Just a Matter of Time di bloodred_rose (/viewuser.php?uid=54131)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fallen Angel, tell me why? ***
Capitolo 2: *** One day he'll know the taste of freedom ***
Capitolo 3: *** Forgive me my sins ***
Capitolo 4: *** Could we start again, please? ***
Capitolo 1 *** Fallen Angel, tell me why? ***
FALLEN ANGEL
Desclaimer: ebbene no,
i personaggi non mi appartengono nemmeno 'sta volta!
JUST A
MATTER OF TIME
FALLEN ANGEL, TELL ME
WHY?
I
am your Angel of
Music…
Come to me, Angel of
Music…
Ferma
tra la neve davanti alla
cripta di suo padre, Christine aspettava, ancora sotto
l’influsso ipnotico
della voce del suo maestro. Inconsciamente, forse, era anche per quello
che,
all’alba e senza avvertire nessuno, si era fatta portare di
nascosto al
cimitero. Sapeva bene quello che il suo Angelo, o meglio, il suo
Fantasma, era
in grado di fare, ma sapeva altrettanto bene che mai e poi mai avrebbe
alzato
un dito su di lei con l’intenzione di farle del male.
L’amava. Il temuto,
misterioso Fantasma dell’Opera era innamorato di lei.
Christine era riuscita a
realizzarlo davvero solo dopo il ballo in maschera di quella notte,
dopo aver
visto i suoi magnifici occhi grigi carichi di desiderio e di nostalgia,
di una
profonda malinconia e di un amore forse ancora più profondo
e certamente più
dannato. Aveva visto quell’amore terribile anche nella sua
rabbia, quando le
aveva strappato dal collo la catenina con l’anello di Raoul.
E ora aspettava
che le si mostrasse di nuovo per dirgli… nemmeno lei sapeva
esattamente cosa,
ma doveva parlargli. Tra loro c’erano troppe cose in sospeso.
Salì gli ultimi
due gradini della scalinata guardandosi attorno per cercarlo.
«Non
potrai mai liberarti di me,
Christine!» Si voltò di scatto al suono della sua
voce, trovandoselo di fronte
e, istintivamente, arretrando di un passo.
«Che
tu lo voglia o meno,
Angelo,» proseguì, avanzando minacciosamente e
costringendola, di conseguenza,
ad arretrare fino a sfiorare il muro della cripta con le spalle
«tu appartieni
a me!» Sollevando il capo per fissarlo negli occhi, Christine
si accorse con un
accenno di panico della pochissima distanza tra di loro.
«Cosa
ti fa credere che voglia
liberarmi di te?» domandò con un filo di voce. Lui
scosse il capo piegando le
labbra in un sorriso amaro.
«Quanto
sei ingenua, Christine!
Credevo sapessi che in qualunque luogo, sia esso all’interno,
sotto o sopra l’Opera
Populaire, io sento e vedo
tutto.» Lei
spalancò gli occhi e
iniziò a tremare, senza sapere se per il freddo
all’esterno o se per quello che
sentiva dentro. Li aveva sentiti, li aveva visti… il suo
Angelo sapeva. Le
prese il volto tra le mani costringendola a fissarlo, mentre la sua
espressione
lentamente cambiava in quella che sembrava disperazione.
«Perché?»
le chiese «Ti ho dato
tutto, la mia musica, la mia anima, per quanto nera possa
essere…! Dimmi
perché, Christine!» Lacrime silenziose
cominciarono a rigarle il viso scendendo
a bagnare anche le dita di lui. Chiuse gli occhi, senza il coraggio di
guardarlo, mentre il suo corpo veniva scosso da violenti singhiozzi. Il
suo
Angelo aveva visto, il suo Angelo sapeva… il suo Angelo che,
in realtà, tanto angelo
non era.
«Forse
dovrei essere io a chiederti
il perché, Angelo…»
«Erik.»
lo sentì sussurrare dopo
un attimo di silenzio. Il significato di quel nome la colpì
come un fulmine e
riaprì gli occhi, sprofondando in quelli grigi e carichi di
tristezza
dell’uomo, niente di più, che le stava di fronte.
«Non
sono un angelo, Christine,
dovresti averlo capito ormai. Gli angeli non hanno bisogno di mentire
per
sentirsi amati. E, soprattutto, non devono nascondersi dietro una
maschera.» La
malinconia che impregnava le sue parole era tale che per un attimo, un
attimo
soltanto, Christine fu convinta di aver visto l’ombra di una
lacrima scivolare
silenziosa sotto la stoffa bianca che copriva la parte destra del suo
volto.
Eppure, per la prima volta nella sua giovane vita, il rancore prese il
posto
della compassione.
«Mi
hai ingannata.»
«Ti
ho ingannata.» ammise senza
vergogna «E ti ho mentito. Mi chiedi il
perché…» Lo sentì ridere,
una risata
completamente priva di allegria «Se ti avessi detto la
verità fin dall’inizio
saresti fuggita senza guardarti indietro. Per questo, solo per questo.
Mi sono
finto un angelo, pur sapendo che non sono altro se non il figlio del
Diavolo, e
ti ho insegnato a cantare. E ora tu mi ripaghi
così…» La sua mano scese alla
gola di lei, stringendo senza farle del male in una muta minaccia. Si
avvicinò
ancora, spingendola di più contro il muro, intrappolandola
con il suo corpo.
Chinò il capo sul suo viso, la distanza ormai solo una
questione di centimetri,
puntando gli occhi offuscati quasi da una nube di rabbia in quelli
scuri e profondi
di Christine.
«Io
ti ho ingannata…» sibilò «ma
tu mi hai tradito!» Strinse la presa sulla sua gola e
istintivamente le mani di
lei raggiunsero la sua nel tentativo di fermarlo. Christine
cominciò ad
ansimare, un po’ per la paura di quell’attacco che
non si aspettava e un po’
per la stretta, mentre il suo viso perdeva il poco colore rimasto.
Tremando,
piangendo, ma senza mai distogliere lo sguardo da quello infuriato di
lui, si
ritrovò a pensare che forse si era sbagliata sul conto del
suo Angelo maledetto:
il Fantasma era perfettamente in grado di farle del male.
«Erik…»
sussurrò, assaporando,
nonostante la situazione, la sensazione del suo vero nome sulle proprie
labbra.
Lui sembrò fare lo stesso, rilassando la sua espressione e
allentando la presa sulla
sua gola. Con la punta delle dita sfiorò delicatamente i
segni rossi che la sua
stretta le aveva lasciato ai lati del collo. Vedendo la tristezza
emergere
dalla grigia tempesta degli occhi dell’uomo, Christine si
chiese, con una punta
di preoccupazione e una di paura, come potesse cambiare radicalmente
umore in
così poco tempo. L’istante successivo si rese
conto che non le importava,
perché, nonostante tutto, lui era ancora il suo Angelo,
l’uomo che aveva messo
le ali alla sua voce, l’uomo che
l’amava… anche fino al delitto. Dolcemente gli
strinse la mano tra le proprie, muovendo inconsciamente un passo per
avvicinarsi di più a lui.
«Ti
prego,» sussurrò tra le
lacrime «cerca di capirmi. Per anni non sei stato altro che
una voce. E poi,
appena dopo aver scoperto che eri un uomo in carne ed ossa, un uomo che
avrei
potuto amare…» un singhiozzo spezzato interruppe
la frase «Che altro avrei
potuto fare? Ero terrorizzata! Avevi appena ucciso un uomo sotto ai
miei occhi,
temevo che potessi far del male anche a Raoul…» Al
nome del visconte
l’espressione di Erik si irrigidì, mentre lei
continuava a stringergli
convulsamente la mano senza smettere di piangere e di tremare.
«Ho avuto paura,
Erik. Tanta. E non avendo più il mio Angelo a proteggermi
sono corsa dall’unica
altra persona in grado di farlo.» Lo vide chiudere gli occhi
e trarre un
profondo sospiro, scuotendo ripetutamente il capo con aria colpevole.
Dopo
quella che le sembrò un’eternità,
risollevò finalmente lo sguardo su di lei
prendendole il viso tra le mani e cercando, per quanto possibile, di
asciugarle
le lacrime.
«Potrai
mai perdonarmi,
Christine?» domandò, la sua voce angelica
atrocemente triste. Istintivamente,
senza riflettere, lei gli gettò le braccia al collo,
nascondendo il volto
contro il suo petto, continuando a piangere. Dopo un primo attimo di
esitazione
ricambiò l’abbraccio, stringendola a sé
tanto da arrivare quasi a farle male,
seppellendo tra i suoi capelli quelle lacrime che ora, mentre lei non
poteva
vedere, scivolavano dai suoi occhi
libere
e silenziose. Avrebbe potuto passare l’eternità
così, avvolto nel suo dolce
profumo, riscaldato dal calore che il suo corpo sottile emanava.
Aspettò che
smettesse di piangere, desiderando egoisticamente che non lo facesse
mai per
non essere costretto a lasciarla andare, poi, quando la
sentì sospirare contro
il suo collo e rilassarsi poggiando la testa alla sua spalla, le
baciò i
capelli, mormorando un debole
«Perdonami…» tra la massa dei suoi ricci
castani.
Christine si limitò a stringerlo di più,
lasciandosi cullare dal battito
leggermente accelerato del suo cuore.
