Dove hai lasciato il cuore

di La Signora dei No
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il silenzio è più assordante del rumore ***
Capitolo 2: *** 2. La notte portatrice di sventura ***
Capitolo 3: *** 3. La calma dopo la tempesta ***
Capitolo 4: *** 4. Le paure brillano al Sole ***
Capitolo 5: *** 5. Lo specchio del peccato ***
Capitolo 6: *** 6. Ritornare a casa ***
Capitolo 7: *** 7. Le cose che non mi hai detto ***
Capitolo 8: *** 8. Nei tuoi occhi ***
Capitolo 9: *** 9. Aprirti il mio cuore ***
Capitolo 10: *** 10. Emozioni a confronto ***
Capitolo 11: *** 11. Riallacciare le proprie vite ***
Capitolo 12: *** 12. Uno scontro che sa di abbraccio ***



Capitolo 1
*** 1. Il silenzio è più assordante del rumore ***


1.Il silenzio è più assordante del rumore:


La porta sbattuta con troppa violenza e la casa che improvvisamente ritornava a essere silenziosa e vuota, dopo aver accolto interminabili grida per ore. Livio si sentiva vuoto, svuotato di ogni sensazione, di ogni emozione. Non sapeva cosa fare, cosa pensare, la loro storia era davvero finita così, dopo anni di amicizia e relazione. Non poteva succedere, tra tutti gli scenari che si era immaginato, quello era sicuramente il peggiore. Com'erano arrivati a quella situazione non lo sapeva. Come in trance, dal salone il ragazzo si diresse in cucina, avrebbe voluto analizzare la situazione, capire la ragione dietro il comportamento di Federico, comprendere il problema principale. In quel momento, c'erano davvero tante cose che lui avrebbe voluto fare, i nervi scoperti e pizzicati dalle parole del compagno però non glielo permisero. Deciso a calmarsi, Livio mise a bollire l'acqua per il tè, unica cosa a farlo tranquillizzare, dopo le carezze e gli abbracci di Federico. In cuor suo, Livio sapeva che solo tra le braccia di Federico, poteva dire di sentirsi a casa davvero. A volte mentre dormivano, Livio si svegliava di soprassalto e per calmarsi, tendeva l'orecchio sul petto del compagno, sentire il battito regolare, calmo e rilassato dell'altro lo faceva sentire protetto e al sicuro. Ripensare a quei momenti per il ragazzo dai capelli rossi e ricci, non fu per niente facile. Ricordare il sorriso limpido e cristallino che l’altro concedeva, solamente a lui, i suoi occhi neri come la pece, indagatori e avidi di comprensione, ciò comportava altro dolore. Li percepiva sulla sua pelle Livio. Sbuffò, massaggiandosi le tempie, tutto in quella casa sapeva di lui, di loro. Avrebbe voluto trovare un modo per spegnere il cervello, pensare in quella situazione era controproducente. I pensieri lo stavano uccidendo lentamente e il martellare incessante del suo cuore nella gabbia toracica, non aiutava. Una volta pronta la bevanda calda, il ragazzo la versò in un bicchiere qualunque, a discapito della sua tazza preferita, poggiata sullo scolapiatti, accanto alla sua, come del resto qualsiasi altra cosa in quella casa. Il ragazzo uscì ancora più sconsolato dalla cucina. Nonostante le tante sedie e il divano in salone, Livio si sedette a terra, con la schiena poggiata alla parete. Il contatto con il pavimento freddo, lo aiutava a non fargli perdere la testa, gli permetteva di non farsi trascinare dal dolore nell'oblio. Quel freddo era l'unico conforto che poteva avere. Stanco di trattenere le lacrime, si sfogò, piangendo tutte le sue lacrime, tutto il dolore provato, quando Federico aveva preso a martellate il suo cuore e l’aveva rotto in mille pezzi, pianse per tutte le parole tirate fuori e dette con tutto il veleno possibile. Si addormentò così Livio, tra un sorso di tè caldo e una lacrima ingoiata. 



§ Angolo autrice §

Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. Devo ammettere che questa storia è nata un po' così. Qualche giorno fa stavo ascoltando la musica e ho sentito l'impulso di scrivere, ed ecco qui il primo capitolo. Spero di sapere cosa ne pensate nei commenti. 


 

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Capitolo 2
*** 2. La notte portatrice di sventura ***


2. La notte portatrice di sventura:


Dopo aver chiuso la porta con una violenza non voluta, non calcolata, Federico si lasciò trasportare dalle sue gambe. Non sapeva dove stava andando, dove si sarebbe fermato o per quanto avrebbe camminato, l’unica certezza che possedeva era quella di volersi allontanare da quella casa. Appena fuori dal cancello, l’aria fresca e umida lo investì, istintivamente chiuse le palpebre e il vento fu un vero e proprio balsamo per i suoi occhi gonfi e doloranti. Senza pensarci due volte, iniziò a camminare. Erano le due di notte e per strada non volava una mosca, l’asfalto su cui camminava era rischiarato solamente dalla flebile luce dei lampioni e da quella opaca della Luna. Camminò per un tempo indefinito Federico, fino a quando non si ritrovò di fronte all’entrata di un supermercato, aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Osservandolo per qualche minuto, decise di entrare. Vagando per gli scaffali del negozio, si ritrovò accanto a quello delle bevande. Spostando lo sguardo, da uno scaffale all’altro, i suoi occhi scorsero la marca preferita di tè da parte di Livio. Mosse le labbra in un piccolo sorriso nervoso. Loro due erano sempre stati così, mentre lui preferiva bere alcolici e bibite gassate, Livio preferiva bevande più delicate. In quel momento lui si trovava lì per comprare una bottiglia di birra, non che fosse mai stato un grande bevitore, ed era sicuro che l’altro si stesse preparando del tè. Tra i due, lui era sempre stato quello burbero, cinico, con il broncio perennemente stampato sul volto. Il suo fidanzato invece era quello delicato, fragile, per anni ha avuto il terrore di frantumarlo con un semplice abbraccio. Quando andavano ancora a scuola, a Livio era stato affibbiato il nomignolo “fiore di Loto”, lui invece era stato soprannominato “Hulk”. Non era fisicamente un energumeno, paragonato a quello che era il suo migliore amico, però era molto più forte. L’enorme differenza tra loro, si poteva notare anche solo da quello. Aveva sempre saputo, che quella diversità alla fine avrebbe scritto la parola “fine” a ogni tipo di rapporto che loro avevano sviluppato nel tempo. La cosa, che non aveva messo in conto, però era il dolore, quello che l’avrebbe ucciso. Dopo aver pagato la birra, Federico ricominciò a camminare. Attraversando alcuni isolati quasi in totale oscurità, il ragazzo dai capelli corvini, comprese finalmente la destinazione ultima dei suoi piedi. Stava andando a casa di Elena e Davide. Loro tre e Livio, si conoscevano da quando erano bambini, avevano frequentato le stesse scuole, sempre in classe insieme. All’inizio lui e Davide non andavano d’accordo, anzi si odiavano ma Elena e Livio erano inseparabili, e chi voleva proteggere l’uno chi l’altra, alla fine i due decisero di collaborare. Come in quasi tutte le situazioni di quel genere, Davide e la ragazza finirono insieme, nello stesso identico modo in cui finirono insieme lui e la persona con cui aveva litigato qualche ora prima. Fu proprio in quel periodo che il proprietario della casa che si apprestava a visitare, iniziò a sostituirsi al ragazzo con i capelli rossi, nel ruolo di migliore amico. Perdendosi nei suoi ricordi, il moro non si accorse di essere arrivato sotto casa dell’amico. Federico che aveva sempre odiato citofonare, prese il telefono e chiamò il proprietario di casa.

-Fede cazzo! Ha controllato l’ora? E’ notte fonda – l’altro imprecò sottovoce.

- Sono sotto casa tua Da, aprimi –

- Citofonami, altrimenti per me puoi restare lì anche tutta la notte -.

Anche se, Davide sapeva benissimo che ciò che gli aveva detto Fede era vero, lui provava comunque una certa ansia. Alcuni istanti dopo si sentì il citofono emettere un rumore. Quando il moro si ritrovò davanti alla porta di casa dei suoi amici, ad attenderlo sull’uscio con addosso solo un paio di pantaloni del pigiama e a piedi nudi, conferma che si era alzato in fretta e furia, giacché l’amico preferiva dormire in mutande, c’era Davide preoccupato e assonnato. Il biondo alla vista dell’amico in quelle condizioni, lo fece entrare senza batter ciglio. Il proprietario di casa capì subito che l’altro aveva bevuto almeno una birra e fumato qualche sigaretta. La cosa più sconcertante, fu accorgersi degli occhi arrossati del ragazzo. Federico senza proferire parola entrò, andandosi a sedere direttamente sul divano. Lui si tolse il giacchetto e le scarpe, per poi sdraiarsi sui cuscini morbidi del sofà. In quell’istante, Davide avrebbe voluto porgli un'infinita serie di domande, cui rinunciò per non mettere a disagio la persona che si trovava nella stanza con lui.

- Dov’è Elena? -                                                                                 

- E’ in viaggio per lavoro, rientra tra una settimana -.

Dopo questa brevissima conversazione, i due ragazzi non si scambiarono più una parola. Federico si distese sul divano, girando il viso verso i cuscini, nella speranza di riuscire a prendere sonno. Davide dal canto suo, prese una coperta e ci coprì l’amico. L'indomani avrebbero avuto tutto il tempo per parlare e per farsi spiegare la situazione. L’unica cosa certa, era che Livio era sicuramente legato a questa storia, altrimenti il moro non avrebbe mai pianto fino ad avere gli occhi tremendamente arrossati. 



§ Angolo autrice §

Allora che ne pensate di Federico? Di Livio? Innanzitutto volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto, commentato, aggiunto la mia storia nelle varie sezioni. Infinitamente grazie. Spero che anche questo capitolo vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate con una piccola recensioncina.   
 

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Capitolo 3
*** 3. La calma dopo la tempesta ***


§ Angolo autrice §
Allora, innanzitutto mi dispiace di aver impiegato così tanto tempo nell'aggiornare, purtroppo però questa settimana è stata parecchio impegnativa e non ho avuto un momento libero. Finalmente ecco qui il terzo capitolo, spero che vi piaccia. 

p.s. A fine capitolo troverete le risposte alle recensioni del precedente.








3. La calma dopo la tempesta­­:

La tranquillità in cui era immersa l’intera casa, fu rotta solo dal suono assordante della sveglia, che segnava le sei e mezzo di mattina. Lentamente, Livio aprì gli occhi, non riuscendo a ricordare dove si trovasse. Le uniche cose certe per lui erano i suoi occhi gonfi e il corpo intorpidito dal freddo.  A giudicare dall’arredamento della stanza, il ragazzo si trovava in soggiorno, più precisamente sdraiato sul pavimento. Avrebbe voluto rammentare il motivo per cui stava lì e non sul letto, la sua emicrania, però glielo impediva. Se provava a ripensare agli eventi della sera scorsa, delle fitte lancinanti si facevano sentire. La sveglia, che per qualche secondo aveva smesso di fare rumore riprese senza nessun’altra interruzione. Costringendosi, Livio si alzò, andando a spegnere l’affare elettronico. Entrando in stanza da letto, il roscio fu investito in un istante dagli avvenimenti, che tanto disperatamente stava tentando di richiamare alla sua mente dagli spazi reconditi della sua testa. Le urla, la lite, quella maledetta porta che si chiudeva, facendo tremare tutti i muri, Federico che stava andando via, che lo abbandonava. Livio che avrebbe voluto corrergli dietro, fermarlo e riportarlo a casa, fare la pace e poi l’amore. Lui però non fece nulla di tutto ciò, e quello che avevano costruito in anni di amicizia e relazione, gli stava scivolando via dalle mani lentamente. Livio era sempre stato così, una di quelle persone che se non sapeva come agire, non procedeva e basta, perché la paura di sbagliare lo terrorizzava. Come a scuola, in un giorno in cui magari un professore sceglieva di interrogare te e un tuo compagno, entrambi impreparati, la differenza stava nel fatto che lui riusciva ad arrampicarsi sugli specchi, tu non ci riuscivi prendendo sempre due. I primi raggi di Sole filtravano dalla finestra, illuminando la stanza, creando una sorta di penombra nella quale l’assenza di Federico, pesava sul cuore di Livio come un macigno. Guardando il telefono, il ragazzo notò che era Lunedì mattina e tra due ore sarebbero iniziati gli allenamenti con la squadra. Erano le sette e lui doveva ancora farsi la doccia. Il bagno rispetto alla camera si trovava infondo al corridoio. Prima di farsi un bel bagno rilassante, per cercare di rilassare i muscoli, Livio prese degli abiti puliti. Appena immerse il corpo nell’acqua bollente si sentì immediatamente meglio. Almeno per quel giorno non aveva dovuto discutere con nessuno sul come lavarsi. Lui amava fare la doccia dove l’acqua era fredda, Federico preferiva fare il bagno con l’acqua bollente. Quella mattina aveva rinunciato alla sua doccia per due semplici motivi: Il primo, era che i suoi muscoli, erano troppo tesi e avevano bisogno di sciogliersi, se voleva allenarsi; il secondo era che senza l’altro non aveva senso scegliere la doccia. Non c’era gusto se non poteva litigare con lui per quello. I due avevano sempre condiviso tutto, dalla passione per lo stesso sport alla medesima difficoltà in Geografia. Nei ventotto anni di vita vissuta da Livio, Federico era sempre stato al suo fianco. Dopo essersi preparato e aver saltato la colazione, se non poteva farla con lui, non aveva senso compierla. Il ragazzo dagli occhi verdi si mise alla guida, avviandosi verso la palestra della propria società. Quel giorno non gli andava proprio di allenarsi, essendo però il palleggiatore titolare, era necessario purtroppo. Dopo venti minuti di macchina arrivò a destinazione. Prima di entrare in palestra si assicurò di non trovarvici nessuno, era di umore nero e non voleva prendere a mali parole nessuno dei suoi compagni di squadra. Entrò di soppiatto.

- A Livio buongiorno – fantastico, tra tutte le persone che poteva incontrare, gli era toccato proprio il coach.

- Mister – il ragazzo era sempre più convinto di fare bene a odiare il Lunedì mattina.

- Oggi, tu dovrai sostituire Fabrizio nel ruolo di capitano –

- Come mai? – la giornata non poteva andare peggio di così.

- Fabrizio ha la febbre ed è in malattia –

- D’accordo -.

- E Livio, non te lo sto chiedendo come un favore, te lo sto ordinando – la giornata peggiorava a vista d’occhio. Dopo essersi scambiato un cenno d’assenso con l’allenatore, si diresse a passo spedito verso gli spogliatoi. Impiegò solamente un paio di minuti nel cambiarsi. Si bloccò quando estrasse le ginocchiere dal borsone. Quelle appartenevano a Federico, lui le aveva sempre preferite bianche. Controllando a fondo nella borsa, si accorse che le sue erano rimaste a casa. Sarebbe stato costretto a indossare quelle nere. Da quando sei anni prima, al suo migliore amico avevano imposto il fermo definitivo dall’attività agonistica a causa di un serio problema ai tendini, quelle ginocchiere non avevano mai abbandonato il suo borsone. Allo stesso modo la maglia dell’ultima squadra in cui avevano condiviso il campo. Mentre finiva di cambiarsi alcuni compagni entrarono nella stanza.

- Buongiorno Livio – lo salutarono.

- Abbiamo saputo che oggi il capitano sarai tu – asserì Alessio.

- Sì e non mi va per niente – ammise lui.

- Dai, ti ricordo che il ruolo di capitano il mister l’aveva proposto a te, prima di

offrirlo a Fabrizio –

- E tu l’hai rifiutato –

- Accettando poi quello di vice – lo canzonarono Daniele, Michele e Lorenzo.

- Invece di perdere tempo a sfottere me, sbrigatevi a cambiarvi che siete in ritardo -.

Quello che avevano detto in realtà doveva ammettere che era vero. Al suo ingresso in squadra, l’allenatore gli aveva proposto di essere il capitano, lui però respinse la proposta senza pensarci su due volte. Alla fine, su costrizione di Federico, dovette accettare il ruolo di secondo del capitano. Il giorno in cui udì per la prima volta le parole “essere capitano”, comprese che il suo ragazzo non sarebbe più sceso in campo con lui. Federico, era sempre stato il suo capitano, il condottiero che sapeva condurre la propria squadra con orgoglio sia nella vittoria sia nella sconfitta. Avendo seguito lui come stella polare per anni, non si sentiva in grado di essere quella di qualcun altro. Da quando Livio si era svegliato quella mattina, non aveva fatto altro che pensare a lui. Tutto glielo ricordava. Se davvero era finita la sera prima tra loro, il ragazzo non osava pensare a come poter sopravvivere.

- Livio insomma! Questa è la quarta alzata di fila che sbagli, vuoi concentrarti per

favore – se solo fosse riuscito davvero a sgombrare la mente senza pensare a nulla.

- Si mister –

- Vedi di concentrarti -.

L’allenatore concesse qualche minuto di riposo a tutti. Livio ne approfittò per darsi una rinfrescata.

- Hey –

- Hey –

- Va tutto bene capo – non riusciva a ricordare da quanto Emanuele lo chiamasse

così.

- Lo so manu –

- Intendevo che, anche se le tue alzate non sono precise, va bene così, sei un essere

umano in fin dei conti -.

- Io sono il palleggiatore, l’attacco parte dalle mie alzate, devono essere precise per

forza – quella lezione lui l’aveva imparata a caro prezzo.

- Sì, ma dimentichi una cosa essenziale nella pallavolo, si gioca in squadra –

- Livio, Lele ha ragione. Se io per esempio, come libero sbaglio la ricezione, l’alzata

sarà forzata e l’attacco quasi impossibile -.

- Ascolta me e Roberto – i suoi compagni di squadra volevano farlo morire d’infarto,

erano bravissimi ad apparire come per magia.

- Ritorniamo in campo -.

Concentrandosi sulla sua squadra, riuscì in qualche modo a evitare che la sua mente facesse pensieri troppo cupi.
 

