I semi della grandezza di Violet Tyrell (/viewuser.php?uid=70834)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Bloem ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Eskil ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Godric ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. Bloem- Eskil- Augustus ***
Capitolo 6: *** Capitolo V- Lys - Eskil - Bloem ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Godric - Eskil ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo - i semi della grandezza
Prologo
Un
sole tiepido filtrava attraverso le strette finestre del maniero di
lord Slytherin, creando una pozza dorata ai piedi di due ragazzini,
similmente bruni e pallidi con gli stessi volti rotondi e occhi del
colore delle paludi che circondavano la zona. Un vecchio esemplare di
Crup vagava tra i due, agitando la coda biforcuta, con la quale
spazzava il pavimento di pietra; alternativamente protendeva il muso
sempre in affanno, dal quale penzolava una lingua rosea, verso Bloem o
verso Eskil. La ragazzina era impegnata a sfogliare alcuni rotoli di
pergamena con aria annoiata; muoveva pigramente l’indice
verso le
parole vergate con l’inchiostro, cambiandone il colore dal
classico nero al lilla o al ceruleo. Nonostante non si trattasse di
un’attività chissà quanto coinvolgente,
Bloem era
comunque abbastanza assorta da non prestare troppa attenzione al Crup
– che anni addietro Eskil aveva chiamato Buck, con orrore di
sua
sorella. La coda della creatura magica, così ignorata o
forse
per stanchezza, smorzò quindi le sue sferzate, poi il Crup
tornò a rivolgersi a Eskil, che protese una mano verso il
suo
testone e iniziò a grattarlo dietro l’orecchio.
Le giornate trascorrevano tutte nella pressoché totale
monotonia
e, anche se il ragazzino sollevava il mento e spingeva lo sguardo oltre
l’apertura della finestra, non riusciva a immaginare niente
di
interessante da fare, né all’aperto, né
all’interno del castello. Lui e sua sorella conoscevano a
menadito ogni stanza, ogni passaggio segreto, ogni scala a chiocciola
della struttura in cui erano cresciuti e vivevano, e persino i dintorni
non avevano segreti per loro. Si trattava perlopiù di paludi
inospitali, dalle quali si sollevavano nugoli di zanzare e di
Chizpurfle e nelle quali, secondo la leggenda, più di un
Babbano
aveva perso la vita, ingoiato dalla melma. Era usuale che favole e
leggende sorgessero intorno a una dimora isolata e ammantata dalla fama
sinistra del suo abitante principale, lord Salazar Slytherin, ma i suoi
figli sapevano che spesso quelle fiabe avevano più di un
fondo
di verità. Avevano saputo delle vittime fatte dalla palude
dallo
stesso genitore, il quale non aveva nascosto che quel confine
costituiva uno dei principali mezzi a difesa della loro
proprietà. Come a dire che alcuni prediligevano i fossati,
lord
Slytherin le paludi. Naturalmente non mancavano incantesimi di
protezione, e gli stessi acquitrini erano impregnati da magia antica e
potente. Sembrava che ogni cosa sulla quale il fondatore di Hogwarts
posasse il suo indice o il suo sguardo si coprisse di una patina
traslucida, quasi invisibile agli occhi, ma percepibile con gli altri
sensi.
Gli stessi Eskil e Bloem, le sue creature, portavano sulla pelle il suo
sigillo: avevano gli stessi capelli scuri e occhi penetranti. Ma
avevano ereditato dal padre molto più di quanto non fosse
visibile allo sguardo.
Per quanto Salazar tenesse in una certa considerazione i due ragazzi,
nonostante la giovane età e nonostante avessero dimostrato
fin
dai primi giorni di vita di avere un notevole potenziale magico, non
consentiva loro ancora di seguirlo quando lasciava il castello,
né forniva grandi spiegazioni su dove andasse e su cosa
facesse.
Più di una volta Eskil aveva provato il desiderio di seguire
il
padre, ma solo in un’occasione aveva tentato di balbettare
una
richiesta di accompagnarlo. Era bastata un’occhiata di
Salazar
per farlo desistere.
Per certi versi, sembrava che Bloem subisse meno l’influenza
di
lord Slytherin rispetto al fratello, ma anche lei provava una certa
soggezione nei confronti del padre. Il signore del castello aveva
disposto che dovevano restare nella loro dimora e così
sarebbe
stato. Negli ultimi giorni non aveva fatto che piovere, almeno ora era
sorto il sole, anche se era ancora pallido. Forse avrebbe fornito loro
l’occasione di aggirarsi tra le terre del padre, ma per fare
cosa? Di sicuro le paludi erano gonfie a causa delle recenti piogge, il
che rendeva i luoghi ancora più inospitali.
La porta della stanza in cui si trovavano Eskil e Bloem
risuonò
di un leggero bussare, in risposta il Crup andò ad annusare
la
soglia.
“Avanti” disse il ragazzino.
Un attimo dopo apparve una giovinetta con una folta zazzera di capelli
rossi lunghi quasi fino alla vita e il naso spruzzato di lentiggini,
che doveva avere l’età di Eskil. Alla sua vista,
un lieve
sorriso illuminò appena il volto del ragazzo, al quale
Alyssa
rispose debolmente.
“Perdonate il disturbo. Lord Slytherin è al
castello e desidera vedervi.”
Bloem rispose con un distratto cenno delle dita, senza sollevare la
testa dalla sua pergamena e, a quel gesto, Eskil ebbe
l’impressione che una delle punte della coda del Crup avesse
assunto una tinta tendente al magenta.
Alyssa viveva al castello da quando i due ragazzi ne avevano memoria,
figlia di una maganò che serviva al castello, trattata al
pari
degli Elfi Domestici. A sentire lord Slytherin, chiunque privo di
poteri magici era nato per servire gli stregoni e per Eskil quello era
un ragionamento più che convincente: era nella natura stessa
delle cose. La figlia data alla luce dalla maganò tuttavia
possedeva quei poteri, così Salazar aveva acconsentito a che
restasse al maniero, né aveva mosso troppe rimostranze
quando la
piccola si azzardava a giocare con i suoi figli. Naturalmente Alyssa
era trattata comunque come un’inferiore e, ora che era
cresciuta,
lavorava al castello come servetta.
“Va bene… grazie” rispose Eskil. Alyssa
chinò
la testa nella sua direzione e le ciocche di folti capelli che piovvero
davanti al suo viso dissimularono il suo rossore, poi sparì
di
nuovo oltre la porta.
I due ragazzi si alzarono, Bloem ripose la pergamena che stava leggendo
e precedette il fratello dabbasso, dove il genitore li stava aspettando.
Salazar indossava un mantello da viaggio impolverato, verde bosco;
scostò il cappuccio dai corti capelli scuri e scarmigliati e
strinse le labbra pallide e riarse alla vista dei suoi figli.
“Padre!” lo salutarono entrambi, spiccando una
rapida corsa
verso di lui, ma arrestandosi prima di gettargli le braccia al collo:
simili manifestazioni di affetto non lo conquistavano affatto.
Salazar concesse poche laconiche parole relative ai suoi affari,
più che altro si informò su ciò che
era accaduto
in sua assenza. Eskil gonfiò un po’ il petto
mentre lui e
Bloem facevano il loro resoconto: non c’era nessun castellano
che
si occupasse del maniero in assenza di lord Slytherin, e lui si sentiva
gratificato quando il padre si informava direttamente da loro; era la
conferma che contava sui suoi figli in sua assenza.
“Devo comunicarvi una decisione” disse a un tratto
Salazar
con tono apparentemente casuale. “Come saprete, tra due
settimane
cominceranno le lezioni a Hogwarts. Quest’anno voi verrete
con
me.”
A quelle parole, Eskil cercò immediatamente lo sguardo di
Bloem
e non fu affatto stupito di trovarlo luminoso come sapeva essere anche
il suo.
Finalmente, pensò.
Hogwarts era un castello che sorgeva tra le nebbie, un luogo costruito
da Salazar Slytherin insieme all’altro mago e alle altre
streghe
più dotati dell’epoca: Godric Gryffindor, Helga
Hufflepuff
e Rowena Ravenclaw. Sia Eskil che Bloem avevano avuto modo di
conoscerli, tutti e tre, sebbene le visite da parte loro al maniero
Slytherin non fossero così frequenti. Tuttavia i ragazzini
conoscevano molti dettagli della collaborazione di suo padre insieme
agli altri. In particolare, quando era più piccolo, Eskil
bramava farsi raccontare ogni cosa circa le avventure vissute da quei
maghi, i duelli più avvincenti, le lotte con pericolose
Creature
Magiche. Non c’era da stupirsi che quattro potenziali magici
così spiccati avessero da subito trovato delle
affinità
tra di loro.
I due maghi e le due streghe avevano deciso di fondare Hogwarts e di
renderlo il fulcro dell’istruzione magica. Capitava spesso
che,
nel loro girovagare tra i regni, i Fondatori si imbattessero in giovani
maghi e streghe promettenti, ma ancora rozzi nelle loro
capacità
magiche. Decidevano allora di istruirli loro stessi, in modo da
plasmare tutto quel potenziale ancora inespresso. Era stato quando il
numero dei loro allievi era aumentato così tanto da non
consentire più a ognuno di loro di seguirli tutti
personalmente
che avevano deciso di costruire la scuola. Lì conducevano i
loro
allievi, che si apprestavano a ricevere un’istruzione
più
organizzata e completa. I Fondatori non avevano perso
l’abitudine
di invitare personalmente i ragazzi a seguirli quando si imbattevano in
maghi e streghe dotati, e questi mostravano una fedeltà
più spiccata per il Fondatore che li aveva scovati. Questi
infatti tendevano a scegliere i loro allievi in base alle doti che
ritenevano più importanti – il coraggio e la
cavalleria
per Godric, l’astuzia e l’ambizione per Salazar, la
pazienza e la perseveranza Helga, l’intelligenza e la
creatività Rowena -, e gli studenti tendevano a rivedersi
nel
proprio Capocasa. Tuttavia essi venivano divisi in classi in base alla
loro maturità, e venivano istruiti da tutti e quattro i
Fondatori secondo le loro specialità.
Ormai Eskil non faceva che chiedersi quando sarebbe arrivato il momento
di andare a Hogwarts, ma Salazar non parlava mai
dell’argomento.
Certo, il fatto di essere figlio di uno dei Fondatori,
nonché
uno dei maghi più brillanti in circolazione, aveva i suoi
vantaggi, e né Bloem, né suo fratello erano
completamente
sprovvisti di istruzione magica. Salazar aveva insegnato qualcosa, ma
si trattava veramente di pochissime nozioni: nulla di paragonabile a
ciò che i ragazzi avrebbero potuto apprendere a Hogwars.
Eskil
ne era convinto: era quella la via che li avrebbe condotti alla
grandezza, proprio come lord Slytherin ripeteva ai suoi allievi.
Che il giovane mago sognasse in grande e aspirasse
all’eccellenza
non era un mistero per i suoi familiari – specialmente per
sua
sorella – né una sorpresa, considerato chi era suo
padre.
Sembrava che per Salazar nulla al di sotto dell’eccelso fosse
degno di nota.
Eskil ne era abbastanza convinto nell’intimo del suo animo:
prima
o poi avrebbe fatto qualcosa per cui la storia lo avrebbe ricordato.
Avrebbe lasciato un segno, un’impronta, qualcosa di
sé che
non sarebbe scomparso nonostante il trascorrere dei secoli. Salazar
aveva fondato Hogwarts, costruendo il suo lascito con la pietra; suo
figlio non sapeva ancora di cosa sarebbe stato capace, ma sperava
– anzi no, voleva – essere all’altezza
del genitore.
Con quelle brevi parole, lord Slytherin sembrò aver esaurito
l’argomento. Le domande di Eskil e Bloem furono pochissime:
sapevano già tutto su Hogwarts, la sua organizzazione, la
durata
dell’apprendimento, la suddivisione delle lezioni. I due
ragazzini seppero che di lì a tre settimane sarebbero
partiti
alla volta del castello insieme al genitore, e tanto bastava.
Salazar li accomiatò e i due uscirono dalla stanza per
lasciarlo
alle sue incombenze, sempre di corsa. Bloem, di due anni più
piccola di suo fratello, appariva particolarmente esuberante: non
riusciva a stare ferma per più di un secondo e, una volta
fuori
dal campo visivo del padre, improvvisò una piccola danza.
Eskil
condivideva il suo entusiasmo: finalmente sarebbero usciti dalla
routine del maniero Slytherin.
Mentre procedevano verso la stanza che avevano lasciato quando erano
stati chiamati da Alyssa, il ragazzino si chiese come mai Buck non
stesse venendo loro incontro. Era un vecchio Crup che preferiva passare
il suo tempo sdraiato su un tappeto piuttosto che ad andare in giro a
stanare gnomi, ma di solito quando i due fratelli erano così
al
settimo cielo tirava fuori la sua testa dalla cuccia.
Bloem si era già lanciata nella descrizione di
ciò che
avrebbe fatto una volta arrivata a Hogwarts: sembrava avere le idee
già molto chiare sia sul fatto che sarebbe stato bellissimo,
sia
circa la loro superiorità rispetto agli altri coetanei.
Così Eskil smise di preoccuparsi di Buck e si fece
coinvolgere
dalle fantasie della sorella. Era contento che sarebbero andati a
scuola insieme; Bloem era sì poco più piccola di
lui, ma
i due fratelli erano davvero molto simili e avevano sostanzialmente le
stesse conoscenze, inoltre Eskil non era abituato a stare lontano dalla
ragazzina e non pensava che gli sarebbe piaciuto andare a Hogwarts
senza di lei. Molto meglio così, in definitiva.
“Buck!” chiamò, spingendo via la porta.
“Dove sei, vecchio…”
Il Crup era nella sua cuccia, il testone appoggiato su un vecchio
cuscino mordicchiato. Eskil gli andò vicino, troppo contento
per
la novità per permettergli di sonnecchiare ancora.
Solo che Buck non stava dormendo.
Era stato il primo animale domestico di Eskil. Lo aveva trovato nella
brughiera che era un ammasso di pelo bagnato e latrante. Quando lo
aveva portato al castello, nessuno aveva mostrato troppo entusiasmo per
la sua presenza, men che meno lord Slytherin, che tra le varie creature
mostrava una certa predilezione per i rettili e nient’altro.
A
Eskil non era importato che con lui non potesse parlare in serpentese:
aveva comunque insistito per tenerlo, ed era stata l’unica
volta
nella sua vita – forse – che aveva puntato i piedi
per
qualcosa. Alla fine Buck era rimasto. Che nome stupido, si era
lamentata Bloem, ma poi anche lei si era affezionata al Crup. Non tanto
quanto suo fratello, comunque.
Il naso umido e gli occhi arrossati, Eskil rimase a guardare fuori
dalla finestra senza vedere realmente il paesaggio circostante, chiuso
in un ostinato mutismo. Era addolorato, ma era soprattutto arrabbiato.
Ce l’aveva con tutti e con nessuno in particolare, tutto
ciò che sapeva era che non doveva andare così,
che lui
non voleva.
Ma, come gli aveva detto Salazar, il suo Crup era morto e alla morte
non c’era rimedio.
Lo vedremo, pensò il ragazzino sollevando improvvisamente la
testa.
Un lascito, un’impronta di sé, un motivo per
essere
ricordato. Eskil aveva appena deciso che avrebbe imparato come
sconfiggere la morte.
Angolo
Autrici -
Un salutone da
me e Lisa (autrice del banner, per altro u.u) che vi proponiamo questa
nuova storia. Ci abbiamo lavorato sopra parecchio e speriamo vi possa
interessare: trattandosi di un'epoca di cui si conosce poco, molte cose
saranno elaborae secondo il nostro gusto e cercando di non uscire
troppo dal canon.
I due figli di
Salazar sono inventati da noi e speriamo che possano in qualche modo
interessarvi ^__^ se avete tempo e voglia fateci sapere, grazie per
avere letto intanto :D
|
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Capitolo 2 *** Capitolo I - Bloem ***
capitolo 1 - i semi della grandezza
Capitolo I - Bloem
Pioveva. La
pioggia si frantumava contro i vetri; era raro che piovesse in quel
modo, ma a Bloem piaceva molto più della solita densa nebbia
che
avvolgeva il castello: sembrava di essere in un altro mondo, lo stesso
castello al suo interno non era molto differente, ma a lei non
importava. Non vi era mai troppa luce nella stanza, tuttavia
gli
specchi rimandavano riflessi giocosi per tutto l'ambiente; la ragazza
osservava con aria critica il proprio profilo in sette parti. Sette
specchi la circondavano, levitando a qualche centimetro da terra e
spostandosi a ogni suo movimento.
Sì, l'immagine - anzi, le immagini - che vedeva
erano
proprio ciò che voleva vedere. Era sempre divertente per
Bloem
fare le prove davanti agli specchi prima della partenza per Hogwarts,
era un gioco iniziato da quando - per lei e suo fratello - si erano
aperte le porte di Hogwarts. Non che fosse un gran problema, quello,
non per lei e Eskil: come figli di uno dei Fondatori -
anzi, del
Fondatore, quello più potente di tutti - era quasi ovvio che
loro due avrebbero frequentato la prestigiosa scuola di magia, i loro
poteri si erano sviluppati molto presto tanto che lei per prima non
ricordava di essere mai vissuta senza.