«Perdonami,
amore mio, perdonami…»
ripeté in un sussurro quasi disperato. Lentamente lei
sollevò il capo tornando
a fissarlo negli occhi, mentre posava dolcemente la sua mano sulla
parte scoperta
del suo viso. Senza riflettere, ignorando il buon senso che le gridava
di
tornare da Raoul prima che scoprisse che se n’era andata, si
alzò sulle punte
dei piedi e, sotto lo sguardo sorpreso di lui, gli accarezzò
le labbra con le
proprie. Erik si ritrasse appena, come ustionato da quel lieve
contatto, mentre
il suo cuore traditore sembrava pronto a scoppiargli nel petto. Poi,
con
esasperante lentezza, si chinò su di lei, sfiorandola con un
bacio identico a
quello di poco prima. Christine socchiuse gli occhi, soccombendo alla
marea di
sensazioni che, ora riusciva a rendersene pienamente conto, solo lui
riusciva a
farle provare. Si sentiva bruciare, come se stesse per prendere fuoco
dall’interno, dal suo cuore, o dai punti in cui le labbra di
Erik entravano in
contatto con le sue. Aveva la sensazione di cadere, precipitare in un
vuoto
oscuro, oscuro come l’uomo che le stava davanti, lo stesso a
cui si aggrappava
come se fosse l’unica ancora di salvezza. Ironicamente,
forse, non sarebbe
potuta essere più lontana dalla verità, in quanto
il suo Angelo, il suo
Fantasma, era probabilmente l’uomo più pericoloso
che avesse mai incontrato.
Eppure, anche con quella consapevolezza, non riusciva a rompere il loro
bacio,
un’armonia di toccate e fuga in costante crescendo.
«Christine…»
lo sentì mormorare
contro le sue labbra, mentre una voce completamente diversa gridava in
lontananza lo stesso nome. Ancora abbracciata a Erik si
voltò, perdendo
completamente ogni traccia di colore in volto quando la voce
risuonò più vicina
chiamandola di nuovo.
«Raoul…»
sussurrò sconvolta,
spalancando gli occhi per la sorpresa. Un basso ruggito felino la
costrinse a
spostare nuovamente la sua attenzione sull’uomo accanto a
sé, metà del suo
volto contratto in un’espressione di rabbia,
l’altra metà nascosta dalla fredda
e impassibile maschera bianca.
«Ti
prego, non fare follie…!»
L’occhiata che le lanciò la fece tornare a
tremare: nemmeno la notte
precedente, durante il ballo, le era sembrato così infuriato
e terribilmente
potente.
«Follie,
mon ange?» chiese con voce
pericolosamente calma «Cosa ti fa
credere che io possa commettere delle follie?» Avrebbe potuto
rispondergli che
era il bagliore omicida nei suoi occhi a farla preoccupare, ma temeva
che
dicendolo avrebbe solo peggiorato la situazione. E Raoul era sempre
più vicino…
«Erik,
ti prego…» Sentì le
lacrime soffocarle in gola qualsiasi altra supplica, mentre
l’ira sul volto del
suo Angelo si scioglieva in una profonda, dolorosa delusione.
«Verrà
il giorno, Christine, in
cui sarai costretta a fare una scelta. È solo una questione
di tempo.» E se ne
andò, lasciandola sola a fare i conti con l’altra
metà del suo cuore… una metà
che non batteva più come prima.
xXx
NdA:
Ebbene sì, ladies and gentlemen, sono tornata! Suppongo di
non
esservi minimamente mancata... ma questo non mi ferma dal ricominciare
con un'altra follia! Questa volta niente miscugli assurdi tra libri e
film (anche nella speranza che qualcun altro si accorga della mia
misera esistenza...), ma solo un po' di sana pazzia! In teoria questa
cosa (mi rifiuto di definire ciò che scrivo una storia...)
è nata come one-shot... non so esattamente come è
diventata quello che è diventata, cioè un gran
casino con
un finale probabilmente ultra drammatico... D'altra parte è
saltata fuori all'improvviso dalla mia immginazione folle e con il
tempo, crescendo e assumendo una volontà propria, ha
ottenuto il
completo dominio sul mio povero cervellino bacato che non ha avuto la
forza necessaria per resistere ad un attacco di simile
intensità... mi dispiace... Ad ogni modo, spero che vi possa
piacere e/o interessare e che qualcuno recensisca (speranza
inutile?)... Vi avviso fin da ora che purtroppo temo che non
sarò in grado di aggiornare con costanza, un po' per la
scuola e
un po' per l'ispirazione che fa i suoi porci comodi. Bene, per ora
penso di aver detto anche troppo.
I remain your humble
servant,
bloodred_rose
|
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Capitolo 2 *** One day he'll know the taste of freedom ***
THE TASTE OF FREEDOM
JUST
A MATTER
OF TIME
ONE DAY HE’LL KNOW THE TASTE OF
FREEDOM
Say
you’ll share with me one love, one lifetime
Lead
me, save me from my solitude
Say
you want me with you here, beside you
Anywhere you go let me
go too…
Le lacrime
le scorrevano senza
freni lungo le guance, un sorriso tristissimo le piegava appena le
labbra, ma
nulla di tutto questo le importava. L’unica cosa che riusciva
a sentire in quel
momento era terrore: Erik alla fine aveva fatto una follia. Tutti
sapevano che
si sarebbe presentato alla prima del suo Don
Juan Triumphant, ma nessuno poteva immaginare che avrebbe
preso il posto di
Piangi sul palco. E ora a lei spettava il compito di porre rimedio al
disastro
imminente. Il suo Angelo le stava dichiarando il suo amore di fronte a
tutto il
pubblico, beatamente ignaro dei gendarmi che lo tenevano sotto tiro da
quando
aveva messo piede in scena, o forse semplicemente fiducioso delle sue
arti
illusorie. Sapeva bene che la polizia aveva ricevuto l’ordine
di prendere
finalmente il famigerato Fantasma dell’Opera, vivo o morto. E
lei non poteva
permettere che accadesse.
Christine,
that’s all
I ask of…
«Perdonami…»
mormorò con le
lacrime agli occhi prima di strappargli la maschera dal volto. Per un
attimo fu
convinto che il suo cuore si fosse fermato, mentre la fissava
completamente
incredulo. Tradito. Il suo Angelo lo aveva tradito di nuovo. Anche solo
pensarlo gli faceva troppo male. Troppo male per rimanere lucido.
Estrasse la
spada e tagliò il cordone che reggeva l’enorme
lampadario di cristallo prima
che i gendarmi potessero riaversi dallo stupore e dall’orrore
causato dal suo
volto ormai senza più maschere. Afferrò Christine
per la vita, sentendola
aggrapparsi a lui come in un abbraccio mentre cadevano attraverso le
botole che
aveva aperto fino ad arrivare nel buio del suo regno.
Correva controcorrente per i
corridoi affollati dell’Opera Populaire, incurante
dell’incendio che stava
divampando. Non aveva tempo di pensare alla sua vita o alla fuga,
doveva prima
trovare Christine! Avrebbe preferito morire piuttosto che lasciarla tra
le mani
di quel mostro, soprattutto dopo quanto era accaduto su quel palco. Si
era reso
conto troppo tardi di aver fatto un errore terribile costringendo la
donna che
amava a cantare nell’opera del Fantasma, ma al momento gli
era sembrata la cosa
migliore da fare per attirarlo nella trappola. A quanto pareva il suo
piano
aveva funzionato anche fin troppo, visto che quel maledetto non si era
limitato
ad assistere, ma era salito sul palco, seducendo la sua Christine e,
allo
stesso tempo, facendo in modo che la vicinanza di lei impedisse ai
gendarmi di
sparare. Raoul era rimasto confinato all’interno del palco n.
5 mentre quello
che ormai considerava il suo peggior nemico cantava di desiderio e
lussuria
alla donna che, si era reso tristemente conto anche di questo, entrambi
amavano. Sì, era assolutamente convinto che anche il
Fantasma dell’Opera amasse
Christine: non l’avesse amata non avrebbe nemmeno dato fuoco
al suo stesso
teatro. Ricordando con rabbia la reazione di lei al solo suono della
sua voce,
l’abbandono con cui aveva lasciato che quel mostro la
toccasse, l’espressione
di pura estasi dipinta sul suo volto alla fine del loro duetto, Raoul
non
poteva fare a meno di chiedersi sa anche lei lo amasse. Le
rassicurazioni di
Christine quella sera sul tetto dell’Opera lo avevano
convinto, ma dopo tutto
quello che era successo non poteva e non riusciva più ad
essere sicuro di
nulla. Eppure, nonostante le sue incertezze, correva alla disperata
ricerca di
madame Giry, l’unica che, ne era certo, sapeva dove e come
trovare il Fantasma.
La vide correre verso i dormitori, seguita da sua figlia Meg, e le si
avvicinò,
gridando per farsi sentire sopra il frastuono dell’incendio.
«Dove l’ha portata?» domandò
con
urgenza.
«Venite con me, monsieur, vi
porterò da lui. Ma ricordate, tenete una mano al livello
degli occhi!» e
imitando il gesto lo guidò in direzione dei sotterranei.
