MarcoxAce - more than a friend

di Vera_D_Winters
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bitter as Jealousy ***
Capitolo 2: *** Am I closed enough now? ***
Capitolo 3: *** What if...? ***
Capitolo 4: *** I wish I could save you ***



Capitolo 1
*** Bitter as Jealousy ***


Marco non aveva mai avuto a che fare con il gusto amaro della gelosia, mai fino a quel momento almeno, e la cosa lo colpì come uno schiaffo in pieno viso, facendolo anche vergognare di se stesso.
Quelli che poteva tranquillamente considerare i suoi migliori amici, stavano chiacchierando amabilmente come accadeva di solito: Ace teneva un braccio attorno alle spalle di Thatch, ridendo per una qualche battuta fatta dal cuoco, e l'altro continuava a ghignare divertito. Nulla di sconvolgente, nulla che non avesse già visto e rivisto, o addirittura nulla a cui non avesse partecipato anche lui. Qualcosa però in quel momento si mosse nello stomaco del comandante dai capelli biondi che si irrigidì dalla testa ai piedi. Non sapeva nemmeno come descriverlo, ma era fastidioso da morire, e metteva a dura prova il suo temperamento di solito sempre molto calmo e ponderante.

Ormai erano mesi che il suo sguardo si soffermava sempre più del dovuto sul pirata più giovane. Si era detto che era solo preoccupazione, solo istinto protettivo nei confronti di quel nuovo compagno,  nulla di strano. Anche con gli altri era sempre molto attento e disponibile. Dopotutto quella era la sua famiglia, e lui ci teneva più che a qualsiasi altra cosa. 
Quella fitta di gelosia che gli aveva chiuso lo stomaco però, non aveva proprio nulla di normale. Gli formicolavano le mani e aveva una gran voglia di mettersi in mezzo e staccare quei due l'uno dall'altro.

-Dovresti sorridere così solo quando sei con me.-

Questo fu il pensiero repentino che lo fece vergognare peggio di un ladro e  che lo costrinse a voltarsi per dare le spalle alla scena. 
Si stava allontanando come se nulla fosse fingendo indifferenza, quando si sentì chiamare. Dannazione Ace l'aveva visto e lo stava salutando, invitandolo a unirsi a loro. Anche Thatch agitava la mano con fare allegro, chiamandolo a sua volta. Dannazione di nuovo...
La fenice li guardò da sopra la spalla forzando un sorriso e scosse il capo.
"Ho un po' da fare al momento, ci vediamo più tardi."
Poteva inventarsi una scusa migliore no? E poi il tono irritato lo aveva riconosciuto con le sue stesse orecchie, figurarsi se gli altri due non se ne erano accorti.
Ripartì a passo svelto, e sbuffò appena, trascinandosi le dita tra i capelli scarmigliati, come se questo lo aiutasse a cancellare i pensieri appena avuti. Peccato però che non fosse così semplice.