 
Quando Federico si alzò dal divano, erano ormai le dodici passate. L’altra sera aveva fatto semplicemente la prima cosa che gli era venuta in mente. Sapeva che era da solo a casa, giacché Davide iniziava a lavorare sempre alle nove. Tra se e se, doveva ammettere che gli era grato per non aver chiesto nulla. Sul tavolo in salone, trovò un mazzo di chiavi e un biglietto:
“Questo è un mazzo di chiavi di riserva, così se per qualsiasi cosa devi uscire, non hai problemi. Ieri sera, vista l’ora e le condizioni in cui eri, non ho voluto fare domande, al mio rientro a casa stasera, faremo una chiacchierata. Sappi che puoi restare quanto vuoi, non saremo di certo Elena ed io a cacciarti”.
Quasi invitato dal biglietto, Federico si mise le scarpe e uscì da casa. Voleva tornare a casa sua, per recuperare almeno lo stretto necessario. Conosceva bene gli orari di allenamento di Livio, non l’avrebbe incontrato. Per il momento non si sentiva forte abbastanza da andare incontro a ciò che aveva sempre temuto. Quando arrivò di fronte la porta della propria abitazione, si ricordò di aver lasciato le chiavi all’interno dell’appartamento. Fortuna che ne avevano nascosto un mazzo sotto una mattonella semovente, coperta dallo zerbino. Una volta richiusosi la porta alle spalle, tutte le sensazioni che Federico aveva cercato di tenere lontano da cuore e mente, lo investirono, colpendolo in pieno petto. Le urla, il volto di Livio in lacrime, lui che dava un pugno al muro. Tutte quelle immagini aleggiavano per la casa, come se quelle stesse mura avessero voluto tutto il loro dolore, in una specie di fermo immagine. Alcune lacrime iniziarono a rigare un volto improvvisamente pallido e sudato. Decise di farsi una doccia, magari i muscoli si sarebbero rilassati. In realtà fu un bagno veloce. Nel quale però le sue lacrime si confusero con l’acqua. Prima di entrare in camera, fece un lungo respiro. Entrando, notò che il letto non era stato utilizzato. Sicuramente Livio aveva dormito sul pavimento. Quante volte l’aveva sgridato per questo motivo. L’idiota però non gli dava mai retta. A volte parlare con Livio era impossibile, lui avrebbe sempre fatto ciò che riteneva giusto, anche se sbagliato. Dall’armadio prese uno dei suoi vecchi borsoni, uno di quelli che utilizzava per la pallavolo. Dentro ci mise alcuni completi per lavoro, vestiti più comodi, la biancheria, tutto ciò che rientrava nella sfera dell’igiene personale e un paio di scarpe. Passò poi a prendere il necessario per svolgere il suo lavoro di contabile. Pensando al lavoro, si ricordò di doverli avvisare che per qualche giorno sarebbe rimasto a lavorare da casa a causa dell’influenza. Recuperate le chiavi della sua auto, quasi sconsolato si sedette sul divano. Che cosa stavano facendo, invece di parlare, chiarire, loro prendevano le distanze. Quel maledetto muro edificato con le loro paure, con le loro insicurezze, li aveva divisi e loro non facevano altro che alzarlo ancora di più. Quella notte aveva fatto un incubo inquietante. Lui e Livio erano a faccia a faccia, l’oscurità inglobava tutto ciò che c’era intorno a loro, Federico cercava di guardare negli occhi dell’altro, quando in una frazione di secondo Livio gli voltò le spalle, iniziando a precipitare in un burrone apertosi improvvisamente sotto i piedi del ragazzo. Federico istintivamente provò a toccargli la schiena ma era già troppo tardi. Livio era sparito e lui era rimasto solo. Quell’incubo gli aveva lasciato una sensazione opprimente e claustrofobica, come se in quel sogno il suo cuore si fosse spezzato a metà. Guardando l’orologio, a malincuore si alzò dal divano giacché tra un’ora e mezzo l’altro sarebbe tornato a casa. Doveva sbrigarsi ad andarsene.
 
 
Alle cinque e mezzo finalmente gli allenamenti terminarono. Stare tutte quelle ore in palestra, alla fine dei conti gli era servito a qualcosa. Non aveva pensato ad altro che non fosse la squadra.

- A domani ragazzi –

- A domani capo – lo salutarono in coro gli altri.

Arrivato a casa, data la stanchezza, si buttò sul letto, il bagno l’avrebbe fatto l’indomani e non aveva fame, quindi avrebbe tranquillamente saltato anche la cena. Voleva vedere Federico, cercare di spiegarsi e capire. Negli anni avevano discusso un’infinità di volte, arrivando anche a picchiarsi per difendere le proprie idee. Nell’ultima discussione però, qualcosa si era incrinato e lui temeva che riparare quella crepa sarebbe stata quasi impossibile. Negli occhi di Federico aveva visto la paura aprire una voragine dentro la sua anima. In qualche modo avrebbero dovuto chiarirsi, non avrebbe permesso a quelle insicurezze di dividerli per sempre.  

ç Angolo risposte ç

ficcio: Sono felice che il capitolo ti abbia incuriosito e spero che anche questo non sia stato da meno. Scusami per il ritardo colossale e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi di questo. A presto. 

July and August: Grazie del complimento.

In rotta per il paradiso: Ciao mia cara, sono contenta di vedere una tua recensione. Mi chiedi se mi ricordo di te e come faccio a dimenticarti? Sei una rompiscatole. Grazie del complimento che mi hai fatto e dei conglisi che mi hai dato. Li trovo molto utili. Spero in un tuo prossimo commento, a presto. 


 
 
 
 

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Capitolo 4
*** 4. Le paure brillano al Sole ***


§ Angolo autrice §

Eccomi qui finalmente. Allora, oggi scoprirete il motivo della loro lite anche qualcosa in più sul passato dei nostri cari Livio e Federico. Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono.


4. Le paure brillano al Sole:

Quella sera Davide voleva farsi raccontare quello che era successo, a qualunque costo. Avrebbe tirato fuori a forza la verità dalle labbra di Federico se necessario. L’altro era sempre stato una di quelle persone che analizzavano qualsiasi situazione con razionalità e obbiettività. Se c’era qualcosa da fare, non si lamentava mai, procedeva per la sua strada come un treno. Quel pomeriggio Davide aveva provato a mettersi in contatto con Livio, senza successo e questo lo inquietava e non poco. Quando qualcosa non andava, Livio era solito sparire anche per settimane. Una volta arrivato sotto il cancello di casa, citofonò per farsi aprire, lui odiava cercare ogni volta le chiavi nella valigetta.

- Certo che sei ossessionato da quel maledetto citofono – ogni volta Federico si divertiva a prenderlo in giro.

- Scusa eh, ma se l’hanno inventato ci sarà un motivo no –

- Certamente ma quando si tratta di casa tua e hai le chiavi, il motivo svanisce – rispose il coinquilino temporaneo.

- Quanto sei simpatico –

- Io sono proprio un comico nato -.

Entrando in casa, Davide aveva notato un borsone poggiato accanto alla scarpiera.

-E quello? –

- Oggi mentre non c’eri, sono passato da casa e ho preso qualche cambio – stranamente Federico sembrava in vena di parlare e lui avrebbe sfruttato quella vena.

- Quanto tempo pensi di fermarti? –

- Non lo so, sinceramente mi sembra tutto così assurdo –

- Per cosa avete discusso? – eccola la domanda spinosa.

- Domenica sera sono tornato a casa e la prima cosa che ho notato è stata la sua totale mancanza di parlantina –

- In che senso? – chiese Davide.

- Solitamente quando torno a casa, mi salta addosso e inizia a parlare a raffica senza fermarsi un secondo, ieri invece non l’ha fatto anzi l’ho trovato in cucina seduto su uno sgabello a fissare il muro – Federico sospirò. 

- Non è una cosa poi così strana per Livio –

- Lo so cosa intendi, ogni volta che qualcosa lo sconvolge, si rifugia nel suo mutismo. Negli anni ne ho visti tanti di momenti no dei quali conoscevo il motivo però – Davide costatò che l’amico era davvero sconvolto. 

- Appunto e non capisco il motivo per cui abbiate litigato –

- Intenzionato a capire il motivo di quel comportamento, ho iniziato a porgli qualche domanda–

- Per esempio? – domandò il biondo.

- Se avesse cenato, dato che non c’erano piatti sporchi nel lavandino. Non ricevendo risposta ho
iniziato a cucinare vista la fame che avevo e ho acceso la radio, per alleggerire la tensione - .

- Che cosa è successo dopo? -

- Senza dire una parola, si è alzato e l’ha spenta –

- Tu cosa hai fatto?- chiese incuriosito il ragazzo.

- Niente ho continuato a cucinare, non volevo discutere –

- C’è un ma vero? In questi casi c’è sempre un "ma" – il biondo era si preoccupato per l’amico, al tempo stesso, però stava morendo dalla curiosità.

- Dopo un paio di minuti, senza guardarmi in faccia se ne esce dicendomi: << Tu mi stai
tradendo >>. All’inizio ho pensato che stesse scherzando, quando l’ho guardato in faccia, ho capito che era serissimo come mai in vita sua -.

- E perché se ne sarebbe uscito con una frase del genere? Non capisco- in realtà Davide qualcosa del genere l’aveva sospettata, giacché qualche tempo prima aveva sentito una conversazione su
quest’argomento tra Elena e Livio. 

- Non lo so, è vero che ultimamente nessuno di noi era mai a casa, da questo però ad arrivare a dire una cosa come quella ce ne vuole –

- Non hai tutti i torti. Tu cosa hai fatto? -

- Gli ho detto che per quella sera ero troppo stanco per rimanere ad ascoltare le sue idiozie – Federico sospirò nuovamente.

Ritornare con la mente a quei momenti non era per niente facile, la ferita che Livio gli aveva inferto al cuore era ancora aperta e troppo fresca.

- Come ha agito Livio?- Davide aveva intuito che per l’amico quella lite costituiva qualcosa di più profondo, il moro si era sentito strappare la fiducia dall’unica persona di cui gli importava fino in fondo.

- Si è alzato in piedi, ha sbattuto la mano sul tavolo e mi ha urlato contro che aveva ragione e che ero uno stronzo –

- Qual è stata la tua risposta?-

- Che era un idiota e che non avevo nessuna intenzione di discutere per quella sera – Federico
iniziò a giocherellare con le mani volgendo lo sguardo da Davide al ripiano della cucina – Ha incominciato a chiedermi il perché del mio tradimento, cosa gli mancasse e se lo amavo ancora - .

- Vuoi una birra? – il ragazzo stava iniziando a sentirsi a disagio, per lui avere a che fare con le proprie emozioni era complicato e Davide avrebbe fatto di tutto per calmarlo.

- Si grazie. Io senza rispondergli me ne sono andato in camera, cercando di fargli capire che la discussione era davvero finita - .

- Non è stato così però, vero? –

- No, lui mi ha seguito e ha continuato a urlare cose senza senso, per non sentirlo sono tornato
in salone, lui mi ha seguito senza fermarsi fino a quando esasperato, ho tirato un pugno al muro che separa la cucina dal soggiorno – Davide era scioccato.

- Dopo? –

- Livio ha smesso di parlare e quando mi sono voltato per guardarlo stava piangendo, in quel momento ho pensato che la cosa migliore da fare fosse uscire da casa –

- Come hai fatto questa mattina a entrarci? –

- Chiavi di riserva -.

Federico era una di quelle persone che difficilmente perdevano il controllo alle volte, però Livio era davvero esasperante. Quando il ragazzo perdeva le staffe, era meglio stargli lontano e aspettare che sbollisse l’attacco di rabbia.

-Ora che sai com’è andata, possiamo mangiare? –

- Si certamente, anch’io sto morendo di fame – per quella sera quella chiacchierata era più che sufficiente.

Un paio d’ore più tardi, Federico era sdraiato sul letto nella stanza degli ospiti. Mentre stava raccontando a Davide la lite avuta con Livio, gli erano tornati in mente molti ricordi spiacevoli. A differenza del suo ormai probabile ex fidanzato, lui proveniva da una famiglia che sembrava stare insieme per puro caso. Per anni aveva litigato con il padre per la pallavolo, nonostante fosse un ottimo studente e con sua madre non c’era mai stato un vero e proprio rapporto. Oltre ai suoi genitori, faceva parte della famiglia anche suo fratello Marco. Loro due malgrado si passassero poco più di un anno e condividessero lo stesso DNA, erano in sostanza due estranei. Il ragazzo aveva dovuto imparare presto a cavarsela da solo. Federico ricordava ancora pur essendo passati nove anni da allora, il giorno in cui dopo una lunga ed estenuante discussione, aveva comunicato alla sua famiglia che dopo la maturità se ne sarebbe andato via di casa. Quel fatidico giorno gli parlò anche della sua relazione con Livio, col quale stava già da sei mesi. Li informò della sua intenzione di continuare con la pallavolo e di iscriversi alla facoltà di Economia. Dopo il suo trasferimento a Roma, cercò di tagliare ponti con la sua famiglia. Cosa non del tutto possibile poiché le loro famiglie erano amiche. I suoi genitori non fecero mai domande sulla loro relazione. Inoltre ricordava ancora con estrema amarezza quando sei anni prima, i medici lo obbligarono al fermo definitivo dall’attività agonistica. Di certo i suoi parenti avrebbero apprezzato quella notizia. Da loro non ricevette nessun segno vitale. Solo una volta suo fratello era venuto a trovarlo a casa e lui aveva costretto Livio a non aprirgli la porta. In quegli anni si era perso il matrimonio di Marco e di questo si dispiaceva. Ogni volta che tornava a Torino da quelli che ormai considerava i suoi suoceri a tutti gli effetti, stava sempre attento a non frequentare zone in cui avrebbe potuto incontrare qualcuno con cui condivideva l’albero genealogico. Alla fine dei conti tutta la sua famiglia era costituita da Livio e questo peggiorava la situazione. Rigirandosi per diversi minuti nel letto riuscì a trovare la posizione giusta per dormire.

 
Quella mattina Livio si alzò dal letto verso le dieci, per una volta non doveva alzarsi all’alba per andare agli allenamenti. Il giorno precedente, durante gli allenamenti si era infortunato. Mentre stavano disputando una partita d’allenamento, lui e un suo compagno si erano scontrati durante una ricezione. L’altro non si era fatto un granché, lui invece si era lussato il medio e l’anulare della mano sinistra, questo significava che doveva stare in fermo per un paio di settimane, per tornare in ottima forma. In seguito alla colazione per se e per Star, il loro meraviglioso Pomerania nero e crema, decise di farsi una doccia. Odiava sentirsi sporco e appiccicoso. Dopo essersi custodito, si mise a pulire casa. Quando aveva il cervello e il cuore scombussolati, adorava fare azioni casalinghe tra cui le pulizie. Mentre stava spolverando la libreria, notò su uno dei suoi scaffali una cornice d’argento contenente una foto che pensava d’aver perduto ormai da qualche tempo. Lasciando lo spolverino sul medesimo ripiano, prese tra le mani la cornice e si sedette sul divano lì di fianco. Guardandola attentamente quella foto raffigurava Livio a diciassette anni e suo fratello Emiliano a dodici. Quella era l’ultima foto che aveva scattato con suo fratello il giorno del suo compleanno. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora vedere il momento dell’impatto tra la macchina e suo fratello, quelle immagini rimanevano una tortura benché gli anni passati. Da fuori quella ferita sembrava chiusa ma dentro Livio sapeva benissimo che sanguinava ancora. Emiliano era morto per colpa di un pirata della strada. Il diciotto marzo di undici anni fa, loro due e Federico stavano tornando a casa da scuola, alla destinazione mancavano due incroci. Il semaforo era appena diventato verde per i pedoni, avevano percorso neanche due metri quando il veicolo investì il più piccolo dei tre, facendogli compiere un volo di dieci metri. Non l’aveva visto arrivare quel maledetto veicolo. Vedere Emiliano a terra immobile l’aveva paralizzato. Se fosse stato per lui suo fratello sarebbe morto disteso sull’asfalto. Fu Federico a chiamare i soccorsi e ad avvertire i suoi genitori. Purtroppo il ragazzino non era riuscito a sopravvivere, aveva abbandonato questa terra durante il trasporto all’ospedale. Quel giorno una parte di Livio era morta assieme al fratello. I due anni successivi furono un’agonia. Percorrere tutti i giorni quella strada, passare davanti ad una porta sempre chiusa e sperare di vederla aperta ancora una volta, il senso di colpa l’aveva logorato dall’interno. Nessun membro della sua famiglia l’aveva mai incolpato di qualcosa, però lui non riusciva a non incolparsi. Quella morte improvvisa aveva cambiato per sempre i rapporti di Livio con la sua famiglia. Dal suo trasferimento a Roma, le visite ai suoi genitori erano diminuite esponenzialmente, fino a cessare del tutto due anni prima. Li sentiva comunque attraverso messaggi e telefonate, di tornare a casa non ne voleva sapere. Riflettendoci bene anche in quel frangente Federico era stato il suo punto fermo, la stella polare, il faro in un mare in tempesta. Livio era sicuro che se si fossero lasciati non sarebbe stato in grado di navigare a vista. Al contrario sapeva che per Federico, lui costituiva tutta la sua famiglia. A mente un po’ più lucida, in qualche modo aveva capito il perché di quel suo comportamento. Sapeva che Federico non l’avrebbe mai tradito, il suo attacco di gelosia era stato scaturito dalle proprie insicurezze. Da ormai due anni a questa parte loro si erano allontanati. Ormai il suo fidanzato non veniva più ad assistere alle sue partite e quando poteva, non lo seguiva in trasferta. Dal canto suo Livio aveva smesso di accompagnarlo nei suoi viaggi di lavoro quando era possibile. Avevano smesso da qualche tempo di parlare veramente, smettendo di condividere la quotidianità di tutti i giorni. Se prima la notte Livio dormiva abbarbicato a Federico neanche fosse una piovra, negli ultimi mesi si addormentava tenendo stretto un cuscino rubato all’altro. Per cercare di alleviare la malinconia e la frustrazione aveva messo in un piccolo album le foto più importanti scattate con il ragazzo. La prima era stata scattata il loro primo giorno di scuola materna e quella seguente raffigurava i due da ragazzini il primo giorno di scuola elementare e così via. Livio se avesse potuto, avrebbe rivoluto indietro il ragazzo raffigurato nelle foto. Si sentiva un completo idiota. Federico aveva sempre avuto difficoltà a esternare i propri sentimenti, lui questo lo sapeva e l’aveva sempre preso bonariamente in giro per questo ma l’altra sera aveva capito davvero cosa provava l’altro ogni volta che doveva esternare le proprie emozioni, avrebbe voluto chiedergli scusa. L’ultima foto contenuta nell’album, quella che li ritraeva in campo con la divisa dell’ultima squadra in cui avevano giocato insieme, era stata scattata durante l’ultima partita giocata da Federico. Stanco di rimuginare a situazioni ancora troppo dolorose, decise di alzarsi e finire di rassettare la casa. La cornice la appoggiò abbassata sul tavolinetto, che si trovava accanto al bracciolo sinistro del sofà. Nel primo pomeriggio, mentre stava guardando svogliatamente la televisione, il suo telefono squillò. Data la sua grande ingenuità a volte disarmante, non lesse il nome della persona che lo stava chiamando.

- Pronto? –

- Ciao fratellino come stai? – meraviglioso era sua sorella Ottavia.

- Io benissimo tu? –

- Non ci si può lamentare. Che stai facendo? –

- Sto sistemando casa, tu? – quella conversazione aveva del surreale in qualche modo.

- Sono sul treno –

- Dove stai andando? – aveva un brutto presentimento Livio.

- A Roma –

- Ottavia cosa vuoi da me? – quando chiamava sua sorella lo faceva sempre con un secondo fine.

- Pensi davvero che voglia qualcosa? –

- Ti conosco fin troppo bene, non puoi ingannarmi –

- Giacché sono a Roma per lavoro per qualche giorno, pensavo che potremmo incontrarci – ed ecco il motivo di quella telefonata.

- Dipende se riesco a liberarmi – in realtà di tempo ne aveva ma non gli andava di incontrare sua sorella.

- E dai! –

- Ti faccio sapere promesso –

- Mi raccomando –

- Si tranquilla, ora devo andare che ho gli allenamenti –

- Allora ciao –

- Ciao - .

Con sua sorella Ottavia si passavano due anni ed era sempre stata quella con cui sentiva più affinità. Con Silvia, Dario e Giorgio, non aveva mai avuto tutto questo feeling. Certo gli voleva bene, però era sempre stato visto come il fratello più piccolo, perfino dopo la nascita di Emiliano. Si sarebbe dovuto inventare una scusa plausibile da rifilare a Ottavia.
 
§ Angolo risposte §

ficcio:
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e ti ringrazio per i complimenti. Si il mio intento sarebbe quello di farli chiarire ma chissà... non si rilasciano spoilers aahahha.

ARCOBALENO_ : Grazie per i complimenti e spero che la tua curiosità sti acontinuando a crescere. 

In rotta per il paradiso: Spero che il problema dell'andare a capo sia riuscita a risolverlo e che questo capitolo ti piaccia. Ti voglio bene besty. 


 

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Capitolo 5
*** 5. Lo specchio del peccato ***


§ Angolo autrice §
Scusate il ritardo assurdo ma le prove per lo spettacolo teatrale stanno assorbendo tutto il mio tempo. Spero che questo capitolo vi piaccia e come sempre fatemi sapere cosa ne pensate.

