dei pantaloni, scarpe da
ginnastica, rasta..
Tom Kaulitz era entrato e non sembrava intenzionato ad andarsene. Merda!
-Che vuoi?- domandai schietta, prendendo le distanze.
-Parlare, vengo in pace- alzò le mani al cielo, distolsi lo
sguardo.
Era troppo uguale a Bill, stessi occhi. No, guardarlo faceva male.
-Il dottore?-
-Non viene-
Aspettò una mia risposta, che non arrivò.
-Perché ti comporti così?- esordì
richiamando la mia attenzione.
-Così.. come?-
-Non gli hai lasciato spiegare, sei scappata, hai spento il telefono.
Perché?-
-Cosa doveva spiegare? Per quale motivo avrei dovuto tenere il
cellulare
acceso? Non mi ha detto che sarebbe partito, ha fatto finta di nulla!
Poteva
dirmelo, no?- alzai la voce senza accorgermene.
-Credi volesse tenerti all’oscuro? Conosci Bill, non
è fatto così. Ha provato a
dirtelo, ma non è una cosa facile da comunicare. Non appena
te l’avesse detto
ti saresti allontanata e lo sai che è vero. Voleva solo
godersi gli ultimi
momenti qua! Non sei l’unica che sta soffrendo, eri a
conoscenza di cosa
sarebbe successo! Però hai scelto di iniziare una storia con
lui, e credo sia
valsa la pena, no?- riuscì solo a annuire debolmente,
colpita dalle sue parole.
-Fra poco partiamo, non è giusto né per te
né per lui lasciarvi in questo
modo!- esclamò cercando il mio sguardo, -Sarebbe solo
peggio, le cose rimarrebbero
in sospeso. Dovete parlare, dovete chiarire!-
Tutto ciò che aveva detto era giusto e sensato, Tom sapeva
essere maturo e
giusto, soprattutto quando si trattava di suo fratello. Se era arrivato
a
venirmi a parlare vuol dire che il gemello doveva stare proprio male, come me.
-Pensaci- concluse, -Non hai tanto tempo Mel- addolcì il
tono.
-..- sospirai, -Grazie- mi sorrise triste abbracciandomi, risposi al
gesto
sorpresa.
-Fa la cosa giusta piccola- mormorò nel mio orecchio, prima
di sparire oltre la
porta.
Come se fosse facile! Il rasta aveva detto tutte cose giuste, eppure
non volevo
scendere da Bill.
Avevo paura del confronto? No, semplicemente temevo la reazione del mio
corpo
di fronte a lui, di fronte alla consapevolezza l’avrei
lasciato per sempre.
Perché doveva essere così complicata la vita?
Sospirai, guardandomi attorno e fissando poi il vuoto, mi alzai non so
quanti
minuti dopo per andare in bagno, dove lavai il viso, dovevo riprendere
il
contatto con la vita vera. Posai
l’attenzione al vaso di fiori vicino alla finestra: tulipani, ciclamini,
Presi la mia decisione, prelevai un gambo di e lo infilai
nella borsa,
uscendo velocemente da là, dopo quattro giorni di clausura. Per paura di trovare
l’ascensore occupato feci le scale
di corsa, raggiungendo poco dopo la stanza. Aprì di scatto.
Come un automa raggiunsi il comodino posandoci i fiori, se li avesse
visto
avrebbe capito – sapeva conoscessi il linguaggio dei fiori.
Guardando la stanza capì che era una speranza inutile. Era
vuota.
Se n’era andato.
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Capitolo 21 *** Capitolo XXI (I) ***
Capitolo
XXI
Quando
aspetti qualcosa con ansia il tempo sembra non
passare mai, quasi le lancette rallentassero per farti un dispetto,
succede il
contrario se ciò che attendi è spiacevole e non
vorresti arrivasse, tutto
accelera. Aggiungiamo il fatto che, è cosa nota, se sei
felice succede qualcosa
che ribalta la situazione facendoti ripiombare nel dolore; se le cose
vanno
male, è certo peggiorino ulteriormente.
Ho sempre pensato questo e niente mi aveva mai distolto dalla mia
teoria, in
quanto si era sempre rilevata esatta.
Maggio si era concluso ed erano passati dieci giorni dal mio ultimo
incontro
con Bill.
Guardavo
la stanza in cui alloggiava il cantante. Era svuotata. Come me.
Ero arrivata tardi, ecco cosa succedeva a rimuginare troppo senza
ascoltare
l’istinto. Ed ora..?
Mi sedetti sul letto prendendo il viso fra le mani, sentivo le lacrime
pulsare
desiderose di uscire, le ricacciai all’interno.
-Mel?- scoprì la faccia e rimasi sbigottita vedendo il
cantante di fronte a me,
stupito anch’egli dalla mia presenza.
-Avevo dimenticato la matita in bagno..- si giustificò
abbassando lo sguardo.
-Io.. sono venuta per parlarti, è troppo tardi?- confessai
tentennante.
-T-ti ascolto- si sedette cautamente al mio fianco, evitando ogni
contatto.
Eravamo entrambi a disagio.
-In realtà non so cosa dire- non avevo preparato alcun
discorso, le parole alla
fine uscirono da sole; -Ho reagito male, non dovevo scappare
così ma in quel
momento mi sono sentita tradita, ho pensato solo a me stessa e mi ci
è voluta
una ramanzina da parte di tuo fratello per mettermi nei tuoi panni e
capire
perché non me l’hai detto..- la voce aveva
iniziato a tremare, -sapevamo
sarebbe finita così, l’ho messo in chiaro fin
dall’inizio- continuai, -e non ho
cambiato idea-
Accanto a me il moro respirava lentamente, torturandosi le mani
perfettamente
curate in modo nervoso.
-Fa male..- sussurrò con voce carica di tristezza.
-Lo so. Però è la cosa migliore-
-Saperlo non rende le cose più facili- ribatté,
non seppi che rispondere.
-E quelli..?- domandò dopo qualche istante di silenzio,
indicando i fiori
posati sulla mensola.
-Camelia, ciclamino, rosa canina e tulipano – nei linguaggio
dei fiori
indicavano rispettivamente: sacrificio, inteso come un impegno ad
affrontare
ogni sacrificio in nome dell’amore, rassegnazione e addio,
piacere ma anche
sofferenza e dolore e infine un tulipano rosso, il vero fiore simbolo
dell’amore, era una dichiarazione silenziosa.
-Lo so questo- sorrise lievemente, -intendevo dire, cosa significano?-
sapevo
me l’avrebbe chiesto.
-Affetto, tristezza, mancanza, speranza- mentì, non
sembrò credere alla mia
frettolosa risposa, ma non aggiunse altro.
-Devo andare- rimasi zitta, se avessi parlato sarebbe uscito un
rantolo.
Impercettibilmente si alzò dal letto e si piazzò
davanti a me, per poi baciarmi
dolcemente sulla fronte. Pensavo il mio cuore sarebbe esploso in
quell’istante.
Si diresse verso la porta con passi incerti. Si fermò
davanti alla porta,
voltandosi nella mia direzione.
- Il vero amore dura per sempre, supera ogni ostacolo e tempo. Ci
amiamo e
niente potrà impedirci di stare assieme, un giorno-
Volevo trovare una risposta adeguata a quella affermazione, ogni parola
che mi
veniva in mente mi sembrava banale.
Perciò ricambiai con un sorriso che era un misto di tante
cose: rassegnazione,
tristezza, amore, speranza, addio.
Abbassò gli occhi e notai un luccichio che nascose
prontamente coprendosi con
gli occhiali da sole. Stava piangendo. A causa mia.
-Addio..- riuscì
a mormorare talmente
piano che temetti non m’avesse sentito.
-Arrivederci- rispose invece lui, dolcemente, per poi uscire dalla mia
stanza.
…e dalla mia vita.
Strinsi
i pugni, non dovevo pensare a lui. In quei mesi era
diventato come una droga e ora mi sentivo in piena crisi di astinenza;
la cosa
inoltre si riflesse anche nella mia salute: tutti i miglioramenti fatti
dal suo
arrivo erano stati velocemente spazzati via in seguito alla sua
partenza.
Non mi sentivo affatto bene, eppure continuavo a mentire ai medici, per
un
unico motivo: la promessa fatta a Julia un mese prima: dovevo andare
con lei al
concerto dei Tokio Hotel. Era il minimo potessi fare per sdebitarmi da
tutto
quello che faceva per me in quel periodo.
A parte il fatto che fossi tornata del mio colorito giallognolo
accompagnato da
mancanza d’appetito e da una leggera febbre – il
tutto nascosto ai miei medici
grazie a fondotinta/cestino dell’immondizia per il cibo/acqua
fredda per
ingannare il termometro, mi ero obbligata di pensare a lui il meno
possibile,
il che era inutile perché era sempre
nella mia testa. Col tempo magari sarei riuscita a rimuoverlo dalla
testa.
Balle, non ce l’avrei fatta, mai. Il suo nome pronunciato da
qualcuno, oppure
solo sentire le prime note di una canzone del gruppo mi provocavano
brividi e
lacrime che faticavo a controllare.
La verità era che Bill aveva lasciato una cicatrice troppo
grande sul mio cuore
che mai si sarebbe rimarginata. L’avrei portato con me per
sempre. Non avrei mai amato nessuno come lui,
e
questa consapevolezza mi distruggeva.
Stare male non mi impedì però di partire con
Julia alla volta di Dorthmund per
il concerto del tredici giugno.
Avevo ingannato i dottori, se avessero saputo le reali condizioni in
cui
versavo non mi avrebbero lasciata uscire. Io dovevo
vederli, ne avevo bisogno.
Da lì avrei ricominciato a vivere, almeno ci avrei provato. Di certo non potevo immaginare le cose
sarebbero andate in maniera totalmente diversa…
Così la mattina del dodici ero partita insieme
alla mia amica alla volta
dell’arena, armate di zaino, tenda, cose da mangiare,
vitamine, libri da
leggere, parole crociate, bottiglie d’acqua, ombrello e
asciugamano.
