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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Capitolo I: The Nest Syndrome *** Capitolo 2: *** Capitolo II: Dragon & Pendragon *** Capitolo 3: *** Capitolo III: Becoming a Queen (Parte I) *** Capitolo 4: *** Capitolo IV: Becoming a Queen (Parte II) *** Capitolo 5: *** Capitolo V: The Sorrows of Young Arthur *** Capitolo 6: *** Capitolo VI: The First One - (Don't) knock on the door - *** Capitolo 7: *** Capitolo VII: The Mark of Destiny (Scar Love) ***
Come alcuni di voi sanno, da quasi un mese sono separata dal
mio amato piccì, maoggi è il 5°
compleanno di Linettee, pur facendo i salti
mortali, ci tenevo ad aggiornare.
Il regalo che vi propongo per festeggiare
questa ricorrenza è il seguito della mia bimba virtuale: The He in the She 2: La Raccolta.
So di averlo già spiegato molte volte, ma ho scoperto che
alcuni utenti non ne erano al corrente. Quindi…
Il seguito di Linette, già in
parte scritto, è una raccolta e non una long-fic.
Ho adottato questa scelta perché i capitoli avranno
lunghezza variabile e non seguiranno una precisa sequenza cronologica (quando
i capitoli saranno collegati, sarà specificato di volta in volta).
In essa, si riempirà il buco
temporale tra il ritorno di Merlin-maschio e la sua ri-trasformazione, missingmoments di questi 3 anni prima dell’epilogo, cose che avevo
eliminato nella storia di Lin.
Avremo dei whatif, degli spin-off, side story e avventure con Merlin-maschio e Arthur; capitoli sul Merthur
vero e proprio, e su come è stata fatta la scelta di
ritrasformarsi e la sua attuale descrizione fisica (per ovvie ragioni, la
regina non può assomigliare a Linette).
Ovviamente, però, ci sarà un sacco di futuro, perché la
dinastia dei Pendragon ci attende! ^_=
(Nel complesso, pochissimo angst, quintali di fluff, ironia e comicità).
Credo sia doveroso specificare che non metterò
l’avvertimento Mpreg, poiché Merlin è diventato
biologicamente donna, ma resta una Mpreg spirituale
per ovvi motivi (vedi trama cap. 90).
Linea temporale: qualche
mese dopo il matrimonio.
Dedico questo nuovo inizio a quanti hanno amato MerLin.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She 2
La Raccolta
Capitolo I:
The NestSyndrome
Il re di Camelot entrò nei propri appartamenti,
ma si arrestò bruscamente sulla porta.
Sembrava che nella stanza
fosse passato un tifone: secchi d’acqua, spazzoloni, spugne, stracci, vestiti
ammonticchiati…
“Merlin?!” Arthur guardò le gambe del proprio consorte che
spuntavano da sotto il baldacchino.
Il mago sussultò,
spaventandosi. Lo si capì dal movimento scattoso dei piedi. “Sì?”
“Merlin! Ma che diamine stai fa-” Il
nobile gli corse incontro, cercando in qualche modo di raccapezzarsi o di
aiutarlo.
La regina di Camelot riemerse lentamente dall’angusto
spazio, risollevandosi a fatica e tenendosi l’enorme pancione prominente.
“Oh, niente, niente!” rispose, sventolando una mano a mezz’aria con
espressione noncurante. “Stavo solo pulendo la nostra camera!”
“Tu… cosa?”
“Pulivo. La. Camera”, scandì, come se stesse parlando con un idiota.
“Questo l’avevo
intuito, ma me ne chiedevo la ragione!” s’alterò il
re. “In tanti anni, non hai mai pulito le mie stanze decentemente! E ti ci metti ora, ora che
dovresti solo riposare?!”
Merlin sollevò un sopracciglio,
offeso.
“Forse dovrei farmi
stipendiare come allora”, ponderò, provocatorio. “Nh. Meglio di no, mi pagavi una miseria”.
Arthur boccheggiò,
temendo che l’altro fosse davvero impazzito.
“Tesoro, ma sei sicuro di stare bene?!” ripeté,
avvicinandosi a lui preoccupato.
“Sì, certo!” replicò il
mago gioioso. “Manca ancora mezza luna al parto!”
“E
questo… questo. Che significa?” Il sovrano allargò le braccia come
a contenere l’intero caos.
“Avevo voglia di
muovermi e di riordinare. Così l’ho fatto”.
“E ti sembra normale?
Nelle tue condizioni? Dov’è finito Malcom?”
“Gli ho dato il
pomeriggio libero. Mi stava assillando”.
“Oh, e chissà
perché!” ironizzò Arthur, incrociando le braccia. “Ora tu ti cambi quegli abiti
sporchi e ti rimetti a letto e riposi un po’. D’accordo?”
“Manco per idea!”
La vena sulla tempia
del nobile Somaro pulsò in modo preoccupante.
“Merlin…”
sibilò, come faceva un tempo mentre stava per perdere la pazienza, oppure
quando il valletto reale ne aveva combinata una delle sue.
“Le lenzuola vanno
cambiate, Amore”, lo rabbonì il mago, accarezzandogli una guancia con la mano
impolverata, ma il sovrano non se ne curò.
“Allora chiamo due
serve”.
“Faccio da me…” gli
spiegò Merlin, sciacquandosi le dita in un catino e andando a passo pesante
verso il canterano.
Peccato che le lenzuola fossero nel cassetto più basso e lui non
riuscisse più a chinarsi fin laggiù.
Al terzo tentativo
inutile, lanciò uno sguardo supplice al consorte.
Arthur sbuffò, ma si
avvicinò e le prese al posto suo. “Ecco”.
Il sorriso di Merlin,
mentre lo ringraziava, gli fece mancare un battito.
Il re si schiarì la
gola tossicchiando. “Perché non… ti limiti a giocare un po’ con la magia? Come passatempo…”
“È troppo instabile.
Ho la testa in subbuglio e anche il corpo. Potrei anche distruggere Camelot per sbaglio”.
Re Pendragon trasalì. “D’accordo. Niente
magia, per carità”.
“Infatti”,
concordò Merlin, spazientito. “Sto usando le mani, come puoi ben vedere”, replicò
brusco, incalzandolo poi. “Ti muovi con quelle coperte?”
Sua Maestà scattò
come un valletto, dandosi da fare laborioso.
“Hai visto Gaius?”
s’informò, circumnavigando le colonne del baldacchino per mettersi di fronte
all’altro e aiutarlo nella sostituzione della biancheria.
“Mi ha visitato due
ore fa”, rispose lo stregone, infilando uno dei cuscini in una nuova federa.
“Dice che ho la ‘Sindrome del Nido’”.
“Ed è grave?!” Arthur trattenne il respiro. Merlin scoppiò a ridere.
“Lo diventa quando ti
ostini a voler spolverare ogni ampolla del laboratorio del medico di Corte!”
Arthur pensò che sì,
il suo compagno era definitivamente andato.
E boccheggiò
sconvolto.
“Mi ha vietato di
provarci. Temeva che gli fracassassi tutto quanto”, gli
raccontò colpevole. “Così sono andato nelle stalle, ma non hanno voluto
sentir ragioni…”
“E vorrei ben
vedere!”
“… e poi nelle cucine”,
continuò Merlin, come se non fosse stato interrotto, “chiedendo di lavare i
piatti…”
Il re si sbatté una
mano sul viso, sgomento.
“… ma la capocuoca
era così agitata che ha quasi bruciato il pranzo e allora ci ho rinunciato…”
“E sei venuto qui a mettere a soqquadro la camera”.
“Ehi!” sbottò
risentito. “Stavo rassettando!”
“Sì, certo”,
confermò, sarcastico. “E quanto dura questa… Mania del Nido?”
“Aumenta con
l’avvicinarsi del parto”.
Il futuro padre inspirò
rumorosamente. “E il tuo livello com’è?”
“Gaius crede che il
piccolo nascerà prima del previsto”, gli rivelò, accarezzandosi il pancione.
“Fra qualche giorno, al massimo… o fra qualche
ora”, bisbigliò, calando sul finale.
“Oh, fantastico!”
Arthur si grattò la fronte, pensieroso. “Non è che adesso decidi che senti il bisogno irrefrenabile
di un giro a cavallo o che ti manca tua madre…” – perché lui avrebbe preferito
andare in guerra, piuttosto che rivedere l’amata suocera.
Oh, sì.
Hunith si era dimostrata una suocera modello, fino
a quando non le aveva spiegato che aveva messo incinto il suo bambino. Allora le cose era un po’ cambiate e
l’adorabile signora era diventata un po’ meno adorabile.
– “… Tu non vuoi emigrare su una scopa a Ealdor,
vero?”
Merlin ghignò
divertito. “Ma che asino che sei!”
Arthur prese la
risposta come un gesto incoraggiante e si rilassò.
“Mia madre arriva domani. Non te l’avevo detto?”
E Arthur sbiancò.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono
le mie paranoie. X°D
Note: The NestSyndrome si traduce con “La Sindrome del Nido” e
colpisce comunemente le donne all’ultimo stadio della gravidanza. Si tratta, in
pratica, dell’urgenza febbrile che prende le future madri di sistemare al
meglio la casa per l’arrivo del nuovo cucciolo.
Poiché è una cosa istintiva, non andrebbe repressa. (Rientra nell’istinto materno del mammifero, serve a creare
un ambiente sano e confortevole al nascituro).
Gli Esperti credono che la sindrome del nido, che colpisce
le donne incinte, sia causata da fattori biologici ed
emotivi. Durante la gravidanza gli ormoni sono rivoluzionati e possono far
agire in maniera diversa dall’abituale. È uno dei sintomi più divertenti
dell’essere incinta, anche se il partner potrebbe non trovare tanto divertente
la terza volta che viene riorganizzato l’armadio in
una settimana!
Ridipingere la casa, per esempio, oppure fare le pulizie di primavera fuori
stagione, è uno degli istinti più comuni e una delle
attività che si svolgono maggiormente durante questa fase.
Per chi ha letto la mia fic “Waitingforyou”
al capitolo 10 c’è un riferimento al ‘nido’ che Aithusa deve costruire per partorire i suoi cuccioli.
Bene. Volevo solo
ringraziare tutti quelli che mi hanno lasciato un parere sul finale di Linette. Sono davvero felice che la mia scelta vi sia
piaciuta!
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Eccoci al secondo capitolo della
raccolta-seguito. ^^
Come ho già spiegato nella premessa generale, salteremo
avanti e indietro nel tempo, ma darò sempre un’indicazione temporale per farvi
raccapezzare.
Dopo la fine del capitolo, ho inserito un piccolo omake. Per quelli
che non lo sanno, è un termine giapponese che indica un extra o bonus rispetto
all’opera principale. Diciamo che è un regalino.^^
Linea temporale: qualche
giorno dopo la morte di Uther. (Rif.
Cap. 90).
Dedico questo nuovo inizio a quanti hanno amato MerLin.
A quanti hanno scelto di
continuare il viaggio con me.
A chi ha recensito il
precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano,
a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A DevinCarnes, chibimayu, elfinemrys, Rosso_Pendragon,
Semiramide_, Merlin Pendragon,
chibisaru81, Sana e Akito, Melipedia,
maar_jkr97, Sheireen_Black22, Iwannalive_inadream,
YukiEiriSensei, Burupya, Sofia_Ariel, saisai_girl, Reika_Stephan, mindyxx, Orchidea
Rosa, marydel e principessaotaku97.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She 2
La Raccolta
Capitolo II:
Dragon & Pendragon
Le scale apparivano buie, ripide, dannatamente viscide e
Arthur si chiese, una volta ancora, perché si fosse fatto convincere da
quell’idiota di Merlin. Poi lanciò uno sguardo di sottecchi alla schiena del
suo amante, pochi passi avanti a lui, e le rimostranze gli morirono in gola. Sapeva che questa cosa andava fatta, ma ciò
non facilitava certo il suo compito e non poteva impedirsi di sentire lo
stomaco stringere in una morsa d’ansia e nervosismo.
Era la stessa sensazione sgradevole che aveva provato la
prima volta che era finito laggiù, tre anni prima, pochi
giorni dopo aver rotto la maledizione di Linette, ritrasformando la sua
valletta in uomo.
A quel tempo, aveva bellamente ignorato l’esistenza di un
passaggio segreto che conducesse in questa zona dei sotterranei del castello.
Come principe, e Capo delle Guardie, si era sempre vantato di conoscere a
menadito ogni anfratto di Camelot,
ma era stato evidentemente manchevole almeno su questo punto.
Quando Merlin gli aveva riferito dell’esistenza di un drago
incatenato nelle viscere del maniero, per poco non gli aveva riso dietro, salvo
poi ricredersi, nel momento in cui si era ritrovato faccia a
faccia con il bestione, nient’affatto propenso ad intrattenere i suoi
ospiti improvvisati.
Da quell’assurda riunione, il nobile Pendragon
ne era uscito lievemente affumicato, con un grosso mal di capo e un’infinità di
predizioni e frasi astruse su cui meditare – ordini del dragone –, di cui aveva
effettivamente afferrato il significato solo per una minima quantità.
Merlin, che era parso avvezzo a tale trattamento, lo aveva
consolato a dovere, una volta che avevano fatto
ritorno negli appartamenti reali e si erano cambiati gli abiti puzzolenti di
muffa e fuliggine – colpa di quella
stupida lucertola malcresciuta e della sua fantastica
idea di sbuffargli addosso! – e finalmente Arthur si era reso conto che no,
la bestiaccia non se l’era cotto e mangiato come spuntino, e che sì, aveva
ancora tutti gli arti al loro posto. Tante
grazie.
Ma ora… ora la
questione era molto più complessa e i risvolti della
faccenda potevano diventare drammatici se non li avessero trattati
adeguatamente.
Come erede al trono, egli era stato educato a rapportarsi
con i suoi pari, nobili d’alto rango o Signori della Guerra, ma le creature
magiche erano una faccenda lievemente fuori dalla sua giurisdizione
tradizionale.