 




5. Lo specchio del peccato:


Quel pomeriggio Davide inviò un messaggio a Federico. Quando il moro lo lesse, ne rimase scioccato:
“Stasera usciamo!” diceva il messaggio e continuava “Non m’interessa se non ti va o se non sei dell’umore adatto, lo faremo in memoria dei vecchi tempi”.
Il ragazzo ricordava fin troppo bene i loro “vecchi tempi” e proprio per questo che non aveva nessuna intenzione di uscire. Purtroppo per lui non aveva avuto nessuna voce in capitolo, infatti, in quel momento si trovavano in macchina e stavano tornando all’appartamento del biondo. Erano le due passate di notte e loro avevano bevuto come due spugne. Federico una volta uscito dal ristorante nonostante la macchina fosse la sua non si era sentito in grado di guidare, lasciando il compito a Davide, il quale reggeva l’alcool molto più facilmente dell’altro. Salire le scale se possibile era stato ancora più complicato, lui non era più abituato a quelle grandi bevute e la testa iniziava dolergli. Federico aveva notato dall’uscita dal ristorante uno strano comportamento in Davide. Il presentimento del ragazzo era giusto, una volta richiusosi la porta alle spalle, l’amico gli saltò letteralmente addosso rubandogli un bacio a fior di labbra. Dopo svariati tentativi, il moro riuscì a liberarsi dell’altro.

- Davide che diamine stai facendo? -

- E dai, lo so che lo vuoi tanto quanto me! – Federico era rimasto senza parole.

- Di cosa stai parlando? –

- Dell’attrazione sessuale che c’è tra di noi – il biondo aveva annegato completamente il cervello nell’alcool.

- Non ho la più pallida idea di cosa stai parlando e poi spostati che sei pesante -.

Davide invece iniziò a muoversi in modo sensuale e Federico dovette ammettere che l’altro non
era per niente male. Alla fine quelle movenze seducenti e la sua sbornia vinsero. La mattina dopo Federico si svegliò con una fortissima emicrania, dovuta probabilmente alla sbornia della sera prima. Osservando la sveglia notò che erano le nove e mezzo di mattina. Della notte precedente riusciva a ricordare poco e niente, l’ultimo ricordo nitido che possedeva era legato al dialogo delirante avuto con Davide, il bacio che ne era conseguito e il tragitto verso la camera principale mentre si spogliavano. In quell’istante realizzò cosa era successo inseguito. Era successo nuovamente, non poteva crederci. La prima volta era successa nove anni addietro, era il periodo in cui avrebbero avuto la maturità. Una sera in cui erano particolarmente depressi a causa della consapevolezza di non poter stare né con Elena né con Livio, erano usciti a bere. Una volta rientrati a casa di Davide completamente sbronzi finirono a letto insieme. Era sconcertato da ciò che era accaduto. Diverse ore più tardi da quel risveglio traumatico, Federico aveva ricevuto un messaggio dal proprietario di casa che si era dato alla macchia quella mattina, nel quale Davide gli chiedeva scusa e lo rassicurava che una volta tornato a casa ne avrebbero parlato. Frastornato da ciò da quanto successo la notte precedente, non rispose. Sapeva che quando l’attrazione sessuale aumentava fino a raggiungere un livello elevato e pericoloso era difficile trattenersi, in qualche modo però lui si sentiva responsabile e un verme. Responsabile in quanto alla fine aveva fatto ciò di cui Livio l’aveva accusato e inoltre aveva mancato di rispetto sia a Elena sia al suo fidanzato. Deciso a non pensare e vista l’ora, si mise a lavorare. Terminate le scuole superiori, aveva scelto senza alcun ripensamento la facoltà di Economia, provenendo dal liceo scientifico ed essendo comunque più brillante nelle materie scientifiche che in quelle letterarie. Mentre stava controllando alcune fatture, sentì una chiave girare nella toppa della serratura. Il ragazzo era sicuro che non potesse essere Davide, vista la sua grande passione per i citofoni. L’unica persona che possedeva le chiavi di casa oltre a loro due era Elena. Entrando nell’abitazione la ragazza notò le serrande alzate e un piacevole odore di caffè proveniente dalla cucina. Inizialmente pensò che il suo fidanzato fosse lì presente ma si dovette ricredere quando vide una zazzera mora poggiata sul tavolo del soggiorno.

- Che sorpresa non pensavo fossi in casa mia –

- Anche tu mi hai fatto una sorpresa, Davide mi aveva detto che saresti tornata solo la prossima settimana -.

- Non te l’ha detto vero? – Elena poggiò la tracolla celeste sul tavolo.

- Che cosa avrebbe dovuto dirmi? –

- Ci siamo presi una pausa di riflessione – Federico era sicuro di aver appena udito una gran cavolata.

- Non è possibile, voi siete così affiatati –.

- Nessuna coppia è davvero perfetta! – impercettibilmente Elena si carezzò la pancia con fare materno.

In quel momento Federico comprese la causa del periodo di riflessione.

- Non ha preso bene la notizia eh? –

- Di cosa stai parlando? –

- Sei in dolce attesa giusto? – la ragazza sospirò e si sedette accanto all’amico.

- Come l’hai capito? –

- Qualche secondo fai ti sei massaggiata la pancia come fa solo chi sta per diventare madre, poi
l’unica cosa che terrorizza Davide è la possibilità di diventare padre –

- L’ho scoperto due settimane fa – Elena poggiò la testa sul tavolo.

- Non l’ha presa bene, vero? –

- Appena gliel’ho detto è trasalito – quel giorno dopo aver ritirato le analisi che confermavano il suo stato di gravidanza, la ragazza aveva avuto per tutto il tragitto dallo studio medico
all’abitazione l’ansia per quello che sarebbe successo di lì a poco.

-Perché non mi racconti cosa è successo? – era palpabile la voglia dell’amica di volersi sfogare.

- D’accordo.  All’incirca quasi tre settimane fa ho iniziato ad avvertire delle leggere nausee e visto che il ciclo era non mi era ancora arrivato sono andata dal medico, che mi ha prescritto delle semplici analisi di routine -.

- Hai parlato di questo con Davide? – probabilmente la risposta a quella domanda sarebbe stata
negativa.

- Inizialmente no, visto il suo terrore nel diventare padre, non volevo creare falsi allarmi –

- Che cosa è successo poi? – chiese Federico.

- Ho ritirato il risultato delle analisi e le ho fatte vedere al dottore, lui ha prescritto un’ecografia per confermare il mio stato di gravidanza –

- La quale ha dato esito positivo, scommetto –.

- Esatto. Quando ho saputo il risultato, ero al settimo cielo – .

- Subito dopo però ti è venuta in mente la probabile reazione di Davide –

- Si – rispose la futura mamma.

- Sei a conoscenza del perché lui non voglia diventare padre? –

- Qualcosa l’ho intuito ma non so un granché -.

- Davide purtroppo ha un brutto trascorso con il padre, l’uomo disgraziatamente ha sempre avuto problemi con l’alcool e quando alzava, un po’ troppo il gomito diventava violento finendo spesso per picchiare madre e figlio. Spesso Livio ed io ci ritrovavamo Davide sotto casa ricoperto di lividi e i vestiti rappresi di sangue – per tutto il racconto, il moro non aveva guardato in volto Elena per paura di leggere negli occhi verdi qualcosa di troppo profondo e intimo per lui.

- Perché non me ne sono mai accorta? Perché non me ne ha mai parlato? –

- Riusciva sempre a nascondere la maggior parte dei lividi e i restanti lui li giustificava dicendo di aver fatto a pugni, se ti può interessare neanche con me e Livio ne parlava mai e noi cercavamo sempre di non fargli domande troppo dolorose. Posso garantirti che Davide non ti parla mai dei propri problemi, preferisce non parlarne sperando così di non renderli reali se non ne parla - .

- Io sono la sua compagna, me ne avrebbe dovuto parlare –

- Ti capisco ma molto probabilmente non è ancora pronto a farlo –

- Suo padre è ancora vivo? –

- Da quel che so, è morto un paio di anni fa a causa della cirrosi apatica - .

Elena istintivamente iniziò ad accarezzarsi la pancia come a voler proteggere la creatura nel suo grembo.

- Che cosa ti ha detto riguardo alla gravidanza? –

- Mi ha detto che la scelta se tenerlo o no spetta principalmente a me e che lui non interferirà in nessun modo con la mia decisione e mi ha anche detto che lui non si sente in grado di fare il padre – la ragazza sospirò.

- Secondo me è felice della notizia ma spaventato a morte all’idea che possa diventare come il mostro del genitore –

- Come faccio a combattere con questa problematica? –

- Cerca di fargli capire che tu lo ami così com’è, con tutti i suoi pregi e difetti, che non per forza diventerà come suo padre e che imparerete insieme come essere genitori - .

- Dici che funzionerà? –

- Spero di sì, fatti abbracciare e congratulazioni, non vedo l’ora di diventare zio-

- Grazie - .

Dopo l’abbraccio, il discorso sembrava finito ed Elena ne approfittò per tirare in ballo la questione “Livio”.

- Livio mi ha raccontato ciò che è successo e sono anche a conoscenza di cosa è successo la scorsa notte –

- Davvero? – Federico si sentì un verme in quel momento.

- Sì -

- Io non riesco ancora a capire perché se ne sia uscito con la storia del tradimento –

- Da quando hai smesso di giocare non sei più andato a vedere una sua partita, un suo
allenamento e sono sicura che abbiate iniziato ad allontanarvi. Comunque prima che tu possa provare a scusarti per la scorsa notte fammi parlare -.

- Va bene –

- Davide non prova nient’altro che attrazione sessuale per te e credo che dopo ieri notte non ci proverà più. Tornando a Livio ti sei mai chiesto, dove siano finite la maglietta della tua divisa e le tue ginocchiere? -.

- Sinceramente no –

- Livio se le porta sempre dietro, le nasconde dentro il borsone e a volte indossa le ginocchiere -.

Federico non aveva mai pensato a quella possibilità, non aveva mai immaginato che il suo non parlare mai dello stop avesse potuto allontanarli.

- Livio ha il terrore di perdere le persone a lui più care e sai anche da cosa deriva, spesso purtroppo non riesce a parlare dei suoi sentimenti, troppo paralizzato dall’ansia di sbagliare il modo –.

- Lo so - .

Mentre i due stavano parlando, il telefono del ragazzo trillò.

-Chi è? – Federico digitò la password del telefono e controllò la barra delle notifiche, il roscio gli aveva inviato un messaggio.

-E’ Livio, mi ha scritto che torna a Torino per qualche giorno e se voglio, posso rientrare a casa –

- Che cosa intendi fare? –

- Devo ritornarci assolutamente, così almeno potrò capire meglio quello che mi hai detto e poi tu e Davide avete bisogno di un po’ d’intimità -.

- Hai ragione probabilmente –

- D’accordo, allora inizio a raccattare le mie cose - .

Voleva sistemare davvero le cose con il suo compagno, teneva troppo a lui e alla loro storia per farla naufragare così. 

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Capitolo 6
*** 6. Ritornare a casa ***


§ Angolo autrice §
Salve a tutti, eccomi di nuovo qui.Scrivere questo capitolo è stato davvero complicato, non tanto per il contenuto quanto per il fatto che questo sia il sesto capitolo. Come al solito perdonate il mio abnorme ritatdo nell'aggiornare. Spero che il capitolo vi piaccia e al prossimo.






6. Ritornare a casa:



Dopo la telefonata di Ottavia, ricevuta il giorno precedente, Livio non voleva alzarsi dal letto quella mattina. Sentire la sua famiglia in qualche modo lo rendeva felice, vederla invece lo terrorizzava. Al telefono poteva tenere i suoi famigliari a distanza, poteva non fargli leggere nei propri occhi per non farvi scorgere quanto la scomparsa di Emiliano l’avesse sconvolto e terrorizzato. Di persona non riusciva a farlo, per questo aveva smesso di andare a trovarli. La visita di una delle sue sorelle stava creando in lui un enorme stato d’ansia e di paura che da solo non sarebbe stato in grado di gestire. Alcune persone pensavano che lui fosse completamente dipendente da Federico ma non era così. Livio dipendeva dal suo ex-capitano solo quando in ballo c’era la propria famiglia, per il resto riusciva a gestire le emozioni più facilmente rispetto all’altro. Quando l’orologio appeso alla parete di fronte al letto segnò le dieci, il ragazzo decise di alzarsi. Indossò un paio di pantaloncini e una t-shirt neri, togliendosi prima il pigiama. Odiava rimanere tutto il giorno a casa indossando il pigiama. Dato che per due giorni di fila aveva saltato il pasto più importante della giornata, la colazione, si decise a farla. Prima di lasciare la stanza da letto scollegò il telefono dal filo del suo caricatore. Fece colazione con pane, marmellata di fragole, burro e un bicchiere di spremuta d’arancia. Appena finito di mangiare ricevette un messaggio proprio da sua sorella.

“Buongiorno Liv, spero di non averti svegliato. Oggi ci vediamo allora?”. 

Più cercava di non pensare a quella situazione più Ottavia lo trascinava dentro. La cosa davvero disarmante era poi il modo in cui l’aveva chiamato, nessuno usava più “Liv” dai tempi delle medie. Ignorò volutamente il messaggio di sua sorella e si andò a fare un bagno caldo per staccare la spina dalla realtà per una mezz’ora. Dopo pranzo, decise che era arrivato il momento di fare una passeggiata, visto il cielo sereno che s’intravedeva dalla finestra del soggiorno. Indossò dei pantaloni della tuta neri con una semplice maglietta bianca, prese il telefono, qualche spiccio e le chiavi di casa. Appena uscito da casa, un leggero vento lo investì scompigliandogli i folti capelli ricci. Decise di non seguire un percorso preciso ma semplicemente si abbandonò all'istinto. Camminò per un bel po' arrivando fino al parco del quartiere che distava quasi due isolati da casa sua. Data la sua stanchezza e il sole che aveva iniziato a picchiare forte, entrò nel parco e si sedette su una panchina all'ombra di una quercia. Quel periodo di fermo lo stava facendo impazzire. Proprio in un momento in cui avrebbe potuto tenere la mente occupata per evitare di pensare ai problemi che lo affliggevano, lui si faceva male. La fortuna lo stava abbandonando se lo sentiva. Mentre fissava le fronde dell'albero muoversi a causa del vento udì il pianto di un bambino. Senza alzarsi girò la testa per capire se sarebbe dovuto intervenire. Il ragazzino avrà avuto otto anni e si lamentava perché candendo dalla bici, si era sbucciato il ginocchio sinistro. Si stava per alzare quando scorse una figura alta, snella e dai lunghi capelli rossi fluenti. Avrebbe riconosciuto quella chioma ovunque, alla fine aveva rivisto Ottavia. Sua sorella si avvicinò al bambino gli disse che andava tutto bene, raccolse la bicicletta e la poggiò sul suo cavalletto. Subito dopo s’inginocchiò accanto al ragazzino e lo aiutò a rialzarsi e aspettò che lo raggiungesse il papà del piccolo. Quel piccolo incidente gli aveva riportato alla mente un ricordo di quando era poco più che un bambino anche lui. Era estate e Livio e i suoi fratelli stavano andando in bici al parco dietro la casa dove abitavano da piccoli a Torino. Livio aveva ancora le rotelle e mentre attraversavano sulle strisce una di esse, s’incastrò in una buca. Nel frattempo una Fiat si stava avvicinando Dario accortosi che, all'appello mancava proprio il piccoletto fece in tempo a tornare a prenderlo e a portarlo via. La bici fu investita. Una volta dall'altra parte della strada, Livio corse ad abbracciare Silvia giacché spaventato a morte. Col tempo aveva cercato di dimenticare quel brutto incidente e nel farlo si era scordato il terrore visto negli occhi dei suoi fratelli poco prima che Dario lo salvasse. Il suono del campanello della bici nera lo richiamò alla realtà, riuscendo a realizzare quanto i suoi fratelli e tutta la sua famiglia gli mancasse. Voleva rivedere i suoi nipoti, riabbracciare i suoi genitori e trascorrere del tempo con Giorgio, Silvia, Ottavia e Dario nuovamente. Un’idea gli balenò in testa. Sapeva che doveva risolvere la questione in sospeso con Federico ma la voglia di tornare a casa era troppo forte. Corse verso sua sorella e la fermò all'uscita del parco. 

- Ottavia - 

- Ciao Livio, è tanto che non ci vediamo - la ragazza era sinceramente sorpresa di vedere suo fratello, dalla telefonata aveva sospetto che non l'avrebbe visto e invece eccolo lì. 

- Hai finito il lavoro che dovevi fare? -

- Sì, si è trattato di un servizio fotografico che alla fine è durato solo mezza giornata -.

- Perfetto possiamo partire -

- E dove dovremmo andare? – 

- A casa dove altro dovremmo andare noi, secondo te? - .

- Dobbiamo fare i biglietti del treno e poi come mai vuoi tornare a Torino? -

- Ci deve essere per forza un motivo? -.

- Se fosse una qualsiasi altra persona sì, ma sei tu quindi ci deve essere per forza un motivo! - 

- Voglio semplicemente tornare a casa d'accordo? -

- Va bene e già sai come fare? - la testardaggine di Livio non era cambiata per niente e Ottavia di
questo era felice.

- Useremo la mia macchina e ovviamente la guiderai tu - il ragazzo dai capelli ricci s’indicò la mano fasciata. 

- Tu cosa hai combinato? -

- Ho avuto un piccolo incidente mentre mi allenavo niente di grave -.

- Sicuro che posso guidarla io la macchina? - 

- Perché mai me lo stai chiedendo? Se te l'ho proposto, significa che per me va bene - la ragazza
sospirò. 

- Conosco l'ossessione che hai per le tue cose, nessuno le deve toccare -

- Avevo quindici anni! Ora sono cresciuto e poi pure volendo, non potrei con la mano in queste
condizioni - . 

- D'accordo ma poi non lamentarti con me - 

- Si tranquilla - Livio le sorrise per la prima volta dopo anni. 

- Allora cosa facciamo? -

- Passiamo a casa mia a prendere le chiavi dell'auto e poi andiamo a prendere le tue valigie - 

- Allora indicami la strada - . 
 
Impiegarono una ventina di minuti ad arrivare a casa del ragazzo che preparò al volo una borsa contenente le cose essenziali. Una volta recuperate anche le valigie di Ottavia, si misero in viaggio. Poco prima di lasciare Roma il ragazzo inviò un messaggio a Federico dicendogli che se voleva poteva tornare a casa giacché lui sarebbe andato a Torino. Il viaggio fu abbastanza lungo e dopo aver superato Firenze, il proprietario della macchina compose il numero di casa dei genitori e una volta che sua madre ebbe risposto, attivò la viva voce facendo parlare la sorella. 

- Ciao mamma io sto tornando a Torino -

- Ciao Ottavia, tutto bene? -.

- Si tranquilla. Ti ho chiamato per chiederti un favore - 

- Dimmi tutto tesoro -

- Puoi radunare tutta la famiglia per favore ho una sorpresa da farvi vedere-.

- Ottavia quando arriverai qua sarà a tarda sera-

- Lo so mamma ma casa è molto grande e si può ospitare tutti -

-D'accordo, io proverò a fare qualcosa ma tu cerca di arrivare il più presto possibile - detto questo la donna più grande attaccò.

Dopo la conversazione avuta al telefono in macchina, non volò nemmeno una mosca. Ottavia non riusciva a capire il perché suo fratello volesse così disperatamente tornare nella loro città natale da farlo partire in fretta e furia. Dal canto suo Livio non riusciva a spiegarlo neanche a lui stesso. Rivedere quella scena aveva scatenato in lui L'impellente desiderio di riabbracciare la sua famiglia e poi la discussione avuta giorni addietro con il suo fidanzato, gli aveva fatto realizzare quanto fosse importante chiarire subito le incomprensioni. Non si poteva vivere una vita intera con gli scheletri nell'armadio. Quando arrivarono finalmente a destinazione, erano scoccate le dieci da un paio di minuti. Livio aveva dormito per tutto il tempo è quando Ottavia lo svegliò, si sentiva abbastanza rintontito. Stavano percorrendo il viale di casa quando venne un'idea geniale al più piccolo.

