I semi della grandezza

di Violet Tyrell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Bloem ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Eskil ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Godric ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. Bloem- Eskil- Augustus ***
Capitolo 6: *** Capitolo V- Lys - Eskil - Bloem ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Godric - Eskil ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


prologo - i semi della grandezza
 

Prologo


Un sole tiepido filtrava attraverso le strette finestre del maniero di lord Slytherin, creando una pozza dorata ai piedi di due ragazzini, similmente bruni e pallidi con gli stessi volti rotondi e occhi del colore delle paludi che circondavano la zona. Un vecchio esemplare di Crup vagava tra i due, agitando la coda biforcuta, con la quale spazzava il pavimento di pietra; alternativamente protendeva il muso sempre in affanno, dal quale penzolava una lingua rosea, verso Bloem o verso Eskil. La ragazzina era impegnata a sfogliare alcuni rotoli di pergamena con aria annoiata; muoveva pigramente l’indice verso le parole vergate con l’inchiostro, cambiandone il colore dal classico nero al lilla o al ceruleo. Nonostante non si trattasse di un’attività chissà quanto coinvolgente, Bloem era comunque abbastanza assorta da non prestare troppa attenzione al Crup – che anni addietro Eskil aveva chiamato Buck, con orrore di sua sorella. La coda della creatura magica, così ignorata o forse per stanchezza, smorzò quindi le sue sferzate, poi il Crup tornò a rivolgersi a Eskil, che protese una mano verso il suo testone e iniziò a grattarlo dietro l’orecchio.

Le giornate trascorrevano tutte nella pressoché totale monotonia e, anche se il ragazzino sollevava il mento e spingeva lo sguardo oltre l’apertura della finestra, non riusciva a immaginare niente di interessante da fare, né all’aperto, né all’interno del castello. Lui e sua sorella conoscevano a menadito ogni stanza, ogni passaggio segreto, ogni scala a chiocciola della struttura in cui erano cresciuti e vivevano, e persino i dintorni non avevano segreti per loro. Si trattava perlopiù di paludi inospitali, dalle quali si sollevavano nugoli di zanzare e di Chizpurfle e nelle quali, secondo la leggenda, più di un Babbano aveva perso la vita, ingoiato dalla melma. Era usuale che favole e leggende sorgessero intorno a una dimora isolata e ammantata dalla fama sinistra del suo abitante principale, lord Salazar Slytherin, ma i suoi figli sapevano che spesso quelle fiabe avevano più di un fondo di verità. Avevano saputo delle vittime fatte dalla palude dallo stesso genitore, il quale non aveva nascosto che quel confine costituiva uno dei principali mezzi a difesa della loro proprietà. Come a dire che alcuni prediligevano i fossati, lord Slytherin le paludi. Naturalmente non mancavano incantesimi di protezione, e gli stessi acquitrini erano impregnati da magia antica e potente. Sembrava che ogni cosa sulla quale il fondatore di Hogwarts posasse il suo indice o il suo sguardo si coprisse di una patina traslucida, quasi invisibile agli occhi, ma percepibile con gli altri sensi.

Gli stessi Eskil e Bloem, le sue creature, portavano sulla pelle il suo sigillo: avevano gli stessi capelli scuri e occhi penetranti. Ma avevano ereditato dal padre molto più di quanto non fosse visibile allo sguardo.
Per quanto Salazar tenesse in una certa considerazione i due ragazzi, nonostante la giovane età e nonostante avessero dimostrato fin dai primi giorni di vita di avere un notevole potenziale magico, non consentiva loro ancora di seguirlo quando lasciava il castello, né forniva grandi spiegazioni su dove andasse e su cosa facesse. Più di una volta Eskil aveva provato il desiderio di seguire il padre, ma solo in un’occasione aveva tentato di balbettare una richiesta di accompagnarlo. Era bastata un’occhiata di Salazar per farlo desistere.
Per certi versi, sembrava che Bloem subisse meno l’influenza di lord Slytherin rispetto al fratello, ma anche lei provava una certa soggezione nei confronti del padre. Il signore del castello aveva disposto che dovevano restare nella loro dimora e così sarebbe stato. Negli ultimi giorni non aveva fatto che piovere, almeno ora era sorto il sole, anche se era ancora pallido. Forse avrebbe fornito loro l’occasione di aggirarsi tra le terre del padre, ma per fare cosa? Di sicuro le paludi erano gonfie a causa delle recenti piogge, il che rendeva i luoghi ancora più inospitali.
La porta della stanza in cui si trovavano Eskil e Bloem risuonò di un leggero bussare, in risposta il Crup andò ad annusare la soglia.
“Avanti” disse il ragazzino.
Un attimo dopo apparve una giovinetta con una folta zazzera di capelli rossi lunghi quasi fino alla vita e il naso spruzzato di lentiggini, che doveva avere l’età di Eskil. Alla sua vista, un lieve sorriso illuminò appena il volto del ragazzo, al quale Alyssa rispose debolmente.
“Perdonate il disturbo. Lord Slytherin è al castello e desidera vedervi.”
Bloem rispose con un distratto cenno delle dita, senza sollevare la testa dalla sua pergamena e, a quel gesto, Eskil ebbe l’impressione che una delle punte della coda del Crup avesse assunto una tinta tendente al magenta.
Alyssa viveva al castello da quando i due ragazzi ne avevano memoria, figlia di una maganò che serviva al castello, trattata al pari degli Elfi Domestici. A sentire lord Slytherin, chiunque privo di poteri magici era nato per servire gli stregoni e per Eskil quello era un ragionamento più che convincente: era nella natura stessa delle cose. La figlia data alla luce dalla maganò tuttavia possedeva quei poteri, così Salazar aveva acconsentito a che restasse al maniero, né aveva mosso troppe rimostranze quando la piccola si azzardava a giocare con i suoi figli. Naturalmente Alyssa era trattata comunque come un’inferiore e, ora che era cresciuta, lavorava al castello come servetta.
“Va bene… grazie” rispose Eskil. Alyssa chinò la testa nella sua direzione e le ciocche di folti capelli che piovvero davanti al suo viso dissimularono il suo rossore, poi sparì di nuovo oltre la porta.
I due ragazzi si alzarono, Bloem ripose la pergamena che stava leggendo e precedette il fratello dabbasso, dove il genitore li stava aspettando.
Salazar indossava un mantello da viaggio impolverato, verde bosco; scostò il cappuccio dai corti capelli scuri e scarmigliati e strinse le labbra pallide e riarse alla vista dei suoi figli.
“Padre!” lo salutarono entrambi, spiccando una rapida corsa verso di lui, ma arrestandosi prima di gettargli le braccia al collo: simili manifestazioni di affetto non lo conquistavano affatto.
Salazar concesse poche laconiche parole relative ai suoi affari, più che altro si informò su ciò che era accaduto in sua assenza. Eskil gonfiò un po’ il petto mentre lui e Bloem facevano il loro resoconto: non c’era nessun castellano che si occupasse del maniero in assenza di lord Slytherin, e lui si sentiva gratificato quando il padre si informava direttamente da loro; era la conferma che contava sui suoi figli in sua assenza.
“Devo comunicarvi una decisione” disse a un tratto Salazar con tono apparentemente casuale. “Come saprete, tra due settimane cominceranno le lezioni a Hogwarts. Quest’anno voi verrete con me.”
A quelle parole, Eskil cercò immediatamente lo sguardo di Bloem e non fu affatto stupito di trovarlo luminoso come sapeva essere anche il suo.
Finalmente, pensò.
Hogwarts era un castello che sorgeva tra le nebbie, un luogo costruito da Salazar Slytherin insieme all’altro mago e alle altre streghe più dotati dell’epoca: Godric Gryffindor, Helga Hufflepuff e Rowena Ravenclaw. Sia Eskil che Bloem avevano avuto modo di conoscerli, tutti e tre, sebbene le visite da parte loro al maniero Slytherin non fossero così frequenti. Tuttavia i ragazzini conoscevano molti dettagli della collaborazione di suo padre insieme agli altri. In particolare, quando era più piccolo, Eskil bramava farsi raccontare ogni cosa circa le avventure vissute da quei maghi, i duelli più avvincenti, le lotte con pericolose Creature Magiche. Non c’era da stupirsi che quattro potenziali magici così spiccati avessero da subito trovato delle affinità tra di loro.
I due maghi e le due streghe avevano deciso di fondare Hogwarts e di renderlo il fulcro dell’istruzione magica. Capitava spesso che, nel loro girovagare tra i regni, i Fondatori si imbattessero in giovani maghi e streghe promettenti, ma ancora rozzi nelle loro capacità magiche. Decidevano allora di istruirli loro stessi, in modo da plasmare tutto quel potenziale ancora inespresso. Era stato quando il numero dei loro allievi era aumentato così tanto da non consentire più a ognuno di loro di seguirli tutti personalmente che avevano deciso di costruire la scuola. Lì conducevano i loro allievi, che si apprestavano a ricevere un’istruzione più organizzata e completa. I Fondatori non avevano perso l’abitudine di invitare personalmente i ragazzi a seguirli quando si imbattevano in maghi e streghe dotati, e questi mostravano una fedeltà più spiccata per il Fondatore che li aveva scovati. Questi infatti tendevano a scegliere i loro allievi in base alle doti che ritenevano più importanti – il coraggio e la cavalleria per Godric, l’astuzia e l’ambizione per Salazar, la pazienza e la perseveranza Helga, l’intelligenza e la creatività Rowena -, e gli studenti tendevano a rivedersi nel proprio Capocasa. Tuttavia essi venivano divisi in classi in base alla loro maturità, e venivano istruiti da tutti e quattro i Fondatori secondo le loro specialità.
Ormai Eskil non faceva che chiedersi quando sarebbe arrivato il momento di andare a Hogwarts, ma Salazar non parlava mai dell’argomento. Certo, il fatto di essere figlio di uno dei Fondatori, nonché uno dei maghi più brillanti in circolazione, aveva i suoi vantaggi, e né Bloem, né suo fratello erano completamente sprovvisti di istruzione magica. Salazar aveva insegnato qualcosa, ma si trattava veramente di pochissime nozioni: nulla di paragonabile a ciò che i ragazzi avrebbero potuto apprendere a Hogwars. Eskil ne era convinto: era quella la via che li avrebbe condotti alla grandezza, proprio come lord Slytherin ripeteva ai suoi allievi.
Che il giovane mago sognasse in grande e aspirasse all’eccellenza non era un mistero per i suoi familiari – specialmente per sua sorella – né una sorpresa, considerato chi era suo padre. Sembrava che per Salazar nulla al di sotto dell’eccelso fosse degno di nota.
Eskil ne era abbastanza convinto nell’intimo del suo animo: prima o poi avrebbe fatto qualcosa per cui la storia lo avrebbe ricordato. Avrebbe lasciato un segno, un’impronta, qualcosa di sé che non sarebbe scomparso nonostante il trascorrere dei secoli. Salazar aveva fondato Hogwarts, costruendo il suo lascito con la pietra; suo figlio non sapeva ancora di cosa sarebbe stato capace, ma sperava – anzi no, voleva – essere all’altezza del genitore.
Con quelle brevi parole, lord Slytherin sembrò aver esaurito l’argomento. Le domande di Eskil e Bloem furono pochissime: sapevano già tutto su Hogwarts, la sua organizzazione, la durata dell’apprendimento, la suddivisione delle lezioni. I due ragazzini seppero che di lì a tre settimane sarebbero partiti alla volta del castello insieme al genitore, e tanto bastava.
Salazar li accomiatò e i due uscirono dalla stanza per lasciarlo alle sue incombenze, sempre di corsa. Bloem, di due anni più piccola di suo fratello, appariva particolarmente esuberante: non riusciva a stare ferma per più di un secondo e, una volta fuori dal campo visivo del padre, improvvisò una piccola danza. Eskil condivideva il suo entusiasmo: finalmente sarebbero usciti dalla routine del maniero Slytherin.
Mentre procedevano verso la stanza che avevano lasciato quando erano stati chiamati da Alyssa, il ragazzino si chiese come mai Buck non stesse venendo loro incontro. Era un vecchio Crup che preferiva passare il suo tempo sdraiato su un tappeto piuttosto che ad andare in giro a stanare gnomi, ma di solito quando i due fratelli erano così al settimo cielo tirava fuori la sua testa dalla cuccia.
Bloem si era già lanciata nella descrizione di ciò che avrebbe fatto una volta arrivata a Hogwarts: sembrava avere le idee già molto chiare sia sul fatto che sarebbe stato bellissimo, sia circa la loro superiorità rispetto agli altri coetanei. Così Eskil smise di preoccuparsi di Buck e si fece coinvolgere dalle fantasie della sorella. Era contento che sarebbero andati a scuola insieme; Bloem era sì poco più piccola di lui, ma i due fratelli erano davvero molto simili e avevano sostanzialmente le stesse conoscenze, inoltre Eskil non era abituato a stare lontano dalla ragazzina e non pensava che gli sarebbe piaciuto andare a Hogwarts senza di lei. Molto meglio così, in definitiva.
“Buck!” chiamò, spingendo via la porta. “Dove sei, vecchio…”
Il Crup era nella sua cuccia, il testone appoggiato su un vecchio cuscino mordicchiato. Eskil gli andò vicino, troppo contento per la novità per permettergli di sonnecchiare ancora.
Solo che Buck non stava dormendo.

Era stato il primo animale domestico di Eskil. Lo aveva trovato nella brughiera che era un ammasso di pelo bagnato e latrante. Quando lo aveva portato al castello, nessuno aveva mostrato troppo entusiasmo per la sua presenza, men che meno lord Slytherin, che tra le varie creature mostrava una certa predilezione per i rettili e nient’altro. A Eskil non era importato che con lui non potesse parlare in serpentese: aveva comunque insistito per tenerlo, ed era stata l’unica volta nella sua vita – forse – che aveva puntato i piedi per qualcosa. Alla fine Buck era rimasto. Che nome stupido, si era lamentata Bloem, ma poi anche lei si era affezionata al Crup. Non tanto quanto suo fratello, comunque.
Il naso umido e gli occhi arrossati, Eskil rimase a guardare fuori dalla finestra senza vedere realmente il paesaggio circostante, chiuso in un ostinato mutismo. Era addolorato, ma era soprattutto arrabbiato. Ce l’aveva con tutti e con nessuno in particolare, tutto ciò che sapeva era che non doveva andare così, che lui non voleva.
Ma, come gli aveva detto Salazar, il suo Crup era morto e alla morte non c’era rimedio.
Lo vedremo, pensò il ragazzino sollevando improvvisamente la testa.
Un lascito, un’impronta di sé, un motivo per essere ricordato. Eskil aveva appena deciso che avrebbe imparato come sconfiggere la morte.



Angolo Autrici -

Un salutone da me e Lisa (autrice del banner, per altro u.u) che vi proponiamo questa nuova storia. Ci abbiamo lavorato sopra parecchio e speriamo vi possa interessare: trattandosi di un'epoca di cui si conosce poco, molte cose saranno elaborae secondo il nostro gusto e cercando di non uscire troppo dal canon.
I due figli di Salazar sono inventati da noi e speriamo che possano in qualche modo interessarvi ^__^ se avete tempo e voglia fateci sapere, grazie per avere letto intanto :D

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Bloem ***


capitolo 1 - i semi della grandezza
 

Capitolo I - Bloem

 

Pioveva. La pioggia si frantumava contro i vetri; era raro che piovesse in quel modo, ma a Bloem piaceva molto più della solita densa nebbia che avvolgeva il castello: sembrava di essere in un altro mondo, lo stesso castello al suo interno non era molto differente, ma a lei non importava.  Non vi era mai troppa luce nella stanza, tuttavia gli specchi rimandavano riflessi giocosi per tutto l'ambiente; la ragazza osservava con aria critica il proprio profilo in sette parti. Sette specchi la circondavano, levitando a qualche centimetro da terra e spostandosi a ogni suo movimento.

