In vacanza con Isabel: sopravvivere, collaborare, cambiare di Prue786 (/viewuser.php?uid=21161)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non sempre le cose vanno come vogliamo ***
Capitolo 2: *** L'imprevisto ***
Capitolo 3: *** In acqua ***
Capitolo 4: *** In balia dell'oceano ***
Capitolo 5: *** Approdo dolce-amaro ***
Capitolo 6: *** Alla disperata ricerca della civiltà ***
Capitolo 7: *** Un novello Tarzan? ***
Capitolo 8: *** Il buongiorno si vede dal mattino… ?! ***
Capitolo 9: *** False speranze ***
Capitolo 10: *** Se il destino è contro di noi… peggio per lui! ***
Capitolo 11: *** Qui non ci sono boyscout ***
Capitolo 12: *** La fine della nostra avventura? ***
Capitolo 13: *** Non siamo in un flm ***
Capitolo 14: *** Capolinea ***
Capitolo 1 *** Non sempre le cose vanno come vogliamo ***
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In
vacanza con Isabel:
sopravvivere,
collaborare, cambiare
CAPITOLO
1- Non sempre le cose vanno come vogliamo
“Nathan?...
Nathan, sei qui?”
“Sì,
mamma!” Risponde una voce annoiata: “Dove potrei essere?” Sussurra la
stessa voce, questa volta stizzita.
Un
giovane molto abbronzato è seduto di lato su una poltroncina gialla; le gambe
su un bracciolo e la schiena appoggiata all’altro. Pigia svogliatamente sui
tasti del cellulare che ha in mano e sbuffa regolarmente. Si ferma qualche
attimo e fissa lo schermo come in attesa di qualcosa.
“Nathan!
Che fai seduto lì sopra! Dai, vai fuori,c’è l’animazione!”
Il
giovane alza di poco la testa e lancia una veloce occhiata alla madre: “Non mi
va!”
La
donna alza le spalle e si avvicina al figlio con un sorriso: “Avanti, Nat, è
estate, siamo in vacanza! Smettila di giocare con quel telefono e prendi un
po’ d’aria!” Afferra il braccio del ragazzo e tira poco convinta.
“Se
ti ho detto che non mi va evidentemente non ne ho voglia!”
Un
suono e il display del cellulare si illumina.
Nathan
si divincola dalla presa della madre e concentra la sua attenzione
sull’oggetto: nuovo messaggio, vi è
scritto. Proprio quello che stava aspettando.
La
donna rimane a fissarlo ancora per un po’, mentre il ragazzo segue con lo
sguardo il testo, e si allontana di poco: “La prossima volta te ne rimani a
casa!” Sbotta imbronciandosi: “Non è possibile pagare per qualcuno che si
annoia e non apprezza nulla! E pensare che ci sono tutti i divertimenti qui!”
Il
ragazzo sbuffa pigiando i tasti: “Non l’ho chiesto io di essere trascinato
in crociera! Avrei preferito restare a casa e voi lo sapete!”
La
donna fissa il figlio con aria innervosita e respira a fondo più volte prima di
rispondere: “Non ti meriti nulla, e questa è l’ultima volta che vieni in
vacanza con noi! L’anno prossimo resterai a casa e ti troverai un lavoro…
non pensare che te ne starai ad oziare! Vedremo se ti divertirai di più!” Si
volta afferrando con foga la borsa da sopra un tavolino ed apre la porta
sostando sull’uscio qualche secondo prima di voltarsi; Nathan è ancora
impegnato a scrivere messaggi con il cellulare e non sembra esser stato toccato
dalla sue parole. Sospira e esce chiudendosi la porta alle spalle.
Il
giovane alza lo sguardo e sbuffa
chiudendo gli occhi e alzando le braccia, stiracchiandosi: “Che pizza!”
Il
suono del telefonino lo fa riprendere subito e raddrizza la schiena cominciando
a leggere. Si ferma e apre leggermente la bocca con la mano che regge
l’oggetto a mezz’aria: “Non puoi…” Sussurra incredulo: “Ma…”
Rilegge per la seconda volta il messaggio: “Maledizione!” Sbotta alzandosi
di scatto dalla poltrona e lanciandovi contro l’oggetto, con rabbia. Comincia
ad andare avanti e indietro con le
mani sui fianchi e l’aria torva: “Non può farlo, non così, non ora…
non… non può!” Sibila aumentando il passo.
“È
finita!” Pensa all’improvviso, fermandosi.
A
dispetto del suo umore, un lieve sorriso gli increspa le labbra: “Mi ha
lascito… mi ha lasciato!” Sghignazza senza
allegria e si lascia cadere pesantemente sulla poltrona, nascondendosi il viso
con le mani.
Rimane
in silenzio, in quella posizione, per una manciata di secondi allontanando, poi,
le mani dal volto.
Porta
una mano dietro la schiena e cerca di prendere il cellulare, sospirando nel
sentire l’oggetto sotto i polpastrelli. Se lo porta davanti gli occhi e lo
fissa con sguardo vuoto prima di premere qualche tasto. Rilegge il messaggio di
poco prima e al nervosismo si sostituisce la rassegnazione: “È davvero
finita!” Sussurra muovendo appena le labbra come se il sentirlo potesse far
sembrare meno assurda la cosa.
Un
anno. Stavano insieme da un anno, lui ed Helen, e non se l’erano passata male,
affatto. Nonostante gli ultimi due mesi non fossero stati propriamente
idilliaci. Lei era diventata stranamente possessiva e lui, doveva ammetterlo, si
divertiva a rendersi irreperibile uscendo con gli amici senza avvisare nessuno.
Non
che non volesse bene ad Helen, però… beh, gli dava fastidio quel suo
attaccamento quasi morboso. E che diamine! Non erano ancora sposati!
Convinto
che il suo metodo le avrebbe fatto, prima o poi, capire la situazione, si era
limitato a continuare a sparire ogni tanto senza provare a parlarle, a spiegarle
che quella sua gelosia immotivata gli dava immensamente fastidio.
Sì,
litigavano, ma poi finivano sempre per far pace.
Gli
ultimi due mesi erano passati in questo modo, fra continui tira e molla.
Nathan
era sicuro al cento per cento che avrebbero continuato in quel modo fin quando
lei non si fosse stancata, lasciandolo respirare un po’. In effetti non aveva
sbagliato di molto; Helen si era effettivamente stancata e l’avevo lasciato
libero di respirare… ma senza di lei.
Non
pensava che sarebbe andata così, ma da quando aveva iniziato quella dannata
crociera, la sua ragazza non aveva smesso di chiedere cosa facesse e con chi
fosse: ossessiva!
Poi
ci era messa anche sua madre a dar fastidio e, non ne era sicuro, ma doveva aver
risposto male ad entrambe. Per quanto riguarda una della due, l’aveva fatto
senza volerlo, ma oramai era troppo tardi!
“Potrei
provare a chiederle scusa…” Pensa Nathan guardando il soffitto bianco della
cabina con aria imbronciata.
Stringe
le labbra e lancia un’occhiata al cellulare, socchiudendo gli occhi, prima di
spegnerlo: “Al diavolo!” Sussurra poggiando la testa alla poltrona.
Chiude
completamente gli occhi: “Semmai proverò domani a farla ragionare… mi sta
venendo mal di testa!” Si porta le mani alle tempie massaggiandole lievemente
e finendo per alzarsi e puntare verso la porta.
Lancia
un’occhiata indietro mentre una curiosa sensazione di nostalgia si impossessa
di lui. Scuote la testa come per cacciarla via, ed esce dalla cabina chiudendosi
violentemente la porta alle spalle.
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Capitolo 2 *** L'imprevisto ***
CAPITOLO 2- L’imprevisto
Nathan
esce nel corridoio e con aria imbronciata e cammina guardando il pavimento
borbottando qualcosa fra sé quando un rumore gli fa alzare di scatto la testa
ed è costretto ad appiattirsi contro il muro con un balzo per evitare di essere
investito dal porta carichi che arriva in tutta velocità: “Ehi!” Protesta
con stizza.
L’uomo
si ferma, voltandosi a guardarlo: “Ah… pensavo non ci fosse nessuno dentro,
a quest’ora!” Esclama a mo’ di scusa, ma Nathan non è d’accordo: “E
questo cosa centra? Non posso neanche rimanere in cabina?” Domanda il ragazzo
accigliandosi e mettendo le mani sui fianchi.
L’altro
sembra riflettere sulla risposta da dargli finendo per abbassate di poco lo
sguardo: “Sì, ha ragione… mi scusi!”
Nathan
non sembra soddisfatto e rimane fermo a guardare prima lui e poi il carico poco
più avanti: si tratta di una mezza dozzina di casse di legno prive di qualsiasi
scritta.
L’uomo
sospira e muove un passo verso il porta carichi: “Mi scusi ancora, le assicuro
che non accadrà più!” Borbotta prima di girarsi e proseguire lungo il
corridoio nella direzione opposta rispetto al giovane.
Nathan
rimane a guardarlo per qualche secondo e si gira scuotendo la testa e
sussurrando: “Ma guarda un po’ che tipo!” Riprendendo a camminare.
“Ah,
sei arrivato! Dove sei stato fino ad ora? Ti abbiamo cercato ovunque!”
Nathan
si siede senza guardare il padre, concentrandosi, invece, sul piatto davanti a sé
e borbottando: “Ho preso un po’ d’aria!”
In
quel momento arriva al tavolo anche la madre che si accomoda senza dire nulla.
Il
ristorante della nave è pieno a metà, ma le voci dei presenti non fanno
sentire la mancanza del resto dei commensali.
“Vedo
con piacere che hai smesso di giocare con quel cellulare!”
Il
giovane alza lo sguardo sulla madre: “Sì, ho smesso, ora sei contenta?”
“Nathan,
non rispondere in questo modo!”
“Ma
papà…!”
L’uomo
sbatte una mano sul tavolo fulminando il figlio con gli occhi senza aggiungere
altro e Nathan riesce solo ad aprire la bocca, con l’intenzione di ribattere,
finendo però per abbassare lo
sguardo sul tavolo.
“No!
Lasciami!”
L’urlo
cattura l’attenzione del giovane che si volta di scatto.
“Vieni
qui!”
“No!”
“Ti
ho detto di venire qui! Ferma!” Una ragazza cammina velocemente con aria
trafelata e sembra parlare da sola fin quando da dietro una sedia non spunta una
bambina con due codini biondi che sembra divertirsi un mondo a farsi rincorrere
dalla giovane.
“Non
mi prendi! Non mi prendi!” Urla la piccola facendo la linguaccia e cominciando
a correre arrivando vicino la sedia di Nathan che la guarda, mentre si
allontana, spostando in automatico lo sguardo sulla sua inseguitrice che ha il
volto rosso, un po’ per la corsa, un po’ per il caldo e un po’ per
l’imbarazzo.
Il
giovane sorride lievemente e quando le due sono lontane, ritorna a girarsi.
Le
pietanze della cena cominciano a essere portate una dopo l’altra, ma,
nonostante la grande varietà del cibo, Nathan si limita a sbocconcellare
qualcosa senza entusiasmo prima di alzarsi dal tavolo: “Vado a fare un
giro!” Esclama allontanandosi. Senza distogliere lo sguardo dalla porta,
percorre l’intera sala ed esce fuori.
Un
lieve venticello gli scompiglia i capelli portandoglieli davanti agli occhi. Con
un rapido gesto della mano li allontana dalla fronte e con passi rapidi arriva
sul ponte della nave che in quel momento è quasi vuoto.
Guarda
il cielo colorato di blu e sta per avvicinarsi alla balaustra quando si scontra
improvvisamente con qualcuno. Sorpreso, abbassa lo sguardo e vede davanti a sé
una cassa di legno. Inarca le sopracciglia quando una voce esclama: “Mi
scusi!”
Nathan
si sposta leggermente e vede un giovane uomo che spunta da dietro il grande
oggetto. Sembra stia facendo un grande sforzo per reggerlo.
“Ehm…
mi- mi scusi lei… non l’avevo vista!” Borbotta il ragazzo guardando il
volto rosso.
L’altro
fa una smorfia: “Mi scusi ancora!” Fa un live cenno del capo e si
allontana.
Nathan
rimane e guardarlo ancor per qualche secondo: “Chissà cosa c’è in quella
cassa…!” Alza le spalle e si volta per raggiungere la fine del ponte, ma la
sua attenzione viene attirata da delle voci.
Alla
sua sinistra, ad una cinquantina di metri, vi sono tre persone che sembrano
discutere animatamente. Uno di loro si volta e fissa Nat per qualche secondo
prima di fare segno agli altri di far silenzio. I tre parlottano ancora per
qualche istante per poi allontanarsi.
Nathan
si massaggia il collo: “Ma che ha l’equipaggio, oggi?” Scuote la testa e
raggiunge la balaustra poggiandogli le mani sopra e respirando l’aria
salmastra socchiudendo gli occhi e assaporandola a fondo.
Quando
riapre completamente gli occhi si ritrova a scrutare la superficie nera del
mare.
Lievi
schizzi biancastri si alzano dalla parete della nave, ma a parte quelli,
l’acqua dell’oceano è calma e le luci della nave si riflettono sulla sua
superficie, riempiendola di luccichii.
Nathan
si appoggia con entrambe le braccia rimanendo a fissare l’orizzonte per
diversi minuti prima che il chiacchiericcio degli altri partecipanti alla
crociera non lo distragga facendolo voltare e rimanere a fissare le persone che
lentamente vanno ad occupare il ponte.
Il
suo sguardo vaga con rapidità da una persona all’altra e gli viene spontaneo
sorridere nel vedere la bambina di poco prima che viene tenuta per mano da un
giovane uomo.
La
sua attenzione, però, viene catturata da un gruppo di ragazze che parlano
allegramente ridendo con aria spensierata. Le osserva per un po’ prima di
pensare: “Potrebbe essere un buon diversivo…” Si allontana di qualche
passo dalla balaustra e si ferma sospirando: “Forse è meglio di no…
dopotutto ho rotto con Helen da neanche un giorno!” Inarca le sopracciglia e
incrocia le braccia al petto: “Ma, in fondo, è stata lei a lasciarmi! Sono in
vacanza… sono qui per divertirmi, quindi non c’è niente di male se cerco
una distrazione!” Annuisce con aria soddisfatta e punta verso il gruppo di
giovani con passo sicuro.
“Sì,
certo! Avete visto la sua faccia?”
“Povera
me credevo volesse cominciare ad urlare!”
“Ma
ci pensate! Che figura!”
“Ehm-ehm!”
Nathan guarda le ragazze con aria allegra e le quattro si girano
contemporaneamente al sentire la sua voce.
“Ciao!”
Esclama il ragazzo sorridendo con tutta l’aria di essere a proprio agio.
Le
giovani lo squadrano per qualche istante con aria perplessa prima di accennare
qualche sorriso incerto: “Ciao…” Dicono insieme ancora poco convinte.
“Non
vi sembra che sia un po’ noioso qui?” Chiede l’altro con fare sicuro.
Una
di loro alza le spalle: “Qui un po’, ma ogni tanto fa bene un po’ di
tranquillità, no?”
Nathan
la guarda con interesse: “Vuoi dire che da quando siete qui vi siete sempre
divertite?”
Le
ragazze si lanciano un’occhiata e annuiscono.
“È
strano!” Il giovane incrocia le braccia al petto, inarcando un sopracciglio:
“Allora come mai sono tre giorni di seguito che mi annoio?”
“Si
vede che non hai la compagnia giusta!” Esclama la ragazza di prima.
Nathan
sorride leggermente: “Mi stai dicendo che con voi mi divertirei?” Il sorriso
si allarga.
L’altra
si raddrizza in tutta la sua altezza: “Dammi due ore e conoscerai tutti i pub
e le discoteche presenti su questa nave!”
“Sembra
interessante…” Nathan sembra riflettere sull’offerta.
“Cos’è,
mamma e papà non ti fanno fare
tardi?” Domanda l’altra, con aria di sfida, beccandosi un’occhiataccia dal
giovane.
“Questo
è l’ultimo dei miei problemi!” Risponde piccato.
“Quindi
verrai con noi?” Chiede la ragazza con un lieve sorriso.
Nathan
la guarda: i capelli castani tagliati corti le incorniciano il viso dandole
l’aria da ragazzina, ma lo sguardo deciso sembra pronto a sfidarlo. Il ragazzo
accenna un sorriso: “Puoi scommet…”
Uno
scoppio improvviso interrompe la frase e il giovane si volta di scatto verso la
fonte del rumore imitato dagli altri passeggeri.
Si
sente qualche urlo in lontananza e poi più nulla.
Ricomincia
a sentirsi un leggero mormorio dopo l’improvviso silenzio seguito al rumore.
Q
Qualche
secondo e il brusio aumenta e anche Nathan è in procinto di parlare quando si
sente un secondo scoppio, più forte del precedente.
Il
ponte esplode subito dopo gettando nel panico i presenti.
Questa
volta sono più persone ad urlare e la gente comincia a correre in tutte le
direzioni mentre le fiamme fuoriescono dallo squarcio lambendo il ponte.
Nathan
rimane immobile per qualche istante prima di sussultare insieme all’intera
imbarcazione rischiando di perdere l’equilibrio. È costretto ad
indietreggiare e a mantenersi al parapetto mentre gli occhi fissano le fiamme
che si alzano illuminando lo spazio circostante.
Si
avvertono altre esplosioni e le luci sulla nave si spengono facendo aumentare le
urla dei passeggeri che non hanno smesso di correre da una parte all’altra
alla disperata ricerca di familiari e amici.
È
sul punto di precipitarsi anche lui alla ricerca dei genitori quando
l’ennesimo scoppio fa tremare la nave e il giovane non sente più un appoggio
sotto i piedi.
All’improvviso
il mondo va sottosopra e Nat ha solo il tempo di urlare prima di essere
scaraventato in acqua.
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Capitolo 3 *** In acqua ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO
3- In acqua
L’impatto
con la superficie liquida non è dei migliori.
Nathan
entra nell’oceano di testa e impiega qualche secondo per riuscire ad aprire
gli occhi. Scuote la testa e una miriade di bollicine cominciano ad uscirgli
dalla bocca.
Intorno
a lui è tutto scuro e ovattato e, nonostante non veda nulla, cerca subito di
guadagnare la superficie cominciando a nuotare verso quella che spera sia la
direzione giusta.
La
distanza che lo separa dal pelo dell’acqua sembra aumentare ad ogni bracciata
e quando finalmente riesce ad intravedere un chiarore più forte, il suo corpo
è già in debito d’ossigeno.
Aumenta
la velocità e finalmente riesce ad uscire urtando violentemente con la testa
contro qualcosa, ma ignora il dolore e comincia a respirare avidamente, senza
curarsi di nient’altro all’infuori della pressante richiesta d’ossigeno.
Quando
il respiro ritorna regolare, Nathan si guarda intorno con più attenzione e vede
le fiamme che si innalzano dalla nave da crociera che si riflettono sull’acqua
illuminando i detriti scaraventati in mare insieme alla persone.
Il
ragazzo fissa lo spettacolo devastante e fa qualche bracciata come se un po’
di movimento riuscisse a fargli capire quale comportamento mettere in atto.
Si
sente stordito ed avverte un dolore lancinante alla testa: “Sono sbattuto
prima!” Si limita a constatare toccandosi con cautela e voltandosi indietro
per cercare di capire contro cosa sia andato a sbattere, senza successo. Prende
a massaggiarsi la testa con una mano mentre il suo sguardo cade sui pezzi di
legno che lo circondano: “Sono le travi del ponte…” Sussurra mentre il
dolore alla testa non accenna a diminuire.
Si
gira di scatto verso la nave a sentire un nuovo scoppio ed è costretto a
chiudere gli occhi dal dolore mentre gli si riempiono automaticamente di
lacrime: “Maledizione!” Sibila massaggiandosi furiosamente la testa. Un urlo
lo fa bloccare: sembra provenire da qualcuno vicino a lui.
Si
sente urlare di nuovo e Nathan comincia a guardarsi intorno esitando qualche
istante prima di nuotare verso degli spruzzi d’acqua che si alzano in modo
innaturale.
“Mamma!”
Urla di nuovo la voce infantile mentre il ragazzo avverte un vuoto allo stomaco
e cerca di nuotare più velocemente.