La sua stanza si trovava nel punto più alto della torre
più alta e aveva una struttura ovale, era particolarmente
ampia
e ogni giorno di un colore differente, a seconda del suo umore - o,
come diceva suo padre, dei suoi capricci; quel giorno era tutto di un
blu molto scuro e cupo, molto vicino al nero, in sintonia col tempo che
sbatteva fuori dalle finestre. Mosse la bacchetta con delicatezza,
quasi un cenno, e gli specchi divennero più cupi, senza
più la capacità di riflettere ciò che
vedevano;
con un altro leggero movimento, le numerosi vesti da strega attorno a
lei si mossero, rimettendosi in ordine e finendo di nuovo all'interno
dell'armadio come se non ne fossero mai uscite.
Se la sua piccola sfilata solitaria era divertente, lo era di meno
preparare i bagagli: non ci voleva niente servendosi della magia,
chiaro, ma a Bloem non piaceva comunque perdere del tempo in quel modo,
non quando aveva cose più divertenti da fare.
"E quali? Qui è tutto una noia" sbottò la
ragazza,
lasciandosi ricadere sul letto di schiena, sprofondando nel materasso
di piume con gli occhi chiusi. Era un bene che ricominciassero le
lezioni, almeno avrebbe avuto qualche distrazione dalla noia che
aleggiava all'interno del castello e poi a lei piaceva molto apprendere
cose nuove, era la sola cosa che la interessava. La magia era bella,
compativa proprio chi non poteva usarla non possedendola, o chi non ne
era in grado; inoltre una volta a scuola, Bloem sapeva che avrebbe
goduto di maggiore libertà in quanto non sarebbe stata
controllata così strettamente come a casa. Sette mesi a dare
ordini ai suoi fedeli e devoti schiavetti e ad ascoltare gli
insegnamenti dei Fondatori; era rimasta sorpresa quando, la primissima
volta aveva messo piede nella scuola che era stata fondata da circa
vent'anni, che erano gli stessi maghi fondatori ad avere il compito di
educare gli studenti. Bloem e Eskil sicuramente passavano molto
più tempo col padre durante quei mesi che nei cinque di
riposo,
lì al maniero di Slytherin. Allo stesso tempo passavano del
tempo anche sotto la guida degli altri tre; a Bloem non interessava
granché, tuttavia in quel modo aveva imparato a non
sottovalutare nessuno di loro in quanto erano tutti e quattro molto
forti.
Ma non come noi. Lei
e suo
fratello forse non erano ai livelli del loro padre, tuttavia il loro
era un trio sicuramente infallibile; era lui per primo a dirlo in
continuazione ed era sicuramente vero, anche a scuola nessuno poteva
superare lei e Eskil, in nessuna materia.
Venne distratta dal bussare alla sua porta e lei alzò gli
occhi
al cielo, se qualcuno bussava era perché non era nessuno che
poteva permettersi di entrare senza farlo. Ovvero era una
nullità, quasi sicuramente un servitore.
"Avanti" invitò la ragazza dopo essersi rimessa in piedi e
aver
controllato che l'abito e i capelli fossero a posto: aveva lasciato la
chioma semplicemente sciolta, senza acconciature elaborate, cosa che
aveva smesso di fare a dodici anni, entrando a Hogwarts e scoprendo
inaspettatamente che era molto più comodo tenerli a quel
modo.
Le iridi azzurre di Bloem si posarono sulla figura che aveva appena
varcato la porta e si trattenne dal pronunciare qualunque parola:
proprio come aveva immaginato non era nessuno di importante, eppure in
qualche modo aveva immaginato che si trattava di lei. Alyssa era
diventata più alta di lei in quegli ultimi anni, ma questo
non
le impediva di tremare ogni volta che incontrava lo sguardo criptico di
Bloem; la strega aveva fluenti capelli rossi e sicuramente un bel
visino attraente, ma a giudizio di Bloem... be’, era tutto
lì.
Non ricordava neanche di chi fosse figlia, lei sapeva solo che era
stato un amico di suo padre Salazar, il quale ai tempi aveva avuto
un'avventura con una delle loro serve, finita sicuramente in un niente
in quanto la bambina era rimasta lì ed era cresciuta assieme
a
lei e a suo fratello. Possedeva il dono della magia, certo, ma non era
in grado di usare una bacchetta, né forse le importava
perché sembrava contenta così com'era, adesso che
era
diventata grande ed era una servetta.
Le labbra di Bloem si incurvarono all'insù in un sorriso
perfido
e dolciastro, che l'altra non sapeva capire: aveva visto che portava
tra le braccia il bucato.
"Alyssa, tesoro! Cominciavo a sentire la tua mancanza, non mi fai
più visita tanto spesso" disse la strega con voce flautata,
anche se a lei in verità non mancava affatto. La ragazza non
le
era certo antipatica, solo che era... stupida, e fin troppo ingenua per
essere una compagnia interessante per lei, che preferiva piuttosto i
cadaveri di Eskil a persone come Alyssa. La osservò un
attimo:
aveva una veste molto semplice di un azzurro particolarmente sbiadito,
in alcuni punti strappata e rattoppata goffamente con un
incantesimo. Un disastro, secondo lei.
La vide avanzare cautamente con quel sorriso tremolante che lei
faticava a tollerare, tipico di chi cerca un'approvazione.
"Vi ho portato le ultime vesti pulite per la scuola, milady". La voce
di Alyssa era dolce come miele e altrettanto stucchevole per lei,
tuttavia Bloem le sorrise più ampiamente, come a dirle che
andava tutto bene. Be’, era anche vero, non aveva fatto
niente di
sbagliato, era il suo lavoro quello.
"Sei stata proprio gentile, cara, appoggiale pure lì" le
disse
indicandole un mobile dove vi erano ammucchiati altri abiti che poi
avrebbe infilato tra i bagagli prima di partire, "e ricordati di
portare a mio fratello le sue, sai quanto gli fa piacere che sia tu a
occuparti di lui e delle sue cose".
Centro. Bloem vide Alyssa arrossire vistosamente e abbassare pure la
testa, piena di imbarazzo; sicuramente non si aspettava che lei ne
parlasse, ma non c'era nulla che Bloem non sapesse di suo fratello.
Specialmente se si trattava delle sue conquiste: era palese che Alyssa
fosse venuta prima da lei, sapeva che poi andando da suo fratello si
sarebbe pure trattenuta un po' di tempo. Chissà cosa ci trova
di tanto interessante...
Bloem proprio non riusciva a capire come mai suo fratello, l'erede
diretto di lord Slytherin e mago potente e creativo, potesse trovare
anche solo passabile una strega così poco interessante come
Alyssa; non era una sciocca, sapeva perfettamente che da quando Eskil
aveva scoperto come divertirsi con le donne a letto, non passava
sicuramente giorno o notte in cui non ci portava la rossa strega. Ma
Bloem non ignorava che erano già un paio di anni che le
rimaneva
costantemente incollato, come se lei fosse un uccellino raro da
proteggere; sorrise pensando che comunque nonostante tutto, Eskil non
impediva mai a sua sorella di divertirsi un po' a torturare Alyssa.
Non le faceva certo male, Bloem era più interessata a
deriderla
in modo indiretto, consapevole che la ragazza voleva piacerle, voleva
essere accettata perché, forse, credeva che avrebbe potuto
poi
sposare suo fratello? Questo non lo sapeva. Mai. Passerai sul mio cadavere
prima che io consenta a Eskil di ridicolizzarsi sposando una tale
nullità.
Bloem sapeva che pure il padre non avrebbe mai permesso
ciò, anche se Eskil poteva sicuramente divertirsi quanto
voleva,
persino se per caso avesse preso moglie.
"Su, vieni cara, ti sistemiamo un po', ti va? Ormai sei di famiglia,
non devi vergognarti, anzi io ti sono proprio grata se rendi felice il
mio amato fratello" le disse Bloem, sempre in tono flautato,
accarezzandole una guancia, sentendola bagnata da una lacrima sfuggita
chissà in quale istante. Ecco, quello era un gioco
divertente:
non sarebbe stata la prima volta che vestiva e pettinava la ragazza
prima che vedesse suo fratello, era un po' come avere una bambola a
grandezza naturale e a lei piaceva giocare con le bambole, anche dopo
tanti anni. Ne possedeva molte, una collezione magica e rara, erano
tutte stupende ovviamente, poi le piaceva vedere come trasformare
quell'insipida strega in un... non in qualcosa di bello, ma certamente
più attraente di quello che in realtà era. Un
semplice
cambio di colore dell'abito, una pettinatura più curata e
suo
fratello impazziva letteralmente; Bloem non aveva mai esagerato, in
fondo se a Eskil piaceva quel genere di strega, non serviva fare
cambiamenti.
Ci mise meno di due minuti, poi, osservando con aria critica il colore
del vestito, posò semplicemente un dito su una delle maniche
e
questo divenne di uno splendente verde smeraldo, bello come se fosse
stato incantato da una sarta esperta.
"Vai, cara, e divertiti" le disse, congedandola in quel modo, ancora
con il suo sorriso compiaciuto sul volto. Se mai fosse toccato anche a
lei un giorno trovarsi uno svago tra le coperte, mai avrebbe scelto
qualcuno di tanto insipido: o si sarebbe trattato di un uomo degno di
quel nome, oppure niente. A malapena sentì il ringraziamento
da
parte di Alyssa, in compenso quando venne abbracciata, si rese conto
che sulla rossa poteva sentire chiaramente l'odore di suo fratello.
Sapeva chissà come di morte.
Un boato scosse l'intero castello e Bloem aprì gli occhi,
infastidita all'idea che qualcosa avesse osato infrangere il suo
riposo; quando voleva essere lasciata tranquilla - come in quel momento
- si serviva dell'incantesimo tacitante affinché nulla
potesse
destarla anche solo per sbaglio ed era questo a renderla poco
collaborativa. Qualunque cosa fosse accaduta, era riuscita a spezzarlo
con una violenza tale che poteva quasi percepire addosso a
sé
una sensazione dolorosa. Si alzò rapida,
constatando
comunque che la struttura del castello era rimasta intatta: ovvio, un
banale botto non poteva certo farla crollare, neanche potente come
quello. Infilò in fretta il mantello che aveva lasciato sul
mobile poco prima e, armata di bacchetta, uscì in fretta,
scendendo la scala a chiocciola che portava alla sua stanza come se non
muovesse i piedi tanta era la rapidità. Nonostante non
sembrasse, la ragazza sentiva che era accaduto qualcosa e non sapeva
dove fosse suo padre; certo poteva anche provenire da lui quel rumore,
ma era quasi un delitto pensarlo. Quando Salazar Slytherin faceva
qualcosa - incantesimi o esperimenti - di certo non produceva quel
tremendo baccano.
Eskil.
Indubbiamente si trattava di lui.
Bloem trovò il caos al piano terra dove i servi stavano
correndo
qua e là, inciampando gli uni nei piedi degli altri e gli
oggetti volavano ovunque.
"Cosa sta succedendo? Non siamo mica in mezzo ai Babbani". La sua voce
pregna di raggelante disprezzo parve bloccare tutto perché
il
silenzio tornò all'istante; tutti la guardavano, o forse i
loro
sguardi erano fissi sulla lunga bacchetta che teneva quasi per caso tra
le dita. La strega captò uno dei servi con lo sguardo fisso
sulla porta che portava ai sotterranei; Bloem inarcò le
sopracciglia con sorpresa, era quasi convinta che il boato arrivasse
dalla cucina, in cui lei mai aveva portato i suoi nobili piedini - e
anzi, aveva faticato quando era piccola, a capire a cosa servisse un
luogo del genere finché non aveva compreso che aveva a che
fare
solo con i servi.
Senza pensarci troppo, imboccò quella direzione senza
chiedere
altro: i sotterranei erano proibiti a chiunque e, anche se avessero
voluto entrarci estranei a parte loro tre Slytherin, sarebbe
sicuramente accaduto qualcosa di spiacevole.
Cosa stava combinando suo fratello laggiù? Poteva percepire
la
sua presenza, se c'erano guai nelle vicinanze, doveva certamente
trattarsi di lui senza alcun dubbio. Che fosse il risultato di un
esperimento fallito ne vide la prova da subito: c'era del fumo
verdastro che impediva la vista quasi quanto la nebbia che circondava
il loro castello, e aleggiava l'odore della morte.
Bloem aveva già visto morire delle persone nei suoi quasi
diciassette anni di vita e la cosa la turbava relativamente, ma quella
sensazione era in qualche modo dolorosa. Poteva effettivamente
trattarsi di suo fratello? No, non può essere tanto pazzo da
rischiare di fare un esperimento che lo condurrebbe alla morte... O
invece sì? Suo fratello era forte indubbiamente, aveva quel
sottile gusto dell’orrido che aveva sicuramente ereditato dal
loro genitore, ma a differenza di Salazar, Eskil non valutava i rischi
e neppure percepiva il pericolo, al contrario di lei che lo avvertiva
in modo quasi fisico. Voleva il risultato e le conseguenze dei suoi
disastri poi venivano coperte da altri, ovvero da lei o dal padre.
Quando arrivò le parve di stare al centro di un campo di
battaglia improvvisato: in quella particolare ala dei sotterranei vi
erano parecchi calderoni, tutti pronti per esperimenti, e lei sapeva
che Eskil stava provando alcune pozioni di sua invenzioni per
sconfiggere la morte. A lui piaceva la negromanzia, ne era
sinistramente affascinato, voleva scoprirne i poteri, ma lei sapeva
anche che aveva abbandonato quelle ricerche per concentrarsi di
più su un incantesimo. Fin dove si fosse spinto,
però,
non ne aveva idea.
C'erano corpi ovunque per terra, irriconoscibili per lei tranne per una
chioma rossa che sbucava quasi per caso. Alyssa. A Bloem non importava
proprio niente di lei, ma il suo volto si contrasse ugualmente in una
smorfia quando le passò accanto. Cosa diavolo era accaduto?
Inoltre la sua presenza indicava che suo fratello era lì
–
non immaginava altre ragioni per cui Alyssa avrebbe dovuto spingersi
nei sotterranei – e la cosa non le piaceva neppure un po'.
Sapeva che i morti non costituivano assolutamente alcun pericolo,
tuttavia la presenza di tutti quei cadaveri destò in lei una
certa impressione. Riuscendo a farsi largo riconobbe Eskil in un
angolo. Sentì quasi il cuore fermarsi vedendolo disteso a
terra,
salvo poi sentirsi infinitamente meglio vedendo che cercava di
muoversi; era indubbiamente ferito, lo poteva vedere, ma non era niente
di che secondo lei, qualunque ferita si poteva sanare, che problema
c'era?
"Andiamo, vieni... sciocco che non sei altro!" lo rimproverò
Bloem senza però perdere tempo e cercando di aiutarlo ad
alzarsi; niente, era probabilmente troppo stremato per riuscirci da
solo. Agitò la bacchetta, ma fu costretta a lasciarla
ricadere
per la sorpresa: qualcosa le aveva toccato un braccio, dita putrefatte
e gelide. La strega si voltò di scatto, gli occhi sbarrati
che
puntavano nella direzione in cui un arto ricoperto di pelle grigiastra
si muoveva, come in preda a degli spasmi. Per la prima volta, Bloem si
lasciò sfuggire un urlo terrorizzato. Quel braccio
apparteneva a
uno dei cadaveri riversi sul pavimento; come poteva un qualcosa di
inanimato agitarsi a quel modo? Poi, di colpo, fu avvolto dal fuoco,
svanendo in una nube di cenere, lasciandola ricadere a terra, ancora
spaventata.
Per un momento pensò di avere fatto una magia senza
accorgersene: era vero che con le dita poteva far cambiare colore a
cose o persone, ma creare delle fiamme dal nulla? Non appena mise a
fuoco la situazione, si rese conto che non si trovava più in
quel sotterraneo e davanti a lei c'era suo padre, con l'espressione
più infastidita che preoccupata.
"Non hai niente, rimettilo in sesto visto che ne sei capace", disse
scoccando un’occhiata intensa a Eskil sempre asciutto e
imperturbabile. La strega annuì, senza neanche riuscire a
chiedere in che modo fossero usciti da lì: si rese conto che
si
trovavano nell'ala ovest del castello. Si alzò dalla
poltrona su
cui doveva essere stata appoggiata e si mosse verso suo fratello, il
più rapidamente possibile, per aiutarlo.
