Il mio vicino di casa

di Sana_Akito
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I Cap. ***
Capitolo 3: *** II Cap. ***
Capitolo 4: *** III Cap. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Pov. Sana:

 Quella mattina ero particolarmente di pessimo umore.
Le vacanze estive erano giunte al termine e il solo pensiero di dover rimettere piede a scuola e tornare alla vecchia routine, fatta di interrogazioni, compiti in classe, seccature, notti insonni trascorse a studiare, note sul registro e il due fisso in matematica, mi seccava un bel po’.
Salutai mia madre, accompagnando il tutto con un sonoro sbuffo ed aprii la porta d’ingresso, imbattendomi nel tizio che da circa un mese a quella parte si era trasferito nell’appartamento di fronte al mio.
Lo affiancai accanto all’ascensore, mormorandogli un flebile «Ciao» e lui si limitò a ricambiare con un cenno del capo, come suo solito.
Nelle poche volte in cui mi era capitato di incontrarlo, non avevo mai avuto l’onore di ascoltare la sua voce… restava sempre il silenzio e trovavo la cosa alquanto inquietante.
Non sapevo nulla sul suo conto, se non il nome, ma solo perché l’avevo sentito pronunciare dalla sorella e a dire il vero non è che avessi tutta quella gran voglia di conoscerlo.
Certo, era un bel tipo, non lo si poteva negare e probabilmente ogni ragazza provvista di ormoni avrebbe fatto i salti mortali pur di ottenere un qualsiasi tipo di rapporto con lui, ma non io.
Non che non mi attrasse esteticamente eh, sia chiaro, anch’io ero provvista di ovaie, tuttavia aveva quell’espressione costantemente seccata ed annoiata che, di rimando, seccava ed annoiava anche a me.
In genere non mi piaceva giudicare le persone ancor prima di conoscerle, ma lui mi era antipatico a pelle ed ero certa che non saremmo mai, nemmeno in un universo alternativo, riusciti a diventare amici.
Di fatti lo salutavo solo per educazione, come ero stata abituata a fare, ma evidentemente la cosa non era stata insegnata anche a lui dai suoi genitori, visto che, se non lo salutavo io, faceva finta di non vedermi.
L’ascensore arrivò, le porte metalliche si aprirono ed entrambi entrammo al suo interno.
Lo guardai con la coda dell’occhio, notando solo in quel momento la divisa scolastica che aveva indosso, la stessa che indossavano i ragazzi del mio liceo e ciò significava sola una cosa: anche lui quell’anno avrebbe frequentato l’istituto superiore Jimbo.
“Perfetto” pensai ironicamente, sperando che almeno non saremmo capitati nella stessa classe; non avrei sopportato la sua presenza tutti i giorni.
Giunti al piano terra, non si prese nemmeno la briga di farmi uscire per prima o di mantenermi il portone e ciò contribuì ad aumentare la mia antipatia nei suoi confronti «Che cavaliere» borbottai, ma lui non mi sentì, o forse fece solo finta di non farlo.
Arricciai il naso, indispettita ed aumentai il passo, superandolo, urtandolo accidentalmente con la cartella.
Dannato Akito Hayama… conoscevo solo il suo nome e già mi stava inesorabilmente sulle scatole.




 
«Te l’ho già detto che hai una faccia da funerale?»

Distolsi lo sguardo dalla finestra della classe assegnatami e lanciai un’occhiata torva a Fuka «Almeno cinque volte nel giro di pochi minuti»

«Il primo giorno di scuola è duro per tutti, lo capisco, ma non ti sembra di esagerare? Non stai facendo altro che sospirare e sbuffare da quando siamo qui, per non parlare dell’espressione afflitta che hai stampata in volto, manco fossi stata condannata a chissà quale tortura»

«Vuoi dire che porre fine alle vacanze estive e tornare tra i banchi di scuola, non è una tortura?»

«Beh si, in un certo senso lo è, ma non c’è bisogno di farla tanto tragica»

Sbuffai, gonfiando le guance.
Sapevo che aveva ragione, ma non lo facevo mica di proposito ad essere tanto depressa.
«Cos’altro dovrei fare? Saltare e ballare sui banchi?»

«Perché no, sarebbe un’idea!»

Alzai gli occhi al cielo, ma decisi di non risponderle.

 «Ma parlando d’altro, mi spieghi come mai ti sei seduta proprio qui? In genere cerchi sempre di accalappiarti gli ultimi posti»

«E’ una posizione strategica» sghignazzai, facendole incurvare un sopracciglio «Il terzo banco non è né troppo vicino, né troppo lontano dalla cattedra»

«E allora?» mi chiese, non capendo dove volessi andare a parare.

«In questo modo i professori non penseranno che voglia tenermi distante da loro per fare i cavoli miei, come gli anni precedenti, e mi lasceranno in santa pace»
La mia amica continuò a fissarmi con scetticismo, ma non me ne curai.
Non tutti erano in grado di cogliere la mia furbizia.
Poco dopo, la nostra conversazione venne interrotta da una serie di gridolini isterici e starnazzi da parte di alcune nostre nuove compagne di classe.
«Ma che gli prende?» domandai sconcertata.