Raggiunge
il corpo, che tenta disperatamente di rimanere a galla, e lo afferra,
attirandolo a sé: “B-bene!” Dice con la voce rotta nello sforzo di
respirare.
Si
sente stringere da due manine e abbassa di poco lo sguardo solo per notare due
codini biondi appiattiti a causa dell’acqua. Suo malgrado gli viene da
sorridere: “Allora sei tu!” Sussurra cingendo la bambina con un braccio
mentre con l’altro cerca di spostarsi.
Tira
un sospiro di sollievo quando con la mano afferra un pezzo si legno che
galleggia sull’acqua e che sembra abbastanza grande da poter ospitare la
piccola.
“Adesso
ti metto qui sopra così non rimani più nell’acqua, va bene?” Chiede
dolcemente alla bambina inclinano un
po’ la testa per cercare di guardarla, ma l’altra non sembra essere
d’accordo perché si stringe ancora di più a lui nascondendo il viso sulla
sua spalla.
Nathan
sospira alzando gli occhi al cielo: “Ascolta… vuoi trovare la tua mamma,
vero?”
L’altra
alza di poco la testa e lo fissa con gli occhi lucidi, annuendo: “Bene, e
allora sali là sopra! Fra poco non ce la farò più a nuotare con te in
braccio!” Allontana il corpicino da sé e con qualche sforzo riesce ad issarlo
sulla tavola di legno.
La
bambina vi si accovaccia sopra e rimane ferma a guardare Nathan mentre
quest’ultimo si porta una mano alla tempia massaggiandola con una smorfia di
dolore.
“Ti
sei fatto male?” Chiede la piccola sussurrando.
Il
giovane si gira e la guarda per qualche istante prima di sorridere: “Un po’,
ma ora mi passa!” Si gira verso la nave in fiamme ed esclama: “Ora vado a
cercare qualcuno! Va bene?” Comincia ad allontanarsi, ma non è riuscito a
fare neppure un paio di bracciate che sente la bambina piangere.
“Non
voglio stare da sola! Voglio la mia mamma!”
Il
giovane sbuffa, imbronciandosi: “Cosa vuole adesso, accidenti!” Sferra un
pugno all’acqua e si gira ritornando dov’era prima: “Devo anche trovare i
miei… chissà dove saranno…” Pensa mentre comincia ad avvertire una brutta
sensazione. Cerca di cacciare dalla mente quei pensieri e guarda la bambina:
“Che c’è?” Chiede in modo brusco.
“Non
voglio stare da sola!”
“Sei
una noia!” Il ragazzo afferra l’oggetto sul quale vi è la piccola e
comincia a trascinarlo con estrema lentezza. Scuote la testa e impreca
mentalmente quando il dolore aumenta vertiginosamente. Sembra
che la testa voglia scoppiargli.
Continua
a borbottare maledizioni fra sé prima di venir distratto dalla voce della
bambina: “Guarda! Ci sono i fuochi!”
Nathan
alza istintivamente gli occhi al cielo e apre la bocca con stupore nel vedere
degli oggetti in fiamme sopra di loro: “Merda!” Urla sbattendo velocemente
le gambe sott’acqua per allontanarsi in fretta, ma non ha l’effetto sperato.
Lancia
una rapida occhiata in aria e poi alla figura a mezzo metro da lui che guarda
fisso in aria più con meraviglia che con paura.
Il
mal di testa sembra raggiungere l’apice, vede la bambina oscillare davanti ai
suoi occhi ed avverte il bisogno impellente di vomitare. Chiude gli occhi e si
impone di non lasciarsi andare, o almeno non ancora, mentre poggia entrambe le
mani sul pezzo di legno e si getta sulla bambina poco prima che i detriti
comincino a cadere nell’acqua.
“Mi
sento male!” Pensa mentre circonda il corpicino con un braccio, stringendo
convulsamente gli occhi.
Avverte
un forte colpo all’altezza della spalla sinistra e poi più nulla.
Il
rumore dell’acqua che sbatte contro il mezzo di salvataggio improvvisato, gli
fa capire di essere sveglio. Socchiude gli occhi quel tanto che gli permette di
vedere l’ambiente circostante, ma continua a rimanere con il viso appoggiato
al legno ruvido e lievemente bagnato.
Ha
le gambe immerse nell’oceano e avverte dolori ovunque ad ogni respiro.
Lascia
vagare lo sguardo fin dove può; il cielo è meno scuro di quanto lo ricordasse
e sembra che l’alba sia in arrivo. Sposta gli occhi dall’orizzonte e si
concentra sul suo braccio che si alza e si abbassa regolarmente senza che lui
faccia nulla. Alza un po’ di più le palpebre e mette a fuoco il corpo vicino
al suo: la bambina è placidamente addormentata e le sue mani stringono il
cotone leggero del suo vestitino.
Le
labbra di Nathan accennano un sorriso prima che il giovane richiuda gli occhi
perdendo nuovamente i sensi.
per Araluna: grazie! Mi fa piacere che la
storia ti piaccia^^… ehm… sì, in effetti il dubbio che il telefono potesse
non prendere mi aveva sfiorata… ma ho accantonato il pensiero in un angolo
recondito della mia memoria^^; Spero che la storia continui a piacerti^^ Baci!
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Capitolo 4 *** In balia dell'oceano ***
CAPITOLO
4- In balia dell’oceano
Si
avvicina lentamente al bordo della piscina e guarda l’acqua chiara che emana
un forte odore di cloro.
“Nat!”
Si
sente chiamare e si volta. Vede Helen che lo saluta dalla sedia sdraio. Le
sorride e alza una mano: “Ora vedrai un tuffo spettacolare!” Le urla prima
di voltarsi nuovamente e fare qualche passo indietro.
Corre
velocemente e quando i piedi arrivano sul bordo della piscina si lancia in aria
con un salto per poi ricadere in acqua con le braccia allungate in avanti.
Viene
colpito violentemente dall’acqua, ma sorride per il bel tuffo effettuato.
Fa
una mezza capriola e comincia a risalire. Più si avvicina al pelo dell’acqua
però, e più questo si allontana.
Nuota
più velocemente sbattendo i piedi freneticamente e allungando le mani, ma la
luce si fa sempre più flebile.
Muove
la bocca lanciando un grido di aiuto silenzioso con il solo risultato di
cacciare bollicine dalla bocca e di rimanere senz’aria dai polmoni.
Avverte
le palpebre farsi pesanti. Non riesce più a mantenere gli occhi aperti; i
polmoni gli bruciano, cercano aria. Si porta una mano alla gola e con un ultimo
sforzo spalanca gli occhi.
L’acqua
intorno a sé diventa di colpo meno scura. Muove la testa e avverte un dolore
diffuso su tutto il corpo. Qualcosa scatta nella sua testa
e prende e sbattere furiosamente le gambe aiutandosi con le braccia per
raggiungere la superficie il più velocemente possibile.
Inspira
rumorosamente appena la testa è fuori dall’acqua e spalanca gli occhi a causa
dello sforzo per immettere nei polmoni quanta più aria è possibile. Ogni
respiro gli procura una lieve fitta alla spalla sinistra, ma ignora il dolore e
continua ad ingurgitare aria. Quando sembra che il suo organismo si sia un po’
ripreso, si guarda intorno e raggiunge la sua scialuppa di salvataggio
improvvisata poggiando entrambe le mani sul legno e rimanendo a fissare la
bambina che dorme ancora senza alcun problema.
Con
il respiro ancora un po’ affannato alza gli occhi e nota che il cielo è
diventato azzurro: “È mattina…” Con una mano allontana i capelli davanti
agli occhi e istintivamente lancia un’occhiata all’orologio che ha al polso:
“Strano che nessuno si venuto ancora a …” Si guarda intorno e non riesce a
finire la frase. Deglutisce involontariamente davanti a nient’altro che acqua:
“Non è possibile!” Esclama incredulo: “Non abbiamo potuto allontanarci
così tanto! Io…” Scuote la testa: “Io ero… non ero cosciente e…
c’era altra gente in acqua e… oh, dannazione!” Si copre il viso con una
mano e chiude gli occhi.
Qualcosa
gli fa allontanare l’arto dal viso: “Prima stavo sognando! Stavo… stavo
facendo un sogno e… stavo per annegare! Di nuovo!” Sospira e si massaggia
gli occhi che bruciano a causa dell’acqua salmastra.
“Beh,
prima o poi si accorgeranno della nostra scomparsa e verranno a cercarci! Sempre
se non lo stanno già facendo in questo momento.” Ritorna a guardare la
piccola ancora addormentata e sorride: “La tua mamma e il tuo papà saranno
molto preoccupati, sai?” Sussurra cominciando a nuotare aggrappato al pezzo
del ponte della nave: “Se mandano un elicottero a cercarci… se gli occupanti
vedranno un oggetto in movimento, forse scenderanno a controllare!” Pensa
Nathan con poca convinzione, ma continua a battere i piedi nell’acqua.
Il
sole è alto nel cielo quando il giovane, esausto, decide di fermarsi:
“Accidenti, ma quando arrivano i soccorsi?” Si domanda ad alta voce
sospirando: “Ma è normale che una bambina dormi tanto?” A rispondergli
vi è solo lo sciabordio dell’acqua.
Si
massaggia le tempie: il mal di testa non ha ancora accennato ad andarsene
nonostante si sia attenuato rispetto a qualche ora prima. Chiude per qualche
secondo gli occhi desiderando che qual dolore fastidioso sparisca, ma non
ottiene alcun effetto. Sospira per l’ennesima volta mentre guarda la piccola
addormentata. Le accarezza lievemente la testa e le sente mormorare qualcosa di
incomprensibile prima che si muova un po’ nel sonno. Nota la sua carnagione
chiara e alza gli occhi al cielo: “Spero che tutto questo sole non le faccia
male…” Riprende lentamente a nuotare più per fare qualcosa che per altro.
Comincia
ad avere sete e si impone di non pensaci. Ha l’impressione di essere in acqua
da un’eternità; la pelle delle mani si è raggrinzita in modo impressionante
ed è stanco di nuotare circondato da nient’altro che acqua: “E se questa
volta mi lasciassi annegare?” Si ritrova a domandarsi pochi minuti dopo, quasi
in preda allo sconforto: “Forse anche questa mocciosetta l’ha capito che non
c’è speranza e preferisce dormire piuttosto che assistere a questo spettacolo
pietoso!” Chiude gli occhi e poggia la testa sul legno smettendo di muovere le
gambe: “Che diavolo sto facendo? Nuoto ma non so neanche dove sto andando!...
forse avrei dovuto mangiare di più a cena… e bere anche!” Deglutisce con la
gola asciutta mentre il dolore alla testa aumenta con l’aumentare della
rassegnazione.
Nathan
avverte un nodo alla bocca dello stomaco. Si ritrova a sorridere suo malgrado:
“Se comincio a piangere avrò toccato davvero il fondo!” Ma non sembra che
quella prospettiva lo infastidisca molto. Rimane fermo e lascia che la corrente
trascini entrambi dove vuole, sbattendo di tanto in tanto le gambe: “Perché
non sono rimasto seduto al tavolo del ristorante…” Mormora muovendo appena
le labbra aride: “Perché sono andato sul ponte?... perché sono uscito dalla
cabina?” In lontananza si sente il cinguettio degli uccelli: “Gli avvoltoi
stanno arrivando per mangiarci!” Sussurra senza riflettere: “Chissà se farà
tanto male… non vorrei rischiare di farli andare via…”
“Mamma…”
“Sì,
mamma! Anch’io voglio la mamma!” Continua a mormorare con la testa sul
legno.
“Mamma!”
Un
singhiozzo e la zattera improvvisata ha un sussulto.
Nathan
socchiude gli occhi e alza di poco la testa fissando per qualche secondo davanti
a sé prima di rendersi conto che il suo sguardo è ricambiato da un paio di
occhi castani pieni di lacrime.
“Ah,
sei tu! Ti sei svegliata!” Esclama con voce stanca.
“Dov’è
la mia mamma… voglio la ma mamma!” La bambina riprende a singhiozzare e il
giovane socchiude gli occhi, sibilando: “Non piangere, ho un mal di testa
tremendo!” Riuscendo solo a far singhiozzare ancora di più la piccola.
Il
cinguettio degli uccelli si fa sempre più forte e si confonde con il pianto.
Nathan
si afferra la testa con una mano imponendosi di stare calmo, ma dubita di poter
resistere ancora a lungo. Alza di scatto la testa sbarrando gli occhi e
inspirando velocemente: “Ora ba…!” La fine della parola gli rimane in
gola.
Sbatte
le palpebre mentre le pulsazioni aumentano: “Sabbia!” Riesce a pensare prima
di ricominciare a nuotare spasmodicamente spingendo in avanti l’oggetto con
sopra la bambina, che non ha ancora smesso di piangere e chiamare la madre, ma
Nathan non ci fa più caso. Tutta la sua attenzione è concentrata sul
fazzoletto di spiaggia che vede in lontananza e che si avvicina sempre di più:
“Siamo salvi… siamo salvi…” Continua a ripetersi senza smettere di
nuotare: “Potrò telefonare… potrò mettermi in contatto con in miei… potrò
tornare a casa!”
per
Araluna: beh, mi rende davvero felice
sapere di riuscire a descrivere al meglio la situazione ^^ La piccola, per ora,
si limita a cercare la madre, giustamente, poi si vedrà^^ Grazie per aver
inserito la storia fra i preferiti! Baci!
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Capitolo 5 *** Approdo dolce-amaro ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 5- Approdo
dolce-amaro
La terraferma
si avvicina sempre più velocemente e Nathan sembra dimenticare completamente
tutti i dolori riuscendo solo a sorridere e a nuotare con tutte le forze. Quando
è a un centinaio di metri dalla spiaggia prova a toccare, ma il fondo è ancora
lontano. Senza per questo demoralizzarsi, si avvicina ancora di più e ci
riprova. Questa volta riesce a poggiare i piedi su qualcosa di solido.
La bambina,
d’altra parte, alla vista del nuovo scenario, ha smesso di piangere cominciando
a fissare la sabbia con interesse.
Nathan continua
a camminare finché l’acqua non gli arriva alla cintola. Si ferma e prende in
braccio la bambina e puntando verso la riva con passi veloci, rischiando più
volte di cadere. Non riesce a trattenere un’esclamazione di gioia quando è ormai
giunto al bagno-asciuga e, senza andare più avanti, si lascia cadere in
ginocchio socchiudendo gli occhi.
La piccola lo
guarda per qualche istante prima di allentare la sua presa e scendere sulla
sabbia.
Come se non
aspettasse altro, Nathan si lascia andare sdraiandosi e chiudendo completamente
gli occhi mentre rimane ad ascoltare il suo respiro affannato e il cuore che gli
rimbomba nelle orecchie.
Con le braccia
stese lungo il corpo, assapora il calore della sabbia e lascia che gli passi fra
le dita delle mani, come se solo quel gesto riuscisse a assicurargli di non
essere più in acqua.
“Dove siamo?”
Cinguetta la bimba camminando in tondo intorno a Nathan, momentaneamente
dimentica del problema che l’assillava fino a pochi istanti prima.
Il giovane apre
gli occhi, con una smorfia di fastidio, e fissa il cielo azzurro: “Non lo so
ancora!”
“E dove sono le
persone?”
“Non ne ho
idea!” Risponde con voce piatta richiudendo gli occhi.
“E quando
chiamiamo la mia mamma?” La piccola si ferma e fissa il ragazzo disteso a terra.
“Appena trovo
un telefono!”
“Quando andiamo
a prenderlo?”
“Non lo so!”
“Come si chiama
questa spiaggia?”
“Non lo so!”
“Perché non ci
sono gli ombrelloni?”
“Non lo so!”
“Perché stai
così?”
“Non lo so!”
“Perché sei
andato nell’acqua con le scarpe?”
“Piantala!”
Urla Nathan spalancando di scatto gli occhi e mettendosi seduto per poi fissare
con aria furiosa la bambina che ha cominciato a guardarlo con aria imbronciata
arricciando le labbra: “Perché ti sei arrabbiato?” Domanda con un sussurro.
“Non sono
arrabbiato!” Urla ancora di più il ragazzo alzandosi ed allontanandosi mentre
porta le dita sulle tempie.
“Finalmente si
è zittita!” Pensa tra sé non sentendo più la voce della bambina. Si volta e
socchiude le labbra.
“Voglio la
mamma!” Piagnucola l’altra mentre due goccioloni prendono a scenderle lungo le
guance.
“Oh no! Non di
nuovo!” Geme Nathan alzando gli occhi al cielo: “Perché deve capitarmi questo…”
Pensa nel sentire dei singhiozzi. Respira a fondo più di una volta e si passa
una mano sul viso prima di costringersi a sorridere: “Su, ora non piangere!” Sia
avvicina di malavoglia alla bimba accoccolandosi vicino a lei e guardandola in
viso: “Le bambine grandi non piangono! O tu sei una bambina piccola?”
L’altra si
porta i pugni sugli occhi asciugandosi le lacrime e tra i singhiozzi risponde:
“N-no… io… io sono grande!”
Nat sorride
sforzandosi di essere gentile: “Ecco, hai visto, sei grande, quindi ora smettila
di piangere, va bene?”
L’altra
annuisce tirando su con il naso: “Ma io voglio la mia mamma!”
“Sì, certo, non
ti preoccupare! Ora troviamo qualcuno e la chiamiamo, va bene?” Annuisce imitato
dalla bambina e si alza: “Perfetto!” Pensa tra sé guardandosi intorno: “Ed ora
da che parte vado…?” Nathan si guarda intorno mettendo le mani sui fianchi: non
c’è alcun dubbio sul fatto che quella dove si trova è una spiaggia… c’è sabbia a
perdita d’occhio sia a destra che a sinistra. Già, ce la sabbia, ma solo quella!
Non un ombrellone, non una sedia a sdraio e neppure qualcuno steso al sole.
Il giovane
sospira: “Perché l’unica spiaggia bistrattata dai turisti doveva toccare a me?
Ora mi tocca andare a cercare qualcuno!” Sbuffa e continua a guardarsi intorno
un altro po’ .
“E va bene,
prima mi muovo prima questa storia finirà!” Sussurra gettando un’occhiata alla
bambina che ricambia il suo sguardo con aria fiduciosa.
“Andiamo!”
Esclama cominciando a camminar, ma è subito costretto a fermarsi a causa dei
piedi che nuotano letteralmente nelle scarpe da tennis piene d’acqua.
Alza gli occhi
al cielo prima di toglierle e sbatterle un po’ mentre pensa: “Non so come abbia
fatto a non perderle nell’oceano!” Scuote la testa e riprende a camminare con i
piedi che affondano leggermente nella sabbia calda.
Più va avanti e
più affretta il passo desiderando di arrivare il prima possibile sull’asfalto ed
ha quasi iniziato a correre quando qualcuno alle sue spalle urla: “Aspetta! Vai
veloce!”
Nathan si ferma
e rimane a guardare davanti a sé mentre si massaggia la tempia.
Quando avverte
la piccola farsi più vicina, prende a camminare. In lontananza vede degli alberi
e automaticamente sorride, affrettandosi: “È finita!” Pensa con sollievo: “È
finalmente finita!” Il sorriso si allarga ancora di più sul volto di Nathan
quando le sagome degli alberi diventano più nitide, ma qualcosa gli frena
l’entusiasmo.
“Palme”
Registra il suo cervello, ma c’è qualcosa che non gli torna.
“Un bosco!”
Urla la bambina come se quello che ha appena visto fosse un parco divertimenti.
Nathan si ferma
e la guarda: “Un bosco…?” Chiede contrariato: “Quello non è un bosco, è… è una
tragedia… una maledettissima tragedia!” Urla spalancando gli occhi e cominciando
a correre verso gli alberi. Si avvicina senza perdere velocità al primo arbusto
e lo colpisce con la mano: “Bastardo!” Strilla colpendolo ripetutamente fin
quando la mano comincia a fargli male: “Stupido, stupido! Quanto devo camminare
ancora per trovare una città?” Domanda al vegetale posandogli la mano sopra:
“Eh? Quanto tempo dovrà passare?” Prende una delle scarpe che ha nella mano
sinistra e colpisce la palma con violenza come per costringerla a rispondergli:
“Accidenti! Accidenti!” Colpisce nuovamente, e poi ancora… con sempre meno
forza. Scuote la testa e si lascia cadere a terra in ginocchio per poi sedersi.