Erano passati due giorni e Bloem poteva sentirsi più
tranquilla
ora che erano arrivati a Hogwarts; era letteralmente esausta dopo aver
trascorso il suo tempo a rimettere in piedi Eskil e, soprattutto, a
provare a ricucire quello che sembrava essere un cuore spezzato. Se per
lei la tragica fine di Alyssa non aveva causato alcun problema, lo
stesso non si poteva dire di suo fratello che aveva inaspettatamente -
per lei, ovvio - mostrato un profondo dolore per quella perdita da lui
stesso causata, implicitamente affermando così di non avere
considerato la ragazza solo come un giocattolo.
Bloem era molto sorpresa da ciò, ma per una volta
non
aveva fatto commenti cinici, limitandosi a stare vicina a suo fratello
per impedirgli di cadere in un eventuale irrecuperabile malumore. In
fondo aveva lei, perché mai sentirsi tanto triste? Era una
cosa
che non poteva capire appieno; era stato molto più facile
curare
le ferite fisiche visto che per farlo aveva attinto ai preziosi
insegnamenti di lady Hufflepuff, appresi durante i mesi precedenti.
Alla strega piaceva la guarigione: in netto contrasto con la sua natura
un po' volubile e capricciosa, oltre che egoista, trovava di suo gusto
curare la gente e aveva stabilito di chiedere alla fine di quei mesi,
di poter seguire la Fondatrice per apprendere ancora di più.
A
suo padre ancora non l'aveva detto, non c'era però un
motivo,
voleva che fosse una sorpresa.
Strinse la mano di suo fratello mentre varcavano la soglia di ingresso
al castello, ma non disse niente. Era sicura che si sarebbe ripreso.
Doveva solo vigilare che non riprendesse i suoi esperimenti: ora che
era stato vicino alla creazione dei morti viventi, non era il caso che
lo facesse anche a scuola seminando il terrore. E troppe domande.
Angolo Autrici _
Ciao di nuovo a tutti con queso secondo
capitolo :D
è necessario specificare che i particolari poteri di Bloem
ed
Eskil hanno una ragione - per ora ignotta a tutti, a loro stessi
compresi e pure a voi u.u - ma noi speriamo che possano piacervi
Questa volta vedete le cose con gli occhi della più giovane,
Bloem, che è decisamente un tipo paricolare come potete
vedere XD
non l'abbiamo specificato a parole, ma dal prologo sono trascorsi ormai
quattro anni e si avvia a essere l'ultimo di studi a Hogwarts per i due
fratelli. Non c'è un'età precisa per entrare, in
contrasto con la storia canonica, in quanto essendo nel Medioevo, si
può dire che le cose sono molto differenti e lo reputiamo
anche
normale ^^
qualunque commento comunque ci farà molto piacere, grazie
anche a chi legge soltanto^^
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Capitolo 3 *** Capitolo II - Eskil ***
I semi della grandezza
di
Violet e Enide
Capitolo II – Eskil
I maghi e le
streghe che seguivano le lezioni di Pozioni si incamminarono
ordinatamente al seguito di lady Hufflepuff, che agitò le
dita inanellate in aria, come a far loro cenno di affrettare il passo.
Quel giorno, i lunghi capelli ramati della strega erano trattenuti da
una pratica retina dorata, ma alcune ciocche erano sfuggite e a ogni
passo si agitavano scompostamente intorno all’ovale del suo
viso.
Eskil
obbedì a quel muto cenno, accelerando appena lungo
l’esteso corridoio di pietra, le cui strette finestrelle si
aprivano sul parco sottostante, illuminato dal sole. Anche se non aveva
certo la necessità di seguire lady Hufflepuff per
raggiungere senza intoppi l’aula di Pozioni: erano cinque
anni che percorreva quel corridoio.
Gli allievi dell’ultimo anno erano un gruppo piuttosto folto
che vociava man mano che si avvicinava al piano più basso
del castello. Le giornate là fuori si erano allungate e
intiepidite, e nessuno aveva particolare voglia di restare chiuso
all’interno. Non Eskil: gli abbacinanti raggi solari lo
lasciavano piuttosto indifferente. Da sempre infatti non era quel
genere di ragazzo che inforcava un manico di scopa e provava piacere a
librarsi in aria lanciando una palla di cuoio rosso, né che
si divertiva ad accompagnare lord Gryffindor a caccia nella Foresta
Proibita. Sostare in prossimità del Lago Nero, magari con un
rotolo di pergamena aperto in grembo, era
un’attività più in linea con le sue
inclinazioni, ma alla stessa lettura poteva dedicarsi anche
all’interno del castello, e magari lì poteva
sperare di non essere interrotto da nessuno.
Eskil non
amava i maghi e le streghe che frequentavano Hogwarts, nemmeno quando
si trattava di appartenenti a famiglie nobili come la sua o quando
avevano un potenziale magico degno di nota. Le attività che
il figlio di lord Slytherin preferiva potevano essere svolte
perlopiù in solitaria, e l’unica persona con la
quale si sentiva di condividerle era sua sorella Bloem.
Da che Eskil ne aveva memoria, non c’era stato istante che i
due non avessero vissuto a stretto contatto. Così simili da
sembrare quasi gemelli – nonostante tra i due intercorressero
due anni di differenza –, erano identici anche
nell’anima, tant’è che solo con lei suo
fratello si sentiva di aprirsi e confidarsi.
Se non fosse
stato per Bloem, non avrebbe mai parlato con anima viva di
ciò che era accaduto qualche mese prima, al maniero
Slytherin. Eskil aveva ancora gli incubi la notte.
Alyssa era
così dolce, si ripeteva. Gli piaceva. Lei non era Bloem,
certo, né il loro rapporto era paragonabile a quello dei due
fratelli. Ma la rossa servetta era così gentile e remissiva,
sempre pronta ad ascoltarlo e a cingerlo con le sue braccia candide,
che il mago si era sentito comunque legato a lei. Le era sinceramente
affezionato, ed era per quella ragione che l’aveva condotta
nei sotterranei quel giorno. Era convinto di essere sul punto di
scoprire qualcosa di rivoluzionario, qualcosa in grado di cambiare il
destino del mondo e degli uomini; proprio lui, Eskil Slytherin, si
sarebbe dimostrato perfino più grande di suo padre, in
quanto aveva capito come sconfiggere la morte. Aveva pensato che Alyssa
avrebbe potuto assistere al suo grande trionfo, che lo avrebbe ammirato
di più, che avrebbe potuto amarlo per quello.
“Vieni con me”, le aveva detto prendendole la mano.
E lei aveva sorriso, facendosi guidare da lui, come sempre.
Ma qualcosa era andato storto. Eskil non aveva sconfitto la morte, e il
suo esperimento aveva avuto il solo risultato di rimbalzargli contro,
colpendo Alyssa e uccidendola. L’unica persona al di fuori
della sua famiglia a cui il ragazzo si era legato.
Aveva fallito
e il suo fallimento era costato la vita a un’innocente. I
cadaveri che aveva portato nel sotterraneo erano rimasti a terra; solo
gli arti di qualcuno avevano levitato, ma non erano affatto vivi, e ora
tra di essi ce ne era uno in più, con i capelli rossi e gli
occhi sgranati dall’orrore.
Erano
trascorsi mesi, ma ancora Eskil faticava a realizzare ciò
che era accaduto. Il fallimento e il senso di perdita si mescolavano in
lui; a un tratto era giunto finanche al punto di dire a Bloem che era
colpa sua se Alyssa era morta, che invece sarebbe dovuto toccare a lui.
Dallo sguardo fiammeggiante che la ragazza gli aveva rivolto, Eskil
aveva creduto che fosse stata sul punto di schiaffeggiarlo. Ma alla
fine lo aveva stretto a sé, e lui aveva premuto il suo viso
contro la spalla della sorella, soffocando i singhiozzi sulla sua pelle.
“Eskil, ci sei?”
Bloem lo
fissava con un certo cipiglio, l’indice picchiettava
impaziente contro il bordo di peltro del calderone. Immerso
com’era nei suoi pensieri, il mago aveva a malapena
realizzato che erano giunti nell’aula di Pozioni e la lezione
era già iniziata.
La voce di
Helga Hufflepuff stava dando le ultime raccomandazioni sulla
preparazione della Pozione Restringente e Bloem aveva impugnato un
coltello dalla lama ricurva.
“Coraggio,
sbuccia il Grinzafico” ordinò, passando lo
strumento di lavoro al fratello.
Inspirando,
Eskil si costrinse a tornare al presente e a concentrarsi sul decotto:
dovevano fare un buon lavoro, come sempre, o i Fondatori – e
in particolare il loro padre – sarebbero stati scontenti di
loro. Così prese il Grinzafico e iniziò ad
affettarlo con attenzione sul tagliere di legno, mentre Bloem tritava
le radici di margherita. Erano soliti lavorare insieme, ormai erano
così collaudati che non avevano quasi bisogno di parlare. Ma
quella volta, la ragazza disse qualcosa.
“Stai
pensando ancora a quella cosa?” gli disse allusiva, con tono
quasi seccato. Eskil non ebbe bisogno di chiederle a cosa si riferisse.
Quando era accaduto l’incidente, né Bloem
né Salazar si erano mostrati particolarmente turbati.
Evidentemente per loro Alyssa non contava poi tanto, o comunque
ciò che importava era più che altro che Eskil e
la sua reputazione fossero rimasti illesi. Così lord
Slytherin aveva fatto sparire i cadaveri – tutti –
prima che qualcuno potesse emettere anche un solo fiato, e per lui la
faccenda era conclusa.
Non aveva
detto nulla neppure sugli esperimenti del figlio, quando nessun mago
per bene – o almeno così li avrebbe chiamati lord
Gryffindor – avrebbe anche solo pensato di sovvertire le
leggi della vita e della morte.
“No”
mentì, mentre gettava le fette di Grinzafico nel calderone e
iniziava a mescolare. Ma nel momento stesso in cui la voce gli
uscì dalle labbra, tremula, si rese conto che Bloem non gli
avrebbe creduto. Lo conosceva così bene che non le serviva
usare la Legilimanzia con lui. Quindi il ragazzo sapeva che avrebbe
comunque dovuto dire qualcosa per giustificare i suoi momenti di
assenza, così si strinse nelle spalle.
“Ho
ripreso a lavorare a certe cose. A quegli esperimenti.”
Ed era anche vero. Dopo che Alyssa era morta, Eskil non aveva
più voluto avere niente a che fare con i suoi progetti;
aveva lasciato che suo padre si occupasse di tutto e, per quanto lo
riguardava, Salazar aveva anche potuto gettare i suoi appunti. Ma
così non era stato, anzi il Fondatore aveva disposto che
venissero inseriti nel bagaglio di suo figlio, così Eskil li
aveva ritrovati una volta arrivato a Hogwarts. Per mesi li aveva
lasciati chiusi nel baule, preferendo non pensarci, ma ultimamente
qualcosa lo aveva spinto ad afferrare nuovamente quei fogli di
pergamena e a riprendere i suoi studi.
Non sapeva
come Bloem avrebbe preso la notizia, ma il modo in cui strinse le
labbra e aggrottò appena la fronte chiariva diversi dubbi.
Rimase a
mescolare la pozione senza parlare, volgendo le spalle al fratello.
Poi, dopo un po’, disse:
“Non
è saggio fare certe cose a scuola.” Sembrava che
sull’argomento non avesse altre osservazioni.
“Non
preoccuparti” replicò Eskil, aggiungendo la milza
di ratto al decotto. “Non li faccio certo nell’aula
di Pozioni.”
In quel
momento, lady Hufflepuff iniziò a vagare tra i calderoni per
osservare il lavoro dei suoi allievi, e non fu più possibile
parlare oltre. Ma Eskil continuava a rivolgere lo sguardo in direzione
di sua sorella, che si tormentava il labbro inferiore con i denti, e
non perché era assorta nella preparazione della pozione,
quello era evidente. Bloem era preoccupata.
Il mago
avrebbe voluto rassicurarla in qualche modo – pur non sapendo
bene come: era consapevole dei rischi nascosti dietro quegli
esperimenti; l’ultima volta Alyssa era morta – ma
non fu possibile. Lady Helga si fermò di fronte al loro
calderone e imbottigliò un campione della loro pozione, come
aveva fatto con gli altri. Bloem sollevò lo sguardo su di
lei e le rivolse un sorriso, ma la fondatrice non poté
ricambiare come al suo solido, perché qualcosa
attirò la sua attenzione. Un calderone all’angolo
opposto dell’aula emetteva fiotti di denso fumo acre e lo
studente autore di quel disastro tossiva e si lamentava copiosamente.
“Cosa è successo?” chiese lady
Hufflepuff mentre il poverino infilava una serie di parole senza senso.
Con uno svolazzo di bacchetta fece sparire il fumo e la pozione
sbagliata, dopodiché accomiatò il resto della
classe dicendo che avrebbe accompagnato personalmente lo sventurato
ragazzo in infermeria, dove sua figlia Lys lo avrebbe medicato.
Nemmeno
usciti dall’aula di Pozioni fu possibile riaprire
l’argomento non-morti: gli altri studenti si erano accalcati
intorno a loro ed era tutto un vociare sull’ultimo incidente.
Tuttavia Eskil seguitò a occhieggiare Bloem, la cui aria
ansiosa si era smorzata solo un po’. Non potendo parlare
più esplicitamente, si limitò a stringerle la
mano.
Alcuni
aspiranti stregoni iniziarono a sciamare fuori dal castello diretti
verso la Foresta Proibita, sul limitare della quale li aspettava lord
Gryffindor per due ore di Cura delle Creature Magiche, mentre Eskil,
Bloem e qualcun altro si recavano al quarto piano per una lezione di
Aritmanzia.
Tutto il
pomeriggio proseguì in quel modo; gli insegnanti
pretendevano molto perché la data della fine della scuola si
stava avvicinando a grandi passi e, con essa, la cerimonia delle
investiture, che avrebbe segnato la fine degli studi e il passaggio a
una nuova fase delle loro vite. Tutti gli studenti di Hogwarts
aspettavano con ansia quel momento in cui gli sforzi di cinque anni di
apprendimento sarebbero stati coronati, e nell’attesa si
impegnavano al massimo delle loro forze, spronati dai loro maestri. Per
i più, la cerimonia delle investiture era un mito, quasi una
leggenda, e l’unico che poteva raccontare loro qualcosa al
riguardo, essendoci già passato, era Augustus,
l’attendente dei Fondatori a Hogwarts.
A fine giornata, Eskil iniziava a sentire la testa pesante. Le lezioni
erano state numerose e impegnative, poi si era occupato dei compiti
assegnati – aveva dovuto scrivere un tema sulla pozione di
quella mattina per lady Helga, tradurre delle rune per lady Rowena e
imparare una lezione di Storia della Magia per suo padre – ma
ancora la giornata non era terminata. L’appuntamento con lady
Ravenclaw alla torre di Astronomia era per mezzanotte, per due ore di
osservazione delle stelle.
Lasciando il
dormitorio maschile insieme ai suoi compagni, Eskil
sbadigliò rumorosamente, poi a metà strada si
congiunsero al gruppo di studentesse che proveniva dal dormitorio
femminile e, tutti insieme, iniziarono a salire le scale. Persero una
manciata di minuti quando una rampa si mostrò riluttante a
spostarsi nella loro direzione per consentirgli di salire i gradini, ma
riuscirono a riprendere il cammino piuttosto in fretta.
Alzarsi nel
cuore della notte per andare a lezione di Astronomia non era spiacevole
come d’inverno, quando il castello era gelido e lasciare il
tepore del giaciglio sembrava una tortura; tuttavia Eskil avrebbe
preferito di gran lunga restare a dormire. Metteva un piede davanti
all’altro in attesa di svegliarsi abbastanza da riuscire ad
ascoltare con attenzione la lezione della Fondatrice, e a quanto pareva
gli altri studenti condividevano il suo umore perché la
scolaresca era piuttosto silenziosa.
Iniziò
così piano che dapprima nessuno se ne accorse: un rumore
strano, come lo sfrigolare di un pezzo di carne sul fuoco. Gli studenti
si arrestarono, uno dopo l’altro, tendendo
l’orecchio. Howarts non era certo un castello silenzioso, tra
Pix e le altre creature che lo visitavano, ma né Eskil
né gli altri avevano mai ascoltato un rumore simile.
Questo crebbe
di intensità, finché all’improvviso non
risuonò una serie di scoppi e il pavimento tremò
sotto i piedi dei ragazzi. Si trattò di una serie di scosse
che costrinsero Eskil ad appoggiarsi a una parete per non cadere, ma
poi quando queste cessarono tutto tornò silenzioso.
“Cosa è stato?” iniziò a
domandare qualcuno quando sembrò che, di qualsiasi cosa si
fosse trattato, fosse passato. “Dovremmo chiamare
qualcuno”, “Dov’è lady
Ravenclaw?”
Eskil
cercò lo sguardo di Bloem, che si trovava lì
vicino e teneva i piedi puntati al suolo come se temesse di essere
gettata a terra da un’altra scossa. Le andò
incontro, le prese la mano, ma non fece in tempo a dirle
alcunché che tutto iniziò a tremare di nuovo e il
corridoio venne invaso da una nube bianca. Eskil venne gettato a terra,
impattando con i palmi delle mani contro il pavimento; quando si
voltò tra le urla per capire cosa era accaduto, si accorse
che la parete era esplosa e ora il corridoio dell’ultimo
piano si affacciava direttamente sul nero della notte.