Almeno aveva al suo
fianco quello che le antiche profezie avevano definito
“Il Più Grande Mago Mai Apparso Sulla
Terra” e qualcosa voleva pur dire, no?
Arthur inspirò dal naso e si fece forza, mentre stringeva un
po’ più la torcia che teneva in mano e completava gli ultimi gradini prima del
travagliato arrivo.
Forse percependo la sua ansia, Merlin gli rivolse un sorriso
che sapeva per metà di scusa – come a dire che anche lui non era
particolarmente entusiasta di esser lì – e per metà di incoraggiamento.
“Andrà tutto bene, ved-”
“Arthur Pendragon!
Giovane Emrys!” ruggì il drago,
atterrando con i possenti artigli sull’altro lato del burrone, in una sporgenza
molto più vasta di quella dove sostavano loro. La terra tremò ugualmente
e i due uomini furono costretti a trovare appoggio sulla parete rocciosa, mente
le torce ondeggiavano pericolosamente sul punto di spegnersi.
“Kilgharrah!” lo salutò il
cavaliere, raddrizzando le spalle e imponendosi un contengo
regale. “Sono qui per onorare la mia parola!”
Merlin, al suo fianco, fece un passo avanti e, ricambiato il
saluto, prese parola.
“Siamo spiacenti di averci messo tanto per portare a
compimento la nostra promessa, ma credo capirai che
prima non è stato possibile…”
Il drago chinò il capo – segno che aveva inteso – e distolse
l’attenzione dallo stregone, per portarlo sull’attuale re di Camelot.
“Comprendo il tuo dolore, Arthur Pendragon,
figlio di Uther. Ma non aspettarti
il mio cordoglio”, precisò, con un luccichio sinistro negli enormi occhi gialli.
“Il tuo tempo di lutto è per me tempo di gioia. Il tiranno è finalmente morto”.
A quelle parole, il nuovo monarca sussultò e si irrigidì, trattenendosi a stento dal vendicare la paterna
memoria infangata. Tuttavia, la mano di Merlin sul suo braccio – silente e
prezioso conforto – e la consapevolezza che quelle parole, seppur atroci, erano in parte veritiere, lo dissuasero dal reagire.
“Egli ha causato dolore indicibile alla mia specie”, continuò
il rettile prodigioso. “A quanti possedevano la magia, a tanti innocenti che
sono periti per causa sua, in nome di una vendetta ingiusta, accecata dall’odio…”
“Sono qui per questo”, lo interruppe Arthur, stentoreo. “Per
porre rimedio agli oltraggi del passato. So che non posso riportare in vita chi
è perito né restituirti gli anni di prigionia che hai vissuto. Ma – qui ed ora – possiamo cambiare la Storia e dare inizio ad un
nuovo corso. Desidero proporti un patto, un’alleanza, o Grande Drago”, lasciò
una pausa ad effetto, prima di riprendere. “Anzitutto,
ti domando perdono a nome della mia gente, a nome dei Pendragon,
e voglio offrirti la libertà che ti spetta e chiederti che le colpe di mio
padre siano seppellite con lui”. Il re cercò la mano del suo
compagno e la strinse forte, prima di continuare: “Merlin ed io aspiriamo a
suggerirti di restare come consigliere e guida per il regno che costruiremo.
Un regno con la magia libera, la pace, la prosperità; aiutaci a costruire Albion, per dare vita alle
profezie che ci hai raccontato…”
“Quello che Arthur sta cercando di dire”, integrò il mago, a
beneficio dei presenti, “…è che vogliamo darti la possibilità di scegliere come
vivere da ora in poi, anche se noi ti vorremmo accanto.
Dopo la scomparsa di Uther, Gaius ha rotto un giuramento e ci ha rivelato l’identità di
mio padre e la sua eredità.
Ora so che nelle mie vene scorre il sangue dei Dragonlord, e sono consapevole di essere l’ultimo di loro, come tu sei l’ultimo della tua specie; per
questa ragione, mi devi obbedienza, ma non è ciò che voglio, Kilgharrah.
Sono addolorato che mio padre ti abbia tradito e costretto a
tutto questo. Egli stesso è stato ingannato a sua volta. Ma
farò ammenda. E mi farebbe piacere che tu accettassi la nostra istanza per amicizia e non per dovere. Niente più vendette, Kil. Come ha detto
Arthur, seppelliamo i morti, e le nostre ritorsioni con loro.
La decisione spetta a te: puoi scegliere di andartene e non
fare mai più ritorno a Camelot
né in queste terre, oppure puoi preferire di restare e di aiutarci con la tua sapienza
millenaria”.
Il drago tacque un istante, soppesando l’offerta. E infine
decise.
“È mio desiderio imparare nuovamente a volare… sul mare,
sulle terre – rivedere steppe, pianure, ghiacciai, deserti – e poter riassaporare
ciò che ho perduto, conoscere ancora le cose che ho disimparato…” elencò, con
il suo vocione ferruginoso. “Ma tornerò presto e vi
aiuterò. Accetto quindi la vostra offerta”.
Il re e lo stregone sorrisero soddisfatti. Poi Arthur
riprese la parola con autorità regale.
“Questo è un patto solenne”.
“Sì, lo è”, concordò il bestione, chinando il capo.
“Giuri pertanto di essere fedele e leale a Camelot e di mettere i tuoi poteri
al servizio del regno?”
“Lo giuro!” ruggì la creatura, solennemente.
“Così sia”.
Mentre l’accordo veniva siglato, il
mago sentì il legame con il drago rafforzarsi sempre più – la magia che cantava
nelle sue vene –, e a stento trattenne la commozione.
“Ora dicci come fare per riconsegnarti l’indipendenza”, lo
incalzò.
“Poiché un Dragonlord
mi ha incatenato, con l’inganno, per ordine di un re, un altro Dragonlord dovrà liberarmi, con l’aiuto di un altro sovrano.
Excalibur romperà l’incantesimo, spezzando
le mie catene, con la tua potenza magica e la forza del giovane Pendragon”.
E così avvenne che i due scesero
per il sentiero scosceso che portava nel punto in cui dei giganteschi anelli incarceravano
la zampa del rettile. Seguendo le sue indicazioni, Merlin recitò la formula adeguata
e, dalla spada prodigiosa, una luce accecante fendette l’imponente metallo,
riducendolo in briciole.
“Per esprimervi la mia riconoscenza, voglio farvi un dono, prima
di andarmene”, rese noto l’animale portentoso, frenando
a fatica la brama per la libertà appena ritrovata. “Congiungete le vostre
mani”, li sollecitò e, allorché le loro dita furono
intrecciate, alitò loro addosso un vento caldo e sovrannaturale. “È un’antica
benedizione e un’infinitesimale parte della mia saggezza. Possa essa aiutarvi,
mentre sarò lontano. E che nessuno osi mai separare le due
facce della stessa medaglia”.
“Merlin non è solo la metà della medaglia.
È il mio tutto”, lo
corresse Arthur, portando alle labbra le loro mani ancora intrecciate e baciando
il palmo del compagno.
“Oh, Asino pomposo! E tu osavi
sempre dire che io sembravo una fanciulla svenevole?!” lo canzonò con blando rimprovero lo
stregone, per rompere l’imbarazzo, anche se i suoi occhi lucidi testimoniavano
un altro sentimento, un’altra verità.
“Zitto, idiota, e accetta il complimento”, ribatté il re.
“Testa di fagiolo…”
“Andate ad amoreggiare altrove!” ruggì il drago, rimproverandoli
spazientito, nascondendo in fretta un’espressione compiaciuta come i due smisero
di battibeccare e lui spiccò il volo verso l’agognata indipendenza.
-
Fine -
Omake
Un attimo prima di lasciarli, però, il
dragone guardò indietro, verso il Re in Eterno e il Grande Emrys,
esclamando solennemente: “Ricordate sempre le mie parole, Giovani Prescelti: la
chiave per la felicità è una sola…” Poi, volteggiando dall’alto della grotta,
proclamò: “MerthurShipis the way!” E l’istante dopo era già scomparso.
“Ma…” iniziò Merlin, confuso.
“Che diamine ha detto?!” lo
interruppe Arthur.
“E che ne so!” sbottò il mago, facendo spallucce. “Ha sempre
blaterato un sacco di cose senza senso! Forse era un incantesimo, oppure una
nave… o magari aveva solo fretta… Chi può dirlo?”
“Che avesse fame?” insistette il cavaliere. “La parola era
sicuramente Sheep…”
“Beh, dopo tutti questi anni a mangiar pesce di torrente e
avanzi… Forse desiderava qualche bella pecora succulenta…”
“Speriamo non quelle dei nostri pastori, o saran dolori!”
Il servo rimuginò, grattandosi la nuca
perplesso. “Hai mai sentito parlare di una razza di pecora che si chiama
Merthur?”
“A me lo chiedi? Cosa vuoi che ne
sappia?!” saltò su il nobile. “Io sono il re, Merlin! Il bifolco sei tu!”
“E allora lucidati da
solo la tua metà della medaglia, perché stasera il bifolco dormirà da Gaius!” l’apostrofò il valletto. E con ciò, lo piantò lì e se ne
andò.
Fine
(per davvero ^_^)
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono
le mie paranoie. X°D
Note: Sì, Killy li ha praticamente sposati. XD
Ma credo che un confronto tra i pucci e il drago fosse necessario, quindi eccolo.
Arthur è un po’ svenevole sul finale, ma bisogna capirlo, poverino. Deve tenere il suo amore per Merlin
nascosto tutto il tempo – praticamente vivono la loro
relazione in clandestinità.
Solo davanti a Gaius può
sbottonarsi un po’, quindi si sente autorizzato a sviolinare il suo ammmore sbandierandolo davanti al muso del drago, visto che è stata la lucertola malcresciuta
la prima a shipparli. XD
Ah, ho fatto diventare Merlin un Dragonlord
per altre vie, poiché la mia saga si separa dal telefilm dopo la prima
stagione.
Un’ultima
cosa: principessaotaku97 mi ha regalato questa carinissima immagine di Merlin e
Linette che volevo condividere con voi:
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Eccoci al terzo capitolo della raccolta-seguito. ^^
Come ho già spiegato nella premessa generale, salteremo
avanti e indietro nel tempo, ma darò sempre un’indicazione temporale per farvi
raccapezzare.
Ho scelto di dividere l’argomento Queen!Merlin in due parti.
Questo capitolo è formato da due pezzi (con un salto di 3 mesi l’uno dall’altro), riguarda la pre-trasformazione.
Il prossimo capitolo, anch’esso formato da frammenti vari,
racconterà l’arrivo della futura regina a Camelot
e il matrimonio.
Entrambi si innestano come missingmoments all’interno
dell’epilogo di Linette (cap. 90), dopo la morte di Uther, quindi nel periodo pre/post-matrimonio.
Ah, anche se ci saranno pochissimi capitoli angst nella raccolta, questo è uno di quelli: angst e fluff, sorry.
Dopo la fine del capitolo, ho inserito un piccolo omake. Per quelli
che non lo sanno, è un termine giapponese che indica un extra o bonus rispetto
all’opera principale. Diciamo che è un regalino.^^
Linea temporale: il
giorno dopo la morte di Uther. (Rif.
Cap. 90).
Dedico questo nuovo inizio a quanti hanno amato MerLin.
A quanti hanno scelto di
continuare il viaggio con me.
A chi ha recensito il
precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano,
a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A ElwingLamath,DevinCarnes, chibimayu, Merlin
Pendragon, Orchidea Rosa, Semiramide_,
Iwannalive_inadream, maar_jkr97, marydel,
YukiEiriSensei, chibisaru81,
principessaotaku97, Rosso_Pendragon, Sana e Akito, mindyxx e Burupya.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She 2
La Raccolta
Capitolo III:
Becoming a Queen (Parte I)
Arthur sbatté il portone dietro di sé con un senso di
liberazione e chiuse gli occhi, cedendo alla stanchezza.
Anche se gli appartamenti reali erano
vuoti, poteva ancora sentire l’eco delle grida, l’incitamento del suo popolo, dei
cavalieri e dei nobili: “Lunga vita al re! Lunga vita al re!” avevano
gridato al cielo, applaudendo alla cerimonia con cui Geoffrey lo aveva reso, a
tutti gli effetti, il nuovo monarca di Camelot.
Quell’entusiasmo gli aveva scaldato il cuore, poiché aveva
visto la devozione e l’affetto sincero sulla maggior parte dei loro volti, cullati
nella speranza di un governo prospero ed equo, e si sentiva orgoglioso e
spaventato della responsabilità che adesso pendeva sulle sue spalle, ma il suo
dolore era tuttora forte e palpitante, come il suo
lutto.
Una parte di lui, quella del figlio
devoto e perennemente in cerca di approvazione, non era ancora pronta a
sostituirsi a re Uther nella conduzione del regno,
eppure non aveva avuto altra scelta.
Arthur ripensò alla salma del padre, ricomposta dopo i
funerali e deposta nelle catacombe del castello coi
suoi avi, rammentò quell’addio prematuro di poche veglie addietro, e una
lacrima gli sfuggì.
La porta che si riapriva, dietro di lui, lo destò dal suo
momento di debolezza. Merlin gli fu accanto, solerte e discreto, già pronto a
sfilargli il pesante mantello cerimoniale e la nuova corona, più sfarzosa e
imponente di quella che aveva posseduto come erede al trono.
Eppure, quando il valletto reale incrociò il suo sguardo,
ogni proposito di svestizione scomparve e Arthur si
sentì trascinare in un caldo abbraccio, consolatorio e lenitivo, perché Merlin
sapeva sempre cosa era meglio per lui, anche senza parole.
Gliene fu grato in un modo quasi doloroso e si concesse di
aggrapparsi alla maglia logora di quello che, entro breve, non sarebbe più
stato il suo servitore personale.