"Perchè te ne sei andato così Marco? Sei arrabbiato?"
Ah... ovvio, lo aveva seguito.
"No Ace, ho solo da fare come ti ho già detto."
"Non ascoltarlo, è arrabbiato, si vede lontano un chilometro."
Ah certo anche l'altro era corso dietro a entrambi.
E adesso?
"Non sono arrabbiato. Perchè non tornate a scherzare per i fatti vostri come stavate facendo fino a due secondi fa?"
Quasi abbaiò quella frase. Non era mai stato tanto sgarbato con nessuno, tanto meno con loro: Ace reagì quasi con sguardo ferito da quel comportamento immotivato, mentre Thatch assottigliava lo sguardo, un velo di comprensione nei suoi occhi scuri e un sorriso che alla fenice non piacque affatto.
"Ah, ora capisco, il nostro comandante è geloso!"
Il tono con cui lo disse non era affatto antipatico, ma scherzoso come il solito, eppure tanto bastò a Marco per infuriarsi del tutto. Sbattè con forza il palmo aperto contro la parente in legno alle spalle del cuoco e lo guardò con rabbia ingiustificata:
"Non dire fesserie. E impara a farti gli affari tuoi."
I loro visi erano abbastanza vicini da far mescolare i loro respiri, mentre la minaccia riecheggiava nelle parole del biondo, sotto lo sguardo attonito di un Ace più che mai sconvolto.
No quello non era da lui, questo dicevano gli occhi del ragazzo, e Marco non poteva che convenire.
- Io non sono così-
Senza dire altro arretrò, lasciando al cuoco il suo spazio vitale, per poi riprendere la sua camminata verso la propria cabina. Dove altro ci si poteva nascondere su una nave?
Sentì il moro rivolgersi agitato e preoccupato verso il cuoco, ma non vi badò. Schizzò velocemente sotto coperta e non si fermò fino a che non fu al sicuro nella propria stanza, la porta chiusa dietro le sue ampie spalle.
"Maledizione..."
Imprecò con forza scivolando con la schiena contro la porta, finendo col portarsi le ginocchia al petto, nemmeno fosse un moccioso. Affondò il viso contro le gambe e sbuffò sonoramente, ignorando i pugni che tempestavano l'uscio, le minacce di dargli fuoco e la voce che era un mix di rabbia e ansia dall'altra parte del legno spesso e logoro.
Che cosa diavolo gli stava succedendo? Che cos'era quella smania di possesso che gli bruciava il petto? Che cos'era quella rabbia che gli ribolliva nelle vene?  Che cos'era quella voglia insana di aprire la porta e inchiodare al muro il giovane dall'altra parte, marchiandolo come qualcosa di sua proprietà?
Era un'idea completamente folle. E doveva darci un taglio. E magari chiedere anche scusa a Thatch.Si..Lo avrebbe fatto sicuramente.
Dopo però. Ora doveva combattere contro quel mostro che si era trovato improvvisamente dentro, e con cui non sapeva come scendere a patti.
Se almeno avesse avuto qualcuno a cui chiedere consiglio... ma di solito erano gli altri ad andare da lui, non il contrario. Di parlarne con il Vecchio poi, non se ne parlava. E dunque?
"Ma che meraviglia Marco. Sei proprio fortunato..."
Sospirò rimettendosi in piedi, posando la mano sul pomello della porta pronto ad aprirla e ad affrontare Ace che evidentemente non se ne voleva andare, stampandosi in faccia l'espressione più neutra di cui era capace, anche se ormai era arrivato a un punto in cui non poteva più fingere che tutto fosse normale. Una nuova consapevolezza che aveva ignorato si faceva largo in lui, rendendolo ancora più irritato di prima.
Ma che fosse dannato, non avrebbe rovinato la loro amicizia con qualche stupida confessione. Si sarebbe inventato una buona scusa, poi avrebbe parlato con Thatch, e in qualche modo ne sarebbe uscito senza far trapelare ulteriormente i suoi veri sentimenti.
Quella fu la convinzione che gli permise di aprire la porta, e che andò in frantumi nel momento esatto in cui i suoi occhi incontrarono quelli adirati e preoccupati del moro.
Era fregato.
Completamente, irrimediabilmente fregato.

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Capitolo 2
*** Am I closed enough now? ***


Le cose che potevano uccidere Marco non era molte, si contavano sulle dita di una mano e nemmeno la riempivano interamente. Eppure un paio di bastardi della Marina erano riusciti non solo a bloccarlo, ma anche a ferirlo a un punto tale da fargli vedere la morte avvicinarsi a braccia aperte per un ultimo valzer.
Il comandante era stato costretto ad alzarsi in volo per ritirarsi da quello scontro, ma anche mentre scappava era stato colpito da proiettili fatti di Kairoseki, e questo gli aveva impedito di rigenerarsi e curarsi a dovere. 
Peggio di così non poteva andare... o forse si.
Quando cominciò a perdere quota infatti, Marco stava sorvolando una distesa d'acqua salmastra, che sembrava volerlo accogliere da un secondo all'altro. Provò in ogni modo a non crollare, ma la vista gli si era annebbiata completamente, e l'impatto fu freddo, doloroso, e rese ancora più critica la sua situazione.
Stava affogando, sentiva l'acqua gelida riempirgli i polmoni, togliendogli il fiato. Sentiva la fenice ribellarsi a quella fine, tentare di sopravvivere in quelle condizioni disperate, ma la coscienza di entrambi si spegneva lentamente, mentre l'oscurità li avvolgeva nella sua fredda e silenziosa stretta.
L'ultimo pensiero di Marco andrò ad Ace. 
Di tutto ciò che poteva vedere nel suo ultimo attimo di vita, era stato proprio il volto del giovane a balenargli in mente. E a quel volto bellissimo si era accompagnato il dolore, sia perchè non avrebbe più potuto vederlo, sia per tutto quello che avrebbe voluto dirgli, ma che non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce, nemmeno quella volta fuori dalla propria cabina, dopo che aveva dato di matto con Thatch.
Ebbe quell'ultimo pensiero, poi tutto fu davvero buio, e non ci fu più modo di pensare, piangere, o provare colpa.
Non c'era più nulla.