Lascia andare le scarpe a terra e porta entrambe le mani sul viso: “È un
incubo…” Sussurra rimanendo fermo.
“Ti fa tanto
male la testa?” Si sente chiedere da una vocina lì vicino.
Allontana le
mani dal volto e guarda la bambina che lo osserva e circa un metro di distanza.
Ha un’aria seria che la rende stranamente buffa. Nat si sforza di sorridere
nonostante in quel momento avrebbe solo voglia di piangere e sbattere la testa
contro un albero: “Sì…” Sussurra con voce roca: “Sì, mi fa tanto male la testa…”
Guarda la sabbia che in quel punto si mischia al terreno.
“La mia mamma
dice che non devo gridare quando al mio papà gli fa male la testa!”” Esclama con
aria grave.
“Sì, è vero,
non devi gridare!” Ripete Nathan spostandosi lentamente e appoggiando la schiena
all’albero.
“Dormi?”
“No… mi riposo un po’!” Sussurra il giovane chiudendo gli occhi.
“Pure io mi
voglio riposare!” Dice allegramente la bambina andando a sedersi vicina a Nat
che socchiude gli occhi e la guarda prima di tornare nella posizione precedente.
Passano una
manciata di minuti durante i quali gli unici rumori che si sentono sono lo
sciabordio delle onde, il canto degli uccelli e il fruscio delle fronde degli
alberi mosse dal vento… Nathan si sente tirare per la manica della maglia.
Inarca le sopracciglia senza aprire gli occhi e si limita ad un mormorio
lugubre.
“Come ti
chiami?” Si sente chiedere da una voce squillante.
“Ma la tua
mamma non aveva detto di far silenzio quando a qualcuno fa male la testa?”
Sibila il ragazzo inspirando a fondo: “Nathan! Mi chiamo Nathan!” Borbotta
ripiombando nel silenzio.
Seguono alcuni
attimi di calma e sembra si sia tornati alla tranquillità di poco prima, ma la
bambina non sembra essere di questo avviso.
“Quanti anni
hai?”
“Ventuno, ora
stai zitta!”
“Anche Désirée
ne ha ventuno! Mi diverto molto con lei, però grida sempre, perché io scappo e
non mi faccio acchiappare!” Sorride con aria soddisfatta: “Tu sai giocare ad
acchiapparello? Io gioco sempre ad acchiapparello con Désirée e vinco sempre,
però la mamma a casa non mi fa…”
“Taci!” Nat si
allontana di scatto dall’albero e fissa la bambina, che si è subito zittita, con
aria innervosita: “Come accidenti te lo devo dire che non voglio sentirti
parlare? Accidenti!” Si alza e afferra le scarpe da terra inoltrandosi di poco
tra di gli alberi prima di sedersi vicino ad un altro albero.
L’altra scatta
in piedi e lo raggiunge quasi subito.
“Che vuoi?
Rimani là!” Esclama il ragazzo, stizzito. Chiude gli occhi: “Voglio tornare a
casa, voglio tornare a casa! Perché sono salito su quella maledetta nave,
perché?” Mormora scuotendo la testa.
“Da sola ho
paura!” Sente lamentarsi la piccola e muove più velocemente la testa: “Dovevo
restare a casa! Nella mia stanza! A dormire nel mio letto!”
“Nathan!”
Il ragazzo si
ferma e alza gli occhi sulla bambina: “Che vuoi?”
“Devo fare
pipì!”
L’altro apre la
bocca, ma la richiudere dopo, senza dire nulla e si appoggia con la schiena al
tronco, chiudendo gli occhi: “E falla!” Esclama con noncuranza.
Seguono alcuni
istanti di silenzio.
Nathan apre un
occhio e vede la bambina, ferma, che lo fissa con aria seria: “Che c’è?” Chiede
inarcando un sopracciglio, poi, come se la cosa fosse diventata chiara, alza le
mani con un sorriso tirato: “Va bene, ok! Ti prometto che non guardo! Ecco, ora
mi giro! Va bene così?” Domanda voltandosi da un lato e sospirando.
“Nathan… non
c’è il vasino!”
“Eh?” Il
giovane spalanca gli occhi e si gira di scatto verso la piccola, che ripete:
“Non c’è il vasino!”
“E allora?”
Chiede spazientito l’altro: “Hai tutto questo spazio!” Con un gesto indica gli
alberi. L’altra, però non sembra d’accordo. Stringe i pugni e pesta un piede a
terra: “Ma io non la so fare, da sola, senza il vasino!”
Nat apre di
nuovo la bocca senza fiatare e mette in avanti le mani scuotendo la testa: “Eh
no! Questo no! Non ci provare neanche! No! Assolutamente no!” Esclama capendo il
significato della parole della piccola: “O la fai da sola o… o la fai da sola!”
Incrocia le braccia la petto e sbuffa: “Se proprio vuoi, vai nell’oceano…!”
Chiude gli occhi e borbotta qualcosa di incomprensibile scuotendo nuovamente la
testa.
La bambina lo
fissa in silenzio mettendo il broncio per poi abbassare un po’ la testa ed
incamminarsi verso la spiaggia.
Nathan trae un
sospiro di sollievo nel sentirla allontanarsi e si rilassa completamente.
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Capitolo 6 *** Alla disperata ricerca della civiltà ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 6-
Alla disperata ricerca della civiltà
Passano i
minuti e il giovane rimane immobile, il respiro e il battito cardiaco regolare e
la mente che si svuota completamente.
Nathan
comincia a sentirsi piacevolmente intorpidito.
“È passato un
po’… dove sarà andata quella piccola mocciosa?” Si chiede al ridosso del
dormiveglia. Avverte in lontananza lo sciabordio delle onde e un cinguettio
acuto.
“Spero che non
sia andata al largo…” Quel pensiero gli attraversa la mente per qualche secondo
prima che apra di scatto gli occhi: “Accidenti!” Esclama alzandosi e cominciando
a camminare verso la spiaggia: “Che diamine, non penso che si sia lanciata in
acqua come se niente fosse…” Fa un sorriso, ma aumenta il passo: “È una bambina,
accidenti! Come pretendo che capisca cos’è pericoloso e cosa non lo è!” Nathan
inizia a correre: “Idiota! Sono stato io che le ho detto di andare in acqua…
idiota!” Si batte ripetutamente la mano sulla testa, gesto che gli fa ricordare
di avere l’emicrania: “Accidenti!” Aumenta ancora di più la sua velocità, ma
tira un sospiro di sollievo quando scorge una sagoma sulla sabbia: “È lei!?”
Ansima un po’ e deglutisce: “Sì, è lei, è lei!” Raggiunge la bambina e la vede
accoccolata sulla spiaggia, intenta ad ammucchiare della sabbia davanti a sé.
Sorride con un
sospiro di sollievo e fa ancora qualche passo prima di sedersi a terra.
L’altra si
volta a guardarlo: “Sto facendo un castello!” Esclama con un sorriso prima di
tornare al suo lavoro.
“Davvero?!”
Nathan guarda la gonna gocciolante del vestitino che indossa e stringe le labbra
abbassando lo sguardo.
“Sì, è un
castello, però non ho il mio secchiello e non viene tanto bene!”
Il ragazzo
torna a guardarla in silenzio.
La bambina
prende la sabbia e l’ammonticchia.
“Hm… senti…”
Comincia Nathan cercando di sorridere: “Come ti chiami?”
“Isabel!”
Esclama l’altra non smettendo di lavorare.
“E dimmi,
Isabel, quanti anni hai?”
L’altra si gira
ed alza una mano guardandola e abbassando il pollice: “Uno… due… tre… quattro…
quattro!” Esclama dopo aver contato le dita e guarda Nat sorridendo. Riprende ad
ammonticchiare sabbia finché non si ferma e guardando fisso davanti a sé
domanda: “Andiamo dalla mia mamma?”
Nathan sospira
e dopo qualche istante si mette in piedi e pensa tra sé: “ Prima ci muoviamo e
prima finirà quest’assurda faccenda!” Per poi esclamare: “Va bene, andiamo!”
Isabel guarda
il ragazzo e sorride, alzandosi di scatto e raggiungendolo.
I due si
incamminano verso la foresta e una volta all’interno il giovane si ferma vicino
ad un albero ed infila le scarpe prima di proseguire.
Più i minuti
passano e più gli alberi aumentano, infittendosi.
Il terreno
spoglio viene ricoperto da erba e foglie che attutiscono il rumore dei passi.
Il canto degli
uccelli si fa più rumoroso ed è piacevole ascoltarlo in quel luogo, che
altrimenti sarebbe decisamente silenzioso.
“Troppo
silenzioso!” Pensa Nathan inarcando le sopracciglia e guardandosi intorno alla
ricerca della più piccola traccia di civiltà.
I due
continuano a zigzagare per evitare i grandi alberi che riempiono il loro cammino
e che non sembrano diradarsi, al contrario, diventano sempre più fitti e
maestosi.
Il giovane si
guarda intorno con aria contrariata, ma allo stesso tempo ammirata per quello
spettacolo naturale ed è così concentrato a meravigliarsi che quasi sobbalza
quando la bambina a mezzo metro da lui lo chiama.
“Nathan!” Quasi
piagnucola.
“Che c’è?”
L’altro si ferma e trae un lungo respiro.
“Sono stanca,
mi fanno male i piedi!”
Il giovane si
passa una mano sul viso chiudendo gli occhi: “Vuoi riposarti?” Chiede senza
guardare la piccola.
L’altra
annuisce e va a sedersi vicino il tronco di un albero mentre Nathan rimane lì
dov’è con lo sguardo perso nel vuoto.
Trascorrono una
manciata di minuti e il giovane esclama: “Ora andiamo, o no arriveremo mai!”
Isabel lo
guarda e sposta lo sguardo verso il terreno prima d alzarsi. Muove qualche passo
e si avvicina al ragazzo alzando le braccia verso di lui.
L’altro la
fissa e inarca un sopracciglio: “Che c’è?”
“Mi prendi in
braccio?”
“Eh?” Nat fa un
passo indietro con espressione meravigliata: “Non se ne parla!”
“Mi fanno male
i piedi! Sono stanca!” Si lamenta la bambina avvicinando le braccia tese verso
il giovane.
“E allora… ?”
Sussurra Nathan gettando un’occhiata alle scarpine rosa della bambina. Sta per
dire qualcosa, ma richiude la bocca. Dai sandali bucherellati nota i piedi di
Isabel che hanno assunto un colorito tendente al nero a causa dalla terra.
Sospira
mestamente e alza lo sguardo sul viso supplichevole della bambina: “E va bene!”
Esclama con aria sconfitta prendendola in braccio e riprendendo a camminare:
“Almeno così arriveremo prima… non dovrò più andare a passo di lumaca!” Pensa
tra sé con un mezzo sorriso.
“Ho fame!”
È da un po’ che
cammina con Isabel in braccio quando quest’ultima rompe il silenzio.
“Non ci posso
fare nulla!” Sussurra Nathan con aria stanca. Le sue braccia cominciano a
chiedere pietà.
“Ma io ho
fame!” Ripete la bambina .
Il giovane non
risponde e fa una smorfia quando avverte il suo stomaco che brontola.
“Nathan, quando
arriviamo?”
“Vorrei tanto
saperlo anch’io!” Aumenta il passo e rischia di inciampare in una radice:
“Maledizione!” Borbotta senza fermarsi.
“Ho fame…
voglio mangiare!” Piagnucola Isabel appoggiando la testa sulla spalla del
ragazzo che chiude per un instante gli occhi mentre deglutisce con la bocca
arida.
Un rumore
diverso dal canto degli uccelli e le fronde degli alberi gli fa allungare il
passo mentre Isabel ha cominciato a singhiozzare: “Voglio la mia mamma…”
“Sì, anch’io la
voglio!” Risponde seccato Nathan, ma la sua attenzione è rivolta al rumore:
“Sembra acqua che zampilla… potrebbe essere una fontana… se c’è una fontana qui
vicino ce l’abbiamo fatta!” Pensa sorridendo.
Comincia quasi
a correre mentre ha l’impressione che gli alberi stiamo diminuendo.
Il rumore si fa
più vicino: è proprio acqua quella che sente. Il mare è ormai lontano.
Nathan si sente
meglio al solo pensiero di essere ritornato alla civiltà e, quando si ritrova
davanti ad un fiume in piena, si blocca rimanendo senza fiato.
La delusione
sembra troppo grande perché possa dire qualsiasi cosa.
Un fiume… acqua
di un fiume, non una fontana, ma un corso d’acqua.
Sente le forze
venirgli meno e si abbassa per mettere a terra Isabel che a quel gesto lo guarda
prima di voltarsi.
“Un fiume…”
Sussurra il ragazzo con il sorriso che gli muore sulle labbra. Abbassa lo
sguardo e stringe i pugni prima di avvicinarsi.
Isabel lo
guarda e comincia a seguirlo.
Il giovane
piega un ginocchio poggiandolo a terra e osserva la figura dal contorno
frastagliato che si riflette nell’acqua.
Immerge le mani
dentro e il liquido freddo sembra allontanare per qualche momento la delusione
ancora cocente. Fa una smorfia e mette le mani a coppa per raccogliere un po’
d’acqua ricordandosi improvvisamente di avere una gran sete. Senza porsi troppe
domande comincia a bere e smette solo quando si sente ormai dissetato.
Inspira
profondamente e riesce nuovamente a sorridere: “Almeno non morirò di sete!” Quel
pensiero lo fa voltare; accanto a sé vede la bambina che lo fissa con aria
leggermente imbronciata. Prima che possa dire qualcosa, Nathan domanda: “Hai
sete?”
Isabel annuisce
e fa per mettere le mani nell’acqua quando l’altro le immerge a sua volta e,
trattenendo il liquido all’interno, le avvicina al viso della bambina.
Isabel gli
lancia un’occhiata e poi comincia a bere.
Nathan deve
ripetere l’operazione più di una volta prima che la bambina esclami: “Non ne
voglio più!”
“Era ora!”
Sussurra a mezza voce e si sdraia con un profondo sospiro.
Rimane fermo
con le braccia lungo il corpo respirando regolarmente e rimanendo ad ascoltare
l’incessante canto degli uccelli: “Forse dovrei arrendermi…” Pensa chiudendo gli
occhi: “Ma in questo modo ammetterei definitivamente di essere solo in un posto
sconosciuto…” Apre gli occhi e guarda di lato: Isabel ha le mani nell’acqua a si
diverte a farla saltare.
Sorride con
aria tragicomica: “Non solo… peggio! Bloccato chissà dove con una mocciosetta di
quattro anni!” Sospira e guarda il cielo prima di richiudere gli occhi: “Forse
sarebbe stato meglio rimanere sulla spiaggia. Se a qualcuno verrà in mente di
cercarci, lì ci vedrebbe di sicuro… già… però qui almeno siamo vicini all’acqua
potabile! Ma sì, torneremo in spiaggia più tardi… o domani… ! Ora sono troppo
stanco, senza contare che mi fa ancora male la testa!” Sospira nuovamente
coprendo gli occhi con un braccio. Avverte dei passi che si avvicinano e
istintivamente inarca un sopracciglio.
“Nathan, ho
fame!” Esclama Isabel.
“E che devo
fare?” Domanda laconicamente l’altro.
“Ma io ho
fame!” Sbotta la bambina piccata.
“Tanti auguri!”
“Ho fame! Ho
fame!” Comincia a sbattere un piede a terra.
Nathan stringe
i pugni e cerca di ignorare quella vocina fastidiosa, senza successo, e la
piccola sta ancora protestando quando con uno scatto si mette a sedere e urla:
“Smettila con questa lagna! Hai fame, ho capito, ma la vuoi sapere una cosa? Non
sei l’unica! E adesso basta, mi hai proprio stufato!” Si alza e fulmina Isabel
con lo sguardo: “Dovevo lasciarti da sola in mezzo all’oceano…” Si blocca
avvertendo un leggero tremito nella sua voce e respira profondamente prima di
girarsi a guardare il fiume.
Anche se non la
sente, immagina il viso della piccola e i suoi occhi pieni di lacrime.
“Voglio la
mamma…” Sente sussurrare.
“Ecco, ora
ricomincia!” Pensa il giovane rassegnato.
Un rumoroso
singhiozzo: “Voglio papà…”
“Almeno
comincia a cambiare repertorio!” Nathan sorride sarcasticamente restando fermo.
“Mamma! Papà!”
Isabel, in preda al pianto, chiama i genitori fra un singhiozzo e l’altro senza
provare neanche ad asciugare le lacrime. Con gli occhi socchiusi si allontana.
Nathan si
volta e la vede seduta ai piedi di un albero con la testa nascosta dalle
braccia.
“Povero me!”
Sussurra coprendosi il viso con entrambe le mani. Torna a sedersi con un
sospiro e comincia a guardarsi intorno con il pianto soffocato in sottofondo:
“Perfino gli uccelli si sono spaventati…” Scuote la testa e il suo sguardo vaga
fin quando un albero in lontananza non cattura la sua attenzione. È molto alto e
spicca tra gli altri, ma non è il solo di quel tipo.
Nathan si alza
con un gemito e lancia un’occhiata alla bambina ancora intenta a singhiozzare,
prima di inoltrarsi fra gli alberi per qualche decina di metri.
per Emily Doyle: ciao! Mi fa davvero piacere sapere che
la storia ti piace! Spero che il seguito non ti deluda^^ Baci!
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Capitolo 7 *** Un novello Tarzan? ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 7-
Un novello Tarzan?
Respira a pieni
polmoni l’aria lievemente profumata e socchiude gli occhi continuando a
camminare.
Quando alza la
sguardo per vedere cos’ha intorno, nota diversi alberi carichi di frutti verdi:
“Frutti verdi… frutti verdi…” Pensa tra sé non staccando gli occhi dall’albero:
“Quelle non sono mele…” Si massaggia freneticamente la testa e riprende a
camminare: “Non voglio rischiare di morire avvelenato…”
Il cinguettio
degli uccelli torna a farsi sentire.
Nathan si ferma
e guarda indietro, verso gli alberi dalle foglie color verde intenso per poi
scuotere la testa: “Meglio lasciar perdere!” Esclama continuando a camminare.
La luce diventa
di colpo più forte e costringe il giovane a socchiudere per un attimo gli occhi.
Quando la vista si fa più chiara, si ritrova davanti il gruppo di alberi
slanciati che aveva notato in precedenza.
Si avvicina con
circospezione e guarda fisso verso le chiome dalle quali spuntano dei frutti:
“Noci di cocco!” Esclama con un sorriso vittorioso: “Queste sono commestibili!”
Poggia la mano sulla palma più piccola e continua a guardare in su, verso i
frutti scuri.
“Non è tanto
alto! Devo solo arrampicarmi qui su…” Così dicendo si allontana di qualche passo
fissando attentamente il tronco dall’albero prima di avvicinarsi e saltare
aggrappandosi con le braccia e, subito dopo, anche con le gambe.
Nathan rimane
appiccicato alla palma simile ad un grande koala prima di scivolare mestamente
ritrovandosi con i piedi a terra: “Pensavo fosse più semplice!” Sussurra con
aria sconsolata massaggiandosi la base del collo: “Beh, non mi do per vinto!”
Afferra con entrambe le mani il tronco ed usando i piedi si dà la spinta
riuscendo a sollevarsi da terra.
Rimane
aggrappato e con i piedi cerca un appoggio sulla corteccia riuscendo a salire
ancora un po’. Allunga una mano ed afferra il tronco stringendo i denti per
costringersi a non fare movimenti bruschi mentre già avverte le gocce di sudore
scendergli lungo il viso. Alza gli occhi quanto basta per vedere il frutto scuro
e facendo appello alle sue ultime forze si mantiene con un braccio ed allunga
l’altra mano con un grugnito. Le dita si muovono frenetiche verso la noce di
cocco e riescono già a sentire la peluria che ricopre il frutto quando un piede
scivola lungo il tronco.
“Accidenti!”
Pensa Nathan mentre si rende conto di non riuscire più a resistere in quella
posizione.
Sta per
ritornare ad avvinghiarsi all’albero con entrambe le braccia quando anche
l’altro piede scivola e si sente trascinare inesorabilmente verso il terreno.
Con le unghie
tenta di aggrapparsi alla corteccia per rallentare la caduta, ma l’unica cosa
che riesce a fermarlo è il duro terreno.
Il ragazzo si
ritrova disteso a faccia in giù sull’erba.
