Apocalypse

di Esthel_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Prefazione

Non avevo mai immaginato la fine del mondo. Né, tanto meno, di assistere all’evento; Una lotta tra il bene e il male, angeli e demoni. La fine del mondo sarebbe stata banale, così come spietata. Sarei potuta morire, lo sapevo, ma non m’importava. Correvo, prima che il sole sorgesse, prima che tornasse di nuovo a illuminare quel mondo bagnato di sangue e di peccato, prima che i suoi occhi scomparissero per sempre, prima che le mie forze mi abbandonassero, prima che il destino mi punisse, prima che il rintocco del tempo che passava mi mozzasse il respiro. Dovevo salvare una parte del male.

Capitolo 1

Al crepuscolo il campo di grano era un'enorme macchia d’oro che circondava la nostra casa. Potevo vedere il sorriso allegro di mio fratello Matthew, i raggi dorati del sole che illuminavano i suoi capelli neri e la pelle abbronzata, mentre rincorreva nostro padre. Una domenica pomeriggio di inizio estate, rincorrevamo per gioco nostro padre Peter, facendoci largo tra le numerose e lunghe spighe di grano, e il calore del sole pomeridiano ci faceva sentire caldo.

<< Avanti Matthew, dobbiamo raggiungerlo! >> Urlai accelerando il passo e superandolo. Avrei potuto raggiungere mio padre in un niente, le mie gambe erano abituate a correre fin da bambina. Amavo correre in luoghi immensi e larghi, sentire il vento sulla pelle e scompigliarmi i capelli, avvertendo una sensazione di libertà. Ma non volevo lasciare solo mio fratello e togliergli tutto il divertimento, così stavo al suo passo.<< Forza, su correte! >> esclamò mio padre, scoppiando in una fragorosa risata che risuonò per tutto il campo, evidenziando una ragnatela di rughe ai lati dei suoi occhi verdi. Con un balzo Matthew riuscì a raggiungerlo gettandosi addosso a lui, e caddero insieme rotolando come due pali sul prato di grano, ridendo felici. Non potevo far a meno di ridere anch’io: dopo la morte di nostra madre erano cambiate tante cose, e dopo un lungo periodo di tristezza e dolore i loro sorrisi mi facevano stare bene. Mio padre e Matthew si erano intanto sdraiati a pancia in su a fissare il cielo. Velocemente mi sdraiai vicino a mio padre che mi sorrise dolcemente e mi strinse a sè.

<< Papà, papà! Guarda quella nuvola! >> Matthew si alzò di scatto, la voce squillante, indicando una nuvola in alto nel cielo.

<< Sembrano delle ali di un angelo. Magari sono le ali della mamma che ci osserva da lassù >> Sorrise, uno dei suoi soliti sorrisi gentili e affettuosi.

<< La mamma è diventata un angelo? >> Sussurrò Matthew.

<< Certo. Il più bel angelo che possa esistere >>

Lanciai uno sguardo alla casa che ci stava davanti a circa 30 metri di distanza. Quella era la nostra casa, la casa in cui ero nata e dove vivevo con le persone più importanti della mia vita. Avevo 17 anni e conducevo una vita tranquilla nella periferia di San Diego, in California. Da quando mia madre era morta a causa del cancro, avevo dovuto badare io alla casa, cercando di fare da madre a mio fratello di soli 7 anni e dando forza a mio padre. D ovetti rinunciare a tante cose : alle uscite con le mie amiche, alle feste, a frequentare qualche sport, rilassarmi anche solo per cinque minuti . Non facevo altro che studiare, aiutare in casa e nel lavoro di mio padre, che era un umile contadino. Mio padre diceva che ero la sua copia esatta fisicamente : capelli lunghi di una castano chiaro e dorato, occhi grandi di un verde intenso, zigomi alti e fisico forte. Mentre avevo lo stesso carattere volenteroso, coraggioso e gentile di mia madre. Ne andavo fiera. << E' ora di rientrare, Meredith >> Mio padre si alzò senza che me ne accorgessi. Mi tese una mano, l’afferrai e mi alzai. Raggiungemmo la nostra casa mentre il sole ormai spariva oltre i folti alberi alle nostre spalle e qualche stella incominciava a spuntare.