 Sì, l'immagine - anzi, le immagini - che vedeva erano proprio ciò che voleva vedere. Era sempre divertente per Bloem fare le prove davanti agli specchi prima della partenza per Hogwarts, era un gioco iniziato da quando - per lei e suo fratello - si erano aperte le porte di Hogwarts. Non che fosse un gran problema, quello, non per lei e Eskil: come figli di uno dei Fondatori - anzi, del Fondatore, quello più potente di tutti - era quasi ovvio che loro due avrebbero frequentato la prestigiosa scuola di magia, i loro poteri si erano sviluppati molto presto tanto che lei per prima non ricordava di essere mai vissuta senza.
La sua stanza si trovava nel punto più alto della torre più alta e aveva una struttura ovale, era particolarmente ampia e ogni giorno di un colore differente, a seconda del suo umore - o, come diceva suo padre, dei suoi capricci; quel giorno era tutto di un blu molto scuro e cupo, molto vicino al nero, in sintonia col tempo che sbatteva fuori dalle finestre. Mosse la bacchetta con delicatezza, quasi un cenno, e gli specchi divennero più cupi, senza più la capacità di riflettere ciò che vedevano; con un altro leggero movimento, le numerosi vesti da strega attorno a lei si mossero, rimettendosi in ordine e finendo di nuovo all'interno dell'armadio come se non ne fossero mai uscite.

Se la sua piccola sfilata solitaria era divertente, lo era di meno preparare i bagagli: non ci voleva niente servendosi della magia, chiaro, ma a Bloem non piaceva comunque perdere del tempo in quel modo, non quando aveva cose più divertenti da fare.
"E quali? Qui è tutto una noia" sbottò la ragazza, lasciandosi ricadere sul letto di schiena, sprofondando nel materasso di piume con gli occhi chiusi. Era un bene che ricominciassero le lezioni, almeno avrebbe avuto qualche distrazione dalla noia che aleggiava all'interno del castello e poi a lei piaceva molto apprendere cose nuove, era la sola cosa che la interessava. La magia era bella, compativa proprio chi non poteva usarla non possedendola, o chi non ne era in grado; inoltre una volta a scuola, Bloem sapeva che avrebbe goduto di maggiore libertà in quanto non sarebbe stata controllata così strettamente come a casa. Sette mesi a dare ordini ai suoi fedeli e devoti schiavetti e ad ascoltare gli insegnamenti dei Fondatori; era rimasta sorpresa quando, la primissima volta aveva messo piede nella scuola che era stata fondata da circa vent'anni, che erano gli stessi maghi fondatori ad avere il compito di educare gli studenti. Bloem e Eskil sicuramente passavano molto più tempo col padre durante quei mesi che nei cinque di riposo, lì al maniero di Slytherin. Allo stesso tempo passavano del tempo anche sotto la guida degli altri tre; a Bloem non interessava granché, tuttavia in quel modo aveva imparato a non sottovalutare nessuno di loro in quanto erano tutti e quattro molto forti.

Ma non come noi. Lei e suo fratello forse non erano ai livelli del loro padre, tuttavia il loro era un trio sicuramente infallibile; era lui per primo a dirlo in continuazione ed era sicuramente vero, anche a scuola nessuno poteva superare lei e Eskil, in nessuna materia.
Venne distratta dal bussare alla sua porta e lei alzò gli occhi al cielo, se qualcuno bussava era perché non era nessuno che poteva permettersi di entrare senza farlo. Ovvero era una nullità, quasi sicuramente un servitore.

"Avanti" invitò la ragazza dopo essersi rimessa in piedi e aver controllato che l'abito e i capelli fossero a posto: aveva lasciato la chioma semplicemente sciolta, senza acconciature elaborate, cosa che aveva smesso di fare a dodici anni, entrando a Hogwarts e scoprendo inaspettatamente che era molto più comodo tenerli a quel modo.
Le iridi azzurre di Bloem si posarono sulla figura che aveva appena varcato la porta e si trattenne dal pronunciare qualunque parola: proprio come aveva immaginato non era nessuno di importante, eppure in qualche modo aveva immaginato che si trattava di lei. Alyssa era diventata più alta di lei in quegli ultimi anni, ma questo non le impediva di tremare ogni volta che incontrava lo sguardo criptico di Bloem; la strega aveva fluenti capelli rossi e sicuramente un bel visino attraente, ma a giudizio di Bloem... be’, era tutto lì.

Non ricordava neanche di chi fosse figlia, lei sapeva solo che era stato un amico di suo padre Salazar, il quale ai tempi aveva avuto un'avventura con una delle loro serve, finita sicuramente in un niente in quanto la bambina era rimasta lì ed era cresciuta assieme a lei e a suo fratello. Possedeva il dono della magia, certo, ma non era in grado di usare una bacchetta, né forse le importava perché sembrava contenta così com'era, adesso che era diventata grande ed era una servetta.
Le labbra di Bloem si incurvarono all'insù in un sorriso perfido e dolciastro, che l'altra non sapeva capire: aveva visto che portava tra le braccia il bucato.

"Alyssa, tesoro! Cominciavo a sentire la tua mancanza, non mi fai più visita tanto spesso" disse la strega con voce flautata, anche se a lei in verità non mancava affatto. La ragazza non le era certo antipatica, solo che era... stupida, e fin troppo ingenua per essere una compagnia interessante per lei, che preferiva piuttosto i cadaveri di Eskil a persone come Alyssa. La osservò un attimo: aveva una veste molto semplice di un azzurro particolarmente sbiadito, in alcuni punti strappata e rattoppata goffamente con un incantesimo. Un disastro, secondo lei.
La vide avanzare cautamente con quel sorriso tremolante che lei faticava a tollerare, tipico di chi cerca un'approvazione.

"Vi ho portato le ultime vesti pulite per la scuola, milady". La voce di Alyssa era dolce come miele e altrettanto stucchevole per lei, tuttavia Bloem le sorrise più ampiamente, come a dirle che andava tutto bene. Be’, era anche vero, non aveva fatto niente di sbagliato, era il suo lavoro quello.
"Sei stata proprio gentile, cara, appoggiale pure lì" le disse indicandole un mobile dove vi erano ammucchiati altri abiti che poi avrebbe infilato tra i bagagli prima di partire, "e ricordati di portare a mio fratello le sue, sai quanto gli fa piacere che sia tu a occuparti di lui e delle sue cose".

Centro. Bloem vide Alyssa arrossire vistosamente e abbassare pure la testa, piena di imbarazzo; sicuramente non si aspettava che lei ne parlasse, ma non c'era nulla che Bloem non sapesse di suo fratello. Specialmente se si trattava delle sue conquiste: era palese che Alyssa fosse venuta prima da lei, sapeva che poi andando da suo fratello si sarebbe pure trattenuta un po' di tempo. Chissà cosa ci trova di tanto interessante... Bloem proprio non riusciva a capire come mai suo fratello, l'erede diretto di lord Slytherin e mago potente e creativo, potesse trovare anche solo passabile una strega così poco interessante come Alyssa; non era una sciocca, sapeva perfettamente che da quando Eskil aveva scoperto come divertirsi con le donne a letto, non passava sicuramente giorno o notte in cui non ci portava la rossa strega. Ma Bloem non ignorava che erano già un paio di anni che le rimaneva costantemente incollato, come se lei fosse un uccellino raro da proteggere; sorrise pensando che comunque nonostante tutto, Eskil non impediva mai a sua sorella di divertirsi un po' a torturare Alyssa.

Non le faceva certo male, Bloem era più interessata a deriderla in modo indiretto, consapevole che la ragazza voleva piacerle, voleva essere accettata perché, forse, credeva che avrebbe potuto poi sposare suo fratello? Questo non lo sapeva. Mai. Passerai sul mio cadavere prima che io consenta a Eskil di ridicolizzarsi sposando una tale nullità.

Bloem sapeva che pure il padre non avrebbe mai permesso ciò, anche se Eskil poteva sicuramente divertirsi quanto voleva, persino se per caso avesse preso moglie.
"Su, vieni cara, ti sistemiamo un po', ti va? Ormai sei di famiglia, non devi vergognarti, anzi io ti sono proprio grata se rendi felice il mio amato fratello" le disse Bloem, sempre in tono flautato, accarezzandole una guancia, sentendola bagnata da una lacrima sfuggita chissà in quale istante. Ecco, quello era un gioco divertente: non sarebbe stata la prima volta che vestiva e pettinava la ragazza prima che vedesse suo fratello, era un po' come avere una bambola a grandezza naturale e a lei piaceva giocare con le bambole, anche dopo tanti anni. Ne possedeva molte, una collezione magica e rara, erano tutte stupende ovviamente, poi le piaceva vedere come trasformare quell'insipida strega in un... non in qualcosa di bello, ma certamente più attraente di quello che in realtà era. Un semplice cambio di colore dell'abito, una pettinatura più curata e suo fratello impazziva letteralmente; Bloem non aveva mai esagerato, in fondo se a Eskil piaceva quel genere di strega, non serviva fare cambiamenti.
Ci mise meno di due minuti, poi, osservando con aria critica il colore del vestito, posò semplicemente un dito su una delle maniche e questo divenne di uno splendente verde smeraldo, bello come se fosse stato incantato da una sarta esperta.

"Vai, cara, e divertiti" le disse, congedandola in quel modo, ancora con il suo sorriso compiaciuto sul volto. Se mai fosse toccato anche a lei un giorno trovarsi uno svago tra le coperte, mai avrebbe scelto qualcuno di tanto insipido: o si sarebbe trattato di un uomo degno di quel nome, oppure niente. A malapena sentì il ringraziamento da parte di Alyssa, in compenso quando venne abbracciata, si rese conto che sulla rossa poteva sentire chiaramente l'odore di suo fratello.
Sapeva chissà come di morte.


Un boato scosse l'intero castello e Bloem aprì gli occhi, infastidita all'idea che qualcosa avesse osato infrangere il suo riposo; quando voleva essere lasciata tranquilla - come in quel momento - si serviva dell'incantesimo tacitante affinché nulla potesse destarla anche solo per sbaglio ed era questo a renderla poco collaborativa. Qualunque cosa fosse accaduta, era riuscita a spezzarlo con una violenza tale che poteva quasi percepire addosso a sé una sensazione dolorosa.  Si alzò rapida, constatando comunque che la struttura del castello era rimasta intatta: ovvio, un banale botto non poteva certo farla crollare, neanche potente come quello. Infilò in fretta il mantello che aveva lasciato sul mobile poco prima e, armata di bacchetta, uscì in fretta, scendendo la scala a chiocciola che portava alla sua stanza come se non muovesse i piedi tanta era la rapidità. Nonostante non sembrasse, la ragazza sentiva che era accaduto qualcosa e non sapeva dove fosse suo padre; certo poteva anche provenire da lui quel rumore, ma era quasi un delitto pensarlo. Quando Salazar Slytherin faceva qualcosa - incantesimi o esperimenti - di certo non produceva quel tremendo baccano.

Eskil.
Indubbiamente si trattava di lui.
Bloem trovò il caos al piano terra dove i servi stavano correndo qua e là, inciampando gli uni nei piedi degli altri e gli oggetti volavano ovunque.
"Cosa sta succedendo? Non siamo mica in mezzo ai Babbani". La sua voce pregna di raggelante disprezzo parve bloccare tutto perché il silenzio tornò all'istante; tutti la guardavano, o forse i loro sguardi erano fissi sulla lunga bacchetta che teneva quasi per caso tra le dita. La strega captò uno dei servi con lo sguardo fisso sulla porta che portava ai sotterranei; Bloem inarcò le sopracciglia con sorpresa, era quasi convinta che il boato arrivasse dalla cucina, in cui lei mai aveva portato i suoi nobili piedini - e anzi, aveva faticato quando era piccola, a capire a cosa servisse un luogo del genere finché non aveva compreso che aveva a che fare solo con i servi.

Senza pensarci troppo, imboccò quella direzione senza chiedere altro: i sotterranei erano proibiti a chiunque e, anche se avessero voluto entrarci estranei a parte loro tre Slytherin, sarebbe sicuramente accaduto qualcosa di spiacevole.
Cosa stava combinando suo fratello laggiù? Poteva percepire la sua presenza, se c'erano guai nelle vicinanze, doveva certamente trattarsi di lui senza alcun dubbio. Che fosse il risultato di un esperimento fallito ne vide la prova da subito: c'era del fumo verdastro che impediva la vista quasi quanto la nebbia che circondava il loro castello, e aleggiava l'odore della morte.
Bloem aveva già visto morire delle persone nei suoi quasi diciassette anni di vita e la cosa la turbava relativamente, ma quella sensazione era in qualche modo dolorosa. Poteva effettivamente trattarsi di suo fratello? No, non può essere tanto pazzo da rischiare di fare un esperimento che lo condurrebbe alla morte... O invece sì? Suo fratello era forte indubbiamente, aveva quel sottile gusto dell’orrido che aveva sicuramente ereditato dal loro genitore, ma a differenza di Salazar, Eskil non valutava i rischi e neppure percepiva il pericolo, al contrario di lei che lo avvertiva in modo quasi fisico. Voleva il risultato e le conseguenze dei suoi disastri poi venivano coperte da altri, ovvero da lei o dal padre.

Quando arrivò le parve di stare al centro di un campo di battaglia improvvisato: in quella particolare ala dei sotterranei vi erano parecchi calderoni, tutti pronti per esperimenti, e lei sapeva che Eskil stava provando alcune pozioni di sua invenzioni per sconfiggere la morte. A lui piaceva la negromanzia, ne era sinistramente affascinato, voleva scoprirne i poteri, ma lei sapeva anche che aveva abbandonato quelle ricerche per concentrarsi di più su un incantesimo. Fin dove si fosse spinto, però, non ne aveva idea.
C'erano corpi ovunque per terra, irriconoscibili per lei tranne per una chioma rossa che sbucava quasi per caso. Alyssa. A Bloem non importava proprio niente di lei, ma il suo volto si contrasse ugualmente in una smorfia quando le passò accanto. Cosa diavolo era accaduto? Inoltre la sua presenza indicava che suo fratello era lì – non immaginava altre ragioni per cui Alyssa avrebbe dovuto spingersi nei sotterranei – e la cosa non le piaceva neppure un po'.

Sapeva che i morti non costituivano assolutamente alcun pericolo, tuttavia la presenza di tutti quei cadaveri destò in lei una certa impressione. Riuscendo a farsi largo riconobbe Eskil in un angolo. Sentì quasi il cuore fermarsi vedendolo disteso a terra, salvo poi sentirsi infinitamente meglio vedendo che cercava di muoversi; era indubbiamente ferito, lo poteva vedere, ma non era niente di che secondo lei, qualunque ferita si poteva sanare, che problema c'era?

"Andiamo, vieni... sciocco che non sei altro!" lo rimproverò Bloem senza però perdere tempo e cercando di aiutarlo ad alzarsi; niente, era probabilmente troppo stremato per riuscirci da solo. Agitò la bacchetta, ma fu costretta a lasciarla ricadere per la sorpresa: qualcosa le aveva toccato un braccio, dita putrefatte e gelide. La strega si voltò di scatto, gli occhi sbarrati che puntavano nella direzione in cui un arto ricoperto di pelle grigiastra si muoveva, come in preda a degli spasmi. Per la prima volta, Bloem si lasciò sfuggire un urlo terrorizzato. Quel braccio apparteneva a uno dei cadaveri riversi sul pavimento; come poteva un qualcosa di inanimato agitarsi a quel modo? Poi, di colpo, fu avvolto dal fuoco, svanendo in una nube di cenere, lasciandola ricadere a terra, ancora spaventata.

Per un momento pensò di avere fatto una magia senza accorgersene: era vero che con le dita poteva far cambiare colore a cose o persone, ma creare delle fiamme dal nulla? Non appena mise a fuoco la situazione, si rese conto che non si trovava più in quel sotterraneo e davanti a lei c'era suo padre, con l'espressione più infastidita che preoccupata.

"Non hai niente, rimettilo in sesto visto che ne sei capace", disse scoccando un’occhiata intensa a Eskil sempre asciutto e imperturbabile. La strega annuì, senza neanche riuscire a chiedere in che modo fossero usciti da lì: si rese conto che si trovavano nell'ala ovest del castello. Si alzò dalla poltrona su cui doveva essere stata appoggiata e si mosse verso suo fratello, il più rapidamente possibile, per aiutarlo.


Erano passati due giorni e Bloem poteva sentirsi più tranquilla ora che erano arrivati a Hogwarts; era letteralmente esausta dopo aver trascorso il suo tempo a rimettere in piedi Eskil e, soprattutto, a provare a ricucire quello che sembrava essere un cuore spezzato. Se per lei la tragica fine di Alyssa non aveva causato alcun problema, lo stesso non si poteva dire di suo fratello che aveva inaspettatamente - per lei, ovvio - mostrato un profondo dolore per quella perdita da lui stesso causata, implicitamente affermando così di non avere considerato la ragazza solo come un giocattolo.