Gli ci voglio
alcuni istanti prima che riesca a sollevarsi facendo leva sulle braccia: “Ma
porc…” Sibila a denti stretti prima di poggiare la fronte a terra picchiando con
un pugno sul terreno. Stringe gli occhi e tenta di mettersi in ginocchio,
sussultando e imprecando, ad ogni fitta proveniente dal suo corpo.
Alza la testa e
fissa le noci di cocco raggruppate in alto sulle palme. Gira lentamente la testa
e guarda verso la direzione dalla quale è arrivato, sospirando.
Si alza in
silenzio e si avvicina nuovamente all’albero inarcando le sopracciglia: “A noi
due!” Sibila con aria tetra, ma deciso a non darsi per vinto tanto facilmente.
Svariati
tentativi e numerose cadute a terra dopo, Nathan si alza dal terreno ansimando.
Si passa una
mano sulla fronte e con una smorfia di dolore raddrizza la schiena prima di
guardarsi le gambe; il pantalone che indossa gli arriva di poco sotto il
ginocchio e non è riuscito ad evitargli dei graffi superficiali. Anche le
braccia non sono messe bene, ma in fin dei conti non è nulla di serio.
“Non ne posso
più!” Sussurra gettando un’ultima occhiata all’albero prima di cominciare a
tornare sui suoi passi: “Per oggi ho preso colpi a sufficienza!” Scuote la testa
e guarda gli alberi che ha intorno cercando di individuare quello dai frutti
verdi visto in precedenza.
Il sole è quasi
tramontato e il cielo ha assunto tonalità amaranto.
“Ma dove sarà
finito?” Si chiede guardandosi intorno.
Si ferma e
riflette un attimo prima di deviare a sinistra, gli occhi fissi sulle chiome
degli alberi. Qualcosa di giallo attira la sua attenzione: “Che albero sarà?” Si
chiede vedendo a qualche decina di metri di distanza un arbusto non troppo alto
con foglie larghe e molto lunghe che arrivano quasi a toccare il terreno.
Inclina la testa da un lato e si avvicina ancora un po’ zoppicando lievemente,
prima di sorridere: “Ma quelle…” Arriva vicino all’albero e senza aspettare
oltre allunga entrambe le mani afferrando un casco di banane e staccandolo con
forza: “Così Isabel la smetterà di frignare!” Quel pensiero lo fa sorridere
ancora di più.
“Bene!” Sospira
mentre comincia a tornare indietro con un paio di caschi in mano.
La testa
continua a fargli male e il resto del corpo non è messo meglio dopo le cadute
dall’albero, ma il pensiero di poter almeno mettere qualcosa nello stomaco e non
morire di sete rincuora molto Nathan e riesce a fargli dimenticare per qualche
istante il fatto che è ancora solo e senza nessuno strumento per contattare
qualcuno che possa portarlo via da quel posto, per il momento ancora
sconosciuto.
“Almeno, però,
non mi è sembrato molto inospitale!” Pensa sorridendo mentre intravede la sponda
del fiume e si affretta a raggiungerla.
Nathan si
guarda intorno prima di riuscire ad individuare Isabel seduta dove l’aveva
lasciata più di mezz’ora prima. Ha il viso sulle ginocchia, nascosto dalle
braccia, e sembra che abbia smesso di piangere.
Il ragazzo le
arriva a poca distanza, ma la bambina non accenna a muoversi. Rimane a fissarla
per qualche secondo prima di sospirare e sedersi accanto a lei: “Ehi!” Esclama
nel tentativo di attirare la sua attenzione e sorridendo lievemente nel vedere
la testa della piccola che si alza di poco.
Gli occhi
castani sono ancora arrossati e un po’ lucidi, ma sembra che non pianga più:
“Dove sei andato?” Chiede guardandolo.
“Avevi detto di
aver fame, no? Beh, sono andato a trovare da mangiare!” Esclama Nathan staccando
una banana dal casco e porgendola ad Isabel.
La bambina
guarda per un attimo il giovane prima di prendere il frutto e rimanere a
fissarlo senza fare nulla.
“Che c’è? Devo
sbucciarla?”
L’altra
annuisce e il ragazzo apre il frutto per poi porgerlo alla bambina con un lieve
sorriso, rimanendo a guardala mentre addenta la polpa pallida con voracità.
Si sposta
vicino all’albero e poggiandoci la schiena contro con un sospiro di sollievo,
alza gli occhi al cielo che si è fatto sempre più scuro. Rimane in quella
posizione fin quando un movimento vicino a lui non lo fa voltare.
Isabel ha
finito di mangiare la banana e si è sistemata affianco a lui.
“Ne vuoi
un’altra?”
“Sì!” Risponde
la piccola con la bocca ancora piena.
L’altro
annuisce e sbuccia un altro frutto prima di servire anche se stesso. Addenta
lentamente la polpa dolce e mastica guardando il terreno mentre comincia a
sentirsi improvvisamente stanco: “Anche se non ho fatto granché…” Dice fra sé
inspirando profondamente prima di posare a terra la buccia vuota: “Mi è anche
passa la fame…” Sbuffa e chiude gli occhi rimanendo fermo senza pensare a nulla.
Il canto degli
uccelli è ormai cessato, sostituito da quello dei grilli e dal verso di qualche
rapace notturno.
Nonostante ciò
i rumori che provengono dalla foresta sono piacevoli e conciliano la calma.
Il giovane
socchiude gli occhi perlustrando con lo sguardo il paesaggio nelle immediate
vicinanze prima di richiuderli: “Sono passate quasi ventiquattro ore da quando
sono finito fuori dalla nave!” Pensa sollevando un sopracciglio: “Chissà cosa
staranno facendo adesso i miei… spero che non ci abbiano dati per dispersi
nell’oceano altrimenti è la fine… non verrà mai nessuno a cercarci e saremo
costretti a proseguire alla ricerca di una città… un paese o un villaggio!”
Sospira mestamente: “Chissà su quale dannata isola tropicale siamo arrivati…” Si
massaggia con foga la testa prima di ritornare immobile: “Non mi ricordo di aver
sentito parlare della presenza di qualche isola nelle vicinanze… se non mi
sbaglio erano previste delle fermate, però… chissà in quale isola del Pacifico
siamo finiti!” Inspira profondamente e si muove lentamente per sistemarsi meglio
contro l’albero. Avverte i muscoli intorpiditi e il suo volto si contorce in una
smorfia di dolore ad ogni movimento.
Quando finalmente si ritiene
soddisfatto, si rilassa e sorride con aria stanca: “Comunque, è inutile
preoccuparsi di questo, ora… domani mattina ritorneremo alla spiaggia e poi si
vedrà…” Nathan avverte qualcosa contro il suo braccio e si acciglia prima di
aprire lentamente gli occhi.
Gira la testa alla sua destra ed
abbassa lo sguardo non riuscendo a reprimere un ghigno divertito alla vista di
Isabel addormentata.
La bambina è seduta vicino a lui e
la testa, nel piegarsi su un lato, è andata a d appoggiarsi al suo braccio.
“Alla fine il sonno ti ha stesa!”
Sussurra alla testa bionda alzando una mano per spostare dal viso della bambina
alcuni ciuffi sfuggiti dai codini.
Rimane a guardare per un po’ il
viso chiaro e rilassato: “Se fosse sempre così silenziosa potrei anche
adottarla!” Sorride a quell’idea stramba e ritorna a poggiare la testa al
tronco, chiudendo gli occhi: “Non credo di essere tagliato per fare il padre…
almeno per ora… sembra proprio che i bambini mi diano sui nervi!” Annuisce: “Ma
credo che a chiunque nella situazione in cui sono io salterebbero i nervi…
Isabel, poi, sa essere molto irritante! Forse domani riuscirò ad essere più
paziente con lei…” Nathan continua a parlare fra sé fin quando, senza
accorgersene, si addormenta con la testa leggermente inclinata da un lato,
cullato dal rumore del fiume e dal frinire dei grilli.
per Araluna: oh, beh, mi piace avere i fans^^ Nathan ha
cominciato a snocciolare qualcosa sul posto in cui potrebbero essere… a dire il
vero vorrei sapere anch’io dove sono capitati^^ Li raggiungerei all’istante!
Baci!
per Emily Doyle: beh, aveva solo intravisto una
possibile fonte di cibo, ma non gli è andata bene XD. Però non sono stata troppo
cattiva^^ Baci!
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Capitolo 8 *** Il buongiorno si vede dal mattino… ?! ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 8- Il buongiorno si
vede dal mattino… ?!
“Nathan!
Nathan!”
Il ragazzo
muove lentamente la testa e la gira dall’altro lato. È ancora nel dormiveglia e
si sente rilassato e magnificamente bene. Continua a respirare lentamente con la
mente annebbiata e immagini oniriche che si fanno strada: è su una barca a vela,
sta gareggiando…
“Nathan!” I
tifosi urlano forte il suo nome… con un cenno della mano li saluta. Il vento gli
scompiglia i capelli schiaffeggiandogli piacevolmente il viso.
Un’altra
imbarcazione si sta avvicinando.
L’occupante si
alza in piedi e gli sorride: “È inutile che resto qui, sei troppo forte, vado a
pescare!”
Nathan lo
guarda confuso mentre fa un salto e si tuffa in acqua.
Gli spruzzi lo
raggiungono e cielo e barca svaniscono velocemente lasciando il posto al buio.
Il giovane si
rende conto di essere sveglio. Avverte il canto degli uccelli e socchiude gli
occhi sbattendo le palpebre per abituarli alla luce. Intorno vi è calma e Nathan
si trova a pensare: “Anche se avrei preferito essere svegliato dal suono di un
martello pneumatico, non è male!” Si gira istintivamente alla sua destra e si
stupisce di non trovarvi nessuno. Il suo sguardo si muove automaticamente verso
il fiume. Sta per chiamare Isabel quando nota un movimento sulla sponda, a
qualche decina di metri: “È lei… I…” Il nome gli muore in gola quando vede
l’acqua che si alza in modo innaturale. L’urlo che segue lo fa alzare di scatto:
“Isabel!” Senza aspettare risposta si precipita sul punto più vicino agli
schizzi e si strofina gli occhi assonnati, ma non vede nulla.
Socchiude le
labbra ed è pronto ad allontanarsi per cercare la bambina altrove.
“Ah!”
Di nuovo la
voce di Isabel, di nuovo vicino al fiume.
Il ragazzo
guarda l’acqua e ha come l’impressione di aver ricevuto un pugno allo stomaco
quando scorge una testa bionda che viene trascinata dalla corrente del fiume:
“Isabel!” Urla prima di gettarsi scompostamente in acqua.
L’impatto con
la fredda superficie liquida ha la capacità di mandar via gli ultimi residui di
sonno e il ragazzo si ritrova a guardare sott’acqua, trascinato dalla corrente.
Muove le
braccia e in breve è con la testa fuori dall’acqua: “Isabel!” Urla respirando
affannosamente e nuotando velocemente nella direzione in cui ha visto scomparire
la bambina, ma, nonostante si guardi intorno, non riesce a vedere nulla. Ispira
profondamente e trattiene il fiato prima di immergersi nel fiume. Il mondo
diviene di colpo ovattato. Il ragazzo nuota nell’acqua chiara rilasciando
gradatamente l’aria che ha nei polmoni. Socchiude leggermente gli occhi nel
vedere del movimento e ricomincia a sbattere furiosamente i piedi quando nota la
stoffa rosa del vestitino di Isabel.
La piccola si
muove ancora freneticamente quando la raggiunge, per poi smettere lentamente
quando Nathan l’afferra per il braccio. Istintivamente avvicina il corpicino
inerme al suo e lo circonda con un braccio, risalendo in superficie.
Senza neanche
riprendere fiato allunga la mano in cerca della sponda del fiume e quando
avverte l’erba sotto le dita, avvicina Isabel al terreno. Deglutisce respirando
velocemente e spinge la bambina all’asciutto prima di uscire anche lui
dall’acqua.
L’altra rimane
pochi secondi immobile, stesa sull’erba prima che l’aria le ritorni nei polmoni
facendola sussultare.
Isabel tossisce
convulsamente, sputacchiando l’acqua ingoiata e chiudendo gli occhi per lo
sforzo.
Nathan la
guarda a poco distanza mentre, ancora carponi a terra, respira affannosamente, e
inarca le sopracciglia con aria innervosita: “Sei contenta?” Urla appena il suo
organismo glielo consente: “Ti sei divertita, eh?” Camminando a quattro zampe si
avvicina lentamente alla bambina che si è messa seduta riprendendo a respirare
normalmente ed ora lo guarda con gli occhi gonfi.
“Hai visto cos’è successo? Hai
visto che stavi annegando? Che accidenti stavi facendo?” Nathan muove avanti e
indietro un braccio senza togliere gli occhi da Isabel che davanti alle sue urla
ha arricciato le labbra.
“Io volevo solo… volevo solo… i… i
pesciolini…” Sussurra con voce rotta, abbassando lo sguardo.
“Che cosa?” Domanda di rimando il
ragazzo fermandosi a una manciata di centimetri da lei e mettendosi in
ginocchio, con i pugni sui fianchi: “Che volevi fare?” Vede la bambina che è
ormai sull’orlo del pianto, ma riesce solo a sentirsi più nervoso.
“Volevo vedere i pesciolini…”
Sussurra Isabel, grondante acqua; con le mani stringe la vestina mentre i
capelli le si sono appiccicati scompostamente sul viso. Sussulta ad ogni
singhiozzo ed ha il viso piegato fin sul petto: “C’è… c’erano tanti pesc… di
tutti i color… io li volev…”
“Sì, ho capito! Non sono scemo, ho
capito!” Sbotta Nathan chiudendo gli occhi con aria esasperata. Torna a posare
lo sguardo sulla bambina che sta continuando a ripetere le poche parole dette in
precedenza e si sente stringere una nodo alla gola nel vedere il corpicino
scosso dai singhiozzi e il viso arrossato e rigato dalla lacrime. Scuote la
testa e sussurra: “Non farlo più… capito? Non farlo più!”
L’altro comincia ad annuire
freneticamente tirando su col naso: “No… non lo fac… non lo faccio più…”
Nathan respira a fondo e si
avvicina ancora di più alla bambina. Le posa una mano sulla testa per attirarla
a sé e la stringe con l’altro braccio: “Ti sei spaventata?” Chiede con più
calma, mentre avverte il lieve tremore del corpicino.
Isabel annuisce.
“Hai fatto spaventare anche me,
sai… davvero tanto...” Il giovane sussurra socchiudendo gi occhi e finendo per
sedersi a terra, sospirando.
I due rimangono in silenzio finché
il giovane non si scosta un po’, guardando la bambina: “Vogliamo tornare
indietro?”
Isabel alza lo sguardo su di lui:
“Perché?”
“Ehm… dobbiamo prendere le banane
così facciamo colazione e poi andiamo sulla spiaggia!”
“ E posso fare una montagna?” Il viso della bambina si illumina di colpo.
“Certo!” Esclama Nathan con un
sorriso, allontanandole i capelli dal viso con una mano e asciugandole le
lacrime. Si ferma di colpo nel vedere gli occhi sorridenti di Isabel: “Che c’è?”
Domanda bruscamente.
“Non sei più arrabbiato?”
L’altro socchiude le labbra e
sposta lo sguardo alzandosi in silenzio: “Su, andiamo… dammi la mano o ti
perderai!” Nathan afferra la bambina e la fa alzare, incamminandosi lungo la
sponda del fiume.
Impiegano un po’ per riuscire a
ritrovare il punto in cui hanno trascorso la notte perché il paesaggio sembra
sempre uguale e la corrente del fiume ha fatto percorrere ai due diverse
centinaia di metri, ma alla fine ritrovano il punto e recuperano i due caschi di
banane per poi riprendere la strada per la spiaggia.
Con un sospiro di sollievo Nathan
toglie le scarpe, imitato da Isabel, e percorre a piedi scaldi i metri che lo
separano dal mare.
La bambina si avvicina subito
all’acqua lasciando che questa le bagni i piedi.
“Non ne hai avuto abbastanza?”
Domanda Nathan accigliandosi: “Vieni qui e siediti sulla sabbia così ti asciughi
meglio!”
Isabel si volta a guardarlo e il
ragazzo sospira: “Avanti, fai una bella montagna, e poi me la fai vedere!”
Accenna un sorriso un po’ forzato e guarda l’altra che annuisce e si allontana
dal bagnasciuga per inginocchiarsi sulla sabbia.
Ispira a fondo e mette le mani sui
fianchi: “Bene!” Sussurra guardandosi intorno: “Vediamo di dare un senso a
questa giornata!” Rimane per qualche momento a fissare l’orizzonte e fa qualche
passo indietro: “Isabel, tu resta qui… vado a prendere delle cose!” Si allontana
e ritorna verso gli alberi inoltrandosi un po’ e cominciando a raccogliere i
rami a terra. Poco alla volta comincia a portarli sulla sabbia, ammucchiandoli
in un punto.
Isabel, intanto, è impegnata a
costruire la sua montagna, ma viene incuriosita dall’andirivieni del ragazzo e
si ferma a metà dell’opera. Pulisce la mani piene di sabbia vicino al vestito e
raggiunge Nathan, impegnato a posare a terra la legna.
“Che stai facendo?” Chiede
osservando il mucchio sulla sabbia.
L’altro si ferma e la guarda:
“Cerco di trovare un hobby!” Lancia un pezzo di legno lontano da sé e guarda
Isabel che non sembra soddisfatta della risposta. Prima che quest’ultima possa
fare un’altra domanda, sospira ed esclama: Voglio scrivere SOS sulla sabbia!”
“Perché?” La bambina gli punta gli
occhi addosso.
“Perché, così, se passa un
elicottero, lo legge e capisce che siamo qua!” Esclama Nathan senza riuscire a
reprimere un sorriso.
“E anche la mia mamma e il mio
papà lo possono vedere?”
“Sì, certo, anche loro possono
vederlo!” Annuisce il giovane.
Isabel guarda il mucchio di legna
per poi tornare a fissare Nathan: “Anche io voglio scrivere… così mamma e papà
vengono a prendermi e poi torniamo a casa!”
“Certo!” Esclama il ragazzo
sorridendo.
La bambina si avvicina ai rami e
ne prende uno: “Come si fa a scrivere con questi?”
“Li mettiamo tutti sulla sabbia e
facciamo una scritta grande grande così lo possono leggere anche dal cielo!”
Nathan si inginocchia e comincia a disporre la legna in modo ordinato: “Mi vuoi
aiutare?” Chiede continuando il suo lavoro.
“Sì!”
“Allora portami quei rami, va
bene?”
Isabel annuisce e comincia ad aiutare il ragazzo.
I due lavorano insieme in un
relativo silenzio rotto di tanto in tanto dalle domanda di Isabel e dalle pacate
risposte di Nathan che sembra essersi rassegnato alla presenza della bambina.
Manca poco per finire la O quando
la legna raccolta da Nathan termina.
Il giovane passa un braccio sulla
fronte, asciugando il sudore, e lancia un’occhiata agli alberi che si vedono più
in là: “Vado a prendere dell’altra legna, tu aspettami qui e… e raccogli le
pietre che ci sono sulla spiaggia, va bene?”
“Ci servono anche le pietre per
fare questa cosa?” Chiede la bambina.
“Sì, certo, vai!”
Isabel si allontana di corsa e il
giovane si avvia verso le palme, fermato quasi subito dalle urla di Isabel.
“Nathan! Nathan! Una balena! C’è
una balena!”
“Cosa?” Pensa tra sé il ragazzo
storcendo il naso e sbuffando: “Che avrà visto ora…?” Si gira e raggiunge la
piccola di malavoglia: “Che hai visto?”
“Una balena?” Continua a ripetere
la bambina indicando con un dito un punto nell’oceano.
“Dove?” Sussurra Nathan guardando
nella stessa direzione e scuotendo la testa per poi bloccarsi di colpo nel
vedere qualcosa di azzurro muoversi sulla superficie dell’acqua: “Una barca?...”