Quando entrammo in casa, percorsi il largo salotto raggiungendo le scale che si trovavano verso sinistra per raggiungere camera mia al piano di sopra. Aprii la porta. La mia camera era illuminata appena dalla fioca luce del tramonto rimasta. La finestra si trovava al centro con il letto appoggiato di fianco a sinistra; al muro di destra vi era una armadio color nocciola, e una scrivania con sopra un pc portatile si trovava dall’altra parte del muro, con sopra tre scaffali colmi di libri fissi al muro. Mi cambiai, tolsi il vestito rosa chiaro che indossavo e presi una canotta bianca e dei pantaloncini di jeans dall’armadio, deponendo il vestito. Scesi di corsa le scale raggiungendo il salotto e mi sedetti con un balzo sul lungo divano bianco di fronte alla tv. Matthew era seduto per terra a giocare con i suoi dinosauri di plastica e mio padre si trovava in cucina che si apriva sul lato destro del salotto. Preparava la cena. Presi il telecomando e incominciai a cambiare canale, ma non c’era nulla di interessante così lasciai sul notiziario della sera. Il giornalista annunciava il solito fatto che da un paio di giorni si verificava da varie parti del mondo.

<< …A nord est del paese una coppia di anziani è stata trovata morta. I corpi carbonizzati riportavano entrambi dei morsi sulla pelle. Secondo le testimonianze di alcuni abitanti della zona, sono state avvistate delle strane sagome nere che presentavano un paio di corna sulla fronte. I corpi delle vittime sono state poste ad analisi e autopsie, ma gli esperti non sembrano avere risultati ne conclusioni. Questo strano mistero s'infittisce e dilaga. In molte parti del mondo vengono ritrovati corpi carbonizzati e le testimonianze concordano sull'aver visto strane creature aggirarsi dopo il massacro. Ed ora passiamo a…>>

Spensi la tv. Mi ritrovai a fissare lo schermo buio della tv spenta e a immaginare quella povera coppia di anziani massacrati. Cosa stava succedendo in questo misero mondo ormai marcio? Mi riscossi e raggiunsi la tavola insieme a mio fratello quando nostro padre ci chiamò. Mi sedetti di fronte a mio fratello che già si abbuffava, come di solito, e mio padre sghignazzava divertito osservandolo. Si voltò, mi sorrise e io ricambiai.

<< Sapete una cosa, ragazzi?>>

<< Cosa, papà ? >> Domandai.

<< Sento che questa sarà una grande estate. Da fine del mondo! >> Esclamò.

<< Già. Da fine del mondo >> Mormorai.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

I primi raggi del sole mattutino illuminavano la mia stanza quella mattina. Mi alzai,mi stropicciai gli occhi e con ancora l’aria assonnata uscii dalla mia stanza per dirigermi al bagno che si trovava in fondo a sinistra del corridoio. Mi lavai e a poco a poco cominciavo a svegliarmi e ad acquistare lucidità. Scesi le scale di corsa per raggiungere la cucina al piano di sotto, dove mi aspettavano mio padre e mio fratello già a tavola con la colazione pronta.

<< Buongiorno,Meredith! Dormito bene cara? >> Esclamò squillante mio padre,sorridendomi.

<< Buongiorno a voi,famiglia! Si bene,grazie. E tu papà? >> Risposi ricambiando il sorriso, sedendomi al mio posto e incominciando a versare i cereali nella mia ciotola con del latte fresco.

<< Una meraviglia! >> Sorrise, e poi beve un sorso dalla sua tazza. Matthew era troppo concentrato a scolarsi la sua seconda ciotola di latte per salutarmi. La tranquillità di quella mattina fu spezzata quando qualcuno suonò la porta. Mio padre si alzò dalla sedia, e superò il varco della cucina per raggiungere il salotto ed aprire la porta. Dietro di essa c’era Quil,il nostro vicino di casa,un uomo basso dalla testa pelata e gli occhi piccoli.

<< Oh! Buongiorno Quil. Prego,accomodati pure >> Lo salutò gentilmente mio padre. Non riuscii a udire bene la sua risposta,ma a quanto parve non entrò in casa e per quel che riuscii a capire,balbettava. Era strano vedere che Quil non entrasse in casa ridendo e facendo chiasso come al suo solito. Rimaneva sulla soglia di casa a balbettare nervosamente. Incuriosita mi alza dal mio posto,e a passi felpati attenta a non farmi vedere dai due uomini,mi avvicinai alla porta ad ascoltare.