«Non ne sono sicura, ma credo che abbiano addocchiato qualcuno di interessante fuori dall’aula»

Incuriosita da quel “qualcuno” che, a causa del mio posto, sfuggiva dal mio campo visivo, fui tentata di alzarmi per dare un’occhiata, ma non ce ne fu bisogno visto che, pochi attimi dopo, fecero il loro ingresso trionfale il professore di matematica e il mio simpaticissimo vicino di casa.
E a quanto pare era proprio quest’ultimo a suscitare tutto quel clamore.

«Accidenti, che pezzo di manzo!» commentò elegantemente Matsui, mentre io mi limitai a fare una specie di grugnito.

Avevo sempre saputo di essere afflitta da una grave forma di sfigataggine, non era di certo una novità, ma in cuor mio mi ero illusa che almeno l’ultimo anno di liceo sarebbe stato diverso, migliore e fui costretta ricredermi, considerato l’inizio di quella giornata: non solo c’era matematica alla prima ora, la materia in cui ero più negata, ma avrei anche dovuto subire la vista di quello lì, tutti i giorni per nove mesi!

«Accomodatevi ai vostri posti, la lezione è appena iniziata» ci ordinò il professore e tutti seguimmo il suo ordine, senza fare troppe storie «Ma prima, lasciate che vi presenti il nuovo arrivato» indicò il biondino al suo fianco «Lui è Akito Hayama, si è da poco trasferito qui da Osaka. Mi auguro che l’accoglierete nel migliore nei modi»
L’intera classe, fatta eccezione per la sottoscritta, gli porse un saluto amichevole e lui si limitò a fare l’ennesimo cenno con il capo, senza spiccicare parola, tanto per cambiare.
«Hayama, c’è un banco libero dietro Kurata, la ragazza dai capelli rossi, puoi accomodarti lì»

Sbuffai.
Alla sfiga non c’era mai fine.
 


 
Terminate le lezioni, pensai che in fondo quella giornata non era stata poi così male, vista la mancanza di interrogazioni e correzione dei compiti estivi… ma dovetti ricredermi quando varcato il portone del mio condominio, mi imbattei per l’ennesima volta in Hayama.
Da quando si era trasferito lì, non mi era mai capitato di incontrarlo così tante volte in un solo giorno e la cosa mi seccava parecchio.
Per un attimo fui tentata di prendere le scale, ma ero troppo stanca per salire cinque piani a piedi, quindi mi feci coraggio ed entrai con lui nell’ascensore.
E poi, parliamoci chiaro, non volevo dargli tutta quell’importanza.
Schiacciai il pulsante del quinto piano e mi sistemai nervosamente la tracolla sulla spalla, voltandomi verso di lui, impegnato a digitare i tasti sul suo cellulare.
Era davvero un tipo strano… in classe era stato per tutto il tempo in disparte, ignorando coloro che cercavano un approccio con lui, persino le oche giulive con evidenti crisi ormonali che gli gironzolavano intorno, ammaliate dalla sua bellezza.
E poi… com’era possibile che in tutte quelle ore, non avesse aperto bocca nemmeno una volta? Che fosse afflitto da mutismo?

«Ma tu non parli mai?»

Quella domanda mi uscii spontanea e Hayama alzò lo sguardo su di me, sollevando un sopracciglio.
E per la prima volta in un mese, i miei occhi incrociarono i suoi ambrati, così magnetici e profondi che rimasi lì impalata a fissarli finchè le porte scorrevoli dell’ascensore non si aprirono.
Era assurdo e n'ero consapevole, ma non era mai capitato che ci ritrovassimo faccia a faccia, in quanto, il signorino lì presente, non si era mai degnato di voltarsi a guardarmi quando, da perfetta ragazza educata e a modo qual'ero, lo degnavo del mio saluto... e forse fu proprio quella novitá a farmi arrossire di botto, come una perfetta stupida.
Mi schiarii la voce, imbarazzata e feci per uscire da quel buco, ma mi bloccai sul posto quando la sua voce, calda e roca, arrivò alle mie orecchie «Solo quando voglio e soprattutto solo con persone che ritengo interessanti» l’angolo della sua bocca scattò all’insù, in quello che si supponeva fosse un ghigno sadico «Tu non fai parte di quelle»

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Capitolo 2
*** I Cap. ***


Pov. Akito:

 «Vorresti farmi credere di non essere emozionato nemmeno un po’? In fondo è il tuo primo giorno in quella scuola, conoscerai nuove persone, stringerai nuove amicizie e poi…»