- Citofona tu ed io mi nascondo dietro il cespuglio accanto alla porta -.

- Che cosa vorresti fare tu? -

- Tu fai quello che ti ho detto e basta -

- D'accordo -.

Ottavia citofonò e una volte che la signora Rossella apparve sulla soglia di casa la salutò abbracciandola. Un attimo prima che sua madre chiudesse la porta di casa Livio la bloccò con un piede.

- Ahi mamma! Mi fai male! Smettila di schiacciarmi il piede - Rossella aprì la porta e si trovò
davanti al penultimo dei suoi figli.

- Livio? -

- Si sono io mamma -

- Livio? -.

Il ragazzo capito lo sgomento della donna le saltò letteralmente addosso e lo abbracciò. La signora realizzata la situazione ricambiò l'abbraccio.

- Entra tesoro - 

- Ci sono tutti? -

- Manca tuo padre che all'ospedale aveva il turno di notte - . 

Inizialmente ci rimase male poi, però, riflettendoci, arrivò alla conclusione che forse per il momento era meglio così. Mentre parlava con sua madre, udì le voci dei suoi fratelli che provenivano dal soggiorno. Smise di ascoltare quelle che gli stava dicendo Rossella e si sbrigò a raggiungere la stanza principale. 

- Giorgio! Dario! - i suoi due fratelli più grandi erano seduti sul divano e stavano dibattendo tra
Pallacanestro e Pallanuoto fosse migliore.

Giorgio aveva i capelli tagliati alla militare e a differenza di tutti in famiglia li aveva castano chiaro, era l'unico inoltre a essere alto quanto il padre. Dario invece se possibile aveva i capelli di un color pel di carota tendenti all' arancione acceso. 

- Livio? -

- Impossibile Dario, lui non torna a Torino da anni -

- Magari Giorgio se giri la testa verso la porta -seguendo il consiglio del fratello più grande si
voltò e rimase scioccato da quello che vide.

- Sei davvero tu? –

- A quanto pare si Giorgio - il fratello gli corse incontro al ragazzo sulla porta e lo abbracciò. 

Dario si alzò dal divano e lo raggiunse.

- Hey mi sbaglio o ti sei alzato? -

- Probabilmente sei tu che ti sei abbassato -.

Il primogenito non raccolse la provocazione del fratello e lo abbracciò a sua volta. 

- Dov'è Silvia? -

- In camera sua -

- Grazie -.

Salutati i fratelli, salì le scale che si trovavano nell'atrio della casa e raggiunse la camera della sorella.

- Sempre a lavorare stai - 

- Livio - la ragazza si alzò dalla scrivania, dove era seduta e corse incontro a suo fratello. 

Silvia era una ragazza magra che assomigliava molto a Ottavia, i capelli portati a caschetto e gli occhi azzurri erano le sole differenze che le distinguevano. 

- Che ci fai qui? -

- Mi mancavate così sono venuto a trovarvi -.

- Ragazzi tutti a tavola è pronta la cena -.

Quando i due scesero le scale per andare in cucina, Livio trovò seduti al tavolo tutta la sua famiglia, i suoi cognati e le cognate con tutta la banda di nipoti che non vedeva ormai da un'eternità. La sera trascorse serena e tranquilla come non succedeva da tantissimo tempo. Della sua famiglia gli era mancato tutto, i pasti cucinati da sua madre, le prese in giro di Dario, la filosofia spicciola di Giorgio, i dispetti di Ottavia e la voce melodiosa di Silvia. Persino i suoi cognati gli erano mancati. Subito dopo cena salì in camera sua. La casa era una villetta di tre piani situata poco fuori Torino. Al piano terra c'era la cucina open space, il salone che si affacciava sul giardino e la camera degli ospiti con il relativo bagno. Al piano superiore si trovavano tutte le stanze da letto e tre bagni, uno per i ragazzi, uno per le ragazze e quello dei suoi genitori in camera loro. All'ultimo piano infine si trovava una stanza adibita a biblioteca contenente un'infinità di libri, la stanza dove sua madre dipingeva e lo sgabuzzino. Una volta in camera andò alla ricerca di una maglietta da utilizzare a mo’ di pigiama. Tornare era stata una scelta inaspettata, tutti erano rimasti esattamente come li aveva lasciati, non erano cambiati di una virgola. Anche la sua stanza non aveva subito modifiche. La porta si trovava di fronte alla finestra, a destra di essa c'era il letto con l'armadio e nella parte opposta c'era la scrivania con sopra una piccola libreria contenente i vecchi testi scolastici e i suoi libri preferiti. Sotto la finestra era stata posta una piccola cassapanca e le pareti della stanza erano dipinte di blu cobalto, tutto il resto dell'arredamento ruotava intorno a quella tonalità di blu. Accanto al tavolo vi era un antico cassettone di sei cassetti, dove sopra c’era poggiato il televisore e immediatamente sopra c'era una bacheca che conteneva tutti i premi e i trofei vinti. La stanza era tappezzata di foto e quadri. Per niente stanco Livio iniziò a osservarle una per una. La prima raffigurava lui, Elena e Federico il primo giorno di scuola e a seguire si vedevano diverse foto che narravano frammenti della prima parte della sua vita. L'ultima foto attaccata alla parete immortalava la sua squadra di pallavolo del liceo che alzava il trofeo dell'ultimo campionato cui avevano partecipato al cielo. Tutte quelle immagini gli avevano ricordato che Federico aveva sempre fatto parte della sua vita fina da neonati. Doveva risolvere la questione lasciata in sospeso con il suo migliore amico. Negli anni ne avevano superate tante insieme e il loro rapporto si era evoluto passo dopo passo. Inizialmente le loro famiglie erano state amiche, poi il testimone era passato a loro il primo giorno di scuola elementare. Durante le elementari erano diventati poi compagni di squadra, alle medie divennero ufficialmente migliori amici fino a quando durante l'ultimo anno di liceo divennero una coppia. Con quella litigata aveva capito due cose fondamentali. La prima era che lui non era pronto a chiudere la loro storia e la seconda che non aveva nessuna voglia di farlo. L'orologio appeso a destra della porta rintoccò la mezzanotte e Livio decise che era meglio andare a dormire, tutto quel riflettere l'aveva notevolmente stancato. 
 

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Capitolo 7
*** 7. Le cose che non mi hai detto ***



§ Angolo Autrice §
Sono imperdonabile, ormai ho perso il conto del tempo che è passato dall'ultimo aggiornamento. Mi dispiace ma le ultime settimane sono state piene di impegni. Bando alle ciancie ora siamo qui con il nuovo capitolo. Spero vi piaccia e vi assicuro che non riesco ancora a credere che io sia riuscita a scrivere già il settimo capitolo. Voglio inoltre ringraziare tutte le persone che hanno recensito la storia, chi la messa tra le preferite/seguite/ricordate e soprattutto a tutti i lettori silenziosi che l'hanno letta o la leggeranno. 




7. Le cose che non mi hai detto:


Appena aveva ricevuto il messaggio di Livio, Federico spinto dalle rivelazioni di Elena, decise di tornare a casa e controllare di persona. Inizialmente aveva etichettato la sfuriata di Livio come un semplice attacco di gelosia, pensandoci meglio ciò che era successo, poteva nascondere qualcosa di più profondo che a lui era sfuggito. Il loro rapporto negli anni era cambiato e per questo alcuni periodi non erano stati per niente facili. Insieme però erano sempre riusciti ad aggiustare il tiro in modo tale che la loro relazione non uscisse dai suoi stessi binari per deragliare. Quel pomeriggio il cielo era plumbeo e minacciava di piovere. L’etere quel giorno sembrava voler mettere in discussione l’idea che aveva avuto qualche minuto prima. Non che gli mancasse il coraggio necessario anzi, se Livio però non gliene aveva ancora parlato, aveva avuto i suoi buoni motivi. D’altro canto però Federico conosceva la testardaggine dell’altro e sapeva che non amava pesare sulle spalle degli altri, per nessun problema. Una volta entrato in casa posò il borsone con le sue cose accanto al divano e fece un respiro profondo. Tornare dopo diversi giorni faceva uno strano effetto. Dopo essersi calmato un momento, tirò su le serrande e aprì le finestre per far cambiare l’aria ormai stantia. Mentre si stava occupando della cucina, sentì abbaiare dal balcone. Riconobbe all’istante quel verso, era Star. Dopo averlo fatto rientrare nell’appartamento, il Pomerania gli girò intorno continuando ad abbaiare.

-Star è inutile che tu te la prenda con me! Non sono stato io a chiuderti fuori - .

Il cane non curante del padrone continuò a protestare.

-Ho capito, d’accordo. Seguimi in cucina che ti do la pappa -.

Alla fine la soluzione per far calmare Star era di dargli da mangiare.

-Bene ora che ti sei calmato, posso fare quello per cui sono venuto -.

Si fermò un secondo vicino al tavolo del soggiorno per capire dove Livio avesse messo il proprio borsone. Se lo conosceva bene, avrebbe sicuramente trovato la borsa in camera loro. La sua intuizione si rivelò giusta. Trovò quello che stava cercando accanto all’anta destra dell’armadio. Prese la borsa e la poggiò sul letto, sedendosi dopo a gambe incrociate vicino a essa. Mentre frugava dentro la sacca, la prima cosa che tirò fuori furono le sue ginocchiere. Le avrebbe riconosciute tra mille. Innanzitutto perché erano nere e Livio aveva sempre giocato con quelle bianche, inoltre subito dopo l’imbottitura che serve a proteggere le ginocchia, esse erano consunte e logore, segno indistinguibile dei suoi anni passati a giocare come banda*. Col tempo poi era diventato opposto*, a differenza dell’altro invece era sempre stato un palleggiatore*. Infatti, quelle di Livio davano, l’impressione di essere nuove. Quando i medici gli avevano imposto il ritiro dall’attività sportiva, aveva impiegato un po’ di tempo per realizzare la fine della sua carriera sportiva e che avrebbe dovuto mettere via la sua borsa con tutti i ricordi. Quando l’aveva fatto le sue ginocchiere, erano sparite. Ora sapeva chi era stato. In fin dei conti capiva il perché Livio le aveva tenute per sé. Federico era sempre stato il capitano di tutte le squadre in cui loro avevano giocato e quando si era dovuto ritirare, Livio molto probabilmente si era sentito spaesato, per questo le aveva portate con sé. Ora capiva anche il perché l’altro si era rifiutato di diventare il capitano dell’ultima squadra che lo aveva ingaggiato. Appoggiò le ginocchiere sulle sue gambe e proseguì nella ricerca. Continuando a frugare nella sua borsa trovò la propria maglia. Man mano che trovava riscontro con le parole di Elena, capiva ciò che stava passando nella testa di Livio, ammetteva inoltre che in parte era colpa sua. Negli ultimi sei anni avevano iniziato ad allontanarsi piano piano. Inizialmente, dopo il suo ritiro, andare a vedere le partite dell’altro era stato l’unico modo per rimanere ancorato a quel mondo e porre un freno al suo desiderio sfrenato di scendere in ancora in campo. Alla fine tutto ciò era diventato lacerante. Federico doveva ammettere che non aveva mai superato del tutto quel trauma, senza mai parlarne davvero neanche con Livio. Quanto aveva cercato quella maglia. Mentre osservava preoccupato un piccolo buco che si era formato sul fianco destro dell’indumento, il suo sguardo fu catturato da un piccolo album dalla copertina nera. Lo tirò fuori e con sua grande sorpresa notò che conteneva le foto dei loro momenti più importanti. Il loro primo giorno di scuola elementare, la loro primissima partita insieme, loro poco prima di sostenere l’orale per l’esame di terza media e così via. Mentre lo sfogliava, mille ricordi tornavano a galla affollando la sua mente. In quell’album erano contenute una miriade di foto, la partita che li aveva resi delle giovani promesse, la foto scattata da Marco nel periodo in cui preparavano le tesine per la maturità, una foto scattata poco prima di sostenere il test d’ingresso all’università, l’ultima partita. Ognuna di quelle fotografie riportava una dicitura. L’immagine che gli aveva fatto più male era quella scattata durante l’ultimo set della sua carriera. Finalmente aveva compreso i sentimenti di Livio. Tutto era scaturito dal muro che lui stesso aveva creato intorno al suo addio alla Pallavolo. Il suo fidanzato si era sempre sentito colpevole della loro sconfitta durante l’ultima partita, da quel momento, infatti, aveva sempre cercato di non perdere nessuna partita. Riflettendoci, Federico era arrivato alla conclusione che alla loro relazione era mancata la comunicazione. Lui d’altro canto non era bravo con i sentimenti e Livio possedeva la comunicatività di un riccio. Tra loro era sempre bastata un’occhiata per capirsi al volo, complice la loro affinità in campo. Da un po’ di tempo a questa parte Federico si svegliava senza trovarsi Livio abbarbicato a lui, non lo sfiorava neanche per sbaglio, questo per il roscio era davvero strano. Voleva riallacciare le loro vite, anche se questo avrebbe significato abbattere tutte le difese dell’altro. Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di dividerli. Quelle foto gli avevano tirato fuori una malinconia e una voglia irrefrenabile di rivedere Livio. Prima di alzarsi dal letto e rimettere tutto dentro il borsone controllò se c’era qualcosa d’interessante, non trovando nulla rimise tutto a posto. Mentre curiosava, aveva preso la decisione di partire e di tornare a casa. Mise dentro il suo trolley da viaggio giusto lo stretto necessario, prese le chiavi della macchina e nel momento in cui stava per chiudere la porta di casa Star iniziò ad abbaiare.

-D’accordo ti porto con me, cammina esci da casa -.

Il tragitto sarebbe stato lungo e sfortunatamente non se li ricordava benissimo, questo, però non l’avrebbe di certo fermato.
 
 



1*
Opposto: E’ uno dei ruoli della pallavolo. È il terminale offensivo principale di una squadra attaccando sia in situazione di prima linea, sia in seconda linea (quando il palleggiatore si trova in prima linea). Spesso il ruolo di opposto è ricoperto da giocatori mancini che prediligono l'attacco dalla parte destra del campo.

2*
Banda: E’ un ruolo della pallavolo (chiamato anche martello). È probabilmente il ruolo più faticoso di tutti, perché richiede al giocatore sia di ricevere (anche quando è in prima linea) che d'attaccare. Per questo è richiesta una certa completezza tecnica nell'esecuzione dei fondamentali.

3*
Palleggiatore: E’ uno dei ruoli della pallavolo. La sua posizione iniziale nella formazione ne determina la cosiddetta "fase" (numerata da 1 a 6), da cui deriva la posizione degli altri atleti e i possibili schemi di gioco da poter attuare. A lui sono indirizzati tutti i palloni (provenienti dalla ricezione o dalla difesa) che dovranno essere smistati agli schiacciatori. Per questo motivo si parla del palleggiatore come del "regista" d'attacco della squadra. Deve essere un leader, non soltanto in campo, ma anche fuori. Deve possedere un patrimonio di capacità coordinative che deve essere il più ampio possibile, sulla cui base si può inserire un elevato livello della tecnica specifica del palleggio. È sicuramente il giocatore che coopera maggiormente con l'allenatore e ne condivide programmi e strategie.

4*
Libero: E’ uno dei ruoli della pallavolo. È, in ordine cronologico, l'ultimo ruolo introdotto dalla FIVB nel 1997 (in Italia la FIPAV l'ha introdotto l'anno successivo). Il termine è invariabile in tutte le altre lingue. Essendo sottoposto a regole particolari, che lo distinguono dagli altri giocatori, indossa una maglia di colore diverso da quelle dei suoi compagni di squadra, in modo da essere riconoscibile. Il libero ha la caratteristica di giocare solo in seconda linea (zone 1, 6 e 5) al posto di uno dei giocatori di seconda linea ed è quindi specializzato nei fondamentali di ricezione e difesa: le limitazioni sul suo gioco di fatto lo escludono dalla possibilità di svolgere tutti gli altri fondamentali.

5*
Centrale: E’ un ruolo della pallavolo, chiamato così perché il giocatore attacca dalla posizione centrale zona 3 della prima linea ed in seconda linea viene sempre sostituito dal libero una volta battuta la palla.
 
P.s. Tutte le informazioni sono state prese da Wikipedia. Lo so che probabilmente molti di voi conoscono le differenze tra questi ruoli, per sicurezza però ho preferito lasciarvi qualche informazione. 

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Capitolo 8
*** 8. Nei tuoi occhi ***


§ Angolo autrice §
Scusate per l'immenso ritardo nell'aggiornare, purtroppo questi ultimi capitoli sono un po' complessi da scrivere e spero di non urtare la sensibiità di nessuno. Spero che vi piaccia e al prossimo.




8. Nei tuoi occhi:



Dopo aver salutato Federico, la ragazza in un primo momento aveva deciso di andare a prendere Davide fuori dall’ufficio, poi però ripensandoci bene preferì rimanere a casa. Davide era una persona molto timida e riservata, soprattutto quando si trattava dell’argomento di cui avrebbero dovuto discutere quel giorno. Essendo stanca dal viaggio si fece una breve doccia e indossò una tuta morbida. Improvvisamente, mentre stava guardando la tv, sentì le chiavi girare nella toppa della serratura, sicuramente era il suo fidanzato.

- Non pensavo tornassi oggi Elena-

- Con te funziona solo l’effetto sorpresa ormai – gli disse sorridendo.

- Vedo che il tuo umorismo è sempre presente – rispose sorridendogli di rimando.

Poggiò la valigetta sul tavolo, si tolse la giacca e allentò il nodo della cravatta.

- Immagino perché tu sia qui –

- Davide, tu ed io abbiamo rimandato questa conversazione fin troppo a lungo per i miei gusti.

Ne hai avuto fin troppo di tempo per riflettere, è ora di prendere una decisione - .

L’uomo sospirò, sedendosi sulla prima sedia a portata di mano. Faceva male vedere la persona più importante della sua vita in quel modo. Era un dolore soffocante. A Davide sembrava di essere in acqua e di non riuscire a restare a galla, stava annegando nel suo stesso dolore.

-Elena lo so che vuoi una risposta da me, lo capisco. Io non sono in grado di sconfiggere i miei
demoni, mi tormentano e si prendono gioco di me. Secondo te, come faccio a occuparmi di un figlio con i ricordi che mi tormentano? - .

La ragazza non aveva perso una singola parola del discorso del suo fidanzato. Sapeva perfettamente di cosa stava parlando, lei però era sicura che insieme si potesse superare tutto, come convincere Davide restava un mistero purtroppo. Decisa a non arrendersi, Elena si avvicinò all’altro, inginocchiandosi davanti a lui e carezzandogli una guancia. Davide istintivamente voltò il viso verso la mano, posandovi un leggero bacio nel centro del palmo.

-Lo so tesoro, lo vedo. La notte ti agiti, sudi, parli nel sonno e molto spesso ti svegli nel sonno in
preda al panico. Il giorno invece, spesso t’immobilizzi fissando il vuoto, come se ti perdessi in qualche meandro oscuro. Ogni volta lo leggo nei tuoi occhi quel tormento, la paura di essere come lui. Guardandoti allo specchio ti giudichi una brutta persona, questo, però è quello che vedi tu. Ciò che vedo è un ragazzo altruista e buono, che pensa sempre agli altri prima che a se stesso. Un amico con la battuta pronta ogni volta che qualcuno è giù di morale, l’ho visto con Federico.  Inoltre posso assicurarti che con te non mi sono mai sentita in pericolo anzi, tutto il contrario -.

Davide tenendo sempre il volto girato verso la mano di Elena sospirò. Quelle parole sulle sue cicatrici facevano ancora più male.