[...]

Gli occhi sembravano ricoperti da una patina di colla. Non riusciva ad aprirli, come se le ciglia fossero unite tra loro in maniera indistricabile. Gli ci volle un tempo che gli parve infinito per riuscire a sollevare almeno in parte le palpebre, e fu costretto a richiuderle immediatamente poichè la luce che colpì le sue iridi cerulee fu tanto fastidiosa da fargli emettere perfino un gemito di fastidio. Sempre che quel suono che aveva sentito fosse stato emesso realmente dalla sua bocca.
Ci ritentò.
La gola gli bruciava parecchio, il resto del corpo sembrava formicolare. Doveva capire dove diavolo fosse, perchè di sicuro non era il paradiso. Forse era finito all'inferno, il che spiegava perchè facesse tutto male... però quella luce strideva un po' con quello scenario. Sembrava proprio quella dell'infermeria delal Moby Dick. E anche il soffitto che ora stava fissando sembrava proprio quello. Possibile che qualcuno lo avesse salvato?
Sollevò il braccio con una nuova smorfia e si coprì gli occhi con una mano. Piccole fiammelle blu danzavano tra le sue dita, ma erano molto flebili. Dunque era vivo? Malridotto senza dubbio, ma vivo.
"E' sveglio è sveglio!"
Una voce trillò nella confusione che vigeva nella mente del comandante, e fu seguita da un viso familiare che sorridendo si era sporto su di lui.
"Ace..."
Ah allora forse era morto davvero e quello era il paradiso alla fin fine. Poteva anche andar bene.
"Ci hai fatto prendere un colpo Marco! Ti abbiamo visto per caso cadere in mare a qualche miglio dalla nave e abbiamo temuto il peggio! "
Davvero era stato tanto vicino alla nave? Nemmeno l'aveva vista. Ricordava solo l'impatto con la superficie trasparente che era sembrata dura come un mattone e il gelo. E quel visto che l'aveva accompagnato nell'oblio oscuro che lo aveva avvolto poco dopo.
Provò a rispondere qualcosa, ma la gola gli bruciava davvero in maniera insopportabile.
Ace sembrò cogliere al volo e subito si affrettò a prendere un bicchiere d'acqua, sollevò il biondo per le spalle, attento a non fargli male, e lo aiutò a bere un poco.
Non aveva nemmeno la forza per protestare, nonostante non volesse essere accudito come un moccioso.
Una volta tornato con la testa tra i morbidi cuscini chiuse gli occhi e sospirò.
"Potete lasciarci soli un minuto?"
Si sentì domandare in quel tono gracchiante che non era certo il suo, senza peraltro sapere a chi si stesse rivolgendo: non aveva visto chi ci fosse in quella stanza, ma immaginava non fossero soli dato che Ace qualche minuto prima aveva ipoteticamente annunciato a qualcuno il risveglio del comandante della prima flotta.
Sentì poi effettivamente dei passi e una porta chiudersi, ed il volto di Ace fece di nuovo capolino, lo sguardo perplesso e preoccupato.
"Qualcosa non va Marco?"
Ah da cosa poteva cominciare?
Scusa Ace, lo so che ti suonerò stupido e strano, ma vedi pensare di morire mi ha fatto capire che sono un cretino e che ho perso tanto, troppo tempo dietro inutili paure. Dovrei proprio dirti cosa provo perchè se morissi davvero, avrei un rimpianto enorme ad impedirmi di riposare in pace.
Bel discorso del cavolo.
Solo che a giudicare dalla faccia che ora stava facendo il moro non lo aveva solo pensato, senza rendersene conto lo aveva detto ad alta voce.
Merda.
"Marco... di che cosa stai parlando?"
Già di cosa stava parlando?
"Sono innamorato di te."
Merda questo lo aveva sentito anche lui uscire dalla propria bocca.
Il viso lentigginoso intanto divenne paonazzo, mentre il pirata apriva e chiudeva la bocca evidentemente in cerca di qualcosa da dire.
"Non devi dirmi nulla Ace. Non mi serve nessuna risposta. Avevo solo bisogno che tu lo sapessi."