“Dobbiamo parlare”, decretò a malincuore, staccandosi dal
mago e trascinandolo con sé verso il letto a baldacchino.
“Arthur, sei sfinito da questa giornata interminabile e
doma-” Il re gli pose un dito sulle labbra per tacitarlo.
“È proprio per questo che dobbiamo confrontarci
adesso.
Domani il Concilio dei Nobili si radunerà, per giurarmi
fedeltà, nella prima riunione che presiederò. Ma so già cosa
sarà preteso da me e dobbiamo aver pronto un piano preciso con cui muoverci”.
“Ti chiederanno un matrimonio, un’alleanza strategica per
rinforzare il regno contro i nostri nemici. Ed un
erede, al più presto, perché la dinastia prosegua”.
“Esatto”, concordò il giovane Pendragon,
annuendo. “È mio dovere farlo e accoglierò il loro suggerimento, ma alle mie
condizioni”, decretò stentoreo, stringendo la mano che ancora li univa. “È
tempo di dare avvio ai cambiamenti che tu ed io abbiamo sognato. Non sarà
facile far accettare il ritorno della magia a Camelot, ma – se tu mi sosterrai – ce la faremo…”
“Non dubitarne mai”.
“Merlin… ne abbiamo già discusso molte volte, in passato, lo
sai. Eppure erano solo parole, piani e visioni, desideri e ipotesi. Ora servono
conferme: il tempo delle grandi scelte e dei sacrifici è arrivato e niente sarà
più come prima. So che ti sto chiedendo molto, ma devo dimostrarmi fermo e sicuro
sulle mie posizioni, soprattutto con coloro che mi saranno oppositori, i più
fedeli a mio padre…”
“Ne sono consapevole”.
“Anzitutto,
domattina renderò nota la mia ferma intenzione di prender moglie al più presto e
questo li ammansirà per un po’, dandoci il tempo di organizzare gli altri decreti
reali, le nuovi leggi che avevamo abbozzato, il tuo
ruolo di stregone di Corte e la legalizzazione della magia.
Fra i consiglieri più
stretti, aggiungerò personalmente alcuni cavalieri la cui lealtà mi è già stata
comprovata oltre ogni dubbio, poiché necessito di
sostenitori che appoggino totalmente le mie scelte nei momenti cruciali.
Ma, ancor più, Merlin… ho bisogno di una
compagna. Di una regina. Eppure l’unica persona con cui desidero stare sei tu.
La metà della mia anima. La mia vita... sei tu”.
“Oh, Arthur…”
“A malincuore, sto per chiederti di tornare ad essere donna, anche se so che è un grande sacrificio”.
“Mi
metterò oggi stesso alla ricerca dell’incantesimo migliore”.
“Voglio
che tu ne sia certo… Sai a cosa andrai incontro? Non te ne pentirai, prima o poi? Stai rinunciando ad
una parte di te, per essere qualcun altro per il resto dei tuoi giorni. È una notevole privazione…”
“L’ho già detto una volta, Arthur. Sarei lieto di morire
per te, o di servirti fino alla morte.
Viverti
accanto e donarti un figlio non è un sacrificio: è per
me il più grande degli onori”.
Ingoiando
un groppo di commozione, il re domandò retorico: “Cos’ho
fatto per meritarti?”
Merlin gli fece un sorriso sghembo: “Un Asino Reale come te
ha bisogno di qualcuno che mandi avanti la baracca!” cantilenò, per alleviare
la tensione. Ma poi si rifece serio anch’egli: “Sono sempre
stato pronto a fare ciò che andava fatto per compiere il mio Destino, in
passato come ora. Anche se ho sperato a lungo di ritornare uomo mentre
ero Linette, è cosa di poco conto rispetto al nostro
futuro. So che sembra quasi uno scherzo crudele del Fato, finire
volontariamente nella stessa situazione da cui volevo scappare, ma non importa.
Stavolta scelgo consapevolmente di esserlo, anziché per causa di una
maledizione.
Le sacerdotesse dell’Antica Religione e i druidi, con cui ho
mantenuto i contatti in questi anni, mi aiuteranno nella transizione.
Presto la voce della dipartita di Uther
si spargerà per i Cinque Regni. Dichiarando la nostra posizione favorevole alla
magia, preverremo insurrezioni magiche, vendette e ritorsioni da parte di chi
ha subìto torti in passato. Creeremo nuove alleanze, daremo vita ad Albion…
Dirò
addio alla mia parte di Merlin come uomo, questo sì. Ma
concedimi di essere egoista per una volta sola: non sopporterei di vederti
accanto a nessun altro che non sia io. Quindi accetto di buon
grado questo scotto da pagare”.
“Forse sono io, fra noi due, a non essere ancora pronto a
separarsi da te…” confessò Arthur, fissando le loro dita intrecciate. “Ero
consapevole che prima o poi sarebbe successo… sì”, nessuno
dei due nominò l’improvvisa morte di Uther, eppure
era un concetto chiaro fra loro. “Ma non adesso. Non così”.
“Arth-”
“Prima lui, e ora tu. Non sono pronto! Dannazione,
Merlin!” imprecò Pendragon, con voce roca e rabbia e
impotenza, trattenendosi per non lasciar sfuggire le
lacrime che sentiva pungere a tradimento. “Non voglio dividermi da te!”
Lo stregone se lo
strinse contro, comprendendo il suo bisogno ancora una volta.
“So che la tua magia
sta scalciando per uscire… so che dobbiamo ridare la libertà a tanta gente e
che Albion deve nascere… Ma era mio padre, e… anche
se aveva idee sbagliate, lo amavo e credevo che sarebbe rimasto con me ancora a
lungo e che… che…” Un singhiozzo recise la frase a metà, mentre il Dono di
Merlin reagiva al suo dolore, circondando Arthur come una coperta soffice e
calda, una carezza materna, dolce e consolatoria. Il nobile vi cedette,
lasciandosi lenire le ferite dell’animo, in un dormiveglia benefico, mentre
Merlin vegliava su di lui.
***
“Arthur?”
“Mh?”
“Ricordi che domani è il grande giorno…”
“Mmmh”.
“…della mia partenza?”
precisò, per dovere di pignoleria. “Sembra che tu abbia l’asinina tendenza a
negarlo, come se questo bastasse a non farlo succedere…”
“Come potrei mai
dimenticarmene, Merlin?” domandò
retorico, con una punta di risentimento, accarezzando nuovamente la pelle nuda
del compagno con le dita e con le labbra, per memorizzare ancora e ancora ogni
frammento di Merlin, ogni curva e ogni sporgenza ossuta, ogni piccola
imperfezione che rendeva unico quel corpo che amava e venerava al pari di una
divinità.
Lo conosceva già a
memoria, quasi più del proprio, ma non ne era mai sazio, non era maiabbastanza.
Lo aveva baciato e
adorato per anni e per tutte le notti, messe loro a disposizione, precedenti all’inevitabile
separazione.
Anche quella sera, si
erano amati con dolcezza e passione, con la foga dell’ingordigia e la lentezza
dello stillicidio, generosi ed egoisti nel dare e ricevere piacere, in
quell’ultima volta prima del prestabilito addio.
“Partirò all’alba…” insisté Merlin, scivolando via dalla sua
presa tentatrice per ottenere la giusta attenzione. “È tutto pronto: ho già
predisposto una serie di incantesimi di protezione sul
castello e sui confini; i miei apprendisti stregoni li manterranno vigili per
le due lune in cui sarò assente. Tuttavia, c’è ancora una
cosa da risolvere: come ti ho già menzionato all’infinito, devo prepararmi
all’incantesimo di trasformazione… Ma abbiamo sempre rimandato il chiarimento
di alcuni particolari… e penso che non possiamo procrastinare oltre”.
Arthur annuì in risposta,
conferendogli tutta la sua concentrazione.
“Gradirei sapere se hai delle preferenze”, riprese il mago,
sorridendogli incoraggiante. “Partendo dal presupposto che non dovrò
assomigliare a me stesso né come Merlin né come Linette,
posso plasmarmi a tuo piacere”.
“No, io non…” tentennò il re.
“Gradiresti capelli biondi o neri? Il colore degli occhi? I lineamenti…?” elencò. “Cosa vuoi
che cambi, cosa vuoi che resti?”
Arthur si prese un lungo attimo per scrutarlo.
“Io non ho diritto a scegliere,
Merlin. È il tuo corpo, qualunque cosa andrà bene…”
Il mago annuì.
“D’accordo”.
“Solo, per amore degli Dei, non dare retta alla tua insana
capacità di causare disastri con gli incantesimi…”
“Ehi!” si risentì il mago, sbuffando, ma l’altro non vi diede
peso e continuò.
“E cerca di non combinare qualche guaio
colossale e magari non finire trasmutato in qualche bestiaccia… o magari morto.
Abbi pietà del mio povero cuore e fa’ ritorno tutto intero…”
scherzò, celando tutta la vera preoccupazione che gli gravava nell’animo.
Entrambi sapevano che sarebbe stato un procedimento delicato,
ma Merlin lo aveva persuaso fino allo sfinimento che tutto sarebbe
andato per il meglio, perché sarebbe stato guidato nel sortilegio dai più
potenti stregoni dei Cinque Regni e dalle Sacre Vestali.
“Se la metti così, tornerò di certo tutto d’un
pezzo, ma brutto come un rospo!” lo provocò per ripicca. “Hai detto tu che qualunque
cosa sarebbe andata bene!”
Un lampo di malizia attraversò lo sguardo del re, poi nondimeno
si fece serio.
“Le tue sporgenze, però…”
“Ecco, lo sapevo! Stavi pensando ai miei
seni!” lo accusò, fintamente risentito. “Quand’ero Linette,
continuavi a fissarli!”
“No, non è vero!” si difese, arrossendo. “Stavo pensando a…”
mugugnò.
“A cosa?” l’incalzò lo stregone,
pungolandolo con un dito ossuto, a tal punto che l’Asino Reale cedette.
“Alle tue orecchie. Non potremmo tenerle così?”
Merlin boccheggiò sconcertato, poi scoppiò a ridere.
“Se ci tieni tanto, si può fare”.
“Sai che adoro le tue sporgenze…”
confessò Arthur, controvoglia, raggiungendo la stessa tonalità Rosso Pendragon dei tendaggi che lo circondavano.
“Ai vostri ordini, Maestà!” esclamò, ponendo fine, per
qualche veglia, ai loro battibecchi.
Si raggomitolarono quindi, stretti l’uno all’altro,
rassegnati all’impossibilità di dormire per godere di
ogni istante di vicinanza, del tempo condiviso, attendendo l’ineluttabile alba.
“Merlin? Stai…
dormendo?” chiese Arthur, quando il gallo cantò.
“Come potrei?”
“Ti amo, stupido idiota di un
servo…”
“Anche io ti amo, Asino Reale”.
“E non è giusto che io debba rinunciare ad
una parte di te a cui sono così legato…”
“Ne abbiamo già discusso, ricordi?”
“Ma potresti… Potresti rimanere donna per qualche anno, e
poi tornare per sempre in te…”
Il mago sospirò, cercando le parole giuste da dire per non
ferirlo ulteriormente.
Anche se in parte lo comprendeva, era un bisogno egoista che
non avrebbe trovato compimento.
Evidentemente, la loro separazione incombente stava riaprendo vecchie piaghe
nell’animo del cavaliere, paure e sofferenze dovute alla prima, improvvisa
sparizione di Merlin anni addietro e il nobile stava dando voce al suo lato più
fragile, quello emotivo e irrazionale.
Se fosse stato pienamente in sé, Arthur non avrebbe mai
proposto di infliggere alla sua prole la stessa sofferenza patita nel crescere
senza avere Ygraine accanto. Con che cuore avrebbe reso orfani i suoi eredi, dopo ciò
che aveva patito?
Lo stregone comprese la disperazione dietro
quella richiesta, ma rimase fermo nel suo proposito, affinché si rassegnasse.
“Non posso farlo. Sarebbe solo un bieco egoismo da parte nostra.
Non priverei mai i miei figli della loro madre… Quando ho accettato di essere
regina, sapevo che non sarei più tornato indietro. Anche se Merlin
non esisterà mai più… se non nei nostri ricordi”.
“Parlerò di lui”, promise Arthur. “Del mio
migliore amico, il più fedele servitore, il più giudizioso tra i consiglieri.
Racconterò ai nostri figli delle nostre avventure, dei bei momenti. Farò in modo che ti conoscano, te lo giuro”.
Merlin si ritrovò la gola stretta in una morsa di lacrime.
Perciò annuì solo, chinandosi a baciarlo.
Continua...
Omake
“Diventerai donna per
sempre, non potrai tornare indietro”.
“Per te, questo e
altro, mio re!” esclamò Merlin, infervorato dal sacro dovere. “Cert- no, aspetta. Vuoi dire che mi devo tenere il ciclo
ogni mese? E soffrire come un cane?”
“Beh, sì. Credo
rientri nel pacchetto ‘donna’, giusto?”
“Allora, no. Grazie tante, Arthur. Il tuo amore non vale
tanto! Trovati qualcun altro!” XD
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono
le mie paranoie. X°D
Note: Il prossimo
capitolo, lo prometto, sarà postato in tempi brevi e sarà lunghisssssimo
e decisamente più allegro!
Mi sento in dovere di difendere il povero Arthur. Vi prego
di non pensare che sia improvvisamente diventato bipolare, visto
che i suoi discorsi remano uno contro l’altro e sembra quasi un pazzo.
Il poveretto è nel bel mezzo di una grossa battaglia
interiore: da un lato i doveri verso il regno e dall’altro i suoi bisogni e gli
affetti.
Lui è sempre stato pronto a sacrificarsi per la sua gente,
ha sempre messo Camelot
prima di tutto; ma stavolta ho cercato di raccontare il suo lato più privato e
(se vogliamo) umanamente egoista.
Se avete dubbi o domande, sono a vostra disposizione!