- E se nonostante tutto non sarò un buon padre? –

- Se nemmeno ci provi, non saprai mai come rispondere a questa domanda, alla quale puoi rispondere solo tu - .

- Per quanto riguarda quello che è successo con Fede la notte scorsa è stata solo un’avventura -

- Lo so e sono a conoscenza anche di quella volta in cui siete stati insieme anni fa, è come se per te Federico fosse diventato una specie di porto sicuro negli anni. Non so bene come spiegarti questa sensazione. Mi ha detto di quando ti presentavi sotto casa ricoperto di lividi durante le superiori, forse in quel periodo hai cominciato a vederlo come una roccia cui aggrapparti, perché non mi hai mai detto nulla? -.

In quel momento Davide avrebbe voluto strozzare l’amico.

- Mia madre non ha mai voluto denunciare quell’uomo, non lo so perché, m’implorò di non dire
mai nulla ed io nonostante litigassimo per questo le volevo bene. Ho sempre cercato di difenderla. Durante il periodo del liceo mi sentivo un debole, solamente anni dopo ho capito che il debole era lui – Davide s’interruppe.

- I tuoi che fine hanno fatto? Perché non mi hai mai fatto conoscere tua madre? -.

- Mio padre è morto poco dopo il mio ventiduesimo compleanno, l’alcool se l’è portato via. Con mia madre non corre buon sangue da un po’ di anni ormai. Dopo aver finito il quarto anno, decisi di andarmene di casa, non volevo più abitare con quel tizio, lei non voleva denunciarlo ed io non riuscivo a convincerla, dopo qualche anno che ci siamo rivisti mi accusò di averla lasciata sola. Da allora non ci siamo più visti - .

- Non credi sia ora di chiarire la questione che hai in sospeso con lei? –

- Non credo mi perdonerebbe lo stesso. Senti Elena io ormai ho fatto il callo a questo problema, le cose stanno così e vanno bene, te lo assicuro -.

Per tutto quel tempo, Elena era rimasta inginocchiata di fronte al fidanzato con le mani intrecciate tra loro.

- Sono sicura che parlarle ti farebbe stare meglio, però è una decisione che devi prendere tu soltanto –

- Grazie -.

- Per quanto riguarda il bambino? Lo crescerai insieme con me? Io ho deciso di tenerlo -.

Il biondo stringendo di più le mani della fidanzata, chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.

-Ti prometto che ti sarò accanto, tu però promettimi che impareremo a fare i genitori insieme, che se mai perdessi il controllo mi fermerai in qualunque modo –

- Io… -.

Davide che fino a quel momento aveva parlato con gli occhi chiusi li riaprì di scatto.

-Promettimelo! Me lo devi giurare –

- D’accordo, te lo prometto -.

- Scusami per il tono e grazie -.

I due si abbracciarono e rimasero così per alcuni minuti.

- Se non sbaglio sei al terzo mese vero? –

- No, in realtà sono al quarto mese di gravidanza –

- Davvero? Come passa il tempo. Sai di che sesso è? - .

- Sì, lo vuoi sapere? –

- Ovviamente, hai già pensato a un nome? –

- E’ una femminuccia, avevo pensato a Ingrid, che ne dici? -.

- Mi piace moltissimo -.

Entrambi sorrisero.

- Mi sei mancata da morire –

- Anche tu – i due fidanzati si scambiarono un breve bacio a stampo.

Per la prima volta Davide sentiva il cuore un po’ più leggero. Negli occhi di Elena aveva visto un coraggio e un amore immensi, in grado di poter sopportare anche i colpi peggiori. Durante quella discussione, Davide era stato incantato da quello sguardo tanto da volerci credere fino in fondo. Nonostante le sue paure, era deciso a essere un padre migliore di quello che aveva avuto lui e chissà un giorno magari avrebbe chiarito con sua madre.

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Capitolo 9
*** 9. Aprirti il mio cuore ***







§ Angolo Autrice §
Eccomi qui con un nuovo capitoli, spero che vi piaccia e al prossimo aggiornamento.





9. Aprirti il mio cuore:




Le prime luci dell’alba, filtrando dai buchi della serranda, svegliarono Livio. Il ragazzo, infastidito dalla luce del mattino che gli dava il suo buongiorno, si girò dalla parte opposta alla finestra. Dando uno sguardo alla sveglia sul comodino accanto al letto, si accorse che erano solamente le sei e mezzo del mattino, decidendo così di poltrire per almeno un’altra mezz’ora. Quando l’orologio suonò le sette in punto, il ragazzo si alzò giacché il sonno era scomparso. Dopo essersi alzato, Livio decise di rimanere in pigiama e di cambiarsi dopo aver fatto colazione. Per paura di svegliare il resto della famiglia, scese piano le scale e arrivò in cucina.

- Buongiorno Livio, vuoi del thè? - .

- Come hai fatto a capire che ero io senza nemmeno voltarti a controllare? –

- Per due semplici motivi. Il primo è che fra tutti i tuoi fratelli, tu sei l’unico che non scende le scale come un bisonte. Il secondo è che a casa in questo momento siamo solo tu ed io, i tuoi fratelli sono partiti e tuo padre sta dormendo- .

- Mamma, definirli bisonti non ti pare un po’ esagerato? –

- Scusa eh ma tu come li definiresti? –

- Degli elefanti in una cristalleria –                             

- E poi sarei io quella che esagera eh - .

Quell’affermazione fece scoppiare a ridere Livio. In quel periodo gli erano mancati sua madre e il suo umorismo.

- Sei qui perché hai litigato con Federico vero?- mentre madre e figlio si stavano sedendo a fare colazione, Rossella se ne uscì con quella domanda facendo quasi strozzare Livio.

- No mamma ma che vai a pensare, io avevo solo voglia vedervi -.

- Tesoro mio, pensi davvero che tua madre non ti conosca come le sue tasche? –

- Guarda che stai fraintendendo -.

- No caro. Tu hai talmente paura che uno di noi possa considerarti responsabile della morte di
Emiliano che due anni fa hai smesso perfino di venirci a trovare. L’unico motivo da spingerti a tornare è di aver litigato con Federico - .

Come faceva sua madre a capire sempre tutto non lo sapeva, forse la donna possedeva un qualche dono segreto o più semplicemente era sua madre.

-Mamma non mi va di parlare né di Emiliano né di Federico, in questo momento –

- Quando lo farai allora? Da quando tuo fratello è scomparso, tu non hai voluto neanche che pronunciassimo il suo nome in tua presenza. Pensi che a noi non abbia fatto male? Ti dirò una cosa tesoro, quando mio figlio è morto, ho sentito una voragine aprirsi in me e inghiottirmi. Non volevo più vedere nessuno, il dolore era immenso, tuo padre, però mi fece notare che non avevamo solo un figlio ma ben cinque di cui ancora occuparci, e nonostante il dolore lacerante che provavamo non abbiamo smesso di preoccuparci per voi. Lo so che vederlo lì in quelle condizioni ti ha sconvolto, però la vita va  avanti e devi avere il coraggio di vivere anche per lui - .

Una lacrima iniziò a rigare il volto di Livio, sua madre capendo la situazione si alzò dal suo posto e andò ad abbracciarlo.

- Shh… va tutto bene, sta tranquillo. Fa bene ogni tanto lasciar andare il dolore attraverso le lacrime - .

- Mamma io…io ho discusso con Federico –

- Perché più tardi non parli con tuo padre? –

- Non so…io è tanto che non parlo con lui-.

La signora Rossella sorrise al figlio.

-Tra me e tuo padre quello che si preoccupa di più è lui, non si direbbe ma è così –

- Sarà ma ho un po’ d’ansia –

- Vedrai che si risolverà tutto –

- Grazie mamma –

- Figurati –disse facendo l’occhiolino- Bene ora vado a fare una bella corsetta, ci vediamo dopo - .

Dopo aver salutato la donna e aver lavato i piatti della colazione, il ragazzo tornò in camera a vestirsi. Giacché non faceva troppo freddo con la primavera alle porte, Livio scelse un paio di jeans corti e una maglietta nera a maniche lunghe non troppo pesante. Tornato a casa alle quattro del mattino, suo padre avrebbe continuato a dormire ancora per un po’, così che il roscio avesse il tempo di riordinare le idee e la tempesta di sentimenti che sua madre aveva scatenato. Ripensando alle parole dette dalla donna con cui condivideva il colore di capelli, allontanarsi per il dolore di aver perso qualcuno d’importante non aveva fatto bene a nessuno. Quelle immagini erano un punto fisso però e non sarebbe stato facile togliersele dalla mente. Non volendo rimuginare ancora Livio si sdraiò sul letto cercando di schiacciare un pisolino. Verso le dieci il ragazzo sentì bussare alla propria porta.

-Avanti -.

La porta si aprì e un uomo dai capelli castani entrò nella stanza.

- Buongiorno Livio –

- Ciao papà - .

Suo padre era un uomo molto alto e robusto, con i lineamenti severi del viso e degli occhi
scurissi, tant’era che si faceva difficoltà a distinguere l’iride dalla pupilla. Inoltre essendo quasi completamente cieco come le talpe, portava degli occhiali con una semplice montatura nera lucida e due grandi lenti e come ultimo segno distintivo portava i suoi tanto adorati baffetti.

- Se non hai nulla da fare, ti andrebbe di passare un po’ di tempo insieme? –

- Sì, perché no –

- Allora vieni, spostiamoci in giardino - .

Detto ciò i due uscirono dalla stanza, scesero le scale e accedettero al giardino dalla porta finestra posta in salone. I due si andarono a sedere sul dondolo, posto sotto a un albero di limoni.

-Saranno almeno due anni che non tornavi a casa, come mai Federico non è venuto con te? Di solito ti segue ovunque - .

- Be diciamo che abbiamo avuto una piccola discussione –

- Spero che non sia nulla di grave -.

- No, niente di che o almeno spero – Livio non sapeva esattamente come definire la situazione che stava vivendo.

- Qualsiasi cosa sia successa, sono sicuro che si risolverà presto – il signor Giacomo sorrise rassicurando il figlio.

- Da quando t’interessa di me e Federico?-.

- Perché mi chiedi questo?-

- Perché non hai mai fatto domande e pensavo che non t’interessasse o peggio ancora, come con il resto della mia vita – Livio era riuscito finalmente a esternare uno dei suoi tanti timori.

- Sai la differenza più grande tra me e tua madre qual è? – chiese Giacomo.

- No, sinceramente no papà –

- Poco prima che tuo fratello Dario nascesse, tua madre era un pilota e adorava correre con le macchine. Lei ha sempre vissuto la vita con leggerezza, non che voglia dire che tua madre non
sia responsabile anzi, solo che lei prende la vita con filosofia. Io sono troppo razionale -.

- Allora perché, con gli altri quando facevano una cavolata o qualcosa che li avrebbe fatti soffrire li rimproveravi e a me non hai mai detto nulla? –.

- Perché ti ho sempre ritenuto abbastanza forte da superare le difficoltà che la vita ti avrebbe messo davanti. Quando prendesti la decisione di diventare un giocatore professionista non ero molto convinto, tua madre, però mi spinse a vedere una tua partita e da allora non ne ho mai persa una. Inoltre poco tempo dopo t’iscrivesti all’università e alla fine ti sei anche laureato. Sapendo poi che Federico sarebbe sempre stato affianco a te, la cosa mi ha reso più tranquillo -.

- Perché contate sempre tutti su Federico?? Non lo capisco! – ascoltando le parole di suo padre, Livio si era sentito si felice ma al tempo stesso stizzito.

- Quando Emiliano è morto, l’unico che è riuscito a starti davvero accanto è stato proprio il tuo fidanzato. L’unico in grado di interpretare i tuoi attacchi di mutismo, che potevano durare un’ora come giorni interi. L’unico che sapeva farti restare con i piedi per terra. All’inizio, dopo quel tragico incidente, pensavo che non avrei più riavuto indietro il mio bambino, poi però è arrivato lui aprendo una finestra nel luogo buoi in cui ti eri isolato, riportandoti alla luce – Livio non l’aveva mai vista così la situazione.

- Non sei contrario alla nostra relazione? –

- Scoprirlo da tua madre e venire a sapere che anche i tuoi fratelli lo sapevano, non è stata una bella cosa, avrei preferito che me lo dicessi tu. Sai figliolo, la scienza insegna che fisicamente gli uomini sono attratti dalle donne e viceversa, è tutta una questione carnale e riproduttiva. Poi però bisogna fare i conti con l’io interiore di una persona, e lì si aprono infinite strade e sfumature. L’io come il corpo sono entità complesse da capire e spesso nel provarci, l’uomo fallisce. Io non sono mai stato contrario a questa relazione, in quanto a parer mio la sessualità di una persona, è una cosa intima che non per forza devono essere condivise. Essere omosessuale, etero, avere differenti colori di pelle o essere donna o uomo, non ti fa capire che tipo di persona puoi essere. Non si giudica un libro dalla copertina, ma dalla storia che contiene. Ero solo terrorizzato da come la gente fuori dalla famiglia avrebbe potuto prenderla. Tu mi hai dimostrato che non la determinazione si può affrontare tutto, dalla morte di una persona cara a una relazione complessa. Ormai Federico è come un figlio, quindi ti suggerirei di farci pace - .

Suo padre l’aveva stupito, anni passati a chiedersi se lui fosse abbastanza per l’uomo, se fosse all’altezza delle sue sorelle e dei suoi fratelli, pensare di averlo deluso in qualche modo e poi lui se ne usciva con un discorso del genere. La sua famiglia non finiva mai di stupirlo. Allo stesso modo i suoi fratelli, ognuno di loro aveva promesso botte e guerra a chiunque gli avesse dato fastidio, da Dario a Ottavia, per non parlare della mamma. In fin dei conti si riteneva una persona fortunata, non tutti potevano contare su una famiglia così unita e aperta. Federico ne era l’esempio perfetto.

-Noi ci siamo allontanati ultimamente – faceva male dirlo ad alta voce ma era la verità.

- Come mai? –

- Da quando ha dovuto smettere di giocare, ho come la sensazione di non riuscire più a capirlo. Prima bastava uno sguardo d’intesa per capire tutto, ora nemmeno con le parole riusciamo a capirci. Ho paura che m’incolpi per com’è andata l’ultima partita, in fondo me lo merito -.

Quel pensiero aveva sempre terrorizzato Livio.

- Perché pensi che possa incolparti? –

- Io sono il palleggiatore della squadra ed è compito mio coordinare l’attacco. L’ultima partita giocata con Federico l’abbiamo persa, proprio perché non sono stato in grado di trovare uno schema che potesse farci sconfiggere la squadra avversaria. Non volevo che terminasse la sua carriera in quel modo – voleva davvero tornare indietro e sistemare le cose.

- Ne hai mai parlato con lui? –

- Non ho mai avuto il coraggio e lui non ha mai aperto un discorso sulla questione-.

- Lo sai Livio c’è stato un momento, dopo il funerale di Emiliano, in cui tu non uscivi neanche
dal letto. Era passata da poco una settimana e non permettevi a nessuno di entrare, tu non uscivi, non volevi andare a scuola e non mangiavi. Oltre al nostro dolore, eravamo tutti preoccupati, non sapevamo davvero cosa fare. Il lunedì mattina della settimana seguente, Federico si presentò a casa nostra e ci chiese di farlo entrare, noi gli spiegammo la situazione ma lui rispose che andava bene comunque, così lo facemmo entrare. Posò il suo zaino accanto all’attaccapanni e salì le scale fino alla tua camera. Poco dopo sentimmo qualcuno prendere a spallate la porta e qualcun altro gridare spaventato. Mezz’ora dopo stava scendendo le scale con te al seguito, vestito con lo zaino sulle spalle e un panino nella mano sinistra. Stavi andando a scuola - .

- Cosa c’entra? –

- Quando tu non avevi il coraggio di affrontare il dolore, l’ha fatto lui per te, caricandosi di tutti i tuoi sentimenti negativi. Non credi sia il momento di fare lo stesso? - .

Ricordava quel giorno. Livio si sentiva un fallimento come essere umano, non volendo più vivere. Quella mattina aveva sentito il citofono squillare ma non gli importava chi fosse, in quei giorni citofonavano spesso per esprimere le loro condoglianze. Invece avrebbe dovuto importargli. Poco dopo sentì bussare alla sua porta, il disturbatore non ricevendo risposta decise di buttarla giù. Davanti all’uscio vuoto comparve Federico con un’espressione alquanto adirata.

- Hai deciso di farci le ragnatele qui dentro? –

- Vattene! Non sono affari tuoi -.

- Si invece che lo sono! Non puoi restare qui e farti vincere dal dolore! -.

Dopo quel breve scambio di battute il moro aveva obbligato Livio ad alzarsi e a vestirsi, facendogli preparare lo zaino e porgendogli un panino con la crema alla nocciola.
Per la parte più difficile che quel periodo aveva comportato, Federico non l’aveva mai lasciato solo, sopportando i suoi mutismi, gli sbalzi d’umore, le lacrime e la rabbia. Suo padre dopotutto aveva ragione, quando lui si era trovato in difficoltà, l’altro aveva agito da solo e Livio ora avrebbe fatto la stessa cosa.

- Davvero non m’incolpate per Emiliano? –

- Sai cosa abbiamo sempre pensato tutti quanti? – Livio scosse la testa – Che la vita ci ha
graziato perché tu sei sano e salvo - .

Le lacrime iniziarono a rigare i bei lineamenti di Livio. Il padre, vista la reazione del giovane, gli cinse le spalle con un braccio e con la mano gli carezzò i morbidi ricci rossi.

-Io direi che sia l’ora di perdonarsi? In fondo il suo ricordo non svanirà mai dai nostri cuori -.

Alcuni istanti dopo l’orologio del salone rintoccò la mezza e il padre, deciso a lasciare da solo per qualche momento il figlio, si alzò per rientrare in casa.

- Io vado a preparare il pranzo, ti chiamo quando è pronto - .

Livio si asciugò le lacrime, in quel momento si sentiva sollevato, sarebbe stato persino felice se non fosse stato per la questione di Federico. Deciso a godersi la sua famiglia ancora un po’, smise di pensare a ciò che lo rendeva triste.
 
 
 

 

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Capitolo 10
*** 10. Emozioni a confronto ***


10. Emozioni a confronto:



Il viaggio era stato estenuante nonostante Federico non avesse trovato particolarmente traffico.

Prima di mettersi in macchina, aveva avuto il timore che fare il viaggio con Star avrebbe comportato altro stress, poiché l’animale non amava molto i viaggi in macchina. In realtà il batuffolo di pelo si era comportato meglio più di quanto il padrone si fosse aspettato.

Forse anche a lui mancava Livio.

 Il moro era arrivato a Torino a un quarto alle undici, chiedendo ospitalità a sua nonna. La donna, a differenza dei genitori del ragazzo, aveva sempre parteggiato per lui, tanto che suo nipote andava spesso a trovarla durante i suoi viaggi.

Anche se non tornava volentieri nella sua città natale.

Appena entrato in casa, salutò sua nonna Adele dandole un bacio sulla fronte e abbracciandola. La signora era la persona che quasi cinquantacinque anni prima aveva dato alla luce il padre di suo nipote. Nonostante l’uomo avesse ripreso la bellezza di sua madre, non avrebbe mai la sua classe e la sua intelligenza sopraffina. Proprio per questo motivo il giovane era così legato a sua nonna.

Dopo aver dato da mangiare a Star e aver addentato un panino al volo, andò a dormire. Sul da farsi ci avrebbe pensato l’indomani mattina.

Nella stanza degli ospiti la luce del Sole ormai alto nel cielo, filtrava dalla serranda andando a creare un gioco d’ombre sul viso dell’utilizzatore del letto nella camera.