<< Peter,hai presente John? Il figlio della signora Wild ? >> Vidi mio padre annuire. Il tono di Quil era turbato e esitava a parlare. Potevo immaginare la sua espressione, anche se non riuscivo a vederlo stando nascosta.

<< Ieri notte dei ragazzi si aggiravano per la foresta quando improvvisamente hanno udito delle urla. Si sono precipitati a vedere e hanno trovato il cadavere di John, ustionato e strappato a morsi. >> Rabbrividii. Mio padre rimase a bocca aperta e Quil taceva.

<< E dopo,cosa è successo? Si sa chi è stato? >> Lo spronò a continuare mio padre a mezza voce.

<< Ecco…I ragazzi avevano lasciato per pochi attimi da solo il cadavere di Jon per chiamare soccorsi,e al loro ritorno il corpo di John era sparito >>.

<< Come, sparito? >> Esclamò mio padre.

<< Si,era sparito. Ma qualcosa all’improvviso spuntò dietro di loro ed era Jon. Ma non era più lui..A-aveva un aspetto terribile! La pelle rossa e ancora i segni dei morsi da cui colava sangue,un paio di enormi corna che li spuntavano dalla testa…E-e le sue orbite completamente nere come la pece. Dicono di aver intravisto anche una coda spuntarli da dietro. Peter…era un mostro. >> Quil,era terrorizzato. Deglutii rumorosamente e incominciai a sudare. Ero sconcertata e incredula . Potevo intravedere l’aria sconvolta sul viso di mio padre.

<< Cosa è successo a quei ragazzi? >> Domandò mio padre sussurrando.

<< Solo uno di loro è riuscito a scappare,in tutto erano 5. Gli altri 4 sono stati uccisi e poi scomparsi nel vuoto. Non si sa più nulla di loro. Credimi,Peter. Io ero nei paraggi ieri notte,e ho udito delle urla terribili. Quando mi sono avvicinato mi sono ritrovato questo ragazzo sopravvissuto corrermi incontro chiedendomi aiuto >>. Mio padre sbuffò,scosse la testa ripetutamente e chiuse gli occhi. Io ero una statua immobile. Credo di aver dimenticato di respirare durante tutto il racconto. Immaginai John,un ragazzo poco più grande di me dall’aria tranquilla e serena. E poi immaginai il suo corpo straziato a morsi,ustionato e trasformato in un demonio. Rabbrividii di nuovo.

<< Peter. Se mai la situazione degenerasse…>> Ci fù una pausa.

<< Sai di cosa parlo. Se mai queste disgrazie dovessero ricapitare nei paraggi,mettiti in salvo te e i tuoi figli >> Il suo tono era serio,ma ancora turbato.

<< E dove vuoi che vada,Quil ? >> L’esaltazione sembrava invadere mio padre

<< Non lo so! Via da qui,almeno. Ci si vede Peter >> Girò sui tacchi e se ne andò. Mio padre annuì e chiuse la porta amareggiato. Si girò e quando mi vide davanti a lui,sussultò.

<< Cosa sta succedendo,papà? >> Dissi, quasi urlando.

<< Immagino tu abbia sentito tutto >> Disse, rassegnato.

<< Che facciamo? >> Sussurrai,preoccupata.

<< Hai sentito cosa ha detto Quil,no? Ci nasconderemo. Potremo trasferirci nella nostra vecchia casa a Phoenix >> Concluse, ritornando calmo.

<< Ma cosa cambia? E’ qualcosa che non sta colpendo solo il nord America,ma tutto il mondo! >> Feci spallucce e lo guardai scettica.

<< Lo so bene Meredith. Ma fin ora Phoenix non ha subito nessun attacco. >> Disse secco. Mi passò di lato silente, raggiunse la cucina dove Matthew consumava tranquillamente la colazione all’oscuro di tutto. Sorrise a mio fratello,come se niente fosse. Amaramente raggiunsi anch’io la cucina. La voce del giornalista al notiziario della mattina, faceva eco in tutta casa,annunciando l’ennesima disgrazia che ci aveva appena raccontato Quil,portando terrore in casa. Quella sera,mi trovavo in camera mia a preparare la valigia sotto ordine di mio padre. Ci misi qualche vestito,un paio di libri e dei cd musicali per ammazzare il tempo,al resto ci avrei pensato domani. Potevo udire benissimo dal piano di sotto le lamentele di mio fratello per il trasferimento a Phoenix.