Si chiede incredulo, muovendo qualche passo in avanti: “Ma sì… sì, è proprio una
barca… una barca!” Esclama scoppiando a ridere: “Una barca!”
per Araluna: ciao!!! Scusa l’enorme attesa per questo
aggiornamento^^; Beh, sì, Nathan non è molto agile… anzi, direi per niente… non
so, ho i miei dubbi sul fatto che potrebbe essere un buon padre… però mai dire
mai XD Sono contenta che la storia continui a piacerti! Baci!
per Emily Doyle: uhm… sì, in effetti hai ragione…
potrebbe essere la controfigura di Jane… altro che Tarzan!XD Per ora gli vanno
più che bene i caschi di banane… per le noci di cocco si vedrà… se farà il bravo
posso farci un pensierino^^ Alla prossima! Baci!
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Capitolo 9 *** False speranze ***
CAPITOLO
9- False speranze
La
piccola imbarcazione si muove rapidamente sull’acqua.
“Ehi!
Qua! Siamo qua!” Urla Nathan non riuscendo a non ridere. Si sbraccia e più
avverte il rumore del motore farsi vicino, più non riesce ad aspettare. Cammina
nell’acqua fin quando questa non gli arriva ai fianchi.
L’imbarcazione
sembra puntare proprio nella loro direzione.
“Sono
i soccorsi… sì, sono venuti a prendere noi!” Sussurra il giovane
continuando ad agitare le braccia in aria.
“È
la mia mamma?” Chiede Isabel con aria impaziente, ma il ragazzo non le
risponde, impegnato a tener d’occhio l’oggetto azzurro che ogni minuto si fa
sempre più vicino.
Riesce
quasi a distinguere le persone a bordo… riesce quasi a contarle quando
l’imbarcazione vira leggermente.
“Ehi!”
Esclama indignato il giovane: “Dove diavolo vanno? Siamo qui!... Ehi, siamo
qui! Da questa parte!” Urla Nathan muovendo qualche altro passo nell’acqua.
“Nathan…”
Sussurra la bambina dietro di lui: “La mia mamma viene a prendermi, vero?”
“Ehi!
Aiuto! Aiutateci! Siamo qui!” Il ragazzo avverte il panico farsi strada quando
l’imbarcazione continua per la sua direzione e le persone a bordo non danno
alcun segno di averli visti.
“Dannazione!”
Strilla il giovane picchiando con i pugni sull’acqua e facendola sollevare e
schizzare ovunque.
“Quando
arrivano?” Isabel cerca di avvicinarsi all’altro, ma l’acqua le arriva
subito alle ginocchia e la bambina si ferma, rimanendo a guardare Nathan che ha
ormai smesso di urlare.
Il
ragazzo stringe forte i pugni senza riuscire a smettere di guardare
l’imbarcazione che li ha palesemente ignorati e che ora è diventata un
puntino che a malapena si distingue dall’oceano circostante.
Digrigna
i denti e cerca di ricacciare indietro le lacrime di rabbia che oscurano
leggermente la vista: “Maledetti…” Sibila abbassando lo sguardo
sull’acqua.
“Nathan,
quando arrivano mamma e papà?”
Il
giovane chiude gli occhi ed inspira profondamente l’aria salmastra prima di
girarsi e tornare lentamente sulla spiaggia, senza guardare la bambina.
In
silenzio si lascia cadere sulla sabbia, rimanendo con lo sguardo fisso nel
vuoto.
“Voglio
andare a casa mia…” Pigola Isabel avvicinandosi al giovane e sedendosi
accanto a lui. La bambina piega le ginocchia le circonda con le braccia
guardando le onde che si infrangono a riva: “Perché non sono venuti qui? La
mia mamma e il mio papà dovevano venire a prendermi… dove sono andati ora?”
La piccola si zittisce per qualche secondo e con una mano muove la sabbia vicino
a lei: “Nathan…” Chiama il ragazzo e si volta a guardarlo.
L’altro
continua ad ignorarla, con gli occhi rivolti al cielo cristallino: “Erano qui!
Erano arrivati fin qui! Perché non sono venuti a prenderci? Perché hanno
girato? Se avessero proseguito… forse non ci hanno visti… forse il motore
faceva troppo rumore e non hanno sentito la mia voce… se solo… se solo…”
Nathan si copre gli occhi con un braccio, sbuffando.
“Non
era la mia mamma…” Piagnucola Isabel.
L’altro
stringe forte le palpebre.
“La
mia mamma mi vede sempre… quando sono sulle giostrine e lei è lontana, lei mi
vede sempre e mi chiama... “Isabel” e io non voglio scendere
dall’altalena, ma poi vado da lei…”
Nathan
fa una smorfia a quella frase e toglie il braccio dal viso per poter guardare la
bambina. Isabel ha l’aria imbronciata e guarda la sabbia che ha in mano.
Un
lieve sorriso increspa le labbra del giovane che si tira su a sedere: “Hai
ragione!” Esclama rivolto alla bambina: “Sì, la tua mamma e il tuo papà
non ti lascerebbero qui!... non ti lascerebbero qui… “ Abbassa un po’ la
voce e accarezza la testa di Isabel.
Nathan
si lascia sfuggire un sospiro tutt’altro che allegro e sposta lo sguardo
sull’oceano: “Sì, forse non ci hanno visti… anzi, sicuramente non si sono
accorti di noi… se sono venuti qui a cercare noi faranno sicuramente il giro
dell’isola e noi saremo qui ad aspettarli…” Il giovane sospira nuovamente
mentre sente sciogliersi il nodo alla gola che lo aveva infastidito fino ad
allora: “Dobbiamo solo aspettare un altro po’… sì, solo un altro
po’…” Nathan si volta a guardare la spiaggia; la scritta SOS
lasciata a metà: “Forse a questo punto è anche inutile, però…”
Respira a fondo e si alza quasi di malavoglia, muovendo qualche passo incerto.
“Dove
vai?”
“Uhm…
mi sgranchisco le gambe…” Sussurra accigliandosi.
“Che
significa?”
Nathan
apre la bocca e si volta a guardare Isabel: “Vuoi aiutarmi a finire la scritta
che stavamo facendo prima?” Domanda con un lieve sorriso.
L’altra
annuisce con la testa e si alza cominciando a correre in direzione del mucchio
di tronchi e sassi.
“E
va bene!” Esclama Nathan: “Mettiamoci al lavoro!”
Il
sole ha passato il punto più alto del cielo da un bel po’, e ormai è sul
punto di tramontare quando Isabel si accascia pesantemente sulla sabbia: “Sono
stanca!” Si lamenta.
“E
riposati!” Nathan sbuffa rumorosamente e si allontana per osservare meglio le
lettere in rilievo sulla sabbia.
“Nathan,
ho sete… voglio l’acqua!” La bambina si alza, avvicinandosi al giovane che
continua a guardare il lavoro con aria critica.
“Nathan…”
Isabel strattona il giovane per la maglia : “Ho sete! Dammi l’acqua!”
“Hai
sete…” Ripete l’altro fra sé, come riflettendo su quelle parole.
“Sì,
ho sete! Tanta…” La bambina continua a stringere la maglia del giovane
tirandola con forza.
“E
va bene! Torniamo indietro… ritorniamo al fiume!” Sospira massaggiandosi
distrattamente un braccio e lanciando un’ultima occhiata alle tre lettere.
Afferra Isabel per una mano e punta verso gli alberi: “Andiamo!” Sussurra
guardando la sabbia ai suoi piedi. Il verso di un uccello lo fa fermare di
nuovo. Si gira lentamente verso l’oceano, cercando con lo sguardo qualcosa
sulla superficie calma per poi riprendere a camminare scuotendo la testa.
Quando
raggiungono il fiume è quasi buio. La bambina al vedere il corso d’acqua si
libera dalla presa del ragazzo e comincia a correre.
“Isabel,
ferma!” Urla più del dovuto Nathan, con un’espressione improvvisamente dura
in volto.
Le
sue parole hanno l’effetto di far bloccare la bambina che rimane lì dov’è.
Il
giovane annuisce: “Vuoi cadere di nuovo in acqua?”
Solo
un movimento di testa risponde alla sua domanda.
Il
ragazzo raggiunge Isabel e la prende per un braccio : “Vieni!”
Si
avvicinano lentamente all’acqua che scorre velocemente producendo un piacevole
rumore.
“Ho
sete! Posso bere, Nathan, per piacere?” Chiede la bambina con voce lamentosa
voltandosi a guardare il ragazzo che le lancia solo un’occhiata un po’
imbarazzata prima di rispondere: “E… si, certo, bevi, ma fai piano!”
Lascia andare il piccolo braccio e si siede sull’erba rimanendo a guardare
l’altra mentre immerge le mani nell’acqua
e si disseta.
“Hai
fame?” Chiede quasi senza volerlo, guardando un punto imprecisato fra gli
alberi.
“Sì!
… vai a prendere le banane?”
Nathan
inspira profondamente e sorride: “Certo! Vuoi venire con me?”
“Sì!”
Quasi urla la bambina.
“Va
bene!” Esclama l’altro sempre evitando di guardarla: “Però dobbiamo
camminare un po’… non ti stancherai, vero?”
Un
breve silenzio precede la risposta dell’altra: “Ma se poi mi fanno male i
piedi… io sono piccola e mi fanno subito male i piedi e pure le gambe… il
mio papà mi prende in braccio quando sono stanca! Se mi stanco mi prendi in
braccio?”
Nathan
socchiude le labbra chiudendo gli occhi e sospirando rassegnato: “Va
bene…”
Isabel si alza e ridacchia: “Così
facciamo che tu sei il papà e io sono la figlia piccola!”
Il
giovane si volta di scatto a quelle parole e sorride: “Figlia piccola? Perché,
ho anche altri figli?”
L’altra
lo fissa per qualche istante e poi alza le spalle: “Sì, facciamo che hai
anche una figlia grande!”
“E
come si chiama?”
“Si
chiama Desirèe e lei mi fa giocare sempre, però certe volte mi fa piangere
perché si prende i miei giocattoli!”
“Davvero?”
Nathan si alza e prende per mano la
bambina.
“Sì,
però poi me li dà di nuovo!”
“Allora
è brava!”
“Sì,
è brava!” Isabel cammina in silenzio per un po’ prima di aggiungere: “Ma
tu poi devi venire a casa mia!”
“Perché?”
Nathan sorride, guardando fra gli alberi.
“Perché
tu non la conosci…”
“Chi
è che non conosco?”
“Desirèe!”
“Ah…”Il
giovane scuote la testa: “E chi è?”
“La
mamma dice che è la mia babysitter… io mi diverto con lei!”
“Ah,
è la tua babysitter! Va bene, allora dovrò sicuramente venire a casa tua!”
Il giovane sospira e aumenta
leggermente il passo prima di fermarsi di fronte ad una mezza dozzina di alberi
di banane.
I
due ritornano nei pressi del fiume con un casco per uno e si siedono vicino ad
un albero prima di cominciare a mangiare in silenzio.
“Domani
mangiamo ancora banane?” Isabel mastica velocemente il frutto che ha fra le
mani.
Nathan
guarda la bambina e stringe le labbra abbassando lo sguardo: “Io… non lo
so…” Sussurra con aria improvvisamente tetra.
“Ma
tanto non fa niente… le banane mi piacciono!” Esclama la bambina guardando
attentamente il frutto che ha in mano.
Nathan
alza nuovamente lo sguardo su di lei e con un sorriso le accarezza la testa:
“Sì, sono buone!” Sussurra prima di poggiare la schiena contro l’albero
alle sue spalle, sospirando. Chiude gli occhi e rimane fermo, cercando di
svuotare la mente da qualsiasi pensiero.
“Nathan,
voglio dormire!” La voce gli fa aprire lentamente gli occhi e quasi con
sorpresa si accorge dell’oscurità che li circonda.
“Se
hai sonno, dormi!” Si limita ad esclamare guardando la bambina che sbadiglia e
si sfrega gli occhi.
Isabel
si alza, avvicinandosi al ragazzo, e si siede accanto a lui.
Il
giovane le lancia una rapida occhiata per poi girarsi da un’altra parte:
“Verranno a cercarci qui?” Si domanda all’improvviso socchiudendo gli
occhi: “E se ci avessero dati per dispersi in mare o… o per morti?” I
battiti del cuore aumentano d’intensità. Scuote la testa aprendo gli occhi.
Si guarda intorno; l’acqua del fiume riflette la luce della luna spandendo
intorno deboli luccichii. Al di là del corso d’acqua vi sono solo alberi
immersi nel buio e più nulla. Un brivido corre lungo la schiena del ragazzo che
deglutisce e sposta lo sguardo sulla bambina al suo fianco: “Isabel…”
Sussurra piano, ma l’altra non dà segno di averlo sentito. “Isabel?”
Prova di nuovo, senza alcun risultato: “Stai già dormendo?” Nathan
abbassa di poco la testa verso la bambina che, con la bocca leggermente
aperta, dorme placidamente, gli occhi chiusi e il respiro regolare.
Il
giovane si lascia sfuggire un sospiro e muove lentamente il braccio destro a
circondare le spalle di Isabel: “Così è quasi sicuro che mi accorgerò se si
allontanerà di nuovo… non ho intenzione di tuffarmi di nuovo nel fiume…”
Nathan sorride suo malgrado e poggia a testa all’albero chiudendo gli occhi.
per
Araluna: ciao… chiedo umilmente scusa… non ho mai aggiornato con tanto
ritardo… la tesi mi sta davvero prosciugando le energie-_-;;; ma per farmi
perdonare in questi giorni mi sono messa d’impegno^^ per il prossimo capitolo
non ci sarà molto da aspettare^^
Forse
il nostro Nat sta cominciando davvero a rassegnarsi alla presenza di Isabel…
non so chi dei due mi faccia più tenerezza XD Poveri!!!
Ti
ringrazio per la pazienza e la costanza con la quale segui la mia storia^^ Alla
prossima! Baci!
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Capitolo 10 *** Se il destino è contro di noi… peggio per lui! ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 10- Se il destino è contro di noi… peggio per lui!
“Uffa!”
L’urlo
stizzito di Isabel attira l’attenzione di un Nathan annoiato che stacca gli
occhi dall’orizzonte.
Sono
tornati sulla spiaggia subito dopo il risveglio e il giovane si è seduto sulla
sabbia rimanendo a fissare l’oceano con la segreta speranza di vedere apparire
l’imbarcazione del giorno precedente. Ma la sua attenzione ora è stata
catturata dalla bambina che con rapidi gesti cerca di allontanare i capelli che
le ricadono sugli occhi.
“Isabel,
cosa c’è?”
La
bambina si avvicina al giovane: “Questi capelli mi danno fastidio! I codini si
sono rotti!”
Nathan
alza le spalle e sospira mettendo un pugno sotto il mento: “Che vuoi farci, si
rompono…” Mugugna ritornando a fissare l’oceano.
“Io
li tolgo… me li fai di nuovo?!” Isabel afferra gli elastici rosa che
mantengono legati i capelli in due code.
“Ehi…
aspetta!” Il giovane si riscuote e alza la testa: “Io non li so fare i codi…”
La
bambina tira con forza e i capelli ormai sciolti le ricadono liberamente sulla
schiena.
Nathan
la guarda mentre, con aria soddisfatta, si avvicina a lui, e scuote mestamente
la testa.
“Tieni!”
Isabel consegna gli elastici al giovane che li prende in una mano e chiede:
“Cosa dovrei farci io, con questi?”
“Devi
farmi le code!” L’altra inclina la testa da un lato e fissa il ragazzo in
attesa che faccia il suo dovere.
“Ehm...”
Nathan si rigira fra le mani i due oggettini rosa guardandoli con aria perplessa
e si morde il labbro inferiore: “Ehm… ascolta, Isabel… io non so fare le
code!” Alza gli occhi sulla bambina con aria dispiaciuta e la vede
accigliarsi.
“Ma
mi danno fastidio!” Esclama afferrandosi i capelli e tirandoli indietro.
“Ho
capito, però…”
“Dai!
Fammele!”
Nathan
scuote la testa e avvicina i due elastici alla bambina come a volersene liberare
al più presto: “Ti ho spiegato che…”
“E
dai!” Isabel sembra non ascoltarlo; si siede di spalle vicino a lui e rimane
ferma: “Fammi le code!”
Il
giovane guarda la testa bionda e chiude gli occhi mormorando imprecazioni varie
prima di stringere i denti e afferrare i capelli biondi con tutta la delicatezza
in suo possesso. Li raccoglie in una grande coda, guardandoli con aria torva, e
ispira profondamente: “E ora?” Si chiede con aria esasperata: “Isabel,
passami uno di quei cosi!” Nathan si rigira fra le dita uno degli elastici
mentre tiene ferma la coda e comincia a legare i capelli: “Ecco…” Sussurra
facendo una smorfia: “Ho fatto!” Esclama alzando la voce e scostandosi dalla
bambina.
Quest’ultima
si alza e muove la testa facendo ondeggiare la coda: “E questo?” Chiede,
poi, mostrando l’oggetto rosa che ha in mano.
Nathan
guarda prima la coda che pende leggermente a sinistra e poi il piccolo elastico:
“Mettilo al braccio… come un braccialetto!”
Isabel
guarda il ragazzo e dopo un attimo di indecisione sorride.
Nathan
rimane a fissarla mentre guarda l’oggetto che ha messo al polso, ma la sua
mente è già altrove:”Che ci facciamo qui?” Si chiede in un misto di
stupore e rabbia; “Come ci siamo finiti in questa situazione? E quanto dovremo
resistere qui? Per quanto dovremo restare qui ad aspettare?” Sposta lo sguardo
sull’oceano e rimane fermo mentre la sua mentre disegna sull’acqua calma la
sagoma di una grande nave da crociera. “Una vacanza noiosa…” Sussurra. Il
ricordo dei suoi genitori seduti al tavolo del ristorante gli ritorna
prepotentemente in mente. Scuote la testa e un rumore assordante gli invade la
testa: il ponte viene squarciato all’improvviso… delle ragazze che parlano
tranquillamente tra loro… un giovane membro dell’equipaggio gli va a
sbattere contro, ha fra le braccia delle casse dall’aria pesante… “Mi
scusi…” Mormora Nathan con gli occhi chiudi. Un altro ricordo… altra casse
che per poco non lo travolgono nel corridoio della nave… “Tutti i tizi con
le casse li ho incontrati io quella sera… certo che i membri dell’equipaggio
erano più bizzarri del solito quella sera…
e quel gruppo che era sul ponte…” Un debole sorriso che si spegne di
colpo: “E se non fossimo gli unici ad esser finiti qui?” Nathan apre di
colpo gli occhi: “L’esplosione ha fatto saltare in aria mezzo ponte della
nave… sono cadute altre persone in acqua!” Si alza con uno scatto
improvviso. “È possibile! Potrebbe esserci qualcun altro qui!”
“Perché
ti sei alzo?” Chiude Isabel intenta a bagnarsi i piedi a riva.
Nathan
la fissa per qualche istante e le si avvicina: “Vogliamo fare una
passeggiata?” Chiede con un sorriso tirato.
La
bambina lo guarda e poi si guarda i piedi: “Sì, va bene!” Facendo leva
sulle mani si metti in piedi e pulisce la vestina dalla sabbia prima di
allungare automaticamente una mano verso il ragazzo.
Nathan
scuote la testa: “No, non ti preoccupare, non dobbiamo andare nel bosco!
Passeggiamo solo sulla sabbia!”
La
piccola annuisce e comincia a correre davanti al ragazzo che è sul punto di
sospirare, ma poi sorride: “Vediamo quanto resiste!”
“Nathan!”
Isabel si ferma e torna indietro, raggiungendo il giovane che cammina con tutta
calma.
Sono
in cammino da un paio di ore e non hanno ancora
incrociato nessun essere vivente fatta eccezione per qualche granchio
prontamente ributtato in acqua da Isabel.
“Nathan…
ho caldo!” Esclama avvicinandosi al giovane e afferrandogli un braccio.
“Se
hai caldo smettila di correre avanti e indietro!”
“Ma
ho sete! Quando finisce questa passeggiata?”
“Quando
troviamo un bipede!” Sbuffa il giovane.
“Che
cos’è?” Chiede la bambina con aria incuriosita.
“E…”
Nathan la guarda per metà spazientito e per metà divertito. Si asciuga il
sudore che gli imperla la fronte: “È una persona!”
“Una
persona normale?”
L’altra
sgrana gli occhi: “Certo! È una persona normale come te e me!”
“E
mi porta da mamma e da papà?”
Il
giovane apre la bocca mentre pensa: “Perché mi dimentico sempre che ha solo
quattro anni…?” Scuote la testa e lancia un’occhiata all’oceano: “Sì,
spero di sì!” Esclama muovendosi verso le riva e immergendo i piedi in acqua:
“Se hai caldo puoi fare un bagno… che dici?”