L’opposto fu svegliato dal dolce e caldo profumo proveniente dalla cucina. Consapevole del fatto che non avrebbe più ripreso sonno, Federico si stiracchiò e decise di fare colazione.

- Buongiorno nonna –

- Giorno tesoro, dormito bene? -.

- Sì, mi ero dimenticato di come si dorme bene a casa tua – prima di sedersi e iniziare a mangiare, il ragazzo diede un bacio sulla guancia alla donna.

Ogni volta che andava a trovarla, sua nonna gli preparava le frittelle e spesso le mangiava per colazione. Il primo pasto della giornata, i due lo consumarono in silenzio e tranquillità.

La casa in cui si trovavano non era la stessa nella quale suo padre era cresciuto, la quale era stata venduta molti anni prima della sua nascita. La porta d’ingresso dava su un piccolo corridoietto stretto e lungo, spesso buio data la mancanza di finestre, da dove si accedeva al soggiorno su cui si affacciavano le differenti stanze. Di fronte al corridoio c’era la cucina e alla sua destra la porta del bagno, nascosta dal muro del soggiorno. In salone, nella parte opposta cui si trovava il tavolino quadrato, vi erano le porte delle due camere, quella di sua nonna e quella degli ospiti, dalla quale si poteva accedere al balcone. La casa era arredata senza troppi fronzoli con mobili ormai con qualche anno di troppo, unica cosa che stonava alquanto in quell’abitazione fatta di bianco e marrone scuro era il divano, di un arancione troppo appariscente.

 Aveva chiesto a sua nonna, il perché tenesse un divano ormai consunto e così appariscente e l’unica risposta che aveva ottenuto, era stata che quell’oggetto era stato l’ultimo che aveva comprato il suo defunto marito e quindi non riusciva a liberarsene.

Finito di mangiare e aver sparecchiato, la signora Adele partì all’attacco.

Il pomeriggio prima, quando suo nipote l’aveva avvisata della sua visita, l’aveva sentito strano e adesso che aveva l’opportunità di capire perché non se la sarebbe lasciata sfuggire.

- Tutto bene Fede? –

- Si nonna, perché? –

- Con Livio come va? – quando suo nipote non voleva parlare con lei, quel ragazzo c’entrava sempre e per nessun motivo avrebbe evitato di aiutare il moro.

- Va – odiava dare risposte lapidarie a sua nonna, in quel momento però non gli andava di parlarne. Voleva godersi quel frammento di serenità prima della tempesta. 

- Con me ne puoi parlare sai questo, vero? –

- Si nonna, è solo che adesso non ne ho voglia. Vorrei chiederti un favore se fosse possibile - .

- Dimmi pure tesoro – rispose l’anziana signora al nipote.

- Potrei avere un abbraccio? Ti dispiace? –

- No, certo che non è un problema, fatti abbracciare - .

In quell’abbraccio, Federico si sentì a casa finalmente.

Sua nonna era sempre stata la sua roccia fin da bambino, ancora prima di potere contare su Livio. Lei era stata come una madre per lui, l’esatto contrario della persona che gli aveva donato la vita. Non che sua madre non gli volesse bene e viceversa, solo che non erano mai riusciti a capirsi fino in fondo.

Dopo alcuni minuti in cui la donna accarezzò i capelli mori del più giovane, con un ritmo
cadenzato, quasi stesse riproducendo la melodia di una ninna nanna, sciolsero l’abbraccio.

- Tesoro andrà tutto bene, me lo sento - .

- Speriamo nonna –

- Sicuramente – detto sfoderò uno dei suoi sorrisi più dolci e rassicuranti.
 
Un paio d’ore più tardi, il moro si era finalmente deciso a mandare un messaggio alla causa di tutto.

Il testo recitava: “Alle 20.00 al solito parchetto”.

Adesso l’unica cosa da fare era aspettare una risposta da Livio.
 
 
 


Dopo aver giocato per più di un’ora con sua nipote Marta, la figlia di otto anni di Silvia, e aver costantemente perso a causa dell’immensa scaltrezza della bambina, che fisicamente assomigliava in tutto e per tutto al padre, ma per quanto a intelligenza era la copia giovanile di Silvia, Livio si arrese.

- Zio ancora un’altra partita dai – disse la ragazzina dagli occhi scuri.

- Per essere nuovamente sconfitto da te? Giammai – rispose lui fingendosi oltraggiato.

- Non ci vediamo mai! Gioca un po’ con me –

- Ti prometto che da oggi in poi vi farò visita più spesso – le carezzò teneramente i capelli bruni.

- Lo giuri? –

- Lo giuro. Adesso però devo controllare una cosa importante - .

- Va bene zio, ci vediamo dopo – detto ciò, la piccola abbracciò il più grande e andò a cercare sua nonna per vedere cosa stava facendo.

Dal salone della casa, Livio tornò in camera sua alla ricerca del telefono.

Negli ultimi giorni aveva controllato spesso il suo samsung galaxy S3 bianco, ormai scassato, nella speranza di trovarvi un messaggio di Federico. Non riusciva a capacitarsi che l’altro non voleva trovare un modo per chiarire i loro problemi, salvo che non stava aspettando che lui stesso facesse il primo passo.

Prima di prendere il telefono da sopra il letto, il rosso si affacciò alla finestra della sua stanza. Fissando fuori il paesaggio, si accorse che ormai erano giunti a Novembre inoltrato, il cielo era grigio scuro e il vento muoveva le fronde degli alberi facendole sibilare.

 Quanto gli era mancato quel posto. 

Sospirando richiuse la finestra e si avvicinò al letto appena rifatto. Prendendo in mano il telefono, scorse i messaggi ricevuti, fino a quando non trovò quello tanto atteso. Il suo cuore ebbe un tremito, chissà cosa gli aveva scritto.

Livio aprì il messaggio e lo lesse: “Alle 20.00 al solito parchetto”.

Lui controllò l’ora e si accorse che erano solamente le cinque del pomeriggio, pregò che il tempo passasse in fretta.
 
 


I due ragazzi avevano concordato di incontrarsi alle altalene del piccolo parco, situato perfettamente a metà tra le loro case. Ormai era Novembre inoltrato e la sera, per le strade, tirava un leggero vento freddo.

Il rosso indossava un paio di semplici scarpe da ginnastica nere con un paio di jeans, un giubbotto di pelle nero, sciarpa e guanti abbinati.

Essendo arrivato un quarto d’ora prima del previsto, si sedette su una delle tre altalene libere. Il parco pure essendo abbastanza piccolo era ben illuminato, inoltre anni addietro vi era stata creata un’area, dove i bambini potevano giocare tranquillamente, disseminando qua e là delle panchine.

Quanto tempo avevano passato a giocare lì, ad allenarsi o fare i compiti, o più semplicemente a stare all’aria aperta dopo la scuola.

Talmente era immerso nei suoi pensieri, che non si accorse dell’arrivo del fidanzato.

Federico poggiò le proprie mani sugli occhi di Livio, dandogli un leggero bacio sui capelli. Il ragazzo seduto sull’altalena, si portò le mani dell’altro all’altezza delle labbra e le sfiorò, accarezzandole al tempo stesso. Dopo alcuni secondi, il moro ritrasse le proprie mani e si andò a sedere alla sinistra dell’altro.

Livio osservò il ragazzo con i capelli scuri come la notte. Federico che da adolescente vestiva sempre in tuta e che raramente indossava un paio di jeans, mostrando così tutto l’astio verso quel particolare indumento, indossava in quel momento un paio di pantaloni eleganti grigi, e una semplice camicia bianca con il colletto sbottonato, un impermeabile grigio e il tutto abbinato a un paio di Memphis nere.

L’ultima cosa su cui si soffermò, fu il viso pallido e stanco dell’altro. Tutto ciò lo rendeva dannatamente sexy, per non parlare dei suoi occhiali poi.

Sentendosi osservato, o per meglio dire spogliato con gli occhi, a disagio Federico iniziò a dondolarsi.

- Mi sei mancato – volente o nolente questa era la verità, Livio non l’avrebbe più nascosta.

- Anche tu -.

L’imbarazzo in quel momento si poteva tagliare con il coltello. Sembrava che quei due si stessero scoprendo per davvero per la prima volta.

- Mi dispiace di averti urlato contro ed essermene andato così –

- Non avrei dovuto accusarti di una cosa non vera e comunque avrei dovuto almeno ascoltarti -.

- Sì, io però non avrei dovuto comportarmi in quel modo –

- D’accordo, accolgo le tue scuse se tu accetti le mie! Altrimenti niente –

- Affare fatto - .

Almeno il primo passo era stato fatto, ora si doveva affrontare la parte più difficile.

-Perché hai pensato che ti stessi tradendo? – Federico nel porgli quella domanda, lo guardò dritto negli occhi.

Prima di rispondere l’altro prese un profondo respiro, ora o mai più.

- Negli ultimi anni ti sei allontanato moltissimo, non è stato un processo veloce, tanto che all’inizio non ci avevo fatto caso. Col tempo però, notando che non venivi più né agli allenamenti né alle partite, vedendo che in casa non c’eri quasi mai, ho capito di non essere più abbastanza per te. Mi sono sentito messo da parte, dimenticato. Come se invece di camminare insieme tu mi stessi lasciando indietro – il rosso dopo aver gettato fuori quelle parole tutte di un fiato, si riprese dallo sforzo.

- Io…mi dispiace di averti fatto sentire così per tutto questo tempo, non era mia intenzione.
Anche tu però hai fatto lo stesso – il moro si passò una mano tra i capelli.

- Ho agito d’impulso, avevo il terrore che tu potessi lasciarmi e allo stesso tempo non avevo il coraggio di lasciarti andare, non sarei riuscito a vivere senza di te. La sola idea di non averti accanto mi stava uccidendo -.

- Lo sai che sono un egoista, non l’avrei mai fatto. Dimentichi che il primo a innamorarsi sono stato proprio io – rispose Federico sconsolato, come avevano fatto ad arrivare a quel punto era un mistero.

- Rivelami la verità, tu sei arrabbiato con me per aver perso l’ultima partita? – sentendo quelle parole, il moro scosse la testa.

- Tu ma sei scemo? – Livio inviperito, si alzò di scatto dall’altalena e si diresse verso l’uscita del parco.

- Dai Liv torna qui! Non credi che sia inutile continuare a scappare? -.

Il ragazzo dai capelli rossi, più arrabbiato che mai, tornò indietro come una furia.

-Sono io che scappo? Sono davvero io? Quante volte ho provato a parlarti di quell’argomento, eh? Tu hai sempre liquidato il tutto con un semplice “non mi va adesso”- .

- Fino ad arrivare a rubarmi la maglia e le ginocchiere?-

- Hai frugato nel mio borsone? – Livio era incazzato nero adesso.

- Mi hai dato altra scelta? Non mi sembra. Io magari avrò evitato il discorso ma tu non hai fatto da meno – stavolta Federico si passò entrambe le mani tra i capelli.

- Sono stanco Fe, ora voglio la verità – rispose l’altro sbuffando.

- Riguardo a cosa? –

- Non fare il finto tonto - .

Sentendosi nuovamente a disagio il ragazzo dalla pelle chiarissima, ricominciò a dondolare.

- D’accordo. Inizialmente venirti a vedere, lavoro permettendo, era l’unico modo per rimanere
aggrappato a quel mondo e poter supportarti. Col tempo però tutto è diventato insopportabile –.

- Allora lo vedi che incolpi con me e con le mie alzate! – Livio lo interruppe bruscamente senza dargli il tempo di finire.

- La vuoi smettere! Quella partita l’abbiamo persa perché tutta la squadra ha sbagliato. Io per esempio ero talmente fissato sul mio ritiro che non mi sono concentrato, abbiamo sbagliato in ricezione e per di più la squadra avversaria era molto forte –.

- Davvero non mi odi per questo? –

- Per l’ultima dannata volta, no! Mettitelo in testa – Federico, girando il volto, vide Livio piangere.

- Perché stai facendo così ora? –

- Sono felice e mi sento sollevato di questa cosa, non sai quanto – il rosso asciugandosi le lacrime, si sbrigò a cambiare discorso.

- Dove sei stato in questi giorni? –

- Da Davide, tu? – il ragazzo si trovò in crisi, dire o no all’altro della sua “scappatella”, era in una situazione orribile.

- Sono stato a casa nostra e gli ultimi due giorni sono andato dai miei –

- Davvero? Com’è andata? –

- Bene, ho chiarito con i miei. La morte di Emiliano rimarrà sempre uno shock per me, ma non mi farò più condizionare da oggi in poi – Livio sorrise all’altro.

Era la prima volta che Federico lo sentiva parlare di quell’argomento così a cuore aperto.

- Sono felice per te –

- Dovresti provarci anche tu sai, magari e cose cambiano –

- Posso garantirti che non succederà, i miei sono troppo chiusi fidati. Piuttosto dovrei parlarti di una cosa… -

- Dimmi – il moro odiava quando Livio ispirava così tanta fiducia.

- Ti ricordi quando prima ti ho detto che sono stato da Davide, be una sera in preda ai nostri fantasmi siamo usciti, abbiamo bevuto e tornati a casa siamo finiti a letto insieme – Federico non notando nessuna reazione da parte dell’altro, continuò il discorso.

- Mi dispiace moltissimo, lo so che è stato meschino e orribile, l’unica cosa che posso giurarti è che non era previsto – il traditore stava sudando freddo.

- C’è stato altro oltre il sesso? – il tono di Livio era gelido.

- No! Te lo assicuro è stato uno sbandamento, a parte questo episodio, non ti ho mai tradito.

Non mi è mai passato per la testa - .

Livio si alzò dall’altalena, dove era seduto, dirigendosi verso il fidanzato. Una volta trovatosi di fronte a lui, il ragazzo con il viso puntinato di lentiggini, si sedette cavalcioni sopra a Federico, passandogli le braccia intorno al suo collo e iniziando a baciarlo. Un bacio casto che piano piano divenne sempre più appassionato e profondo. Fino a quando non fu proprio il moro ad allontanare l’altro per respirare.

Il più giovane afferrò il volto dell’altro tra le mani e lo guardò negli occhi.

- Ricordati che io sono il tuo fidanzato! Non azzardarti più a tradirmi o a non confidarti con me

– Federico per tutta risposta gli diede un bacio sulla fronte.

- E anche quando va tutto male, parlane con me - .

- Sai che ti dico io non resisto più! Vieni con me – Livio si alzò da sopra il suo compagno, lo afferrò per la mano e lo fece alzare, trascinandoselo dietro.

Dopo aver camminato per cinque minuti buoni, Federico incuriosito rivolse una domanda a chi lo stava trascinando.

- Si può sapere, dove stiamo andando? –

- A casa mia, non riconosci più la strada? – chiese lui.

- Perché ci stiamo andando? –

- Secondo te, davvero non ci arrivi? – riflettendo per un secondo, arrivò alla conclusione.

- I tuoi? Sarebbe imbarazzante se ci beccassero –

- Sono da mio fratello Dario, rientreranno domani mattina – dopo quella risposta Federico
decise di non opporsi più.

Camminarono per un quarto d’ora, arrivando finalmente a casa di Livio.

Richiusisi la porta alle loro spalle, si tolsero gli indumenti con i quali si erano coperti per proteggersi dal freddo e appoggiandoli all’attaccapanni. Mentre il moro era distratto, l’abitante della casa gli saltò addosso, facendolo cadere indietro sul pavimento dell’ingresso.

- Hey calmati un momento, io ho capito che sei impaziente però almeno prima arriviamo in camera tua – il ragazzo dagli occhi neri scansò il più piccolo e si alzò da terra aiutando poi l’altro a fare lo stesso.

- Va bene – il più alto dei due gli porse con tranquillità la mano sinistra verso l’altro che la afferrò e lo strinse. 

Salirono le scale tranquillamente, non avevano più nessuna fretta. Ora che si erano ritrovati non si sarebbero più lasciati.

Una volta in cima alle scale, si diressero nella stanza di Livio.

La camera si trovava in una sorta di semioscurità, solo la luce lunare che filtrava dalla finestra a illuminarla.

Federico chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò al possessore delle lentiggini. Gli prese la testa tra le mani e lo baciò. Il rosso, contemporaneamente gli tirò fuori la camicia dai pantaloni, iniziando così a sbottonarla. Giunti vicino al bordo del letto, i due amanti si tolsero le scarpe.

Quante volte il più grande aveva dormito in quella stanza, che li aveva visti crescere. Quanti ricordi riaffioravano nella sua mente in quel momento, come la prima volta. Non era stata nulla di meraviglioso, anzi era stata molto imbarazzante ed entrambi avevano agito goffamente. Da allora ne erano passati di anni e le cose erano migliorate, ma l’amore che entrambi provavano era rimasto tale, al massimo cresciuto con loro.

Prima di stendersi sul letto finirono di spogliarsi. Livio fece scivolare giù dalle spalle la camicia dell’altro, Federico gli tolse la felpa ed entrambi si sbottonarono a vicenda i pantaloni, sbarazzandosi di loro e rimanendo in boxer.

Nello svestirsi i due non affrettarono le cose, come se a ogni indumento corrispondesse un pezzo dell’armatura della loro anima che man mano veniva scardinata.

Entrambi si sdraiarono sul letto e Federico si prese un istante per osservare Livio nella sua splendida imperfezione. Il rosso oltre ad avere il viso puntinato dalle lentiggini, aveva il corpo tempestato di quei piccoli puntini marroncini chiaro. Questo lo aveva sempre infastidito, nonostante Federico le trovasse meravigliose.

Sentendosi osservato dagli occhi neri come la pece e scrutatori del compagno, avvampò per l’imbarazzo arrossendo e coprendosi il viso con le mani.

Federico portò la mano sinistra su quella dell’altro e la compagna ad accarezzare i suoi capelli ricci.

- Hey perché stai facendo così? Lo sai che ti osservo sempre, non imbarazzarti – gli sussurrò
usando un tono dolce e rassicurante.

- I-io lo so, ma è come se il tuo sguardo abbia qualcosa di diverso, di nuovo –

- Ti sentiresti meglio se mi togliessi gli occhiali? -

- Sì, penso di si –

- Allora perché non me li togli tu? - .

Livio, raccogliendo il suo coraggio, tolse le mani dagli occhi e li aprì. Dopo avergli tolto gli occhiali, aver chiuso le stanghette con delicatezza e averli poggiati sul comò, baciò la guancia destra dell’altro e lo abbracciò.

- Se vuoi, possiamo anche metterci giù e dormire, infondo davanti a noi abbiamo un’infinità di tempo – dopo aver inspirato il profumo del moro, che sapeva di tabacco e menta, in netto contrasto con i profumo di magnolia di cui era permeata la stanza, grazie a sua madre che li raccoglieva freschi tutti i giorni e glieli portava, tolse la testa dall’incavo del collo del fidanzato.

- Voglio farlo. Sarà amore, vero? –

- Lo è sempre stato -.

Dopo avergli risposto, Federico spinse delicatamente Livio indietro e, una volta raggiunto il cuscino, il moro diede un dolce bacio all’altro che per risposta sorrise sulle labbra del fidanzato.

Partendo da quelle labbra il più grande iniziò a disegnare una scia di baci, lungo tutto il torace del rosso, fino ad arrivare ad assaggiare la sua fisicità.

Da li divenne magia.

Livio non riuscì più a capire se loro erano ancora in camera sua o se davvero il mondo intorno a loro era scomparso. Era la prima volta che tramite i loro corpi, le loro anime erano connesse in un modo così totale e devastante. Quell’atto aveva coinvolto ogni fibra del loro essere, non solo il fisico ma anche il cuore, la mente e l’anima.

Non avevano mai avuto posizioni fisse, entrambi amavano lasciarsi sorprendere dall’altro, entrambi prendevano l’iniziativa e questo non sarebbe mai cambiato.

Terminato l’amplesso, entrambi ancora ansimanti si scambiarono un tenero bacio a stampo.