<< Avanti,Matthew. Ci divertiremo a Phoenix. Sarà solo per l’estate! >> Mio padre cercava di convincerlo in tutti i modi.

<< Ma a Phoenix non conosco nessuno. Io voglio rimanere a San diego! >> Protestava sbuffando.

<< Ma ci sono i figli della signora Lucia,ricordi ?>>

<< Uffa! Non ci voglio andare! >>

Sbuffò e mi immaginai la sua espressione imbronciata. Mi gettai di colpo sul letto a pancia in su,la finestra era spalancata,lieve brezze di vento fresco mi rinfrescavano smuovendomi appena i capelli. Mi ritrovai a fissare il soffitto della mia camera,senza pensare a niente. Quando,poco prima di chiudere gli occhi,un ondata di paura mi invase.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Al mio risveglio mi accorsi di avere la fronte imperlata di sudore. I tiepidi raggi solari mattutini filtravano attraverso le bianche tendine della finestra, che mi indussero a svegliarmi del tutto abbagliandomi. Mi sedetti, sbadigliai, e mi stropicciai gli occhi con il palmo della mano e non appena misi piede per terra, una strana e terribile sensazione si manifestò nella mia mente. Avevo la strana sensazione di aver fatto un incubo terribile, ma non ricordavo nulla, assolutamente. Erano solo le 7 di mattina, in casa regnava il silenzio, non avevo più sonno ormai così andai in bagno a lavarmi, l’acqua fresca mi svegliò del tutto. Scesi in cucina, aprii le tende e mi preparai una ciotola di cereali con del latte fresco; mangiai con calma mentre mi accostai alla finestra ad ammirare il campo di grano splendere sotto i primi raggi della mattina, e di colpo sussultai avvertendo una presenza alle mie spalle.

<< Papà! Mi hai spaventata >> esclami, bassa. Aveva ancora la faccia assonnata, i capelli in rivolta e la voce impastata di sonno.

<< ‘Giorno cara. Ero andato in bagno, e passando in camera tua non ti ho trovata, così sono venuto a controllare di sotto >> mi sorrise appena.

<< Non scappo mica, papà >> lo rassicurai, sorridendo. Ricambiò ancora il sorriso e fece per andarsene,

<< Credo che andrò a vestirmi >> Io annuii, avevo già finito la mia colazione e decisi di apparecchiare la tavola per loro, con biscotti, aranciata e latte fresco, poi risalii le scale ed entrai in camera mia.

Avevo deciso di raggiungere la città quella mattina, avevo il disperato bisogno di comparare dei libri alla mia libreria preferita, e raggiungere la città in prima mattina non sarebbe stata una cattiva idea. Al mio rientro avrei pensato alla valigia, alle cose da fare prima di partire, ma non era un semplice viaggio di vacanza quello: era una via di fuga, una via di fuga per metterci in salvo, per cercare di stare lontano da quelle inspiegabili disgrazie che si manifestavano da un po’ di tempo dalle nostre parti, e non solo. La partenza sarebbe stata prevista tra una settimana. Scelsi di indossare un paio di jeans chiari e una camicia bianca senza maniche, i miei capelli quella mattina non ne volevano sentir parlare di assumere un aspetto decente, così li lasciai semplicemente sciolti, e ritornai di sotto dove mi accolse il resto della famiglia intenta a mangiare la colazione, avendo ancora quella costante terribile sensazione addosso.

<< Grazie per averci preparato la colazione, tesero >> esclamò mio padre appena mi vide scendere dalle scale, mio fratello invece si voltò e mi salutò sventolando una manina, mentre afferrava un boccone dal suo cornetto. Ricambiai sorridendo. << Stai per uscire, Meredith ? >> mi chiese mio padre incuriosito, masticando piano.