Smisi di ascoltare le parole di mia sorella Natsumi, che mi stava deliziando la mattinata con le sue estenuanti chiacchiere e continuai a dedicarmi alla mia porzione di riso in bianco.
Emozionato? E per cosa sarei dovuto essere emozionato?
Frequentare un nuovo istituito, dove non conoscevo anima viva, non era per niente emozionante, anzi… trovavo la cosa piuttosto scocciante.
Appoggiai la ciotola vuota sul tavolo e mi alzai, afferrando la mia cartella dalla sedia «Io vado» mi limitai a dire e senza attendere una qualche tipo di risposta, varcai l’uscita della mia abitazione.
Era trascorso poco più di un mese da quando mi ero trasferito a Tokyo e ancora non mi ero del tutto abituato  a quella città, ma pensai che fosse una cosa normale dopo aver vissuto per tutta la vita ad Osaka.
Chiamai l’ascensore e poco dopo, sentii il rumore di una porta aprirsi e richiudersi e dei passi avvicinarsi nella mia direzione, seguiti da una voce femminile che mi mormorò un flebile «Ciao»
Non ebbi nemmeno bisogno di voltarmi per capire di chi si trattasse e mi limitai a fare il mio solito cenno con il capo, senza nemmeno degnarmi di guardarla.
Non sapevo spiegarmi il perché, ma la ragazza che risiedeva nell’appartamento di fronte al mio, continuava ad ostinarsi nel volermi salutare, nonostante i miei modi freddi e distaccati.
Probabilmente per lei quella era educazione, per invece si trattava di fastidiosa insistenza.
Sapevo di essere particolarmente asociale e burbero, ma ero fatto così… a chi andava bene, bene… a chi non andava bene… beh, tanti saluti.
Le porte metalliche dell'ascensore si aprirono ed entrambi salimmo al suo interno.
Sentivo lo sguardo di quella tipa di nome Sana Kurata su di me, ma non me ne curai più di tanto… d’altronde ero abituato ad attirare gli sguardi del gentil sesso.
Anche se, tutto sommato, sentivo che quello sguardo era in qualche modo diverso da quello che in genere ero abituato a ricevere, come se fosse infastidita dalla mia presenza.
Beh, non era certo l’unica ad essere infastidita della presenza dell’altro.
Non la conoscevo e non m’interessava conoscerla, ma nonostante ciò m’irritava a pelle.
Sarà stato che le pareti della mia nuova casa erano piuttosto sottili ed ero costretto a subire tutti i santi giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, la sua dannata voce stridula e per un tipo amante del silenzio come me era una cosa insopportabile… 
Giunti al piano terra, sgattaiolai velocemente fuori da quel buco ed uscii dal condominio.

«Che cavaliere»
Sentii borbottare Kurata alle mie spalle, ma feci finta di non ascoltarla.

Probabilmente se l’era presa perché non le avevo mantenuto il portone. “Tsk! Ridicola” pensai, alzando gli occhi al cielo.
Era provvista anche lei di mani, no? Quindi perché avrei dovuto farlo? Dove stava scritto?
Sentii qualcosa urtarmi il fianco e pochi secondi dopo, quella lì superarmi a passo spedito.
Mi fermai e strabuzzai gli occhi, confuso e a tratti sorpreso.
Quella stupida ragazzina irritante mi aveva davvero colpito con la cartella?
Non che mi avesse causato dolore, sia chiaro, non ero di certo un pappamolle del genere... tuttavia quel gesto alimentò la mia antipatia nei suoi riguardi.
La osservai camminare da lontano, notando solo il quel momento i colori della divisa scolastica uguali ai miei e ciò lasciava presupporre che fosse una studentessa del liceo Jimbo, l’istituto superiore che da quel giorno avrei dovuto frequentare.
Sperai che almeno non saremmo capitai della stessa classe e tornai ad incamminarmi.




 
“La solita sfiga”

Quello fu il primo pensiero che la mia mente elaborò quando, entrato in aula insieme al professore di matematica, il mio sguardo si posò sulla mia vicina di casa, accomodata accanto al terzo banco posizionato vicino alla finestra.
La sola idea di dover sopportare il suo fastidioso chiacchiericcio anche lì, tutti i giorni, per nove mesi, mi fece scappare un lungo sospiro di frustrazione.
Ma cosa avevo fatto di male per meritarmi un supplizio del genere?

«Accomodatevi ai vostri posti, la lezione è appena iniziata»  ordinò il professore e tutti eseguirono il suo ordine, senza fare troppe storie «Ma prima, lasciate che vi presenti il nuovo arrivato» m'indicò con un cenno della mano «Lui è Akito Hayama, si è da poco trasferito qui da Osaka. Mi auguro che l’accoglierete nel migliore nei modi»

L’intera classe, fatta eccezione per la tipa dai capelli ramati che, tra l’altro, mi stava guardando male da quando avevo messo piede lì dentro, mi porse un saluto amichevole ed io risposi con un'alzata di testa, giusto per far comprendere sin dall’inizio che ero un tipo di poche parole e che preferivo restarmene per i fatti miei, mantenendo rapporti distaccati.

«Hayama, c’è un banco libero dietro Kurata, la ragazza dai capelli rossi, puoi accomodarti lì»
Pensai che alla sfiga non c’era mai fine e stando all’espressione che aveva stampata in volto Kurata, ero certo che stesse pensando la stessa cosa.