- Ti amo –

- Ti amo anch’io Fe - .

I due si addormentarono così, con Livio che tendeva l’orecchio sinistro nella zona in cui il cuore del moro batteva con regolarità, tanto da essere una ninna nanna, tenendo la mano destra sul suo torace. In quell’istante il rosso si era sentito finalmente a casa.

Federico al contempo passò il braccio destro intorno alle spalle di Livio, quello libero invece sostenne la propria testa come un cuscino.

Le loro gambe intrecciate insieme sotto il piumone blu che li copriva. 

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Capitolo 11
*** 11. Riallacciare le proprie vite ***



Salve xD
Allora so di non avere scuse per l'immenso ritardo con cui sto pubblicando questo aggiornamento, a mia discolpa posso dirvi che è stato un mese pieno zeppo di impegni e il capitolo non voleva saperne di farsi scrivere.
Anyway, alcune informazioni, sto facendo betare i capitoli (dalla cara Mama Holy che ringrazio) e una volta che la storia sarà terminata e tutti i capitoli corretti, la ripubblicherò sistemando l'impaginazione (con la quale litigo sempre!!). 
Ringrazio tutti i lettori e le persone che ogni volta recensiscono questa storia, chi l'ha messa tra le seguite/ricordate/preferite, un enorme
GRAZIE.
Spero che questo capitolo vi piaccia e al prossimo aggiornamento.

Black Daleko

 



11. Riallacciare le proprie vite:



Quella mattina i genitori di Livio erano rincasati alle otto di mattina, dopo essersi  fermati a dormire dal loro primogenito.

<< Secondo te sarà in casa? >> chiese la donna.

<< Spero per lui che non sia qui >> rispose il marito.

Il giorno precedente di cui stavano parlando, aveva detto loro che quella sera si sarebbe visto
con Federico per chiarire.

I due signori speravano con tutto il cuore che ci fosse riuscito. Sapevano che se non ci fosse riuscito, il loro ragazzo ne sarebbe uscito a pezzi.

<< Vado a controllare >> e con un sorriso complice stampato in volto, andò ad accertarsi dell’effettiva presenza o meno del figlio.

Piano piano salì le scale, arrivando davanti alla camera del penultimo figlio.

Schiuse la porta per capire se ci fossero segnali di vita.

Non notando nulla, entrò nella stanza illuminata soltanto dalla poca luce che filtrava dalla finestra. Si avvicinò a essa e tirò un po’ su la serranda. La stanza rimaneva comunque in uno stato di semioscurità.

Rossella si voltò a guardare il letto, accorgendosi finalmente delle due figure dormienti, abbracciate l’una all’altra.

“Quanto sono carini, era una vita che non li vedevo così; ne approfitterò per scattare una foto” pensò mentre tirava fuori il telefono dai jeans.

Dopo uscì dalla stanza socchiudendo la porta e tornò al piano di sotto.

<< Ros allora, la devo preparare per due o per quattro la colazione? >>.

<< Preparala per quattro, anche se sono sicura che poltriranno ancora per un po’>>.

<< D’accordo >> una lieve risata lasciò le labbra dell’uomo.

Nonostante fossero passati anni ormai dal matrimonio, Giacomo continuava a chiamarla Ros.

<< Lo sai che ho fotografato quei due >>

 << Non cambierai mai >> disse l’altro fintamente sconvolto.

<< E dai non capitava da anni di potergliene scattare una >>.

<< Lo sai che a nostro figlio non farà piacere >> la donna lo interruppe.

<< E che Federico si metterà a ridere. Allora la vuoi vedere? >>.

<< Ovvio >> asserì Giacomo.

Nella foto, i due ragazzi erano abbracciati l’uno all’altro. Livio poggiava la testa sul petto di Federico, mentre l’altro teneva una mano tra i capelli del rosso. Entrambi sotto le coperte.

<< Ti ricordi quando li trovammo addormentati sul letto di Livio? Erano così teneri e insicuri, adesso sembrano in pace con se stessi >> affermò l’uomo.

<< Sono così contenta che i ragazzi abbiano risolto i loro problemi, soprattutto il nostro
ragazzo ha fatto pace con i suoi sensi di colpa >>.

<< Hai ragione >>.

Si sedettero a tavola in cucina e iniziarono a fare colazione.

<< Qualche giorno fa ho incontrato Maria Grazia >>.

<< La madre di Federico? >>.

<< Sì >> rispose la donna.

<< Com’è andata? >> ribatté Giacomo, spalmando un po’ di marmellata su fetta biscottata.

<< Mi ha fatto intendere che le cose ultimamente non con Filippo non stanno andando bene
>>.

<< Come mai? >>.

<< Bè lei non gli ha mai perdonato di aver cacciato da casa uno dei suoi figli >>.

Il discorso s’interruppe lì.

Entrambi ricordavano il giorno in cui il fidanzato di Livio si era presentato alla loro porta di casa con una piccola valigia in mano e con gli occhi arrossati.

Senza pensarci due volte, l’avevano accolto in casa ospitandolo per alcuni mesi, per permettere a lui e a Livio di trovare una stabilità prima di trasferirsi.

Tutto ciò successe poco dopo essersi diplomati.

Per la prima settimana di quella convivenza improvvisata, Federico non aveva pronunciato mezza parola né emesso un suono che fosse uno. Si era comportato come un automa e loro non avevano potuto fare nulla. Con l’inizio della settimana successiva, le cose cambiarono leggermente.

Anche se il ragazzo non fu più lo stesso.

Da quell’avvenimento Giacomo smise di essere amico di Filippo, si era comportato in un modo
che non avrebbe mai capito né accettato.

Quei ricordi, anche se ormai superati, sarebbero sempre rimasti impressi nella loro mente.

 

Un paio d’ore più Federico si stropicciò gli occhi ancora intorpiditi dal sonno.

Accortosi che anche Livio si stava svegliando, si girò verso di lui sorridendogli.

<< Mh…buongiorno >> rispose l’altro, lasciando un lieve bacio sulle labbra dell’altro.

<< Il migliore di sempre >> a quell’affermazione, entrambi scoppiarono a ridere.

<< Ho temuto di perdere tutto questo >> asserì Livio mettendosi seduto a gambe incrociate
sul letto.

<< Sai che sono troppo egoista perché ti permetta di lasciarmi >> mentre si stava rimettendo gli occhiali, l’altro glieli prese dalle mani.

Senza farsi prendere, il più piccolo scese dal letto intento a scappare per poi inciampare nei suoi stessi vestiti e cadere rovinosamente a terra.

Nel rialzarsi udì la risata genuina e contagiosa di Federico e si unì a lui.

Erano anni che non lo sentiva ridere così. Quanto gli era mancata quella complicità.

<< Non cambi mai, sei sempre il solito >> affermò continuando a ridere.

<< Smettila! >>rispose Livio fintamente imbronciato.

<< Altrimenti? >>

<< Ti tiro un pugno! >> ribatté l’altro.

<< Finiscila di fare il gradasso, intanto lo so che soffri il solletico >> lo minacciò Federico
avvicinandosi di più a lui.

<< Non ci provare sa >> Livio nel frattempo stava tentando di allungare la distanza tra loro.

<< Allora ridammi gli occhiali >>

<< Vienili a prendere se li rivuoi >> e così fu.

In un attimo Federico gli fu addosso e mise in atto ciò che aveva promesso.

Dopo alcuni minuti di lotta alla fine il rapitore di occhiali annunciò la resa.

<< D’accordo te li rendo, però niente più solletico >>.

<< Meno male anche perché ho una fame incredibile >>.

<< A chi lo dici, l’unica fortuna è che sicuramente i miei ci avranno preparato la colazione >>.

<< Grazie al cielo, la tua cucina lascia alquanto desiderare >> come risposta ricevette una cuscinata.

<< Finisci di vestirti che così scendiamo >>.

Indossarono le ultime cose e scesero in tutta tranquillità le scale dirigendosi in cucina, dove trovarono i due genitori intenti a sistemare la stanza.

<< Buongiorno ragazzi >>

<< Giorno papà, giorno mamma >>

<< Buongiorno >> gli fece eco il moro.

<< Volete fare colazione? >> la signora Rossella stava già trafficando con chicchere e biscotti.

Alla vista di quelle tazze Federico si sorprese.

Quando era più piccolo, spesso si fermava a dormire a casa di Livio, le mattine seguenti mentre facevano colazione insieme, ognuno dei figli della donna ne possedeva una propria e lui rimaneva sempre a corto. Alla fine, per uno dei tanti natali, ne ricevette una con il viso di Dotto disegnato sopra, fu un regalo di Rossella.

<< Ancora la conserva? >>chiese stupito.

<< Certo, nello stesso modo in cui conservo quelle dei miei figli >> quell’affermazione gli scatenò una strana sensazione al centro del petto.

<< D’accordo però io ho fame >> mettendo il broncio, neanche fosse un bambino di due anni,
Livio interruppe il momento nostalgico.

<< Ho capito >>.

Federico diede una gomitata al fidanzato << Non trattare male tua madre >>.

L’altro sentendo quella frase, scoppiò a ridere.

<< Adesso più che il mio fidanzato sembri uno dei miei fratelli >>.

Il grande lo guardò truce.

La situazione fu salvata da Giacomo che posò le tazze ricolme di caffelatte sul tavolo.

<< Mangiate senza litigare >>.

I due ragazzi sbuffarono.

L’uomo sapeva quanto quel ragazzo moro e dai modi gentili fosse importante per sua moglie.

<< Bene ragazzi io vado a prepararmi che tra un po’ inizia il turno >>.

<< D’accordo, buon lavoro papà >>.

Mentre i due fidanzati finirono di fare colazione l’unica donna in casa, si avvicinò a loro.

<< Restate qui a pranzo? Volete che vi prepari qualcosa? >>

<< No mamma grazie, più tardi andiamo a trovare la nonna di Federico >> rispose suo figlio.

<< Salutatemela allora >> disse lasciando un bacio in fronte a entrambi.
 
 
Alle undici e mezza Livio e Federico si trovarono davanti alla porta di casa della signora Adele.

<< Ciao nonna >> disse suo nipote sorridendole.

<< Bentornato tesoro, vieni entra >> mentre stava richiudendo la porta, il moro la fermò.

<< Aspetta nonna, c’è anche Livio >> la persona in questione entrò in casa richiudendosi la
porta alle spalle.

<< Signora >> disse sorridendole cordiale.

<< Oh entra caro, è da molto che non ci vediamo >> asserì facendoli accomodare in sala da pranzo.

<< Siete in anticipo per il pranzo >> dicendo ciò Adele iniziò ad apparecchiare, aiutata da suo
nipote.

<< Lo sappiamo nonna ma volevamo stare un po’ con te >>.

<< Che pensiero dolce ragazzi >> sorrise nuovamente.

Passarono una decina di minuti a parlare del più e del meno e l’anziana signora costatò con suo immenso sollievo che i due giovani uomini di fronte a lei avevano fatto pace.

Tutti e tre furono risvegliati da quell’atmosfera di pace e tranquillità dal suono del citofono.

<< Stai aspettando qualcuno nonna? >> domandò Federico incuriosito.

<< In realtà sì, oggi doveva venire l’idraulico per sistemare un problema in bagno, però non
pensavo venisse adesso >>.

<< Lo faccia entrare lo stesso, così terminerà prima il lavoro >> propose Livio.

Adele senza rispondere, andò ad aprire la porta.

<< Nonna si può sapere cosa hai combinato stavolta? Ti prego non mi dire che hai rotto di nuovo il lavandino della cucina…e poi perché continui a chiamare me? Io non sono un idraulico e lo sai >> nel frattempo suo nipote Marco era comparso davanti a lei.

<< Quanto ti lamenti, sei fastidioso a volte sappilo. Ti ho chiamato perché ho un problema con lo scaldabagno e poi anche se non è il tuo lavoro, te ne intendi lo stesso, mi fido più del tuo giudizio che di gente che non conosco >> asserì sua nonna.

<< Ti prometto che ti presenterò un idraulico in gamba che conosco dai tempi del liceo. Ora fammi entrare >>.

<< Aspetta un momento qui, non ti muovere >> il nipote conoscendo la donna decise di assecondarla.

Adele tornò in sala da pranzo, prese una borsa della spesa, il portafogli e si avvicino al ragazzo
con le lentiggini.

<< Livio caro, ho dimenticato di prendere delle cose per il pranzo, ti andrebbe di accompagnarmi al mercato? >>.

<< Volentieri signora >> rispose alzandosi e avvicinandosi alla donna.

<< Vuoi che ti accompagni anch’io nonna? >>.

<< No Fede tranquillo, piuttosto potresti restare qui con l’idraulico? >> l’anziana fece un enorme sorriso al moro.

<< D’accordo vi aspetto qui e buona spesa >>.

<< Grazie >> rispose semplicemente la nonna, cercando di uscire il più velocemente possibile
di lì e portandosi appresso l’ignaro Livio.

Una volta fuori sul pianerottolo, Adele spinse dentro Marco e chiuse la porta di casa, sotto gli occhi allibiti del ragazzo accanto a lei.

<< Q-quello non era Marco? >> disse indicando la porta.

<< Era proprio lui, ora, però non abbiamo tempo per le spiegazioni. Andiamo a fare la spesa,
te ne parlerò più tardi >> rispose prendendolo per il polso destro e iniziando a scendere le scale.

Livio sempre più allibito seguì la donna in silenzio.
 


Marco delle volte, sua nonna non la capiva proprio, quella donna era fuori da ogni tipo possibile di comprensione.

Posò la sua borsa degli attrezzi e la valigetta all’ingresso, incamminandosi verso il soggiorno.

Stava camminando tranquillo verso il bagno quando, notando qualcosa d’insolito, tornò indietro.

In soggiorno si ritrovò di fronte suo fratello.

In quell’istante ebbe la conferma che sua nonna era un genio e che lui non aveva mai capito nulla.

<< Non è possibile! >> imprecò Federico, passandosi una mano tra i capelli scuri, scompigliandoli.

<< Perché sei qui? Dannazione! >> continuò mentre camminava per la stanza cercando di
calmarsi.

<< Io non c’entro nulla, è stata lei a chiamarmi per farsi aggiustare lo scaldabagno >> rispose lui, nel tono più tranquillo che conosceva.

<< A sì e da quando hai cambiato lavoro? Non eri tu quello che diceva che questi tipi di lavori sono troppo manuali per uno come te >> il moro stava davvero facendo fatica a mantenere la calma.

<< Non l’ho mai cambiato, è sempre rimasto quello. Sì, l’ho detto ma avevo diciotto anni ed ero stupido e inoltre questo non vuol dire che non mi piaccia >> ribatté Marco.

<< Basta io me ne vado >> stava per prendere il suo cappotto, quando il fratello lo fermò.

<< Se nonna ci ha fatto riunire qui, ci sarà un motivo, no? >> domando il più grande dei due.

<< Bè a me non interessa Marco >> l’altro sentendo quella risposta sospirò rassegnato.

<< Quelle parole ti hanno fatto davvero così male? Hanno scavato talmente a fondo da farti cambiare quasi del tutto >> il moro trasalì.

<< Innanzitutto lasciami, seconda cosa tu che ne sai di come mi sono sentito o di quanto abbiano fatto male quelle parole, eh? Poi non è di certo a te che quell’uomo ha detto che un omosessuale non sarebbe mai potuto essere suo figlio, per dirla in maniera carina >> Federico cercò di divincolarsi dalla presa dell’altro, finché non avvertì la presa affievolirsi e poi scomparire del tutto.

<< Siediti >> disse perentorio Marco.

<< Io non sto ai tuoi ordini! >> ribatté Federico.

<< Non te lo sto ordinando, te lo sto chiedendo >> contestò categorico l’altro.

<< Allora evidentemente non sta funzionando >>.

<< C’è una cosa di cui voglio parlarti, prima ascoltami e dopo se vorrai, te ne puoi anche andare >> rispose lui.

Il moro guardò per un momento suo fratello. Non si assomigliavano molto, uno aveva preso più dal padre e l’altro dalla madre, non che lui possedesse lineamenti così femminili.

Nonostante si passassero soltanto due anni di differenza, non erano mai stati molto uniti, così diversi per carattere e costanza.

Doveva ammettere che dopotutto Marco un po’ gli era mancato, complice il rapporto che Livio aveva con i propri fratelli.

<< D’accordo, ti ascolto >> proferì andandosi a sedere sul divano.

<< Ti ricordi quando alle medie giocavi a pallavolo ed io nei tuoi stessi giorni di allenamento rincasavo tardi? >>.

<< Sì e con questo? >> domandò puntando i suoi in quelli dell’altro.

<< Dove andavo? >> non sarebbe di certo stato lui a spostare lo sguardo.

<< Dicevi sempre che ti fermavi in biblioteca a studiare e a fare ricerche, questo però cosa c’entra? >> chiese alquanto irritato.

<< Era una bugia, venivo a vedere i tuoi allenamenti, non me ne sono mai perso uno >> asserì Marco.

<< Stai mentendo! Mi prendevi sempre in giro perché giocavo a pallavolo >> affermò stizzito Federico.

<< Ti ricordi quel ragazzo che stava sempre con la felpa nera, il cappuccio e gli occhiali con la montatura nera? Bè ero io >>.

<< Impossibile, tu non porti gli occhiali >>.

<< Questo lo dici tu >> ribatté tirandone fuori un paio dalla giacca e mettendoseli.

<< Per tutti quegli anni cosa hai indossato? >> il più piccolo non ci stava capendo nulla.

<< Le lenti a contatto, gli occhiali li portavo solo a scuola >>.

<< Se eri davvero tu, saprai sicuramente come mi chiamavano i miei compagni di squadra e che ruolo svolgevo >> proferì sicuro che l’altro stesse bleffando.

<< Ti chiamavano feffo ed eri il capitano, tutti venivano da te quando avevano un problema >> con sua amara sorpresa scoprì che nessuno lo stava raggirando.

<< Dopo tutti questi anni perché? Perché? >> non voleva crederci.

<< Lo sai che papà non ammetteva proteste, non so neanche come hai fatto convincerlo a
lasciarti giocare. Non ammetteva proteste e ribellioni. Non voleva che noi t’incoraggiassimo, sperava in questo modo di farti smettere. Io non l’ho mai consideravo giusto però, così ti osservavo di nascosto e finché sorridevi in quel modo, andava tutto bene. Quant’ero ingenuo a quel tempo >> un lungo sospiro lasciò le labbra di Marco.

<< Cosa? Perché? Non capisco! >> furono le uniche cose che Federico riuscì a dire.

<< Sto tentando di dirti che non ho mai perso nessuna delle tue partite, dalla prima all’ultima, registrandole io o chiedendolo di fare a Margherita al posto mio >> rispose l’altro.

<< Come mai? >> il moro era sempre più scioccato, non capiva più se la persona davanti a lui fosse davvero suo fratello.

<< La mamma e la nonna volevano vedere le partite, però come sai anche tu, nonna non ama molto la confusione e mamma non sa mentire bene, così dopo averle filmate, portavo qui le cassette e le vedevamo insieme >> Federico spalancò le labbra.

<< Impossibile! >>.

<< L’ultima partita giocata al liceo, tu e Livio l’avete vinta 3-0 e posso dirti che avete giocato meravigliosamente. Inoltre non c’ero solo io a guardarla, quella volta vennero insieme con me anche la mamma e la nonna, lo zio, Margherita e tutta la famiglia del tuo ragazzo >>.

 Il più piccolo era allibito, seriamente.  

<< Dove sarebbero queste fantomatiche cassette? >> niente illusioni, non poteva illudersi.

<< Nel mobiletto sotto il televisore, controlla se vuoi >> espresse ciò che aveva in mente Marco.

Federico, che in quel momento non stava capendo molto, si avvicinò al mobiletto in questione e lo aprì.

Il giovane si trovò davanti agli occhi due grandi pile di cassette, tutte riportanti le date delle partite e il luogo in cui aveva giocato.