<< Si, ho intenzione di raggiungere la città, vorrei compare qualche libro>>

<< D’accordo, ah! E non fare tardi, Abbiamo un sacco di cose da fare >> mi avvisò, sorridendomi. Annuii e presi le chiavi della macchina di mio padre, un piccolo furgoncino verde. Uscita di casa il sole mi abbagliò, raggiunsi in fretta l’abitacolo, e una volta messo in moto mi avviai fuori il vialetto di casa. La strada era deserta, il sole batteva sulle spighe di grano facendole brillare, le rondini non smettevano di cantare. C’era una armoniosa tranquillità, spezzata bruscamente alla vista della signora Wild vicino al vialetto della propria villa a pochi passi dalla nostra, venir retta da suo marito, mentre due silenziosa lacrime rigavano il suo dolce viso rugato. Suo figlio Jon era stata vittima di quella spaventosa tragedia, e proprio quel pomeriggio stesso si sarebbero svolti i funerali, un funerale senza il corpo del proprio figlio, perché ormai era scomparso e trasformato in qualcosa di terribile. Mio padre sarebbe stato presente, io invece, non volevo andarci: odiavo i funerali. Non si accorsero di me, li superari non appena si voltarono per raggiungere casa. Rabbrividii, spinsi inesorabile il piede sull’acceleratore, e sfreccia di corsa verso la città.

Raggiungere la città alle prime ore del mattino aveva avuto il suo buon esito. La città sembrava appena svegliarsi, e ritornare ai suoi ritmi, alle sue abitudini e suoi doveri. Per tutto il tragitto mi sono sforzata di non pensare a niente, di concentrarmi sula strada, di ascoltare un po’ di musica alla radio e dimenticare, altrimenti il dolore avrebbe rovinato ogni mio obbiettivo di quella mattina. Ma era impossibile riuscirci. Parcheggiai l’auto vicino al lungomare, appena uscii dalla macchina, l’aria salmastra mi pizzicò il naso; salii sul marciapiede e mi affacciai sulla ringhiera del lungomare a perdermi in quel azzurro accesso del mare fondersi con l’orizzonte e i primi bagnanti starsene tranquillamente beati a prendere quei caldi e leggeri raggi mattutini. Mi voltai e attraversai la strada pronta a raggiungere la libreria che si trovava di fonte al lungomare, al mio ingresso il campanello suonò, vidi la signora della libreria che ormai conoscevo da tempo e la salutai sorridendogli. Mi diressi verso il mio scafale preferito, dove vi erano tutti libri fantasy, diedi un occhiata agli ultimi arrivi e uno strano libro dalla copertina verde e una lucente spada medievale al centro, catturò la mia attenzione tanto che lo afferrai e lessi la trama da dietro la copertina. Storie di draghi, cavalieri e spade magiche mi affascinavano fin da bambina e la trama non sembrava niente male, sapevo che dovevo assolutamente prenderlo.

<< La leggenda di Eleser. Ottimo libro. A quando vedo, i tuoi gusti sono cambiati >> Osservò una voce calda e famigliare, che mi fece sussultare alle mie spalle, mi voltai e riconobbi la figura alta e protettiva di Dean, il mio migliore amico fin dall’infanzia. Abitava nella vecchia villa di fronte alla mia, da bambini giocavamo sempre insieme e abbiamo sempre frequentato la stessa scuola, ma da quando si trasferì in città, ci vedevamo molto meno; mi mancava la sua costante presenza.

<< Dean! >> esclamai, ricambiando il suo sorriso.

<< Allora è vero che lavori qui >> osservai, stupita.

<< Già! Sai, vorrei racimolare un po’ di soldi quest’estate, per il Collage >> Già, il Collage. Avremo mai avuto ancora la possibilità di andarci?.

<< Prendi quello? >> chiese, indicando il libro che stringevo tra le mani. Annuii.

<< Ne ero certo. Ti va di fare un giro fuori , dopo vero pagato? >> mi sorrise ancora. Io accettai e mi avvicinai alla cassa dove pagai e poi uscimmo fuori ad affacciarci alla ringhiera del lungomare, a goderci quel venticello che sapeva di salsedine. I suoi occhi verdi e i capelli neri brillavano sotto la luce del sole, mi accorsi solo allora che mi era così mancata la sua fragorosa risata. Ridemmo e scherzammo, raccontandoci vecchie e nuove cose, ma quando gli raccontai di Jon, si rattristò. Lo conosceva abbastanza bene, come tutti dalle mie parti del resto, lo vidi sconvolto per un paio di minuti e ancora quella strana e terribile sensazione che quella mattina non voleva lasciarmi stare, si fece strada in me. Restammo in silenzio per diversi minuti, sembrava come se il vento man mano stesse portando via lentamente quell’aria triste e dolorosa che si era improvvisamente creata tra di noi, e ritornammo ad osservarci e a sorriderci scambiando ancora qualche parola. Fu assurdo come la tranquillità di quel momento venne stracciata da qualcosa di inspiegabile e terribile, squarciare il cielo azzurrino.