Angel
of Music, you
deceived me…
Non
poteva, non voleva credere a
quello che stava succedendo. Dopo averla rapita dal palco, Erik
l’aveva
costretta a seguirlo per gli interminabili e bui sotterranei
dell’Opera,
accecato da una rabbia folle. Ancora scossa da quanto era accaduto in
scena,
Christine non era stata in grado di farlo ragionare e ora ne pagava le
conseguenze:
in qualche modo Raoul, aiutato da madame Giry, era riuscito ad arrivare
vivo ai
sotterranei, solo per ritrovarsi, un attimo dopo, legato
all’enorme cancello di
ferro che divideva le due parti del lago. Quello che al momento la
terrorizzava
di più, però, non era il cappio attorno al collo
del suo fidanzato, ma la
follia che brillava negli occhi del suo Angelo caduto. Lo stesso Angelo
che un
attimo prima dichiarava il suo amore per lei e che l’attimo
dopo la costringeva
ad una scelta che non era in grado di fare. Il suo ultimatum era stato
estremamente chiaro: o lui o la morte di Raoul. Ma Christine non poteva
scegliere, non così. Sentiva le lacrime scorrere calde lungo
le sue guance
mentre teneva lo sguardo fisso su Erik, senza il coraggio di spostarlo
sul
visconte.
«Io
mi sono fidata ciecamente di
te…» sussurrò sconvolta.
«Ti
avevo avvertita, Christine.
Ti avevo detto che un giorno avresti dovuto fare una scelta.»
Spalancò gli
occhi, incredula, tornando con la mente a quella mattina al cimitero e
ricordando
con un brivido lungo la schiena la sensazione di quei baci e la feroce
delusione con cui le aveva sussurrato quelle ultime parole. Era vero,
lui
l’aveva avvertita, ma in quel momento non era riuscita a dare
peso alla sua
velata minaccia. Ora, dopo che l’avvertimento si era
trasformato in realtà, era
in grado di vedere come stavano le cose.
«Tu
sapevi tutto… hai organizzato
tutto questo fin dall’inizio…» Lui si
limitò a sollevare un sopracciglio,
fissandola.
«Dio,
che ingenua sono stata!» Si
passò le mani tra i capelli, ridendo di se stessa.
«Io ti ho perdonato e
intanto tu progettavi il modo migliore per rovinare tutto!»
«Potrei
accusarti della stessa
cosa, Christine. Non hai fatto altro che ingannarmi fin
dall’inizio.» Un
singolo applauso riecheggiò teatralmente nel buio dei
sotterranei. «Brava, i
miei complimenti! Non pensavo che fossi una così brava
attrice anche fuori dal
palco. Sei riuscita a convincermi della tua innocenza, mi hai illuso
per poi
tornare tra le sue braccia,» disse, accennando con il capo a
Raoul, che
osservava la scena immobile e senza parole. «mi hai tradito e
mi hai umiliato
di fronte a tutto il teatro!» gridò.
«Ti
avrebbero ucciso! Possibile
che tu non riesca a capirlo?»
«Dubito
che ti sarebbe
dispiaciuto liberarti finalmente di me.»
«Te
l’ho già detto, Erik: non ho
nessuna intenzione di liberarmi di te.»
«Strano,
mi pareva di averti
sentito dire il contrario quella notte sul tetto…»
Raoul sussultò: allora li
aveva visti! E, a quanto pareva, dopo aveva anche parlato con
Christine, o lei
non avrebbe avuto modo di sapere il suo nome. All’improvviso,
come per volontà
propria, gli si affacciò alla mente il ricordo
dell’espressione stravolta di
lei la mattina dopo il ballo in maschera, quando l’aveva
trovata al cimitero.
Era pallida, con gli occhi rossi di pianto, le tracce lasciate dalle
lacrime
lungo le guance e poi… i segni sul suo collo che aveva
cercato disperatamente
di coprire con la sciarpa.
«Bastardo…»
mormorò. Il Fantasma
lo sentì e diede uno strattone alla corda, stringendo ancora
di più il cappio
attorno alla sua gola.
«No!»
In un attimo, Christine
arrivò di fronte ad Erik, incurante dell’acqua che
le inzuppava il vestito fino
alla vita.
«Lascialo
andare, lui non centra!
È una questione tra noi due!» tentò con
voce disperata. Lui rise, scuotendo il
capo.
«E
perché no? Così avresti modo
di continuare a divertirti, dico bene?» lasciò che
il sarcasmo scivolasse senza
veli in ogni sua parola, poi tornò serio.
«Scordatelo. Questo gioco è durato
abbastanza, Christine. Fa’ la tua scelta.» Lacrime
amare le rigavano il viso
mentre continuava a fissarlo nella speranza che quel lume di follia si
spegnesse.
«Perché
devi essere così
dannatamente egoista?» gli chiese.
«Egoista?»
ripeté stupito. «Per
dieci anni non ho fatto altro che prendermi cura di te. Ti ho insegnato
a
cantare, ti ho insegnato tutto quello che so, ti ho dato tutto, ho
vegliato su
di te come l’angelo che credevi che io fossi, ho messo
l’intera città di Parigi
ai tuoi piedi la sera della tua prima esibizione e quando finalmente,
dopo
dieci anni passati nell’ombra, mi sono mostrato nella
speranza di un minimo di
riconoscenza tu mi hai voltato le spalle, mi hai tradito, mi hai
rinnegato!
Egoista?» rise di nuovo senza allegria. «No,
Christine, l’unica vera egoista
qui sei tu!» Un attimo dopo si ritrovò con il capo
voltato verso destra, mentre
il suono dello schiaffo echeggiava nel silenzio improvviso e pesante.
Sentì un
dolore bruciante infiammargli la guancia e se non avesse visto la mano
di lei
ancora sollevata non avrebbe mai creduto possibile quello che era
appena
successo. Lentamente, respirando a fondo, riprese il controllo, mentre
la nube
che sembrava offuscare i suoi occhi si dissipava. Spostò lo
sguardo su
Christine, fissandola come se la vedesse per la prima volta e si rese
conto
dello stato in cui la sua follia li aveva ridotti. Sospirò,
passandosi una mano
tra i capelli in un gesto nervoso, poi, scuotendo ripetutamente la
testa, diede
loro le spalle e si diresse lentamente verso la riva.
«Andatevene
prima che vi trovino
qui.» mormorò senza voltarsi. Sparì tra
le ombre della casa sul lago, mentre
Christine correva a liberare Raoul dalle corde e, soprattutto, dal
cappio. Si
strinsero in un abbraccio disperato, lasciando che la paura scivolasse
via
all’ormai scampato pericolo, ma quando lo sentì
cercarle le labbra per un bacio
lei si tirò subito indietro.
«Comincia
a preparare la barca.»
sussurrò accarezzandogli una guancia.
«Io… io arrivo subito.»
«Christine,
non gli devi niente!»
Non poteva lasciarla tornare da quel mostro, non dopo che li aveva
lasciati
liberi. Non voleva correre il rischio di perderla di nuovo.
«No…
gli devo almeno un addio…»
e, con le lacrime agli occhi, si voltò, lasciandolo solo in
mezzo al lago. Trovò
il suo Angelo seduto davanti all’organo, i gomiti appoggiati
alle ginocchia e
il capo chino a fissare l’anello dorato che teneva in mano,
lo stesso che le
aveva regalato e che lei credeva di aver perso quella notte sul tetto.
«Perché
sei ancora qui,
Christine?» domandò con voce stanca, conscio della
sua presenza nonostante le
stesse dando le spalle. Lei si limitò ad avvicinarglisi
senza rispondere, certa
che la sua voce avrebbe tremato se si fosse azzardata a parlare. Erik
si alzò
con un sospiro e si voltò per fronteggiarla, gli occhi
carichi di tutta la
tristezza del mondo. Incontrò il suo sguardo con un moto di
rabbia verso se
stesso per le lacrime che vedeva scorrere, chiedendosi il
perché dell’accenno
di sorriso che le increspava le labbra. Senza pronunciare una sola
parola,
Christine gli prese l’anello e, lentamente, lo fece scivolare
come una fede
nuziale al dito di lui.
«Cosa…?»
non riuscì a terminare
la domanda. Senza sapere esattamente come, si ritrovò la
donna che amava tra le
braccia, perso in un bacio che avrebbe potuto essere la sua stessa
fine, con le
dita di lei tra i capelli e il cuore che sembrava sprofondare in un
abisso. La
strinse a sé con disperazione, sentendola fare altrettanto,
e si staccarono
solo quando si resero conto di non riuscire più nemmeno a
respirare.
«Erik,
io…» L’azzittì subito,
prima che dicesse qualcosa di cui si sarebbe potuta pentire, e riprese
a
baciarla, reclamando nuovamente le sue labbra come proprie. Si
lasciarono
sopraffare dalla passione, vicini come non mai al punto di non ritorno,
quando
il rumore della folla li richiamò dolorosamente alla
realtà. Si allontanò da
lei un secondo prima che Raoul si precipitasse nella stanza per cercare
quella
che, a tutti gli effetti, era la sua fidanzata, preoccupato, o meglio,
terrorizzato dall’idea che potesse esserle successo qualcosa.
La squadrò, accorgendosi
con ben più di una punta di gelosia del suo respiro
affannato e delle labbra
gonfie, poi spostò la sua attenzione sul Fantasma e se gli
sguardi fossero
stati lame dei due non sarebbe rimasta che polvere. Voci sconosciute,
fortunatamente ancora lontane, ruppero il silenzio, costringendo Erik a
rinunciare una volta per tutte alla speranza di tenere Christine con
sé.
«Non
devono trovarvi qui.» disse
rivolto ad entrambi, ma tenendo lo sguardo su di lei.