Gli occhi
sbarrati del mago erano rivolti verso il vuoto, nelle sue orecchie
risuonavano ancora gli strilli terrorizzati dei suoi coetanei. Non
aveva alcuna idea di cosa stesse accadendo, ma al momento la
priorità era una sola: Bloem. Eskil stringeva ancora la sua
mano così forte che le dita erano sbiancate, ma per il resto
sembrava stare bene. Tuttavia sul suo viso era dipinto lo stesso
sgomento che deformava i lineamenti degli altri.
Un’ondata
di detriti ingombrava il pavimento di pietra del corridoio,
l’aria pungente della notte spazzò via le nubi di
polvere. Poi, tutt’a un tratto, un braccio enorme si
intrufolò dall’apertura nel muro, gettando a terra
alcuni studenti, afferrando una strega e trascinandola nel buio. Tutti
gli altri urlarono; anche Eskil schiuse le labbra, ma non ne
uscì alcun suono. Alcuni ragazzi si gettarono in avanti nel
tentativo di afferrare la compagna; le sue dita artigliarono per
qualche istante il pavimento in cerca di un appiglio, poi la creatura
– evidentemente un Gigante – iniziò a
sbatterla contro la pietra squarciata come se fosse una marionetta.
Infine la abbandonò lì, inerte al suolo, come un
giocattolo ormai rovinato.
Un silenzio
irreale invase il corridoio a quella vista, congelando ogni mago o
strega al suo posto, gli occhi sgranati dall’orrore. Con un
secondo di ritardo, Eskil si accorse che Bloem gli aveva lasciato la
mano: tendeva gli arti davanti a sé e l’aria prese
la forma di un grosso serpente nero lucente. Nella quiete innaturale
risuonò il sibilo della ragazza, subito dopo il rettile
iniziò a serpeggiare sinuosamente tra i detriti, raggiunse
la giovane strega uccisa, poi, seguendo i comandi che Bloem gli
sussurrava in Serpentese, si diresse verso l’apertura nel
muro.
Immediatamente, da lì emersero delle creature umanoidi,
simili a donne senza tuttavia esserlo completamente, dalla pelle grigia
tirata sul teschio parzialmente coperto da lunghi capelli aggrovigliati
e dalle labbra bluastre. Pur non avendo mai incontrato Esseri del
genere, Eskil le riconobbe per quelle che erano: delle Megere. Ma non
erano sole: in mezzo a loro si ergeva un uomo dalla statura imponente,
il cranio completamente rasato e ricoperto di tatuaggi e le labbra
arricciate in un sogghigno velato dalla lunga barba bionda. Che si
trattasse di un mago fu presto evidente quando estrasse una lunga
bacchetta di legno scuro da sotto il mantello di pelli cucite insieme.
Per un lungo istante, Eskil ebbe la sensazione che lo sguardo
sfavillante del barbuto fosse fissato su Bloem; un attimo dopo questi
agitò la bacchetta, che eruttò scintille di
un’inquietante tinta viola. Eskil scattò in
avanti, convinto che la fattura avrebbe colpito sua sorella: tese le
mani, come per spingerla via, ma l’incantesimo
volò sulle loro teste e abbatté qualche studente
alle loro spalle. Altre urla si liberarono; alcuni ragazzi misero mano
alla bacchetta, altri semplicemente corsero via, terrorizzati, nel
disperato tentativo di mettersi in salvo.
Qualsiasi
cosa stesse accadendo, Eskil e Bloem sapevano che non potevano fuggire,
lasciando il castello alla mercé di quegli invasori.
Superato l’iniziale attimo di sgomento, iniziarono a
rispondere al fuoco di fatture delle Megere e del mago barbuto. I due
fratelli avevano lasciato le bacchette nei rispettivi dormitori,
convinti che non sarebbero servite per una banale lezione di
Astronomia; ciononostante potevano percepire il potere ereditato dal
padre che fluiva direttamente attraverso i loro corpo, generando scudi
protettivi e controincantesimi senza bisogno di particolari strumenti.
Ma l’avversario era davvero molto forte e la fronte di Eskil
venne ricoperta da una patina lucida a causa dello sforzo di
contrastarlo.
Probabilmente
era un azzardo, ma si accorse di non avere molte altre scelte. Strinse
i pugni e serrò gli occhi, concentrandosi; la sua voce
tremò appena quando pronunciò alcune parole di
sua invenzione. Poco dopo, nonostante la confusione che regnava nel
corridoio squarciato, la vide distintamente: la ragazza che il Gigante
aveva afferrato e ucciso puntò un palmo sul pavimento, poi
un gomito. Infine si alzò in piedi. Viva, o quasi.
Qualcun altro urlò, la creatura di Eskil afferrò
una Megera per il collo, sorprendentemente forte per essere un
cadavere. Poi ci fu un bagliore di luce accecante, il mago dovette
sollevare un braccio per schermarsi gli occhi. Una voce femminile
declamava incantesimi con la sua voce imperiosa, e lady Ravenclaw
comparve nel suo campo visivo.
“Lady
Rowena!” invocarono alcuni studenti, ma il suono delle loro
voci venne parzialmente coperto dai sibili e dai versi delle creature
condotte dal mago barbuto. Quando Eskil si voltò di nuovo
nella sua direzione, si accorse che lo stava fissando intensamente,
come prima aveva guardato Bloem. Lo sguardo dell’uomo rasato
fendeva la confusione che albergava in quel corridoio come una lama,
puntando inequivocabilmente su Eskil. Ma il ragazzo non perse tempo a
riflettere su quel dato; lasciò che un brivido gelido
scorresse sulla sua schiena, poi sollevò di nuovo i palmi,
questa volta per dare man forte a Lady Ravenclaw.
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Capitolo 4 *** Capitolo III - Godric ***
capitolo 1 - i semi della grandezza
Capitolo III - Godric
Godric fu l'ultimo dei quattro
Fondatori a varcare l'ingresso della sala degli affreschi, una
stanza ovale, di ampie dimensioni, situata in una delle torri di
Hogwarts; i muri dell'imponente stanza erano ricoperti da arazzi, tutti
rappresentanti scene di magie, ma il mago in quel momento non li
vedeva. Gli altri tre erano già arrivati: lui e Rowena si
erano occupati di rimettere in sesto i problemi più urgenti
causati dall'improvviso attacco, avevano ripristinato gli incantesimi e
sistemato le aree più pericolanti che richiedevano immediata
attenzione.
Helga aveva radunato tutti gli studenti e dopo un controllo, aveva
rispedito quelli senza ferite nel loro dormitorio; la donna si era
occupata anche di coordinare una piccola squadra per recuperare i corpi
delle vittime, tutti studenti più nuovi e inesperti, o che
erano incappati sulla strada del pericolo senza sapersi difendere.
Erano solo sette, aveva detto Salazar col suo solito modo di fare
untuoso; Godric aveva cercato di non perdere la calma per fargli notare
che erano comunque sette vite, che a lui importasse oppure no.
Ovviamente poteva anche andare peggio, ma se fossero riusciti ad agire
tutti loro subito, forse si sarebbero salvati tutti.
"Cosa sappiamo di questo nostro nemico?" si affrettò a
chiedere il mago, prendendo posto attorno al tavolo rotondo, trovando
la poltrona particolarmente invitante in quel momento per riprendere
parte delle energie. Anche i tre colleghi non avevano un aspetto
particolarmente ordinato, ma era anche normale. Di fronte a lui,
separato solo dal tavolo, c'era proprio Salzar, il più
disinteressato da quello che mostrava, ai lati erano invece sedute
Helga - con ancora la veste sporca di sangue e fango - e Rowena, anche
lei non al meglio. Tutti però perfettamente lucidi.
A prendere la parola fu proprio Salazar.
"Non molto se non che voleva radere al suolo la nostra scuola". La voce
del mago era la più bassa che Godric avesse mai sentito in
tutta la sua vita, eppure era probabilmente più efficace di
urla, cosa che sapeva dagli studenti: nessuno si azzardava mai a
sottovalutare Salazar e persino sugli adulti aveva un certo effetto.
Non su di lui, chiaramente, che non temeva per nulla né lui,
né i suoi oscuri segreti che non gli piacevano
neanche un po'; non era quello però il momento per esternare
simili osservazioni e nessuno contestò quello che Salazar
aveva appena detto. L'attacco che avevano subito dimostrava sicuramente
violenza, nessuno dei quattro ne dubitava.
Helga prese la parola: era la più giovane tra loro, aveva
poco più di trentacinque anni ed era sempre la prima a
mettersi in prima fila quando c'era da arrivare a soluzioni
più o meno drastiche, prediligendo sempre però il
dialogo.
"Sarebbe interessante scoprire la sua identità, da quello
che ho potuto capire dalle parole che i tuoi figli ti hanno riferito,
Salazar, probabilmente arriva da nord. Dovremmo essere in pace con
loro".
Godric alzò lo sguardo sul mago: considerando che erano
rimasti vivi solo i due figli di Salazar tra i presenti a
quell'attacco, era stato ovvio che ci pensasse lui a fare le domande di
rito a loro, eppure la cosa non gli piaceva. Il mago avrebbe anche
potuto tenere segreto qualcosa... tuttavia scacciò subito il
pensiero con un gesto, simile a chi voleva liberarsi di un fastidioso
insetto. Non lo farebbe, non avrebbe senso... Lui e Salazar erano molto
differenti su alcune cose, ma sapeva che ci teneva alla scuola, a che
pro tacere su qualcosa che avrebbe messo in pericolo tutti?
"Forse servirebbe accertarsene: se effettivamente arriva da nord,
allora abbiamo un problema."
A parlare era stata Rowena, lunghi capelli scuri e aspetto deciso, con
un carattere altrettanto forte... per quanto Godric non avrebbe
sottovalutato nessuno all'interno di quella stanza, neppure Helga con i
suoi modi miti poteva essere considerata debole o volubile. "E poi
qualora non lo aveste notato" proseguì la strega vestita in
blu, facendo levitare alcune pedine di uno strano e nuovo gioco
inventato da lei in persona e che chiamava scacchi o simile "... non lo
abbiamo neanche scalfito. Si è ritirato".
Vero. Godric non era stato presente in quanto era stata proprio Rowena
ad arrivare per prima in soccorso degli studenti, ma era la cosa
più evidente: non lo avevano ricacciato sconfiggendolo, il
nemico si era ritirato da solo dopo averli osservati e vaneggiato
minacce su una probabile vendetta su chi gli aveva nascosto la
verità. Ma chi? E perché?
I quattro cominciarono a discutere sulle precauzioni da prendere: a
grande sorpresa, fu proprio Salazar a suggerire che stipulassero
un'alleanza tra loro, di modo da essere preparati per un'eventuale
secondo attacco. Godric era un po' scettico riguardo a questa
prospettiva, dopotutto nel giro di pochissimi giorni Hogwarts sarebbe
rimasta deserta in quanto tutti gli studenti avrebbero fatto ritorno
alle rispettive case e famiglie, oppure avrebbero seguito i loro
Fondatori se desideravano approfondire gli insegnamenti.
Per quale ragione attaccare una scuola vuota?
Era una fonte di magia e sapere, su questo non poteva che concordare.
Il mago rimase immerso alcuni istanti nei propri pensieri, cercando di
arrivare a qualche soluzione. Non appena giunto al suo castello,
avrebbe potuto preparare i suoi studenti - quelli che lo seguivano
anche fuori dalle mura magiche della scuola - e addestrarli al meglio;
tutti sapevano che lui non disprezzava per nulla neppure gli
insegnamenti con le armi, nei casi in cui avrebbero potuto trovarsi in
difficoltà o impossibilitati a utilizzare la bacchetta e la
magia. Alcuni di questi erano anche a Hogwarts durante i sette mesi in
cui risiedevano li, ma la maggior parte rimaneva a Godric's Hollow
tutto l'anno.
Ne avrebbe parlato con Frederich una volta a casa; il suo giovane
attendente di certo ne sarebbe rimasto entusiasta, specie se gli avesse
affidato un compito importante.
Perso un momento nel suo filo di pensieri su come aiutare la protezione
della scuola e dei suoi studenti, non aveva prestato ascolto alle
ultime battute dei tre colleghi finché non capì
che potevano considerare concluso quell'incontro. Fece per alzarsi, ma
rimase sorpreso: Salazar aveva appena aperto bocca, sostenendo di avere
da discutere ancora qualcosa che riteneva importante, così
riprese posto. Strano che non lo avesse detto subito, a una sola
occhiata Godric capì che quello che il mago stava per dire
era qualcosa che lui considerava importante e capitale.
Ci fu solo qualche secondo di silenzio prima che Salzar parlasse.
"Come dicevamo, dobbiamo proteggere la scuola e gli studenti". Godric
si chiese dove volesse andare a parare quel discorso che a lui pareva
persino monotono e ripetitivo, erano tutte cose che avevano
già detto e stava per chiedergli di giungere al punto,
quando il collega lo guardò.
Era impossibile dire che cosa pensasse, gli sembrava quasi una sfida e
non abbassò lo sguardo. Non lo avrebbe mai fatto, quello no.
Subito dopo si chiese se avesse capito bene.
"Scusa? Vuoi darmi tua figlia in moglie?" Godric era incredulo e nulla
fece per mitigare nel tono quella sensazione: gli sembrava la cosa
più strana del mondo, che proprio colui che si considerava
suo nemico - seppur non in modo dichiarato visto che gestivano assieme
la scuola - volesse davvero fare una cosa del genere. "E a cosa serve
per l'alleanza?"
Era quello che voleva sapere: conosceva certamente la ragazza, anche in
virtù del fatto che frequentava la scuola ed era un'ottima
studentessa in tutte le materie che insegnava, ma a cosa gli sarebbe
servita? Lui non era in cerca di moglie, tanto meno una che potesse
essere anche solo lontanamente parente di Salazar, era una cosa
assurda.
Fu Rowena a parlare, inaspettatamente.
"Non è una cattiva idea, magari potrebbe servire a voi due
per smettere di battibeccare in continuazione: Hogwarts ha bisogno di
tutti noi, non di liti per motivi futili".
A Godric quasi andò il sangue alla testa: lottare per non
escludere i figli dei Babbani non era un motivo futile e per troppe
volte aveva sentito Salalzar disprezzarli, trattarli come se fossero
feccia. Certe cose non si potevano soprassedere, neanche volendo ed era
curioso che fosse stata proprio Rowena a parlare in quel modo, proprio
lei che avrebbe dovuto per contro sostenere lui.
"Per buona volontà." Salazar infine rispose dopo quello che
sembrava un tempo infinito, lasciandolo quasi di stucco; il mago si
affrettò a spiegare ciò che intendeva. "In fondo
hai visto tu stesso con quanta facilità questo nemico ha
colpito la scuola, quanto più siamo uniti, tanto minore
sarà il vantaggio che gli daremo. E poi" Salazar si
accarezzò distrattamente il mento con aria pensosa, o
così parve a Godric, "non ti sto offrendo qualcosa di
oscuro, bensì il bene più prezioso che io
possieda. Vorresti forse dire che non dobbiamo preoccuparci dei nostri
figli?"
Godric non si era neppure reso conto di essersi alzato. L'argomento
figli o matrimonio era qualcosa a cui lui non pensava da oltre un
decennio, da quando il vaiolo di drago si era portato via tutto
ciò a cui teneva; di rado aveva parlato in pubblico di
questo, aveva evitato la pietà altrui e riempito il proprio
tempo con altre cose. Sentire la frase di Salazar era proprio come
rigirare la lama in una ferita che non si era mai veramente
cicatrizzata, anche se la proposta continuava a sembrargli parecchio
strana.
"Inoltre - e credo che la nostra Helga possa confermarlo - non esiste
modo migliore per stringere un'alleanza del matrimonio. O vuoi dirmi
che non lo sapevi?" Godric percepì una nota sarcastica quasi
per nulla celata in quelle parole e gli venne voglia di far scomparire
quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia del mago, ma riuscì
a evitare di compiere una mossa azzardata pensando che era inutile
mettersi a litigare per i suoi modi.
Nessuno poteva obbligarlo ad accettare, questo era chiaro.
"Lo so anche io, ma non ne vedo proprio l'utilità; meglio
che tu la faccia stare con il suo innamorato, casomai ne avesse uno".
Godric non si occupava di eventuali pettegolezzi di quel genere,
però sapeva che la strega aveva indubbiamente
l'età per avere qualche pretendente, altrimenti non gli
sarebbe stata proposta; al mago non piaceva l'idea più che
altro perché arrivava proprio da chi cercava sempre di
ostacolarlo e l'idea che di colpo volesse diventare un amico... no, non
era affatto credibile.
Il mago liquidò il suo commento con un gesto annoiato della
mano.