Non riuscivo a crederci. Mi paralizzai all’istante. Erano come due sfere rosse e incandescenti, squarciare il cielo pulito e azzurrino di quella mattina, scendere a velocità supersonica come fossero due meteoriti, e il loro rumore assordente ti rimbombava nelle orecchie. Non ci volle molto che scesero a perdersi nelle profondità dell’oceano. L’acqua si innalzò bruscamente, la terra prese a tremare e solo allora mi resi conto della gente intorno a me scappare e urlare terrorizzata, afferrare le proprie cose, fuggire di corsa nella speranza di riuscire a salvarsi a quella che sembrava, la fine del mondo. Ma qualcosa mi diceva, che questo non era ancora niente. Mente, c’era gente proprio come me, che non riusciva a muovere un muscolo, con la mente in tilt e gli occhi persi nel vuoto, cercando di comandare alle gambe di muoversi. Le mie non si muovevano, ma tremavano, e se non ci fosse stato Dean ad afferrarmi per un braccio non appena mi vide barcollare, avrei urtato la testa contro il marciapiede. Tutto smise di tremare per quelli che sembravano fossero un infinità di minuti, ma che forse non ne fu nemmeno uno. Mi reggevo a malapena su Dean, stringendo la sua camicia tra le mani, con ancora le gambe che mi cedevano. Potevo sentire, attraverso quella presa ferrea , le sue grandi mani tremare mentre mi teneva stretta a se. Mi guardai intorno e notai come la gente continuava a scappare gridando qualcosa di incomprensibile, come il mare ancora era in rivolta, come le case, gli edifici si fossero lesionati e mi preoccupai anche se la signora della libreria fosse al sicuro. Era uno spettacolo terribile, vedere come la tranquillità di quella mattina venire rivoltata dal terrore e dal panico. Avvertì Dean catturate la mia attenzione, faticava a parlare, io invece, credevo di aver perso ogni capacità di comprensione.

<< Va tutto bene, Meredith? >> La sua voce tremava appena. Io annuii a scatti irregolare, guardando verso il basso. << C-cosa diamine è s-successo? >> balbettò, in un sussurro. Io non li risposi, mi limita a scuotere la testa mentre cercavo con tutta me stessa di reggermi sulle mie gambe da sola, dovevo fuggire via di li, dovevo correre a casa.

<< D-devo a-andare >> avevo la cola secca, non riuscivo a palare. Dean Non mollò la presa nonostante cercavo di allontanarmi. << Dove diavolo vuoi andare in questo stato? >> mi fissò, io deviai lo sguardo liberandomi finalmente da lui e sentii la testa girarmi. << Sei sotto shock Merdith, non posso lasciarti da sola in questo stato! >> esclamò, e mi cinse per un fianco quando capì chiaramente che barcollavo ancora. << Lo so bene Dean, ma devo tornare a casa dalla mia famiglia, non posso starmene qui non sapendo nulla di loro >> sospirai, << Lasciami andare, te ne prego >> . Mi girai verso di lui, lo fissai facendoli capire che dovevo andare sul serio e che ce l’avrei fatta; lui mi osservò a lungo, come a voler riflettere, e poi mi scompigliò i capelli.

<< Vengo con te, allora >> sospirò.

<< Non se ne parla >> protestai, << Devi rimanere qui, dalla tua famiglia. Avrà sicuramente bisogno di te, E assicurati che la proprietaria della libreria stia bene >> suggerii. Dean sospirò ancora, rassegnato, e mi lanciò un ultimo sguardo.

<< Sta attenta >> mi raccomandò, con voce bassa. << Lo farò >> risposi, sorridendogli a fatica e mi voltai allontanandomi da lui, sentendo le gambe riprendere man mano le forze.