-Non posso credere domani vedrò i Tokio Hotel dal vivo..
grazie Mel, è un sogno
che si realizza!- esclamò sistemandosi la parrucca bionda
per poi sistemare un
ciuffo fuori posto dalla mia.
-Mi fa strano vederti coi capelli- ridacchiò.
Era una precauzione: di comune accordo avevamo scelto di fare la notte:
guadagnare la prima fila significava poter poggiare sulla transenna e
avere un
minimo spazio per respirare, senza scordare la vicinanza al palco.. non
potevamo però rischiare di farci riconoscere dai ragazzi,
avevamo optato perciò
in una sorta di “travestimento”.
-Che facciamo?- domandai davanti al parcheggio dell’arena,
ancora vuoto.
-Cerchiamo se ci sono altre fan in giro- l’idea non mi
alettava, passare due
giorni vicino a delle ragazze che parlavano costantemente di loro poteva risultare fastidioso,
soprattutto se erano fissati coi gemelli o su Bill,
avrei sopportato le battutine su di lui? No.
Tuttavia seguì Julia e vagammo un po’ a vuoto,
finché non individuammo una
tenda piantata di fronte all’entrata della location.
-Andiamo verso di loro, probabilmente la fila inizia da lì-
suggerì io, mentre
lei era già partita sparata.
Ci avvicinammo e udimmo un chiacchiericcio fisso provenire dalla tenta,
non
capivo la lingua. Appena appoggiammo le nostre cose a terra il parlare
si
interruppe e due ragazze fecero la loro comparsa, probabilmente
attratte dal
rumore.
-Hallo!- esclamò la più bassa, -Io sono Ludovica,
preferisco Ludo, e lei è
Anna- presentò l’altra.
-Mel e Julia, piacere!- sorridemmo, avevano l’aria simpatica.
-Da quanto siete qui?- domandò la mia amica curiosa.
-Oh, ieri pomeriggio- ridacchiò Anna, quella alta e riccia.
-Cosa, così tanto?- ero stupita.
-Già! Però vogliamo la prima fila e questo
è l’unico modo! Poi ci siamo
accaparrate un posto all’ombra, non penso riusciremo a
resistere sotto al sole
ad aspettare, inoltre siamo venute in Germania solo per questo-
spiegò Ludo.
-Non siete tedesche?-
-No! Siamo italiane!- ridacchiarono, -I biglietti per le date in Italia
erano
esaurite così abbiamo convinto i nostri genitori a mandarci
per l’estate qua,
con la scusa di fare le ragazze alla pari, anche se lo scopo vero
è partecipare
a questo concerto!-
-Siete pazze!- affermò Ju allegra, non potei che trovarmi
d’accordo.
-Ma no, okay forse un po’- rise la riccia, -Però..
per i Tokio Hotel questo ed
altro! Siamo fan dal 2005, dai loro esordi e aspettiamo di vederli dal
vivo
da.. tanto, troppo tempo!- continuò l’altra, -E
voi da quando siete fan?-
-Io dagli inizi,- prese parola la mia compare, -poi ho convertito lei-
-Oh! Che bella cosa convertire qualcuno! Benvenuta nel fantastico mondo
dei
Tokio Hotel quindi!- mi sorrisero, io ricambiai imbarazzata.
-Canzone preferita?- domandai.
-An deiner Seite- rispose Anna, -Non so neanche il perché,
è qualcosa di
troppo.. troppo! Ogni volta che l’ascolto mi viene in magone,
praticamente mi
manda a puttane lo stomaco!-
-Io invece adoro “1000 Meere”, per lo stesso motivo
di An!- si scambiarono
un’occhiata di intesa, -voi?-
-Spring nicht, mi ha tirato fuori da un momento difficile- ammise la
–
momentanea – bionda.
-Io amo Heilig, perché.. mi ricorda tante cose- e
perché me l’aveva dedicata lui.
-Avete un preferito?-
-Tom è un gran figo- esordì la mia amica,
scossi la testa, era la solita! –Peccato sia uno
spaccone, secondo me-
mi fece l’occhiolino.
-Se proprio devo scegliere direi Bill- annuì Ludo.
-Anche io, mi piace Bill- convenne Anna.
-In che senso, ti piace?- mi venne spontaneo chiedere.
-Non intendo dire di esserne innamorata, quello mai!-
arricciò il naso, -Non so
neanche io come spiegarlo, la prima volta che li ho visti sono rimasta
colpita,
abbigliata da Bill! Dal suo modo di fare, il suo stile androgino, la
sua
bellissima voce! Poi ha un bellissimo sorriso. Quando esce una foto mi
viene
spontaneo cercare lui, ho il computer pieno di sue foto ed è
pure lo sfondo del
mio cellulare! Adoro la sua risata, adoro tutto. Però
“amore” è una parola
troppo esagerata, non mi sento di etichettare così.
Più che altro è un’ossessione-
-Decisamente ossessionata!- l’amica le diede una pacca
scherzosa sulla spalla,
-Dovreste leggere quello che scrivere su di lui!-
esalò con occhi sognanti.
-No, lasciatela perdere, stanotte ha dormito poco e spara cazzate- la
prese in
giro, -A te invece Mel?- cambiò
velocemente discorso.
-Ahm..- dissi in difficoltà, -Mh, Bill. Così-
scossi le spalle, mentre sentivo
la mano di Julia prendere la mia per infondermi sicurezza. Ricambiai la
stretta.
-Piuttosto, datemi le mani- porgemmo il palmo e con un indelebile vi
segnarono
i numeri 3 e 4 sopra.
-E’ per tenere l’ordine, così abbiamo la
prima fila assicurata- illustrarono.
-Quindi, appena aprono i cancelli, domani sera.. oddio non voglio
pensare a
quanto tempo manca ancora!- sbuffò la castana, -Beh, appena
aprono si corre! Facciamo
in modo di trovarci vicine, okay?-
-Certo!-
-Quindi, che facciamo ora?- chiese Julia perplessa.
-Io andrei a dormire, in questi giorni non ho chiuso occhi per
l’ansia!- e
perché cercavo di immaginare come avrei reagito di fronte a
Bill…
-Va bene- brontolò la bionda, -Vedi di non fare il ghiro
fino- mi ammonì.
-Buonanotte allora!- mi augurarono prima di vedermi sparire nella tenda
appena
piantata. Frugai nello zaino e tirai fuori la scatolina con tutte le
varie
medicine, estraendo un sonnifero. Dal giorno dello spettacolo non ero
più
riuscita a dormire serena ed ero costretta a prendere delle pillole,
altrimenti
avrei passato la notte insonne. Passai una mano sul viso sudato, la
testa
pulsava dalla mattina, probabilmente avevo qualche linea di febbre,
però dovevo
tenere duro: per me, per Julia, per rivederlo. Ingoia la pasticca e
caddi in un
sonno indotto.
-Non
è che ha i tappi per le orecchie?- sentì parlare
qualcuno vicino a me.
-Insomma, ha preso sonno stamattina alle nove, e sta tirando avanti da
dieci
ore, è normale?-
-Per lei sì!- risero.
-Mel, su svegliati!-
Ignorai le voci e mi girai dall’altra parte, alimentando
ulteriori risate.
-Fanculo- borbottai aprendo gli occhi, -Rompipalle- le apostrofai
guardandole
male.
-Dai, volevamo farti vedere una cosa- mi trascinarono fuori e subito
fui
avvolta dall’aria tiepida, per poi spalancare la bocca
incredula di fronte a
ciò che avevo davanti. Il parcheggio si era riempito di
persone, erano spuntate
altre tende e l’atmosfera era effervescente.
-Wow..- soffiai.
-Già! Guarda, siamo una famiglia. Tutte qua per vedere i
Tokio Hotel, noi
dall’Italia e tanta gente da diverse parti della Germania.
Osserva, tutte
diverse, eppure unite dalla passione verso il gruppo-
mormorò con un groppo
alla gola Anna.
-Chissà se i ragazzi si rendono conto di quello che stanno
scatenando- aggiunse
Ludovica.
Fu in quel momento che riuscì a comprendere a pieno le
parole di Bill quando parlava
della sua vita da star, degli orari difficili e della mancanza di
privacy,
aggiungendo che ne valeva la pena, veniva ripagato in pieno durante i
concerti,
vedendo le ragazze urlare con lui, saltare, piangere.
Per una fan avere il biglietto per il
concerto del proprio idolo rappresentava la via per la
felicità.
-Andiamo a fare conoscenze!- esclamarono le due italiane
trascinandoci con
loro attraverso le varie tende.
-Siete pazze!- ridemmo spensierate, -Però avete ragione, la
serata è ancora
lunga!-
Non ho mai parlato tanto quanto quella notte, girovagammo per ore,
finché non
decidemmo di ritornare alla base alle cinque di mattina, dopo aver
conosciuto
molte ragazze, condiviso storie e cantato tutte assieme.
Stanca e con i piedi doloranti mi buttai sull’asciugamano
augurando la
buonanotte a Ju. Aspettai che s’addormentasse per prendere un
altro sonnifero,
non volevo capisse mi sentissi poco bene.
Mi svegliai sentendo il sole scaldare attraverso la tenda, faceva
dannatamente
caldo. Mi misi a sedere e, a causa del movimento troppo veloce, vidi
nero per
qualche istante mentre la testa girava.
La mia amica era ancora placidamente addormentata, con un sorriso
stampato in
volto. Frugai nella mia borsa e ne estrassi il badge, per poi rigirarlo
fra le
badge fra le mani. Il badge era un tesserino che Tom aveva fatto avere
a Julia
poco prima di partire, non era come un normale biglietto: essendo
rilasciato
dalla Universal, lasciava la possibilità di accedere al
backstage e valeva per
tutti gli show del tour estivo. Ne erano disponibili pochi, inoltre
costavano
moltissimo.
E noi lo avevamo.
Guardai l’orologio: era già l’una.
Cinque ore e avrebbero aperto i cancelli,
una strana adrenalina mi pervase il corpo.
-SVEGLIA!- urlai catapultandomi addosso alla bionda, ridendo vedendola
sobbalzare spaventata.