«Erik…»
«No.»
la interruppe. Poi,
parlando direttamente a Raoul per la prima volta, aggiunse:
«Portala
via. Se le succede
qualcosa, qualsiasi cosa, ne risponderai a me!» Il visconte
non rispose, ma
l’occhiata che gli lanciò mentre guidava una
Christine disperatamente in
lacrime fuori dalla stanza valeva da sola più di qualsiasi
altra parola. Dopo
un attimo perso nei suoi pensieri a scorrere la lista mentale di tutte
le sue
vie di fuga e a scegliere la più adatta, Erik li
seguì, fermandosi sulla riva
del lago ad osservare la barca che si allontanava. Credere a quel che
aveva
fatto gli riusciva difficile. La stava davvero lasciando andare. La
stava
lasciando andare nonostante l’amasse e nonostante sapesse
che, seppur in minima
parte, lei ricambiava. La stava lasciando andare perché
l’amava e non poteva
permettere che la donna per cui avrebbe venduto l’anima
dovesse soffrire una
vita nell’oscurità a causa sua. La stava lasciando
andare perché, anche se lei
fosse riuscita a farlo uscire alla luce del sole, metaforicamente e
letteralmente, i suoi crimini l’avrebbero condannata ad una
vita di fughe al
fianco di un ricercato. E lui non poteva permettere che la sua
Christine
soffrisse tutto questo. La vide voltarsi nella sua direzione, cercare
il suo
sguardo con gli occhi carichi di dolore e di quella che sembrava essere
paura.
Paura per la sua sorte? Forse, a giudicare dal rumore della folla
sempre più
vicina. Stirò le labbra in un sorriso, facendole cenno col
capo di guardare
avanti e di dimenticarlo. Con il volto rigato di lacrime Christine
Daaé obbedì
all’ultimo ordine del suo maestro, aggrappandosi con tutte le
sue forze
all’immagine del suo sorriso. Erik si voltò e in
un attimo sparì in uno di quei
cunicoli che solo lui conosceva, lontano dalla folla che voleva vederlo
appeso
per il collo, lontano dalla sua anima e dal suo cuore, solo e per
sempre nelle
mani della sua Christine, lontano dall’unico luogo che aveva
mai chiamato casa…
lontano da tutta una vita, ma finalmente libero. Libero di una
libertà
costretta, una libertà precaria, che forse sarebbe durata un
mero istante, ma
che, allo stesso tempo, era carica di speranze. Uscì
all’aria aperta lontano
dall’Opera in fiamme, sotto lo sguardo di due lune, una alta
nel cielo e
l’altra riflessa nella Senna. Respirò a fondo e si
concesse un altro sorriso
prima di rimettersi in cammino verso l’unico altro luogo di
Parigi che
conoscesse. Avrebbe dovuto rispondere ad un bel po’ di
domande, tenendo conto
della curiosità del daroga
e del suo
ruolo auto imposto di sua coscienza, ma un po’ di aiuto non
gli avrebbe fatto
male: in fondo aveva una fuga da organizzare! E forse, un giorno,
avrebbe anche
conosciuto il sapore della libertà.
xXx
NdA: Allora, vi dico
subito che questo capitolo non mi convince per niente. C'è
sicuramente qualcosa che non va, ma non riesco a capire che cosa (e
questo mi dà parecchio sui nervi)!!! Avevo anche pensato di
finirla così e al diavolo tutte le idee assurde che ho per
questa storia, però poi ho realizzato che ho promesso un
finale tragico (almeno in parte) e questo non si avvicina nemmeno
lontanamente a quello che ho in mente (e per il quale temo che qualcuno
di voi mi ucciderà...). Comunque, immagino vi siate accorti
che non sono riuscita nemmeno questa volta a estraniarmi completamente
dal libro, ma non posso farci niente, è più forte
di me ^^ e alcune cose proprio non le posso eliminare, mi piacciono
troppo! Ok, passiamo ai ringraziamenti che forse è meglio...
A Elby: Tanto per cominciare ti dico che dopo aver letto la tua
recensione ho deciso che a Natale mi farò regalare un nano
da giardino, così quando l'ispirazione andrà in
vacanza mi metterò fuori a guardarlo gongolare... Scherzi a
parte, sono contenta che la storia (almeno per ora) ti piaccia e in
effeti sì, le scene nei cimiteri mi vengono particolarmente
bene ^^ (non ti preoccupare, mi hanno detto di peggio ^^). Adesso
però mi hai incuriosita: quand'è che conti di
pubblicare questa tua "what if"? Perché la pubblihi, VERO?
Ad ogni modo, ti assicuro che anche qui ci sarà una buona
dose di rosa, ma mi riscatterò con il finale... hihi, spero
che non cambierai idea a proposito dopo che avrai scoperto
come finirà questa storia... Ultima cosa: in
realtà non so nemmeno io perché Erik mi si
scioglie così, ma, come ho già detto, la storia
si sta scrivendo da sola e io mi limito a battere a pc quello che lei
stessa mi detta.... Sono pazza, lo so ^^.
A Lady Lucilla: Amore!!! Non mi aspettavo anche la tua recensione!!
Quanto ai nosti cervellini bacati, domattina chiediamo alla Miry cosa
capisce delle nostre conversazioni fantasmose e avremo una risposta sul
nostro grado di follia ^^. E a proposito di follie, conti di
scannerizzarlo quel disegno o speri che prima o poi io me ne
dimentichi? (Informazione gratuita: la qui citata Lady Lucilla ha fatto
un disegno fantastico sul bacio tra Erik e Christine in questo
capitolo... computer permettendo spero di riuscire a metterlo da
qualche parte in modo che lo possiate vedere, perché,
fidatevi, ne vale la pena!!) Gaiuzza, tesoro, lo sai che quando voglio
so essere pericolosamente rompipalle... Comunque ci vediamo domani.
A Inomuiro: Grazie per i complimenti!! Come vedi il seguito
c'è, spero solo che ti piaccia, e sì, prima o poi
Christine farà la sua scelta... ma temo di non poterti dire
quale sarà ^^.
Grazie anche a chi legge e non recensisce (sì, dovrei
odiarvi, ma fa sempre piacere sapere che comunque c'è
qualcuno che si degna di aprire questa pagina) e a chi ha inserito la
storia tra i preferiti. Per ora è tutto, spero di riuscire
ad aggiornare il prima possibile.
I remain your humble and obedient servant,
bloodred_rose
|
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Capitolo 3 *** Forgive me my sins ***
JUST
A MATTER
OF TIME
FORGIVE ME MY SINS
Era
di nuovo nella casa sul lago,
di nuovo tra le braccia di Erik, di nuovo persa nei suoi baci, ma
questa volta
né la folla né tantomeno Raoul si sarebbero
intromessi. Sentiva le labbra di
lui tracciare una scia confusa lungo la sua gola, mentre lei finiva
alla cieca
di sbottonargli la camicia per poi fargliela scivolare dalle spalle. In
un
secondo si ritrovò distesa sul letto, circondata dalle
lenzuola di broccato
rosso, con la sua bocca premuta contro il seno e le sue mani che
correvano
lungo tutto il suo corpo, facendola rabbrividire di un piacere
proibito.
Attraverso le palpebre socchiuse lo vide sollevarle la gonna, lo
sentì
accarezzarle l’interno delle cosce, vicino, sempre
più vicino…
Christine
si svegliò di
soprassalto e si mise immediatamente a sedere con le lenzuola sudate
attorcigliate attorno alle gambe e il respiro affannato, rendendosi
conto di
essere nella sua stanza alla villa dei de Chagny. Era passata una
settimana da
quella notte, una settimana scandita dagli sguardi e dai sussurri
scandalizzati
della servitù, dalle deboli rassicurazioni di Raoul e da
quei sogni che le
toglievano le forze. L’idea stessa del tramonto le era
diventata insopportabile
perché il calare del sole l’avrebbe condannata a
rivedere ancora una volta ciò
che non poteva avere. Si stava lasciando cadere in un abisso dal quale
non
aveva speranze di uscire e al cui fondo c’erano solo
infelicità e apatia. Era
vero, amava Raoul, su quello non aveva mai mentito, ma non era
l’amore che lui
meritava dalla donna che doveva diventare sua moglie, la stessa donna
che aveva
consegnato la sua anima, il suo cuore e, nei suoi sogni, il suo corpo
ad un
altro uomo. Erik, il suo Angelo della Musica. Si era resa conto di
amarlo
davvero solo quando lui li aveva lasciati liberi, quando
l’aveva praticamente
costretta ad andarsene, lasciandolo alla mercé della folla
che lo voleva morto.
Una parte di lei era certa che fosse riuscito a fuggire in tempo, ma
l’altra
era terrorizzata all’idea che si fosse consegnato ai suoi
inseguitori per
espiare peccati di cui era solo parzialmente colpevole. Forse era per
questo
che continuava a sognarlo, perché sapeva che, se fosse
morto, la colpa, almeno
dal suo punto di vista, sarebbe ricaduta su di lei. Perché,
in questo caso,
sarebbe morto senza sapere che lei lo amava. Con un gesto di stizza
scostò le
lenzuola e, aprendo appena una fessura tra le pesanti tende che
oscuravano la
stanza, si accorse con sollievo che era mattina, anche se da poco. Si
vestì in
fretta, grata di non aver bisogno di nessun aiuto, e
scribacchiò un biglietto,
che lasciò in ingresso, nel quale spiegava che aveva
semplicemente sentito
nostalgia di Parigi e che era andata a fare visita a madame Giry e a
Meg. Dubitava
che Raoul avrebbe creduto ad una simile scusa, ma con lui avrebbe fatto
i conti
una volta di ritorno… sempre che fosse tornata.
Uscì, senza voltarsi indietro
nemmeno per un istante, consapevole che si stava lasciando alle spalle
non solo
una vuota gabbia dorata, ma anche quella parte del suo cuore che
sarebbe sempre
appartenuta al suo primo amore.