 
Terminate le lezioni, seppur non ci fossero state interrogazioni o verifiche a sorpresa, mi sentivo esausto, sia fisicamente che psicologicamente; i componenti della classe a cui ero stato assegnato era molto socievoli… fin troppo socievoli per i miei gusti e per tutta la durata della mia permanenza lì, non avevano fatto altro che tentare e ritentare un approccio con il sottoscritto, asfissiandomi con le loro chiacchiere e a nulla era servito il mio costante mutismo.
Sbuffai, schiacciando il pulsante dell’ascensore e poco dopo venni affiancato dalla tipa irritante.
Con la coda dell’occhio notai che osservava le rampe di scale; forse voleva prendere quelle per raggiungere il quinto piano e se così fosse stato mi avrebbe fatto un grosso favore… ma era solo una frivola illusione visto che, arrivata l’ascensore, mi deliziò con la sua presenza.
Sfilai il mio cellulare dalla tasca dei pantaloni e mandai un messaggio a mio padre, chiedendogli se terminato il lavoro avrebbe potuto prestarmi la sua auto e nel mentre, cercavo di ignorare gli occhi di Kurata incollati su di me, o almeno finchè non la sentii dire «Ma tu non parli mai?»

Alzai lo sguardo su di lei e le sue guance si tinsero di rosso.
Era la prima volta che ci trovavamo faccia a faccia e in quel momento non potei fare a meno di pensare che, in fin dei conti, era carina.
Irritante, fastidiosa, petulante, ma carina.
Ma non era di certo una novità, già avevo avuto modo di constatarlo precedentemente… d’altronde non serviva mica guardarsi negli occhi per giungere a tali conclusioni.
Kurata si schiarì la voce, voltandosi dall’altra parte, nell’esatto momento in cui le porte metalliche si aprirono e solo allora mi decisi finalmente a risponderle e a rivolgerle per la prima volta la parola «Solo quando voglio e soprattutto solo con persone che ritengo interessanti» piegai le labbra in un ghigno sadico, guardandola con sufficienza «Tu non fai parte di quelle»

E senza aggiungere altro uscii da lì, mentre lei, superato il primo attimo di stupore, assunse un’espressione così imbestialita da risultare, almeno ai miei occhi, una delle cose più buffe che avessi mai visto in vita mia.

Si avvicinò a grandi falcate nella mia direzione, con gli occhi assottigliati e le sopracciglia aggrottate «Scusa, puoi ripetere?» sbottò, cercando di apparire minacciosa, ma con scarsi risultati.

Non lo feci, ma solo perché non mi piaceva ripetere le cose due volte e scavai all’interno della cartella, alla ricerca del mazzo di chiavi seppellito in mezzo a libri e quaderni vari.

«Sei sordo per caso? Ti ho chiesto di ripetere»

«Se mi hai posto una simile richiesta vuol dire che la sorda sei tu, non io»

Potei avvertire chiaramente la sua rabbia aumentare, ma me ne fregai altamente ed infilai la chiave nella toppa, girandola.

«Sei soltanto un arrogante, stupido, irritante e… e… sai che ti dico? Nemmeno tu rientri tra le persone che mi interessano, sottospecie di.. di scimmione biondo»

Girai il capo verso di lei e il mio sopracciglio sinistro scattò all'insù..
Mi aveva per davvero chiamato “Scimmione biondo”?
Ma che razza di soprannome era?

«E poi…» mi puntò l’indice contro, furiosa al mille per mille «Sappi che la tua voce non è nemmeno un granchè»

Mi passai una mano tra i capelli, pensieroso.
Perché aveva tirato in ballo la mia voce?
Non aveva tutte le rotelle al loro posto, ormai n’ero certo.
Mi dedicò un ultimo sguardo rancoroso e mi diede le spalle, aprì la porta della sua abitazione e prima che potesse metterci piede all'interno, la sua gatta sgusciò fuori e corse verso di me, strusciandosi sulle mie gambe.
Quella micia provava una sorta di venerazione nei miei confronti, di fatti capitava spesso che, avendo i balconi non distanziati tra loro ma solo divisi da una ringhiera, ci facesse visita praticamente ogni giorno e… beh… col tempo diciamo che si era affezionata al sottoscritto, probabilmente perché era una femmina e ogni essere di esso femminile non riusciva a resistere dinnanzi al mio fascino.

«Ma cosa stai facendo? Perché fai le fusa a quell’essere odioso?» sbraitò Kurata, puntandosi le mani sui fianchi «Rientra subito in casa, prima che mi arrabbi sul serio»

Mi chinai, accarezzando il capo della gatta, giusto per dare un po’ di fastidio a quella lì e poi i gatti non mi dispiacevano affatto… forse perché in un certo senso mi “rispecchiavo” in loro, essendo animali con i quali, per ottenere il loro rispetto, occorreva pazienza e tempo, come nel mio caso.

«E tu, metti giù le mani da Pallina»

«Pallina?» ripetei sconcertato «L’hai chiamata per davvero in quel modo?»

«Problemi?» mi chiese, sollevando un sopracciglio.

Scrollai le spalle e lei continuò «L’ho chiamata così perché il giorno in cui la trovai sembrava una piccola palla di pelo» m’informò, manco me ne importasse qualcosa, poi si avvicinò e “Pallina” le soffiò contro, alzando il pelo, portandola ad indietreggiare di un passo «Ma si può sapere cosa ti prende oggi?»
Sghignazzai, divertito da quella buffa scena e Kurata mi guardò, se possibile, ancora peggio «A quanto pare deve essere la tua vicinanza a farla diventare così»
 
Non mi presi nemmeno la briga di risponderle, mi alzai, aprendo la porta d’ingresso e quell'ammasso di peli bianco non ci pensò due volte prima di intrufolarsi nel mio appartamento.
Voltai il capo verso la mia vicina, ghignando «Sarà, ma comunque sembra proprio che è con me che vuole stare»
Detto questo, varcai l’uscio di casa e senza nemmeno attendere cosa avesse da obiettare, richiusi la porta dietro le mie spalle, ma ciò non m’impedì di ascoltare il suo fastidioso borbottare, tra cui un...«Ti preferivo di gran lunga quando non parlavi, stupido scimmione biondo!»