-Idiota!- mi insultò massaggiandosi l’orecchio,
-Non posso perdere l’udito
prima del concerto!-
-Fra cinque ore aprono i cancelli, penso sia meglio mangiare qualcosa,
sennò
come rimaniamo in piedi dopo?- domandai sarcastica.
-Cinque ore? Oddio! Oddio! Oddio! Oddio! Oddio! Non sono pronta!
Oddio!- si
alzò e si mise a saltellare.
-Va a vedere se le altre si sono svegliate, io devo cambiarmi-
Appena uscì ingerì una pasticca e subito mi
sentì meglio: mi ero svegliata con
un atroce mal di testa e senso di nausea, senza contare la fronte calda
e i
brividi di freddo nonostante l’afa. Poi mi svestì
per indossare la t-shirt del
gruppo – l’unica cosa che non era finita rilegata
nell’angolo dell’armadio, in
fondo era regalo di tutta la band, non solamente suo
– e un paio di shorts. Accarezzai la collana con
l’anello, non
avevo il coraggio di toglierla. Sistemati i
“capelli” raggiunsi la mia amica
nella tenda delle italiane, impegnate a emettere una serie di urletti
eccitati
e facce di tutti i tipi.
-Mi fate paura!- esordì sedendomi fra loro.
-Zitta, l’ansia ci sta distruggendo! Hai dato
un’occhiata fuori?-
Tutto pieno, peggio della sera precedente. Tutte attaccate, non era
rimasto
spazio neanche per camminare. Qualche migliaia di fan, cose di poco
conto,
insomma.
-E’ spaventoso. Se penso non si esibiscono live da marzo
impazzisco!- esclamò
Ludo.
-Già, ammetto di.. ehm.. essermi messa a piangere quando ho
scoperto di Bill-
confessò imbarazzata.
-Mh, non sei l’unica. Siamo legate ai Tokio Hotel, vedere il
loro sogno
infrangersi sarebbe come vedere il nostro distruggersi-
Quelle due erano una continua sorpresa, mi stavano molto simpatiche
senza
contare fossero molto alla mano e disponibili. Decisi di proporre
l’idea che
m’era venuta in mente appena svegliata.
-Sapete,- chiamai l’attenzione, -Io e Julia abbiamo i badge-
Le due spalancarono la bocca in modo terribilmente comico, infatti sia
io che
la mia amica non riuscimmo a trattenere una risata, aveva capito dove
volessi
arrivare.
-Solo che fra due giorni partiamo per l’America per un
viaggio studio- mentì,
-quindi non potremmo usarli-
-Cioè, no un attimo- mi interruppe la riccia, -Come avete
ottenuto i badge? Per
quel che so ce ne sono pochissimi, un paio per un contest e gli altri
costano..
un sacco!-
-Ce li ha dati ehm, David Jost!- si inventò Julia.
-Sì, e io sono Tom Kaulitz- rispose sarcastica Ludovica.
-In effetti il livello intellettivo è quello…-
commentai ricevendo
un’occhiataccia.
-Non l’ha dato proprio a noi in persona- continuò,
-Mia mamma lavora nella
clinica in cui è stato ricoverato Bill e grazie a
ciò ha conosciuto il manager.
Hanno fatto amicizia e alla fine, quando ha scoperto la figlia fosse
fan, le ha
dato questi due badge- era talmente brava a dire bugie che quasi ci
cascai
anche io.
-Fate schifo, ma davvero! Se non fossi una persona civile vi ammazzerei
per
rubarveli-
-Non servirà, come ho già detto
quest’estate non ci saremo. Perciò..- lasciai
finesse Ju.
-..perciò possiamo fare uno scambio: voi ci date quelli di
questa data e noi il
badge-
-Voi siete fuori di testa, state scherzando, spero!-
-No, non abbiamo la possibilità di usarli, sono sicura nelle
vostre mani
saranno valorizzati al giusto- spiegai.
Era quello che pensavo, avevano organizzato un viaggio in Germania solo
per
vedere il gruppo – senza dirlo ai genitori, ci avevano
trattato benissimo e si
vedeva lontano un miglio quanto amassero la band. Meritavano quel badge
più di
me, avevo già avuto la mia occasione di incontrarli e,
comunque, mai sarei
entrata nel backstage. Non avrei sopportato un incontro con Bill.
-E stasera, voi perdereste l’opportunità di
accedere al backstage??!??-
-Mia mamma ha ancora il numero di Jost- fece l’occhiolino
alle italiane, -Quindi
avremo altre occasioni, voi no. Quindi tacete e accettate-
E dall’abbraccio in cui fummo accolte capì la
richiesta fosse stata accolta.
Spingevano.
Avevo caldo ma anche freddo. Mi girava la testa.
Spingevano. Alzavo la testa in cerca di ossigeno. Spingevano.
-Julia, mi sento tanto la fettina di formaggio in mezzo ai due pezzi di
carne
dell’hamburger- commentai stringendole le mano.
-Noi non ci sentiamo proprio invece- esclamarono con voce strozzata le
italiane. Eravamo spappolate contro
il cancello, ancora poco e avrebbero aperto.
-WIR WOLLEN TOKIO HOTEL!- iniziarono i cori da dietro e in poco tempo
la piazza
risuonava di quell’unica richiesta.
Wir wollen Tokio Hotel, non riuscivo
a connettere, sia perché versavo in pessime condizioni
fisiche, sia perché
l’adrenalina mi annebbiava il cervello.
Rumore di passi, porte che piano si aprono. Sguardi di intesa con le
mie
compagne.
-Uno, due, tre- sussurrammo all’unisono. E corremmo.
Le gambe andavano per conto loro, passo dopo passo sempre
più veloce, respiro
affannato, polvere alzata, sole che scotta. Mani intrecciate con le
ragazze. Il
palco che si fa sempre più grande, sempre più
vicino.
Un sospiro, un’esclamazione generale.
-Ce l’abbiamo fatta- la prima fila
era
nostra. Il parterre si riempì, sentivo i
chiacchiericci della fan, io però
ero zitta e immobile.
Prima fila, centrale. Ancora poche ore e Bill sarebbe stato di fronte a
me. Zeit läuft.
-Non
ci posso credere- esclamò Ludovica stringendo il badge al
petto.
-E.. è.. il mio sogno che si realizza- seguì
Julia con lo sguardo puntato al
palco. Arricciai le labbra all’insù, aveva
conosciuto i Tokio Hotel eppure i
suoi occhi avevano quell’espressione trasognata che leggevo
in tutti i visi
delle persone attorno a noi.
-La serata più bella della nostra vita sta per iniziare!- e
non potei che
sorridere d’accordo. Ancora non
sapevo
quanto quella frase fosse sbagliata..
-WIR
WOLLEN TOKIO HOTEL!- urla.
-TOKIO HOTEL, TOKIO HOTEL!- isteria collettiva.
Luci che si spengono.
…Silenzio…
Un colpo. Batteria.
Ecco basso e chitarra.
LUCE.
E fu il chaos.
Attorno
a me c’era confusione, mi sentivo schiacciata contro
la transenna, le mie mani erano stritolate da Anna e Julia.
La mia mente era in crisi. Il mio cuore? Sembrava d’aver un
martello pneumatico
nella cassa toracica. Bum
bum.
Occhi spalancati e bocca socchiusa, senza parole di fronte a
lui, Bill
Kaulitz.
Pantaloni stretti, scarpe nere, t-shirt gotica, occhi perfettamente
truccati,
unghie smaltate, collane e anelli che probabilmente pesavano
più di lui,
capelli sparati in aria.
Una visione talmente perfetta da far star male. Non era bello, di
più.
Stringeva il microfono con sicurezza, appena la sua voce si
mischiò con la
musica le urla che si alzarono fecero tremare la terra e anche Bill,
avevo
imparato a conoscerlo, vedevo la mano libera muoversi a scatti mentre
il piede
batteva furiosamente a terra. Era nervoso.
“Ich hab heut 'n anderen Plan,
und der geht dich gar nichts an..”
Seguivo
ogni suo movimento con maniacale attenzione, non
volevo perdermi nulla di lui. Guardava la folla con aria commossa
mentre si
muoveva sul palco con fare sicuro ed elegante. La sua vita era quella,
la
musica. Vederlo così, sul suo habitat naturale, non
poté che farmi capire la
scelta avessimo fatto fosse stata la più giusta, anche se
averlo a pochi passi
da me e sapere di non poterlo toccare faceva sanguinare il cuore. Mi
sentivo
così debole.. ogni canzone scivolava su di me lasciandomi
addosso un sapore
amaro che rispecchiava quello delle lacrime che avevano iniziato a
bagnarmi il
viso.
“Jetzt sind wir wieder hier,
Bei dir oben auf´m Dach..”
“Die
Strassen leer - ich stell' mich um
Die Nacht hat mich verlor'n..“
„Ab heute sind die Tage nur noch halb so
lang..“
„Ich halt den Brief, in
meiner kalten Hand..“
E
arrivò anche quella canzone.
Mi sentì mancare, come se l’energia fosse
scivolata fuori dal corpo appena
capito che Bill stava per annunciare la traccia successiva.
-Questa canzone è per le persone che amiamo,
perché alcune di loro hanno un
ruolo fondamentale nella propria vita..- si interruppe e lo vidi
deglutire,
mentre i suoi occhi si fecero più lucidi, -E saranno per
sempre sacre. Ecco.. Heilig!-
La terra mancò sotto ai miei piedi, sentire la sua voce
così vicina, tremare
leggermente dall’emozione che io potevo capire.. fu come se
tutte le persone
attorno a noi svanissero, eravamo io e lui, come la prima volta che me
la
cantò.
“Ich halt mich wach - für dich
Wir schaffens nicht beide - Du weisst es nicht..“
E
come era iniziata terminò. La band sparì per un
momento
dietro alle quinte, c’era la pausa. Bene, anche io avevo
bisogno di
riprendermi.
-Ehi, tutto bene?- domandò Julia, vedendomi impalata da un
po’ di minuti.
-Sono.. scombussolata- ammisi, -Non hai idea di come mi senta in questo
momento. Tutto così confuso.. Hai visto.. quanto bello
è? Sono così orgogliosa
di lui- mi asciugò una lacrima, abbracciandomi.