L’alba si levava sulla città di
Parigi addormentata, mentre una singola carrozza correva lungo rue
Rivoli. Si
fermò davanti a un portone, lasciando scendere un uomo di
origine chiaramente
straniera, spossato dal lungo viaggio e turbato dalle notizie che gli
erano
giunte fino in Italia. Aveva saputo un paio di mesi prima da
informatori
sufficientemente affidabili di un qualche scandalo all’Opera
Populaire, ma
allora non aveva pensato che quello scandalo potesse avere a che fare
con Erik.
Poi, appena una settimana prima, era venuto a sapere
dell’incendio che aveva
devastato il teatro e del contemporaneo rapimento di Christine
Daaé da parte
del Fantasma dell’Opera e si era dato dell’idiota
per non aver capito. Erik
aveva ignorato un’altra volta i suoi consigli e si era
cacciato nei guai, fino
a che punto ancora non lo sapeva. Sperava solo di non essere arrivato
troppo
tardi. Entrò in casa, trovando il fedele Darius ad
aspettarlo con
un'espressione preoccupata dipinta sul volto. Scambiarono qualche
rapida parola
in persiano, poi Nadir Khan, ex daroga di
Persia, si diresse verso il suo studio ed entrò a passo di
carica. Appoggiata
al davanzale della finestra, dandogli le spalle mentre osservava il
sorgere del
sole, stava la figura scura di un uomo, un uomo che lui conosceva molto
bene.
«Ah, daroga,
finalmente!» mormorò e non fu il suo tono stanco a
stupire
Nadir, ma la maschera che indossava, non la solita, elegante stoffa
bianca a
cui si era abituato, ma quella di cuoio nero che era solito portare a
Mazenderan.
«Dimmi che niente di quello che
ho saputo è vero…» Erik
sospirò pesantemente.
«Vorrei poterlo fare, ma non
posso.»
«Maledizione, Erik!» scattò il daroga. «Sei impossibile! Ti
lascio da
solo due mesi e tu combini un disastro! Hai dato fuoco
all’intero teatro, te ne
rendi conto?» l’uomo si accasciò su una
sedia, lasciando andare un altro
sospiro.
«L’incendio è stato un
incidente.» sussurrò. «Almeno di quello
non accusarmi.»
«E Piangi? E il rapimento di
Christine? Incidenti anche quelli?»
«D’accordo, daroga,
hai vinto tu. Vuoi sentirmi dire che sono un mostro? Va
bene!» Si alzò di scatto e, dopo avergli lanciato
un’occhiata di fuoco, iniziò
a misurare a grandi passi la stanza. «Ho ucciso
quell’idiota di Piangi e non so
nemmeno il perché, non ho idea di cosa mi abbia preso quella
notte. So solo che
si trovava tra me e Christine e mi è parso un motivo
sufficiente per toglierlo
di mezzo. No, non mi interrompere, dannazione!»
scattò non appena lo vide aprir
bocca. «Adesso starai a sentire tutta la maledetta storia
fino alla fine! Ho
rapito Christine e l’ho anche quasi costretta a sposarmi,
minacciando di
uccidere il suo visconte. Avrei fatto quello ed altro se lei non mi
avesse
fermato. Li ho lasciati andare… che altro avrei potuto
fare?» scosse la testa,
ridendo di se stesso. «Pensavo che così mi sarei
sentito meno in colpa, che
sarei riuscito a perdonarmi per i miei peccati… e
l’unica cosa che ho ottenuto
è stato perdere anche il poco che avevo!»
«Hai guadagnato la libertà…»
la
sua risata ironica si fece ancora più forte.
«La libertà? Io non sarò mai
libero. Non mi libererò mai del suo ricordo, né
del pensiero di lei tra le
braccia di quel ragazzo, né tantomeno dei miei sensi di
colpa. E in ogni caso
sono un ricercato, ho tutti i gendarmi di Parigi sulle mie tracce ad
aspettare
solo che io faccia un passo falso. Libero? No, daroga,
io non sono libero per niente.» E con questo tornò
a
voltarsi ostinatamente verso la finestra, fissando il sole
già più alto nel
cielo.
«Vieni con me.» ordinò dopo un
attimo il persiano, rompendo il silenzio.
«Cosa? E dove?»
«Tu seguimi.» Si voltò e uscì
dalla stanza, solo per girarsi nuovamente quando si accorse che Erik
non si era
mosso.
«Allora?» domandò spazientito
«Guarda che non abbiamo tutto il tempo del
mondo…»
«Tu sei pazzo, daroga…»
Nadir ridacchiò.
«Andando con lo zoppo si impara a
zoppicare… Forza, prima che cominci ad arrivare
gente!»
«E uscire alla luce del sole?»
domandò con uno sguardo misto tra il derisorio e
l’incredulo. «Se proprio vuoi
vedermi morto manda un biglietto ai gendarmi e di’ loro dove
trovarmi, ma
almeno abbi la pietà di risparmiarmi l’ennesima
umiliazione pubblica!» L’altro
sbuffò esasperato.
«Non fare il melodrammatico, sai
benissimo che non ti voglio morto, o non avrei rischiato la vita per
salvarti
il collo in Persia. E adesso muoviti, non ho intenzione di aspettare i
tuoi
comodi in eterno!» A quell’ordine perentorio Erik
lo seguì con riluttanza,
uscendo per la prima volta dopo la terribile sera del Don
Juan.
«Perdonatemi, padre, poiché ho
peccato.» Inginocchiata in uno dei confessionali
dell’immensa cattedrale di
Notre Dame, Christine Daaé cercava un modo per riprendere le
redini della
propria vita, oltre che l’assoluzione per i propri peccati.
«Va’ avanti, figliola.» Chiuse
gli occhi, respirando a fondo prima di rispondere.
«Ho peccato di vanità e,
soprattutto, di ingenuità. Sono rimasta a guardare mentre
due delle persone che
più amo a questo mondo tentavano di uccidersi a
vicenda… e poi ho tradito
entrambi.» Le lacrime cominciarono a scorrere senza
pietà lungo il suo viso.
«Ad una così giovane età un
tradimento non può essere tanto grave…»
mormorò il sacerdote, cercando di
consolarla.
«Invece lo è, padre, dovreste
saperlo! Tutta Parigi ne parla!»
«Io ascolto confessioni e
preghiere, mia cara, non pettegolezzi.» ribatté
bonariamente e Christine poté
vedere con chiarezza il suo sorriso mentre le faceva cenno di
continuare.
«Ho rinnegato il mio maestro, i
suoi sentimenti… Mi amava. Mi amava tanto da arrivare ad
uccidere per me. E io
l’ho lasciato solo a morire…»
scoppiò a piangere ricordando il suo ultimo
sguardo.
«Spiegati meglio, figlia mia.»
«Fu il mio maestro per dieci anni
e in tutto quel tempo io non lo vidi mai di persona. Poi, appena dopo
il
successo del mio debutto, appena dopo il ritorno di Raoul, un mio amico
di
infanzia che fino a poco fa credevo di amare, lui si
presentò come un uomo in
carne ed ossa e non più solo come una voce.» Si
fermò, sopraffatta dai ricordi
e dalle lacrime. «Immagino» riprese quando si fu
calmata «che abbiate per lo
meno sentito nominare il Fantasma dell’Opera.» Il
sacerdote annuì. «Era lui il
mio maestro. Lui che con la sua musica mi riportò alla vita
quand’ero appena
una bambina e che non ha esitato a diventare un assassino per me,
sempre che
non lo fosse già stato. Ha messo ai miei piedi un amore
immenso e tragico, la
sua anima nelle mie mani, mi ha dato la sua musica, tutta la sua
vita… e io,
traditrice, l’ho lasciato a morire per fuggire con
Raoul.» Scoppiò di nuovo in
singhiozzi, portandosi le mani al volto con disperazione, adirata con
se stessa
al ricordo di quanto aveva fatto.
«Questo perché ami Raoul.»
mormorò il prete. Christine, suo malgrado, si
ritrovò a ridere senza alcuna
traccia di allegria.
«No, padre, o non chiederei
perdono anche per un tradimento nei suoi confronti. Ero così
ingenuamente
felice di vivere una favola da non rendermi conto che in
realtà non provavo
niente più che un affetto fraterno per lui. Ero talmente
terrorizzata dall’idea
che il mio maestro, il mio… il mio Angelo fosse un assassino
che nemmeno per un
momento ho pensato di poterlo amare davvero. Credevo che fosse solo
pietà. E
invece mi sbagliavo.» Lasciò cadere il silenzio,
rotto solo dai singhiozzi che
non riusciva a trattenere, poi sentì il sacerdote sospirare.
«Io lo amo, padre.» sussurrò con
vece disperata. «E non posso smettere di amarlo, nemmeno se
è morto.»
«E sei certa che sia morto?»
«No. È per questo che mi sento in
colpa, per questo continuo a sognare di tornare da
lui…» Chiuse gli occhi,
cercando di scacciare le immagini che rivedeva ogni notte, poco adatte
al
momento della confessione.
«Padre, vi prego, perdonatemi!» gemette.
Il sacerdote lasciò andare un altro sospiro, osservando
attraverso la grata del
confessionale l’espressione disperata della giovane donna.