Tirai fuori le chiavi dalle tasche, raggiunsi il furgoncino e misi subito il moto, facendomi largo tra la caotica città in preda al panico. Solo ora quella strana e terribile sensazione che al mio risveglio mi aveva dato il buongiorno stava acquistando un senso, una spiegazione. Era una avvertimento di qualcosa di terribile. E pregando con tutta me stessa che mio padre e mio fratello Matthew stessero al sicuro, spinsi il piede sull’acceleratore per allontanarmi da quell’inferno.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Pochi metri ancora mi separavano da casa quando il cellulare squillò. Era mio padre e sentire la sua voce, nonostante fosse allarmata e preoccupata, mi tranquillizzò all’istante. Anche Matthew era con lui e mi supplicava di tornare, io li tranquillizzai dicendogli che stavo bene e che sarei tornata prestissimo e potei sentire chiaramente i tentativi di trattenere le lacrime di mio fratello quando mio padre me lo passò. Stavano bene, ed era tutto ciò che mi importava. Riattaccai e ritornai a concentrarmi sulla strada; Sapevo che avrei potuto chiamarli prima io, ma non riuscivo a staccare le mani dal volante, e se non mi avessero risposto, avrei davvero temuto il peggio.

Arrivai circa una 20 di minuti dopo, quando parcheggiai nel vialetto di casa, loro erano ad aspettarmi fuori alla porta, non feci in tempo a raggiungerli che mi vennero incontro, io gli abbraccia con foga. Mio padre mi sussurrò all’orecchio di essere felice di sapere che stavo bene e che ero li con loro, mio fratello mi tirava per la maglietta e io lo presi in bracciò stringendolo forte a me, poi nostro padre ci fece cenno di entrare in casa e ci sedemmo sul divano in salotto davanti alla tv spenta. Chiesi a mio padre di portarmi un po’ d’acqua e così fece: avevo ancora la gola secca per poter parlare.

<< Meredith, cose è successo? >> mi domandò mio padre, e ancora potevo chiaramente leggere l’agitazione nei suoi occhi verdi. Io bevvi ancora una altro sorso d’acqua, mio fratello era seduto davanti a me e mi fissava con sguardo perso, mio padre era in piedi davanti a noi.

<< E’ stato terribile…Io ero li con Dean, affacciati sul lungomare, quando qualcosa è caduto dal cielo… >> Nonostante sentivo la gola fare meno male, non riuscivo ad alzarne il tono, non riuscivo nemmeno a guardare mio padre negli occhi, e controvoglia, rivivevo quell’inferno.

<< Sembravano come due enormi meteoriti, e quando sono caduti in mare la terra ha iniziato a tremare. Era il caos più totale, la gente non faceva altro che scappare, urlare e io non riuscivo a muovere un muscolo. Se non ci fosse stato Dean, non so come avrei fatto. Ero sconvolta >> Chiusi gli occhi, e cercai in tutti i modi di togliermi dalla testa le grida della gente e la sensazione della terra che tremava sotto ai piedi. Mio padre si sedette al mio fianco e mi abbracciò, mi baciò la fronte e io mi lascia andare nel suo abbraccio.

<< Ora è tutto finito Meredith, tutto finito >> sussurrò al mio orecchio, accarezzandomi un braccio. Stetti in silenzio per non so quanto tempo, dopo azzardai a chiedere cosa fosse successo mentre io non c’ero. << E qui, cosa è successo invece? >> Alzai lo sguardo su mio padre.

<< Vedevamo la tv, quando improvvisamente tutto a preso a tremare. La tv si è spenta da sola, i cani dei vicini non facevano altro che abbaiare. Matthew era terrorizzato e ho cercato in tutti i modi di tranquillizzarlo, fin quando non ha smesso. Non ci sono stati gravi danni fortunatamente, poi notando che non chiamavi mi sono preoccupato e così non ci ho pensato due volte a chiamarti io, e fortunatamente stavi bene. Infine, ti abbiamo aspettato con ansia >> . Potevo immaginare il faccino di mio fratello terrorizzato mentre si avvinghiava a mio padre, ed ora era li al mio fianco a fissarmi con quei suoi grandi occhi neri; allungai un braccio e gli accarezzai una guancia. Tentammo di accendere la tv, ma nulla, era compitamente andata come ogni altra fonte di elettricità. Era colpa delle sfere di fuoco incandescenti cadute già dal cielo quella mattina? Mio padre si alzò dal divano e decise di andar a controllare se i vicini stessero bene, mio fratello che sembrava più tranquillo, andò nella sua camere a giocare e io lo imitai rintanandomi nella mia. Mi sedetti sul letto, e mi accorsi delle mie cose sparse un po’ ovunque, le avrei sistemate dopo, ora dovevo chiamare Dean, dovevo sentire la sua voce. Composi il numero e aspettai che rispondesse: le linee telefoniche non sembravano essere andate.