"Non fai che lamentarti che ti sono ostile, Godric, ma a me sembra che
tu stia solo cercando delle scuse. Chiaramente io non ti
obbligherò certo ad accettare, e se ti preoccupa che io
voglia rifilarti merce difettosa, posso tranquillamente assicurarti che
ti ritroverai una moglie candida e pura come la neve che ci ha quasi
sommerso questo inverno".
Questa volta Godric non riuscì a controllare il suo
disappunto. Lui non aveva potuto vedere suo figlio crescere,
né ne aveva avuti altri, ma era certo che mai avrebbe
parlato del suo sangue come di una merce. Il tono viscido con cui
Salazar stava dicendo tutto ciò lo riempiva di rabbia e
doveva sicuramente attraverso i suoi occhi azzurri.
"Paragonare i propri figli a semplice merce di scambio è
ignobile quanto... " fece una leggera pausa, stringendo un attimo gli
occhi, "quanto fare differenze tra i maghi a seconda della famiglia da
cui provengono".
Poteva sembrare stupido impuntarsi a quel modo, ma Godric davvero non
vedeva alcuna differenza tra un mago di comprovata discendenza magica e
uno che era invece nato in mezzo ai Babbani; lui li stimava allo stesso
modo e anzi, più volte aveva trovato che i figli dei Babbani
erano veramente portati per le arti magiche, quasi più di
certi principini viziati, convinti della loro superiorità
solo per via del loro sangue puro.
Chissà se era un caso che questi fossero quasi tutti
studenti di Salazar.
Helga sospirò e Godric capì dal silenzio annoiato
di Rowena, che lui e il mago stavano dando uno spettacolo poco gradito,
e per nulla degno del loro ruolo. Ciò contribuì a
calmarlo un po', non poteva certo mettere mano alla bacchetta o alla
spada ogni volta che l'altro si divertiva a punzecchiarlo: impulsivo
sì, ma non recidivo.
"Ci penserò, te lo dirò prima dell'investitura e
del banchetto conclusivo".
Da quando era stata fondata la scuola, la sera conclusiva di quei sette
lunghi mesi di studio veniva concesso agli studenti di indossare le
loro vesti più eleganti per partecipare al ballo di fine
anno. L'idea originaria era stata di lady Helga, tuttavia era piaciuta
anche a loro tre e si erano sempre adoperati affinché fosse
un evento gioioso e privo di tensioni; il ballo era la chiusura
ufficiale dell'anno scolastico, un modo per fare gli ultimi saluti tra
gli studenti prima di separarsi per ritrovarsi dopo alcuni mesi. O,
come nel caso dei dodici studenti inginocchiati poco distante da lui,
dell'inizio della vita vera.
Godric osservò i giovani apprendisti maghi e streghe che
stavano ascoltando le parole di lady Rowena sull'importanza che il loro
apporto avrebbe dato alla magia: la cerimonia delle investiture
precedeva il ballo e il banchetto finale, ed era riservata
esclusivamente a coloro che avevano terminato gli studi magici ed erano
quindi pronti - dietro il suo giudizio e quello dei tre colleghi - ad
affrontare il mondo fuori dalle mura di Hogwarts. Il giovane Augustus,
che da un paio di anni coadiuvava i Fondatori nelle incombenze della
scuola, svolgendo le funzioni di attendente, era in piedi accanto a
lady Ravenclaw, la schiena dritta e i capelli scuri pettinati
ordinatamente, e ascoltava assorto.
Godric si alzò, gli studenti avevano terminato il giuramento
e ora si facevano avanti, uno alla volta, avvicinandosi ai maestri.
Lord Gryffindor sorrise a ben cinque dei giovani che aveva
personalmente portato in quella scuola e a ciascuno di loro porse una
bacchetta.
La forgia di quelle bacchette era qualcosa che lo aveva occupato per
tutto il periodo scolastico, come anche era accaduto per Helga, Salazar
e Rowena: ognuno di loro creava una bacchetta personale per i propri
studenti, una sorta di dono importante in quanto vi era l'essenza
stessa di chi l'avrebbe impugnata e sarebbe quindi andata bene come
quella che avevano utilizzato fino a quel momento.
Era quella la parte più interessante della cerimonia secondo
lui; Godric si sentiva sprecato quando si trovava fermo in una sala,
soprattutto considerandosi un uomo d'azione, anche se non sarebbe mai
mancato a quella tradizionale cerimonia. In sé non durava
poi tanto, realizzò con sollievo alzandosi quando i dodici
ragazzi lasciarono la Sala Grande per prepararsi per il ballo e il
banchetto che quella sera avrebbe chiuso anche quell'anno a Hogwarts.
La Sala Grande si riempì di nuovo alcune oro dopo la
cerimonia delle investiture: in tutto gli studenti erano cinquanta e il
suono delle loro voci allegre sovrastava quasi la musica che veniva
suonata. A loro si aggiungevano poi le famiglie dei Fondatori; Godric
notò che i ragazzi avevano abbandonato gli austeri colori
della divisa che indossavano tutto l'anno per sostituirli con degli
abiti più colorati e in qualche caso, in particolar
modo per le streghe, più sfarzosi e ricercati.
Persino chi proveniva da famiglie con poche disponibilità
finanziarie aveva cercato di indossare qualcosa di diverso dal solito,
con il risultato che il mago si sentiva quasi girare la testa
trovandosi di fronte tanti colori e rumori.
Non doveva essere la sua giornata quella, o forse stava già
guardando oltre, a tutto ciò che avrebbe dovuto fare dal
giorno successivo: quasi inconsapevolmente, il suo sguardo
scrutò la tavolata degli studenti, alla ricerca dei due
figli di Salazar. Non era difficile trovarli, di solito era su di loro
che ruotava l'attenzione degli altri studenti.
Su di lei, almeno, in quanto era sempre circondata da un gruppetto di
adoratori che parevano sempre disposti a fare qualunque cosa
purché Bloem li considerasse anche solo per un momento;
Godric sapeva che persino alcuni dei suoi studenti erano affascinati
dalla strega e la cosa lo aveva sempre divertito. Almeno quando si
trattava di ascoltare casualmente le loro strategie, che poi
terminavano sempre in un nulla di fatto.
Quella sera, invece, vide per la prima volta un'espressione imbronciata
sul volto della strega e, caso raro, non era neppure interessata a suo
fratello che cercava di parlarle. Godric vide che gli occhi azzurri di
Bloem erano fissi sul piatto che aveva davanti, e se non fosse stato
per qualche cenno della mano, avrebbe pensato che la strega fosse del
tutto priva di vita. In effetti fino a quel giorno non l'aveva mai
osservata con estrema attenzione, tuttavia era sicuro che quella fosse
la prima volta in cui cercava di allontanare suo fratello Eskil, il
quale pareva dispiaciuto e disperato quasi.
Forse lo sanno già? Godric inarcò un
sopracciglio, chiedendosi se Salazar non avesse mentito affermando di
voler aspettare il ritorno a casa per informare sua figlia di quella
decisione; sospirò, dicendosi che in fondo aveva fatto la
scelta giusta. Ci aveva pensato per un paio di giorni prima di riferire
al collega che accettava la sua proposta e che avrebbe quindi preso sua
figlia come moglie; a sua gran sorpresa, una volta deciso, era
diventato tutto più semplice perché ora poteva
cominciare a fare progetti concreti e non solo delle ipotesi.
Lady Helga lo aveva spinto verso quella decisione, Godric ricordava i
vari colloqui avuto con la strega, la quale gli aveva parlato
così bene di lady Bloem al punto da indurlo a ripensare alla
sua decisione finale. Dopotutto era solo una ragazza, di certo non
poteva essere così terribile, erano queste le parole che la
strega gli aveva detto.
Avrebbe dovuto portare molti cambiamenti, ne era consapevole, in
qualche modo ora doveva organizzare la sua via in modo diverso; era
solo curioso di quello che sembrava un litigio tra i due fratelli di
solito inseparabili, o almeno un diverbio importante se la strega
rifiutava persino di parlargli.
Altre due figure attraversarono il campo visivo di Godric,
costringendolo a deviare il corso dei suoi pensieri. Riconobbe
immediatamente Augustus, l’attendente, in compagnia di lady
Lys, la prima figlia di Helga. Non era la prima volta che li
sorprendeva a chiacchierare con quella confidenzialità che
lo aveva indotto ad alzare gli occhi, tuttavia la loro vista non lo
infastidiva. Erano così giovani, ma entrambi meritevoli a
suo giudizio. Lys, una giovane strega di diciott’anni, aveva
ereditato la mitezza e le capacità di sua madre: era infatti
una valida guaritrice che, terminati gli studi a Hogwarts un anno prima
circa, aiutava Lady Hufflepuff come cerusica al castello. Certo, spesso
i suoi occhi erano distanti, quasi malinconici, ma sembrava una
fanciulla di buon carattere. Augustus invece era arrivato a Hogwarts
quando gli uomini del Nord si erano ritirati qualche anno prima,
lasciando la Northumbria. Era una sorta di garanzia del patto siglato
tra i due popoli, che avrebbero rinunciato ad altri spargimenti di
sangue in favore della pace. I Fondatori si erano occupati subito di
lui e Godric per primo aveva premuto per coinvolgerlo
nell’organizzazione della scuola. Da allora, Augustus si era
dimostrato sempre un valido aiuto.
Il Fondatore riportò l'attenzione sul piatto che aveva
già vuotato: per fortuna mancava ancora poco alla fine, poi
una volta che gli studenti avessero lasciato Hogwarts avrebbero
rinforzato gli incanti di protezione prima di tornare alle loro case e
alle loro vite.
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Capitolo 5 *** Capitolo IV. Bloem- Eskil- Augustus ***
Capitolo IV
Bloem
Nonostante il
sole, Bloem sentiva che quella giornata era la più cupa di
quell'anno, sebbene aprile fosse iniziato solo da alcuni giorni; era
raro che nelle terre di lord Slytherin i raggi solari l'avessero vinta
sulla nebbia e l'umidità, eppure quel giorno la strega
poteva distinguere persino ciò che si celava all'orizzonte.
Una cosa di solito impossibile.
Bloem sedeva
sulla sedia, la tenda che la nascondeva, ma il suo sguardo era perso
alla ricerca di qualcosa che non riusciva a trovare e il suo cattivo
umore non aveva nulla a che vedere con il tempo o col cibo che aveva
gettato in faccia alla nuova domestica poco prima.
Anche la
sconosciuta era un fastidio: Bloem non aveva amato granché
la presenza di Alyssa, ma fino a quel momento non aveva capito che
senza di lei si sarebbe sentita un po' sola. A scuola aveva parecchia
scelta se voleva scaricare un po' le sue manie su qualcuna, ma in
effetti nessuna di quelle streghe era importante. Alyssa in qualche
modo era quello che poteva definire legame importante, anche se non lo
avrebbe mai ammesso ad alta voce; era ovvio che suo padre avrebbe
trovato qualcun altro, eppure Bloem per quel giorno sentiva di avere
fatto il pieno.
Erano tornati
al maniero Slytherin da due giorni lei e Eskil, quando lord Salazar
aveva voluto riunirli nel suo studio: lei non aveva idea di cosa
avrebbe potuto volere, ma mai si sarebbe aspettata che suo fratello
fosse stato ritenuto degno di indossare l'anello di famiglia. A Bloem
sembrava ancora strano, per quanto non avesse mai voluto veramente
indossarlo: era troppo grande, troppo fuori dal suo concetto di gusto,
però era un simbolo.
Era
il segno che il padre teneva davvero in considerazione Eskil e lei ne
era stata davvero felice. Fino al momento in cui aveva capito che per
lei, lord Slytherin non aveva proprio niente; anche questo sarebbe
passato sotto il silenzio se lei non avesse avuto l'idea folle e un po'
ingenua di chiedere apertamente come mai non le avesse portato qualcosa.
Lo sguardo del
padre era sempre stato il solo in grado di farla tremare: Bloem non
aveva fatto un passo indietro soltanto perché il suo
orgoglio era così forte da sostenerla in quel momento di
debolezza.
"Cosa
avrai mai fatto per meritare un cimelio così importante?
Sorridere in modo smielato a quei perdenti di studenti che non hanno un
minimo di spina dorsale?"
Le parole del
padre le ronzavano in testa e non volevano uscire, anzi scavavano a
fondo nella ferita, infettandola ancora di più. Bloem non si
era mai sentita più inutile di quel momento, quello in cui
aveva potuto ascoltare con le sue orecchie quanto suo padre - uno dei
maghi più potenti al mondo e il solo a cui le interessava
effettivamente dimostrare qualcosa - la ritenesse inadeguata.
Non era corsa
via perché solo la consapevolezza che avrebbero riso di lei
l'aveva frenata, ma dalla sera prima non era più uscita
dalla sua stanza. Non voleva neanche vedere Eskil: lei si preoccupava
che suo fratello non corresse rischi con il suo nuovo incantesimo, che
aveva mostrato funzionare quando erano stai aggrediti dal nemico
ignoto, ma non si sarebbe mai aspettata che il padre lo ritenesse
così grandioso.
La
notizia non era trapelata, gli altri Fondatori erano convinti che il
morto vivente fosse stato evocato da chi li aveva aggrediti; Bloem era
convinta di avere fatto un buon lavoro aiutando il padre a ripulire
eventuali tracce magiche. E invece niente, non valgo nulla.
La strega non
pianse, ma una strana amarezza le rendeva la giornata insopportabile:
non era certo invidiosa dell'abilità di Eskil anzi, era
strabiliante che fosse riuscito in qualcosa che fino a quel momento era
pressoché impossibile, era solo sorpresa della scarsissima
considerazione che lord Slytherin aveva di lei.
La strega non
gli aveva parlato dei suoi studi con lady Hufflepuff condotti in quegli
ultimi due anni: a Bloem erano venuti tutti naturali ed era sicurissima
di avere aiutato la potente strega a scoprire qualcosa, ma fino a quel
momento non aveva mai pensato di correre a vantarsi col padre per farsi
notare.
Un lieve
rumore attirò la sua attenzione e Bloem osservò
la piccola margherita nel suo vaso, che la guardava.
Sorrise.
Tra le varie cose che il padre non aveva notato, c'era la margherita
che lei teneva al sicuro nel vaso nella sua stanza: Bloem aveva trovato
il modo di animare il fiore, che ogni tanto emetteva qualche delizioso
versetto, anche se finora non capiva cosa volesse dire, ma a lei
piaceva davvero tanto. Sembrava quasi che cantasse, per quel poco che
poteva fare. La strega si preoccupava di tenerla al sicuro, non era
neppure certa che Eskil sapesse di quell'incantesimo; in passato se ne
era quasi preoccupata, non le piaceva tenerlo all’oscuro di
qualcosa, ma una volta sulla torre aveva capito che anche lui aveva i
suoi segreti. Non si era limitato a studiare i suoi esperimenti, li
aveva davvero perfezionati e non le aveva detto niente,
chissà per quale ragione. Infastidita, Bloem lo stava ancora
tenendo a distanza, non l'aveva voluto considerare durante i pochi
giorni prima della fine della scuola e neppure ora.
Solo che
adesso doveva fare i conti con le parole che suo padre le aveva
rivolto. Possibile che valesse così poco?
Sentendo la
porta aprirsi, la strega voltò la testa sapendo che c'era
soltanto una persona in grado di osare tanto: neppure Eskil aveva il
permesso di entrare senza bussare, sia per non irritarla, sia per non
sorprenderla magari svestita o non presentabile. E difatti
era proprio lord Slytherin ad avere aperto la sua porta, come a
ricordarle della sua esistenza; quasi per precauzione si strinse il
vaso della margheritina a se, come se temesse che fosse lì
per quello.
Solo
in un secondo momento si accorse che il mago aveva fatto levitare fino
ai suoi piedi un baule, che la lasciò sorpresa: era di
foggia splendida, niente a che vedere con quelli che usava quando
andava a Hogwarts. Bloem posò il vaso sul davanzale
sentendosi curiosa quasi quanto il fiorellino al suo interno mentre si
avvicinava all'oggetto.
"A tanto
arrivate, padre? Volete cacciarmi di casa?"
La ragazza non
aveva timore di parlare con il grande e temibile lord Slytherin, almeno
non quanto ne aveva Eskil, più cauto. Chissà per
quale ragione poi, in fondo era pur sempre il loro padre.
Lo
sguardo tornò su quel baule: ne aveva visti altri di simili,
si usavano per sistemarci all'interno le proprie cose e lei non
dubitava neppure che avesse una capienza più ampia di quella
che dimostrava in apparenza. Aveva i colori tipici della loro famiglia,
eppure Bloem non riusciva a capire la ragione di quel dono. Ne aveva
già tanti e, purtroppo, quello aveva l'aspetto di un baule
da viaggio.
Il mago
sembrò quasi scrollare le spalle, come se le parole della
figlia non lo avessero minimamente scalfito e intendesse minimizzare la
situazione.
"Suvvia, non
ti sembra di prenderla un po' troppo sul personale? Come vedi ho
qualcosa anche per te, dovresti sentirti onorata perché l'ho
creato personalmente" le disse mentre lei continuava a osservarlo
circospetta, consapevole che non poteva essere finita lì. "E
poi potrai metterci dentro tutto quello che vuoi, anche quel... quel
tuo fiorellino fastidioso".