«Ego
te absolvo, in nomine Patris et
Filii et Spiritus Sancti…»
Magnifica, immensa, tanto da
togliere il fiato. Lui la conosceva, l’aveva già
vista ed era impossibile
scordarla, scordare la Facciata occidentale, le sue guglie, le due
torri, la
Galleria dei Re… Eppure, in tanti anni, non era mai entrato,
una mancanza che
il suo animo di artista gli perdonava solo per quieto vivere.
L’aveva studiata
da lontano, o protetto dall’oscurità della notte,
senza il coraggio di
affrontarla alla luce del sole, di mischiarsi con i fedeli. Ma ora era
là, di
fronte al portale del Giudizio Universale, sotto lo sguardo severo e
ammonitore
di santi e di angeli degni di portare quel nome. Per la prima volta
poteva vedere
i rosoni illuminati risplendere dei loro colori e non riuscì
a trattenere un
sorriso, malgrado la situazione alquanto precaria in cui si trovava.
«Ah, vedi che ho fatto bene a
portarti qui?» Spostò lo sguardo dalla cattedrale
e si voltò continuando a
sorridere, anche se solo vagamente.
«Non sapevo che fossi cristiano, daroga.»
«Infatti non lo sono. Credevo che
lo fossi tu.» Erik scosse leggermente il capo.
«Hai intenzione di dirmi cosa ci
facciamo qui o pensi di continuare a tenermi
all’oscuro?»
«Che ne diresti di parlarne
dentro?» Tornò a spostare lo sguardo sul portale
come a chiedere conferma della
possibilità per lui, un assassino, di entrare in una delle
più belle cattedrali
al mondo. Sentì la mano di Nadir sulla sua spalla e mosse un
paio di passi in
avanti, confortato, in un certo senso, dalla presenza del suo vecchio
amico. Un
altro lieve sorriso gli piegò le labbra mentre si chiedeva
quando, esattamente,
avesse iniziato a considerare il daroga
un amico e non più una spina nel fianco. Forse quando lo
aveva salvato dalla
condanna a morte in Persia, aiutandolo a fuggire e pagando il
tradimento con
l’esilio. O forse semplicemente quando, nonostante tutti i
litigi e tutti i
suoi errori, Nadir gli era rimasto accanto, anche negli anni bui in cui
si era
convinto di essere un Fantasma sepolto nei sotterranei
dell’Opera, gli anni
prima di conoscere Christine. Il portone di legno massiccio si
aprì sotto la
sua spinta e ancora una volta si trovò immerso
nell’oscurità, anche se diversa
da quella a cui era abituato, appena illuminata dalle migliaia di
candele che
ardevano in ogni nicchia e dai colori che la luce del sole proiettava
attraverso le vetrate. Lasciò scorrere lo sguardo
sull’immensità della
cattedrale, resa ancora più estrema dalla quasi completa
assenza di fedeli. Seguì
il daroga lungo la navata centrale,
registrando con occhio critico ogni singolo dettaglio, oltrepassando i
confessionali con i loro mormorii sommessi, fino a giungere in una
delle
cappelle laterali. Si ritrovò per un attimo senza fiato,
perso nell’intensità
di quello sguardo di pietra, nella profonda dolcezza di quegli occhi
immobili e
candidi. Cercò di riscuotersi, chiedendosi come una semplice
statua potesse
turbarlo a quel punto, prima di rendersi conto che quella non era solo
una
semplice statua. Lei era Notre Dame.
«È bellissima, vero?» mormorò
la
voce del daroga. Fu tentato dal
rispondere: “no, molto di più”, ma in
quel momento ogni parola gli sarebbe
sembrata priva di significato, esperienza nuova per lui che aveva
sempre una
parola per tutto. Tornò a fissare il marmoreo splendore
della statua,
aspettandosi da un momento all’altro di vederla scendere dal
suo piedistallo
tanto la luce soffusa delle candele la rendeva viva. Mai in vita sua
aveva
visto qualcosa di così mistico e, allo stesso tempo,
così profondamente reale,
forse semplicemente perché in tutti i suoi viaggi non aveva
mai messo piede in
una chiesa. E questo lo metteva a disagio.
«Perché mi hai portato qui?»
domandò senza distogliere lo sguardo da Notre Dame. Quando
si accorse che non
aveva ricevuto nessuna risposta si voltò, trovandosi
completamente solo nella
cappella. Sbuffò, ma sapeva che in fondo si sarebbe dovuto
aspettare una cosa
simile dal daroga: lasciare le
discussioni a metà era da sempre una delle sue abitudini
peggiori. La sua
attenzione fu nuovamente catturata dallo sguardo senza tempo della
statua e in
qualche modo si trovò a ripensare per l’ennesima
volta all’ultima notte
dell’Opera. In quegli occhi gli sembrava di riuscire a vedere
ancora il lampadario,
le fiamme dell’incendio, le acque torbide del lago Averno, le
lacrime di
Christine, la luna riflessa nella Senna… Era un modo per
farlo sentire ancora
più in colpa? Se l’intenzione era quella di certo
stava funzionando. Cercavano
di convincerlo a confessarsi? Forse. Gli sfuggì una risata
all’idea di quello
che una sua confessione avrebbe potuto suscitare in un sacerdote. I
suoi
crimini erano troppi e troppo grandi perché potesse ottenere
l’assoluzione. Aveva
ucciso, sia consapevolmente che inconsciamente, ma non se
n’era mai pentito. Non
avrebbe avuto senso pentirsi: il passato era passato e non avrebbe
potuto
cambiarlo nemmeno volendo. E in ogni caso non era a quello che doveva
pensare,
ma al futuro. Christine lo aveva liberato da parte delle catene che lo
tenevano
imprigionato nella sua oscurità, ma ora, da solo, doveva
trovare la forza di
accettare quella libertà finché era possibile.
Qualcosa che non poteva fare a
Parigi, con tutti i gendarmi sulle sue tracce, né in
Francia, dove ormai la
voce sul Fantasma dell’Opera si era ampiamente sparsa.
Ricordò il motivo che
l’aveva spinto a cercare il daroga
una settimana prima, la fuga, e sentì l’ennesimo
sorriso salirgli alle labbra. Lanciò
un ultimo sguardo alla statua e, di nuovo, gli sembrò di
vederla prendere vita
e annuire con un cenno del capo. Si voltò, lasciandosi alle
spalle la cappella
illuminata dalle candele per ripercorrere a ritroso la navata centrale,
ancora
completamente vuota, e raggiunse il portone dove, come sospettava, lo
stava
aspettando il daroga.
«Notre Dame è il luogo migliore
per riflettere in pace, non trovi anche tu?» Lo
guardò storto per un attimo e
scelse di non rispondere alla leggera provocazione.
«Era proprio necessario
trascinarmi fin qui?» Il Persiano sorrise con aria saccente.
«Se ti avessi lasciato chiuso in
casa saresti uscito dal tuo pietoso stato di
autocommiserazione?» La domanda
non aveva bisogno di alcuna risposta, lo sapevano entrambi.
«Allora, cos’hai intenzione di
fare?» chiese di nuovo il daroga
rompendo il silenzio che si era creato. Erik sospirò,
voltandosi appena in modo
da mostrare solo la maschera, fissando un punto imprecisato tra le
ombre della
cattedrale.
«Devo chiederti un favore, Nadir.
Aiutami ad uscire dalla Francia.» Il sorriso
dell’altro si allargò, mentre
estraeva da una tasca quelli che avevano tutta l’aria di
essere visti e
biglietti.
«Giusto per sapere…» Fece una
piccola pausa per essere certo di ottenere la sua completa attenzione,
poi
riprese. «…ti ricordi ancora qualcosa di
inglese?»
xXx
NdA: ... (bloodred_rose al
momento è nascosta in un rifugio antitempesta nella speranza
che lì possa essere al sicuro dalla collera dei lettori) Vi
prego, non uccidetemi, sono troppo giovane per morire! Lo so che ci ho
messo una vita e che sono tornata con un capitolo insulso in cui non
succede niente, ma ho avuto a che fare con le forze combinate del
blocco dello scrittore e della quinta ginnasio, per cui non
è che mi sia esattamente divertita... Vi chiedo umilmente
perdono... Accordatemi la grazia (anche perché se non lo
fate non saprete mai come andrà a finire la storia...XD)!
Ok, ora che ho strisciato come si deve passo ai ringraziamenti.
A Elby: Bhè, per lo
meno questa volta non avrai bisogno della bombola d'ossigeno, dato che
è un capitolo di calma piatta! Lietissima di trovare
un'altra fan del daroga, spero che continui a piacerti anche ora che ho
provato a caratterizzarlo un po' meglio. Per quanto riguarda i passaggi
veloci... ehm... temo che per quello non potrò farci niente,
io sinceramente non mi accorgo della velocità di
ciò che scrivo, ma ammetto che nel capitolo scorso ho fatto
un po' di casino ^^.
A masked_lady: Sono felice che
la storia per ora ti piaccia. Purtroppo non ho la più
pallida idea di quando riuscirò ad aggiornare...spero solo
più velocemente rispetto a questa volta! Riguardo a Erik e
Chrsitine... eh, mi dispiace, ma non posso dirti niente, lo scoprirai
solo leggendo!
Ringraziamenti speciali alla
mitica Marty, che mi ha momentaneamente liberata dal blocco, e a Lady
Lucilla, che mi controlla sempre tutto e si arrabbia da matti quando
scopre che non scrivo ^^.
Per ora, purtroppo, è
tutto... non aspettatevi un aggiornamento rapido.
Your humble servant,
bloodred_rose
|
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Capitolo 4 *** Could we start again, please? ***
COULD WE START AGAIN, PLEASE?