“Davvero?”
Senza aspettare la risposta, Isabel entra in acqua bagnandosi fino alle
ginocchia incurante del vestito che ancora indossa: “È fredda!” Urla
ridacchiando.
“Eh
già, è bella fredda… ora però sarà meglio andare verso il bosco…”
Sussurra Nathan quasi a se stesso guardando verso gli alberi: “Se vogliano
trovare acqua potabile è meglio andare di là!”
Fa qualche passo indietro e infila le scarpe nonostante abbia i piedi
ancora bagnati: “Vieni Isabel, andiamo a bere!”
“Le
ultime parole famose!” Sibila Nathan con aria truce.
Gli
sembra di star camminando fra gli alberi da secoli, o almeno è quello che gli
suggeriscono le sue gambe, ma anche Isabel dà loro una mano lamentandosi ad
intervalli regolari, con le braccia intorno al collo del giovane. Ha preso la
decisione di caricarsela sulle spalle all’ennesimo tentativo della bambina di
sedersi a terra: “Ci manca solo che me la perda in questa stramaledetta
foresta!” Ha pensato il ragazzo senza, però, evitare di aggiungere: “Certo,
senza questa mocciosa fra i piedi sarebbe tutto più facile… però ormai ci ho
fatto l’abitudine alle sue lamentele stridule!”
“Ho
sete…” Piagnucola Isabel poggiando la fronte contro la nuca del giovane e
agitando le gambe lungo i fianchi di Nathan.
“Ti
prego, smettila!” Si lamenta a sua volta il ragazzo mentre avverte il sudore
scendergli lungo la schiena e sul viso. Comincia ad aver sete anche lui: “A
dirla tutta ho anche fame!” Pensa tra sé evitando di suggerire alla piccola
un altro motivo per lamentarsi. Deglutisce con difficoltà e la gola secca gli
fa desiderare di più dell’acqua potabile. Si guarda intorno ansimando
debolmente, ma non vede altro che alberi. “Dannazione!” Il ragazzo avverte
la stanchezza, ma ha paura di fermarsi temendo di non riuscire più a riprendere
la ricerca dell’acqua: “Come mi è saltato in mente di andare su quella
maledetta spiaggia… se avessi seguito il fiume ora non saremmo qui in mezzo! E
non ho neanche idea di dove stia andando! Porca miseria!” Si blocca
all’improvviso guardandosi furiosamente intorno. “E se tornassi indietro?”
Si chiede mordendosi un labbro. Si volta indietro ed inspira profondamente. Un
alito di vento gli scompiglia lievemente i capelli bruni dandogli un attimo di
refrigerio. “No, non posso tornare indietro! La strada è troppa…”
Riprende a camminare.
“Sto
morendo di sete…”
“Lo
so, Isa… lo so…” Sussurra lievemente.
“La
mia mamma mi chiama così!” Ridacchia la bambina agitandosi sulle spalle di
Nathan.
“Che
cosa?” Chiede quest’ultimo facendo una smorfia.
“Mi
chiama anche lei Isa!”
“Ah…
ho capito!” Nathan annuisce senza entusiasmo con un sorriso poco convinto e
continua a camminare a casaccio fra gli alberi: “Acqua…” Pensa: “Devo
trovare dell’acqua… dov’è finito quel maledetto fiume? Vorrei tanto
saperlo, io…”
“Nathan,
senti?”
“Che
c’è?” Sbotta irritato fermandosi di colpo.
Per
una manciata di secondi l’unico rumore che si sente è il cinguettio degli
uccelli, poi la voce di Isabel esclama: “Senti?!”
Nathan
apre la bocca: “Cosa?” Sibila per evitare di urlare.
“Il
rumore!”
“Quale
rumore?… Mamma mia… stai diventando pensante…” Sibila scuotendo la
testa.
“Nathan,
ma non senti? È l’acqua!” Esclama Isabel agitandosi sulle sue spalle.
“Uffa…”
Il ragazzo si accoccola e fa scendere Isabel: “Dov’è che senti l’acqua?
Si può sapere?”
“Qua!”
La bambina fa qualche passo e torna indietro afferrando Nathan per la mano:
“Vieni!”
Il
giovane, stremato, si lascia trascinare fra gli alberi, ma dopo pochi metri si
ferma ed apre la bocca: “Sì…” Sussurra trasognato: “È vero… ora lo
sento anch’io il rumore!” Il cuore prende a battere più velocemente e il
giovane comincia a camminare in preda ad un’ansia crescente, ma non deve
attendere molto per vedere una piccola sorgente dalla quale sgorga acqua limpida
e potabile.
“Non
ci posso credere!” Sussurra ridacchiando: “Non ci posso credere!” Si
avvicina lentamente e urla: “Isabel, vieni! Vieni e bere!”
La
bambina non se lo fa ripetere due volte e si precipita sulla sorgente allungando
le mani per raccogliere l’acqua.
“Hai
visto, c’era l’acqua!” Esclama fra un sorso e l’altro.
Il
ragazzo, inginocchiato vicino a lei, annuisce e sorride: “Già, avevi proprio
ragione!” Con una mano scompiglia i capelli alla bambina e rimane a guardarla
mentre lei continua a bere: “Vatti a fidare del mio udito!” pensa tra sé
sospirando e alzando la testa per fissare il cielo. Con un po’ di sorpresa
nota che si è colorato di un azzurro più intenso. Lancia un’occhiata
all’orologio e fa una smorfia: “Accidenti… devo trovare qualcosa da…”
“Nathan,
quando mangiamo?”
Il
ragazzo apre la bocca, ma la chiude subito in un sorriso tirato: “Ma come
siamo puntuali!” Si tira su un po’ a fatica: “Quando tornerò a casa giuro
che almeno una volta a settimana andrò in palestra!” Si massaggia le gambe e
si raddrizza con una smorfia: “Allora, Isabel, io ora vado a vedere se qui
intorno c’è qualche frutto da man…”
“Vai
a prendere le banane?”
“Ehm…
vedi, qui non ci sono supermercati quindi se trovo le banane le prendo
altrimenti prenderò qualche altra cosa, va bene?”
La
bambina annuisce.
“Perfetto!
Tu ora te ne resti qui senza muoverti, capito?”
“Sì!”
“Ho
detto senza muoverti!” Ripete Nathan alzando un dito a mo’ di minaccia:
“Io torno subito! Tu non muoverti!” Lancia un’occhiata ad Isabel e si
volta, inoltrandosi fra gli alberi.
per
Araluna: ed eccoci qua… stavolta ce l’ho messa tutta per aggiornare prima…
è un po’ frustrante non riuscire a scrivere i capitoli velocemente, ma deve
passare questo periodo^^ Comunque, ormai non faccio che ripetermi ^^; ,sono
contenta che la storia continui a piacerti e ti ringrazio per avermi avvertita
dell’errore (questi maledetti, ne scappa sempre qualcuno^^;) Io non ci posso
fare nulla… ormai sono affezionata ad Isabel^^ anche se a volte la trasformo
in una “lagna” XD. Spero che per il prossimo capitolo non ci vogliano mesi^^
Alla prossima! Baci! ( ps consolati per la tesi… credo di essere più grande
di te^^ io 23 anni li ho già compiuti)
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Capitolo 11 *** Qui non ci sono boyscout ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO
11- Qui non ci sono boyscout
Nathan
girovaga un po’ alla cieca guardando gli alberi intorno a sé senza, però,
riuscire a notare nulla che assomigli ad un frutto o ad un frutto commestibile.
“Qui
è pieno di questa specie di meloni verdi!” Sospira sconsolato guardando gli
alberi dalle lunghe foglie lucide e dai frutti tondi, di un colore tendente al
verde chiaro: “Non ho idea se siano commestibili o no… e dopo tutta la
fatica fatta non ho intenzione di crepare per dei frutti velenosi!” Continua a
camminare, nonostante la protesta delle sue gambe, fin quando, esasperato, si
poggia contro un albero e si lascia scivolare a terra: “Accidenti! Ho una fame
terribile…” Si massaggia lo stomaco con una mano e guarda il cielo: “E si
è anche fatto buio…” Respira a fondo e torna ad alzarsi, poggiando una mano
sull’albero: “E va bene! Vuol dire che prenderò voi!” Sussurra in
direzione dei frutti verdi, guardandoli con aria irritata: “Spero che non
succeda nulla!” Si alza sulle punte e con le braccia tese raccoglie due
frutti; la scorza è ruvida, ma non hanno un aspetto molto pericoloso. “E ora
sarà meglio tornare da Isabel. Credo che non farà problemi a mangiare uno di
questi!” Sorride e ritorna sui suoi passi, camminando velocemente nonostante
l’aria stanca che ha in viso.
“Isa,
guarda cos’ho tro…” Alza gli occhi appena sente il rumore della sorgente,
ma rimane interdetto nel non vedere la bambina. Inarca le sopracciglia: “Hm…
avrò sbagliato posto?” Nathan percorre qualche metro girando intorno alla
fonte d’acqua, con aria sempre più perplessa: “No, il posto è questo!”
Alza gli occhi e guarda gli alberi intorno: “Quando trovo quella peste…
questa volta mi sente!” Scuote la testa e, con ancora i frutti in mano,
comincia a cercare nei dintorni: “Isabel?! Vieni fuori!... Isabel dove ti sei
cacciata?” Il giovane aumenta il passo nel sentire le sue urla perdersi nel
nulla: “Accidenti… ma dove è andata! Non ce la faccio più a fare il
babysitter! Non ne posso proprio più!... cacchio! Isabel dove diavolo ti sei
cacciata, impiastro di una bambina?!” Sibila il giovane tirando un calcio
all’albero più vicino. Rimane in silenzio respirando affannosamente prima di
camminare fra gli alberi scuotendo la testa e mugugnando imprecazioni, ma
qualcosa lo fa zittire all’improvviso. Stringe istintivamente i frutti che ha
fra le mani e tende l’orecchio: “Un animale?” Si chiede al sentire un
rumore simile ad un bisbiglio.
Cammina
velocemente e, più il rumore si fa forte, più sente crescere l’agitazione:
“Sono voci… sono…”
Sta
praticamente correndo quando vede un chiarore in lontananza. Un sorriso gli
compare sul viso. Le voci sono sempre più forti e fra loro riconosce anche
quella di Isabel. Non osa dire nulla né tanto meno pensare a quello che le voci
potrebbero significare. Il buio della notte viene squarciato dalla luce
artificiale: intorno a tre grandi torce elettriche sono radunati una manciata di
uomini che guardano la bambina a qualche metro da loro. Nathan non riesce a
veder bene i loro visi, ma non gli importa. Rallenta un po’ il passo e cerca
di respirare con più calma.
Lancia
un’occhiata ai frutti che stringe ancora in grembo e alza le spalle: “Questi
non serviranno più, per fortuna!” Si abbassa lievemente per posarli a terra,
ma rimane accoccolato a terra senza far nulla quando nota, alle spalle degli
uomini, delle casse di legno. “Di nuovo?!” Pensa alla vista degli oggetti:
“Si saranno salvati aggrappandosi a quelle casse…” Il giovane fa una
smorfia e sposta la sua attenzione su Isabel.
La
bambina sta rispondendo tranquillamente alle domande degli uomini, che, invece,
sembrano tesi.
Lo
sguardo di Nathan si sposta su tutte le persone presenti; sono seduti a terra e
indossano tutti gli stessi abiti: camicie bianche a mezze maniche e pantaloni
neri.
“Saranno
membri dell’equipaggio…?” Nathan si acciglia mentre il suo sguardo corre
ancora dall’uno all’altro.
Il
più giovane del gruppo sembra essere anche il più nervoso; con una mano
continua a tirare i capelli lunghi, legati in una cosa mentre scuote la testa
con aria contrariata. L’uomo accanto a lui, al contrario, non sembra
manifestare alcuna emozione. Rimane fermo, con le spalle larghe ben dritte a
fissare Isabel che chiacchiera con tranquillità. Solo le sopracciglia
stranamente inarcate testimoniano che la situazione non gli va del tutto bene.
Sposta lentamente lo sguardo quando il tipo più vicino alla bambina le rivolge
un’altra domanda. Passa distrattamente una mano sulla testa rasata per poi
sfiorar la tasca dei pantaloni con la stessa naturalezza, prima di rimanere con
lo sguardo fisso sulla schiena dell’uomo robusto
seduto a terra, poco più avanti rispetto a lui. Quest’ultimo ha lo sguardo
fisso su Isabel, ma sembra tutto furchè un uomo con cattive intenzioni.
Il
tipo più vicino alla bambina continua a farle domande con un sorriso tirato in
volto. Ha la barba incolta, ma sembra avere un’aria pacata.
Inspiegabilmente
la mente di Nathan comincia febbrilmente a lavorare. Si guarda intorno e si
alza: “Perché sono solo uomini?” Si chiede mordicchiandosi il labbro
inferiore: “Dove hanno preso quelle torce... e perché ci sono…” Conta
mentalmente gli oggetti e si acciglia: “Ci sono dieci casse e lo sono in
quattro… e quelle camicie mi sembrano piuttosto pulite.” Un ghigno gli
compare in volto: “Già… come se non avessero mosso un passo in questo posto
desolato!” Istintivamente fa un passo indietro e rimane a scrutare il gruppo
che ora sembra divertito dalla presenza della bambina. Nella sua testa si
rincorrono gli interrogativi e i dubbi, ma, inspiegabilmente a rispondergli è
l’improvviso vuoto allo stomaco che lo fa gemere e allo stesso tempo stempera
la tensione accumulata in quei pochi istanti: “Ho un’accidenti di fame!”
Pensa il giovane che torna a guardare Isabel e viene colpito da una fitta di
vergogna: “Sono proprio uno scemo! Se quei tipi avessero avuto cattive
intenzioni Isabel non se ne starebbe lì in mezzo a parlare liberamente dei
granchi che ha trovato sulla spiaggia… e se
avessero avuto cattive intenzioni io sarei stato un grande codardo senza spina
dorsale ad aspettare qui al buio lasciando una bambina di quattro anni in balia
di sconosciuti.
Sospira
e ridacchia sommessamente: “Sono loro i tipi che ho visto sulla barca!”
Esclama fra sé annuendo con la testa: “È per questo motivo che non hanno un
graffio né una macchia sui vestiti! Loro, evidentemente, non sono caduti in
acqua e sono venuti qui di proposito per… ma che diavolo faccio ancora qui?
Che idiota che sono!” Fa una smorfia e muove un passo: “E ancora non ho
capito perché continuo a portarmi dietro questi!” Mugugna lasciando cadere
uno dei frutti a terra che produce un rumore sordo spaccandosi in più parti.
Con
uno scatto improvviso il più giovane del gruppo e l’uomo rasato balzano in
piedi portando contemporaneamente una mano alla cintola dei pantaloni per tirar
fuori qualcosa.
Nathan
si immobilizza e rimane a fissare davanti a sé.
“Ehi,
voi due, che vi prende?” Domanda l’uomo più vicino ad Isabel, con aria
calma, ma allo stesso tempo un po’ sorpresa. Con un gesto fluidi mette una
mano in tasca e ne estrae un pacco di sigarette.
“Mi
è sembrato di sentire un rumore… l’avevo detto che era meglio spegnere
tutto… pensavate che una mocciosa potesse arrivare qui da sola?” Il giovane
si guarda intorno con aria circospetta abbassando di poco la pistola che ha in
mano.
“Probabilmente
è stato solo un uccello!” Continua serafico l’altro prendendo una sigaretta
e portandola alle labbra prima di accenderla.
L’altro
uomo che è scattato in piedi si limita a mettere via l’arma e torna a sedersi
non smettendo, però di guardare fra gli alberi.
“Se
c’è qualcuno con lei non è lontano e ben presto si accorgerà che si è
allontanata.” Quasi sussurra l’uomo robusto che è rimasto seduto e che
rivolge ad Isabel un sorriso sornione.
La
bambina sta fissando con aria un po’ spaventata l’uomo che è ancora in
piedi.
“E
allora? Dobbiamo spostarci?” Chiede il tipo con la sigaretta.
“Ho
paura di sì…” Sospira l’altro prima di sbottare: “Prendi la bambina…
leviamo le tende!”
Un
brivido percorre la spina dorsale del giovane ancora nascosto fra gli alberi.
“Che
ce ne facciamo della mocciosa?” Tuona il giovane, è ancora in piedi.
“Io
voglio tornare da Nathan…”
Le
parole di Isabel attirano l’attenzione dei quattro.
“E
ora chi diavolo…”
“Isabel
vieni qui!”
Gli
uomini si voltano da una parte all’altra nel sentire la voce di Nathan.
Il
giovane lascia cadere anche l’altro frutto a terra: “Isabel, dove ti sei
cacciata?” Urla stringendo forte i pugni nel tentativo di non far tremare la
voce.
“Nathan!”
Esclama la bambina girandosi intorno.
I
quattro uomini ora sono tutti in piedi,ma quello più vicino ad Isabel toglie la
sigaretta di bocca e si volta di
scatto verso gli altri che, intercettato il suo sguardo, annuiscono e tornano a
sedersi.
Nathan
deglutisce a fatica. Il cuore gli martella nel petto e comincia a sudar freddo.
Apre la bocca, ma non riesce a far uscire nessun suono. Respira un paio di volte
e muove pochi passi. Gli occhi dei quattro ora sono puntati su di lui che
spalanca gli occhi nel goffo tentativo di fingere incredulità: “Isabel!”
Esclama con voce stridula: “Vieni qui!” Allarga le braccia con un sorriso
forzato in volto.
“Questi
signori mi portano dalla mamma!” La bambina non accenna a muoversi e indica le
persone poco distanti.
Nathan
deglutisce di nuovo e, senza guardare gli uomini, insiste: “Isabel, vieni qui,
dai!”
“Ma…”
“Ti
ho detto di venire qui!” Quasi urla il giovane che trattiene il fiato fin
quando non vede che la bambina gli si avvicina.
“Ma
cosa…”
Il
giovane sente sussurrare uno dei presenti e scatta come una molla verso Isabel
prendendola in braccio e cominciando a correre come impazzito fra gli alberi.
“Non
sparate!” Sente urlare mentre cerca di correre il più velocemente possibile.
“Nathan,
perché stai correndo?” Chiede Isabel, ma il giovane è troppo impegnato a
fuggire per risponderle.
Non
sente più le voci dei tipi, ma è sicurissimo che siano lì, dietro di loro, e
la cosa non gli piace per niente.
Cerca
di correre ancora più velocemente tenendo gli occhi bene aperti, nel tentativo
di evitare gli alberi che sembrano spuntargli avanti all’improvviso.
Il
buio che si fa più fitto non lo aiuta, ma il giovane pensa solo ad allontanarsi
il più possibile da quegli uomini, la mente svuotata e il fiato corto. Non
riesce ad evitare del tutto un albero che ha visto solo all’ultimo secondo e
va a sbattere contro con il braccio. Si ritrova leggermente sbilanciato, ma
riesce a tenersi in piedi e continua ad andare avanti.
L’ansia
di fuggire è così forte che quasi non avverte il dolore per il colpo preso.
Incespica di nuovo sul terreno e il cuore perde un battito. Con una mano si
mantiene ad un albero: solo pochi secondi per riprendere fiato e riprende a
correre.
Gli
alberi sfrecciano veloci di fianco a lui e il respiro affannoso è l’unico
rumore che riesce a sentire; stringe più forte Isabel e guarda il buio davanti
a sé.
Incespica
di nuovo; stringe gli occhi e mette un piede in avanti per cercare di non
cadere. Senza riuscire ad evitarlo, sbatte contro un albero e viene spinto
indietro, sul terreno.
“Merda!”
Sibila, disteso con la schiena a terra. Respira velocemente e rimane fermo per
pochi secondi.
“Sei
caduto!” Esclama Isabel con il viso premuto contro il suo petto.
Nathan
riesce solo ad annuire per poi mettersi seduto e provare a rialzarsi.
“Perché
stai scappando?” Chiede la bambina mentre l’altro si tira su a fatica
mantenendosi con una mano contro un albero.
“Già,
perché stai scappando?”
per
Araluna: bene… spero che questo capitolo abbia fatto un po’ di chiarezza…
oddio… lascia più interrogativi che altro, però, è comunque un passo in
avanti^^ Ormai Nathan stava sclerando di brutto… dovevo far qualcosa XD Ed ora
cosa faranno i “nostri” eroi???^___^ Baci!