-E io sono orgogliosa di te. Ricordati poi che se si è
ripreso è anche grazie a
te. Ora bevi un po’, sei pallida- mi allungò una
bottiglia d’acqua.
Non avevo sete, le uniche cose che percepivo era il battito del mio
cuore e il
respiro affannato, per il resto era tutto annullato.
Avrebbero potuto spararmi, non me ne sarei accorta.
-Si ricomincia!- urlò Anna al mio fianco, con gli occhi
terribilmente lucidi.
Schrei,
Schwarz, Stich ins Glück, Übers Ende der Welt, Reden, Wir sterben niemals
aus,
Spring nicht – in quella canzone
Julia pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, Geh,
Ich bin nich‘ ich, Wo sind eure Hände, Durch den
Monsun, In die
Nacht, Rette mich, Vergessene Kinder.
Pregai
che il tempo si fermasse
in quel momento, la fine stava arrivando troppo in fretta.
-Buonasera!- urlò Bill avvicinandosi al pubblico, -Grazie
mille per essere qua-
ogni sua frase era accompagnata dalle nostre urla, -Dopo due mesi di
attesa
sono tornato.. e conto di rimanere ancora per molto!- sorrisi.
-E’ stata un’emozione grandissima stasera- già,
Bill, non immagini quanto.
-Questa è l’ultima canzone, per dirvi che,
nonostante tutto, noi saremo
sempre al vostro fianco!-
Le dolci note di “An deiner Seite” risuonarono per
l’arena mentre fummo
abbracciate da una pioggia di coriandoli argentati.
“..Du bist nicht alleine”
Un
sussurro dolce e poi furono inghiottiti
dall’oscurità.
Era finita.
*
* *
Dopo
aver salutato Anna e Ludovica, raccomandando loro di
non dire da chi avevano ricevuto il badge, eravamo tornate alle tende
per
sistemare tutto e raccogliere le cose abbandonate là al
momento della corsa.
Nessuna di noi due parlava, eravamo stordite da quella serata. Sentivo
ancora
le urla sulle orecchie e la terra vibrare sotto i piedi.
Mi sedetti a terra per un momento, venendo colpita dalla
verità: tutto si era concluso.
Vedere Bill
felice sul palco mi fece comprendere fosse l’ora di
rassegnarsi e tornare alla
realtà, una realtà senza di lui. Ce la potevo
fare?
Improvvisamente tutte le fatiche della giornata pesarono sul mio corpo
già
debilitato e mi sentì debole. Le mie gambe tremavano, erano
sporche di terra e
con qualche graffio; la testa aveva ripreso a pulsare e girare, la
pancia
sussultava ad ogni respiro.
Posai una mano sulla fronte e trattenni a stento
un’imprecazione. Scottava. Mi
feci i complimenti da sola, tenendo nascosto il mio malessere avevo
solamente
peggiorato la situazione: ignorare la malattia e i sintomi non mi
faceva
guarire. Anzi.
Mi alzai a fatica per raggiungere Julia.
-Hey- mormorò piano, ancora sottosopra.
-Mi fai un favore?- domandai a fatica, la gola bruciava.
-Sì-
-Chiama l’ospedale-
-Che..?- mi fissò spaventata.
-Sto male- sussurrai un attimo prima di abbandonarmi
sull’asfalto e sbattere la
testa a terra.
Brava Mel, ecco cosa succeda quando fai
di testa tua. E ora?
*
* *
C’è
movimento
nella stanza.
Bip, bip.
Gli occhi sono aperti eppure non riesco a focalizzare le cose
intorno a me.
Bip, bip.
Tutto è opaco e offuscato.
Bip, bip.
Sento sto perdendo il controllo del mio corpo.
Bip, bip.
Il respiro rallenta e qualcosa mi viene messo sul viso.
Bip, bip.
L’elettrocardiografo produce suoni più
acuti e ravvicinati.
Bip, bip, bip!
-Signorina Bauer, resista!- sento dire da qualcuno.
“Ci provo”, vorrei rispondere. Non ci
riesco…
Le gocce di pioggia sbattono rumorosamente sui vetri.
Lentamente inizio a sentirmi meglio, in pace.
Il dolore svanisce. L’ambiente viene inghiottito dal nero.
Silenzio. Chiudo
gli occhi.
È estate. Fuori il cielo è in tempesta.
E il mio ultimo pensiero va a lui.
„Ist das der letzte Regen bei dir oben
auf´m Dach?
Ist das der letzte Segen und unsere letzte Nacht?
…Hat unser Ende angefangen!“
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip.
* * *
Mi domando se qualcuno stia ancora leggendo questa storia ahahah
Mi faccio pena da sola, perché l'ho finita da
così tanto tempo..
L'epilogo
arriverà a breve!
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Capitolo 22 *** Epilogo (T) ***
Epilogo
Wir
durchbrechen die Zeit
Neither
a sky
can divide
two lovers.
Shy and sweets feelings
overcome distance.
When it rains an angel is crying;
the sun shines, someone’s smilin’.
Unusual and rare rainbow
connect them.
Even the earth
bows before two hearts
which are beating
together,
after lots of time.
Love is immortal.
2009
Ho sempre odiato i
cimiteri, li trovavo inquietanti, troppo silenziosi. Le persone vi si
recavano con lo sguardo basso, gli unici rumori udibili erano i tacchi
delle signore e il fruscio dei fiori che venivano sostituiti per
posizionare un mazzo più bello e nuovo.
Come se ai
morti importasse qualcosa dei fiori sopra le loro tombe fredde.
Facevo di tutto per non doverci andare da piccola assieme
ai genitori, durante la festa dei morti. Al massimo
c’avrò messo piede due - tre volte.
Questa volta però avevo messo da parte la
repulsione verso quei luoghi e sostavo davanti all’entrata,
fissando quell’imponente cancello di ferro e il cartello che
vi sostava sopra.
“Cimitero di Venezia.
Aperto dalle 8 alle 19,
tutti i giorni.
Siano rispettati i
defunti mantenendo il silenzio”
Avevo
una conoscenza parziale dell’italiano, ciò che era
scritto però non mi interessava. Ero salita su un aereo che
m’aveva portato da Amburgo a Venezia per visitare una
persona. Sentivo di doverglielo.
L’aria di ottobre era tiepida rispetto a quella che soffiava
in Germania, tuttavia fu istintivo chiudermi nel mio cappotto, come a
cercare protezione.
Odiavo i cimiteri anche
perché, per quanto forte potessi essere, trovarmi davanti
alla tomba di un conoscente faceva sempre male.
Un colpo di vento mi fece traballare, mentre i capelli uscirono dal
cappuccio per sventolare in tutte le direzioni. Con gesto secco li
riportai dietro alle orecchie. Mossi i primi passi verso la tomba,
cercando di ricordare le indicazioni ricevute per arrivarci.
L’unico suono in quel posto opaco era il ticchettare della
suola delle scarpe sulla ghiaia bagnata dalla pioggerellina che
scendeva ininterrottamente da un paio d’ore.
Vagai con lo sguardo finché non trovai ciò che
cercavo. Mi ero sempre domandata perché avesse scelto di
farsi seppellire in Italia e non nella sua patria, la Germania. Ci
arrivai col tempo: amava l’arte, lo spettacolo e la penisola
racchiudeva tutto ciò che più adorava, da qui il
desiderio di rimanere vicino alle sue passioni, nella città
in cui il tempo s’era fermato, con il teatro che tanto amava
– La Fenice.
Con delicatezza posai un girasole sopra la tomba, accarezzandola con
delicatezza.
-Scusa se ci ho messo tanto per venire a trovarti- non c’era
nessuno quel giorno, eppure parlavo piano, in soggezione.
-Come saprai in quel
periodo sono stata sopraffatta dagli eventi. Non voglio
giustificarmi.. non sono neanche venuta al tuo funerale. Stavolta non
perché avessi altro da fare, sinceramente non me la sono
sentita- confessai.
-Non so se c’è vita dopo la morte, non so se mi
ascolti- continuai io, intrappolata in una conversazione forzatamente unilaterale, -Spero
di sì. Sono venuta qua per scusarmi, potevo esserti vicina
di più, forse ti ho delusa- sospirai.
-Inoltre volevo dirti che ce l’abbiamo fatta, il sogno
creduto irrealizzabile alla fine si è realizzato, sai?
È uscito il libro, ho due copie in borsa. Le altre saranno
rilasciate nei negozi il 6 ottobre. Per ora le recensioni di chi
l’ha letto in anteprima sono tutte buone, anzi ottime! Ci
sono già delle prenotazioni, sarà un gran
successo a quanto pare- sorrisi.
-Sono in Italia da una settimana, inizialmente dovevo restare solo un
giorno, il tempo di venire qua e tornare.. poi però dopo lo
stress per l’uscita del libro, tutti gli incontri con la casa
editrice, ho pensato fosse bene prendermi una vacanza. Questo paese
è bellissimo, hai fatto bene a scegliere questo posto per
dormire- chiusi un momento gli occhi, -Si sta facendo tardi,
è meglio che vada. Sai quanto mi inquietino i cimiteri-
rabbrividì.
Lasciai un’ultima occhiata alla tomba grigia con sopra un
girasole giallo e uscì frettolosamente, alla ricerca di un
taxi che mi portasse all’aeroporto.
Una volta in volo riuscì a rilassarmi, mi sentivo
più leggera ora che anche quella visita era fatta.
Atterrai ad Amburgo che
era sera, l’aria fresca mi fece colorare le guance, mi ero
già disabituata al clima tedesco. Presi il trolley e lo
posai nel bagagliaio della mia macchina, la quale giaceva nel
parcheggio del terminal dalla partenza. Avevo un’altra cosa
importante da fare.
Per distrarmi accesi la radio.