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Capitolo 3
*** II Cap. ***


Pov. Sana:

 Quella mattina, come capitava da circa una settimana a quella parte, prima di varcare l’uscio di casa guardai attraverso lo spioncino della porta d’ingresso e solo quando mi fui assicurata dell’assenza di quella sottospecie scimmione biondo, sul pianerottolo del condominio che, ahimè, condividevamo, mi decisi ad uscire.
Schiacciai il pulsante dell’ascensore ed iniziai a picchiettare con il piede sul pavimento, in attesa.
Nei giorni che seguirono  il battibecco avvenuto tra me e Hayama, nessuno dei due aveva più rivolto la parola all’altro; anche se eravamo costretti ad incontrarci tutti i santi giorni in classe, ci ignoravamo più di quanto non facessimo già in precedenza… ma nonostante ciò la sua sola presenza m’irritava a morte, per cui cercavo in tutti i modi di evitarlo almeno quando uscivo dal mio appartamento, pur di non essere costretta a restare rinchiusa in quel buco ristretto con lui, anche se si trattava di una “tortura” di breve durata.
Certo, avrei potuto prendere le scale e non farla tanto lunga… ma a chi andava di fare dieci rampe di scale, seppur in discesa, di prima mattina? A me no di certo.
Entrai all’interno di quell’aggeggio metallico ed appena le mie orecchie udirono il rumore di una porta aprirsi e richiudersi e dei passi avvicinarsi nel punto in cui mi trovavo, mi affrettai a schiacciare ripetutamente il pulsante del piano terra, come se in quel modo le porte si chiudessero più in fretta… ma fu tutto inutile visto che, lo scimmione biondo, riuscì ad infilarsi velocemente e a deliziarmi con la sua piacevole compagnia.

«Non potevi prendere le scale?» sputai velenosa e Hayama si azzardò ad alzare gli occhi al cielo, senza degnarmi nemmeno di una risposta, come suo solito.
Sbuffai sonoramente.
Non lo sopportavo, ormai era appurato.
Eppure suo padre e sua sorella erano delle persone deliziose e ben educate, quindi da chi poteva aver ereditato quel comportamento tanto odioso?
Forse dalla madre che però, per qualche motivo a me sconosciuto, non abitava con loro.
Lo guardai con la coda dell’occhio e un nuovo dubbio s’insinuò nella mia testa.
Che fosse stata proprio l’assenza di quest’ultima a farlo diventare così?
Al solo pensiero che la mia ipotesi potesse corrispondere alla realtà, un enorme senso di angoscia m’invase.
Forse il suo mostrarsi continuamente come un ragazzo freddo e distaccato era solo un modo per tenere le altre persone alla larga, affinché non si accorgessero di quanto quella situazione lo facesse soffrire e…

«Piantala di guardami, Kurata. Mi dai sui nervi»

Come non detto… era dannatamente odioso di natura.
«Stai delirando, io non ti sto affatto guardando»

Hayama spostò lo sguardo dal display del suo cellulare e puntò gli occhi su di me, sollevando un sopracciglio ed io lo alzai a mia volta, a mò di sfida.
Ma i Kami non potevano donargli meno bellezza e più simpatia?
Giunti al piano terra, distolsi lo sguardo dai suoi occhi ambrati, maledettamente magnetici e sgattaiolai velocemente fuori da quel buco, ma la mia fuga durò ben poco visto che, dopo appena due minuti di tragitto, sentii una voce femminile chiamarmi a gran voce.

«Sana-chan!»

Mi voltai, trovando a pochi metri di distanza la mia amica Aya Seguita e il suo ragazzo, Tsuyoshi Sasaki, avanzare verso di me, proprio al fianco di Akito.
Abbozzai un sorriso, ovviamente rivolto solo ai due fidanzatini «Anche voi in ritardo?»

Tsu annuì «E non per colpa mia» asserì, mandando un occhiata veloce alla sua ragazza che, in risposta, alzò gli occhi al cielo.

«Mia sorella ha occupato il bagno per tutta la mattinata, impedendomi di entrare per prepararmi, quindi non è stata colpa mia»

«Avresti potuto usare l’altro bagno»

«Lì non c’erano i miei trucchi» sbottò seccata, superandolo per affiancarmi «Quando fa così non lo sopporto» mi sussurrò ed io ridacchiai sotto i baffi.
Tornammo ad incamminarci in direzione del Jimbo, e per tutta la durata del tragitto Sasaki martellò di chiacchiere il povero Hayama, deliziandolo con informazioni riguardanti i passatempi dei ragazzi del luogo, come recarsi alle sale giochi, ai campi di calcetto, nei locali più in vista del momento, e così via.
Inutile dire che il biondino sembrava prossimo ad un crisi di nervi ed  io, sadica com’ero, trovavo la cosa piuttosto esilarante.
“Ben ti sta, asociale dei miei stivali” pensai, sghignazzandomela.
Eppure, non sapevo spiegarmi esattamente il perché ma, nonostante gli atteggiamenti tutt’altro che gentili di Hayama, Tsuyoshi sembrava provare una gran simpatia nei suoi confronti.
Ma si sarebbe ricreduto a breve, n’ero certa, era solo questione di tempo.
Quell’individuo non poteva risultare simpatico a nessuno, tanto meno ad un tipo ingenuo e buono come Sasaki.