Eccovi un paio di
pezzetti d’anticipazione del prossimo capitolo:
Il giovane Pendragon, dal canto
suo, si sarebbe accontentato di strappare Merlin via da quella dannata carrozza
e di caricarselo in spalla o di trascinarlo come un sacco di farina negli
appartamenti privati, per rimanervi chiusi dentro tutto il tempo necessario a
recuperare i giorni perduti e oltre.
Purtroppo per lui, v’erano delle
regole di Etichetta a cui neppure il re poteva sottrarsi.
Arthur soppresse malamente uno sbuffo di insofferenza,
mentre – dall’altro della scalinata, che dava sulla piazza principale –
attendeva l’arrivo imminente che sembrava
non arrivare mai.
Le mani gli tremavano appena appena,
ma nessuno notò quel particolare, tranne forse Gaius
che gli sostava accanto come rappresentante del Concilio e che sorrise con
paterno affetto. Anch’egli – parimenti al sovrano – aspettava impaziente quel
ricongiungimento.
Il brusio dei cavalieri, schierati dietro di loro, si
dissolse nel momento in cui, di lontano, si avvertì lo scalpiccio di zoccoli in
avvicinamento.
Arthur trattenne il fiato per tutto il tempo in cui il
cocchio magico comparve all’orizzonte per poi dirigersi verso di lui con
maestosa leggiadria.
(…)
Merlin gli fece un piccolo sorriso timido, arrossendo sotto al suo sguardo indagatore.
Se Arthur non se fosse
stato già perdutamente innamorato, sarebbe successo in quell’istante.
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Eccomi.
A distanza di tre anni dalla conclusione del telefilm, e ad
un anno esatto dalla fine di Linette, eccomi ad
aggiornare con qualcosa che spero allieterà (o, altrimenti, carierà i denti a…)
tutti quelli che non hanno smesso di amare Merlin e la mia storia.
Come ho già detto, ho scelto di dividere l’argomento
Queen!Merlin in due parti.
Il precedente capitolo, formato da due pezzi, riguardava la pre-trasformazione di Merlin e questo capitolo, composto da frammenti vari, racconterà l’arrivo della futura regina a
Camelot e il doppio matrimonio.
Entrambi si innestano come missingmoments all’interno
dell’epilogo di Linette (cap. 90), dopo la morte di Uther, quindi nel periodo pre/post-matrimonio.
Linea temporale: seguito
del capitolo precedente, due mesi dopo. (Rif. Cap. 90).
Vorrei dedicarvi questo capitolo e
augurarvi un Buon Natale e un Felice 2016!
The He in the She 2
La Raccolta
Capitolo IV:
Becoming a Queen (Parte II)
Arthur si impose un dignitoso
contegno, anche se ogni frammento del suo corpo vibrava di trepidazione e
impazienza. Merlin stava tornando. Merlin
stava tornando!
Malgrado gli obblighi reali e il
fatto che governare su Camelot consumasse ogni sua
energia, impegnandolo dall’alba a ben oltre il tramonto, due lune senza il suo
servitore (consigliere, amico e amante) gli erano sembrate due secoli a dir
poco.
I primi giorni s’era sentito sperso,
essendo stato privato della sua costante compagnia e guida. Poi aveva dovuto
rimboccarsi le maniche e smettere di compiangersi (anche perché Gaius si era rifiutato di convalidare il suo stato di finto-malato e lo aveva rispedito a lavorare con un buon tonico
corroborante e amarissimo) e il giovane Pendragon aveva
sfogato la sua frustrazione sulle nuove reclute e sui preparativi d’accoglienza,
mentre contava le veglie che lo separavano dal riabbracciare l’altra metà della
sua moneta.
Il castello era stato preventivamente tirato a lustro, in
attesa della futura sovrana, ma quando un mattino le guardie di vedetta, dalle
torri più alte, avevano avvistato un cocchio magico di
lontano, la frenesia era esplosa e la cittadella era sembrata un enorme
formicaio calpestato.
Geoffrey di Monmouth, il
cerimoniere di Corte, era andato a prepararsi per compiere pomposamente il suo
dovere e Arthur, che sapeva come sarebbero andate
realmente le cose, non aveva avuto cuore di sopprimere le sue speranze. Il vero
matrimonio non si sarebbe compiuto prima di qualche mese, ma lo scrivano reale
doveva essere presente adesso per testimoniare ai posteri l’importante momento
storico.
Il giovane Pendragon, dal canto
suo, si sarebbe accontentato di strappare Merlin via da quella dannata carrozza
e di caricarselo in spalla o di trascinarlo come un sacco di farina negli
appartamenti privati, per rimanervi chiusi dentro tutto il tempo necessario a
recuperare i giorni perduti e oltre.
Purtroppo per lui, v’erano delle
regole di Etichetta a cui neppure il re poteva sottrarsi.
Arthur soppresse malamente uno sbuffo di insofferenza,
mentre – dall’alto della scalinata, che dava sulla piazza principale –
attendeva l’arrivo imminente che sembrava
non arrivare mai.
Le mani gli tremavano appena appena,
ma nessuno notò quel particolare, tranne forse Gaius
che gli sostava accanto come rappresentante del Concilio e che sorrise con
paterno affetto. Anch’egli – parimenti al sovrano – aspettava impaziente quel
ricongiungimento.
Il brusio dei cavalieri, schierati dietro di loro, si
dissolse nel momento in cui, di lontano, si avvertì lo scalpiccio di zoccoli in
avvicinamento.
Arthur trattenne il fiato per tutto il tempo in cui il
cocchio magico comparve all’orizzonte per poi dirigersi verso di lui con
maestosa leggiadria.
Non v’era dubbio sul fatto che
quell’arrivo appariscente fosse stato studiato a beneficio dei presenti che ne
sarebbero rimasti stupefatti, come effettivamente fu.
La carrozza era sprovvista di tettuccio e galleggiava a
mezz’aria, priva di ruote, trainata da un tiro a quattro di meravigliosi
unicorni bianchi, non legati da alcuna cavezza né da briglie di sorta. D’altra
parte, non v’era neppure l’ombra di un cocchiere per
condurla.
Le aveva fatto da scorta un gruppo di centauri metà uomo e metà cavallo, col dono della parola. Essi indossavano in
spalla una faretra colma di frecce e un arco massiccio che spuntava dalle loro
schiene muscolose, eppure bastava la loro imponenza a dare soggezione; anche se
apparivano tutt’altro che bellicosi.
La principessa non aveva voluto con sé né servitori né
ancelle né, tantomeno, dame da compagnia.
Tra i nobili e i popolani stava crescendo la curiosità, ma la
nobildonna, avvolta in un mantello d’oro brillante e in un lungo, candido velo,
celava le sue fattezze al mondo.
Sedutole accanto, v’era un sacerdote
dell’Antica Religione che avrebbe comprovato l’insediamento di lei a Camelot.
Qualcuno aveva bisbigliato, sorpreso, per la mancanza di
Merlin in quell’arrivo, ma nessuno avrebbe osato chiedere. Del resto, che quel
giovane (mago o no) fosse sempre stato strambo, era cosa nota. Aveva detto molte
cose bizzarre in prossimità della partenza, su nuovi doveri e impegni… quindi,
forse, avrebbe fatto ritorno in seguito, o qualora gli sarebbe aggradato.
Tre squilli di tromba accolsero la delegazione, quando la
carrozza si fermò, e lo sportello si aprì da solo.
La nobildonna si levò in piedi e il re di Camelot si fece avanti, celermente,
offrendole entrambe le mani per aiutarla a smontare dal mezzo ed ella, scesa a
terra, gli fece una devota riverenza mentre ancora le loro dita erano unite.
Il sovrano contraccambiò con un baciamano impeccabile – che
inorgoglì Geoffrey – esprimendo poi una formula di saluto.
“Mia Signora, vi accolgo in pace”, proclamò, smentendo la
solennità del gesto con una carezza furtiva alla pelle delicata nell’incavo dei
polsi.
“Possa essa durare in eterno!” replicò la voce melodiosa della donna.
“Mi è concesso…?” tentennò poi, annuendo alla volta del velo
coprente e ricevette in cambio un piccolo assenso.
Ma tanto bastò e Arthur sollevò il drappo che la copriva,
rivelando una fanciulla bellissima, dal viso di porcellana
e chioma d’onice.
Anche se di forma diversa, v’erano
gli stessi occhi blu che popolavano i suoi sogni, gli zigomi cesellati dal più
abile degli scultori e, celati dalla stretta pettinatura, fu certo di veder
spuntare un paio d’orecchi adorabilmente prominenti.
Nessuna acconciatura eccessivamente elaborata, nessuna
sovrabbondanza di orpelli e gioielli, ma sobria grazia ed eleganza, che venivano riconosciute da chiunque riuscisse a intravederla.
Con la sua semplice presenza, la giovine
esprimeva splendore e gloria, pura raffinatezza.
Era bellissima, in quel corpo esile e longilineo, raggiante d’una forza mistica.
Merlin gli fece un piccolo sorriso timido, arrossendo sotto al suo sguardo indagatore.
Se Arthur non se fosse
stato già perdutamente innamorato, sarebbe successo in quell’istante.
***
Geoffrey aveva suggerito che le regole dell’ospitalità
imponessero ai viaggiatori un po’ di riposo, un
banchetto d’accoglienza e magari riservare il rito privato per il giorno
seguente, ma il druido celebrante era stato di parere opposto.
In quel luogo, aveva detto, molto sangue innocente era stato
versato e antichi equilibri andavano ristabiliti.
L’atto che re Pendragon avrebbe
compiuto in favore della magia sarebbe servito a placare il dolore degli spiriti
erranti e di anime addolorate. Per tale ragione, andava fatto quanto prima.
I due interessati non avevano avuto niente in contrario,
perciò si diressero nella sala del trono, dove l’officiante dell’Antica
Religione aveva preso parola, iniziando il rituale con solenne severità.
Egli rese noto, ai presenti, gli
intenti di quel sodalizio e l’indissolubilità dello stesso.
Rammentò al giovane sovrano i propri doveri e le promesse
offerte al Popolo Magico, rappresentato dalla principessa che, da quel momento
in poi, veniva accolta a pieno titolo nella famiglia dei Pendragon e con essa il suo potente Dono.
“Ogni unione, essendo unica, è speciale,
indissolubile e diversa dalle altre.
La magia sceglie da sé come unire due anime che le si affidano e vivranno sotto la sua protezione…” espose
il druido, prima di invitarli a congiungere i palmi con fare imponente.
Nel momento in cui Arthur e Merlin si presero
per mano, comparve a mezz’aria una moneta d’oro e i due scoppiano a ridere.
“Direi che è Destino!” confermò l’officiante dall’alto della
sua onniscienza, sorridendo a mezza bocca, prima di intonare un’antica nenia.
E la moneta diventò di colpo luminosa, brillante, così lucente
che non si riusciva a guardarla ed essa cambiava forma, come dentro un
crogiuolo bollente; si allungò come un fuso e si separò, scivolando verso le
loro mani.
Un istante dopo, al posto della moneta c’erano due anelli
dorati al loro dito anulare.
“La magia ha deciso. Nulla può
sciogliere l’incanto!” ripeté l’austero druido, concludendo
il rituale, mentre la coppia si scambiava un bacio che a stento si era mantenuto
casto.
Geoffrey di Monmouth aveva compiuto
il suo dovere di storico di Corte, registrando mentalmente l’evento che avrebbe
subitamente trascritto, e che sarebbe poi finito con tutti gli altri libri
polverosi, dimenticato su uno degli scaffali della biblioteca del castello.
Con un inchino formale, e doverose congratulazioni, prese rapidamente congedo da loro, poiché non aveva gradito
che uno straniero usurpasse il suo ruolo di cerimoniere reale. Si consolò con il
pensiero che la vera cerimonia – quella che avrebbe posseduto tutti i crismi
dell’ufficialità, con tanti nobili e ospiti alleati presenti – si sarebbe
tenuta solo dopo un adeguato periodo di fidanzamento (che si poteva considerare
iniziato in quel momento) e lunghi preparativi, e sarebbe stata presieduta da
lui – lui soltanto, e nessun altro.
***
Merlin aveva detto addio a Iseldir
con un lungo abbraccio di ringraziamento; ma l’uomo, che gli aveva fatto da
mentore durante il periodo della metamorfosi, continuava a ripetere che era lui
– a nome della comunità magica – ad essergli debitore per
sempre.
Il saggio druido aveva invocato sulla coppia innamorata
parole benedicenti e aveva confermato piena disponibilità per qualsiasi cosa
necessitassero a Camelot da quel
momento in poi.
Attestò nuovamente la piena fedeltà ai segreti che Merlin
aveva condiviso con lui e pochi eletti.
Benché alcuni maghi e antiche sacerdotesse sapessero chi era
Emrys e cosa era divenuto, avevano giurato eterno
silenzio sulla questione, poiché era uno scotto da pagare volentieri, se
finalmente avessero ottenuto la libertà di essere ciò che erano senza
nascondersi, e la protezione di un regno potente come Camelot.
Con la promessa di tornare assieme ad
una piccola delegazione, per il matrimonio tradizionale, l’uomo se ne andò,
sorridente, con la carrozza fluttuante e i centauri scalpitanti, lasciando
Merlin alla sua nuova vita.
***
Per quanto riguardava il mondo magico, da quel momento era
divenuto la consorte del re, anche se la funzione ufficiale, secondo il
cerimoniale, sarebbe avvenuta solo di lì a qualche tempo, perciò avrebbero
vissuto un momento di transizione.
La promessa sposa avrebbe abitato fin da subito nelle camere
reali destinatele come sovrana, poste accanto agli appartamenti che erano stati
dell’erede al trono. Arthur non aveva avuto cuore di trasferirsi negli alloggi
del padre, benché fossero più grandi e più lussuosi. Troppi ricordi recenti e
dolorosi gliel’avevano impedito e lo stregone aveva concordato con lui sul
fatto che fosse meglio restare in un ambiente familiare e confortevole.