-Buonasera
ascoltatori! Un avviso per le fan dei Tokio Hotel, restate
sincronizzate perché domani i ragazzi verranno a trovarci in
studio per parlare del loro nuovo album! Humanoid, che
uscirà il sei di questo mese! E ora godetevi “With
me” dei Sum41!-
La voce dello speaker si dissolse per lasciar spazio alla
canzone. Spensi la radio; ero rimasta ferma alle parole
“Tokio Hotel” che rimbombavano nella mia testa.
Destino voleva mi stessi recando proprio all’Universal.
Giunta alla sede tirai fuori un bigliettino scritto quasi due anni
prima, ormai sbiadito da quanto era stato maneggiato. Estrassi poi la
copia del libro incartata alla perfezione e la lasciai sul luogo
indicato dal foglietto.
Trovarmi lì mi costava parecchia fatica, venivo
tempestata da flashback che rappresentavano i momenti più
felici della mia vita, tuttavia sapevano portarmi ulteriore sofferenza
e dolore.
Me ne andai in fretta, tenendo lo sguardo basso, neanche avessi fatto un reato.
Erano le nove quando tornai a casa, fu un sollievo
rimettere piede nella mia dimora e potermi finalmente buttare sul
divano.
-Ehi!- neanche il tempo di appoggiare la testa sul cuscino
che fui circondata dalle braccia della mia coinquilina
nonché migliore amica.
-Non saluti?- mi rimproverò.
-Credevo dormissi- feci spallucce.
-Com’è andata in Italia? Non ti sei
fatta sentire!- mi ammonì severa, si preoccupava sempre ogni
volta che andavo via; -mi hai fatto stare in pensiero.. Mel-
proseguì poi con tono più rilassato.
-Scusami- risposi, -Ero talmente impegnata che mi sono
scordata di accendere il telefono- mi giustificai, -Sono stata a Roma,
ho visitato un sacco di posti, poi gli ultimi due giorni gli ho
trascorsi a Venezia. Prima di partire sono riuscita ad andare al
cimitero- mi sorrise orgogliosa, sapeva la repulsione verso quel luogo.
La persona per la quale avevo fatto quel lungo viaggio era
mia nonna, deceduta quando avevo poco più di quindici anni.
Eravamo molto legate, era lei che mi accudiva ogni volta mancavano i
miei genitori, è grazie a lei se avevo sviluppato
l’amore per la scrittura fin da piccola. Mi leggeva sempre
favole e storie, per poi passare a libri più impegnati. A
dieci anni mi regalò la raccolta delle opere di Jane Austen,
poi ogni volta che l’andavo a trovare aveva qualche nuova
lettura per me, da Freud a Emily Dickinson, da poesie a tragedie. La
prima persona a conoscere il desiderio di diventare scrittrice, la
prima ad incoraggiarmi. Una volta entrata in scena la leucemia
però, i rapporti si raffreddarono: la clinica era a Colonia
e non aveva la possibilità di venirmi a trovare, d'altronde
neanche io volevo faticasse per raggiungermi e poi vedermi in
condizioni che sicuramente l’avrebbero fatta star male. La
notizia della sua morte fu una doccia fredda per me, non me
l’aspettavo. Nonostante non ci vedessimo sempre le volevo
davvero bene, e soffrì molto in quel periodo. Non
riuscì a partecipare al funerale, sia perché la
malattia mi aveva debilitata molto e non mi era permesso lasciare la
struttura, sia perché non ne avevo fatto richiesta: non ero
pronta a assistere al suo funerale.
Leggere mi aiutava a sentirla vicina, inoltre se non avevo
mai mollato il mio sogno era grazie a lei.
-Per questa volta passi- riferì lei per poi
scrutarmi attenta, la conoscevo bene per capire volesse dirmi qualcosa,
la mia Julia. Da quando si era presentata in camera mia, neanche due
anni prima, per chiedermi come stavo non ci eravamo più
separate. Mi aveva aiutato moltissimo, aveva il compito di essere la
mia “coscienza”. Mi era stata accanto anche nel
periodo successivo alla separazione da lui, se non fosse stato per lei
non ne sarei uscita viva. Non mi aveva abbandonato dopo il concerto,
quando la malattia aveva preso il sopravvento e sembrava sarei morta.
Invece il mio cuore smise di battere per qualche istante, qualche
scossa di defibrillatore e riprese la sua attività. Quattro a zero per me.
Alla fine eravamo uscite insieme dalla
“Kölner Klinick”. Dopo quattro anni di
lotta contro la leucemia riuscì a sconfiggerla.
Definitivamente.
Così come Julia era tornata a mangiare regolarmente, senza
preoccuparsi del suo aspetto.
-Cosa vuoi chiedermi Ju?- l’anticipai vedendola in
difficoltà.
-Hai intenzione di dare una copia del libro a lui?-
domandò con cautela, scrutando ogni mia reazione.
Lui.
Dal giugno dell’anno prima il suo nome non era mai stato
nominato, sostituito da quella particella che pronunciata faceva meno
male.
Lui,
colui che era entrato nella mia vita sconvolgendola per uscirne troppo
presto.
Lui,
colui che in un paio di mesi era entrato nel mio cuore per non uscirci
più.
Lui,
colui che m’aveva insegnato ad amare e a essere felice
nonostante tutto.
Lui,
l’innominabile
che, nonostante fosse passato più di un anno, non aveva
abbandonato i miei pensieri.
Lui,
la persona più bella che avessi mai conosciuto.
Lui,
che
continuavo ad amare.
Non averlo affianco faceva dannatamente male, più cercavo di
non pensarci, più il suo volto si presentava nella mia mente
portando con sé una marea di ricordi. Da quando aveva
oltrepassato i cancelli della clinica per tornare al tour la mia vita
era diventata piatta. Era impossibile provare le sensazioni che lui mi
faceva sentire, i brividi che solo il suono della sua voce provocava
lungo la mia schiena.
Ero guarita, eppure non trovavo il senso a un’esistenza senza
la mia superstar.
Avrei voluto, avrei potuto cercarlo, il suo numero l’avevo
cancellato dalla rubrica, però rimaneva impresso nel mio
cervello. Non l’avrei fatto, era troppo egoistico presentarsi
da lui dopo un anno: come potevo sapere qualcuna non avesse preso il
mio posto nel suo cuore? E se mi avesse dimenticata? Era la cosa
migliore, era quello che speravo facesse..
Tutto ciò che me lo ricordava era stato archiviato in una
scatola sotto al letto; le foto, i vestiti che m’aveva
comprato, i vari oggetti che aveva dimenticato in camera mia;
ciò di cui non ero riuscita a sbarazzarmi era la collana con
l’anello come ciondolo, con inciso “Heilige
Muse”. Era sempre al suo posto, non sarei riuscita a
separarmene, anche se forse sarebbe stato meglio.
Il fatto che i Tokio Hotel fossero spariti dalla scene per un
po’ m’aveva aiutata, almeno non correvo il rischio
di trovarmeli davanti ogni volta accesa la tv. Ora però le
registrazioni dell’album erano terminate, e scherzo del
destino.. sarebbe uscito in contemporanea al mio libro.
-Uh, ci sei?- mi riportò alla realtà Julia.
-Si scusami, stavo pensando..- a
lui, lo capì senza che specificassi;
-Comunque.. fatto anche questo. Gliel’avevo promesso-
Tempo prima quando confessai sarebbe uscito sotto “falso
nome” mi aveva fatto promettere gli avrei inviato una copia,
altrimenti non era sicuro sarebbe riuscito a leggerlo. E io, incantata
da quegli occhi da Bambi, non riuscì a fare altro che
annuire.
-Come gliel’hai fatto avere?- si agitò, sapevo
sperava trovassi il coraggio di portaglielo di persona. Mai.
-Mi aveva lasciato un bigliettino con le indicazioni per farglielo
avere. L’ho consegnato a Natalie, la truccatrice.. non credo
abbia capito cosa sia, però sono certa glielo
farà avere perché prima di trovare lei ho dovuto
fare un giro.. sai tutti i controlli di sicurezza, le varie porte.. ti
giuro sembrava un labirinto! Comunque una fan che non avesse avuto
delle informazioni precise non sarebbe mai riuscita a raggiungerla- le
spiegai.
-Ah..- mormorò, -Posso vedere il libro ora?-
cambiò argomento velocemente, curiosa.
Non l’aveva mai visto, non sapeva com’era la
copertina, non sapeva il titolo. Era un progetto solamente mio, mi
aveva visto scriverlo ma non sapeva di cosa trattasse, mistero.
Annuì e lo estrassi con calma dalla borsa.
-Ecco BILL- pronunciai l’ultima parola in un sussurro.
-Bill?- mi squadrò interrogativa.
-B.I.L.L- indicai il titolo sulla copertina, -Beh, ich liebe leider- il
nome che avevo scelto accuratamente.
Nulla era casuale, né le lettera che formavano il suo nome,
né la lunghezza; la formattazione era stata curata da me,
così che in totale le pagine risultassero quattrocentoottantatre.
-Sei un piccolo genio- sorrise affettuosamente, concentrandosi
sull’immagine di copertina, -Ma questa non è..?-
la riconobbe.
Già- assentì, -comunque questa copia è
per te, così puoi leggere e darmi un tuo parere-
-Oddio, grazie! Non sai quanto fossi curiosa di sapere ciò
che scrivevi!- esclamò, -E non sai la tentazione di frugare
nel tuo computer e leggere ciò che avevi buttato
giù!- confessò.
-A parte il fatto che è tutto protetto da password-
ridacchia di fronte alla sua espressione imbronciata, -Ti avrei
spezzato le manine se lo avessi fatto- aggiunsi.
-Ma guarda te che gente!- mugugnò, per poi tornare seria.
-Hai lasciato un recapito sul libro? O una dedica, almeno?- mi
fissò circospetta.
-No. Ho solo mantenuto una promessa, nient’altro. Non
gliel’ho dato con la speranza tornasse da me, è
una persona famosa che vive in un mondo fatto di soldi e ragazze. Mi
avrà dimenticata, ne sono certa- ammisi, sentendo il dolore
che ogni parola causava al mio cuore.
-Non ti ha dimenticata- esclamò certa e sicura, mentre
scuotevo le spalle. Che
ne sapeva lei?