<< Meredith >> sentii la sua voce tranquilla e rassicurante rispondermi.

<< Dimmi che stai bene >> lo implorai, e al contrario di lui, sembravo ancora spaventata.

<< Sto bene Meredith, stiamo tutti bene. Non preoccuparti. Ci sono qualche feriti, hanno fatto evacuare la gente dagli edifici più pericolosi, ma al momento non pare ci siano vittime >>. Tirai un sospiro di sollievo, anche lui stava bene e non potei essere che felice.

<< Sono contenta di sentirtelo dire >> sussurrai, più tranquillizzata e sorrisi.

<< Li state tutto bene? >>

<< Si, stiamo tutti bene fortunatamente. Scusa per essere scappata così bruscamente >> mormorai.

<< Non devi scusarti, era tuo dovere. E ora scusami, ma sono io a dover scappare ora, i miei hanno bisogno di me. A presto Meredith, sta attenta e non preoccuparti >> Scommetto che sorrideva. Uno dei suoi soliti sorrisi sghembi che amavo.

<< Anche tu. A presto >> riattaccai e mi lascia cadere sul letto. Stava bene. Grazie a dio stava bene.

A pranzo mangiamo gli avanzi della sera prima,io non mangiai molto e nemmeno mio fratello, e vederlo non toccare cibo, si capiva benissimo che per lui doveva essere stata davvero una giornata terribile. Aiutai mio padre a sparecchiare poi usci di casa avviandomi verso il furgoncino verde dove avevo lasciato il libro che avevo comprato quella mattina, infine andai di sopra e sistemai la mia camera quasi in rivolta. Mi sentivo terribilmente stanca, avevo bisogno di dormire ma avevo paura di chiudere gli occhi e rivivere quell’incubo, ma mi feci forza sperando che il sonno sarebbe arrivato presto e mi avrebbe portato per un po’ via dalla realtà. Non so dopo quando tempo stesa sul letto a perdermi in mille pensieri mi addormentai, un sonno leggero e senza sogni.

Una mano calda mi svegliò, era mio padre ed era appena tornato dal funerale. Già, il funerale. Me ne ro dimenticata.

<< Sono appena tornato dal funerale >> sussurrò.

<< Come sta la signora Wild e suo marito?>>

<< Sono sconvolti sia per la morte del figlio, sia per l’accaduto di stamattina >> mormorò, malinconico, poi fece una lunga pausa e restammo in silenzio. << Cosa diamine sta succedendo, Meredith? Tutto questo è assurdo, non ha senso! >> scosse la testa, con sguardo perso << So solo che tutto questo è straziante >> la luce negli occhi verdi di mio padre e il suo raggiunte sorriso che ti riscaldava l’anima, sembravano fossero stati rapiti da un essere invidioso. Si alzò senza aggiungere nient’ altro, e si allontanò. Io lo ascoltai e lo vidi andare via senza dire una parola, anche volendo, la mia mante non riusciva a formulare nulla di sensato, mio padre aveva già detto tutto. Non avevo più sonno ormai, mi accorsi guardando l’ora, di aver dormito giusto due ore, così mi alzai e ricomincia a sistemare i bagagli: molto probabilmente avremo anticipato la partenza.

Quella sera dormire fu davvero impossibile, mi giravo e rigiravo nel letto senza riuscire a prendere sonno, le grida della gente ancora mi rimbombavano nella testa, era come se avessi davanti agli occhi la vista di quelle due sfere infuocate che squarciavano il cielo. Non so quando finalmente le forze mi abbandonarono del tutto, forse erano le 3 del mattino. Quella notte ero certa, di aver sognato due grandi occhi rossi come il fuoco, scrutarmi nell’oscurità totale, e rabbrividii.

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