 
Il gioco della bottiglia era una cosa che detestavo.
L’avevo sempre odiato, sin da bambina ed il fatto che quella mattina fossi stata costretta a parteciparci, sotto le estenuanti insistenze da parte della mia adorabile amica Fuka, in classe, durante l’ora di buca dovuta dall’assenza della professoressa di biologia, contribuiva ad alimentare il mio odio nei confronti del genere umano.
Un odio che avevo sviluppato da quando avevo avuto la fortuna sfacciata di incontrare quell’odioso scimmione biondo che, tra l’altro, era l’unico a non averne voluto sapere di partecipare a quello stupido gioco ed era rimasto in disparte dal resto gruppo, come al solito, restando seduto accanto al banco che gli era stato assegnato, con lo sguardo rivolto verso la finestra e gli auricolari infilati nelle orecchie.
Strappai il biglietto sul quale c’era scritto il numero di telefono del tipo a cui ero stata costretta a chiederlo per penitenza e appena feci per alzarmi, con l’intento di andare a gettarlo nella pattumiera, sentii chiamare il mio nome, di nuovo.
Guardai la bottiglia appoggiata sul pavimento ed appena mi resi conto che era puntata ancora una volta verso di me, mi lasciai andare in un gran sospiro di frustrazione.
«Vi avverto, non chiederò il numero a nessun altro» precisai, incrociando le braccia al seno «E’ già stato imbarazzante farlo una volta e non ho alcuna intenzione di ripetere l’esperienza»
Dissi quelle parole tenendo gli occhi puntati su Sakura Sanzenin, la tizia che avrebbe dovuto assegnarmi l’obbligo e lei se la ghignò.

«Non preoccuparti, Kurata. Questa volta ho intenzione di assegnare un obbligo più, uhm… divertente» si guardò intorno e dopo interminabili secondi, puntò lo sguardo su Hayama, sorridendo.
All’istante un campanello di allarme si accese in me.
Cos’erano quello sguardo e quel sorrisetto? E perché stava guardando proprio lui?
«Dai un bacio a Hayama»

«Scordatelo» sbottai, alzando il tono di un’ottava «Io non darò proprio un bel niente a quello lì, e poi non sta nemmeno giocando»

«Se ti rifiuti, sarai costretta a compiere una penitenza»

«Non importa, vada per la penitenza» affermai, sicura di me.
Niente sarebbe stato peggio di baciare quell’individuo.

Ma la mia sicurezza svanì nell’esatto momento in cui Sakura se ne uscì con un… «Spogliati e resta in intimo per tutta la durata delle lezioni» il tutto costernato dai fischi di incoraggiamento da parte dei maschi.

Spalancai occhi e bocca, indignata «Ma ti sei bevuta il cervello? Rischio di beccarmi una sospensione, oltre a mandare in frantumi la mia dignità!»

Lei scrollò le spalle, senza levarsi quell’irritante sorrisetto dalla faccia «Allora bacia Hayama, che ti costa?»

Digrignai i denti, furiosa, mandano uno sguardo d’accusa a Fuka, colei che mi aveva cacciata in quella situazione e lei mi porse un sorriso di scuse.
Se pensava di cavarsela con quello, sbagliava di grosso.
Me l’avrebbe pagata, eccome se l’avrebbe fatto.
Mi alzai, avanzando verso il banco dello scimmione biondo ed appena lui posò lo sguardo su di me, gli feci segno di sfilarsi gli auricolari.

Lo fece, ovviamente sbuffando «Che vuoi?»

Piegai il busto in avanti, avvicinandomi al suo orecchio, per parlargli senza farmi sentire dagli altri «Ascolta, Hayama… mi hanno assegnato l’obbligo di baciarti, ma visto che nessuno dei due ha la benché minima voglia di incollare la bocca su quella dell’altro, adesso tu dirai a gran voce, in modo tale da farti sentire dall’intera classe, che ti rifiuti categoricamente di farlo. Puoi anche insultarmi se vuoi, non m’importa, basta che mi liberi da questa tortura. Sono disposta anche a pagarti, se necessario»
Sapevo di star esagerando, ma avrei fatto di tutto per risparmiarmi quel contatto.