In aggiunta a ciò, i due appartamenti avevano l’indiscusso
pregio di condividere una piccola porticina nascosta che li rendeva comunicanti
e salvava le apparenze per la giovane fidanzata.
Anche se – dopo tutte le stranezze occorse negli ultimi mesi
e i cambiamenti avvenuti e ancora da avvenire – nessuno avrebbe avuto da
ridire, se ella frequentava già le camere private di
Sua Altezza e talvolta vi si attardava.
Il popolo di Camelot aveva guardato con
sospetto quella futura regina venuta da lontano. Ma solo al suo arrivo.
Al mattino dopo, di buonora, la nobildonna era
andata personalmente a salutare ogni cuoca, sguattera e stalliere del regno,
trattandoli con rispetto e gentile affabilità.
La voce si era sparsa
all’istante e, in meno di un giorno, la prescelta sovrana si era conquistata
l’amore di tutti i sudditi. Con l’andar del tempo, la devozione del popolo sarebbe
cresciuta per lei a dismisura, poiché tutti sapevano che la castellana trattava
i servi con gentilezza e considerazione, come mai prima d’ora.
La magia, che ella rappresentava, era tornata d’uso quotidiano e prestava
servizio per il bene, per rendere Camelot ancora più
prospera e gloriosa.
Come solido esempio, re Arthur avrebbe sposato questa principessa maga, si affermava nelle piazze e nei mercati. Basta purghe e processi magici. Purché i
sortilegi non servissero per scopi malvagi. Il sovrano aveva persino fatto
ammenda per l’operato del re padre, aiutando vedove e
orfani, e si diceva che tale miracolo fosse opera di lei.
Sì, di questa
principessa dal cuore grande, che veniva da lontano, dal nome talmente strano –
Mæŗīlŷɲ– che persino lo scrivano di Corte, con suo
sommo imbarazzo, non aveva saputo come pronunciarlo né come trascriverlo negli
atti reali e la nobildonna l’aveva rassicurato spiegando che la sua lingua natìa era difficile da enunciare, e impossibile da
tradurre, e che perciò avrebbe potuto chiamarla semplicemente Marilyn, in una pronuncia così strana
che a molti, di primo acchito, era sembrato ‘Merlin’, ma era ovvio che non lo fosse. Eppure – avrebbero giurato
i più testardi, nei tempi a venire – Gaius e anche il
re lo pronunciavano così. Ma era un nome straniero,
una pura casualità. E poi il vecchio medico era ormai in là con gli anni… ed
era noto a tutti che il sovrano, almeno un po’, sentisse la mancanza del suo
vecchio servitore, sparito chissà dove.
Fin da prima che
avesse messo piede nella sua nuova patria, e per molto tempo dopo, tutti
avrebbero discusso le sue stravaganze negli usi e nei costumi. Ma proprio per
le sue origini remote, le veniva perdonata ogni
stranezza – dai capelli senza acconciature elaborate, agli abiti maschili con
cui amava vestirsi per cavalcare… La nobildonna aveva lanciato fin da
subito nuove mode. Per esempio, le sue gonne lasciavano scoperte le caviglie e,
anche se le dame anziane di Camelot
erano inorridite alla notizia (a Merlin, non più avvezzo a quelle trappole
mortali, interessava non rimanere ucciso inciampando, piuttosto che le loro
facce sdegnose), le più giovani l’avevano emulata appena dopo poche veglie,
correndo tutte dai sarti per farsi accorciare le vesti.
Lo stregone sapeva
che avrebbe dovuto scontrarsi con vecchi, polverosi retaggi della nobiltà e si
era messo il cuore in pace su certe cose a cui avrebbe
dovuto cedere in qualità di castellana (come ripristinare i maledetti incontri
di ricamo a beneficio delle vecchiacce), ma su altre questioni sarebbe stato
irremovibile, a prescindere dalle malelingue.
Quando una delle servitrici di palazzo si era offerta di aiutare
la dama nel bagno e nel vestirla, ella aveva
rifiutato, garbatamente, adducendo una singolare spiegazione: era avvezza ad
arrangiarsi da sé nella pulizia e nel vestiario, poiché nel suo regno si usava
la magia per ogni necessità.
Ed ella avrebbe continuato così,
anche ora. Cedendo solo per quanto riguardava l’acconciatura dei lunghi
capelli, per la quale aveva accettato di essere aiutata.
Per il resto, la principessa avrebbe condiviso col re il suo
servitore personale e alcune giovani vallette messe a sua disposizione.
Arthur, dal canto suo, pur essendo in
parte preoccupato che le troppe novità destabilizzassero e fossero un azzardo, le
aveva dato piena libertà.
Dopo una cena sfarzosa di accoglienza, per uno scambio di
convenevoli con i nobili di palazzo, anch’egli aveva convenuto sul fatto che il
miglior modo per far accettare la nuova futura regina al suo popolo consistesse
nel portarla fra la gente.
E così, con la scusa di farle conoscere il castello e la
città bassa, lui e Merlin erano andati a passeggio per il mercato, di buonora,
come una comune coppia di promessi sposi.
E lo stregone, bontà sua, aveva salutato tutti con cordiale
affabilità e una buona parola per ciascuno, mentre la gente si
inchinava al loro passaggio.
Era ovvio, poi, che non potessero starsene in panciolle e
godersi una semplice passeggiata.
Così, quando avevano scorto una vecchietta che trasportava
una cesta pesantissima, il mago lo aveva strattonato per fermarlo e, alzata una
mano verso di lei, di colpo aveva reso il paniere fluttuante, convincendo l’anziana
donna a condurlo come se fosse stato un cane al guinzaglio. La vecchina,
lacrime agl’occhi, aveva ringraziato mille volte per
tale gentilezza.
Successivamente, lo stregone aveva
guarito un paio di ginocchia sbucciate a dei monellacci
che giocavano fra le bancarelle, incurante di inzaccherarsi il vestito, mentre
si chinava alla loro altezza, e di seguito aveva insistito per riparare con il
suo Dono la ruota di un carretto che aveva ceduto per il troppo peso.
Arthur sorrideva, osservando il suo compagno affaccendato. Merlin era buono come un pezzo di pane
appena sfornato – a volte un po’ indigesto – ma pur sempre buono.
Era la cosa migliore
che Camelot avesse potuto
desiderare e dovevano tutti sentirsi fortunati che un tale portento d’uomo
avesse scelto di chiamare questo luogo ‘casa’.
Egli certamente lo
era.
E col pensiero rivisse la sera precedente, il tanto atteso
momento in cui finalmente erano rimasti soli, nell’intimità ritrovata da
trascorrere nuovamente insieme. Al modo in cui avevano scherzato e si erano
amati.
“Ti sto donando la
mia terza prima volta. Conosci qualcun altro che possa
vantare un tale privilegio?”
“No, e me ne
compiaccio!” aveva sorriso in modo sconcio. “Ha i suoi
vantaggi amare il mago più potente del mondo…”
E poi ripensò alla notte insonne, fra carezze e confessioni,
racconti dei loro momenti passati lontani, la nostalgia e quell’eterno stupore
che sempre Merlin riusciva a regalargli quando meno se l’aspettava.
Più volte, nel corso del tempo, il re gli aveva chiesto
quale sarebbe stato lo scotto da pagare per questo incantesimo.
Ma lo stregone si era sempre
rifiutato di dirglielo, promettendo che gliel’avrebbe rivelato solo a cose fatte,
qualora tutto avesse funzionato per il meglio.
Quella notte, rammentando la promessa, glielo aveva chiesto
nuovamente.
“Cosa hai dato in cambio? Non un’altra vita, spero…”
“No”, Merlin aveva
sorriso. “Non è stato un gran sacrificio, in realtà”.
“Cosa
hai barattato?”
“Ricordi cosa
significa ‘Emrys’?” aveva domandato lui, di contro. E quando il sovrano aveva negato, lui aveva ripreso: “È
l’appellativo con cui mi conosce il popolo druido. Nella lingua degli
antichi, vuol dire ‘Immortale’. Beh, ho ceduto la mia
immortalità”.
Arthur aveva sbarrato
gli occhi, incredulo. “Ma Merlin…”
“No”, l’aveva zittito l’altro, posandogli un dito sulle labbra. “È un prezzo equo,
e anzi, posso dire che mi è stato fatto un favore, in realtà”.
“Perché?”
“Perché non voglio
trascorrere neppure un giorno senza te su questa
terra, Arthur. L’eternità sarebbe vana e vuota, se vedessi le persone che amo
invecchiare e morire, senza poter trovare requie per me. Preferisco sia così.
Quando moriremo, se esiste un Aldilà, sono certo che passeremo insieme anche
quel tempo; se invece non vi è nulla, non ho rammarico, sto trascorrendo al
massimo ogni giorno che mi è concesso con te. Se invece esistono
nuove vite, se mai ci reincarnassimo, sono sicuro che ci ritroveremo, in ogni
vita che avremo, saremo insieme, perché noi siamo destinati”.
Arthur, rimasto colpito dalla marmorea fiducia in quelle
parole, se l’era stretto contro, donandogli tutto l’amore che sentiva dentro di
sé e giurando che l’avrebbe fatto per tutti i giorni a venire.
***
Geoffrey non era stato felice, quando gli era stato
comunicato che il matrimonio reale sarebbe stato anticipato ma, messo al
corrente in via confidenziale delle motivazioni
sopraggiunte, aveva dovuto convenire che fosse la scelta migliore, almeno per
salvare in parte le apparenze.
Si era dato un gran
daffare per stilare un nuovo programma, perché tutti i preparativi fossero compiuti
in tempo e, che lui fosse pronto o meno, il gran giorno era finalmente
arrivato.
Il giovane re puntò lo sguardo al viso di fronte a lui e
solennemente pronunciò: “Io, Arthur Pendragon, giuro
di accoglierti nella mia casa, di amarti e onorarti, di esserti fedele sempre,
di sostenerti nei momenti di gioia e di difficoltà, di… di…” s’inceppò.
“Diamine! Come continua?!”
“Fai anche le prove allo specchio, adesso?” ridacchiò Merlin,
comparendogli di soppiatto alle spalle, e il re trasalì, impreparato.
“Che accidenti ci fai qui?” volle sapere. “Dovresti essere di
là a prepararti!”
“Mi mancava il mio futuro consorte…” piagnucolò il mago, ben
consapevole che ne avrebbe acceso l’indulgenza.
Arthur infatti se lo strinse contro
teneramente, riservando una carezza anche al piccolo erede.
“C’è anche la parte in cui mi giurerai eterna obbedienza…”
puntualizzò, tra un bacio e l’altro.
“Non ci contare troppo…” ghignò la futura regina,
lasciandosi coccolare, prima di essere costretta a sgattaiolare via.
***
“Miei signori, gentiluomini e dame di Camelot, siamo qui riuniti oggi per celebrare, attraverso
il rito del congiungimento delle mani, l’unione di Arthur Pendragon
e lady Marilyn di Connacht”, Geoffrey attese qualche
istante, per rendere ancor più solenne il momento, poi riprese: “Milady,
procederemo secondo il vostro rito”.
Si levò qualche bisbiglio dalla sala stracolma, quando i due
giovani si presero per mano, ma nel momento in cui la
principessa prese parola, il silenzio divenne completo.
“Giuro di mettere i miei poteri al vostro servizio, per il
bene di Camelot. Di sostenervi
nel governare con saggezza. Di esservi fedele e di educare al
rispetto i figli che ci saranno donati”.
Il re rafforzò la stretta delle loro dita intrecciate, prima
di replicare: “Accoglierò il vostro Dono con gratitudine ora
e sempre”.
“Volete voi, Arthur, unirvi a questa donna?”
“Lo voglio”.
“Volete voi, Marilyn di Connacht,
unirvi a quest’uomo?”
“Sì, lo voglio”.
“V’è qualcuno, fra i presenti, che ha qualcosa in contrario?”
Nessuno osò fiatare e Geoffrey proseguì con la cerimonia, avvolgendo
la corona di fiori e sempreverdi fra loro e declamando solenne: “Con questa
ghirlanda faccio un nodo, e così lego le vostre mani e i vostri cuori per
l’eternità”.
“Io, Arthur Prendragon, re di Camelot, prometto di non
sciogliere questo legame, prometto di rispettarvi come rispetto me stesso”.
Merlin gli sorrise, un luccichio di
commozione negli occhi.
“Ho l’onore di dichiararvi marito e moglie!” dichiaròMonmouth, concedendo loro
di baciarsi, e la folla esplose in un boato di applausi e grida: “Lunga vita al
re! Lunga vita alla regina!”
I festeggiamenti, con brindisi e cibo a profusione e
spettacoli offerti a tutti, durarono per giorni e giorni:
saltimbanchi, danze e canti, musici e aedi celebrarono la gloria del regno.
Fasci di luce magica echeggiarono
in cielo, creando fontane di luce colorata fino a notte fonda. Arcobaleni fiorirono
dovunque. In un’apoteosi di esibizioni, fate e
folletti, gnomi e altri esseri fatati incantavano la folla, ansiosi di mostrare
il loro Dono. Persino Kilgharrah, il vecchio drago, era
giunto per rendere omaggio alla coppia, volando fra i torrioni del castello.
Il popolo rimase a
bocca aperta, estasiato.
La magia era
finalmente tornata nel regno.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie
paranoie. X°D
Note: Come ho già
detto nelle note del cap. 90, ho descritto questa
principessa bellissima e potentissima strega.
Non volevo farla sembrare come una Mary
Sue. Semplicemente, doveva apparire graziosa per motivare tutta l’attrazione
che fin da subito Arthur nutre per lei, visto che la
verità non la sa quasi nessuno.
‘Emrys’ viene
menzionato nel cap. 82 di Linette, quando Lin e Arthur incontrano i druidi accampati.
Sappiamo che, secondo la leggenda arturiana e il telefilm, Merlin è immortale e
attende il ritorno del suo Re in Eterno, che risorgerà dal lago di Avalon quando il mondo avrà più bisogno di lui.