Bloem
soffocò una risatina: suo padre aveva parlato nascondendo a
fatica un certo disgusto mentre con lo sguardo guardava il suo vaso,
tuttavia non si sarebbe certo scusata per un innocente incantesimo.
"Resta il
fatto che volete che me ne vada, ma dove e perché?"
La strega non
aveva nessuna intenzione di lasciar cadere il discorso: voleva sapere
cosa era accaduto di tanto importante per mandarla via
perché - e ne era sicura - era quello l'obiettivo finale.
"A un certo
punto alla tua età, o anche prima, le streghe cambiano casa
per un'altra; non ti sorprenderà sapere che ho trovato per
te un ottimo partito e da questo momento puoi cominciare a pensare a
tuti i dettagli per il tuo imminente matrimonio".
Bloem per un
momento pensò che il mondo fosse imploso: non era davvero
sorpresa, già alcune altre sue conoscenze avevano trovato
marito, chi scelto dai genitori e chi aveva addirittura messo in atto
una fuga d'amore con qualche mago di ordinaria importanza. Era quindi
sicura che pure lei prima o poi avrebbe dovuto sopportare
quell'imposizione, solo che non avrebbe mai pensato che questo sarebbe
accaduto tanto presto.
Protestare?
Oh no, sapeva quanto inefficace sarebbe stata quella reazione. Si mise
a sedere sulla sua poltrona preferita, come se stesse riflettendo.
"Ero sul punto
di ringraziarvi, padre, ma ho paura che non conosciate bene il
significato di ottimo partito. Tutti i vostri amici sono vecchi o
direttamente nelle loro tombe". Si concesse un piccolo sorrisetto, come
a sottolineare che non la conosceva così bene se pensava di
avere trovato il mago perfetto. "Non ho nessuna voglia di sposare un
vecchio bacucco, sono sicura che mi capirete..."
No, era certa
che qualunque cosa avesse detto, il padre di certo non l'avrebbe
capita, perché non voleva e non gli interessava. In fondo
questo non la offendeva affatto, per quanto quello pareva essere il
discorso più lungo mai fatto fino a quel momento con lei, a
parte le spiegazioni quando erano a Hogwarts.
"Questa
volta potrei sorprenderti, è addirittura più
giovane di me" le disse e Bloem inarcò le sopracciglia,
cercando di pensare a chi diavolo avesse pensato. Forse uno di quei
palloni gonfiati appena uscito da scuola come lei? O per caso, e
nessuno volesse quello, qualche lontano parente... no, aveva detto
ottimo partito, in circolazione non c'era chissà chi ed era
una cosa su cui lei aveva puntato ritenendosi al sicuro da quella
sorpresa.
Il nome che le
disse le fece quasi risputare l'acqua che stava lentamente
sorseggiando, e guardò il genitore con aria sconvolta e
chiedendosi se faceva davvero sul serio.
"Tata! Sono
io!"
Le scuderie
erano vuote a parte la presenza degli animali e Bloem si era rivolta al
suo destriero che stava accucciata a terra, le ali ripiegate. La vide
alzare il muso grigio e nitrire gioiosamente nel riconoscerla; Bloem
aveva praticamente visto nascere la puledrina quattro anni prima e
adesso era diventata una cavalla bella e forte, con un'apertura alare
da fare invidia a chiunque. L'aveva portata con sé a
Hogwarts per chiedere aiuto a lord Gryffindor per crescerla; l'anno
prima era morto il Crup e siccome anche a lei mancava un po' e non solo
a suo fratello, una volta trovata la sua piccola Tata, non se ne era
più separata.
Eskil
aveva riso a crepapelle sentendo il nome che lei gli aveva dato, ma
Bloem non l'aveva mai cambiato: lo trovava simpatico e adatto, inoltre
era sua e questo bastava.
Godric
Gryffindor. Bloem aveva ai brividi da quando suo padre le aveva
rivelato il nome di chi avrebbe dovuto sposare: non che fosse un uomo
terribile e di sicuro sulla sua fama non c'era nulla da ridire, ma la
cosa le pareva quantomeno grottesca e sinistra. Non poteva certo
sposare un suo insegnante! Era assurdo ed era decisa a impedirlo;
tuttavia davanti alle sue proteste, suo padre aveva solo detto che il
matrimonio sarebbe servito per l'alleanza contro il nuovo nemico e a
rendere più tranquilli i rapporti con quello che era il suo
quotidiano nemico.
La strega
sbuffò mentre convinceva Tata a farla salire in groppa:
certo, doveva essere lei a finire nelle mani di uno che probabilmente
si sarebbe servito di quel matrimonio per dimostrare quanto odiasse
Salazar.
"Mio
padre non la spunterà e lord Gryffindor non può
volere certo questo" sussurrò a Tata proprio come se fosse
un'amica in grado di capirla; il nitrito sembrava darle ragione e la
ragazza si sentì un po' confortata. Doveva partire e
parlargli prima che quella follia prendesse davvero forma e Tata era
sicuramente il mezzo ideale più rapido per giungere alle sue
terre. Il decollo come sempre la riempiva di euforia e poco dopo i due
sparirono alla vista mentre la cavalla alata fendeva il cielo con le
sue poderose ali.
Augustus
L'inchiostro
non era mai abbastanza, ma per quella volta non ne avrebbe avuto
bisogno ancora per molto, la pergamena era già fitta di
appunti e per il momento non aveva altro da aggiungere. Scorse con lo
sguardo quello che aveva scritto, non c'era un angolo che fosse libero
e lo ripiegò attentamente, cercando di non romperlo mentre
lo sistemava alla zampa del barbagianni.
"Allora sei
guarito, pronto per un viaggetto?" sussurrò il mago al
volatile, accarezzandogli gentilmente le piume; l'animale aveva avuto
un problema alle zampe qualche settimana prima, ma sembrava
completamente ristabilito e lo capì dal modo in cui gli
beccò il dito.
Doveva in
fondo fare un lungo viaggio, da Hogwarts ai paesi nordici c'era un po'
di strada in volo, non avrebbe rischiato di inviare un animale non in
buona salute. Sia per il gufo che per la missiva.
Se
una persona diversa dal destinatario avesse voluto leggerla, non
avrebbe potuto capirla. Prudentemente Augustus si era servito di un
linguaggio in codice e non credeva che qualcuno lo avrebbe potuto
comprendere in caso di ritrovamento accidentale. Però non
era la prima volta che faceva qualcosa del genere e fino a quel momento
le sue precauzioni avevano funzionato, lo dimostrava l'attacco che la
scuola aveva subito quella settimana: niente di ciò che
aveva voluto era stato danneggiato, le sue informazioni avevano dato
l'esito sperato.
A lui quasi
dispiaceva, ma la scuola non era certo stata distrutta e poi erano
intervenuti i Fondatori prima che quei ragazzini pensassero di essere
degli adulti e facessero degenerare tutto. Lo sapevano tutti quanto
fossero maldestri i ragazzini, anche quelli che si ritenevano forti e
potenti.
Un frullo
d'aria lo rese improvvisamente sul chi vive.
"Ho
scoperto il segreto che Salazar mi voleva tenere nascosto".
Una voce lo
indusse a voltarsi con la bacchetta sguainata, del tutto sorpreso, in
particolar modo dall'identità di chi parlava. Non credeva
che avrebbe osato giungere fino a lì: era vero che la sua
stanza era poco frequentata, in particolar modo ora che il castello era
deserto, ma era comunque un grosso rischio.
Abbassò
la bacchetta, controllando che non ci fosse veramente nessuno e si rese
conto che il barbagianni si era posato sul mantello del nuovo arrivato;
se avesse immaginato quella sorpresa, avrebbe evitato di spendere
troppo tempo a scrivere la missiva, si disse seccato.
"Tranquillo,
non ho alcuna ragione per far saltare la tua copertura. A proposito,
semmai te ne parlasse, hai appena regalato un fiore rosa a quella
ragazzina che sembra un angioletto in terra".
Per un momento
Augustus guardò il mago, incredulo.
"Ti sei finto
me? E chi ti dice che volessi fare un gesto del genere?" chiese,
seccato solo al pensiero di essere stato involontariamente usato.
Sapeva bene a chi si riferisse, anche solo perché non
c'erano molte persone a Hogwars in quel momento. Le lezioni erano
terminate ed era rimasta solo lady Hufflepuff con il suo seguito di
apprendisti. E Lys, la maggiore delle sue figlie, ma il giovane non
indugiò su quel piccolo particolare. Sven
ridacchiò sentendo quelle parole, ma lui non percepiva alcun
divertimento provenire da quel suono.
"È'
bastato vedere come mi ha guardato credendo fossi tu. Però
sono compiaciuto, credevo fosse un elfo domestico umano con quel
faccino, invece hai pescato l'erede di lady Hufflepuff... ma lasciamo
perdere, ero qui solo per complimentarmi per il tuo bel lavoro. Non
sapevo che ci fossero segreti così ghiotti a Hogwarts. Credo
che questa scuola mi piacerà parecchio una volta che
l'avrò in mano, anche se ho dovuto rivedere i piani iniziali
dopo le recenti scoperte".
Augustus
tacque. Gli piaceva poco parlare a sproposito e di certo quello non era
il momento buono per una sceneggiata, non con Sven che non solo era una
specie di guida, ma anche un mago molto potente, forse allo stesso
livello dei Fondatori. E neanche voleva approfondire lo spinoso
argomento.
Sistemò
la manica del mantello e sistemò i capelli scuri, cercando
di immaginare a che cosa portassero quelle parole.
"Pensavo
volessi distruggere la scuola, da quando hai cambiato idea? Per via
della storia di Alyssa?"
Augustus
sapeva abbastanza dettagli dei piani dell'anziano mago - anche se non
tutti, naturalmente - ed era stato lui in quegli anni a scoprire che
Sven aveva una figlia, avuta con chissà quale
maganò serva di Salazar Slytherin. Stranamente al mago quel
particolare era interessato molto e da lì aveva iniziato a
pensare a un ritorno in Inghilterra.
Fino a poco
prima dell'inizio della scuola, quando aveva scoperto che la ragazza
era morta.
Una faccenda
insabbiata che Augustus aveva scoperto quasi per caso, parlando col
figlio maschio di lord Slytherin; una volta che lo aveva sorpreso in
una delle aule della scuola a fare qualche esperimento: come
attendente, Augustus poteva tranquillamente circolare per la scuola e
fare riferimento ai Fondatori su eventuali problemi. Allo stesso tempo
molti studenti si fidavano di lui, i figli dei Fondatori non facevano
grandi eccezioni e così aveva scoperto l'accaduto.
Quando
Eskil Slytherin aveva parlato con lui, ad Augustus era sembrato
genuinamente disperato. Non aveva ben compreso cosa fosse accaduto, ma
se ne era fatto un’idea e aveva capito che si era trattato di
un incidente fatale. Proprio per questo aveva pensato di non parlarne
con Sven, a che pro arrecare a tutti ulteriore dolore? Ma alla fine
Augustus aveva capito di non avere avuto altra scelta. Era gli occhi e
le orecchie del mago norreno lì in Inghilterra, da sempre in
pratica. Ormai il ragazzo viveva a Hogwarts da anni, da quando i popoli
del Nord si erano ritirati lasciando lui, insieme ad altri, come
ostaggi a garanzia della pace stipulata con il re. Da allora tutti lo
chiamavano Augustus, col nome che gli avevano attribuito gli Angli che
non riuscivano a pronunciare quello di origine, e sebbene il ragazzo si
fosse ormai abituato a quella vita, al servizio dei Fondatori che lo
avevano preso sotto la loro ala, nulla di tutto ciò poteva
cambiare il fatto che lui era Aðalmærki, e che i suoi
legami con la sua terra d’origine erano più saldi
che mai.
“Ti
diranno molte cose” gli aveva sempre detto Sven,
“ma tu non dimenticare mai chi sei. Non dimenticare a chi sei
fedele.”
Augustus
riportò lo sguardo su Sven, che sembrava stranamente
interessato alle sue parole.
"Non
proprio, però scoprire questo dettaglio ne sta portando alla
luce altri due molto più grossi: non appena il mio vecchio
amico Salazar ha capito che ero arrivato, ha iniziato una ritirata
strategica. Ma nessuno dei suoi tre amici ha capito...”
Augustus si
chiese di cosa stesse parlando esattamente Sven, non gli sembrava che
un'alleanza tra i quattro Fondatori potesse definirsi una ritirata;
certo non era un'azione belligerante, ma i quattro non avevano idea di
chi avessero come nemico, non era una mossa stupida.
Per quale
ragione Sven parlava in quel modo? Il giovane era perplesso, ma poteva
provare a scoprirlo: era pur vero che non gli dispiaceva lavorare con
lui, ma era più per conoscere altri poteri e la sete di
conoscenza era ciò che lo animava da tutta la vita.
"Sono sicuro
che in questi cinque mesi avrai parecchio da fare, con pure un
matrimonio di mezzo".
Augustus
vide che Sven stava finendo di leggere quello che gli aveva scritto
nella lettera, le ultime novità del caso, e si chiese
perché tra tutte, doveva interessargli proprio quel
particolare. Comunque era vero, da quando era arrivato e ottenuto la
fiducia dei quattro, trascorreva i mesi di chiusura di Hogwarts in
viaggio e passando del tempo assieme a loro in alternanza.
Non avrebbe
fatto eccezione quell'anno.
"Ora
vado, sento qualcuno in arrivo, ma è ancora lontano.
Restiamo in contatto come sai" disse Sven prima di svanire; per un
momento Augustus pensò che si fosse Smaterializzato,
riuscendo a violare gli incantesimi che lo impedivano, ma vide che si
era soltanto Trasfigurato in un piccolo insetto e volato via,
silenzioso come il suo imprevisto arrivo.
Il giovane
mago sospirò per poi uscire dal suo studio, sapeva chi stava
arrivando in quanto come ogni anno erano lui e lady Hufflepuff a
lasciare per ultimi Hogwarts, giusto in tempo per completare gli
incantesimi di protezione che sarebbero stati attivi fino alla fine di
settembre, poco prima che i cancelli venissero riaperti a nuovi
studenti.
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Capitolo 6 *** Capitolo V- Lys - Eskil - Bloem ***
Lys
La giovane
figlia di lady Hufflepuff si tolse l’indice dalla bocca: sua
madre glielo diceva sempre di smetterla di rosicchiarsi le unghie,
anche ora che non era più una bambina. Anche se a volte Lys
le rispondeva con uno sbuffo scocciato, per niente in linea con il loro
rango, sapeva che Helga aveva ragione, ma non poteva farci niente:
quando era nervosa non riusciva a controllarsi. E di essere nervosa in
quel periodo ne aveva ben d’onde.
Non riusciva a
smettere di pensare al mago che aveva attaccato Hogwarts con le sue
creature magiche. Lei non era stata presente, era rimasta a occuparsi
di un giovane mago malato portatole neanche un’ora prima da
Augustus, ma aveva sentito il castello tremare fin dalle fondamenta,
quello che doveva essere un edificio inespugnabile. Il suo cuore si era
lanciato in una corsa forsennata, pungolato più
dall’incertezza su quanto stava avvenendo che da una reale
paura, ma poi Lys aveva visto con i suoi occhi ciò che era
accaduto. Aveva visto la parete squarciata, il corridoio che dava sul
nulla, e persino i corpi degli studenti che avevano perso la vita:
aveva dovuto aiutare sua madre a ricomporre le loro salme prima di
spedirle alle famiglie. L’ansia provata dalla giovane strega
era stata enorme, così come la sua pena, ma era davvero una
persona così orribile se si era sentita pure sollevata?
Sollevata di non riconoscere tra quei volti delle persone a lei vicine.
Sua madre stava bene, così anche la sua amica Bloem
Slytherin… e Augustus naturalmente. Nei giorni di calma Lys
poteva anche mentire a se stessa e fingere che incrociare casualmente
il mago sul suo cammino non le facesse piacere, ma quando si era
trovata faccia a faccia con la paura e con la morte non aveva potuto
più raccontarsi falsità: il suo cuore aveva
provato un guizzo quando si era accertata che al ragazzo non era
successo niente.
“Andiamo,
Lys, coraggio.”
La voce calma,
ma decisa di sua madre la strappò dai suoi pensieri; subito
le mani della ragazza iniziarono a riordinare le pergamene che aveva
consultato fino a quel momento.
C’era
davvero tanto da fare; il mago del Nord che aveva attaccato la scuola
si era ritirato, ma questo non significava che tutti loro fossero al
sicuro. Avevano corso un grande pericolo, e ora dovevano trovarlo per
assicurarsi che non facesse più del male a nessuno di loro.
A quello scopo si erano mobilitati tutti i maghi più potenti
del regno, tra cui i Fondatori stessi, con i loro aiutanti e con la
loro prole.