 Bloem era molto sorpresa da ciò, ma per una volta non aveva fatto commenti cinici, limitandosi a stare vicina a suo fratello per impedirgli di cadere in un eventuale irrecuperabile malumore. In fondo aveva lei, perché mai sentirsi tanto triste? Era una cosa che non poteva capire appieno; era stato molto più facile curare le ferite fisiche visto che per farlo aveva attinto ai preziosi insegnamenti di lady Hufflepuff, appresi durante i mesi precedenti.
Alla strega piaceva la guarigione: in netto contrasto con la sua natura un po' volubile e capricciosa, oltre che egoista, trovava di suo gusto curare la gente e aveva stabilito di chiedere alla fine di quei mesi, di poter seguire la Fondatrice per apprendere ancora di più. A suo padre ancora non l'aveva detto, non c'era però un motivo, voleva che fosse una sorpresa.
Strinse la mano di suo fratello mentre varcavano la soglia di ingresso al castello, ma non disse niente. Era sicura che si sarebbe ripreso. Doveva solo vigilare che non riprendesse i suoi esperimenti: ora che era stato vicino alla creazione dei morti viventi, non era il caso che lo facesse anche a scuola seminando il terrore. E troppe domande.



Angolo Autrici _

Ciao di nuovo a tutti con queso secondo capitolo :D è necessario specificare che i particolari poteri di Bloem ed Eskil hanno una ragione - per ora ignotta a tutti, a loro stessi compresi e pure a voi u.u - ma noi speriamo che possano piacervi
Questa volta vedete le cose con gli occhi della più giovane, Bloem, che è decisamente un tipo paricolare come potete vedere XD
non l'abbiamo specificato a parole, ma dal prologo sono trascorsi ormai quattro anni e si avvia a essere l'ultimo di studi a Hogwarts per i due fratelli. Non c'è un'età precisa per entrare, in contrasto con la storia canonica, in quanto essendo nel Medioevo, si può dire che le cose sono molto differenti e lo reputiamo anche normale ^^
qualunque commento comunque ci farà molto piacere, grazie anche a chi legge soltanto^^

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Capitolo 3
*** Capitolo II - Eskil ***



I semi della grandezza

di Violet e Enide




Capitolo II – Eskil



I maghi e le streghe che seguivano le lezioni di Pozioni si incamminarono ordinatamente al seguito di lady Hufflepuff, che agitò le dita inanellate in aria, come a far loro cenno di affrettare il passo. Quel giorno, i lunghi capelli ramati della strega erano trattenuti da una pratica retina dorata, ma alcune ciocche erano sfuggite e a ogni passo si agitavano scompostamente intorno all’ovale del suo viso.
Eskil obbedì a quel muto cenno, accelerando appena lungo l’esteso corridoio di pietra, le cui strette finestrelle si aprivano sul parco sottostante, illuminato dal sole. Anche se non aveva certo la necessità di seguire lady Hufflepuff per raggiungere senza intoppi l’aula di Pozioni: erano cinque anni che percorreva quel corridoio.


Gli allievi dell’ultimo anno erano un gruppo piuttosto folto che vociava man mano che si avvicinava al piano più basso del castello. Le giornate là fuori si erano allungate e intiepidite, e nessuno aveva particolare voglia di restare chiuso all’interno. Non Eskil: gli abbacinanti raggi solari lo lasciavano piuttosto indifferente. Da sempre infatti non era quel genere di ragazzo che inforcava un manico di scopa e provava piacere a librarsi in aria lanciando una palla di cuoio rosso, né che si divertiva ad accompagnare lord Gryffindor a caccia nella Foresta Proibita. Sostare in prossimità del Lago Nero, magari con un rotolo di pergamena aperto in grembo, era un’attività più in linea con le sue inclinazioni, ma alla stessa lettura poteva dedicarsi anche all’interno del castello, e magari lì poteva sperare di non essere interrotto da nessuno.

Eskil non amava i maghi e le streghe che frequentavano Hogwarts, nemmeno quando si trattava di appartenenti a famiglie nobili come la sua o quando avevano un potenziale magico degno di nota. Le attività che il figlio di lord Slytherin preferiva potevano essere svolte perlopiù in solitaria, e l’unica persona con la quale si sentiva di condividerle era sua sorella Bloem.


Da che Eskil ne aveva memoria, non c’era stato istante che i due non avessero vissuto a stretto contatto. Così simili da sembrare quasi gemelli – nonostante tra i due intercorressero due anni di differenza –, erano identici anche nell’anima, tant’è che solo con lei suo fratello si sentiva di aprirsi e confidarsi.

Se non fosse stato per Bloem, non avrebbe mai parlato con anima viva di ciò che era accaduto qualche mese prima, al maniero Slytherin. Eskil aveva ancora gli incubi la notte.
Alyssa era così dolce, si ripeteva. Gli piaceva. Lei non era Bloem, certo, né il loro rapporto era paragonabile a quello dei due fratelli. Ma la rossa servetta era così gentile e remissiva, sempre pronta ad ascoltarlo e a cingerlo con le sue braccia candide, che il mago si era sentito comunque legato a lei. Le era sinceramente affezionato, ed era per quella ragione che l’aveva condotta nei sotterranei quel giorno. Era convinto di essere sul punto di scoprire qualcosa di rivoluzionario, qualcosa in grado di cambiare il destino del mondo e degli uomini; proprio lui, Eskil Slytherin, si sarebbe dimostrato perfino più grande di suo padre, in quanto aveva capito come sconfiggere la morte. Aveva pensato che Alyssa avrebbe potuto assistere al suo grande trionfo, che lo avrebbe ammirato di più, che avrebbe potuto amarlo per quello. “Vieni con me”, le aveva detto prendendole la mano. E lei aveva sorriso, facendosi guidare da lui, come sempre.


Ma qualcosa era andato storto. Eskil non aveva sconfitto la morte, e il suo esperimento aveva avuto il solo risultato di rimbalzargli contro, colpendo Alyssa e uccidendola. L’unica persona al di fuori della sua famiglia a cui il ragazzo si era legato.

Aveva fallito e il suo fallimento era costato la vita a un’innocente. I cadaveri che aveva portato nel sotterraneo erano rimasti a terra; solo gli arti di qualcuno avevano levitato, ma non erano affatto vivi, e ora tra di essi ce ne era uno in più, con i capelli rossi e gli occhi sgranati dall’orrore.
Erano trascorsi mesi, ma ancora Eskil faticava a realizzare ciò che era accaduto. Il fallimento e il senso di perdita si mescolavano in lui; a un tratto era giunto finanche al punto di dire a Bloem che era colpa sua se Alyssa era morta, che invece sarebbe dovuto toccare a lui. Dallo sguardo fiammeggiante che la ragazza gli aveva rivolto, Eskil aveva creduto che fosse stata sul punto di schiaffeggiarlo. Ma alla fine lo aveva stretto a sé, e lui aveva premuto il suo viso contro la spalla della sorella, soffocando i singhiozzi sulla sua pelle.


“Eskil, ci sei?”

Bloem lo fissava con un certo cipiglio, l’indice picchiettava impaziente contro il bordo di peltro del calderone. Immerso com’era nei suoi pensieri, il mago aveva a malapena realizzato che erano giunti nell’aula di Pozioni e la lezione era già iniziata.
La voce di Helga Hufflepuff stava dando le ultime raccomandazioni sulla preparazione della Pozione Restringente e Bloem aveva impugnato un coltello dalla lama ricurva.
“Coraggio, sbuccia il Grinzafico” ordinò, passando lo strumento di lavoro al fratello.
Inspirando, Eskil si costrinse a tornare al presente e a concentrarsi sul decotto: dovevano fare un buon lavoro, come sempre, o i Fondatori – e in particolare il loro padre – sarebbero stati scontenti di loro. Così prese il Grinzafico e iniziò ad affettarlo con attenzione sul tagliere di legno, mentre Bloem tritava le radici di margherita. Erano soliti lavorare insieme, ormai erano così collaudati che non avevano quasi bisogno di parlare. Ma quella volta, la ragazza disse qualcosa.
“Stai pensando ancora a quella cosa?” gli disse allusiva, con tono quasi seccato. Eskil non ebbe bisogno di chiederle a cosa si riferisse.


Quando era accaduto l’incidente, né Bloem né Salazar si erano mostrati particolarmente turbati. Evidentemente per loro Alyssa non contava poi tanto, o comunque ciò che importava era più che altro che Eskil e la sua reputazione fossero rimasti illesi. Così lord Slytherin aveva fatto sparire i cadaveri – tutti – prima che qualcuno potesse emettere anche un solo fiato, e per lui la faccenda era conclusa.

Non aveva detto nulla neppure sugli esperimenti del figlio, quando nessun mago per bene – o almeno così li avrebbe chiamati lord Gryffindor – avrebbe anche solo pensato di sovvertire le leggi della vita e della morte.
“No” mentì, mentre gettava le fette di Grinzafico nel calderone e iniziava a mescolare. Ma nel momento stesso in cui la voce gli uscì dalle labbra, tremula, si rese conto che Bloem non gli avrebbe creduto. Lo conosceva così bene che non le serviva usare la Legilimanzia con lui. Quindi il ragazzo sapeva che avrebbe comunque dovuto dire qualcosa per giustificare i suoi momenti di assenza, così si strinse nelle spalle.
“Ho ripreso a lavorare a certe cose. A quegli esperimenti.”


Ed era anche vero. Dopo che Alyssa era morta, Eskil non aveva più voluto avere niente a che fare con i suoi progetti; aveva lasciato che suo padre si occupasse di tutto e, per quanto lo riguardava, Salazar aveva anche potuto gettare i suoi appunti. Ma così non era stato, anzi il Fondatore aveva disposto che venissero inseriti nel bagaglio di suo figlio, così Eskil li aveva ritrovati una volta arrivato a Hogwarts. Per mesi li aveva lasciati chiusi nel baule, preferendo non pensarci, ma ultimamente qualcosa lo aveva spinto ad afferrare nuovamente quei fogli di pergamena e a riprendere i suoi studi.

Non sapeva come Bloem avrebbe preso la notizia, ma il modo in cui strinse le labbra e aggrottò appena la fronte chiariva diversi dubbi.
Rimase a mescolare la pozione senza parlare, volgendo le spalle al fratello. Poi, dopo un po’, disse:
“Non è saggio fare certe cose a scuola.” Sembrava che sull’argomento non avesse altre osservazioni.
“Non preoccuparti” replicò Eskil, aggiungendo la milza di ratto al decotto. “Non li faccio certo nell’aula di Pozioni.”
In quel momento, lady Hufflepuff iniziò a vagare tra i calderoni per osservare il lavoro dei suoi allievi, e non fu più possibile parlare oltre. Ma Eskil continuava a rivolgere lo sguardo in direzione di sua sorella, che si tormentava il labbro inferiore con i denti, e non perché era assorta nella preparazione della pozione, quello era evidente. Bloem era preoccupata.
Il mago avrebbe voluto rassicurarla in qualche modo – pur non sapendo bene come: era consapevole dei rischi nascosti dietro quegli esperimenti; l’ultima volta Alyssa era morta – ma non fu possibile. Lady Helga si fermò di fronte al loro calderone e imbottigliò un campione della loro pozione, come aveva fatto con gli altri. Bloem sollevò lo sguardo su di lei e le rivolse un sorriso, ma la fondatrice non poté ricambiare come al suo solido, perché qualcosa attirò la sua attenzione. Un calderone all’angolo opposto dell’aula emetteva fiotti di denso fumo acre e lo studente autore di quel disastro tossiva e si lamentava copiosamente.


“Cosa è successo?” chiese lady Hufflepuff mentre il poverino infilava una serie di parole senza senso. Con uno svolazzo di bacchetta fece sparire il fumo e la pozione sbagliata, dopodiché accomiatò il resto della classe dicendo che avrebbe accompagnato personalmente lo sventurato ragazzo in infermeria, dove sua figlia Lys lo avrebbe medicato.


Nemmeno usciti dall’aula di Pozioni fu possibile riaprire l’argomento non-morti: gli altri studenti si erano accalcati intorno a loro ed era tutto un vociare sull’ultimo incidente. Tuttavia Eskil seguitò a occhieggiare Bloem, la cui aria ansiosa si era smorzata solo un po’. Non potendo parlare più esplicitamente, si limitò a stringerle la mano.
Alcuni aspiranti stregoni iniziarono a sciamare fuori dal castello diretti verso la Foresta Proibita, sul limitare della quale li aspettava lord Gryffindor per due ore di Cura delle Creature Magiche, mentre Eskil, Bloem e qualcun altro si recavano al quarto piano per una lezione di Aritmanzia.
Tutto il pomeriggio proseguì in quel modo; gli insegnanti pretendevano molto perché la data della fine della scuola si stava avvicinando a grandi passi e, con essa, la cerimonia delle investiture, che avrebbe segnato la fine degli studi e il passaggio a una nuova fase delle loro vite. Tutti gli studenti di Hogwarts aspettavano con ansia quel momento in cui gli sforzi di cinque anni di apprendimento sarebbero stati coronati, e nell’attesa si impegnavano al massimo delle loro forze, spronati dai loro maestri. Per i più, la cerimonia delle investiture era un mito, quasi una leggenda, e l’unico che poteva raccontare loro qualcosa al riguardo, essendoci già passato, era Augustus, l’attendente dei Fondatori a Hogwarts.


A fine giornata, Eskil iniziava a sentire la testa pesante. Le lezioni erano state numerose e impegnative, poi si era occupato dei compiti assegnati – aveva dovuto scrivere un tema sulla pozione di quella mattina per lady Helga, tradurre delle rune per lady Rowena e imparare una lezione di Storia della Magia per suo padre – ma ancora la giornata non era terminata. L’appuntamento con lady Ravenclaw alla torre di Astronomia era per mezzanotte, per due ore di osservazione delle stelle.

Lasciando il dormitorio maschile insieme ai suoi compagni, Eskil sbadigliò rumorosamente, poi a metà strada si congiunsero al gruppo di studentesse che proveniva dal dormitorio femminile e, tutti insieme, iniziarono a salire le scale. Persero una manciata di minuti quando una rampa si mostrò riluttante a spostarsi nella loro direzione per consentirgli di salire i gradini, ma riuscirono a riprendere il cammino piuttosto in fretta.
Alzarsi nel cuore della notte per andare a lezione di Astronomia non era spiacevole come d’inverno, quando il castello era gelido e lasciare il tepore del giaciglio sembrava una tortura; tuttavia Eskil avrebbe preferito di gran lunga restare a dormire. Metteva un piede davanti all’altro in attesa di svegliarsi abbastanza da riuscire ad ascoltare con attenzione la lezione della Fondatrice, e a quanto pareva gli altri studenti condividevano il suo umore perché la scolaresca era piuttosto silenziosa.
Iniziò così piano che dapprima nessuno se ne accorse: un rumore strano, come lo sfrigolare di un pezzo di carne sul fuoco. Gli studenti si arrestarono, uno dopo l’altro, tendendo l’orecchio. Howarts non era certo un castello silenzioso, tra Pix e le altre creature che lo visitavano, ma né Eskil né gli altri avevano mai ascoltato un rumore simile.
Questo crebbe di intensità, finché all’improvviso non risuonò una serie di scoppi e il pavimento tremò sotto i piedi dei ragazzi. Si trattò di una serie di scosse che costrinsero Eskil ad appoggiarsi a una parete per non cadere, ma poi quando queste cessarono tutto tornò silenzioso.


“Cosa è stato?” iniziò a domandare qualcuno quando sembrò che, di qualsiasi cosa si fosse trattato, fosse passato. “Dovremmo chiamare qualcuno”, “Dov’è lady Ravenclaw?”