Ecco... adesso un po' tornava a riconoscersi.
Stupido. Stupido pennuto con la testa ad Ananas. Si, si stava insultando da solo con gli epiteti cognati per lui dai suoi compagni.
"Beh ora magari è meglio se ripos..."
Non terminò la frase perchè venne zittito dalle labbra di Ace che si erano chiuse sulle proprie. 
Oh, com'erano morbide. Non lo avrebbe mai pensato. Non che si fosse mai permesso di avere quel tipo di fantasie, era già tanto che avesse ammesso i propri sentimenti con se stesso. Di provare a fantasticarci su non se ne parlava minimamente.
Eppure stava accadendo.
Questo gli fece pensare di nuovo di essere morto. 
"Bacio così da schifo da farti piangere?"
Ancora una volta si trovò a stupirsi di se stesso. Non si era accorto delle lacrime fino a che Ace non glie le aveva fatte notare.
"Sono vivo Ace? Davvero sta succedendo questo?"
Domandò con la voce che tremava di una miriade di emozioni trattenute. Notò giusto un lieve guizzo di comprensione negli occhi scuri del moro, prima di essere abbagliato dal sorriso quasi dolce che gli venne rivolto e ritrovanodosi poi di nuovo quella matassa corvina ad accarezzargli le guance. Adesso sorridevano entrambi, lo sentì quando le loro labbra incurvate si sfiorarono di nuovo.
Ace sapeva di buono, di estate, di sole, di ogni cosa bella che c'era al mondo, e Marco lo strinse a sè come poteva in quelle condizioni, saggiando il suo sapore, quasi nutrendosene.
Non si era mai sentito tanto vivo e tanto bene in vita sua.
Era stato stupido ad aspettare tutto quel tempo, ed era stato assurdo che fosse dovuta arrivare la morte a bussare alla sua porta per fargli capire cosa si stava perdendo. Ma adesso lo sapeva e non avrebbe più perso nessuna occasione. Non importava cosa pensassero gli altri, cosa avrebbero detto, non avrebbe lasciato andare Ace per nessuna ragione al mondo.
Perchè finalmente tutto ciò che voleva e la sua felicità erano strette lì tra le sue mani.

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Capitolo 3
*** What if...? ***


"Se questa è la tua decisione, allora non abbiamo più nulla da dirci."
Queste erano state le parole usate da Marco, le ultime rivolte ad Ace quando questi aveva annunciato che il mattino seguente sarebbe partito per andare a cercare Teach con l'obiettivo di vendicare Thatch e ripulire il buon nome di Barbabianca.
Convincerlo a desistere era stato inutile e alla fine la fenice se n'era uscito con quella frase che troncava ogni idea di riavvicinamento, come se non potesse mai più perdonarlo, come se non gli sarebbe più importato del fato del giovane dai capelli corvini.
Nulla di più falso ovviamente. 
Se però il biondo avesse dovuto sviscerare i propri sentimenti al momento non avrebbe saputo farlo. Troppe cose gli balenavano per la mente: la morte del suo fratello più caro era ancora una ferita freschissima e scoperta, e il pensiero di perdere anche Ace lo faceva impazzire. Tuttavia non c'era solo questo. Sotto la paura si muoveva la rabbia per non essere riuscito a fargli cambiare idea, insieme ad un poco di amarezza: possibile che nonostante la loro storia non fosse riuscito a fargli cambiare idea? Non era abbastanza importante da far desiderare ad Ace di rimanere lì' con lui? Eppure ancora sotto, in una parte più profonda e consapevole del suo essere, Marco sapeva di star solo cercando una scusa per arrabbiarsi, perchè in fondo quella testa calda la capiva fin troppo bene. Ed era anche pronto a scusarla.
Se solo non avesse avuto tutta quella responsabilità sulle spalle sarebbe partito l'indomani con il pirata più giovane. Ma non poteva... Papà aveva bisogno di lui lì, sulla Moby, per tenere tutti uniti. Non poteva partire...