Di fianco a
Lys, sua sorella Aerie, di poco più piccola,
annuì come a confermarle che stavano facendo la cosa giusta.
Dall’altro lato Augustus – e qui le viscere di Lys
si annodarono – ricambiò il suo sorriso.
Eskil
Il mago
calcava con decisione il pavimento della sua stanza; i suoi stivali
avevano percorso quell’area così tante volte che
c’era da stupirsi che non vi avessero lasciato un solco.
Non riusciva a
crederci. Non riusciva semplicemente a crederci.
Sapeva che
prima o poi per ognuno di loro sarebbe giunto il momento di lasciare il
maniero in mezzo alle paludi, la casa paterna in cui erano cresciuti,
per sposarsi e iniziare una vita diversa. Sapeva anche che sarebbe
stato naturalmente lord Slytherin a decidere il futuro dei suoi figli,
e che lo avrebbe fatto per il meglio, per dare lustro alla loro nobile
casata. Eppure quando gli giunse all’orecchio la notizia che
sua sorella si sarebbe sposata di lì a poco, si
sentì mancare l’aria.
In teoria era
stato preparato al colpo, in realtà si ritrovò
inerme come un neonato. In fondo, anche se solo di due anni, era lui il
maggiore; si era convinto così che Salazar avrebbe
pianificato dapprima le sue nozze, poi quelle di Bloem. Si era convinto
che per Bloem avrebbe potuto aspettare. E invece no.
Era
strano a dirsi, forse, ma non per lui: sua sorella era
l’unica persona a cui si sentisse profondamente legato. Non
c’era nessun altro al mondo che per lui avesse contato tanto;
anche prima, quando Alyssa era viva. Nutriva un sentimento tenero nei
confronti della giovane, ma sua sorella era stata qualcosa di
più, un legame irripetibile, quasi gemellare. Eskil sentiva
che c’era qualcosa a legarli, qualcosa che non avrebbe potuto
condividere con nessun altro. Erano cresciuti insieme, vivendo gomito a
gomito ogni giornata, prima al maniero, poi a Hogwarts. Avevano
condiviso ogni momento, ogni esperienza, ogni pensiero. Ma non era solo
quello.
Bloem
conosceva Eskil come nessun altro e viceversa; a volte il mago ancora
si stupiva di realizzare come la sorella riuscisse ad anticiparlo prima
ancora che esternasse le sue riflessioni. Si comprendevano al volo, era
più di una semplice sintonia: Eskil sapeva che Bloem
conosceva gli anfratti più reconditi del suo cuore, luoghi
inesplorati persino per lui stesso.
Ora
però la ragazza si sarebbe sposata e lo avrebbe lasciato.
Non avrebbero più condiviso ogni momento, ogni pensiero.
A
Eskil non importava che Bloem sposasse lord Gryffindor o un altro,
perché l’identità del marito non
avrebbe cambiato le cose: gliel’avrebbero comunque portata
via. Doveva sforzarsi di essere razionale, convincersi che era nel
normale evolversi delle cose, ma non ci riusciva. Al momento tutto
ciò che riusciva a provare era un ribollente senso di
disfatta, un dolore quasi fisico, come se gli avessero strappato un
arto o un’altra parte di se stesso.
Il mago
rimuginò molto, ma alla fine si decise ad affrontare suo
padre. Per dire cosa, ancora non lo sapeva; normalmente Eskil non aveva
un simile ardire, ma ora era troppo sconvolto per realizzare che
sarebbe stato assolutamente impensabile anche solo azzardarsi a
contestare lord Salazar. Ma i suoi piedi si muovevano da soli: lo
portarono fuori dalla sua stanza, giù per la scalinata di
pietra, verso il luogo in cui sapeva che avrebbe trovato il genitore. I
suoi pensieri erano un groviglio di lana, una matassa intricata che
sembrava impossibile da districare. Eppure, trovandosi faccia a faccia
con Salazar, avrebbe dovuto provarci.
Ma,
inaspettatamente, fu lo stesso signore del castello ad andare incontro
al figlio, gli occhi infossati sotto la fronte aggrottata.
“Padre?”
chiese Eskil, fermandosi di botto.
“Si
tratta di Bloem” annunciò il mago con voce severa.
“È scomparsa.”
Bloem
La strega
strinse le ginocchia intorno ai fianchi muscolosi di Tata, stando
attenta a non intralciare il movimento delle sue ali. Le dita erano
serrate intorno alla striscia di cuoio delle briglie e gli occhi
lacrimavano a causa del vento. Represse un brivido; la stagione non era
rigida, ma a quell’altitudine e alla velocità di
volo del cavallo alato era normale sentire freddo, anche se Bloem si
era avvolta in un pesante mantello da viaggio.
“Da
brava, Tata, non manca molto” disse la ragazza oltre il
sibilo del vento. Come se fosse stata capace di intenderla, la creatura
magica le rispose con un nitrito.
Le redini si
mossero appena: Bloem indusse l’animale a scendere al disotto
degli sbuffi di nubi che oscuravano il cielo notturno, in modo da avere
una migliore visione di ciò che si trovava dabbasso. Il buio
della notte tingeva ogni cosa d’inchiostro, ma era ancora
possibile distinguere i contorni di un boschetto e la traccia di un
sentiero.
Orientarsi dall’altro era molto più
facile e Bloem, che non aveva mai viaggiato da sola prima di allora,
non aveva troppe difficoltà a seguire le indicazioni della
mappa che aveva fissato alla sella. Stando a quella, era entrata nelle
terre di Lord Gryffindor già da qualche miglio.
Con un altro
guizzo della muscolatura agile, Tata si spinse in avanti, fendendo
l’aria con il muso. Dopo un po’, anche la strega se
ne accorse: sulla linea dell’orizzonte era sorto un grumo,
una piccola macchia più nera del paesaggio circostante.
Doveva trattarsi del castello del suo futuro sposo.
Nel pensare a
Godric Gryffindor in quei termini, sentì un sapore amaro
invaderle la lingua.
Proseguì
in volo per qualche altro miglio ancora; adesso il grande edificio di
pietra non era più solo una macchia, ma appariva come una
costruzione in cui erano visibili le torri, le guglie e il ponte
levatoio. Sicuramente doveva essere protetto da numerosi incantesimi,
come del resto accadeva per il maniero Slytherin, così Bloem
reputò più prudente far atterrare Tata e
proseguire per l’ultimo tratto a terra. Quattro zoccoli duri
come diamante urtarono il terreno coperto di arbusti e la ragazza
dovette tenersi saldamente per non cadere. Con un colpetto affettuoso
sul collo, incoraggiò la cavalla a proseguire.
Lì
in basso non era più affascinante che in aria, sospesi. In
mezzo alle nubi la notte aveva un aspetto diverso, Bloem si sentiva
più padrona della situazione, ma lì? Non
conosceva i luoghi, non vi era mai stata, e il pensiero che di
lì a qualche mese avrebbe dovuto trascorrervi ogni giorno
della sua vita non migliorava certo il suo umore.
Non succederà. Sono
qui per far cambiare idea a lord Godric, si disse,
aggrottando appena la fronte. Doveva farcela, e poi sarebbe potuta
tornare a casa sua.
Tra le fronde
qualcosa si mosse e Bloem si irrigidì sulla sella. Era
più del semplice fruscio del vento, ne era sicura,
però non sapeva dire se il suono fosse stato prodotto da un
animale, un uomo o una creatura magica.
Tese le
orecchie in attesa di registrare il ripetersi di quello stesso suono,
ma tornò il silenzio. La strega si morse il labbro
inferiore, poteva essersi ingannata? Forse era solo la suggestione.
Diede
un’altra piccola pacca a Tata per indurla ad avanzare e il
cavallo impiegò un istante prima di rimettersi in movimento.
Poi, quando Bloem si stava lasciando invadere pian piano dalla
sicurezza di essersi immaginata tutto, il suono si ripeté e
questa volta Tata si bloccò come se si fosse trasformata in
una statua si sale.
La strega si
voltò verso il punto da cui proveniva il rumore e i suoi
occhi, stretti in due fessure, iniziarono a setacciare il folto dei
cespugli e le fronde degli alberi.
Cinque dita
argentate apparvero una dopo l’altra, flessuose come
danzatrici iniziarono a disegnare piccoli cerchi invisibili
nell’aria. Si avvolsero intorno ad alcuni rami, poi li
spostarono come una tenda, svelando sotto lo sguardo di Bloem una
figura longilinea, i cui contorni erano difficilmente distinguibili
nella penombra, con lunghi capelli aurei che le arrivavano fino alla
vita.
La donna
inclinò appena il capo, come se si fosse accorta in quel
momento della presenza di qualcun altro in quella foresta. La giovane
figlia di Salazar restò dov’era, troppo
meravigliata per aprire bocca e porle una qualsiasi domanda; la
creatura tinta di luce lunare ammiccò – o forse fu
solo un’impressione della ragazza – per poi sparire
nuovamente tra gli alberi.
Bloem
sbatté le palpebre, chiedendosi chi fosse e
perché si aggirasse nei pressi di Godric’s Hollow.
Il bosco tornò silenzioso e, alla fine, non le
restò che proseguire. Continuò a farsi molte
domande su quella donna silenziosa, ma ben presto la sua mente venne
ingombrata di nuovo dai consueti pensieri: suo padre, Godric e il
matrimonio. Di tanto in tanto controllava la mappa per essere sicura
della direzione presa, ma quando gli alberi si diradavano bastava
sollevare gli occhi sulle torri del castello.
Mancava poco,
la strega ne era ormai certa, quando altri rumori bizzarri risuonarono
tutt’intorno a lei, sicuramente fuori posto a
quell’ora. Questa volta si trattò di voci
maschili, che Bloem giudicò non essere poi così
vicine. Poteva trattarsi di uomini di Godric, ma dopo quella strana
apparizione di qualche minuto prima non sapeva proprio cosa pensare.
Strinse le
dita intorno alle redini e spronò Tata: aveva fretta di
arrivare al castello senza altri contrattempi. Il cavallo
iniziò a macinare con gli zoccoli il terreno sotto di lei
mentre i ramoscelli e le fronde frustavano le braccia della strega
coperte dal mantello; quando il sentiero piegò tra gli
alberi, poco ci mancò che Bloem non finisse addosso a un
altro cavaliere.
“Guarda
dove…” iniziò a borbottare tra i denti
mente strattonava le redini di Tata, i cui zoccoli scavarono due
piccoli solchi nel terreno.
Il cavaliere
in questione montava a sua volta un altro cavallo alato, probabilmente
un Granio, e anche lui si stava dando da fare per governarlo. Indossava
un mantello che nella penombra poteva essere rosso scuro o marrone,
fermato sotto al mento da un fermaglio lucente a forma di…
“Lord
Gryffindor!” balbettò Bloem, sollevando gli occhi
sul volto dell’uomo.
Senza il
cappuccio calato sul capo, la sua identità era
inequivocabile. I capelli scuri e leggermente ondulati scendevano fino
alle spalle, incorniciando un volto maturo dal mento pronunciato
coperto da barba ispida e corta. Godric Gryffindor impiegò
qualche istante in più per riconoscere nella fanciulla che
si trovava di fronte la sua futura moglie.
“Lady
Bloem” esclamò sorpreso, smontando dal Granio.
“Cosa ci fate qui? Non ho ricevuto alcun gufo da vostro
padre…”
Bastò
poco perché Godric intuisse la verità. Il suo
sguardo indugiò un attimo sulle vesti da viaggio di Bloem,
sulle tenebre circostanti, e non ci volle molto per capire che Salazar
non aveva mandato alcun gufo ad annunciare l’arrivo di sua
figlia.
“Cosa
ci fate qui?” ripeté allora, questa volta
aggrottando la fronte e assumendo un cipiglio che la ragazza gli aveva
visto riservare ai suoi studenti.
Attorcigliò
le redini di Tata intorno alle sue mani guantate, tanto per prendere
tempo. Si sentiva ribollire per il senso di ingiustizia accumulato nel
corso della giornata, ma forse non era il caso di iniziare una
conversazione inveendo contro quello stupido matrimonio.
Mentre
selezionava le parole che le sembravano più adatte per
iniziare, si accorse d’improvviso che non erano soli.
All’inizio non vide nulla, provò solo una
sensazione pungente alla base della nuca. Poi, quando si
voltò istintivamente, rivide la donna opalescente che aveva
già incontrato nel bosco. Questa volta Bloem non ebbe dubbi,
le ammiccò, ma subito dopo passò a volgere la sua
attenzione a Godric.
Avanzava
silenziosamente, senza smuovere il tappetto di foglie sotto ai suoi
piedi, quasi fosse incorporea. Quando fu più vicina, Bloem
ebbe modo di notare che i suoi capelli sembravano intessuti di fili
d’oro, la veste era leggera e candida come la sua carnagione,
stretta intorno alla vita da una cintura di cuoio, ornata da alcune
rune.
La stessa
strega dovette notare che quella donna era di incredibile bellezza: nel
suo aspetto non c’era una sola imperfezione.
Le ciglia, lunghe e setose, frangiavano degli occhi come di una cerva,
il naso era sottile e diritto e le labbra rosee svelarono due file di
denti perfetti quando si schiusero per lasciare sfuggire dei sussurri,
delle parole. Bloem non capì cosa voleva dire, ma riconobbe
le sonorità di quella lingua: la donna parlava in norreno.
Si
voltò verso Godric, chiedendosi se almeno lui avesse inteso
il senso di quel discorso, ma si fermò quando si accorse che
il mago non la guardava. I suoi occhi non erano che per la donna
argentea che avanzava verso di lui; era così preso da quella
visione che aveva lasciato andare le redini del suo Granio forse senza
nemmeno accorgersene.
“Lord
Godric…” provò a chiamarlo, ma
l’uomo non diede segno di averla nemmeno sentita. Protese una
mano verso la donna, come se toccarla fosse il più grande
desiderio della sua anima
“Lord
Godric!” ripeté, questa volta con la voce
più alta di un’ottava.
La donna
argentea si voltò verso di lei. Aveva l’aria
annoiata, ma c’era qualcosa di inquietante in quei lineamenti
ora che Bloem se la trovava di fronte: non vedeva più la
bellezza perfetta di un attimo prima, era come osservare uno specchio
d’acqua con delle increspature che ne deturpavano la
superficie. Gli occhi della creatura divennero due tizzoni ardenti, le
labbra erano piegate in un ghigno malevolo e i capelli, non
più lucidi e ben pettinati, erano arruffati e stopposi.
Protese le mani di fronte a lei, nella direzione in cui si trovava
Bloem, e prima che questa potesse mettere mano alla bacchetta infilata
alla cintura, esplose dai palmi due palle di fuoco. L’aria si
riempì delle urla stridenti della Veela, oltre che
dell’odore di bruciato.
Da qualche
parte, Bloem sentì Godric gridare, ma le sue orecchie erano
riempite dai nitriti di dolore di Tata. Si ritrovò carponi:
colpito dalla Veela, il cavallo alato si era imbizzarrito ed era
franato al suolo, trascinando con sé la sua padrona. La
strega aveva battuto i palmi e un fianco, una gamba le doleva e sentiva
bruciore dove con ogni probabilità aveva riportato dei
graffi.
Sentì
altre voci, altri richiami: la radura si animò
immediatamente e, anche se la cortina di fumo che la avvolgeva le
impediva di distinguere ogni cosa, ebbe delle fugaci visioni di altre
zampe, altre ali e altri mantelli rossi. Una mano emerse tra le ombre,
tesa verso di lei, e Bloem non ebbe altra scelta che afferrarla.
Apparteneva a lord Gryffindor: non aveva più
l’espressione svagata di qualche istante prima, al contrario
il suo viso appariva contratto e concentrato.
Il
mago l’aiutò ad alzarsi: aveva ripreso le redini
del suo cavallo alato e stava cercando di aiutare Bloem a montare in
sella.
“No!”
si oppose lei con voce alterata. “La mia cavalla!”
Si
voltò, cercando Tata con lo sguardo, ma Godric la trattenne
per le spalle.
“È
ferita, ma la guarirò. I miei uomini la porteranno al
castello, tu vieni con me.”
Il tono
risoluto del Fondatore non ammetteva repliche. Bloem gli rivolse uno
sguardo supplichevole, che lui non diede segno di notare
perché si era già rivolto a un altro mago. Alla
sua destra apparve un giovane – non poteva avere
più di vent’anni – con i capelli biondi
appiattiti sulla fronte e una cotta di maglia dorata sotto il mantello
rosso.
“Frederich,
sai cosa fare” disse Godric rivolgendogli un cenno di intesa.
Il ragazzo
annuì e abbassò il capo reverente, poi si
voltò e sparì di nuovo.
Questa volta
Bloem lasciò che lord Gryffindor la adagiasse sulla sella
del suo cavallo. Mentre il Fondatore prendeva posto dietro di lei e
spronava il suo animale, lei si voltò per osservare la scena
oltre la sua spalla. Il manipolo di cavalieri si era stretto intorno a
Tata; alcuni uomini avevano afferrato e imprigionato la Veela, che
rivolgeva loro insulti in norreno, ma Frederich si era accovacciato
accanto a Tata. Una mano muoveva la bacchetta, mentre l’altra
era adagiata sul suo muso in una carezza.