Eskil cercò lo sguardo di Bloem, che si trovava lì vicino e teneva i piedi puntati al suolo come se temesse di essere gettata a terra da un’altra scossa. Le andò incontro, le prese la mano, ma non fece in tempo a dirle alcunché che tutto iniziò a tremare di nuovo e il corridoio venne invaso da una nube bianca. Eskil venne gettato a terra, impattando con i palmi delle mani contro il pavimento; quando si voltò tra le urla per capire cosa era accaduto, si accorse che la parete era esplosa e ora il corridoio dell’ultimo piano si affacciava direttamente sul nero della notte.
Gli occhi sbarrati del mago erano rivolti verso il vuoto, nelle sue orecchie risuonavano ancora gli strilli terrorizzati dei suoi coetanei. Non aveva alcuna idea di cosa stesse accadendo, ma al momento la priorità era una sola: Bloem. Eskil stringeva ancora la sua mano così forte che le dita erano sbiancate, ma per il resto sembrava stare bene. Tuttavia sul suo viso era dipinto lo stesso sgomento che deformava i lineamenti degli altri.
Un’ondata di detriti ingombrava il pavimento di pietra del corridoio, l’aria pungente della notte spazzò via le nubi di polvere. Poi, tutt’a un tratto, un braccio enorme si intrufolò dall’apertura nel muro, gettando a terra alcuni studenti, afferrando una strega e trascinandola nel buio. Tutti gli altri urlarono; anche Eskil schiuse le labbra, ma non ne uscì alcun suono. Alcuni ragazzi si gettarono in avanti nel tentativo di afferrare la compagna; le sue dita artigliarono per qualche istante il pavimento in cerca di un appiglio, poi la creatura – evidentemente un Gigante – iniziò a sbatterla contro la pietra squarciata come se fosse una marionetta. Infine la abbandonò lì, inerte al suolo, come un giocattolo ormai rovinato.
Un silenzio irreale invase il corridoio a quella vista, congelando ogni mago o strega al suo posto, gli occhi sgranati dall’orrore. Con un secondo di ritardo, Eskil si accorse che Bloem gli aveva lasciato la mano: tendeva gli arti davanti a sé e l’aria prese la forma di un grosso serpente nero lucente. Nella quiete innaturale risuonò il sibilo della ragazza, subito dopo il rettile iniziò a serpeggiare sinuosamente tra i detriti, raggiunse la giovane strega uccisa, poi, seguendo i comandi che Bloem gli sussurrava in Serpentese, si diresse verso l’apertura nel muro.


Immediatamente, da lì emersero delle creature umanoidi, simili a donne senza tuttavia esserlo completamente, dalla pelle grigia tirata sul teschio parzialmente coperto da lunghi capelli aggrovigliati e dalle labbra bluastre. Pur non avendo mai incontrato Esseri del genere, Eskil le riconobbe per quelle che erano: delle Megere. Ma non erano sole: in mezzo a loro si ergeva un uomo dalla statura imponente, il cranio completamente rasato e ricoperto di tatuaggi e le labbra arricciate in un sogghigno velato dalla lunga barba bionda. Che si trattasse di un mago fu presto evidente quando estrasse una lunga bacchetta di legno scuro da sotto il mantello di pelli cucite insieme. Per un lungo istante, Eskil ebbe la sensazione che lo sguardo sfavillante del barbuto fosse fissato su Bloem; un attimo dopo questi agitò la bacchetta, che eruttò scintille di un’inquietante tinta viola. Eskil scattò in avanti, convinto che la fattura avrebbe colpito sua sorella: tese le mani, come per spingerla via, ma l’incantesimo volò sulle loro teste e abbatté qualche studente alle loro spalle. Altre urla si liberarono; alcuni ragazzi misero mano alla bacchetta, altri semplicemente corsero via, terrorizzati, nel disperato tentativo di mettersi in salvo.

Qualsiasi cosa stesse accadendo, Eskil e Bloem sapevano che non potevano fuggire, lasciando il castello alla mercé di quegli invasori. Superato l’iniziale attimo di sgomento, iniziarono a rispondere al fuoco di fatture delle Megere e del mago barbuto. I due fratelli avevano lasciato le bacchette nei rispettivi dormitori, convinti che non sarebbero servite per una banale lezione di Astronomia; ciononostante potevano percepire il potere ereditato dal padre che fluiva direttamente attraverso i loro corpo, generando scudi protettivi e controincantesimi senza bisogno di particolari strumenti. Ma l’avversario era davvero molto forte e la fronte di Eskil venne ricoperta da una patina lucida a causa dello sforzo di contrastarlo.
Probabilmente era un azzardo, ma si accorse di non avere molte altre scelte. Strinse i pugni e serrò gli occhi, concentrandosi; la sua voce tremò appena quando pronunciò alcune parole di sua invenzione. Poco dopo, nonostante la confusione che regnava nel corridoio squarciato, la vide distintamente: la ragazza che il Gigante aveva afferrato e ucciso puntò un palmo sul pavimento, poi un gomito. Infine si alzò in piedi. Viva, o quasi.


Qualcun altro urlò, la creatura di Eskil afferrò una Megera per il collo, sorprendentemente forte per essere un cadavere. Poi ci fu un bagliore di luce accecante, il mago dovette sollevare un braccio per schermarsi gli occhi. Una voce femminile declamava incantesimi con la sua voce imperiosa, e lady Ravenclaw comparve nel suo campo visivo.

“Lady Rowena!” invocarono alcuni studenti, ma il suono delle loro voci venne parzialmente coperto dai sibili e dai versi delle creature condotte dal mago barbuto. Quando Eskil si voltò di nuovo nella sua direzione, si accorse che lo stava fissando intensamente, come prima aveva guardato Bloem. Lo sguardo dell’uomo rasato fendeva la confusione che albergava in quel corridoio come una lama, puntando inequivocabilmente su Eskil. Ma il ragazzo non perse tempo a riflettere su quel dato; lasciò che un brivido gelido scorresse sulla sua schiena, poi sollevò di nuovo i palmi, questa volta per dare man forte a Lady Ravenclaw.

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Capitolo 4
*** Capitolo III - Godric ***


capitolo 1 - i semi della grandezza
 

Capitolo III - Godric

 

Godric fu l'ultimo dei quattro Fondatori a varcare l'ingresso della sala degli affreschi, una stanza ovale, di ampie dimensioni, situata in una delle torri di Hogwarts; i muri dell'imponente stanza erano ricoperti da arazzi, tutti rappresentanti scene di magie, ma il mago in quel momento non li vedeva. Gli altri tre erano già arrivati: lui e Rowena si erano occupati di rimettere in sesto i problemi più urgenti causati dall'improvviso attacco, avevano ripristinato gli incantesimi e sistemato le aree più pericolanti che richiedevano immediata attenzione.
Helga aveva radunato tutti gli studenti e dopo un controllo, aveva rispedito quelli senza ferite nel loro dormitorio; la donna si era occupata anche di coordinare una piccola squadra per recuperare i corpi delle vittime, tutti studenti più nuovi e inesperti, o che erano incappati sulla strada del pericolo senza sapersi difendere. Erano solo sette, aveva detto Salazar col suo solito modo di fare untuoso; Godric aveva cercato di non perdere la calma per fargli notare che erano comunque sette vite, che a lui importasse oppure no. Ovviamente poteva anche andare peggio, ma se fossero riusciti ad agire tutti loro subito, forse si sarebbero salvati tutti.


"Cosa sappiamo di questo nostro nemico?" si affrettò a chiedere il mago, prendendo posto attorno al tavolo rotondo, trovando la poltrona particolarmente invitante in quel momento per riprendere parte delle energie. Anche i tre colleghi non avevano un aspetto particolarmente ordinato, ma era anche normale. Di fronte a lui, separato solo dal tavolo, c'era proprio Salzar, il più disinteressato da quello che mostrava, ai lati erano invece sedute Helga - con ancora la veste sporca di sangue e fango - e Rowena, anche lei non al meglio. Tutti però perfettamente lucidi.
A prendere la parola fu proprio Salazar.
"Non molto se non che voleva radere al suolo la nostra scuola". La voce del mago era la più bassa che Godric avesse mai sentito in tutta la sua vita, eppure era probabilmente più efficace di urla, cosa che sapeva dagli studenti: nessuno si azzardava mai a sottovalutare Salazar e persino sugli adulti aveva un certo effetto.
Non su di lui, chiaramente, che non temeva per nulla né lui, né i suoi oscuri segreti che non gli piacevano neanche un po'; non era quello però il momento per esternare simili osservazioni e nessuno contestò quello che Salazar aveva appena detto. L'attacco che avevano subito dimostrava sicuramente violenza, nessuno dei quattro ne dubitava.
Helga prese la parola: era la più giovane tra loro, aveva poco più di trentacinque anni ed era sempre la prima a mettersi in prima fila quando c'era da arrivare a soluzioni più o meno drastiche, prediligendo sempre però il dialogo.


"Sarebbe interessante scoprire la sua identità, da quello che ho potuto capire dalle parole che i tuoi figli ti hanno riferito, Salazar, probabilmente arriva da nord. Dovremmo essere in pace con loro".
Godric alzò lo sguardo sul mago: considerando che erano rimasti vivi solo i due figli di Salazar tra i presenti a quell'attacco, era stato ovvio che ci pensasse lui a fare le domande di rito a loro, eppure la cosa non gli piaceva. Il mago avrebbe anche potuto tenere segreto qualcosa... tuttavia scacciò subito il pensiero con un gesto, simile a chi voleva liberarsi di un fastidioso insetto. Non lo farebbe, non avrebbe senso... Lui e Salazar erano molto differenti su alcune cose, ma sapeva che ci teneva alla scuola, a che pro tacere su qualcosa che avrebbe messo in pericolo tutti?
"Forse servirebbe accertarsene: se effettivamente arriva da nord, allora abbiamo un problema."
A parlare era stata Rowena, lunghi capelli scuri e aspetto deciso, con un carattere altrettanto forte... per quanto Godric non avrebbe sottovalutato nessuno all'interno di quella stanza, neppure Helga con i suoi modi miti poteva essere considerata debole o volubile. "E poi qualora non lo aveste notato" proseguì la strega vestita in blu, facendo levitare alcune pedine di uno strano e nuovo gioco inventato da lei in persona e che chiamava scacchi o simile "... non lo abbiamo neanche scalfito. Si è ritirato".
Vero. Godric non era stato presente in quanto era stata proprio Rowena ad arrivare per prima in soccorso degli studenti, ma era la cosa più evidente: non lo avevano ricacciato sconfiggendolo, il nemico si era ritirato da solo dopo averli osservati e vaneggiato minacce su una probabile vendetta su chi gli aveva nascosto la verità. Ma chi? E perché?
I quattro cominciarono a discutere sulle precauzioni da prendere: a grande sorpresa, fu proprio Salazar a suggerire che stipulassero un'alleanza tra loro, di modo da essere preparati per un'eventuale secondo attacco. Godric era un po' scettico riguardo a questa prospettiva, dopotutto nel giro di pochissimi giorni Hogwarts sarebbe rimasta deserta in quanto tutti gli studenti avrebbero fatto ritorno alle rispettive case e famiglie, oppure avrebbero seguito i loro Fondatori se desideravano approfondire gli insegnamenti.


Per quale ragione attaccare una scuola vuota?
Era una fonte di magia e sapere, su questo non poteva che concordare. Il mago rimase immerso alcuni istanti nei propri pensieri, cercando di arrivare a qualche soluzione. Non appena giunto al suo castello, avrebbe potuto preparare i suoi studenti - quelli che lo seguivano anche fuori dalle mura magiche della scuola - e addestrarli al meglio; tutti sapevano che lui non disprezzava per nulla neppure gli insegnamenti con le armi, nei casi in cui avrebbero potuto trovarsi in difficoltà o impossibilitati a utilizzare la bacchetta e la magia. Alcuni di questi erano anche a Hogwarts durante i sette mesi in cui risiedevano li, ma la maggior parte rimaneva a Godric's Hollow tutto l'anno.
Ne avrebbe parlato con Frederich una volta a casa; il suo giovane attendente di certo ne sarebbe rimasto entusiasta, specie se gli avesse affidato un compito importante.
Perso un momento nel suo filo di pensieri su come aiutare la protezione della scuola e dei suoi studenti, non aveva prestato ascolto alle ultime battute dei tre colleghi finché non capì che potevano considerare concluso quell'incontro. Fece per alzarsi, ma rimase sorpreso: Salazar aveva appena aperto bocca, sostenendo di avere da discutere ancora qualcosa che riteneva importante, così riprese posto. Strano che non lo avesse detto subito, a una sola occhiata Godric capì che quello che il mago stava per dire era qualcosa che lui considerava importante e capitale.
Ci fu solo qualche secondo di silenzio prima che Salzar parlasse.
"Come dicevamo, dobbiamo proteggere la scuola e gli studenti". Godric si chiese dove volesse andare a parare quel discorso che a lui pareva persino monotono e ripetitivo, erano tutte cose che avevano già detto e stava per chiedergli di giungere al punto, quando il collega lo guardò.
Era impossibile dire che cosa pensasse, gli sembrava quasi una sfida e non abbassò lo sguardo. Non lo avrebbe mai fatto, quello no.
Subito dopo si chiese se avesse capito bene.


"Scusa? Vuoi darmi tua figlia in moglie?" Godric era incredulo e nulla fece per mitigare nel tono quella sensazione: gli sembrava la cosa più strana del mondo, che proprio colui che si considerava suo nemico - seppur non in modo dichiarato visto che gestivano assieme la scuola - volesse davvero fare una cosa del genere. "E a cosa serve per l'alleanza?"
Era quello che voleva sapere: conosceva certamente la ragazza, anche in virtù del fatto che frequentava la scuola ed era un'ottima studentessa in tutte le materie che insegnava, ma a cosa gli sarebbe servita? Lui non era in cerca di moglie, tanto meno una che potesse essere anche solo lontanamente parente di Salazar, era una cosa assurda.
Fu Rowena a parlare, inaspettatamente.
"Non è una cattiva idea, magari potrebbe servire a voi due per smettere di battibeccare in continuazione: Hogwarts ha bisogno di tutti noi, non di liti per motivi futili".
A Godric quasi andò il sangue alla testa: lottare per non escludere i figli dei Babbani non era un motivo futile e per troppe volte aveva sentito Salalzar disprezzarli, trattarli come se fossero feccia. Certe cose non si potevano soprassedere, neanche volendo ed era curioso che fosse stata proprio Rowena a parlare in quel modo, proprio lei che avrebbe dovuto per contro sostenere lui.
"Per buona volontà." Salazar infine rispose dopo quello che sembrava un tempo infinito, lasciandolo quasi di stucco; il mago si affrettò a spiegare ciò che intendeva. "In fondo hai visto tu stesso con quanta facilità questo nemico ha colpito la scuola, quanto più siamo uniti, tanto minore sarà il vantaggio che gli daremo. E poi" Salazar si accarezzò distrattamente il mento con aria pensosa, o così parve a Godric, "non ti sto offrendo qualcosa di oscuro, bensì il bene più prezioso che io possieda. Vorresti forse dire che non dobbiamo preoccuparci dei nostri figli?"
Godric non si era neppure reso conto di essersi alzato. L'argomento figli o matrimonio era qualcosa a cui lui non pensava da oltre un decennio, da quando il vaiolo di drago si era portato via tutto ciò a cui teneva; di rado aveva parlato in pubblico di questo, aveva evitato la pietà altrui e riempito il proprio tempo con altre cose. Sentire la frase di Salazar era proprio come rigirare la lama in una ferita che non si era mai veramente cicatrizzata, anche se la proposta continuava a sembrargli parecchio strana.


"Inoltre - e credo che la nostra Helga possa confermarlo - non esiste modo migliore per stringere un'alleanza del matrimonio. O vuoi dirmi che non lo sapevi?" Godric percepì una nota sarcastica quasi per nulla celata in quelle parole e gli venne voglia di far scomparire quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia del mago, ma riuscì a evitare di compiere una mossa azzardata pensando che era inutile mettersi a litigare per i suoi modi.
Nessuno poteva obbligarlo ad accettare, questo era chiaro.
"Lo so anche io, ma non ne vedo proprio l'utilità; meglio che tu la faccia stare con il suo innamorato, casomai ne avesse uno".
Godric non si occupava di eventuali pettegolezzi di quel genere, però sapeva che la strega aveva indubbiamente l'età per avere qualche pretendente, altrimenti non gli sarebbe stata proposta; al mago non piaceva l'idea più che altro perché arrivava proprio da chi cercava sempre di ostacolarlo e l'idea che di colpo volesse diventare un amico... no, non era affatto credibile.
Il mago liquidò il suo commento con un gesto annoiato della mano.
"Non fai che lamentarti che ti sono ostile, Godric, ma a me sembra che tu stia solo cercando delle scuse. Chiaramente io non ti obbligherò certo ad accettare, e se ti preoccupa che io voglia rifilarti merce difettosa, posso tranquillamente assicurarti che ti ritroverai una moglie candida e pura come la neve che ci ha quasi sommerso questo inverno".
Questa volta Godric non riuscì a controllare il suo disappunto. Lui non aveva potuto vedere suo figlio crescere, né ne aveva avuti altri, ma era certo che mai avrebbe parlato del suo sangue come di una merce. Il tono viscido con cui Salazar stava dicendo tutto ciò lo riempiva di rabbia e doveva sicuramente attraverso i suoi occhi azzurri.
"Paragonare i propri figli a semplice merce di scambio è ignobile quanto... " fece una leggera pausa, stringendo un attimo gli occhi, "quanto fare differenze tra i maghi a seconda della famiglia da cui provengono".