JUST
A MATTER
OF TIME
COULD WE START AGAIN, PLEASE?
“Je veux vivre”
cantava
Giulietta nell’opera di Gounod. “Je
veux
vivre” cantava, con gli occhi di tutti puntati
addosso, con il pubblico ai
suoi piedi. Niente le dava più soddisfazione che sentirsi la
regina
incontrastata del teatro, che cantare e lasciare che la sua voce
salisse fino a
toccare gli angeli. La musica era sempre stata tutta la sua vita, fin
da quando
era bambina e ancora di più negli ultimi due anni, da quando
l’Opera di Parigi
era stata distrutta in quel maledetto incendio. Da allora per lei
niente era
più stato lo stesso. Forse la sua vita era cambiata in
meglio, forse in peggio,
ancora non lo sapeva con certezza. Però sapeva una cosa: era
soddisfatta di
quel che era diventata in quei due anni. Prima Donna alla Royal Opera
House di
Londra, Christine Daaé aveva raggiunto ancora una volta la
vetta della sua
carriera, senza misteriose presenze a spianarle la strada e a
minacciare i
direttori e senza ricchi corteggiatori pronti a sposarla. Una vita
senza Erik e
senza Raoul. Le mancavano entrambi come l’aria, ma era il
prezzo che aveva
dovuto pagare per la sua ingenuità. Aveva rotto il suo
fidanzamento con Raoul
una settimana dopo il rogo dell’Opera Populaire, dopo essere
scappata dalla sua
villa per tornare a Parigi. Aveva cercato madame Giry e le aveva
confessato
tutto, sperando quasi che la donna l’accusasse di essere una
stupida. E invece
l’aveva accolta a braccia aperte, come avrebbe fatto una
madre. Ricordava
vagamente di averle domandato se avesse avuto notizie di Erik, di
essere
scoppiata in lacrime alla sua risposta negativa, di averle chiesto di
accompagnarla nei sotterranei per cercarlo e di aver ricevuto
nuovamente un
“no”, questa volta più deciso. Aveva
passato un paio di mesi assieme a lei,
ritrovando una sorta di tranquillità, interrotta solo dalle
discussioni con
Raoul, fermamente deciso a non lasciarla andare, né a
rompere il fidanzamento. Christine
aveva provato a spiegargli perché non poteva sposarlo, aveva
cercato di fargli
capire che la sua vita era, ed era sempre stata, in un teatro e che
restando
con lui avrebbe dovuto rinunciare alla musica, ma il visconte si era
rifiutato
di starla a sentire. Erano passati quasi due anni dal litigio che li
aveva
definitivamente divisi e in quasi due anni non si erano più
visti, né avevano
più avuto l’uno notizie dell’altra. Lei
poteva solo sperare che, con tutto
quello che era successo a Parigi in quegli anni, Raoul stesse bene e
che magari
avesse trovato una donna capace di dargli quello che lei non aveva
potuto. Lo
scroscio di applausi dalla platea la risvegliò dai suoi
pensieri. Persa com’era
nelle sue riflessioni non si era nemmeno resa conto che la sua aria era
terminata, ma non era la prima volta che le capitava: da quando era
arrivata a
Londra aveva imparato a distaccarsi mentre cantava, una cosa che
avrebbe fatto
infuriare Erik, se solo fosse stato lì per vederla. Il
risultato che otteneva
era molto simile a quello della Carlotta dei tempi d’oro: una
voce stupenda e
nessuna emozione. Si inchinò, mentre dai palchi e dalle file
più vicine
piovevano fiori lanciati dagli ammiratori. Attese con il sorriso sulle
labbra
che il sipario si chiudesse, poi si diresse verso il suo camerino per
cambiarsi
e prepararsi alla lunga serata che, ne era certa, la aspettava.
La malinconia nei suoi occhi
grigi al sentire nuovamente il suono di quella voce, la voce del suo
Angelo… fu
come risvegliarsi da un incubo durato due anni. Sul palco, nel ruolo di
Giulietta, Christine Daaé cantava come non l’aveva
mai sentita fare prima. E
dire che lui era stato il suo maestro per tanti anni…
Sembravano essere passati
secoli dall’ultima volta in cui l’aveva vista, la
terribile notte della sua
disfatta, la notte in cui lei se n’era andata, la notte in
cui lui l’aveva lasciata
andare con il suo fidanzato. La sua doveva essere una maledizione:
scappare da
lei e dal suo ricordo solo per ritrovarla di nuovo
nell’ultimo luogo in cui si
sarebbe aspettato di vederla. Quello che non riusciva a spiegarsi era
come,
dopo averla lasciata a Raoul de Chagny, fosse riuscito a trovarla sul
palco di
uno dei maggiori teatri di Londra. L’unica spiegazione che
gli sembrava
plausibile era che, alla fine, Christine avesse capito che non valeva
la pena
sacrificare la sua musica per sposare un visconte. E a quel punto gli
sorgeva
spontanea una domanda: perché? Perché, se poteva
evitarlo, aveva lasciato che
lo scandalo dell’Opera Populaire avvenisse?
Perché, se sapeva di non amare
nessuno dei due, aveva lasciato che cercassero di uccidersi a vicenda,
ingannando entrambi? Ma soprattutto, perché continuava a
tormentarlo? In quei
due anni aveva fatto tutto il possibile per dimenticarla e per
lasciarsi alle
spalle il suo passato: era fuggito dalla Francia, accogliendo al volo
la
proposta del daroga di rifugiarsi
in
Inghilterra, ed era arrivato fino in Scozia, dove il Persiano aveva uno
dei
suoi tanti agganci. Si era rifatto una vita, una vita che scorreva
quasi
irrealmente tra i vari lavori che lo tenevano occupato. Continuava a
comporre,
anche volendo non avrebbe potuto smettere, non ne era capace, e aveva
rispolverato la sua vecchia passione per l’architettura, che
aveva sepolto dopo
le ore rosa di Mazenderan. Sembrava che tutti i suoi problemi fossero
scomparsi, assorbiti dalle terre verdi delle Highlands. O almeno,
così aveva
creduto fino a quando i suoi vari affari e l’insistenza di
Nadir non lo avevano
portato a Londra… e alla Royal Opera House. Aveva il
fortissimo sospetto che il
maledetto daroga avesse organizzato
tutto di proposito. Gli aveva chiesto innocentemente di incontrarlo
quella sera
all’Opera per discutere di alcune faccende, qualcosa riguardo
una villa o un
palazzo, non lo sapeva, Nadir era stato molto vago. La
verità era che gli aveva
lanciato un'esca… e lui aveva abboccato come un idiota. E
ora pativa le pene
dell’Inferno in anticipo, mentre il suo lato peggiore gli
sussurrava
all’orecchio i metodi migliori per liberarsi di quel
dannatissimo Persiano una
volta per tutte. Si alzò di scatto, ignorando lo sguardo
interrogativo del daroga,
uscì dal palco e si lanciò verso
la prima finestra che trovò nel corridoio appena illuminato.
Inspirò a fondo e
l’aria fredda dell’autunno londinese gli
rischiarò la mente. Doveva parlare con
Christine. Non le avrebbe permesso di entrare nuovamente nella sua vita
senza
sapere come e perché. Doveva parlarle…
perché, sebbene avesse passato quegli
ultimi due anni a cercare di dimenticarla, non era mai davvero riuscito
a
smettere di amarla.
L’aria nel foyer cominciava a
farsi pesante e a Christine girava la testa. Si sentiva osservata e non
le
piaceva per niente. Era nel bel mezzo della festa che seguiva sempre le
prime,
circondata da colleghi e ammiratori e immersa in una piacevole
conversazione
con Sonja, la Prima Ballerina. Eppure
continuava a provare quella sensazione di
disagio, come se una presenza incorporea tenesse il suo sguardo di
fuoco
puntato sulla sua schiena. Si era voltata cercando di scovare tra i
presenti
chi la stesse osservando con tanta intensità, ma aveva colto
solo qualche
occhiata sfuggevole, niente fuori dal normale. Un pensiero improvviso
le
attraversò la mente e la fece rabbrividire. Era
come essere inseguita dagli occhi di un fantasma…
Sospirò. Aveva pensato
molto a Erik in quei due anni, ma non l’aveva mai ricordato
come il Fantasma dell’Opera.
Per lei era sempre stato il suo Angelo, o il suo maestro. O il suo
amante,
anche se solo nei suoi sogni. Scosse la testa e, salutando Sonja e
pochi altri,
si diresse verso l’uscita, alla ricerca di aria fresca e di
uno spazio fisico
dove lasciar correre i suoi pensieri. Infilò un ampio
corridoio, lasciato in
penombra e completamente deserto, dove le voci del foyer arrivavano
soffocate
creando un’atmosfera quasi piacevole. Camminava lentamente e
di tanto in tanto
sospirava, cercando di rilassarsi. Poi, di punto in bianco, si
fermò. Qualcuno
la stava osservando. Non era più solo una sensazione, era
una certezza. Si
voltò di scatto e il suo cuore smise per un attimo di
battere. Mai, nemmeno se
avesse potuto vivere mille anni, sarebbe stata in grado di dimenticare
i suoi
occhi. Riconobbe quelli ancor prima che la mezza maschera bianca, ancor
prima
che i lineamenti del suo viso. Erik. Era vivo, era tornato. Lacrime
calde
iniziarono a scorrerle lungo le guance mentre lui si avvicinava
lentamente. La
squadrò per un minuto buono, poi piegò le labbra
in un sorriso amaro.