Tuttavia, come ho sempre detto, la mia storia è un enorme ‘Whatif…’ che si è separata dal telefilm dopo la prima
stagione, seguendo un corso proprio. I miei Arthur e Merlin
hanno fatto scelte diverse, così come Morgana (che non è mai diventata
cattiva), quindi l’Epoca d’Oro di Albion ci sarà, però
in modo diverso. I nostri eroi daranno vita alla
leggenda, ma a modo mio.
Per dare i natali alla regina, ho scelto Connacht,
che secondo una mappa di Albion, che ho trovato nel
web, è una regione dell’Irlanda. Un piccolo omaggio a Colin! ^_=
Il matrimonio è detto ‘Rito di congiungimento delle mani’ e l’ho
tratto direttamente dalla puntata 2x05-06.
So che la parte è un po’ troppo pomposa e prolissa, ma ho
ripreso quello della puntata, che ostentava la stessa pedanteria tipica di
questi ‘momenti importanti’ nel protocollo della nobiltà.
Merlin ci ha messo tre anni per rompere l’incanto della
maledizione di Ardof. Per coerenza, non potevo farlo tornare donna troppo facilmente. Per questo ci
vuole preparazione e aiuto, ed è un cambio irreversibile.
Nel capitolo ho fatto comparire
anche i centauri. Non ho un ricordo esatto se nel telefilm fossero mai spuntati,
ma fanno parte della mitologia come tutti gli altri esseri visti finora (gnomi,
fate, folletti, goblin, ecc…), quindi mi sento
autorizzata a usarli. ^__^
Mi piaceva l’idea di una scorta magica, imponente, ma non di
elfi o cose così... E i centauri sono fighiii.
Bene, credo sia tutto.
A risentirci nel nuovo anno e grazie di ogni parere che mi
lascerete!
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aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Capitolo 5 *** Capitolo V: The Sorrows of Young Arthur ***
Stamattina sono arrivati gli auguri a Linette per il suo 6° compleanno
e, pur non avendo pronto un capitolo adeguato a tale festeggiamento, ho
spolverato una bozza semipronta, visto che la tradizione mi ha sempre vista
aggiornare in questa data
Stamattina sono arrivati gli auguri a Linette per il suo 6°
compleanno e, pur non avendo pronto un capitolo adeguato a tale festeggiamento,
ho spolverato una bozza semipronta, visto che la
tradizione mi ha sempre vista aggiornare in questa data.
Linea temporale: Questo
è uno dei capitoli che, stendendo Linette, è nato praticamente da solo quando la storia doveva essere
all’incirca una decina di capitoli. Lungo la via, però, mi sono accorta di non
poterlo usare, perché l’attrazione contorta di Arthur non collimava con la
cronologia che stavo sviluppando e, invece di cestinarlo, ho deciso di tenerlo
da parte. Si inserisce dentro il primo anno, per
capirci, ai tempi del Torneo dove Arthur è rimasto ferito. Ma il mio consiglio
è di non cercare di collocarlo in un momento preciso della storia e,
semplicemente, di godere della lettura.
Dedico questo capitolo a quanti
hanno amato MerLin.
A quanti hanno scelto di
continuare il viaggio con me, anche se gli aggiornamenti vanno a rilento, anche
se Merlin è finito da anni.
A quanti mi accompagnano da sei
anni in questo folle percorso e mi sostengono coi loro
pareri.
A chi ha recensito il
precedente capitolo, in particolare, e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A chibimayu, FlameOfLife, Orchidea
Rosa, DevinCarnes, chibisaru81, Merlin Pendragon, PandoraEvans_88, mindyxx,
Barby_Ettelenie_91, VaticanCameos e inoiscool.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She 2
La Raccolta
Capitolo V: The Sorrows of
Young Arthur
Quella sera, Arthur era più stanco del solito.
Aveva dato fondo a tutte le sue energie, cercando invano di migliorare la difesa del
giovane Dominic di Elhras,
il terzogenito di un vecchio amico di suo padre.
Re Uther si era raccomandato di
essere indulgente con lui, poiché il giovane – contrariamente ai suoi fratelli
maggiori – non era molto avvezzo all’arte delle armi.
Perché mai, dunque,
voleva diventare un cavaliere di Camelot?,
bofonchiò, restando in ammollo nella vasca da bagno con l’acqua ormai fredda.
Quella era una delle sere in cui rimpiangeva Merlin e i suoi
massaggi che, per quanto maldestri, avevano un loro seppur minimo giovamento.
Ma lui non c’era e Linette era
oltre il paravento, e là doveva rimanere. Già faticava, a volte, a… a non indugiare in pensieri su di lei. In
quel momento era ben oltre il limite della stanchezza e non si sarebbe frenato,
come invece faceva di solito. Perciò era giusto che lei rimanesse lontana.
Arthur sbuffò, arrabbiato con i propri limiti.
Anche se cercava di rilassarsi, sentiva ogni giuntura delle
membra gridare di dolore, contratta sino allo spasmo.
Aprì e chiuse il pugno davanti al viso, le dita si piegavano
protestando, mentre lo stampo rigato dell’elsa s’intravedeva ancora.
Cercò di ruotare il collo per sciogliere i muscoli e ricevette
in cambio uno scricchiolio sinistro.
Fu a quel punto che si decise ad uscire da lì, stabilendo
che l’unica soluzione fosse riposare a lungo nel suo letto. L’indomani sarebbe andata meno peggio.
Tuttavia, sollevatosi che fu e messa a terra una gamba, un improvviso
crampo lo colse a tradimento, all’altezza della coscia, strappandogli un verso
di dolore.
“Maestà! Cosa…?” s’allarmò
la serva, sentendolo.
Egli guaì, collassando di peso a terra, paralizzato dalla fitta.
“Sire!” ripeté la valletta, preoccupata dal rumore,
avvicinandosi alla barriera divisoria.
“Nh!” mugugnò Arthur, piantandosi
gli incisivi nel labbro inferiore. “Resta lì!... un…
un crampo. Resta lì!”
le ordinò, respirando a fondo per cercare di regolare la sofferenza.
“Ma Sire!” protestò l’ancella, riluttante ad
eseguire l’ordine.
“Lì! Sta-ahi!” l’intimazione terminò in un gemito. “Ahiii!”
“Oh, al diavolo!” esclamò Merlin, afferrando uno dei teli da
bagno ancora piegato. “Vi raggiungo!”
Per buona pace del suo padrone, finse di schermarsi il viso
con una mano, avvicinandosi a tentoni.
Poi, vedendolo a terra sofferente, abbandonò anche quella
messinscena e semplicemente gli lanciò contro il drappo per coprirgli le pudenda.
Il viso contrariato del principe era meno intimorente, con
le lacrime che gli spuntavano dalle ciglia.
“Lasciate fare a me”, gli disse il mago, distendendo l’arto
sofferente per metterlo in tensione meccanicamente.
Il dolore cominciò a scemare. Arthur riprese a respirare con
regolarità.
Quando il peggio fu passato, lo stregone gli suggerì di
togliersi da lì e di andare a sdraiarsi sul suo letto. “A meno che il pavimento
non sia straordinariamente comodo per i vostri gusti!” aveva commentato,
vedendolo restio a spostarsi, anche se sapeva qual era la ragione.
Il principe fu costretto ad assecondarlo, drappeggiandosi in
qualche modo l’asciugamano sui fianchi e insistendo per risollevarsi da solo.
“Non sono moribondo”, aveva
masticato, anche se l’istante dopo il crampo si era ripresentato, nel medesimo
punto e con la medesima forza, facendogli perdere il piede d’appoggio.
Se non ci fosse stata Linette al suo fianco, a sorreggerlo
prontamente, sarebbe crollato di nuovo.
Arrancarono quindi fino al baldacchino, dove lui si distese
con l’aiuto della serva che si prodigava a sfregare freneticamente la coscia.
Non gli rimase che attendere. E subire.
Via via che lo spasmo diminuiva,
le mani di lei acquisivano prepotentemente presenza sulla pelle. I suoi sensi
allarmati registrarono il contatto estraneo, ma non sgradevole. Anzi.
Ad un certo punto, man mano che i minuti scorrevano, era diventato
quasi sin troppo piacevole.
“È passato?” gli domandò ella, di
punto in bianco, vedendo la sua espressione più rilassata.
“Sì. Puoi interrompere”, le comandò.
Linette invece gli piegò un
ginocchio e frizionò la carne del polpaccio.
“Ritornerà, se smetto ora”, profetizzò, anche se non fu
così. E si dedicò all’altra gamba, con sommo sgomento del principe.
Gli piaceva quello che stava facendo, d’accordo. Ma era una
cosa assurda. Assurda.
La sua mente gli stava mandando immagini non reali, un sogno
ad occhi aperti sconvolgente.
E non poteva impedirselo, mentre la immaginava allungare le
dita oltre il consentito e…
Arthur strinse le palpebre fino a farsi male, per annullare quel
delirio. Ma, se chiudeva gli occhi, l’ossessione mutava, Linette – e non sapeva
come – gli saliva a cavalcioni sull’inguine,
immolandosi lussuriosamente a lui.
Boccheggiando, spalancò le iridi di colpo, scostandola da sé
in modo quasi brusco.
“Basta! BASTA!” ringhiò,
sollevandosi con uno scatto di reni dalla posizione supina, nascondendo
l’erezione che pulsava dolorosamente.
Arthur imprecò contro tutti. Contro se stesso e contro Dominic
di Elhras.
La valletta lo squadrò come se fosse impazzito.
“C’è qualche problema, Sire?” gli domandò. “Vi ho forse
fatto male?”
Il principe ricambiò lo sguardo, frastornato, cercando di
far collimare la rappresentazione di lei, disinibita e sensuale, con quella che
aveva davanti: la ragazza dal vestito castigato e l’aria ironica con cui battibeccava
ogni giorno.
Scosse la testa, incapace di parlare. Poi, alla fine, riebbe
il dono della favella.
“N-no. Non…” farfugliò, ancora sottosopra.
“Maestà, forse il crampo vi ha raggiunto sino al cervello!”
scherzò Merlin, vedendolo così scombussolato. Stranamente, però, l’Asino Reale
non lo rimbeccò a tono. Per questo lo stregone gli si appressò, valutando se
effettivamente ci fossero problemi, ma l’altro, vedendolo accostarsi, si
richiuse a riccio, guardingo, incassando le spalle e facendosi così sfuggire una smorfia di sofferenza.
“Avete una contrattura muscolare anche qui e qui”, gli fece
notare il valletto, schiacciando in due punti della schiena e facendolo sussultare
entrambe le volte. “L’ho capito prima, mentre vi toglievo l’armatura”.
Il nobile non negò e non assentì.
“Gaius vi suggerirebbe di cospargervi con un balsamo, per
sciogliere la tensione e la fatica. Le erbe medicinali sono portentose
in casi come questi”.
“D’accordo”, biascicò incoerente l’erede al trono. “Gaius…”
“Gaiusnon è qui, Sire”, gli appuntò lei, sorridendogli come se fosse
stato ebete.
“Bene, chiamalo!” sbottò, irritandosi, mentre con un gesto
nervoso sistemava ulteriore stoffa sopra l’eccitazione ancora svettante.
Linette si rallegrò del suo consenso.
Egli invece rimase immobile, sospirando inconsciamente di
sollievo, quando adocchiò Lin allontanarsi da lui,
convinto che sarebbe andata dal medico di corte. La sua liberazione durò poco,
il tempo di capire che invece ella stava trafficando in uno dei cassetti del
canterano.
Vederla tornare a lui, con una boccetta d’olio medicamentoso
in mano, era assai meno consolatorio.
“Posso provvedere io!” si offrì, stappando la fiala
semitrasparente e riavvicinandosi a lui.
In quel mentre, bussarono alla porta e la sua serva appoggiò
sul comodino la bottiglietta per andare ad aprire.
Era più tardi di quel che credeva, perché dalle cucine
avevano mandato già la cena. Linette perse qualche istante con l’altro valletto
e per posare il vassoio sul tavolo; questo gli diede modo e tempo di girarsi
prono, prima del suo ritorno.
“Grazie della collaborazione!” ironizzò Merlin,
abbassandogli, con uno strattone, il telo fin quasi alle natiche.
Arthur piantò la fronte nel materasso e le unghie nei palmi,
concentrandosi su quale scusa avrebbe usato per mandare Dominic
di Elhras alla gogna. Perché l’avrebbe fatto. Oh, sì.
Quel pensiero vendicativo e soddisfacente l’aveva
temporaneamente distratto, tanto che la sua eccitazione puntellata nel letto si
stava acquietando da sé.
Non cantò vittoria, perché un istante dopo sentì il
giaciglio cigolare sotto al nuovo peso e, prima ancora
di capire cosa stesse accadendo, si ritrovò realmente il corpo di Lin a cavalcioni su di lui. Ma era girato dalla parte sbagliata.
Il delirio di poc’anzi ritornò, vivido e incontenibile. Tornò anche la sua insoddisfazione.
Arthur piagnucolò il suo tormento soffocandolo nelle
lenzuola, mentre lei lo cospargeva di unguento disseminandone il profumo
resinoso nell’aria.
Perdio! Era Linette!
Linette, la sua serva! Linette, la cugina di Merlin!Com’era potuto cadere così in basso?
Anche Merlin si abbarbicava su di lui quando doveva
spalmargli degli unguenti, ma la cosa non gli aveva mai destato la benché
minima reazione o preoccupazione. Mai,
mai avrebbe pensato potesse succedergli una cosa così.
Oltretutto, per dimostrare a se stesso che non era il
concetto in sé ad infastidirlo – l’essere nudo come un verme e in completa
balia dei massaggi di una persona – ricordò mentalmente di come, spesso, Merlin
fosse abituato a terminare il suo trattamento colpendolo spiritosamente sul
sedere, e lui lo minacciava sempre di mandarlo alla gogna per punire quella sua
mania screanzata. Il servo ne rideva e lui si rivestiva.