[...]

A metà di quella notte insonne Marco si era alzato di scatto, e con il cuore che gli martellava nel petto aveva preso la decisione più audace e folle della sua vita: aveva deciso di partire, non con Ace, ma al suo posto. Non poteva rischiare di perderlo, sarebbe impazzito dal dolore, e per una volta mise davanti i propri bisogni a quelli della ciurma e del suo amato. Per una volta aveva deciso di essere egoista, pur sapendo che se gli fosse accaduto qualcosa ne avrebbero sofferto anche gli altri. In quel momento però non importava.
Scrisse un bigliettino con poche righe in cui spiegava il suo gesto, e lo fece scivolare sotto la porta della stanza di Barbabianca, troppo codardo per infilarlo sotto quella di Ace, poi approfittando delle ombre della notte, spiccò il volo, benedicendo per una volta il potere di quel frutto del mare che non gli aveva permesso di salvare Thatch, ma che almeno lo avrebbe aiutato a proteggere Ace.

[...]

Agonia... quella era una crudele agonia. 
Il prode Marco aveva sottovalutato largamente il suo avversario e ora ne pagava le conseguenze, incatenato alle stregua di una bestia da macello.
Il kairoseki gli bruciava la pelle nei punti in cui si stringeva, e le forse lo avevano quasi del tutto abbandonato. Le ferite che gli erano state inflitte inoltre, non si rimarginavano come avrebbero fatto normalmente, e questo stava comportando una notevolissima perdita di sangue che di certo non migliorava la situazione generale. 
Il biondo alternava stati di coscienza a stati di totale delirio in cui si perdeva tra i suoi ricordi, rivedendosi sulla nave con tutti gli altri, intenti a festeggiare chissà quale ricorrenza. Altre volte i deliri della mente poi divenivano vere e proprie allucinazioni con le quali intratteneva lunghe conversazioni. In alcuni casi vedeva Ace, lì seduto accanto a lui con il viso allegro spruzzato di lentiggini e il cappello tenuto alto sul capo, e con lui si scusava per essere partito senza dire nulla, per avergli detto come ultimo addio semplicemente: non abbiamo più nulla da dirci. No no, aveva sbagliato in toto. Avrebbe dovuto dirgli che lo amava, e che era la cosa migliore che gli fosse capitata nella sua lunga vinta.
Quando era Thatch a sederglisi accanto invece, si scusava per non averlo potuto guarire. Si scusava di non aver potuto fare altro che stringere il suo corpo tra le braccia e dargli una degna sepoltura. Si scusava delle lacrime che aveva pianto come un bambino, e che continuava a versare ogni volta che pensava a lui, perchè gli mancava da morire. E si scusava anche per aver pensato per un solo attimo di raggiungerlo immediatamente. Non voleva essere debole davanti agli occhi del suo migliore amico, dovunque lui fosse ormai.
In fine, quando era Papà a ergersi di fronte a lui, neanche a dirlo si scusava di nuovo. Per essere partito, per averlo lasciato nel momento del bisogno. Poi gli chiedeva se era stato davvero un bravo figlio e un bravo comandante, un buon braccio destro per quell'uomo a cui doveva tutto. E lui sorrideva indulgente. Tutti e tre lo facevano, perchè erano allucinazioni e dovevano dargli conforto, la sua mente le produceva apposta per farlo sopravvivere e di certo non aveva bisogno di altro dolore, cosa che invece gli avrebbe provocato la consapevolezza di averli delusi tutti e tre.