Poteva sembrare stupido impuntarsi a quel modo, ma Godric davvero non vedeva alcuna differenza tra un mago di comprovata discendenza magica e uno che era invece nato in mezzo ai Babbani; lui li stimava allo stesso modo e anzi, più volte aveva trovato che i figli dei Babbani erano veramente portati per le arti magiche, quasi più di certi principini viziati, convinti della loro superiorità solo per via del loro sangue puro.
Chissà se era un caso che questi fossero quasi tutti studenti di Salazar.
Helga sospirò e Godric capì dal silenzio annoiato di Rowena, che lui e il mago stavano dando uno spettacolo poco gradito, e per nulla degno del loro ruolo. Ciò contribuì a calmarlo un po', non poteva certo mettere mano alla bacchetta o alla spada ogni volta che l'altro si divertiva a punzecchiarlo: impulsivo sì, ma non recidivo.
"Ci penserò, te lo dirò prima dell'investitura e del banchetto conclusivo".





Da quando era stata fondata la scuola, la sera conclusiva di quei sette lunghi mesi di studio veniva concesso agli studenti di indossare le loro vesti più eleganti per partecipare al ballo di fine anno. L'idea originaria era stata di lady Helga, tuttavia era piaciuta anche a loro tre e si erano sempre adoperati affinché fosse un evento gioioso e privo di tensioni; il ballo era la chiusura ufficiale dell'anno scolastico, un modo per fare gli ultimi saluti tra gli studenti prima di separarsi per ritrovarsi dopo alcuni mesi. O, come nel caso dei dodici studenti inginocchiati poco distante da lui, dell'inizio della vita vera.
Godric osservò i giovani apprendisti maghi e streghe che stavano ascoltando le parole di lady Rowena sull'importanza che il loro apporto avrebbe dato alla magia: la cerimonia delle investiture precedeva il ballo e il banchetto finale, ed era riservata esclusivamente a coloro che avevano terminato gli studi magici ed erano quindi pronti - dietro il suo giudizio e quello dei tre colleghi - ad affrontare il mondo fuori dalle mura di Hogwarts. Il giovane Augustus, che da un paio di anni coadiuvava i Fondatori nelle incombenze della scuola, svolgendo le funzioni di attendente, era in piedi accanto a lady Ravenclaw, la schiena dritta e i capelli scuri pettinati ordinatamente, e ascoltava assorto.
Godric si alzò, gli studenti avevano terminato il giuramento e ora si facevano avanti, uno alla volta, avvicinandosi ai maestri. Lord Gryffindor sorrise a ben cinque dei giovani che aveva personalmente portato in quella scuola e a ciascuno di loro porse una bacchetta.


La forgia di quelle bacchette era qualcosa che lo aveva occupato per tutto il periodo scolastico, come anche era accaduto per Helga, Salazar e Rowena: ognuno di loro creava una bacchetta personale per i propri studenti, una sorta di dono importante in quanto vi era l'essenza stessa di chi l'avrebbe impugnata e sarebbe quindi andata bene come quella che avevano utilizzato fino a quel momento.
Era quella la parte più interessante della cerimonia secondo lui; Godric si sentiva sprecato quando si trovava fermo in una sala, soprattutto considerandosi un uomo d'azione, anche se non sarebbe mai mancato a quella tradizionale cerimonia. In sé non durava poi tanto, realizzò con sollievo alzandosi quando i dodici ragazzi lasciarono la Sala Grande per prepararsi per il ballo e il banchetto che quella sera avrebbe chiuso anche quell'anno a Hogwarts.




La Sala Grande si riempì di nuovo alcune oro dopo la cerimonia delle investiture: in tutto gli studenti erano cinquanta e il suono delle loro voci allegre sovrastava quasi la musica che veniva suonata. A loro si aggiungevano poi le famiglie dei Fondatori; Godric notò che i ragazzi avevano abbandonato gli austeri colori della divisa che indossavano tutto l'anno per sostituirli con degli abiti più colorati e in qualche caso, in particolar modo  per le streghe, più sfarzosi e ricercati. Persino chi proveniva da famiglie con poche disponibilità finanziarie aveva cercato di indossare qualcosa di diverso dal solito, con il risultato che il mago si sentiva quasi girare la testa trovandosi di fronte tanti colori e rumori.
Non doveva essere la sua giornata quella, o forse stava già guardando oltre, a tutto ciò che avrebbe dovuto fare dal giorno successivo: quasi inconsapevolmente, il suo sguardo scrutò la tavolata degli studenti, alla ricerca dei due figli di Salazar. Non era difficile trovarli, di solito era su di loro che ruotava l'attenzione degli altri studenti.
Su di lei, almeno, in quanto era sempre circondata da un gruppetto di adoratori che parevano sempre disposti a fare qualunque cosa purché Bloem li considerasse anche solo per un momento; Godric sapeva che persino alcuni dei suoi studenti erano affascinati dalla strega e la cosa lo aveva sempre divertito. Almeno quando si trattava di ascoltare casualmente le loro strategie, che poi terminavano sempre in un nulla di fatto.
Quella sera, invece, vide per la prima volta un'espressione imbronciata sul volto della strega e, caso raro, non era neppure interessata a suo fratello che cercava di parlarle. Godric vide che gli occhi azzurri di Bloem erano fissi sul piatto che aveva davanti, e se non fosse stato per qualche cenno della mano, avrebbe pensato che la strega fosse del tutto priva di vita. In effetti fino a quel giorno non l'aveva mai osservata con estrema attenzione, tuttavia era sicuro che quella fosse la prima volta in cui cercava di allontanare suo fratello Eskil, il quale pareva dispiaciuto e disperato quasi.
Forse lo sanno già? Godric inarcò un sopracciglio, chiedendosi se Salazar non avesse mentito affermando di voler aspettare il ritorno a casa per informare sua figlia di quella decisione; sospirò, dicendosi che in fondo aveva fatto la scelta giusta. Ci aveva pensato per un paio di giorni prima di riferire al collega che accettava la sua proposta e che avrebbe quindi preso sua figlia come moglie; a sua gran sorpresa, una volta deciso, era diventato tutto più semplice perché ora poteva cominciare a fare progetti concreti e non solo delle ipotesi.
Lady Helga lo aveva spinto verso quella decisione, Godric ricordava i vari colloqui avuto con la strega, la quale gli aveva parlato così bene di lady Bloem al punto da indurlo a ripensare alla sua decisione finale. Dopotutto era solo una ragazza, di certo non poteva essere così terribile, erano queste le parole che la strega gli aveva detto.


Avrebbe dovuto portare molti cambiamenti, ne era consapevole, in qualche modo ora doveva organizzare la sua via in modo diverso; era solo curioso di quello che sembrava un litigio tra i due fratelli di solito inseparabili, o almeno un diverbio importante se la strega rifiutava persino di parlargli.
Altre due figure attraversarono il campo visivo di Godric, costringendolo a deviare il corso dei suoi pensieri. Riconobbe immediatamente Augustus, l’attendente, in compagnia di lady Lys, la prima figlia di Helga. Non era la prima volta che li sorprendeva a chiacchierare con quella confidenzialità che lo aveva indotto ad alzare gli occhi, tuttavia la loro vista non lo infastidiva. Erano così giovani, ma entrambi meritevoli a suo giudizio. Lys, una giovane strega di diciott’anni, aveva ereditato la mitezza e le capacità di sua madre: era infatti una valida guaritrice che, terminati gli studi a Hogwarts un anno prima circa, aiutava Lady Hufflepuff come cerusica al castello. Certo, spesso i suoi occhi erano distanti, quasi malinconici, ma sembrava una fanciulla di buon carattere. Augustus invece era arrivato a Hogwarts quando gli uomini del Nord si erano ritirati qualche anno prima, lasciando la Northumbria. Era una sorta di garanzia del patto siglato tra i due popoli, che avrebbero rinunciato ad altri spargimenti di sangue in favore della pace. I Fondatori si erano occupati subito di lui e Godric per primo aveva premuto per coinvolgerlo nell’organizzazione della scuola. Da allora, Augustus si era dimostrato sempre un valido aiuto.
Il Fondatore riportò l'attenzione sul piatto che aveva già vuotato: per fortuna mancava ancora poco alla fine, poi una volta che gli studenti avessero lasciato Hogwarts avrebbero rinforzato gli incanti di protezione prima di tornare alle loro case e alle loro vite.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV. Bloem- Eskil- Augustus ***


Capitolo IV


Bloem



Nonostante il sole, Bloem sentiva che quella giornata era la più cupa di quell'anno, sebbene aprile fosse iniziato solo da alcuni giorni; era raro che nelle terre di lord Slytherin i raggi solari l'avessero vinta sulla nebbia e l'umidità, eppure quel giorno la strega poteva distinguere persino ciò che si celava all'orizzonte. Una cosa di solito impossibile.
Bloem sedeva sulla sedia, la tenda che la nascondeva, ma il suo sguardo era perso alla ricerca di qualcosa che non riusciva a trovare e il suo cattivo umore non aveva nulla a che vedere con il tempo o col cibo che aveva gettato in faccia alla nuova domestica poco prima.


Anche la sconosciuta era un fastidio: Bloem non aveva amato granché la presenza di Alyssa, ma fino a quel momento non aveva capito che senza di lei si sarebbe sentita un po' sola. A scuola aveva parecchia scelta se voleva scaricare un po' le sue manie su qualcuna, ma in effetti nessuna di quelle streghe era importante. Alyssa in qualche modo era quello che poteva definire legame importante, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce; era ovvio che suo padre avrebbe trovato qualcun altro, eppure Bloem per quel giorno sentiva di avere fatto il pieno.

Erano tornati al maniero Slytherin da due giorni lei e Eskil, quando lord Salazar aveva voluto riunirli nel suo studio: lei non aveva idea di cosa avrebbe potuto volere, ma mai si sarebbe aspettata che suo fratello fosse stato ritenuto degno di indossare l'anello di famiglia. A Bloem sembrava ancora strano, per quanto non avesse mai voluto veramente indossarlo: era troppo grande, troppo fuori dal suo concetto di gusto, però era un simbolo.


Era il segno che il padre teneva davvero in considerazione Eskil e lei ne era stata davvero felice. Fino al momento in cui aveva capito che per lei, lord Slytherin non aveva proprio niente; anche questo sarebbe passato sotto il silenzio se lei non avesse avuto l'idea folle e un po' ingenua di chiedere apertamente come mai non le avesse portato qualcosa.
Lo sguardo del padre era sempre stato il solo in grado di farla tremare: Bloem non aveva fatto un passo indietro soltanto perché il suo orgoglio era così forte da sostenerla in quel momento di debolezza.


"Cosa avrai mai fatto per meritare un cimelio così importante? Sorridere in modo smielato a quei perdenti di studenti che non hanno un minimo di spina dorsale?"
Le parole del padre le ronzavano in testa e non volevano uscire, anzi scavavano a fondo nella ferita, infettandola ancora di più. Bloem non si era mai sentita più inutile di quel momento, quello in cui aveva potuto ascoltare con le sue orecchie quanto suo padre - uno dei maghi più potenti al mondo e il solo a cui le interessava effettivamente dimostrare qualcosa - la ritenesse inadeguata.
Non era corsa via perché solo la consapevolezza che avrebbero riso di lei l'aveva frenata, ma dalla sera prima non era più uscita dalla sua stanza. Non voleva neanche vedere Eskil: lei si preoccupava che suo fratello non corresse rischi con il suo nuovo incantesimo, che aveva mostrato funzionare quando erano stai aggrediti dal nemico ignoto, ma non si sarebbe mai aspettata che il padre lo ritenesse così grandioso.


La notizia non era trapelata, gli altri Fondatori erano convinti che il morto vivente fosse stato evocato da chi li aveva aggrediti; Bloem era convinta di avere fatto un buon lavoro aiutando il padre a ripulire eventuali tracce magiche. E invece niente, non valgo nulla.
La strega non pianse, ma una strana amarezza le rendeva la giornata insopportabile: non era certo invidiosa dell'abilità di Eskil anzi, era strabiliante che fosse riuscito in qualcosa che fino a quel momento era pressoché impossibile, era solo sorpresa della scarsissima considerazione che lord Slytherin aveva di lei.
La strega non gli aveva parlato dei suoi studi con lady Hufflepuff condotti in quegli ultimi due anni: a Bloem erano venuti tutti naturali ed era sicurissima di avere aiutato la potente strega a scoprire qualcosa, ma fino a quel momento non aveva mai pensato di correre a vantarsi col padre per farsi notare.
Un lieve rumore attirò la sua attenzione e Bloem osservò la piccola margherita nel suo vaso, che la guardava.


Sorrise. Tra le varie cose che il padre non aveva notato, c'era la margherita che lei teneva al sicuro nel vaso nella sua stanza: Bloem aveva trovato il modo di animare il fiore, che ogni tanto emetteva qualche delizioso versetto, anche se finora non capiva cosa volesse dire, ma a lei piaceva davvero tanto. Sembrava quasi che cantasse, per quel poco che poteva fare. La strega si preoccupava di tenerla al sicuro, non era neppure certa che Eskil sapesse di quell'incantesimo; in passato se ne era quasi preoccupata, non le piaceva tenerlo all’oscuro di qualcosa, ma una volta sulla torre aveva capito che anche lui aveva i suoi segreti. Non si era limitato a studiare i suoi esperimenti, li aveva davvero perfezionati e non le aveva detto niente, chissà per quale ragione. Infastidita, Bloem lo stava ancora tenendo a distanza, non l'aveva voluto considerare durante i pochi giorni prima della fine della scuola e neppure ora.
Solo che adesso doveva fare i conti con le parole che suo padre le aveva rivolto. Possibile che valesse così poco?
Sentendo la porta aprirsi, la strega voltò la testa sapendo che c'era soltanto una persona in grado di osare tanto: neppure Eskil aveva il permesso di entrare senza bussare, sia per non irritarla, sia per non sorprenderla magari svestita o non presentabile.  E difatti era proprio lord Slytherin ad avere aperto la sua porta, come a ricordarle della sua esistenza; quasi per precauzione si strinse il vaso della margheritina a se, come se temesse che fosse lì per quello.


Solo in un secondo momento si accorse che il mago aveva fatto levitare fino ai suoi piedi un baule, che la lasciò sorpresa: era di foggia splendida, niente a che vedere con quelli che usava quando andava a Hogwarts. Bloem posò il vaso sul davanzale sentendosi curiosa quasi quanto il fiorellino al suo interno mentre si avvicinava all'oggetto.
"A tanto arrivate, padre? Volete cacciarmi di casa?"
La ragazza non aveva timore di parlare con il grande e temibile lord Slytherin, almeno non quanto ne aveva Eskil, più cauto. Chissà per quale ragione poi, in fondo era pur sempre il loro padre.


Lo sguardo tornò su quel baule: ne aveva visti altri di simili, si usavano per sistemarci all'interno le proprie cose e lei non dubitava neppure che avesse una capienza più ampia di quella che dimostrava in apparenza. Aveva i colori tipici della loro famiglia, eppure Bloem non riusciva a capire la ragione di quel dono. Ne aveva già tanti e, purtroppo, quello aveva l'aspetto di un baule da viaggio.
Il mago sembrò quasi scrollare le spalle, come se le parole della figlia non lo avessero minimamente scalfito e intendesse minimizzare la situazione.
"Suvvia, non ti sembra di prenderla un po' troppo sul personale? Come vedi ho qualcosa anche per te, dovresti sentirti onorata perché l'ho creato personalmente" le disse mentre lei continuava a osservarlo circospetta, consapevole che non poteva essere finita lì. "E poi potrai metterci dentro tutto quello che vuoi, anche quel... quel tuo fiorellino fastidioso".