Anche Linette lo sculacciò scherzosamente, ma lui non lo
trovò divertente e il supplizio ebbe termine quando la serva, pulendosi le mani
su uno straccio, gli consigliò di aspettare qualche istante prima di voltarsi,
per non macchiare tutte le lenzuola di olio.
Anche se lei non gliel’avesse suggerito, difficilmente si
sarebbe mosso da lì.
La sentì riordinare la stanza, preparandogli gli abiti per
la notte, ma non osò guardarla.
“Sire?” fu chiamato, ad un certo punto.
“Mmmhhh…” mugugnò, intestardito a
non aprire gli occhi.
“La cena si fredda”, gli rammentò la giovane servitrice. “E
la schiena è asciutta. Volete che vi aiuti a vestirvi?”
Lui scosse il capo, per quanto la posizione glielo
concedesse.
“Non ho fame. Portala via”.
“È stato un allenamento sfiancante, eh?” celiò Merlin, così
poco avvezzo a vederlo tanto sfinito.
“Non ne hai neppure idea”, confessò il nobile, sollevando il
capo quel tanto che serviva per guardarla. “Una
guerra. Ho combattuto una guerra intera tutta oggi”.
“Allora buonanotte, Mio Signore”, gli augurò con un sorriso,
coprendolo con le lenzuola e con una coperta in più.
Rimasto solo, Arthur si girò nuovamente supino, scostando il
copriletto e le coltri.
La schiena non gli doleva più, era vero.
E neppure il suo inguine. Una chiazza umida parlava per lui.
La guardò colpevole, lasciandosi cadere di peso sul
materasso, nascondendosi il volto con una mano.
Eppure una parte di lui l’aveva desiderata. Aveva desiderato
di possederla. Di farla sua.
Bontà Divina. Come
avrebbe potuto? Era Linette! Linette!
Giurò che non sarebbe mai più successo. Perché era solo un
madornale sbaglio.
Un mero capriccio carnale. Ecco cos’era. E lei... lei, neppure gli piaceva!
Il viso di lei che conosceva si sovrappose all’espressione
sensuale che aveva immaginato e la propria mano scivolò verso il basso ad
accarezzarsi, come avesse volontà propria.
La fermò prima di arrivare.
Da quanto tempo non
giaceva con una donna?
Se fosse stato in forze, si sarebbe vestito e sarebbe andato
giù, nella città bassa, alla locanda del Lupo Nero. Lì c’erano sempre un sacco
di ragazze pronte a regalarti un po’ di compagnia.
Ma lo spettro del crampo lo dissuase. E rimase lì, nel
letto, al buio coi suoi tormenti.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie
paranoie. X°D
Note: Ok, non è
esattamente il capitolo perfetto per festeggiare… Il finale è un po’ dolce-amaro, ma ehi! Dopo aver tormentato tanto Merlin, un
po’ anche ad Arthur, no?
Come avrete già capitolo, il nostro principe nega qualsiasi
attrazione per Merlin (anche se… vi sembra normale lasciarvi regolarmente
sculacciare dal vostro servo?) e la vicinanza di Lin
gli provoca turbamenti che non è pronto a considerare.
Il capitolo fa anche riferimento al famoso discorso sulle
donnacce. XD
Dominic di Elhras
è un personaggio che ho completamente inventato io.
Per esperienza personale, posso assicurarvi che chi soffre
regolarmente di crampi prova un dolore fortissimo. Una persona molto vicina a
me li ha spesso e viene colpito anche con tre crampi
contemporaneamente alla gamba e rimane annichilito, aspettando minuti interi
contorcendosi dal dolore. I massaggi e gli stiramenti meccanici aiutano, ma
sono dei momenti davvero brutti.
Il titolo fa il verso al famoso “I dolori del giovane Werther”, un romanzo epistolare di Johann
Wolfgang Goethe con cui, per sommi capi, si potrebbe ritrovare un parallelo coi tormenti di Arthur.
Per eventuali domande, sono sempre adisposizione.
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(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Capitolo 6 *** Capitolo VI: The First One - (Don't) knock on the door - ***
Ciao e ben ritrovati
Ciao e ben ritrovati.
È esattamente da un anno che non posto nulla su EFP e sono
molti mesi che non leggo storie su Merlin. Mi sono dedicata ad altro, ad altri
interessi e ad altri impegni. Ma non potevo ignorare
il compleanno della mia creatura più longeva, quindi eccomi qui, con un nuovo
capitolo. Non so a quanti di voi interessi ancora
questa storia, se siano tanti o pochi. Non so neppure più se il fandom di Merlin sia tuttora attivo oppure no. Ma mi
farebbe piacere sapere se volete ancora aggiornamenti su Linette
e le sue (dis)avventure, così
so regolarmi di conseguenza.
Linea temporale: Questo
capitolo si innesta fra l’arrivo della futura regina a
Camelot, con la cerimonia magica, e il matrimonio
ufficiale, qualche mese dopo. Praticamente, è un missing moment del capitolo n°4 di questa raccolta.
Dedico questo capitolo a quanti
hanno amato MerLin.
A chi ha lasciato traccia del
suo passaggio con un commento, nei precedenti capitoli e in altre mie storie, nel
corso dei mesi passati.
E per ogni meraviglioso disegno
che avete creato, ispirandovi alle mie fic. Mi sento onorata.
A chi, in questo lungo anno, mi
ha contattata per chiedermi di non smettere.
A chi ha semplicemente letto. Ma, se vi va, lasciate
un segno (che è sempre gradito).
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She 2
La Raccolta
Capitolo VI: The First One - (Don't)
knock on the door -
Da che Arthur era diventato re, lui e Merlin non avevano più
avuto un solo momento di pace – anche se, a ben vedere, neppure prima c’era tempo di annoiarsi.
Dopo
l’incoronazione, v’erano stati i Trattati di Pace da
siglare nuovamente con i regni alleati, infinite delegazioni che sfilavano da e
verso Camelot, intervallate dalle interminabili
riunioni del Concilio, dove l’Asino Reale aveva temprato la propria pazienza
per non torcere il collo ai vetusti consiglieri del padre, mentre lottava per
avvalorare le proprie ragioni e abolire il divieto alla magia.
Anche
Merlin aveva fatto la sua parte con mille, essenziali interventi su vari fronti
(Arthur sospettava di conoscerne solo una minima quantità, ma il suo compagno godeva della sua massima fiducia e, a volte, il nobile
Somaro aveva imparato che era meglio non
sapere, per preservare la propria sanità e pace mentale).
Non
appena le cose avevano iniziato ad avviarsi per il meglio, il suo servo (e
consigliere e amante) lo aveva costretto a separarsi da lui, partendo verso
destinazioni ignote, per trasformarsi nella futura regina di cui il regno aveva
bisogno. Erano stati i due mesi più tormentati della sua vita, perché il
giovane Pendragon soffriva terribilmente la mancanza
di quell’idiota del suo valletto pasticcione e, soprattutto, temeva che
qualcosa – qualsiasi dannata, piccola cosa – potesse andare storto e lui non
avrebbe potuto vivere senza metà del cuore.
Gli Dei
avevano avuto pietà di lui, ascoltando le sue preghiere, e Merlin aveva fatto
ritorno due lune dopo, nella sua nuova forma, suggellando un’alleanza
indissolubile fra il Popolo Magico e Camelot.
Il cambiamento non era stato semplice e ne era conseguita
una fase di assestamento, soprattutto per far accettare questa decisione alle
fazioni più estremiste. Arthur non avrebbe potuto permettersi di perdere
alleati, ma non avrebbe neppure cambiato la rotta delle sue decisioni. Albion doveva nascere, e lui avrebbe fatto in modo
che accadesse.
***
Una volta, aveva amato le missioni.
Erano il modo più comodo per sgattaiolare via dalla severità del padre, per
starsene qualche giorno all’aria aperta, lontano dal peso di doveri e obblighi
di corte. Beninteso, lui aveva sempre infuso massima serietà in ogni incarico
affidatogli – che fosse semplicemente controllare i villaggi di confine, o
andare a caccia di un mostro magico che infestava qualche zona –, ma ora
sentiva la nostalgia di quella spensieratezza. Si era dovuto assentare per
settimane, calato in una missione diplomatica estenuante, andando di persona a
convincere i nobili più reticenti che lui valeva la loro fiducia. Sorridi, Arthur. Sorridi. Non importa se è tutto
falso. Sii determinato, irremovibile. Se ti dimostri debole, ti schiacceranno.
Stringi mani e denti. E poi sorridi. Se lo ripeteva giorno dopo giorno, di castello in castello, finché – con suo sommo
sollievo – il peregrinare non era finito.
E, dopo, quando aveva fatto ritorno a casa, era rimasto dì e notte sequestrato dai
suoi doveri arretrati, annegando fra mari di scartoffie che inondavano la sua
scrivania, scalando poi montagne di decreti e leggi in attesa della sua
approvazione definitiva, anche se Merlin, in qualità di reggente, aveva svolto
un lavoro meraviglioso, cercando di sgravarlo di quante più incombenze era
stato possibile.
Merlin, il suo Merlin.
Arthur aveva sognato, in ogni notte di separazione durante quel viaggio, il
momento in cui sarebbe tornato dal suo compagno e l’avrebbe riabbracciato e
amato. Cosa che puntualmente non era avvenuta, visto che il dovere – o, meglio, Geoffrey di Monmouth –
lo aveva requisito non appena messo piede al castello, incatenandolo allo
scrittoio con mille richieste urgenti e improrogabili,
mantenendo i due amanti in forzata castità. Dannata
burocrazia.
***
Al terzo giorno d’imposta separazione, in cui si erano a
malapena salutati, Merlin avanzò, a passo sostenuto e ansioso, fino al portone
dello studio del re. Poi si fermò lì davanti, a prendere una grossa boccata
d’aria, e quindi entrò, senza bussare.
Arthur sollevò di
scatto gli occhi dalla dichiarazione che stava scrivendo e sollevò un
sopracciglio con ironia.
“Non imparerai mai le
buone maniere, eh?” lo stuzzicò con tenera derisione mista ad affetto. Sapeva
di apparire sfinito, la barba incolta e gli abiti spiegazzati. Ma sperava anche che l’altro cogliesse ugualmente la
bramosia che lo divorava, l’attesa che acuiva il desiderio, a malapena
trattenuto dalle promesse fatte a Geoffrey. Avrebbe firmato gli ultimi
documenti richiesti entro il tramonto, si sarebbe dimostrato irreprensibile di
fronte al Concilio, affidabile e coscienzioso, non un reuccio in preda alle
bizze d’amore, ma poi… poi si sarebbe reso irreperibile per chiunque, tranne che
per la metà della sua medaglia.
Merlin gli lanciò una
lunga occhiata e stranamente non rispose a tono, si accomodò invece davanti
alla scrivania del sovrano.
“Ho una cosa
importante da riferirti”, chiarì il mago, tamburellando con le dita sul
bracciolo in pelle, uno strano luccichio negli occhi.
“Orsù, ti ascolto!”
lo invitò il compagno, posando la piuma con cautela perché l’inchiostro non
macchiasse ovunque.
“Non… non è facile da
dire…” premise, arrossendo quasi intimidito.
“Merlin?” lo richiamò
l’altro, preoccupandosi per quell’inconsueta titubanza. “Che c’è?”
“Forse è un po’
troppo presto…” farfugliò lo stregone. “Anche se ormai è tardi…”
“È presto, o è
tardi?” ripeté il re, cercando invano di raccapezzarsi. “E per fare cosa?”
Merlin risollevò lo
sguardo dalle proprie dita intrecciate sul grembo e riprese: “Hai presente
quando Sir Leon ci ha scoperti sulla torre, il mese
scorso, prima di partire per questa missione?”
Arthur sfoderò un
ghigno degno delle sue peggior malefatte.
“Oh,
sì che me lo ricordo!
Aveva una faccia impagabile!” sghignazzò, ricordando come tutti continuassero a
chiedere la sua attenzione a ridosso della partenza imminente per il suo primo
viaggio diplomatico da regnante e lui e Merlin,
stanchi di venir continuamente interrotti, erano fuggiti in cerca di un posto
appartato e un momento da trascorrere da soli. Erano ancora in luna di miele dopo la prima cerimonia nuziale, per la
miseria!
Ma il buon Sir Leon, con un grosso fiatone per
la corsa fatta, aveva spalancato la postierla del torrione a Est ed era rimasto
impalato a pochi passi da loro, mentre il re e la sua futura moglie se ne
stavano… in intimità. Lì, sul pavimento del camminamento di ronda.
Quando Arthur si era
accorto di lui, aveva bloccato il movimento ondeggiante di Merlin sul suo
bacino e gli aveva lanciato un’occhiata stupita, mentre il suo compagno
squittiva arrossendo, realizzando la presenza estranea, rassettandosi inutilmente
le gonne sgualcite. Non che si potesse
fraintendere l’interruzione sul più bello.
“Maestà, io, ehm…”
aveva farfugliato il cavaliere, raschiando la gola, tossendo. “Ho visto un
movimento sospetto quassù e sono venuto a controllare…” si era giustificato,
combattuto se parlare guardando il sovrano negli occhi o abbassare lo sguardo
per rispetto della dama e di quella situazione imbarazzante.
“Ci siamo solo noi
due, quassù”, gli aveva spiegato Arthur. “Stiamo provvedendo a fornire un erede al trono di Camelot”, gli aveva detto, in tono serio, con una punta di
spavalderia.
A quel punto, la
futura regina aveva brontolato un “Asino che non sei altro”.
E Leon, pace
all’anima sua, era rimasto lì paralizzato, per un istante, sconcertato. Poi aveva
annuito e, con doveroso ossequio e un “Allora tolgo il disturbo, Maestà”, si
era defilato.
Era stata davvero una
fortuna che, fra tutti i suoi cavalieri, fosse stato proprio Sir Leon a
pescarli in quella situazione incresciosa, perché il suo uomo più fidato era la
discrezione fatta a persona.