Nei rari momenti in cui però la ragione tornava a farsi forte e viva in lui, implorava Teach di ucciderlo, perchè sapeva che quella era l'unica soluzione. Perchè era conscio di essere tenuto in vita solo come agnello sacrificale per attirare i suoi compagni in una trappola in cui non voleva cadessero. Avevano già perso tutti fin troppo... 
Quel bastardo però gli rideva in faccia e lo lasciava lì al suo tormento, almeno per la maggior parte delle volte. Quando invece voleva torturarlo ancora un po', ingabbiava la fenice nel suo potere oscuro, e si divertiva a giocare con la sua psiche, gettandolo in uno sconforto tale da fargli desiderare davvero la morte, solo per porre fine a tutto quanto. Il nero lo avvolgeva inesorabilmente, e lo trasportava in un universo desolato dove era costretto a rivivere le perdite dolorose di cui era stato spettatore e partecipe nel corso degli anni, in un loop senza fine.
Da quei viaggetti ne usciva sempre più distrutto e indebolito, e quasi sperava alla fine di cedere per sfinimento. L'importante era che morisse no? Prima che qualcuno provasse a salvarlo finendo nelle grinfie di Barbanera.
Non che gli dispiacesse quell'idea. In un angolo recondito della sua mente si permetteva qualche volta di sperare, di veder apparire proprio Ace sulla soglia della cella, pronto a salvarlo, ma metteva da parte quel desiderio egoista e riprendeva a pregare che ciò non accadesse mai. Non doveva perire nessuno a causa sua.
"Resta al sicuro... non venire a cercarmi..."
Mormorava nel nulla di quella prigione fredda e silenziosa, sperando che in qualche modo la sua voce giungesse alla coscienza del giovane pirata, e lo facesse davvero desistere da qualsiasi piano avesse in mente.
E intanto si alternavano i giorni e le notti, scandite solo da intervalli irregolari tra tortura e pace, facendo perdere alla fenice la cognizione del tempo. Per quanto ne sapeva potevano anche essere passati anni... ma non importava. Tutto ciò che desiderava era la fredda carezza della signora con la falce, così da liberare se stesso e i suoi compagni da quel fardello.
Non si era mai pentito tanto di una sua scelta in vita sua.
Una sola volta aveva ascoltato l'istinto piuttosto che il buon senso... e con quell'unica volta aveva semplicemente rovinato tutto.

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Capitolo 4
*** I wish I could save you ***


https://www.youtube.com/watch?v=3KHJKj9GgsI

-  A simple thing where have you gone? I'm getting old and I need something to rely on -

Non appena giunse sulle due tombe gemelle, i ricordi affollarono la mente di Marco, che si era appena inginocchiato sull'erba, un sorriso nostalgico sul viso stanco e tirato dalle mille preoccupazione e dal dolore che non aveva accennato a lasciarlo nemmeno dopo un anno dalla guerra che gli aveva strappato contemporaneamente un padre e un fratello.
Ed eccolo lì di nuovo con il viso rigato di lacrime inutili, quelle stesse lacrime che forse li avrebbero potuti salvare, se lui davvero avesse meritato il soprannome di Fenice che gli avevano affibbiato a causa del suo potere. Peccato però che quel potere funzionasse solo su se stesso. E a cosa serviva non poter morire e rigenerasi all'infinito, se tutto ciò che amavi poteva esserti portato via con un alito di vento? Quanti ancora avrebbe dovuto veder perire senza poter far nulla?
Aveva combattuto con tutto se stesso, ma non era stato sufficiente, aveva pianto tutte le sue lacrime, ma non era servito a niente.
E adesso che cosa gli restava? Solo quei ricordi che gli colpivano il cuore come continue stilettate precise e profonde.