Feci appena in tempo ad allontanarmi dal suo orecchio che il signorino, con tanto di ghigno sadico, si voltò verso il resto del gruppo ed urlò «Kurata si rifiuta di rispettare l’obbligo»

Drizzai i capelli dalla rabbia, trattenendomi dall’impulso di sferrargli un pugno sulla testa.
Un bel bernoccolo lì sopra ci sarebbe stato davvero bene.
Allo spifferamento di Hayama seguirono una serie di insulti rivolti alla sottoscritta e degli avvertimenti su cosa avrei dovuto fare se mi fossi tirata indietro.
«E va bene, lo faccio» sbuffai.
Guardai le sue labbra, inscenando una smorfia riluttante e a quanto pare Hayama non dovette gradire la cosa, visto che iniziò a fissarmi in cagnesco.
Probabilmente non era abituato a suscitare simili reazioni nel gentil sesso ed ero certa che, qualsiasi altra ragazza provvista di ormoni, avrebbe pagato per trovarsi al mio posto.
Peccato che io non lo sopportavo e avrei pagato a mia volta per non baciarlo.
Sospirai esageratamente e avvicinandomi lentamente, molto lentamente, al suo viso, premetti le mie labbra sulle sue, sorprendendomi per il loro sapore e morbidezza.
Non sapevo il perché, ma mi aspettavo che fossero ruvide e sapessero di un qualcosa di nauseabondo.
Ma non era affatto così ed appena la sua lingua incontrò la mia, qualcosa andò storto visto che, contro ogni mia aspettativa, dei brividi di piacere mi attraversarono la spina dorsale.
Ok, era odioso ed insopportabile, ma bisognava ammettere che baciava davvero bene, molto meglio di qualsiasi altro ragazzo che avessi avuto in precedenza.
Non seppi per quanto tempo restammo l’uno incollato sulla bocca dell’altro, ma se i componenti della classe non avessero urlato “Chiudetevi in un’aula vuota” alludendo probabilmente alla troppa passione che ci stavamo mettendo in quel bacio, dubito mi sarei staccata da lui.
Lo guardai e mentre io ero rossa in volto dall’imbarazzo, l’espressione di Hayama era impassibile, come se quel contatto non gli avesse suscitato alcun tipo di sensazione, a differenza di com’era accaduto con me.
Deglutii, cercando di mandare giù il nodo che si era formato alla gola «Credo… credo che possa bastare» borbottai, scappando via alla velocità della luce, sotto gli sguardi e le risate divertite degli altri.
Mi precipitai fuori al cortile, alla disperata ricerca di una boccata d’aria fresca che mi avrebbe schiarito le idee.
Perché mi era piaciuto tanto baciarlo?
E soprattutto, perché avevo la macabra voglia di ripetere l’esperienza?
Provai a darmi una risposta, ma niente, il mio cervello sembrava essere in totale black out.
Sospirai, passandomi nervosamente una mano tra i capelli.
Dannato scimmione biondo… ma non poteva essere un pessimo baciatore?
O magari restarsene ad Osaka, piuttosto che piombare qui e crearmi simili paranoie?
Lo detestavo più di prima, o almeno ero quello che mi ero imposta di pensare.



***
NdA:

Salve! =)
Scusate per l'attesa e grazie di cuore a chi la lasciato una recensione nel capitolo precedente.
Cercherò di aggiorare quanto prima, alla prossima, un abbraccio! =*

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Capitolo 4
*** III Cap. ***


Pov. Sana:


Esistevano due categorie di ragazze sulla faccia della terra, quella era la mia teoria maturata nel corso degli anni: la categoria numero uno, composta da quelle che erano in grado di farsi scivolare tutto addosso, senza attribuirgli alcun tipo di peso, fregandosene, quelle che se avessero vissuto quello ch’era accaduto a me in aula con Hayama avrebbero sminuito il tutto, ritenendola un’innocua penitenza senz’importanza, nulla di più, nulla di meno.
Poi c’era la seconda categoria, composta da ingenue fanciulle cresciute con film e romanzi d’amore, alla disperata ricerca del fantomatico principe azzurro, che difficilmente riuscivano a non dare valore ad un bacio, anche se dato esclusivamente per gioco.
Io rientravo nella seconda categoria.
Smettere di pensare al contatto delle labbra calde di Hayama sulle mie era una stata una battaglia che ero destinata a perdere di larga misura.
Ci avevo provato a passarci sopra, ad entrare disperatamente a far parte della prima categoria  ma, ahimè,  avevo miseramente fallito.
Io, a quel bacio, ci pensavo tutti i giorni.
Non sapevo spiegarmi il motivo, perché alla fin fine io ad Hayama continuavo a detestarlo, a ritenerlo uno stupido scimmione biondo, un odioso vicino di casa, un asociale compagno di classe, un tipo la cui sola vicinanza m’irritava a morte, eppure continuavo a pensarlo incessantemente; si era intrufolato nella mia testa da un giorno all’altro con una facilità disarmante e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo in alcun modo a cacciarlo via.
Mi sembrava di essere improvvisamente diventata una di quelle patetiche ragazzine che si infatuavano del primo figo di turno che dedicava loro un po’ d’attenzione e mi sentivo davvero stupida, perché io non ero così, ero sempre stata una persona con la testa sulle spalle, che difficilmente si lasciava abbindolare dall’altro sesso e la sola idea di essere caduta così in basso mi faceva salire il sangue al cervello dal nervoso.
Mi ero imposta di trovare una soluzione a quella spiacevole situazione perché mai, per nulla al mondo, avrei dato ad Akito Hayama la soddisfazione di farmi vedere “presa” da lui, quindi, dopo accurate riflessioni, ero arrivata ad un’unica, semplicissima conclusione: avrei rispolverato le mie doti d’attrice, risalenti a quand’ero solo una mocciosa che compariva di tanto in tanto in qualche film di poco successo, e avrei finto che la sua presenza e il ricordo di quel bacio non mi procurassero alcun tipo di emozione, mostrandomi ai suoi occhi con menefreghismo e freddezza.
Per settimane non gli avevo  più rivolto la parola, nemmeno un innocuo saluto, assumendo un atteggiamento freddo e distaccato pari al suo e durante le ore scolastiche, in cui eravamo costretti a restare rinchiusi insieme in quelle quattro mura, non lo degnavo neanche di uno sguardo, anche se la tentazione di guardarlo, devo ammetterlo, era piuttosto forte.
Fingevo che non esistesse, come lui aveva sempre fatto con me, nessuno aveva più menzionato la faccenda del bacio ed eravamo tornati ad essere due semplici estranei che condividevano lo stesso pianerottolo e la stessa classe, nulla di più, fino a quando un bel giorno Akito decise stranamente di dar fiato alla sua bocca.