Se gli fosse capitato
fra i piedi Sir Duncan, per esempio, Arthur era certo
che quella bocca larga si sarebbe vantato con un “C’ero anch’io!”, anche se sicuramente non aveva alcun merito di
cui lodarsi.
Cogliere la futura
regina in atteggiamenti discinti non era decoroso e non giovava alla sua
reputazione.
Eh, sì. Decisamente gli era andata di lusso,
con Leon e il suo proverbiale riserbo. Anche se ricordare la sua espressione sconvolta era davvero uno spasso!, meditò il sovrano, ridacchiando.“E poi, quando gli ho detto che stavamo
procacciando un erede per Came-” si zittì di colpo incontrando
lo sguardo dell’altro. “Merlin!” ansimò poi. Si alzò di scatto e girò attorno alla tavola di legno spesso.
E si accucciò davanti
al consorte.
“Vuoi dire che…”
“… Sì, c’è un bimbo
in arrivo”.
Arthur gli circondò
il viso con le mani e si chinò a baciarlo.
“È meraviglioso”, soffiò
poi, direttamente sulle sue labbra, sentendo che l’altro si rilassava pian
piano.
Eppure le spalle
magre di Merlin erano tuttora rigide, trasmettevano ancora residui di tensione.
“Tu… non ne sei
contento?” gli chiese allora il sovrano, incerto.
La futura regina
scosse il capo, sospirando.
“Sì che lo sono!”
guaì. “Però temevo…” tentennò, sospirando nuovamente e
incrociando gli occhi azzurri in quelli celesti del suo compagno. “Non sei arrabbiato?
Non è troppo presto?” lo incalzò. “Un erede è importante, ma potevamo fare le
cose con calma”.
“Non abbiamo mai
fatto niente con calma, noi due!” rise Arthur. “Si
vede che è Destino che noi due non si faccia mai secondo le regole!” E sorrise,
divertito.
“La fai facile, tu!” borbottò però lo stregone. “Come sempre, sono io quello
che deve avere buonsenso per entrambi”.
“Ma
che problema c’è?”
“Figlio…
illegittimo…” mugugnò il mago, controvoglia, rammentando quante volte da
piccolo era stato deriso per questo. Un
bambino nato fuori dal matrimonio dava sempre adito a
scandali.
“Mi hai tradito con
qualcuno?!” gemette allora il sovrano, fingendosi
mortalmente offeso. “Con Malcom, magari!” continuò la sua
farsa. “L’avevo detto, io, che siete stati sempre troppo amici!”
“Ma
che asino che sei! Provo pena per quel povero valletto, perché conosco le tue angherie”,
sbuffò lo stregone, tirandogli un pugnetto contro la
spalla più comoda. Arthur sorrise con lui; intercettandogli la mano,
bloccò il movimento per portarsela alle labbra e baciarne l’incavo delicato.
“Vivi qui da mesi,
ormai”, riprese poi, facendosi serio. “Siamo ufficialmente promessi e lo sanno
tutti. La mia gente- la nostra gente”,
si corresse “ti venera e ti ama. Nessuno avrà da ridire”, lo rassicurò.
“Ad ogni modo, se la cosa ti fa stare meglio, anticiperemo un po’ il matrimonio”.
Merlin annuì. “Sì,
grazie”.
“Lo farò. Farò venire un infarto a Geoffrey già domani, cambiando i
suoi piani”, promise il re. “Ma ora… lasciami salutare
il mio erede”.
Il mago stiracchiò le
labbra, quando il compagno si piegò per baciargli il ventre, unendo le proprie
mani sopra alle sue.
“Ne
hai parlato con Gaius? Cosa dice, lui?”
volle sapere il re.
“Sì, l’ho appena
fatto”.
“E…?” l’incalzò, impaziente.
Tuttavia Merlin
sospirò.
“Dice
che la mia trasformazione in donna è troppo recente. Il mio corpo deve riequilibrarsi e che…
forse è troppo presto. È impossibile sapere di già se
sono davvero in stato interessante...” espose, riluttante.
Anche la voce di
Arthur si fece incerta.
“Quindi
non… forse…”
“Ma
io lo sento. Dentro di me. La magia è cambiata. Sento pulsare un’energia diversa, esattamente qui”. E si indicò un punto particolare della pancia. “Non mi posso
sbagliare”.
Il sorriso rifiorì
sul volto del giovane Pendragon.
“Ti credo”.
Merlin risollevò il
viso minuto di scatto.
“Davvero?”
“Certo, amore mio!”
confermò, accarezzandogli una guancia. “Mi fido della tua magia più che di me
stesso”.
Una lacrima solitaria
scivolò sullo zigomo del mago.
Arthur la raccolse
con l’indice ruvido.
“Ehi!”
“Sono gli oromoni!” sbuffò Merlin, tirando su
col naso in modo assai poco femminile.
Arthur sgranò gli
occhi. “E io che speravo il buffone
fosse andato in congedo!”
“Oh, lui sì”, ghignò stavolta
lo stregone. “Però tutti i suoi trucchetti, no”.
“Ma-ma…”
“Gaius
dice che è anche peggio…”
“NO!”
“Sììì…”
“Ma non è giusto!” protestò l’Asino Reale, sentendosi
tradito, mentre sperava almeno che, all’annuncio
ufficiale dell’arrivo di un erede, Leon non avrebbe ceduto
alla gioia e alla baldoria, vantandosi in tutto il regno con un “Io c’ero!”.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie
paranoie. X°D
Note: Ok, forse
speravate in qualcosa di meglio per festeggiare… ma, ehi!,
non muore nessuno e nessuno soffre!
La verità è che mi sento davvero arrugginita e spero che questo
sia all’altezza dei precedenti. U.U
Qualcuno potrebbe obiettare che la preoccupazione di Merlin
sul ‘figlio illegittimo’ sia eccessiva.
Come avevo scritto nelle note del lontano cap. 16, riguardo
a Sir Beltrame: i figli illegittimi sono una realtà vecchia come il mondo, sia
tra i nobili che fra la gente comune.
Nelle leggende
arturiane, sappiamo bene che i Pendragon & affini
hanno bellamente sparso seme in giro per il mondo al di fuori del sacro vincolo
del matrimonio. E non solo loro, perciò diamolo per
scontato.
Tuttavia, la
situazione di Merlin è molto precaria. Sommando la magia, lo stravolgimento epocale delle leggi di Camelot, il
periodo di transizione fra i due matrimoni e tutto il resto, un figlio
imprevisto, mentre il re era in viaggio, non è esattamente la cosa più
simpatica da fare.
Merlin vuole
proteggere la sua creatura, perché nessuno sospetti che sia ‘il figlio bastardo
del re’.
Da qualche parte
avevo letto che tre settimane è il tempo minimo per
scoprire di essere incinte, anche se generalmente ci si mette di più. Merlin,
ovviamente, con la sua magia è un caso a parte.
Fin dal primo,
traumatico ciclo (ricordate? XD), sapete che Merlin
chiama gli ormoni ‘oromoni’, distorcendo la
spiegazione scientifica di Gaius. Da allora, non ha
mai cambiato il nome delle sue paturnie.
Per il titolo, c’è una doppia valenza. Il primo, perché è il
primo figlio, l’erede al trono. E, la parte tra parentesi, perché Linette scordava sempre di bussare e anche Leon lo fa,
scoprendoli sulla torre, ma soprattutto perché, in futuro, ci saranno delle
porte di mezzo in momenti particolarmente importanti che richiameranno questo
capitolo. Dovete tenervi per un po’ la curiosità.
Per eventuali domande, sono sempre adisposizione.
Campagna di
Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Capitolo 7 *** Capitolo VII: The Mark of Destiny (Scar Love) ***
Linea temporale: Missing moment
Linea temporale: Missing moment. Pochi giorni dopo
la rottura della maledizione in cui Merlin torna uomo (cap. 90).
Dedico questo capitolo a quanti
hanno amato MerLin.
A FlameOfLife, Aching heart, chibisaru81, Orchidea Rosa, phoenix84, PandoraEvans_888, DevinCarnes, chibimayu e RelieDiadamat, per ilorogentilicommenti.
A chi ha semplicemente letto. Ma, se vi va, lasciate un segno (che è sempre gradito).
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
The He in the She 2
La Raccolta
Capitolo VII: The Mark of Destiny (Scar Love)
Forse era quello, il giardino delle delizie che i menestrelli
decantavano nelle loro sonate d’amore.
Quella sensazione di pace, di pienezza, di felicità che rischiava di traboccare dai pori della pelle perché
il suo corpo non riusciva a contenerla tutta. Quell’euforia che lo faceva
sorridere anche nel bel mezzo degli allenamenti perché la sua mente correva
verso un certo servo irriverente.
Da quando aveva riabbracciato Merlin, da quando la
maledizione si era spezzata, il principe viveva fluttuando in uno stato di beatitudine
stordente, pervaso da una gratitudine che sfiorava la commozione.
Non si era mai aspettato di provare dei sentimenti con una
tale intensità, perché non era mai stato educato ad
amare, quanto piuttosto all’arte della guerra. Ma
Merlin si era preso il suo cuore anni addietro ed egli era ben felice di averglielo
ceduto, poiché non esisteva al mondo nessun altro più degno di lui. Anzi, con
l’umiltà di un postulante esaudito, l’erede al trono avrebbe dovuto prostrarsi
e ringraziare gli Dei e il Fato per avergli accordato un tale privilegio.
E ora niente e nessuno avrebbe dovuto osare separarli. Mai più, considerò con feroce determinazione. Benché fosse
consapevole che il mago più potente della Terra fosse in grado di difendersi da
sé, come cavaliere sentiva germogliare dentro il bisogno di proteggerlo e
custodirlo, come una cosa rara e preziosa, come il tesoro d’inestimabile valore
che si era rilevato.
Ed eccolo lì, anche in quel momento, a vegliare il suo riposo,
col cuore troppo gonfio d’amore per trovare requie, per essere sazio di quella
visione straordinaria.
La luna sbirciava fra i tendaggi del baldacchino la loro intimità,
accarezzandoli coi suoi timidi raggi, forse invidiosa
o forse indulgente, benedicendo i due amanti.
Arthur se ne stava con il capo sostenuto dal polso, il gomito
puntellato sul cuscino del letto e osservava Merlin dormire beato, i lineamenti
delicati baciati dal pallido lucore, il viso rivolto verso di lui, anche nel
sonno, come a cercarlo, le lunghe ciglia scure che contrastavano con le guance
nivee. La massa di capelli arruffati, neri come le ali di corvo, come le notti
più buie, come gli incubi di quando temeva di non poterlo più riabbracciare…
Gli venne l’improvviso desiderio di toccarlo, di accertarsi
che fosse davvero lì – e non un sogno troppo bello per essere
vero –, ma desistette un istante, la mano a mezz’aria, per paura di
svegliarlo.
Alla fine la sua brama vinse e il nobile sfiorò il corpo
prono, la cute calda e morbida tra le scapole, scivolando lento e pigro verso
il basso, oltre il lenzuolo che copriva la loro nudità.
L’indice percorse la colonna, con riverenza e devozione, e fu
ricompensato da un mugugno.
Le palpebre dello stregone fremettero, come il cuore del
principe. E poi cielo e mare si ritrovarono.
Arthur ripercorse con deliberata indolenza il cammino a
ritroso, facendolo rabbrividire di piacere e aspettativa,
fino a quando le sue dita non incontrarono un’increspatura screziata, la pelle
raggrinzita che bruciava sotto di lui.
“Come ti sei fatto questa cicatrice?” bisbigliò, come se si
stessero rivelando un segreto d’amore, frasi che neppure la luna avrebbe dovuto
condividere con loro.
Merlin sorrise, ma non proferì parola.
“Quando?” lo incalzò il principe, strofinandola con tenera venerazione.
“Il giorno in cui ho incontrato il mio Destino”.
“Chi… te l’ha fatta?” osò chiedere, cogliendo nello sguardo dell’altro parole che non avrebbe udito.
Quello era l’unico compromesso; perché, pur non volendo
mentirgli, Merlin non glielo avrebbe mai neppure detto, per non farlo sentire inutilmente
in colpa.
Ma il petto del giovane Pendragon si strinse ugualmente in una morsa di dolore.
“Perché… non l’hai cancellata con la magia?”
“Voglio che mi accompagni per sempre.
Perché è parte di me…” Si osservarono l’un l’altro, per un
istante eterno. È parte di noi.
Arthur chinò il capo, deferente, e allungandosi sfiorò con le
labbra e con rispetto i contorni di quel ricordo. Indugiò a lungo, pelle contro
pelle, e marchiò nuovamente il mago con un bacio che
chiedeva perdono al passato e offriva amore al futuro.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie
paranoie. X°D
Note: Capitolo
breve, ma spero di vostro gradimento. Probabilmente, nel prossimo salteremo
parecchio avanti nella storia.
Nella prima puntata del telefilm di Merlin, lui e Arthur si incontrano e poi, più tardi, combattono.
In Linette, nel capitolo 76,
c’è un riferimento.
Quando Arthur scopre la magia di lei,
l’unica cicatrice è questa, non quella della freccia dell’agguato di quel
capitolo.
Per comodità, vi riporto le righe di allora:
Quel mazzafrusto con cui il principe lo aveva colpito e che
Gaius gli aveva medicato. Era rimasta la cicatrice. E Merlin
avrebbe potuto facilmente cancellarla, ma non l’aveva mai fatto.
Aveva scelto dinon farlo.
Nel capitolo vi è un richiamo diretto alla puntata 1x01 “La
chiamata del drago”, all’incontro-scontro tra Arthur e Merlin.
Il Mazzafrusto è un’arma medievale con un bastone rigido,
una catena e una palla chiodata alle estremità (il numero di palle può variare
da 1 a 4).
Documentandomi, ho scoperto che quasi sempre nei film si usa in modo scorretto, e
anche Merlin non fa eccezione. XD