-Se non ti ostinassi a tagliarlo fuori dalla vita capiresti che non
è così-
-Non lo taglio fuori dalla mia vita!- rimbeccai piccata, -Non puoi
escludere qualcuno che non ne fa parte! È passato un anno,
io mi sono rifatta una vita e anche lui di sicuro! Ho smesso di
pensarci- bugia,
grande e grossa bugia. Una volta uscita dalla clinica mi ero buttata a
capofitto nel progetto del libro, così da tenere la mente
occupata. Ciò che me lo ricordava era stato segregato in un
angolo. Non avevo più ascoltato un loro cd, non avevo
più preso in mano la moleskine regalo del fratello,
né indossato i vestiti. Si vedevano in tv e cambiavo canale,
in radio la spegnevo, un giornale lo buttavo.
-Non puoi mentire a me Mel. Soffri, si vede distante un miglio, sai da
quando non vedo un tuo sorriso vero? Troppo. E non riesci neanche a
pronunciare il suo nome, è sempre lui- mi sgridò
severa, non osai replicare, aveva ragione.
-Guarda questa intervista, è fresca di oggi- mi porse un cd
che teneva nascosto in mezzo a dei libri, -e ragionaci su-
Mi lasciò così da sola, con in mano quel
dischetto, mentre nella mia testa si facevano spazio tante domande e
interrogativi.
Conteneva delle risposte quell’oggetto?
Lo inserì.
Play.
* * *
E anche settembre era
finito, lasciandosi alle spalle l’estate e il calore. Sarei
dovuto essere rilassato dopo la vacanza trascorsa assieme a Tom alle
Maldive, invece ero ancora più teso di quando fossi partito.
Era stato un anno duro, il tour estivo per rimediare alle
date cancellate a causa dell’operazione alle corde vocali era
stato impegnativo, ogni giorno in una città diversa, senza
un attimo di pausa. Eppure non mi ero lamentato per gli orari, per le
date così vicine, per la stanchezza.
Non ne vedevo motivo, era quello che volevo. Dopo il riposo
forzato l’unica cosa che volevo era tornare a cantare e
immergermi nuovamente nella frenetica vita da tour, comprese le fughe
dalle fan e le alzatacce per interviste e photoshoot. Un altro lato
positivo dell’essere così impegnato era il non
pensare a lei.
L’ultima volta che la vidi risaliva al giugno
2008, da quando lasciai Colonia non ebbi più sue notizie. Mi
ero illuso, speravo in un messaggio, un segno, qualcosa. Era straziante
non sapere se stava bene, se fosse ancora viva.
Da allora non aveva mai abbandonato la mia testa, pensavo a
lei in ogni dannato istante, rischiavo di impazzire. Con
l’andare dei mesi però ho imparato a convivere con
la consapevolezza non sarebbe tornata. Eppure.. l’amavo,
continuavo ad amarla. Il nostro era un legame troppo forte per essere
spezzato così. “Il vero amore dura per sempre,
supera ogni ostacolo e tempo. Ci amiamo e niente potrà
impedirci di stare assieme, un giorno” Era
ciò che le avevo detto prima di partire, allora ne ero
convinto ma con il passare del tempo cominciai a dubitarci. La cosa
più dolorosa era sapere non sarei più riuscito a
innamorarmi di un’altra ragazza, non sarei riuscito ad amare
nessuno come lei, e neanche volevo. Avrei aspettato di rivederla..
sempre.
“Everybody say
that time heals the pain, I’ll be waiting forever.. that day
never come”
Le canzoni del nuovo album erano nate grazie a lei, la musa che mi
dava ispirazione. Contenevano frasi che magari m’aveva detto,
contenevano ciò che provavo per lei.
“Du tust mir
gut , Du tust mir weh
Ich bin im Kampf der Liebe“
Il foglio che mi aveva dato una delle prime volte in cui ci eravamo
incontrati, come le avevo annunciato, era divenuto una canzone,
“lass uns laufen”. Sperai che lo ascoltasse, sperai
avrebbe capito il significato della parole aggiunte da me.
“Ich weiss
nicht was kommt
Ich weiss nicht was war
Ich weiss nur du bist nicht mehr da“
E poi c’era “Zoom”. La nostra canzone. A
suonarla però non era lei, ma Tom. È
stata la canzone più difficile da registrare, la voce
tremava però volevo fosse presente a tutti i costi nel cd,
era la più significativa per me.
“Bist du
irgendwo da draussen
Zu schwach um zu weinen?“
Lei era fuori da qualche
parte, qualcosa dentro di me si rifiutava di pensare fosse morta, ero
convinto fosse viva. Sicuramente Julia mi avrebbe avvertito in caso
contrario, oppure la madre.. avevo ancora i numeri salvati, bastava una
chiamata per sapere qualcosa. Mi mancava il coraggio. Avevo paura di
sapere le fosse successo qualcosa, paura si fosse rifatta una vita con
qualcun altro..
“6 Milliarden
Menschen , wie krieg' ich Kontakt zu dir?”
Avevo provato a vedere altre ragazze, più che altro Tom
coglieva ogni pretesto per presentarmi a qualcuna. Inutilmente. Potevo
vedere tutte quelle che voleva, tanto nel mio cuore rimaneva sempre e
solo lei.
“Wie'n
Geisterfahrer, such ich dich
Wie'n Geisterfahrer
Um endlich bei dir zu sein„
Era un disco personale, era una confessione. Mi ero messo a nudo,
persone esterne non avrebbero capito il significato oltre ogni parole,
tutto era polivalente. Era la mia ultima speranza, altrimenti mi sarei
dovuto mettere il cuore in pace, una volta per tutte. Dovevo smettere
di amarla, impossibile.
“Why do I keep
loving you?
It's so automatic”
Scossi la testa
furiosamente, capitava spesso mi incantavo pensandola, ora
però dovevo lasciare spazio ad altri pensieri per
concentrarmi sull’album e sull’intervista che
avevamo lì a poco.
-Ehi, sei pronto?- domandò Tom sistemandosi la
fascetta che copriva la sua nuova capigliatura.
Album nuovo, stile nuovo, voglia di cambiare, metamorfosi.
Così dopo dieci anni aveva detto addio agli
amati biondi dread per lasciare spazio a delle treccine nere e scure, a
detta degli altri li donavano un aspetto un po’ inquietante,
secondo le ragazze era solamente più figo. Seguì
il suo esempio e abbondai la chioma cotonata, sistemando i capelli in
sottili dread neri, con qualcuno bianco.
-Sì- annuì, mentre Saki ci scortava
nello studio televisivo. Mi era mancato dare interviste, nei mesi
precedenti ne avevamo rilasciate poche, sommersi negli studi di
registrazione tedeschi e americani.
Ci sedemmo tutti e quattro su un divanetto e venne a
presentarsi la giornalista. Chissà perché tutte
donne!
-Allora, oggi come annunciato in studio.. i Tokio Hotel! Ci
parleranno del loro album, in uscita nel fine settimana-
annunciò e il pubblico scoppiò in un sincero
applauso.
-Allora, intanto, tutto bene? Com’è
ritornare alla vita frenetica?-
Il microfono fu passato direttamente a me, come solito.
-Bello- sorrisi sentendo qualche urlo da parte del
pubblico, -In questi mesi abbiamo viaggiato molto, poiché
l’album è stato registrato un po’ in
Germania ma anche a Los Angeles, perciò non siamo stati
tanto fermi, tranne per agosto, siamo andati in vacanza. Nonostante sia
faticoso riprendere certi ritmi, è quello che vogliamo fin
da piccoli, stiamo vivendo il nostro sogno perciò il
“frenetico” non ci spaventa- spiegai.
-Capisco. Ora per quanto riguarda l’album,
partiamo dal nome: Humanoid, perché?-
-E’ un termine che viene dal linguaggio
fantascientifico, significa “simile
all’uomo”. Si pronuncia diversamente nella lingua
inglese e tedesca ma si scrive nello stesso modo, e volevo che
l’album avesse un solo nome in tutto il mondo-
La scelta del nome giusto aveva richiesto parecchio tempo,
alla fine ne avevamo trovato uno adatto.
-L’unica traccia per ora rilasciata in rete
è “phantomrider”, intanto vi faccio i
complimenti perché la trovo molto bella e dolce, cosa ci
dici su questa canzone?- si rivolse direttamente a me stavolta,
poiché era scritta da me.
-Sono contenta le piaccia- dissi, -E’ sul come
essere vicini a qualcuno che non hai mai incontrato davvero. Vuoi
scappare da qualcosa e vuoi che quest’anima gemella/fantasma
venga via con te perché è l’unica cosa
in cui hai fiducia-
La scrissi giusto un anno prima, pensando a lei,
ovviamente.
-In che versioni è disponibile?-
-C’è la versione album classico, sia
in inglese che tedesco, poi un “fan pack” e una
edizione “deluxe”- rispose Tom.
-Ho sentito dire ci sono molte collaborazioni-
affermò, annuimmo.
-Esatto, per esempio The Matrix, Guy Chambers, Red Uno,
Desmond Child, e altri-
-Parlaci delle canzoni, il vostro manager mi ha inviato in
anteprima il cd- le fan urlarono, invidiose, facendola ridere. Oca.
-Com’è stato il processo di scrittura?-
-Sono state scritte in tempi diversi, alcune addirittura a
marzo del 2008, come Humanoid, solitamente appunto pezzi di frase che
mi vengono in mente, poi il resto viene da sé, oppure sento
gli altri suonare e penso a qualcosa di adatto per quella musica-
Continuò a fare domande, dalle vecchie
tournée al rapporto con i fan, la nostra famiglia e gli atti
di stalking, finché non arrivò la domanda che mi
mise un po’ più in difficoltà..
-Ho notato leggendo le note dei ringraziamenti e
co-produzioni, mi scusino le fan per lo spoiler, una cosa.. ossia
più volte è presente un nome: Melpomene. Chi
è questa persona?- ammiccò come se avesse scovato
un gran segreto.
Mi irrigidì, mentre Tom capendo il mio stato
d’animo mi prese il microfono di mano.