Le lezioni erano terminate, eravamo entrambi nell’ascensore del condominio e poco prima che le porte metalliche si aprissero, sghignazzò un «Se sapevo che per sbarazzarmi dalle tue fastidiose chiacchiere era necessario baciarti, ti avrei baciata molto tempo prima»

Non parlava quasi mai, l’idiota, ma in quelle rare occasioni in cui usciva dal suo perenne stato di mutismo era in grado di farmi imbestialire come mai nessuno prima di allora.
Lo fulminai, livida in volto dalla rabbia «Non parlo con te semplicemente perché mi stai inesorabilmente ed irrimediabilmente sulle scatole, Hayama. Quell’insulso  bacio che ci siamo scambiati non c’entra assolutamente nulla con il mio non rivolgerti più la parola» mentii.

«Insulso?» ripetè lui, incurvando un sopracciglio.

Sorrisi tra me e me.
Cos’era quella faccia? Che le mie parole gli avessero causato un solco profondo nel suo ego smisurato?
Ben gli stava, dopo tutto quello che stava facendo passare a me nelle ultime settimane era il minimo.
«Esatto, insulso» mentii per la seconda volta nel giro di pochi secondi, perché tutto era stato quel bacio fuorché insulso, ma non l’avrei ammesso mai, nemmeno sotto tortuta.

«Eppure non sembrava ti dispiacesse»

«Sono molto brava a fingere» gli volsi un sorriso sadico, facendolo accigliare «Ho avuto di meglio nella mia vita, te lo posso assicurare» sminuii, sventolandomi una mano davanti alla faccia, come a voler cacciare via un insetto fastidioso.

Poi le porte metalliche si aprirono, feci per andarmene, ma Hayama mi fermò, tirandomi a sé per il polso.
Mi accarezzò le braccia nude, salendo pian piano su per il collo ed io m’irrigidii, avvertendo piacevoli brividi attraversarmi la spina dorsale.

 «Se la tua è una sfida, sappi che non mi tirerò indietro» si era chinato su di me, le sue labbra ad un soffio dalle mie, il suo respiro che mi solleticava il viso e la vocina nella mia testa che continuava imperterrita a ripetermi “Non dargliela vinta, ragiona, reagisci, respingilo

«Non è mica una sfida» deglutii «Ti ho semplicemente esposto il mio pensiero, tutto qui. E comunque cos’è sta storia che non comunichi più con insulsi monosillabi, versi, grugniti o alzate di testa? No perché non credo di averti mai sentito parlare tanto come oggi»

«E te invece parli sempre troppo, Kurata» aveva ghignato, avvicinandosi ancora di più, tanto che oramai la distanza che ci separava era pressoché inesistente ed io ero arrossita, anche se mi ero sforzata di non farlo «Ma se vuoi, un modo per zittirci entrambi lo troviamo»

Guardai la sua espressione, il suo ghigno e non mi risultò difficile capire che si stava solo divertendo a provocarmi.
Per lui era solo un gioco e se da una parte il suo prendermi in giro mi rattristava, dall’altra mi imbestialiva a morte.
Ma chi si credeva di essere quello lì?
Ed io che perdevo anche tempo a pensarlo.
Spinta dalla rabbia agii d’impulso, mi avvicinai alla sua bocca e all’ultimo mi fermai «Se ti azzardi a toccarmi ancora una volta, ti ammazzo, giuro che lo faccio»

Akito sgranò appena gli occhi, come se tutto si aspettasse fuorché sentirsi dire determinate cose e senza dargli tempo di replicare, appoggiai i palmi aperti delle mani sulle sue spalle, lo spintonai via con forza, mi voltai e me ne andai, lasciandolo lì, solo come un idiota, illudendomi di aver vinto contro un nemico nettamente più forte di me.



***

NdA:

Salve!! =)

Perdonate l'attesa e grazie a chi continuerà a seguire questa storia.
Ah, quasi dimenticavo, tanti auguri di buon anno!! (Sono in ritardo, lo so, ma ci tenevo a farveli ugualmente XD) Spero abbiate trascorso buone feste =)
Alla prossima!

 

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