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Capitolo 7 *** Capitolo VI - Godric - Eskil ***
Godric
Con uno
svolazzo della bacchetta di Godric, le braci nella bocca di pietra del
camino si ravvivarono e delle sinuose lingue di fuoco iniziarono a
proiettare tutt’intorno la loro luce danzante.
“Avevo
chiesto agli Elfi Domestici di non farlo spegnere”
borbottò, più rivolto a se stesso che alla
ragazza che lo seguiva. Poco male, ci avrebbe pensato lui. Non
c’era da meravigliarsi di quella dimenticanza degli Elfi:
nelle ultime ore il castello era stato gettato nel caos.
Godric
rivolse uno sguardo in tralice a lady Slytherin, scoprendosi a pensare
che il padre della giovane non sarebbe stato così indulgente
con quelle creature, nemmeno in un frangente simile. E sua figlia?
Scosse il
capo, facendole cenno di accomodarsi. C’era qualcosa in
quella situazione che non lo faceva sentire perfettamente armato per
affrontarla. Il castello non era un maniero tetro e solitario, ogni
giorno era animato da un grande andirivieni di maghi e cavalieri. Ma
alla sera tornava il silenzio e il lord rimaneva da solo. Erano dodici
anni che, al calare del sole, la pietra tornava fredda e le sale
quiete, senza la voce di una donna a risuonare tra le pareti, o la
risata di un bambino.
La presenza
di lady Bloem a quell’ora della sera era inaspettata, Godric
non era preparato a riceverla. Stava cercando di abituarsi
all’idea di doverla vedere come inquilina stabile di
lì a qualche mese, ma ancora non vi era riuscito.
Immaginò che quello fosse un buon modo per iniziare,
dopotutto.
La giovane si
sedette; nei suoi movimenti il mago lesse una leggera tensione. Non vi
era da stupirsene, vista la serata trascorsa. Godric aveva avuto
notizia che nei suoi domini si aggirava una qualche creatura ostile,
per questo era uscito con alcuni dei suoi cavalieri, ma di tutte le
possibili minacce mai avrebbe pensato di trovarsi faccia a faccia con
una Veela. Si trattava di un avversario temibile per qualsiasi mago di
sesso maschile; Godric stesso era rimasto imbambolato a fissarlo,
incapace persino di mettere mano alla bacchetta. Quell’infida
Creatura Magica lo aveva scoperto inerme come un bambino, e
l’uomo non avrebbe potuto difendersi se Bloem non avesse
urlato, riuscendo a spezzare quella malia che annebbiava sensi e
facoltà di ragionamento. Se quella notte aveva avuto un
epilogo fortunato era stato solo grazie a lei e questo, unito al fatto
di essersi mostrato come un perfetto incapace, faceva sentire Godric
non completamente a posto con la coscienza. Era una sensazione spinosa,
al pari della mancanza di Mary.
“Sono
lieto di vedere che state bene, lady Bloem” esordì
guardandola in viso.
La giovane
fece vagare lo sguardo tutt’intorno, come se volesse
soppesare con gli occhi ogni elemento di arredamento per giudicare
l’ambiente. Il castello di lord Gryffindor era grande e molte
sale portavano ancora il segno del passaggio di sua moglie, ma altre
erano invece spoglie o funzionali. Quello in cui aveva condotto Bloem
non era certo il salone più riccamente arredato, ma era il
meno umido alla sera.
Gli occhi
profondi della ragazza tornarono a fissarsi su di lui, si strinse nelle
spalle e annuì.
“Quello
che è successo nel bosco…”
Iniziò Godric, ma era difficile dare una forma ai suoi
pensieri senza ammettere la debolezza dimostrata con la Veela.
Si
schiarì la voce e proseguì. “Ero stato
informato che una minaccia aveva attraversato i miei confini. Non avevo
idea di cosa si trattasse, ma l’avete sentita anche voi:
quella Veela parlava in norreno. È troppo per pensare a una
coincidenza.”
Bloem
assottigliò lo sguardo, poi annuì appena.
“Sì,
anch’io ho pensato che quella Veela dovesse avere a che fare
con il mago che ha attaccato Hogwarts.”
Godric non si
stupì che entrambi fossero arrivati alla stessa conclusione.
A differenza sua, Bloem e suo fratello si erano scontrati direttamente
con quell’uomo e il suo manipolo di creature magiche venute
dal nord. Il mago ricordò che, subito dopo
l’attacco, i due Slytherin avevano avuto un colloquio con
Salazar e solo dopo quest’ultimo aveva diffuso le
informazioni che aveva ricevuto dai due ragazzi; di nuovo Godric si
chiese se Salazar avesse detto davvero tutto ciò che sapeva.
Quasi fosse
stata in grado di captare i pensieri dell’uomo, la strega
parlò ancora:
“Cosa
credete che vogliano da noi?”
C’era
impazienza nella sua voce, come se le desse fastidio non sapere
perché era la vittima ripetutamente bersagliata di quel
nordico. In entrambe le occasioni Bloem se l’era cavata bene,
uscendone completamente illesa, ma Godric non poteva dimenticare che
l’attacco a Hogwarts aveva causato delle vittime.
“Non
ne ho idea” rispose scuotendo le spalle e aggrottando la
fronte.
In effetti
c’era qualcosa che non quadrava in quella storia: nessuno
aveva mai visto quell’uomo, Helga e le sue figlie si stavano
dando da fare per scoprirne l’identità ma ancora
non erano certe. Lui non si era presentato, non aveva annunciato i suoi
scopi: aveva attaccato e basta, si era ritirato e ora tornava a farsi
vivo indirettamente. Perché? A cosa mirava?
“Dovrò
informare gli altri Fondatori dell’accaduto”
continuò il mago, e la sua voce si fece improvvisamente
stanca. “E, già che ci sono, credo sia il caso di
informare vostro padre della vostra presenza a Godric’s
Hollow.”
Inviò
alla giovane strega un’occhiata eloquente: entrambi sapevano
che lei era giunta lì senza informare Salazar. Nonostante
l’intenzione annunciata, lord Gryffindor non si
alzò, ma rimase con le mani appoggiate ai braccioli del suo
scranno. Bloem dovette accorgersi che il suo sguardo era cambiato,
mostrando ora più curiosità che rimprovero,
così inarcò un sopracciglio in un modo silenzioso
di chiedergli cosa avesse.
Godric aveva
già deciso cosa scrivere nella lettera a Salazar,
perciò qualunque risposta gli avrebbe fornito Bloem non
avrebbe fatto differenza. Ma ora voleva sapere, per soddisfare un
proprio interesse personale e anche perché pensava di averne
diritto, per quale motivo la ragazza si era recata fin lì.
Di certo aveva agito con uno scopo ben fisso in mente e non si trovava
lì per una vacanza di piacere.
“Lady
Bloem” esordì quindi arretrando il busto e
congiungendo le dita di fronte a sé, “posso
conoscere le ragioni della vostra visita?”
Qualcosa
nella figura della strega si irrigidì, o forse fu solo uno
scherzo delle ombre gettate tutt’intorno dalle fiamme. Per
una manciata di secondi rimase in silenzio, tanto che Godric si chiese
se alla fine gli avrebbe risposto oppure sarebbe rimasta trincerata
dietro il suo mutismo.
Alla fine
Bloem espresse il suo punto di vista, e quello che disse lo
spiazzò.
“Volevo
parlarvi. Convincervi a mandare a monte le nozze. Di certo anche voi
credete che questo matrimonio sia una farsa.”
Questa volta
fu il turno di Godric di rimanere senza parole: tanta schiettezza lo
aveva colto impreparato, ma era pur sempre una dote che in generale
apprezzava. Così non gli venne in mente di suggerire alla
sua futura sposa di tenere a freno la lingua, anche perché
in fondo all’inizio il Fondatore aveva avuto le stesse
perplessità. Vista la sincerità con cui si era
espressa la giovane, Godric pensò di ricambiarle la stessa
cortesia.
“Vedete,
lady Bloem” disse, senza mutare posizione,
“è stato proprio vostro padre a convincermi
dell’opportunità di queste nozze, e questa notte
abbiamo avuto la prova che la ragione sta dalla sua parte.”
Piuttosto raro che desse così apertamente ragione a lord
Slytherin, si disse; era qualcosa da appuntare negli annali.
“È chiaro che questa gente del nord vuole qualcosa
da noi; non si tratta di incursioni casuali, abbiamo di fronte un vero
e proprio nemico. E in un momento come questo è importante
essere uniti.”
Bloem era una
strega brillante, Godric aveva avuto modo di appurarlo a scuola. Per
questo motivo fu abbastanza sicuro che avrebbe capito cosa intendeva
senza che aggiungesse altro. Quel matrimonio non era per lei e il
Fondatore, era chiaro. Era piuttosto un modo per sugellare i rapporti
così pericolanti tra Godric e Salazar. Nessuno dei due
fingeva che i due Fondatori andassero sempre d’amore e
d’accordo e sicuramente Bloem sapeva bene di cosa parlava
Godric. Anche se l’uomo non amava fregiarsi di quel titolo,
sapeva che lui, insieme a Helga, Rowena e Salazar, costituiva la
maggiore risorsa del regno e, a fronte di attacchi di un nemico
così minaccioso, dovevano necessariamente restare uniti, o
sarebbe stato il disastro.
“Credete
davvero che da soli non possiamo farcela contro questo
nemico?” chiese allora la ragazza, sollevando appena il
mento, senza distogliere gli occhi.
Difficile
dire cosa intendesse con quel plurale, ma Godric intuì
facilmente che parlava di sé, di suo padre e di suo
fratello. Il pensiero lo infastidì appena:
l’alterigia degli Slytherin non era un mistero, anzi era uno
dei difetti di Salazar che meno sopportava. D’altra parte
però, se il Fondatore voleva essere totalmente sincero con
se stesso, doveva ammettere che, quando aveva ascoltato la proposta del
padre di Bloem, lui stesso si era chiesto se non fosse
un’apprensione esagerata quella nutrita nei confronti
dell’invasore norreno.
Tuttavia
allora Godric non si era sentito minacciato alle porte di casa sua.
Potevano minimizzare, fingendo che una Veela sola non fosse un
problema, ma la verità era che fino ad allora nessun nemico
estero era giunto così vicino alle loro case, al loro cuore.
Quel mago aveva attaccato Hogwarst, riuscendo a superare tutte le
difese approntate dai Fondatori e a cogliere impreparati gli studenti.
Erano morti sette ragazzi, sette giovani che sarebbero potuti diventare
degli stregoni promettenti e che invece adesso giacevano nella terra. E
quel che era peggio sembrava che il nemico non avesse alcuna intenzione
di fermarsi o di ritirarsi sul serio.
“No,
non lo credo” rispose quindi l’uomo, paziente ma
con una certa fermezza nel tono. “Dobbiamo proteggerci
l’un l’altro.”
“Sembrate
dubitare delle vostre stesse forze” replicò Bloem,
e nel tono che usò Godric scorse un accenno di provocazione.
Fu sul punto
di rispondere qualcosa di simile tenore, ma alla fine si morse la
lingua e le lanciò un’occhiata in tralice, colpito
da un nuovo sospetto.
“Lady
Bloem, questo matrimonio getta per caso all’aria altri
programmi?” domandò impudente. “Il
vostro cuore appartiene a qualcun altro? Perché in quel
caso…”
“No”
lo interruppe in fretta la giovane, increspando la fronte,
“Come vi è venuta in mente una simile
idea?” Ebbe un moto di stizza; probabilmente, se non fosse
stato sconveniente per una lady del suo rango, avrebbe incrociato le
braccia sul petto. Godric fu tentato di sorridere di fronte a
quell’improvviso cambiamento, ma si trattenne.
“In
questo caso allora… Non vedo altri ostacoli al
matrimonio.”
Per qualche
attimo Bloem sembrò sul punto di replicare, ma alla fine
annuì e rimase in silenzio.
Godric si
alzò, capendo che non c’era altro da aggiungere.
“Andrò
in guferia per mandare qualche messaggio. Scriverò a vostro
padre che eravate così smaniosa di trascorrere del tempo con
il vostro futuro marito che avete pensato di non porre altri indugi in
mezzo, e che io stesso vi scorterò di nuovo in mezzo alle
paludi, non appena vi sarete accertata che i preparativi del matrimonio
procedano secondo il vostro gradimento.”
La strega gli
scoccò un’occhiata curiosa, ma poi non si oppose.
Godric aveva
raggiunto la soglia della porta, quando la voce della ragazza lo
trattenne.
“Come
sta la mia cavalla?”
“La
ferita all’ala le impedirà di volare per un
po’, ma non temete. Sta bene e con le mie cure
guarirà completamente.”
Eskil
Un leggero
temporale estivo scuoteva i vetri del maniero Slytherin. Il cielo era
plumbeo e l’acqua ruscellava sulle finestre ma, guardando
verso la linea dell’orizzonte che iniziava a schiarirsi,
Eskil giudicò che non sarebbe durato a lungo.
Tornò
verso il centro della stanza, la lettera di Lord Gryffindor stretta in
pugno. Era ridicolo, Bloem non si era mai mostrata smaniosa di
trascorrere del tempo con il futuro marito. Persino Lord Salazar doveva
saperlo, anche se non passava mai troppo tempo a parlare con i suoi
figli, eppure non aveva battuto ciglio di fronte al contenuto di quella
missiva.
Eskil si
morse l’interno della guancia. Se suo padre non si
preoccupava, evidentemente neanche lui ne aveva motivo; tuttavia per
una volta aveva l’impressione di non sapere cosa attraversava
la mente della sorella e non gli piaceva. Era un preludio del distacco
che presto sarebbe diventato definitivo; fosse stato per lui avrebbe
fatto di tutto per rimandare quel momento, ma a che scopo, se comunque
non sarebbero potuti sfuggire a quel fato?
C’era
tuttavia qualcos’altro che lo induceva a riflettere in tutta
quella situazione. Perché suo padre si era dato tanto da
fare per stipulare un matrimonio tra Bloem e Lord Gryffindor? Se era
un’alleanza che voleva, avrebbe anche potuto fare sposare a
lui una delle figlie di lady Hufflepuff o qualcosa del genere. Era vero
che i maggiori contrasti esistevano proprio tra Salazar e Godric, ma
non riusciva a credere che suo padre, un uomo così convinto
delle sue ragioni, potesse giungere al punto di affidare la sua unica
figlia femmina a un mago che per certi versi disprezza.
Ci aveva
riflettuto abbastanza, ma non era ancora arrivato a capo della cosa. Si
disse però che non avrebbe cavato un ragno dal buco se non
avesse parlato con l’unica persona che avrebbe potuto
chiarirgli quei dubbi: suo padre.
Lord Salazar
rientrava in quel momento da una ricognizione dei suoi domini. La
notizia della Veela infiltrata nei territori di Lord Gryffindor lo
aveva spinto a controllare che nella zona delle paludi fosse tutto a
posto e, come disse appena varcata la soglia, era proprio
così.
Gli stivali
del Fondatore grondavano fango che sporcava il pavimento di pietra, ma
ci avrebbero pensato gli Elfi Domestici.
“Hai
rafforzato gli incantesimi di protezione, come ti avevo
chiesto?” volle sincerarsi il mago.
Eskil
annuì, elencando tutti gli scudi che aveva elevato intorno
alla loro magione.
Aveva anche
pensato di animare qualcuno dei cadaveri certamente sepolti in fondo
alla palude, per trasformarli in creature che lui stesso aveva chiamato
Inferi. L’incantesimo gli era già riuscito e
sapeva di poterlo rifare, ma creare delle sentinelle di non-morti
capaci di presidiare i confini dei loro possedimenti era
un’altra cosa. In fondo era riuscito
nell’esperimento da poco e non padroneggiava ancora al meglio
quella fattura; dubitava di poter tenere simultaneamente in vita tanti
cadaveri per mandarli così tanto lontano da lui.
Così alla fine aveva desistito, dicendo a se stesso che ci
sarebbero state altre occasioni di sperimentare di nuovo la sua nuova
abilità.
“Padre,
posso chiedervi una cosa?” domandò mentre Salazar
si slacciava il mantello umido e lo metteva da parte. Il fatto che il
mago non negò apertamente significava che gli dava il
permesso di parlare.
Eskil fece un
passo avanti, ricordandosi di mantenere la schiena dritta e il tono
apparentemente casuale. Se c’era una cosa che voleva evitare
era di sembrare un ragazzino implorante.
“Posso
sapere perché avete preso accordi per le nozze di Bloem e
non per le mie?”
Adesso
sembrava uno smanioso, ma meglio quello che infantile.
Salazar gli
si rivolse su un mezzo sorriso dipinto sulle labbra sottili.
“Mio
caro Eski. E se lo avessi fatto, cosa pensi che direbbe la tua futura
mogliettina sul tuo ombelico?”
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