Eccolo lì Ace davanti ai suoi occhi, anni prima, quando ancora quello scavezzacollo voleva provare ad uccidere il Vecchio. Era stato Barbabianca in persona ad ordinare a Marco di occuparsi di quel bambino impertinente e impulsivo e il comandante non era stato felice del compito inizialmente. Perchè sempre a lui quelle grane? Poi però si era affezionato a quel morettino dal volto spruzzato di lentiggini, e aveva continuato a vegliare su di lui non per via di un ordine, ma perchè lo desiderava davvero.

Ricordava la sua risata, quel suono caldo che sembrava alleggerire ogni preoccupazione e ogni tristezza, ma ricordava anche come quel viso a volte si rabbuiasse, divenendo distante e intoccabile, a causa di un ricordo doloroso, o a causa del sangue che scorreva nelle sue vene.  Ricordava anche di quante volte fosse corso proprio Marco stesso a cercare di rischiarare quelle tenebre che sembravano inghiottire il pirata più giovane.

Non ricordava però quando aveva effettivamente iniziato a desiderare di rischiarare quelle tenebre. Quando aveva smesso di vederlo come un dovere, ma come qualcosa a cui teneva. Quando aveva iniziato a osservare il giovane, cercando di cogliere ogni sua espressione, cercando di imparare a leggere ogni sua più piccola emozione. Quando era diventato così caro al suo cuore? E chissà... Se forse gli avesse detto cosa provava in quei momenti, forse Ace non sarebbe partito alla ricerca di Barbanera, forse sarebbe rimasto con loro, con lui. Ma la Fenice non aveva mai fatto parola dei suoi sentimenti, nemmeno con se stesso quasi. Si era sempre rifiutato di guardare oltre quel sentimento fraterno che si sforzava di provare e che si impediva di far sfociare in qualcosa di differente.

E poi comunque chi voleva prendere in giro? Ace avrebbe cercato di vendicare Thatch comunque, indipendentemente dalle parole di Marco. Non aveva forse cercato di fermarlo in tutti i modi? Pugno di fuoco non aveva voluto sentire ragione alcuna. No... quella tortura che il comandante si stava imponendo costantemente, era solo un modo per punirsi per non essere riuscito a salvarlo. Flagellarsi col senso di colpa, impedirsi di andare oltre, questo era tutto ciò che ormai lo teneva legato ai due pirati sepolti a molti metri sotto i suoi piedi. Perchè di loro in quel mondo non c'era più nulla, solo l'enorme vuoto che avevano lasciato.

Non avrebbe mai più potuto accarezzare quei capelli che richiamavano il colore della notte, ne specchiare le proprie iridi in quelle del giovane. Non ci sarebbero più stare risate, e risse, e fughe alla ricerca di qualche guaio in cui cacciarsi.

Ace non c'era più da nessuna parte.

E a Marco mancava da morire.

E lui era solo una fenice a metà, che poteva curare se stesso, ma non chi amava. E che non poteva curare nemmeno se stesso del tutto, perchè quella ferita che gli doleva nella parte più profonda dell'anima non si sarebbe mai più potuta ricucire. Avrebbe continuato a sanguinare finchè l'uomo avesse avuto respiro e battito. 

"Però non posso ancora raggiungevi. Almeno finchè non avrò messo il tuo fratellino sul trono di re dei pirati, non potrò arrendermi. Voglio mantenere almeno una promessa. Che ne dici Ace?"
 

Rivolse quella domanda al vento che sospirava, quasi pregando di ricevere un segno in risposta, ma ovviamente ogni cosa taceva. Si alzò dunque in piedi chinando il capo in segno di saluto e alzò poi lo sguardo verso il cielo terso che sembrava prendersi un po' beffe di lui, che invece in quel momento avrebbe preferito un bel temporale. E invece il mondo sembrava volergli ricordare a forza che oltre il dolore esisteva ancora qualcosa di bello. 

"Darei ogni cosa per poterti riavere sotto questo cielo insieme a me."
 

Per la prima volta lo aveva detto ad alta voce, ma anche quelle parole si dispersero nel vento, mentre la fenice si asciugava le lacrime e prendeva il volo, allontanandosi da quel luogo in cui riposavano coloro che aveva tanto amato.

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