-Beh, non è propriamente una persona-
annuì d’accordo, poteva sembrare una bugia, ma era
la verità: non era una “persona”, era la
ragazza che amavo.
-Melpomene in mitologia è la musa della musica-
spiegai, l’espressione della giornalista cambiò
capendo non era riuscita a fare uno scoop, -Ci sono stati dei momenti
in cui faticavo a trovare le parole, poi però tutto si
è risolto, e mi piace pensare sia grazie a lei- strizzai
l’occhio, mentre Tom ridacchiava ,-Questo album è
nato grazie a lei- sperai che lei vedesse l’intervista e
capisse il significato della frase.
-Va bene!- si capiva che non era soddisfatta, la mia vita
privata era blindata.
L’intervista durò un’altra
mezz’oretta, fu un sollievo terminare.
-Dio ma quanto parlava quella la!- sbuffò Georg
una volta in auto, diretti a casa.
-Più di Bill- intervenne Gustav, -e questo dice
tutto- fece la linguaccia.
-Non fai ridere- lo rimbeccai.
-E la domanda su Mel.. poteva risparmiarla-
esclamò contrito mio fratello, facendomi sorridere. Sapeva
era un argomento delicato per me.
-Già, però avevo messo in conto
avrebbero potuto chiedere qualcosa, in effetti è un nome
nuovo e mai comparso nei versi cd- scossi le spalle, fingendo
indifferenza. Per quanto scomoda fosse la domanda, dava la
possibilità a lei di capire che non era stata dimenticata.
Per nulla.
-Inutile che fai l’indifferente, ti sei
irrigidito subito non appena l’ha nominata, poi vedi che
è lei, non hai più detto il suo nome.
Abbassai lo sguardo, colpito in pieno dalla sua –
seppur debole – accusa. Non risposi, infilai le cuffiette e
feci partire la musica per abbassare il volume dei pensieri.
Rientrando nell’appartamento notai la presenza di un pacco
regalo poggiato sopra la cassetta della porta, con sopra un biglietto.
“Non so cosa sia,
l’ha portato una ragazza stasera e sembrava piuttosto..
nervosa.
Ho pensato
di portartelo subito, mi sembrava importante! (: Baci, Nat”
Mi recai velocemente in
camera, sedendomi sul letto con l’oggetto fra le
mani. Il pensiero fosse da parte sua mi attraversò
la mente, poi mi diedi del pazzo, non poteva essere.
Scartai con lentezza la confezione, osservando basito il
contenuto.
Un libro.
Era stato incartato in modo che, una volta tolto
l’involucro, la parte visibile fosse il retro e non la
copertina. Non casuale.
Dietro era stampato un pezzo di dialogo, estratto dalla
storia, lessi.
-Cosa vorresti fare prima
di morire?- Mi domandò William, sorridendo.
-Vivere- risposi stoicamente, dando una scrollata alle
spalle.
-Sam! Hai quasi diciotto anni, possibile tu non abbia dei
sogni?- mi fissò sbalordito.
-No, è troppo complicato; implicherebbe aver
un’idea sul futuro, delle certezze che mi mancano,
e la speranza si possano realizzare- Al momento non avevo
nessun motivo per mettermi a fantasticare.
-Tu pensi troppo- sentenziò, -Poi una certezza
comunque ce l’hai- mi abbracciò ancora
più forte.
-Quale?- chiesi scettica.
-Io ci sono, puoi contare su di me. Ti amo, lo sai. tu,
ami?- mi parlò come se fossi una bambina.
- Beh, io amo,
purtroppo- sospirai perdendomi in quegli occhi nocciola
che m’avevano fatto innamorare.
-Allora, per quanto tu possa essere cocciuta, voglio stare
con te. È semplice-
Will vedeva tutto positivamente, affrontava la vita con il
sorriso. Mi chiedevo perché si era intestardito con me,
ragazza problematica, abbandonata dal padre e con una madre
assente, brillante ma con cattivo rendimento a scuola
grazie alle assenze dovute al fatto che, la mattina, dopo
aver passato la sera fuori a recuperare qualche dose non riuscivo
ad alzarmi per andare a lezione. Per lui era tutto
semplice, credeva di potermi salvare dall’abisso attorno a me?
Tanto facile
che un mese dopo mi lasciò.
Fissai la trama per
qualche momento, per quanto mascherata non potei non scorgere chiari
riferimenti alla nostra storia, avevo paura di aprire e cominciare a
sfogliare le pagine, c’era sicuramente tanto di noi in quel
libro..
Aprì l’ultima pagina per vedere la
biografia dell’autore, sperando di trovare una foto o, per lo
meno, qualche altra informazione. Ciò che trovai fu, invece,
l’immagine di una moleskine e una stilografica –
non potevo sapere fossero quelle regalatole da Tom – e una
frase: “Un
autore lo si conosce meglio leggendo ciò che scrive che
qualche data della sua vita e le scuole frequentate –
Mel Heiligen”
Scossi la testa, dovevo immaginare una cosa del genere. Poi
inevitabilmente sorrisi notando il cognome.
Sotto quella specie di “biografia”
c’erano i ringraziamenti.
“Beh, ich liebe leider
o – più semplicemente – B.I.L.L.
è il frutto
di anni di
frasi scritte sul mio quaderno, poi messe insieme. Queste
quattrocentoottantatre pagine sono intrise di me e,
se non fosse
stato per la mia famiglia e la mia migliore amica, mai avrei trovato
coraggio per pubblicarlo.
Se
è fra le vostre mani, è merito loro.
Poi
c’è un'altra persona che ha contribuito alla
nascita di questo libro..
Lo dedico a
te,
Grazie,
Superstar.
Ero rimasto bloccato di
fronte alla prima e ultime frasi. Aveva chiamato il suo romanzo in modo
che, abbreviato, risultasse “Bill”, sicuramente non
era una scelta casuale.
Superstar,
mi aveva dedicato il suo libro. A me.
Mi tremavano le mani dall’emozione per la
scoperta: no, non mi aveva dimenticato.
Girai il libro fra le mani e non riuscì a
trattenere le lacrime di fronte alla copertina. Mi riportò
al pomeriggio di un anno e mezzo prima, al parchetto di Berlino, quando
avevo insistito per fare tante foto in posa. L’immagine
stampata era dell’unico scatto uscito per errore, le nostre
mani intrecciate e i corpi vicini, si intravedeva la scritta sulla
maglia “Muse
of the dark angel”.
Il mio corpo era scosso dai singhiozzi, mi venne in mente
la sua frase “Gli
angeli non piangono”.
Eppure non riuscivo a fermarmi, non capivo come mi sentivo:
triste, sollevato, felice?
Dovevo fare qualcosa, al diavolo tutti i pensieri e
preoccupazioni, avevo bisogno di vederla, di sentirla. Magari non
avrebbe voluto rivedermi, magari aveva iniziato a vedersi con qualcun
altro.. neanche sapevo dov’era, era guarita? Si era
trasferita?
Chiamai l’unica persona che poteva rispondere
alle mie domande.
Julia.
* * *
Ero raggomitolata sul
divano, il cuore che batteva all’impazzata dopo aver visto
l’intervista e la testa piena di domande.
Secondo Julia avrebbe dovuto darmi delle rispose, invece i punti
interrogativi nella mia testa erano aumentati. Bill mi aveva
messo nei ringraziamenti, lo stesso avevo fatto io. Sapevo cosa
servisse per chiarire la situazione: il cd.
I testi li scriveva Bill, basandosi su quello che vedeva e su quello
che provava, ascoltarli significava immedesimarsi in lui.
L’album sarebbe uscito cinque giorni dopo, mentre il libro
era già fra le sue mani.
Chissà cosa aveva pensato appena aperto
l’involucro, chissà cosa pensava.
Chissà..
-Mel!- un urlo mi fece sobbalzare e mi tirai su, costando solo in quel
momento d’essermi addormentata sul divano.
-Cosa urli?!- farfugliai indispettita.
-Ti sto chiamando da cinque minuti- spiegò, -Io esco, devo
fare una cosa urgente. Sai che è mezzogiorno? Ha chiamato
l’editore, ha detto d’aver anticipato
l’uscita del libro- mi informò.
-Cosa? Come? Perché?- mi animai.
-Cioè, mi sono spiegata male- ridacchiò, -Ha
detto che siccome sono già pronte parecchie copie le
metterà in vendita sulla libreria, mh non mi ricordo il
nome, quella famosa poco lontana dal centro, ecco e tu devi essere
là per autografare-
Per quanto l’idea potesse avermi sconvolto, ero felice
uscisse prima, non vedevo l’ora. Il mio debutto.
-Quindi stasera dalle sette in libreria- aggiunse.
-Okay.. stasera dalle.. COSA, STASERA?- realizzai.
-Già- rise alla mia reazione, -Quindi alle cinque preparati
lavata, sarà il mio compito renderti presentabile- fece
l’occhiolino prima di sparire.
Alla fine avevamo realizzato i nostri progetti entrambe: io avevo
scritto un libro e lei era divenuta la mia stylist.
-Stasera… stasera.. stasera!- ripetevo in agitazione. Non
avevo nulla da fare e scelsi perciò di fare le pulizie,
almeno passavo il tempo e mi rilassavo.
L’appartamento che condividevamo era grande e spazioso, tre
camere da lette, un piccolo studio, due bagni e una lavanderia, salotto
e cucina, perciò impiegai gran parte del pomeriggio
impegnata a spolverare e spazzare. Alle quattro mi fiondai in doccia e
quando uscì Julia era di fronte a me con un sorriso furbo e
vagamente preoccupante, armata di phon, vestiti e trucchi.
-Dai, siediti- mi ordinò per iniziare ad asciugarmi i
capelli. La osservai attentamente.
-Come mai hai quelle occhiaie?- chiesi.
-Colpa tua. Ho passato la notte a leggere il tuo dannato libro!-
-E..?- ero curiosa di sapere cosa ne pensava.
-Lo sai che non amo leggere, però.. non so cosa dirti.