«Esibizione mediocre, madame.»
mormorò, accennando un inchino ironico col capo
«Una volta cantavate con l’anima.»
E il suo tono, a metà tra il rimprovero e lo scherno,
infiammò il sangue di
Christine. Non era abituata ad arrabbiarsi, non lo era mai stata. Da
bambina
aveva sempre fatto tutto quello che le veniva chiesto e crescendo aveva
proseguito per la stessa strada, fino a perdere completamente il
controllo
sulla sua vita. L’impotenza era stata sua compagna costante
in quegli anni, ma
non era mai arrivata alla vera rabbia, la rabbia che invece stava
provando in
quel momento.
«Una volta avevo un’anima con cui
cantare.» ribatté con voce ferma nonostante quelle
lacrime che non poteva
evitare. Faticava a credere che fosse davvero lì, di fronte
a lei, nella semi
oscurità di quel corridoio. In quei due anni si era talmente
convinta della sua
morte che rivederlo non le sembrava reale e anzi, aveva quasi paura di
svegliarsi all’improvviso nel suo appartamento e scoprire che
era stato tutto
un sogno. E forse, in fondo, sarebbe stato meglio così.
«E ora dov’è quell’anima,
Christine?» la sua voce fredda le penetrò fin
nell’anima. Si avvicinò,
costringendola ad alzare il volto per continuare a fissarlo negli
occhi, ora
gelidi. Nuove lacrime cominciarono a formarlesi agli angoli degli occhi
mentre
il respiro iniziava a farsi più affannato.
«Va’ all’Inferno, Erik!»
sibilò
con il poco fiato che la gola stretta dal pianto le lasciava. Un
sorriso storto
piegò le labbra di lui.
«Già fatto, mon ange.
Ho vissuto all’Inferno per tutta una vita.» Si
avvicinò
ancora, costringendola ad arretrare finché si
trovò con le spalle al muro. Poi,
chinandosi su di lei, con gli occhi illuminati dal fuoco
dell’ira, sussurrò: «Un
Inferno in cui tu non hai mai smesso di torturarmi.» Lei
continuò a fissarlo, i
lineamenti contratti dalla rabbia, mentre le lacrime non sembravano
voler
smettere di scorrere.
«E credi che per me sia stato
tanto diverso?» gridò «Credi che io
abbia vissuto il lieto fine di una favola?
Tu non hai la più pallida idea di quello che ho passato in
questi due anni! Mi
sono dovuta rifare una vita tormentata dagli incubi del passato,
tormentata dal
peso della tua morte sulla mia coscienza!» Erik
indietreggiò, sbalordito, e per
un attimo gli sembrò che il tempo fosse tornato a due anni
prima. Gli sembrò di
sentire ancora sulla pelle la forza di quello schiaffo che aveva
ricevuto nei
sotterranei del suo teatro. Solo che questa volta lei non
l’aveva toccato. A
corto di parole, si limitò a fissarla, senza riuscire a
riconoscere nella donna
che aveva davanti la ragazza ingenua e spaventata dell’Opera
Populaire, mentre
la domanda che non riusciva a farle aleggiava nell’aria. A
quel suo improvviso
mutismo Christine sembrò calmarsi.
«In due anni non ho più avuto
notizie.» riprese, la sua voce poco più che un
sussurro «Mai una lettera, mai
un messaggio. Non sapevo dov’eri, non sapevo se eri ancora
vivo…» si avvicinò e
gli sfiorò il viso con mano tremante, la sua rabbia svanita
nel nulla,
nonostante tutto. Erik serrò gli occhi e trattenne il
respiro, combattuto tra
il cedere e il resistere.
«Perché non mi hai mai fatto
sapere nulla?» Spalancò immediatamente gli occhi e
fece un altro passo
indietro, come se avesse paura di restare così vicino a lei
anche solo un
secondo di più.
«Perché avrei dovuto?» chiese a
sua volta, la voce bassa per mascherare l’emozione che
l’alterava. Si rifiutava
di credere che lei potesse aver sentito la sua mancanza, o che potesse
provare
qualcosa nei suoi confronti, come la luce nei suoi occhi scuri sembrava
sostenere. Si era già fidato di lei una volta e ricordava
fin troppo bene
com’era andata a finire. E soprattutto ricordava bene il
perché.
«Lui dov’è?»
domandò dopo un
attimo di esitazione, con la voce sempre più bassa. Non
aveva bisogno di
pronunciare nessun nome, Christine sapeva benissimo a chi si stava
riferendo.
«Come?» sussurrò lei, stupita,
anche se in fondo si aspettava quella domanda.
«Dov’è, Christine?» chiese di
nuovo con una vena di minaccia nel suo tono impaziente.
«Non lo so.» rispose senza mai
distogliere lo sguardo dal suo. Cercava di mostrarsi il più
sincero possibile,
ma sapeva che lui non le avrebbe mai creduto, sebbene stesse dicendo la
verità.
Come aveva immaginato lo vide avvicinarsi, gli occhi grigi resi
tempestosi
dalla luce del sospetto e da quella, nascosta più in
profondità, della gelosia.
«Non mentirmi, Christine…» la
voce gli uscì come un basso ruggito, un avvertimento di come
il fantasma che
era stato non fosse mai realmente morto, ma solo assopito.
«Non credermi se vuoi, ma non sto
mentendo.» ribatté la donna in un tono molto
simile «Non so niente di lui: che
sia ancora a Parigi o che sia all’Inferno non fa differenza,
Raoul de Chagny
non è più affar mio da tempo.» E lo
disse con tale freddezza che per un
momento, un momento soltanto, Erik le credette. L’istante
successivo la domanda
di lei lo sprofondò di nuovo nell’abisso del
sospetto.
«Perché ti importa?»
«Sai benissimo perché.» rispose
gelido. Si era reso conto, durante quell’incontro, che non
poteva impedirsi di
essere geloso, non era in grado di farlo… forse per il
semplice fatto che non
era mai stato in grado di smettere di amarla. Nonostante tutti i suoi
tentativi, nonostante quei due anni passati lontani da Parigi e dai
ricordi che
la città risvegliava, nonostante tutta la rabbia e il
rancore… semplicemente
non poteva fare a meno di lei. Tornò ad avvicinarsi,
intrappolandola contro il
muro per non lasciarla andar via senza avergli prima dato la risposta
che
aspettava.
«Dimmi dov’è…» non
era più una
domanda, ma un ordine.
«Non lo so.» rispose di nuovo,
sempre con la sua sicurezza acquisita, ma con un tono più
cauto, turbata da
quell’improvvisa vicinanza. Esattamente come due anni prima
si ritrovò con la
gola stretta dalle sue dita, l’avvertimento che il poco
autocontrollo del suo
Angelo era andato perso.
«Allora» sussurrò lui, la voce
pericolosamente calma «comincia con il dirmi
perché dovrei crederti.» Christine
si limitò a fissarlo negli occhi per un interminabile
attimo, poi, con un filo
di voce, rispose:
«Perché ti amo…» la mano si
strinse ancora di più attorno alla sua gola, lasciandola
senza fiato.
«Dimmi di nuovo, Christine,» la
voce gli uscì come un sibilo mentre pronunciava quelle
parole all’orecchio di
lei «perché doveri crederti…»
E di nuovo, nonostante la stretta, la donna
rispose:
«Perché ti amo.» Senza una parola
di più Erik allentò la presa e le diede le spalle
prima che lei potesse
leggergli negli occhi la confusione di emozioni che stava provando.
Fece per
andarsene, ma la sua voce irata lo fermò.
«Non osare lasciarmi così!»
gridò
nella vana speranza che lui si voltasse. «Se te ne vai
adesso, Erik, giuro su
Dio che non mi rivedrai mai più!» A quelle parole
tornò a fissarla, una
maschera di indifferenza accanto a quella nera che già
indossava.
«Troppo tardi…» si limitò a
dire,
prima di sparire tra le ombre del corridoio.
xXx
NdA:
Chiedo umilmente perdono per l'enorme ritardo, ma sappiate che non ho
passato questi ultimi sei mesi a divertirmi! Purtroppo ho avuto un
sacco di problemi con la scuola e quindi il capitolo è
andato
mooooooooooolto a rilento...spero solo che per lo meno sia leggibile.
Anyway, da settimana prossima dovrei avere più tempo per cui
spero di riuscire ad aggiornare prima...debiti permettendo. E adesso
passiamo ai ringraziamenti^^
A
uchiha_girl: Grazie mille per i complimenti, ma non esagerare, non sono
mica così brava!^^ Comunque sono molto contenta che la soria
per
ora ti piaccia e spero che continui a piacerti.
A
Elby: Oook, forse hai ragione, lo scorso capitolo poteva essere
più calmo XD... Felicissima di sapere che la confessione di
Christine non è stato un fiasco totale (è la
parte che mi
ha dato più problemi...) e che il daroga
ha riscosso così tanto successo ^^ ... Nel prossimo capitolo
lo
vedremo all'opera nel suo ruolo di coscienza... e con questo ho detto
tutto.
A Amy Foster: So che alcuni
passaggi sembrano troppo rapidi, però purtroppo scrivendo
non me ne accorgo e quindi non riesco a farci molto...
cercherò di provvedere con i prossimi capitoli. Per il
resto, mi fa piacere che i personaggi siano riusciti e per quanto
riguarda Erik... bhè, dipende da cosa intendi con cattivo
XD.
Come sempre grazie anche a tutti
quelli che leggono e non recensiscono. Per ora è tutto, a
presto, spero.
Your obedient servant,
bloodred_rose
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