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Capitolo 12 *** La fine della nostra avventura? ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 12-
La fine della nostra avventura?
“Perché stai
scappando?” Chiede una voce affannata alle spalle del ragazzo.
Nathan si sente
gelare, si morde un labbro e mette una mano sulla testa di Isabel.
“Nathan…”
sussurra la bambina cercando di alzare lo sguardo sul giovane, che rimane
immobile.
“Tu! Girati…
lentamente!” Esclama una seconda voce, con aria autoritaria.
Il ragazzo
rimane fermo; con i piedi che sembrano esser diventati una cosa sola con il
terreno.
“Ehi, hai
sentito o sei diventato improvvisamente sordo?” La voce ancora lievemente
affannata ritorna a farsi sentire.
“Nathan…” La
voce di Isabel si abbassa ancora un po’.
Il ragazzo
respira a fondo e muove un passo indietro prima di voltarsi, lentamente.
Deglutisce e fissa i due uomini davanti a lui, i corpi che si stagliano come due
macchie scure nella semioscurità della foresta. Lo sguardo saetta velocemente
dai volti agli oggetti puntati contro di loro che mandano deboli luccichii alla
luce della luna.
“Dove credevi
di andare, tu?” Urla il tipo con la coda, avvicinandosi di scatto ai due e
afferrando Nathan per un braccio; con un violento strattone lo fa cadere contro
un albero.
Il giovane si
limita a raddrizzarsi, poggiando la schiena contro il tronco e lanciandogli
un’occhiata poco amichevole.
“Perché ti ha
buttato per terra?” Chiede Isabel alzando di poco la testa: “Sono cattivi?...
Loro hanno detto che mi portano da mamma…” Si allontana ancora di più da Nathan
per cercare di guardare i due uomini: “È vero che mi portate da mam…”
“Basta…” Sibila
il giovane con i capelli lunghi afferrando Isabel per i capelli: “La devi
piantare, hai capito?”
Nathan reagisce
senza pensare: si sposta in avanti e afferra di scatto il polso dell’altro:
“Lasciala!” Urla fissando l’uomo che risponde stringendo ancora di più la presa
mentre al bambina comincia a lamentarsi e gli occhi le si riempiono di lacrime.
“Ti ho detto di
lasciarla!” Nathan serra ancora di più le dita; avverte le unghie entrare nella
pelle dell’altro che, con una smorfia, lascia Isabel. Di rimando il ragazzo
allenta la presa sul polso riuscendo a notare i segni rossi lasciati sulla pelle
chiara.
“Idiota!” Urla
l’uomo prima di colpirlo in pieno volto.
Il giovane,
preso alla sprovvista, incassa il colpo senza riuscire a far nulla e sbatte con
la testa contro il tronco.
“Cattivo!”
Isabel nasconde il viso contro la maglia di Nathan e prende a singhiozzare
mentre l’uomo le lancia un’occhiata avvelenata: “Piccola moccio…”
“Ehi,
piantala!” L’altro uomo, che fino a quel momento ha assistito alla scena in
silenzio, fa qualche passo in avanti e guarda il gruppo facendo oscillare
distrattamente la pistola che ha in mano.
“Che cosa?”
Ringhia il più giovane alzandosi e fissandolo con rabbia.
“Ma non lo vedi
che sono due sfigati?!” Alza le spalle ed indica Nathan ed Isabel con un cenno
del capo.
L’altro si
imbroncia e mugugna qualcosa spostando lo sguardo sulla sua arma.
“Eccovi!”
I due si
voltano e l’uomo rasato esclama, in direzione dei due compagni che stanno
arrivando: “Ce ne avete messo di tempo!”
“Già…” Ansima
il tipo che ha ancora la sigaretta in bocca: “Ma…” si ferma, fa due tiri e poi
riprende: “Non siamo giovani come voi…” Si volta a guardare il compagno dietro
di lui che si limita ad annuire, con una mano poggiata ad un albero.
Nathan guarda i
quattro e avverte un brivido lungo la schiena. Ha una voglia matta di piangere e
non per il ceffone ricevuto, ma si limita a tenere più stretta a sé la bambina.
Vede i quattro che si scambiano ancora qualche battuta; il tipo rasato ha
cominciato improvvisamente a parlare dei danni del fumo mentre i nuovi arrivati
si sono poggiati a degli alberi a riprendere fiato. Il più giovane fra loro,
invece, ascolta a braccia incrociate, apparentemente interessato alla
vegetazione. Nathan si guarda intorno prima di ritornare a fissare i quattro che
in quel momento guardano altrove.
“Forse potrei
farcela…” Il pensiero folle gli attraversa la mente mentre un singhiozzo di
Isabel gli fa abbassare lo sguardo su di lei. Nathan si morde il labbro
inferiore e cerca di sistemarsi meglio contro l’albero; prova ad alzare
leggermente una gamba dal terreno, lo sguardo che passa velocemente dai quattro
uomini alla via di fuga fra gli alberi. “E se non riuscissi a correre abbastanza
velocemente?” Si chiede con una nota di panico alla quale il corpo risponde
immediatamente con un tremito.
I suoi occhi
corrono automaticamente a cercare le pistole in mano agli uomini: “Ma se non
faccio qualcosa…” Abbassa nuovamente lo sguardo sulla bambina che ha in braccio.
“Allora,
cos’abbiamo qui?”
Le parole lo
fanno sobbalzare e irrigidire di colpo. Continua a tenere lo sguardo basso
mentre sente il rumore di passi che si avvicinano.
“Ehi, ragazzo,
sto parlando con te!”
Nathan alza gli
occhi e sbatte le palpebre mentre il fumo della sigaretta gli oscura per un
attimo la vista. Trattiene il fiato fin quando l’uomo non si allontana.
L’altro mette
le mani sui fianchi e lo fissa con un mezzo sorriso: “Perché sei scappato,
ragazzo? Non volevamo fare niente a te e alla tua sorellina!”
Nathan rimane
in silenzio a fissare l’uomo che giocherella distrattamente con la pistola,
tenendola con entrambe le mani.
“Avanti,
finiamolo!” Esclama di botto il giovane col codino, camminando nervosamente
avanti e indietro.
“Se c’è
qualcuno che deve smetterla, quello sei tu!” Sbotta l’uomo rasato lanciando
un’occhiataccia a tutti i presenti e incrociando le braccia al petto.
Nathan
deglutisce stringendo un pugno.
“E va bene…”
Sbuffa il tipo più vicino a lui, togliendo la sigaretta dalla bocca e
lanciandola a terra. Porta una mano sulla tasca posteriore e ne estrae un
oggetto cilindrico e nero non più grande di dieci centimetri.
Un nodo alla
gola ferma il respiro di Nathan che spalanca gli occhi spostandosi in avanti:
“No!... a-aspettate...” La sua voce è allarmata e leggermente stridula.
L’uomo inarca
le sopracciglia.
“Aspettate!”
Ripete il giovane respirando velocemente con un peso sempre più opprimente sul
petto. Gli occhi non riescono a spostarsi dall’oggetto nero che il tipo sta
avvitando alla bocca della pistola.
“Sì, certo!” è
la laconica risposta dell’uomo che annuisce con un sorriso ironico in volto.
“No, vi prego,
io...” Nathan guarda disperatamente gli altri tre uomini, in cerca di aiuto. La
voglia di alzarsi e scappare è tanta, ma sembra che le forze lo abbiano
abbandonato. Le gambe gli tramano e anche volendo non riuscirebbe ad alzarsi.
Avverte Isabel che si stinge più forte a lui e istintivamente abbassa lo sguardo
su di lei: “Vi prego…” Ritorna a parlare alzando nuovamente lo sguardo sull’uomo
davanti a sé: “Lasciatela stare! Vi prego, è… è solo una bambina…” La voce si fa
ad ogni parola più flebile: “È innocua…” Sussurra non riuscendo più a parlare
con voce ferma: “Siamo tutti e due innocui…” Bisbiglia con voce impercettibile.
Lo scoppio di
risa che segue alla sue parole gli fa accapponare la pelle. Fissa l’uomo davanti
a sé senza riuscire a fare altro. Lo vede alzare l’arma contro di lui e non
riesce più a tenere gli occhi aperti. Abbassa la testa e stringe ancora di più
gli occhi le palpebre sente una voce calma esclamare: “Addio!”
Uno scoppio… un
attimo di silenzio e poi un secondo scoppio e un terzo.
Nathan avverte
il cuor battere all’impazzata; premere contro il petto quasi a fargli male.
Avverte Isabel avvinghiata alla sua maglia; le sue braccia la circondano
completamente. Ha gli occhi serrati e avverte qualcosa di umido farsi lago fra
le palpebre abbassate. Rimane immobile, ma gli istanti passano e non avverte
dolore; niente di niente.
“È… è già
finita?” Pensa, incredulo, ma qualcosa gli dice che non è così. Sente qualcuno
che mugugna vicino a lui, molto vicino, e la guancia sinistra è ancora
indolenzita, là dov’è stata colpita. Avverte il respiro della bambina vicino a
sé e si decide a socchiudere gli occhi. Prima di potersi rendere conto di quello
che sta succedendo, viene afferrato per un braccio.
“Muoviti,
alzati!” Una voce che sembra essere lontanissima.
Qualcuno lo
tira su di peso e Nathan si ritrova a barcollare un attimo prima di poggiare la
schiena all’albero; ha ancora le gambe che gli tremano e non capisce cosa stia
succedendo.
“Muoviti,
avanti!”
Una mano lo
afferra e lo strascina fra gli alberi.
Il giovane si
gira indietro, ma non riesce a vedere nulla. Torna subito a guardare in avanti:
un senso di nausea lo colpisce all’improvviso, non sa se per lo spavento, il
sollievo o altro.
Un nuovo colpo
di pistola, alle sue spalle, lo fa sussultare; l’unica cosa che vuole, ora è
allontanarsi da quel posto. Ordina alle sue gambe di muoversi più velocemente,
ma qualcosa non va per il verso giusto. Il giovane rallenta, incespica sul
terreno ed è costretto quasi a fermarsi, respirando a fatica: “Merda!” Sibila
stringendo i denti. La mano che l’ha trascinato via torna a serrarsi intorno al
suo braccio. Nathan alza lo sguardo sul proprietario respirando affannosamente,
con il sudore che, impietoso, gli imperla il viso. I suoi occhi incrociano per
un attimo quelli scuri dell’uomo che ora gli è davanti. Socchiude le labbra, ma
prima che possa fare altro, il tipo lo lascia andare e muove qualche passo
tornando indietro.
Un nuovo colpo
di pistola, più vicino.
Nathan rimane
immobile a fissare le spalle larghe dell’uomo mentre quest’ultimo solleva la
pistola e fa fuoco.
per Araluna: ciao!!! E dopo più di un mese rieccomi qui
^^ ritardo dovuto in parte alla laurea e in parte all’apatia che è sopraggiunta
dopo ^___^
Ehhh le cose non si mettono affatto bene, ma ho quasi
finito di trattar male il povero Nathan (Isabel non la maltratto troppo…^^)...
infatti mancano solo due capitoli alla fine (o almeno credo^^). Alla prossima!
Baci baci!
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Capitolo 13 *** Non siamo in un flm ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 13- Non siamo in un
film
Nathan sobbalza
al rumore della pistola, ma rimane fermo dov’è, confuso e spaventato. Continua a
fissare l’uomo di spalle a pochi metri da lui: la testa rasata e il fisico
d’atleta. La sua camicia bianca spicca nella semioscurità della foresta, e i
lampi di luce che fuoriescono dall’arma che ha in mano illuminano per pochi
istanti gli alberi che li circondano. L’ennesimo colpo è seguito da un urlo e da
una serie di imprecazioni.
“Via!” Esclama
l’uomo voltandosi di scatto e spingendo Nathan in avanti.
Il giovane
scuote la testa e cerca di camminare velocemente, senza grandi risultati.
“Dannazione!”
sibila Nathan.
L’altro afferra
una spalla del ragazzo e si guarda per un attimo intorno: “Per di qua!” Esclama
trascinandolo dietro un’ albero tozzo, dalle foglie lunghe e larghe: “Avanti,
riprendi fiato!” Quasi spinge Nathan a terra, prima di sedersi anche lui.
Il giovane si
accascia lungo il tronco e chiude gli occhi: “Mi sento male…” Sussurra mentre
rilassa i muscoli.
“Fa’ con
comodo!”
L’esclamazione
dell’uomo gli fa riaprire gli occhi. Gli lancia un’occhiata obliqua e rimane in
silenzio a guardarlo mentre lo vede trafficare con la pistola.
“Merda, è
scarica!” Con un gesto di stizza lancia a terra l’arma e si passa una mano sul
viso: “Siamo fregati…” Sbuffa e guarda Nathan: “Perché non sento la bambina?”
Chiede indicando con un cenno del capo il fagotto raggomitolato fra le braccia
del giovane.
“Eh… Isabel…
stai bene?” Nathan abbassa lo sguardo per vedere il viso della bambina che però
è nascosto contro il suo petto: “Isabel?” Sussurra all’orecchio della piccola,
che si allontana di poco, e lo guarda con aria spaesata: ha il volto arrossato e
gli occhi ancora lucidi.
Il giovane
avverte una morsa alla bocca dello stomaco, ma sorride: “Ehi, va tutto bene?
Stai bene?” Chiede con voce dolce.
L’altra
annuisce, ma continua a tenersi avvinghiata alla sua maglia.
Il ragazzo le
passa una mano sul viso: “Non ti preoccupare, adesso è tutto a posto!”
Isabel annuisce
di nuovo e torna a poggiare la testa contro il giovane che socchiude le labbra
riuscendo, però, solo ad abbracciare nuovamente la bambina.
“Eravate in
crociera, vero?” Chiede in un sussurro l’uomo, attirando l’attenzione del
ragazzo.
“Sì… eravamo
sulla nave…” Nathan fissa l’altro che ora è intento a guardare la strada dalla
quale sono venuti; lancia rapide occhiate oltre l’albero e più di un a volta
sbircia nervosamente l’orologio al suo polso.
Il giovane si
acciglia e si schiarisce leggermente la voce prima di bisbigliare, fissando
l’uomo: “Perché ci stai aiutando?”
“Vuoi sapere
perché vi sto salvando la vita?”
Nathan si
irrigidisce e accenna appena di sì con la testa.
L’altro si gira
e lo guarda, sospirando; la sua espressione si fa meno dura: “Sono un
infiltrato!” Esclama in un soffio.
“Cosa?” Nathan
lo guarda incredulo: “Sei un poliziotto?”
L’altro alza le
spalle: “Più o meno!”
“Ma… come…
perché…?” Il giovane scuote la testa: “Che ci fai qui?”
L’altro accenna
un sorriso e guarda Nathan come indeciso sul da farsi. Inarca le sopracciglia e
dopo aver respirato a fondo abbassa un attimo gli occhi e poi ritorna a
fissarlo: “Quello che è successo sulla nave non è stato un incidente!” L’uomo
alza una mano per zittire il giovane che alle sue parole si è sporto in avanti
con un’esclamazione di sorpresa: “Fai silenzio! Non siamo al sicuro!” Sibila
avvicinandosi al giovane: “Perché pensi che quelle casse siano su quest’isola?”
“Ca… le casse?”
Balbetta Nathan un po’ spiazzato.
“Esatto, le
casse!” L’agente si allontana e torna a sbirciare oltre l’albero mentre il
ragazzo guarda nel vuoto cercando di trovare un filo logico che possa collegare
le informazioni in suo possesso e quelle appena ricevute. La sua mente comincia
a lavorare furiosamente cercando di far combaciare i tanti pezzi di un puzzle
ancora lacunoso.
Una nuova
esplosione e un gemito.
“Merda!”
Impreca l’uomo vicino Nathan.
Il giovane si
volta di scatto: “Cos’è succ…” Le parole gli muoiono in gola quando vede la
camicia bianca dell’altro macchiata di rosso all’altezza della spalla.
L’agente preme
con la mano sulla ferita e si gira verso Nathan: “Via! Corri, corri!” Esclama
alzandosi con qualche difficoltà.
Il giovane lo
fissa per qualche istante rimanendo immobile.
“Avanti!”
L’altro lo afferra per un braccio, tirandolo: “Allora, vuoi lasciarci le penne,
ragazzo?”
Le parole
scuotono Nathan che, coprendo la testa di Isabel con una mano, comincia a
correre seguito dall’uomo e dall’eco dei colpi delle pistole.
“Eccoli!” Sente
gridare il giovane mentre i colpi si fanno più vicini.
“Dannazione!”
Urla l’agente quando un albero vicino a loro viene colpito.
“Non ti
fermare, continua a correre!”
Nathan non ha
bisogno di farselo ripetere e sfreccia velocemente fra gli alberi fin quando
qualcosa non gli spezza il respiro.
Il rumore dello
sparo gli riecheggia nelle orecchie, lo sente esplodere nella testa e
nell’intero corpo prima di cadere a terra, lungo disteso sull’erba.
“Ragazzo!”
Si sente
chiamare e cerca di aprire gli occhi, ma il bruciore che avverte su tutto il
lato destro del corpo è troppo forte. Sente la testa scoppiare, non riesce a
muoversi, non riesce a pensare.
Si sente
afferrare per un braccio e spostare di lato; Isabel gli viene tolta dalle
braccia. La sente lamentarsi un po’, ma poi si zittisce.
“Avanti… un
ultimo sforzo!”
L’uomo vicino a
lui lo tira su di peso.
Socchiude gli
occhi ma è tutto troppo confuso perché possa capire qualcosa.
Sente rumore di
scoppi ovunque, vede tronchi d’alberi e lampi, e poi avverte di nuovo dei
rumori… qualcuno che piange…
“Chi piange?”
Si chiede Nathan sballottando qua e la senza un motivo preciso. È tutto confuso,
tutto sembra vorticare intorno a lui, come se fosse in un’enorme lavatrice. Un
ronzio continuo nelle orecchie e poi di nuovo quel pianto. “Isabel!” Pensa come
in un sogno. Stringe gli occhi e scuote la testa. Quando li riapre vede il
terreno davanti a sé. Alza la testa e la foresta ritorna davanti al suo sguardo.
Nathan si riscuote dal torpore e si accorge con meraviglia di star muovendo le
gambe, di star camminando velocemente nella foresta sorretto dall’agente che gli
sta salvando al vita.
Sente il
respiro affannoso dell’uomo. Si volta un istante a guardarlo e nota che Isabel è
in braccio a lui e singhiozza con veemenza.
“Isa…” Sussurra
con un filo di voce, ma l’ennesimo colpo lo fa tornare a concentrare sulla
corsa.
Un’altra decina
di metri e l’uomo gira bruscamente, facendolo sussultare.
“Sei tra noi?”
Si sente chiedere da una voce leggermente sarcastica.
Non riesce a
trattenere una smorfia: “Lo sono sempre stato!” Esclama in un soffio.
“Come no!... Un
altro piccolo sforzo, su!” L’agente aumenta il passo e Nathan si sforza di
rimanere abbastanza lucido da riuscire a tenere il passo senza farsi trascinare
troppo.
La vista
improvvisa della spiaggia fa sentire meglio il giovane: “Siamo arrivati!”
Sussurra con un sorriso.
“Già, speriamo
di sì!” Si sente rispondere mentre l’altro lo spinge a camminare sulla sabbia.
Il rumore
dall’acqua sotto i piedi fa alzare la testa a Nathan: “Dove andiamo?” Chiede con
voce impastata.
“Qui!” È la
secca risposta dell’agente che si ferma e lo accompagna fino a farlo sedere in
trenta centimetri d’acqua, appoggiato scontro uno scoglio.
Il giovane
sospira sollevato e chiude gli occhi.
“Dietro gli
scogli dovremo star sicuri per uno o due minuti… spero che i ragazzi siano qui
per allora…”
Nathan apre un
occhio e guarda l’uomo: “Di chi stai parlando?”
L’altro
sorride: “Chiamo i rinforzi…” e dalla tasca dei pantaloni estrae una torcia. La
punta verso l’oceano e l’accende. Pochi secondi di luce prima di ripiombare nel
buio. Il ragazzo accenna un sorriso e torna a chiudere entrambi gli occhi
poggiando la testa allo scoglio. Si sente afferrare il braccio da due piccole
mani e con un po’ di fatica alza lo sguardo su Isabel.