Bloem soffocò una risatina: suo padre aveva parlato nascondendo a fatica un certo disgusto mentre con lo sguardo guardava il suo vaso, tuttavia non si sarebbe certo scusata per un innocente incantesimo.
"Resta il fatto che volete che me ne vada, ma dove e perché?"
La strega non aveva nessuna intenzione di lasciar cadere il discorso: voleva sapere cosa era accaduto di tanto importante per mandarla via perché - e ne era sicura - era quello l'obiettivo finale.
"A un certo punto alla tua età, o anche prima, le streghe cambiano casa per un'altra; non ti sorprenderà sapere che ho trovato per te un ottimo partito e da questo momento puoi cominciare a pensare a tuti i dettagli per il tuo imminente matrimonio".
Bloem per un momento pensò che il mondo fosse imploso: non era davvero sorpresa, già alcune altre sue conoscenze avevano trovato marito, chi scelto dai genitori e chi aveva addirittura messo in atto una fuga d'amore con qualche mago di ordinaria importanza. Era quindi sicura che pure lei prima o poi avrebbe dovuto sopportare quell'imposizione, solo che non avrebbe mai pensato che questo sarebbe accaduto tanto presto.


Protestare? Oh no, sapeva quanto inefficace sarebbe stata quella reazione. Si mise a sedere sulla sua poltrona preferita, come se stesse riflettendo.
"Ero sul punto di ringraziarvi, padre, ma ho paura che non conosciate bene il significato di ottimo partito. Tutti i vostri amici sono vecchi o direttamente nelle loro tombe". Si concesse un piccolo sorrisetto, come a sottolineare che non la conosceva così bene se pensava di avere trovato il mago perfetto. "Non ho nessuna voglia di sposare un vecchio bacucco, sono sicura che mi capirete..."
No, era certa che qualunque cosa avesse detto, il padre di certo non l'avrebbe capita, perché non voleva e non gli interessava. In fondo questo non la offendeva affatto, per quanto quello pareva essere il discorso più lungo mai fatto fino a quel momento con lei, a parte le spiegazioni quando erano a Hogwarts.


"Questa volta potrei sorprenderti, è addirittura più giovane di me" le disse e Bloem inarcò le sopracciglia, cercando di pensare a chi diavolo avesse pensato. Forse uno di quei palloni gonfiati appena uscito da scuola come lei? O per caso, e nessuno volesse quello, qualche lontano parente... no, aveva detto ottimo partito, in circolazione non c'era chissà chi ed era una cosa su cui lei aveva puntato ritenendosi al sicuro da quella sorpresa.
Il nome che le disse le fece quasi risputare l'acqua che stava lentamente sorseggiando, e guardò il genitore con aria sconvolta e chiedendosi se faceva davvero sul serio.




"Tata! Sono io!"
Le scuderie erano vuote a parte la presenza degli animali e Bloem si era rivolta al suo destriero che stava accucciata a terra, le ali ripiegate. La vide alzare il muso grigio e nitrire gioiosamente nel riconoscerla; Bloem aveva praticamente visto nascere la puledrina quattro anni prima e adesso era diventata una cavalla bella e forte, con un'apertura alare da fare invidia a chiunque. L'aveva portata con sé a Hogwarts per chiedere aiuto a lord Gryffindor per crescerla; l'anno prima era morto il Crup e siccome anche a lei mancava un po' e non solo a suo fratello, una volta trovata la sua piccola Tata, non se ne era più separata.


Eskil aveva riso a crepapelle sentendo il nome che lei gli aveva dato, ma Bloem non l'aveva mai cambiato: lo trovava simpatico e adatto, inoltre era sua e questo bastava.
Godric Gryffindor. Bloem aveva ai brividi da quando suo padre le aveva rivelato il nome di chi avrebbe dovuto sposare: non che fosse un uomo terribile e di sicuro sulla sua fama non c'era nulla da ridire, ma la cosa le pareva quantomeno grottesca e sinistra. Non poteva certo sposare un suo insegnante! Era assurdo ed era decisa a impedirlo; tuttavia davanti alle sue proteste, suo padre aveva solo detto che il matrimonio sarebbe servito per l'alleanza contro il nuovo nemico e a rendere più tranquilli i rapporti con quello che era il suo quotidiano nemico.
La strega sbuffò mentre convinceva Tata a farla salire in groppa: certo, doveva essere lei a finire nelle mani di uno che probabilmente si sarebbe servito di quel matrimonio per dimostrare quanto odiasse Salazar.

"Mio padre non la spunterà e lord Gryffindor non può volere certo questo" sussurrò a Tata proprio come se fosse un'amica in grado di capirla; il nitrito sembrava darle ragione e la ragazza si sentì un po' confortata. Doveva partire e parlargli prima che quella follia prendesse davvero forma e Tata era sicuramente il mezzo ideale più rapido per giungere alle sue terre. Il decollo come sempre la riempiva di euforia e poco dopo i due sparirono alla vista mentre la cavalla alata fendeva il cielo con le sue poderose ali.



Augustus



L'inchiostro non era mai abbastanza, ma per quella volta non ne avrebbe avuto bisogno ancora per molto, la pergamena era già fitta di appunti e per il momento non aveva altro da aggiungere. Scorse con lo sguardo quello che aveva scritto, non c'era un angolo che fosse libero e lo ripiegò attentamente, cercando di non romperlo mentre lo sistemava alla zampa del barbagianni.
"Allora sei guarito, pronto per un viaggetto?" sussurrò il mago al volatile, accarezzandogli gentilmente le piume; l'animale aveva avuto un problema alle zampe qualche settimana prima, ma sembrava completamente ristabilito e lo capì dal modo in cui gli beccò il dito.
Doveva in fondo fare un lungo viaggio, da Hogwarts ai paesi nordici c'era un po' di strada in volo, non avrebbe rischiato di inviare un animale non in buona salute. Sia per il gufo che per la missiva.


Se una persona diversa dal destinatario avesse voluto leggerla, non avrebbe potuto capirla. Prudentemente Augustus si era servito di un linguaggio in codice e non credeva che qualcuno lo avrebbe potuto comprendere in caso di ritrovamento accidentale. Però non era la prima volta che faceva qualcosa del genere e fino a quel momento le sue precauzioni avevano funzionato, lo dimostrava l'attacco che la scuola aveva subito quella settimana: niente di ciò che aveva voluto era stato danneggiato, le sue informazioni avevano dato l'esito sperato.
A lui quasi dispiaceva, ma la scuola non era certo stata distrutta e poi erano intervenuti i Fondatori prima che quei ragazzini pensassero di essere degli adulti e facessero degenerare tutto. Lo sapevano tutti quanto fossero maldestri i ragazzini, anche quelli che si ritenevano forti e potenti.
Un frullo d'aria lo rese improvvisamente sul chi vive.


"Ho scoperto il segreto che Salazar mi voleva tenere nascosto".
Una voce lo indusse a voltarsi con la bacchetta sguainata, del tutto sorpreso, in particolar modo dall'identità di chi parlava. Non credeva che avrebbe osato giungere fino a lì: era vero che la sua stanza era poco frequentata, in particolar modo ora che il castello era deserto, ma era comunque un grosso rischio.
Abbassò la bacchetta, controllando che non ci fosse veramente nessuno e si rese conto che il barbagianni si era posato sul mantello del nuovo arrivato; se avesse immaginato quella sorpresa, avrebbe evitato di spendere troppo tempo a scrivere la missiva, si disse seccato.
"Tranquillo, non ho alcuna ragione per far saltare la tua copertura. A proposito, semmai te ne parlasse, hai appena regalato un fiore rosa a quella ragazzina che sembra un angioletto in terra".
Per un momento Augustus guardò il mago, incredulo.
"Ti sei finto me? E chi ti dice che volessi fare un gesto del genere?" chiese, seccato solo al pensiero di essere stato involontariamente usato. Sapeva bene a chi si riferisse, anche solo perché non c'erano molte persone a Hogwars in quel momento. Le lezioni erano terminate ed era rimasta solo lady Hufflepuff con il suo seguito di apprendisti. E Lys, la maggiore delle sue figlie, ma il giovane non indugiò su quel piccolo particolare. Sven ridacchiò sentendo quelle parole, ma lui non percepiva alcun divertimento provenire da quel suono.


"È' bastato vedere come mi ha guardato credendo fossi tu. Però sono compiaciuto, credevo fosse un elfo domestico umano con quel faccino, invece hai pescato l'erede di lady Hufflepuff... ma lasciamo perdere, ero qui solo per complimentarmi per il tuo bel lavoro. Non sapevo che ci fossero segreti così ghiotti a Hogwarts. Credo che questa scuola mi piacerà parecchio una volta che l'avrò in mano, anche se ho dovuto rivedere i piani iniziali dopo le recenti scoperte".
Augustus tacque. Gli piaceva poco parlare a sproposito e di certo quello non era il momento buono per una sceneggiata, non con Sven che non solo era una specie di guida, ma anche un mago molto potente, forse allo stesso livello dei Fondatori. E neanche voleva approfondire lo spinoso argomento.
Sistemò la manica del mantello e sistemò i capelli scuri, cercando di immaginare a che cosa portassero quelle parole.
"Pensavo volessi distruggere la scuola, da quando hai cambiato idea? Per via della storia di Alyssa?"


Augustus sapeva abbastanza dettagli dei piani dell'anziano mago - anche se non tutti, naturalmente - ed era stato lui in quegli anni a scoprire che Sven aveva una figlia, avuta con chissà quale maganò serva di Salazar Slytherin. Stranamente al mago quel particolare era interessato molto e da lì aveva iniziato a pensare a un ritorno in Inghilterra.
Fino a poco prima dell'inizio della scuola, quando aveva scoperto che la ragazza era morta.
Una faccenda insabbiata che Augustus aveva scoperto quasi per caso, parlando col figlio maschio di lord Slytherin; una volta che lo aveva sorpreso in una delle aule della scuola a fare qualche esperimento: come attendente, Augustus poteva tranquillamente circolare per la scuola e fare riferimento ai Fondatori su eventuali problemi. Allo stesso tempo molti studenti si fidavano di lui, i figli dei Fondatori non facevano grandi eccezioni e così aveva scoperto l'accaduto.


Quando Eskil Slytherin aveva parlato con lui, ad Augustus era sembrato genuinamente disperato. Non aveva ben compreso cosa fosse accaduto, ma se ne era fatto un’idea e aveva capito che si era trattato di un incidente fatale. Proprio per questo aveva pensato di non parlarne con Sven, a che pro arrecare a tutti ulteriore dolore? Ma alla fine Augustus aveva capito di non avere avuto altra scelta. Era gli occhi e le orecchie del mago norreno lì in Inghilterra, da sempre in pratica. Ormai il ragazzo viveva a Hogwarts da anni, da quando i popoli del Nord si erano ritirati lasciando lui, insieme ad altri, come ostaggi a garanzia della pace stipulata con il re. Da allora tutti lo chiamavano Augustus, col nome che gli avevano attribuito gli Angli che non riuscivano a pronunciare quello di origine, e sebbene il ragazzo si fosse ormai abituato a quella vita, al servizio dei Fondatori che lo avevano preso sotto la loro ala, nulla di tutto ciò poteva cambiare il fatto che lui era Aðalmærki, e che i suoi legami con la sua terra d’origine erano più saldi che mai.
“Ti diranno molte cose” gli aveva sempre detto Sven, “ma tu non dimenticare mai chi sei. Non dimenticare a chi sei fedele.”
Augustus riportò lo sguardo su Sven, che sembrava stranamente interessato alle sue parole.


"Non proprio, però scoprire questo dettaglio ne sta portando alla luce altri due molto più grossi: non appena il mio vecchio amico Salazar ha capito che ero arrivato, ha iniziato una ritirata strategica. Ma nessuno dei suoi tre amici ha capito...”
Augustus si chiese di cosa stesse parlando esattamente Sven, non gli sembrava che un'alleanza tra i quattro Fondatori potesse definirsi una ritirata; certo non era un'azione belligerante, ma i quattro non avevano idea di chi avessero come nemico, non era una mossa stupida.
Per quale ragione Sven parlava in quel modo? Il giovane era perplesso, ma poteva provare a scoprirlo: era pur vero che non gli dispiaceva lavorare con lui, ma era più per conoscere altri poteri e la sete di conoscenza era ciò che lo animava da tutta la vita.
"Sono sicuro che in questi cinque mesi avrai parecchio da fare, con pure un matrimonio di mezzo".


Augustus vide che Sven stava finendo di leggere quello che gli aveva scritto nella lettera, le ultime novità del caso, e si chiese perché tra tutte, doveva interessargli proprio quel particolare. Comunque era vero, da quando era arrivato e ottenuto la fiducia dei quattro, trascorreva i mesi di chiusura di Hogwarts in viaggio e passando del tempo assieme a loro in alternanza.
Non avrebbe fatto eccezione quell'anno.


"Ora vado, sento qualcuno in arrivo, ma è ancora lontano. Restiamo in contatto come sai" disse Sven prima di svanire; per un momento Augustus pensò che si fosse Smaterializzato, riuscendo a violare gli incantesimi che lo impedivano, ma vide che si era soltanto Trasfigurato in un piccolo insetto e volato via, silenzioso come il suo imprevisto arrivo.
Il giovane mago sospirò per poi uscire dal suo studio, sapeva chi stava arrivando in quanto come ogni anno erano lui e lady Hufflepuff a lasciare per ultimi Hogwarts, giusto in tempo per completare gli incantesimi di protezione che sarebbero stati attivi fino alla fine di settembre, poco prima che i cancelli venissero riaperti a nuovi studenti.

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Capitolo 6
*** Capitolo V- Lys - Eskil - Bloem ***


Lys



La giovane figlia di lady Hufflepuff si tolse l’indice dalla bocca: sua madre glielo diceva sempre di smetterla di rosicchiarsi le unghie, anche ora che non era più una bambina. Anche se a volte Lys le rispondeva con uno sbuffo scocciato, per niente in linea con il loro rango, sapeva che Helga aveva ragione, ma non poteva farci niente: quando era nervosa non riusciva a controllarsi. E di essere nervosa in quel periodo ne aveva ben d’onde.
Non riusciva a smettere di pensare al mago che aveva attaccato Hogwarts con le sue creature magiche. Lei non era stata presente, era rimasta a occuparsi di un giovane mago malato portatole neanche un’ora prima da Augustus, ma aveva sentito il castello tremare fin dalle fondamenta, quello che doveva essere un edificio inespugnabile. Il suo cuore si era lanciato in una corsa forsennata, pungolato più dall’incertezza su quanto stava avvenendo che da una reale paura, ma poi Lys aveva visto con i suoi occhi ciò che era accaduto. Aveva visto la parete squarciata, il corridoio che dava sul nulla, e persino i corpi degli studenti che avevano perso la vita: aveva dovuto aiutare sua madre a ricomporre le loro salme prima di spedirle alle famiglie. L’ansia provata dalla giovane strega era stata enorme, così come la sua pena, ma era davvero una persona così orribile se si era sentita pure sollevata? Sollevata di non riconoscere tra quei volti delle persone a lei vicine. Sua madre stava bene, così anche la sua amica Bloem Slytherin… e Augustus naturalmente. Nei giorni di calma Lys poteva anche mentire a se stessa e fingere che incrociare casualmente il mago sul suo cammino non le facesse piacere, ma quando si era trovata faccia a faccia con la paura e con la morte non aveva potuto più raccontarsi falsità: il suo cuore aveva provato un guizzo quando si era accertata che al ragazzo non era successo niente.
“Andiamo, Lys, coraggio.”
La voce calma, ma decisa di sua madre la strappò dai suoi pensieri; subito le mani della ragazza iniziarono a riordinare le pergamene che aveva consultato fino a quel momento.
C’era davvero tanto da fare; il mago del Nord che aveva attaccato la scuola si era ritirato, ma questo non significava che tutti loro fossero al sicuro. Avevano corso un grande pericolo, e ora dovevano trovarlo per assicurarsi che non facesse più del male a nessuno di loro. A quello scopo si erano mobilitati tutti i maghi più potenti del regno, tra cui i Fondatori stessi, con i loro aiutanti e con la loro prole.
Di fianco a Lys, sua sorella Aerie, di poco più piccola, annuì come a confermarle che stavano facendo la cosa giusta. Dall’altro lato Augustus – e qui le viscere di Lys si annodarono – ricambiò il suo sorriso.