<< Mi credi ora? >>.

<< Perché solo adesso mi stai dicendo queste cose? >> in quell’istante molto tasselli mancanti nella memoria del moro stavano tornando al loro posto.

<< Quando eravamo più piccoli, non sapevo come rapportarmi a te, non avevamo un gran rapporto, crescendo poi è diventato tutto più difficile >>.

<< Mi dispiace ma ancora non ti credo, quella volta né tu né nostra madre mi avete difeso! >> lo sguardo che gli rivolse suo fratello, così ferito e terrorizzato insieme, lo fece vacillare per un istante, forse era stato troppo crudele ma la rabbia repressa non lo stava di certo aiutando.

<< Sai qual era la cosa che mi faceva andare avanti? Il fatto che nonostante la nostra incapacità di mostrare affetto, voi due sareste sempre stati al mio fianco. Quel giorno ho capito quanto fossi stato stupido >> la testa stava iniziando a fargli male, lui odiava mettere in mostra le proprie emozioni.

<< Non importa quante volte io ti chieda scusa, tu non mi perdonerai mai. Ti devo dire ancora alcune cose, quindi ascoltami. Ti ricordi quando venni a casa tua, qualche mese dopo il tuo ritiro e tu mi hai sbattuto la porta in faccia >>.

Federico fece si con la testa.

<< Il problema è che tu non hai mai capito il perché della mia visita. L’ultima partita che hai giocato l’ho vista dal vivo e se ti stai domandando come facevo a sapere che sarebbe stata l’ultima, la risposta è la famiglia di Livio. Quando è finita e vi siete messi in fila per il saluto, per un attimo il tuo viso si è adombrato, come se qualcosa di pesante ti stesse corrompendo l’anima, ho avuto paura per la prima volta in vita mia. In quel momento non stavi sorridendo, perfino quando papà ti ha cacciato, hai sorriso beffardo a quella difficoltà. In quel momento ho capito che dovevo parlati >> Marco riprese fiato prima di continuare.

<< Non ci sono stato quand’eri più piccolo e quel giorno ho capito che non potevo continuare ad agire così, osservarti da lontano non era più una possibilità sostenibile >> per tutto il tempo non aveva fatto altro che fissare gli occhi dell’altro.

<< Il tempo non cancella le ferite e le cicatrici restano, il dolore non scompare e rimane lì >> la sua risposta fu glaciale.

<< D’accordo ma se lo ignori e non lo affronti, il dolore nel tempo continua a crescere trasformandosi in altro e questo è anche peggiore >> Federico sbuffò.

<< Senti Marco, ti conosco quel poco per sapere che c’è qualcos’altro che devi dirmi. Avanti sputa il rospo >>.

<< Non mi presentai subito da te perché prima dovevo risolvere delle questioni. Innanzitutto chiesi a Margherita di sposarmi e poco dopo ho discusso a lungo con nostro padre su tutto ciò che non mi è mai andato bene del suo comportamento, come lui faceva con noi >> il moro a
quel punto era seriamente sbalordito.

<< Che cosa hai fatto tu? Sei sposato quindi? Eh? >> un fiume di domande investì il più grande.

<< Sì, sono sposato e ho anche una figlia. Sì, l’ho fatto e da allora non ci parliamo più, nemmeno la nonna gli rivolge la parola. Quando sono venuto da te, oltre a accertarmi delle tue condizioni volevo chiederti di farmi da testimone e volevo invitare anche Livio con la sua famiglia >> si passò una mano tra i capelli scompigliandoseli.

Federico era semplicemente esterrefatto, per colpa di quell’uomo si era perso il matrimonio di
suo fratello e non aveva mai visto sua nipote, si sentiva così furioso.

<< Lei sa di me? Come si chiama? Quanti anni ha? >>.

<< Si chiama Alessandra e ne ha quattro, è nata dopo due anni di matrimonio. Sì sa di te, Margherita su suggerimento della mamma, ha attaccato delle nostre foto sui muri della casa, così la bambina vedendole non ha fatto altro che porre domande, finché non le ho risposto >> dopo aver confessato quella cosa, si voltò dando le spalle al fratello.

<< E’ inutile che ti menta ancora, da quel maledetto giorno non hai mai smesso di mancarmi, i ricordi a volte diventavano difficile da sopportare, tanto che alla fine ho preso l’ultima foto che ti ho scattato e l’ho messa nel portafogli. Da allora viene sempre con me >> la situazione per quanto complessa, si stava facendo imbarazzante.

<< Mostramela, ho bisogno di vederla >> Marco ubbidì a quella richiesta, tirando fuori la foto e porgendogliela.

Dopo averla presa in mano e osservata per alcuni istanti, il moro si accorse che era la stessa foto che Livio teneva nel suo album. Ovvero la foto che era stata scattata in quella foto, qualche giorno prima del loro dell’esame orale.

Col tempo alla fine aveva dovuto ammettere a se stesso che Marco gli mancava, soprattutto la sua testardaggine e la voglia di aver sempre ragione. Gli mancavano i suoi sorrisi rassicuranti nel momento del vero bisogno e il suo modo strano di arricciare il naso quando qualcosa non gli piaceva.

In uno dei suoi periodi più brutti avrebbe tanto voluto lì con lui e lui sarebbe voluto essere stato a quel matrimonio.  

<< Aspetta un momento…hai detto testimone? Nostro padre non te lo avrebbe permesso >> nella sua mente un’idea si stava formando ma non voleva aggrapparcisi.

<< Non l’ho voluto e quando ha sentito che ti volevo chiedere di essere il mio testimone non ha più insistito per venire, è stato meglio così >> la teoria si era rivelata giusta.

<< La mamma? >> faceva male pronunciare quella parola, tanto da fargli venire il mal di stomaco.

<< Allora, mettiti bene in testa che nessuno di noi parla più con lui. Non lo faccio io, non lo fa la nonna come la mamma e gli zii, per giunta Alessandra non l’ha mai più voluto incontrare da quando una volta l’ha terrorizzata con il suo sguardo >> era incredulo, alla fine la sua famiglia aveva preso le sue difese.

<< Rispondimi! >> doveva sapere a tutti i costi.

<< Un anno dopo che ti sei trasferito ha chiesto il divorzio ed io l’ho convinta a riprendersi la sua azienda giacché l’ha fondata lei. In seguito è venuta ad abitare un paio di mesi con me e poi dalla nonna, comprandosi infine un piccolo appartamento molto grazioso. Sapessi quanto le manchi >> non avrebbe dovuto chiedere.

Imprecò a bassa voce << Perché non è venuta da me se le manco? >>.

<< Sapeva come me di non poter chiedere il tuo perdono, si è sempre sentita in colpa per non essere riuscita a trasmetterti il suo amore. Non è venuta per lo stesso motivo per cui tu non sei tornato >> fu la risposta secca e chiara di suo fratello.

<< Voglio vederla ora! >> delle gocce salate iniziarono a rigare il volto di Federico.

<< D’accordo >> rispose Marco sicuro che ormai le cose si sarebbero aggiustate e non avrebbe mai finito di ringraziare sua nonna per tutto quanto. 

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Capitolo 12
*** 12. Uno scontro che sa di abbraccio ***


Eccomi di nuovo qui a rompervi le scatole xD.
Lo so, sono una persona imperdonabile.E' passato praticamente un mese dall'ultimo aggiornamento ma l'università una vita sociale non te la fa avere. Mi scuso per l'unica parolaccia che troverete, ma penso che nel caso in cui l'ho usata fosse necessaria. Alla fine avrei voluto mettervi anche l'incontro tra Federico e suo padre ma il capitolo sarebbe stato troppo lungo. Lo leggerete al prossimo aggiornamento e spero che non passi un'altra eternità.
Vi lascio alla lettura.

Giulia.


12. Uno scontro che sa di abbraccio:


La signora Adele stava passeggiando tranquillamente per le strade quel quartiere intenta a raggiungere il mercato, con Livio sottobraccio.

<< Sono sicura che in questo momento avrai tante domande da pormi, vero? >> asserì la donna sorridendogli.

Il ragazzo sembrò rifletterci un attimo sopra e poi prese fiato << Perché? >>.

<< Sai Livio, potrà sembrare strano ma sono sicura che quei due si vogliano ancora molto bene, sono solo troppo testardi e orgogliosi per ammetterlo >> rispose tranquillamente la donna.

<< D’accordo ma… >> lei non gli permise di terminare la frase.

<< Pensi che possano picchiarsi? >> domandò.

<< Sì ma non è solo questo. Per esempio lei aveva già progettato tutto ciò? >> chiese un po’ a disagio.

<< Può sembrare il contrario ma no, non ho progettato nulla >> replicò la donna.

<< Allora perché proprio oggi? >> Livio continuava a essere ancora preoccupato.

<< Va bene, affronteremo adesso il discorso – si guardò un momento intorno scovando una panchina vicino a loro – vieni sediamoci qui >> disse trascinandolo.

<< In salotto su uno dei tanti mobili si trovano le foto dei miei adorati nipoti. L’altro giorno mentre stavo sorseggiando del thè sul mio adorato divano, ho visto Federico osservare le immagini nelle cornici, una in particolar modo. La foto raffigurava i due il giorno del nono compleanno di Marco. Quel pomeriggio i loro genitori avevano organizzato una piccola festicciola nel giardino di casa loro e noi c’eravamo riuniti tutti lì. Ora, tu conosci la repulsione di Federico per le foto, giusto? >> chiese la donna.

Livio fece si con la testa.

<< Anche Marco ne era a conoscenza, tanto che si avvicinò al fratello di sorpresa, passando un braccio intorno al suo collo facendolo girare insieme con lui e dicendomi: “Nonna scatta ora!”. In quella foto sembravano così felici e uniti. Federico ieri ha passato venti minuti a osservarla in religioso silenzio, passandovi la mano sopra diverse volte. Il suo sguardo era così afflitto e triste che non ho avuto dubbi. Suo fratello davanti a quell’immagine ha avuto la stessa reazione, così ho deciso che i miei nipoti si sarebbero dovuti rivedere. Purtroppo orgogliosi come sono senza uno stimolo da parte mia, non si sarebbero mai parlati >>.

Livio ascoltando le parole della signora capì perfettamente di cosa la donna stesse parlando.

Un suono catturò l’attenzione del ragazzo.

<< E’ un messaggio di Marco, mi ha scritto che stanno andando da Maria Grazia >>.

La signora Adele sospirò.

<< Bene, finiamo di fare la spesa, portiamola a casa e poi raggiungiamoli >> disse alzandosi dalla panchina.

 
 

Dopo aver telefonato a sua madre, Marco mandò un messaggio a Federico scrivendogli che sarebbero andati a casa della donna.

Dopo aver guidato per una mezz’oretta, giunsero a casa della madre.

Dopo aver cercato il parcheggio e averlo trovato a due incroci di distanza da casa della donna, si trovavano adesso di fronte al citofono del vecchio edificio in mattoni rossi.

<< Citofona >> disse il più grande.

<< Io non ci penso proprio fallo tu! >> ribatté Federico.

<< Certe cose non cambiano mai eh, d’accordo >> Marco sospirò.

Attesero un paio di minuti prima di ricevere risposta.

<< Si chi è? >> notarono entrambi che la sua voce non era cambiata negli anni, al citofono risultava ancora leggermente acuta.

<< Sono io mamma >> rispose il figlio maggiore.

<< Oh Marco, ti apro subito >> poco dopo si sentì lo scatto della serratura del portone.

Mentre Marco stava salendo tranquillamente per le scale, Federico gli stava arrancando dietro salendo uno scalino alla volta.

La casa di Maria Grazia si trovava al settimo piano e loro erano soltanto al terzo.

Preoccupato il più grande tra i due fratelli, aspettò il più piccolo sul pianerottolo del quarto piano.

Il moro sfinito, non tanto per la per la stanchezza fisica più per quella morale, prese la mano di suo fratello e la strinse.

L’altro senza dire nulla ricominciò a salire le scale.

Federico non voleva essere trascinato, ciò che stava cercando da lui era il sostegno morale. Quel momento a Marco stava facendo tornare in mente tanti ricordi. Come quella volta che loro stavano giocando a rincorrersi e il secondogenito era caduto sbucciandosi un ginocchio. Per tutto il tragitto dal parco a casa, il più piccolo non aveva mai lasciato la sua mano.

<< Eccoci arrivati al piano di mamma >> a quel punto lasciò andare la mano del fratello ed entrò in casa, trovando sua madre all’ingresso.

<< Fatti abbracciare Marco >> le braccia di Maria Grazia cinsero la schiena del figlio più grande.

Lui ricambiò l’abbraccio.

<< Come mai sei venuto a trovarmi oggi? Non eravamo rimasti d’accordo che chi saremmo visti martedì con tutti? >> domandò lei, andando a chiudere la porta dell’abitazione.

<< Aspetta non chiud…>>.

<< Ahia mamma! Non mi sbattere la porta in faccia >> protestò il moro.

Lei sentendo quelle parole la riaprì subito, trovandosi di fronte

Federico che si stava massaggiando la fronte con la mano sinistra.

Non poteva crederci lui era proprio lì di fronte a lei.

<< Posso entrare? >> chiese il ragazzo.

<< S-sì certo, entra pure >>.

<< Bene ora che siamo giunti a destinazione e vi siete incontrati, posso andare tranquillamente a prendere qualche pezzo di pizza che ho una fame, ve ne porterò qualcuno anche a voi >> stava per uscire da casa, quando si sentì trattenere.

<< Federico andrà tutto bene, il primo passo lo hai fatto. Ora ascolta ciò che ha da dire la mamma >> l’altro poco convinto lasciò la presa
sul polso destro del fratello.

Lasciandolo così libero di uscire.

Lui seguì la donna in soggiorno.

Sua madre non era molto alta e lui l’aveva già superata intorno ai quindici anni. I suoi capelli erano neri molto lunghi, legati sempre in una crocchia disordinata. Aveva la pelle chiara e gli occhi neri, con un sorriso che trasmetteva sempre sicurezza. Quanto gli era mancato. Sua madre inoltre profumava sempre di rose e gelsomino.

<< Perché non mi sei mai venuta a trovare? >> non voleva più aspettare, era passato troppo tempo.

<< Diretto come sempre. Sono felice di vedere che non sei cambiato poi molto >> rispose lei.

<< Rispondimi >> la sua voce nascondeva una supplica, che Maria Grazia colse immediatamente.

<< Va bene, però sediamoci sul divano >> ribatté lei.

<< D’accordo >>.

<< Non sono mai venuta a trovarti per lo stesso motivo per il quale tu hai evitato tuo fratello >> asserì l’interessata.

<< Non capisco >> affermò lui.

<< Quando qualcosa ti traumatizza seriamente, tu tieni tutti a distanza per avere il tempo di superare lo shock a modo tuo e andare
avanti. Noi abbiamo tradito la tua fiducia, abbiamo rotto quel legame già molto fragile. Inoltre io quel giorno non ti ho difeso, non che prima l’avessi fatto spesso, però quella volta sarebbe stata fondamentale, dovevo farti capire che ero dalla tua parte. Dopo quell’evento non avevo più il diritto di chiederti scusa >> dichiarò sua madre a cuore aperto.

Avevano appena iniziato a parlare e lui già non ce la faceva più.

<< Se l’avessi fatto, io ti avrei ascoltato e poi perdonato >> sua madre era stata la persona che gli era mancata di più.

Spesso negli anni aveva composto il numero di casa per sentire la sua voce. Faceva partire la chiamata e appena qualcuno rispondeva attaccava, iniziando poi a piangere. Erano le uniche volte che lo faceva, all’oscuro da Livio. Non glielo aveva mai detto, altrimenti il suo fidanzato l’avrebbe sicuramente convinto a tornare a casa.

<< Come hai fatto con tuo fratello quella volta? >> domandò sua madre.

<< Dopo averlo mandato via, me ne sono pentito, non immagini quanto.

In quel periodo avrei voluto averlo accanto a me, con te >> rispose lui distogliendo lo sguardo.

La donna si addolcì andando a stringere le mani di suo figlio tra le sue e accarezzandole.

<< Va tutto bene Federico, ora siamo qui e non ci lasceremo più dividere. Inoltre voglio che tu sappia che ti accetto così come sei, pregi e difetti, non cambierei una sola virgola in te. Sono fiera di ciò che sei e dei traguardi che hai raggiunto da solo. Le uniche cose che mi dispiacciono sono che non ho potuto assistere alla discussione della tua laurea l’anno scorso e non aver mai visto una tua partita dal vivo >> rivelò lei iniziando a singhiozzare.

Il ragazzo la abbracciò di slancio, tenendola stretta a sé.

<< La cosa più importante è sapere che tu mi accetti per come sono. Ho scoperto che comunque le hai viste tutte, dato che Marco le ha registrate, so che le ha viste anche nonna. Poi se ci tieni tanto a vederlo, Livio ha registrato il mio discorso >> disse accarezzandole i capelli.

<< Era il nostro segreto! Quando lo rivedo tuo fratello, mi sentirà. Sì, lo voglio vedere >>.

La staccò da lui e le asciugò le lacrime che le rigavano il volto.

<< Voglio dirti una cosa riguardo tuo fratello. Subito dopo che sei uscito da casa Marco ha dato un pugno a vostro padre, scappando poi da casa. Non si fatto vivo per due mesi, tornò solo per prendere le sue cose e trasferirsi. Ho saputo solo in seguito che per un periodo lasciò l’università per mettere da parte i soldi per vivere da solo, stando nel frattempo dalla sua fidanzata >> il più piccolo sgranò gli occhi.

<< Davvero? >>.

<< Sì e tuo padre ti ha anche scritto una lettera, tuo fratello l’ha
già ricevuta, anche se non so se effettivamente l’abbia letta >> quella rivelazione lo sconvolse.

<< Non la voglio leggere! >> non voleva ricevere altri insulti da suo padre.

<< Sono sicura che non ci sia scritto nulla di terrificante >> disse tirandola fuori da una piccola scatola appoggiata sopra un tavolinetto basso, che si trovava accanto al divano.

<< Non so se posso farcela >> rispose suo figlio prendendola.

<< Sì che puoi, tu sei forte abbastanza da sopportare le parole scritte lì sopra >> la donna gli accarezzò la testa.

Rincuorato da quelle parole, si rannicchiò meglio sul divano e la aprì.

“ Caro Federico,
Lo so che non ho nessun diritto di scriverti questa lettera. Le cose che ti ho detto quel giorno non hanno nessuna scusante. Non avrei dovuto dirtele. Non ti ho dato nemmeno la possibilità di spiegarti, non ti ho ascoltato. Non l’ho mai fatto. In questi anni quelle parole mi hanno corroso dentro, sono state il mio tormento, le mie uniche compagne di vita. Tuo fratello mi ha persino tirato un pugno quel giorno, non l’avevo mai visto così furibondo. Potrà non dimostrartelo, però tiene molto a te. Non te l’ho mai detto ma ti voglio bene e ho capito quanto foste importanti per me quando vi ho perso. Marco non mi ha voluto al suo matrimonio e tu probabilmente non mi vorrai più vedere. Questa è la punizione che mi merito, me la sono scelto da solo, con le mie stesse mani. Vorrei chiederti solo una cosa, poi non mi sentirai più. Vorrei vederti un’ultima volta per accertarmi che nonostante le mie parole tu sia andato veramente avanti.
                                                                                                              Papà”.


<< Quel maledettissimo bastardo! >> imprecò accartocciando il foglio che teneva tra le mani.

Sua madre che nel frattempo si era alzata per andare a preparare del tè in cucina, vide suo figlio precipitarsi di corsa alla porta di casa.

<< Federico dove stai andando? >> urlò per farsi sentire.

<< Da quell’uomo. Voglio chiudere questa faccenda in modo definitivo! >> disse sbattendo la porta dell’abitazione. 

 

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