“Adesso questo
signore ci porta a casa!” Sussurra annuendo con la testa.
La bambina
continua a fissarlo senza dire una parola.
“Che c’è?”
Chiede l’altro alzando una mano a carezzarle la testa.
Isabel rimane
in silenzio per alcuni istanti prima di domandare, con voce flebile: “Ti fa
tanto male?”
Nathan apre la
bocca, sorpreso per quella domanda, e istintivamente va a guardare il fianco
destro: la ferita non si vede, ma la maglia ha una vistosa macchia scura che si
allarga lentamente. Il giovane respira a fondo, cercando di dimenticare il
dolore, e si volta verso bambina: “Sì, un po’ mi fa male… ma ora mi passa…”
Cerca di sorridere con aria convincente.
“Ecco il
segnale, stanno ar…” la frase dell’agente viene bloccata da un nuovo colpo di
postola: “Ma questi non finiscono mai le munizioni?” Sibila a denti stretti
avvicinandosi di più a Nathan ed Isabel: “Ragazzo, tutto ok?” Chiede guardando
il fianco del giovane.
“Sì… credo di
sì…” Nathan fa una smorfia e si volta verso la bambina che al rumore si è
avvinghiata al suo braccio.
“Cos’è
successo?” Chiede una voce dall’oceano.
“La copertura è
saltata!” Esclama l’uomo: “Qui ho un ragazzo ferito e una bambina!”
Nathan cerca di
vedere qualcosa, ma sembra che a parlare sia stata l’acqua. La vista comincia ad
annebbiarsi. Apre la bocca, ma non ha la forza di dire nulla. Senza provare a
far nulla per resistere chiude gli occhi e si rilassa, mentre intorno a sé
comincia ad avvertire voci e rumori. La stretta di Isabel sul suo braccio si
allenta. Nathan vorrebbe aprire gli occhi, ma le palpebre sono troppo pesanti.
Si sente sollevare fuori dall’acqua; qualcuno bisbiglia al suo fianco prima che
perda i sensi, non avvertendo più nulla.
per Araluna: ciao!!!^^ Oddio… stavo morendo quando ho
letto “Gruppo cosplay violento di Chuck Norris” XDD davvero, questa mi mancava!
Comunque pian piano si scopre tutto e con l’ultimo capito verranno chiariti gli
ultimi “misteri”… si spera XD Sarò anche una “doc” ma certe brutte abitudini
rimangono XD Grazie ancora per il prezioso supporto!^^ Baci!
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Capitolo 14 *** Capolinea ***
Nuova pagina 1
CAPITOLO 14-
Capolinea
Il silenzio
quasi innaturale lo fa rabbrividire lievemente. Teme di dover sentire il rumore
di uno sparo da un momento all’altro, ma gli istanti passano e non succede
nulla.
Sono passati
diversi minuti da quando si è reso conto di essere di nuovo cosciente, ma non ha
ancora avuto il coraggio di aprire gli occhi.
Un lieve
scricchiolio alla sua sinistra fa rizzare le orecchie a Nathan, ma non succede
nulla. Fa una smorfia e socchiude lentamente gli occhi che è costretto subito a
chiudere a causa della luce che lo infastidisce.
“Nathan…?”
Una voce a poca
distanza da lui lo chiama.
Apre la bocca e
per qualche secondo non riesca a parlare.
Prova di nuovo
a socchiudere gli occhi e nota la persona seduta accanto a sé: “Mamma…” Sussurra
con un sorriso.
La donna si
abbassa verso di lui e gli accarezza il viso: “Nat, come ti senti?”
Ha il viso un
po’ più magro di quanto ricordasse e sembra avere gli occhi lucidi.
“Ma quanto
tempo è passato?” Pensa il ragazzo prima di rispondere: “Sto bene… credo…” Solo
in quel momento prova a muovesi, avvertendo una fitta al fianco destro. Fa una
smorfia: “Che mi hanno fatto?”
“I medici ti
hanno ricucito la ferita… dopo aver tolto il proiettile…”
Nathan alza lo
sguardo sulla madre che lo fissa con espressione radiosa nonostante non ci siano
niente di divertente nella parole che ha appena pronunciato, e non riesce a dire
nulla. Guarda altrove e rimane in silenzio mentre l’altra gli accarezza
lentamente i capelli. Socchiude gli occhi mentre si lascia sfuggire un sospiro.
“Va tutto bene,
Nat?”
Il giovane
sorride: “Sì, mamma, non ti preoccupare… sono solo felice di essere qui… già…”
Sussurra inspirando con una smorfia a causa del dolore al fianco: “Sono davvero
tornato, sono lontano da quell’isola maledetta…” Pensa godendo del fresco delle
lenzuola sulla pelle lasciata scoperta dall’indumento che gli è stato messo.
Il caldo, la
sete, la stanchezza… la paura… ora gli sembrano solo dei brutti ricordi, come se
tutto fosse stato solo un brutto incubo spazzato via dall’arrivo dell’alba.
Tutto lontano, quasi incredibile..
“Mamma?”
“Si?”
“Da quanto
tempo sono qui?”
“Sono passati
quasi due giorni da quando ti hanno portato qui!”
Nathan
socchiude gli occhi e annuisce.
La porta della
stanza si apre e si chiude.
Il giovane gira
lentamente la testa e un sorriso gli si dipinge in volto: “Ciao!” Sussurra.
“Nat… ti senti
bene?” Chiede il padre che si affretta a raggiungere il letto.
Ride
sommessamente mentre sussurra: “Pensavate di esservi liberai d me?”
I due adulti
rimangono in silenzio e Nathan alza lo guardo su di loro: “Stavo… solo
scherzando!” Bisbiglia con un sorriso tirato.
“Lo sappiamo,
Nathan, non ti preoccupare!” Esclama la donna mentre il padre si siede sul bordo
del letto.
La porta si
apre attirando l’attenzione dei tre.
Una donna di
mezza età in camice bianco entra nella stanza: “Buongiorno!” Esclama con voce
nasale e senza aspettare una risposta si avvicina al letto e mette una mano
sulla fronte di Nathan che le lancia un’occhiata confusa. Poi gli afferra il
polso e lo tiene fra due dita controllando l’orologio. Passano gli istanti e il
ragazzo comincia a guardare l’infermiera con aria un po’ preoccupata finché
questa non gli lascia il polso accennando un sorriso: “Sano come un pesce!”
Esclama gettando un’occhiata alla flebo e alla bottiglia capovolta vicino al
letto.
Nathan sospira
con sollievo e si rilassa, abbandonando ancora di più la testa sul cuscino.
Chiude gli
occhi e rimane ad ascoltare i genitori che parlano con l’infermiera senza dar
peso alle loro parole. Si sente bene, in forma, nonostante abbia un lato del
corpo ancora mezzo addormentato e dolorante. Sospira profondamente con qualche
smorfia a causa delle fitte che derivano dalla sua azione e rimane fermo nel
letto: “Pensavo che non sarei più riuscito a dormire su un materasso…” Sorride
lievemente: “Che esagerato, dopotutto non ho dormito a terra neanche una
settimana…” Nathan apre gli occhi di scatto e gira velocemente la testa di lato:
“Dannaz…” Urla attirando l’attenzione dei tre adulti “No, niente, mi sono
dimenticato che ho dolori su tutto il corpo!”
La madre gli si
avvicina: “Hai bisogno di qualcosa?”
Il giovane
annuisce lievemente: “Isabel…” Sussurra.
La donna lo
guarda con aria interrogativa.
“Vuoi il
cellulare? Devi chiamare qualcuno?” Si intromette il padre.
“No… quando…
insieme a me c’era una bambina… Isabel….” Nathan sposta lo sguardo sui genitori:
“Non so neanche se sta bene o no… anche se non credo che fosse ferita o roba del
genere…”
“Nathan…” La
donna lancia un’occhiata al marito.“Sei sicuro che ci sia…”
“Mamma, sono
arrivato con Isabel su quella maledetta isola e sono rimasto con lei fino alla
fine… no, non me lo sono immaginato!” Nathan si acciglia.
“E quanto anni
ha questa bambina?” Chiede l’infermiera attirando l’attenzione dei tre.
“Eh… ha… ha
quattro anni ed è bionda!”” Si affretta ad aggiungere il ragazzo.
“Nat, non è
sicuro che…”
“Non vorrei
sbagliarmi… quando sei arrivato qui ho visto un poliziotto… o cos’era lui, con
una bambina in braccio… non mi ricordo se fosse bionda ma ti assicuro che
piangeva come una forsennata!” La donna scuote la testa e sospira.
Nathan sorride
di rimando: “Sa se è ancora qui?”
L’altra scuote
la testa: “Non ti so dire, l’ho vista solo di sfuggita, ma non doveva aver nulla
se è rimasta nell’atrio.
“Ah…” Il
giovane si incupisce “Grazie…”
Nessuno parla
per qualche secondo. Il silenzio viene rotto dalla voce dell’infermiera: “Se non
avete altre domande, vado via…”
La donna lancia
un’occhiata ai presenti e si avvicina al letto: “Tornerò tra un paio d’ore per
un controllo!”
Nathan a stento
la guarda mentre accenna di sì con la testa e l’altra si allontana uscendo dalla
stanza.
“Uff…” Il
giovane chiude gli occhi. La porta si apre nuovamente, ma stavolta non le presta
attenzione.
“Salve!”
Esclama una voce profonda.
Il ragazzo
solleva leggermente le palpebre.
“Potrei parlare
con vostro figlio… in privato?”
Nathan spalanca
gli occhi e fissa la persona che sta parlando. “Sei…” comincia incrociando lo
sguardo con quello dell’agente poco distante.
Quest’ultimo
sorride: “Ti vedo in forma rispetto all’ultima volta…”
“Ma lei chi…?”
“Mamma, papà,
posso parlare con lui da solo?” Chiede Nathan cercando di alzare la testa dal
cuscino e riuscendo solo a fare una smorfia di dolore.
“Nat, sei
sicuro? Possiamo anche…”
“No, papà! Non
ti preoccupare, lo conosco!” Il giovane annuisce e i genitori lo guardano con
aria perplessa.
“Noi rimaniamo
qui fuori!” Si affretta a precisare il padre prima di uscire, preceduto dalla
consorte.
“Vi ringrazio!”
Esclama l’agente prima che chiudano la porta.
“Perché sei
qui?” Chiede subito Nathan con aria sorpresa.
L’altro lo
guarda e prende posto: “Come stai ragazzo?”
“Bene, credo…
ma, perché…?”
“Dritto al
punto, eh? Volevo vedere se te l’eri cavata!”
La risposta fa
zittire il giovane che sposta lo sguardo e si sente vagamente stupido.
“Non pensavo ti
avessero fatto un bel buco!” Esclama l’uomo accennando alla ferita del giovane:
“Sei stato fortunato… non sai quanto dovrai restare qui?”
L’altro scuote
la testa.
“Beh, il tempo
di riprenderti, immagino…”
Nathan annuisce
solo con la testa guardando il soffitto della stanza.
L’agente gli
lancia un’occhiata indagatoria: “Ehi, ragazzo, tutto bene?”
Il giovane si
volta a guardarlo con aria interrogativa.
“Perché?”
“Niente… lascia
stare!” Sospira l’uomo prima di aggiungere, di fronte allo sguardo assente di
Nathan “Pensavo che volessi sapere perché ti sei beccato quella pallottola…”
“Cosa?” Il
giovane fa per sollevare la testa, ma l’altro alza una mano sghignazzando:
“Fermo… ancora non sei in grado di alzarti!”
“Ma… prima mi
hai detto… e poi…” Nathan respira profondamente per poi sorridere: “Ok, ok…
cos’è successo, allora?”
L’altro
incrocia le braccia al petto e chiude per qualche secondo gli occhi per aprirli
di scatto: “Droga!” Dice in un sussurro.
“Che cosa?”
Urla il giovane zittendosi di colpo. “Da… davvero?” Bisbiglia subito dopo con
gli occhi puntati sull’uomo che si limita ad annuire.
“Sì, c’era un
carico di droga sulla nave… fra poco sarà di dominio pubblico! Hai visto quelle
cosse, sull’isola?”
Nathan
annuisce: “Sì, certo… anche la sera dell’esplosione le ho viste più di una
volta!”
“È con quelle
che trasportavano il loro carico… stavo seguendo il caso da un paio di mesi…
volevamo incastrare i pezzi grossi dell’organizzazione…” L’uomo fissa il vuoto
prima di voltarsi a guardare Nathan.
“E poi qualcuno
ha mandato a monte la copertura!” Un sorriso tirato gli compare in viso ma lo
sguardo di fa improvvisamente freddo.
Il giovane
distoglie lo sguardo: “Mi dispiace…” Sussurra pieno di rammarico.
“Io non so come
si può lasciare una bambina di quell’età da sola!”
Nathan rimane
in silenzio mentre pensa tra sé: “Ero andato a cercare qualcosa da mangiare…”
Deglutisce forzatamente all’ennesimo sospiro dell’uomo, ma poi gli viene in
mante qualcosa. Alza lo sguardo e domanda: “Come sta Isabel?”
L’altro fa
spallucce: “Pensavo fosse tua sorella!”
Nathan sorride
di rimando mentre l’agente si massaggia il collo guardando il soffitto con aria
perplessa. “Ho continuato a dire a quella donna che anche suo figlio se la
sarebbe cavata finché non sono arrivati i tuoi genitori!” Scuote la testa mentre
il ragazzo scoppia in una risata.
“Sanno che ti
sei preso cura della bambina…”
Nathan
socchiude gli occhi, non capendo: “Chi?”
“Come chi? I
suoi genitori!”
“Ah…” Il
giovane sorride leggermente: “Già…” Sussurra a mezza voce: “Anche se in pochi
giorni ho avuto più di un istinto omicida!” Pensa chiudendo gli occhi.
“Beh, ti lascio
riposare prima che i tuoi genitori vengano a cacciarmi fuori!”
L’altro
spalanca gli occhi: “Oh… sì… no, non è un problema, se…” Guarda l’agente che
però si è già alzato.
“Stammi bene… e
non ficcarti più nei guai!” Alza una mano in segno di saluto e fa un mezzo
ghigno.
“Eh… oh, sì,
certo… grazie!” Riesce a dire Nathan prima che l’uomo esca dalla stanza
socchiudendo la porta,
Lo sente
salutare i suoi genitori e sospira, guardando il soffitto. Passano i minuti e la
vista diventa sempre meno chiara. Cerca di restare lucido, ma si rende conto che
è una partita persa. Chiude gli occhi rilassando i muscoli e si lascia invade
dal torpore e dal sonno.
“Sì, ha detto
proprio così!” Sussurra una voce maschile.
Una risata
soffocata e la voce di sua madre ribatte: “Dev’essere un amore!”
Nathan si muove
leggermente nel letto, con gli occhi ancora chiusi.
“È a casa ora?”
Chiede ancora la voce della madre.
“No, è con mia
moglie, nell’ingresso dell’ospedale!”
Il giovane
cerca di aprire gli occhi e questa volta nessuna luce li colpisce. Sbatte un po’
le palpebre mentre sente ancora sussurrare e si guarda intorno: la stanza è
nella semioscurità e dalla finestra la luce entra fioca.
“Mamma!” chiama
con voce impastata ma abbastanza forte da farsi sentire.
“Nat? Sei
sveglio?”
Si sente chiede
in un bisbiglio e percepisce una figura che gli si avvicina carezzandogli la
fronte.
Annuisce e alza
lentamente un braccio strofinandosi gli occhi.
Gira di poco la
testa e vede vicino a sé la madre che gli sorride e poco distante il padre e un
uomo sconosciuto che gli si avvicina di qualche passo.
“Ciao Nathan,
come stai?” Gli chiede con voce gentile.
“Bene… ma…” Il
ragazzo socchiude gli occhi cercando freneticamente nella sua memoria per
riuscire ad associare quel volto stranamente familiare ad un nome.
“Sono il padre
di Isabel!” Gli viene in aiuto l’altro allungando una mano verso di lui.
Nathan apre la
bocca mentre gli stringe la mano: “Come mai è qui? È successo qualcosa? Isa sta
bene, vero?” Chiede d’un fiato sollevando la testa dal cuscino.
L’altro si
lascia sfuggire un sorriso: “Sta benone! Volevo ringraziarti per esserti preso
cura di quella peste!”
Nathan arrossisce senza volerlo e borbotta un: “Si figuri!” Distogliendo lo
sguardo.
Di colpo la
camera viene illuminata dalla luce elettrica.
“Così va
meglio!” Esclama il padre avvicinandosi poi al letto.
“Nathan, vuoi
salutare Isabel?” Chiede la donna sedendosi sul letto.
“Ma non so se
sia il caso, è ancora convalescente…”
“No!” Esclama
il ragazzo: “Cioè, volevo dire sì! Può venire!”
“Ma…” Cerca
ancora di ribattere il padre della bambina, ma Nathan continua: “Io sto bene…
vorrei salutarla!” Aggiunge con un sorriso.
L’uomo si volta
a guardare i genitori del ragazzo: “Allora vado a chiamare mia moglie…” Fa
qualche passo indietro prima di voltarsi e lasciare la stanza.
I tre rimangono
in silenzio e Nathan socchiude leggermente gli occhi prima che dal corridoio si
cominci a sentire una voce squillante. Il ragazzo ridacchia e scuote la testa
prima che la porta si apra attirando l’attenzione dei presenti.
L’uomo entra
nella stanza e fa un cenno con la mano a qualcuno che non è ancora visibile:
“Dai, vieni… cos’è ora non hai più la lingua?”
“Avanti, Isa,
entra…” Dice una voce femminile.
Sulla soglia si
vede una bambina bionda con i capelli legati in due codini.
Nathan sorride
nel vedere Isabel che, ferma vicino alla porta, gli lancia occhiate furtive,
dondolandosi sul posto.
“Ciao Isabel…
ti ricordi di me?” Domanda il giovane guardandola con aria divertita.
La bambina si
acciglia, ma annuisce con la testa mentre la madre le si accoccola vicino: “Isa,
perché non vai a salutare quel bel giovanotto? Chiedigli come si chiama!”
Isabel arriccia
le labbra e borbotta: “Si chiama Nathan!”
“Allora lo
conosci! Vai a salutarlo…” La donna la spinge dolcemente in avanti e la piccola
si avvicina lentamente al letto continuando a fissare il giovane con aria
contrariata.
“Ciao!” Esclama
nuovamente Nathan quando gli è di fronte.
“Sei malato?”
Chiede l’altra posando una mano sul lenzuolo bianco.
“Un po’, ma
guarisco presto!”
“E ti fa tanto
male?”
Il ragazzo
esita qualche istante prima di rispondere: “No, non mi fa tanto male…” Sussurra
abbassando per un attimo lo sguardo.
“Quando
guarisci vieni a giocare con me e Desirée ?”
La domanda fa
sorridere Nathan: “Tu non dimentichi nulla, eh?”
Isabel lo fissa
e scuote la testa poi, facendo un respiro: “Hai detto che vieni a giocare che tu
eri il papà e io la figlia piccola e Desirèe quella grande!” Sputa fuori tutto
d’un fiato.
Il giovane
sgrana gli occhi cominciando a ridacchiare.
Isabel lo fissa
e sorride anche lei mentre il ragazzo continua a ridere e alza una mano a
scompigliarle leggermente i capelli. “Verrò sicuramente a giocare con te! Basta
che mi avvisi la prossima volta che vai in crociera!”
Fine
Note: ehhh sì, siamo arrivati alla fine di questa
avventura^^ (“Era ora!” direbbe Nathan XD) spero che la storia sia stata di
vostro gradimento e nel salutarvi ringrazio di cuore chi ha letto e chi mi ha
supportata (e sopportata XD) durante la stesura!!!
Alla prossima!!!
Prue
per Araluna: ed eccoci qui!!! Ehhh già, purtroppo il
nostro Texas ranger non ha voluto fare da comparsa XD (“O protagonista o
niente!” mi ha detto XD) Comunque, alla fine, i nostri piccoli “eroi” sono
riusciti a tornare a casa… con un aiutino^^ ma l’importante è il risultato! (non
credo che Nathan si azzarderà più a fare un crociera^^;;;) Con questo è davvero
tutto! Ti ringrazio nuovamente per il supporto^^ Baci baci!
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