Eskil



Il mago calcava con decisione il pavimento della sua stanza; i suoi stivali avevano percorso quell’area così tante volte che c’era da stupirsi che non vi avessero lasciato un solco.
Non riusciva a crederci. Non riusciva semplicemente a crederci.
Sapeva che prima o poi per ognuno di loro sarebbe giunto il momento di lasciare il maniero in mezzo alle paludi, la casa paterna in cui erano cresciuti, per sposarsi e iniziare una vita diversa. Sapeva anche che sarebbe stato naturalmente lord Slytherin a decidere il futuro dei suoi figli, e che lo avrebbe fatto per il meglio, per dare lustro alla loro nobile casata. Eppure quando gli giunse all’orecchio la notizia che sua sorella si sarebbe sposata di lì a poco, si sentì mancare l’aria.
In teoria era stato preparato al colpo, in realtà si ritrovò inerme come un neonato. In fondo, anche se solo di due anni, era lui il maggiore; si era convinto così che Salazar avrebbe pianificato dapprima le sue nozze, poi quelle di Bloem. Si era convinto che per Bloem avrebbe potuto aspettare. E invece no.


Era strano a dirsi, forse, ma non per lui: sua sorella era l’unica persona a cui si sentisse profondamente legato. Non c’era nessun altro al mondo che per lui avesse contato tanto; anche prima, quando Alyssa era viva. Nutriva un sentimento tenero nei confronti della giovane, ma sua sorella era stata qualcosa di più, un legame irripetibile, quasi gemellare. Eskil sentiva che c’era qualcosa a legarli, qualcosa che non avrebbe potuto condividere con nessun altro. Erano cresciuti insieme, vivendo gomito a gomito ogni giornata, prima al maniero, poi a Hogwarts. Avevano condiviso ogni momento, ogni esperienza, ogni pensiero. Ma non era solo quello.
Bloem conosceva Eskil come nessun altro e viceversa; a volte il mago ancora si stupiva di realizzare come la sorella riuscisse ad anticiparlo prima ancora che esternasse le sue riflessioni. Si comprendevano al volo, era più di una semplice sintonia: Eskil sapeva che Bloem conosceva gli anfratti più reconditi del suo cuore, luoghi inesplorati persino per lui stesso.
Ora però la ragazza si sarebbe sposata e lo avrebbe lasciato. Non avrebbero più condiviso ogni momento, ogni pensiero.


A Eskil non importava che Bloem sposasse lord Gryffindor o un altro, perché l’identità del marito non avrebbe cambiato le cose: gliel’avrebbero comunque portata via. Doveva sforzarsi di essere razionale, convincersi che era nel normale evolversi delle cose, ma non ci riusciva. Al momento tutto ciò che riusciva a provare era un ribollente senso di disfatta, un dolore quasi fisico, come se gli avessero strappato un arto o un’altra parte di se stesso.
Il mago rimuginò molto, ma alla fine si decise ad affrontare suo padre. Per dire cosa, ancora non lo sapeva; normalmente Eskil non aveva un simile ardire, ma ora era troppo sconvolto per realizzare che sarebbe stato assolutamente impensabile anche solo azzardarsi a contestare lord Salazar. Ma i suoi piedi si muovevano da soli: lo portarono fuori dalla sua stanza, giù per la scalinata di pietra, verso il luogo in cui sapeva che avrebbe trovato il genitore. I suoi pensieri erano un groviglio di lana, una matassa intricata che sembrava impossibile da districare. Eppure, trovandosi faccia a faccia con Salazar, avrebbe dovuto provarci.


Ma, inaspettatamente, fu lo stesso signore del castello ad andare incontro al figlio, gli occhi infossati sotto la fronte aggrottata.
“Padre?” chiese Eskil, fermandosi di botto.
“Si tratta di Bloem” annunciò il mago con voce severa. “È scomparsa.”



Bloem




La strega strinse le ginocchia intorno ai fianchi muscolosi di Tata, stando attenta a non intralciare il movimento delle sue ali. Le dita erano serrate intorno alla striscia di cuoio delle briglie e gli occhi lacrimavano a causa del vento. Represse un brivido; la stagione non era rigida, ma a quell’altitudine e alla velocità di volo del cavallo alato era normale sentire freddo, anche se Bloem si era avvolta in un pesante mantello da viaggio.
“Da brava, Tata, non manca molto” disse la ragazza oltre il sibilo del vento. Come se fosse stata capace di intenderla, la creatura magica le rispose con un nitrito.
Le redini si mossero appena: Bloem indusse l’animale a scendere al disotto degli sbuffi di nubi che oscuravano il cielo notturno, in modo da avere una migliore visione di ciò che si trovava dabbasso. Il buio della notte tingeva ogni cosa d’inchiostro, ma era ancora possibile distinguere i contorni di un boschetto e la traccia di un sentiero.


 Orientarsi dall’altro era molto più facile e Bloem, che non aveva mai viaggiato da sola prima di allora, non aveva troppe difficoltà a seguire le indicazioni della mappa che aveva fissato alla sella. Stando a quella, era entrata nelle terre di Lord Gryffindor già da qualche miglio.

Con un altro guizzo della muscolatura agile, Tata si spinse in avanti, fendendo l’aria con il muso. Dopo un po’, anche la strega se ne accorse: sulla linea dell’orizzonte era sorto un grumo, una piccola macchia più nera del paesaggio circostante. Doveva trattarsi del castello del suo futuro sposo.
Nel pensare a Godric Gryffindor in quei termini, sentì un sapore amaro invaderle la lingua.


Proseguì in volo per qualche altro miglio ancora; adesso il grande edificio di pietra non era più solo una macchia, ma appariva come una costruzione in cui erano visibili le torri, le guglie e il ponte levatoio. Sicuramente doveva essere protetto da numerosi incantesimi, come del resto accadeva per il maniero Slytherin, così Bloem reputò più prudente far atterrare Tata e proseguire per l’ultimo tratto a terra. Quattro zoccoli duri come diamante urtarono il terreno coperto di arbusti e la ragazza dovette tenersi saldamente per non cadere. Con un colpetto affettuoso sul collo, incoraggiò la cavalla a proseguire.
Lì in basso non era più affascinante che in aria, sospesi. In mezzo alle nubi la notte aveva un aspetto diverso, Bloem si sentiva più padrona della situazione, ma lì? Non conosceva i luoghi, non vi era mai stata, e il pensiero che di lì a qualche mese avrebbe dovuto trascorrervi ogni giorno della sua vita non migliorava certo il suo umore.


Non succederà. Sono qui per far cambiare idea a lord Godric, si disse, aggrottando appena la fronte. Doveva farcela, e poi sarebbe potuta tornare a casa sua.
Tra le fronde qualcosa si mosse e Bloem si irrigidì sulla sella. Era più del semplice fruscio del vento, ne era sicura, però non sapeva dire se il suono fosse stato prodotto da un animale, un uomo o una creatura magica.
Tese le orecchie in attesa di registrare il ripetersi di quello stesso suono, ma tornò il silenzio. La strega si morse il labbro inferiore, poteva essersi ingannata? Forse era solo la suggestione.
Diede un’altra piccola pacca a Tata per indurla ad avanzare e il cavallo impiegò un istante prima di rimettersi in movimento. Poi, quando Bloem si stava lasciando invadere pian piano dalla sicurezza di essersi immaginata tutto, il suono si ripeté e questa volta Tata si bloccò come se si fosse trasformata in una statua si sale.
La strega si voltò verso il punto da cui proveniva il rumore e i suoi occhi, stretti in due fessure, iniziarono a setacciare il folto dei cespugli e le fronde degli alberi.
Cinque dita argentate apparvero una dopo l’altra, flessuose come danzatrici iniziarono a disegnare piccoli cerchi invisibili nell’aria. Si avvolsero intorno ad alcuni rami, poi li spostarono come una tenda, svelando sotto lo sguardo di Bloem una figura longilinea, i cui contorni erano difficilmente distinguibili nella penombra, con lunghi capelli aurei che le arrivavano fino alla vita.
La donna inclinò appena il capo, come se si fosse accorta in quel momento della presenza di qualcun altro in quella foresta. La giovane figlia di Salazar restò dov’era, troppo meravigliata per aprire bocca e porle una qualsiasi domanda; la creatura tinta di luce lunare ammiccò – o forse fu solo un’impressione della ragazza – per poi sparire nuovamente tra gli alberi.


Bloem sbatté le palpebre, chiedendosi chi fosse e perché si aggirasse nei pressi di Godric’s Hollow. Il bosco tornò silenzioso e, alla fine, non le restò che proseguire. Continuò a farsi molte domande su quella donna silenziosa, ma ben presto la sua mente venne ingombrata di nuovo dai consueti pensieri: suo padre, Godric e il matrimonio. Di tanto in tanto controllava la mappa per essere sicura della direzione presa, ma quando gli alberi si diradavano bastava sollevare gli occhi sulle torri del castello.
Mancava poco, la strega ne era ormai certa, quando altri rumori bizzarri risuonarono tutt’intorno a lei, sicuramente fuori posto a quell’ora. Questa volta si trattò di voci maschili, che Bloem giudicò non essere poi così vicine. Poteva trattarsi di uomini di Godric, ma dopo quella strana apparizione di qualche minuto prima non sapeva proprio cosa pensare.
Strinse le dita intorno alle redini e spronò Tata: aveva fretta di arrivare al castello senza altri contrattempi. Il cavallo iniziò a macinare con gli zoccoli il terreno sotto di lei mentre i ramoscelli e le fronde frustavano le braccia della strega coperte dal mantello; quando il sentiero piegò tra gli alberi, poco ci mancò che Bloem non finisse addosso a un altro cavaliere.


“Guarda dove…” iniziò a borbottare tra i denti mente strattonava le redini di Tata, i cui zoccoli scavarono due piccoli solchi nel terreno.
Il cavaliere in questione montava a sua volta un altro cavallo alato, probabilmente un Granio, e anche lui si stava dando da fare per governarlo. Indossava un mantello che nella penombra poteva essere rosso scuro o marrone, fermato sotto al mento da un fermaglio lucente a forma di…
“Lord Gryffindor!” balbettò Bloem, sollevando gli occhi sul volto dell’uomo.
Senza il cappuccio calato sul capo, la sua identità era inequivocabile. I capelli scuri e leggermente ondulati scendevano fino alle spalle, incorniciando un volto maturo dal mento pronunciato coperto da barba ispida e corta. Godric Gryffindor impiegò qualche istante in più per riconoscere nella fanciulla che si trovava di fronte la sua futura moglie.
“Lady Bloem” esclamò sorpreso, smontando dal Granio. “Cosa ci fate qui? Non ho ricevuto alcun gufo da vostro padre…”


Bastò poco perché Godric intuisse la verità. Il suo sguardo indugiò un attimo sulle vesti da viaggio di Bloem, sulle tenebre circostanti, e non ci volle molto per capire che Salazar non aveva mandato alcun gufo ad annunciare l’arrivo di sua figlia.
“Cosa ci fate qui?” ripeté allora, questa volta aggrottando la fronte e assumendo un cipiglio che la ragazza gli aveva visto riservare ai suoi studenti.
Attorcigliò le redini di Tata intorno alle sue mani guantate, tanto per prendere tempo. Si sentiva ribollire per il senso di ingiustizia accumulato nel corso della giornata, ma forse non era il caso di iniziare una conversazione inveendo contro quello stupido matrimonio.
Mentre selezionava le parole che le sembravano più adatte per iniziare, si accorse d’improvviso che non erano soli. All’inizio non vide nulla, provò solo una sensazione pungente alla base della nuca. Poi, quando si voltò istintivamente, rivide la donna opalescente che aveva già incontrato nel bosco. Questa volta Bloem non ebbe dubbi, le ammiccò, ma subito dopo passò a volgere la sua attenzione a Godric.
Avanzava silenziosamente, senza smuovere il tappetto di foglie sotto ai suoi piedi, quasi fosse incorporea. Quando fu più vicina, Bloem ebbe modo di notare che i suoi capelli sembravano intessuti di fili d’oro, la veste era leggera e candida come la sua carnagione, stretta intorno alla vita da una cintura di cuoio, ornata da alcune rune.
La stessa strega dovette notare che quella donna era di incredibile bellezza: nel suo aspetto non c’era una sola imperfezione.


Le ciglia, lunghe e setose, frangiavano degli occhi come di una cerva, il naso era sottile e diritto e le labbra rosee svelarono due file di denti perfetti quando si schiusero per lasciare sfuggire dei sussurri, delle parole. Bloem non capì cosa voleva dire, ma riconobbe le sonorità di quella lingua: la donna parlava in norreno.

Si voltò verso Godric, chiedendosi se almeno lui avesse inteso il senso di quel discorso, ma si fermò quando si accorse che il mago non la guardava. I suoi occhi non erano che per la donna argentea che avanzava verso di lui; era così preso da quella visione che aveva lasciato andare le redini del suo Granio forse senza nemmeno accorgersene.
“Lord Godric…” provò a chiamarlo, ma l’uomo non diede segno di averla nemmeno sentita. Protese una mano verso la donna, come se toccarla fosse il più grande desiderio della sua anima


“Lord Godric!” ripeté, questa volta con la voce più alta di un’ottava.
La donna argentea si voltò verso di lei. Aveva l’aria annoiata, ma c’era qualcosa di inquietante in quei lineamenti ora che Bloem se la trovava di fronte: non vedeva più la bellezza perfetta di un attimo prima, era come osservare uno specchio d’acqua con delle increspature che ne deturpavano la superficie. Gli occhi della creatura divennero due tizzoni ardenti, le labbra erano piegate in un ghigno malevolo e i capelli, non più lucidi e ben pettinati, erano arruffati e stopposi. Protese le mani di fronte a lei, nella direzione in cui si trovava Bloem, e prima che questa potesse mettere mano alla bacchetta infilata alla cintura, esplose dai palmi due palle di fuoco. L’aria si riempì delle urla stridenti della Veela, oltre che dell’odore di bruciato.
Da qualche parte, Bloem sentì Godric gridare, ma le sue orecchie erano riempite dai nitriti di dolore di Tata. Si ritrovò carponi: colpito dalla Veela, il cavallo alato si era imbizzarrito ed era franato al suolo, trascinando con sé la sua padrona. La strega aveva battuto i palmi e un fianco, una gamba le doleva e sentiva bruciore dove con ogni probabilità aveva riportato dei graffi.
Sentì altre voci, altri richiami: la radura si animò immediatamente e, anche se la cortina di fumo che la avvolgeva le impediva di distinguere ogni cosa, ebbe delle fugaci visioni di altre zampe, altre ali e altri mantelli rossi. Una mano emerse tra le ombre, tesa verso di lei, e Bloem non ebbe altra scelta che afferrarla. Apparteneva a lord Gryffindor: non aveva più l’espressione svagata di qualche istante prima, al contrario il suo viso appariva contratto e concentrato.