È fantastico. Mi sono trovata quasi innamorata di Will, ti
rendi conto? Hai un modo di descriverlo che ti catapulta nelle
situazioni, mi sono sentita Samantha, ho sofferto quando soffriva e
sorridevo quando era felice, ti rendi conto? Ho sempre saputo fossi
brava.. ma non così!- agitava le mani, mentre io spalancavo
la bocca. –E poi,- non mi lasciò il tempo di
rispondere, -Ho capito tante cose di te grazie a questa storia. Hai
raccontato bene la situazione fra te e lui, invertendo i ruoli.. sono
sicura che, se l’ha letto.. e credimi, l’ha letto-
disse con un tono strano, -Farà di tutto per tornare con te.
E lo stesso farai tu, quando avrai ascoltato il cd-
-Non so cosa dirti.. io.. grazie- sorrisi commossa dalle sue parole,
-per il resto non so, devo smettere di pensare tornerà da
me.. piuttosto, dove sei stata oggi? Non ti sei fatta viva per tutto il
giorno- le domandai, vedendola distogliere lo sguardo.
-Avevo delle cose da fare- rispose vaga, -aspetta- sparì per
tornare due minuti dopo assieme alla radio.
-Perché hai preso la radio?- non capivo cosa le passava per
la testa. Mi zittì per inserire un disco, probabilmente
masterizzato.
-Ora io ti sistemo trucco&parrucco e tu ascolti senza fiatare-
mi impose, annuì confusa.
Prette play, il rumore del phon fu sovrastato da un suono
più dolce ma a me sconosciuto.
Appena alla melodia si aggiunse la voce capì di cosa si
trattava.
Humanoid, l’album dei Tokio Hotel. Fui percorsa da
brividi.
“Der Regen ist laut
Da
draußen und hier drinnen ist es grau..“
Spalancai la bocca
riconoscendo “Lass uns laufen”, il mio pezzo di
“poesia” trasformato da lui in canzone. Il suo tono
era così dolce e elegante, sembrava volesse accarezzarmi.
Riaffioravano emozioni sepolte da troppo tempo. Dopo il concerto avevo
chiuso con i Tokio Hotel e la loro musica. Per il mio bene.
-Aspetta, prima di truccarti è meglio metta la
traccia sei- disse Julia appena la canzone terminò. Non
capivo il perché, ci arrivai appena iniziò.
Se mi avesse truccata in quel momento il trucco si sarebbe
rovinato a causa delle lacrime: era la nostra canzone.
“Bist du
irgendwo da draußen
Alleine mit dir
Hast du irgendwo verlaufen
Und weißt nicht wofür“
Stringevo i denti e
respiravo lentamente, ciò non impedì alle lacrime
di fermarsi e uscire copiose dai miei occhi.
Mi tornò in mente la notte in cui la
sentì per la prima volta e la suonai seduta al suo fianco.
La nostra notte.
Il cuore seguiva il ritmo del pianoforte, lo sentivo
battere chiaramente, come un martello.
Finita la canzone mi asciugai il viso, a ogni nota capivo
che era inutile tentare di nascondere e sopprimere ciò che
provavo, era troppo forte.
Stare lontani ci distruggeva, era tempo di sistemare i
nostri pezzi insieme, perché, come aveva detto lui, eravamo
una cosa sola come lo yin e lo yang. Traccia dopo traccia
capì inoltre un’altra cosa: non mi aveva
dimenticata. Mi amava.
Sorrisi.
-Finito!- esclamò Julia, -indossa questi- mi porse gli
abiti.
-Prima voglio sapere come hai avuto il cd, non è ancora in
commercio- la bloccai, mi nascondeva qualcosa.
-Ho i miei fornitori- rise, -Dai vestiti sennò arriviamo in
ritardo!-
Indossai tutto velocemente, osservandomi allo specchio a partire dal
basso: stivaletti con tacco, jeans a sigaretti neri e stretti, camicia
scozzese. Passai al viso, occhi azzurri con eyeliner e ombretto grigio
perlato, lucidalabbra sulla bocca e guance rese rosata dalla cipria. I
capelli erano stati accuratamente piastrati che arrivavano poco sopra
le spalle. Li accarezzai, ancora non mi ero riabituata a sentirli
lunghi, a poterli pettinare.
Distolsi l’immagine soddisfatta: ero bella.
Raggiungemmo la libreria puntuali alle sette ed entrammo dal retro,
c’era già un piccolo gruppo di persone ferme
davanti all’entrata.
-Vai, buona serata! Io torno a casa, poi mi racconti tutto- mi disse
Julia, sottolineando l’ultima parola in modo sospetto. Era
dal pomeriggio che si comportava in modo strano, come se sapesse
qualcosa di importante.
-Okay..- mormorai poco convinta, andandomi a sedere alla scrivania con
sopra una pila di “BILL”.
Il proprietario andò ad aprire la porta e la stanza di
riempì di persone che vennero a prendere il libro, salutare
e far firmare le copie.Mi sentivo emozionata ed eccitata, quella gente
era lì per me, andate a casa avrebbero iniziato a leggere
quella storia che mi rispecchiava, avrei messo la mia anima a nudo.
Andai avanti per un’ora poi la stanza si
svuotò. Chiusi gli occhi e mi rilassai chiudendo gli occhi
per un momento, credendo di essere sola.
Udì un sospiro e li riaprì di scatto, notando
solo in quel momento qualcuno poggiato a uno scaffale, poco lontano da
me.
Lo osservai curiosa, non riuscivo a vedere bene perché era
nella penombra, alla fine la curiosità vinse e mi avvicinai.
La figura era alta e parecchio magra, volevo vedere il volto ma non ci
riuscì finché non piegò la testa in
alto, togliendo il cappuccio della felpa che indossava.
Mi immobilizzai, non credendo a ciò che vedevo.
Lunghi capelli neri racchiusi in sottili dread, trucco bistrato,
piercing sul sopracciglio, occhi nocciola.
Dopo un anno e mezzo era lì, davanti a me.
Il respiro si fece affannato, il battito cardiaco frenetico.
Le mani tremavano.
Fremetti quando piantò il suo sguardo sul mio. Brividi.
Capì che ogni sforzo fatto per dimenticarlo si era
dimostrato inutile e che, potevo continuarne a fare, tanto non sarebbe
cambiato nulla.
Il mio cuore non avrebbe mai
battuto così forte per un’altra persona,
perché apparteneva a Bill, era fatto per battere in sincrono
con il suo.
Non sapevo cosa dire, la gola mi s’era seccata. Il cervello
staccato. Gli elefanti nello stomaco rinati.
I nostri occhi erano impegnati in una conversazione silenziosa. Non
erano necessarie parole per esprimere ciò che pensavamo.
-Sei cambiato-
-Anche tu-
-Sei bello-
-Ti sei vista? Sei
perfetta-
-Grazie-
-Mi sei mancata-
-Anche tu, tanto..-
-Non ti ho dimenticata,
mai-
-Neppure io-
-Il titolo del libro..- sussurrò piano, per non spezzare
l’atmosfera che s’era creata. Pelle d’oca
alla sua voce.
-Sì.. Beh, ich liebe leider- pronunciai lentamente,
assuefatta dalla sua presenza.
-Ich liebe auch, leider- mormorò avvicinandosi a me, - dich Melpomene.-
“Ci sono sei
miliardi di persone al mondo. Siamo esseri umani, nati per amare e
essere amati.
Non è nel nostro destino stare soli, da qualche
parte c’è la nostra anima gemella, colei che ci
completa e,
nonostante i difetti, ci trova perfetti. Unici.
Il vero amore esiste, basta cercarlo. Una volta trovato, se
è destino, durerà.
Ci possono essere tutte le complicazioni di questo mondo,
litigi, motivi per non stare assieme,
chilometri di distanza, separazioni forzate, decisioni
prese sbagliate.
La forza di due amanti sconfigge qualsiasi cosa, nulla
è impossibile o troppo difficile di fronte
all’amore.
E io lo so bene, ho combattuto con una vita da sempre
troppo ingiusta – stronza per essere sinceri.
Alla fine, ho vinto.”
Una confessione, una carezza incerta, cuori impazziti, due anime che si
ritrovavano, labbra che si sfiorano. Amore.
-Ti amo anche io, superstar-
“I nostri pezzi
sono stati sistemati, insieme.
Ci apparteniamo, per sempre da ora.”
Fine.
* * *
Non so cosa dire, non so
da come cominciare, non so come finire. Ho scritto questa storia
un'estate di qualche anno fa, nel 2011. L'avevo finita in pochissimo
tempo, ho cominciato a pubblicarla.. ma poi ho abbandonato il mondo
delle fanfiction e della scrittura. Come mai ho finito di pubblicarla
solo ora, nel 2017? Beh, la verità è che odio le
storie non concluse e non potevo accettare di lasciarla "in corso",
soprattutto perché la storia l'ho finita tutta da tempo. Non
l'ho mai ricontrollata, perché non riesco a rileggere
ciò che scrivo, è più forte di me. Non
mi ricordo neanche tanto bene come si svolgeva la fanfiction, sono
vergognosa; mi scuso perciò per gli errori che sicuramente
ci sono e per possibili incongruenze nella trama (non mi ricordavo
neanche come si facesse a creare la formattazione dei capitoli, pensate
un po'! Ho dovuto recuperare il vecchio computer per usare il programma
Nvu.....). Però ricordo di averci messo il cuore e, per
questo, meritava di essere pubblicata per intero. Anche per rispetto
vostro, se c'è ancora qualcuno che legge le storie in questa
sezione. E' passato così tanto tempo.. sono cresciuta e
sarete cresciuti anche voi. Vi racconto un po' di me, anche se non
penso interessi a nessuno. Sono al terzo anno di lingue, fra poco la
laurea. Ho passato il primo semestre dell'ultimo anno in Erasmus in
Germania e, che dire? Devo ringraziare i Tokio Hotel per avermi fatto
amare il tedesco. Loro non li seguo più assiduamente, ma
rappresentano e rappresenteranno sempre una parte importante di me.. e
penso sia così per tutti i fans.
Ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia e mi scuso
ancora con voi per averla lasciata in sospeso così a lungo.
Vi mando un bacio.
La vostra Anna
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