Il mago l’aiutò ad alzarsi: aveva ripreso le redini del suo cavallo alato e stava cercando di aiutare Bloem a montare in sella.
“No!” si oppose lei con voce alterata. “La mia cavalla!”
Si voltò, cercando Tata con lo sguardo, ma Godric la trattenne per le spalle.
“È ferita, ma la guarirò. I miei uomini la porteranno al castello, tu vieni con me.”
Il tono risoluto del Fondatore non ammetteva repliche. Bloem gli rivolse uno sguardo supplichevole, che lui non diede segno di notare perché si era già rivolto a un altro mago. Alla sua destra apparve un giovane – non poteva avere più di vent’anni – con i capelli biondi appiattiti sulla fronte e una cotta di maglia dorata sotto il mantello rosso.
“Frederich, sai cosa fare” disse Godric rivolgendogli un cenno di intesa.
Il ragazzo annuì e abbassò il capo reverente, poi si voltò e sparì di nuovo.
Questa volta Bloem lasciò che lord Gryffindor la adagiasse sulla sella del suo cavallo. Mentre il Fondatore prendeva posto dietro di lei e spronava il suo animale, lei si voltò per osservare la scena oltre la sua spalla. Il manipolo di cavalieri si era stretto intorno a Tata; alcuni uomini avevano afferrato e imprigionato la Veela, che rivolgeva loro insulti in norreno, ma Frederich si era accovacciato accanto a Tata. Una mano muoveva la bacchetta, mentre l’altra era adagiata sul suo muso in una carezza.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Godric - Eskil ***


Godric


Con uno svolazzo della bacchetta di Godric, le braci nella bocca di pietra del camino si ravvivarono e delle sinuose lingue di fuoco iniziarono a proiettare tutt’intorno la loro luce danzante.
“Avevo chiesto agli Elfi Domestici di non farlo spegnere” borbottò, più rivolto a se stesso che alla ragazza che lo seguiva. Poco male, ci avrebbe pensato lui. Non c’era da meravigliarsi di quella dimenticanza degli Elfi: nelle ultime ore il castello era stato gettato nel caos.
Godric rivolse uno sguardo in tralice a lady Slytherin, scoprendosi a pensare che il padre della giovane non sarebbe stato così indulgente con quelle creature, nemmeno in un frangente simile. E sua figlia?
Scosse il capo, facendole cenno di accomodarsi. C’era qualcosa in quella situazione che non lo faceva sentire perfettamente armato per affrontarla. Il castello non era un maniero tetro e solitario, ogni giorno era animato da un grande andirivieni di maghi e cavalieri. Ma alla sera tornava il silenzio e il lord rimaneva da solo. Erano dodici anni che, al calare del sole, la pietra tornava fredda e le sale quiete, senza la voce di una donna a risuonare tra le pareti, o la risata di un bambino.
La presenza di lady Bloem a quell’ora della sera era inaspettata, Godric non era preparato a riceverla. Stava cercando di abituarsi all’idea di doverla vedere come inquilina stabile di lì a qualche mese, ma ancora non vi era riuscito. Immaginò che quello fosse un buon modo per iniziare, dopotutto.
La giovane si sedette; nei suoi movimenti il mago lesse una leggera tensione. Non vi era da stupirsene, vista la serata trascorsa. Godric aveva avuto notizia che nei suoi domini si aggirava una qualche creatura ostile, per questo era uscito con alcuni dei suoi cavalieri, ma di tutte le possibili minacce mai avrebbe pensato di trovarsi faccia a faccia con una Veela. Si trattava di un avversario temibile per qualsiasi mago di sesso maschile; Godric stesso era rimasto imbambolato a fissarlo, incapace persino di mettere mano alla bacchetta. Quell’infida Creatura Magica lo aveva scoperto inerme come un bambino, e l’uomo non avrebbe potuto difendersi se Bloem non avesse urlato, riuscendo a spezzare quella malia che annebbiava sensi e facoltà di ragionamento. Se quella notte aveva avuto un epilogo fortunato era stato solo grazie a lei e questo, unito al fatto di essersi mostrato come un perfetto incapace, faceva sentire Godric non completamente a posto con la coscienza. Era una sensazione spinosa, al pari della mancanza di Mary.


“Sono lieto di vedere che state bene, lady Bloem” esordì guardandola in viso.
La giovane fece vagare lo sguardo tutt’intorno, come se volesse soppesare con gli occhi ogni elemento di arredamento per giudicare l’ambiente. Il castello di lord Gryffindor era grande e molte sale portavano ancora il segno del passaggio di sua moglie, ma altre erano invece spoglie o funzionali. Quello in cui aveva condotto Bloem non era certo il salone più riccamente arredato, ma era il meno umido alla sera.
Gli occhi profondi della ragazza tornarono a fissarsi su di lui, si strinse nelle spalle e annuì.
“Quello che è successo nel bosco…” Iniziò Godric, ma era difficile dare una forma ai suoi pensieri senza ammettere la debolezza dimostrata con la Veela.
Si schiarì la voce e proseguì. “Ero stato informato che una minaccia aveva attraversato i miei confini. Non avevo idea di cosa si trattasse, ma l’avete sentita anche voi: quella Veela parlava in norreno. È troppo per pensare a una coincidenza.”
Bloem assottigliò lo sguardo, poi annuì appena.
“Sì, anch’io ho pensato che quella Veela dovesse avere a che fare con il mago che ha attaccato Hogwarts.”
Godric non si stupì che entrambi fossero arrivati alla stessa conclusione. A differenza sua, Bloem e suo fratello si erano scontrati direttamente con quell’uomo e il suo manipolo di creature magiche venute dal nord. Il mago ricordò che, subito dopo l’attacco, i due Slytherin avevano avuto un colloquio con Salazar e solo dopo quest’ultimo aveva diffuso le informazioni che aveva ricevuto dai due ragazzi; di nuovo Godric si chiese se Salazar avesse detto davvero tutto ciò che sapeva.
Quasi fosse stata in grado di captare i pensieri dell’uomo, la strega parlò ancora:
“Cosa credete che vogliano da noi?”
C’era impazienza nella sua voce, come se le desse fastidio non sapere perché era la vittima ripetutamente bersagliata di quel nordico. In entrambe le occasioni Bloem se l’era cavata bene, uscendone completamente illesa, ma Godric non poteva dimenticare che l’attacco a Hogwarts aveva causato delle vittime.
“Non ne ho idea” rispose scuotendo le spalle e aggrottando la fronte.
In effetti c’era qualcosa che non quadrava in quella storia: nessuno aveva mai visto quell’uomo, Helga e le sue figlie si stavano dando da fare per scoprirne l’identità ma ancora non erano certe. Lui non si era presentato, non aveva annunciato i suoi scopi: aveva attaccato e basta, si era ritirato e ora tornava a farsi vivo indirettamente. Perché? A cosa mirava?


“Dovrò informare gli altri Fondatori dell’accaduto” continuò il mago, e la sua voce si fece improvvisamente stanca. “E, già che ci sono, credo sia il caso di informare vostro padre della vostra presenza a Godric’s Hollow.”
Inviò alla giovane strega un’occhiata eloquente: entrambi sapevano che lei era giunta lì senza informare Salazar. Nonostante l’intenzione annunciata, lord Gryffindor non si alzò, ma rimase con le mani appoggiate ai braccioli del suo scranno. Bloem dovette accorgersi che il suo sguardo era cambiato, mostrando ora più curiosità che rimprovero, così inarcò un sopracciglio in un modo silenzioso di chiedergli cosa avesse.
Godric aveva già deciso cosa scrivere nella lettera a Salazar, perciò qualunque risposta gli avrebbe fornito Bloem non avrebbe fatto differenza. Ma ora voleva sapere, per soddisfare un proprio interesse personale e anche perché pensava di averne diritto, per quale motivo la ragazza si era recata fin lì. Di certo aveva agito con uno scopo ben fisso in mente e non si trovava lì per una vacanza di piacere.
“Lady Bloem” esordì quindi arretrando il busto e congiungendo le dita di fronte a sé, “posso conoscere le ragioni della vostra visita?”
Qualcosa nella figura della strega si irrigidì, o forse fu solo uno scherzo delle ombre gettate tutt’intorno dalle fiamme. Per una manciata di secondi rimase in silenzio, tanto che Godric si chiese se alla fine gli avrebbe risposto oppure sarebbe rimasta trincerata dietro il suo mutismo.
Alla fine Bloem espresse il suo punto di vista, e quello che disse lo spiazzò.
“Volevo parlarvi. Convincervi a mandare a monte le nozze. Di certo anche voi credete che questo matrimonio sia una farsa.”
Questa volta fu il turno di Godric di rimanere senza parole: tanta schiettezza lo aveva colto impreparato, ma era pur sempre una dote che in generale apprezzava. Così non gli venne in mente di suggerire alla sua futura sposa di tenere a freno la lingua, anche perché in fondo all’inizio il Fondatore aveva avuto le stesse perplessità. Vista la sincerità con cui si era espressa la giovane, Godric pensò di ricambiarle la stessa cortesia.
“Vedete, lady Bloem” disse, senza mutare posizione, “è stato proprio vostro padre a convincermi dell’opportunità di queste nozze, e questa notte abbiamo avuto la prova che la ragione sta dalla sua parte.” Piuttosto raro che desse così apertamente ragione a lord Slytherin, si disse; era qualcosa da appuntare negli annali. “È chiaro che questa gente del nord vuole qualcosa da noi; non si tratta di incursioni casuali, abbiamo di fronte un vero e proprio nemico. E in un momento come questo è importante essere uniti.”


Bloem era una strega brillante, Godric aveva avuto modo di appurarlo a scuola. Per questo motivo fu abbastanza sicuro che avrebbe capito cosa intendeva senza che aggiungesse altro. Quel matrimonio non era per lei e il Fondatore, era chiaro. Era piuttosto un modo per sugellare i rapporti così pericolanti tra Godric e Salazar. Nessuno dei due fingeva che i due Fondatori andassero sempre d’amore e d’accordo e sicuramente Bloem sapeva bene di cosa parlava Godric. Anche se l’uomo non amava fregiarsi di quel titolo, sapeva che lui, insieme a Helga, Rowena e Salazar, costituiva la maggiore risorsa del regno e, a fronte di attacchi di un nemico così minaccioso, dovevano necessariamente restare uniti, o sarebbe stato il disastro.
“Credete davvero che da soli non possiamo farcela contro questo nemico?” chiese allora la ragazza, sollevando appena il mento, senza distogliere gli occhi.
Difficile dire cosa intendesse con quel plurale, ma Godric intuì facilmente che parlava di sé, di suo padre e di suo fratello. Il pensiero lo infastidì appena: l’alterigia degli Slytherin non era un mistero, anzi era uno dei difetti di Salazar che meno sopportava. D’altra parte però, se il Fondatore voleva essere totalmente sincero con se stesso, doveva ammettere che, quando aveva ascoltato la proposta del padre di Bloem, lui stesso si era chiesto se non fosse un’apprensione esagerata quella nutrita nei confronti dell’invasore norreno.
Tuttavia allora Godric non si era sentito minacciato alle porte di casa sua. Potevano minimizzare, fingendo che una Veela sola non fosse un problema, ma la verità era che fino ad allora nessun nemico estero era giunto così vicino alle loro case, al loro cuore. Quel mago aveva attaccato Hogwarst, riuscendo a superare tutte le difese approntate dai Fondatori e a cogliere impreparati gli studenti. Erano morti sette ragazzi, sette giovani che sarebbero potuti diventare degli stregoni promettenti e che invece adesso giacevano nella terra. E quel che era peggio sembrava che il nemico non avesse alcuna intenzione di fermarsi o di ritirarsi sul serio.
“No, non lo credo” rispose quindi l’uomo, paziente ma con una certa fermezza nel tono. “Dobbiamo proteggerci l’un l’altro.”


“Sembrate dubitare delle vostre stesse forze” replicò Bloem, e nel tono che usò Godric scorse un accenno di provocazione.
Fu sul punto di rispondere qualcosa di simile tenore, ma alla fine si morse la lingua e le lanciò un’occhiata in tralice, colpito da un nuovo sospetto.
“Lady Bloem, questo matrimonio getta per caso all’aria altri programmi?” domandò impudente. “Il vostro cuore appartiene a qualcun altro? Perché in quel caso…”
“No” lo interruppe in fretta la giovane, increspando la fronte, “Come vi è venuta in mente una simile idea?” Ebbe un moto di stizza; probabilmente, se non fosse stato sconveniente per una lady del suo rango, avrebbe incrociato le braccia sul petto. Godric fu tentato di sorridere di fronte a quell’improvviso cambiamento, ma si trattenne.
“In questo caso allora… Non vedo altri ostacoli al matrimonio.”
Per qualche attimo Bloem sembrò sul punto di replicare, ma alla fine annuì e rimase in silenzio.
Godric si alzò, capendo che non c’era altro da aggiungere.
“Andrò in guferia per mandare qualche messaggio. Scriverò a vostro padre che eravate così smaniosa di trascorrere del tempo con il vostro futuro marito che avete pensato di non porre altri indugi in mezzo, e che io stesso vi scorterò di nuovo in mezzo alle paludi, non appena vi sarete accertata che i preparativi del matrimonio procedano secondo il vostro gradimento.”
La strega gli scoccò un’occhiata curiosa, ma poi non si oppose.
Godric aveva raggiunto la soglia della porta, quando la voce della ragazza lo trattenne.
“Come sta la mia cavalla?”
“La ferita all’ala le impedirà di volare per un po’, ma non temete. Sta bene e con le mie cure guarirà completamente.”



Eskil



Un leggero temporale estivo scuoteva i vetri del maniero Slytherin. Il cielo era plumbeo e l’acqua ruscellava sulle finestre ma, guardando verso la linea dell’orizzonte che iniziava a schiarirsi, Eskil giudicò che non sarebbe durato a lungo.
Tornò verso il centro della stanza, la lettera di Lord Gryffindor stretta in pugno. Era ridicolo, Bloem non si era mai mostrata smaniosa di trascorrere del tempo con il futuro marito. Persino Lord Salazar doveva saperlo, anche se non passava mai troppo tempo a parlare con i suoi figli, eppure non aveva battuto ciglio di fronte al contenuto di quella missiva.
Eskil si morse l’interno della guancia. Se suo padre non si preoccupava, evidentemente neanche lui ne aveva motivo; tuttavia per una volta aveva l’impressione di non sapere cosa attraversava la mente della sorella e non gli piaceva. Era un preludio del distacco che presto sarebbe diventato definitivo; fosse stato per lui avrebbe fatto di tutto per rimandare quel momento, ma a che scopo, se comunque non sarebbero potuti sfuggire a quel fato?
C’era tuttavia qualcos’altro che lo induceva a riflettere in tutta quella situazione. Perché suo padre si era dato tanto da fare per stipulare un matrimonio tra Bloem e Lord Gryffindor? Se era un’alleanza che voleva, avrebbe anche potuto fare sposare a lui una delle figlie di lady Hufflepuff o qualcosa del genere. Era vero che i maggiori contrasti esistevano proprio tra Salazar e Godric, ma non riusciva a credere che suo padre, un uomo così convinto delle sue ragioni, potesse giungere al punto di affidare la sua unica figlia femmina a un mago che per certi versi disprezza.
Ci aveva riflettuto abbastanza, ma non era ancora arrivato a capo della cosa. Si disse però che non avrebbe cavato un ragno dal buco se non avesse parlato con l’unica persona che avrebbe potuto chiarirgli quei dubbi: suo padre.
Lord Salazar rientrava in quel momento da una ricognizione dei suoi domini. La notizia della Veela infiltrata nei territori di Lord Gryffindor lo aveva spinto a controllare che nella zona delle paludi fosse tutto a posto e, come disse appena varcata la soglia, era proprio così.
Gli stivali del Fondatore grondavano fango che sporcava il pavimento di pietra, ma ci avrebbero pensato gli Elfi Domestici.
“Hai rafforzato gli incantesimi di protezione, come ti avevo chiesto?” volle sincerarsi il mago.
Eskil annuì, elencando tutti gli scudi che aveva elevato intorno alla loro magione.
Aveva anche pensato di animare qualcuno dei cadaveri certamente sepolti in fondo alla palude, per trasformarli in creature che lui stesso aveva chiamato Inferi. L’incantesimo gli era già riuscito e sapeva di poterlo rifare, ma creare delle sentinelle di non-morti capaci di presidiare i confini dei loro possedimenti era un’altra cosa. In fondo era riuscito nell’esperimento da poco e non padroneggiava ancora al meglio quella fattura; dubitava di poter tenere simultaneamente in vita tanti cadaveri per mandarli così tanto lontano da lui. Così alla fine aveva desistito, dicendo a se stesso che ci sarebbero state altre occasioni di sperimentare di nuovo la sua nuova abilità.

“Padre, posso chiedervi una cosa?” domandò mentre Salazar si slacciava il mantello umido e lo metteva da parte. Il fatto che il mago non negò apertamente significava che gli dava il permesso di parlare.
Eskil fece un passo avanti, ricordandosi di mantenere la schiena dritta e il tono apparentemente casuale. Se c’era una cosa che voleva evitare era di sembrare un ragazzino implorante.
“Posso sapere perché avete preso accordi per le nozze di Bloem e non per le mie?”
Adesso sembrava uno smanioso, ma meglio quello che infantile.
Salazar gli si rivolse su un mezzo sorriso dipinto sulle labbra sottili.
“Mio caro Eski. E se lo avessi fatto, cosa pensi che direbbe la tua futura mogliettina sul tuo ombelico?”

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